8
. 1 / 8 Data Pagina Foglio 03-2020 46/53 PPOM€TEO Tra passato e presente LE TORRI DI BABELE Nel cielo delle metropoli contemporanee svettano torri scenografiche indifferenti al mondo circostante Marcello Faletra L assalto al cielo - Il Bud Khalifa di Dubai è il grat- tacielo più alto del mondo con i suoi 829 metri. La Shan- ghai Tower è alta 632 metri. L'Abraj Al Bait a La Mecca è alto 601 metri. A Jedda (Arabia Saudita) nel 2019 è ini- ziata la costruzione della torre che sarà alta 1008 metri. Il sogno di Frank Lloyd Wright, di una torre alta un miglio, si sta realizzando. Tuttavia, Wright osservava pure: "Tut- ti i bei valori architettonici sono valori umani, oppure non hanno valore. I valori architettonici umani sono sempre da- tori di vita, dalla vita non prendono mai nulla". Una tor- re alta mille metri, quale "valore" umano esprimerebbe? A chi parla? Wright, evidentemente, faceva riferimento a un "noi" comunitario che abita e pratica la città "orga- nica" (la città che serve l'uomo). Non si riferiva certo al "noi" come somma di consumatori; nella sua visione i cit- tadini avrebbero partecipato dell'ambiente urbano, in quanto la sua utopia prometteva una "Architettura della Democrazia". 46 Il miraggio di una torre che svetta per centinaia di me- tri, per certi aspetti promette ciò che la realtà non conce- de a chiunque: un sogno ad occhi aperti. Cerchiamo di es- sere più chiari: se l'architettura, nella grandiosa concezione di Wright, guardava alla democrazia, queste torri, il cui ec- cesso verticale si configura come un assalto al cielo, sono il tradimento di questo sogno. Al limite estremo di que- sti eccessi, l'architettura, in quanto struttura simbolica- mente relazionale compreso quella del potere politico - religioso del passato perde la sua funzione: diventa struttura disfunzionale, fuori da ogni ordine umano. Ciò che colpisce in queste torri, è che la nostra percezione del- lo spazio oggettivo, lo spazio urbano, è il risultato di una separazione tanto cinica quanto definitiva tra architettu- ra e società. La fuga in alto delle torri sembra concorrere con la velocità di fuga dalla forza gravitazionale terrestre, simula in tal modo una fuga anche dalla storia. Ugual- mente, le capricciose asimmetrie che le connotano, già pra- Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile. 120634 Trimestrale

LE TORRI DI BABELE - Meltemi Editore...LE TORRI DI BABELE Nel cielo delle metropoli contemporanee svettano torri scenografiche indifferenti al mondo circostante Marcello Faletra L

  • Upload
    others

  • View
    3

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: LE TORRI DI BABELE - Meltemi Editore...LE TORRI DI BABELE Nel cielo delle metropoli contemporanee svettano torri scenografiche indifferenti al mondo circostante Marcello Faletra L

.

1 / 8

Data

Pagina

Foglio

03-202046/53PPOM€TEO

Tra passato e presente

LE TORRI DI BABELENel cielo delle metropoli contemporanee svettano torri

scenografiche indifferenti al mondo circostante

Marcello Faletra

L assalto al cielo - Il Bud Khalifa di Dubai è il grat-tacielo più alto del mondo con i suoi 829 metri. La Shan-ghai Tower è alta 632 metri. L'Abraj Al Bait a La Mecca èalto 601 metri. A Jedda (Arabia Saudita) nel 2019 è ini-ziata la costruzione della torre che sarà alta 1008 metri. Ilsogno di Frank Lloyd Wright, di una torre alta un miglio,si sta realizzando. Tuttavia, Wright osservava pure: "Tut-ti i bei valori architettonici sono valori umani, oppure nonhanno valore. I valori architettonici umani sono sempre da-tori di vita, dalla vita non prendono mai nulla". Una tor-re alta mille metri, quale "valore" umano esprimerebbe?A chi parla? Wright, evidentemente, faceva riferimentoa un "noi" comunitario che abita e pratica la città "orga-nica" (la città che serve l'uomo). Non si riferiva certo al"noi" come somma di consumatori; nella sua visione i cit-tadini avrebbero partecipato dell'ambiente urbano, inquanto la sua utopia prometteva una "Architettura dellaDemocrazia".

46

Il miraggio di una torre che svetta per centinaia di me-tri, per certi aspetti promette ciò che la realtà non conce-de a chiunque: un sogno ad occhi aperti. Cerchiamo di es-sere più chiari: se l'architettura, nella grandiosa concezionedi Wright, guardava alla democrazia, queste torri, il cui ec-cesso verticale si configura come un assalto al cielo, sonoil tradimento di questo sogno. Al limite estremo di que-sti eccessi, l'architettura, in quanto struttura simbolica-mente relazionale — compreso quella del potere politico-religioso del passato — perde la sua funzione: diventastruttura disfunzionale, fuori da ogni ordine umano. Ciòche colpisce in queste torri, è che la nostra percezione del-lo spazio oggettivo, lo spazio urbano, è il risultato di unaseparazione tanto cinica quanto definitiva tra architettu-ra e società. La fuga in alto delle torri sembra concorrerecon la velocità di fuga dalla forza gravitazionale terrestre,simula in tal modo una fuga anche dalla storia. Ugual-mente, le capricciose asimmetrie che le connotano, già pra-

Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile.

120634

Trimestrale

Page 2: LE TORRI DI BABELE - Meltemi Editore...LE TORRI DI BABELE Nel cielo delle metropoli contemporanee svettano torri scenografiche indifferenti al mondo circostante Marcello Faletra L

2 / 8

Data

Pagina

Foglio

03-202046/53PPOM€TEO

Veduta dei grattacieli di Chicago dal ponte di Michigan AvenueRitaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile.

120634

Trimestrale

Page 3: LE TORRI DI BABELE - Meltemi Editore...LE TORRI DI BABELE Nel cielo delle metropoli contemporanee svettano torri scenografiche indifferenti al mondo circostante Marcello Faletra L

3 / 8

Data

Pagina

Foglio

03-202046/53PPOM€TEO

Il Burj Khalifa di Dubai è il grattacielo più alto del mondo

ticate dal "linguaggio moderno dell'architettura" (Zevi) con-tro l'ossessione delle simmetrie, accelerano come fughe in-controllate l'asimmetria dei rapporti sociali. In ciò, questetorri dicono la "verità", e confermano il tradimento dell'ar-chitettura come democrazia, come intendeva Wright. Nel-la loro spettacolare arroganza sono scenograficamente sin-cere. Cioè, spudorate. Un'architettura che rimanda solo ase stessa è ancora architettura? L'architetto e designer GiòPonti nel suo celebre Amate l'architettura (1957) osserva-va che "la politica moderna è politica sociale, l'architettu-ra è moderna solo in quanto corrisponde nei fini: le sue de-finizioni estetiche, discutibili, passano in secondo ordinedi fronte a questa definizione indiscutibile". Giò Ponti ri-lanciava l'utopia di Wright di un'architettura democrati-ca e sociale.

D'altra parte, lo sviluppo delle tecnologie ingegneri-stiche, la potenza tecnico-scientifica di realizzare artifici dasogno, istiga questa separazione, proiettando l'architettu-ra, spesso, in una sorta di mondo parallelo. E' come se, conqueste torri, affiancate le une alle altre, l'architettura subisseun'inversione di significato che Rem Koolhaas chiama"incubo semantico": illeggibile come significato sociale, ma

48

decisamente cinematografico come effetto urbano specia-le: un "fatto sociale totale" secondo l'espressione dìDurkheim. La loro egoistica bellezza contrasta con tutto ilresto, che esiste come residuo storico satellizzato intornoad esse: i ghetti.

Lo specchio infranto della città - Il filosofo Slavoj Zi-zek, sulla scia di Lacan, chiama questa separazione "paral-lasse", la quale è basata sulla triade che si articola tra rea-le, simbolico e immaginario.

Il simbolico chiama in causa significati ideologici, es-so è una diagonale tra fenomeni sociali e ordini istituzio-nali: socialmente agisce sul reale, cerca di assoggettarlo, èuna specie di unità di misura, attorno a cui si commisuranoe si uniformano tutte le diversità; è il potere che si espri-me nella tetrade estetico-economico-politico-religioso. Ein questo scenario che il "reale", a volte, sfugge ai dettati(norme) del simbolico, com'è accaduto, per esempio, inmolte situazioni legate alle pratiche del graffitismo con-temporaneo, inassoggettabili sul piano dell'ordine sim-bolico, in quanto indifferenti al codice della legge.

L'immaginario, invece, nell'ambito di un contesto ur-

Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile.

120634

Trimestrale

Page 4: LE TORRI DI BABELE - Meltemi Editore...LE TORRI DI BABELE Nel cielo delle metropoli contemporanee svettano torri scenografiche indifferenti al mondo circostante Marcello Faletra L

4 / 8

Data

Pagina

Foglio

03-202046/53PPOM€TEO

bano, corrisponderebbe all'esperienza di coloro che frui-scono le città come ricerca di un'unità immaginaria; la lo-ro istanza è la domanda di appartenenza a un luogo e aduna presunta identità collettiva. La città in questo caso di-venta come uno specchio; specchio della ricerca di un'iden-tità. Jacques Lacan nel suo celebre saggio Lo stadio dello spec-chio (ripreso da Zizek), scrive: "Lo stadio dello specchio èun dramma la cui spinta interna si precipita dall'insuffi-cienza all'anticipazione — e che per il soggetto preso nell'in-ganno dell'identificazione spaziale, macchina fantasmiche si succedono da un'immagine frammentata del corpoad una forma, che chiameremo ortopedica, della sua to-talità, - ed infine all'assunzione dell'armatura di un'iden-tità alienante che ne segnerà con la sua rigida struttura tut-to lo sviluppo mentale". Per Lacan (e per Zizek) il corpoframmentato partecipa di un dramma, vive un conflitto sca-turito da una percezione del sé frammentaria. L'artificio del-lo specchio diventa così l'illusione di un'unità, ma èun'unità immaginaria, vale a dire lo specchio mente, èuna finzione, ma in quanto artificio dice la verità. Defi-nendo i perimetri immaginari dell'io dice la verità dell'im-maginario.È per questo che Lacan relativamente a questa perce-

zione frammentaria e ricomposta artificialmente nellospecchio, parla di "forma ortopedica", cioè il particolare chesta al posto dell'insieme. Esso investe l'io nelle sue affan-nose ricerche di unità, che cercano di appagare l'espe-rienza di una totalità immanente. La protesi ortopedica —lettura che richiama l'immaginario surrealista di Lacan - re-gistrerebbe una mancanza a-priori, che non va presa alla let-tera. Semmai, essa è il cortocircuito tra reale e immagina-rio, in cui diventa difficile stabilire cos'è l'uno e l'altro ri-spetto a un contesto dato. La loro reversibilità somiglia aivasi comunicanti di Breton.

Si potrebbe vedere in questa forma "ortopedica" la ge-nesi ontologica e politica dei nazionalismi. Forse. Per Zi-zek la questione è certa, ma è una questione che meriterebbeuno spazio a parte.

Il reale, infine, richiede una particolare attenzione.Consiste nel nostro caso, nel fare i conti con la tecnica co-struttiva: un grattacielo deve stare in piedi e garantirecondizioni di stabilità. Ma il "reale" nell'accezione di Zi-zek è più complesso, in questo caso si traduce nel concre-to; infatti, più che a Lacan egli fa riferimento a Hegel, peril quale l'universale fa capolino nel particolare, che tendesempre ad apparire come verità assoluta. Lo scarto trarappresentazione del particolare (il grattacielo nel nostrocaso), e l'universale relativo della città, che tradotto corri-sponde alla differenza tra l'ontico e l'ontologico, segna lospazio delle metropoli, che è visto dall'individuo come se-conda natura. Lo scarto di parallasse risiede nella mancanzadi misura comune tra le due sfere, è, in altri termini, un di-

slivello temporale: da un lato le torri rivelano, in apparenza,una temporalità incommensurabile (fantastica), dall'altrosono espressione di una seconda natura, quella della me-tropoli.

La fantasia è umana, la metropoli inumana. Nellostesso oggetto si registra una contraddizione. Con le paroledi Zizek questa contraddizione si può riassumere nell'espres-sione "il cuore «inumano» dell'umano". La discordia tra ilparticolare e l'universale, investe tutte le metropoli, lequali solo apparentemente costituiscono un'unità, poichéla loro percezione come organismo unitario, è storica-mente illusoria. E spesso, questa unità immaginaria è og-getto di pellegrinaggio turistico e estetico.

La storia delle città è allo stesso tempo la storia di as-soggettamenti, di esclusioni, di violenze, di espropriazio-ni e di accumulazioni di ricchezze. I dislivelli temporali cor-rispondono a queste condizioni storiche vissute da chi leha subite. Il grattacielo è una "fantasia" umana (un fetic-cio), ma il costo della sua realizzazione in termini di ener-gie ricade nel concreto di questa umanità: lo sfruttamen-to. Da un lato esso simula un valore collettivo (il simbolodi una città), mentre dall'altro ne pratica uno esclusivo (l'ap-partenenza a una élite). La fantasia architettonica diventauna figura autonoma, mera rappresentazione, che celainteressi di parte. I rapporti tra cose e rappresentazioni sisostituiscono al concreto dei rapporti sociali Le torri pro-lungano, nonostante la modernità, la postmodernità e lacontemporaneità, il feticismo delle merci di cui parlavaMarx. Questa contraddizione — la parallasse di Zizek — asua volta ne implica un'altra: quella espressa da RolandBarthes tra "necessità funzionali" e "carica semantica".Attualizzando la posizione di Barthes potremmo dire:ammesso che la città sia una lingua, quale significato vei-colano in questo caso le torri? Barthes leggeva una con-traddizione tra significazione e "ragione calcolatrice", la qua-le esige la sottomissione delle varietà semantiche che unacittà implica, con le sue sfaccettature culturali e classi so-ciali. Da un lato abbiamo la città-panorama, la città spet-tacolo, la città come macchina mitologica che genera sog-gezione turistica; dall'altro la città come "enunciazione pe-donale" (de Certeau), cioè la città come intreccio di vissutiindividuali. In altre parole, l'universale della città che siesprime nelle architetture spettacolo, è la ragione urbani-stica della proprietà privata e del potere. La contraddizio-ne — la parallasse di Zizek — risiede in questa conflittualeproduzione sociale dello spazio.

Una torre, da questo punto di vista mostra un "reale"che, benché sia "particolare" — è un oggetto architettoni-co che s'inserisce in un piano urbanistico che lo comprende-, tuttavia esprime, parla, del carattere generale dell'economiache lo sorregge. In altri termini è la concezione capitalistadella ricchezza che si cristallizza in un oggetto architetto-

49Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile.

120634

Trimestrale

Page 5: LE TORRI DI BABELE - Meltemi Editore...LE TORRI DI BABELE Nel cielo delle metropoli contemporanee svettano torri scenografiche indifferenti al mondo circostante Marcello Faletra L

5 / 8

Data

Pagina

Foglio

03-202046/53PPOM€TEO

níco, il cui valore, se non si scambia con alcunché, è nul-lo come sentenziò Wright. È in questa dialettica che il par-ticolare diventa l'immagine dell'universale, che in questocaso è quello del capitale.

Per Zizek l'autonomizzazione di queste tre sfere segnagran parte dell'architettura postmodena e contemporanea.

Ogni funzione slegata dalle altre vive una sorta di fu-ga: forma, funzione e ideologia sono indipendenti l'unadall'altra. Nessuno scambio tra di loro. Una specie dimontaggio di funzioni, dove ciascun elemento — reale, sim-bolico, immaginario — vive di una propria autonomia, se-parata dalle altre. L'architettura postmoderna e contem-poranea, come esperienza di "parallasse" significa "l'appa-rente spostamento di un oggetto causato da un cambia-mento dì posizione dell'osservatore che dà una nuova vi-suale". Questa visuale che coinvolge il fruitore è il puntoillusorio (apparente lo specchio) nel quale il grattacielo inquesto caso — l'oggetto-torre — è visto come un trascen-dentale: è l'immagine attraverso cui l'autorità è mediata.

Architetture celibi - Lo storico dell'arte Casare Bran-di nel suo Aliante o dell'archiettura (1955), associava la pri-ma generazione di queste torri ai monumenti megalitici,dove l'autorità è diretta verso il cielo. Notava, inoltre, chela loro larghezza è "irrelativa" all'altezza e a sua volta conla strada: "(...) stranamente, [l'altezza] diminuisce 1' uten-silità di questi utilitarissimi edifici come delle strade: la di-minuisce, in quanto, la stessa tettonica, nell'immane sfor-zo costruttivo, avendo oltrepassato qualsiasi scala umanae non disponendo di raccordi formali, si trova ridotta aduna puntuazione generica di finestra identiche".

Ora, queste torri scenograficamente cinematograficheche nella maggior parte dei casi non si scambiano con nul-la, (irrelative), altro non significano che la liberalizzazionedella funzione sociale dell'architettura: irrompono nella cittàannientando l'architettura precedente. In termini di ener-gie sono il conto alla rovescia delle città. La loro astrazio-ne formale proclama la loro indifferenza verso il mondo cir-costante. Si potrebbe vedere in questa isteria di verticalitàl'inverso dei lapsus. Freud vedeva nei lapsus, come nel so-gno, nelle dimenticanze, e in generale nella psicopatologiadella vita quotidiana, una forma di resto dalla norma, re-sidui del linguaggio. Dettagli che aprivano squarci sulla "ve-rità" del soggetto. Allo stesso modo, ma rovesciandone laprospettiva, queste ipertorri, inutili socialmente (ma uti-li allo 0,01% della popolazione mondiale), che esprimo-no solo la potenza non scambiata del capitale, sono dei re-sti che diventano norma estetica. "Ogni accumulazione —scriveva Baudrillard — non è che un resto, e accumulazio-ne di resto, ín tal senso esso è rottura dell'alleanza", ovve-ro la rottura del patto sociale.

Se nella visione di Freud i lapsus, le mancanze, ecc., so-

50

no inestetizzabili, qui, nel caso delle torri, il resto cherappresentano è l'affermazione di un'estetica imperativa: ildito puntato verso l'alto è allo stesso tempo rivolto al cit-tadino comune. In quanto resti (potere accumulato) essesono il prestigio che sfoggia la sua impertinenza urbanistica,sotto forma di spettacolo.

La prospettiva di Wright va ripresa e radicalizzata. Ri-prendiamo il finale della sua citazione: "...oppure non han-no valore", questa fuoriuscita dal valore, relega la fanta-ar-chitettura in un universo parallelo come s'è già detto, checi arriva solo come spettacolo e illusione fantastica. E chetuttavia si è propagata a livello planetario.

Non è più un'economia politica della produzione del-lo spazio che tiene conto di più sfere sociali e ambientali,ma una fuoriuscita da ogni politica urbana, per la cuimanutenzione — un fatto spesso trascurato — necessitanoenergie eccezionali, che generano l'entropia di un intero si-stema ambientale.

Fin dagli anni Ottanta del secolo scorso, Jeremy Rifkinfaceva notare l'enorme consumo di energie che assorbival'ex World Trade Center di New York: "certi edifici-mam-mut — notava, ma da allora le cose sono ulteriormente pre-cipitate — succhiano 80.000 chilowatt, tanto quanto ba-sterebbe a servire l'intera città di Schenectady, nello statodi New York. A Chicago, il Sears Building consuma piùelettricità di tutti i 147.000 abitanti di Rockfort in Illinois".Dopo più di vent'anni il sociologo e urbanista Mike Da-vis ci informa che gli abitanti della città di Las Vegas con-sumano 1400 litri di acqua al giorno pro capite, rispettoagli 800 di Los Angeles. Inoltre l'abuso di pesticidi sta mo-dificando la natura endocrina dei pesci del lago Mead, "conpotenziali ricadute anche sulla genetica dell'uomo".

Se guardiamo alle città dell'est del pianeta le cose nonvanno meglio. Urbanizzazione e ambiente sono dialetti-camente collegati, e l'energia che entra in una megalopo-li esce sotto forma di rifiuti.

Questi esempi statistici si possono moltiplicare pertutte le megalopoli che in modo virale si sono propagatenel pianeta. Là dove l'urbanizzazione non tiene contodelle risorse energetiche disponibili in un territorio, que-sto è inesorabilmente votato alla fine. L'energia disponibiledi un ambiente è data sin dalla nascita: il suo abuso com-promette ogni forma di vita. Questa, in forma elementa-re, la legge dell'entropia. Ogni capriccio architettonico co-sta l'impiego di enormi risorse energetiche che arrivano daaree geografiche lontane, cioè sottratte alle popolazioni lo-cali. Se tutte le parti di una sfera urbana e ambientale nonsono più collegate le une alle altre, ciò accelererà il processoantropico: la distruzione esponenziale delle risorse, che nonsono un bene esclusivo di potenti holding. I piani urba-nistici che giocano a concentrare e a concedere (e dunquea sottrarre) immense risorse per l'isterica mania di grandezza

Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile.

120634

Trimestrale

Page 6: LE TORRI DI BABELE - Meltemi Editore...LE TORRI DI BABELE Nel cielo delle metropoli contemporanee svettano torri scenografiche indifferenti al mondo circostante Marcello Faletra L

6 / 8

Data

Pagina

Foglio

03-202046/53PPOM€TEO

Pieter Bruegel il Vecchio, La torre di Babele, 1563

e di potere di una esigua, ma potente élite, sono piani cri-minali.È in questa prospettiva che la fantasmagoria delle iper-

torri è un sogno a occhi aperti. Ma è un sogno della fine:la loro spettacolarità è l'immagine dell'entropia che gene-rano. Potremmo vedere in queste spettacolari torri l'im-magine estetizzata dei rifiuti globali. Il peso della loro esi-stenza è scaricato sotto forma di rifiuti che degradano il pia-neta. Baudrillard auspicava un'ecologia del male, che trat-ta la ferocia e l'indifferenza di queste realtà con la stessa fe-rocia e indifferenza. Queste super-architetture sono mo-numenti del cascame e dei resti — la separazione del capi-tale da tutto il resto - della globaliz7a7ione. Come esistenzeresiduali — cioè a-sociali — sono già rifiuti travestiti di de-sign con tanto di firme gloriose. Il loro destino sarebbe lademolizione prossima ventura. Se l'architettura è lo spec-chio ideologico di una società, queste torri rappresentanobene la nostra. Sono oggetti senza soggetti, senza l'altro. So-no architetture celibi.

Queste torri che viste da lontano, ridisegnano le skyli-ne delle "città narciso" (Hubert Damish), incarnano in par-te il "nomos" teorizzato da Carl Schmitt, per il quale esso

significava in primo luogo "conquistare" o "prendere". Ilnomos è "un'azione" che prende (nel nostro caso lo spaziocomune e l'energia) e "divide". "II sostantivo nomos —chiarisce Schmitt — significa, quindi, l'azione e il proces-so del dividere...è un diritto alla proprietà di ciascuno aibeni della vita". Un diritto, quindi, che Schmitt vedeva di-stribuito per tutti i membri di una comunità. Ma nel no-stro caso questo diritto è deviato verso un'esigua minoranza."La storia dei popoli, con le loro migrazioni, coloniz7a7ionie conquiste è una storia di appropriazione della terra", que-ste parole di Schmitt oggi suonano ben chiare con l'espro-priazione dei centri urbani e il saccheggio di ampie aree delpianeta per il mantenimento energetico di insaziabili ar-chitetture (la realizzazione di architetture auto-sostenibi-li, resta ancora un progetto lontano in termini di ricon-versione energetica di una città; attualmente è praticato so-lo da una esclusiva facoltosa élite: il benessere avanguardistasembra essere sempre di classe).

Il numero 6 dell'Internazionale situazionista (agosto1961) ospitava un editoriale dal titolo Commenti contro l'ur-banistica, a firma di Raoul Vaneigem, un passaggio signi-ficativo è questo: "Lo sviluppo dell'ambiente urbano è l'edu-

51Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile.

120634

Trimestrale

Page 7: LE TORRI DI BABELE - Meltemi Editore...LE TORRI DI BABELE Nel cielo delle metropoli contemporanee svettano torri scenografiche indifferenti al mondo circostante Marcello Faletra L

7 / 8

Data

Pagina

Foglio

03-202046/53PPOM€TEO

cazione capitalista dello spazio. Rappresenta la scelta di unacerta materializzazione del possibile ad esclusione di altre.Come l'estetica, di cui sta seguendo il movimento di de-composizione, può venir considerato un ramo abbastan-za trascurato della criminologia". Nello stesso articolo si leg-ge: "Se i nazisti avessero conosciuto gli urbanisti di oggi,avrebbero trasformato i campi di concentramento in casepopolari".

Capitalismo estetico - Sempre ne La città viventeFrank Lloyd Wright osservava: "Guardare lo spaccato del-la pianta di una qualunque grande città è come guardarela sezione di un tumore fibroso". Metafora o realtà, oggi lecittà sono presagi di morte.

"Città morte", infatti, le chiama Mike Davis. Ma sonoanche città-museo secondo Augé, di cui le mega-architet-ture (alla Calatrava o alla Jean Nouvel, per fare solo due no-mi) ne sono l'escrescenza quantitativa. Queste architettu-re-giocattolo che invitano alla città-shopping, non sono piùla spiegazione della storia. Non rappresentano un popoloo una cultura. Sono la forma che assume il denaro nella suaveste globale. "...l'estetico e il ludico — notano G. Lipo-vetsky e J. Serroy - , il festivo e il consumo edonista sonodiventati i vettori di concatenamento di un nuovo quadrourbano".

L'estetica, qui, è soltanto un involucro, mero packaging.Tutte le città sono sottoposte a una radicale rivisitazione ur-banistica in funzione di architetture commerciali, dove l'im-presa del design svolge un ruolo decisivo, in quanto di-spositivo visivo che richiama, seduce, persuade. In un'in-tervista, il subcomandante Marcos osserva: "Al Capone ola mafia tradizionale sono buoni per i romanzi o per il ci-nema. I veri criminali di oggi portano la cravatta, si vestonoArmani e lavorano in uffici arredati da illustri designer inpalazzi firmati dai più grandi architetti".

La città si è trasformata in uno spazio dove il tempo bor-sistico ha preso in ostaggio il tempo collettivo, cioè socia-le. D'altra parte, dall'insicurezza del territorio all'insicurezzadella storia il passo è breve. Il rigurgito dei nazionalismi siorigina anche da queste incertezze. E l'instabilità, deriva-ta dal fatto di non appartenere e partecipare a nulla, è fun-zionale ad una logica del dominio. Se le città sono "opere",queste torri contrastano con il significato storico dellecittà. L'opera a qualsiasi livello è un valore d'uso, si scam-bia con la domanda e la fruizione partecipativa, mentre lesupertorri si scambiano con se stesse.

Ma, l'espressione "valori architettonici", prospettatida Wright implica anche quella dei valori estetici. Il "noi"da lui auspicato in questo caso è rivolto alla condivisionedi questi valori estetici. Valori sociali e valori estetici però,come s'è visto, spesso sono dissociati. Wright avanzò l'ideache la città di tutti i tempi sarà un giorno il volto di una so-

52

cietà "organica", integrata nelle funzioni, giusta nelle di-seguaglianze, creativa nelle soluzioni urbanistiche. La cittànella sua visione era un'opera d'arte sociale.

Tuttavia, l'ambiguità dell'espressione di Wright riflet-te l'ambiguità dell'architettura che esiste tra funzione so-ciale e artificio estetico. Paradossalmente, essa è esposta amostrare l'inconciliato tra società e architettura che, oggi,sempre più è a vantaggio di una città sottoposta al rullocompressore dell'economia. Infatti: il restyling di molte cittàdel mondo, l'estetizzazione di ampie zone urbane in fun-zione del turismo, storicamente connotate, si è trasformatoin un'introduzione persuasiva al consumo. A Baltimora, adesempio, notano Lipovetsky e Serroj, l'antico mercato delpesce è stato trasformato in "Part Discovery", un villaggiofumettistico sul modello di disneyland. Il marketing sen-soriale si è sostituito ai vissuti relazionali. Questi modellihanno assunto una natura virale in tutte le grandi città delmondo.

Al tempo collettivo delle città del passato, tempo in-clusivo che prolunga il passato nel presente, si è passati al-la temporaneità esclusiva dello shopping.

Città-feticcio, città-schermo, città-gadget - il progettodi una città-mercato integrata, video sorvegliata, esterna-lizzata nelle sue funzioni lavorative, rimodellata nella pub-blicità, che trasforma le prospettive storiche in a-prospet-tici campi visivi costantemente mutanti, è la cornice all'in-terno della quale il capitalismo estetico colonizza l'imma-ginario della città e le pratiche di attraversamento di essa.Queste città, come centrifughe psichiche, stanno trasfor-mando i propri abitanti in esistenze senza fissa memoria,dove l'astrazione della potenza economica formalizza il vuo-to che divide gli individui (robotizzati, nevrotizzati, deu-manizzati). La metropoli è cosi una promessa di rovina, pro-duzione a catena di infelicità, generatrice di depressione,accumulo di insoddisfazione. La metropoli che adotta ilmodello neoliberista offshore, non ha tempo per il comune,conosce solo il profitto, che non è una categoria dello spi-rito, ma un fatto privato. È la forma globale dell'ansia e del-la rapina, come sono ben illustrati nel recente film di KenLoach Sorry WeMissed You, che involontariamente riassumebene il libro di Anselm Jappe Credito a morte.È lo spirito del tempo. La città come macchina mito-

logica assume il volto uniforme dell'immagine pubblicitaria.Per conoscere meglio questa metamorfosi delle metropo-li, Mike Davis auspica una "scienza delle rovine". Il museoa venire è la città come tumore fibroso, con tutti i suoi abi-tanti. Oggi, di cosa si parla quando si parla di architettu-ra e di urbanistica?

Gioielleria di famiglia - Ora, l'assalto al cielo come ma-nifestazione del potere (già le piramidi e gli obelischi te-stimoniavano di questa prossimità alle potenze sopranna-

Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile.

120634

Trimestrale

Page 8: LE TORRI DI BABELE - Meltemi Editore...LE TORRI DI BABELE Nel cielo delle metropoli contemporanee svettano torri scenografiche indifferenti al mondo circostante Marcello Faletra L

8 / 8

Data

Pagina

Foglio

03-202046/53PPOM€TEO

turali), è una sfida inumana, al di là di ogni relazione. Se-guendo alla lettera il verdetto di Wright, queste torri nonhanno alcun valore. Attraverso le loro forme più o menosinoidali o a punta di lancia, cilindriche o a-formi, che sfi-dano le leggi prospettiche, danno a vedere un'altezza nonpiù reale, misurabile, o relazionale al resto delle città, maaspirano a essere sublimi alla lettera. Per usare l'espressio-ne di Kant sono esperibili in quanto magnitudo, o comecolpo d'occhio, cioè come effetto speciale. Infatti, nella lo-ro imponente scenografia urbana, recitano la parte dellagioielleria di una minoranza esclusiva. La loro luminescenzarichiama le preziose cristallerie delle case principesche, do-ve al capriccio del disegno architettonico corrispondequello del magnate insaziabile e vanitoso.

Oggetti di una scenografia fantascientifica, sono purematerializzazioni di una virtualità che fa a meno dell'altro— l'abitante delle città. "C'è qualcosa di vero — osserva Ri-chard Sennett — nell'affermazione che i valori dei costrut-tori e quelli del pubblico non sono sullo stesso piano".

La loro superba dimensione connota una funzioneagonistica: sconfiggono tecnicamente i problemi postidalla verticalità. In altre parole, sono una forma di dis-suasione alla città come partecipazione attiva, la quale è im-prigionata sempre più negli ipermercati, autentici matta-toi del consumo.

Le alte guglie gotiche erano giustificate dal soprasensibilereligioso, ma coesistevano con il lungo processo di af-francamento di manodopera contadina da cui traevano van-taggio; le torri rinascimentali rappresentavano l'estender-si della borghesia con la creazione di centri di vita sociale(le corporazioni) che accumulavano conoscenze e ric-chezze; la prima grande torre della modernità — la torre Eif-fel — era lo specchio del mito della rivoluzione industria-le. Le costruzioni in ferro rappresentavano la meccanica del-le costruzioni, la dinamica dei trasporti, lo sviluppo dell'in-dustria. Ma dopo la meccanica, la dinamica e lo sviluppo,già condizioni acquisite e tecnicamente superate dal mo-vimento moderno, le torri che svettano così alte come undito puntato verso il cielo, quale società rappresentano?(Nessuna illusione di una età dell'oro delle città. E suffi-ciente rileggere la diagnosi di Londra fatta da Engels nel suoLa situazione della classe operaia in Inghilterra del 1845, so-prattutto il capitolo dal titolo "Le grandi città", per avereuna genealogia dei profili dell'inferno metropolitano).

Queste ipertorri, invece, si vezzeggiano nella certezzadella loro inutilità sociale. La loro attualità, che sfoggia pre-potentemente un'isteria di autoreferenzialità, li colloca inun mondo già superato perché mai vissuto come fatto so-ciale: danno a vedere il narcisismo senza limiti di una éli-te. Incarnano la forma ultima della manifestazione globa-le del potere in termini di oggetti singolari.

Passandovi sotto, all'istante della percezione diretta

delle superfici e dei volumi, si ha la sensazione che sfuggonoal tempo giornaliero, si sottraggono all'esperienza quoti-diana: non saranno mai vicini.

La fuga accelerata tende a sostituire l'atto della perce-zione della presenza reale con quella spettacolare. Svettandocome puri oggetti, suggeriscono un'accelerazione pro-spettica che eccede qualsiasi misura.

Tutto ciò fa pensare al racconto biblico della torre di Ba-bele con la conseguente confusione delle lingue per via díun gesto arrogante: "supponendo di poter raggiungere il cie-lo — si chiedeva in proposito Roger Caillois — non è dettoche si raggiunga Dio".

Marcello Faletra

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICIFrançois Choay, La città, utopie e realtà, Einaudi, Torino 1973.

Roland Barthes, "Semiologia e urbanistica", in L'avventuraseniiologia, Einaudi,Torino 1991. Walter Benjamin, Parigi capitale del XIX secolo, Einaudi, Torino1986.

J. Baudrillard e J. Nouvel, Les object singulier, Calman Lévi, Paris 2000.

Jean Baudrillard, Niente, al di là della barra, in Cyberzone, n° 22, 2010.

Mike Davis, Città morte, Feltrinelli, Milano 2004.

David Harvey, Città ribelli, il Saggiatore, Milano 2013.

Rem Koolhaas, Delirius New York, Electa, Milano 2017.

Re-learningfrom Las Vegas, Interwiew with D. Scott Brown & R. Venturi, a cu-

ra di H. U. Obrist, in Content, Taschen, 2004, pp. 150-157.

Serge Latouche, La fine del sogno occidentale, Eléuthera, Milano 2002.

Serge Latouche, Marcello Faletra, Hyperpolis, Architettura e capitale, Meltemi, Mi-

lano 2019.

Jacques Lacan, "Lo stadio dello specchio", in Scritti, vol. 1, Einaudi, Torino 1974.

Henri Lefebre, Il diritto alla città, Ombre Corte, 2014.

Le Corbusier, Maniera di pensare l'urbanistica, Laterza, Bari 1997.

G. Lipovetsky e J. Serroy, L'esthétisation du monde, Gallimard, Paris 2013.

Lewis Mumford, La città nella storia, Bompiani, Milano 1997.

Gio Ponti, Amate l'architettura, Società Editrice Vitali e Ghianda, Genova

1957.

Richard Sennett, Costruire e abitare, Feltrinelli, Milano 2918.

Cari Schmitt, "Appropriazione/divisione/produzione" in Le categorie del pnlirr-

co, il Mulino, Bologna 1972.

Deyan Sudjic, Architettura e potere, Laterza, Bari 2012.

Manfredo Tafuri, Progetto e utopia, Laterza, Bari 1973.

Eugenio Turri, Il paesaggio e il silenzio, Marsilio, Venezia 2004.

Raoul Vaneigem, "Commenti contro l'urbanistica", in Internazionale situazio-

nista, n° 6, agosto 1961.

Robert Venturi, Complessità e contraddizione in architettura, Dedalo, Bari 2018.

R. Venturi, D. S. Brown, S. Izenour, Imparare da Las Vegas, Quodlibet, Mace-

rata 2010.

Bruno Zevi, Il linguaggio moderno dell'architettura, Einaudi, Torino 1973.

Slavoj Zizek, La visione di parallasse, il Melangolo, Genova 2013.

Slavoj Zizek, 'Ia parallasse architettonica", in Vivere alla fine dei tempi. Ponte al-

le Grazie, Firenze 2011.

Frank L. Wright, La città vivente, Einaudi, Torino 2013.

53Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile.

120634

Trimestrale