57
146 C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA 1 - L’evoluzione politica dal XIV al XVI secolo: il processo di formazione dello stato nazionale 2 La scoperta e la colonizzazione dell’America 1 - L’EVOLUZIONE POLITICA DAL XIV AL XVI SECOLO: IL PROCESSO DI FORMAZIONE DELLO STATO NAZIONALE A LA NASCITA DELLO STATO MODERNO 1 - S. Guarracino - Dalle monarchie feudali allo stato moderno 2 - F. M. Feltri - Stato e società fra feudalesimo e mondo moderno B -IL PROCESSO DI FORMAZIONE DELLO STATO NAZIONALE Poteri dall'alto, poteri dal basso e monarchie feudali Le condizioni che favorirono la formazione dello stato moderno A - Declino delle forme di potere universale B - Assoggettamento di un territorio ampio e omogeneo Tipologia di conflitti C - Assunzione da parte dell'autorità centrale dei poteri e delle funzioni pubbliche (vedi lettura "La formazione dello stato moderno") Tipologia di conflitti Stati aree geopolitiche Il declino delle forme di potere universale: Il papato La concezione ierocratica del potere Trasferimento sede papale ad Avignone Il conflitto tra Filippo il Bello e Bonifacio VIII Il rafforzamento della monarchia papale e l'alleanza papato-re 1 Il papato come monarchia centralizzata sovrannazionale 2 L’alleanza con i poteri politici 3 - Irrigidimento ideologico Il Grande scisma del 1378 -1417 Il ritorno del papato a Roma e lo scisma Il conciliarismo e la fine dello scisma Le Chiese nazionali I movimenti eretici Wycliffe Gli hussiti L’Impero Il potere dell’imperatore La germanizzazione dell’impero Gli Asburgo d’Austria Funzioni assunte dal potere centrale: a ________________________ b - amministrazione giustizia c - _______________________ d- fisco d - _______________________ 1 - Territorio nazionale + ____________ Francia, ______ ,Spagna 2 - _______________ + strutture statali forti Germania, ________ 3 - _______________ + strutture statali deboli Polonia, ________ Giustificazione teologica potere papa Bernardo di Chiaravalle: Sottomissione del re al papa perchè Dio Potere ______________ ______________ Papa _______________ Innocenzo III: Papa =________ imperatore = luna

C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

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Page 1: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

146

C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

1 - L’evoluzione politica dal XIV al XVI secolo: il processo di formazione dello stato nazionale

2 – La scoperta e la colonizzazione dell’America

1 - L’EVOLUZIONE POLITICA DAL XIV AL XVI SECOLO: IL PROCESSO DI FORMAZIONE

DELLO STATO NAZIONALE

A – LA NASCITA DELLO STATO MODERNO

1 - S. Guarracino - Dalle monarchie feudali allo stato moderno

2 - F. M. Feltri - Stato e società fra feudalesimo e mondo moderno

B -IL PROCESSO DI FORMAZIONE DELLO STATO NAZIONALE

Poteri dall'alto, poteri dal basso e monarchie feudali

Le condizioni che favorirono la formazione dello stato moderno

A - Declino delle forme di potere universale

B - Assoggettamento di un territorio ampio e omogeneo

Tipologia di conflitti

C - Assunzione da parte dell'autorità centrale dei poteri e delle funzioni pubbliche

(vedi lettura "La formazione dello stato moderno")

Tipologia di conflitti

Stati aree geopolitiche

Il declino delle forme di potere universale:

Il papato

La concezione ierocratica del potere

Trasferimento sede papale ad Avignone

Il conflitto tra Filippo il Bello e Bonifacio VIII

Il rafforzamento della monarchia papale e l'alleanza papato-re

1 – Il papato come monarchia centralizzata

sovrannazionale

2 – L’alleanza con i poteri politici

3 - Irrigidimento ideologico

Il Grande scisma del 1378 -1417

Il ritorno del papato a Roma e lo scisma

Il conciliarismo e la fine dello scisma

Le Chiese nazionali

I movimenti eretici

Wycliffe

Gli hussiti

L’Impero

Il potere dell’imperatore

La germanizzazione dell’impero

Gli Asburgo d’Austria

Funzioni assunte dal potere centrale:

a – ________________________ b - amministrazione giustizia

c - _______________________

d- fisco

d - _______________________

1 - Territorio nazionale + ____________ Francia, ______ ,Spagna

2 - _______________ + strutture statali forti Germania, ________

3 - _______________ + strutture statali deboli Polonia, ________

Giustificazione teologica potere papa

Bernardo di Chiaravalle: Sottomissione del re al papa perchè

Dio

Potere ______________ ______________

Papa

_______________

Innocenzo III:

Papa =________ imperatore = luna

Page 2: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

147

Il rafforzamento degli stati nazionali

Le monarchie feudali

La dispersione del potere e i poteri del re

Il rapporto vassallatico

La giustificazione divina del potere del re:

la Francia

L’organizzazione del potere

centrale

Le conquiste territoriali

La giustificazione feudale del potere del re: l’Inghilterra

L’occupazione normanna e il rapporto vassallatico

La rappresentatività

Dai consigli del re alle assemblee dei ceti

Dalle monarchie feudali agli stati nazionali

Assoggettamento del territorio e accentramento dei poteri pubblici

Francia, Inghilterra e Spagna

Il caso francese

La guerra dei 100 anni: dai conflitti signorili ai conflitti fra stati

Prima fase: la guerra feudale

Seconda fase: la guerra tra stati moderni

L’assoggettamento del ducato di Borgogna e della grande nobiltà francese

Il caso inglese

La guerra delle due rose

Il ritorno della nobiltà dalla Francia e le lotte interne

Il rafforzamento del potere regio

L’apparato burocratico-amministrativo

Le basi sociali della monarchia

Lo stato regionale: il caso italiano

L’Impero e l’Italia

Lo sviluppo della vita politica delle città

La formazione dei comuni

I motivi dello sviluppo politico della vita cittadina italiana

Il controllo del contado

Le forme del governo cittadino

I consoli

I podestà

Gli organismi di popolo

Le lotte politiche

Il controllo del potere comunale

Il controllo del contado

Segni urbani delle turbolenze politiche: le torri

Il caso di Firenze: la rivolta dei Ciompi

Il comune regime borghese e gli obiettivi della rivolta dei Ciompi

Il governo dei Neri

Il riconoscimento delle Arti Medie e Minori

La rivolta dei Ciompi e il riconoscimento delle Arti del popolo di Dio

La repressione dei Ciompi e l’instaurarsi di un regime oligarchico

Dalle signorie ai principati

Le signorie: l’ascesa del signore

I principati: la legittimazione del potere

La formazione degli Stati regionali

Le diverse esperienze di governo

Le signorie feudali

Guerra feudale = scontro tra __________________ Guerra tra _____________:

prevalere motivi ________________

Potere imperatore

Risorse __________________________ + politica __________________ (clan famigliare)

impone propria autorità ai _________________ nuove risorse

discesa in Italia opposizione ___________________________ + ribellione vassalli in Germania

ritorno in ___________________

Rafforzamento potere regio:

1 risorse : a - ______________ derivati ____________ b – dazi esportazione lana

2 - __________________________________: uffici centrali,

sceriffi, assemblee locali 3 – base sociale: a - _____________________________

b - _____________________________

per contrastare il potere dell’alta nobiltà 4 – collaborazione con il ________________________

Lotte politiche nell’Italia comunale:

a – controllo ____________ circostante: contrasti: città e ________

________ e signori del contado

b – _________________, per il controllo del potere comunale:

interni alla ____________ e alla borghesia

tra _______________ e borghesia scontro ideologicamente condotto tra :

________________ (sostenitori del ________)

________________ (sostenitori dell’ __________)

Page 3: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

148

Le repubbliche oligarchiche

Il caso dei Medici a Firenze

L’aristocratizzazione della vita politica

L’accentramento delle strutture amministrative e di governo

Il mercenarismo

Il controllo del territorio

Città dominanti e città sottomesse

Città e contado

L’assestamento degli stati regionali

I tentativi di egemonia tra gli stati italiani

La politica dell'equilibrio

Gli stati italiani tra XV e XVI secolo

L’italianizzazione del papato

L’intervento delle potenze straniere

L'impero di Carlo V

I nuovi protagonisti della politica internazionale

La Spagna e gli altri domini di Carlo V

Un impero per il controllo del flusso di ricchezze in arrivo dal Nuovo Mondo

Lo scontro con la Francia

La fase italiana e la fase tedesca

Dall'impero cristiano all'impero coloniale

Le forme della guerra

Banchieri e mercanti operanti in _____________ interessati a costituire un sistema economico avente

la Spagna come __________________________ e

__________ come __________________________

I maggiori stati italiani:

1_________________________ 2 ________________________

3 repubblica di Firenze

4 ________________________ 5 _________________________

Formazione delle signorie:

fine degli organismi di popolo

_____________________ (consolidamento ceti

dominanti: _____________________ Borghesia mercantile

________________________

Costruzione ______________ regionali: a - omogeneizzazione giustizia

b - ______________________________

c - _______________________________ d - ______________________ (mercenari)

Page 4: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

149

A – LA NASCITA DELLO STATO MODERNO

1 - S. Guarracino - Dalle monarchie feudali allo stato moderno

2 - F. M. Feltri - Stato e società fra feudalesimo e mondo moderno

1 - S. GUARRACINO - DALLE MONARCHIE FEUDALI ALLO STATO MODERNO

Nel XIV secolo le monarchie feudali subirono una profonda trasformazione e si

avviarono a gettare le basi dello stato moderno. Ciò avvenne con la moltiplicazione

degli uffici e della burocrazia e con il passaggio dalle occasionali richieste d'aiuti ai

sudditi ad imposizioni fiscali permanenti. Un ruolo speciale toccò alla guerra: per i

suoi alti costi essa divenne monopolio dei sovrani e strumento di riorganizzazione

della società.

La società feudale era stata caratterizzata da un grande frazionamento dei sistemi

giuridici e dei diritti di giustizia, perché ogni regione e perfino ogni comunità aveva

le sue consuetudini, mentre ogni autorità feudale esercitava una parte più o meno

cospicua dei poteri giurisdizionali: risolvendo i conflitti tra uomini oppure applicando

pene e multe, i signori feudali si erano trovati a detenere una fonte importante di

prestigio personale e di redditi. I re potevano far poco nel campo del diritto canonico

che regolava la materia matrimoniale e familiare e costituiva un possesso geloso della

Chiesa; ugualmente il loro potere doveva arrestarsi di fronte a materie regolate dal

costume, come quella vasta e complicala delle eredità. Ma in fatto di diritto penale,

dall'alto tradimento a tutti quei delitti che turbavano la pace sociale (omicidi, furti,

violenze), i re pretendevano il monopolio pieno e riuscire a spossessare le autorità

feudali dai poteri di "alta giustizia" costituiva uno dei primi e più visibili passi verso

l'affermazione dello Stato: le corti regali e le autorità di polizia venivano a sostituire i

poteri locali della feudalità, la quale tuttavia avrebbe conservato a lungo la "bassa

giustizia", cioè il diritto di applicare multe e pene corporali su reati minori.

L'affermazione della giurisdizione regale non cozzava soltanto contro i poteri

esercitati da tempo immemorabile dai signori: ancora più immemorabile e radicato era

il diritto alla vendetta che ogni uomo e ogni famiglia pretendeva di esercitare contro

chi avesse loro recato offesa. Trasferire al re, ai suoi giudici e ai suoi carnefici,

l'accertamento e la punizione dei delitti era psicologicamente complesso: la vendetta

si esercitava sotto l'influsso dell'ira, in uno stato d'emotività acuta, e far delega allo

Stato significava imparare ad autocontrollare i propri sentimenti, trasformare la rabbia

immediata e soggettiva in una giustizia dilazionata e oggettiva; un esercizio difficile e

doloroso, che richiederà molti secoli per dare qualche risultato visibile. Ecco perché i

tormenti inflitti sul corpo del delinquente dovevano essere, per tutto il Medioevo e

oltre - fino al XVIII secolo -, uno spettacolo pubblico di enorme importanza sociale:

il senso materiale e sanguigno della giustizia non poteva essere spento di colpo e le

stesse autorità pubbliche, del resto, partecipavano alla stessa delirante esaltazione dei

sensi e delle emozioni che intesseva l'equazione popolare fra giustizia e vendetta;

perciò, dalla gogna ai marchi a fuoco, dalle esecuzioni capitali ai roghi, tutto avveniva

in pubblico, nelle piazze, in mezzo a grandi folle, fra i rantoli delle membra scempiate

e l'odore delle carni bruciate, in un grande rito pagano che doveva placare la

commozione violenta dei sentimenti e volgerli, con un brusco contrasto, dal tumulto

impietoso al silenzio attonito di fronte alla morte o al pianto dirotto per l'orrendo

Page 5: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

150

destino del delinquente, vittima sacrificale di una società che sentiva in se stessa la

medesima carica di violenza or ora espiata.

Dopo lo "Stato di giustizia" (e seguendo lo schema di analisi proposto da Pierre

Chaunu), dobbiamo dedicare un'attenzione maggiore allo "Stato di finanza''.

I re feudali avevano per lo più tratto le loro risorse dai grandi patrimoni ereditati o

conquistati; a questa fonte maggiore di redditi dobbiamo aggiungere i proventi delle

imposte indirette fatte pagare ai mercanti nei punti daziari di cui un regno era

disseminato. Occasionalmente i re avevano chiesto aiuti finanziari ai propri sudditi,

ma questi interventi di imposizione diretta rendevano impopolare la monarchia e per

essere veramente efficaci avevano bisogno di un gran numero di agenti del fisco: il

costo dell'operazione finiva per sconsigliarla e per rendere preferibile il ricorso a

prestiti da parte di mercanti e banchieri stranieri.

Fino a che l'esercito regio aveva potuto contare sui servizi dovuti dai vassalli per la

raccolta dei contingenti necessari alle operazioni, i bisogni finanziari del sovrano non

erano stati molto elevati, ma dal XIV secolo le guerre erano diventa più lunghe e

costose, perché ci si serviva di truppe mercenarie e nessuno più rispettava in pieno i

periodi di tregua. Per aumentare le proprie risorse i re avevano di fronte a sé tre vie: la

prima era quella della manipolazione monetaria; la seconda era quella

dell'introduzione di nuove imposte; la terza consisteva nel rivolgersi in maniera

massiccia ai prestiti dei mercanti. Quando veniva il momento di onorare i propri

obblighi, pagando gli interessi o restituendo i capitali, i re potevano contare sui

proventi di una guerra vittoriosa, ma più spesso erano costretti a ricorrere alla via delle

imposte oppure a dichiararsi debitori insolvibili, come aveva fatto il re d'Inghilterra

con i banchieri fiorentini dopo il 1340.

La più efficace imposizione fiscale era sempre quella indiretta, estendendola a beni di

prima necessità e scaricandola sui mercanti, che pagavano per primi, alla generalità

dei sudditi che dovevano sopportare gli aumenti dei prezzi: la gabella del sale,

introdotta in Francia nel 1341, divenne il tipo più comune e più pesante di imposta

indiretta.

Ma nel pieno del XIV secolo i re potevano ormai tentare di sostituire autentiche e

regolari imposte dirette, le taglie, che colpivano tutte le famiglie del regno. In Francia

la taglia divenne regolare dal 1370 e da questo momento in poi la storia dello Stato

non è altro che la storia di un peso fiscale che si accresce sempre di più.

In principio la taglia regia venne ad aggiungersi ai prelievi sui redditi del mondo rurale

che erano compiuti dai proprietari della terra e dalla Chiesa (canoni e decime), ed è

difficile dubitare del fatto che le grandi rivolte contadine scoppiate nel periodo tra il

1350 e il 1390 siano legate alla comparsa di questi nuovi prelievi.

I contadini ribelli furono ovunque sconfitti e puniti con brutalità, ma non si può

affermare che quelle rivolte non ebbero alcun risultato: esisteva un limite fisico allo

sfruttamento e le imposte regie dovevano alla fine entrare in concorrenza con i prelievi

feudali. Nel lungo tempo lo sviluppo della fiscalità fu una causa in più della decadenza

delle antiche aristocrazie, perché non sempre i re appoggiavano le loro pretese di

rivedere e innalzare i canoni dovuti dai contadini.

Possiamo collegare strettamente lo "Stato di finanza" con lo "Stato di guerra"', ma

questo rapporto presenta anche altri aspetti su cui è bene soffermarsi un momento. Le

guerre feudali erano state fino sul principio del XIII secolo brevi e discontinue,

interrotte continuamente dalle "tregue di Dio", dalla cattiva stagione, dal bisogno di

foraggio per i cavalli; raramente esse avevano mobilitato più di qualche centinaio di

cavalieri e un numero forse triplo di fanti: ma i pedoni erano solo delle comparse, dei

contadini strappati a forza dalle loro capanne e messi poi ad azzuffarsi con armi

primitive nel fango e fra le zampe dei cavalli. Più in alto, sui loro destrieri, c'erano i

veri signori della guerra, l'aristocrazia, che prestando servizio militare soddisfaceva ai

propri doveri d'onore e al proprio gusto per la violenza.

Cento anni dopo le cose erano cambiale: i re preferivano ora eserciti composti di

mercenari o di coscritti e la Francia, che era rimasta indietro su questa strada rispetto

all'Inghilterra, aveva visto da vicino come l'ordinata fanteria degli arcieri fosse

Page 6: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

151

superiore alla vecchia cavalleria feudale. La guerra dei cent'anni aveva certamente

avuto l'effetto di scatenare la rissosità dei signori, fino a farla sfociare nel banditismo

puro e semplice, e lo stesso accadde durante le guerre che sconvolsero la Spagna nel

XIV e XV secolo. L'anarchia nobiliare, tuttavia, doveva col tempo diventare sempre

meno significativa: solo i re avevano il prestigio e la forza necessari per mantenere e

rafforzare lo "stato di finanza" e solo chi aveva grandi risorse finanziarie poteva usare

a proprio vantaggio lo "stato di guerra''. Ciò divenne ancor più vero quando accanto

alle truppe mercenarie comparvero anche le armi da fuoco, a partire dalla seconda

metà del Trecento i cannoni divennero sempre più grandi e più costosi, accessibili solo

alla borsa di un re. Il ruolo militare della nobiltà naturalmente non sparì di colpo; se la

fanteria e l'artiglieria divennero le regine della battaglia, i ranghi maggiori della nobiltà

conservarono ancora a lungo i comandi degli eserciti. Ma la psicologia e l'etica della

guerra feudale erano finite assai prima della fine del XIV secolo.

Per ultimo parleremo dello "Stato della burocrazia", intendendo con questa

espressione il composito insieme di individui al servizio del re: se nel mondo feudale

l'idea di servizio era inseparabile da quella di fedeltà personale, nello Stato dei

burocrati contava una fedeltà molto più fredda e astratta, che andava oltre la persona

del re, per riguardare infine l'ufficio stesso visto nella sua impersonalità.

La storia dello Stato ha registrato quella di un continuo aumento del numero dei

funzionari e degli impiegati, come pure quella di un continuo aumento della pressione

fiscale sulla ricchezza globale prodotta da un paese.

Chi erano inizialmente questi burocrati? Erano i membri delle alte corti di giustizia,

a partire (per riferirci ancora alla Francia) dal parlamento di Parigi e dagli altri

parlamenti provinciali: osserviamo che in Francia con parlamento non si intendeva un

organo politico, ma un organo giudiziario, con funzioni di controllo sulla legittimità

degli atti dei funzionari inferiori, ma anche come contrappeso all'autorità del re, oltre

che con funzioni di vera e propria corte giudicante.

La volontà del re restava sovrana, ma essa si doveva esplicare secondo forme legali e

via che gli alti funzionari apprendevano a essere fedele all'impersonalità della legge e

dell'ufficio insegnavano anche al re a incanalare la sua volontà in quelle forme di

legalità che sole distinguevano il potere legittimo dalla tirannide. Le teorie politiche

del XV secolo facevano ancora propria l'idea che il potere discendesse da Dio e che

nulla potesse opporsi alla volontà sovrana: che il potere politico fosse legittimato solo

dal consenso del popolo era una tesi ardita e fuori del senso comune. E tuttavia il

potere del re era qualcosa di più di una qualità della sua persona: la sovranità si

trasmetteva per via ereditaria, quindi doveva essere qualcosa di più astratto della

persona del regnante. La sovranità era un attributo della dinastia legittima, una

sovranità astratta che spettava all'entità Stato, essa veramente immortale.

Queste erano idee da giuristi, che ponevano la legge al di sopra del re, pur sapendo

che era molto difficile stabilire quando il re andava contro la legge. Ma non era passato

il tempo in cui il re esercitava la sua signoria sul suo dominio in base a titoli del tutto

personali? Il regno non si configurava più solo come un possesso privato del re esso,

inoltre, non era un oggetto passivo, ma si componeva di "corpi'" o "ordini'", dei quali

occorreva ascoltare il consiglio e da cui era necessario sollecitare l'approvazione.

In Inghilterra, già dal XIII secolo, l'istituzione del parlamento (un organismo politico),

diviso nelle due camere dei Lord (la nobiltà e l'alto clero) e dei Comuni (la borghesia),

aveva dato una forma istituzionale ai possibili momenti conflittuali del rapporto tra il

re e il regno; quando il regno era chiamato a pagare nuove tasse o a dare il suo

contributo allo sforzo di guerra imposto dal re, l'azione sovrana ne usciva legittimata

e rinforzata. Il parlamento smussava i rischi dei dissensi gravi; l'ipotesi di un conflitto

insanabile era esclusa, perché il parlamento doveva alla fine accettare la volontà del

re, ma il re stesso non poteva saltare il momento della mediazione. In Francia Filippo

IV il Bello aveva convocato per la prima volta un'assemblea politica nel 1302 per

ottenere l'approvazione della sua politica contro Bonifacio VIII, gli Stati generali: essi

divennero da quel momento, sia pure con un potere effettivo inferiore a quello del

parlamento inglese, un elemento essenziale del prestigio dell'azione regia.

Page 7: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

152

Al di sotto dei grandi organismi giudiziari e delle assemblee politiche, gli stati del XIV

e XV secolo videro un continuo moltiplicarsi dei funzionari provinciali, con uffici

giudiziari, di polizia, di finanza (esattori della taglia e della gabella del sale): alla fine

del Quattrocento la burocrazia statale francese includeva, dai giuristi del parlamento

di Parigi agli impiegati degli uffici locali, qualcosa come 7 o 8.OOO persone.

Per denominare il complesso di istituzioni emergenti alla fine del Medioevo, gli storici

parlano a volte di monarchie nazionali e a volte di Stato moderno. Entrambe le

espressioni sono ricche di sottili implicazioni. Monarchia nazionale vuole alludere alla

grande estensione della base territoriale della sovranità regia, ma anche al fatto che è

il rafforzarsi dello Stato a consentire la prima formazione delle entità nazionali, con

un'unità amministrativa e fiscale abbastanza sviluppata, con una lingua ufficiale che

non è più il latino, ma il francese o il castigliano.

Ma fino a che punto si può parlare di modernità per questi stati moderni? La fine del

Medioevo è stata in realtà un processo molto più lungo e sfumato di quanto le pagine

di questo paragrafo possano aver suggerito. La giurisdizione statale, intrisa com'era di

elementi barbarici, si impose con fatica contro i molti altri sistemi giuridici (la Chiesa,

la bassa giustizia signorile, le consuetudini) che continuavano a sussistere; la fiscalità

statale era ben lontana dall'essere accettata senza discussione e includeva ancora molti

elementi che la facevano somigliare a una rapina imposta con la violenza, per non

parlare delle truffe monetarie. Quanto alla guerra, è vero che le battaglie del

Quattrocento non somigliavano più alle zuffe scomposte di due secoli prima, ma i re

non sapevano decidersi fra un esercito basato sulla coscrizione nazionale, più fidato,

e le truppe mercenarie, più efficienti; nelle battaglie si andò affermando una

professionalità bellica più moderna, ma le guerre continuavano a vedere la prevalenza

del banditismo nobiliare con l'aggiunta dei saccheggi compiuti dai mercenari sbandati.

Quali erano poi i moventi delle guerre? L'idea della potenza e della grandezza del

regno si faceva strada a fatica fra moventi più arcaici, l'orgoglio ferito, l'istinto

irrefrenabile della vendetta, l'onore della propria casata.

La burocrazia, infine, si trovava anch'essa a metà strada fra il vecchio e il nuovo: i

funzionali francesi della fine del Quattrocento erano più numerosi e professionali di

quelli di Luigi IX il Santo e il migliorato stato delle comunicazioni accresceva

l'efficacia della loro azione. Ma gli uffici tendevano irresistibilmente a diventare

possessi di famiglia trasmissibili ereditariamente; spesso essi venivano acquistati e

venduti come un possesso personale e questa degenerazione inutilmente deprecata

ebbe la tendenza piuttosto ad accrescersi che a sparire nel corso del Cinquecento. Gli

uffici erano comprati a caro prezzo perché ci si attendeva da essi un reddito elevato:

la distinzione fra stipendio e corruzione non era affatto chiara e un giudice che si

faceva pagare la prestazione da chi si rimetteva al suo giudizio non era un funzionario

corrotto, ma solo un uomo che metteva a frutto il suo ufficio pubblico.

Questo Stato moderno manteneva dunque alcuni connotati feudali facilmente

riconoscibili e non sempre il suo carattere nazionale emergeva con chiarezza in paesi

dove la babele dei sistemi consuetudinari e dei diversi dialetti regnava sovrana e dove

i comandi del re giungevano ancora con lentezza dal centro alla periferia. Una strada

era stata tuttavia imboccata: il poco percorso già fatto era forse meno importante del

fatto che da quella strada le società europee non sarebbero più tornate indietro.

da S. Guarracino "L'età medioevale e moderna", Bruno Mondadori, 1998, pag. 144-49

Page 8: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

153

2 - F. M. FELTRI – STATO E SOCIETÀ FRA FEUDALESIMO E MONDO

MODERNO

Nelle aule dei nostri tribunali campeggia la scritta "la legge è uguale per tutti"; la nostra

Costituzione afferma l'esistenza di diritti naturali, appartenenti a tutti i cittadini,

indipendentemente dal sesso, dalla condizione sociale, dal reddito, dalla fede

religiosa. Ogni persona ha le stesse possibilità, formalmente, di accedere ad un posto

pubblico sulla base delle capacità o del merito (accertati mediante pubblici concorsi).

Ogni cittadino, quando commette un reato, viene giudicato dal "giudice

naturale", quello cioè competente per territorio.

Nelle società di "antico regime" (prima, cioè della Rivoluzione francese) la legge

non era uguale per tutti: i diritti erano "privilegi" propri del ceto di appartenenza (i

cosiddetti ordini o stati, in Francia), non esistevano, cioè, diritti "universali";

l'accesso a determinate cariche o funzioni era riservato a pochi: ad esempio, sempre in

Francia, fino al 1789, potevano diventare ufficiali dell'esercito soltanto i nobili; in

Inghilterra i nobili, dalla Magna Charta in avanti, avevano il privilegio di poter essere

giudicati da un tribunale di "pari", cioè di nobili. Le stesse modalità di

applicazione della pena capitale erano diverse: ai nobili veniva tagliata la testa, ai

non nobili era riservata l'impiccagione, pena ritenuta più infamante.

La legge oggi in Italia è eguale dappertutto: la Costituzione, il codice penale, il codice

della strada valgono per l'intero territorio nazionale; nell'antico regime ogni

regione, contea, feudo aveva le proprie norme e consuetudini; persino i sistemi di peso

e di misura erano diversi da luogo a luogo. Sarà la Rivoluzione francese ad imporre

un sistema universale ed omogeneo di pesi e misure (il chilo, il metro, il litro...) in tutto

il paese. L'estensione a tutto il territorio nazionale delle stesse leggi, della stessa

amministrazione, delle stesse procedure (processo già iniziato dai sovrani dell'antico

regime) verrà accelerato e portato a termine dalla rivoluzione.

Lo stato, oggi, è l'unico titolare della sovranità, del potere cioè di fare le leggi e di usare

la forza per farle rispettare. Oggi i poteri di polizia, ad esempio, e di amministrazione

della giustizia appartengono allo stato: nessuno può "farsi giustizia" da solo, o arruolare

eserciti e poliziotti per la propria difesa.

In età comunale Federico Barbarossa scese in Italia e mosse guerra ai comuni della Lega

lombarda per riappropriarsi delle cosiddette regalie (diritto di fare le leggi, di

battere moneta, di imporre tasse, di eleggere magistrati), poteri sovrani, che i

comuni, a suo giudizio, avevano usurpato. La concessione di poteri ai vassalli, in

cambio di fedeltà e di determinati obblighi, fu uno dei meccanismi fondamentali del

sistema feudale: la scarsità di uomini e di mezzi , la debolezza dello stato,

incapace di controllare immensi territori, costrinse imperatori e re a concedere

"poteri pubblici" a conti e baroni, a città e ad abbazie, a signori laici ed ecclesiastici.

Quando l'imperatore decise di "riprendersi" questi poteri (in questo caso il

Barbarossa) ormai la forza, economica e militare, e l'autonomia dei comuni erano una

realtà consolidata e l'Impero non aveva più la forza e l'autorità per imporsi.

Saranno i sovrani "assoluti" di Francia, Inghilterra e Spagna, nel Quattrocento e nel

Cinquecento, a costruire uno stato centralizzato, dotandosi di un esercito, di un

sistema di riscossione delle imposte, di un apparato di funzionari, di

un'amministrazione della giustizia, sottraendo, progressivamente queste funzioni

alle classi nobiliari, riducendo i "privilegi" delle città "libere", ridimensionando

i poteri del clero.

Oggi lo stato svolge una serie di servizi: dall'istruzione all'assistenza sanitaria, alla

tutela previdenziale (pensioni, ...). Inoltre, provvede alle comunicazioni e

all'erogazione di energia, o direttamente o dandone la concessione a privati. Si parla,a

questo proposito, di stato assistenziale o Welfare State.

In passato non era così: pensiamo alla scuola. Fino a tempi molto recenti gran parte

dell'istruzione e dell'assistenza sanitaria era gestita dalla Chiesa; la difesa del territorio

Page 9: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

154

era affidata ai signori feudali; forme di solidarietà e di "mutualità" (cioè aiuto reciproco,

scambio di lavori e di prestazioni) esistevano a livello di vicinato e di villaggio,

compensando la mancanza dell'intervento pubblico. Per trovare le prime forme

di "previdenza sociale", in Europa, bisognerà aspettare la seconda metà

dell'Ottocento. Nelle società di "antico regime" l'erogazione di determinati servizi da

parte dei nobili e del clero spiega le "immunità" ed i privilegi di cui essi godevano:

in Francia, l'esenzione di questi ceti dal pagamento delle tasse era motivata dalla loro

funzione e dalla loro "utilità" sociale. Quando questa funzione di "interesse

pubblico" venne meno, anche i loro privilegi cominciarono ad apparire ingiustificati

ed illegittimi.

Il concetto di "rappresentanza": nello stato di oggi il giudice emette le sentenze "in nome

del popolo italiano"; i parlamentari fanno le leggi in rappresentanza del popolo dal quale

sono stati eletti e dal quale possono essere revocati. Nell'antico regime coesistevano due

nozioni di origine della sovranità: quella feudale, secondo la quale il sovrano stipulava un

patto di fedeltà con i suoi vassalli, concedendo benefici e poteri in cambio dell'auxilium

(aiuto) e del consilium (consiglio); e quella dell'origine divina del potere, potere che

in quanto tale era "insindacabile" (cioè non poteva essere né giudicato né recuperato dai

sudditi). Lo "stato di diritto" nato dalla Rivoluzione francese ribalterà soprattutto la

nozione di "origine divina del potere", prendendo invece "a prestito", dal mondo

feudale, l'idea di un patto o contratto tra lo stato ed i cittadini: non è un caso, infatti,

che le prime forme di rappresentanza politica "moderna", i primi Parlamenti, siano nati in

Inghilterra, sulla scia della Magna Charta, una vera e propria "Costituzione" di tipo

feudale. Da F.M. Feltri, “I giorni e le idee”, SEI, 2002, pag. 58-59

Page 10: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

155

B - IL PROCESSO DI FORMAZIONE DELLO STATO NAZIONALE

Poteri dall'alto, poteri dal basso e monarchie feudali

Il declino delle forme di potere universale:

Il rafforzamento degli stati nazionali

Lo stato regionale: il caso italiano

L'impero di Carlo V

Tra l’XI e il XII secolo il territorio dell'Occidente feudale si presentava

frazionato in molteplici centri di potere - principati, ducati, contee, marchesati,

castellanie, abbazie, comunità cittadine - sui quali l'antica autorità pubblica

centrale, dopo la disgregazione dell'Impero carolingio, non riusciva a esercitare

un'efficace e continua azione di controllo e di governo. A provare a contrastare

queste tendenze alla dispersione del potere pubblico vi erano sia le due autorità

che si proclamavano portatrici di un potere universale, la Chiesa e l’imperatore

tedesco, sia le monarchie feudali che tendevano a imporre un potere territoriale

nazionale.

In questo quadro di competizione tra poteri dal basso (signori feudali civili ed

ecclesiastici, comuni) e dall’alto (Chiesa, Impero, monarchie) emerse, sempre

più decisamente a partire dal XIV secolo, un nuovo soggetto, lo stato nazionale,

destinato a realizzare la concentrazione del potere pubblico nelle mani di un

apparato burocratico-amministrativo, in grado di agire in modo uniforme

sull’intero territorio controllato.

Il processo di formazione degli stati nazionali richiese, innanzitutto, il declino

delle forme di potere universale, che vede negli avvenimenti del XIV secolo il

suo momento cruciale, nonché l’assoggettamento di un territorio

sufficientemente ampio e omogeneo, in quanto caratterizzato da strutture

economiche e culturali simili. A definire il territorio controllato furono

molteplici scontri interni tra il re e i potenti feudatari, dal momento che fino,

perlomeno, al XV secolo spesso i re non erano che signori terrieri che esercitavano

la loro piena sovranità sui soli domini familiari; il restante territorio del Regno era

in mano a grandi signori e ai liberi comuni - che pretendevano di esercitare ogni

potere nei loro domini, sottraendosi alla giurisdizione regia. Il declino dei poteri

universali e l’assoggettamento del territorio si accompagnò al processo di

unificazione dei poteri pubblici nell’apparato burocratico-amministrativo, di cui il

re rappresentava il vertice. Quest’ultimo processo ha consentito allo stato

nazionale di assumere le funzioni tipiche dello stato moderno, ovvero fare le

leggi, amministrare la giustizia, controllare l’esercito, e imporre tributi fiscali,

sottraendoli ai poteri dal basso che li detenevano di fatto; lo scontro tra stato e

poteri dal basso, tra re e nobiltà, ha caratterizzato gran parte della vita politica

dell’ancien régime, prendendo spesso, a partire dal Cinquecento, le forme di

guerre religiose.

Il moderno stato nazionale, pur rappresentando una tendenza di fondo della storia

europea, non si realizzò in modo omogeneo in tutta Europa. In tal senso si

possono, infatti, distinguere tre aree geo-politiche costituite da: Francia,

Inghilterra e Spagna dove il processo, già tra XV e XVI secolo, portò alla

costituzione di stati che controllavano vasti territorio e con una struttura centrale

in via di rafforzamento; l’Europa dell’est, Polonia, Ungheria e Russia, dove il

controllo di vasti territorio non si accompagnò ad un rafforzamento delle

strutture centrali; infine, l’area tedesca e l’Italia in cui il rafforzamento delle

strutture centrali si realizzò all’interno di stati che rimasero di dimensioni

regionali, raggiungendo l’unità nazionale solo nella seconda metà

dell’Ottocento.

POTERI DALL'ALTO, POTERI DAL

BASSO E MONARCHIE FEUDALI

Dispersione del ___________________

(poteri dal _____________________)

pretese dei poteri

_____________________

(poteri dall’ ___________________)

e stato __________________________

Condizioni ________________________

_________________________________

1 - _______________________________

2 - _______________________________

3 - _______________________________

funzioni stato:

1- ________________________________

2 - _______________________________

3 - _______________________________

4 - _______________________________

sottratte ___________________________

Stati nazionali e aree geo-politiche:

1 - _______________________________:

stati _____________ + territorio ________

2 - _______________________________:

stati _____________ + territorio ________

3 - _______________________________

stati _____________ + territorio ________

Page 11: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

156

Per comprendere la storia di questo processo secolare cominceremo con

l’esaminare i poteri universali che sicuramente costituiscono la forma più tipica

del potere nel medioevo e, come tali, verranno superati dallo stato moderno.

Il declino delle forme di potere universale:

Il papato

L’Impero

IL DECLINO DELLE FORME DI

POTERE UNIVERSALE:

A - IL PAPATO

Con l'espressione concezione ierocratica del potere si indica l'insieme dei presupposti

teologici che stanno alla base dell'azione politica del Papato. Essa fu elaborata da

papa Gregorio VII (1073-1085), ma venne perfezionata, nel XII secolo, da

Bernardo di Chiaravalle, secondo il quale Dio aveva dato entrambi i poteri - sia

quello spirituale sia quello temporale – a Pietro e ai suoi successori, cioè i papi. I

pontefici, dal canto loro, mentre usavano personalmente la spada (= il potere)

spirituale, avevano invece delegato ai sovrani la spada temporale, cioè l'esercizio del

potere politico. Dunque, in virtù di tale mediazione ecclesiastica, Bernardo chiedeva

ai monarchi una sottomissione pressoché totale, visto che - nella sua teoria delle

due spade - i re esercitano la sovranità solo nella misura in cui il papa conferisce

loro il diritto di far uso del potere temporale.

All’inizio del secolo successivo, tale concezione venne ripresa da papa Innocenzo III

(1198-1216), il quale, per spiegare che l'autorità del pontefice è superiore a quella

dell'imperatore, ricorse al paragone tra il sole e la luna. Nel mondo naturale la

luna non brilla di luce propria, bensì la riceve dal sole, così - nella società umana

- il papa ha ricevuto da Dio tutto il potere, in ogni campo e in ogni ambito; i

sovrani, al contrario, esercitano unicamente quanto hanno ricevuto in delega dal

papa e solo nella misura in cui il papa permette loro di farlo. Il pontefice, infatti,

ha il diritto-dovere di deporre il sovrano che si comporti modo indegno o

assuma un comportamento contrario alla legge di Dio. Così, non meraviglia

che Innocenzo III abbia preferito, al tradizionale titolo pontificio di vicario di

Pietro, quello ancor più prestigioso di vicario di Cristo: in tal modo, egli

rivendicava per il papato un'assoluta e completa pienezza di poteri (plenitudo

potestatis) su tutti i cristiani, principi compresi.

Sulla scena politica degli anni a cavallo fra il Duecento e il Trecento, la figura

dominante fu quella di Bonifacio VIII, che venne eletto papa nel 1294, in circostanze

del tutto particolari. Il suo predecessore, Celestino V, si era infatti dimesso

dall'incarico pochi mesi dopo l'elezione pontificia. Costui era un eremita abruzzese

(Pietro da Morrone), la cui elezione era stata vista come una svolta da tutti coloro

che desideravano un ritorno alla purezza originaria della Chiesa. Tuttavia poiché

Celestino V era assolutamente privo di ogni esperienza in campo politico, giuridico

ed amministrativo, ed essendosi subito reso conto di non poter guidare

un'organizzazione complessa e articolata come la Chiesa senza venir meno al suo

modello di vita cristiana, preferì rinunciare all'incarico.

La concezione _____________________

del potere:

- ________________________________:

le due _____________________________

- ________________________________:

__________________________________

da _____________________________ a

______________________________

LO SCONTRA TRA PAPATO E ____________

_________ E IL TRASFERIMENTO DEL

PAPATO A ____________________

da ____________________________ a

__________________________________

IL DECLINO DEL PAPATO

Reso evidente da:

A - _________________________________________ __________________________________________________

B - __________________________________________ _________________________________________________

Pag. _____ riga _______

Page 12: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

157

Poco più tardi, la delusione di quanti avevano riposto in lui le proprie speranze fu

doppiamente cocente, visto che il suo posto venne preso da Benedetto Caetani

(Bonifacio VIII 1294-1303), che era noto per la risolutezza con cui sosteneva la

tradizionale concezione ierocratica del potere.

Il principale avversario politico di Bonifacio VIII fu il re di Francia Filippo IV il Bello

(1285-1314). Impegnato in un conflitto col re d'Inghilterra Edoardo I, nel 1296 il

sovrano francese - per reperire fondi - sottopose a tributo anche i beni della Chiesa.

Bonifacio VIII replicò con una prima bolla (= documento ufficiale, emanato da

un’autorità), nella quale minacciava di scomunica il re se non avesse immediatamente

ritirato i provvedimenti fiscali nei confronti del clero. Tuttavia, Filippo il Bello non

solo non si piegò dinanzi alle severe parole del papa, ma anzi passò al contrattacco,

vietando l'uscita dal regno di ogni somma di denaro che fosse diretta a Roma.

Si ripresentava così, ma all’interno di un quadro molto diverso, la stessa

situazione che si era venuta a creare tra il papa Gregorio VII e l’imperatore Enrico

IV, all’epoca delle lotte per le investiture1. Alla fine del XIV secolo, infatti, non ci

troviamo più di fronte a un imperatore dotato di scarse risorse e costretto a competere

con dei grandi signori capaci di rivaleggiare col sovrano sia in ricchezza sia

in potenza militare. Nell'XI secolo - quando l'imperatore si trovava in queste

circostanze - l'arma spirituale della scomunica (per il semplice fatto che

autorizzava i subordinati a sentirsi liberi dal giuramento di fedeltà prestato) era

micidiale e capace di provocare gravi problemi al principe che ne fosse stato colpito.

Nella Francia della fine del Duecento, Filippo IV poteva invece contare su risorse

infinitamente più elevate, che gli permettevano innanzitutto di avere a sua

disposizione una schiera di funzionari che dipendevano direttamente dal re (perché

retribuiti da lui) e, cosa ancora più importante, potevano essere sostituiti da altri

servitori più fedeli nel caso in cui non obbedissero ai suoi ordini. Di fronte a questa

nuova e solida struttura statale, l'arma della scomunica non creava alcun danno ai

sovrani; pertanto, Bonifacio VIII fu costretto a desistere dal proseguire la lotta,

ovvero finì per lasciar cadere, di fatto, la bolla del 1296 e fu trovato un

compromesso che consisteva nel permesso provvisoriamente accordato da

Bonifacio VIII al clero francese di sovvenzionare il sovrano. Il conflitto divenne

più aspro nel dicembre del 1301, quando Bonifacio VIII reagì al tentativo di

Filippo IV di estendere anche ai vescovi i poteri giurisdizionali della corona. Il

papa sospese i suoi privilegi e con una bolla affermò la propria superiorità su tutti

i poteri terreni. Filippo rispose convocando gli stati generali, l'assemblea dei tre

"ordini" del regno di Francia, e ottenendo l'appoggio non solo della nobiltà e del

"terzo stato" (gli esponenti dei ceti cittadini), ma anche dello stesso clero2.

Bonifacio emanò allora la bolla Unam Sanctam (18 novembre 1302), la più ampia

e solenne rivendicazione mai fatta da un papa della superiorità del potere

Lo scontra tra ____________________ e

__________________________________

1 – lo scontro per ____________________

__________________________________

dallo scontro _________ / ____________

allo scontro _______ / _______________

2 - _______________________________

________________________________

contro

_________________________________

1 Nel 1075 Gregorio VII vietò l'investitura laica dei vescovi., l’imperatore e il papa si deposero a vicenda, ma

la scomunica papale si rivelò un'arma più forte, capace di condurre la Germania alla guerra civile, perché

scioglieva i sudditi di Enrico IV dal dovere dell'obbedienza. Nel 1077 l'imperatore dovette chiedere il perdono

del papa e lo ottenne nel castello appenninico di Canossa.

Il conflitto fra papa e imperatore riprese però ben presto, intrecciandosi con la guerra civile

tedesca, e durò ben oltre la vita dei due contendenti, morti rispettivamente nel 1085 e nel 1106.

Solo nel 1122 il concordato di Worms riuscì a porre termine alla contesa con un compromesso.

L'imperatore manteneva l'investitura temporale, cioè dei beni e delle funzioni pubbliche, ma

riconosceva il diritto esclusivo del papa a quella spirituale e alla consegna del pastorale e

dell'anello; in Germania l'investitura temporale sarebbe avvenuta prima di quella spirituale. 2 Gli stati generali erano le più importanti assemblee rappresentative, si svolgevano sia a livello locale che

nazionale, vi erano rappresentati i gruppi sociali presenti nell’ancien régime nobiltà, clero, terzo stato,

ovvero tutto il resto della popolazione rappresentata in prevalenza dall’alta borghesia. Mentre i parlamenti

avevano una prevalente funzione giudiziaria, gli stati generali, in quanto rappresentativi, possono essere

paragonati agli attuali parlamenti, tenendo presente almeno le seguenti differenze: gli stati generali non

rappresentavano un istituzione autonoma e stabile come i moderni parlamenti in quanto venivano

convocati per volontà del re in modo del tutto saltuario. Inoltre, non esercitavano il potere legislativo:

potevano solamente esprimere un loro parere che non vincolava il re o l’apparato burocratico statale.

Page 13: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

158

spirituale. Richiamandosi alla dottrina delle due spade, Bonifacio VIII,

riprendendo le teorie di Bernardo di Chiaravalle, sosteneva che le spade erano sì

due, quella spirituale e quella temporale, ma che Gesù le aveva consegnate

entrambe a san Pietro e ai suoi successori; l'uso di quella temporale era

effettivamente riservato ai re, ma questa veniva loro consegnata dal papa, affinché

se ne servissero secondo la volontà del papa stesso.

Alla rivendicazione teorica contenuta nella bolla Unam Sanctam, Bonifacio VIII

non aveva fatto ancora seguire la logica conseguenza della scomunica del re.

Questi fu in complesso molto più abile nel giocare la carta della propaganda

antipapale: Filippo IV chiese la convocazione di un concilio e fece dichiarare il

papa simoniaco ed eretico da una assemblea di prelati e giuristi; un esercito fu

inviato a catturarlo ad Anagni. Bonifacio, salvato solo da un'insurrezione popolare

contro i soldati francesi, morì poco tempo dopo; trascorsi due anni, il conclave

elesse papa un cardinale francese, Clemente V, che trasferì, nel 1309, la sede

papale ad Avignone, una cittadina della Francia meridionale che, pur non

appartenendo direttamente ai re di quel paese, era però soggetta alla loro

influenza; fu qui che risiedettero fino al 1377 i suoi sei successori, tutti francesi.

Entro certi limiti, pertanto, il rapporto previsto da Bonifacio VIII fra il papa e i

sovrani risultava semplicemente capovolto, a tutto vantaggio, nel caso specifico,

di Filippo il Bello e dei suoi successori. A questo proposito gli storici cattolici hanno

parlato addirittura di "cattività babilonese", quasi che nella settantina d'anni trascorsi

in Avignone i papi fossero "prigionieri" dei re di Francia, come nell'antichità erano

stati prigionieri gli Ebrei deportati a Babilonia da Nabucodonosor. L'espressione,

ormai consacrata dalla tradizione, e spesso tradotta in "cattività avignonese”, è però

alquanto esagerata: appunto in quel periodo, infatti, la Chiesa fu bensì soggetta

all'influenza dei sovrani francesi, ma nello stesso tempo consolidò la propria

organizzazione e divenne così una sorta di “monarchia centralizzata

sovrannazionale”, che mediante il più efficiente apparato fiscale dell'epoca traeva da

tutti i paesi cristiani le decime, le imposte dovute dai titolari dei benefici concessi

dal papa, i proventi della vendita delle indulgenze, le tasse pagate per i più diversi

motivi da coloro che avevano a che fare con la curia papale. Anzi, per molti versi

la monarchia papale, non solo divenne una fedele alleata del potere politico, ma la

sua organizzazione costituì un modello per quest’ultimo per quanto riguarda

l’efficienza dell’apparato burocratico-amministrativo e dell’apparato giudiziario

(vedi tribunali della S. Inquisizione).

La cattura di __________________ e il

__________________________________

IL PAPATO AVIGNONESE

Il convento dei domenicani a

Savigliano in un’incisione seicentesca.

Poiché all’ordine dei domenicani era

affidato il tribunale dell’inquisizione

anche il convento saviglianese ne fu

sede. Attualmente la chiesa è la sede di

un magazzino comunale.

La monarchia papale fondava il suo potere sui progressi nella centralizzazione delle

istituzioni ecclesiastiche e su una stretta alleanza con i poteri politici. A dimostrazione

di ciò valga questo unico esempio. Nella prima metà del secolo XII il diritto di

eleggere i vescovi fu sostanzialmente limitato ai membri dei capitoli delle singole

cattedrali. Successivamente però le frequenti discordie dei canonici nelle elezioni

episcopali favorirono sempre più numerosi interventi papali nelle elezioni stesse,

tanto che nella prima metà del XIV secolo si era ormai consolidata la prassi di

avocare al pontefice la nomina dei nuovi prelati. Il processo di accentramento in

tale delicato settore giunse a tal punto che gli ultimi papi residenti ad Avignone

Page 14: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

159

si « riservarono » il diritto, tradotto poi in consuetudine, di nominare i titolari

di tutti gli episcopati e di tutte le abbazie maschili. Una consuetudine che, se da un

lato favoriva la rapidità delle nomine e poneva fine a tutta una serie di intrighi

locali, non impediva affatto il patteggiamento con i poteri politici, poiché lo

innalzava anzi a sistema di governo papale. I principi, in cambio del proprio

appoggio in quanto « braccio secolare » nella repressione del dissenso religioso e

nella difesa della gerarchia ecclesiastica e delle imposizioni finanziarie della chiesa

di Roma, condizionarono la scelta dei vescovi e il conferimento dei benefici degli

enti ecclesiastici attraverso la segnalazione dei loro protetti al favore papale.

Caratterizzò il papato avignonese, insieme alla centralizzazione delle istituzioni

ecclesiastiche e all’alleanza con i poteri politici, un irrigidimento ideologico che portò

a un incremento della repressione del dissenso religioso. Vennero condannate dai

papi avignonesi come eretiche le dottrine dell'ala pauperista dei francescani,

inviando buona parte di questi ultimi al rogo; nei primi anni del Trecento, il

movimento pauperistico-ereticale dei fratelli apostolici, che, sorto attorno al 1260

per iniziativa di Gerardo Segarelli di Parma, mandato al rogo dall'inquisizione, era

allora diretto da fra' Dolcino. Questi poté essere catturato con migliaia di aderenti

solo per mezzo di una vera e propria campagna militare effettuata in seguito a un

appello alla crociata lanciato da papa Clemente V (1305-1314).

Il fatto che la repressione del dissenso religioso e sociale fosse di fatto una scelta legata

alla stretta alleanza della la monarchia papale con i poteri politici è, del resto, resa

evidente dalle vicende che portarono alla soppressione dell'ordine monastico-militare

dei templari. Impegnati, dopo la fine degli stati crociati, soltanto nella gestione dei

propri beni e divenuti ormai soprattutto dei finanzieri, i templari si videro accusare

di simonia, pratiche magiche e omosessualità. Filippo IV fece arrestare i capi

dell'ordine, che sotto le torture confessarono le colpe più improbabili e stravaganti.

Fra il 1307, e il 1310 l'ordine dei templari venne smantellato in tutta Europa e nel

1312 fu sciolto dal papa; il gran maestro finì sul rogo e le ricchezze dell'ordine

furono spartite fra i cavalieri di san Giovanni e il re di Francia, che nel dar vita

allo scandaloso affare non aveva avuto altro scopo che incamerare quelle

ricchezze.

La Chiesa era ormai lontana in maniera irrecuperabile dallo spirito della riforma;

ricchezza, simonia, commistione con gli aspetti peggiori della politica erano la sua

ragion d'essere e Avignone divenne in pochi anni una corte splendida per lusso

e cultura, ma del tutto priva di valori spirituali.

Il ritorno del papa a Roma era visto come una condizione preliminare di ogni

tentativo di purificazione della Chiesa da parte di tutte quelle forze intellettuali

PAPATO AVIGNONESE

1 - ____________________________________________________________________

A - ______________________________________________________________________ (decime e ____________)

B - _____________________________________________________________________________________________

2 - ____________________________________________________________________

A - _____________________________________________________________________________________________

B - _____________________________________________________________________________________________

3 - _____________________________________________________________________

A - _______________________________________________ (_________________________________ , Fra Dolcino)

B - ______________________________________________________________________ (_____________________)

Page 15: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

160

e spirituali, laiche ed ecclesiastiche, che ancora credevano possibile una rina-

scita della religione di Gesù e della sua comunità di credenti; solo dopo il

1350 i papi cominciarono a prendere in considerazione questa possibilità,

cogliendo soprattutto l'evidenza di un fatto preoccupante: le famiglie

aristocratiche romane avevano ricostituito in pieno i loro poteri feudali nel

Lazio e la città di Roma aveva ridato vita alla sua esperienza di comune

autonomo. Inoltre, con la fine dell'autorità imperiale sull'Italia il ritorno del papa

a Roma poteva coprire un vuoto politico e tentare la costruzione di un vero Stato

della Chiesa, ponendo fine all'anarchia delle signorie locali e creando una

forza territoriale che garantisse davvero l'indipendenza del vertice della Chiesa

cattolica.

Dopo una lunga e accorta preparazione, il papa Gregorio XI ristabilì infine nel

1377 il ruolo di Roma come Santa Sede, ma alla sua morte, avvenuta nel 1378,

apparve con drammatica chiarezza che i 70 anni di permanenza ad Avignone

non erano stati solo una parentesi. Il conclave del 1378 elesse pontefice un

vescovo italiano, ma i cardinali francesi sostennero che quella elezione, era stata

estorta con la forza dal popolo romano abilmente sobillato. Un nuovo conclave

elesse un secondo papa e per quasi quarant'anni la Chiesa ebbe due papi (il

cosiddetto Grande scisma): uno romano, riconosciuto dalla maggior parte

della cristianità, e uno avignonese, riconosciuto dai re di Francia e di Napoli e,

più tardi, anche dai sovrani spagnoli. Lo scandalo era grande: due papi, due

collegi cardinalizi, ma nessuna giustificazione veramente religiosa per questo

scisma che sarebbe durato fino al 1417; la scelta per l'uno o l'altro indegno

successore di Pietro era solo un atto politico del tutto interno ai rapporti che si

venivano delineando tra le emergenti strutture statali nazionali.

L’unità della chiesa fu ristabilita dal concilio ecumenico di Costanza (1414-18):

dopo tre anni di discussioni e lo spontaneo ritiro del papa pisano, eletto da un

precedente concilio che non era riuscito a riportare l’unità nella chiesa, e

di quello romano (ma non di quella avignonese, che rimase però isolato),

dopo ripensamenti e difficoltà, si arrivò all'elezione di un nuovo papa (Martino V

1417-31) che dovette promettere che avrebbe governato insieme al concilio,

destinato a diventare un organo della Chiesa da riconvocare con periodicità brevi.

L’idea che il reggimento della comunità cristiana non poteva essere affidato

a un solo uomo, ma andava dato a un organo collegiale, il concilio, che aveva

consentito alla Chiesa di superare questa lunga crisi venne presto sconfitta dalla

politica dei papi. In un nuovo concilio ecumenico, che si aprì a Basilea nel

1431, i padri conciliari non riuscirono ad affermare il principio uscito a

Costanza, la superiorità del concilio sul papa: Eugenio IV (1431-47) sciolse

l'assemblea e, dopo diversi anni e contrasti, la riconvocò a Ferrara; una parte

dei vescovi restò a Basilea ed elesse un antipapa. La Chiesa era di nuovo nel

marasma, ma la prospettiva di una lunga lacerazione indusse il partito conciliarista

a recedere dalle sue posizioni; nel 1449 1’antipapa si dimise e Basilea si

riconciliò col papa.

Negli anni cruciali 1430-50 si affermò di fatto l'idea che il papa fosse una sorta

di presidente di una confederazione di chiese nazionali, ciascuna con i propri

privilegi e le proprie autonomie.

In Inghilterra già dalla fine del XIV secolo i re avevano cominciato a imporre

le loro decisioni in materie ecclesiastiche; ma fu soprattutto in Francia che,

con la Prammatica sanzione, emanata nel 1438 dal re Carlo VII si affermò una

Chiesa nazionale "gallicana". Anche se essa non fu riconosciuta da Roma, i vescovi

francesi cessarono di venire nominati dal papa e venne negata ogni superiorità

gerarchica del papa stesso sul clero francese. D'ora in poi l'universalismo papale

non è più il quadro nel quale si pone la religiosità individuale: essa oscillerà

piuttosto fra il quadro della Chiesa nazionale e quello della propria coscienza.

I papi della seconda metà del Quattrocento saranno a volte degli uomini di

cultura di grande valore, a volte dei politici abili, ma lungo questa strada

Il ritorno __________________________

il significato per ____________________:

__________________________________

il significato per ____________________:

a - ________________________________

b -________________________________

Il ________________________________

(_________ - _________)

atto _______________________ e non

________________________________

Il concilio di _______________________

e la _______________________________

__________________________________

Papa e __________________________

la sconfitta dei ______________________

Le ________________________________

Page 16: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

161

usciranno anche degli autentici criminali come Alessandro VI (14921503). La

Chiesa universale era veramente finita.

Oltre che dalla perdita del potere universale la crisi della chiesa nel XIV e nel XV

secolo è sottolineata anche dal diffondersi di teorie eretiche, legate sia a motivi

religiosi che sociali che, benchè sconfitte, prepareranno il terreno alla Riforma

protestante del XVI secolo che, ponendo fine all’unità religiosa dell’Europa,

contribuirà a un ulteriore ridimensionamento del ruolo egemonico che la Chiesa

aveva svolto nel Medioevo.

Quando il concilio di Costanza si sciolse nel 1418, l'unità e la pace della cristianità

erano state raggiunte, ma decenni di scandalo avignonese e la lunga vergogna dei

due o tre papi in lotta fra di loro non potevano essere cancellati tanto facilmente.

Già prima dell'inizio dello scisma, un professore di filosofia dell'università di

Oxford, John Wycliffe, era giunto a conclusioni molto più radicali dei futuri

conciliaristi: la Chiesa come corpo separato degli ecclesiastici non era affatto un

elemento essenziale della vita del cristiano. L'essenza della scelta cristiana

era data soltanto da Cristo, dal Vangelo, dalla fede. Bisognava cancellare tutta

l'incrostazione di assurdità che i lunghi secoli dell'ignoranza avevano depositato

sulle limpide pagine evangeliche, come il culto dei santi o quello delle reliquie;

sugli stessi sacramenti Wycliffe avanzava dei dubbi, ma la sostanza del suo

pensiero che giunse fino ai rivoltosi inglesi del 1381 era l'egualitarismo

evangelico e il rifiuto della mediazione della Chiesa fra Dio e gli uomini. La rivolta

inglese venne stroncata, ma le idee di Wycliffe si sparsero col sangue dei contadini

massacrati su un suolo europeo pronto a generare nuove stirpi di rivoltosi.

Ciò accadde in Boemia, inizialmente sul solo terreno religioso, come istanza

di una riforma della Chiesa e con forti aspetti di polemica verso la gerarchia

ecclesiastica. Nel 1415 Jan Hus, la maggiore autorità intellettuale del movi-

mento boemo, era stato invitato al concilio di Costanza: in maniera piuttosto

inaspettata venne condannato come eretico e mandato al rogo insieme al suo

compagno Girolamo di Praga. Questo delitto compiuto col tradimento dai

padri conciliari trasformò il movimento religioso in un fatto politico e sociale: i

boemi si ribellarono sia contro l'imperatore, sotto la cui garanzia si era svolto il

concilio di Costanza, sia contro la Chiesa. Gli hussiti chiedevano la completa

abolizione della proprietà ecclesiastica e un ruolo più incisivo dei laici nella

vita della comunità cristiana. Un'ala ancora più radicale riprendeva le idee di

egualitarismo evangelico che avevano animato i ribelli inglesi del 1381 e chiedeva un

ritorno allo spirito originario del Vangelo.

L'evoluzione dei movimenti evangelici, dai primi eretici dell'XI secolo agli

ussiti, si presenta, ai nostri occhi, come una continua risorgenza

dell'immagine di una Chiesa povera e semplice, del desiderio di un contatto

diretto col Vangelo, non mediato dalle interpretazioni e dalle aggiunte fatte dalla

tradizione clericale: ma a ogni nuovo soprassalto, da Pietro Valdo a San Francesco,

dai lollardi inglesi (questo era il nome dei seguaci più radicali di Wycliffe) agli

ussiti, i motivi sociali della protesta assunsero un carattere sempre più netto

accanto ai temi religiosi. Ma né i francescani spirituali, né i ribelli inglesi, né

i boemi riuscirono mai a stabilire un chiaro rapporto fra i due ordini di motivi e

ogni volta il millenarismo religioso (la credenza in un prossimo totale

rinnovamento del mondo) introdusse elementi di fanatismo, che potevano

andare dal recupero del mito della crociata all'ondata di antisemitismo, dalla

sottovalutazione della forza militare degli avversari a un uso sconsiderato

della violenza. Neppure gli hussiti si sottrassero a questo esito e, benché la

rivolta boema sia durata più di venti anni, i momenti di delirio e la ricerca esaltata

del martirio ebbero la prevalenza sulla capacità organizzativa e politica. Già dal

1433, del resto, la maggioranza dei boemi finì per accettare un compromesso che

assicurava alcuni privilegi alla Chiesa e in particolare il diritto per ogni fedele

di comunicarsi sia con il pane sia con il vino, tenendo con le proprie mani il

calice.

Motivi ______________________

e motivi _____________________

Page 17: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

162

Nonostante l’avvenuto accordo con la chiesa boema, una delle chiese nazionali

di cui abbiamo detto sopra, i motivi di fondo di chi riteneva necessaria una

riforma della chiesa e del papato rimasero del tutto attuali, tant’è che nel giro di

nemmeno un secolo essi si riproposero, con la Riforma protestante, con una

forza tale da rompere definitivamente l’unità dei cristiani europei.

Le vicende dell'altro polo dell'universalità, l'Impero, furono meno drammatiche,

ma giunsero allo stesso risultato:la perdita di un ruolo egemonico.

L'Impero era tradizionalmente formato di tre nuclei territoriali, l'Italia, il regno

di Borgogna e la Germania. Anche all’interno di tali aree il potere veniva

esercitato effettivamente solo per brevi periodi e solo legato alla presenza di

personaggi di particolare rilevanza quali Federico Barbarossa o il figlio

Federico II. In ogni caso, l’imperatore, per poter esercitare il suo potere

universale, poteva contare solo sulle risorse che gli provenivano dai suoi

domini ereditari e da quelli acquisiti grazie alla politica matrimoniale (clan

famigliare) che impiegava per imporre ai suoi vassalli in Germania la propria

autorità, ottenendo in questo modo le risorse necessarie per organizzare un

esercito con cui tentare una “discesa in Italia”, per scontrarsi con

l’opposizione dei signori feudali, dei comuni e della Chiesa .

L’allontanamento dalla Germania, inoltre, finiva per rafforzare il potere dei

signori e delle città tedesche, impedendo in questo modo all’imperatore di

esercitare effettivamente il suo potere.

Dopo Enrico VII di Lussemburgo (1308-13)3, morto di malaria durante

l’ultima discesa in Italia di un imperatore tedesco, l’impero subì un processo

di germanizzazione che lo trasformò in una forza politico-militare

specificatamente tedesca. La conferma di tale definitiva germanizzazione

dell’Impero si ebbe nel 1356 quando un accordo tra l’imperatore regnante e i

principi fu stilata la lista definitiva dei "grandi elettori", tre principi

ecclesiastici (gli arcivescovi di Magonza, Colonia e Treviri) e quattro laici (il

re di Boemia, i duchi di Brandeburgo e di Sassonia, il conte del Palatinato).

Dopo essere stata attribuita varie volte ai conti di Lussemburgo (che erano

anche re di Boemia) o ai duchi di Baviera, la corona imperiale tornò nel 1439

alla famiglia degli Asburgo, che l'avevano già avuta due volte alla fine del XIII

secolo. In questo secolo gli Asburgo avevano lasciato i loro antichi possessi sulle

montagne svizzere, per concentrarsi sul più recente acquisto del ducato d'Austria.

In Svizzera, che di nome era parte dell'Impero, si era sviluppata una lega di

B - L’IMPERO

Il potere dell’_______________________

1 - _______________________________

__________________________________

2 - _______________________________

__________________________________

3 - ________________________________

__________________________________

4 - _______________________________

Processo di _______________________

Gli _______________________________

3 La discesa in Italia di Enrico VII ebbe l’incondizionato appoggio di Dante Alighieri.

I MOVIMENTI DI RIFORMA

1 - ___________________________________________________

A - _____________________________________________________________________________________________

B - _____________________________________________________________________________________________

C - _____________________________________________________________________________________________

1 - ___________________________________________________

A - _____________________________________________________________________________________________

B - _____________________________________________________________________________________________

C - _____________________________________________________________________________________________

Page 18: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

163

città e di cantoni montani, che era stata in grado più volte di respingere le

pretese dei duchi d'Austria. Al contrario, nel loro ducato gli Asburgo

avevano costruito una forza statale efficiente, sul modello di quella francese;

a partire dal 1439 la corona imperiale venne sempre attribuita all'erede della

loro famiglia. La realtà politica della Germania continuò tuttavia a mantenere i

caratteri di profonda frammentarietà. Se alcuni principati territoriali come la

Baviera, la Sassonia e il Brandeburgo si avviarono nel corso del Quattrocento a

prendere la via della costruzione statale, il resto della Germania restò un

coacervo caotico di città libere, di principati ecclesiastici e di piccole signorie

feudali che si contavano ormai nell'ordine del centinaio.

L'equilibrio tra la forza statale degli Asburgo e la polverizzazione territoriale

della Germania poteva forse evolvere nel senso di un'espansione tedesca del

ducato d'Austria, ma certamente a metà Quattrocento il titolo imperiale non

aveva più da tempo nessun significato universale.

Il rafforzamento degli stati nazionali

Le monarchie feudali

Dalle monarchie feudali agli stati nazionali

Assoggettamento del territorio e accentramento dei poteri pubblici

Il caso francese

Il caso inglese

Tra XI e XIII secolo l’intero territorio dell'Occidente feudale si presentava

frazionato in molteplici centri di potere - principati, ducati, contee, marchesati,

castellanie, abbazie, comunità cittadine - sui quali l'antica autorità pubblica,

dopo la disgregazione dell'Impero carolingio, non riusciva a esercitare

un'efficace e continua azione di controllo e di governo.

In origine i sovrani, esattamente come gli imperatori, benché vantassero una sacra

unzione regale e trasmettessero il loro titolo ai propri discendenti, non erano che

signori terrieri che esercitavano la loro piena sovranità sui soli domini familiari, il

restante territorio del Regno essendo in mano a grandi signori - duchi, conti,

marchesi - che pretendevano di esercitare ogni potere nei loro domini, sottraendosi

alla giurisdizione regia.

Per arginare il particolarismo determinato dalla presenza di questi signori e contenere la

forte conflittualità che si accendeva tra essi, i sovrani cercarono di rafforzare gli

strumenti di governo preesistenti, appoggiandosi alle istituzioni feudali: nella rete

vassallatico-beneficiaria essi trovarono uno strumento per inquadrare in una struttura

ordinata gerarchicamente e fondata su forti vincoli di fedeltà e aiuto i molteplici e

dispersi centri di potere locale. Attribuendo funzioni e attività pubbliche a uomini di

loro fiducia - che assumevano il titolo di vassalli - i sovrani cercarono di assicurarsi

un piú ampio e ordinato controllo del Regno: con l'investitura feudale essi concedevano

infatti ai loro vassalli non solo beni o rendite patrimoniali, ma cariche pubbliche che

assicuravano il diritto di riscuotere imposte, dazi, gabelle, di amministrare la bassa

giustizia (relativa cioè a controversie di minore importanza), di procedere al

reclutamento di uomini armati. Lo stesso termine feudo in questi secoli venne

sempre più a indicare l'insieme dei diritti e delle cariche pubbliche, oltre che dei beni

patrimoniali, che il vassallo riceveva dal suo superiore e che trasmetteva alla propria

discendenza come un patrimonio familiare.

In questo modo la monarchia feudale riuscì a garantirsi un ruolo superiore di

coordinamento dei molti potentati signorili, ponendosi al vertice di un sistema

gerarchico che affidava ai signori precise funzioni di governo, ma al tempo stesso

cercavano di impedire che un eccessivo frazionamento del potere e del territorio

degenerasse in anarchia e sfociasse in aperta e continua conflittualità.

Frammentazione Germania: prevalere

__________________________________

IL RAFFORZAMENTO DEGLI STATI

NAZIONALI

LE MONARCHIE FEUDALI

(____________________)

La dispersione dei _________________

I poteri del re: _____________________

Il rapporto ________________________

concessione di ______________ (terre) +

_________________________________

al fine di __________________________

__________________________________

ruolo del re: _______________________

__________________________________

Page 19: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

164

A fondamento della loro sovranità i re medievali richiamavano ora l'investitura

divina, che faceva di loro degli "unti" del Signore responsabili solo dinanzi a Dio della

loro azione politica, ora il contratto feudale, che imponeva ai re responsabilità e doveri

nei confronti dei vassalli con cui avevano stretto il patto.

Nei Regni dove piú marcato era il richiamo all'origine divina della sovranità, come

quello di Francia, la Corona tendeva ad accentuare gli elementi sacrali e

taumaturgici della dignità regale: in essi il re trovava la giustificazione della

natura soprannaturale del suo potere, della sua superiorità su ogni uomo e

quindi anche sui potenti signori feudali.

Resa forte dalla sacralità riconosciutale dai sudditi e dalla continuità dinastica, la

monarchia francese affermava il suo dominio, in origine circoscritto ai territori

familiari dell'Ile de France, ai molti ducati, alle contee, alle città, alle abbazie, ai

vescovati che nel corso dei secoli XII e XIII vennero annessi grazie a conquiste mi-

litari, confische dei feudi di vassalli infedeli, alleanze matrimoniali con dinastie

signorili. I sovrani che si succedettero tra la fine del XII e l’inizio del XIV secolo, tra cui

Luigi IX (I226-1270) e Filippo IV il Bello (1285-1314), estesero il territorio sottoposto

alla loro autorità provvedendo a riorganizzarlo aumentando il numero e le funzioni

degli ufficiali del re (prevosti, balivi e siniscalchi), responsabili dinanzi al sovrano

del buon andamento del fisco, della giustizia, della difesa e del controllo dell'attività

svolta da funzionari minori e signori locali.

Il prestigio della Corona continuò ad aumentare lungo tutto il Duecento ed essa

estese il suo controllo a nuove regione: nel 1215 sconfiggendo il re d'Inghilterra

vennero riportato sotto il dominio francese ampie regioni della Francia

occidentale; Luigi IX (in seguito proclamato santo) sconfiggendo le comunità

albigesi, contro cui era stata indetta una crociata, riportò sotto il dominio francese il

territorio della potente contea di Tolosa.

Tutto ciò rafforzava il prestigio della Corona e con esso quello della Francia

che consolidava la propria identità - francese e cristiana - e rimodellava la sua

struttura politica e amministrativa, avviandosi a trasformarsi da regno feudale in

monarchia nazionale.

Se la sovranità assumeva in Francia un prevalente carattere teocratico, quella inglese

invece rivelava un carattere feudale: infatti, il potere del monarca trovava qui forza e

giustificazione nel contratto feudale piú che nell'investitura divina. Ciò accadeva in

virtú della particolare natura della monarchia inglese che prendeva origine dalla

occupazione normanna che introduceva dall’alto le strutture feudali, già collaudate nel

ducato di Normandia, ma sconosciute nell'isola. Infatti, Guglielmo il Conquistatore,

che nel 1066 aveva iniziato la conquista dell’isola britannica, distribuì i territori

conquistati ai propri compagni d'armi, imponendo un solenne giuramento di fedeltà e di

obbedienza in cambio dell'investitura feudale e del titolo di barone.

Proprio perché, almeno nei primi secoli, la sua sovranità diretta era limitata ai domini

familiari, il re quando necessitava di contributi in denaro, in uomini e in armi doveva

ricorrere ai vassalli che, per questo loro ruolo, finivano per essere consultati quando

era necessario prendere le decisioni più importanti.

Nella prima fase della monarchia medievale il solo ceto ritenuto degno di essere consultato

dai sovrani era l'alta nobiltà; ma quanto piú, nel corso dei secoli XIII e XIV, aumentò

il peso economico e sociale delle città e dei ceti mercantili e quello politico della nobiltà

minore dei cavalieri, si impose al monarca la necessità di riconoscere a questi ceti

emergenti una qualche voce o rappresentanza politica.

Senza rinunciare alla pienezza dei loro poteri, i sovrani di quasi tutti gli Stati

europei - di propria iniziativa o accogliendo pressioni dal basso - presero la

consuetudine di convocare periodicamente assemblee composte da rappresentanti

dell'alta aristocrazia feudale, della nobiltà minore, della borghesia delle città,

degli ecclesiastici. Queste assemblee che assunsero differenti denominazioni -

Parlamento in Inghilterra, Dieta in Germania, Stati generali in Francia, Cortes in

Spagna – costituivano un'evoluzione degli antichi consigli del re cui partecipavano i

grandi vassalli, fondate sul principio della rappresentanza che impose la

La giustificazione del potere del re:

A - _______________________________

Re _____________________________

__________________________________

esempio:_________________________

il dominio originario:_________________

l’organizzazione del _________________

______________: ___________________

Le conquiste _______________________

- _________________________________

- _________________________________

B - _______________________________

Re _____________________________

esempio: __________________________

l’occupazione _____________________ e

__________________________________

La ________________________________

dai ______________________________

alle ______________________________

Page 20: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

165

tradizione di convocare i rappresentanti dei ceti perché dessero la loro

approvazione alle iniziative del re, soprattutto in materia fiscale (vedi nota 2,

pag 157).

La dialettica che si creò in questi secoli tra Corona e assemblee rappresentative consentì,

a Stati come l'Inghilterra e la Francia, di affrontare e superare momenti di particolare

gravità senza pregiudicare la pace interna e la stabilità delle istituzioni. Nel 1215 quando

il sovrano inglese Giovanni Senza Terra (1199-1216), premuto dalle esigenze

finanziarie, cercò di aumentare l'imposizione fiscale senza chiedere il dovuto consenso,

violando le garanzie giurisdizionali da tempo riconosciute ai sudditi, il parlamento

richiamò con fermezza il sovrano ai suoi impegni, imponendogli di firmare la Magna

Charta in cui venivano ribadite le libertà dei sudditi inglesi. Quasi un secolo dopo,

nella grave controversia sorta tra il re di Francia Filippo il Bello e il pontefice

Bonifacio VIII , in merito al diritto regio di sottoporre il clero al proprio fisco, il

sostegno degli Stati generali darà al re la forza e l'autorità necessarie per tener testa

con successo al pontefice.

Nel tardo Medioevo (XIV-XV secolo) il processo di trasformazione delle

monarchie medioevali in stati nazionali ebbe un notevole impulso che portò alla

ridefinizione dei loro confini, portando a termine, almeno nel caso di Francia,

Spagna e Inghilterra, l’assoggettamento di un territorio ampio e omogeneo, e al

rafforzamento del processo di affermazione dell’unificazione dei poteri pubblici

nell’apparato burocratico-amministrativo, di cui il re rappresentava il vertice.

Quest’ultimo processo ha consentito, come abbiano già detto, allo stato

nazionale di assumere le funzioni tipiche dello stato moderno, ovvero fare le

leggi, amministrare la giustizia, controllare l’esercito, e imporre tributi fiscali,

sottraendoli ai poteri dal basso (nobiltà civile ed ecclesiastica, comuni) che li

detenevano di fatto (vedi lettura Guarracino “Dalle monarchie feudali allo stato

moderno”, pag.149-52).

Il processo di accorpamento dei territori del regno e di stabilizzazione dei confini si

realizzò in Francia e in Inghilterra nel corso di un lungo conflitto, denominato guerra

dei Cent'anni (1328-1420): alla sua conclusione il Regno d'Inghilterra non ebbe

più domini continentali (salvo il porto di Calais); il Regno di Francia recuperò gran

parte dei domini inglesi e si estese nell'ampio territorio che corrisponde, in linea di

massima, all'attuale Francia. Nella seconda metà del secolo XV ai già cospicui domini

si verranno poi ad aggiungere i territori della Borgogna e della Piccardia, sottratti ai

duchi di Borgogna.

Nel corso del secolo XV anche la Spagna realizzò l'unificazione dei territori: il

matrimonio dei sovrani di Aragona e di Castiglia, Ferdinando e Isabella, unificò nel

1469 le Corone dei due Regni, che inglobavano i piú antichi Regni di Galizia,

Navarra, Catalogna. Il compimento del lungo processo di reconquista, che si

realizzò nel 1492 con la liberazione del Regno di Granada, aggiungerà alla

Corona di Spagna i territori meridionali sino ad allora sotto il dominio islamico.

Entrambi i processi, l’assoggettamento del territorio e l’unificazione dei poteri

pubblici, furono occasione di molteplici scontri interni tra il re e i potenti

feudatari, di cui l’esempio più tipico è la già citata guerra dei Cent’anni (1337-

1453), nome con il quale si è soliti indicare un secolare conflitto sorto come

conflitto signorile tra il re di Francia e un suo vassallo, il re d’Inghilterra,

complicato da tumulti cittadini e rivolte nelle campagne, conclusosi un secolo

dopo come guerra tra due stati nazionali.

La chiave di lettura delle prime fasi della guerra dei Cent’anni è dunque lo scontro

tra fazioni opposte della grande nobiltà feudale. Infatti, il re d’Inghilterra in terra

di Francia era uno dei rappresentanti della nobiltà feudale, come lo erano il duca

di Borgogna o il conte delle Fiandre, che nominalmente era soggetta al re di

Il ruolo ___________________________:

1 – La _________________________:

_________________________________

2 - _______________________________:

__________________________________

DALLE MONARCHIE FEUDALI

AGLI STATI NAZIONALI

ASSOGGETTAMENTO DEL TERRITORIO E

ACCENTRAMENTO DEI POTERI PUBBLICI

1 _______________________________

2 - _______________________________:

a ________________________________

b ________________________________

c ________________________________

d ________________________________

Francia e ___________________

________________________________

_________________________________

IL CASO FRANCESE

LA GUERRA DEI CENT’ANNI (_____ - ____)

Dai conflitti __________________ ai

conflitti tra _________________

Page 21: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

166

Francia, ma che a lui si opponevano in difesa della sua autonomia e contro le

pretese di centralizzazione del potere. La guerra dei Cent’anni fu dunque, da

questo punto di vista, lo scontro tra la grande nobiltà feudale, legata da legami

personali o famigliari, e le forze, il re e la borghesia mercantile, che spesso lo

finanziava con prestiti, che invece miravano alla costruzione di una struttura

politica su base territoriale nazionale.

Su questi motivi fondamentali di contrasto si innestò nel 1328 una contesa

dinastica: in quell'anno infatti morì senza eredi il re di Francia Carlo IV, ultimo

discendente diretto dei Capetingi, e il re d'Inghilterra Edoardo III (che pure in

via materna era imparentato con i Capetingi) in un primo tempo riconobbe come

re di Francia Filippo VI di Valois (1328-1350), ma quando questi proibì

l'importazione nelle Fiandre della lana inglese, rivendicò per sé la corona

francese e diede inizio alla guerra (1337).

I primi decenni del conflitto furono disastrosi per la Francia, che fu ripetu-

tamente sconfitta per terra e per mare, mentre all'interno la peste nera e le

rivolte contadine mettevano a repentaglio la sopravvivenza stessa della mo-

narchia. Si giunse perciò alla pace di Brétigny (1360), che sanciva il dominio

inglese su gran parte delle regioni francese affacciate sull’Atlantico.

Caratterizzato da alterne vicende militari legate all’indebolimento o al

rafforzamento del potere regio, spesso minacciato da vicende dinastiche (ad

esempio la minorità e, in seguito, la malattia mentale di Carlo VI, re tra il 1364 e

il 1380) e da guerre civili interne alle fazioni nobiliari, il conflitto mutò

radicalmente di significato a partire dal secondo decennio del XV secolo. Fino

allora era sembrato che la guerra riguardasse soprattutto sovrani, feudatari e soldati

delle compagnie di ventura, quasi fosse uno sport cavalleresco nel quale nobili e

soldati di mestiere esibivano il proprio valore, mentre i contadini, depredati

dalle truppe di passaggio, pagavano il prezzo del grandioso "torneo". Nella sua

fase finale invece, quando il popolo non fu più disposto a subire passivamente gli

orrori della guerra, questa si trasformò in una lotta per la liberazione della Francia, sia

dagli Inglesi invasori sia dai feudatari loro alleati.

Un esempio del manifestarsi di tale sentimento popolare è dato dalla nota

vicenda di Giovanna d'Arco, una contadina giovane e ispirata accorsa a

liberare Orléans assediata dagli Inglesi e, successivamente, caduta nelle

loro mani presso Parigi, processata e giustiziata come strega (1431) con la

complicità della monarchia francese che temeva eventuali pericolosi sviluppi

della guerra popolare che avrebbero potuto mettere in discussione gli assetti

politico-sociali.

Grazie ai successi militari fu possibile la ripresa; nel 1436 Carlo VII (1422-

1461) rientrava in Parigi (che era passata sotto il controllo inglese nel 1415),

ma già l'anno precedente egli aveva raggiunto un accordo col duca di

Borgogna, tradizionale alleato degli inglesi. Il potere monarchico poteva

riprendere la sua parabola ascendente.

Contemporaneamente al rafforzamento della monarchia francese il conflitto con

l’Inghilterra tese a trasformarsi sempre più in una guerra tra nazioni e le ragioni

del conflitto si identificarono sempre più con i motivi economici. Ed è proprio

questa la seconda chiave di lettura della guerra.

Infatti, la presenza inglese in Francia aveva una sua giustificazione

nell’esistenza di un’area economica che effettivamente legava tra loro le

regioni della costa atlantica continentale e l’Inghilterra. Così, ad esempio, la

prosperità delle Fiandre dipendeva in gran parte dall'importazione della lana

greggia inglese, che lì veniva lavorata trasformata in pregiatissimo panno: la

dipendenza politica delle Fiandre dalla Francia era, dunque, in contraddizione

con la dipendenza economica delle Fiandre stesse dall'Inghilterra. A difendere

questo legame con le città fiamminghe al termine del conflitto, nel 1453, sul

continente non rimaneva all'Inghilterra che il porto di Calais, ma d’altra parte

la ristrutturazione delle attività manifatturiere seguita alla crisi del Trecento

Page 22: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

167

stava trasformando l’Inghilterra da paese esportatore di lana grezza in paese

produttore di tessuti di lana.

Il ducato di Borgogna continuò ad essere il principale antagonista del re francese

fino alla metà degli anni ’70 del XV secolo, quando il tentativo dell’ultimo duca,

Carlo il Temerario (1433-1477), e delle città fiamminghe di dar vita a un grande

stato che si estendesse dal confine della Savoia alle Fiandre venne sconfitto.

La disfatta del duca di Borgogna significò la disfatta delle ambizioni egemoniche

dell’alta aristocrazia. Nel giro di pochi decenni passarono a vario titolo alla corona

la Borgogna, la Franca Contea, la Piccardia, l'Angiò, la Provenza, il Berry, la

Bretagna. L’estensione del potere della monarchie francese alle Fiandre invece

non venne mai completata, anche perché, come vedremo, la regione nel XVI

secolo cadde sotto il controllo della corona spagnola. La scomparsa dei più

potenti poli d'attrazione della nobiltà aveva consolidato fortemente la

monarchia.

Anche in Inghilterra, nel Trecento e nella prima metà del Quattrocento, il potere

regio ebbe momenti di crisi connessi con difficoltà incontrate nella guerra franco-

inglese, con periodi di reggenza, con rivolte sociali. Anche qui lo scontro tra re e

grande nobiltà prese spesso la forma di guerra interna tra fazioni nobiliari di cui

l’esempio più tipico è, nella seconda metà del Quattrocento, la guerra delle Due rose

(1455-1485).

La nobiltà inglese, che da secoli viveva come struttura militare sovrapposta alla

società civile, abbandonando la Francia finì per rivolgere contro se stessa la

propria attitudine alla guerra.

Mentre il paese era scosso da disordini e da rivolte contadine e vi si riversava la

massa di nobili e avventurieri sconfitti in Francia, il re Enrico VI (1422-1461)

dava segni di squilibrio mentale e le opposte fazioni principesche, sorrette da

cospicue clientele militari, rivendicavano la corona. Ebbe così inizio la guerra delle

Due Rose tra il partito degli York (un ramo della famiglia dei Plantageneti che

aveva come emblema una rosa bianca) e quello dei Lancaster (il cui emblema

era una rosa rossa), una guerra tremenda, povera come non mai di motivi ideali,

che portò lo Stato sull'orlo della rovina e che distrusse gran parte della vecchia e

turbolenta classe dirigente.

Quando, nel 1485, la trentennale guerra civile ebbe termine e il gioco delle

alterne confische dei partiti al potere ebbe posto la corona in possesso di patrimoni

immensi, che si aggiungevano ai lauti profitti che i re inglesi percepivano

sull'esportazione della lana, il nuovo re d'Inghilterra Enrico VII Tudor (1485-

1509) poté disporre di tutti gli efficaci strumenti amministrativi che, una

ormai da tempo collaudata tradizione di governo, gli poneva nelle mani. Da

tempo infatti il re era illuminato nell'opera di governo dal proprio consiglio, era

assistito per le questioni amministrative dal personale della cancelleria del palazzo

reale, dello Scacchiere e dei più recenti uffici del Guardaroba; da tempo una

giustizia più uniforme si andava estendendo a scapito dei tribunali di signoria e

la volontà del re raggiungeva i sudditi attraverso gli sceriffi, che, assistiti da

assemblee locali non puramente consultive, continuavano a svolgere

importanti funzioni in materia giudiziaria e fiscale. Se dal punto di vista

amministrativo Enrico VII poté basarsi su questi importanti strumenti, dal punto

di vista sociale egli dovette far leva sulla borghesia e sulla gentry, cioè sulla media

IL CASO INGLESE

LA GUERRA DELLE ___________________

(________-__________)

Il ritorno della _________________ dalla

_____________ e le _________________

Il rafforzamento ____________________:

1 - ________________________:

________________________________ +

_________________________________

2 - _______________________________

3 - _______________________________

LE CHIAVI DI LETTURA DELLA ____________________________________

1 - _________________________________: scontro __________________________: _________________________

2 - _________________________________: scontro tra ________________________ per motivi __________________

Page 23: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

168

nobiltà. La corona aveva infatti interesse a impedire un rilancio dell'influenza

dell'alta aristocrazia: lo dimostra il fatto che per combatterla il re non esitò a istituire

la cosiddetta Camera stellata, una corte straordinaria di giustizia incaricata di

perseguire quanti ancora tentavano di ricostituire milizie proprie.

In Inghilterra la presenza fra gli organi supremi dello Stato di un'istituzione

rappresentativa come il Parlamento, dotata sin dall'inizio di un proprio ruolo

politico e generalmente disposta alla collaborazione con il poter e monar-

chico, rese l'evoluzione del potere regio sensibilmente diversa da quella francese,

in cui molto minore consistenza ebbero le forme di rappresentatività dei ceti.

Lo stato regionale: il caso italiano

Lo sviluppo della vita politica delle città

Le forme del governo cittadino

Dalle signorie ai principati

L’assestamento degli stati regionali

Lo sviluppo della vita politica delle città

Le forme del governo cittadino

L'ultima discesa imperiale in Italia, quella di Enrico VII di Lussemburgo, sostenuto

dall'opinione di molti che in lui vedevano il restauratore dell'ordine e il

pacificatore - tra costoro c'era, com'è noto, anche Dante Alighieri -, era tragicamente

finita nel 1313 con la morte dell'imperatore presso Siena. L'Impero non fun-

zionava ormai più in Italia neppure come intermittente strumento di efficace

coordinazione politico-militare, era sempre più una forza politico-militare

specificamente tedesca, che durava fatica a coordinare attorno al potere regio gli

stessi principati territoriali germanici. Funzionava però ancora, come vedremo,

quale strumento di legittimazione del potere signorile.

D’altra parte, già nei secoli precedenti, l’intermittenza della presenza del

potere imperiale aveva favorito anche in Italia il verificarsi di processi di

consolidamento degli ordinamenti politici e di riorganizzazione dell’assetto

territoriale che nel XIV e nel XV si fermarono, a differenza degli altri paesi

europei con l’esclusione della Germania, su scala regionale.

L’Italia, come l’intera Europa, tra l’XI e il XIII secolo era caratterizzata dalla

compresenza tra poteri dall’alto (Chiesa, Impero o Regno) e poteri dal basso,

costituiti quest’ultimi soprattutto dalla nobiltà feudale e dai Comuni. I Comuni, che

hanno anticipato di un buon secolo le forme poi assunte dagli stati nazionali

(in fatto di giurisdizione, sistemi monetari e fiscali ecc.), possono essere

considerati, per molti versi, l’espressione dei ceti emergenti legati all'economia di

scambio che si era sviluppata all’interno delle città. Pur non appartenendo all'antica

nobiltà, che basava il proprio potere sul possesso della terra, tali ceti disponevano

di cospicui beni economici e godevano di grande prestigio. Grazie ai traffici e alla

produzione manifatturiera nelle città si concentrarono notevoli ricchezze, si differen-

ziarono le attività lavorative, si specializzarono le competenze. Gli abitanti

acquisirono modi di vita, consuetudini e atteggiamenti mentali e anche uno stato

politico e giuridico che li distinguevano dalle popolazioni delle campagne. Di fronte

ai signori feudali che esercitavano il loro potere di comando su vasti territori, essi

godevano di maggiore libertà e di più ampi diritti economici, fiscali, politici

rispetto agli abitanti delle aree rurali. Non solo ai singoli, ma alle città stesse

come organismi collettivi vennero riconosciuti particolari diritti. Le comunità

cittadine, infatti, avevano poco per volta ottenuto di poter eleggere liberamente i

propri rappresentanti, gli amministratori, i funzionari che si occupavano del

I rapporti __________________________

LO STATO REGIONALE: IL CASO

ITALIANO

L’IMPERO E L’ITALIA

L’impero perde funzione ______________

__________________________________

ma conserva funzione di ______________

__________________________________

LO SVILUPPO DELLA VITA

POLITICA DELLE CITTÀ

Poteri dall’alto: __________ e _________

poteri dal basso: ___________ e comuni

LA FORMAZIONE DEI _________________

I comuni = espressione delle forze

________________________________

nobiltà = controllo ___________________

borghesia = controllo _______________ e

__________________________________

______________________ e contado:

- ≠ _________________________

- +__________________________

- + _______________________ (Comuni)

Page 24: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

169

governo, di darsi proprie norme per regolare la vita associata. Erano così nati i Comuni,

ovvero governi autonomi costituiti dagli stessi abitanti delle città.

Il fenomeno comunale interessò l'intera Europa a partire dalla fine del secolo XI. Nel-

l'Italia centro-settentrionale, tuttavia, esso fu più incisivo che altrove e portò alla

formazione di veri è propri Stati-città. Il motivo stava nella crescita urbana,

particolarmente precoce e vigorosa, verificatasi in quest'area e nel dinamismo

delle forze borghesi, che rappresentavano i nuovi ceti di artigiani e mercanti. Inoltre,

nel periodo in cui si andavano strutturando come organismi autonomi, le città

italiane del Centro-nord non furono ostacolate da una superiore autorità, come

avvenne in altre zone dell' Europa. L'Impero tedesco, a cui erano formalmente

sottoposte, era lacerato dai contrasti fra le grandi famiglie feudali. L'alta nobiltà

italiana era pure indebolita dalle continue lotte interne per la conquista della

supremazia, perciò le città poterono crescere e rafforzarsi, organizzandosi come veri

e propri Stati cittadini, che si dotavano di proprie leggi, battevano moneta,

riscuotevano le tasse, mantenevano uomini armati, controllavano e amministravano

il territorio circostante. Diverso fu il caso dell’Italia meridionale e di molti dei centri

d'Oltralpe, dove la presenza di poteri piú forti, come ad esempio la monarchia, o la

minore spinta della crescita cittadina non consentirono alle città, che pure si diedero

una propria amministrazione, di arrivare all'autonomia politica.

______________________ dello sviluppo

____________ delle città italiane:

1 – crescita __________________ e

__________________________________

2 – mancanza di _____________________

A - _______________________ e ______

B - _______________________________

Usciti sostanzialmente vincitori dai tentativi di Federico Barbarossa e di Federico II

di imporre il controllo imperiale, fra Duecento e Trecento i Comuni italiani

consolidarono il proprio controllo sul territorio circostante, sia pure con differenze da

zona a zona. Ad esempio esso fu piú compatto nell'area toscana, dove le campagne

furono assoggettate in maniera pressoché sistematica alle città, meno nell'area

padana, dove molte famiglie nobili, che avevano grandi proprietà terriere nel contado,

contrastarono il pieno dominio dei governi cittadini.

Anche se in origine al governo delle città stavano gli esponenti delle famiglie piú in vista,

esso fu espressione dell'intera cittadinanza (rappresentata dall'assemblea dei cittadini)

e sull'intera cittadinanza estendeva la propria autorità. Tale autorità venne ini-

zialmente esercitata dai consoli. In numero variabile (da due a più di venti), i

consoli costituirono una magistratura collegiale, in carica per un breve periodo di

tempo (da sei mesi a un anno). Fra le maggiori famiglie dell'aristocrazia e della ricca

borghesia di imprenditori e mercanti si scatenarono aspre lotte per il controllo del

governo comunale, attraverso l'elezione a console di propri esponenti. L'esigenza di

portare ordine e stabilità all'interno della vita cittadina - necessari al buon andamento

delle attività economiche, oltre che al benessere comune - portò quindi a modificare le

istituzioni comunali. In numerose città il governo venne affidato a funzionari

forestieri, i podestà, non direttamente coinvolti nel gioco degli interessi economico-

politici delle famiglie influenti.

Intanto però aumentava all'interno delle singole sedi il peso della cosiddetta "gente

nuova", mercanti, artigiani, professionisti, che non facevano parte della classe diri-

gente della prima età comunale. Grazie all'agiatezza e alla rispettabile condizione

LE FORME DEL GOVERNO

CITTADINO

FORME DI GOVERNO DELLE CITTÀ ITALIANE

1 – (sec. ______) ________________________: espressione ____________________________________________________________

2 - (sec. ______) ________________________: ______________________________________________________________________

3 – (sec. ______) ________________________: espressione ____________________________________________________________

4 - (sec. ______) ________________________: superamento ___________________________________________________________

5 - (sec. ______) ________________________: ______________________________________________________________________

Page 25: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

170

sociale conquistata con le proprie attività, questi ceti emergenti cercarono di svolgere un

ruolo nella vita politica cittadina. Si organizzarono in associazioni di mestiere (le arti o

corporazioni), diedero vita alle società delle armi che riunivano i cittadini appartenenti

allo stesse quartiere in corpi armati per la difesa della città; formarono degli

organismi detti "di popolo" che costituirono delle forme di autogoverno affiancate a

quelle ufficiali cittadine. In alcune città gli organismi popolari e i loro magistrati

(consigli del popolo e capitani del popolo) riuscirono a imporsi sugli organismi e le

magistrature tradizionali, oppure a far si che la scelta dei magistrati fosse affidata, in

maniera diretta o indiretta (con un controllo sulle procedure elettive), alle corporazioni

di mestiere. Attraverso diverse forme in un gran numero di città centro-settentrionali

la parte popolare contrastò con successo le vecchie classi dirigenti. Di qui, il

susseguirsi di forti tensioni tra i due schieramenti, di conflitti civili e instabilità politica.

Nella seconda metà del secolo XIII il mondo comunale italiano fu attraversato da

aspre lotte che si svilupparono sia all'interno delle città fra gruppi sociali, partiti

e fazioni, sia tra città e città, ciascuna tesa a imporre la propria supremazia sul

territorio circostante. L'affermazione dei ceti popolari e la nascita dei Comuni di

popolo avevano allargato il campo dei conflitti, prima limitati all'interno

dell'aristocrazia consolare. L'ascesa e le fortune degli uomini "nuovi", che con le loro

attività economiche avevano alimentato la crescita della vita urbana, concorrevano

ora a minarne la stabilità.

All'acuirsi delle tensioni avevano contribuito anche le prese di posizione di città e

gruppi sociali nelle lotte fra papato e Impero; vecchie rivalità intercittadine si erano

rinvigorite nei conflitti tra lo schieramento filoimperiale (ghibellini) e quello

filopapale (guelfi); anche all'interno delle singole città si fronteggiavano sostenitori

del papa e sostenitori dell'imperatore. Il violento antagonismo di partiti e gruppi

fuoriusciva dalle sedi di governo per irrompere nelle piazze, minando la sicurezza

della vita cittadina. Soprattutto nelle aree settentrionali, altre minacce venivano

dalle autonome iniziative dei signori del contado su cui i governi cittadini riuscivano

a esercitare uno scarso controllo. Il risultato fu una forte insicurezza politica di

fronte a cui gli ordinamenti tradizionali del Comune si dimostrarono impotenti; essi

non furono, infatti, capaci di coordinare le diverse spinte sociali e di incanalare le

tensioni in forme che non mettessero in pericolo la stessa sopravvivenza delle

istituzioni cittadine.

A documentare le forti tensioni che attraversavano la vita dei comuni italiani,

anche nella dimensione quotidiana, vi è una delle caratteristiche peculiari

dell’edilizia della prime civiltà comunale italiana, ovvero la fioritura di torri che,

all'interno delle mura, segnalavano le dimore dei cittadini più in vista. Le

dimensioni e l'altezza delle torri erano considerate importanti indici del prestigio

della ricchezza dei proprietari; non va, peraltro, dimenticato che la funzione

principale di queste costruzioni era eminentemente difensiva servendo a

rifugiarsi per non essere sopraffatti dalla fazione avversa. Il bisogno di uscire da

questo stato endemico di lotte, di disordine sociale, di contrasti, che insidiavano il

benessere civile e la crescita economica, sollecitò la ricerca di nuove formule

LE LOTTE POLITICHE NEL PERIODO COMUNALE

1 controllo ______________________________: a - interne _______________________ (______________ e ___________________)

( lotte ____________ alla città) b - tra ______________________ e ______________________________________

2 controllo ______________________________ : a - tra ___________ e ________________

b – tra ___________ e ___________________

le lotte politiche assunsero spesso la forma dello scontro tra ________________ (filo__________) e ___________ (filo ___________)

Page 26: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

171

Torri di origine medioevale nel centro di

Savigliano, in via S. Andrea.

Torri che sono il chiaro segno dell’alta

conflittualità politica delle città medioevali.

politiche in grado di assicurare maggiore stabilità e una piú energica azione di

governo, di tenere sotto controllo la dinamica della vita interna e di orientare in

modo coerente e oculato la politica estera cittadina. Dalla seconda metà del

Duecento - dopo la morte di Federico II - la situazione dell'Impero favorì lo

sviluppo di nuovi assetti politico-territoriali nell'Italia del Centro-nord. Infatti,

la crescente cura degli imperatori germanici - a cui erano tuttora formalmente

sottoposte le terre italiane - per i loro interessi tedeschi e la crescente difficoltà a

esercitare una qualche forma di dominio in Italia lasciarono spazio a nuove

iniziative.

Anche nella fase dei governi popolari (Comune di popolo) il Comune, che pure

era governato da autorità e da assemblee elettive, non può essere considerato un

regime democratico nel significato odierno del termine: esso fu piuttosto un

regime che permise alla borghesia più ricca, detta talvolta popolo grasso, di

difendere i propri privilegi e di dirigere la vita politica.

Non tutte le Arti avevano infatti lo stesso peso: le Arti maggiori (dei medici e

farmacisti, dei giudici e notai, dei mercanti di lana, dei pellicciai, dei cambiatori

eccetera) contavano assai più delle Arti minori (dei calzolai, dei fabbri, dei fornai,

dei macellai e delle altre categorie di piccoli artigiani e di piccoli commercianti).

Gli operai salariati e i contadini, infine, non avevano il diritto di associarsi in

corporazioni che li difendessero, e non erano tenuti in alcun conto.

Benché non tutelasse affatto gli strati inferiori della popolazione, il Comune fu in

ogni modo un progresso: riduceva infatti o eliminava del tutto il potere dei feu-

datari, e accresceva il potere della borghesia, favorendo così lo sviluppo della

produzione.

Il caso di Firenze, con la rivolta dei Ciompi, rappresenta uno dei pochi momenti

in cui anche le classi subalterne si posero come obbiettivo la partecipazione alla

gestione del potere politico (vedi le caratteristiche delle rivolte sociali nelle

società preindustriali in “Dal Medioevo all’età moderna 1-La crisi del trecento:

dall'economia medioevale all'economia”, pag. 37).

All'inizio del Trecento i Neri, grazie all'appoggio di Bonifacio VIII, erano riusciti

a prevalere sui Bianchi, e la loro vittoria fu, sostanzialmente, la vittoria del popolo

grasso. I vincitori, organizzati nella parte guelfa, controllavano direttamente il

governo cittadino per mezzo dei priori e del gonfaloniere di giustizia. Tramite il

magistrato di parte guelfa, inoltre, essi potevano comminare l'ammonizione a

qualsiasi cittadino o farlo interdire dai pubblici uffici liberandosi così a piacere

di ogni avversario temibile del regime oligarchico da loro instaurato (Dante è

sicuramente il più conosciuto tra coloro che subirono tale destino, vedi commento

foto, pag.173).

Ostili al dominio del popolo grasso erano ovviamente tutti coloro che ne

pagavano le spese: in primo luogo, i lavoratori a giornata, gli operai e i braccianti,

Le _________________________

IL CASO DI FIRENZE: LA RIVOLTA

DEI CIOMPI

Il Comune non ____________________

ma _____________________________

1 - _____________________________

_______________________________

2 - ______________________________

________________________________

però riduzione potere _______________

La rivolta dei _________________

unica ________________ delle classi

subalterno con ____________________

_______________________________

Il governo dei Neri = _______________

_______________________________

ostili al governo dei Neri:

1 - ___________________________

2 - __________________________

Page 27: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

172

che costituivano il proletariato dell'epoca; in secondo luogo, la più modesta

borghesia dei piccoli artigiani e dei bottegai, organizzati nelle Arti Medie e

Minori. I più tartassati erano comunque i proletari, che venivano retribuiti

mediante una svalutatissima moneta di rame (mentre nel grande commercio si

usavano monete d'oro e d'argento) e che non avevano diritto di associarsi.

La piccola borghesia, organizzata nelle Arti, riuscì a far sentire la propria voce

nell'amministrazione politica di Firenze, ma la grande massa dei proletari (che

pur comprendeva forse un terzo della popolazione fiorentina) non poteva

esercitare sul governo neppure la minima influenza, non avendo una corporazione

che li rappresentasse.

La tensione sociale era intanto destinata a farsi più aspra per gli effetti disastrosi

determinati dal fallimento dei grandi banchieri Bardi e Peruzzi, ai quali i re di

Inghilterra e di Francia non avevano restituito le ingenti somme di denaro ricevute

in prestito.

Nel 1345 la città venne scossa dal duro sciopero dei tintori: lo guidò l'operaio

Ciuto Brandini, che rivendicava il diritto dei proletari ad organizzarsi au-

tonomamente e a partecipare al potere. Il governo del popolo grasso reagì però

con estrema decisione e Ciuto Brandini venne processato e messo a morte come

sedizioso.

La repressione peraltro non risolve i problemi: le tensioni interne rimasero, e

trent'anni più tardi esplosero violente proprio mentre Firenze si trovava in gravi

difficoltà perché era in lotta col pontefice avignonese Gregorio XI. Le milizie

mercenarie del papa condussero infatti ripetute e minacciose scorrerie nei territori

di Firenze, e la città rispose alle provocazioni con la guerra (1375-1378). Il papa

reagì a sua volta con l'interdetto4 e con una serie di rappresaglie contro i

Fiorentini.

Nel 1377 un improvviso calo nella produzione delle pezze di lana ridusse alla

disperazione i lavoratori salariati dell'industria laniera, detti Ciompi, molti dei

quali rimasero disoccupati. Col pieno appoggio delle Arti Minori essi tentarono

perciò di uscire dalla situazione insostenibile insorgendo nel luglio del 1378

contro il potere costituito. La ribellione in un primo momento sembrò avere

partita vinta: la parte guelfa venne sciolta; un capo dei Ciompi, Michele di Lando,

fu eletto gonfaloniere (cioè capo del governo comunale); si riconobbe che i priori

dovevano essere scelti fra tutte le Arti, comprese le tre nuove Arti del popolo di

Dio, nelle quali si organizzarono rispettivamente gli stessi Ciompi, i tintori e i

farsettai (produttori di farsetti, cioè di corpetti da uomo). Non si trattò però di una

rivoluzione, perché i Ciompi e i loro alleati non intendevano rovesciare il sistema

corporativo ma semplicemente inserirsi in esso con un'adeguata rappresentanza

politica.

L'esperimento ebbe comunque breve durata. Il popolo grasso ben deciso a

riprendere le redini del governo sfruttò abilmente ogni occasione favorevole.

Michele di Lando si dimostrò sensibile alle proposte della fazione meno

conservatrice del popolo grasso, e svolse fra i ribelli la parte del moderatore. I

tintori avevano interessi in parte convergenti con gli industriali della lana ed erano

quindi disposti a rompere l'alleanza che li aveva temporaneamente legati ai

Ciompi. Né mancarono gli eccessi atti a giustificare un ripensamento dei "ribelli

più moderati": i Ciompi avevano infatti chiesto il condono dei propri debiti verso

i padroni e appiccato l'incendio alle case degli imprenditori più odiati.

Alla fine di agosto, in conclusione, l'ambiguo Michele di Lando, il gonfaloniere

voluto dai Ciompi, scatenò contro di loro una dura repressione. E i Ciompi

rimasero isolati, perché anche i tintori e i farsettai si allearono col popolo grasso

e col popolo medio nella lotta contro di loro.

il riconoscimento _________________

_______________________________

il fallimento ___________________

lo _____________________________

la ____________________________

1377:

la crisi __________________________

___________________________

l’alleanza tra Ciompi e ____________

________________________________

L’insurrezione di ________________ e

il governo di ____________________

il riconoscimento _________________

________________________________

non __________________________

___________________ ma __________

_______________________________

Cause debolezza dei Ciompi:

1 - ____________________________

2 – il convergere degli interessi tra ____

________________________________

3 - ______________________________

la repressione dei __________________

4 L'interdetto è una condanna ecclesiastica che vieta la celebrazione o la partecipazione ai riti religiosi e proibisce che si impartiscano i sacramenti a determinate persone o in determinati luoghi.

Page 28: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

173

L'Arte dei Ciompi, ovviamente, venne subito abolita; ma la stessa sorte tocca nel

1382 anche alle Arti dei tintori e dei farsettai, poiché il popolo grasso giudicò che,

una volta liquidati i Ciompi, l'alleanza con queste categorie di artigiani-lavoratori

non gli era più di alcuna utilità. E lo stesso Michele di Lando venne allontanato

da Firenze, benché conservasse un incarico importante, affidatogli dal comune.

Nel 1382, dunque, si aprì un periodo di rigida oligarchia, durante il quale Firenze

fu dominata da un numero esiguo di grandi famiglie di mercanti e di banchieri,

che per reazione a quanto avvenuto erano meno disposte che mai a dividere il

potere con gli altri ceti. Questa situazione avrà però termine verso la metà del

'400, quando Cosimo il Vecchio della famiglia dei Medici instaurerà di fatto in

Firenze la propria signoria.

L’ abolizione delle ______________

_____________________________

l’allontanamento di ________________

l382:

a restaurazione del ________________

____________________________

Dante bandito da Firenze nel 1302, miniatura del sec. XV. Londra.

L'esilio di Dante viene rappresentato dal miniaturista nel modo più semplice

e diretto: Dante è fisicamente spinto fuori dalla porta della città. Durante le

lotte fra Bianchi e Neri, che lacerarono la città tra la fine del Duecento e

l'inizio del Trecento, Dante, nel periodo di governo dei Bianchi (fra i quali

militava), svolse un'intensa attività pubblica; cosicché quando prevalsero i Neri

fu processato e,nel gennaio del 1302 fu condannato a un'ammenda, a un

temporaneo esilio e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Nel marzo

successivo, non avendo pagato l'ammenda e non essendosi presentato per

discolparsi, fu condannato al rogo, ossia, in linea di fatto, al bando

perpetuo.L'esilio è motivo ricorrente nella sua poesia.

Fra i secoli XIII e XIV, più precocemente nell'area padana, poi nell'Italia centrale, si

affermò progressivamente la tendenza a superare la gestione collegiale che aveva fino

a quel momento caratterizzato l'esperienza dei Comuni. Questo significava

concentrare il potere nelle mani di una sola persona, di un signore. Chiamato a

governare al di sopra delle parti, perché riportasse ordine, pace, giustizia, il signore

poteva essere membro di una famiglia signorile del contado o della nobiltà

cittadina, un esponente dell'alta borghesia o anche un condottiero che metteva a frutto

la fama conquistata con le glorie militari. Fra le prime esperienze in questo senso vi

furono quelle di alcuni potenti signori rurali; grazie all'intraprendenza e all'energica

azione militare, essi riuscirono ad assoggettare terre e centri cittadini; ma le loro

costruzioni ebbero vita breve. Esemplare è il caso di Ezzelino (1194-1259), della

famiglia dei conti da Romano che contava su estese proprietà feudali nella zona di

Treviso. Schierato al fianco di Federico II, di cui fu un valido coadiuvante sul piano

militare, fra il 1226 e il 1237 egli sottomise al proprio controllo Verona, Vicenza,

Padova e Treviso, fino al 1259, quando venne sconfitto da un'ampia coalizione di

città e signori di ispirazione guelfa.

Maggiori possibilità di durata ebbero quelle Signorie che nello stesso periodo si for-

marono in alcune sedi urbane - Ferrara, Milano, Verona, Padova, Mantova - ed

estesero il proprio controllo sulle campagne e sui centri minori. Dalle città si avviava

cosí un processo che ebbe come risultato di ricomporre e riorganizzare il territorio dal

punto di vista politico-amministrativo. Con la nascita fra Duecento e Trecento di vasti

domini che facevano capo a un signore, tale processo portò alla formazione di

organismi di piú ampie dimensioni e politicamente piú compatti, gli Stati

regionali. Al loro interno, nel corso di un processo che può considerarsi compiuto

entro la prima metà del Quattrocento, vennero via via organizzati e inquadrati i

particolarismi cresciuti nei secoli precedenti. Il superamento degli istituti comunali

avvenne gradualmente, attraverso una lenta evoluzione, che tendeva a mettere in

primo piano gli elementi di continuità tra il passato e il presente piuttosto che le

innovazioni. I membri di partiti e famiglie dominanti prendevano il controllo della

situazione assumendo le tradizionali magistrature cittadine (podestà, capitani del

popolo), ma via via le piegavano alle esigenze di un governo piú autoritario, non

DALLE SIGNORIE AI PRINCIPATI

4 – LE _________________________

La provenienza __________________ del

____________________________

Signorie ______________________

Signorie __________________________

dalle signorie agli ___________________

il superamento ______________________

_____________________________

Page 29: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

174

sottoposto a controlli, né limitato nel tempo e tendenzialmente ereditario. Nominati

sulla base di deliberazioni e atti comunali, anche se per lo piú non spontanei, questi

podestà e capitani del popolo governavano poi in maniera dispotica. Tale linea

d'azione tendeva a svuotare delle loro competenze e facoltà di decisione gli organi

tradizionali del Comune (i consigli, le assemblee), senza tuttavia abolirli, almeno in

un primo tempo. Significativa in questo senso è la testimonianza del poeta Pace del

Friuli sulla prima signoria di Matteo Visconti a Milano (1287-1302). Pace era un so-

stenitore dei Torriani (la famiglia avversaria dei Visconti nello scontro per la conqui-

sta del potere a Milano). In un poemetto satirico egli descrisse con acutezza l'ascesa al

potere del tiranno. Per raggiungere il suo fine, Matteo aveva recitato il ruolo di

protettore delle leggi del Comune e della giustizia; aveva favorito le lotte interne

all'aristocrazia per dividerla e dominarla; aveva conquistato l'appoggio popolare

distribuendo favori, ma anche assicurando maggiore tranquillità con la sottomissione

dei nobili turbolenti che avevano alimentato le fazioni cittadine.

I signori arrivarono al potere grazie alla loro influenza politico-economica quando non

alla violenza della conquista armata. Per questo già nel Trecento essi cercarono di

legittimare la propria posizione e quella del proprio gruppo familiare attraverso un

riconoscimento ufficiale da parte delle superiori autorità dell'imperatore o del papa. Di

qui l'acquisto, anche dietro pagamento, dei titoli di vicario imperiale o pontificio,

premessa al vero e proprio principato. Alla posizione di principe il signore pervenne poi,

attraverso il conferimento di un titolo (conte, marchese, duca) e l'investitura feudale

da parte dell'imperatore. Tali concessioni di titoli principeschi erano indice di una

stabilizzazione dei poteri signorili sulle città dell'area padana. Riconoscere la

sovranità imperiale e dichiararsi vassalli dei lontani imperatori non andava

contro gli interessi dei signori, se in cambio (oltre che dietro il pagamento di

una congrua somma di denaro) essi potevano a loro volta essere riconosciuti

come autorità legittime. Fu in questo modo che le signorie, alla cui origine

vi era pur sempre un atto di usurpazione, si trasformarono in principati con

nuove dinastie ereditarie.

La nascita delle Signorie non coinvolse solo le aree segnate dall'esperienza comu-

nale. Soprattutto nelle zone montuose ai piedi delle Alpi o lungo gli Appennini,

si consolidarono cospicui domini politico-territoriali sotto la guida di antiche

dinastie di conti e marchesi, come la Contea di Savoia e i Marchesati del Monferrato

e di Saluzzo in Piemonte, che traevano origine dall'ordinamento pubblico dell'età

carolingia. Nell'area alpina orientale si affermarono altre Signorie non collegate

all'evolversi degli istituti comunali, come i Principati ecclesiastici di Trento e di

Bressanone, affidati al dominio vescovile sin dalla prima metà del secolo XI.

Altrove la crisi degli ordinamenti comunali non sfociò, almeno immediatamente,

nella nascita delle Signorie. Fu il caso di Genova e di Venezia. In quelle sedi i ceti

dirigenti di origine mercantile cercarono di assicurare maggiore stabilità politica,

contro le spinte disgregatrici, ampliando i poteri dei tradizionali organi di governo o

creando nuove magistrature con specifiche competenze e ampie facoltà di decisione.

Altrettanto avvenne in diverse città dell'Italia centrale, come Lucca, Firenze,

Siena, Perugia, dove i gruppi mercantili e artigiani, particolarmente forti,

resistettero a lungo all'introduzione di governi dispotici. Anche qui, tuttavia, si

affermò la tendenza a soffocare le tensioni politico-sociali restringendo l'esercizio

del potere a gruppi chiusi di grandi famiglie di antica nobiltà o di solide fortune

economiche.

Un caso particolare è rappresentato da Firenze, dove i membri della famiglia Me

dici (potente famiglia di banchieri di origine non nobile) di fatto detenevano il

potere nella città. Il persistere di forti tensioni politico-sociali suggerì loro una

linea d'azione di apparente continuità col passato, per non accentuare i motivi di

instabilità interna. Essi si sforzarono perciò di mantenere il rispetto formale delle

istituzioni e delle magistrature repubblicane, che saranno abbandonate solo nel

Cinquecento. Fino a quel momento la Signoria medicea, pur indirizzando, guidando

e tenendo sotto controllo la vita politica cittadina, grazie anche all'appoggio di un

5 - I _________________________

La ___________________________ del

potere ____________________________:

__________________________________

__________________________________

Page 30: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

175

folto “partito” legato ai Medici da motivi di interesse, non ebbe alcun riconoscimento

giuridico. Il diplomatico spagnolo Pietro Martire d'Anghiera, nel dare notizia della

morte di Lorenzo de' Medici in una lettera del 15 maggio 1492, osservava come

egli avesse avuto rapporti alla pari con sovrani incoronati e avesse agito come

negoziatore di pace ai massimi livelli pur essendo formalmente solo un privato

cittadino.

Il diverso corso degli eventi, che tra il secolo XI e il XIII aveva confermato la divisione

tra le due Italie (l'esistenza dei Comuni nel Centro-nord, la monarchia normanno-sveva

al Sud), si prolungò nei secoli del tardo Medioevo: mentre nell'Italia centro-

settentrionale si sviluppava la parabola dei Comuni, le terre del

Mezzogiorno continuarono a essere

sottoposte a un potere regio, sotto due

diverse dinastie, quella degli angioini,

di origine francese, e quella degli

aragonesi, di origine spagnola. Ma

proprio l'evoluzione delle città del

centro-nord - con il progressivo

svuotamento degli istituti comunali

e l'affermazione di un potere

signorile "monarchico" - attenuava

le distanze fra Nord e Sud. Infatti,

qui le città non avevano mai

raggiunto le forme di autonomia

caratteristiche delle sedi comunali

del Centro-nord; esse furono

piuttosto subordinate al controllo

regio. Anche nelle regioni

meridionali si costituirono i Comuni,

che furono però semplici organismi

amministrativi, non dotati di poteri

politici, legislativi, militari, fiscali.

Duplice funzione Signorie/Principati:

Le lotte interne che avevano agitato le città italiane si esaurirono poco per volta. Ciò

avvenne grazie all'imporsi di un ristretto ceto di governo, stabile e compatto. Si formò

un'oligarchia che si faceva garante dell'ordine, di una guida politica efficiente e dura-

tura nel tempo, in grado di frenare o bloccare le dirompenti spinte dal basso. Si verificò

quello che è stato chiamato un processo di aristocratizzazione, cioè un processo di

consolidamento dei ceti già dominanti, sviluppatosi in forme diverse da sede a sede,

ma in maniera sostanzialmente omogenea. I nuovi ceti di governo potevano

comprendere gruppi diversi (uomini dell'aristocrazia feudale o cittadina, esponenti del

mondo economico di antica o recente fortuna, membri del personale politico,

amministrativo, militare che avevano accompagnato il signore nella sua ascesa), ma

uniti dalla volontà di tutelare in primo luogo la propria posizione di preminenza

sociale. Questo obiettivo era perseguito anche a costo della perdita della libertà di

fronte al governo autoritario del signore o dell'indipendenza del proprio Comune

cittadino risucchiato nella sfera di una città dominante o di un signore a capo di vasti

territori.

L'affermarsi delle Signorie e delle Repubbliche oligarchiche rappresentò la fine

dei governi allargati e di ogni vivace confronto fra gruppi politico-sociali che aveva

caratterizzato la vita dei Comuni, soprattutto nella fase di affermazione del popolo.

Ma da un altro punto di vista rappresentò l'avvio di una nuova fase istituzionale,

di un grande processo di trasformazione delle strutture amministrative e di

governo. Tale processo, che si sviluppò in forme non dissimili da quelle dei grandi

Stati europei, fu al centro dell'esperienza degli Stati regionali. Al loro interno, la piú

sicura autorità, la piú ampia e forte capacità di azione si espressero in vari modi:

vennero rese omogenee le leggi e le corti di giustizia sull'intero territorio; si affinarono

gli strumenti della finanza pubblica e della riscossione fiscale; si istituirono nuovi

1 - _____________________________

________________________________

I __________________________ di

provenienza

Signorie e _________________________

e stato _____________________

2 - __________________________ delle

strutture ________________________ e di

_______________________:

1- ________________________________

2- ________________________________

3- ________________________________

LE DIVERSE FORME DI GOVERNO TRA

_____________ SECOLO

1 - _________________________________

es.:_________________________________

2 - _________________________________

es.:_________________________________

3 - _________________________________

es.:_________________________________

____________________________________

4 - _________________________________

es.:_________________________________

Page 31: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

176

uffici e commissioni che rispondessero alle esigenze di una piú funzionale e capillare

presenza dello Stato. Venne progressivamente costruita una burocrazia centrale, alla

quale faceva capo una fitta rete di funzionari periferici; si avviarono stabili rap-

presentanze diplomatiche a sostegno della politica estera dello Stato; si cercò di

eliminare la violenza armata come strumento di lotta politica. La burocrazia

divenne ben presto un mezzo di ascesa sociale: la carriera burocratica consentì, infatti,

la promozione e l'inserimento di uomini nuovi nella cerchia delle classi dirigenti.

Importanti trasformazioni si verificarono pure sul piano militare. L'età delle Signorie

vide il tramonto delle truppe cittadine, composte dagli stessi abitanti della città, per

lasciare il posto a professionisti delle armi o soldati, che combattevano sotto la guida

di condottieri.

Se il fenomeno del mercenarismo fu comune a tutta l'Europa, in Italia esso assunse

un significato particolare. Nella situazione di frazionamento della penisola,

in assenza di un forte potere centrale, la carriera militare consentì a molti condottieri

di acquisire potenza e prestigio fino a crearsi un proprio dominio, magari temporaneo

(è il caso, per esempio, di Braccio da Montone, signore di Perugia dal 1416 al

1424). Per altro verso alcuni signori di piccoli Stati si fecero condottieri nella

prospettiva di aumentare i propri possessi o almeno le proprie entrate, grazie al servizio

presso altri signori e ai bottini di guerra. Un caso esemplare è quello di Federico da

Montefeltro, abile uomo politico e condottiero. Nel corso del Quattrocento egli riuscì a

triplicare le dimensioni del proprio Stato, ottenendo nel 1474 dal papa Sisto IV il

titolo di duca. Ma l'inaffidabilità delle truppe mercenarie, pronte a passare dalla

parte del miglior offerente anche nel corso di una guerra, portò progressivamente gli

Stati, soprattutto quelli piú potenti, a dotarsi di mezzi stabili di difesa. Si arruolarono

allora, in servizio permanente, degli eserciti di mestiere, posti sotto il diretto controllo dei

governi, che cercarono di assicurarsi la piena disponibilità dei piú abili condottieri,

legandoli allo Stato con la concessione di terre e feudi.

La fine dei governi comunali e la crescita di nuovi assetti politici rimettevano in questione

il rapporto città-contado quale si era configurato nell'età dei Comuni. Allora le città

avevano cercato di portare sotto il proprio controllo politico-amministrativo le campagne

circostanti. Ora nell'ambito dello Stato regionale le sedi urbane e i territori rurali erano

ugualmente sottomessi al dominio di un signore, impegnato a costruire un sistema di

potere accentrato. A tal fine principi e città dominanti si sforzarono di realizzare un piú

vigile governo del territorio, attraverso magistrature e funzionari direttamente

dipendenti dal centro. Tale sforzo di riorganizzazione fu accompagnato da sentimenti

diversi: di attesa quasi liberatoria nelle zone rurali, che aspiravano finalmente a

emanciparsi dal predominio cittadino; di risentita opposizione, da parte delle città, per il

ridimensionamento loro imposto nella nuova prospettiva. Ma le città avevano diverse carte

da giocare con successo. I ceti cittadini continuavano ad avere un peso notevole, una forte

capacità di pressione di fronte al signore, grazie al loro rilievo economico-politico. I nuovi

apparati di governo, chiamati a definire norme, uffici e competenze del personale

amministrativo, tendevano a riprodurre i modelli comunali, messi alla prova e consolidati

da una lunga pratica, riaffermando la priorità del centro urbano sul territorio rurale.

Cosí nel corso del Quattrocento, quando il sistema degli Stati regionali si era

ormai stabilizzato, le città recuperarono posizione. Anche se nella nuova realtà

risultava impossibile un pieno ripristino delle antiche prerogative e dei poteri di

controllo sul contado, esse ebbero diverse competenze amministrative; soprattutto

furono il punto di riferimento privilegiato nel rapporto col principe o la città dominante.

Non solo la città, ma anche i cittadini come individui privati vantavano condizioni di

privilegio rispetto agli abitanti delle zone rurali: nel trattamento fiscale e

giudiziario, nella tutela delle loro proprietà terriere (che, poste nel contado, erano

spesso al centro di tensioni con i lavoratori rurali), nell'esercizio di attività

commerciali e artigiane. L'eredità dello Stato cittadino comunale, che assegnava

alle città una funzione di preminenza rispetto al territorio, si conservò

nell'ambito dello Stato regionale: alle città furono conferiti poteri autonomi e

4- ________________________________

5- ________________________________

dal ___________________________ allo

__________________________________

Il _______________________________

IL CONTROLLO ______________________

Comuni: sottomissione _______________

Signorie: sottomissione _______________

Città ________________________ e città

_____________________:

a - ________________________________

b - _______________________________

__________________________________

Città e __________________________

nell’ambito _______________________

Page 32: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

177

strumenti per esercitarli sul territorio, secondo un'impostazione di ordinamento pro-

vinciale che perdurò nell'Età moderna.

Fra Trecento e Quattrocento

la dinastia dei Savoia riuscì

ad allargare i propri domini

soprattutto in direzione delle

terre italiane, ottenendo nella

persona di Amedeo VIII il

riconoscimento del titolo di

duca da parte

dell'imperatore Sigismondo

(1416).

Tuttavia ancora alla fine del

Medioevo 1’influenza dello

Stato savoiardo sulla

situazione italiana rimane

relativamente modesta: la

maggior parte del suo

territorio si trovava in area

trans-alpina, mentre i domini

al di qua delle Alpi

comprendevano solo una

parte del Piemonte. Ma

proprio la posizione

geografica ebbe notevole

importanza nella storia dello

Stato sabaudo, destinato a

essere nell’Ottocento il

motore dell’unificazione

italia-na; a cavallo delle

Alpi, infatti, la Savoia fu in

grado di mantenere la

propria autonomia e di

ampliare progressivamente i

propri confini muovendosi

con destrezza tra le

maggiori potenze

continentali.

Il _______________________________

A differenza degli altri Stati italiani, il Ducato di Savoia si avvicinava alle grandi monarchie

nazionali europee per la sua struttura di monarchia feudale, una caratteristica su cui si sarebbe

costruita, come negli altri Paesi, seppure ben piú tardi (secolo XIX), la sua funzione di Stato

guida dell'unità d'Italia. A sottolineare la vicinanza del Ducato di Savoia alle compagini

nazionali europee è anche il fatto che nella seconda metà del Quattrocento esso era l'unico Stato

italiano dove era prevista una rappresentanza degli ordini sociali, un parlamento simile a

quelli che si erano formati in Francia, in Inghilterra, in Spagna (l'altra regione italiana in cui era

presente un sistema di rappresentanza degli stati, la Sicilia, era ormai parte del Regno

d'Aragona). La carta mette in evidenza l'avvio, nel tardo Medioevo, dell'espansione "italiana"

che si sarebbe progressivamente allargata in Età moderna

La storia della penisola italiana fra Trecento e Quattrocento può essere letta come

la storia del progressivo assestamento di Stati e territori aperto dalla crisi degli

istituti comunali e concluso nella prima metà del Quattrocento, quando la carta

geografica italiana assume una forma in qualche modo definita. Allora, al posto

della miriade di Stati cittadini che avevano caratterizzato la fase comunale, si

presentano alcune ampie formazioni territoriali e statali, accanto a cui permangono

tuttavia formazioni di minore entità. I grandi protagonisti della storia italiana, dagli

ultimi decenni del Trecento, sono il Ducato di Milano, la Repubblica di Venezia, la

L’ASSESTAMENTO DEGLI STATI

REGIONALI

A – I TENTATIVI DI ___________________

I 5 maggiori stati:____________________

__________________________________

Page 33: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

178

Repubblica di Firenze, lo Stato della Chiesa, il Regno di Napoli. Gli altri Stati entrano

in maniera intermittente sulla scena politica, talvolta come comprimari, piú spesso

in funzione dell'atteggiamento assunto dai maggiori protagonisti. Fra questi nessuno

riuscí tuttavia a svolgere un ruolo egemonico nei confronti degli altri, nonostante

diversi tentativi: da parte degli angioini di Napoli, nella prima metà del Trecento, da

parte del Ducato di Milano, fra la seconda metà del Trecento e i primi decenni del

Quattrocento, e da parte di Venezia nella prima metà del Quattrocento. Ciò

avvenne in un gioco intricato di alleanze, controalleanze, ribaltamenti di posizioni,

su cui influivano di volta in volta le operazioni militari, il calcolo politico, gli umori

e le personali fortune, le rivalità e i contrasti interni ai singoli Stati. Una generale

situazione di stanchezza e di logoramento, prodotta dalle incessanti lotte portò alla

pace di Lodi, nel 1454, alla cui conclusione non furono estranei i timori suscitati in

Occidente, in primo luogo nella Repubblica di Venezia, dalla presa di Costantinopoli

(1453) e dall'espansione turca.

I tentativi egemonici di:

a - ________________________________

(________________________)

b - _______________________________

(________________________)

c - ________________________________

(________________________)

La pace di _________________ (______)

L’Italia dopo la pace di Lodi

(1454)

La fine dei conflitti, cristallizzando la situazione esistente, sanciva la nascita di un

sistema politico basato sulla preminenza dei cinque maggiori Stati territoriali, intorno

a cui ruotavano gli altri Stati grandi e piccoli. All'accordo fece seguito la costituzione

della Lega italica (1454) che aveva il compito di assicurare la pace nella penisola,

mantenendo una sorta di bilanciamento tra i cinque Stati maggiori. Seguì allora un

quarantennio di relativa tranquillità, punteggiata tuttavia da conflitti di dimensione

locale, riguardanti soprattutto l'assetto interno di singoli Stati. In questa fase un

notevole contributo al mantenimento della politica di equilibrio venne da Lorenzo de'

B - _________________________

(_____________________)

La Lega __________________________

Page 34: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

179

Medici, a capo del governo fiorentino, il quale si adoperò per rafforzare l'alleanza tra

Milano, Firenze e Napoli come garanzia di generale stabilità della penisola, contro

l'irrequieta potenza veneziana e le incertezze della politica pontificia. La morte di

Lorenzo nel 1492 chiuse un'epoca della storia d'Italia. Di li a poco, sollecitati dal-

l'ambizioso signore di Milano Ludovico il Moro, sarebbero giunti in Italia i

francesi, aprendo la via all'invasione straniera della penisola.

Tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo due novità caratterizzano la situazione

italiana. La definitiva trasformazione del papato, che prima aveva preteso di

svolgere una funzione universale, in una monarchia regionale italiana con

l’affermazione dello Stato della Chiesa nell’Italia centrale, iniziata da papa

Alessandro VI (1492-1503) e suo figlio Cesare Borgia, che, con l’aiuto di Luigi

XII di Francia, avevano provveduto a spazzare via le piccole signorie locali, e

portata a termine da papa Giulio II (1503-13). L’italianizzazione del papato si

manifestò, inoltre, sia attraverso una costante presenza del papato nelle principali

alleanze e guerre del periodo, sia nel sempre maggior controllo delle grandi

famiglie italiane sull’elezione del papa.

La seconda novità è rappresentata dall’intervento delle potenze straniere. Per tutto

il Quattrocento la politica italiana dell'equilibrio era stata solo un continuo

alternarsi di alleanze, diplomazie, guerre giocate quasi più con le astuzie e le

prudenze delle cancellerie che con le armi, ma anche avventurismi , violenza

e cinismo. L'equilibrio era in verità un vicolo cieco ed era potuto sembrare il

non plus ultra delle raffinatezze politiche solo perché le potenze vicine, la

Francia e la Spagna, erano in preda alla guerra e alla guerra civile. Intorno al

1490 quest'epoca di transizione era finita e ai confini italiani si affacciavano le

più solide strutture politiche, finanziarie e militari dei nuovi stati.

La prima discesa di un re straniero avvenne nel 1494 ad opera di Carlo VIII di

Francia chiamato, come abbiamo detto, da Ludovico il Moro per contrastare le

pretese del re di Napoli sul ducato di Milano. Respinto Carlo VIII da una Lega

antifrancese tra stati italiani e potenze straniere (Spagna e Asburgo d’Austria), il

suo successore, Luigi XII, riprese la sua politica riuscendo nel 1499 a sconfiggere

Ludovico il Moro e a imporre il dominio francese sulla Lombardia.

Tra il 1499 e il 1516 l’Italia fu quasi ininterrottamente teatro di cinque guerre che

videro tra i loro protagonisti, oltre agli stati italiani, gli spagnoli, i francesi e gli

svizzeri e che finirono per affermare il controllo francese sulla Lombardia e

spagnolo sul regno di Napoli.

L'impero di Carlo V

Un impero per il controllo del flusso di ricchezze in arrivo dal Nuovo

Mondo

Lo scontro con la Francia

Dall'impero cristiano all'impero coloniale

Le forme della guerra

Tra la fine del XV e l’inizio del XVI, come abbiamo visto per le vicende italiane,

ai vecchi protagonisti della politica internazionale, papato e impero, si sostituirono

le nuove entità costituite dagli stati nazionali, dal momento che i veri protagonisti

divennero la Francia e la Spagna.

Tra i due la Francia di Francesco I (1515-47) era sicuramente il paese in cui il

processo di formazione dello stato nazionale era stato più coerente, rafforzando le

strutture centrali dello stato e ponendo sotto il suo controllo un territorio

omogeneo e ampio. In Spagna il processo era invece rallentato dal fatto che i regni

Lorenzo __________________________

C – GLI STATI ITALIANI TRA ____________

SECOLO

a - _______________________________

1 _________________________________

2_________________________________

3_________________________________

b - _______________________________

Francia e Spagna e il _________________

__________________________________

Le discese in Italia di:

- _______________ (_______________)

- ________________ (_______________)

- ________________ (_______________)

vedi capitolo successivo

L'IMPERO DI CARLO V

UN IMPERO PER IL CONTROLLO DEL FLUSSO

DI RICCHEZZE IN ARRIVO DAL NUOVO

MONDO

I nuovi protagonisti della politica _______

___________________: ______________

___________________

Page 35: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

180

di Castiglia e Aragona, uniti formalmente da un matrimonio, erano ancora dotati

di strutture autonome e di economie differenziate. Lo stesso re spagnolo, Carlo V

d’Asburgo (1516-58), era in realtà un fiammingo che aveva concentrato nelle sue

mani un potere che era una via di mezzo tra il potere di un re nazionale e di un

imperatore medievale. Carlo V, infatti, per via dinastica aveva ereditato il potere

politico nei Paesi Bassi e nel Lussemburgo, nella Castiglia, nel regno d’Aragona

e in Catalogna in Spagna, nel regno di Napoli, in Sicilia e in Sardegna in Italia, e

in Austria e, quindi, anche il diritto di candidarsi al titolo imperiale, e, infine, nei

possessi americani legati alla Castiglia.

La sua azione politica fu appoggiata e finanziata dai banchieri e dai mercanti delle

città fiamminghe o che agivano in queste città, come gli operatori italiani e

tedeschi, e che facevano di queste città il centro del commercio internazionale.

L’interesse di queste forze economico-finanziarie era quello di poter controllare il

flusso di ricchezze che cominciava ad arrivare in Europa dal Nuovo mondo,

creando un sistema che aveva nella Spagna il punto di partenza e arrivo delle merci

da e per l’America e in Anversa il punto di ridistribuzione per tutta l’Europa.

Appoggiato da queste forze Carlo V assunse dapprima la corona spagnola (1516)

e, in seguito, quella imperiale (1520) e concepì il progetto politico di imporre

all’Europa un nuovo impero sovranazionale, fondato sulla comune identità

cristiana. Progetto che incontrò l’opposizione dei principi e delle popolazioni

tedesche, che proprio in quegli anni aderendo alla Riforma di Lutero infrangevano

l’unitarietà della comune identità cristiana, e della Francia che si opponeva alle

pretese sovranazionali del progetto di Carlo V per impedirgli un’egemonia sul

continente.

Il teatro dello scontro tra le due potenze europee furono dapprima l’Italia e, in

seguito, la Germania.

Le guerre in Italia iniziarono nella seconda metà degli anni venti per il controllo

della Lombardia che era francese, ma aveva un’importanza strategica per Carlo V,

dal momento che il porto di Genova e Milano avrebbe consentito un collegamento

tra i possedimenti spagnoli e l’area tedesca senza passare tramite la Francia. Nel

1525 Francesco I venne sconfitto e fatto prigioniero a Pavia, imprigionato a

Madrid per quattordici mesi e liberato solo dopo essersi impegnato a cedere la

Lombardia e la Borgogna.

Le resistenze francesi a cedere la Borgogna provocarono una nuova guerra che

coinvolse nuovamente l’Italia in quanto alcuni stati, tra cui il papato, aderivano

alla Lega antispagnola organizzata dal re di Francia. Un esercito di 18.000

lanzichenecchi, i fanti mercenari tedeschi al soldo di Carlo V, entrò

improvvisamente in Italia nella primavera del 1527, puntando direttamente su

Roma, dopo aver battuto facilmente le truppe della lega. Il 6 maggio la città dei

papi fu presa d'assalto e nei giorni successivi venne brutalmente violentata dai

contingenti al soldo dell'imperatore. Essendosi gli avvenimenti ormai intrecciati

con la Riforma luterana, era difficile sottrarsi all'impressione che un esercito di

luterani stesse punendo i misfatti del papato e dell'immorale e corrotta Italia

rinascimentale. Comunque sia nell’estate del 1529 venne firmato una nuova

pace con Francesco I che sanciva di fatto il dominio spagnolo in Italia.

Nella seconda metà degli anni trenta, quando con l’estinzione degli Sforza il

ducato di Milano venne annesso direttamente ai domini di Carlo V, in risposta

Francesco I invase il ducato di Savoia, mantenendolo anche dopo la tregua

firmata nel 1538.

Nel 1542 la Francia ruppe di nuovo la tregua e iniziò una quarta guerra tra

Francesco I e Carlo V, dopo quelle del 1521-25, 1526-29 e 1535-37, seguita nel 1552

da un quinto scontro che si svolsero nei Paesi Bassi e nella Francia, il primo, e in

Germania il secondo, intrecciandosi alle lotte tra protestanti (appoggiati dal re

francese, Enrico II (1547-59), dopo la morte di Francesco I) e cattolici, di cui era

La Francia di _______________________

La Spagna di _______________________

Il potere di _______________________:

- la concentrazione di poteri nazionali per

__________________________________

- _________________________________

__________________________________

I progetti dei _______________________:

__________________________________

I progetti di ________________________:

__________________________________

Gli oppositori:

1 _________________________________

2 _________________________________

LO SCONTRO CON LA FRANCIA

A Le guerre in ____________________

1 – 1521- ___________

Sconfitta _________________ a _______:

gli spagnoli in ______________________

2 - ____________________

__________________________ a Roma

affermazione del ____________________

_________________________________

Invasione ducato di __________________

da parte _________________________

B – Le guerre _______________________

Cattolici e __________________

contro ___________________________

_____________________

Page 36: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

181

paladino Carlo V.

Dopo tre anni di strategia di logoramento l'imperatore si decise alla pace e alla

smobilitazione del suo cumulo di poteri personali che lo aveva portato a

L’Italia dopo la pace di Cateau-Cambrésis (1559)

scontrarsi per più di trent’anni con la Francia, gli stati italiani, i principi e le città

tedesche, nonchè i turchi per il controllo del Mediterraneo.

Nel settembre 1555 rinunciò a favore del figlio Filippo alle corone spagnole e

subito dopo accettò la pace con i protestanti.

La dieta di Augusta stabilì dunque la vittoria della riforma dei principi; la

religione riformata luterana era liberamente professabile in Germania, ma i

sudditi di ciascun territorio dovevano seguire la scelta religiosa del loro

sovrano. Una tregua con la Francia venne firmata nel 1556.

Dopo la prima abdicazione del 1555, Carlo V compì il suo ultimo viaggio dai

Paesi Bassi alla Spagna e qui si ritirò in un convento, dove morì nel 1558 dopo

aver proceduto a una seconda abdicazione in favore del fratello Ferdinando. La

divisione dei regni di Carlo fra i due eredi avvenne secondo un preciso criterio: a

Ferdinando I (1558-64) toccò il complesso delle terre asburgiche (Austria, Stiria,

Carinzia, Tirolo, Slesia, Moravia), con una quasi certezza di ottenere la corona

imperiale (che, infatti, gli elettori gli attribuirono nel 1558); egli inoltre già

possedeva le corone di Boemia e d'Ungheria (occupata però per due terzi dai

turchi). A Filippo II (1556-98) toccarono, oltre alla Spagna, sia i Paesi Bassi sia i

possessi italiani, Milano, Napoli e la Sicilia.

Dopo una breve tregua, la guerra riprese nel 1557, opponendo ora Filippo II di

Spagna a Enrico Il di Francia; due, anni dopo i costi insostenibili della guerra

costrinsero i contendenti ad arrivare a una pace generale e dai risultati duraturi,

firmata a Cateau-Cambrésis nell'aprile 1559. I Trattati stabilirono che Enrico

doveva rinunciare alle terre dei Savoia, mantenendo solo il possesso di cinque piazze

militari, e riconoscere l'egemonia spagnola in Italia; toglieva però all'Inghilterra, che

aveva appoggiato la Spagna in questi ultimi anni, Calais, l'ultimo residuo della

presenza inglese sul territorio di Francia.

La dieta di ______________________ e il

riconoscimento _____________________

________________________________

DALL'IMPERO CRISTIANO ALL'IMPERO

COLONIALE

L’abdicazione di ___________________

La divisione dei regni di _____________

__________________________: impero

austro-ungarico

____________________: ____________,

________________, _________________

La nuova ___________________

La pace di _________________ (______)

Francia: ___________________________

_________________________________

Spagna:____________________________

Page 37: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

182

L'ultimo viaggio di Carlo verso la penisola iberica (agosto 1556) avvenne 39 anni

dopo il primo viaggio verso la stessa meta compiuto per succedere a Ferdinando il

Cattolico. In tutto questo tempo Carlo aveva viaggiato da un capo all'altro del suo

troppo vasto e disperso Impero, compiendo una trentina di viaggi.

Era giunto in Spagna nel 1517 come l’uomo dei Fugger e dei banchieri di Anversa;

aveva poi sposato la causa dell'Impero universale dopo le vicende del sacco di Roma;

aveva fatto propria la causa della crociata antiturca nel Mediterraneo; nella lotta

contro il luteranesimo aveva cercato di dare un contenuto reale al possesso della

corona imperiale tedesca. L'unione finale della Spagna e dei Paesi Bassi sotto il

governo di Filippo dimostrò, infine, che l'importanza dell'economia atlantica e dei

lontani domini americani, cui egli aveva dedicato solo un'attenzione marginale,

cominciava a mettere in second'ordine gli affari tedeschi ed europei.

Con Carlo V tramontava definitivamente il progetto di un impero europeo cristiano

che si era affermato per la prima volta nel IX secolo con Carlo Magno e il Sacro

Romano Impero. Tramontava perchè l’Europa, con il successo della Riforma imposta

dai principi tedeschi, non era più un’unica entità religiosa e, con il rafforzamento degli

stati nazionali, si stava trasformando in una multiforme entità geo-politica.

Mentre tramontava l’idea di un impero cristiano si affermava però un nuovo tipo di

impero quello coloniale che vedeva uno stato europeo imporre il suo controllo non su

un altro stato europeo bensì su un altro continente. Infatti, la forza militare di Carlo V

era dipesa anche dall’oro che proveniva dai domini coloniali americani e che

permetterà alla Spagna di svolgere, per un secolo ancora, un ruolo egemonico in

Europa.

Nel corso di questi anni la natura della guerra aveva cominciato a subire nuovi cam-

biamenti legati ai progressi delle armi da fuoco: i cannoni standardizzarono i loro

calibri e comparvero tipi più leggeri. Anche le armi portatili compirono un grande

salto tecnico, con l'acciarino a ruota, che eliminava gli inconvenienti della miccia.

Negli anni quaranta comparve, infine, la pistola che poteva essere usata con una

mano sola e perciò entrare a far parte dell'equipaggiamento normale della cavalleria

leggera. La presenza massiccia dei vari tipi di bocche da fuoco rilanciò l'uso delle

armature, ma l'effetto più importante della rivoluzione della tecnologia militare

apparve piuttosto nella strategia: dopo Pavia (1525) gli eserciti accettarono

raramente la battaglia campale decisiva e nei 35 anni successivi si contano solo

quattro grandi battaglie. La strategia era piuttosto quella della guerra di

logoramento, con tre caratteristiche principali: in primo luogo, lo sviluppo della

tecnica degli assedi (con l'invenzione delle mine e ancora più con i progressi

delle fortificazioni delle città e delle fortezze); in secondo luogo, il sistematico

saccheggio, da parte delle truppe occupanti, delle risorse agricole di un

territorio;infine, elemento forse decisivo, il prolungamento delle a operazioni

belliche per ottenere la crisi finanziaria dell’avversario. Finché i soldati mercenari

ebbero una parte prevalente negli eserciti il principio era che chi per primo finiva il

denaro aveva anche perso la guerra, perché senza paga i soldati non combattevano.

Carlo V un ______________________:

Il tramonto ________________________:

1 _________________________________

2 _________________________________

L’affermazione dell’__________________

___________________________

LE FORME DELLA GUERRA

I progressi ________________________

La strategia: la guerra di ______________:

1_________________________________

2 _________________________________

3 _________________________________

__________________________________

Page 38: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

183

C - DAL MEDIOEVO ALL'ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

2 - LA SCOPERTA E LA COLONIZZAZIONE DELL'AMERICA

La conquista europea dell'egemonia mondiale

Dal Cinquecento all'Ottocento: le tappe della conquista europea del

mondo

Le tendenze che hanno favorito l'egemonia europea

L'Occidente e l'esplorazione dell'Atlantico

L'impero turco e la necessità di cercare nuove vie commerciali con l'Oriente

L'esplorazione dell'Atlantico

Ricerca di nuove vie commerciali e stati nazionali

I viaggi di Colombo e le scoperte geografiche del cinquecento

Il nuovo mondo

Il popolamento del nuovo mondo

Società e civiltà nell'America precolombiana

Risorse vegetali e animali del nuovo mondo

I tratti comuni delle civiltà precolombiane

La società degli incas

Forme di proprietà

La divisione del lavoro

La circolazione dei beni

La burocrazia statale e sacerdotale

La conquista del nuovo mondo

Lo spopolamento dell'isola di San Domingo

La conquista del Messico

I conquistadores

Le ragioni della sconfitta degli imperi precolombiani

La conquista dell'impero Incas

Lo sfruttamento economico del nuovo mondo

Lo sterminio delle popolazioni locali

Le fasi del ciclo dello sfruttamento coloniali

Il saccheggio dell'oro

La ricerca e l'estrazione dell'oro

Le piantagioni

1 - Supremazia __________________

_______________________________

2- _____________________________

_______________________________

1 - ________________________________________

__________________________________________

_

2 - Società e istituzioni complesse ma prive di un

economia ________________________

3 - Le diverse civiltà non avevano contatti tra loro

perché ____________________________________

__________________________________________

1 - Tecnologia militare:________________________

___________________________________________

2 - Rivalità interne:___________________________

___________________________________________

___________________________________________

3 - Diffusione malattie:________________________

___________________________________________

4 - Mentalità religiosa ________________________

___________________________________________

Le cause del genocidio delle popolazione

americane:

Cause esterne:

1 - __________________________________

_____________________________________

2 - __________________________________

_____________________________________

3 - __________________________________

_____________________________________

Elementi di debolezza interna:

1 - ___________________________________

______________________________________

2-____________________________________

______________________________________

Page 39: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

184

2 – LA SCOPERTA E LA COLONIZZAZIONE DELL’AMERICA.

La conquista europea dell'egemonia mondiale

L’esplorazione dell’Atlantico e la scoperta del continente americano, a cavallo

tra il XV e il XVI secolo, segnarono l’inizio di una trasformazione dei rapporti

tra l’Europa e il resto del mondo destinato a segnare la storia dei secoli seguenti

sino ai nostri giorni. Negli ultimi secoli del Medioevo l’Europa aveva ripreso

i contatti commerciale con l’oriente asiatico attraverso il Mediterraneo e il Mar

Nero che avevano visto sorgere numerose basi commerciali, soprattutto grazie

all’intraprendenza di Genova e Venezia. Il controllo di questi due mari si

esprimeva nella presenza di queste basi commerciali che garantivano ai

mercanti genovesi e veneziani il monopolio sui prodotti (spezie, sete e altri

beni di lusso) provenienti dal lontano Oriente.

Nell’America Centromeridionale gli europei invece non si limitarono a

stabilire basi commerciali in quanto il loro arrivo implicò, non tanto lo

stabilirsi di nuove relazioni commerciali, quanto lo sfruttamento delle risorse

materiali ed umane prodotte dalle società preesistenti fino alla loro rapida

scomparsa, con la sostituzione di una nuova società in cui gli europei avevano

il ruolo di èlite dominante. Nei secoli successivi un analogo dominio si impose

sul Nord America, mentre le esplorazioni oceaniche portarono alla scoperta

dell’Australia. Nel corso dell’Ottocento il dominio coloniale europeo finì con

l’imporsi anche sulla stessa Asia e Africa, che fino allora avevano continuato

a vedere la sola presenza di basi commerciali europee. Il Novecento, pur

avendo posto termine ai regimi coloniali, non ha visto però la riacquistata di

una vera autonomia politica, né ha certamente posto fine alla dipendenza

economica

LA CONQUISTA EUROPEA

DELL'EGEMONIA MONDIALE

DAL CINQUECENTO ALL'OTTOCENTO: LE

TAPPE DELLA CONQUISTA EUROPEA DEL

MONDO

La conquista di questa egemonia mondiale è stata il frutto di due tendenze,

strettamente connesse, tipiche delle società europee. La prima di queste è

rappresentata dallo sviluppo tecnologico garantito dal prevalere, a partire dalla

Rivoluzione scientifica del Seicento, di nuove forme di sapere interessate a

risolvere problemi pratici, a garantire un maggior controllo da parte dell’uomo

sulla natura. La seconda tendenza è invece rappresentata dall’emergere di

LE TENDENZE CHE HANNO FAVORITO

L'EGEMONIA EUROPEA

RAPPORTO EUROPA ALTRI CONTINENTI:

- ultimi secoli Medioevo:

luoghi dei traffici commerciali:_____________________________________________________________________________________

forme della presenza europea:___________________________________________________________________________ ___________

XV-XVIII secolo:

- esplorazione coste _________________ e scoperta __________ _________________________________________________________

- forme della presenza europea:

____________________________________________________ in ___________________________________________________

Ottocento: colonizzazione ________________________________________________________________________________________

Novecento: ____________________________________________________________________________________________________

Page 40: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

185

forme di economia capitalista che tende a sganciare l’attività produttiva dalla

semplice sussistenza.

Accanto a queste due tendenze agirono anche le condizioni politiche. La

formazione delle grandi monarchie nazionali si era accompagnata alla costituzione

di eserciti di massa, di un'amministrazione complessa e articolata, di una politica

edilizia di prestigio: tutte esigenze vitali, che non potevano essere soddisfatte dal

normale prelievo fiscale. S'imponeva così la necessità di procurarsi in altro modo

le ricchezze indispensabili al mantenimento di un'organizzazione statale e di forze

armate efficienti; soltanto una politica di potenza e di conquista avrebbe

assicurato il controllo di rotte commerciali da sfruttare in esclusiva, scardinando,

sostituendo e ampliando il monopolio delle città italiane; oppure, più

semplicemente, avrebbe consentito di mettere le mani su nuove miniere d'oro o

d'argento.

Premessa e conseguenza di questa politica di potenza furono i grandi viaggi

di esplorazione. Viaggi dunque molto diversi dai precedenti: imprese come

quella di Marco Polo o di altri mercanti erano frutto della iniziativa

individuale; alla loro base stava certamente l'attivismo commerciale delle

Repubbliche marinare, da cui venivano stimoli e suggestioni, ma non un apparato

statale in grado di utilizzare quelle esperienze per una politica di espansione

su scala mondiale. Cosa che, come vedremo, avvenne soltanto nel XVI secolo.

Dall’iniziativa ______________________

all’iniziativa ________________________

L'Occidente e l'esplorazione dell'Atlantico

I viaggi nell'Atlantico erano già iniziati alla fine del Duecento; la linea diretta

di navigazione in mare aperto da Genova a Londra e Bruges, con uno scalo

principale a Lisbona, era stato il risultato più importante e duraturo di questa

fase medievale dell'apertura di una frontiera extramediterranea. Non aveva

invece avuto seguito il tentativo sfortunato dei fratelli Vivaldi lungo le coste

africane dell'Atlantico, le cui rotte erano state abbandonate durante la crisi

generale della seconda metà del XIV secolo.

La spinta alla ripresa delle esplorazioni atlantiche venne alla fine del XV secolo,

oltre che dall’uscita della crisi del Trecento che aveva favorito la nascita di forme

di economia mercantile-capitalista, dalla perdita dell’egemonia sul Mediterraneo e

sul Mar Nero a causa dell’espansione dell’Impero ottomano che, con la conquista

di Costantinopoli nel 1453, pose fine all’impero bizantino, erede diretto dell’Impero

romano d’Occidente. Il nuovo impero, l’Impero ottomano, destinato anch’esso a

lunga vita (cessò di esistere solo nel 1922, dopo la prima guerra mondiale),

giungendo nel corso del Seicento e del Settecento a occupare l’intera Europa

balcanica e le coste asiatiche e africane del Mediterraneo, costituì a lungo una

minaccia per il resto dell’Europa, senza tuttavia mai trasformarsi in un effettivo

pericolo per la sua sopravvivenza. Nel corso dell’Ottocento la colonizzazione

dell’Africa e dell’Asia, da parte soprattutto della Francia e della Gran Bretagna,

portarono alla marginalizzazione dell’impero turco.

L'OCCIDENTE E L'ESPLORAZIONE

DELL'ATLANTICO

L'ESPLORAZIONE DELL'ATLANTICO

Fine XIII sec.:

la rotta Genova - ___________________

__________via ____________________

XIV sec.: _______________________

Fine XV secolo:

LE TENDENZE CHE HANNO FAVORITO L'EGEMONIA EUROPEA

Tendenze strutturali (di fondo):

1 - _________________________________________________________________________________________________________

2 - _________________________________________________________________________________________________________

3 - _________________________________________________________________________________________________________

Tendenze occasionali:

1 - _________________________________________________________________________________________________________

Page 41: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

186

L'iniziativa del nuovo e decisivo assalto alla frontiera dell’Atlantico venne dal

Portogallo, anche se i capitali furono forniti in buona parte dai mercanti

genovesi. II Portogallo era il più piccolo degli stati della cristianità, con 89.000

kmq e forse 1 milione di abitanti verso il 1400; l'epoca delle sue guerre civili si

era chiusa più precocemente che nelle altre monarchie europee, già dal 1385,

quando il re Giovanni I d'Avis aveva assicurato la corona a sé e alla sua dinastia

con l'aiuto dei mercanti di Lisbona. Nel 1394 era nato il suo secondogenito

Enrico, che più tardi fu detto il Navigatore; Enrico visse fino al 1460 e fu il

grande organizzatore dei viaggi portoghesi sulla costa occidentale dell'Africa,

ma i primi passi di questa lunga avventura - conclusasi diversi decenni dopo il

1460 - non furono dettati da una direzione centrale e cosciente ed ebbero

piuttosto spinte molteplici ed eterogenee. C'era prima di tutto la nobiltà

portoghese, che dopo il 1385 aveva perduto una parte del suo potere e che

desiderava rifarsi con una crociata, insieme feudale e cavalleresca, nel Marocco.

Questa tensione espansiva nobiliare condusse nel 1415 alla conquista di

Ceuta, una sorta di prolungamento della reconquista in terra africana. La con-

quista di qualche terra in Marocco era poi sollecitata dalla corona stessa, come

fonte dì rifornimento granario per la capitale Lisbona. Una terza spinta

espansiva era invece di natura commerciale e vedeva in testa l'iniziativa dei

mercanti di Lisbona (insieme ai genovesi).

Da tempo si sapeva che la fonte principale dell'oro circolante in Occidente

sotto forma di fiorini e di ducati si trovava nell'Africa a sud del Sahara, ma

fino al XIV secolo erano stati gli arabi e i berberi ad avere il controllo di

questo commercio attraversando il Sahara con le loro carovane. I mercanti del

Maghreb scambiavano tessuti e sale sahariano con l'oro e gli schiavi offerti

dai rappresentanti dei re negri del Senegal e del Niger.

Il commercio attivo dell'Europa con il Nordafrica aveva di solito consentito ai

mercanti cristiani di assorbire una parte dell'oro del continente nero: i

portoghesi cercarono, all'inizio del Quattrocento, di impossessarsi del metallo

prezioso saltando la mediazione commerciale dei musulmani. Ma i feudi, il

grano e l'oro non erano gli unici moventi del Portogallo; un certo ruolo,

soprattutto come accumulo di esperienza nautica, va attribuito anche ai

pescatori che, allargando in questo periodo il loro raggio d'azione, arrivarono

ad avvistare di nuovo le isole atlantiche già scoperte una prima volta quasi un

secolo prima. Dietro i pescatori vennero subito i mercanti e i cavalieri: aver

preso Ceuta non significava ancora essere vicini alle fonti dell'oro (su cui i

cristiani avevano le idee molto vaghe, a paragone degli arabi), bisognava

navigare molto più a sud lungo la costa africana. Così nel 1419 Madera venne

occupata dai portoghesi, che qualche anno più tardi ritrovarono anche le

Azzorre, mentre le Canarie vennero occupate dagli spagnoli. È di grande

importanza rendersi conto dell'utilizzazione economica di queste isole nelle

quali si anticiparono le forme dello sfruttamento coloniale dei territori

extraeuropei nei secoli successivi.

l’iniziativa _______________________

Cause dell’espansionismo portoghese:

1 precoce __________________________________________________________________________________________________

2 _________________________________________________________________________________________________________

3 controllo del grano marocchino per rifornimento Lisbona

4 _________________________________________________________________________________________________________

5 _________________________________________________________________________________________________________

Page 42: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

187

Esaminiamo il caso di Madera che insieme alle isole vicine più piccole raggiunge

un'estensione di circa 800 kmq e che si trova a 500 km al largo del Marocco;

l'isola era disabitata come le Azzorre (le Canarie invece erano popolate da indi-

geni chiamati guanci, che presto si estinsero: ricordiamo questo fenomeno,

perché, su più grande scala, l'arrivo degli europei significò, anche altrove e in

seguito, la scomparsa di intere popolazioni).

Enrico il Navigatore suddivise le terre fra propri feudatari, mentre i banchieri

genovesi e i mercanti di Lisbona fornirono i capitali necessari per avviare la

produzione della canna da zucchero e dei vini greci. Madera dette, in seguito,

il proprio nome a un'eccellente varietà di vino dolce che superò la fama di quelli

prodotti a Creta e nell'Egeo.

Lo zucchero fu un affare di dimensioni molto maggiori; nel Medioevo questo

dolcificante esotico, trapiantato nel bacino mediterraneo dagli arabi, era

classificato fra le spezie e gli venivano attribuite virtù medicamentose, ma il suo

impiego principale era come condimento dei cibi (un uso rimasto oggi solo

nella cucina anglosassone). Nel XIV secolo la canna era coltivata soprattutto

nell'isola di Cipro, che con le sue 300 tonnellate annue conservava ancora alla

fine del Quattrocento il ruolo di maggior centro di produzione della cristianità.

Cipro doveva essere perciò il modello delle piantagioni di Madera; lo zucchero

dell'isola egea, e così pure le terre che lo producevano, era controllato dai

veneziani e la schiavitù aveva un ruolo considerevole, anche se non esclusivo, in

questa impresa economica.

In realtà la schiavitù era praticamente scomparsa nell'Europa feudale, ma in

tutti i grandi centri mercantili e cosmopoliti del Mediterraneo, da Venezia a

Costantinopoli, le grandi famiglie tenevano al loro servizio un certo numero

di schiavi domestici.

I mercanti veneziani commerciavano spesso la merce umana, acquistandola

non più tra gli slavi (come avevano fatto in passato), ma fra i tartari di Crimea.

Solo a Cipro gli schiavi venivano impiegati direttamente nella produzione e, in

questo senso, l'isola dello zucchero divenne un modello per i portoghesi che

trapiantarono la canna a Madera a partire dal 1440.

A questo punto il proseguimento delle spedizioni sulla costa atlantica

dell'Africa veniva ad avere una motivazione in più: accanto alla ricerca delle

fonti dell'oro si poneva il bisogno di ottenere nuova manodopera schiavile e,

come Cipro era stato un modello per Madera, questa lo fu, con le sue

piantagioni e i suoi schiavi negri, per le economie coloniali dei secoli successivi.

Ancora a metà Quattrocento la conoscenza cartografica dell'oceano Indiano da

parte degli europei era molto limitata; mentre attraverso l'Asia centrale dei

mongoli si era giunti nel XIII-XIV secolo ad avere qualche conoscenza diretta del

continente asiatico e della Cina, sull'oceano Indiano e sulle sue terre

continuavano invece a valere soltanto illusioni, miti ed errori. Ciò dipendeva

largamente dal fatto che i passaggi verso quel mare e le sue reti commerciali erano

controllati dagli arabi, mentre per l'Europa cristiana quel mondo lontano era

soltanto un luogo sul quale proiettare i propri sogni, le paure e le immaginazioni

esotiche. L'India era il paese delle immense ricchezze, dell'oro e delle pietre

preziose a profusione, dei balsami e degli incensi, un mondo pieno di cose

mirabili, nel quale tutto era possibile. Tutto ciò che di più strano, aberrante e

favoloso si poteva pensare, veniva immancabilmente situato in quelle contrade, non

soltanto le attraenti ricchezze, ma anche i mostri più stravaganti, nani e giganti,

uomini con un solo piede o un solo occhio o senza testa, e un profluvio di animali

fantastici, suggestivi, inquietanti, repulsivi.

La proiezione sull'India delle proprie fantasie deliranti e angosciate è uno

degli aspetti più significativi dei turbamenti dell'Europa nella crisi del

Trecento e Quattrocento; ma a ciò dobbiamo aggiungere veri e propri errori

geografici.

La carta del mondo ricavabile dalla Geografia di Tolomeo dimostrava facilmente

L’esperienza _______________________

Feudatari, ______________________ e

_______________________

Il ___________________

Lo _______________________________

L’esempio dei veneziani a ____________:

l’utilizzo___________________________

L’esplorazione delle coste _____________

e la ricerca ________________________

L’EUROPA MEDIOEVALE E ______________

________________________________:

conoscenza diretta di _________________

_________________________________

l’immagine ________________________

__________________________________

Gli errori della rappresentazione

cartografica ________________________:

Page 43: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

188

come le conoscenze geografiche del mondo antico fossero ben più ricche e

precise di quelle diffuse nell'Europa medievale. E tuttavia questa carta (oltre

a sopravvalutare molto la distanza fra i due estremi del continente

eurasiatico) conteneva due errori capitali. In primo luogo la rappresentazione

del mondo secondo Tolomeo dava l'impressione che l'oceano Indiano fosse un

mare chiuso; in secondo luogo, escludendo la possibilità di terre abitate

nell'emisfero meridionale, abituava all'immagine di un'Africa molto più corta di

quanto fosse nella realtà.

Proseguendo nel loro tentativo di doppiare la punta meridionale dell'Africa, i

portoghesi dimostravano di non essere più impacciati dal primo errore, ma il

secondo errore li indusse invece a sottovalutare i tempi necessari alla cir-

cumnavigazione del continente nero. Nel 1469, quando si era da poco iniziato

a penetrare nel golfo di Guinea, il re del Portogallo Alfonso V affidò a un

mercante-navigatore, Fernando Gomes, l'appalto dell'esplorazione di 100

leghe l'anno di costa, per cinque anni (cento leghe sono pari a circa 550 km):

in questo periodo la navigazione proseguì lungo il golfo di Guinea arrivando

fino all'attuale Camerun.

Nel 1482 fu raggiunto l'equatore, nel 1483 furono raggiunte le foci del Congo,

in Angola, e ancora per qualche anno si continuò a cercare il passaggio a sud-

est verso l'oceano Indiano e le spezie, arrivando fino alla latitudine di 22°

sud. Alla fine del 1487 una nuova spedizione guidata da Bartolomeo Días aveva

finalmente raggiunto il capo d'Africa. Durante una tempesta Días lo doppiò

senza accorgersene e solo qualche settimana più tardi (febbraio 1488) si

persuase che la costa africana piegava verso nord-est. Con un'impresa durata

più di due generazioni i portoghesi avevano posto in comunicazione per la

prima volta l'oceano Atlantico e l'oceano Indiano.

1- continente eurasiatico ______________

2 – Oceano indiano __________________

3 – Africa __________________________

L’esplorazione ______________________

__________________________________

1469- _________: dalla _______________

al ____________________________

La Spagna - o per meglio dire la Castiglia - aveva partecipato in misura assai

limitata alle esplorazioni dell'Africa atlantica del XV secolo; la sua presenza si

era limitata alla costa del Marocco e alla zona delle isole e, dopo una guerra con

il Portogallo, si era vista riconoscere la sovranità sulle Canarie (nel 1481).

I VIAGGI DI COLOMBO E LE

SCOPERTE GEOGRAFICHE DEL CINQUECENTO

La formazione ______________________

la ________________________________

L'ESPLORAZIONE DELL'ATLANTICO

Fine XIII sec.:

la rotta Genova - ______________________________via _____________________

XIV sec.: _______________________

Metà - fine XV secolo:

l’iniziativa _______________________: 1 - l’esperienza ________________________

2 - l’esplorazione ________________________________________________________

1498: ________________________________________________________________

Fine XV – inizio XVI sec:

l’iniziativa ______________________: ___________________________________________________________________________

1492: _______________________________________________________________________

1502: ________________________________________________________________________

1520: ______________________________________________________________________________________________________

Page 44: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

189

In realtà i problemi della Castiglia erano in questo periodo essenzialmente

terrestri e non marittimi. Il matrimonio regale fra la principessa Isabella e il

re d'Aragona Ferdinando, avvenuto nel 1469, aveva gettato una prima base

per l'unificazione spagnola e quando, nel 1474, Isabella era diventata regina di

Castiglia si era posto con maggiore urgenza il problema di eliminare l'ultima

presenza araba nella penisola iberica, il regno di Granada. In questo ultimo atto

della riconquista furono gettate tutte le risorse economiche e umane del regno;

fu ancora l'obiettivo di Granada a incanalare l'anarchia della piccola nobiltà

spagnola, che si inquadrava con difficoltà nelle strutture statali.

Per molti aspetti la storia dell'affermazione dello Stato in Castigl ia era

paragonabile a ciò che era avvenuto e stava avvenendo in Francia o in

Inghilterra, ma con almeno questa grande differenza: la Spagna era nata sul

terreno militare e religioso dalla guerra contro i mori e questo fatto aveva lasciato

alla piccola nobiltà cavalleresca un ruolo e un prestigio ancora considerevoli.

Dopo la conquista di Malaga e Almeria (1487 e 1488), nel gennaio del

1492 Ferdinando e Isabella fecero il loro ingresso regale nella capitale dei mori

(Granada), tappa finale della "riconquista". L'anno 1492 era stato dunque un anno

fatale per la Spagna: in quello stesso 1492 si preparò e si svolse il viaggio di

Cristoforo Colombo, che doveva condurre alla scoperta del Nuovo Mondo. Fino

a quella data il genovese Colombo, allora quarantenne, aveva percorso come

marinaio e come mercante tutte le rotte possibili, fino in Islanda e fino a

Madera; nel 1484 aveva sottoposto all'attenzione del re portoghese Giovanni

II il suo progetto di viaggio atlantico verso il mar della Cina. Dal punto di vista

teorico il progetto di Colombo non aveva nulla di impossibile; per gli uomini

di cultura e gli esperti di geografia e astronomia era ormai da tempo del tutto

ovvio che la Terra fosse sferica e che perciò si poteva andare in Cina sia

navigando verso levante sia navigando verso ponente. Si trattava solo di un

problema pratico, un fatto di distanze: i consiglieri di Giovanni II erano molto

meno ottimisti di Colombo nello stimare la distanza che separava Lisbona

dalla Cina attraverso l'Atlantico e perciò sconsigliarono l'impresa.

Tre anni dopo troviamo Colombo in Spagna, a riproporre ai consiglieri di

Isabella di Castiglia il suo progetto, su cui aveva continuato a studiare,

leggendo fra l'altro il libro di Marco Polo, con le sue descrizioni degli itinerari

e delle ricchezze della Cina. Anche questa volta ebbe una risposta negativa, ma

la regina scavalcò il responso dei suoi scienziati e accettò la proposta.

Altri quattro anni erano passati in questo modo: si era ormai nel 1492,

Granada era caduta e gli ebrei erano stati espulsi. Il finanziamento

dell'impresa costò 2 milioni di maravedì (questo era il nome della moneta di

conto castigliana), pari a 4330 ducati d'oro, cioè 18,5 kg di metallo prezioso;

tre navi partirono all'alba del 3 agosto 1492 dal piccolo porto di Palos, due di

queste avevano una stazza di 60 tonnellate, la terza di 100 o poco più; l'intero

equipaggio comprendeva 90 uomini, oltre a Colombo stesso. La prima tappa

furono le Canarie e da qui avvenne la vera e propria partenza, il 6 settembre; il

viaggio durò 36 giorni e la notte fra 1'11 e il 12 ottobre venne avvistata terra, ma

non si trattava né della Cina né del Giappone, bensì dell'isoletta di Watling del

gruppo delle Bahamas, che Colombo battezzò San Salvador.

È difficile stabilire un ordine d'importanza fra i diversi moventi dell'impresa

di Colombo, ma è certo che nel loro complesso dovevano essere molto forti,

perché nonostante il suo ottimismo 1’”ammiraglio del mare Oceano" (questo il

titolo che si fece attribuire dai sovrani spagnoli) sapeva bene che nessuno,

nell'esperienza europea e mediterranea, aveva mai navigato in mare aperto, cioè

senza avere in vista un'isola o un promontorio, per più di qualche giorno.

Colombo era mosso dal puntiglio personale (dimostrare che la sua idea era

giusta), oltre che da uno "spirito di evangelizzazione" abbastanza di maniera

(portare la vera fede dall'altra parte del mondo). Ma l'oro e le spezie

occupavano indubbiamente in modo quasi ossessivo la sua mente, come si

il ruolo ____________________________

Il 1492:

- _________________________________

-

__________________________________

I VIAGGI DI COLOMBO

i tentativi con _______________________

l’appoggio di_______________________

Il ________________________________

L’arrivo a _________________________

Le motivazioni di Colombo

Page 45: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

190

può vedere scorrendo il suo giornale di bordo, scritto giorno per giorno dal

3 agosto 1492 al 15 marzo 1493. A San Salvador egli trovò soltanto selvaggi

primitivi e nudi, dal carattere mite e ospitale, ma niente che somigliasse alle

favolose ricchezze d'Oriente. Poteva essere San Salvador un'isola vicina al

Giappone? Continuando a navigare alla cieca, la piccola flotta spagnola toccò

il 28 ottobre Cuba, ma anche qui non si trovarono tracce di spezie, anche se

i piccoli monili d'oro che portavano gli abitanti di quest'isola sembravano

suggerire l'esistenza di grandi miniere.

a ________________________

La terza tappa del viaggio fu un'altra grande isola, che Colombo chiamò

Hispaniola (l'attuale Haiti o San Domingo); questa nuova terra sembrava più

popolata e i suoi abitanti praticavano l'agricoltura e possedevano strutture

sociali apparentemente più evolute. Anche i loro ornamenti d'oro erano più

numerosi; Colombo scrive di aver sospettato che le difficili conversazioni con

questi isolani fossero fondate più sul fraintendimento che sulla comprensione,

ma si illuse che la sua insistente domanda “dove sono le miniere d'oro?” avesse avuto

una risposta consolante.

In realtà ad Haiti non esistevano miniere, ma solo dell'oro alluvionale, che gli

indigeni avevano raccolto pazientemente e a cui non parevano attribuire grande

valore.

Era chiaro che quelle isole non erano né il Giappone né la Cina, ma quando

Colombo decise di fare ritorno, lasciando ad Haiti una quarantina di uomini,

egli si era ormai convinto che molto vicino si trovassero grandi miniere d'oro. Si

poteva pensare già ad allestire un altro viaggio su scala maggiore e con l'oro

come obiettivo. Le spezie della Cina dovevano di certo essere nei dintorni:

questo primo risultato sembrava porre le condizioni per cercarle con maggior

facilità e profitto.

Quando Colombo tornò dal suo primo viaggio oltre Atlantico, nel 1493,

sembrava che la via scelta dagli spagnoli per arrivare alle ricchezze delle Indie

fosse la più rapida, di fronte ai lunghissimi tempi richiesti dal periplo

dell'Africa tentato dai portoghesi.

Negli anni 1510-15, quando Lisbona aveva ormai acquistato il monopolio del

traffico delle spezie, era da un pezzo evidente che le isole scoperte da Colombo

non si trovavano affatto nei paraggi del Giappone e tanto meno della Cina, anche

se rimase l'uso di riferirsi a esse con il nome di Indie occidentali. Il passaggio

dagli entusiasmi alle delusioni coincise con i risultati delle successive spedizioni

di Colombo nelle isole Antille.

I125 settembre 1493 partì da Cadice una grande flotta, con 17 navi, 1200 uomini

e tutto il necessario (animali, sementi e attrezzi) per impiantare una vera e

propria colonia. Prima dì dirigersi su Hispaniola, Colombo esplorò questa volta le

Piccole Antille, trovandole abitate da popolazioni che praticavano il

cannibalismo e che accolsero gli spagnoli con il lancio di frecce avvelenate,

dimostrandosi molto diverse dai miti arawak incontrati a Hispaniola e a Cuba.

La permanenza nelle Antille durò 28 mesi: gli spagnoli rastrellarono nelle due

isole maggiori tutto l'oro che riuscirono a trovare (un centinaio di chili) e lo

inviarono in Spagna insieme a un carico di schiavi catturati fra gli indiani

caraibici. Di spezie neanche l'ombra.

Nel giugno 1496 Colombo fu nuovamente di ritorno in Spagna e gli fu

a ____________________________

il ___________________________

Il ________________________________

Le ___________________________

Il ________________________________

LE MOTIVAZIONI DI COLOMBO:

1___________________________________________________________________________________________________________

2___________________________________________________________________________________________________________

3___________________________________________________________________________________________________________

Page 46: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

191

concesso di organizzare una terza spedizione, che partì nel gennaio 1498, e

viaggiando molto più a sud delle due volte precedenti raggiunse l'isola di Trinidad

e una terra nella quale sfociava un fiume con una grandissima portata d'acqua.

Quel fiume era l'Orinoco e la terra era l'attuale Venezuela: Colombo aveva

finalmente scoperto il continente americano ed egli si trovò nella difficile

situazione di continuare a pensare che doveva trattarsi di un'altra isola nei pressi

del Giappone o di ammettere che alle spalle di un fiume di quella portata doveva

trovarsi quasi un continente, un vero mondo nuovo. Dopo aver rimesso piede a

Hispaniola (Haiti), Colombo trovò che nell'isola c'erano stati dei disordini, che era

arrivato dalla Spagna un nuovo governatore e che egli stesso veniva considerato

responsabile del cattivo governo della colonia. Arrestato e messo in catene, fu

riportato in Castiglia. La sua stella era ormai tramontata: la via giusta per le Indie era

quella di da Gama, che proprio quell'anno era tornato a Lisbona con un ricco carico di

spezie. Le terre del mar delle Antille erano solo un miraggio, prive di evidenti

ricchezze naturali, popolate da selvaggi nudi e cannibali. Navi spagnole partivano

ormai regolarmente per quelle isole, portando soldati e avventurieri, ma nessun

paragone era possibile fra il grande successo portoghese e le inutili colonie spagnole

nel Nuovo Mondo. Nel 1502 Colombo compì il suo quarto e ultimo viaggio oltre

Atlantico, esplorando questa volta le coste dell'Honduras e del Costa Rica

nell'America centrale, terre dal clima orribile, piene di paludi, di foreste tropicali,

di insetti apportatori di malattie micidiali. Quattro anni dopo egli morì in Spagna,

completamente dimenticato e consapevole del totale fallimento dei suoi progetti.

I viaggi di Colombo avevano avuto fin dall'inizio uno scopo prevalentemente

economico: l'apertura di una rotta più breve per le Indie, terra delle spezie

e di tante altre ricchezze. Al ritorno di Colombo dal suo primo viaggio, la Spagna

si affrettò quindi a ottenere dal papa Alessandro VI il riconoscimento dei propri diritti

su tutte le terre d'Occidente, cosa che avvenne nel 1493. Questo riconoscimento

provocò la pronta reazione del Portogallo, che si vedeva preclusi i mari d'Occidente.

Il 7 giugno 1494 Spagna e Portogallo firmarono pertanto il trattato di Tordesillas, che

regolava le rispettive sfere di espansione: l'Oceano, dall'Artico all'Antartico, fu

«diviso» da un meridiano (la raya), distante 370 leghe dalle isole di Capoverde.

Alla Spagna sarebbero toccate tutte le terre a occidente del meridiano, al Portogallo

quelle a oriente.

I viaggi di Colombo verso quelle che egli riteneva le estreme propaggini dell'Asia

furono seguiti, già qualche anno dopo, da altri viaggi e da altre scoperte. Nel 1497-

98 il portoghese Vasco da Gama doppiò il Capo di Buona Speranza e si spinse fino a

Calicut. Nel 1500 un altro navigatore portoghese, Pedro Alvarez Cabral, spinto da

una tempesta verso occidente, mentre costeggiava l'Africa, scoprì casualmente

una nuova terra, che chiamò Brasile dal nome di un legno tintorio di colore

rosso. Al fiorentino Amerigo Vespucci toccò il compito di esplorare, nel 1502,

le coste meridionali del Nuovo Mondo (che da lui prese successivamente il

nome di America) e di rivelare che Colombo non aveva scoperta la via più breve

per le Indie, ma un nuovo, gigantesco continente.

Notizie e resoconti sulla vastità e le ricchezze delle terre occidentali scoperte

da Colombo giungevano intanto alle corti europee. Gli inglesi, ignorando il trattato

di Tordesillas, si dedicarono alle regioni settentrionali dell'America, che

sarebbero più tardi divenute una delle zone privilegiate della loro espansione

coloniale.

Circa trenta anni dopo la scoperta dell'America fu effettuato il primo viaggio

intorno al mondo. Ne fu protagonista il portoghese Ferdinando Magellano, che,

tra il 1519 e il 1520, superò l'estrema punta meridionale dell'America e sbarcò nelle

Filippine. Il costo umano della spedizione fu altissimo: dei 265 partecipanti ne

sopravvissero meno di una ventina e lo stesso Magellano fu ucciso dagli

indigeni filippini.

Il _____________________________

l’__________________________

Il ________________________________

Il trattato di ______________________

Altre _____________________________

Page 47: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

192

Il nuovo mondo

Il popolamento umano del Nuovo Mondo era iniziato certamente molto tempo

prima del 10 000 a.C: l'esame dei più antichi reperti archeologici condotto col

metodo del carbonio 14 sembra suggerire date risalenti persino a 30 000 o 40

000 anni fa. Apporti dalle isole del Pacifico - dalla Micronesia e dalla

Polinesia - non sono stati del tutto provati e comunque devono aver giocato

un ruolo minore, perché essi comportavano viaggi marittimi di migliaia di

chilometri senza scalo. L'uomo americano venne dalla Siberia, attraverso lo

stretto di Bering gelato, in piccoli gruppi e in ondate successive molto

distanziate nel tempo. La fine dell'ultima glaciazione, 15-12 000 anni fa,

interruppe il collegamento fisico fra l'Asia e l'America e da quel momento gli

amerindi si svilupparono nel più completo isolamento, in un mondo con

caratteri radicalmente diversi da quelli dell'Eurasia e dell'Africa, quasi un altro

pianeta.

Al momento della scoperta europea, gli indiani delle grandi pianure

nordamericane si trovavano per lo più allo stadio della caccia, della pesca e della

raccolta, con densità umane inferiori a un abitante per chilometro quadrato, ma

esistevano anche gruppi nomadi che seguivano gli spostamenti delle mandrie

di bufali; l'agricoltura era ovunque poco sviluppata. Ancora più radi erano i

popolamenti e primitive le tecniche di sopravvivenza diffuse nelle regioni

amazzoniche dell'America meridionale. Ma intorno all'anno 1500 l'America era

tutt'altro che un continente vuoto: in una lunga regione verticale, dal Messico

al Perù, interrotta dalla zona di fitta foresta tropicale nella regione di Panama,

la rivoluzione agricola era avvenuta a partire dal Messico e dal 3000 a.C., per

produrre, quarantacinque secoli dopo, eccezionali densità umane, fino a 40 e 50

abitanti per kmq.

Le ragioni di questa grande vittoria dell'uomo americano stanno in buona parte

nel suo felice incontro con il mais, un cereale ignoto al Vecchio Mondo, che,

se coltivato in condizioni ambientali adatte, consente rendimenti unitari molto

elevati, senza richiedere cure eccessive o una grande quantità di forza-lavoro.

Le qualità nutritive di questa pianta sono certo inferiori a quelle del frumento

e anche del riso, ma le regioni americane di civiltà agricola superiore avevano a

loro disposizione un vasto patrimonio vegetale, completamente diverso da

quello dei vecchi mondi: oltre al mais, esso includeva la manioca, la patata e

la batata (o patata dolce) sull'altopiano andino, il fagiolo, il pomodoro, il

peperone, la zucca, l'avocado, l'ananas, il cacao. Ugualmente di origine ameri-

cana sono l'albero della gomma e il tabacco.

Il _____________________________ del

Nuovo mondo:

40- 30 000 anni fa: l’uomo arriva in

America passando __________________

_______________________

15- 12 000 anni fa: fine _______________

_________________ uomo americano

__________________

Le civiltà locali al ___________________

_________________________________

America del Nord: ___________________

__________________________________

America del Sud: ___________________

__________________________________

America centrale:

____________________

__________________________________

Il _______________________

Le risorse del continente americano:

+ ricco di risorse ____________

+ povero di risorse ___________

LE VALUTAZIONI DELLA SCOPERTA DEL NUOVO MONDO NELLA GARA TRA PORTOGHESI E SPAGNOLI PER LA CONQUISTA DELL’ATLANTE

1 - ________________________________________________________________________________________________________

___________________________________________________________________________________________________________

2 - ________________________________________________________________________________________________________

___________________________________________________________________________________________________________

3 - ________________________________________________________________________________________________________

___________________________________________________________________________________________________________

Page 48: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

193

Molto più povero, al paragone con i vecchi mondi, era il patrimonio animale del

continente americano, e ciò determinava una grande debolezza di fondo delle

società indigene, tanto sul piano alimentare (per la scarsità di proteine animali)

che su quello energetico (per i traini animali e i trasporti). Escludendo il

bisonte, che si trovava in territori troppo a nord anche per i messicani, le società

dell'America agricola sviluppata non avevano nessuna specie di bovini, non

conoscevano il cavallo, non avevano né pecore, né suini. Il solo Perù

possedeva nel lama un animale adatto alle grandi altitudini, ma poco robusto

(un carico di 25 kg è la prestazione normale) e molto lento (15 km al giorno),

mentre gli affini alpaca e vigogna sono degli animali da lana tutti con una carne

poco commestibile. L'unica specialità americana nel mondo animale era

rappresentata dal tacchino, cui si potevano aggiunge-re alcune varietà di uccelli

acquatici come l'anatra.

In questa realtà naturale così diversa da quella eurasiatica si erano sviluppate

alcune civiltà che possedevano una serie di evidenti tratti comuni. Sia le società

messicane sia quelle peruviane erano pervenute a un'agricoltura evoluta, che

faceva largo uso di attrezzature idrauliche, ma fra di loro era sconosciuto

l'aratro e i semi erano deposti nei fori aperti nel terreno con il bastone da scavo.

Gli amerindi non conoscevano la scrittura (anche se i maya e gli aztechi erano

arrivati a una forma primitiva di geroglifici) e non erano mai arrivati all'uso

della ruota; sapevano lavorare con finezza metalli preziosi come l'oro e

l'argento, ma non possedevano nessuna conoscenza della metallurgia ferrosa. Da

questo punto di vista essi erano dunque fermi all'età della pietra e ci appaiono

perfino più arretrati dei popoli africani, con i loro forti allevamenti, i loro

carri e i loro artigiani del ferro. Ma più che l'arretratezza, è lo sviluppo

diseguale a essere caratteristico degli amerindi. Essi erano giunti a una civiltà

urbana molto evoluta, con città che raggiungevano e superavano i 100.000 abitanti

e con un'imponente architettura monumentale, nella quale però era sconosciuto

l'impiego dell'arco. Le forme politiche e l'organizzazione economica esistenti

negli altopiani erano il segno di una civiltà superiore; ma nonostante le grandi

riserve di metalli preziosi, gli amerindi non conoscevano la moneta e non

possedevano un'economia di mercato (con una parziale eccezione per gli

aztechi nell'ultima fase della loro storia), non avevano flotte marittime;

inoltre, essendo privi di veicoli a ruote, dominavano con difficoltà gli spazi

Le civiltà americane

Nonostante l'esistenza di civiltà evolute, con alle spalle una storia non meno

lunga e complessa di quella europea, le varie regioni del continente

americano erano vissute per secoli in un isolamento reciproco relativamente

forte. Il Messico aveva continuato a ricevere invasioni di nomadi dal nord, il

mais aveva viaggiato dall'America settentrionale a quella meridionale, mentre

la patata si era estesa su una grande superficie nel mondo andino (ma senza

riuscire a varcare la regione dell'istmo di Panama). Nonostante ciò, le

popolazioni americane presentavano ancora nel XV secolo notevoli differenze

negli stadi di sviluppo della civiltà materiale; accanto alle civiltà urbano-agricole

non c'erano soltanto i nomadi e i cacciatori del Messico settentrionale e delle

pianure a nord del Rio Grande, ma anche le piccole e isolate comunità dedite

alla caccia e alla raccolta. Il sistema di relazioni che, al di là di tutte le

differenze, aveva coinvolti in una storia comune le civiltà eurasiatiche,

mediterranee e (in misura minore) africane era assai più antico e solido di

quello che si poteva trovare in America.

Il livello ___________________________

delle ______________________________

LE CIVILTÀ AMERICANE

LE DIVERSE CULTURE DELLE SOCIETÀ

AMERICANE

La ____________________________

Page 49: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

194

L'avviamento all'unificazione dei due altopiani, quello andino e quello

messicano, era nel XV secolo un fatto ancora molto recente, ma fra l'uno e

l'altro l'isolamento era ancora quasi totale (in mancanza di una civiltà

marittima adeguata) al momento dell'arrivo degli europei. Costoro sarebbero

venuti così a conoscenza di una società ormai in declino, quella dei maya, e di

due imperi che sembravano allora in piena espansione, quello azteco e quello

inca. Alle loro spalle c'era una lunga storia, di due o tre millenni, che ci è ancora

in gran parte sconosciuta. Alcuni tratti culturali ci appaiono particolarmente in

rilievo nell'intera area maya-azteca: le grandi piramidi a gradini, i sistemi di

misurazione del tempo, la parte enorme tenuta nella vita sociale dai cerimoniali

religiosi, la rigida stratificazione sociale, il grande peso politico e carismatico tenuto

dalla casta sacerdotale. Già nel periodo compreso fra il III e l’VIII secolo la valle di

Teotihuacàn, nel Messico centrale, si era coperta di templi monumentali, segno di

una civiltà molto evoluta: la grande "piramide del sole" ha un base quadrata con il

lato di 240 metri e si innalza fino a 60 metri. L'intera area dei templi e delle residenze

dei sacerdoti, intorno alla grande piramide, doveva misurare intorno ai 32 kmq,

individuando un centro di attrazione urbana di notevoli dimensioni. Continue

ondate di invasori nomadi giunte dalle regioni settentrionali avevano poi distrutto

questa civiltà nel suo periodo più creativo e della valle dei templi non erano rimaste

che le rovine.

All’arrivo degli europei: ______________

__________________________________

Prima degli europei:

la civiltà di ________________________

(________-___________ sec.)

Nello stesso periodo in cui rapidamente raggiungeva l'apogeo e crollava la

civiltà di Teotihuacàn, raggiungeva anche il massimo sviluppo quella dei maya.

Un centinaio di centri urbani maggiori appartenenti alla civiltà maya esistevano

fra l'VIII e il IX secolo, su una superficie di 300.000 kmq, che includeva gli

attuali territori dell'Honduras, del Guatemala, del Salvador e dello Yucatan.

Per ragioni che ci restano sconosciute (ancora una volta invasioni di nomadi?)

queste città (che come Teotihuacàn erano soprattutto città santuario, con una

popolazione stabile di sacerdoti e funzionari) vennero improvvisamente

abbandonate, per essere poi ritrovate intatte e nascoste nella giungla dagli

spagnoli del XVI secolo. La civiltà maya sopravvisse solo nello Yucatan

conservando le sue enigmatiche contraddizioni: un'agricoltura primitiva,

senza aratro e fondata sul mais, una tecnologia rimasta all'età neolitica, ma

un'astronomia incredibilmente esatta e un'aritmetica così sviluppata d inclu-

dere la numerazione posizionale con l'uso dello zero.

Gli aztechi erano solo uno dei più recenti popoli invasori, penetrato forse

nel XIII secolo nell'altopiano dell'antica civiltà agricola, e al tempo del loro

ultimo imperatore, Montezuma II (1503-20), erano ancora in piena espansione.

Gli aztechi avevano raccolto un'eredità culturale complessa e il loro mondo di valori

appare come un equilibrio precario fra elementi eterogenei. L'immagine

azteca del mondo è percorsa da un forte sentimento della precarietà: il mondo

I MAYA

Le città ____________________________

GLI AZTECHI

LA CULTURA: LA CONCEZIONE RELIGIOSA

LE PECULIARITÀ DELLE CIVILTÀ AMERICANE RISPETTO ALLE CIVILTÀ EURASIATICHE

1 - _______________________________________________________________________________________

Es.: ___________________________________________________________________________________________________________

2 __________________________________ perché ____________________________________________________________________

LE CARATTERISTICHE COMUNI DELLE CIVILTÀ DELL’AMERICA CENTRALE

A – l’organizzazione _______________(città _______________) B - ____________________________________________________

C - __________________________________________________ D - ____________________________________________________

Page 50: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

195

intero poggia sul vuoto, la natura è piena di forze distruttive che vanno attenta-

mente sorvegliate. La concezione del tempo degli aztechi vedeva un periodico

ritorno di momenti di catastrofe, attraverso quattro o cinque ere concluse da

invasioni di belve selvagge, da uragani distruttori o da piogge di fuoco. Il calendario

messicano, come quello dei maya, univa perciò a una prodigiosa capacità di

osservazione astronomica la percezione di una ciclicità minacciosa. L'anno solare

stesso, di 365 giorni e diviso in 18 mesi di 20 giorni ciascuno, includeva

periodicamente 5 giorni infausti; il ritmo annuale del tempo era poi suddiviso

secondo un criterio molto diverso, in venti settimane di 13 giorni ciascuna e questo

ciclo di 260 giorni veniva a coincidere con quello di 365 nel corso di un periodo più

lungo composto di 52 anni solari. L'orrore di una prossima catastrofe rendeva pieni

di ansia gli ultimi cinque giorni del secolo azteco di 52 anni, allorché il fuoco,

rimasto acceso ininterrottamente sull'altare sacro, veniva spento e se ne

accendeva uno nuovo, con un culto pieno di elementi simbolici solari. Di fronte al

Sole gli aztechi esprimevano a fondo tutto il loro senso di incertezza: persino gli

dèi erano dovuti morire alla fine di ogni epoca, perché il Sole potesse rinnovarsi e

perciò, per tenere sotto controllo le forze della dissoluzione, era necessario procedere

a continui sacrifici umani, a divinità inquietanti.

Tenere sotto controllo l'ignoto, la violenza, la vocazione al nulla presente

nella realtà stessa: questo era il compito cosmico che gli aztechi attribuivano

a se stessi e la loro intera vita era dominata da complicati cerimoniali diretti a

questo scopo. Umanisti e insieme dotati di un cupo senso del tragico, essi non

amavano molto la guerra e avevano elaborato un rituale simbolico capace di

porre fine in fretta e senza spargimenti di sangue ai conflitti che li opponevano

alle altre città messicane. Ma la guerra era in qualche modo indispensabile: la

burocrazia statale e la classe sacerdotale crescevano a dismisura e avevano

bisogno di città sottomesse e tributarie; la guerra inoltre procurava quelle vit-

time per i sacrifici umani, condotti senza odio ma con apprensione, perché il

mondo ne aveva assolutamente bisogno per sopravvivere.

Se le sottili speculazioni sul tempo ciclico e i complicati apparati del

controllo sulle forze oscure del reale sono i caratteri più visibili del mondo

messicano, la società peruviana aveva invece concentrato i suoi sforzi nella

soluzione di problemi di vita materiale e organizzazione sociale.

Nel XV secolo l'area andina era dominata dalla città di Cuzco, situata a 3500

metri di altitudine, il cui signore veniva chiamato inca. Ma anche l'Impero

inca, come quello azteco, era solo l'ultimo arrivato in una lunga serie di civiltà

successive che partivano dalle lontane età degli inizi della coltivazione del

mais e della fabbricazione di ceramiche. I tratti peculiari della società andina si

erano venuti formando già molto prima della comparsa degli inca: gli altopiani

erano stati lentamente colonizzati e la diffusione del mais era stata resa

possibile solo dalla costruzione di ardite opere idrauliche, derivando canali dai

fiumi che scendevano verso la costa; la patata era stata acclimatata alle

grandi altitudini, selezionando molte centinaia di diverse varietà; le comunità

andine avevano poi sviluppato delle forme complesse di proprietà collettiva

del suolo, affidate agli ayllu, i gruppi parentali allargati, che provvedevano a

ridistribuire periodicamente la terra fra le singole famiglie, per ottenere sempre

una corrispondenza fra bisogni, forza-lavoro e terre da coltivare.

Ma più ancora di questa organizzazione del possesso terriero, l'elemento che meglio

denota il senso dell'orchestrazione sociale delle comunità andine è la divisione

del lavoro in corrispondenza alla natura verticale dello spazio umano: dalla pianura

costiera ai più elevati ripiani montani si offrivano diverse possibilità di

utilizzazione dello spazio, la pesca e la coltivazione del cotone in pianura, 1a

coltivazione del mais e della patata sull'altopiano, il pascolo dei lama al le

maggiori altitudini. Il controllo di tutti i piani di questo spazio verticale richiedeva

una continua circolazione dei beni dall'uno all'altro, ma ciò non avveniva nella

La concezione del _________________

Il culto _________________

Il controllo _________________________

__________________________________

GLI INCAS

Page 51: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

196

forma dell'economia di mercato, perché gli andini non conoscevano il denaro:

la circolazione era piuttosto affidata a un meccanismo di reciprocità, fatto di doni

e controdoni, prestazioni e restituzioni, capaci di costituire un'articolata coesione

sociale su spazi molto ampi.

Stando ai racconti leggendari, gli inizi dell'Impero inca andrebbero posti al

principio del XII secolo, ma è difficile collocare nel tempo i primi cinque o

sei sovrani inca, ammesso che ai loro nomi corrispondano personaggi reali.

Alla fine del XIV secolo le strutture di fondo dello Stato erano già cosa fatta:

una società fortemente stratificata, con un'aristocrazia militare e burocratica al

vertice e le comunità contadine degli ayllu alla base. Lo Stato inca aveva dimo-

strato grandi capacità di unificazione dei popoli dell'altopiano e delle pianure

(in corrispondenza a una parte più o meno estesa dei territori degli attuali Perù,

Bolivia e Cile); le forme di integrazione economica fra i diversi piani spaziali

erano state favorite o ulteriormente promosse e, ancora nel XV secolo, la società

andina non aveva bisogno di proprietà privata o di economia di mercato. Al

sistema di circolazione dei beni basato sulla reciprocità, gli inca ne avevano

aggiunto un secondo basato sulla ridistribuzione: i membri degli ayllu dedicavano

una parte del loro tempo alle terre e .ai pascoli pubblici dell'inca o della divinità

solare e partecipavano alla edificazione di grandi opere; lo Stato, a sua volta,

distribuiva i beni pubblici ai soldati, ai funzionari, ai sacerdoti, agli addetti

ad attività produttive nelle regioni periferiche.

Lo Stato inca si presentava come un centro di minuziosa regolamentazione

dell'intera vita sociale, sempre informato su tutti gli aspetti della produzione e in

grado di organizzare censimenti e di svolgere una continua politica demografica

capace di far sviluppare in maniera equilibrata la popolazione e il controllo del suolo.

La società andina non arrivò mai alla scrittura, ma seppe produrre un accurato mezzo

di contabilità governativa, rappresentata dai quipu, le cordicelle colorate sulle

LA SOCIETÀ ANDINA

Rapporti sociali: __________________________________________________________________________________________

Forme di proprietà:

1 ___________________________________________________________________________________________________ con

ridistribuzione periodica per________________________________________________________________________________

2 ______________________________________________________________________________________________________

Divisione del lavoro: ______________________________________________________________________________________

________________________________________________________________________________________________________

Circolazione dei beni:

1_______________________________________________________________________________________________________

2 ______________________________________________________________________________________________________

Ruolo dello stato:_________________________________________________________________________________________

_______________________________________________________________________________________________________

Differenze con l’economia europea: 1 - ______________________________________________________________________

2 - ______________________________________________________________________

3 - ______________________________________________________________________

Page 52: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

197

quali i nodi rappresentavano numeri e oggetti della statistica.

Le comunità azteche conoscevano, come quelle peruviane, una religione

complessa, con molte divinità accanto a quella solare e con una concezione del

tempo fatta di età successive e catastrofi. Ma anche nella religione peru-

viana, nella quale i sacrifici umani avevano un ruolo secondario, era l'organizzazione

sociale ad avere il primo posto: la sua funzione era quella di stabilire legami orizzontali

e verticali fra i diversi nuclei etnici e fra i diversi ripiani dello spazio umano.

Per tutto il XV secolo l'Impero inca aveva continuato a estendersi e sotto il

decimo inca esso aveva incluso il territorio dell'attuale Ecuador con la città di

Quito: da Cuzco a Quito era stata allora costruita una strada, che veniva a

completare il sistema viario, una perfetta rete ingegneristica e sociale di

comunicazioni, lungo la quale le notizie correvano solo secondo le possibilità

dei messaggeri a piedi, ma riuscendo a realizzare velocità eccezionali (2.000 km

percorsi in sei o sette giorni). Con una lunga storia alle spalle, il mondo

americano più evoluto contava verso il 1515 almeno 25 milioni di abitanti

nel Messico e altrettanti nell'Impero inca, 600.000 kmq da una parte e un

milione dall'altra: uno sviluppo avvenuto nell'isolamento reciproco e

nell'isolamento nei confronti dei vecchi mondi.

La conquista del nuovo mondo

Se durante il secondo decennio del Cinquecento poteva sembrare che la via scelta

dagli spagnoli non avesse portato ad alcun risultato concreto, poiché il Portogallo,

grazie al suo controllo delle coste africane, aveva conquistato il mercato delle

spezie orientali, alla fine degli anni venti la situazione nei territori del Nuovo

Mondo era mutata completamente, facendo intravedere una fonte di ricchezza

di pari importanza delle spezie dell'Indonesia: l'oro.

È molto probabile che l'isola di San Domingo avesse nel 1492 non meno di

600.000 abitanti: questi indigeni arawak furono presto messi a raccogliere col

setaccio le pagliuzze d'oro alluvionale che si trovavano nei fiumi dell'isola;

subito al barbarico sfruttamento operato dagli spagnoli si aggiunsero le

devastazioni delle malattie sconosciute agli arawak e importate dai

conquistatori insieme alla bramosia dell'oro. Nel 1514 il vaiolo, il morbillo e

la furia spagnola avevano ridotto la popolazione indigena a sole 27.000 unità. La

caduta della manodopera disponibile spinse allora gli spagnoli a occupare più

stabilmente anche Cuba, Portorico e la costa continentale. È difficile dire se

nelle Antille si esaurì prima l'oro alluvionale o la manodopera indigena, ma è

certo che già nel 1513-18 il ciclo dell'oro volgeva inesorabilmente al suo

termine, dopo aver consentito di raccogliere 7 o 800 chili di metallo giallo ogni

anno. Al declino del ciclo dell'oro, le Antille videro presto l'affermarsi di un

diverso impiego economico della terra, la coltivazione della canna da zucchero,

che vi era stata trapiantata assai per tempo e che dopo un inizio incerto non

cessò di estendere la sua conquista delle isole per buona parte del Cinquecento. Ma

anche la canna da zucchero richiedeva un notevole impiego di forza-lavoro:

l'esempio di Madera, l'altra isola dello zucchero (800 tonnellate all'anno),

venne presto seguito anche alle Antille, dove molto presto furono importati

schiavi negri, razziati o conquistati da mercanti portoghesi sulle coste del golfo

di Guinea.

Le piantagioni di canna non potevano comunque dare risultati immediati e

mentre gli arawak di San Domingo si avviavano all'estinzione (nel 1530 essi

erano ridotti a 10.000) le importazioni di schiavi africani furono in principio solo

di poche centinaia all'anno. Questo fatto è sufficiente a spiegare perché le

Antille fossero sempre più in fermento via via che le speranze di un rapido

LA CONQUISTA DEL NUOVO

MONDO

LO SPOPOLAMENTO DELL'ISOLA DI SAN

DOMINGO

Il ciclo dell’__________________

l’annientamento della popolazione locale

in 20 anni da ____________ a _________

l’occupazione ______________________

La coltivazione _____________________

l’arrivo degli _______________________

Page 53: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

198

arricchimento dei soldati e degli hidalgos spagnoli si rivelavano illusorie. Non

restava che tentare nuove avventure spingendosi sulle coste del golfo del Messico.

Fu così che nel 1517 una prima spedizione partì da Cuba giungendo a esplorare le

coste dello Yucatan e prendendo un primo contatto con le popolazioni maya.

Nel 1518 una seconda spedizione si spinse più a fondo sulla costa messicana.

Infine, nel febbraio 1519, partì un piccolo esercito, sotto il comando di Hernàn

Cortés: undici navi, 508 soldati (senza contare i marinai, che erano un centinaio),

sedici cavalli, quattordici cannoni e 45 uomini armati di balestra o di fucile. I due

viaggi del 1517-18 avevano soprattutto raccolto molte notizie sull'esistenza di un

grande regno dove c'erano quantità enormi d'oro e ciò era bastato per spingere

quegli uomini a un'impresa di conquista che doveva apparire più come l'incanto

di un miraggio che come un ragionevole fatto militare.

Il comportamento indubbiamente coraggioso, ma anche esaltato, brutale e

temerario fino alla follia, degli spagnoli sarebbe incomprensibile se

dimenticassimo che neppure una generazione era passata dalla fine delle guerre

di crociata contro i musulmani in Castiglia: solo nel 1492 era caduto il regno

moro di Granada. La fine della guerra aveva lasciato allo sbando una vera e

propria classe sociale, composta di soldati e piccoli nobili, con un'etica

militaresca fatta di un orgoglioso senso della propria dignità, di un

cristianesimo fanatico e intollerante, ma anche di un idealismo non privo di valori

culturali e capace di spingere all'azione. Lo stesso Cortés era un caratteristico

esemplare di questo tipo d'uomo: a Salamanca aveva fatto qualche anno di

università e nelle Antille si era procurato un po' di esperienza militare e

amministrativa. Alla partenza da Cuba portò con sé un notaio, per legalizzare

le sue prese di possesso di terre e città in nome del re di Spagna: appena

sbarcato sulla costa messicana compì l'atto formale di fondare una città, Vera

Cruz, per attribuirsi un potere del tutto autonomo da quello del governatore di

Cuba.

Soltanto un po' più di due anni dopo, il 13 agosto 1521, al termine di un

assedio durato due mesi e mezzo, la capitale azteca Tenochtitlàn cadde in mano

ai conquistadores spagnoli. La città era costruita sul lago Texcoco e fra le case

scorrevano canali; dappertutto si vedevano palazzi, templi ed edifici

monumentali. Non è azzardato parlare di una popolazione superiore ai 500.000

abitanti.

La sproporzione di forze fra l'imperatore messicano Montezuma e gli spagnoli

è tale che è inevitabile chiedersi come fu possibile una simile impresa, cui seguì

con impressionante rapidità il tracollo di tutta la costruzione statale e imperiale

elevata dagli aztechi nel corso del secolo precedente. Una prima risposta, ma

ancora molto parziale, si può trovare nel confronto delle tecnologie belliche: da

un lato i messicani, che non possedevano neppure una metallurgia del ferro,

dall'altro gli spagnoli, con le loro armi da fuoco e le spade d'acciaio. Ma la

superiorità negli armamenti non evitò agli spagnoli un momento di grave

difficoltà. Essi erano entrati una prima volta a Tenochtitlàn l'8 novembre 1519 e

i loro rapporti con gli aztechi si erano subito guastati di fronte alla vista dell'oro

e per l'atteggiamento profanatorio tenuto verso i simboli religiosi messicani.

Alla fine Cortés sequestrò lo stesso Montezuma; gli abitanti di Tenochtitlàn si

ribellarono e, mentre nel tumulto l'imperatore restava ucciso, gli spagnoli si

diedero alla fuga con tutto l'oro che erano riusciti ad arraffare (luglio 1520).

Il successo nell'assedio di Tenochtitlàn, iniziato alla fine del maggio 1521, ha

altre tre spiegazioni accanto all'efficacia delle armi spagnole. Cortés si era

alleato con la città di Tlaxcala, solo da poco sottomessa dai messicani e pronta

ad approfittare dell'occupazione per ribellarsi; in secondo luogo, già dall'estate

del 1520 gli spagnoli avevano diffuso un'epidemia di vaiolo fra le città

dell'altopiano messicano e la malattia, fino ad allora sconosciuta in quelle terre,

aveva avuto conseguenze disastrose. Infine, si ha quasi l'impressione che gli

LA CONQUISTA DEL MESSICO

La spedizione di ___________________

I _______________________ (hidalgos)

Un esercito di _______ uomini conquista

una città di _____________ abitanti

I motivi della superiorità spagnola

Page 54: C - DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ MODERNA: L’EVOLUZIONE POLITICA

199

aztechi non sapessero adattarsi al modo di combattere degli spagnoli, che

non arretravano di fronte alle battaglie più sanguinose e non si davano mai per

vinti. In quegli uomini barbuti e ferrigni, alti sui loro spaventosi cavalli, forse

gli aztechi credettero di scorgere delle divinità irresistibili e solo troppo tardi

si decisero a combatterli senza quartiere. Durante l'assedio di Tenochtitlàn

gli acquedotti furono tagliati, il vaiolo tornò a far strage, gli edifici furono

distrutti a uno a uno con meticolosa ferocia. Quando tutto finì, Tenochtitlàn

era ormai una città morta, una città di morti.

A distanza di pochi anni la tragedia del Messico si ripeté senza grandi differenze

nell'Impero inca. Punto di partenza dei conquistadores fu questa volta Panama, la

città fondata nel 1519. Già dal 1522 la guarnigione spagnola di Panama aveva avuto

notizia di un grande Impero che si trovava da qualche parte all'interno del

continente sudamericano. Negli anni successivi, viaggiando sempre più a sud lungo

la costa dell'Ecuador, gli spagnoli ebbero modo di constatare l'esistenza di

centri urbani e videro i segni di un'amministrazione statale evoluta. Nel gennaio

1531 partì la spedizione che soltanto tre anni dopo avrebbe fatto crollare la potenza

peruviana: la guidavano Francisco Pizarro, un oscuro uomo d'armi stabilitosi a

Panama nel 1519, e Diego Almagro, un altro militare spagnolo, giunto in America

nel 1514, ed era costituita inizialmente da tre navi, 185 uomini e 27 cavalli.

In quel tempo la società andina stava attraversando una fase di debolezza politica

perché il titolo di inca era conteso fra due fratelli e la guerra civile fra i seguaci

dei due rivali non accennava a placarsi, benché uno dei due fosse riuscito a

imprigionare il fratello e a occupare Cuzco, la capitale imperiale. Questi fatti

avvenivano mentre Pizarro percorreva verso sud la costa peruviana e

cominciava poi a salire sull'altopiano. Nel novembre 1532 Pizarro si incontrò

infine con l’inca, nella città di Cajamarca posta lungo la grande strada del Sole

che congiungeva Cuzco con Quito. L'incontro, che doveva essere pacifico, si

risolse in una furibonda battaglia che vide una vera strage di peruviani e la

cattura dell'inca. Per la sua liberazione Pizarro chiese un enorme riscatto in oro,

ma non appena questo fu consegnato venne ugualmente assassinato. Tre mesi

più tardi, nel novembre 1533, i conquistadores presero d'assalto Cuzco,

approfittando della rapida dissoluzione delle strutture imperiali che aveva seguito

la morte, dell'inca. Ma la sottomissione dello Stato incaico si rivelò poi più lunga

e difficile del previsto. I peruviani resistettero più a lungo dei messicani, mentre

fra i capi spagnoli, che ricevettero continuamente rinforzi, scoppiavano

dissidi e contese violente. Tanto Almagro quanto Pizarro rimasero uccisi da

partigiani della fazione avversa in una guerra che, sommando la folle

allucinazione dell'oro e lo scatenamento di una ferocia illimitata, trasformò i

conquistadores in predoni e assassini senza virtù e senza onore.

LA CONQUISTA DELL'IMPERO INCAS

La spedizione di ____________________

L’inserimento nelle contese ___________

_________ uomini conquistano un impero

MOTIVI DELLA SUPERIORITÀ SPAGNOLA:

1 - Tecnologia militare:_________________________________________________________________________________________

2 - _________________________________________________________________________________________________________

3 - _________________________________________________________________________________________________________

4 – Mentalità: ________________________________________________________________________________________________

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200

Lo sfruttamento economico del nuovo mondo

La popolazione delle due grandi aree di densità umana (Messico e America

centrale da una parte Impero inca dall'altra) è stata valutata da recenti studi a 25

milioni per il solo Messico centrale e forse a 40 milioni per l'intera regione del

Messico e dell'America centrale; per l'Impero inca si oscilla fra i 10 e i 35

milioni, ma la cifra giusta sembra essere comunque assai superiore alla stima più

bassa. Il totale generale resta molto ipotetico, ma il collasso demografico delle civiltà

precolombiane non è per questo meno impressionante: alla fine del Cinquecento i

50 o 70 milioni di abitanti dei 2.5 milioni di kmq dell'intera area delle civiltà

americane superiori difficilmente arrivavano ai 4 milioni.

Più ancora che di fronte alle armi degli spagnoli, gli indios erano indifesi di

fronte alle malattie che i conquistatori avevano fatto apparire per la prima volta

nel Nuovo Mondo: il vaiolo, il morbillo, il tifo, le febbri influenzali. Il primo e

più grave crollo demografico, avvenuto nei primi due o tre decenni dalla

conquista, non può avere altre spiegazioni. Alle malattie occorre però aggiungere

altri due fattori di spopolamento: il primo è il lavoro forzato cui gli indio

furono sottoposti, soprattutto nel lavoro di estrazione dell'oro e dell'argento;

il secondo è la distruzione delle infrastrutture materiali dell'agricoltura, cioè i

canali di irrigazione. Infatti i dominatori spagnoli si preoccuparono più della

propria alimentazione carnea che del mais degli indios e importarono subito una

gran quantità di bovini dilla Spagna, destinando al loro allevamento brado

grandi estensioni di terra coltivata. La brutalità e la crudeltà del dominio dei

conquistadores, che torturarono, uccisero e deportarono senza limiti, non può

comunque essere negata. Essi spinsero oltre ogni limite allora conosciuto il

pregiudizio etnocentrico e attribuirono agli indios vizi e perversioni di ogni

genere, arrivando a negare loro l'appartenenza al genere umano.

E tuttavia le interazioni fra questi fenomeni (le malattie, i lavori forzati, il

mutamento dei rapporti fra uomo ambiente, i massacri) non rappresentano

ancora spiegazioni sufficienti. Gli spagnoli che si stabilirono in Messico e in Perù

si possono contare solo nell'ordine delle migliaia e ancora nel 1570 non

arrivavano a 150.000. È difficile credere che negli anni successivi alla conquista,

in un rapporto di uno a 10.000 con la popolazione india, essi potessero

totalmente distruggere una civiltà, se questa non possedeva già in sé elementi di

debolezza fatale. L'isolamento in cui da sempre erano vissute le civiltà

amerindie è certo uno di questi elementi, che comportava dal punto di vista

LO SFRUTTAMENTO ECONOMICO

DEL NUOVO MONDO

LO STERMINIO DELLE POPOLAZIONI LOCALI

biologico la mancanza di immunizzazione alle malattie altrui. Ma la causa

profonda, il fattore veramente decisivo, è però un'altra: il sistema sociale

tradizionale, con le sue regole di produzione, solidarietà, divisione del lavoro,

non era in grado di reggere a un urto sconvolgente. Se pensiamo alla Cina o

all'India che per secoli hanno subito e assorbito gli assalti dei popoli nomadi

dell'Asia centrale, viene da supporre che i peruviani e, più ancora, i messicani

LE FASI DEL CICLO DELLO SFRUTTAMENTO

COLONIALI

LE RAGIONI DEL CROLLO DEMOGRAFICO DEGLI IMPERI PRECOLOMBIANI

1 __________________________________________________________________________________________________________

2 __________________________________________________________________________________________________________

3 __________________________________________________________________________________________________________

4 __________________________________________________________________________________________________________

5 __________________________________________________________________________________________________________

6 __________________________________________________________________________________________________________

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201

ebbero la sensazione di un completo annullamento culturale; il baratro del

nulla, l'angosciosa ossessione degli aztechi, si era infine aperto e di fronte a esso

gli indios reagirono con il suicidio e con una drastica riduzione della natalità.

Un intero continente e pochi uomini spinti da una forsennata rapacità: ciò basta a

spiegare perché la conquista coloniale assuma così spesso la forma del "ciclo", cioè lo

sfruttamento di una terra, fino all'ultima goccia, dei suoi uomini e delle sue risorse

più superficiali. Il primo ciclo fu sempre quello del puro e semplice saccheggio: a

esso seguì il ciclo dell'oro, la ricerca sistematica di tutto il metallo giallo nascosto nei

fiumi e nella terra. Questo fu il primo destino delle Antille. A ciò seguì un nuovo

ciclo, dell'allevamento del bestiame o della piantagione di zucchero, ma mentre

avveniva questo sviluppo i conquistadores avevano già trasferito altrove la spinta

dei due primi cicli, nei territori del Messico e quindi del Perù.

A differenza delle Antille, i due grandi imperi americani possedevano non solo una

quantità molto maggiore di metalli preziosi accumulati nei secoli precedenti, ma

delle risorse minerarie enormi.

E qui perciò il ciclo dell'oro e dell'argento durò molto più a lungo, non solo una

decina d’anni, ma per un secolo circa, fino al 1630-50.

La prima fase dello sfruttamento delle miniere venne condotta con tecniche

ancora imperfette e compiuta attraverso uno sfruttamento selvaggio della forza-

lavoro degli indios: il costo di produzione dei metalli risultava molto basso, ma

solo perché la miniera era una fornace nella quale gettare senza risparmio le

vite umane dei popoli conquistati. Già dopo il 1555 la manodopera cominciò a

scarseggiare in Messico e si tentò di introdurre qui il lavoro degli schiavi negri.

Ma i negri, a differenza degli indios, avevano un costo ed essi poi non riuscivano

a sopravvivere al clima degli altipiani e delle montagne. Perciò dal 1560

divenne necessario pensare a una nuova tecnologia di produzione. Iniziò il tempo

dell'amalgama al mercurio, una tecnica utile solo per l'estrazione dell'argento dalla

massa grezza di minerale: l'argento si amalgama al mercurio, che viene poi eliminato

senza difficoltà per volatilizzazione. Questo fatto ci spiega bene perché la produzione

di oro cadde e poi ristagnò, mentre quella di argento si triplica nel 1561-70. Il

mercurio era importato dalle miniere europee e poteva essere avviato fino ai filoni

argentiferi del Messico. Il Perù era troppo lontano e avrebbe continuato ancora per

qualche tempo con le vecchie tecniche. La grande epoca dell'argento peruviano si

apri nel 1570, quando le miniere del Potosí, situate a 4000 metri di altitudine,

cominciarono a usufruire di un mercurio che non veniva da lontane località. Un ricco

giacimento di mercurio venne scoperto a 1.800 km dal Potosí boliviano, e lunghe

carovane di portatori indiani avrebbero percorso in seguito questi due mesi di

cammino rendendo possibile il rapido sviluppo della produzione di argento nel

1580-1600.

Le prestazioni di lavoro forzato degli indios, che altrove erano state abolite da tempo

(almeno in teoria), furono di nuovo imposte nei territori peruviani: 4.500 minatori

indiani lavoravano ogni giorno alle miniere del Potosí, con orari e in condizioni

letteralmente massacranti. Il viceré del Perù aveva imposto l'alternanza di una

settimana di lavoro a due di riposo e aveva limitato a un anno l'impiego degli

indiani nella mita (con questo termine si indicavano i turni di lavoro forzato); perciò

13.500 erano gli indiani tenuti annualmente alla mita, ma la mortalità fra di loro

doveva essere molto alta e gli spagnoli concessionari delle miniere violavano

continuamente le prescrizioni del viceré. L'impresa dell'argento attraversò

comunque una fase di grande prosperità e la città mineraria di Potosí, che era stata

creata nel 1545 e aveva mantenuto modeste dimensioni fino al 1570, crebbe

rapidamente alla fine del secolo, fino a toccare i 160.000 abitanti. Dopo tre decenni

di produzione stagnante, a partire dal 1630 tanto le miniere messicane che il Potosí

entrarono in una crisi profonda. Le cause di questo declino furono molte, ma è

Lo sfruttamento delle miniere

1- sfruttamento _____________________

__________________________________

La riduzione

________________________

locale

i tentativi di _______________________

__________________________________

2 – l’amalgama con _________________

per l’estrazione _____________________

Le condizioni ____________________

degli indios

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202

difficile negare che una certa parte sia stata giocata dalla riduzione della manodopera

indiana.

Con il 1630 il ciclo dell'argento americano era finito e come ogni vicenda ciclica del

Nuovo Mondo spagnolo esso lasciò profondi segni di distruzione. Il futuro delle

colonie stava ormai nell'allevamento e nell'agricoltura, oltre che nelle

monocolture di esportazione come lo zucchero (in attesa della prossima età del

cotone, del tabacco e del caffé).

Il ciclo dello sfruttamento spagnolo:

1 ___________________________________________________________________________________________________________

2___________________________________________________________________________________________________________

3 __________________________________________________________________________________________________________