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4 CASA DEL FAGIOLO (“FASOEU”) DI BREBBIA Il fagiolo dell’occhio è l’unico fagiolo autoctono del Vecchio Mondo, essendo originario dei paesi del bacino del Mediterraneo. Consumato fin dall'antichità deve il nome ad una macchiolina rotonda e scura presente al centro della sua concavità. L’ampia pianura di Brebbia è stata storicamente una terra molto indicata per la coltivazione di questo legume. A tal punto che, seguendo una tradizione che voleva per gli abitanti di ogni paese un particolare appellativo, fu facile chiamare i brebbiesi “Fagioli” o per meglio dire “Fasòeu”. Con la venuta del fagiolo importato dalle americhe, infine, il fagiolino dell’occhio fu messo in disparte. Solo da qualche anno, grazie anche al patrocinio dell’Amministrazione comunale, la comunità brebbiese ha intrapreso il doveroso processo di re-introduzione di questa antica coltivazione, secondo un modello molto vicino all’agricoltura di sussistenza. La condotta di Slow Food di Varese ha ritenuto di costituire attorno al “Fagiolo di Brebbia” una propria Comunità di cibo, definendo precise regole in un apposito disciplinare di coltivazione. La Comunità brebbiese, con l’intento di preservare questo prodotto locale, sta provvedendo ad allestire un locale, presso Villa Terzoli, dedicato al prezioso legume. Oltre alla documentazione fotografica delle varie fasi di coltivazioni, saranno esposti gli strumenti artigianali (assolutamente unici) utilizzati per la semina, per la “sbaccellatura” e, infine, per l’eliminazione delle impurità dai fagioli, prima della loro conservazione. IL “LAGHETASCH” di Motto Pivione Il “Laghetasch” è un’area a ristagno idrico che assume l’aspetto di un vero e proprio laghetto sulle cui sponde in passato sono state rinvenute tracce di un insediamento palafitticolo. E’ situata sulla collina del Motto Pivione. All’interno del piccolo bacino sono presenti gruppi policormici di Cipresso Calvo delle Paludi (Taxodium distichum), piante idrofile che svettano per la loro imponenza. Di aspetto simile al Tasso, questa conifera, a fogliame deciduo, può raggiungere i 40 mt. di altezza ed i 1000 anni di età. Non sono piante autoctone (l’origine è infatti nord-americana) e non è neppure noto quando e come sono giunti proprio in questo luogo. Recentemente i Cipressi Calvi del Laghetasch sono stati censiti come “monumenti naturali” dalla Provincia di Varese. BREBBIA Luoghi da visitare Luoghi da visitare Luoghi da visitare Luoghi da visitare A cura del Comune di Brebbia

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CASA DEL FAGIOLO (“FASOEU”) DI BREBBIA

Il fagiolo dell’occhio è l’unico fagiolo autoctono del Vecchio Mondo, essendo originario dei paesi del bacino del Mediterraneo. Consumato fin dall'antichità deve il nome ad una macchiolina rotonda e scura presente al centro della sua concavità.

L’ampia pianura di Brebbia è stata storicamente una terra molto indicata per la coltivazione di questo legume. A tal punto che, seguendo una tradizione che voleva per gli abitanti di ogni paese un particolare appellativo, fu facile chiamare i brebbiesi “Fagioli” o per meglio dire “Fasòeu”. Con la venuta del fagiolo importato dalle americhe, infine, il fagiolino dell’occhio fu messo in disparte. Solo da qualche anno, grazie anche al patrocinio dell’Amministrazione

comunale, la comunità brebbiese ha intrapreso il doveroso processo di re-introduzione di questa antica coltivazione, secondo un modello molto vicino all’agricoltura di sussistenza. La condotta di Slow Food di Varese ha ritenuto di costituire attorno al “Fagiolo di Brebbia” una propria Comunità di cibo, definendo precise regole in un apposito disciplinare di coltivazione. La Comunità brebbiese, con l’intento di preservare questo prodotto locale, sta provvedendo ad allestire un locale, presso Villa Terzoli, dedicato al prezioso legume. Oltre alla documentazione fotografica delle varie fasi di coltivazioni, saranno esposti gli strumenti artigianali (assolutamente unici) utilizzati per la semina, per la “sbaccellatura” e, infine, per l’eliminazione delle impurità dai fagioli, prima della loro conservazione.

IL “LAGHETASCH” di Motto Pivione

Il “Laghetasch” è un’area a ristagno idrico che assume l’aspetto di un vero e proprio laghetto sulle cui sponde in passato sono state rinvenute tracce di un insediamento palafitticolo. E’ situata sulla collina del Motto Pivione. All’interno del piccolo bacino sono presenti gruppi policormici di Cipresso Calvo delle Paludi (Taxodium distichum), piante idrofile che svettano per la loro imponenza. Di aspetto simile al Tasso, questa conifera, a fogliame deciduo, può raggiungere i 40 mt. di altezza ed i 1000 anni di età. Non sono piante autoctone

(l’origine è infatti nord-americana) e non è neppure noto quando e come sono giunti proprio in questo luogo. Recentemente i Cipressi Calvi del Laghetasch sono stati censiti come “monumenti naturali” dalla Provincia di Varese.

BREBBIA

Luoghi da visitareLuoghi da visitareLuoghi da visitareLuoghi da visitare

A cura del Comune di Brebbia

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LA CHIESA DI S.PIETRO (Monumento Nazionale)

La chiesa romanica di S. Pietro a Brebbia è una delle più belle e meglio conservate della Lombardia. Nel VII secolo d.C. ve n’era una più piccola e situata tra il campanile e l’edificio attuale ma, sul finire dell’XI secolo si decise di costruirne una più grande adatta ad una popolazione ormai molto numerosa. Dobbiamo ricordare che Brebbia ebbe un passato glorioso, fu infatti centro di intensa prosperità nell’età romana, quindi capo

di Pieve ed anche sede di un castello degli arcivescovi milanesi. Il primo documento in cui si parla esplicitamente della pieve di Brebbia risale al 999 ma la tradizione (peraltro attendibile!) narra che la prima chiesa fu fondata intorno al IV secolo d.C. da San Giulio, evangelizzatore con il fratello Giuliano, di tutta l’area prealpina intorno al lago Maggiore. Una leggenda racconta che S. Giulio distrusse il tempio di Minerva per sostituirlo con la chiesa; in effetti sul lato settentrionale si trova ancora una pietra murata recante l’iscrizione, ormai molto consumata, con il nome della dea.

La Chiesa di S. Pietro è molto ben affrescata; i dipinti più antichi si trovano nel braccio settentrionale del transetto e possono essere fatti risalire al XIII secolo. Gli affreschi meglio conservati si trovano invece sulla parte meridionale, dove si allineano una serie di riquadri fatti eseguire a più riprese da committenti privati, per lo più appartenenti alla famiglia Besozzi.

IL MUSEO DELLA PIPA

Il museo della pipa di Brebbia è nato nel 1979 per volere del Ragionier Enea Buzzi, fondatore della Pipe Brebbia Srl e noto collezionista di pipe, ed è situato a Brebbia (VA) in Via Piave 21.

Contiene oltre circa 6.000 proenienti da tutto il mondo e opportunamente catalogate. E’ possibile trovare le pipe calumet degli indiani d'America che furono i precursori dei fumatori di pipa e tabacco per poi passare ad un ampia raccolta di pipe di schiuma di mare (principalmente di produzione austriaca), di gesso e terracotta per la maggior parte italiane, francesi e olandesi.

Alle tradizionali pipe in porcellana Austro-Ungariche si aggiungono le prime realizzazioni francesi e britanniche di pipe in radica sino al primo, timido e poi sempre più travolgente successo delle pipe in radica per merito della produzione italiana. E’ possibile, inoltre, ammirare le pipe in metallo lavorato della Thailandia, le pipe in legno normale della Cina, le pipe in preziosa schiuma di mare (solfato di

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calcio allo stato naturale che si trova nelle cave dell’Asia minore, in particolare in Turchia). Non mancano tante stramberie come le pipe a sigaro studiate per i motociclisti; le “radiator” ovvero le pipe con un fornello "aerato"; pipe con bocchini telescopici per fumare più fresco; pipe con due fornelli e valvole per poter

gustare in tempo reale diverse miscele, mini pipe ad acqua; brevetti di ogni genere per rendere più semplice (o forse per complicare ancor di più) la difficile arte di fumare la pipa. Per gli appassionati delle pipa e i semplici curiosi, il museo è sempre visitabile (previo appuntamento con la famiglia Buzzi)! (www.brebbiapipe.it). Recentemente Brebbia ha acquisito una nuova

collezione di pipe che ha trovato la sua giusta e degna collocazione presso il Museo della pipa: la prestigiosa collezione di Franz Schuchardt.

LA CENTRALE IDRO-ELETTRICA

Pochi conoscono l’esistenza della centrale elettrica del Bosco Grosso, eppure fin dagli ultimi anni dell’ottocento proprio da questa centrale proveniva l’energia elettrica che illuminava, prima in tutta la provincia, le strade dei paesi di Brebbia,

Olginasio, Malgesso e Gavirate.

E questo grazie all’ingegno di Achille Buzzi (scomparso nel 1906) che più di un secolo fa precorse i tempi in tema di sfruttamento delle acque per la produzione dell’energia elettrica.

In quegli anni l’industria e la vita comunitaria erano legati all’impiego del vapore come forza motrice e del gas come elemento di pubblica illuminazione. Nel 1890 Achille Buzzi, conscio degli immancabili sviluppi, costruì sul fiume Bardello un canale lungo 700 metri che portava l’acqua ad una turbina Girard ad asse verticale, della forza di 100 cavalli, appositamente costruita dalla ditta Pomini di Castellanza. Un asse orizzontale in rapporto con quello della turbina doveva far generare, ad una turbina tipo superiore, l’energia elettrica di 735.000 watts ad un potenziale di 1.500 volts. Oggi la vecchia Centrale continua nel suo pluridecennale (secolare) lavoro. Nel 1923 le vecchie turbine vennero sostituite ed il canale è stato sviluppato fino a 1.500 metri con una portata di 2.000 litri al secondo.