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Brucerà nella luce

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Michela Bagini, urban fantasy. "Brucerà nella luce" è un romanzo urban fantasy ambientato nella fittizia Ragoon Island, isola al largo della costa del Maine. Tess, Robyn e Ruth sono tre amiche, legate da un filo indissolubile che rende il loro rapporto unico: sono tre streghe. L'incontro con il fantasma di un'adolescente e la sua richiesta d'aiuto condurrà le loro vite in una spirale di magia, potere e rivelazioni sconcertanti. Tess, Robyn e Ruth saranno costrette ad affrontare un'oscura minaccia, imparando che la magia che scorre nelle loro vene non è nulla senza coraggio, lealtà e forza.

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Page 1: Brucerà nella luce
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In uscita il 25/6/2014 (16,00 euro)

Versione ebook in uscita tra fine luglio e inizio agosto 2014 (6,99 euro)

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MICHELA BAGINI

BRUCERÀ NELLA LUCE

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BRUCERÀ NELLA LUCE Copyright © 2014 Zerounoundici Edizioni

ISBN: 978-88-6307-732-2 In copertina: Immagine Shutterstock.com

Prima edizione Giugno 2014 Stampato da

Logo srl Borgoricco – Padova

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Alla mia famiglia.

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1. Prologo «Sei sicura di non volere compagnia?» chiese una ragazza dalla pelle d’ebano mentre sistemava un fermaglio celeste tra la folta chioma corvina e riccia davanti allo specchio della camera da letto. La superficie cristallina rifletteva la sua intera figura. Ruth si analizzò attentamente, accertandosi che il fermaglio appena acquistato le donasse realmente. Esso costituiva un punto luce elegante e sobrio che spiccava sulla criniera nera che le incorniciava il volto, arrivandole sopra le spalle. Inoltre il colore dell’oggetto riprendeva la sfumatura dei suoi occhi: due gemme turchesi, insolite per una ragazza con l’incarnato come il suo, ma la madre di Ruth Marlowe era francese e la figlia ne aveva ereditato lo sguardo e il naso sottile. Il volto di Ruth era asciutto, privo di trucco, a palesare il suo stile semplice e sportivo. Il suo corpo minuto infatti indossava una semplice maglietta dorata e dei jeans chiari che aderivano alla sua figura tonica allenata dagli anni di pallavolo. Nonostante non fosse molto alta, Ruth si era rivelata un’ottima atleta, perfettamente indicata per quello sport e per il ruolo che da diversi anni occupava: alzatrice. In risposta alla sua domanda, una testa castana sbucò da dietro all’anta di legno di un armadio a muro. «Sicurissima, sarà questione di pochi minuti» disse tornando a concentrarsi sul guardaroba. Una terza ragazza sdraiata prona su un letto singolo guardò le due amiche. «Il problema non è il tempo, ma la compagnia, Tess» replicò alla seconda che sorrise dolcemente. «Non dovete preoccuparvi per me. Dopotutto vado solo a prendere un li-bro.» Tess scelse infine una maglietta bianca raffigurante un volto femminile stilizzato ricoperto da scritte nere. La indossò sopra l’intimo color malva e i jeans scuri. Calzò le sue scarpe da ginnastica preferite: bianche con i lacci e l’interno rosa e annuì soddisfatta del risultato. Sebbene l’abbigliamento fosse assolutamente sportivo, acquistava in eleganza una volta vestito da Tess.

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La giovane era alta e longilinea. Il suo corpo flessuoso aveva solleticato diversi scout che giravano per il campus universitario alla ricerca di modelle part-time. Tess tuttavia non era mai stata interessata alle sfilate così, sebbene il suo volto proporzionato avrebbe potuto reggere qualsiasi primo piano, non si era mai lasciata convincere dalle lusinghe e aveva rifiutato qualunque offerta, concentrandosi solo sui suoi studi. La ragazza spostò delicatamente l’amica dallo specchio per riflettervisi un’ultima volta. I suoi occhi verdi indugiarono sulla sua bocca carnosa, appena evidenziata da un lucidalabbra perlato. «Scusami Ruth» disse in risposta alle lamentele dell’altra che nel frattempo si era seduta sul letto della terza. «Bene, io vado» concluse Tess riponendo il cellulare all’interno della borsa bianca. Ruth aprì la bocca per rispondere qualcosa, ma venne interrotta. «Se sei in pericolo…» «Userò il nostro codice, lo so, Robyn» concluse Tess sorridendo e chiudendosi la porta della camera alle spalle. Ruth e Robyn si guardarono negli occhi prima di tornare alle loro occupazioni: la prima davanti allo specchio e la seconda sul suo libro. Tess, Ruth e Robyn erano iscritte all’università di Ragoon Island, nel Maine, e sebbene frequentassero facoltà differenti erano divenute amiche inseparabili da quando, qualche anno prima, il fato aveva fatto sì che condividessero il medesimo alloggio. Vivendo insieme le giovani avevano inoltre scoperto di essere legate da un filo sovrannaturale e segreto: avevano scoperto di appartenere alla stessa razza. Tutte e tre erano streghe.

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2. Il grimorio oscuro Tess raggiunse il parcheggio del campus e salì sulla sua utilitaria blu. Immediatamente accese il navigatore satellitare, inserendo poi l’indirizzo della sua meta. La giovane sorrise al solo pensiero di cosa l’avesse condotta sino a quel punto. Una settimana prima, per tre volte consecutive, le sue notti erano state animate dal medesimo sogno nel quale ricorreva la copertina di un libro. Essa era verde bottiglia, scura e apparentemente ruvida, come se fosse fatta di stoffa. Non vi erano né disegni né incisioni, solo il titolo ricamato a lettere d’oro con un carattere corsivo, elegante e ricco di arzigogoli. Tess l’aveva cercato in varie librerie e biblioteche, ma non era mai riuscita a trovarlo. Aveva scoperto solo che era un romanzo che parlava di stregoneria, ora fuori catalogo. Le sembrava così assurdo; aveva scoperto di essere una strega il giorno del suo nono compleanno e certamente non aveva bisogno di un libro per saperne di più sulla sua natura, ma il sogno ricorrente era un segno che una creatura come lei non poteva ignorare. Dopo diverse ricerche su internet aveva finalmente trovato qualcuno che vendeva il romanzo e che abitava sul continente, a Monila, cittadina portuale sita innanzi a Ragoon Island. La giovane aveva quindi accettato di incontrare di persona il venditore per acquistare il libro. Robyn e Ruth erano invece più sospettose e non avrebbero voluto lasciar andare l’amica da sola a casa di uno sconosciuto, anche se alla fine erano state costrette a cedere al potere di persuasione di Tess. Ella immaginava che le sue amiche sarebbero state in pensiero per lei, ma il suo istinto le aveva imposto di essere da sola, e Tess credeva ciecamente nel suo istinto. Vi riponeva anche maggiore fiducia rispetto al fato. Senza difficoltà raggiunse la sua destinazione: una bianca villetta disposta su due piani e abbracciata da un giardino lasciato incolto. Tess abbandonò la sua utilitaria sul vialetto di accesso e si avvicinò alla veranda.

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Prima ancora che potesse bussare venne accolta da una risata piena anticipante un ragazzo gigantesco che aveva aperto la porta per uscire. Era un vero armadio, alto e muscoloso. La maglietta da football che indossava suggerì a Tess il perché di tutti quei muscoli: probabilmente era un atleta. La divisa mostrava i colori della squadra della sua università e Tess si scoprì rasserenata dal pensiero che il suo venditore fosse comunque coinvolto nel suo ambiente. Il blu navy e l’oro brillante donavano al ragazzo, alla sua pelle abbronzata dalle ore trascorse all’aperto e al suo volto solare. Sul suo viso allungato, dalla forma lievemente cavallina, campeggiavano un naso dritto, un classico profilo greco, e una bocca tirata in un sorriso accogliente, circondata da un sottile pizzetto nero. Tale espressione solare era estesa anche ai suoi occhi d’ossidiana che brillavano allegramente sotto le sopracciglia folte. Spessi ricci neri gli cascavano sulla fronte costringendo il giovane a ricacciarli indietro con una mano. «Andrew?» domandò la ragazza. Il giovane aggrottò le sopracciglia nere scuotendo il capo in segno di diniego. «Mio fratello è in soggiorno» rispose indicando con un’immensa mano la sua destra. Tess sorrise ed egli si spostò di lato per permetterle di entrare in casa, dopodiché corse in giardino. La villa sprofondò nel più completo silenzio; la giovane udiva solo l’eco dei suoi passi sul marmo. Lentamente attraversò il piccolo corridoio e raggiunse il soggiorno. Era a pianta rettangolare, con pavimento di marmo grigio e pareti bianche con zoccolino di legno scuro. Due grandi porte-finestra erano rivolte sulla veranda e rendevano la stanza calda e luminosa. L’arredo era semplice, i mobili antichi erano una scelta bizzarra pensando al giovane che abitava la villa. Tra le due finestre si trovava l’unico segno di modernità della stanza: un grande televisore al plasma, scuro, corredato da una vasta e aggiornata gamma di lettori e console. A pochi metri dal televisore erano disposti a semicerchio un divano e due poltrone rivestiti con tessuti color panna. Sulla destra campeggiava una libreria in legno di rovere ricolma di libri, inframezzati da coppe dorate e medaglie luccicanti. Sulla sinistra invece, un grosso tavolo, semplice, senza intagli, era occupato da un uomo chino su diversi documenti sparpagliati disordinatamente.

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Tess non ne comprendeva la ragione, ma cominciava ad avvertire una certa agitazione impadronirsi del suo stomaco. Quando però scorse il volto del venditore, si rasserenò e le sue preoccupazioni svanirono con la stessa velocità con la quale si erano manifestate. Andrew era intento a studiare da vicino una pergamena che sembrava piuttosto antica, o almeno così pareva a Tess a causa dei bordi ingialliti e incartapecoriti. La giovane non voleva distrarre Andrew dal suo lavoro, ma questo si interruppe improvvisamente, come se si fosse accorto della sua presenza. Egli alzò il capo e sorrise cordialmente a Tess che fu certa di non aver mai visto un volto più luminoso di quello del suo venditore. Appariva limpido, un’espressione aperta e sincera traspariva dai suoi occhi azzurri e brillanti. Il sorriso era circondato da un lieve accenno di barba bionda, come biondi erano i suoi capelli lunghi fino le orecchie. «Tess Hastings, immagino» affermò con voce sicura e allegra. La giovane annuì, ancora incantata da quel volto, come se fosse un meraviglioso sole. Si chiese come fosse possibile che Andrew fosse fratello del moro che le aveva aperto la porta, ma non essendo studentessa di genetica, decise di non soffermarcisi troppo. «E tu sei Andrew Harding» rispose con la stessa sicurezza. Il ragazzo annuì e prese un libro posato al centro della scrivania. Lo adagiò sulle gambe e si allontanò dal tavolo. Tess notò che non si era alzato dalla sedia e presto ne scoprì la ragione. Andrew le si avvicinò su una carrozzina a rotelle. Istintivamente gli occhi verdi della ragazza si posarono su quelle gambe immobili, come se un semplice sguardo avrebbe potuto rispondere alla domanda che subito era stata posta dalla sua mente. Andrew intercettò l’occhiata di Tess, ma non disse nulla, attese semplicemente che lo sgomento per l’improvviso apprendimento della sua condizione cessasse. Tess si rese immediatamente conto della mancanza di sensibilità che aveva mostrato, così guardò il giovane negli occhi. Avrebbe voluto scusarsi per la sua reazione, ma lo sguardo di Andrew le aveva fatto capire che non c’era bisogno di altre parole. Fu lui a interrompere quegli attimi di silenzio, avvicinando il libro alle sue mani. «Il grimorio oscuro di Felicity Forrester, esatto?» domandò anche se sapeva perfettamente che era quello il volume che Tess cercava. Ella lo prese avvertendo una piccola scossa elettrica attraversarle la mano, disperdendosi sul braccio.

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Lo sfogliò rapidamente venendo invasa dal profumo della carta invecchiata mista all’inchiostro quasi sbiadito. «È lui?» la incalzò Andrew. Tess si riebbe dalle sue sensazioni e annuì sorridendo. «È lui» ripeté. Dal primo momento in cui aveva toccato quella copertina aveva avuto la netta sensazione che quel libro dovesse assolutamente appartenerle. «Quanto ti devo?» chiese. «Quattro dollari» rispose Andrew con noncuranza chinando momentaneamente il capo. «Solo?» domandò Tess stupita «sembra un’edizione piuttosto datata, sicuramente ti apparterrà da diversi anni…» Andrew scosse il capo, guardando Tess con i suoi occhi azzurri divenuti improvvisamente freddi. «Quattro dollari, le mie motivazioni non sono incluse nella trattativa.» Quel tono così improvvisamente asciutto colpì la giovane che indietreggiò di un passo deglutendo a fatica. «Va… va bene, scusami» mormorò pescando dalla borsa il portafoglio. Andrew ricevette i soldi in silenzio, infine tornò alla sua pergamena salutan-do Tess con tono distaccato, completamente differente dal modo in cui l’aveva accolta. La giovane uscì in giardino, incamminandosi verso l’auto. Il suo battito era stranamente accelerato. Improvvisamente scoprì al suo fianco il fratello di Andrew. Era giunto così di soppiatto che Tess nemmeno se n’era accorta. Le porse la mano. «Non mi sono presentato prima: sono Grant.» Tess ricambiò il saluto mentre cercava freneticamente le chiavi dell’auto all’interno della borsa. Quella situazione stava cominciando a non piacerle affatto. Sembrava che le chiavi si fossero volatilizzate; la giovane aveva frugato ovunque senza avvertire la loro freddezza sotto i polpastrelli. Finalmente percepì il portachiavi a forma di quadrifoglio e trionfante poté aprire la sua utilitaria. «È stato un piacere conoscerti, Tess» la salutò Grant con una mano aperta. La giovane accennò un sorriso e si immise nella strada. In coda sul ponte che collegava Monila a Ragoon Island finalmente Tess poté tirare un sospiro di sollievo. Posò i gomiti sul volante e si osservò le mani tremanti. Chiudendo gli occhi scosse il capo con aria amareggiata.

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“Sei una stupida” si rimproverò “ti spaventi per nulla.” Non c’era motivo di preoccuparsi, non era accaduto nulla di male. Lanciò un’occhiata verso il libro sul sedile accanto, ma la ripresa della mar-cia le impedì di sfogliarlo nuovamente.

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3. Sally, torna da noi Robyn aveva appena terminato di seguire una lezione, ma gli scarabocchi sul suo quaderno rosa mostravano quanto fosse stato basso il suo livello di attenzione. Pensava a Tess, l’amica che il giorno prima era tornata in camera con una strana espressione sul volto e una particolare luce negli occhi. Tess aveva mostrato trionfante il libro alle due coinquiline, ma aveva evitato di proferire parola sul venditore. Le amiche sapevano solo che non c’era niente di speciale da dire, citando le parole di Tess, quindi avevano compreso che la verità fosse l’esatto contra-rio. Rispettando però la volontà della giovane, Robyn e Ruth avevano finto di crederle decidendo di aspettare che Tess si sentisse pronta a parlarne. Conoscendola, Robyn sapeva che presto avrebbe condiviso ogni dettaglio. Ciò che comunque la rassicurava era che il venditore non aveva tramutato in realtà le sue preoccupazioni e ora era ridotto solamente a un nome legato a un ricordo passato. Robyn si fermò a un piccolo bar nascosto sotto un portico, stretto tra l’immensa libreria universitaria e un’ex agenzia di viaggi appena trasferitasi in centro, lasciando quindi il locale vuoto. Appena la cameriera dai lunghi capelli rossi raccolti in due trecce scorse la giovane varcare la soglia le sorrise, regalandole l’espressione allegra che solo un cliente fedele merita. «Il solito?» domandò cinguettando allegramente. Robyn non poté restare immune a quella ventata di allegria e sorrise di ri-mando venendo abbracciata dall’energia vitale della donna. «Per tre» precisò. Spesso la ragazza distribuiva bevande calde alle sue coinquiline, special-mente il giovedì quando le lezioni terminavano alle quattro di pomeriggio. Dopo aver strisciato la tessera fornita dall’università per i pagamenti negli esercizi dell’ateneo, Robyn raggiunse i dormitori. La porta della sua stanza, la centoventiquattro, era tappezzata da post-it re-canti frasi d’amore e numeri di telefono, tutti indirizzati a Tess. Era ritenuta la più bella del campus e non solo per il suo fisico seducente e il suo sguardo attraente. C’era qualcosa nei suoi modi che conquistava i ragazzi.

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Li ipnotizzava ed essi erano in balia della giovane, ansiosi di ricevere un suo sguardo. Tess scherzava sul suo ascendente sul genere maschile, imputandolo alla sua natura di strega. «Noi streghe siamo avvolte da un’aura particolare che affascina gli uomini» ripeteva sempre stringendosi nelle spalle, ma il suo sorriso era di quelli che sfoggiavano le persone che sapevano di essere belle e da quella consapevo-lezza avevano estratto un’enorme quantità di sicurezza interiore. Non c’era una situazione nella quale Tess si sentisse a disagio, mai che cre-desse di essere fuori posto o dicesse qualcosa di sbagliato. Se invece, per uno strano caso, quest’ultima eventualità si realizzava, le ba-stava sorridere per scusarsi e ottenere un pieno e immediato perdono. Robyn era immensamente affezionata a Tess perché nonostante i suoi innu-merevoli pregi e le sue qualità, riusciva a farla sentire speciale e mai in di-fetto. Tess aveva il meraviglioso dono di fare sentire uniche le sue amiche, senza mai peccare di presunzione. A unirle poi c’era la magia che scorreva nelle loro vene, che attraversava la loro pelle. Quel legame unico e speciale le rendeva sorelle, indivisibili. Con un sorriso Robyn si ricordò di quando si erano rivelate la loro natura. Era la loro prima settimana come matricole e si erano appena divise la ca-mera quando Ruth aveva preso dalla borsa tre grosse candele bianche. La ragazza sbadatamente si era dimenticata della presenza di Tess e Robyn, così, senza pensarci, stava per iniziare un incantesimo di buon auspicio per il college. Robyn rammentava ancora quanto in fretta il suo cuore avesse cominciato a pulsare alla vista di quelle candele. Il loro profumo era inconfondibile. «Posso aiutarti?» le aveva domandato, facendo sobbalzare Ruth che in quel momento si era resa conto di non essere da sola. Tess invece, nella sua semplicità, aveva ripreso Ruth facendole notare che si trovava a ovest e non a est, dove l’incantesimo sarebbe stato più efficace. Per un istante le tre ragazze si erano guardate negli occhi, riconoscendo nel-le iridi la scintilla di forza conferita dal potere. Da allora non si erano più separate, confidandosi ogni cosa, ogni dettaglio sulle loro vite. Quando Robyn entrò in camera trovò Ruth e Tess sdraiate l’una accanto all’altra sul ventre sul letto della prima, intente a leggere il libro acquistato il giorno prima a Monila. «È così interessante?» chiese Robyn posando il vassoio con le bevande cal-de sulla sua scrivania accanto al portatile bianco.

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Ruth annuì. «È come se l’autrice ci conoscesse profondamente» mormorò assorta. «Sarà una strega» rispose Robyn alzando le spalle e bevendo un sorso del suo tè alla pesca. «Stata. Sarà stata una strega; è morta diversi anni fa» precisò Tess scenden-do dal letto e annusando i bicchieri di carta sulla scrivania. «Ah, questo è il mio!» esclamò entusiasta indovinando il suo cappuccino con doppia schiuma e polvere di cacao. «Mi passi il mio?» chiese Ruth girando nel frattempo pagina. Le sue dita sfiorarono una busta bianca, il cui colore contrastava con le pa-gine invecchiate dal tempo. «Chi è Sally Harding?» domandò leggendo il nome del destinatario. Tess sfilò la lettera dalle mani d’ebano dell’amica, lasciandole in cambio il suo caffè nero. «Harding è il cognome di Andrew» sussurrò con tono riflessivo. Le sue mani percorsero i lati della busta, scoprendone uno aperto. Tess alzò gli occhi verdi, incontrando lo sguardo delle due amiche; sapeva che stavano condividendo i medesimi pensieri. «Se è già aperta non è violazione della privacy» disse Robyn manifestando l’idea di tutte. Tess rigirò la lettera tra le mani un paio di volte, infine la aprì. «Risale a un anno fa» affermò scorgendo la data prima di cominciare a leg-gere ad alta voce. 25 aprile 2011 Sally, questa è l’ennesima lettera che ti scriviamo, le precedenti non hanno mai ottenuto una risposta. Non ti chiediamo di tornare a casa, ma vogliamo solamente dirti che puoi fidarti di noi. Grant e io non siamo i nostri genitori, noi non ti faremmo mai del male… «Fermati» la interruppe Robyn scuotendo il capo «non è il caso di andare oltre, è una cosa privata.» Tess appiattì le sopracciglia, umettandosi le labbra con disappunto. «Era nel libro che lui ha venduto, no? Perciò non gli interessa se qualcuno la legge o meno» replicò proseguendo la lettura. Non abbiamo più contatti con la nostra famiglia da quando te ne sei andata. Siamo al tuo fianco e lo saremo per sempre. Grant e Andrew «Gliela devi restituire» sentenziò Robyn.

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La sua personalità sensibile e riservata le aveva dipinto nella mente i colori del dolore e della sofferenza che trasudavano da quella lettera. Anche il suo potere di strega si era sviluppato in quella direzione, donandole la capacità di scorgere e avvertire il dolore delle persone, manifestato attra-verso sfumature colorate attorno a esse. Era forse grazie a esso che Robyn comprendeva perfettamente il valore della felicità ed era in grado di regalarla a chi le stava vicino. Nel frattempo Ruth aveva avviato il suo portatile arancione e, una volta col-legatasi alla rete WI-FI del campus, aveva digitato su un motore di ricerca il nome della destinataria della lettera. «Non c’era il francobollo sulla busta, perciò non è stata spedita» ragionò scorrendo i risultati, finché non trovò ciò che le interessava. Era un articolo pubblicato sul giornale di Monila. Grave incidente stradale avvenuto sul ponte per Ragoon Island nella notte tra il 10 e l’11 novembre 2011. Un’automobile ha subito un urto tale che la carrozzeria è divenuta una la-miera accartocciata. Il guidatore, Andrew Harding, è ricoverato in ospedale in gravi condizioni, mentre il passeggero, la sorella Sally, è deceduto sul colpo. Il suo corpo è stato recuperato dalla squadra dei sommozzatori della polizia locale. Le cause dell’incidente restano ancora sconosciute. Lesse l’articolo tormentandosi una collana recante un ciondolo a forma di libro regalatole anni prima dalla madre. Tess si lasciò cadere su una sedia mentre Robyn scosse il capo. «Dobbiamo restituirgliela» ripeté. Tess si mordicchiò il labbro inferiore mentre ricordava ogni dettaglio della prima volta che aveva incontrato Andrew. «Il libro era di sua sorella» mormorò quasi tra sé «ecco perché ha avuto quella reazione.» Robyn e Ruth guardarono l’amica, sperando che finalmente fosse giunto il momento in cui si sarebbe confidata, raccontando cosa era successo. Tess ricambiò lo sguardo e sospirando riferì del suo pomeriggio. Appena ebbe terminato, Robyn infilò la lettera nella busta e questa nella sua borsa a bauletto nera. «Vado a restituirgliela» concluse. «Ho un incontro con il professor Jackson tra mezz’ora, ma se mi aspetti ver-rò con te» rispose Tess dando una rapida occhiata all’orologio a muro appe-so sopra la parete color pesca. Robyn posò gli occhi sulla lettera.

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Nella sua mente echeggiò il suono stridulo di pneumatici caldi sull’asfalto e il boato di un terribile impatto. Vedeva solo un incendio e udiva piangere, un pianto misto a grida di fru-strazione. Gli occhi della ragazza si colmarono di lacrime che non le rigarono le guan-ce. «Non posso aspettare; andrò da sola» affermò risoluta.

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4. Come il cielo e le colline Robyn bussò delicatamente alla porta della villetta di Grant e Andrew. Poco dopo essa venne aperta dal fratello maggiore, il venditore. Appena egli scorse Robyn e il suo volto così stranamente familiare, si diste-se in un sorriso. Innanzi a lui era apparsa una ragazza elegante nei tratti e nei modi. La sua figura alta ed esile veniva messa in risalto dall’abito che indossava: color salvia, il corpetto aveva uno scollo rettangolare, sobrio, senza eccessi, mentre le maniche che terminavano ai gomiti erano in pizzo e lasciavano intravedere la pelle delle braccia, madreperlacea. La gonna era ampia, a pieghe e a ogni passo produceva un fruscio sensuale. Ai piedi portava dei sandali di tessuto, con delle applicazioni di strass sulla parte del collo, il tacco alto invece incrementava la statura della giovane. Sembrava che provenisse dagli anni Trenta, tutto in lei ricordava il garbo di quel periodo. Ciò che maggiormente colpì Andrew fu il suo viso. Era sottile e appariva di porcellana. L’incarnato era evidenziato maggiormente da una lunga cascata di capelli neri, lievemente mossi. Gli occhi da pantera della giovane, verdi e brillanti, erano fissi su di lui e Andrew ne rimase per un istante incantato. Si obbligò a riaversi da quel sogno e a tornare padrone di sé, a non indugiare su quella bocca di ciliegia. «Posso fare qualcosa per te?» domandò allegramente. Robyn lo guardò negli occhi e in quell’esatto istante si convinse che non vi fosse colore più bello del suo tono d’azzurro. Era così acceso, così vivace, sembrava colmo di vita ed energia. Tess gliene aveva parlato, ma Robyn si disse che l’amica non aveva alcun talento per le descrizioni. «Sono Robyn, un’amica di Tess Hastings. Nel libro che le hai venduto ab-biamo trovato questa lettera e… pensiamo che sia tua» rispose. Non voleva dire che l’aveva letta, la sua curiosità la metteva terribilmente in imbarazzo. Le parole contenute in quella busta erano così intrise di sofferenza che Robyn si sentiva come se si fosse intromessa nella vita privata di Andrew senza averne il permesso.

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Si era comportata come un’invadente, si sentiva tale; quello sguardo che il giovane le stava regalando non meritava la sua scorrettezza. L’onestà imponeva a Robyn di confessare la sua colpa, ma Andrew Harding le sembrava un’anima così pura che non voleva ferirla. Egli prese la busta e la posò su un tavolino alla sua sinistra. «Grazie» mormorò. I suoi occhi vennero velati dalla malinconia. Erano passati quattro mesi, ma era evidente che il tempo non aveva rimargi-nato la ferita che squarciava l’anima di Andrew. Quell’anima celeste, quel colore che istintivamente faceva sorridere Robyn, che la faceva sentire serena, trascolorava nel rosso acceso man mano che il bagliore si avvicinava al corpo di Andrew. «Mi dispiace, l’ho letta per scoprire a chi appartenesse» disse Robyn d’un tratto, mutando completamente la propria decisione. Doveva dirglielo, lo sentiva. Andrew la guardò negli occhi. Celeste e verde si fusero insieme, come il cielo e le colline irlandesi dove era cresciuta la strega. «Lo immaginavo» commentò Andrew. Improvvisamente accennò un sorriso, come se un nuovo pensiero avesse spazzato via le sensazioni tristi. «Vuoi un caffè?» Robyn indugiò sulla porta un istante, ma quel sorriso invitante e ipnotico la stava attirando a sé. «Non bevo caffè, ma un bicchiere di aranciata andrà più che bene» rispose. Andrew annuì soddisfatto e indietreggiò con la sedia a rotelle per permettere a Robyn di entrare in casa. I due si diressero in cucina e la giovane, dopo aver preso da bere, si sedette su uno sgabello posto accanto all’isola di cotto al centro della stanza. «Studi anche tu a Ragoon?» domandò Andrew. Robyn annuì abbracciando con le dita il bicchiere di vetro. «Filosofia» rispose «conosci il campus?» Andrew allargò il sorriso chinando momentaneamente il capo, ricordando i suoi anni all’università. «Mi sono specializzato in Archeologia tre anni fa» spiegò. Robyn accennò una lieve risata che giunse alle orecchie di Andrew come un meraviglioso canto di vita. «Tess studia Storia e vorrebbe diventare archeologa.» Andrew sorrise nuovamente, annuendo. «Ti ringrazio per avermi restituito la lettera» commentò. Non sapeva perché avesse deciso di tornare sull’argomento, ma sentiva che doveva aggiungere qualcosa, spiegare a Robyn.

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«Sally era mia sorella. Lei era davvero… speciale, ma i nostri genitori non riuscivano a comprenderla. Grant e io abbiamo cercato di fare da interme-diari, con scarsi risultati.» Un lampo malinconico attraversò nuovamente i suoi occhi. Robyn provò l’impulso di stringergli una mano, ma qualcosa la tratteneva. Non era spontanea come Tess, lei aveva paura di risultare invadente, così limitò la sua solidarietà alle parole. «Non sei obbligato a parlarmene.» Andrew scosse il capo. «Forse invece sì» replicò «non riuscii mai a spedire quella lettera perché il giorno dopo averla scritta Sally si presentò a casa nostra, qui a Monila. «Questa era la villa di nostro nonno. Grant e io ci siamo trasferiti qui dopo l’ennesimo litigio di nostra sorella con nostra madre, conclusosi come sem-pre con la fuga di Sally. Quando venne a trovarci era incinta, ma non sapeva chi fosse il padre. Partorì il 4 novembre e diede il bambino in affidamento, nonostante io mi fossi offerto di aiutarla economicamente e non solo. «Lei però sembrava spaventata, ma non dalla maternità. La notte dell’incidente mi aveva chiesto di accompagnarla a Ragoon, voleva andare in spiaggia, vedere la luna piena a mezzanotte…» La voce di Andrew si ruppe ed egli tacque. Non era più nella sua cucina, era tornato a quattro mesi prima, in autostrada con Sally. «Le cause dell’incidente non sono mai state scoperte. Dalla perizia risulta un urto con un tir o un veicolo simile, ma oltre alla mia auto non c’era altro.» Robyn guardò le bollicine all’interno del suo bicchiere risalire fino a rag-giungere la superficie e scoppiare silenziosamente. «Tu cosa ricordi?» gli domandò. Andrew aggrottò le sopracciglia nello sforzo di rammentare. «Stavamo cantando Bohemian Rhapsody dei Queen… poi ho visto un’intensa luce bianca, ho sentito il suono della sirena dell’ambulanza e mi sono risvegliato in ospedale.» Robyn guardò Andrew negli occhi, cercando di lottare contro quella corren-te che la invitava a perdersi in essi. «Grazie per avermi raccontato di Sally.» L’uomo sorrise velocemente, come a voler rifiutare il ringraziamento. «È la prima volta che ne parlo senza sentirmi in colpa. Forse tu eri la perso-na giusta che doveva sentire la storia.» Robyn indietreggiò con il busto, osservando imbarazzata l’aranciata ormai a metà del bicchiere. «Be’, dicono che a volte confidarsi con degli sconosciuti faccia bene. Co-munque, per quello che vale, non è stata colpa tua. Talvolta le cose accado-no, ma noi non siamo in grado di comprenderne la ragione, anche se esiste.»

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Andrew posò le mani sulle ginocchia ormai insensibili e scosse il capo. «Lo penso anche io. Che ci sia una ragione dietro a tutto questo, altrimenti non mi spiego perché sia morta una sedicenne.» In quell’istante la porta d’ingresso venne aperta con energia e la voce allegra e tonante di Grant ruppe il silenzio magico che si era creato tra Andrew e Robyn. «Ehi Drew, non ho trovato i cereali a forma di orsetto, ma ti rendi conto? Ero convinto di mangiarli solo io in questa città, invece… ah.» Grant interruppe la frase e si arrestò sulla soglia della cucina appena scorse Robyn. «Ovviamente scherzavo» precisò sistemando imbarazzato tre immensi sac-chetti di carta contenente la spesa sul ripiano in granito «io non mangio i cereali a forma di orsetto.» Robyn nascose un sorriso divertito chinando il capo e intercettò uno sguardo altrettanto ironico lanciatole da Andrew. «Ovviamente» ripeté la ragazza. Grant emise un sospiro di sollievo presentandosi, aggiungendo poi di essere il fratello-matricola di Andrew. «Anche tu universitario?» chiese Robyn «cosa studi?» Grant passò una manona tra i folti capelli neri indugiando qualche secondo prima di rispondere. «In realtà ho una borsa di studio per il football. Gioco a football» aggiunse, precisando. «Già, la facoltà scelta non è rilevante» si intromise Andrew. «Non ne capisco nulla di quello sport» ammise Robyn, leggendo la delusio-ne negli occhi di Grant. «Sono irlandese, conosco solo l’hurling» asserì ironica. Il giovane si risollevò sorridendo. «Allora non tutto è perduto! Domenica giochiamo, vieni a vederci e Drew ti spiegherà tutto. Al termine della partita sarai una vera esperta!» Robyn guardò Andrew che annuì come a voler sottolineare l’invito. «Va bene» cedette «ma non mi dipingerò la faccia con i colori del campus.» Robyn stava percorrendo l’autostrada che l’avrebbe condotta all’accesso al ponte per tornare su Ragoon Island. Era ferma in coda al casello, nonostante fossero le otto di sera e il traffico dei lavoratori di ritorno dall’ufficio ormai scemato. La giovane aveva ancora un sorriso naturale sulle labbra, nato dalla cono-scenza di Andrew e rafforzato da quella di Grant. Guardò fuori dal finestrino, come faceva sempre quando non guidava. Alla sua sinistra, posati a terra c’erano dei fiori, orchidee rosa, e una fotografia.

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Ritraeva una ragazzina dal viso vivace con gli stessi occhi celesti di Andrew e il naso dal profilo greco di Grant. «Sally» mormorò. Le sue braccia vennero percorse da brividi e il suo collo, nonostante i lunghi capelli neri sciolti, colpito da uno spiffero d’aria gelida. Il colpo di clacson dell’autista alle sue spalle riscosse la giovane dai suoi pensieri. Si accorse che la coda era ripartita, così, alzando una mano per scusarsi, ri-prese la marcia.

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5. Damigella d’onore Quando Robyn tornò ai dormitori, era convinta che avrebbe trovato la stanza vuota e un bigliettino attaccato sul grande specchio da sartoria di Tess che indicava che le due coinquiline erano andate a cena, ma così non fu. Ruth e Tess erano assieme e uno strano silenzio le avvolgeva. «Cos’è successo?» domandò Robyn, avvertendo immediatamente la tensio-ne colpirla come se si fosse scontrata con un muro di mattoni. Tess guardò l’amica rispondendole con tono piatto. «Helena si sposa.» Robyn aggrottò le sopracciglia e prese il foglio che Tess le stava porgendo. Era una lettera che aveva ricevuto quella sera. Informava Tess del matrimonio di Helena Hastings e Aleksander Doherty e del desiderio della prima che la studentessa le facesse da damigella d’onore. «Niente meno» commentò Tess non appena si rese conto che Robyn aveva finito di leggere. Tess era cresciuta senza madre. La donna che l’aveva messa al mondo era scomparsa poco dopo aver parto-rito e John, il marito, non aveva mai approfondito l’argomento. Tre anni prima John Hastings aveva sposato Helena, ma il matrimonio era durato solamente due anni poiché nell’estate del 2011 un terribile incidente con lo yacht privò Tess di suo padre. Helena aveva ereditato ogni cosa, persino villa Hastings che da generazioni veniva lasciata ai figli. A Tess era rimasto un sostanzioso fondo fiduciario amministrato con mae-stria, ma alla ragazza non erano mai interessati i soldi. Aveva provato più volte a ricomprarsi quella che era casa sua, che l’aveva vista crescere, ma Helena era stata irremovibile. Quella donna era l’unica in grado di mettere a disagio Tess. La giovane sperava di non avere più nulla a che fare con lei, oltre alle ricor-renze organizzate dalla compagnia fondata da John, ma sbagliava. Le veniva richiesto di partecipare al matrimonio della matrigna. Tess non faceva a meno di pensare che in qualche modo quell’Aleksander avrebbe sostituito suo padre, quanto meno nella vita alla villa. Ruth posò una mano sulla spalla di Tess, accarezzandola. «Il matrimonio ricade durante le vacanze, se non te la senti possiamo partire e dirle che avevi già preso un impegno con noi» propose.

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Tess accennò un sorriso amaro. «Non credo che questo fermerebbe Helena. No, ci andrò. Dopotutto è solo un matrimonio.» «Se vuoi ti accompagniamo» aggiunse Robyn. Tess scosse il capo. «Grazie, ma andrò da sola; non voglio rovinare anche le vostre vacanze. E poi Ruth deve andare al mare con Patrick e tu torni in Irlanda… è il momen-to migliore per una nuova storia, non mi perdonerei mai se per me rinuncias-si a innamorarti» concluse ritrovando il buonumore. La sua anima divenne nuovamente rosa, spensierata. Robyn accennò un sorriso pensando istintivamente ad Andrew, ma non disse nulla. «Dai, andiamo a mangiare» concluse Ruth alzandosi in piedi. In mensa le tre ragazze vennero raggiunte da Patrick Bourne, il ragazzo di Ruth. I due si erano conosciuti otto anni prima e da allora non si erano mai separa-ti, scegliendo la medesima università così da potersi incrociare per i corri-doi. Mentre Ruth studiava Lettere, Patrick aveva scelto Ingegneria Meccanica. Il ragazzo stampò un bacio sulla guancia di Ruth e si sedette alla sua destra, sorridendo a Tess e Robyn. Era alto quanto Ruth, quindi più basso di Tess, e molto muscoloso. Amava andare in giro sulla moto di grossa cilindrata di suo padre e per que-sto aveva sviluppato una certa forza. Patrick aveva sempre il sorriso sulle labbra e il suo volto sincero era incor-niciato da una folta criniera di ricci leonini. Ruth notò che tra le mani dalla pelle eburnea di Patrick non c’era alcun vas-soio. «Hai già mangiato?» gli chiese. Egli annuì posando una guancia sulla mano chiusa a pugno, con il gomito posato sul tavolo. «Ero in laboratorio e ho mangiato un panino al volo… tra poco devo tornare al mio progetto.» Ruth sorrise orgogliosa. Amava la passione che Patrick metteva in tutto ciò che faceva, soprattutto nei suoi studi di Ingegneria. Robyn e Tess si guardarono negli occhi intuendo i pensieri dell’amica e sor-risero. Ruth comunque offrì a Patrick i suoi maccheroni al formaggio ed egli non se lo fece ripetere due volte, terminando la parte lasciatagli dalla ragazza.

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«Come siete carini insieme» commentò divertita Tess osservando la coppia dividersi la pasta. «Falla finita» commentò Patrick ridendo mentre Ruth passava all’attacco lanciando contro l’amica delle molliche di pane. Gli occhi verdi di Tess vennero attraversati da piccole saette bianche e il pane deviò la sua corsa, finendo sulle braccia di Robyn. «Tess!» sbottò Ruth sporgendosi verso di lei «potevano vederti» sibilò a denti stretti. Tess rise gettando il capo all’indietro. I suoi lunghi capelli ramati le sfiorarono le reni. «Non c’è nessuno!» si lamentò guardando poi Robyn in cerca di sostegno, ma l’amica scosse il capo. «Ruth ha ragione, potevano vederti. Magari l’inserviente che sta per venire a pulire i tavoli vuoti.» La strega sospirò infilandosi in bocca una forchettata di insalata. Poco dopo si udì il rumore metallico del carrello per le pulizie condotto dall’inserviente della mensa. Egli lanciò una rapida occhiata al suo orologio e guardò il tavolo occupato dalle ragazze e da Patrick. «Avete studiato fino a tardi?» domandò. «Sì» rispose Patrick «siamo riusciti a prendere qualcosa prima che la cucina chiudesse.» L’uomo annuì posando le mani grassocce sulla divisa turchese. «Lascio il vostro tavolo per ultimo» comunicò iniziando a pulire. «Grazie» rispose Robyn raccogliendo le briciole di pane e gettandole sul piatto ormai vuoto che poi ripose sul ripiano apposito. «Comunque non ha visto nulla» commentò a bassa voce Tess ripetendo le azioni di Robyn. Patrick abbracciò Ruth e salutò le ragazze, correndo verso il laboratorio do-ve lo attendeva un progetto che gli avrebbe fatto ottenere dei crediti extra. «Secondo me, se avrete un figlio, si scoprirà un nuovo picco per quanto ri-guarda il quoziente intellettivo» disse Robyn sorridendo. I passi delle tre ragazze echeggiavano sulle piastrelle di cotto che tagliavano il giardino a metà, collegando la mensa ai dormitori femminili. Ruth rise prendendo a braccetto le ragazze. «Per adesso stiamo bene in due» rispose. «Per adesso» ripeté Tess «perché ho sempre voluto diventare zia. Sarò quel-la eccentrica che vizia la nipotina, mentre Robyn sarà quella che le insegne-rà tutto sulla magia.» «Quindi sei sicura che sarà una femmina?» la incalzò Ruth, sorridendo al solo pensiero di quell’ipotesi.

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«Naturalmente! Tutte le nostre madri sono streghe e hanno avuto delle femmine. Sarà così anche per te! E ti conviene dare a tua figlia un bel nome, non di quelli da cheerleader tipo Mary-Anne, Ashley o Amber.» Robyn diede in una leggera risata, rinnegando quei nomi, seguita da Ruth. «Sarà un nome della tradizione africana, come mio padre e i genitori di Pa-trick.» «Ma con un pizzico di francese, così non scontentiamo nemmeno tua ma-dre» concluse Robyn, terminando la frase dell’amica che annuì. «Mia figlia si chiamerà Cassandra» affermò Tess con risolutezza. «Non è un nome che rimanda ricordi allegri» obiettò Ruth. «Era una strega, sapete? Probabilmente una delle prime, secondo Jackson.» Robyn sorrise udendo il nome del preside della facoltà di Storia, nonché professore preferito di Tess. «Dite che ha le prove dell’esistenza della stregoneria?» domandò. Tess si strinse nelle spalle. «Non lo so, ma sicuramente ha una mente davvero aperta. Non dà niente per scontato ed è molto creativo.» «Esistono uomini in grado di praticare la stregoneria?» chiese improvvisa-mente Ruth. «Pochi» rispose Robyn, la più esperta delle tre «davvero pochi e nessuno di quelli conosciuti ha mai fatto qualcosa di buono con la magia.» Le tre amiche tacquero, ognuna immersa nei propri pensieri, finché raggiun-sero la loro camera. «Quindi Jackson non è uno stregone. Non sarebbe capace di far del male a una mosca… forse a una zanzara sì, ma a nessun altro. È solo un genio.»

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6. Assistente Il professor Frank Jackson sorrise sfogliando i saggi appena raccolti dalla sua classe. Il suo corso era solo per persone speciali, studenti che dimostravano di sape-re ammirare la vita da un’altra prospettiva, che sapevano vedere lo straordi-nario nell’ordinario. Per quella ragione ogni anno vantava sempre meno iscritti, ma il numero ristretto non lo aveva mai messo a disagio, tutt’altro. Era fiero dei suoi pochi eletti, era un estimatore del conosciuto modo di dire: meglio pochi ma buoni. Tutti i suoi studenti avevano infatti un libretto scolastico ineccepibile ed erano espressamente richiesti dai musei più importanti del mondo. Jackson sapeva di dover mantenere uno standard alto ed era fiero dei suoi alunni, che per lui assomigliavano più che altro a discepoli che bramavano le sue parole. In tanti anni di carriera, quasi venticinque, non aveva mai incontrato nessu-no come Tess Hastings. Ora se ne stava seduta al suo posto in prima fila, praticamente sua dirimpet-taia, e sfogliava un quaderno di appunti in attesa che cominciasse la lezione. Sembrava una normalissima studentessa, forse più bella della media, ma nulla del suo modo di fare lasciava trapelare anche solo una minima parte del suo spirito. Jackson si era accorto della sua straordinarietà appena corretto il suo primo saggio sull’influenza della superstizione nell’Alto Medioevo europeo. Le parole della Hastings fremevano, ardevano sulla carta, condannando le paure e la superstizione. Non erano affermazioni di una giovane donna indignata per ciò che il suo genere aveva subito, era qualcosa di più. C’era un maggiore coinvolgimento. Tess era appassionata e seguiva ogni sua lezione con attenzione e scrupolo. Da diverso tempo il professore la stava tenendo d’occhio ed era sempre più convinto che presto le avrebbe offerto un posto da assistente. Non poteva permettere che il talento della giovane venisse sprecato, che terminato il suo corso qualche altro professore la convertisse alla causa dello storico noioso che si attiene solamente a ciò che gli fa comodo, ignorando qualsiasi altra cosa.

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«La storia è sempre stata studiata da un certo tipo di persone che hanno sal-vato solo ciò che interessava loro. Chissà cosa è andato perduto nel corso dei secoli… quanto sapere sprecato solo perché si ha avuto paura di dire la veri-tà.» Quelle parole erano state dette da Tess durante una delle sue lezioni-dibattito, quando lanciava un argomento e si divertiva ad ascoltare le rispo-ste dei suoi studenti. Quello che aveva detto Tess lo aveva profondamente colpito perché rispec-chiava perfettamente il suo pensiero. «Signorina Hastings, posso parlarle?» domandò attendendo che Tess gli si avvicinasse. «Quando ha intenzione di dare il mio esame?» le chiese direttamente. La ragazza guardò il professore negli occhi, per nulla intimidita, ma mante-nendo un’espressione rispettosa. Il professor Jackson era un uomo sulla cinquantina, alquanto attraente. Era piuttosto basso, con un incarnato chiaro evidenziato da corti capelli neri uniti a barba e baffi. I suoi occhi scuri erano vispi e attenti, riflettevano l’intelligenza e l’arguzia della sua anima. Tess era convinta che non avrebbe mai incontrato un docente migliore di lui. «Al primo appello» rispose onestamente. Non era tra quelle studentesse, come Ruth, che alla prima occasione soste-nevano l’esame, superandolo; ma in certi casi, come per la materia di Ja-ckson, Tess era sicura che sarebbe riuscita a ottenere un eccellente risultato al primo tentativo. L’uomo le sorrise, compiaciuto. «Ottimo. Veda di superarlo perché ho intenzione di fare di lei la mia nuova assistente e ne ho bisogno al più presto. La precedente è in maternità» con-cluse tra lo scandalizzato e il disgustato, come se fosse impossibile abban-donare quel lavoro, a causa di un bambino per di più! Tess avvertì le pulsazioni aumentare, così come il respiro. «Professore, io non so come ringraziarla.» Jackson la congedò con una mano. «Aspetti a farlo, la metterò sotto pressione» concluse con finto tono concita-to, anche se la giovane scorse l’ombra di un mezzo sorriso nascosto dai suoi baffi. Quella notizia così inaspettata, ma sognata, ebbe il potere di cancellare dalla mente di Tess il matrimonio di Helena, almeno per l’intera mattinata. A pranzo la giovane scorse un’insegnante in tailleur bianco e si ricordò dell’abito da sposa indossato da Helena tre anni prima. Sospirando accolse il ritorno delle nozze nella sua mente. Ruth intuì il corso dei pensieri dell’amica.

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«Non farlo» ordinò agitandole minacciosamente sotto il naso una molliccia fetta di pizza «non permetterle di rovinarti la festa.» Tess inspirò lentamente, dando ragione all’amica. Era da quando aveva seguito quel corso di orientamento all’università che desiderava entrare nel gruppo di eletti ammessi al corso di Jackson e infine riuscire a divenire sua assistente personale. Sapeva che con quell’esperienza riportata sul suo curriculum, chiunque a-vrebbe accettato di assumerla a braccia aperte. «Stasera festeggeremo» commentò Robyn, sperando di distrarre l’amica che immediatamente si distese in un sorriso. «Mi sembra il minimo» rispose allegramente. Era il lato positivo di Tess: niente poteva rattristarla troppo a lungo. Ruth ripose i suoi libri nella cassapanca di legno che le aveva regalato sua madre e guardò gli abiti scelti dalle due coinquiline. Tess indossava un tubino meraviglioso, senza spalline, così attillato che solo lei se lo sarebbe potuto permettere. Era arancione, un colore vivace che faceva risaltare la sua carnagione lieve-mente abbronzata dal primo sole primaverile. Ai piedi aveva dei tronchetti marroni, che richiamavano la collana e i brac-ciali etnici. Il suo volto era luminoso e sembrava brillare contornato dai lunghi capelli ramati lasciati sciolti e ribelli sulla schiena. Robyn invece aveva scelto un abitino rosso, con delle spalline triangolari in pizzo che costituivano quel dettaglio vintage che non poteva mancare nel suo abbigliamento. La gonnellina a pieghe era fresca e leggera e terminava sopra al ginocchio. Aveva preso in prestito da Tess delle meravigliose scarpe nere di vernice con un delizioso tacco a spillo. Per questa occasione Robyn aveva raccolto i capelli corvini in uno chignon, lasciando che fossero i suoi occhi di smeraldo a calamitare l’attenzione di chiunque la guardasse. Ruth, fedele al suo stile, aveva indossato un lungo poncho mono-spalla gial-lo pastello e degli shorts bianchi che evidenziavano la sua pelle eburnea e le gambe allenate dagli anni di pallavolo. Ruth non amava particolarmente sentirsi elegante, così non abbandonò le sue converse jeans, con disappunto di Tess che comunque non riuscì a farle cambiare idea. I ricci neri della ragazza erano indomiti e contrastavano con i suoi francesis-simi occhi azzurri, regalo della madre Danyelle. Le tre ragazze chiusero a chiave la porta della centoventiquattro e si diresse-ro verso l’utilitaria di Tess.

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«A Monila?» domandò mettendosi al volante. «A Monila!» ripeterono le altre due ridendo. Ragoon Island era una piccola isoletta a poca distanza dalla costa del Maine, nella contea di Hancock. Vi sorgeva una sola città, chiamata anch’essa Ragoon, abitata da poche cen-tinaia di anime. Il centro nevralgico era l’università e il piccolo mondo di studenti e profes-sori che vi ruotava attorno. Un ponte collegava l’isola al continente, separati da uno stretto braccio di mare. Monila era la città portuale che sorgeva di fronte a Ragoon Island, nella baia di Thomas. Il porto era piuttosto esteso, ma comunque non occupava l’intera costa citta-dina. Era più estesa di Ragoon e decisamente più fornita di divertimenti e svaghi. Monila era inoltre circondata da foreste verdi e lussureggianti. La metropoli più vicina era Bar Harbor, sita a venticinque chilometri da Monila. Robyn estrasse dalla sua borsa il CD che Ruth aveva masterizzato scarican-do da iTunes ventuno canzoni amate dalle amiche e lo inserì nel lettore all’interno dell’automobile. Highway to hell riempì l’utilitaria mentre le tre seguivano il cantante. Le ragazze avevano appena superato il ponte quando Tess inchiodò all’improvviso. Robyn, che era seduta di fianco, spense immediatamente la radio. «Avete visto?» domandò Tess stringendo convulsamente le dita attorno al volante. Ruth annuì e deglutì a vuoto un paio di volte prima di riuscire ad articolare una frase. «Sembrava una persona… ho visto una figura» mormorò. «Non ho investito nessuno… dannazione!» imprecò Tess slacciandosi la cintura di sicurezza e scendendo dall’automobile. Robyn si voltò verso destra e per la seconda volta in due giorni scorse la fotografia di Sally Harding. Sospirando si distese sullo schienale. «Tess, non troverai nessuno» disse amareggiata. L’amica si affacciò domandandole cosa volesse intendere. «Penso che lo spirito di Sally sia qui» rivelò Robyn guardandola negli occhi. «Spiegati meglio» disse Ruth mentre avvertiva l’agitazione attanagliarle lo stomaco. «Quando sono tornata da casa di Andrew, per caso mi sono fermata in que-sto esatto punto.»

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«Per caso?» ripeté Tess. Sapeva che per loro la casualità non esisteva, che era tutto guidato da una forza speciale. Robyn intercettò il suo sguardo, annuendo. «Ho avvertito una strana sensazione, ma pensavo che fosse solo per il coin-volgimento con Andrew…» In un’altra occasione le amiche avrebbero scherzato sulle parole di Robyn, ma non ora. «Sentite, ho appena saputo che sarò l’assistente di Jackson, non voglio senti-re altro. Adesso quindi andiamo a festeggiare, domani mattina avremo mal di testa e domani pomeriggio penseremo a questo fantasma» concluse risolu-ta Tess tornando in macchina e ripartendo verso Monila.

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7. 26 marzo 2012 Ruth sollevò le veneziane bianche di cui ogni finestra del dormitorio fem-minile dell’università di Ragoon Island era fornita e permise ai primi raggi del mattino di insinuarsi nella centoventiquattro. Tess, il cui letto era praticamente davanti alla finestra, strizzò gli occhi na-scondendo il volto sotto il cuscino. Robyn invece si mise immediatamente a sedere, massaggiandosi le palpebre con i polpastrelli. «Coraggio ragazze!» trillò allegramente Ruth «è sabato, non ci sono lezioni e noi abbiamo un argomento da affrontare.» Tess sbuffò rotolando sul ventre. «Rumore» biascicò a causa dei postumi della serata precedente. Robyn invece sbadigliò coprendosi la bocca con una mano e infilò le sue ciabatte verdi, con tanto di trifoglio ricamato sopra; un regalo divertente da parte di suo padre per ricordarle l’Irlanda. «Proprio perché è sabato e non c’è lezione potevamo dormire di più e af-frontare l’argomento più tardi» si lamentò, sapendo che Ruth non l’avrebbe mai ascoltata. La giovane non rimandava mai nulla e affrontava ogni situazione di petto, evitando quindi di procrastinarla. «Possiamo» la corresse Tess che non riusciva a riaddormentarsi «no, non possiamo» concluse mettendosi seduta quando Ruth la privò delle sue coper-te. Dopo aver consumato la colazione le tre amiche tornarono in camera, l’unico posto, a detta della prudenza di Ruth, dove potevano parlare di so-prannaturale senza correre il rischio di farsi sentire da altri. Tess e Ruth guardarono Robyn, attendendo che ella iniziasse a dire ciò che sapeva sui fantasmi. La strega, a differenza delle due amiche, aveva sempre saputo di possedere un dono; sin da piccola infatti era stata iniziata all’arte della stregoneria da sua madre Suzanne. Vantava una conoscenza nettamente superiore rispetto a quella di Tess, che studiava la magia da quando aveva nove anni, e a quella di Ruth che aveva scoperto di essere una strega a sedici. Robyn prese un respiro profondo mentre riordinava le idee e recuperava i ricordi delle lezioni di sua madre.

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«Quando l’anima abbandona il corpo, si trova momentaneamente sospesa tra due dimensioni, come qualcuno che si è appena tuffato; è ancora sulla terra, ma sa che non potrà invertire il salto e dovrà per forza immergersi in mare.» «Ma che bella metafora» commentò divertita Tess. Robyn le lanciò un’occhiata torva prima di riprendere il suo racconto. «L’anima quindi ha appena saltato. Sarà nel mondo dei vivi ancora per poco poiché presto attraverserà il Velo. Ci sono delle volte, però, in cui le anime restano attaccate a questa dimensione, come se dopo la rincorsa il nostro tuffatore si inchiodasse senza lanciarsi. L’altro mondo attenderà sempre l’anima perché essa gli appartiene, ma finché questa non comprende che il suo posto non è più qui, non raggiungerà mai la pace. Io credo che Sally avesse delle questioni in sospeso, per questo la sua anima non ha oltrepassa-to il Velo.» «E noi l’abbiamo intravista perché siamo streghe?» chiese Ruth. Robyn si massaggiò le ginocchia scuotendo il capo. «Sì e no. Le streghe percepiscono gli spiriti, li avvertono, ma non li vedono se questi non lo desiderano. Penso che Sally si sia voluta mostrare. Ha biso-gno di noi per qualcosa.» Ruth annuì, riflettendo su quelle parole, infine assottigliò gli occhi pensiero-sa. «Quindi Sally ha visto Tess o te da suo fratello… ha capito che siete stre-ghe? E vuole il vostro aiuto?» domandò. «Immagino di sì. È un fantasma ora, perciò, come noi percepiamo lei, lei percepisce noi. Inoltre gli spiriti restano attaccati alla propria famiglia che in genere è la motivazione per cui non oltrepassano il Velo.» Tess distolse lo sguardo da Robyn e lo puntò sul pavimento. Nervosamente le lunghe dita tamburellavano sul suo labbro inferiore mentre la sua mente stava rapidamente vagliando un’ipotesi appena sovvenuta. «Ragazze, io penso che Sally fosse una strega.» «Cosa?» chiese Ruth. Un’altra strega a Monila? Era convinta che oltre a Tess e a sua madre quella città non sapesse cosa fosse la magia. La giovane annuì. «Il libro» rammentò. «Non vuol dire niente; un’infinità di ragazze leggono libri sulle streghe. Se fosse stata una di noi, tu non l’avresti scoperta? Voglio dire: abitavi anche tu a Monila prima dell’università.» «Ma gli Harding non sono di Monila» obiettò Robyn «me l’ha rivelato An-drew. Quella villetta apparteneva a loro nonno e i due fratelli l’hanno abitata in seguito a dei dissensi con i loro genitori.» «Chiediamoglielo!» affermò improvvisamente Tess scattando in piedi, ma venne prontamente fermata dalle due amiche.

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Non poteva certo presentarsi a casa di Andrew e accusare sua sorella di es-sere una strega. L’avrebbe creduta una pazza, inoltre avrebbe accusato Robyn di aver rivela-to delle confidenze, anche se in realtà egli non le aveva richiesto riserbo sul-la questione. Robyn scosse il capo. «Ecco la mia proposta: questa sera torniamo in autostrada, dove l’abbiamo vista, e cerchiamo di incontrarla una seconda volta.» Le due amiche si mostrarono d’accordo. «E se non dovessimo scoprire nulla, domani alla partita di football chiederai ad Andrew qualcosa… non espressamente! Indaga con discrezione» conclu-se Tess. Tess sbadigliò, posando il gomito sulla portiera e la testa sul palmo aperto. Guardò Robyn leggere alla flebile luce del lampione Il grimorio oscuro comprato da Andrew. Grazie allo specchietto retrovisore la strega vide invece Ruth scrivere qual-cosa con enfasi sul suo quaderno dal quale non si separava mai. «Mi chiedo se prima o poi ci farai leggere le tue opere» mormorò stirac-chiandosi le braccia. «Solo quando le riterrò buone» rispose meccanicamente l’amica, abituata a rispondere ai commenti di Tess anche mentre era impegnata in altre azioni. «Cioè mai» concluse la giovane tornando a guardare la strada. Erano arrivate sul luogo dell’incidente, dove avevano scorto lo spirito di Sally Harding la sera precedente. Questa volta però tutto era calmo e l’atmosfera sembrava banalmente nor-male. «Mi chiedo perché io non debba staccare gli occhi dalla strada mentre voi potete fare altro.» «Perché sei stata tu a sognare il libro» rispose con naturalezza Robyn. Tess sospirò. L’amica aveva perfettamente ragione. Non sapendo come impiegare il tempo dell’attesa, cominciò ad accarezzare il volante della sua utilitaria, guardandola con affetto. Era stato un regalo di suo padre per l’ottenimento della patente. Ormai ce l’aveva da sette anni, ma per nulla al mondo avrebbe desiderato cambiarla. Ricordava ancora la prima volta che l’aveva vista: era uscita nel giardino di villa Hastings e l’aveva trovata parcheggiata sulla ghiaia con suo padre se-duto al lato del passeggero che le sorrideva invitante. Avevano girato tutta Monila e Tess aveva avvertito una fresca sensazione di indipendenza e orgoglio.

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Da quel giorno quel giro si era ripetuto spesso, talvolta cambiando itinerario e abbandonando Monila per raggiungere i paesi vicini. Un’intensa luce bianca distolse Tess dai suoi pensieri. «In ritardo, ma è arrivata» disse scendendo dalla macchina, seguita imme-diatamente dopo da Robyn e Ruth. Quest’ultima parlò a nome di tutte. «Sally?» domandò al bagliore che, tremolante, assunse una forma umana. Aveva le fattezze di un’adolescente e il suo volto somigliava a quello ritratto nella fotografia sul bordo della strada, solo appariva più affaticato, come sofferente. Sally annuì. «Hai bisogno di noi? Vuoi che ti aiutiamo?» chiese ancora Ruth. La sua voce era dolce, come se stesse parlando a una bambina, come se non la volesse spaventare e mandare via. Lo spirito alzò il capo e guardò negli occhi le tre ragazze, una a una. Robyn avvertì un leggero senso di nausea. Era abituata ad assorbire il dolore degli altri, avvertito grazie al suo dono, ma non aveva mai assistito a una sofferenza simile. Sally era uno spirito di luce, ma attorno a esso Robyn non vedeva alcuna luminosità, solo tenebre. Non aveva mai incontrato altri fantasmi, ma la completa oscurità che ab-bracciava Sally la spaventò. Era davvero così freddo, così buio il passaggio? O era solo lo stato d’animo di Sally a produrre quelle sensazioni? Robyn si disse che ne avrebbe parlato con sua madre appena fosse tornata in Irlanda per le vacanze di primavera. «Eri una strega anche tu, vero?» domandò Tess. La sua voce vibrava, non di paura, bensì di curiosità. Era sempre stata affascinata da quel mondo, se n’era sempre sentita attratta. Sally non rispose. Dava le spalle alle ragazze, ma il suo volto era girato verso sinistra, per scorgerle di sottecchi. Improvvisamente il fantasma sgranò gli occhi. Venne investita da una luce abbagliante e le tre streghe udirono una macchi-na frenare di colpo. In quel bagliore si distinsero nettamente dei numeri scritti con un dito sul vetro appannato del portafoto di Sally. 26 marzo 2012 Quando la strada tornò ad appartenere alla notte, lo spirito era scomparso.

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8. Biglietti gratis Tess, Robyn e Ruth avevano lasciato l’automobile accanto al memoriale di Sally Harding, allontanandosi di diversi metri. Sebbene l’incidente degli Harding fosse avvenuto sul ponte, a circa duecen-to metri dal casello, la fotografia di Sally era posata poco prima dell’accesso al ponte, come se esso fosse dedicato interamente a lei. Oltre alla fotografia che ritraeva un sorriso timido e spensierato, dei fiori venivano portati dagli amici della ragazzina: compagni di scuola, insegnanti, o solo madri commosse dalla sua dipartita prematura. La sua morte era divenuta un monito contro il dolore causato da una guida pericolosa. Ricordarla serviva più dei cartelli luminosi posti in autostrada che incitavano a guidare con prudenza. Le tre streghe raggiunsero il parapetto di ferro verniciato di nero e si appog-giarono, voltandosi verso l’Oceano che si apriva innanzi ai loro occhi. Il lento movimento delle onde che pacatamente si distendevano sopra la spiaggia divenuta biancastra sotto il chiarore della luna era ipnotico e rilas-sante. «Abbiamo appurato che quella data è stata vista da tutte e tre, perciò do-vrebbe coinvolgerci tutte» disse Ruth lasciando che il suo volto venisse ac-carezzato dalla brezza notturna. «Forse è la data della nostra morte: nei film dell’orrore succede sempre co-sì» rispose ironicamente Tess, facendo ridere le amiche. Quel genere cinematografico non sortiva sulle tre l’effetto sperato dai regi-sti. Raramente una sceneggiatura horror colpiva le studentesse, che ritenevano la maggior parte del repertorio prevedibile e scontato. Erano pochi i film che le sorprendevano e le costringevano a smettere di chiacchierare per seguire le vite dei protagonisti. Generalmente Tess tifava per i malvagi di turno, gli unici, a detta sua, che movimentavano la situazione, ma la sua attrazione per il lato oscuro si limi-tava alle pellicole e a qualche personaggio della letteratura. Robyn e Ruth invece speravano sempre che la vittima diventasse carnefice, magari mostrando un po’ di piacere nel restituire la sofferenza patita. Anche per loro, però, questi desideri si limitavano a film e libri.

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«Tornando serie» affermò Robyn ripensando al messaggio lasciato dallo spirito «cosa accadrà lunedì prossimo?» «Iniziano le vacanze di primavera» rispose Ruth. Ogni anno, per l’ultima settimana di marzo, l’università di Ragoon Island sospendeva le lezioni così da permettere agli studenti di portarsi avanti con lo studio o, come accadeva nella maggioranza dei casi, per distendersi da esso. «Dubito che Sally volesse avvisarci dell’inizio delle vacanze» mormorò Tess. Ruth sospirò, passandosi una mano tra i capelli corvini. «Secondo il necrologio trovato su internet, Sally è nata il 12 luglio ed è mor-ta il 10 novembre. Ha partorito il 4 novembre, perciò lunedì non ricorre al-cun anniversario che la riguarda.» «Allora è un appuntamento» concluse Robyn «ci vorrà incontrare. Comun-que domani quando vedrò Andrew proverò a citare la data, forse potrà dirci qualcosa.» Tess accennò un sorriso amaro alle parole dell’amica. «Mi dispiace, ma io non potrò venire lunedì. A quell’ora sarò già in compa-gnia di Helena e avrò avuto l’onore di incontrare il futuro marito.» Robyn annuì, rammentandosi del matrimonio. Sembrava che fosse sparito innanzi alla questione più enigmatica dello spiri-to di Sally Harding. «Io invece ho l’aereo domenica sera. Posso però chiamare i miei e dire loro che preferisco restare al campus.» «No, parti. Abbiamo bisogno delle risposte di tua madre e di certe cose è meglio parlare di persona. Patrick e io andremo al mare, ma partiremo mar-tedì mattina, perciò ci sarò io all’appuntamento.» Tess sorrise soddisfatta, ma Robyn manifestò le sue preoccupazioni. Non reputava saggio permettere all’amica di andare da sola dal fantasma. Oltretutto Ruth aveva minore esperienza nel campo della magia rispetto alle altre. «Prima di separarci pronunceremo un incantesimo di protezione, in questo modo la nostra energia aiuterà Ruth in caso di difficoltà e noi saremo avvi-sate se dovesse accadere qualcosa» suggerì Tess. Non pensava mai alle conseguenze negative, considerava solo quelle piace-voli e positive. La sua idea venne comunque approvata, anche se Robyn meditava ancora sull’opportunità di posticipare la partenza di almeno un giorno, così da esse-re presente. «Non è eccitante?» chiese all’improvviso Tess «questa cosa del fantasma finalmente ci dà la possibilità di sfruttare i nostri poteri. Dopotutto siamo streghe! Quattro secoli fa le nostre simili salvavano la vita alle persone!»

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«E finivano arse vive sul rogo dopo sevizie inimmaginabili» le rammentò Ruth. «Però ha ragione Tess» intervenne Robyn «mi sono sempre chiesta che cosa potesse fare una strega nel ventunesimo secolo.» «Vita di una strega nell’era postmoderna… mi piace come titolo! Ci scrive-rò un saggio per il professor Jackson» commentò Tess. Appena si ricordò del posto di assistente che la stava aspettando una volta superato l’esame, il suo volto si illuminò in un sorriso. Tutto stava tornando a essere perfetto… non fosse stato per il matrimonio di Helena che l’avrebbe costretta a varcare nuovamente il cancello in ferro bat-tuto di villa Hastings. Robyn legò i morbidi capelli in una comoda coda, fermandola con un nastro bianco. Tra pochi minuti avrebbe incontrato Andrew; entrambi avrebbero assistito alla partita di football tra la squadra dell’università di Ragoon Island e quella di una città vicina. Ruth invece avrebbe incontrato Patrick per trascorrere una giornata insieme, probabilmente alla ricerca di qualche prima edizione nei mercatini della zo-na. Tess era scappata in biblioteca, in tuta, con i capelli arruffati e le braccia cariche di libri e appunti. Jackson aveva dimostrato di riporre molta fiducia in lei e la ragazza deside-rava ripagarlo prendendo il massimo all’esame. Robyn era quindi sola all’interno della centoventiquattro. In silenzio svitò il lucidalabbra alla fragola, ma la sua mano restò sospesa davanti alla bocca, indecisa se terminare o meno il gesto. Mai prima d’ora si era chiesta se non fosse troppo per l’occasione. Non le era mai interessato cosa gli altri pensassero di lei, aveva sviluppato una sorta di armatura a proteggerla dalle maldicenze delle persone. In Irlanda la superstizione era ancora piuttosto viva tra la gente e la famiglia della madre di Robyn vantava una certa reputazione, la quale era stata im-mediatamente estesa alla figlia neonata. «Robyn Owens è una strega, proprio come sua madre» bisbigliavano le don-ne quando le incontravano per strada. La giovane aveva dovuto sbrigarsi a imparare a non lasciarsi distruggere da chi non meritava le sue lacrime. Perché doveva soffrire per degli sconosciuti che non capivano? Lei, che conosceva così bene il potere del dolore. Sorridendo guardò l’ora sul cellulare e uscì dal dormitorio diretta verso il campo da gioco. Vide subito Andrew accanto all’ingresso mentre la stava aspettando.

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Istintivamente la giovane sorrise e affrettò il passo per raggiungerlo. «La fortuna di avere un fratello giocatore che garantisce ottimi posti non dà soddisfazioni con partite del genere: non c’è praticamente nessuno» com-mentò Andrew dopo averla salutata. Robyn rise sinceramente. «Sono sicura che presto potrai vantarti dei tuoi biglietti gratuiti in occasione di partite più attese di questa.» Poco dopo la gara ebbe inizio. Robyn si rese subito conto di non capire cosa stessero facendo esattamente i giocatori. Pazientemente Andrew cominciò a spiegarle i fondamentali, ma appena Grant si mise in mostra per un’azione, la foga per la partita prese il soprav-vento sul desiderio di formare una nuova tifosa. Robyn quindi decise di seguire le azioni del suo ormai ex insegnante, troppo concentrato a tifare per concludere la lezione. «Tu e Grant partite per le vacanze di primavera?» chiese a un certo punto Robyn, rammentandosi della data apparsa la sera precedente. «No, Grant ha degli allenamenti e io un incarico da parte del museo di Mo-nila, perciò staremo a casa. Tu invece studi o ti rilassi?» Robyn guardò Andrew domandandosi come fosse possibile avere quello sguardo così puro e sereno dopo ciò che gli era accaduto. «Io torno in Irlanda, a Cork, dai miei» rispose. «Dovevo capirlo dal tuo accento» commentò egli «sono stato in Irlanda quattro anni fa, ma non ho visto Cork.» Robyn si strinse nelle spalle sorridendo. «È molto irlandese… molto verde» scherzò. Andrew rise accettando quelle parole come descrizione soddisfacente. «Per quale ragione hai abbandonato casa tua per studiare Filosofia qui? Non per sminuire l’università di Ragoon, si intende» chiese il giovane. Robyn sorrise ripensando a come aveva scoperto l’esistenza di quell’isola. Dopo essersi diplomata era andata in Cornovaglia con i suoi genitori; ogni mattina, da sola, passeggiava lungo la costa per ammirare l’alba. Un giorno aveva scorto un ragazzo seduto sulla “sua” panchina. I due avevano iniziato a parlare e così Robyn aveva scoperto che lui studia-va Architettura a Ragoon Island. Appena aveva udito quel nome la strega aveva capito che si sarebbe dovuta iscrivere lì. «Destino, io credo» rispose quindi ad Andrew, accantonando il ricordo di Gary e della Cornovaglia. «Allora devo ringraziare il fato per questa giornata» concluse Andrew.

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9. Ritorno a casa Gli ultimi giorni di lezione trascorsero rapidamente, come se professori e studenti fossero mossi dallo stesso desiderio di giungere al più presto a quel fine settimana. L’intero campus era animato da una strana elettricità, fremeva di vita. Ognuno sapeva già come avrebbe trascorso quei sette giorni di libertà che anticipavano la sessione d’esame primaverile. Robyn spuntò l’ultima voce sulla lista che aveva redatto, così da non dimen-ticare nulla prima di tornare in Irlanda. Tess invece guardava il suo piccolo trolley a occhi socchiusi e braccia incro-ciate. Non voleva riempirlo, non voleva riporlo in macchina e ancora meno voleva tornare a Monila. Tuttavia sapeva che suo padre non avrebbe gradito il suo atteggiamento, così di malavoglia scelse un paio di ricambi e li gettò nel suo bagaglio. A esso unì la trousse da viaggio e un paio di sandali eleganti che Helena avrebbe sicuramente approvato. Ruth invece aveva già pronta la sacca che avrebbe portato alla casa sul mare di Patrick. Erano anni che vi trascorrevano dei fine settimana e pian piano i suoi armadi avevano accolto anche degli oggetti della ragazza. Ruth e Tess accompagnarono Robyn fino al taxi che la stava attendendo innanzi al campus e che l’avrebbe portata all’aeroporto di Bar Harbor. Le tre amiche si abbracciarono, scambiandosi raccomandazioni di differente natura. Ruth consigliò di approfittare della quiete di casa per ripassare gli argomenti difficili, Tess invece suggerì all’amica di innamorarsi, di aprire il cuore per una romanticissima storia a distanza, ben sapendo che Robyn era quel tipo di ragazza che amava sognare l’Amore assoluto e incondizionato. In risposta la strega suggerì a Ruth di guardare l’alba, di ascoltare la musica del mare e di tenere chiusi i libri per ventiquattro ore intere. Il consiglio che rivolse a Tess era invece d’opposto senso. «Non esagerare con gli svaghi di Monila, ricordati del posto da assistente di Jackson.» Infine, all’unisono, le tre proferirono la medesima frase: «Per qualsiasi cosa, usate il codice.»

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Esso consisteva in un SMS il cui testo era un semplice cancelletto. L’asterisco era invece per le chiamate. L’idea era venuta a Robyn quando Tess, durante il loro primo anno, era tor-nata nella centoventiquattro tremendamente annoiata dopo un appuntamento con il ragazzo più egocentrico del campus. «Continuavo a sperare in una vostra telefonata così da riuscire a sganciarlo» aveva detto gettandosi sul letto, mentalmente spossata. «Con la scusa di controllare se ci fossero chiamate avresti potuto mandarci un messaggio d’aiuto» aveva risposto Ruth. «Sarebbe stato troppo lungo da scrivere. Un asterisco è più immediato e si può digitare anche senza guardare la tastiera.» Da quella proposta di Robyn era nato il loro codice, fortunatamente usato fino ad allora per terminare uscite pietose o per avere della compagnia nei tempi morti tra la consegna di un esame e l’ottenimento del voto. Robyn salì sul taxi, e salutando con la mano le amiche abbandonò il campus dell’università di Ragoon Island. Era da Natale che non vedeva i suoi genitori. Sapeva già che appena atterrata suo padre l’avrebbe sottratta all’abbraccio della madre per mostrarle orgoglioso le sue nuove opere. Geoffrey Owens era un pittore. Uno di quegli artisti che guardavano al futuro, ma che non dimenticavano il passato; nei suoi quadri il suo stile mostrava quanto fosse magico quel con-nubio. Dall’uomo Robyn aveva ereditato il suo lato romantico, mentre Suzanne, mercante d’arte, le aveva insegnato la determinazione, regalandole anche un carattere talvolta superbo. Robyn era figlia unica e i suoi genitori costituivano la sua unica famiglia. La strega non perdeva occasione per rivederli e riabbracciarli, anche se or-mai erano diversi anni che viveva in America. Si ricordava ancora quando era atterrata a Monila, con le sue valigie e i suoi libri. Spinta a quella scelta solo dal destino, senza nessuna certezza a eccezione della fiducia riposta nelle sue sensazioni. Aveva diciannove anni ed era una matricola senza idea di come andasse la vita negli atenei americani. Ora invece era al quarto anno di Filosofia e tra dodici mesi si sarebbe laureata. Robyn non sapeva cosa le avrebbe riservato il futuro una volta conquistato quel pezzo di carta, frutto di anni di sacrifici e di impegno, ma che comun-que non sarebbe mai riuscito a identificarla, a raccontare chi lei fosse in real-tà. La ragazza non sapeva nemmeno se rimanere negli Stati Uniti o se torna-re in Irlanda.

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Era certa che, qualunque fosse stata la sua scelta, avrebbe trascorso gran parte della sua vita su aerei come quello che stava per raggiungere. Per andare a trovare Tess e Ruth o per ritrovare la sua famiglia. Scrollando il capo Robyn cancellò quei pensieri; aveva ancora un anno per scegliere e la vita aveva tutto il tempo per farle capire quale sentiero avrebbe dovuto imboccare per raggiungere la felicità. «Sono ancora in tempo per disdire con Patrick» disse Ruth aiutando Tess a caricare il trolley a stampa jeans sul bagagliaio della sua utilitaria. «Non vorrei che poi il tuo ragazzo si vendicasse chiudendomi nei laboratori di Ingegneria… sa che mi inquietano parecchio. Sembrano i corridoi di un manicomio, con le rispettive celle.» Tess rabbrividì ironicamente, dopodiché abbracciò l’amica. «Non è necessario che mi accompagni» rispose ora sinceramente «posso sopravvivere a un matrimonio.» «Almeno non ci sarà l’addio al nubilato» commentò Ruth. Era convinta che la vedova, almeno per rispetto nei confronti di Tess che aveva scelto come sua damigella d’onore, avrebbe rinunciato al festino per celebrare la sua ultima notte da nubile. Tess le lanciò un’occhiata esasperata. «Conoscendo Helena, ci sarà eccome. Non sarà quel tipo di sposa da lasciare nelle mani della damigella d’onore il potere di gestire qualcosa. Non ti devi preoccupare, comunque, il peggio che potrà capitarmi sarà trovarmi circon-data da quarantenni in visibilio per un paio di pettorali invecchiati di venti anni.» Ruth sgranò gli occhi, aprendo la bocca. «Che perfida!» Tess si strinse nelle spalle con indifferenza, indossando gli occhiali da sole. Nonostante il matrimonio, aveva tutta l’intenzione di non sprecare quei sette giorni. Tess avrebbe guidato per un’ora, superando il ponte che collegava Ragoon Island alla terraferma e l’autostrada che l’avrebbe condotta a Monila. Sebbene raramente la ragazza facesse ritorno a casa, rammentava la strada come se l’avesse appena percorsa. Conosceva ogni negozio che avrebbe superato, ogni pianta che avrebbe get-tato ombra sull’asfalto. Mai nulla mutava a Monila, mai nulla di avventuroso o anche solo bizzarro vi accadeva. La vita trascorreva monotona e banale, animata dalla piatta routine quotidia-na. Sospirando Tess posò i gomiti sul volante e si passò le dita affusolate tra i capelli ramati.

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Avrebbe dovuto dar retta a Ruth e partire la domenica sera, come aveva fatto Robyn, e non il lunedì mattina. Era finita nelle sabbie mobili dell’esodo stagionale. Diversi clacson isterici a causa dell’imbottigliamento raggiunsero le orec-chie della strega, così ella decise di isolarsi all’interno della sua utilitaria alzando i finestrini. Nonostante il sole, una cappa di umidità anticipava il classico maltempo primaverile, ma Tess preferiva il sudore al mal di testa. Finalmente la marcia riprese e la strega lesse l’ormai arrugginito cartello che accoglieva i visitatori. Benvenuti a Monila Sapeva che non si sarebbe recata in città, come quasi sempre faceva, ma avrebbe raggiunto la zona residenziale. Venne animata da una frustrante sensazione di chiusura e di claustrofobia. Non c’era via di scampo e lo sapeva bene. Prendendo un respiro profondo accedette al suo quartiere. In fondo alla via si ergeva una collinetta sulla quale era edificata la villa di famiglia. Era un’abitazione coloniale, costruita proprio dai primi abitanti di Monila, degli Hastings. Tess varcò il cancello nero in ferro battuto, deglutendo a fatica. Udì il familiare suono della ghiaia schiacciata sotto il peso delle ruote e dell’inconfondibile latrato di Giasone, il suo cane. «Sono a casa» mormorò, senza essere in grado di definire con esattezza cosa provava. Villa Hastings era conosciuta in tutta la città. Gli Hastings infatti erano una delle famiglie fondatrici di Monila, giunti da Manchester con i primi coloni inglesi. Si erano distinti da subito per la loro generosità e per il loro carattere forte e coraggioso; la loro tempra dura li aveva resi sin da subito rispettati e il loro carisma aveva fatto sì che l’insediamento considerasse il loro parere fondamentale per prendere deci-sioni che avrebbero coinvolto la collettività. Per rimarcare quel ruolo rilevante, gli Hastings avevano edificato sul punto più elevato di Monila, così da dominare il villaggio. Da allora quella casa era stata tramandata di generazione in generazione sino a John Hastings, il cui testamento specificava che la villa sarebbe dovuta appartenere alla seconda moglie e non alla figlia. Nel corso dei secoli gli Hastings erano divenuti imprenditori in campo edile, tanto che la compagnia di John aveva interessi in quasi tutto il Paese. L’abitazione coloniale era stata ristrutturata con il passare degli anni senza tuttavia mutare mai la sua imponenza.

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Il cortile ghiaioso era ornato con una fontana circolare, al centro della quale grassocci putti fungevano da doccioni. La villa si sviluppava su tre piani, con cantina e dépendance. L’ingresso era ampio e spazioso, circolare. Vi troneggiava una maestosa scala di radica che conduceva al piano superiore, dove si trovavano le varie camere da letto. Il terzo e ultimo piano, un tempo riservato agli alloggi della servitù, ora fun-geva da soffitta e restava chiuso per quasi tutto l’anno. Tess, appassionata di storia, non poteva fare a meno di pensare a quante vite fossero trascorse tra quelle mura, non solo riferendosi ai suoi antenati, ma pensando al personale di servizio, agli ospiti. Robyn soleva ripetere che, probabilmente, era stata una sorta di Downton Abbey americana, con i suoi drammi e le sue gioie. Forse il suo commento non si discostava poi così tanto dalla realtà.

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10. Mamma Un batuffolo di ispido pelo marrone, setoso, con due occhi neri simili a bot-toni che campeggiavano su un musetto vispo trottò verso Tess che era appe-na scesa dalla macchina. «Giasone!» lo salutò la ragazza chinandosi su di lui. Il cagnolino cominciò a dimenare il posteriore, dotato di una minuscola co-dina tronca. Tess lo accarezzò sui fianchi, agitandolo e ricevendo in cambio energiche leccate festanti. Sebbene raramente ella tornasse a villa Hastings, Giasone le riserbava sem-pre la medesima accoglienza calorosa. Tess lo aveva visto crescere. L’aveva ricevuto in dono ormai dieci anni pri-ma, dal padre per Natale e, per quanto quell’età fosse piuttosto avanzata per un cane, mostrava sempre la stessa vitalità di quando era un cucciolo. Era stato salvato da un canile, dove era stato portato da un cameriere che l’aveva trovato nel cassettone della spazzatura sul retro di un ristorante. Non si sapeva con precisione a quale razza appartenesse, anche se Tess riteneva che nel suo codice genetico vi fosse qualche traccia di border terrier. «È un piacere rivederla, signorina» commentò con un sorriso un uomo dal volto segnato da rughe d’età. Era molto alto, impettito. La sua schiena dritta gli conferiva un’aria rigida, ma Tess sapeva che Ro-nald Moore, maggiordomo di villa Hastings, era una persona meravigliosa. Era a servizio della famiglia di Tess da cinquant’anni e, oltre alla professio-nalità che lo distingueva, si era unito l’affetto che nutriva nei confronti degli Hastings. Ronald aveva sempre avuto nei riguardi di Tess un atteggiamento paterno ed ella si sentiva sempre protetta in sua compagnia. Quando il maggiordomo aveva scoperto che la villa era stata assegnata ad Helena per disposizioni testamentarie, aveva provato l’impulso di lasciare il servizio, ma Tess era riuscita a persuaderlo a restare. Nessuno oltre a lui poteva occuparsi di villa Hastings; erano quasi come un’unica entità e la ragazza si sentiva più sicura sapendo che casa sua era ancora gestita da Moore, nonostante non appartenesse più agli Hastings. Ronald Moore raggiunse Tess, pronto a prendere i bagagli, ma la giovane lo fermò posandogli affettuosamente una mano sul braccio.

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«Anche per me è un piacere rivederti, Ronald. Non preoccuparti per il trolley, ci penso io.» «Le è mancata la villa?» domandò ancora l’uomo. Tess lo guardò negli occhi verde acqua immaginando solamente come si potesse sentire ora che avrebbe avuto un nuovo padrone. «Porto questa casa sempre con me» gli rispose volgendogli un sorriso ma-linconico, la stessa malinconia che animava lo sguardo del maggiordomo. Tess e Moore entrarono nella villa e la giovane venne accolta da un’infinità di ricordi, momenti collegati alla sua vita. Il profumo di vernice fresca le rammentava un’estate trascorsa a dipingere la dépendance in compagnia di suo padre. Sul tavolino d’ingresso troneggiava un immenso mazzo di rose rosse. Quella fragranza le riportò alla mente Helena e la serenità di poco prima venne infranta da quel pensiero. «Tesoro, bentornata a casa.» La voce di Helena sopraggiunse alle spalle di Tess la quale si voltò verso la matrigna sfoderando un sorriso di circostanza, espressione maturata dopo anni di esperienza. La donna era splendida come sempre. Indossava un costume da bagno a due pezzi, arancione vivace. Era talmente succinto e fradicio che aderiva perfettamente al suo corpo ab-bronzato. I capelli biondi erano attaccati al collo e alle spalle, segno che la donna era appena uscita dalla piscina e, ignorando vari asciugamani e parei, era corsa ad accogliere la ragazza. Sebbene Helena stesse sorridendo, i suoi glaciali occhi azzurri non trasmet-tevano allegria. «Grazie Helena» rispose Tess. Vedendola in quello stato non si stupiva affatto che suo padre l’avesse spo-sata tre anni prima. Oltre che bellissima, Helena era elegante, altera. «Non ci riesci proprio a chiamarmi mamma, vero?» replicò la donna spor-gendosi per piazzare due bagnati baci sulle guance di Tess che si limitò ad allargare il suo sorriso. «Ho guidato per quasi due ore… se non ti dispiace vado in camera mia a rinfrescarmi.» Helena la congedò e la seguì con lo sguardo fino a quando la giovane non fu salita al piano superiore. Una volta sola e chiusa la porta della stanza alle sue spalle, Tess sospirò. Camera sua era rimasta intatta, non era stata sconvolta dal desiderio della matrigna di rinnovare l’arredamento dopo la morte di John.

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La giovane si sedette sul ciglio del letto e si voltò a destra dove si trovava un comodino di ciliegio su cui era posata una cornice d’argento contenente una fotografia che la ritraeva in compagnia di suo padre. Tess la prese tra le mani e con l’indice percorse i tratti dell’uomo. «Quanto mi manchi» mormorò trattenendo le lacrime. Si era sempre mostrata forte e, grazie all’aiuto delle sue amiche, era riuscita a uscire dal baratro di terribile apatia nel quale era sprofondata l’anno prima, ma quelle rare volte in cui tornava a villa Hastings il dolore e la sofferenza uscivano prepotentemente dal vaso di Pandora nel quale li aveva rinchiusi. Tornare a casa sua e vederla abitata da Helena rattristava immensamente Tess, la quale non poteva fare a meno di pensare a suo padre. La ragazza si asciugò velocemente le lacrime quando udì qualcuno bussare alla porta. Era Ronald, mandato da Helena per rammentare alla figliastra che la cena, come sempre, si teneva alle sette precise. In quell’occasione avrebbe conosciuto Aleksander Doherty, il futuro sposo. Tess annuì e si chiuse in bagno con la scusa di rinfrescarsi mentre in realtà si costringeva a non pensare a suo padre e a comportarsi normalmente. Ruth infilò in borsa un paio di libri, controllò di avere le chiavi della moto di Patrick e infine uscì dalla centoventiquattro. Non sapeva quando il fantasma di Sally Harding si sarebbe manifestato, ma sicuramente sarebbe avvenuto dal tramonto in poi. La strega non aveva paura, non era intimorita. Desiderava solamente scoprire perché Sally avesse indicato quella data, or-mai una settimana prima, e cosa volesse da loro. Sperava solamente che il fatto di vedere lei sola, senza Tess e Robyn, non infastidisse lo spirito. Patrick non sapeva ancora nulla del fantasma; Ruth detestava avere dei se-greti con lui, ma credeva che Sally si sarebbe potuta inibire alla presenza di un mortale dal momento che lo studente di Ingegneria avrebbe sicuramente accompagnato Ruth all’appuntamento. Le era bastato chiedergli in prestito la moto, asserendo che le serviva per andare a Monila e Patrick, che riponeva la massima stima e la massima fidu-cia in lei, le aveva ceduto le chiavi senza opporsi. La giovane inizialmente temeva di guidare quel veicolo, ma con il passare dei mesi Patrick era riuscito a farle passare la paura e a insegnarle come an-dava portato. Ruth sorrise vedendosi in sella alla motocicletta, riflessa su una vetrina di un parrucchiere di Ragoon Island. Scherzando, pensò di essere un vero centauro, solo con più stile. Le strade erano pressoché deserte a causa delle vacanze.

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Ragoon era una piccola isola, il cui centro nevralgico era costituito dall’università. La maggior parte degli abitanti era quindi sotto i trent’anni, con una casa altrove. Era ovvio che durante le sospensioni delle lezioni l’isola si svuotasse in fa-vore di mete più ambite. Ruth spense il motore e usò il cavalletto per fermare la motocicletta. Non c’erano segni del passaggio dello spirito di Sally, ma la strega confida-va che si sarebbe manifestato al più presto. Nel frattempo pescò dalla sua borsa un libro di poesie che avrebbe dovuto analizzare al rientro dalla pausa primaverile. Dal momento che avrebbe trascorso diversi giorni in spiaggia con Patrick, voleva portarsi avanti con lo studio così da non impedirsi di rilassarsi. Sorridendo ripensò alle ultime raccomandazioni di Robyn; l’amica aveva ragione: non avrebbe dovuto dare più attenzione ai libri che a Patrick, anche se era certa che pure il ragazzo aveva già riposto in valigia dei progetti da studiare. Probabilmente entrambi avrebbero sfruttato la pace della casa al mare per prepararsi agli esami. Tess ripeteva sempre che erano anime gemelle e che nessun altro avrebbe potuto tollerare la loro puntigliosità e la loro pignoleria. Ruth aveva riflettuto spesso su quelle parole e alla fine si era scoperta d’accordo. Con nessun altro ragazzo avrebbe potuto trascorrere interi pomeriggi in bi-blioteca, l’uno accanto all’altra in silenzio e con le teste chine sui libri men-tre le loro mani si cercavano, sfiorandosi e intrecciandosi. Nessuno l’avrebbe capita come Patrick e nessun altro avrebbe accettato la sua magia, affascinato dall’energia del potere.

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11. Lui L’ora di cena giunse fin troppo in fretta per Tess. Ella si costrinse a sorridere mentre scendeva le grandi scale di legno della villa e raggiungeva il soggiorno. Con sua somma sorpresa la ragazza scoprì che Helena non era da sola; ma con lei non c’era Aleksander, bensì una donna. Era una vecchia amica di Helena, ma non aveva nemmeno la metà del suo fascino e della sua eleganza. Non sapeva cosa fossero la raffinatezza e il buon gusto dal momento che si ostinava a portare una folta frangetta che le nascondeva il volto e le gettava ancora più ombra su un viso totalmente privo di luminosità. Aveva un caschetto castano, occhi marroni evidenziati da un terribile trucco vinaccio che non si abbinava per nulla a un tailleur di due taglie più piccolo di quello che sarebbe dovuto essere, beige. Ai piedi la donna indossava delle terribili scarpe basse, a punta e dall’aspetto pericoloso. Se Tess fosse stata in compagnia di Robyn e Ruth avrebbe riso di quella donna e della sua inesistente capacità di vestirsi, ma quella sera non era dell’umore adatto. «Mio Dio, Tess, come sei cresciuta!» esclamò correndo incontro alla strega e stringendole le spalle in una morsa d’acciaio «io sono Martha, ricordi? Ci siamo viste al matrimonio di tre anni fa. Sembra che ci dobbiamo incontrare solo in occasione delle nozze, buffo, non trovi?» Un fiume di parole vuote e di domande ancora più inutili si riversò sulla ragazza che si sentiva in balia di Martha. Le rispondeva a monosillabi, ma ben presto si rese conto che Helena avreb-be gradito maggiore loquacità. «E hai vent’anni, giusto?» «In realtà quasi ventiquattro» rispose automaticamente «li compio a giugno, il ventotto» precisò spinta da un’occhiata eloquente della matrigna. «E hai già conosciuto Lui?» chiese ancora conferendo all’ultima parola un’aura reverenziale e un tono di venerazione. Helena ridacchiò giocando con il bicchiere di cristallo che stringeva tra le dita. «No, lo vedrà a cena» rispose per Tess. La ragazza non aveva mai visto Helena in quello stato.

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Sembrava quasi ansiosa, come se il muro di perfezione che la circondava fosse stato abbattuto per dimostrare che anche la donna era umana e provava emozioni. Martha inspirò rumorosamente e aprì ancora la sua sottile bocca per aggiun-gere una nuova battuta insipida alle affermazioni che già aveva snocciolato, quando Ronald informò che la cena era pronta. Helena gli affidò il bicchiere dell’aperitivo e condusse Martha e Tess in sala da pranzo. Un tempo in quella stanza si erano riunite le persone più influenti della con-tea, se non del Maine. Era estremamente ampia e spaziosa, ma il rivestimento in boiserie scuro la rendeva piuttosto cupa e soffocante (probabilmente tale giudizio era influen-zato dai sentimenti che attualmente animavano Tess). Un immenso lampadario di cristallo scendeva sulla tavola, arredo che inter-pretava il ruolo da protagonista tra quadri antichi e credenze scure che fun-gevano da comparse. La lunga tavola in rovere era apparecchiata con il servizio migliore; era evi-dente che Helena volesse impressionare Aleksander. La tovaglia in pizzo bianca era perfettamente stesa e i suoi ricami risaltava-no sul legno scuro. I piatti di porcellana erano sobri, raffinati e sostenevano perfettamente l’argenteria importante. C’era un solo centrotavola, basso, una composizione di fiori da giardino dai colori pastello. Il tocco magico di Helena aveva reso tutto perfetto anche questa volta. La donna si sedette a capotavola, il posto che fino a qualche anno prima ap-parteneva a John. Alla sua sinistra era seduta Tess, alla destra Martha. Dall’altro lato del tavolo dalle gambe finemente intagliate da disegni di an-geli e viti, un posto vuoto, probabilmente in attesa dell’arrivo del futuro spo-so. Tess non nutriva alcuna curiosità circa la sua identità. A suo avviso era solo un tizio che avrebbe preso il posto di suo padre in quella che era casa sua. Avrebbe gestito i suoi soldi, il frutto del suo lavoro. La ragazza ripensò al genitore, al suo volto forte e sicuro. Alla sua voce sempre calma e protettiva che sapeva anche farsi rispettare semplicemente con una lieve inflessione. «Come te lo immagini? Tess? Tess!» La ragazza sobbalzò sulla sedia, strappata dai suoi tristi ricordi.

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Il volto di suo padre venne sostituito dalla faccia grassoccia di Martha che la stava fissando con un’invadenza e una sfacciataggine che suggerivano a Tess l’idea di insultarla. Sfortunatamente si reputava una persona educata così, per rispetto nei con-fronti della matrigna, ingoiò l’insolenza subita. «Non saprei» rispose. Martha unì le mani sotto al mento e si sporse verso di lei. «Io l’ho visto» sussurrò ricolma d’orgoglio per il privilegio. Fece un occhio-lino a Tess e sospirò con aria sognante. La ragazza accennò un sorriso forzato mentre la sua mano pescava dalla tasca dei jeans il cellulare. L’esperienza da adolescente del ventunesimo secolo faceva sì che Tess riu-scisse a scrivere brevi messaggi senza guardare la tastiera. Sono a cena con Grimilde e una gnoma pazza… consigli, fata madrina? Il messaggio venne inviato a Ruth che dopo pochi minuti rispose. La suoneria del telefonino di Tess indispettì Helena. «Tesoro, a tavola no» la pregò. La ragazza mormorò una scusa, ma ovviamente non rinunciò a leggere il commento dell’amica. Mi preoccuperei dell’ospite: sarà il Principe Azzurro o il troll di montagna? Tess ridacchiò, ringraziando mentalmente Ruth per il suo appoggio. Lo scricchiolio della ghiaia avvisò dell’arrivo di Lui. Ronald prontamente aprì la porta d’ingresso e condusse il futuro marito in sala da pranzo. Helena scattò in piedi, come una belva che si lancia sulla preda. Raggiunse l’uomo e lo cinse tra le braccia, accarezzandogli prima il petto. Successivamente si fece da parte per presentargli la figliastra e finalmente Tess poté vederlo. L’uomo che da venerdì avrebbe abitato nella villa degli Hastings sfoggiò un sorriso che a Tess parve completamente ironico. La ragazza non si stupì che Martha ne fosse rimasta affascinata, sicuramente l’uomo sapeva di sortire un certo effetto sulle donne. I suoi occhi azzurri come il ghiaccio si allacciarono a quelli di Tess. «Ciao, Aleksander» si presentò porgendole la mano che la ragazza strinse senza indugio. «Noi invece ci conosciamo già» si intromise Martha ridacchiando gioviale. Aleksander aggrottò le sopracciglia mentre si sforzava di recuperare il ricor-do del loro incontro, dopodiché si distese in un sorriso che a Tess non parve molto sincero. «Certo… Martha, giusto?» La donna annuì vistosamente, sentendosi realizzata mentre Tess chinò il capo celando un sorriso di compatimento.

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Quando risollevò la testa, notò che l’uomo la stava fissando divertito e, for-se, complice. Appena Aleksander si sciolse dall’abbraccio di Helena, prese posto a tavola e la cena ebbe inizio. Tess si rese conto che la sua maglietta rosa e i jeans blu non erano molto indicati né al sontuoso abito malva in stile impero di Helena, né al sobrio smoking dell’uomo, tuttavia non si sentì in imbarazzo: non era certo colpa sua se la matrigna non l’aveva informata circa il tono da tenere durante il pasto. La giovane, senza rendersene conto, si scoprì a studiare il futuro sposo. Era alto e la sua muscolatura asciutta e allungata si percepiva perfettamente sotto la giacca e i pantaloni. Le sue spalle larghe donavano un senso di affidabilità al suo aspetto, così come le grandi mani. A gettare qualche dubbio sul suo carattere erano i tratti del suo viso. I suoi occhi, le emozioni che rispecchiavano erano ambigue, sospette. Il volto di Aleksander era asciutto e virile. Corti capelli castani coprivano la cute, terminando in due basette sottili. Le guance erano lisce e Tess ritenne che si fosse rasato prima di presentarsi alla villa. Tra gli occhi dal taglio rettangolare un naso proporzionato fungeva da asse che divideva con una simmetria perfetta il volto. Le labbra dell’uomo erano invece perennemente increspate da un sorriso sghembo, tendente maggiormente verso il lato destro. «Spero che mi perdonerete il ritardo, ma sono stato trattenuto per ragioni di lavoro» stava dicendo. Helena gli rivolse un sorriso comprensivo e la questione venne lasciata ca-dere. Improvvisamente Martha si dovette assentare per rispondere alla telefonata della baby sitter a cui aveva affidato i suoi tre figli di età compresa tra i tre ed i nove anni, così lasciò soli i due fidanzati e Tess. L’uomo si pulì le labbra con un tovagliolo e si sporse verso Helena. «L’hai invitata tu?» domandò con disappunto riferendosi a Martha. Era evidente che nemmeno lui approvava l’invadenza della donna. Tess soffocò una risata con dei colpi di tosse. «Si è presentata qui stasera, sarebbe stato scortese cacciarla» rispose la don-na. Aleksander le lanciò uno sguardo gelido. «È una cena di famiglia, non credo che tu avresti avuto difficoltà a farti ri-spettare.»

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Helena strinse le labbra, ma non disse nulla. Con il ritorno di Martha la cena riprese il suo normale corso e Tess scoprì che Aleksander era abile quanto lei a celare il proprio disappunto.

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12. La strega di Cork La cena terminò presto senza più commenti invadenti da parte di Martha. Tess aveva notato più volte gli occhi di Aleksander indugiare sui suoi e ri-tenne che entrambi si stessero studiando vicendevolmente. Helena propose di spostarsi in soggiorno, dove avrebbero potuto trascorrere del tempo prima di ritirarsi e dalle sue parole Tess dedusse che l’uomo sa-rebbe rimasto con loro fino al mattino seguente. «Tesoro, non puoi portare il cane in dormitorio, vero?» domandò Helena a un certo punto della serata. «Non sono ammessi animali nel campus. Ti crea qualche fastidio tenerlo?» La donna sospirò amareggiata, guardando il compagno. «Aleksander non gli sta molto simpatico.» Tess avrebbe voluto replicare qualcosa, ma prima che potesse aprire bocca si rese conto che non poteva più pretendere che Giasone rimanesse a villa Ha-stings. Ormai quella era la casa di Helena e presto avrebbe accolto una nuova fami-glia che, comprensibilmente, non avrebbe voluto legami con quella prece-dente. La ragazza comunque non voleva abbandonare il suo cane. Non si sarebbe mai perdonata se l’avesse affidato alle cure di un canile. «Non essere esagerata» si intromise inaspettatamente Aleksander «posso tranquillamente sopravvivere ai suoi ringhi e sono certo che con il tempo diventeremo ottimi amici.» Tess lo ringraziò con un cenno del capo. Non si aspettava che l’uomo prendesse le difese di Giasone, prolungandogli il soggiorno a villa Hastings; non era costretto a farlo. Ruth nascose uno sbadiglio dietro alla mano e distrattamente guardò l’orologio da polso. Era notte inoltrata, ma di Sally non c’era traccia. La strega si domandò se avessero sbagliato a interpretare il messaggio. Evidentemente quella data non indicava un appuntamento, ma qualcos’altro. «È troppo complicato parlare chiaro?» sbottò stringendosi nella giacca a vento rossa e nera di Patrick. Nemmeno la sua ferrea volontà di studentessa modello poteva resistere a tanto studio e da circa mezz’ora Ruth stava ammirando il cielo stellato.

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Voleva tornare a casa, ma sapeva che poteva rischiare di perdere Sally. «Tuttavia, visto che mezzanotte è passata, oggi è il ventisette» ragionò a mezza voce. Proprio quando si era convinta a restare ad aspettare ancora, ricevette un messaggio da Robyn. L’amica le aveva detto che aveva parlato di fantasmi con sua madre e ri-mandava la spiegazione approfondita a un’e-mail che le avrebbe inviato tra qualche ora. Aveva però scoperto, o almeno così credeva, che l’indicazione della data non fosse un appuntamento. Ruth sospirò mentre ringraziava Robyn per le informazioni e accendeva la moto per tornare al campus. Era stanca e dolorante a causa delle lunghe ore passate sul sellino della mo-tocicletta e delusa per la perdita di tempo. Ora era talmente arrabbiata per via della situazione che la curiosità di saperne di più sugli spiriti era comple-tamente scomparsa. Appena aprì la porta della centoventiquattro venne accolta dall’invitante profumo di incenso che usava sempre Tess per favorire la concentrazione durante gli incantesimi. Istintivamente sorrise, sentendosi al sicuro. Ancora vestita si gettò sul suo letto mentre la sveglia indicava le quattro precise. Senza rendersene conto Ruth sprofondò in un sonno tranquillo. Non aveva fatto in tempo a impostare la sveglia per la partenza con Patrick, ma confidava sul suo orologio biologico. Fin da bambina era abituata a svegliarsi presto per seguire gli allenamenti di pallavolo prima di andare a scuola. Suo padre, Boseda Marlowe, era un allenatore di ginnastica artistica maschi-le. Cresciuto nel mondo dello sport, desiderava che la figlia conoscesse la determinazione e la forza che una disciplina atletica comportavano. La pallavolo inoltre permetteva di sviluppare spirito di squadra e compren-dere il sacrificio per i propri compagni. Per questa ragione, fin da piccola Ruth aveva giocato a pallavolo, dapprima come libero, ma successivamente aveva scoperto di possedere un istinto na-turale che la rendeva un’ottima regista. Il ruolo di alzatrice era quindi il più indicato per le sue potenzialità. Iscrivendosi in università era entrata a far parte dei Gabbiani di Ragoon, il nome che il rettore aveva dato alla squadra. Ruth inizialmente credeva che l’aumento della mole di studio avrebbe mina-to il tempo dedicato allo sport, ma fortunatamente aveva scoperto di posse-dere un eccellente senso organizzativo ed era riuscita a mantenere entrambe le sue passioni senza dovervi rinunciare.

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Robyn guardò la sua camera da letto, ridendo di alcuni poster che aveva ap-peso durante gli anni del liceo. Le sembrava di ammirare le passioni di un’altra persona; credeva impossibi-le che fosse cambiata così tanto. Fu tentata di staccare dai muri le fotografie di alcuni gruppi musicali che nel frattempo si erano sciolti, ma qualcosa la trattenne. Forse non era ancora pronta per voltare pagina, per spogliare la sua cameret-ta e renderla la stanza da letto di una giovane donna che viveva lontano dai genitori. Sapeva che i suoi l’avrebbero potuta rendere una camera per gli ospiti, ma voleva godersela ancora un po’, assaporarla e poi dirle definitivamente ad-dio. Robyn si ripromise di liberarla una volta laureatasi. In quel modo avrebbe segnato una netta linea di demarcazione tra l’adolescenza e l’età adulta. Sua madre le posò le mani sulle spalle, baciandole poi la guancia. «Persa nei ricordi?» domandò con tono dolce. Robyn sorrise indicando i poster. «Concretizzo il tempo che è trascorso» rispose voltandosi verso la donna. Si assomigliavano notevolmente per quanto riguardava l’aspetto fisico. Condividevano gli stessi occhi verdi come le colline di Cork e gli stessi ca-pelli neri come la notte. La stessa struttura slanciata e l’essenza forte. Robyn era fiera di essere così simile a Suzanne, la strega di Cork, additata dai concittadini, quasi isolata, che sempre aveva mantenuto la testa alta e un velo di superbia a coprirla dalle maldicenze della gente. La vita in Irlanda non era stata facile per Suzanne e forse era per questo che dopo essersi laureata aveva iniziato a viaggiare, divenendo mercante d’arte. Praticava sempre la stregoneria, ma lo studio della magia era più una pas-sione che una reale motivazione di vita. A Bangkok Suzanne aveva incontrato Geoffrey, pittore. Condividevano il medesimo cognome: Owens, e forse un antico parente li accomunava. Da allora le loro anime si erano unite in un nodo inscindibile. Il fato aveva voluto che anche Geoffrey Owens fosse irlandese, così ben presto i due erano tornati in patria per dare inizio alla loro famiglia. Suzanne sorrise alla risposta della figlia, indietreggiando di un passo in mo-do da sostare sulla porta. «Stavo ripensando al fantasma di cui mi hai parlato questa mattina» esordì con tono riflessivo «promettimi che starai attenta. Il paranormale è intreccia-to da un filo speciale, invisibile per i mortali, perciò voi tre siete vulnerabili

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al potere di questa Sally. Se poi Tess ha ragione e in vita era una strega, non dovrai mai abbassare la guardia.» Robyn annuì rammentando la conversazione citata. C’erano circa cinque ore di fuso orario tra Cork e Ragoon Island, perciò quando Robyn aveva mandato l’SMS a Ruth, sapeva che dall’amica era not-te inoltrata, tuttavia non aveva voluto perdere tempo. «Ti riferisci anche al messaggio? Perché mi hai detto che non era un appun-tamento? Dopotutto era solo una data.» Suzanne indugiò qualche istante, pettinandosi la sottile frangetta corvina. «Il fantasma di una strega può rubare il potere delle sue simili, per questo dovete stare attente. Ti parlerò della data domani, è troppo tardi per discu-terne e affrontare l’argomento interamente. Buonanotte, tesoro.» La donna baciò Robyn sulla fronte e la lasciò sola con i suoi pensieri. La giovane sospirò rassegnata e si sedette sul letto. Sua madre amava essere teatrale, lo aveva sempre fatto, anche quando le insegnava a controllare la sua energia. Ciò che la consolava era la consapevolezza che se la donna avesse saputo che esisteva un pericolo reale, non avrebbe mai rimandato la conversazione. Pensando a Ruth e alla serata che aveva trascorso a Ragoon Island prima di partire con Patrick, Robyn si assopì. Sognò il fantasma di Sally Harding, il fratello Andrew e un ponte in fiamme. Nell’incoscienza la sua bocca ripeté tre parole. «Brucerà nella luce.» Fine anteprima.Continua...