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1 FRANCESCO BUCCELLATO DIPARTIMENTO DI DISCIPLINE GIURIDICHE E AZIENDALI DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PERUGIA MUTAMENTO NELLA TITOLARITÀ DELLIMPRESA, DIVIETO DI CONCORRENZA, CIRCOLAZIONE DELLAZIENDA * SOMMARIO: -I. SUCCESSIONE NELLAZIENDA E SUBENTRO NELLIMPRESA: SOPRAVVENUTA ATTUALITÀ DI UNA RISALENTE DISTINZIONE. II. L’ART.2112 C.C. E LA NOZIONE DI <<CESSIONE CONTRATTUALE>> DI CUI ALLA DIRETTIVA 2001/23/CE DEL CONSIGLIO DEL 12 MARZO 2001. - III. LAPPLICAZIONE ANALOGICA DELLART.2557 C.C. IN ALCUNE RECENTI SENTENZE DELLA CASSAZIONE. IV. QUESTIONI IN TEMA DI DIVIETO DI CONCORRENZA E SUBENTRO (MANCATO) NELLIMPRESA, INDIVIDUALE E SOCIETARIA. I. - SUCCESSIONE NELLAZIENDA E SUBENTRO NELLIMPRESA: SOPRAVVENUTA ATTUALITÀ DI UNA RISALENTE DISTINZIONE - Gli studi sull’azienda, pur nelle differenti impostazioni, hanno portato ad accreditare la disciplina di cui agli artt. 2556 ss. come primario riferimento normativo di ogni fenomeno che ne realizza la circolazione. L’affermazione assume rilevanza se si considera la frammentarietà e disorganicità dell’impianto codicistico che, per un verso non tiene conto dei trasferimenti a titolo gratuito, di quelli mortis causa, delle vicende restitutorie del compendio aziendale legate alla patologia dei negozi di trasferimento (nullità, annullabilità, risoluzione, rescissione), per altro verso sembra dimentico della varietà degli strumenti, anche tipizzati, che ne possono realizzare l’effetto traslativo (conferimento, permuta, provvedimenti giurisdizionali e amministrativi) 1 . E sebbene il sistema introdotto dal legislatore del ‘42 sembri muovere da un ambizioso, presupposto, implicito riconoscimento di diritti reali e di godimento sull’azienda (così l’art.2556 c.c. ha riguardo ai contratti che ne hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento e ai successivi * Il desiderio di condividere i percorsi di studio e riflessione finora affrontati mi induce a pubblicare lo scritto, pur nella consapevolezza che, nell’attuale veste, esso si propone solo come prima compiuta elaborazione su temi e problemi che richiedono certo una più congrua esposizione. 1 estraneo al fenomeno della circolazione dell’azienda in senso stretto, l’utilizzo dell’azienda quale oggetto di diritti di garanzia è notoriamente fenomeno parimenti non disciplinato.

buccellato prima stesura definitiva - diritto.it · 2 G.E.C OLOMBO, L’azienda e il suo trasferimento, in L’azienda e il mercato, in Trattato di diritto commerciale e di diritto

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FRANCESCO BUCCELLATO

DIPARTIMENTO DI DISCIPLINE GIURIDICHE E AZIENDALI DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PERUGIA

MUTAMENTO NELLA TITOLARITÀ DELL’IMPRESA,

DIVIETO DI CONCORRENZA,

CIRCOLAZIONE DELL’AZIENDA *

SOMMARIO: -I. SUCCESSIONE NELL’AZIENDA E SUBENTRO NELL’IMPRESA: SOPRAVVENUTA ATTUALITÀ DI

UNA RISALENTE DISTINZIONE. – II. L’ART.2112 C.C. E LA NOZIONE DI <<CESSIONE CONTRATTUALE>> DI CUI

ALLA DIRETTIVA 2001/23/CE DEL CONSIGLIO DEL 12 MARZO 2001. - III. – L’APPLICAZIONE ANALOGICA

DELL’ART.2557 C.C. IN ALCUNE RECENTI SENTENZE DELLA CASSAZIONE. – IV. – QUESTIONI IN TEMA DI

DIVIETO DI CONCORRENZA E SUBENTRO (MANCATO) NELL’IMPRESA, INDIVIDUALE E SOCIETARIA.

I. - SUCCESSIONE NELL’AZIENDA E SUBENTRO NELL’IMPRESA: SOPRAVVENUTA ATTUALITÀ DI UNA

RISALENTE DISTINZIONE -

Gli studi sull’azienda, pur nelle differenti impostazioni, hanno portato ad accreditare la

disciplina di cui agli artt. 2556 ss. come primario riferimento normativo di ogni fenomeno che ne

realizza la circolazione.

L’affermazione assume rilevanza se si considera la frammentarietà e disorganicità

dell’impianto codicistico che, per un verso non tiene conto dei trasferimenti a titolo gratuito, di

quelli mortis causa, delle vicende restitutorie del compendio aziendale legate alla patologia dei

negozi di trasferimento (nullità, annullabilità, risoluzione, rescissione), per altro verso sembra

dimentico della varietà degli strumenti, anche tipizzati, che ne possono realizzare l’effetto traslativo

(conferimento, permuta, provvedimenti giurisdizionali e amministrativi) 1. E sebbene il sistema

introdotto dal legislatore del ‘42 sembri muovere da un ambizioso, presupposto, implicito

riconoscimento di diritti reali e di godimento sull’azienda (così l’art.2556 c.c. ha riguardo ai

contratti che ne hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento e ai successivi

* Il desiderio di condividere i percorsi di studio e riflessione finora affrontati mi induce a pubblicare lo scritto, pur nella consapevolezza che, nell’attuale veste, esso si propone solo come prima compiuta elaborazione su temi e problemi che richiedono certo una più congrua esposizione. 1 estraneo al fenomeno della circolazione dell’azienda in senso stretto, l’utilizzo dell’azienda quale oggetto di diritti di garanzia è notoriamente fenomeno parimenti non disciplinato.

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artt.2561 e 2562 sono poste specifiche regole di un trasferimento tipizzato, a completamento della

disciplina, attraverso il richiamo alle figure dell’usufrutto e dell’affitto; mentre già il codice di

procedura civile del ’40, all’art.670 c.p.c. ammette il sequestro giudiziale dell’azienda, che

notoriamente presuppone una sussistente controversia sulla proprietà, oltre che sul possesso) è stato

dimostrato che a tali evocative espressioni lessicali è arduo riconnetere una consistente portata

disciplinare 2. L’impostazione si dimostra infatti problematica e deviante, laddove – lo si è chiarito 3

- induce a considerare in apice la questione della natura dell’azienda, intesa quale oggetto di diritti

assoluti o relativi, noti essendo invece i limiti di un simile approccio alla materia, riassumibili nella

constatata opinabilità di ogni relativa opzione e dei limitati concreti risvolti derivanti da simili scelte

di principio; limiti che portano a constatare come la questione possa forse dirsi superata, con le tesi

più accreditate, nel guardare all’azienda non tanto in funzione della ricerca e descrizione di

qualsivoglia posizione soggettiva ex novo insorta in capo al suo titolare, suo artefice o acquirente

che sia, ma, più semplicemente, quale entità la cui concreta rilevanza giuridica emerge, alla luce dei

dati positivi, quando essa sia oggetto di trasferimento, determinandosi allora talune modificazioni in

ordine alle discipline di norma applicabili alle vicende successorie attinenti i singoli suoi elementi

costitutivi 4.

2 G.E.COLOMBO, L’azienda e il suo trasferimento, in L’azienda e il mercato, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da F.Galgano, vol.III, Padova, 1979, 10 ss.. 3 COLOMBO, op.loc.cit. e, più di recente, G.CAMPOBASSO, Diritto Commerciale, 1, V ed., Torino, 2007, 142 ss.. 4 Rifiutata ogni impostazione dogmatica, si muove dalla ricognizione delle specifiche regole concernenti il trasferimento dell’azienda e dei singoli beni aziendali (art. 2556 c.c. comma 1), accreditandosi l’idea che siano semmai le residue lacune di disciplina che devono superarsi avendo riguardo alla predicata qualificazione dell’unità funzionale dell’azienda: in tal senso essa è riconosciuta riconducibile all’universitas, anche solo in via analogica (in tal senso ad esempio F.MARTORANO, in Manuale di diritto commerciale, a cura di V.Buonocore, VIII ed, Torino, 2007, 519 ss., spec. 521; CAMPOBASSO, op.cit.; recenti applicazioni in CASS., sez. II, 26-09-2007, n. 20191, in Giust. civ., 2008, I, 365, ad avviso della quale <<Qualora l’acquirente di un’azienda con patto di riservato dominio ne effettui a sua volta la vendita, tale vendita non è nulla ma integra una ipotesi di acquisto a non domino (e pertanto deve qualificarsi come vendita di cosa altrui) anche se l’acquirente non sia stato a conoscenza dell’esistenza del patto di riservato dominio, giacché il complesso di beni costituito in azienda costituisce una tipica universalità di beni ai sensi dell’art. 816 c.c., per la quale non può trovare applicazione il principio dell’acquisto immediato in virtù del possesso, ai sensi dell’art. 1153 c.c., in virtù dell’esplicita esclusione sancita dall’art. 1156 c.c.>>; in CASS., sez. II, 15-01-2003, n. 502, in Vita not., 2003, 269: <<Mentre è soggetta a collazione per imputazione, prevista dall’art. 750 c.c. per i beni mobili, la quota di società, in quanto - non conferendo ai soci un diritto reale sul patrimonio societario riferibile alla società, che è soggetto distinto dalle persone dei soci - attribuisce un diritto personale di partecipazione alla vita societaria, va compiuta, secondo le modalità previste dall’art. 746 c.c. per gli immobili, la collazione della quota di azienda, che rappresenta la misura della contitolarità del diritto reale sulla universitas rerum dei beni di cui si compone, sicché - ove si proceda per imputazione - deve aversi riguardo al valore non dei singoli beni ma a quello assunto dall’azienda, quale complesso organizzato, al tempo dell’apertura della successione.>>. La qualificazione dell’azienda come universitas iuris è ampiamente utilizzata in giurisprudenza: v. di recente A. MILANO, 28-03-2002, in Giur. it., 2003, 1659, n. SPOLIDORO: <<In caso di donazione dell’azienda non si richiedono l’elencazione dei beni e l’indicazione del loro valore, in quanto nella suddetta fattispecie l’oggetto dell’atto di disposizione è l’azienda intesa come universitas rerum e non la pluralità dei beni che la costituiscono.>>;

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Il risultato di tale richiamato percorso interpretativo trova allora un consistente contrafforte

nella collocazione sistematica in chiave oggettiva dell’azienda: <<Il diritto non può non distinguere

– anche al fine di predisporre una congrua disciplina – il soggetto, l’atto, l’oggetto: e così il codice

identifica l’imprenditore come soggetto, l’impresa come attività economica e professionale

organizzata per la produzione o lo scambio, l’azienda come complesso di beni organizzati per

l’esercizio dell’attività … >> 5, descritta quest’ultima efficacemente come << … il risvolto

<<oggettivo>> di uno dei requisiti dell’acquisto della qualità di imprenditore … >> 6.

E’ in tale contesto che mi sembra sia da collocare l’avvenuto progressivo accantonamento

del risalente autorevole orientamento dottrinale che distingueva fra trasferimento d’azienda e

successione nell’impresa, identificata quest’ultima fattispecie nel fatto che << … nell’esercizio di

quella particolare attività organizzata che costituisce una determinata impresa, ad un soggetto se

ne sostituisce un altro.>> 7.

L’assunto alla base di tale tesi – che per ogni fenomeno di successione nell’impresa fosse

condizione necessaria e sufficiente la successione nell’azienda – sembrò ad una serrata critica

foriero di inutili duplicazioni concettuali, poiché – si disse (Pettiti) - nessuna delle norme di cui agli

artt.2555 ss. àncora o subordina l’esplicarsi della sua efficacia all’effettivo subentro nell’attività

d’impresa da parte di chi acquisisce la titolarità o il godimento dell’azienda 8.

CASS., sez. I, 19-07-2000, n. 9460, in Fallimento, 2001, 767, n. RUSINENTI, in Dir. fallim., 2001, II, 902: <<Nell’ipotesi in cui beni immobili vengano concessi in comodato ad una società poi fallita, al fine di stabilire se la domanda di restituzione dei beni stessi debba essere proposta dal comodante, nei confronti del fallimento, con la procedura dell’art. 103 legge fall., è necessario accertare se i beni costituiscano elementi esclusivi della universitas iuris qual è l’azienda, al punto da configurarla giuridicamente ed economicamente (tanto che la loro restituzione corrisponda alla restituzione dell’intera sua entità), ovvero mere componenti di tale universalità, per tale verso conservando la suscettibilità a formare oggetto di separati atti e rapporti giuridici (la suprema corte ha così cassato la sentenza che, in relazione ad alcuni impianti di carburante concessi in comodato ad una società petrolifera poi fallita, aveva ritenuto che la domanda di restituzione proposta dal comodante doveva essere proposta con le forme dell’art. 103 legge fall., limitandosi ad affermare che si trattava di beni inclusi in un complesso aziendale e che l’azienda aveva natura giuridica mobiliare).>>; v. ancora CASS., sez. II, 27-03-1996, n. 2714: <<La cessione dell’azienda ha carattere unitario ed importa il trasferimento al cessionario di tutti gli elementi costituenti l’universitas, senza necessità di una specifica pattuizione nell’atto di trasferimento.>>. Per ulteriori riferimenti, CAMPOBASSO, cit., 143, nt.12. 5 G.OPPO, Realtà giuridica globale dell’impresa nell’ordinamento italiano, in Riv.dir.civ., 1976, I, 591 ss., e in Diritto dell’impresa. Scritti giuridici, I, Padova, 1992, p.56 ss., 57. Ad avviso di COLOMBO, op.cit., 1 s., il risultato più evidente dell’elaborazione precodicistica, che ha portato al riconoscimento di un’esplicita disciplina sull’azienda, fu proprio quello di chiarire definitivamente la natura oggettiva dell’azienda, liberandone la nozione << … da quell’insieme di elementi soggettivi (attività imprenditoriale, diritto ad essa, comunità di lavoro, ecc.) che ne hanno a lungo intralciato una chiara configurazione>> (il virgolettato è di A.VANZETTI, Trent’anni di studi sull’azienda, in Riv.dir.comm., 1958, I, 32 ss., richiamato da COLOMBO, ivi, loc. cit.). 6 F.MARTORANO, op.cit., 518. 7 A.GRAZIANI, L’impresa e l’imprenditore, Napoli, 1959, 159. 8 D.PETTITI, Il trasferimento volontario d’azienda, Napoli, 1970, 194 ss., ma già, analogamente e approfonditamente, E.ZANELLI, Il trasferimento delle c.d. imprese elettriche nella sistematica della

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Vero è però che, l’acquisita consapevolezza circa i limiti e le insidie del linguaggio

utilizzato in materia dal legislatore – << … in realtà oggetto del trasferimento è quella particolare

posizione soggettiva che meglio si definisce come <<titolarità>> dell’azienda, riflesso dell’unità

funzionale che lega i diversi elementi e che si accompagna alla varietà di posizioni (diritto di

proprietà, diritto reale o personale di godimento) che il titolare può avere rispetto ai vari beni

aziendali.>> 9 - postula ancora oggi la necessità di approcciare la disciplina scorgendo in essa le

regole sulla futura attività economica dell’alienante oltre che sulla sorte del c.d. patrimonio

aziendale (da considerare in una alle regole specifiche del tipo negoziale in base al quale avviene il

trasferimento) 10. E che la sostituzione nell’attività di impresa (che non configura successione in

senso tecnico) in termini giuridicamente rilevanti possa avere rilievo causale nelle vicende traslative

dell’organizzazione resta un affermato insegnamento 11 .

Tre fatti nuovi sopravvenuti, nelle reciproche influenze, danno ragione dell’esigenza di

ripensare ad una sopravvenuta problematica attualità della distinzione tra successione nell’azienda e

subentro nell’impresa. Mi riferisco:

- a. alle modifiche apportate all’art.2112 c.c. attraverso il recepimento della Direttiva

2001/23/CE del Consiglio del 12 marzo 2001 – Concernente il ravvicinamento delle legislazioni

degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di

imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti 12, particolarmente significativa nelle

applicazioni rese dalla Corte di Giustizia ;

circolazione dell’azienda e della successione nell’impresa, in Riv.soc., 1964, 237 ss., e in Studi in onore di Paolo Greco, Padova, 1965, II, 1127 ss., ad avviso del quale di successione nell’impresa, << … Di questo preteso fenomeno, in quanto concepito come evento giuridico che sovrasta e determina il trasferimento d’azienda anziché esserne consequenziale e condizionato, non si ha traccia nel nostro sistema..>> (così a p.1137 e, in coerenza, infra, le successive pagine). Non è dunque facilmente comprensibile perché il Pettiti annoveri le tesi esposte in tale contributo tra quelle dei sostenitori dell’orientamento dottrinale che collega il trasferimento dell’azienda alla c.d. successione nell’impresa (per cui rimanda al Casanova, oltre che, in senso più limitato a Graziani e in senso parzialmente diverso a Ghidini): v. Il trasferimento cit., 194, testo e nt.1. 9 ancora MARTORANO, cit., 523. G.AULETTA, Avviamento Commerciale (voce), in Enc.Giur., Ist.Enc.it. Treccani, Roma, 1988, riferisce che per primo a parlare di titolarità dell’azienda è Casanova (Impresa e azienda, in Tratt.Vassalli, vol.X, t.1, Torino, 1974, 348-356). 10 MARTORANO, op.loc.ult.cit.. 11 OPPO, Profilo sistematico dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, in Diritto dell’impresa, Scritti Giuridici, I, Padova, 1992, 536 s., e già in Riv.dir.civ., 1981, I, 223 ss.. 12 La dottrina commercialista, se si esclude il prezioso contributo di V.BUONOCORE, Il «nuovo» testo dell’art. 2112 del codice civile e il trasferimento di un ramo di azienda (nota a Cass., Sez. Lav., 23 luglio 2002, n.10761 e Cass., Sez. Lav., 23 ottobre 2002, n.14961, in Giur.comm., 2003, II, 313 ss.), ha pressocchè tralasciato di considerare la possibile rilevanza sistematica delle norme di cui all’art.2112 c.c., e ciò sebbene la dottrina lavoristica abbia tratto argomenti dalle nuove disposizioni di legge, per accreditare impegnative ipotesi interpretative di dubbio fondamento. Così è per l’enucleazione di una presunta originale autonoma nozione di azienda, rilevante esclusivamente a fini lavoristici (v. in tal senso G.DELLA ROCCA, La nuova disciplina del trasferimento d’azienda, in Mass.giur.lav., 2001, 588; A.PIZZOFERRATO, La nozione giuslavoristica di trasferimento d’azienda fra diritto comunitario e diritto interno, in Riv.it.dir.lav., 1998, I, 429 ss.), radicalmente criticata da BUONOCORE, nel suddetto scritto (ivi, 316 ss., v. però quanto sostiene

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- b. alla giurisprudenza in tema di applicazioni analogiche del divieto di concorrenza

di cui all’art.2557 c.c a taluni casi di trasferimento di partecipazioni sociali; 13

- c. naturalmente alle modifiche di sistema, rivenienti dall’ancor recente riforma del

diritto societario.

I temi sub a e sub b saranno oggetto di specifico esame nei paragrafi a seguire. Quanto al

tema sub c, mi limiterò nello svolgimento dell’indagine a segnalare taluni spunti che mi sembrano

rilevanti nella considerazione del tema, riconducibili ad autorevoli letture che della nuova disciplina

sono state offerte.

Vorrei intanto chiarire in anticipo, per favorire la lettura delle seguenti note, quale sia il

senso della ricerca qui proposta.

Chi, come sopra ricordato, guardò criticamente alla distinzione tra successione nell’azienda

e subentro nell’impresa, non ne negò l’astratta configurabilità, ma piuttosto la concreta rilevanza

giuridica. Così: << … intendendo la successione nell’impresa come continuazione dell’attività del

primo imprenditore (alienante) da parte dell’acquirente dell’azienda, a tale successione non può

attribuirsi un preciso valore tecnico, poiché il mero fatto che una attività fino ad un certo momento

svolta da un determinato soggetto, venga successivamente proseguita da altri, non è idonea a

importare apprezzabili conseguenze sul piano giuridico. Le implicazioni che da tale prosecuzione

di attività potrebbero in astratto trarsi, infatti, altro non sono che l’imputazione al secondo

imprenditore dei rapporti facenti capo al primo, e la possibilità che il secondo imprenditore sfrutti

l’avviamento (eventuale) del primo. Queste conseguenze però non sono collegate dall’ordinamento

alla successione nell’impresa, ma – entro certi limiti – alla semplice alienazione dell’azienda;

d’altro canto, è pensabile ad una simile successione dell’impresa senza che necessariamente ne

discendano le cennate conseguenze.>> 14.

Sembra dunque che, nelle tesi dell’illustre Autore, trovi spazio innanzitutto il superamento

di un passaggio fondante della tesi originaria di Graziani, che mi sembra intendesse esprimere una

corrispondenza biunivoca tra i fenomeni di successione nell’impresa e nell’azienda, stante la

CAMPOBASSO, op.cit., 139, nt 2, per cui infra, nt.74); ma, a ben vedere, anche per la più recente autorevole proposizione di una tesi che indica nell’attività (oltre che nell’organizzazione), l’oggetto del trasferimento rilevante ai fini dell’applicazione dell’art.2112 c.c. (G. SANTORO PASSARELLI, Trasferimento d’azienda e rapporto di lavoro, Torino, 2004, 18 ss.), seppur l’affermazione muova dalla consapevolezza che << … l’attività, a rigore, non può essere oggetto di trasferimento dal momento che la qualità di imprenditore si acquista a titolo originario e non derivativo … >> (così a p.5). 13 Infra, § 3. 14 PETTITI, cit., 195 s., che viceversa indica di seguito (a p.197) anche taluni casi in cui v’è subentro nell’impresa, ma non successione nell’azienda. Analogamente COLOMBO, op.cit., 30, reputa << … irrilevanti – ai fini dell’esistenza di un trasferimento d’azienda – sia la circostanza che l’azienda già sia stata utilizzata per l’esercizio di un’attività d’impresa, sia la circostanza che l’acquirente intenda a sua volta, con i beni acquisiti, esercitare un’impresa (o, come impropriamente si dice, succedere nell’impresa).>>.

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necessitata identificazione dell’impresa attraverso il riferimento all’azienda. Nel pensiero di Pettiti –

se leggo bene – le fattispecie sono identificate come sovrapponibili nella sola prevalenza dei casi;

ma di una fattispecie rilevante di subentro nell’impresa non si avrebbe luogo a discettare, essendo la

disciplina esclusivamente ricollegata al trasferimento dell’azienda e non al sub ingresso

nell’impresa.

E’ proprio tale ultima indicazione dottrinale che mi sembra debba essere riesaminata alla

luce delle richiamate intervenute novità, poiché queste indirizzano a chiedersi nuovamente se ad

una configurazione dei fenomeni che realizzano il subentro nell’attività d’impresa concettualmente

autonoma rispetto al trasferimento d’azienda si ricolleghino oggi significative ricadute in punto di

disciplina.

Quanto alla rilevanza, a tal riguardo, del (riesame della giurisprudenza sul) divieto di

concorrenza, essa è chiara nelle parole di Ascarelli: è << … proprio l’esame del divieto di

concorrenza nella circolazione dell’azienda quanto da un lato ha posto in evidenza i caratteri

propri di una disciplina della concorrenza e dall’altro (a mio avviso) quelli della stessa azienda, e

così la considerazione unitaria dell’azienda nei negozi giuridici che presiedono alla sua

circolazione, ma insieme l’impossibilità di ravvisare nella azienda unitariamente considerata una

nuova res, oggetto di diritti reali concorrenti con quelli che hanno per oggetto i beni che la

compongono.>> 15.

II. - L’ART.2112 C.C. E LA NOZIONE DI <<CESSIONE CONTRATTUALE>> DI CUI ALLA DIRETTIVA

2001/23/CE DEL CONSIGLIO DEL 12 MARZO 2001 -

- II.1

Preliminarmente è d’uopo soffermare brevemente l’attenzione sugli interessi primari

tutelati dalle norme di cui all’art. 2112 c.c., di seguito alle ripetute modifiche legislative introdotte 16.

15 T.ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, III ed., Milano, 1960,70 ss. e, ivi, 74. 16 Il previgente comma quinto dell’art. 2112 del codice civile, introdotto con decorrenza 1° luglio 2001 ad opera dell’art. 1, d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 18, di attuazione della direttiva 98/50/CE, che modifica la direttiva 77/187/CEE concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, disponeva: <<Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto d’azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di

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Va ricordato in proposito che, stante la natura derogatoria delle disposizioni di cui all’art.

2558 c.c. (comunque dispositive), rispetto all’art. 1406 c.c. - mi riferisco all’effetto naturale del

subentro nei contratti che l’acquisto dell’azienda realizza - , la portata della deroga è accresciuta

all’art. 2112 c.c., ivi stabilendosi con norma imperativa che il trasferimento determina ipso facto il

subentro e specificandosi che il trasferimento d’azienda non costituisce di per sé motivo di

licenziamento.

Quanto al recesso, che l’art. 2558 attribuisce al contraente ceduto ove sussista giusta causa,

nel caso in esame al lavoratore compete la facoltà (aggiuntiva o forse solo specificativa della giusta

causa) di rassegnare le proprie dimissioni, con gli effetti di cui all’art. 2119, comma 1, se le

condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento

dell’azienda (art. 2112, commi 1 e 4).

La protezione degli interessi dei lavoratori opera in una duplice direzione.

In primo luogo, le disposizioni di cui al nuovo art. 2112 c.c., ribadito e tutelato l’interesse

del lavoratore a seguire l’azienda (o il ramo d’azienda cui è addetto), quando se ne realizzi il

trasferimento, ampliano il novero delle operazioni in cui si dà protezione a tale interesse (5°

comma, per la cui lettura, infra). I medesimi presupposti valgono per l’applicazione delle altre

norme di favore, ulteriormente derogatorie, rispetto a quelle della disciplina generale della cessione

d’azienda, previste sia con riguardo al subentro nei contratti (comma 3), ma anche con

l’affermazione della responsabilità solidale del cessionario ben oltre i limiti di cui all’art. 2560,

comma 2, c.c. (comma 2).

In secondo luogo, mi sembra che le disposizioni di cui all’art. 2112 c.c., lette alla luce della

direttiva, confermino che solo la concreta riscontrata consistenza “aziendale” di quanto dedotto ad

oggetto dell’operazione detta di “trasferimento” valga a giustificare quella deroga all’art. 1406 c.c.

che anche il lavoratore subisce, vale cioè a supplire al difetto del suo consenso in quanto contraente

ceduto; ciò al fine di impedire abusi tesi a emarginare, in strutture orientate su “binari morti”, parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata ai sensi del presente comma, preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità.». Queste le principali difformità tra le due disposizioni: in primo luogo, nella novella il riferimento alle operazioni è delimitato dall’inciso << … che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, … >>. In secondo luogo, nella novella cade la specificazione, riferita all’attività economica organizzata per la quale si realizzi il mutamento di titolarità, << … al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi , … >>. In terzo luogo, l’estensione della disciplina al trasferimento di parte dell’azienda ne determina l’accezione, intendendosi questa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, ma nella novella essa è << … identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento.>>, mentre nella previgente versione è << … preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità>>. Inoltre cade nella versione riformata la limitazione di cui all’espressione << … ai sensi del presente comma>>. Infine, è aggiunto, il seguente sesto comma: <<Nel caso in cui l’alienante stipuli con l’acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d’azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un regime di solidarietà di cui all’art. 1676>>.

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maestranze scomode o che comunque si ritenga di voler espellere in violazione della normativa

imposta concernente la risoluzione dei rapporti di lavoro (è questo un profilo inderogabile ed

irrinunciabile della disciplina, nonostante l’apparente antinomia creatasi con l’ultima modifica,

laddove si stabilisce che le disposizioni dell’art. 2112 si applicano altresì al trasferimento di parte

dell’azienda, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo

trasferimento17).

Come ho sopra ricordato, la novella del 2003, in attuazione della direttiva, circoscrive

l’ambito delle operazioni rilevanti - tali poichè comportano il mutamento nella titolarità di

un’attività economica organizzata - a quelle che avvengono << … in seguito a cessione contrattuale

o fusione … >> .

Se il riferimento alla fusione è alquanto chiaro, almeno nell’individuazione della fattispecie

e della disciplina richiamata, non altrettanto sembra possa dirsi per l’inciso cessione contrattuale.

L’esigenza di trovare la nozione di tale espressione pone all’interprete di diritto interno

quesiti di non agevole soluzione se si considera l’esigenza di muoversi su un terreno di concreta

attuazione comune della direttiva 18. Ed in effetti il problema si è dimostrato nel corso degli anni di

cruciale centralità, come attesta la copiosa giurisprudenza della Corte di Giustizia sul punto.

- II.2

La direttiva 2001/23/CE del Consiglio del 21 marzo 2001, concernente il ravvicinamento

delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di

trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti 19, conferma l’ampliamento

17 <<Un complesso di beni è o non è azienda per le sue qualità oggettive, non per l’intenzione soggettiva di alienante ed acquirente d’azienda… >>: così COLOMBO, cit., 27 e v. ulteriormente 31 ss.; sulla nozione di ramo v. anche G.RACUGNO, Lo “scorporo” d’azienda, Milano, 1995, 26 ss.. Che la prosecuzione imposta del rapporto di lavoro con il cessionario di un presunto ramo d’azienda possa tradursi in un boomerang per il lavoratore, di certo più protetto allora dal tradizionale meccanismo civilistico della cessione del contratto, è ben chiaro ai lavoristi. V. per tutti, ancora di recente G.SANTORO PASSARELLI, Opinioni sul trasferimento d’azienda, in Giorn Dir. Lav., 2006, 689 ss., che reputa plausibili solo due interpretazioni della disposizione innovativa di cui all’ultimo cpv. del comma 5 dell’art.2112 c.c.: o la nuova norma nulla innova rispetto alla situazione pregressa (v. in tal senso CASS., 30 dicembre 2003, n.1983, ovvero costituisce violazione della norma comunitaria, ferma l’esigenza di rilevare nelle forme prescritte tale antinomia (op.ult.cit., 695). Affermano la perdurante necessità della preesistenza dell’autonomia funzionale del ramo d’azienda oggetto di trasferimento sulla base della supremazia del diritto comunitario TRIB. MILANO - SEZ. LAV., 29 febbraio 2008 e TRIB. ROMA, SEZ. LAV., 3 marzo 2008, entrambe in Riv.giur.lav.prev.soc., 2008, II, 673 ss., nota di A.RAFFI. 18 E’ opportuno ricordare che, a mente dell’art. 32 del D.Lgs 10 settembre 2003, n.276, recante modifiche all’art. 2112, comma quinto, del Codice Civile, in attuazione della Direttiva 2001/23/CE del Consiglio del 12 marzo 2001, il comma quinto dell’art. 2112 del codice civile è sostituito dall’attuale testo vigente «Fermi restando i diritti dei prestatori di lavoro in caso di trasferimento d’azienda di cui alla normativa di recepimento delle direttive europee in materia, … ». 19 La Direttiva 2001/23/CE, nella sua versione più aggiornata, stabilisce:

9

dell’impianto della direttiva 77/187/CEE (del Consiglio del 14 febbraio 1977) realizzato con

l’intervento di riforma del ’98 (direttiva 98/50/CE del Consiglio del 29 giugno 1998).

Gli obiettivi primari delle modifiche introdotte nel ’98 furono dichiaratamente di rivedere

la direttiva 77/187/CEE alle luce dell'impatto del mercato interno, delle tendenze legislative degli

Stati membri per quanto riguarda il salvataggio delle imprese con difficoltà economiche, della

direttiva 75/129/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia

di licenziamenti collettivi, delle norme legislative già in vigore nella maggior parte degli Stati

membri, della giurisprudenza della Corte di giustizia (così il terzo “Considerando”).

Con riguardo a tale ultima finalità, qui di più specifico interesse, il quarto “Considerando”

precisava ulteriormente << … che la sicurezza e la trasparenza giuridiche esigono un chiarimento

della nozione giuridica di trasferimento alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia, …

>>, pur non intendendosi così modificare la sfera di applicazione della direttiva 77/187/CEE quale

interpretata dalla Corte.

Così, al comma 1 dell’art.1, divenuto lettera a) del medesimo luogo (<<La presente

direttiva si applica ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti ad un nuovo

imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione.>>), furono affiancati ulteriori due

capoversi, la lettera b), a mente della quale <<Fatta salva la lettera a) e le disposizioni seguenti del

presente articolo, è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di

un'entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al

fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o accessoria.>>; e la lettera c), a mente

della quale <<La presente direttiva si applica alle imprese pubbliche o private che esercitano

un'attività economica, che perseguano o meno uno scopo di lucro. Una riorganizzazione

amministrativa di enti amministrativi pubblici o il trasferimento di funzioni amministrative tra enti

amministrativi pubblici, non costituisce trasferimento ai sensi della presente direttiva.>>.

I “chiarimenti” di cui a tale ampliata e tuttora vigente formulazione realizzano – come è

noto - il recepimento nel testo normativo di una parte delle pregresse elaborazioni e indicazioni

Articolo 1 - 1. a) La presente direttiva si applica ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione. Articolo 1 - 1.b) Fatta salva la lettera a) e le disposizioni seguenti del presente articolo, è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un’entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria. Articolo 1 – 1.c) La presente direttiva si applica alle imprese pubbliche o private che esercitano un’attività economica, che perseguano o meno uno scopo di lucro. Una riorganizzazione … (omissis). Articolo 2 - 1. Ai sensi della presente direttiva si intende: a) per “cedente”, ogni persona fisica o giuridica che, in conseguenza di un trasferimento a norma dell’art. 1, paragrafo 1, perde la veste di imprenditore rispetto all’impresa, allo stabilimento o alla parte dell’impresa o dello stabilimento; b) per “cessionario”, ogni persona fisica o giuridica che, in conseguenza di un trasferimento a norma dell’art. 1, paragrafo 1, acquisisce la veste di imprenditore rispetto all’impresa, allo stabilimento o alla parte dell’impresa o dello stabilimento. … (omissis).>>.

10

giurisprudenziali. L’ottavo Considerando della direttiva 2001/23 ribadisce ora ulteriormente che

quei chiarimenti, resi nel ’98, non hanno modificato l’ambito di applicazione della direttiva, quale

praticata dalla Corte.

Tale rinnovata dichiarata consapevolezza del legislatore comunitario circa il perimetro

tracciato in via giurisprudenziale, espressa anche con riferimento alle decisioni successive alle

modifiche del ’98, avvalora ulteriormente la portata di quelle pronunzie, orientando decisamente

l’interprete verso una lettura del dato normativo coerente con la giurisprudenza.

Tale fatto assume una peculiare rilevanza con riguardo ai problemi sollevati dalla

delimitazione del campo di applicazione della direttiva ai trasferimenti di imprese etc. << … in

seguito a cessione contrattuale o a fusione.>>.

Va infatti ricordato che, in una risalente pronunzia 20 la Corte ebbe ad esprimere

consapevolezza del fatto che <<Il raffronto delle varie versioni linguistiche della disposizione di cui

trattasi mette in luce divergenze terminologiche, per quel che riguarda il trasferimento da cessione.

Mentre le versioni tedesca (‘vertragliche uebertragung’), francese (‘cession conventionnelle’),

greca (‘SYMSSATIKH EKXVRHSH’), italiana ('cessione contrattuale') e olandese ('overdracht

krachtens overeenkomst') si riferiscono chiaramente solo alle cessioni operate in forza di contratto,

consentendo così di concludere che ne vengono escluse altre modalità di cessione come quelle

risultanti da un atto amministrativo o da una sentenza del giudice, le versioni inglese ('legal

transfer') e danese ('overdragelse') pare definiscano un campo d’applicazione più ampio.>> (punto

11).; aggiungendo che << … Date queste divergenze, non si può valutare la portata della

disposizione litigiosa in base alla sola interpretazione letterale. E’ quindi opportuno chiarire il suo

significato alla luce dello spirito della direttiva ... >> (punto 13); e aggiungendo ancora che << …

la tutela dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, che la direttiva si propone di garantire,

rientra nella prospettiva dell’evoluzione economica e della necessità, enunciata dall’art. 117 del

Trattato, di promuovere il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della manodopera che

consenta la loro parificazione nel progresso. L’obiettivo della direttiva è quindi di impedire che la

ristrutturazione nell’ambito del mercato comune si effettui a danno dei lavoratori delle imprese

coinvolte. … >> (punto 18).

A dispetto di tale acclarata incertezza e nonostante le due occasioni di modifica della

disciplina, sulla questione il legislatore comunitario si è limitato ad avallare le soluzioni

interpretative avanzate dalla Corte.

20 CORTE DI GIUSTIZIA, sentenza del 7 febbraio 1985, H.B.M. Abels c. Direzione Bedrijfsvereniging voor de Metaalindustrie en de Electrotechnische Industrie, causa 135/83.

11

Tralasciata ogni valutazione sulla tecnica adottata dal legislatore comunitario che, in ordine

alla rilevanza dell’interpretazione giurisprudenziale, sembra recepire esperienze (o forse solo

suggestioni) di ordinamenti diversi dal nostro, lasciata da parte parimenti ogni considerazione sulla

coerenza, rispetto a tale sorta di manifesto programmatico (mi riferisco al caso Abels), delle

soluzioni di poi adottate in concreto dalla Corte, ogni riflessione sulla direttiva e sulle norme

nazionali di recepimento sembra dunque dover muovere dall’interpretazione che di quel testo ha

fatto la Corte, interpretazione che si dimostra nodale proprio sulla questione della rilevanza

contrattuale della cessione.

- II.3

A scorrer le sentenze della Corte, si nota subito che, nonostante quanto ora rilevato, manca

una compiuta espressione, per così dire “didascalica”, su cosa debba intendersi per cessione

contrattuale.

Il fatto non sorprende, poiché tendenzialmente, ma qui a ben vedere accade con

implicazioni maggiori che altrove, le opzioni della Corte si misurano con riferimento alla

risoluzioni del caso concreto, restando poi l’inquadramento sistematico di tali decisioni un

problema dell’interprete, soprattutto di recepimento nel diritto interno.

L’attenzione muove prioritariamente da talune risalenti pronunzie in cui, alla dichiarata

esigenza di fondare sulle finalità della direttiva la nozione di cessione contrattuale (resa incerta,

ribadisco, dalla differente portata che il riferimento letterale postulava nei diversi Stati comunitari),

fa seguito qualche specifica significativa indicazione sul punto, utile a comprendere come sia andata

delineandosi ed affinandosi l’interpretazione.

In una risalente sentenza della Corte 21, il giudice nazionale chiede se l’art.1, n.1, della

direttiva comprenda il caso in cui il proprietario dell’azienda data in godimento ricominci ad

esercitarla in seguito ad inadempimento del contratto da parte del conduttore. Contestata dalla parte

resistente la sussistenza di una cessione volontaria, la Corte afferma che << … Il nuovo esercizio

avviene anch’esso in base al contratto di locazione. Di conseguenza, qualora abbia l’effetto di far

perdere al conduttore la qualità di imprenditore, qualità che il proprietario acquista di nuovo, esso

deve del pari essere considerato un trasferimento d’impresa ad altro imprenditore, dovuto a

cessione contrattuale ai sensi dell’art.1, n.1, della direttiva.>> (punto 14).

Nella sentenza Harry Berg e J.T.M. Busschers c. Ivo Martin Besselsen 22, richiamati i

contenuti della suddetta precedente pronunzia, si specifica che occorre prescindere << … dal se la

21 nella causa 287/86 (SEZIONE III, 17 dicembre 1987, Landsorganisationen i Danmark for Tjenerforbundet i Danmark c. Ny Moelle Kro 22 nelle cause riunite C-144 e C-145/87 (SEZIONE V, 5 maggio 1988).

12

risoluzione derivi da un accordo fra le parti contraenti, da una dichiarazione unilaterale di una

delle parti oppure da una pronunzia giudiziaria. Infatti in tutti questi casi il trasferimento

d’impresa di cui trattasi rientra nell’ambito dei rapporti contrattuali. Di conseguenza la

restituzione dell’impresa, qualora abbia l’effetto di far perdere all’acquirente la qualità di

imprenditore, qualità che il venditore acquista di nuovo, deve essere considerata un trasferimento

d’impresa ad un altro imprenditore, dovuto a cessione contrattuale, ai sensi dell’art.1, n.1, della

direttiva.>> (punto 19).

Tale pronuncia (che vale anche a chiarire il senso della precedente, in effetti alquanto

oscuro) evidenzia che “l’elemento contrattuale” ricorre nella restituzione, quindi nello svolgimento

del rapporto contrattuale; lascia intuire altresì che la qualificazione contrattuale della vicenda non

esclude la rilevanza di altri concomitanti fattori nella realizzazione del “trasferimento di impresa”.

Occorre infatti che il venditore acquisti la qualità di imprenditore, il che non avviene ipso facto, in

forza della restituzione.

E’ di poco antecedente il caso "Daddy' s Dance Hall" 23 in cui la Corte afferma di già che

<< … Il fatto che … il trasferimento abbia luogo in due fasi, nel senso che l’azienda è dapprima

retrocessa dall’affittuario-gestore iniziale al proprietario, il quale ultimo la trasferisce poi al nuovo

affittuario-gestore, non esclude l’applicazione della direttiva, sempre che l’entità economica

conservi la propria identità, il che avviene in particolare quando, come nella fattispecie, la gestione

dell’impresa venga proseguita senza interruzione dal nuovo affittuario-gestore con lo stesso

personale impiegato nell’impresa prima del trasferimento.>>.

Similmente, nella sentenza nel caso Bork International 24, dopo aver specificato che << …

La direttiva si applica … in tutti i casi di cambiamento, nell'ambito di rapporti contrattuali, della

persona fisica o giuridica responsabile dell'esercizio dell'impresa che assume le obbligazioni del

datore di lavoro nei confronti dei dipendenti dell'impresa stessa .>> (punto 13), si confermano,

affinandole, le precedenti indicazioni: <<Ne consegue che, quando il conduttore avente la qualità di

imprenditore perda detta qualità alla fine del contratto di locazione ed un terzo la acquisti

successivamente in forza di un contratto di compravendita stipulato con il proprietario,

l'operazione che ne risulta può rientrare nella sfera d'applicazione della direttiva definita nell'

art.1, n.1, della stessa. Il fatto che, in un'ipotesi del genere, il trasferimento abbia luogo in due fasi,

nel senso che l' impresa è dapprima ritrasferita dal conduttore al proprietario, il quale la

trasferisce poi al nuovo proprietario, non esclude l'applicazione della direttiva, sempreché

l'impresa conservi la propria identità, il che avviene quando si tratti di un'entità economica ancora

23 causa 324/86, risolta con sentenza 10 febbraio 1988. 24 causa 101/87, III SEZIONE, 15 giugno 1988, P. Bork International a/s ed altri c. Foreningen AF Arbejdsledere i Danmark e Junkers Industrier A/S.

13

esistente il cui esercizio è effettivamente proseguito o ricominciato dal nuovo imprenditore con le

stesse attività economiche o con attività analoghe .>> (punto 14).

Ad assumere rilievo è l’operazione (in entrambi i casi tre i soggetti coinvolti, due i contratti

presi in esame), distinta in fasi ma riconosciuta unitaria, ed alla operazione nel suo complesso

sembra debba parametrarsi la verifica circa la sussistenza di rapporti contrattuali; l’esistenza dei

quali dovendosi evincere dal fatto che l’impresa ha conservato la propria identità. Per

l’affermazione di tale ultima condizione sono due gli elementi valutati necessari: la persistenza

dell’entità economica e la prosecuzione, ovvero l’inizio ex novo, da parte del nuovo imprenditore,

di uguali o analoghe attività. Se su quest’ultimo profilo la Corte farà in seguito ulteriore chiarezza,

assume di già rilievo un’implicita, ma sufficientemente delineata impostazione, secondo cui la

vocazione contrattuale della vicenda sembra possa attestarsi in via indiretta attraverso la verifica

sull’identità dell’impresa trasferita.

Nella sentenza Redmond Stichting 25, il caso in cui un comune, che finanzia, attraverso

sovvenzioni, le attività di una fondazione per l’assistenza ai tossicomani, decide di porre ad esse

fine, provocando così la cessazione delle attività della fondazione stessa, per trasferirle ad un'altra

fondazione, che prosegue le stesse attività, viene equiparato per analogia al precedente sopra

esaminato (punto 14). Al quesito del giudice a quo << … se la circostanza che la decisione di

trasferimento sia presa in maniera unilaterale dall'ente pubblico e che non risulti da un accordo

concluso da quest'ultimo con gli enti sovvenzionati non renda inapplicabile la direttiva … >>

(punto 15) si dà risposta negativa in quanto << … Al riguardo, non va presa in considerazione la

natura della sovvenzione, che è concessa mediante atto unilaterale accompagnato da talune

condizioni in alcuni Stati membri, mediante contratti di sovvenzione in altri.>>, ma il fatto che <<

… In ogni caso, il cambiamento del beneficiario della sovvenzione si compie nell'ambito di rapporti

contrattuali ai sensi della direttiva e della giurisprudenza. >> (quella da ultimo sopra richiamata),

come si evince altresì dal fatto (richiamato a ben vedere solo per incidens) che << … Per giunta,

benché la fondazione Redmond contesti, nelle sue osservazioni dinanzi alla Corte, che siano stati

conclusi accordi, il Kantongerecht rileva espressamente nella motivazione della sua ordinanza che

"sia la ricorrente che la fondazione Sigma si sono dichiarate pronte a collaborare attivamente al

'trasferimento' dei clienti/pazienti dalla ricorrente alla fondazione Sigma, ed al riguardo è stato

creato anche un gruppo di lavoro 'inserimento delle attività della fondazione Redmond nella

fondazione Sigma" … >> (punto 17).

Se non è la struttura delle sovvenzioni, negoziale o meno, che assume rilievo, al fine di

qualificare come contrattuale il trasferimento, resta qui incerto se (ammesso e non concesso che

25 causa 29/91, 19 maggio 1992, Dr. Sophie Redmond Stichting c. Hendrikus Bartol e altri.

14

l’attività svolta dalla fondazione sia riconducibile alla nozione di impresa) si debba, a quel fine,

comunque fare riferimento al rapporto tra il Comune e le Fondazioni.

Delle due l’una: posto che altrove la Corte aveva già chiarito che, se il trasferimento ha ad

oggetto attività comportanti l'esercizio di pubblici poteri, non si configura trasferimento di impresa

ai sensi della direttiva 26 o la Corte ha ritenuto che la concessione delle sovvenzioni non costituisse

esercizio di pubblici poteri (ma l’affermazione è del tutto indimostrata) e allora si può dare risposta

affermativa al quesito.

Oppure, più verosimilmente, si apre ad un’altra prospettiva, attribuendosi rilevanza alle

connessioni tra dismissione e ripresa dell’attività, nel senso che, ove lo strumento d’impresa

(l’insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica) non abbia mutato identità,

si giustifica sì il riconoscimento di una relazione di natura contrattuale, ma tra le due fondazioni (e

non dunque tra il Comune e le fondazioni), poiché in concreto i risultati dell’operazione sono quelli

di una cessione.

Ciò non esclude che, nella considerazione unitaria dell’operazione, si riconosca esser stata

la revoca delle sovvenzioni da parte del Comune a determinare la cessazione dell’impresa da parte

della fondazione Redmond e che la prosecuzione (o la ripresa) della medesima impresa sia stata resa

possibile dall’attribuzione delle stesse sovvenzioni a Sigma.

Nella sentenza Mercx e Neuhuys 27, la Corte (punto 30) chiosa le precedenti, rese nei

richiamati casi Redmond, Daddy’s Dance Hall e Bork, affermando che << … Da questa

giurisprudenza deriva che, affinché la direttiva trovi applicazione, non è necessario che esistano

rapporti contrattuali diretti tra il cedente ed il cessionario. … >> 28. Il che mi sembra valga a

rimarcare non tanto il fatto che tali rapporti possano essere indiretti, ma che i soggetti tra cui si

ritiene debbano intercorrere rapporti contrattuali sono, nei sensi di cui sopra, il cedente e il

cessionario.

Il successivo caso Süzen 29 delinea un’ulteriore distinzione. Si dice : <<L'assenza di un

legame contrattuale tra il cedente e il cessionario ovvero, come nella specie, tra i due imprenditori

ai quali siano stati in successione affidati i lavori di pulizia di un istituto scolastico, ancorché possa

costituire indizio quanto all'assenza di un trasferimento ai sensi della direttiva, non può rivestire

importanza determinante al riguardo.>>, ribadendosi quindi, attraverso un esplicito richiamo alla

26 sentenza 15 ottobre 1996, causa C-298/94, Henke, Racc. pag. I-4989, punti 14 e 17. 27 sentenza 7 marzo 1996, cause riunite C-171/94 e C-172/94, Mercx e Neuhuys. 28 E facendo applicazione del principio, la Corte prosegue: << … Di conseguenza, quando si pone fine ad una concessione di vendita di autoveicoli con una prima impresa ed una nuova concessione di vendita viene attribuita ad un' altra impresa che continua a svolgere la stessa attività, il trasferimento di impresa deriva da una cessione contrattuale ai sensi della direttiva, come interpretata dalla Corte. 29 Nella sentenza dell'11 marzo 1997, Ayse Süzen c. Zehnacker Gebäudereinigung GmbH Krankenhausservice - Causa C-13/95.

15

sentenza Merckx e Neuhuys, che << … Ai fini dell'applicazione della direttiva non è pertanto

necessaria l'esistenza di rapporti contrattuali diretti tra il cedente e il cessionario, atteso che la

cessione può essere effettuata anche in due fasi per effetto dell'intermediazione di un terzo, quale il

proprietario o il locatore>>.

Ad avviso della Corte sembra dunque potersi postulare la sussistenza di un rapporto

contrattuale, utile a configurare la nozione di cessione contrattuale, pur in assenza di un legame

contrattuale 30.

Nella sentenza nella causa C-343/98 31, richiesta «Se rientri nel campo di operatività

dell'art. 1 della direttiva CEE 77/187 il caso di un trasferimento oneroso, autorizzato con legge

dello Stato e disposto con decreto di un Ministro, di un'impresa esercita da un ente pubblico diretta

emanazione dello Stato ad una società privata, costituita da altro ente pubblico che ne detiene tutte

le azioni, quando l'attività oggetto del trasferimento sia affidata alla società privata in regime di

concessione amministrativa … >>, la Corte ha ritenuto soddisfatta l’esigenza di riscontro

dell’esistenza di un rapporto contrattuale attraverso un semplice rinvio al caso Redmond Stichting,

richiamato a sostenere l’assunto che: << ... il fatto che il trasferimento risulti da decisioni

unilaterali delle pubbliche amministrazioni e non da un concorso di volontà non esclude

l'applicazione della direttiva.>> (punto 34).

Alla luce di quel richiamo ed in considerazione della peculiarità del caso di specie, quale

che sia il fatto, o i fatti, che hanno determinato il trasferimento, un negozio (unilaterale o bilaterale),

una decisione della P.A., o anche la legge, non è dunque compito dell’interprete di risolvere il

problema della ricorrenza di una cessione contrattuale indagando la natura, contrattuale o meno, di

quei fatti.

Nel caso 32 Abler richiamata la formula ormai granitica che la direttiva << … trova

applicazione in tutti i casi di cambiamento, nell’ambito di rapporti contrattuali, della persona fisica

o giuridica responsabile dell’impresa, che assume le obbligazioni del datore di lavoro nei confronti

dei dipendenti dell’impresa stessa. >> (punto 39), la Corte ribadisce che <<Ai fini dell’applicazione

della direttiva 77/187 non è pertanto necessaria l’esistenza di rapporti contrattuali diretti tra il

30 Tale approccio, confermato nella successive sentenze nella cause riunite C-173/96 e C-247/96 (SEZIONE V, 10 dicembre 1998, Hidalgo e.a. c. Asociaciòn de Servicios Aser e altri), punti 22 e 23 e C-175-99 (26 settembre 2000, Didier Mayeur c. APIM) punto 45, sembra meno nitido nella sentenza nella causa C-51/00 (VI SEZIONE, 24 gennaio 2002, Temco Service Industries c. Samir Imzilyen e altri) in cui la Corte pur riportandosi a quanto già chiarito nelle precedenti sentenze (esplicitamente richiamati i casi Merckx e Neuhuys e Süzen) ritiene sufficiente, al fine di configurare il carattere contrattuale della cessione << …che il trasferimento s’inserisca nell’ambito degli stessi rapporti contrattuali indiretti.>> (punti 30 -34). 31 CORTE DI GIUSTIZIA, SEZ. VI, 14 settembre 2000, Collino e Chiappero c. Telecom. 32 sentenza nella causa C-340/2001, SEZIONE VI, 20 novembre 2003, Abler e altri c. Sodexo MM Catering Geselschaft mbH, l, in Il lavoro nella giurisprudenza, 2004, 27 ss., nota di D.Casale.

16

cedente e il cessionario, atteso che la cessione può essere effettuata per effetto dell’intermediazione

di un terzo, quale il proprietario o il locatore … >> 33.

L’esperienza delle precedenti richiamate pronunzie chiarisce a questo punto come il

riferimento ad una funzione intermediaria non implichi alcuna vocazione tecnica del termine.

Analoga rilevanza, nel contesto delle operazioni esaminate, è stata infatti riconosciuta all’esercizio

delle prerogative istituzionali da parte della P.A. (caso Redmond Stichting cit.), come pure

all’intervento del legislatore (caso Collino e Chiappero cit.).

Nella pronuncia, resa nella causa C-460/02 34, in cui la Corte dichiara incompatibile con la

direttiva 96/67 il regime di protezione sociale previsto all’art. 14 del nostro d.lgs n.18/99, poichè

l’obbligo imposto alle imprese interessate al subentro nella gestione dei servizi aeroportuali di terra

di riassumere il personale del precedente prestatore di servizi svantaggia i nuovi concorrenti

potenziali rispetto alle imprese già operanti e compromette l’apertura dei mercati dell’assistenza a

terra), a fronte dell’eccezione sollevata dalla Commissione, che denunciava nel caso di specie la

mancanza dell’<< …elemento chiave della cessione dell’impresa, cioè un accordo negoziato

implicito o esplicito …>>, la Corte glissa sul punto, ritenendolo evidentemente assorbito dalla

riaffermazione dei principii cardine, utili a stabilire se vi sia o meno un trasferimento ai sensi della

direttiva. Così si ribadisce che << … il criterio decisivo per stabilire se si configuri un trasferimento

ai sensi di tale direttiva consiste nella circostanza che l’entità in questione (n.d.r.: l’impresa, lo

stabilimento, la parte d’impresa o di stabilimento) conservi la propria identità, che risulta in

particolare dal fatto che la sua gestione sia stata effettivamente proseguita o ripresa>> 35 e che

<<Per determinare se sussistano le caratteristiche di un trasferimento di un’entità del genere, la

Corte ha dichiarato che deve essere preso in considerazione il complesso delle circostanze di fatto

che caratterizzano l’operazione di cui trattasi, fra le quali rientrano in particolare il tipo di

impresa o di stabilimento in questione, la cessione o meno di elementi materiali, quali gli edifici e i

beni mobili, il valore degli elementi immateriali al momento della cessione, la riassunzione o meno 33 ivi gli ulteriori richiami alle sentenze 7 marzo 1996, cause riunite C-171/94 e C-172/94, Mercx e Neuhuys, Racc., I-1253, punti 28-30; 11 marzo 1997, causa C-13/95, Süzen, cit., Racc., I-01259, punto 12, 24 gennaio 2002, causa C-51/00, Temco, Racc., I-969, punto 31. L'assenza di un legame contrattuale tra il cedente e il cessionario, ovvero tra i due imprenditori ai quali siano stati in successione affidati il servizio di aiuto a domicilio o il compito di sorveglianza del deposito sanitario, ancorché possa costituire indizio quanto all'assenza di un trasferimento ai sensi della direttiva 77/187, non può rivestire importanza determinante al riguardo (sentenza Süzen, cit., punto 11). Nel caso Abler, ora richiamato (v. testo) e nel successivo di cui alle cause riunite Nurten Güney-Görres (C-232/04), Gul Demir (C-233/04) contro Securicor Aviation (Germany) Ltd, Kötter Aviation Security GmbH & Co. KG, definito con sentenza della Corte 15 dicembre 2005, l’intervenuta risoluzione di un appalto, seguito dalla stipula di un successivo non esclude affatto la natura contrattuale della cessione, ai fini dell’applicazione della direttiva. 34 CORTE DI GIUSTIZIA, SEZ. I, 9 dicembre 2004, Commissione Comunità europee c. Repubblica italiana. 35 ivi i richiami alle sentenze 18 marzo 1986, causa 24/85, Spijkers, Racc. pag. 1119, punti 11 e 12, nonché 11 marzo 1997, causa C-13/95, Süzen, Racc. pag. I-1259, punto 10.

17

della maggior parte del personale da parte del nuovo imprenditore, il trasferimento o meno della

clientela, nonché il grado di analogia delle attività esercitate prima e dopo la cessione e la durata

di un’eventuale sospensione di dette attività. Tali elementi costituiscono tuttavia soltanto aspetti

parziali della valutazione complessiva cui si deve procedere e non possono, perciò, essere

considerati isolatamente.>> (punti 38 e 39) 36.

Costituisce un parziale elemento discontinuità rispetto alle precedenti pronunzia quanto la

Corte afferma in una recente sentenza 37, stabilendo che la necessità di un’interpretazione elastica

della nozione di cessione contrattuale << … riguarda anche la forma del «contratto» con cui si

realizza detta cessione. La nozione di cessione contrattuale può pertanto corrispondere, a seconda

dei casi, ad un accordo scritto o verbale tra il cedente ed il cessionario vertente su un cambiamento

dell’identità del responsabile della gestione dell’entità economica in esame o ancora ad un accordo

tacito concluso tra questi ultimi e risultante da elementi di cooperazione pratica da cui traspare

una comune volontà di procedere a siffatto cambiamento … .>>. Il perimetro precedentemente

tracciato – come si è visto – è ben più ampio: ma la dichiarata volontà della Corte di legarsi alle

precedenti sentenze commentate induce a rimandare ad eventuali ulteriori pronunzie ogni

considerazione circa un eventuale mutamento giurisprudenziale, allo stato da ritenersi improbabile 38.

- II.4

L’esame compiuto, finalizzato ad individuare la nozione di cessione contrattuale

selezionata dalla Corte, apre a due distinti possibili esiti; preciso subito che uno dei due mi sembra

però possa accantonarsi, per talune incoerenze che esso sembra scontare.

Potrebbe infatti ritenersi, dando eccessivo credito a qualche apertura lessicale rinvenuta

nelle sentenze, che per la Corte si configuri cessione contrattuale ogni qual volta l’operazione che

dà luogo al sub ingresso nella gestione dell’impresa si realizzi in un contesto del quale sia elemento

un contratto; a dire cioè che, rispetto alla sequenza degli atti e dei fatti che determinano il

trasferimento e che descrivono la relativa operazione, sia sufficiente che preesista una relazione di

36 Casi Spijkers, punto 13 , Caso Redmond cit., punto 24, Süzen, punto 14. 37CORTE DI GIUSTIZIA, 3 settembre 2007, nel procedimento C-458/05, causa Mohamed Jouini + 24 contro Princess Personal Service GmbH, punto 25 della motivazione. 38 Cfr. CORTE DI GIUSTIZIA, 3 settembre 2007 cit., punto 24 della motivazione. Ulteriori dubbi sono indotti dall’esame del caso concreto, concernente l’affermata applicazione della direttiva sostanzialmente ad un caso di sviamento di clientela e di storno parziale di dipendenti di un’impresa di lavoro interinale, operato dall’ex direttore industriale in un contesto di crisi aziendale dell’impresa qualificata cedente. Che il caso descritto evidenzi un accordo tacito, anche solo risultante da elementi di cooperazione pratica, da cui traspaia la comune volontà di procedere al trasferimento d’impresa, francamente non sembra perspicuo, riferendosi in motivazione della sola volontà dei soggetti poi passati alla nuova gestione.

18

tipo contrattuale, ovvero che essa possa riconoscersi esistente di seguito al trasferimento. Non

sarebbe nemmeno postulato in tal senso come necessario il riscontro di rapporti funzionali, causali,

tra le relazioni contrattuali prese in esame e il trasferimento.

Il fatto però che, nelle sentenze prese in esame, la Corte abbia ripetutamente prestato

decisiva attenzione alle relazioni contrattuali tra cedente e cessionario (individuati così come la

direttiva li qualifica), a configurare il presupposto richiesto dalla direttiva, vale a chiarire che

l’approccio della Corte è diverso, più articolato di quanto questa prima lettura potrebbe far pensare

e induce ad accantonare l’ipotesi.

Vero è che la Corte, come la direttiva, segue l’operazione nel suo dispiegarsi.

Un soggetto (il cedente) perde la veste di imprenditore rispetto ad un’impresa (ad uno

stabilimento o a parte dell’impresa o dello stabilimento) ed un altro l’acquisisce (il cessionario).

L’(effettiva) prosecuzione o ripresa della gestione d’impresa, da parte di un soggetto

diverso rispetto a quello cui era in precedenza riferibile, è considerata nella sua valenza di primo,

generico indice della persistenza dell’<<entità economica>> nella sua identità, riconosciuta dunque

tale, per gli effetti che rilevano, anche al mutare del suo riferimento soggettivo.

Ma perché possa parlarsi di prosecuzione o ripresa della gestione e, quindi, perché tale

affermazione di identità sia possibile e plausibile, occorre poter riscontrare la sussistenza in fatto di

una serie di circostanze, rilevanti in diversa guisa, a seconda della tipologia di impresa: l’utilizzo da

parte del nuovo imprenditore dei medesimi elementi materiali (quali gli edifici e i beni mobili) e

immateriali, la riassunzione della maggior parte del personale, il passaggio della clientela, il grado

di analogia delle attività esercitate prima e dopo la cessione, la durata di un’eventuale sospensione

di dette attività.

La prosecuzione o ripresa della gestione e tali circostanze, fatti complessivamente

considerati, determinano la rilevanza dell’operazione ai sensi dell’art. 1, n.1, della direttiva, aprendo

all’affermazione dell’avvenuto trasferimento 39.

Occorre sottolineare che la lett.b del comma 1 dell’art.1 della direttiva, diversamente da

quanto sembrerebbe voler suggerire la lettera della norma, non enuncia alcuna nozione di

“trasferimento”, limitandosi invece ad indicare quale sia l’oggetto del trasferimento rilevante.

39 Nella richiamata sentenza CORTE DI GIUSTIZIA, 15 dicembre 2005, nei procedimenti Nurten Güney-Görres (C-232/04), Gul Demir (C-233/04) contro Securicor Aviation (Germany) Ltd, Kötter Aviation Security GmbH & Co. KG, si afferma che << … si deve ricordare che il trasferimento dei mezzi di produzione rappresenta solo un aspetto parziale della valutazione complessiva che il giudice nazionale deve compiere nella verifica della sussistenza di un trasferimento d’impresa o di stabilimento ai sensi dell’art. 1 della direttiva 2001/23.>> (punto 44).

19

La nozione di trasferimento si determina in relazione alla funzione realizzatasi in concreto,

che si coglie nelle definizioni di cedente e cessionario che reca l’art. 2, comma 1, lett.re a) / b),

della direttiva, che più precisamente indicano i criteri connotativi delle operazioni da ricondurre alla

nozione di trasferimento.

Si intendono per tali quelle che, portando il cedente a perdere la veste di imprenditore

rispetto all’impresa e il cessionario ad acquisirla, realizzano la sostituzione tra due distinti soggetti

nella gestione di quel compendio descritto dalla direttiva e dettagliato dalla Corte.

Il fatto che tale vicenda debba qualificarsi contrattuale non postula per la Corte che gli esiti

dell’operazione descritta o delle sue fasi (perdita della qualità di imprenditore etc.) si configurino

quale effetto negoziale. Né, più nello specifico, il trasferimento in capo al cessionario dei diritti e

degli obblighi del cedente, che risultano dai rapporti di lavoro, realizzano una modificazione del

profilo soggettivo di tali rapporti che debba configurarsi come effetto negoziale.

E’, quest’ultimo, un effetto imposto e inderogabile, che grava su di un soggetto, il

cessionario, che la direttiva e, in coerenza la Corte, qualifica non già come parte contrattuale, ma

come persona fisica o giuridica che, in conseguenza di un trasferimento (a norma dell’art.1,

paragrafo 1), acquisisce la veste di imprenditore rispetto alla medesima impresa (allo stabilimento o

a parte dell’impresa o dello stabilimento).

Si è visto che, per la Corte, la sussistenza di un legame tra cedente e cessionario può essere

irrilevante per il determinarsi o meno dell’effetto imposto (sopra, caso Süzen); nondimeno, al fine di

poter realizzare l’imputazione al cessionario di quei diritti ed obblighi, occorre bene che si

configurino dei presupposti giuridici giustificativi.

Qui si evidenzia l’elemento di originalità dell’impostazione.

La latenza dello strumento contrattuale è superata attraverso il riscontro circa l’effettivo

esercizio dell’impresa, la cui imputazione vale quale criterio di attribuzione al cessionario di ogni

conseguenza ad esso esercizio riconducibile. E poiché la verifica positiva circa la permanenza

dell’identità dell’impresa esercitata (rispetto alla precedente) coglie il cessionario nella medesima

situazione giuridica dell’avente causa di un trasferimento aziendale, l’acclarato presupposto della

prosecuzione o dell’esercizio ex novo della medesima impresa consente di scavalcare a piè pari il

problema (altrimenti ineludibile) della volontarietà del comportamento del cessionario (in relazione

agli effetti inderogabili che la direttiva prescrive).

Tanto basta per imporre al cessionario l’imputazione dei diritti e degli obblighi di cui ai

rapporti di lavoro “aziendali” e, in coerenza, per postulare l’avvenuta modifica soggettiva del

rapporto di lavoro.

20

L’avvenuto compimento di una cessione va accertata, nei sensi sopra esplicitati, con

riferimento alle definizioni rese dalla direttiva. Ove il riscontro sia positivo si apre il problema della

sua qualificazione come contrattuale. Tale aggettivazione non postula però l’esistenza di un

contratto, né di un legame contrattuale; si limita a descrivere e qualificare quella posizione del

cessionario, che le enunciate peculiarità dell’operazione segnalano.

- III. L’APPLICAZIONE ANALOGICA DELL’ART.2557 C.C. IN ALCUNE RECENTI SENTENZE DELLA

CASSAZIONE. - III.1

Con la nota sentenza n.549/97 40, la Cassazione:

- afferma che il divieto di concorrenza disciplinato all’art. 2557 c.c. non ha carattere di

eccezionalità (rispetto al principio di libertà di concorrenza, presupposto dall’art.2596 c.c. e più in

generale, rispetto al riconoscimento della libertà di iniziativa economica privata sancita dall’art.41

Cost.);

- apre in coerenza ad una interpretazione estensiva della norma su base analogica;

- realizza una concreta applicazione analogica del disposto dell’art.2557 c.c. ad un caso di

trasferimento di partecipazioni in s.n.c., affermando che tale operazione configura un "caso simile"

all’alienazione di azienda prevista dalla norma, allorché dà luogo "sostanzialmente" allo stesso

fenomeno che essa ha inteso disciplinare;

- afferma che tale equiparazione va accertata in concreto tenendo conto di tutte le

circostanze e le peculiarità del caso e va condotta con estremo rigore 41.

Dichiarata premessa, alla base dello sviluppo argomentativo, è la riaffermazione

dell’orientamento espresso nella sentenza n.13762/1991, secondo il quale la "alienazione"

dell’azienda comprende non solo la vera e propria alienazione, ma tutte le ipotesi di sostituzione di

un imprenditore all’altro nell’esercizio dell’impresa come conseguenza diretta della volontà delle

parti o di un fatto da esse espressamente previsto.

40 CASS., SEZ. I, 20-01-1997, n. 549, in Foro it., 1997, I, 1498; in Contratti, 1997, 267, n. CARNEVALI; in Dir. fallim., 1997, II, 448, n. LAPENNA; in Giust. civ., 1997, I, 1289, n. ALBERTINI. Nel caso che ha dato origine alla sentenza, due soci di s.n.c. cedono ai restanti la propria partecipazione; informati che gli ex soci stanno per intraprendere un’attività identica a quella ad oggetto della società, i restanti chiedono tutela in giudizio ex art.2557 c.c.. 41 V. anche APP. MILANO, 07-11-2003, Soc. Serigraf c. Colombo, in Giur. dir. ind., 2005, 208: <<L’equiparazione sostanziale della cessione di quote sociali alla cessione d’azienda, costituente il requisito indispensabile per l’applicazione della cessione di quote del divieto di concorrenza ex art. 2557 c.c., va accertata tenendo conto di tutte le circostanze e peculiarità del caso e con estremo rigore, il che richiede necessariamente un approfondito esame dell’organizzazione dell’azienda che si assume ceduta, con riferimento alle sue componenti materiali e personali e, soprattutto, al ruolo ricoperto e all’attività in essa svolta dai soci cedenti.>>.

21

Non interessa qui ripercorrere le condivisibili argomentazioni che postulano il

convincimento circa la natura non eccezionale del divieto di cui all’art.2557 c.c. 42, ma focalizzare

l’attenzione sullo sviluppo argomentativo che da quella premessa muove 43.

42 Parafrasando la motivazione, la natura eccezionale della norma è stata per il passato desunta dalla considerazione che essa costituirebbe eccezione al principio di libertà di concorrenza, i cui limiti di ammissibilità sarebbero tracciati all’art. 2596 c.c. Che tale ultima norma sottenda il principio di libertà di concorrenza è considerazione condivisa dalla Corte: ma da ciò non può indursi che il divieto di concorrenza previsto dall’art. 2557, primo comma, c.c. costituisca eccezione al principio generale di libertà di concorrenza. Le due distinte fattispecie disciplinano non la concorrenza in sé, e cioè la concorrenza di un soggetto rispetti ad altri indeterminati soggetti, ma gli effetti che sulla concorrenza tra due soggetti determinati ha il rapporto che questi stessi hanno instaurato tra loro. 43 Questa la parte saliente della motivazione: << … Occorre ora stabilire in astratto se sia ipotizzabile l’applicazione analogica dell’art. 2557, primo comma, c.c. alla (ipotesi di) cessione di quote sociali tenendo conto che per contrastare l’ammissibilità di tale applicazione è stato rilevato: a) che la norma prevede solamente l’alienazione dell’azienda e richiede che l’alienazione concerna l’azienda nella sua totalità in quanto non contempla la alienazione parziale (si è ritenuto che concreti l’ipotesi normativa anche la alienazione di un ramo "autonomo" dell’azienda: ma in tal caso è agevole comprendere l’estensione); b) che i due contratti - cessione di azienda e cessione di quote - sono stipulati da soggetti diversi e che la cessione di quote può determinare eventualmente la ricostituzione della pluralità dei soci. Al fine occorre premettere che con la norma si è inteso disciplinare espressamente in modo formale il divieto di concorrenza, il quale nella vigenza del codice precedente non era previsto, ma era ritenuto operante - per evitare che l’alienante, il quale con l’azienda aveva ceduto, ricevendone il corrispettivo, anche l’avviamento e in particolare la clientela, potesse, iniziando la medesima attività, riappropriarsi, facilitato dalla sua specifica capacità concorrenziale, del valore dell’avviamento - sulla base dei principi generali - inizialmente individuati nella garanzia per evizione e nella correttezza professionale - di esecuzione dei contratti secondo buona fede o di integrazione dei contratti secondo equità o dell’obbligo posto a carico del venditore di garantire al compratore il pacifico godimento della cosa vendutagli. Si vuol con ciò rilevare che con la norma si è inteso porre formalmente quella medesima tutela che prima veniva desunta da principi generali dell’ordinamento, peraltro di diversa estrazione: con la conseguenza che devono ritenersi concretanti "casi simili" - condizione questa per l’applicazione analogica - quelli che esprimono la medesima indicata ragione di introduzione della norma, e cioè la necessità di quella tutela precedentemente accordata sulla base di principi generali e che la norma - si ripete - ha solamente inteso ribadire espressamente. E va al riguardo sottolineato che secondo il più recente orientamento di questa Corte il principio di buona fede, che si specifica nel dovere di ciascun contraente di cooperare alla realizzazione dell’interesse della controparte, si pone come limite di ogni situazione, attiva o passiva, negozialmente attribuita, determinando così integrativamente il contenuto e gli effetti del contratto: Cass., n.3775/1994.Non sono quindi di ostacolo - si ripete: in via astratta - all’ammissibilità dell’applicazione analogica della norma le considerazioni di cui sopra (sub a e b). Esse rilevano invece in concreto, e cioè nell’accertare se effettivamente la cessione di quote concreti "sostanzialmente" lo stesso fenomeno - alienazione di azienda: intesa nel senso di sostituzione di azienda, come all’inizio indicato - che l’art. 2557, primo comma, c.c. ha inteso disciplinare. Dette considerazioni difatti devono essere tenute presenti e valutate al fine della individuazione della ricorrenza della sostanziale equiparazione della cessione di quote alla alienazione dell’azienda dal momento che tale equiparazione dev’essere accertata in concreto, e quindi tenendo conto di tutti gli elementi che incidono - positivamente o negativamente - sull’equiparazione stessa. In conclusione la ricorrenza della sostanziale equiparazione va accertata in concreto tenendo conto: a) che la sostituzione (come all’inizio individuata) di un soggetto ad un altro nell’azienda - e cioè la alienazione di azienda prevista dall’art. 2557, primo comma, c.c. - può considerarsi verificata allorché sia stata posta in essere una cessione di quote - la totalità, la quasi totalità o (anche) una quantità minore delle stesse - se sulla base di tutte le circostanze del caso concreto, possa desumersi che tale cessione abbia concretato quella sostituzione (alienazione di azienda) che la norma ha inteso disciplinare; b) che la verifica concreta di tale sostanziale equiparazione deve essere condotta con estremo rigore perché con la equiparazione si fanno discendere da una situazione fattualmente meno estesa di quella prevista dalla norma gli stessi effetti che questa riconduce alla situazione fattualmente più ampia da essa stessa prevista>>.

22

Per affermare in via analogica la vigenza del divieto, nell’individuare gli elementi di

somiglianza delle fattispecie, giustificativi dell’applicazione della medesima disposizione (apertis

verbis, quella di cui all’art.2557 c.c.), bastava forse fermarsi a rimarcare:

- (a) l’esistenza comune alle due operazioni di un trasferimento (dell’azienda nell’ipotesi

tipizzata dal legislatore, delle partecipazioni sociali nell’ipotesi assimilata) che rende attuale il

rischio di una concorrenza differenziale;

- (b) che in entrambe il trasferimento qualifica il cedente come potenziale autore di

concorrenza differenziale.

Ci si poteva altresì fermare sulla soglia della riaffermazione di quei principii, pur

richiamati in motivazione, giustificativi di una concreta soluzione del caso sulla base dell’analogia

iuris.

Nell’accreditare viceversa una soluzione già meditata e propugnata 44, si è scelto un

percorso che fa leva su nuove e peculiari argomentazioni, anche se poi sembra mancare un coerente

sviluppo delle premesse.

44 Una prima apertura a favore (a proposito del trasferimento dell’intero pacchetto azionario da parte dell’unico azionista) già in F.FERRARA JR, Teoria dell’azienda, II ed., Firenze, 1949, p.373, nota 3 e in risalenti pronunzie di merito: v. APP. BOLOGNA, 2 agosto 1954, in Foro Pad., 1954, I, 1124 e in Temi, 1955, 141 (nota adesiva di L.SORDELLI), dove anche la sentenza di primo grado TRIB.PIACENZA, 18 agosto 1953, che ritenne applicabili al caso in esame (concernente il caso in cui uno dei due soci di una società cui fa capo un’azienda commerciale cede all’altro socio la propria quota sociale e, per l’effetto di tale cessione, quest’ultimo, sciolta la società, si trovi unico “proprietario” dell’azienda medesima) sia la norma sul divieto di concorrenza ex art.2557 c.c. sia la tutela in tema di concorrenza sleale. La sentenza è cassata dal Supremo Collegio con la pronunzia del 23 giugno 1956, n.2245, in Riv.dir.ind., 1957, II, 106 (nota critica di V.LA

GIOIA, Alienazione di quota sociale e obbligo di non concorrenza, ivi, loc.cit., spec. p. 112; cui addé G.GUGLIELMETTI, Limiti negoziali della concorrenza, Padova, 1961, p. 256 ss.; avverso la sentenza cassata si esprime parimenti ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, III ed., 1960, p.76, affermando che l’applicazione del divieto di concorrenza, in quel contesto, possa ritenersi ammissibile solo ove si dimostri sussistente l’assunzione di un obbligo specifico al riguardo. Per quanto riguarda le società di capitali, a seguire, l’illustre autore delinea di già la soluzione poi sviluppata nella più recente giurisprudenza, stabilendo parimenti l’inapplicabilità della norma sul divieto di cui all’art.2557, a meno che, in base all’interpretazione del caso concreto, la cessione di tutto o anche parte delle quote o azioni, secondo buona fede, non sottenda in effetti una cessione d’azienda. G.AULETTA, in Alienazione dell’azienda e divieto di concorrenza, in Riv.Trim.Dir.Proc.Civ., 1956, 1235 s. e in Dell’azienda, Commentario al Codice Civile a cura di A.Scialoia e G.Branca, Bologna-Roma, 1961, 50 s, si dichiara favorevole a che, alienata un’azienda da parte di una s.n.c., il divieto di concorrenza gravi non solo sulla società, ma anche sui singoli soci (fondando sulla mancanza di personalità giuridica di tale compagine societaria); al medesimo risultato perviene, valorizzando ulteriori percorsi interpretativi, CASANOVA, Impresa cit., 774 ss. Contrari all’applicazione dell’art.2557 alla cessione di quote sociali GRECO, Corso di diritto commerciale, III ed., Milano, 1955, 305, G.FERRARI, voce Azienda (dir.priv.), in Enc.dir.., V, Milano, 1959, p.711. Tra i favorevoli, COLOMBO, L’azienda cit., 183 ss., G.U.TEDESCHI, Le disposizioni generali sull’azienda, in Tratt.dir.priv., diretto da P.Rescigno, Torino, 1983, 38. Riesamina criticamente le sentenze richiamate e l’assimilazione tra partecipazioni e beni sociali, affermando << … l’impossibilità dal punto di vista giuridico di ricondurre, seppur indirettamente, il trasferimento dei titoli azionari alla cessione dei beni sociali … >>, A.TINA, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, Milano, 2007,186 ss. (ivi, 205).

23

La scelta qualificante della decisione mi sembra si palesi nel ricondurre il caso oggetto di

esame a quella dilatata nozione di trasferimento d’azienda secondo cui essa si configura non solo

nella vera e propria alienazione, ma in tutte le ipotesi di sostituzione di un imprenditore all’altro

nell’esercizio dell’impresa come conseguenza diretta della volontà delle parti o di un fatto da esse

espressamente previsto; a fronte di tale opzione di fondo, dichiarata a chiare lettere, la Corte non

realizza però l’applicazione in via immediata e diretta della disciplina di riferimento, come forse

sarebbe lecito attendersi, ma segue la strada dell’applicazione analogica.

Delle due l’una: o la fattispecie di riferimento ha concretezza e rilevanza giuridica, il che

vale se e in quanto al suo configurarsi sia ricollegata l’applicazione di una specifica disciplina,

ovvero l’inquadramento proposto resta del tutto vago e soltanto evocativo di un significato poi

disatteso.

Nell’economia delle valutazioni dalla Corte, indicate programmaticamente come snodo

fondamentale per la risoluzione di futuri casi simili, ciò che diventa dirimente è la verifica circa

l’avvenuta sostituzione di un soggetto ad un altro nell’azienda, che anche una cessione di quote è

potenzialmente in grado di realizzare, anche se essa è dichiaratamente presentata come situazione di

fatto meno estesa di quella situazione di fatto più ampia prevista dalla norma (il riferimento è

all’art.2557 c.c.): il che però – ad avviso della Corte – vale solo ad imporre che l’accertamento sia

particolarmente rigoroso.

Nella successiva nota pronuncia n.9682 del 2000 45 la Cassazione, questa volta chiamata a

valutare la rilevanza di un trasferimento di quote di s.r.l. al fine dell’applicabilità del divieto di

concorrenza a carico del cedente ex art.2557 c.c.:

- amplia il novero delle considerazioni svolte nel precedente caso richiamato, a sostenere la

natura non eccezionale del disposto di cui all’art.2557 e dunque la possibilità di una sua astratta

applicazione analogica 46;

- riconduce la scelta di fondo sull’applicazione dell’art. 2557 codice civile, ad una mera

valutazione del rischio concorrenziale cui l’operazione dà luogo, in relazione alla realtà economica

di mercato 47;

45 CASS., SEZ. I, 24-07-2000, n. 9682, in Foro it., 2000, I, 3115, n. RORDORF; in Guida al dir., 2000, fasc. 35, 17, n. GAGLIONE; in Dir. e giustizia, 2000, fasc. 30, 50. 46 Secondo la Corte Suprema, poiché la libertà economica privata si identifica con la garanzia di un libero mercato, e poiché quest’ultimo è tale se assicura identica libertà per ciascuno dei suoi attori, la legge intende impedire che l’esercizio senza limiti del diritto di intrapresa da parte di taluno pregiudichi il diritto del concorrente (cfr. anche Cass. n. 827 del 1999, resa in tema di L. n. 287 del 1999, ma utile nella specie per i riferimenti generali), esprimendosì l’esigenza che il diritto del singolo ad intraprendere, di cui l’acquisto di un’azienda è esercizio, non venga frustrato dal comportamento dell’alienante. 47 Questa la parte saliente della motivazione: << … è ben possibile che la cessione di quote di partecipazione societaria realizzi il presupposto del pericolo concorrenziale analogo a quello conseguente alla cessione di azienda vera e propria. E ciò indipendentemente dalla natura giuridica della società in

24

Così motivando, la Corte sembra invero preoccupata di decolorare la precedente

richiamata pronunzia di ogni tecnicismo in ordine alla riconosciuta riconducibilità della esaminata

cessione di quote alla dilatata nozione di alienazione di azienda (melius, di sostituzione di un

imprenditore all’altro nell’esercizio dell’impresa come conseguenza diretta della volontà delle parti

o di un fatto da esse espressamente previsto).

La Corte sembra assuma consapevolezza del fatto che, ad insistere nel percorrere quella

prospettiva, si palesa inevitabilmente un nodo da sciogliere: l’applicazione dell’art.2557 c.c., in

quanto derivante dall’assimilazione di quell’operazione ad una alienazione di azienda, postula la

necessità di affrontare il quesito circa l’ulteriore applicabilità delle norme che risultano inderogabili

in quel contesto, significativamente le disposizioni di cui agli artt. 2560 e 2112 del codice civile.

L’idea di fondo che si esprime (o forse l’espediente) è allora che la questione vada

impostata esclusivamente in termini di diritto della concorrenza, inteso (non so se a buon diritto)

come un universo separato non condizionato da esigenze di qualificazione univoche e unitarie del

fenomeno preso in esame (a dare ulteriore rilevanza alla tutela accordata al cessionario della quote

la Corte ne afferma l’interesse ad agire e la piena legittimazione, ma, letteralmente, sotto il profilo

della lesione del suo diritto di iniziativa economica a mezzo della attività concorrenziale posta in

essere dal cedente).

Che l’approccio prescelto nella sentenza ora commentata non sia proprio del tutto

convincente se ne avvede – se non erro - la stessa Corte, nella successiva pronuncia n. 6169 del

2003 48 in cui, pur richiamati i precedenti, si afferma l’inapplicabilità del divieto di cui all’art.2557

c.c. al socio che recede da società in nome collettivo, poiché in tale ultimo caso, a differenza che nei

pregressi, non si determina alcun trasferimento, diretto o indiretto, della titolarità dell’azienda.

questione ovvero dal fatto che essa sia di persone o di capitali, contrariamente a ciò che ritiene il resistente. Non può escludersi infatti che attraverso la forma della cessione di quote si pervenga in realtà all’obiettivo di cedere una precipua attività di impresa. Cosicché la concorrenza eventuale del cedente può realizzare, in astratto, analoga pericolosità per l’effettivo dispiego del diritto di impresa a danno del cessionario, attraverso analoga possibilità di sviamento di clientela. La giurisprudenza più antica si è occupata della definizione del concetto di cessione di azienda, ma essenzialmente nella prospettiva della responsabilità del cedente, anche lavoristica o fallimentare, in ordine alle obbligazioni sociali, e sotto tale profilo ha escluso la equiparazione della cessione delle quote alla cessione di azienda. (Cass. 2784 del 52; 980 del 55, 1786 del 1981, nonché per un caso di cessione di pacchetto di controllo, sotto il profilo lavoristico, Cass. n. 8145 del 1992). Ma tali esperienze non soccorrono nella specie giacché la prospettiva concorrenziale pone al centro della sua osservazione, come si è detto, anche in armonia con il Trattato Cee, la realtà economica di mercato cui la cessione dà luogo. In base ad essa si può prescindere, caso per caso, dalla visuale formale basata sulla distinta soggettività giuridica del cedente rispetto alla società le cui quote sono in questione. Detta prospettiva pertanto ha da tempo fatto sì che si pervenisse ad affermare, da autorevole e diffusa dottrina, la sostanziale analogia, sotto il predetto profilo, delle fattispecie della cessione delle quote e della cessione di azienda. … >>. 48 CASS., SEZ. I, 17-04-2003, n. 6169, in Notariato, 2003, 465, in Giur. it., 2003, 2091.

25

L’iter processuale consente di puntualizzare, rispetto alla precedente pronunzia n.9682 del

2000, che: <<Una corretta impostazione del tema in discussione richiede anzitutto che si tengano

distinte due ipotesi in sé ben diverse: quella della violazione del divieto di concorrenza e quella

della concorrenza sleale. E' chiaro che, nel primo caso, l'illiceità della condotta imputata a chi

violi quel divieto sta nel fatto stesso di svolgere un'attività concorrenziale non consentita.

Prescinde, quindi, da qualsiasi ricerca di una specifica intenzionalità nociva e dipende dalla mera

violazione del divieto, legale e convenzionale: onde da essa si genera una responsabilità di natura

contrattuale. Nel secondo caso, viceversa, l'attività può essere in sé del tutto lecita, ma è il modo

del suo svolgimento che la rende sleale, e dunque illegittima, generandosi da essa una forma di

responsabilità assimilabile a quella aquiliana. (…). Non solo, peraltro, la previsione del citato art.

2557 appare, dal punto di vista giuridico, estranea al tema della concorrenza sleale - e presuppone

una "causa petendi" diversa da quella posta a base della domanda proposta nel presente giudizio -

ma essa configura una situazione comunque non riconducibile a quella che di fatto è stata dedotta

in causa. Altro è, infatti, la cessione di un'azienda dal precedente titolare ad un diverso soggetto,

che perciò di quella medesima azienda, con tutti i valori materiali ed immateriali da cui essa è

composta, divenga a propria volta titolare; altro è il recesso di un socio da una società personale,

la quale continua ad esistere come autonomo centro di imputazione giuridica cui sotto ogni profilo

è riferita la titolarità dell'azienda. … >>.

Sebbene il trattamento differenziato tra cessione di quote e recesso 49, che la Cassazione

opera, appaia stridere con la sopravvenuta impostazione legislativa del recesso come strumento di

exit, la motivazione della sentenza in esame si evidenzia incisiva nel riaffermare l’ambito

contrattuale dell’azione ex art.2557 c.c., che mi sembra contraddica la tutela del cessionario

affermata nella pregressa sentenza sulla base di una riscontrata violazione del diritto di intrapresa.

- III.2

Che succede, ove quella peculiare figura di cedente descritta dai casi in esame, pur

considerato gravato dal divieto, per legge (ove si ritenga applicabile l’art.2557 c.c.) oppure per patto

49 Prosegue la Corte: << … E' vero che la più recente giurisprudenza di questa corte ha negato carattere di eccezionalità al divieto stabilito dal citato art. 2557, ammettendone l'applicazione anche in caso di cessione delle quote della società titolare dell'azienda, quando ciò produca sostanzialmente la sostituzione di un soggetto ad un altro nella conduzione della struttura aziendale (Cass. 20 gennaio 1997, n. 549; 16 febbraio 1998, n. 1643; 24 luglio 2000, n. 9682). Ma, nel caso di recesso del socio, non si determina alcun trasferimento, diretto né indiretto, della titolarità dell'azienda e non vi sarebbe quindi ragione per porre a carico del socio receduto un generale divieto di concorrenza analogo a quello che la legge pone a carico dell'alienante dell'azienda (e non rileva, a tal fine, se il recesso provochi il venir meno della pluralità dei soci, non derivandone comunque l'immediata estinzione del soggetto societario né, comunque, una situazione in qualche modo assimilabile ad un trasferimento di azienda). (…).>>. Il trattamento differenziato tra recesso e cessione di quote risale ad autorevole dottrina; v. ASCARELLI, Teoria cit., 76.

26

negoziale, svolga poi attività in concorrenza con la società di cui ha ceduto la partecipazione

“qualificata”?

Nelle decisioni richiamate, che aprono all’interpretazione analogica dell’art.2557 c.c., si

assume implicitamente che il cessionario possa instare per ottenere il risarcimento del danno subito;

danno che si determinerebbe in ragione di una sopravvenuta minusvalenza della quota di

partecipazione acquisita che, prezzata nello strumento di trasferimento (anche) in ragione

dell’avviamento, subirebbe il riflesso delle conseguenze negative a carico dell’azienda societaria

portate dall’illegittima concorrenza del cedente.

Chiedo: in questa rappresentazione ipotetica, la società, titolare dell’azienda, resta

testimone muto ovvero, se non altro nell’interesse di eventuali soci minoritari, non è astrattamente

ipotizzabile un’ulteriore azione risarcitoria, da parte della società questa volta, esperibile sempre nei

confronti dell’ex socio che, ceduta la partecipazione qualificata, avvalendosi delle cognizioni e

dell’esperienza acquisite quale effettivo gerente dell’azienda societaria, si adopra a stornarne in

proprio favore l’avviamento?

Con consapevolezza pragmatica, la sentenza n. 6169 del 2003 sembra supporre la

plausibile valutazione di tale comportamento come atto di concorrenza sleale, ai sensi dell’art.2598

c.c..

Si apre così – mi sembra - ad una duplicazione di azioni, quella che fa capo al socio

cessionario e quella ora ipotizzata a vantaggio della società; non riterrei però che il

cedente/imprenditore possa esser chiamato a risarcire sia la società che il cessionario, perché, ove la

società venga risarcita, dovrebbe potersi dire che il danno a carico del cessionario venga meno

(sebbene non sia proprio semplice dire con quali conseguenze sul piano processuale) 50.

Che relazione si pone dunque tra le due azioni configurabili (quanto meno in astratto)?

A seguire la Cassazione, nella sentenza da ultimo richiamata, la causa petendi è diversa,

trattandosi nell’un caso di azione contrattuale e nell’altro di un’azione assimilabile all’aquiliana.

50 Grande interesse ha suscitato analoga questione, quella della spettanza o meno dell’azione risarcitoria, ex art.2497 c.c. concessa ad azionisti “esterni” alle relazioni di gruppo e creditori contro la società dominante, anche alla società eterodiretta. Ad avviso di P.ABBADESSA, La responsabilità della società capogruppo verso la società abusata: spunti di riflessione, in Banca Borsa, 2008, 279 ss., spec. 282 ss., ove approfondimenti e ampi richiami bibliografici, la risposta, alla luce dei lavori preparatori, deve ritenersi decisamente negativa. L’A. indica che la soluzione finale adottata dal legislatore, che ha portato alla soppressione di un’esplicita norma di riconoscimento in tal senso, presente invece nello schema di d.lgs. approvato dal Consiglio dei Ministri del 30 settembre 2002 (in Riv.soc., 2002, 1346 ss.), sia stata orientata anche dall’esigenza di superare i non facili problemi che la concorrenza di azioni tra società da una parte, soci esterni e creditori dall’altra, avrebbe comportato. Contra, per la permanenza dell’azione in capo alla società eterodiretta, G.SCOGNAMIGLIO, Poteri e doveri degli amministratori nei gruppi di società dopo la riforma del 2003, in Profili e problemi dell’amministrazione nella riforma delle società, a cura di G.Scognamiglio, Milano, 2003, nt.3, 265 nt.20. La questione si lega alla considerazione della natura dell’azione in questione, su cui v. infra, nota 83.

27

Quanto al petitum, ammesso e non concesso che esso sia il medesimo, rapportato per

quanto riguarda la società all’intero danno, mentre per quanto riguarda l’azione promossa dal

cessionario al riflesso pro quota del danno, occorre segnalare che v’è indipendenza tra le due sfere

patrimoniali, quella della società e quella del socio subentrato. Intendo dire che, comunque, non

costituirebbe un coerente sviluppo delle premesse accolte dalla Cassazione il voler intendere

l’azione del socio cessionario in qualche senso come sostitutiva di quella spettante alla società (sul

modello di quanto accade per l’azione della minoranza 51 o anche individuale nella s.r.l. 52, ovvero

per l’azione di responsabilità dei creditori sociali nella s.p.a.): a parte il fatto che la diversità tra le

azioni dovrebbe escludere il ricorso ad una simile impostazione (e ciò non solo per una questione di

ordine classificatorio: basti pensare all’impostazione probatoria delle due diverse iniziative

processuali), né è <<sociale>> l’interesse alla reintegrazione, poiché il socio agisce a tutela della

propria sfera giuridico-patrimoniale violata, né, proprio in ragione di tale profilo, la società può

avocare a sé l’iniziativa del socio.

In altra direzione, allora, a sostenere la conclusione che al socio subentrante spetti l’azione

ex art. 2557 c.c. dovrebbe accreditarsi la tesi che essa spetti in primo luogo alla società: ma su quali

basi? E, semmai, si tratterebbe di un’azione contrattuale o aquiliana?

IV. – QUESTIONI IN TEMA DI DIVIETO DI CONCORRENZA E SUBENTRO (MANCATO) NELL’IMPRESA,

INDIVIDUALE E SOCIETARIA.

51 a proposito dell’azione sociale della minoranza, introdotta con l’art.129 d.lgs. n.58, 1998, la questione del sovrapporsi di interessi e prerogative facenti capo alla minoranza e alla società è impostata con grande chiarezza da OPPO, L’azione <<sociale>> di responsabilità promossa dalla minoranza nelle società quotate, in Riv.dir.civ., 1998, II, 405 ss., a p. 408, che vede in tale azione una singolare ipotesi di gestione d’affari processuale. 52 Per quanto concerne la s.r.l., la previsione della spettanza dell’azione in favore del singolo socio non sembra determinare modifiche quanto all’inquadramento della stessa come avente natura sostitutiva dell’azione di responsabilità spettante alla società (che si ritiene implicitamente presupposta); cfr. in tal senso S.AMBROSINI, Sub art.2476, in Società di capitali, Commentario a cura di Niccolini, Stagno D’Alcontres, Napoli, Jovene, 2004, III, 1605, 1594; ID., La responsabilità degli amministratori nella nuova s.r.l., in Soc., 2004, 295; GALGANO-GENGHINI, Il nuovo diritto societario, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, diretto da Galgano, Padova, CEDAM, 2006, 873; F.MAINETTI, Il controllo dei soci e la responsabilità degli amministratori nella società a responsabilità limitata, in Soc. 2003, 942; M. CRISTIANO, Azione di responsabilità contro gli amministratori della s.r.l. nella riforma del diritto societario, in Soc., 2005, 1018; PECORARO, Esercizio dell'azione sociale di responsabilità in pendenza del regime transitorio ex art. 223-bis disp. att. c.c., in Contr., 2006, 381; Lo Cascio, La riforma delle società a responsabilità limitata e le procedure concorsuali, in Fall.to, 2005, 241; SILVESTRINI, Responsabilità degli amministratori nella s.p.a. e nella s.r.l. dopo la riforma societaria, in Soc., 2004, 695; R.LOLLI, Azione sociale di responsabilità e revoca dell'amministratore nella s.r.l, dopo la riforma, in Soc., 2006, 739; G.MOLLO, La responsabilità per danni nella s.r.l., in Giur.Comm. 1008, I, p.814 s., TRIB. MARSALA, 1° aprile 2005, in Contr., 2006, 375 e in Soc., 2006, 734. In senso contrario F.CIAMPI, Novità della Novella per le azioni di responsabilità nelle s.r.l., in Soc., 2006, 287, in conformità a TRIB. MILANO, 12 aprile 2006, in Giur.it., 2006, 2096.

28

- IV.1

Il lessico utilizzato dalla Cassazione e dalle corti di merito nelle sentenze testé richiamate,

laddove attribuisce rilevanza alla sostituzione di un imprenditore all’altro nell’esercizio

dell’impresa, anche con riguardo a casi di cessione di partecipazioni sociali, non può recepirsi oltre

avulso da un qualche sano tecnicismo che le espressioni utilizzate impongono.

Il già ricordato progressivo affermarsi dell’idea (di cui quel lessico evocativo è

espressione) che gli artt. 2556 ss. siano disciplina comune e unitaria in relazione a ogni

trasferimento d’azienda non può infatti non subire le conseguenze di quell’ulteriore coevo processo,

all’apparenza destrutturante, dato dall’adeguamento della normativa e della giurisprudenza interna

alla direttiva 2001/23/CE e alla sua interpretazione resa dalla Corte di giustizia, sì che oggi, il fatto

del mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata – id est la sostituzione di un

imprenditore all’altro nell’esercizio dell’impresa – assurgendo a fenomeno normativizzato, deve

assumere una valenza giuridica definita.

Quale essa sia mi sono sforzato di chiarire, nel precedente II paragrafo, con precipuo

riferimento all’interpretazione delle decisioni della Corte di Giustizia; non perché in tema manchino

pronunzie rese in sede nazionale, ma perché queste recepiscono pedissequamente soluzioni già fatte

proprie dalla Corte europea, senza esprimere alcun approfondito tentativo teso ad armonizzare

quelle decisioni nel sistema dell’impresa 53.

53 CASS.. SEZ. LAVORO, 21 maggio 2002, n.7458, in Foro it., I, 2278 ss.; CASS., SEZ. LAV., 13-01-2005, n. 493 (in Foro it., 2005, I, 690, n. PERRINO, in Notiz.giur.lav., 2005, 249, in Riv. Crit. dir. lav., 2005, 173, n. MUGGIA, in Orient. giur. lav., 2005, I, 55, in Orient. giur. lav., 2005, I, 275 m, n. ALVINO), secondo cui <<Si configura trasferimento d’azienda in tutti i casi in cui muti il titolare dell’impresa, indipendentemente dalla sussistenza di rapporti contrattuali diretti tra cedente e cessionario (nella specie, si è ravvisato trasferimento d’azienda in un’ipotesi di successione nell’appalto di servizi con passaggio di beni di non trascurabile entità)>>, così motiva: << … Nessun dubbio può permanere sul versante poi dell'applicabilità al caso di specie dell'art. 2112 c.c. in quanto, come ha ben evidenziato il giudice d'appello, il trasferimento d'azienda postula soltanto che il complesso organizzato dei beni dell'impresa - nella sua identità obiettiva - sia passato ad un diverso titolare in forza di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio, dovendosi così prescindere da un rapporto contrattuale diretto fra l'imprenditore uscente e quello che subentra nella gestione (cfr. al riguardo ex plurimis: Cass. 4 gennaio 2000 n. 23; Cass. 27 dicembre 1999 n. 14568). E l'assunto che il trasferimento d'azienda sia configurabile anche in ipotesi si successione nell'appalto di un servizio sempre che si abbia un passaggio di beni, di non trascurabile entità ma tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa, trova conforto anche in numerose decisioni della Corte di Giustizia che - attribuendo valore decisivo all'assunzione da parte della nuova impresa di alcuni o di tutti i dipendenti già addetti presso la precedente - ha ritenuto che la nozione di "cessione contrattuale", suscettibile di concretizzare il trasferimento d'azienda sia estensibile a tutti i casi di mutamento della persona fisica o giuridica, responsabile dell'impresa e che assume le obbligazioni del datore di lavoro nei confronti dei dipendenti dell'impresa medesima, sicchè non è richiesta la sussistenza di rapporti contrattuali diretti tra cedente e cessionario tanto che la cessione può essere realizzata anche in due fasi per effetto della intermediazione di un terzo (sentenza Mercx del 7 marzo 1996, C-171/94 e C-172/94). Indirizzo, questo, poi ribadito con la statuizione dell'applicabilità della direttiva 77/187/Cee "ad una situazione nella quale un ente pubblico, che aveva dato in concessione il proprio servizio di assistenza a domicilio delle persone disabili o aggiudicato l'appalto per la sorveglianza di alcuni

29

Accade così che le richiamate sentenze sull’estensione del divieto di concorrenza a

specifici casi di trasferimento di partecipazioni sociali presuppongano espressamente l’orientamento

introdotto con la sentenza n.13762/1991, indicata a fondamento di una nuova accezione della

nozione di trasferimento di azienda 54; ma è opportuno ricordare che tale sentenza si limitò invero

ad applicare anche al divieto di concorrenza ex art.2557 c.c. l’interpretazione estensiva dell’art.2558

c.c. propugnata da una precedente pronunzia 55, (articolo di legge) ivi ritenuto astrattamente

applicabile anche ai casi di restituzione del compendio aziendale di seguito a cessazione

“negoziale” dell’usufrutto e dell’affitto d’azienda; vero è però che la lettura di quest’ultima

sentenza chiarisce come l’orizzonte con essa dischiuso fosse in vero ancora piuttosto limitato,

stabilendosi in concreto, anche se per un caso di cessazione di affitto d’azienda, l’inapplicabilità

dell’art. 2558 c.c., proprio perché la restituzione del compendio, attuata in esecuzione di un lodo per

suoi locali ad una prima impresa decida, alla scadenza o in seguito a recesso del contratto che la vincolava a quest'ultima, di dare in concessione tale servizio o assegnare tale appalto ad una seconda impresa, qualora l'operazione sia accompagnata dal trasferimento di una entità economica tra le due imprese (sentenza Hidalgo del 10 dicembre 1998 c-173/96). E che la suddetta direttiva debba trovare applicazione anche in assenza di un atto negoziale tra due imprese - come avviene, appunto, nel caso di imprese resesi aggiudicatarie di un appalto in ordine successivo - ha trovato ulteriore conferma anche in decisioni più recenti (sentenza Temco del 24 gennaio 2002, c-51/00 e sentenza Abler del 20 novembre 2003 c-340/01), il che ha indotto la dottrina - dopo un esaustivo esame della normativa comunitaria e degli approdi giurisprudenziali - ad evidenziare come la Corte di Giustizia ritenga necessario che il trasferimento abbia ad oggetto una entità economica organizzata in modo stabile, la cui attività non si limiti all'esecuzione di una opera determinata, ma coinvolga durevolmente un complesso organizzato di persone e di elementi che consentano l'esercizio di un'attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obiettivo. Per concludere, la sentenza impugnata avendo fatto puntuale richiamo a precedenti pronunziati di questa Corte di Cassazione ed avendo correttamente applicato i principi più volte enunciati dalla giurisprudenza comunitaria, si sottrae ad ogni censura in questa sede.>>. 54 CASS., SEZ. I CIV., 20 dicembre 1991, n.13762, in Nuova giur.civ., I, 1, n. VERDIRAME. In motivazione è richiamata altresì la analoga sentenza n.969 del 1979, a mente della quale <<La successione dell'acquirente, dell'usufruttuario e dello affittuario di azienda, prevista dall'art 2558 cod civ, salvo patto contrario, nei contratti a prestazioni corrispettive stipulati dal dante causa e non ancora interamente eseguiti … deve ritenersi operante, in applicazione estensiva del citato art 2558 cod civ in ogni altra analoga ipotesi in cui si verifichi sostituzione di un imprenditore all'altro nell'esercizio dell'impresa, come conseguenza diretta della volontà delle parti, ovvero di un fatto dalle medesime espressamente previsto. Pertanto, nel caso in cui l'esercizio della azienda si ritrasferisca dall'affittuario al locatore, per effetto di cessazione del rapporto di affitto, l'indicata successione si verifica, nei confronti del locatore, solo se si tratti di cessazione del rapporto per causa negozialmente contemplata, come il termine finale o la condizione risolutiva, e non anche, quindi, nella diversa ipotesi in cui la cessazione medesima sia conseguenza diretta di un fatto non negoziale, ancorché ricollegabile, ma solo in via mediata, ad una fattispecie negoziale. Da tanto deriva che il locatore non subentra nei contratti stipulati dall'affittuario, pur se presentanti le caratteristiche sopra specificate, qualora riacquisti il godimento dell'azienda; prima della scadenza del contratto, in conseguenza della sua risoluzione per inadempimento dell'affittuario, sia essa pronunciata dal giudice, ovvero disposta dalla determinazione di un arbitro irrituale designato dalle parti. ( Conf 632, mass n 396782).>>. In ragione della vigenza dell’art.2112 c.c. è richiamata anche la sentenza n.ro 2644/1985. 55 CASS., SEZ. I CIV., 29 gennaio 1979, n.632, in Giust.civ., 1979, I, 1488 ss., con nota critica di A. DI AMATO (Trasferimento non negoziale dell’azienda e successione nei contratti, ivi, 1493 ss.) e, v., in senso contrario, di già TRIB.MILANO, 19 dicembre 1974, in Giur.comm., 1976, II, 123.

30

arbitrato irrituale (pur riconosciuta la natura negoziale di tale strumento di risoluzione della

controversia) non fu ritenuta riconducibile alla volontà delle parti 56.

Viceversa, sviluppi assai significativi delle implicazioni derivanti dal subentro

nell’impresa, si ritrovano ora in ambito lavoristico, laddove la Cassazione, in coerenza con i già

citati precedenti della Corte di Giustizia, giunge ad affermare che anche una requisizione

amministrativa di un’azienda configura ipotesi di trasferimento (in seguito a cessione contrattuale)

rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 2112 c.c. 57.

E’ l’imputazione ad un soggetto di una gestione di impresa prima riferibile ad altro

soggetto il perno intorno a cui ruota oggi l’applicazione delle disposizioni di cui all’art.2112 c.c..

L’innovativa disposizione di cui al comma 5 del richiamato art.2112 sembra stabilire anche

per diritto interno la sussistenza di un’originale fattispecie; laddove, al susseguirsi dell’imputazione

di una medesima (attività di) impresa in capo a due distinti soggetti, sono ricollegati taluni degli

effetti un tempo legati al trasferimento “negoziale” d’azienda (o all’attribuzione negoziale del suo

godimento).

L’esigenza di sostenere una lettura di tale prescrizione coerente, nei sensi già illustrati, con

l’interpretazione della direttiva fornita dalla Corte di Giustizia, è imprescindibile, come attestano le

sentenze dei giudici nazionali che a quell’interpretazione si sono conformati. E così, a fronte del

lessico utilizzato dal legislatore, che richiede che il mutamento nella titolarità dell’attività avvenga

in seguito a cessione contrattuale (o in seguito a fusione), taluni effetti, inderogabili ma comunque

tradizionalmente giustificati sulla base di un fenomeno negoziale avente ad oggetto l’azienda, si

producono parimenti al verificarsi di diversi presupposti.

56 Più di recente v. APP. MILANO, 05-04-2006. Soc. Leva c. Soc. Maxcom petroli, in Giur. it., 2006, 2316: <<Il divieto di concorrenza di cui al 1º comma dell’art. 2557 c.c., essendo volto a salvaguardare l’azienda nella sua funzione economico-sociale di complesso di beni organizzato per l’esercizio dell’impresa, è applicabile non solo all’ipotesi, espressamente prevista, di alienazione dell’azienda da parte del proprietario, ma a tutti i casi di circolazione dell’azienda medesima, inclusa quella di retrocessione dell’azienda al proprietario da parte dell’affittuario.>>. 57 CASS., SEZ. LAV., 22-10-2007, n. 22067 <<Posto che la requisizione dell’azienda o di parte di essa configura trasferimento d’azienda, da un lato sussiste nei confronti del lavoratore che abbia prestato la propria attività senza interruzioni la responsabilità solidale del gestore dell’azienda requisita in ordine ai crediti vantati al tempo del trasferimento e, dall’altro, a seguito del ritrasferimento del lavoratore all’originario datore, va esclusa l’obbligazione del gestore di corrispondere il trattamento di fine rapporto maturato>>; la precedente CASS., 29-03-2006, n. 7250, resa dalla III sezione, stabilisce viceversa che << … In tema di cessione di azienda, deve escludersi un trasferimento di azienda tutte le volte in cui più soggetti si succedano in un’attività oggetto di concessione amministrativa, poiché, in tal caso, la concessione deve intendersi rilasciata a titolo originario in capo al cessionario.>>: ma che in tale ultimo caso possa trovare applicazione l’art.2112 non mi sembra revocabile in dubbio alla luce di quanto stabilito – come già ricordato, v. supra … - dalla Corte di Giustizia nella causa C-343/98,00, Collino e Chiappero c. Telecom: << ... il fatto che il trasferimento risulti da decisioni unilaterali delle pubbliche amministrazioni e non da un concorso di volontà non esclude l'applicazione della direttiva.>> (punto 34).

31

Come già rilevato, ciò sembra accadere poiché la (riscontrata avvenuta) sostituzione di un

imprenditore ad un altro nella titolarità di una medesima attività d’impresa coglie l’imprenditore

subentrante nella medesima situazione giuridica dell’avente causa di una cessione negoziale

d’azienda e determina così il prodursi di taluni (ma più estesi) degli effetti inderogabili di quel

fenomeno.

Il soggetto interessato a far valere l’applicazione delle norme di tutela di cui all’art.2112

c.c. non è chiamato – mi sembra - a dare alcuna prova di un negozio traslativo, che per avventura

può anche non sussistere, ma soltanto della sostanziale identità dell’attività in relazione alla quale si

attesta avvenuta la sostituzione del titolare 58. In tal senso, l’impostazione, già selezionata dalla

Corte di Giustizia, mi sembra attribuisca originale rilevanza al profilo probatorio.

Beninteso, per attività in titolarità non mi sembra allora qui possa intendersi un mero

sinonimo di azienda 59.

Se e in quanto non possa dirsi sussistere un bene azienda oggetto di relazione dominicale 60, ma unicamente rapporti giuridici (in rem o in personam) in ordine ai quali, per l’esplicarsi della

funzione causale del trasferimento o dell’attribuzione del godimento, il legislatore ha stabilito che la

58 Ad oggi si afferma in giurisprudenza che <<Ai sensi dell’art. 2555 c.c. l’azienda, quale complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa, è compiutamente identificata mediante la specificazione del tipo di attività svolta e dei locali nei quali essa è esercitata, trattandosi di indicazioni idonee a comprendere l’insieme degli elementi organizzati in detti locali e destinati allo svolgimento dell’attività dell’impresa, mentre la analitica individuazione di detti beni rileva al solo scopo di prevenire eventuali contestazioni in ordine alla riconducibilità degli stessi alla azienda; pertanto, deve ritenersi correttamente pronunciata dal giudice di merito, ex art. 1497 c.c., la risoluzione del contratto per mancanza delle qualità promesse ed essenziali per l’uso a cui la cosa è destinata, qualora l’azienda, trasferita ai sensi dell’art. 2556 c.c., sia risultata priva di un elemento essenziale per l’esercizio dell’attività commerciale dedotta in contratto anche se esso non sia stato menzionato tra i beni aziendali (nella specie, è stata pronunciata la risoluzione della cessione di un’azienda alimentare che, essendo sprovvista delle canne fumarie - peraltro non indicate fra i beni aziendali - non era stata in grado di svolgere l’attività di cottura dei cibi alla quale era preordinata per mancanza delle prescritte autorizzazioni amministrative, di cui il cedente aveva dichiarato l’esistenza).>>; (così CASS., sez. II, 15-05-2006, n. 11130). Similmente CASS., 21-01-2004, n. 877 << … l'azienda, quale complesso dei beni organizzati per l'esercizio di una determinata impresa, è sufficientemente identificata, ove si tratti di attività commerciale di rivendita al pubblico, con la specificazione del tipo di attività e dei locali in cui venga svolta, trattandosi di indicazioni idonee ad abbracciare tutte le cose che siano presenti in quei locali e siano destinate all'attività medesima. L'elencazione di tali cose, se può essere influente per la prova della consistenza del complesso produttivo in un certo momento, e anche opportuna per prevenire l'insorgenza di contestazioni al riguardo, non è quindi indispensabile per l'individuazione del bene-azienda. Ne consegue che l'atto negoziale o giudiziale inerente ad azienda di commercio al dettaglio, quando contenga dette notazioni essenziali, non è affetto da nullità per indeterminatezza ed indeterminabilità dell'oggetto. >>. 59 Ma v. V.BUONOCORE, Il <<nuovo>> cit., p.318 s., a ribadire (la tesi di Oppo) che azienda e titolarità dell’attività economica rappresentano due profili di quell’unico ideale prisma che è l’impresa, a dire cioè (p.319) quanto << … sia importante il profilo soggettivo, non tanto riguardando il problema dal punto di vista dell’imputazione dell’attività d’impresa, quanto, e forse soprattutto, per affermare l’indispensabilità della <<titolarità>> con la conseguente negazione di un’impresa senza titolare e quindi della figura dell’<<impresa senza imprenditore>>. 60 La più recente autorevole manualistica si attesta ormai su tale posizione (v. supra, nota … ).

32

loro considerazione come unitario oggetto negoziale possa valere, in taluni casi 61, a determinare

l’applicazione di specifiche norme derogatorie rispetto alla disciplina comune 62; se, ancora, la

nozione di attività (d’impresa) altro non è che sintesi di atti, operata dal legislatore realizzandone

un’imputazione soggettiva unitaria foriera di effetti giuridici specifici e ulteriori, rispetto a quelli

derivanti da ogni singolo atto partitamente considerato 63, su tali premesse è forse allora plausibile

considerare che il legislatore prescinda da un’oggettivazione di fonte negoziale dell’attività in

azienda e stabilisca conseguenze – quelle inderogabili di cui all’artt.2112 – per il solo fatto che si

acquisisca giuridica contezza dell’avvenuta sostituzione di un soggetto ad un altro nella titolarità di

quegli atti e rapporti che qualificano l’attività come di impresa e il soggetto agente quale

imprenditore 64.

Nei sensi indicati, l’applicazione del disposto di cui all’art.2112 c.c., che stabilisce la

responsabilità solidale del subentrante (il cessionario, nel lessico della direttiva) per ogni

obbligazione facente capo al pregresso imprenditore (il cedente), ai casi di usufrutto e affitto

d’azienda, pur pleonastica, stante la fissazione nel medesimo articolato di una norma generale che 61 Quando cioè assumano un rilievo unitario come incontrovertibile portato di esperienza economica. Le parole sono di Pettiti, richiamate e commentate da Rivolta: << … Ogni forma di circolazione è caratterizzata dal passaggio di un insieme di elementi idoneo a consentire all’avente causa di esercitare l’impresa>> (Il trasferimento volontario d’azienda nell’ultimo libro di Domenico Petitti, in Riv.dir.civ., 1973, I, 54). 62 P.SPADA, Articolazione del patrimonio da destinazione iscritta, in RDS, 2007, 18 ss (e v. nota 9, p.19). 63 P.SPADA, Impresa (voce), in Digesto (discipline privatistiche – sez. commerciale), VII, UTET, 40 ss.; ID., Diritto Commerciale, I, Cedam, 2004, 44 s., ma v. già G.RIVOLTA, Gli atti d’impresa, in Riv.dir.civ., 1994, I, 10 ss., ed ivi 115 ss., 141 s. 64 <<La nozione di azienda è, nel sistema del codice, una nozione derivata: essa presuppone quella di impresa, della quale costituisce lo strumento. Se non vi è impresa, non vi è azienda in senso tecnico e non si applicano i particolari princìpi che per essa sono posti.>> così G.FERRI, ad apertura della trattazione sull’azienda nel suo Manuale (XII edizione, a cura di C.Angelici e G.B.Ferri, Torino 2006, 179). V. anche G.RACUGNO, Lo “scorporo d’azienda”, Milano, 1995, 9. Quanto a G.SANTORO PASSARELLI, che sostiene che il trasferimento regolato dall’art.2112 c.c. ha come oggetto l’impresa intesa come organizzazione e attività, e non l’azienda intesa come complesso di beni potenzialmente idoneo all’esercizio dell’impresa, poiché << ... Se, infatti, si ammette che l’oggetto del trasferimento può essere costituito dal complesso dei beni potenzialmente idonei all’esercizio dell’impresa, e cioè anche dall’azienda inerte, si estende di conseguenza la cerchia dei potenziali acquirenti.>>, determinandosi un accresciuto rischio di lesione dei diritti dei lavoratori, quando l’impresa poi non prosegua (Opinioni cit., 690 ss.), osservo, con molta prudenza, in attesa che voci più autorevoli vogliano confermare questa mia impressione, che il pensiero di Oppo, richiamato a fondamento della tesi esposta, non giustifica affatto le affermazioni svolte da Santoro Passarelli, incentrate come sono sul profilo traslativo della vicenda (come i riferimenti richiamati indubitabilmente sottendono). Letteralmente (Oppo): <<Ho pure altra volta ammesso che possa esservi, se non <<successione>>, sostituzione nell’attività d’impresa in termini giuridicamente rilevanti e che anzi tale sostituzione possa avere rilievo causale nelle vicende traslative dell’organizzazione; ma appunto la sostituzione, a differenza da una (non prospettabile) successione in senso proprio, non configura continuità dell’attività né dell’impresa, ancorchè configuri, se così ci si vuole esprimere, continuità dell’organizzazione (aziendale)… >> (così in Profilo cit., 536 s.; e v. altresì i Princìpi, in Tratt.dir.comm., diretto da V.Buonocore, Sez.I, t.I, Torino, 2001, 50 s,, dove le deroghe alle regole che riguardano la (imputazione dell’) attività sono lette alla luce dell’esigenza dell’organizzazione (ivi, riferimenti agli artt. 1330, 1674, 1722, 2112, 2208, 2558 del codice civile).

33

quell’ipotesi contempla, non sembra possa indicarsi oltre costituire eccezione alla regola di cui

all’art.2560, comma secondo.

Si è detto - a sostenere che la normativa sul trasferimento d’azienda risponda

fondamentalmente all’esigenza di favorire il trasferimento dell’avviamento - che << … l’autonomia

dell’azienda dall’impresa (attività) esiste in funzione della circolazione dell’azienda e che è in

funzione di questa circolazione che si pone il tema dell’imputazione alla sola azienda dei risultati

dell’impresa>> 65.

Vero è però che di quel complesso di norme che guardano all’azienda e ai suoi elementi

costitutivi nell’ottica del trasferimento è elemento portante altresì una disciplina inderogabile, posta

nell’interesse di terzi 66. E siccome l’esperienza ha suggerito che più e diversi strumenti, anche

coordinati in operazioni, sul piano oggettivo come su quello soggettivo, possono realizzare una

funzione traslativa dell’avviamento (come degli elementi che esso hanno generato e generano),

potendosi ottenere risultati in deroga alla disciplina imposta in caso di trasferimento volontario

d’azienda (o di attribuzione del suo godimento), il legislatore ha ritenuto di svincolare la disciplina

inderogabile – allo stato, con relativa sicurezza, quella di cui all’art.2112 c.c. - dal solo

accertamento della sussistenza di un negozio sull’azienda, rendendola applicabile altresì al caso in

cui l’imputazione di una medesima (attività di) impresa sussegua in capo a due distinti soggetti.

- IV.2

Stante la naturale vocazione dell’impresa verso il mercato, nella prospettiva di poter

registrare il trasferimento della ricchezza investita, mi sembra che l’effettivo passaggio di mano

dell’avviamento resti elemento fortemente connotativo non solo di ogni vicenda che abbia

realizzato il trasferimento d’azienda, come si è detto funzionale al conseguimento di tale risultato,

ma, in senso lato, di ogni tipologia di avvicendamento di una gestione imprenditoriale ad un’altra 67.

65 G.AULETTA, Avviamento Commerciale cit., 4, riprendendo mi sembra il pensiero di ASCARELLI, Teoria della concorrenza cit., 70 ss. e, ivi, 74, già richiamato supra, testo, in chiusura del § I. 66 CASS., SEZ. LAV., 2 maggio 2006, n.10108, in Dir.Merc.Lav., 2006, 355 (nota critica di G.QUADRI, Trasferimento d’azienda, frode alla legge e tecniche di tutela del lavoratore, ivi, 360 ss.), cassa con rinvio la decisione di merito (APP. SALERNO) che aveva ritenuto la nullità della cessione di ramo d’azienda per frode alla disciplina sui licenziamenti collettivi, sulla base di accertamenti in fatto, (anche) relativi al periodo successivo alla cessione – tra questi la rilevata cessazione dell’attività e il successivo fallimento da parte della cessionaria. Ma la successiva CASS., SEZ.LAV., 7 febbraio 2008, n.2874, in Riv.giur.lav.prev.soc., 2008, II, 554 ss., (nota di E.GRAGNOLI), stabilisce in contrario senso che <<L’affitto o la cessione di un ramo d’azienda può essere dichiarata nulla quando sia stato disposto con l’obiettivo di eludere le tutele garantite ai lavoratori dall’art.18 Stat.lav.. Con la conseguenza che il contratto stipulato viene considerato come concluso in frode alla legge>>. 67 Anche chi propugnò l’irrilevanza in punto di disciplina del fenomeno della successione nell’impresa ne convenne che : << … la rilevanza giuridica dell’esercizio dell’attività imprenditrice e della successione in essa in ordine al fenomeno del trasferimento d’azienda si rivela pertanto solo nella disposizione dell’art.2557, in cui il divieto di concorrenza stabilito a carico dell’alienante dell’azienda è

34

Si consideri l’ipotesi limite di una fattispecie negoziale di cessione d’azienda e si consideri

che, di seguito alla cessione, il cedente svolga viceversa attività in concorrenza con il cessionario e,

ulteriormente, che in ragione della concorrenza esercitata dal cedente, non si realizzi (o non si

realizzi significativamente) quel << … mutamento nella titolarità di un’attività economica

organizzata … >> di cui fa parola l’art.2112 c.c..

E’ da accogliere in tale contesto un’eventuale istanza del lavoratore tesa a proseguire nello

svolgimento delle prestazioni lavorative in favore del cedente?

Si rilevò in dottrina 68 che, in ragione della natura derogabile del divieto di cui all’art.2557

c.c., non sempre il trasferimento di azienda postula il sub ingresso nell’impresa da parte

dell’acquirente. Ma già Colombo ridimensiona l’affermazione: << … non si può trascurare che

dalla qualificazione del negozio come avente per oggetto l’azienda anziché singoli beni aziendali

derivano conseguenze rilevanti per i terzi (in particolare per i dipendenti, per i quali è in gioco la

continuazione del rapporto di lavoro, e per i creditori in genere, in relazione alla responsabilità ex

lege dell’acquirente per i debiti risultanti dalle scritture contabili) … >> 69, sì che non sarebbe

affatto incongruente considerare che l’assenza o il mancato rispetto del divieto in una cessione

appunto in funzione di quella continuazione dell’impresa in capo all’avente causa che si accompagna alla cessione del complesso aziendale>>; così E.ZANELLI, cit., 114 s., che soggiunge però << … ritengo d’altronde che in effetti questa regola introduca in modo specifico nella disciplina del trasferimento d’azienda proprio la considerazione di quel fenomeno di successione nell’impresa che ne è una conseguenza più che una componente.>>. 68 Ricorda Pettiti (a criticare la tesi di Casanova che trasferimento d’azienda e successione nell’impresa costituiscano un’entità essenzialmente unitaria - Il trasferimento cit.,195) che la cessazione dell’impresa da parte dell’acquirente fu comunque giudicata modalità di prosecuzione della stessa, poiché, pur se l’acquirente decidesse di liquidare l’azienda, ciò atterrebbe ad un momento successivo a quello del trasferimento, idoneo di per se solo a determinare la successione nell’impresa; in tal senso CASANOVA, Le imprese commerciali, Torino, 1955, 669. Viceversa (come peraltro rileva lo stesso PETTITI, Il trasferimento cit., 37 s.), Casanova ritiene che, condizione per l’applicazione del divieto di concorrenza, in caso trasferimento d’azienda, sia il pregresso esercizio dell’impresa da parte dell’alienante. Così il divieto è reputato inapplicabile al caso di trasferimento d’azienda operato dall’erede dell’imprenditore defunto titolare dell’azienda (e dell’impresa): v. Le imprese cit., 668 e Impresa e Azienda cit., 767 s.. Analogamente Barbero, Sistema del diritto privato italiano, Torino, 1965, I, 239 ss., II, 304 ss. In senso contrario, FLORIDIA, Cessione d’azienda in fase organizzativa e divieto di concorrenza, in Riv.dir.civ., 1964, II, 554, ivi, 564 , ove ulteriori riferimenti. 69 Colombo che, ribadendo pressoché alla lettera quanto affermato da Pettiti (Il trasferimento cit., 37) osserva però ulteriormente come <<… l’esclusione pattizia del divieto possa al massimo costituire un indizio del fatto che oggetto dell’alienazione non sia l’azienda: indizio comunque in sé non decisivo, e da valutarsi con particolare prudenza.>>: così a p. 178, richiamando così quanto già evidenziato da ASCARELLI, Teoria della concorrenza cit., 77 s., a chiarimento delle ragioni della natura derogabile della norma di cui all’art.2557 c.c.: << … glie è piuttosto che, in quanto il negozio abbia per oggetto un’azienda, esso ha appunto per oggetto un insieme di beni coordinati quale strumento di un’attività imprenditrice, ciò che importa appunto, quale conseguenza che trova in via definitiva la sua stessa giustificazione nella stessa interpretazione del negozio, il divieto di concorrenza dell’alienante, potendo perciò (se pur non dovendo) l’esclusione di questo implicare anche l’esclusione di una considerazione unitaria dei beni quale strumento di un’attività imprenditrice e dovendosi allora ravvisare nel negozio non più una vendita dell’azienda, ma una vendita di singoli beni, considerati collettivamente, e non più unitariamente.>>. V. anche GUGLIELMETTI, Limiti negoziali cit., 246.

35

possa valere a snaturare l’operazione, facendola divenire una cessione di semplici beni aziendali e

non d’azienda.

La prosecuzione dell’attività d’impresa da parte del cedente, nell’esempio formulato, apre

ad una considerazione degli effetti della concorrenza da questi esercitata. Ove la stessa impedisca

un sostanziale sub ingresso del cessionario nell’avviamento, sarà questo fatto ad escludere che si sia

concretizzata l’effettiva sostituzione nella titolarità dell’attività e quindi a giustificare fondata

l’eventuale pretesa del lavoratore. Che l’operazione sia assistita o meno dal divieto di concorrenza,

che integra il contenuto negoziale quale effetto naturale ex lege, non mi sembra elemento che

assuma rilevanza nell’esempio, stante il profilo inderogabile della tutela da accordare ai lavoratori.

La questione introduce il tema di fondo delle conseguenze dell’affermata (in primis dal

legislatore) possibile coesistenza di due fenomeni, da monitorare distintamente nel loro esplicarsi:

l’uno traslativo dell’azienda o attributivo del suo godimento, l’altro riguardante il sub ingresso

nell’attività d’impresa (che, in senso tecnico, non ammette trasferimento, id est non può essere

oggetto negoziale di trasferimento).

Così, nell’esempio ora formulato, il cessionario resterebbe obbligato ai sensi dell’art.2560

c.c. comma 2? Ove la cessione d’azienda sia (giudizialmente) derubricata in cessione di beni

aziendali mi sembrerebbe dovuta una risposta negativa; ma che questo sia un inevitabile passaggio

non direi, potendo realisticamente coesistere la struttura aziendale ceduta, seppur depotenziata in

ragione della concorrenza prestata dal cedente, e l’impresa a quest’ultimo facente capo 70, non

potendosi escludere a priori di dover considerare, sotto il profilo della concreta disciplina

applicabile, fenomeni di possibile duplicazione di imprese, e quindi di aziende 71.

Riferivo in principio dell’impostazione data da Pettiti alla questione della relazione tra

trasferimento d’azienda e subentro nell’impresa. In ragione delle novità di cui all’art.2112 c.c. mi

sembra che essa possa condurre a risultati parzialmente differenti.

Non penso ai casi in cui, operato un trasferimento d’azienda, l’acquirente non prosegua

nella gestione dell’impresa. In questi casi resta ferma l’applicazione delle norme inderogabili di cui

70 Credo che di fondo sia rilevante la considerazione che non esiste un luogo giuridico deputato ad affermare univocamente, in senso vincolante, per tutti i soggetti coinvolti o toccati da una simile vicenda, quale ne sia la corretta qualificazione. 71 Né, da questo specifico angolo visuale, mi sembrano da sopravvalutare, nella specifica ricognizione delle possibili soluzioni del caso, i risultati concernenti l’individuazione del profilo organizzativo delle imprese coinvolte in un’operazione rilevante ai sensi dell’art.2112 c.c., se, come rileva V.BUONOCORE, L’impresa, in Tratt.Dir.Comm. diretto da V.Buonocore, Sez.I, t.2.1, Torino, 2002, 125 ss., a proposito del contenuto minimale dell’organizzazione, << … il concorso fra lavoro del soggetto e gli altri fattori della produzione può atteggiarsi nel modo più vario, potendo il lavoro concorrere con mezzi di capitale proprio o altrui, con mezzi di lavoro altrui o con l’uno o l’altro di questi fattori ed essendo, altresì, sufficiente anche il concorso di capitale proprio e di lavoro proprio.>> (ivi, conclusivamente, 126). Ma v. quanto riferito infra, nota 75.

36

agli artt.2556 ss. 72; ma l’Autore riferisce viceversa di casi in cui << … potrebbe aversi

prosecuzione della medesima attività già svolta da un imprenditore – e quindi <<successione>>

nella sua attività – da parte di un secondo imprenditore, anche senza trasferimento d’azienda: si

pensi al caso che l’imprenditore cessante non venda i suoi beni aziendali, ma si limiti a impegnarsi

verso un altro imprenditore a non proseguire la sua impresa, oppure al caso che egli venda, con

vari atti separati, i beni aziendali a diversi soggetti, in misura da escludere un trasferimento di

rami dell’azienda, e taluno degli acquirenti prosegua l’attività dell’alienante dopo aver costituito

ex novo una propria azienda; oppure, ancora, al caso che taluno prosegua l’attività di altri senza

accordi con questi, ma solo a seguito del fatto obiettivo della cessazione della precedente impresa.

… >> 73.

Anche in tali casi è difficilmente escludibile che trovi applicazione la disciplina di cui

all’art. 2112 c.c.. Vale a dire cioè che la successione nell’impresa sembra dover assumere concreta

autonoma rilevanza rispetto alla mancanza di un trasferimento negoziale d’azienda. Ed è allora

quanto meno dubitabile che possa confermarsi l’opinione di Pettiti che le norme di cui agli artt.2556

ss. tornino inapplicabili.

Assai rilevante questione è infatti se, dalle affermazioni svolte a proposito dell’art.2112

c.c., e quindi dal determinarsi di quegli effetti, concernenti i rapporti di lavoro, che l’applicazione di

quelle norme impone, si possa e si debba inferire il configurarsi di un meccanismo (quanto meno

presuntivo) di un avvenuto coevo effetto traslativo riguardante l’azienda e se dunque debbano

trovare applicazione anche le restanti norme inderogabili che il legislatore pone agli artt. 2555 ss..

Mi riferisco significativamente, ma non solo, alle prescrizioni di cui all’art.2560 c.c.. (basti pensare

alla problematica fiscale).

Si è autorevolmente detto 74 che appare peregrina l’idea di una nozione di trasferimento

aziendale che valga soltanto in ambito lavoristico.

72 <<Potrebbe, infatti, accadere che l’acquirente dell’azienda non prosegua l’impresa del precedente titolare, ma la propria, tutt’affatto diversa; ovvero che egli non sia neppure imprenditore, e solo interessato ad acquistare i principali beni aziendali dell’alienante, che questi peraltro non è disposto a trasferire se non unitamente ai restanti elementi dell’azienda; oppure, ancora, che chi acquisti l’azienda l’affitti subito (magari allo stesso alienante); oppure, infine, che l’impresa dell’alienante fosse stata esercitata in virtù di particolari concessioni o autorizzazioni della pubblica amministrazione (art.2084 c.c.), che l’acquirente non è riuscito ad ottenere a proprio nome.>>, così PETTITI, op.cit., 196 s. 73 PETTITI, op.cit.,197. 74 BUONOCORE, Il <<nuovo>> testo cit., 316 ss.. Altri ritiene ed avverte però che << … non sempre il termine azienda è legislativamente utilizzato nel significato fissato dall’art.2555 ai fini della disciplina del suo trasferimento (ed oggi anche nell’ambito della normativa codicistica sul trasferimento, una specifica e più ampia nozione è stata introdotta per quanto riguarda la disciplina dei rapporti di lavoro: art.2112, nel testo introdotto dal d.lgs. 2-2-2001, n.18). Perciò, anche per la nozione di azienda vale l’avvertenza che le definizioni legislative della realtà hanno carattere relativo e non assoluto, in quanto funzionali alla soluzione di determinati concreti problemi.>> (CAMPOBASSO, Diritto cit., 139 s., nota 2, richiamando P.SPADA, Lezioni sull’azienda, in AA.VV., L’impresa, Milano, 1985).

37

Senza sottacere il dato di fondo, il fatto cioè che non esiste un luogo giuridico deputato ad

affermare univocamente, in senso vincolante, per tutti i soggetti coinvolti o toccati da una simile

vicenda, quale ne sia la veridica qualificazione, credo che la risposta risieda nell’ampiezza della

nozione che si intende eleggere di trasferimento d’azienda, fermo il fatto che occorre comunque

fare i conti con la richiamata assai diffusa giurisprudenza che la descrive, - pur senza piena

consapevolezza di ogni risvolto - come ogni ipotesi in cui si avveri la sostituzione di un

imprenditore all’altro nell’esercizio dell’impresa, come conseguenza diretta della volontà delle parti

o di un fatto da esse espressamente previsto.

In tal senso ci si può e ci si deve forse spingere allora fino a recepire nella nozione tutte le

esperienze disciplinate dall’art.2112 c.c. (ferma, se del caso, la concorrente ovvero prevalente

applicazione di altre specifiche norme che regolamentano l’operazione, come ad esempio può

accadere per la fusione, esplicitamente richiamata dal legislatore) 75.

- IV.3

Tratto saliente della fattispecie di cui all’art.2112 comma 5 del codice civile è anche che

essa figura come collante di esperienze che si collocano in luoghi e su piani diversi, riguardando il

profilo oggettivo, come pure, per certi versi, quello soggettivo dell’esercizio dell’attività di impresa.

Quanto già detto a proposito della rilevanza della sostituzione del soggetto nella titolarità

dell’impresa è cioè questione problematicamente attuale anche in tutte quelle operazioni societarie

straordinarie cui l’art. 2112 c.c. sembra implicitamente far riferimento: non è solo l’esplicito

richiamo alla fusione che pone il quesito circa l’applicabilità delle norme ai casi di scissione 76, ai

conferimenti d’azienda 77, alle trasformazioni da e in comunione d’azienda 78, a tutti quei casi in cui

75 P.FERRO LUZZI, Riflessioni sulla riforma; I: la società per azioni come organizzazione del finanziamento di impresa, in Riv.dir.comm., 2006, I, 673 ss.: <<Io ritengo … che la Riforma si innesti nelle linee portanti del codice del 1942, completando e perfezionando il disegno di base di tale codice con il collocare l’impresa al centro del fenomeno societario.>> (ivi, p.674). Su tale premessa, qualificare la società come “organizzazione dell’esercizio, della responsabilità e del finanziamento” (ivi, 678) pone l’esigenza di raccordare la lettura proposta del fenomeno societario alla disciplina dell’azienda (basti pensare alla rilevanza attribuita all’organizzazione), restando l’impresa, nella sua prospettazione di antecedente di fatto di ogni fenomeno, sia individuale che societario, un auspicato approdo in punto di ricostruzione di una disciplina coerente e unitaria. V. anche B.LIBONATI, Introduzione a AA.VV, Diritto delle società (manuale breve), Milano 2004, ivi, XXIX ss. 76 A.PICCIAU, Scissione di società e trasferimento d’azienda, in Riv. Soc., 1995,1189 ss.; ID., La scissione come negozio produttivo di effetti traslativi e la fattispecie del trasferimento d’azienda, in Riv.soc., 1999, 1413 ss.; G.SCOGNAMIGLIO, Sulla circolazione dell’azienda per scissione, in Riv.dir.comm., 2001, I, 443 ss.; ID., Le scissioni, in Tratt. Soc. Az., diretto da G.E.Colombo – G.Portale, vol.VII, t. 2, 2004; G.E. Colombo, Scissione e trasferimento d’azienda, A) Introduzione, in Studium Oeconomiae, 372; L.G.PICONE, Commento all’art. 2506-bis c.c., in Commentario alla riforma delle società, diretto da P.Marchetti - L.A.Bianchi – F.Ghezzi – M.Notari, Milano, 2005. 77 Evidenzia P.SPADA, Articolazione del patrimonio da destinazione iscritta, in RDS, 2007, 19, come il conferimento in società (sui relativi profili, M.CASSOTTANA, Rappresentazioni e garanzie nei

38

’’ … la destinazione (ndr: patrimoniale) sia, per legge, atteggiata come attribuzione, postulandosi

un <<ente allo scopo>> (la locuzione è consapevolmente tautologica) al quale la cosa destinata è

attribuita’’ 79. Ed invero, il superamento dell’idea che la società sia strumento per l’esercizio

dell’impresa soltanto in forma collettiva 80 pone l’esigenza di una riconsiderazione unitaria degli

strumenti e delle regole che realizzano il subentro di un soggetto ad un altro nella titolarità

dell’attività d’impresa, anche con riguardo a quella formalmente in capo alla società 81.

Ciononostante, se la nozione economicistica annovera la cessione di una qualificata

partecipazione sociale quale strumento equipollente al trasferimento d’azienda, giuridicamente, tale

assimilazione, pur realizzata dalla richiamata giurisprudenza che applica a tali operazioni l’art.2557

c.c., si dimostra problematica: e si è visto come essa implichi sviluppi e corollari non recepiti e

difficilmente recepibili.

Il subentro di un socio/dominus ad un altro in una società non determina conseguenze

immediate sulle formali relazioni giuridico-patrimoniali tra il soggetto-società e il patrimonio che

alla medesima fa capo (che si risolvano o meno in un rapporto di titolarità di un’azienda). E’ vero

che vieppiù oggi, come avallano taluni interventi chiave della riforma, la soggettività della società si

scompone in regole di organizzazione di funzioni, articolate secondo pesi e contrappesi, cui occorre

dare concreta portata attraverso la disciplina 82; così gli atti della società, che siano riconducibili a

direzione e coordinamento di altra società o ente, sono di certo imputabili alla società che li ha posti

in essere e sono espressione dell’attività della stessa; ma connotano e sono essenza parimenti

dell’attività di direzione e coordinamento (come indica il riconoscimento della responsabilità ai

sensi dell’art. 2497 comma 1 83, azionabile solo se il socio o il creditore sociale non sono stati

conferimenti d’azienda in società per azioni, Milano, 2006) << … pur essendo, come comportamento empiricamente osservato, una destinazione di beni a servizio di un’iniziativa collettiva – ma oggi anche individuale – è trattato come una attribuzione (per esempio ai fini della trascrizione immobiliare.>>. 78 P.SPADA, nota precedente. Prosegue l’A.: << … lo stesso può dirsi per certe trasformazioni eterogeneee (da e in comunione d’azienda), che a differenza delle altre comportano che una destinazione sia impressa o soppressa.>>. V., del medesimo Autore, Dalla trasformazione delle società alla trasformazione degli enti ed oltre, in Studi in onore di V.Buonocore, III, Milano, 2005, 3879 ss. ed ivi spec. 3893-3895. V. ancora M.MALTONI E.TRADII, La trasformazione eterogenea da società di capitali in comunione di azienda e viceversa, in Notariato, 2004, 148 ss.. 79 P.SPADA, Articolazione cit, loc.cit.. 80 P.SPADA, Diritto Commerciale cit., 85 ss, spec. 88.. Sulla centralità dell’impresa nella riforma, supra, nota 75 e v. anche, M.ROSSI, Responsabilità ed organizzazione dell’esercizio dell’impresa di gruppo, in Riv.dir.comm., 2007, 627 ss.. 81 P.FERRO-LUZZI, Riflessioni cit., 677 ss.. 82 V. ad esempio G.FERRI JR, Le nuove trasformazioni omogenee, in Scritti in onore di Vincenzo Buonocore, vol. III, Diritto commerciale. Società, t.I, Milano, 2005, 2497 ss, spec. 2501, per il quale il soggetto-società si risolve in disciplina dell’imputazione di posizioni giuridiche e rapporti giuridici. 83 << … per attività di direzione … >> si è detto << … deve intendersi l’esercizio di una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa, cioè sulle scelte strategiche ed operative di carattere finanziario, industriale, commerciale che attengono alla conduzione degli affari sociali.>>, che non implica necessariamente completa eterogestione e che (come

39

soddisfatti dalla società soggetta all’attività di direzione e coordinamento, come dispone il comma

3 del medesimo articolo). Si pensi anche alla responsabilità solidale di amministratori e soci per

decisioni o autorizzazioni date intenzionalmente in relazione al compimento di atti dannosi per la

società, i soci o i terzi, di cui al comma 7 dell’art.2476 c.c. 84; ovvero anche alle norme sul patto di

famiglia 85, che attestano ulteriormente che il Legislatore attribuisce bene una qualche rilevanza alla

relazione tra titolarità di partecipazioni societarie ed esercizio dell’impresa da parte del socio

attraverso lo strumento societario 86.

Queste significative modifiche non giustificano tuttavia a mio avviso di considerare che il

semplice avvicendamento dei soci nella detenzione e gestione di una partecipazione qualificata,

possa valere a configurare quella sostituzione di un imprenditore all’altro nell’esercizio

ogni attività: ndr) è da accertare in fatto (P.MONTALENTI, Direzione e coordinamento nei gruppi societari: princìpi e problemi, in Riv.soc., 2007, 321 s.). Sulla natura della responsabilità della capogruppo, S.GIOVANNINI, La responsabilità per attività di direzione e coordinamento nei gruppi di società, Milano, 2007, passim, ma spec. 99 ss.; e poi naturalmente GALGANO-GENGHINI, Il nuovo diritto societario cit., 2004, 186 ss.; M.MAGGIOLO, L’azione di danno contro società o ente capogruppo, in Giur.comm., 2006, I, 176; P.DAL SOGLIO, Direzione e coordinamento di società - Art.2497, in Il nuovo diritto delle società, a cura di A.Maffei Alberti, III, Padova 2005, 2337 ss.; G.SCOGNAMIGLIO, Poteri e doveri degli amministratori nei gruppi di società dopo la riforma del 2003, in ID (a cura di) , Profili e problemi cit., 189 ss., ivi, 195.; ID., Danno sociale e azione individuale nella disciplina della responsabilità da direzione e coordinamento, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, 3, Torino, 2007; P.ABBADESSA, La responsabilità della capogruppo cit., 282 ss., spec. n.10 a p.283, dove ulteriori citazioni; R.SACCHI, La responsabilità dell’impresa e il controllo dei rischi, in AA.VV., La responsabilità dell’impresa, Convegno per i trent’anni di giurisprudenza commerciale, Bologna, 8-9 ottobre 2004, Milano, 2006,151 ss.; V. altresì P.MARCHETTI, Sul controllo e sui poteri della controllante, in AA.VV., I gruppi di società. Atti del Convegno internazionale di studi. Venezia, 16-17-18 novembre 1995, Milano, 1996, vol II, 1557-1558; G.PORTALE, Osservazioni sullo schema di decreto delegato (approvato dal governo in data 29-30 settembre 2002) in tema di riforma della società di capitali, in Riv.dir.priv., 2002, 717; A.GAMBINO, Responsabilità amministrativa nei gruppi societari, in Giur.comm., 1993, I, 848; B.LIBONATI, Responsabilità nel e del gruppo (responsabilità della capogruppo, degli amministratori, della varie società), in AA.VV., I gruppi di società. Atti cit., vol.II, 1510 ss.. 84 In tema M.RESCIGNO, Eterogestione e responsabilità nella riforma fra aperure ed incertezze: una prima riflessione, in Soc., 2003, 332; V.MELI, La responsabilità dei soci nella s.r.l., in Il nuovo diritto delle società. Liber Amicorum Gian Franco Campobasso, cit., vol. 3, Torino, 2007, 667 ss.; F.PASQUARIELLO, Sub art.2476, in Il nuovo diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, Padova, 2005, III,1978; F.PARRELLA, Sub art. 2476, in La riforma delle società, a cura di Sandulli e Santoro, Torino, 2003, 132 s.; S. DI AMATO, Le azioni di responsabilità nella nuova disciplina della società a responsabilità limitata, in Giur.Comm., 2003, I, 303; G.MOLLO, La responsabilità per danni nella s.r.l., in Giur.Comm., 2008, I, 823 ss.. 85 G.OPPO, Patto di famiglia e <<diritti della famiglia>>, in Riv.dir.civ., 2006, 439 ss., ed ivi 443; P.VITUCCI, Ipotesi sul patto di famiglia, in Riv.dir.civ., 2006, 447; C.BITONTO, Patto di famiglia: un nuovo strumento per la trasmissione dei beni d’impresa, in Soc., 2006, 797 ss.; A.MASCHERONI, Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati, in Fondazione italiana per il notariato, Patti di Famiglia per l’impresa, Milano, 2006, 28; G.DE ROSA, Il patto di famiglia, presupposti soggettivi, oggettivi e requisiti formali, in Fondazione cit., 177 ss.. 86 Ante riforma v. F.CORSI, Lezioni di diritto dell’impresa, Milano, 1992, 166 e ora in Diritto dell’impresa, 104 ss.; E.GLIOZZI, L’imprenditore commerciale. Saggio sui limiti del formalismo giuridico, Bologna, 1998, 133 ss.; M.STELLA RICHTER, “Trasferimento del controllo” e rapporti tra soci, Milano, 1996, 252 ss..

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dell’impresa (facente capo alla società), richiesta dalla legge quale presupposto per l’applicazione

delle disposizioni di cui all’art. 2557 c.c., al fine di scongiurare le conseguenze di una possibile

concorrenza differenziale nefasta per il socio subentrante e per la società.

Occorrerebbe, in tale prospettiva, poter sostenere che l’attività d’impresa imputabile alla

società vada allora riferita tout court anche al socio: ma a parte la difficoltà e l’opinabilità

dell’assunto, ribadisco quanto già evidenziato in chiusura del precedente § III e cioè che non si può

sottacere il fatto che a subire le conseguenze dell’eventuale attività concorrenziale del cedente è in

primo luogo la società.

Aggiungo che ingresso e fuoriuscita di un socio dalla compagine sociale sono vicende che

evidenziano, nella disciplina della responsabilità del socio, gli elementi tipologici delle diverse

forme societarie. Nessuno ritiene così ad esempio di poter gravare chi ceda un pacchetto azionario,

beninteso in quanto ex socio, dei vincoli di cui all’art. 2560 c.c., poiché è chiaro che così facendo si

contraddirebbe il codice essenziale di cui all’art. 2325 comma 1. Dunque, l’asserita sostituzione,

scelta con un certo arbitrio la via dell’interpretazione analogica, risulterebbe funzionale soltanto

all’affermazione del divieto di concorrenza, senza che nemmeno si possa fondare l’assunto su

quell’apertura che l’art.2112 c.c. ha realizzato nel sistema 87.

Forse, però, le novità qui commentate aprono comunque ad una possibile diversa

impostazione dei problemi sul tappeto.

- IV.4

La recente riforma ha inciso significativamente sul quadro normativo sia del divieto di

concorrenza a carico degli amministratori, sia delle operazioni in conflitto di interesse.

Sotto il profilo sistemico, alla più articolata e ampliata regolamentazione riguardante le

società per azioni (infra sub a) si giustappone per le società a responsabilità limitata la mancanza di

87 Secondo CASS., SEZ. LAV., 18-04-2007, n. 9251, <<Il trasferimento del pacchetto azionario di maggioranza di una società di capitali non integra gli estremi del trasferimento di azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c., ma comporta solo una modificazione degli assetti azionari interni della persona giuridica, la quale, pertanto, conserva la sua soggettività esterna e, in particolare, la sua responsabilità nei confronti dei propri dipendenti per le obbligazioni assunte.>>. Si legge in motivazione che << … Se è vero, infatti, che la nozione di trasferimento di azienda va oggi riferita - come osserva la ricorrente - ad ogni cambiamento della titolarità dell'azienda stessa, quale che sia lo strumento giuridico mediante il quale si realizza la sostituzione dall'uno all'altro imprenditore, è altrettanto vero che nella fattispecie, quale ricostruita dalla sentenza impugnata in termini incontestabili (nè pervero contestati dalla società), è carente il presupposto stesso di tale istituto. Questa Corte ha affermato infatti in numerose pronunce (da ultimo, Cass. 15.10.1991 n. 10829; 26.11.1994 n. 10068) - e qui ribadisce in assenza di censure di carattere specifico da parte della ricorrente - che il trasferimento del pacchetto azionario di maggioranza di controllo di una società non incide sull’autonoma soggettività giuridica delle società interessate e non vale ad integrare il passaggio della titolarità dell'azienda dall'una all'altra società ai sensi dell'art. 2112 cod.civ., non determinando, in definitiva, la sostituzione di un soggetto giuridico ad un altro nella titolarità dei rapporti pregressi.>>.

41

un espresso divieto di concorrenza, oltre che una più circoscritta disciplina delle operazioni in

conflitto di interesse (infra sub b), mentre è rimasta intonsa, forse anche in ragione dei limiti della

delega, la disciplina di cui all’art.2301 c.c. (infra sub b):

- a.

Il divieto dell’art.2390 c.c. è ora di più ampia portata, negandosi altresì all’amministratore,

che non possa giovarsi di relativa autorizzazione assembleare, la coeva assunzione di incarichi

gestionali, sia come amministratore che direttore generale, in favore di società in concorrenza..

Questa modifica, che recepisce un già affermato orientamento 88, indirizza ad accreditare

una conclusione ulteriore, in vero precedentemente quanto meno dubbia. Mi riferisco all’estensione

del divieto all’amministratore di fatto, a suo tempo contestata assumendosi che, in assenza di

formale incarico, non potrebbe prospettarsi sussistente quel rapporto fiduciario che il divieto

intenderebbe proteggere 89.

Posta ora la rilevanza della funzione gestionale espletata in altra compagine, che la stessa

risulti formalmente, ovvero soltanto in fatto, non sembra distinzione che possa giustificare alcun

distinguo al fine di sancire o meno la vigenza del divieto, escludendosi l’amministratore (direttore)

di fatto dal novero dei destinatari del 2390 c.c.; infatti, per entrambe le ipotesi sussiste una

medesima esigenza di protezione dell’impresa facente capo alla società.

Non mi riferisco beninteso soltanto alla sussistenza del divieto a carico

dell’amministratore, formalmente nominato, in relazione a funzioni gestionale da questi di fatto

espletate a vantaggio di società concorrente, poiché in tal caso è chiaro che potrebbe comunque

applicarsi la norma di protezione; mi riferisco anche alla vigenza del divieto a carico

dell’amministratore di fatto, in relazione al coevo espletamento di incarichi di gestione formalmente

o di fatto assunti in altra compagine. Non v’è infatti motivo di privare la società, che subisca gli

effetti della nociva concorrenza dallo stesso espletata, della tutela risarcitoria (escluso naturalmente

il rimedio della revoca) 90.

In secondo luogo, come è noto l’art. 2391 c.c. introduce la norma per cui <<

L’amministratore risponde altresì dei danni che siano derivati alla società dalla utilizzazione a

88 V.CALANDRA BONAURA, Potere di gestione e potere di rappresentanza degli amministratori, in Trattato Colombo-Portale, IV, 1999, 217 s.; v. ora M.L. MONTAGNANI, Articolo 2390 – Divieto di concorrenza, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P.Marchetti cit., 400 s.. 89 M.S.SPOLIDORO, Il divieto di concorrenza per gli amministratori di società di capitali, in Riv.soc., 1983, 1370; sulla ratio del divieto, infra, 43 (testo). 90come se lo svolgimento di funzioni gestionali di fatto fosse una condizione giuridica riprovevole e non invece una realtà da fare emergere e disciplinare in tutte le sue implicazioni. In tal senso già F.GUERRERA, Gestione <<di fatto>> e funzione amministrativa nelle società di capitali, in Riv.dir.comm., 1999, I, 177 s..

42

vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità di affari appresi nell’esercizio del suo

incarico.>>.

Nei primi commenti a questa novella, si evidenzia come essa possa valere a recepire nel

nostro ordinamento l’esperienza giurisprudenziale della corporate opportunity doctrine statunitense 91; ma mi sembra importante evidenziare che tale prescrizione orienti altresì verso una rilevante

modifica della portata normativa delle disposizioni di cui all’art.2390 c.c., sebbene lo studio delle

due problematiche – quella del divieto di concorrenza e quella delle operazioni in conflitto – sia

stato tradizionalmente impostato come avente oggetti ed ambiti distinti, non suscettibili di reciproca

significativa influenza 92.

Si rilevava, in costanza della previgente disciplina, come, a meno di specifica previsione

statutaria (non essendo sufficiente nemmeno una delibera assembleare) il divieto di concorrenza

non esplicasse vigore successivamente all’estinzione dell’incarico di amministrazione 93.

Si rimarcava nondimeno il dubbio circa la vigenza di una certa ultrattività del divieto,

derivante << … da un obbligo di buona fede, quanto meno nel senso di consentire un

prolungamento degli obblighi di riservatezza o nel senso di «convertire » il titolo della

responsabilità — nel caso in cui l'amministratore cessato compia atti rientranti nella fattispecie

della concorrenza sleale — da extra-contrattuale a contrattuale (come si sostiene avvenga per i

<<doveri di protezione ») … >> 94.

91 M.VENTORUZZO, Articolo 2391 – Interessi degli amministratori, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P.Marchetti cit., 490 ss.. Riferisce l’A. (ivi, 492 ss.) che la tutela della società presuppone l’accertamento della ricorrenza di tre elementi chiave. E’necessario che l’operazione sia in linea con l’attività effettivamente svolta dalla società al momento nel quale. E’ necessario che la società sia in grado di sfruttare la business opportunity senza pregiudicare il proprio equilibrio patrimoniale. E’ necessaria infine l’inerzia dell’amministrazione in relazione all’opportunità segnalata dall’amministratore interessato. Su taluni profili di carattere generale del conflitto di interessi v. Il conflitto di interessi nei rapporti di gestione e rappresentanza (atti del convegno, Pavia, 13-14 ottobre 2006), a cura di C.Granelli e G.Stella, Milano, 2007. 92 Sul rapporto tra le norme di cui agli artt.2390 e 2391 del codice civile, v. incisivamente V.CALANDRA BONAURA, Potere cit., 217: <<In realtà, l’art.2391 c.c. regola il conflitto di interessi, di natura anche non concorrenziale, che si manifesta in concreto nella fase deliberativa: come tale esso si applica anche all’amministratore che sia stato autorizzato dall’assemblea all’esercizio di un’attività concorrente. Il divieto di concorrenza disciplina invece una situazione di conflitto potenziale allo scopo di evitare che l’amministratore possa essere indotto a tenere comportamenti gestionali contrastanti con l’interesse della società, anche al di fuori dell’attività deliberativa e del possibile capo di applicazione dell’art.2391.>> 93 M.S.SPOLIDORO, op.cit, 1370. 94 M.S.SPOLIDORO, op.loc.cit., nt. 201, che richiama F.BENATTI, in Osservazioni in tema di doveri dì protezione, in Riv. Trim. dir. proc. civ., 1960, 1342 ss. e C.CASTRONOVO, Obblighi di protezione e tutela del terzo, in Ius, 1976, 125; più di recente A. DI MAJO, La protezione del terzo tra contratto e torto, in Europa e dir.priv., 2000, 1: <<Si è ritenuto … che il dogma della <<relatività>> del contratto, se non è idoneo ad incidere sulla situazione dei terzi, è tuttavia un fatto o <<valore>> che di per sé anche i terzi sono tenuti a considerare, onde la possibilità che il terzo sia ritenuto responsabile per mancato rispetto del contratto tra altri corrente.>> (5 s.) sì che è da segnalare << … l’emergere di nuove forme o atteggiamenti

43

Mi sembra ora che la sanzione per l’utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati,

notizie, o opportunità di affari appresi nell’esercizio dell’incarico, debba proiettarsi anche

sull’attività dell’amministratore successiva all’estinzione dell’incarico, riguardando non solo, ma

con relativa sicurezza, anche un’eventuale attività di impresa in concorrenza da questi avviata e

svolta giovandosi delle cognizioni (differenziali rispetto ad ogni altro concorrente 95) acquisite in

costanza del mandato.

Il riferimento lessicale all’utilizzo a proprio vantaggio di dati, notizie (appresi

nell’esercizio dell’incarico), e l’utilizzo della congiunzione disgiuntiva - dati, notizie o opportunità

di affari: a dire cioè che non necessariamente dati e notizie devono esser forieri di opportunità di

affari contraddistinte dall’elemento della novità rispetto all’impresa sociale – mi sembrano elementi

sulla base dei quali non sia possibile mandare esente da obblighi risarcitori l’amministratore che di

quei dati e notizie realizzi l’utilizzo più gravemente rilevante, quello anticoncorrenziale, non

essendo perspicuo distinguere a seconda che esso si determini in costanza ovvero di seguito alla

cessazione delle funzioni gestorie prestate in favore della società.

La sussistenza della sanzione è coerente conseguenza della vigenza del divieto, che mi

sembra allora opportuno tradurre (altresì) in un ampliamento del tenore normativo di cui al

precedente art.2390 c.c..

Che l’affermazione di una vis espansiva di tale prescrizione, a regolare anche l’attività

successiva alla cessazione delle funzioni gestionali espletate, possa risultare incoerente con la

individuazione della ratio del divieto – inteso come finalizzato a prevenire un potenziale conflitto di

interessi nel perseguimento dell’interesse sociale, perseguimento che presuppone la costanza del

di responsabilità connessi prevalentemente a situazioni <<prossime>> a rapporti contrattuali e nelle quali figurano soggetti-terzi la cui posizione è <<differenziata>> rispetto al quisque de populo … >> (ivi,11). Sulla sopravvivenza dell'obbligo di non divulgare notizie attinenti all'organizzazione ed ai metodi e sul permanere di un obbligo di riservatezza, successivamente alla cessazione del rapporto, F.SANTORO PASSARELLI, Nozioni di diritto del lavoro, Napoli, 1991, 197 ss., e L.MENGONI, II contratto di lavoro nel diritto italiano, in Il contratto di lavoro nei Paesi membri della CECA, Milano, 1965, 478: il primo illustre A., richiamata la tutela penale di cui agli artt.622 e 623 c.p., traccia una distinzione tra divieto di concorrenza e abuso di notizie, sul presupposto che un’attività in concorrenza da parte del lavoratore (in costanza di rapporto o per estensione temporale pattizia del divieto) non debba necessariamente connotarsi come sleale. A dire cioè che l’abuso, ove fondi un’attività concorrente, si traduce invece in concorrenza sleale, salva l’eventuale rilevanza della fattispecie a fini penali penale; analogamente G.FERRI, Le Società cit., a proposito dell’art.2301 (<< … sicuramente è atto di concorrenza sleale quello di chi si avvale delle notizie attinte in funzione della sua posizione o del suo ufficio per danneggiare l’altrui azienda.>>, così p.193). Ancor più interessante e attuale la posizione di Mengoni (ivi), che fonda l’assunto sul fatto che << … è una caratteristica del principio di correttezza stabilito dall’art.1175 c.c. quella di determinare in certi casi la sopravvivenza del rapporto obbligatorio, in funzione della tutela di un residuo interesse di protezione di una delle parti.>>. 95 Sulla possibile rilevanza della potenziale pericolosità della concorrenza dell’amministratore al fine di individuare la ratio dell’art.2390 c.c., di recente (ma prima della riforma), criticamente, V.CALANDRA BONAURA, Potere cit., 215 s. e già diffusamente M.S.SPOLIDORO, op.cit. , p.1324 ss..

44

rapporto, ovvero nella tutela del rapporto di fiducia tra società e amministratore, fiducia irrilevante

cessato che sia il rapporto - non sembra questione che possa influenzare l’indagine sul punto.

L’individuazione della ratio, cui in via deduttiva si legano tali assunti, segue infatti, e non precede,

la ricognizione delle norme.

- b.

La proposta lettura delle nuove disposizioni concernenti il divieto di concorrenza può esser

trasposta in ambito s.n.c. / s.r.l.?

Per quanto concerne il divieto di cui all’art.2301 c.c., la Cassazione, sulla scorta

dell’affermato orientamento 96 per cui l'attività concorrenziale del socio di una società in nome

collettivo può costituire violazione del divieto di concorrenza di cui all'art. 2301 cod. civ. anche

quando si concretizza nella costituzione, da parte del socio stesso, di una società a responsabilità

limitata con identico oggetto, della quale egli assuma la qualità di amministratore, ha precisato

recentissimamente che a tal fine lo svolgimento di funzioni amministrative nella società di capitali

concorrente può altresì risultare di fatto, non essendo necessario l’accertamento di un formale

incarico 97.

Nella medesima sentenza, come in altre meno significative, in quanto precedenti la riforma 98, la cessazione del rapporto limitatamente ad un socio sembra invece rappresentare ancora il

momento che segna il passaggio dalla tutela ex art.2301 c.c. a quella ex art.2598 c.c..

L’impostazione fonda sul convincimento che <<Il divieto di concorrenza mira a impedire

al socio l’esercizio di un’attività, che altrimenti sarebbe perfettamente lecita >> mentre << …

sicuramente è atto di concorrenza sleale quello di chi si avvale delle notizie attinte in funzione della

sua posizione o del suo ufficio per danneggiare l’altrui azienda.>> 99.

Ma v’è uno iato tra questa impostazione e l’esperienza applicativa, nella quale la difficile

distinzione tra estrinsecazione delle capacità imprenditoriali dell’ex socio e abuso delle precedenti

esperienze maturate in ambito societario, concreta espressione dell’animus nocendi, che è onere

della società dimostrare, si risolve spesso per quest’ultima in una negata tutela nei confronti dell’ex

socio; non sorprende allora che, sebbene in altro contesto, l’ultimo comma di cui all’art. 2391 c.c.

sopravvenga a sovvertire tale impostazione, riconducendo ad una violazione di obblighi gestionali,

e dunque a disciplinare come responsabilità contrattuale, l’utilizzo di dati e notizie appresi in

ragione di funzioni amministrative svolte in senso ad una s.p.a., vuoi che tale utilizzo sia coevo allo

svolgimento dell’incarico, vuoi che sia ad esso successivo.

96 Cass., 10 gennaio 1977, n.73. 97 Cass., sez. I, 23-05-2008, n. 13424. 98 Cass., sez. I, 17-04-2003, n. 6169 cit. 99 G.FERRI , Le società, in Tratt.Dir.civ. Vassalli, X.3, II ed., Torino, 1985, 193.

45

Non vedo argomenti a sostenere che la proposta innovata impostazione sia o debba esser

letta come specifica della sola s.p.a.

Quanto al silenzio del Legislatore a proposito del divieto di concorrenza nelle s.r.l.,

rilevato che i modelli di riferimento, la s.p.a. come la s.n.c., si connotano per la vigenza di

specifiche dettagliate regolamentazioni, il quesito non è tanto se – come a buon motivo si ritiene 100

- la lacuna possa esser colmata, in via analogica, facendo riferimento ad esse riferimento.

Il problema si pone con riguardo alla disciplina delle opportunità di affari di cui all’ultimo

capoverso dell’art.2391 c.c., poiché essa non è reiterata all’art.2475-ter 101, che disciplina

autonomamente per esteso il conflitto di interessi degli amministratori di s.r.l..

A tal riguardo si è affermata una possibile lettura diversificata tra le due situazione prese in

esame, ritenendosi che, << … se per entrambi i tipi è innegabile il carattere illecito della

produzione di un danno alla società in conseguenza dell’interferenza di un interesse personale

dell’amministratore e se quindi analoga è necessariamente sotto questo profilo la concreta

conseguenza applicativa … >> 102, sulla base della differente vocazione tipologica che la

100 C.ANGELICI, Note sulla responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata, in Riv.soc., 2007, 1217 ss.: il silenzio del Legislatore in ordine al codice di responsabilità degli amministratori di s.r.l. può favorire l’applicazione analogica di differenti norme, da rinvenire primariamente nella disciplina delle società di persone, non potendosi però escludere il ricorso alla disciplina della s.p.a., a seconda del modello di s.r.l. in concreto utilizzato, a seconda cioè che i soci assecondino o meno la duttilità del tipo a costituire strumento ideale per l’esercizio dell’impresa da parte di soci-manager. Critico O.CAGNASSO, Gestione attribuita ai soci della società a responsabilità limitata e ruolo degli organi di amministrazione e controllo, in RDS, 2008, 454 ss, ivi 458 s., sulla base della considerazione che la scelta del tipo s.p.a. non implica necessariamente che l’impresa esercitata si connoti sotto il profilo dimensionale; viceversa i principi fondamentali della governance della società per azioni postulano un adattamento ai possibili differenti contesti operativi (v.2403 c.c.), così che lo spettro delle possibili soluzioni offerte in tema di s.p.a. ben si adatterebbe a sopperire alle lacune del dettato legislativo in materia di amministrazione di s.r.l.. Altri ricorda che <<L’esistenza del divieto in esame, anche per gli amministratori della s.r.l. può … farsi derivare dalla natura stessa della funzione amministrativa che costituisce sempre, per chi ne sia investito, sia egli un socio o un terzo, un dovere connesso all’esercizio degli speciali poteri propri di ogni attività giuridica idonea a determinare effetti in una sfera di interessi estranei, in tutto o in parte a quella dell’agente.>> (così M.M.GAETA, Il divieto di concorrenza degli amministratori di s.r.l., in Riv.dir.impr., 2007, 592 ss., ivi 597 - a richiamo di MIGNOLI-NOBILI, Amministratori (di società), in Enc.dir., II, Milano, 1958 - nota (critica) a TRIB.NOCERA INFERIORE, 24 maggio 2006, ord., ivi, 591 ss., così massimata: <<La violazione del divieto di concorrenza da parte dell’amministratore di s.r.l. non è ragione di revoca cautelare dall’incarico gestorio, in quanto la disciplina della s.r.l. non richiama espressamente l’art.2390 c.c. del quale, nel silenzio della legge, non è possibile l’applicazione analogica.>> (con fine dotto latinetto si afferma nel provvedimento <<quem lex non dixit non voluit>> - proprio così). 101 In tal senso F.OLIVERO, Gli amministratori di s.r.l.. L’autonomia statutaria, Torino, 2005, 177; possibilista M.VENTORUZZO, Art.2475-ter, in Società a resposanbilità limitata, a cura di L.A.Bianchi, Commentario Marchetti cit., Milano, 2008, 601, testo e nota 6, ricordando come il dovere di dare la precedenza alla società per lo sfruttamento delle opportunità d’affari nelle quali l’amministratore dovesse incorrere, potrebbe – almeno in alcuni casi – discendere dai generali doveri di correttezza dell’amministratore e dunque essere ravvisabile anche nella s.r.l.. Come ricordato, supra, 45 (testo), M.S.SPOLIDORO, op.loc.cit., nota 201, riconduce invece tale dovere all’obbligo di eseguire il mandato secondo buona fede. 102 C.ANGELICI, Note cit., 1227, nt.21.

46

regolamentazione amministrativa riflette << … diviene possibile pensare, anche in termini di

<<doverosità>> dei comportamenti e non soltanto sul piano delle <<sanzioni>>, che non sia di

per sé vietato avvalersi di opportunità sociali, ma solo quando ne deriva un danno per la società

medesima>> (leggasi s.r.l.).

Ove però fosse possibile avallare le considerazioni qui in precedenza espresse – e cioè che

quegli obblighi risarcitori, posti nell’ambito della regolamentazione del conflitto di interessi degli

amministratori di s.p.a., assumano altresì una specifica autonoma portata a completamento della

disciplina sul divieto di concorrenza, potendo trovare dunque in tale divieto quella norma primaria

che manca, in generale, nel disposto dell’art.2391 ultimo cpv., in quanto norma meramente

sanzionatoria - l’inquadramento normativo, per la s.p.a., come per le altre tipologie per le quali in

quei casi non sono espressamente sancite tali sanzioni risarcitorie, risulterebbe molto più agevole 103.

- IV.5

La lettura offerta delle disposizioni sul divieto di concorrenza di cui agli artt.2390 e 2391

(ultimo cpv.) è foriera di ulteriori sviluppi.

Infatti, affermata la vigenza delle due norme sopra descritte – i.e. l’estensione del divieto

di concorrenza all’ amministratore / direttore di fatto e la sua vigenza ulteriore, anche per il periodo

successivo alla fuoriuscita dell’amministratore dalla compagine societaria – deve postularsi in

coerenza l’affermazione aggiuntiva che sia contra legem che un amministratore / direttore di fatto

(quanto meno di s.p.a.) utilizzi dati e notizie appresi nell’espletamento di funzioni gestionali,

coevamente o successivamente alle stesse, per avviare un’attività d’impresa in concorrenza.

Ma se così è, è vero allora altresì che, se e quando sia plausibile il riconoscere e qualificare

l’attività del socio/dominus come attività gestionale di fatto della società, essa attività per ciò stesso

subisca la vis attractiva della disciplina posta dal legislatore per la regolamentazione delle funzioni

amministrative, restando allora il soggetto in questione assoggettato al divieto di utilizzare dati e

notizie appresi nell’espletamento delle funzioni gestionali; non potendo dunque in concreto

103 C.ANGELICI, op.cit., 1226 s,, ritiene le conclusioni sopra richiamate, poiché, non potendosi fondare le sanzioni di cui all’art.2391 ultimo comma, sull’istituto del trust, verrebbe meno altresì la possibilità di giovarsi del risultato più appagante nei sistemi di common law, il disgorgement (remedy e non punishment, "the act of giving up something (such as profits illegally obtained) on demand or by legal compulsion" (BLACK'S LAW DICTIONARY).

47

svolgere attività in concorrenza con la società di seguito al trasferimento della qualificata

partecipazione 104.

In tal senso, l’opzione interpretativa proposta recepisce per altra via l’esigenza, sottolineata

di già in dottrina (Ascarelli) – e divenuta un refrain giurisprudenziale non so quanto perpicuo - che

l’applicazione analogica del divieto di concorrenza di cui all’art.2557 c.c. ai casi di subentro nella

titolarità della partecipazione di controllo di una società impone di focalizzare con estremo rigore

l’attenzione soprattutto verso l’individuazione di concreti riscontri rispetto << … al ruolo ricoperto

e all’attività in essa svolta dai soci cedenti.>> 105.

Ricondurre, ove possibile, le funzioni in concreto svolte dal cedente a quelle di un

amministratore/direttore di fatto induce la riflessione che il predicato divieto di concorrenza può di

già emergere come ulteriore applicazione di un codice specifico dell’attività gestionale 106,

aprendosi così a riconoscere in favore della società una difesa molto più snella, emancipata

dall’onere probatorio che l’accertamento di una concorrenza sleale richiede.

Ma non solo la nuova impronta del divieto di concorrenza a carico degli amministratori di

s.p.a., lasciata dalla riforma, consente di svincolarsi dall’assai incerta equazione

azienda/partecipazione di controllo, al fine di poter fondare le conclusioni cui giunge la

giurisprudenza in caso di operazioni di subentro nel controllo endosocietario; essa, in altra direzione

accorcia comunque sensibilmente la distanza rispetto al disposto dell’art. 2557 c.c.

V’è infatti un elemento aggiuntivo assai importante da tenere in debita considerazione in

simili evenienze: la peculiare figura di amministratore di fatto in discorso si connota in primo luogo

104 Già prima della riforma V.CALANDRA BONAURA, Potere di gestione cit., 226 propone l’applicazione del divieto al socio tiranno in ragione dell’utilizzo indiretto della società che questi realizza, strumentale al perseguimento di un’attività in concorrenza (adde M.I.MONTAGNANI, op.cit., 408 s.). Lo stesso Calandra Bonaura afferma però che <<La tesi che fonda la giustificazione del divieto sulla particolare pericolosità della concorrenza dell’amministratore, per la possibilità che questi si avvalga di segreti aziendali o di notizie riservate … non riesce a spiegare la ragione per la quale sia permesso all’amministratore di partecipare ad imprese concorrenti in qualità di socio limitatamente responsabile, dal momento che la limitazione di responsabilità non esclude affatto il rischio dello sfruttamento concorrenziale di notizie sociali riservate.>> (ivi, 215). Alla luce di quanto esposto, che la partecipazione in qualità di socio limitatamente responsabile sia strumento utile a consentire lo svolgimento di attività anticoncorrenziale da parte dell’amministratore non è affermazione ulteriormente plausibile. 105 APP. MILANO, 07-11-2003, Soc. Serigraf c. Colombo, cit.. 106 L’espressa previsione della responsabilità a carico del socio di cui all’art.2476 c.c., 7° comma, ha introdotto il problema della comparazione tra la nuova figura di socio gestore (o cogestore) e quella di chi, di fatto, svolga funzioni amministrative. La questione non è affatto semplice; si è intanto opportunamente rimarcato come sia specifica alla previsione legislativa la necessaria intenzionalità della condotta e che la responsabilità per amministrazione di fatto non presupponga in capo al gerente l’accertamento della qualità di socio. In tal senso v. MELI, La responsabilità cit., 675 ss., cui addè G.MOLLO cit., 823 ss. Analogamente F.PASQUARIELLO, Art.2476 – Responsabilità degli amministratori e controllo dei soci, in Il nuovo diritto delle società, a cura di A.Maffei Alberti, Padova, 2005, 1979 s.

48

per il fatto che, nell’operazione di trasferimento della partecipazione, recupera dall’acquirente il

profitto dell’intrapresa (societaria).

Ho già rimarcato in che senso le pregresse interferenze di atti e comportamenti del socio

con l’attività gestionale dell’impresa in capo alla società siano elementi che possono orientare

un’eventuale attività del medesimo, successiva alla sua fuoriuscita dalla compagine societaria: ma

tali atti e comportamenti possono orientarla fino al punto che, a fronte dell’intrapresa del

cedente/gestore di fatto, si renda plausibile quel giudizio di sostanziale identità tra attività 107, quella

in capo alla società e quella in capo al socio fuoriuscito, che pone problematicamente l’esigenza di

una verifica dell’inquadramento della fattispecie ex art. 2112 c.c..

Il fatto che il cedente, già dominus dell’impresa formalmente in capo alla società, di

seguito ad una cessione contrattuale (quella tra cedente e cessionario) che determina un drastico

mutamento nell’esercizio dell’impresa formalmente in capo alla società (cui il legislatore non è

insensibile), intraprenda un’iniziativa che di quella sia una gemmazione, potrebbe configurare allora

di per se stesso, sotto altra ed originale prospettiva, quel mutamento nella titolarità di un’attività

economica organizzata indicato all’art.2112, comma 5, del codice civile, realizzando in concreto un

subentro dell’ex socio nell’impresa già facente capo alla società.

E’ come se il cedente, già dominus dell’imprenditore/società (come anche il solo effettivo

evolversi della vicenda dimostra), così operando, pur dismessa ogni posizione formale di “socio”,

ma ancora in condizione di perpetuare comportamenti già riferibili alla società, desse di fatto

attuazione in proprio favore ad una vicenda traslativa dell’azienda della società 108 (approfittando e

abusando del cessionario quale datore di provvista): attuazione che si configurerebbe – beninteso -

come risultato di un’attività (di gestione di affari nomine proprio) non autorizzata 109.

Il nostro ordinamento è già passato per un’esperienza analoga. A norma dell’art.113 codice

di commercio del 1882 110, in caso di contravvenzione al divieto pei soci in nome collettivo di

107 Supra, § 4.2. 108 Sui rapporti tra esecuzione e conclusione del contratto, come pure sul contratto di fatto, R.SACCO G.DE NOVA, Il contratto, I, in Tratt.Dir.Civ., diretto da R.Sacco, Torino, 1993, 122 ss., dove l’indicazione di carattere generale che l’attuazione può tradursi anche nell’appropriazione di un bene presente in una sfera aliena (v. anche 135 ss.). 109 ricostruisce la disciplina l’amministrazione di fatto riconducendo il fenomeno ad una gestione di affari, F.GUERRERA, Gestione <<di fatto>> cit., 171 ss., necessario riferimento per l’individuazione di un titolo di un rapporto diversamente privo di giustificazioni (a critica della posizione di F.BONELLI, La responsabilità dell’amministratore di fatto, in Giur.comm., 1984, I, 107 ss., che ricostruisce la disciplina dell’amministrazione come un corpo di regole obbiettive, che si applicano a prescindere dal titolo giustificativo del potere). Su specifici profili attinenti della gestione d’affari cfr. R.SACCO G.DE NOVA, Il contratto cit., 128 ss., C.M.BIANCA, Diritto civile, 3, Milano, 1984, 142 ss., ivi, 15 e più di recente, C.ANGELICI, Rapporti contrattuali di fatto, in Enc. Giur., XXV, Roma, 1991; L.STANGHELLINI, Contributo allo studio dei rapporti di fatto, Milano, 1997. 110 Lo ricordano G.FERRI, Le società cit., 195, nota 10, e M.S. SPOLIDORO, op.cit, 1317 s., nota 13. VIVANTE, Trattato di diritto commerciale, II, Milano, 1929, § 363, descrive un << … diritto di appropriarsi

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prendere interesse come soci illimitatamente responsabili, in altre società aventi lo stesso oggetto,

né fare operazioni per conto proprio o per conto di terzi nello stesso commercio, senza il consenso

degli altri soci, la società (salva la disposizione dell’art.186) << … ha diritto di ritenere che il socio

abbia agito per conto di essa … >> (e o di conseguire il risarcimento del danno, estinguendosi tale

diritto dopo tre mesi dal giorno in cui la società venne a notizia del preso interesse o delle

operazioni fatte).

Dovrebbe allora potersi ipotizzare:

- a. che essendo tale attività, svolta dal dominus/cedente, non autorizzata e dunque

inidonea, salvo ratifica, ad impegnare la sfera giuridica della società, la stessa società sia

naturalmente facultata ad una protestatio, vale a dire al rifiuto dell’indebita esecuzione; ma non

escluderei a priori che si possa aprire ad una eventuale dichiarazione di voler approfittare

dell’operazione (il corrispettivo della quale è peraltro agevolmente determinabile in ragione

dell’accordo sottostante tra cedente e cessionario);

- b. che, anche da questo specifico punto di vista, di già acquisito al corpo della norme che

regolano l’attività dell’amministratore il divieto di cui all’art.2391 c.c. ultimo capoverso, la società

sia titolata ad una chiamata in responsabilità dell’ex socio gerente per i profili di danno da

riconnettere all’attività svolta, in quanto, sebbene rifiutata dalla società nei suoi risvolti formali, tale

attività 111è comunque espressione di una funzione gestionale amministrativa di fatto espletata che

ha determinato delle conseguenze per la società, non formali, vista la protestatio, ma senza meno

sostanziali: la presenza di un danno è lì a dimostrarlo (ed è proprio dove v’è mala gestio che

l’assimilazione tra funzioni amministrative formalmente assunte e di fatto espletate assume concreta

rilevanza e utilità) 112;

i risultati dell’affare, come se fosse stato compiuto per conto suo.>>; SALV.ROMANO, Le riparazioni non pecuniarie, in Annali Facoltà Giurisprudenza, vol.XLI – 1929 – serie V. vol VI, Ist. Giur. R. Università di Perugia, Perugia 1930, 56, di << … un potere di diritto sostantivo che ha per effetto, appena lo si afferma, di trasferire ipso iure la proprietà di determinati beni da un soggetto all’altro>>; PUGLIATTI, I trasferimenti coattivi, 1931, 59, descrive un diritto potestativo il cui esercizio opera, con l’intervento del magistrato, un trasferimento coattivo a favore della società dei diritti acquisiti dal socio con l’atto vietato. L.COVIELLO JR, Divieto di concorrenza e sanzione negli articoli 112-113, 372 e 515 del codice di commercio, in Foro it., 1936, IV, 293, afferma infine la natura eccezionale della sanzione, assimilando il rapporto tra socio e società ad una commissione. 111 Sulla gestione di affari come attività e dunque come fatto, BIANCA, op.loc.cit.. 112 Richiamo il nuovo corso in tema di responsabilità dell’amministratore di fatto introdotto da CASS., 6 marzo 1999, n.1925, in Corr.giur., 1999, 1396 ss, con nota di A.Perrone; in Giur.comm., 2000, II, 167 ss., con nota di ABRIANI (Dalle nebbie della finzione al nitore della realtà: una svolta nella giurisprudenza civile in tema di amministratore di fatto); ivi, ulteriormente, CASS., 14 settembre 1999, n.9795. A seguire, v. anche CASS., 27 febbraio 2002, n.2906, in Giur.it, 2002, 7, 1424 ss. e, più di recente CASS., SEZ. I , 12 marzo 2008, n.6719, in Soc., 2008, 1226 ss, con nota di G.Cavallaro, ivi, 1228 ss. Per un’aggiornata sintesi del dibattito, A.Castagnazzo, Amministratore di fatto e responsabilità per illegittima prosecuzione dell’attività d’impresa: un ulteriore assestamento giurisprudenziale (nota a Trib.Milano 8 marzo 2007), in Riv.dir.impr., 2007, 569 ss..

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- c. che il socio subentrante abbia ampi margini di manovra per agire a tutela del

proprio interesse, agendo, proprio in quanto socio, per la ricostituzione dell’integrità del patrimonio

sociale, facendo valere la responsabilità del proprio dante causa, comunque da qualificare in tale

prospettiva di natura contrattuale (così risultando qualificata la responsabilità dell’amministratore di

fatto) 113. Questo non vuol dire che il socio subentrante sia privato delle azioni da legge previste ex

contractu, ma soltanto che esse, se mi è permessa l’espressione, non possono essere proiettate nel

futuro, mutuando come patto della regolamentazione del subentro, in via di mera interpretazione, la

sussistenza di un divieto analogo a quello di cui all’art.2557 c.c..

Quale che sia la composizione finale degli interessi tra la società e soci coinvolti

nell’avvicendamento, ove la “clonazione aziendale” si configuri come un fatto non rimosso nelle

sue conseguenze, dovrebbe comunque potersi consentire, a tutela e ad istanza dei lavoratori,

l’applicazione di ogni norma di cui all’art.2112 c.c. 114 (restando quanto meno dubbio che l’ex socio

gerente non possa parimenti esser chiamato a rispondere ex art.2560, comma 2, codice civile).

113 Chiarisce CASS., 6 marzo 1999, n.1925 cit., in motivazione, che << … il discrimine tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale va ricercato (non già nella fonte, ma) nella natura della situazione giuridica violata: se si tratta di obbligazioni, anche se non derivanti da contratto, la violazione dà luogo a responsabilità contrattuale; se invece essa consiste nel dovere generale di rispetto delle situazioni giuridiche altrui, la responsabilità ha carattere extracontrattuale.>>. 114 V., CORTE DI GIUSTIZIA, 3 settembre 2007, nel procedimento C-458/05, causa Mohamed Jouini + 24 contro Princess Personal Service GmbH, già richiamato supra, nota 38.