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Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

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Fisica teorica - MEccanica razionale

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Elvira Mascolo

Università di Firenze,Viale Morgagni 67/a, 50134 Firenze, Italiaemail : [email protected], web : www.math.uni.it/mascolo

Appunti di Calcolo delle

Variazioni

6 avril 2008

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Indice

1 Introduzione al Calcolo delle Variazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11.1 Funzionali Integrali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11.2 Sviluppo storico della teoria del Calcolo delle Variazioni . . . . . 51.3 Alcuni importanti funzionali e problemi del Calcolo delle

Variazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

2 Equazione di Euler-Lagrange . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132.1 Equazione di Euler-Lagrange . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132.2 Derivazione dell'Equazione di Euler-Lagrange . . . . . . . . . . . . . . 192.3 Osservazioni sull'Equazione di Euler-Lagrange . . . . . . . . . . . . . . . 252.4 Osservazioni sull'Equazione di Euler-Lagrange . . . . . . . . . . . . . . . 282.5 Superci minime di rotazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 322.6 Estremali spezzate e Condizioni di Weierstrass-Erdmann . . . . . 34

3 Metodi Diretti del Calcolo delle Variazioni . . . . . . . . . . . . . . . . 393.1 Principio di Dirichlet . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 393.2 Applicazione dei Metodi Diretti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 443.3 Problemi di Minimo nella classe delle funzioni di Lipschitz . . . . 483.4 Maggiorazioni a priori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54

4 Teoria del Rilassamento e Problemi non convessi . . . . . . . . . . 614.1 Teoria del Rilassamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 614.2 Funzionali non convessi del Calcolo delle Variazioni . . . . . . . . . . 64

5 Applicazioni alla Teoria dell'Elasticità non lineare . . . . . . . . . 735.1 Richiami di Analisi tensoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 735.2 Introduzione alla teoria dell'elasticià . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 755.3 Funzionali integrali nella teoria dell'elasticità . . . . . . . . . . . . . . . . 805.4 Un problema non convesso in elasticità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86

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Introduzione al Calcolo delle Variazioni

1.1 Funzionali Integrali

Il Calcolo delle Variazioni è quella branca della Matematica che si occupadella determinazione e dell'analisi dei valori massimi e minimi e dei corrispon-denti punti di massimo e di minimo di speciali applicazioni dette funzionali.In tutti i campi dell'investigazione scientica intervengono problemi collegatialla ricerca del massimo o del minimo di entità che possono essere espressecome funzioni di altre variabili. Se si osserva ad esempio l'evoluzione di unorganismo vivente si vede che tutte le funzioni essenziali per sopravvivere sonopotenziate al massimo, mentre il costo come fabbisogno di cibo e di mezzi didifesa deve essere ridotto al minimo. Le foglie di una pianta cercano di otti-mizzare la loro esposizione alla luce solare, molte specie di uccelli cercano diottimizzare il dispendio di energia dovuto al volo prolungato anche a scapitodi un percorso più lungo, inne le api formano le superci delle celle dell'al-veare in modo tale che la quantità di cera utilizzata sia la minima possibile.In alcuni processi le quantità da minimizzare o massimizzare possono essereespresse in termini di funzioni a valori reali di una o più variabili reali. Inmolti altri invece si tratta di funzioni reali denite in insiemi di funzioni.Data U, una classe di funzioni, l'applicazione I denita in U ed a valori realiè chiamata funzionale denito in U. Il calcolo delle variazioni si interessa difunzionali speciali : quelli che hanno un espressione integrale. Il Calcolo delleVariazioni è uno degli argomenti più antichi dell'analisi matematica. Alcunistorici fanno risalire l'inizio a Zenodore ( 200 anni prima di Cristo) che studiòuna sorta di disuguaglianza isoperimetrica , altri ritengono che il Calcolo delleVariazioni nasce nel 17simo secolo, con le ricerche di Fermat (1662), Newton(1686) e Giovanni Bernoulli (1696), con il pretesto che gli studi precedentierano di natura prevalentemente geometrica. Il problema proposto da Fermatè il seguente :

determinare la traiettoria di un raggio luminoso che attraversa unmezzo di indice di rifrazione non costante.

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Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 1 p. 2

Il problema di Newton consiste

nel determinare la forma che doveva avere un solido a simmetria sfe-rica, perché immerso in un uido nel senso del suo asse, incontri laminima resistenza possibile, facendo l'ipotesi che tale resistenza siaproporzionale al quadrato della velocità.

Tuttavia il problema che dette inizio alla teoria analitica del Calcolo delleVariazioni fu quello della brachistocrona o curva di minimo tempo di discesa(brachistos- il più breve e cronos - tempo), problema che Galileo aveva giàformulato nel 1638 :

determinare il percorso che un punto materiale pesante, cioè soggettoalla sola forza di gravità, deve seguire per connettere nel più brevetempo possibile due punti A e B.

Il problema fu proposto a Giovanni Bernoulli nel 1696 e da lui risolto nell'annosuccessivo.Sia A un punto del piano, che scegliamo come origine nel sistema di riferimentoe B un altro punto, che non si trova sulla retta verticale che passa per A. Siau = u(x) una curva che passa per i punti A e B e quindi tale che u(0) = 0 eu(x1) = u1. L'equazione del moto del punto è ma = F e l'energia è data da

E(u, v) =12mv2 − gmu = E(0, v0) =

12mv2

0

dove v0 é la velocità iniziale. Si ricava

v2 = 2gu+ v0

e quindiv =

√2gu+ v0

Il tratto di curva ha come ascissa curvilinea ds =√

1 + u′2(x)dx ed è percorsocon una velocità

v =ds

dt=√

2gu+ v0

quindi ricavando dt nell'ultima relazione e sostituendo dx, si ottiene che iltempo impiegato da punto a percorrere il tratto AB è dato da

T (u) =∫ x1

0

√1 + u′2(x)√2gu+ v0

dx

Dal punto di vista matematico il problema si riconduce quindi alla determina-zione della curva u = u(x), che passa per i punti A e B, u(0) = 0 e u(x1) = u1,che rende minimo l'integrale. T (u) è un funzionale del Calcolo delle Variazioni.Diamo la denizione generale di funzionale del Calcolo delle Variazioni. Datoun intervallo [a, b] ed una funzione f : (x, s, z) ∈ [a, b] × IR × IR → IR, unfunzionale del Calcolo delle Variazioni ha la forma

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p. 3 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 1

I(u) =∫ b

a

f(x, u(x), u′(x)) dx,

dove u appartiene ad una classe opportuna di funzioni ammissibile che rendenito l'integrale in I.Nel caso di più dimensioni : dato Ω ⊂ IRn, ed una funzione f : (x, s, z) ∈Ω×IRN×IRnN → IR, ad ogni funzione u : Ω → IRN , con n,N ≥ 1, corrispondeun numero reale I(u) denito come

I(u) =∫Ω

f(x, u(x), Du(x)) dx,

dove Du(x) =(∂uα

∂xi

), 1 ≤ α ≤ N e 1 ≤ i ≤ n, denota la matrice Jaco-

biana. Il problema consiste nel determinare l'estremo superiore o inferiore diI(u), quando u varia nella classe delle funzioni ammissibili U e nella ricercadell'eventuale punto di minimo o di massimo, cioè di una funzione u0 ∈ Utale che

I(u0) ≤ I(u) (I(u0) ≥ I(u)) ∀u ∈ U.

Nel caso della brachistocrona la classe delle funzioni ammissibili è data dallefunzioni continue e derivabili in [0, x1] che assumono valori assegnati in 0ed in x1. In più dimensioni la classe delle funzioni ammissibili può essereil sottoinsieme delle funzioni u ∈ C1(Ω, IRN ) tali che u = φ su ∂Ω, con φfunzione assegnata.Limitiamoci allo studio dei minimi. Vediamo come si aronta il problema dellaricerca del minimo per una funzione g denita in A ⊂ IRn ed a valori reali.Si determinano prima i punti stazionari di g cioè i punti x0 che annullano ildierenziale, detto anche variazione prima, di g : dg(x0) = 0. In un secondomomento si riconosce la natura del punto critico studiando le derivate secondedi g. Un altro metodo è basato sulla nozione di continuità inferiore, per suc-cessioni : una funzione f si dice inferiormente continua per successioni se perogni successione (xk) ⊂ A convergente a un punto x0 si ha

f(x0) ≤ lim infk→∞

f(xk).

L'esistenza del minimo è quindi assicurata dal noto Teorema di Weierstrass :Una funzione inferiormente semicontinua denita in un insieme chiuso e limi-tato, e quindi in IRn compatto, ammette un punto di minimo.Per i funzionali del Calcolo delle Variazioni si può procedere in modo analogoo determinando le funzioni che rendono nulla la variazione prima del funzio-nale oppure utilizzando la nozione di semicontinuità inferiore. Lo sviluppo,anche storico del Calcolo della Variazioni, si divide in due metodi fondamen-tali, che vengono chiamati rispettivamente Metodo Classico e Metodo Diretto.Nel metodo classico si denisce la variazione prima di I, che si indica δI, eche è ancora un funzionale su una particolare classe detta delle variazioni

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Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 1 p. 4

ammissibili. I minimi di I sono le funzioni per le quali la variazione prima èil funzionale nullo. Per la forma integrale si deduce che δI = 0 è equivalentead un'equazione dierenziale.Diamo un' idea di questa aermazione, considerando per semplicità il casounidimensionale. Consideriamo il problema di minimo relativo al funzionale

I(u) =∫ b

a

f(x, u(x), u′(x)) dx,

nella classe delle funzioni ammissibili u ∈ C1([a, b]) tali che u(a) = α e u(b) =β e supponiamo che f sia sucientemente regolare. Sia u0 un minimo alloraper ogni variazione ammissibile, cioè per ogni funzione h ∈ C1([a, b]) e taleche h(a) = h(b) = 0 e per ogni t > 0, si ha

I(u0) ≤ I(u0 + th)

Denita allora G(t) = I(u0 + th) deve essere ;

G′(0) =[d

dtI(u0 + tv)

]t=0

= 0

Il funzionale variazione prima di I, denito sulle funzioni h ∈ C1([a, b]) taliche h(a) = h(b) = 0 è denito come

δI(u0)(h) =(dI(u0 + th)

dt

)t=0

Da altra parte , calcolando direttamente G′(0) = 0, dal teorema di passaggioal limite sotto il segno di integrale, per ogni h :∫ b

a

fz(x, u0(x), u′0(x))h′ + fs(x, u0(x), u′0(x))h dx = 0

Dal teorema di integrazione per parti e tenendo conto delle proprietà di h siha che δI(u0) = 0 quando per ogni funzione h appartenente alla classe dellevariazioni ammissibili, vale :∫ b

a

(−dfzdx

(x, u0(x), u′0(x)) + fs(x, u0(x), u′0(x)))h dx = 0

Dalla regolarità di f ed u0 si prova che la funzione in parentesi deve esserenecessariamente nulla (segue dal Lemma fondamentale del Calcolo delle Va-riazioni) e quindi u0 deve essere soluzione dell'equazione dierenziale :

dfzdx

(x, u0(x), u′0(x)) = fs(x, u(x), u′0(x))

Quest'ultima equazione dierenziale è detta Equazione di Euler-Lagrange delfunzionale I. Si tratta di un equazione dierenziale ordinaria non lineare del se-condo ordine. Le soluzioni dell'Equazione di Euler-Lagrange vengono chiamateestremali o soluzioni stazionarie del funzionale integrale. Si conclude dunqueche : ogni minimo u0 del problema deve essere una soluzione dell'equazionedierenziale con le stesse condizioni agli estremi u(a) = α e u(b) = β.

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p. 5 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 1

1.2 Sviluppo storico della teoria del Calcolo delle

Variazioni

Il Metodo Classico del Calcolo delle Variazioni consiste nel determinare lesoluzioni dell'equazione di Euler-Lagrange . L'esistenza del minimo può poiessere data dal problema stesso, dall'unicità per l'equazione di Euler-Lagrangeo anche studiando la variazione seconda del funzionale per stabilire la naturadel punto stazionario. Intorno al 1662 Fermat scrisse alcuni importanti arti-coli sul metodo della ricerca dei massimi e dei minimi, soprattutto legati alleleggi della rifrazione ed in essi enuncia il principio che la natura opera sempreper mezzi e modi che sono i più facili ed i più veloci, ed ancora la natura simuove lungo le traiettorie più corte. Gli studi di Newton sui moti dei corpi,sono strettamente legati a queste ricerche, anche se i suoi risultati sono conte-nuti nei Principia senza troppi dettagli e dimostrazioni. Ma come abbiamogià detto la teoria inizia con gli studi di Giovanni Bernoulli sul problema dellabrachistocrona, che risolto anche da Leibniz, dal fratello Giacomo Bernoullie in modo anonimo pare anche da Newton. Giacomo Bernoulli, dopo avertrovato una soluzione diversa, sviluppò alcune considerazioni generali e perprimo trovò l'analogia con i problemi isoperimetrici cioè determinare le guredi assegnato perimetro ed area massima o minima. Non è noto quando Eulersi interessò per la prima volta di Calcolo delle Variazioni, ma probabilmente fudurante un periodo trascorso a Basilea con Giovanni Bernoulli. Euler pubblicanel 1744 il primo articolo veramente importante sull'argomento, dove cerca distabilire un metodo generale per la risoluzione di questo tipo di problemi.Euler tratta 100 problemi speciali e, non solo li risolve, ma inizia una nuovae generale teoria, nel senso che passa da una discussione caso per caso ad untentativo di metodo di risoluzione generale, che valga per tutti. Il metodo ,anche se molto lontano da quello che viene oggi usato, contiene il seme diquel procedimento che fu in seguito approfondito e sviluppato da Lagrangee che è noto come metodo dei moltiplicatori di Lagrange. In questo periodonon mancarono lavori e risultati sbagliati, anche di Euler, ma le idee che essicontengono, si può dire che sono alla base di tutta l'analisi matematica mo-derna. Va anche notato che, tutta l'opera di Euler, per quanto semplice egeniale nei risultati, è molto articiosa nelle dimostrazioni. Le idee di Eulerfurono riprese, sviluppate e sistemate da Lagrange, che, secondo alcuni storici,è il vero fondatore del Calcolo delle Variazioni. Lagrange si propose di piegare,come lui stesso aerma, il calcolo dierenziale al nuovo tipo di problemi. In unfamoso articolo del 1792, sulla Memorie di Torino, riconosce l'opprtunità diintrodurre una nuova notazione per indicare la variazione di un funzionale edintroduce il simbolo δI, che è poi diventato di uso comune. Ed è appunto l'in-troduzione di questa nuova tecnica delle variazioni, che Euler, in suo onore,chiama questi argomenti Calcolo delle Variazioni. Gli studi di Euler e La-grange avevano dato le condizioni necessarie per i minimi : l'annullarsi dellavariazione prima porta ad un equazione dierenziale di cui il minimo è unasoluzione. Tuttavia, i procedimenti proposti presupponevano implicitamente

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Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 1 p. 6

l'appartenza delle soluzioni ad opportune classi di funzioni regolari e quindi iminimi non sono i più generali possibili. Inoltre, nei procedimenti di Euler eLagrange, si usa il fatto che l'annullarsi dell'integrale, che rappresenta la va-riazione prima, implica l'annullarsi della funzione integranda. Tale risultato,che va sotto il nome di Lemma fondamentale del Calcolo delle Variazioni, fu ri-tenuto all'inizio quasi un assioma e solo in seguito ne fu data la dimostrazioneda Du Bois-Raymond, Shier e Mayer. Nel 1786 Legendre fu il primo studiosoad introdurre il concetto di variazione seconda del funzionale, per ottenere lecondizioni sucienti per i minimi. Il problema di trasformare la variazioneseconda fu arontato da Jacobi intorno al 1837. Si trattava di un problemaestremamente complicato e Jacobi enunciò una serie di risultati senza darneun reale dimostrazione. Nello stesso periodo Hamilton pubblicò una serie diarticoli in meccanica in cui dimostrava che il moto di una particella nello spa-zio, sotto l'azione di forze, può essere descritto attraverso una sola funzioneche soddisfa due equazioni dierenziali a derivate parziali. Jacobi dimostrò cheera necessaria una sola equazione, chiamata Equazione di Hamilton-Jacobi, eche era strettamente legata all'Equazione di Euler-Lagrange. Le idee di Ja-cobi richiamarono l'attenzione di vari matematici, come Lebesgue, Dulaunaye Bertrand che cercarono di dimostrare i teoremi enunciati da Jacobi. Talicongetture risultarono esatte, ma le dimostrazioni sono così complesse, chenon si riesce a comprendere come Jacobi avesse potuto intuirli. I matema-tici del 19simo secolo presero due direzioni diverse : da una parte Clebsh eMayer cercarono di stabilire risultati generali per unicare le varie classi diproblemi dall'altra Weierstrass sistemò su basi rigorose gli argomenti che neisecoli precedenti erano stati sviluppati e dimostrò alcune nuove condizioni suf-cienti. Nel 1884 in alcune famose lezioni tenute a Berlino, Weierstrass diedeuna sistemazione rigorosa alle idee di Jacobi e molte delle sue considerazionie metodi ancora oggi si trovano nei trattati. In conclusione, i Metodi classiciriducono la questione dell'esistenza dei minimo di funzionali integrali all'esis-tenza di soluzioni di equazioni dierenziali. Nel caso di una dimensione, sitratta di risolvere un problema agli estremi per equazioni dierenziali ordi-narie, ma è noto che per problemi di questo tipo l'esistenza delle soluzioni èprovata solo in casi particolari, a dierenza del problema di Cauchy ai valoriiniziali. Nel caso di integrali multipli si tratta invece di risolvere un equazionedierenziali a derivate parziali quando n > 1 e N = 1, oppure di un sistemadi equazioni dierenziali a derivate parziali nel caso n > 1 e N > 1, la cuirisoluzione può essere estremamente dicile. Alla ne del 1800 Riemann dàun nuovo impulso alle ricerche sul Calcolo delle Variazioni con un approcciodierente : risolvere le equazioni dierenziali attraverso l'esistenza di minimidi funzionali integrali. Questo procedimento prende il nome di Principio diDirichlet. Assegnata un'equazione dierenziale, se essa è l'equazione di Euler-Lagrange di un funzionale integrale, stabilendo l'esistenza del minimo per ilfunzionale, si ottiene la soluzione dell'equazione di partenza. Si deve quindiprovare in modo diretto l'esistenza del minimo per ottenere come conseguenzal'esistenza di soluzioni della relativa equazione di Euler -Lagrange. Nasce così

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p. 7 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 1

il procedimento dei Metodi Diretti che si basa sulla nozione di semicontinuitàinferiore, la convergenza delle successioni minimizzanti e la generalizzazionedel Teorema di Weierstrass. Grazie all'introduzione dei Metodi Diretti, dallane del 1800 e in tutto il 1900 vi sono stati importanti contributi sia alla teoriadell'equazioni dierenziali sia al Calcolo delle Variazioni. All'inizio del 1900il Calcolo delle Variazioni era considerato uno dei problemi più interessantidella matematica. Al Congresso dei Matematici a Parigi del 1900, Hilbert, cheera un dei matematici più importanti di quel periodo, presentò una relazione,in cui sulla base degli indirizzi di ricerca matematica più orenti alla nedel glorioso secolo XIX, tentò di prevedere la direzione dei progressi futuri eformulò 23 problemi, che a suo giudizio avrebbero impegnato l'attenzione deimatematici del XX secolo. Di questi ben tre il 19, il 20 ed il 23, riguardavano ilcalcolo delle variazioni. L'intuizione di Hilbert si è rivelata profetica, la teoriache nel 1900 era appena agli inizi, nel 1900 si è sviluppata in direzioni che Hil-bert non avrebbe sicuramente mai immaginato, anche grazie all'introduzionedegli spazi di Sobolev. Intorno al 1930, Sobolev introduce una nuova classedi funzioni, che portano il suo nome, anche se va ricordato che negli stessianni Colkin e Morrey avevano indipendentemente considerato funzioni dellostesso tipo : si tratta di funzioni di classe Lp dotate di un tipo particolare diderivata detta debole, che appartiene ancora a Lp. Questi spazi hanno giocatoun ruolo fondamentale nello sviluppo della teoria delle Equazioni Dieren-ziali e del Calcolo delle Variazioni, con l'introduzione delle Soluzioni Deboli.Vedremo che introducendo negli spazi di Sobolev la cosidetta topologia de-bole e assumendo alcune condizioni sulla la funzione integranda f(x, s, z) ( adesempio nel caso n ≥ 1 e N = 1 convessa nella variabile z), si prova che Iè semicontinuo inferiormente rispetto alla cosidetta convergenza debole dellesuccessioni. A partire dal lavoro di Riemann e Hilbert sul principio di Diri-chlet importanti progressi si sono avuti nei primi 50 del secolo scorso dovuti aSerge Bernestein, Jacques Hadamard, Henry Lesbesgue, Eberhand Hopf, Ri-chard Courant, Oskar Perron, Jules Schauler, Jean Laray, K.O. Friedrichs, G.Giraud, C. B. Morrey jr., James Serrin ed altri. Un elenco ancora più lungosarebbe necessario per gli anni successivi al 1950. Particolarmente importanteè stato il contributo della Scuola Italiana, a partire dagli studi di LeonidaTonelli intorno al 1920, con il fondamentale lavoro di Ennio De Giorgi e deisuoi allievi.

1.3 Alcuni importanti funzionali e problemi del Calcolo

delle Variazioni

Principio di Fermat o dell'ottica geometrica. Il problema di Fermatdi cui abbiamo parlato all'inizio, si trasforma, in termini matematici, nellaricerca dei minimi del funzionale I dove

I(u) =∫ b

a

g(x, u)√

1 + u′2(x) dx

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Page 12: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 1 p. 8

nella classe delle funzioni u ∈ C1([a, b]) tali che u(a) = α e u(b) = β. Problema di Newton. Il problema di Newton enunciato all'inizio si des-crive nella minimizzazione del funzionale I dove

I(u) =∫ b

a

2πuu′3

1 + u′2dx

anche in questo caso nella classe delle funzioni di C1([a, b]), con valori as-segnati agli estremi a e b.

Problema della brachistocrona. Abbiamo dedotto che si tratta di tro-vare il minimo del funzionale I con

I(u) =∫ b

a

√1 + (u′)2(x)

gu(x)dx

nella classe delle funzioni u ∈ C1([a, b]) tali che u(a) = α e u(b) = β eu > 0. Si prova che la soluzione é una cicloide

Supercie minima di rotazione. Si tratta di determinare tra le supercidi rotazione, cioè della forma v(x, y) = (x, u(x) cos y, u(x) sin y), con x ∈[a, b] e valori assegnati agli estremi u(a) = α e u(b) = β, quella di areaminima. Il problema si traduce nella minimizzazione di un funzionale diforma integrale, dove

I(u) =∫ b

a

2πu√

1 + u′2(x) dx

Il problema non sempre ha soluzioni sono infatti necessarie alcune condizionidi compatibilità rispetto ad α e β, se la soluzione esiste, è una curva, dettaCatenaria, di equazione

u(x) = λ coshx+ µ

λ

Sistema Meccanico. Consideriamo un sistema meccanico di K parti-celle di massa mi e la posizione in IR3 all'istante t è data da ui(t) =(xi(t), yi(t), zi(t)), per 1 ≤ i ≤ K. Per u = (u1, u2, u3), sia T = T (u)l'energia cinetica e U = U(t,u) l'energia potenziale del sistema, deniamola funzione :

f(x,u,u′) = T (u′)− U(t,u) =12

K∑i=1

mi||u′i||2 − U(t,u)

Il Principio di minima azione di Hamilton consiste nella ricerca delle fun-zioni ui che sotto opprtune ipotesi, rendono minimo l'integrale

I(u) =∫ b

a

f(x,u,u′) dx,

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Page 13: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 9 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 1

Problema isoperimetrico. Si tratta di determinare la gura piana D conperimetro assegnato ed area minima. Per formulare analiticamente questoproblema supponiamo che la frontiera della gura sia una curva regolarechiusa di equazioni (x(t), y(t)) con t ∈ [a, b]. Sia L il valore del perimetroassegnato, cioè la lunghezza della curva, si deve quindi imporre :

L = L(x, y) =∫ b

a

√x′2(t) + y′2(t) dx.

Applicando le formule di Gauss-Green, l'area del dominio racchiuso è dato

I(x, y) =12

∫∂D

xdy − ydx =12

∫ b

a

y′(t)x(t)− x′(t)y(t) dx,

quindi si tratta di determinare le funzioni (x, y) che realizzano il minimodel funzionale I(x, y), tra tutte le funzioni denite in [a, b] che soddisfano lacondizione L(x, y) = L. In questo problema la classe delle funzioni ammis-sibili è costituita dalle coppie di funzioni (x, y) di classe C1 nell' intervallodi denizione, tali che

√x′2(t) + y′2(t) 6= 0 e che soddisfano il vincolo inte-

grale.

Problema della membrana e Funzionale di Dirichlet. Dal punto divista matematico, una membrana elastica può essere considerata come unasupercie cartesiana (x, u(x)), dove u è denita nella chiusura di un apertoΩ di IRn. Supponiamo che la membrana sia incastrata al bordo di Ω ecioè esiste una funzione φ denita sulla frontiera ∂Ω tale che u = φ su∂Ω. L'energia potenziale del sistema è proporzionale al cambiamento diarea ed il fattore di proporzionalità T (x, u) è detta Tensione. La ricercadelle posizione di equilibrio si traduce, a meno di costanti, nel problema ditrovare i minimi del funzionale integrale

I(u) =∫Ω

T (x, u)√

1 + |Du(x)|2 dx,

nella classe degli spostamenti ammissibili u, cioè tali che u = φ sul bordo diΩ. Approssimando al primo ordine

√1 + p2 con 1 + 1/2|p|2, e supponendo

che la tensione non dipenda da x ed u, il problema diventa : Determinareil minimo del seguente funzionale integrale :

I(u) =∫Ω

|Du(x)|2 dx,

nella classe degli spostamenti ammissibili. Il funzionale I viene chiamatointegrale di Dirichlet. Nel caso in cui intervenga una forza esterna f(x), ilfunzionale da minimizzare diventa :

I(u) =∫Ω

|Du(x)|2 + f(x)u(x) dx,

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Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 1 p. 10

Il funzionale di Dirichlet denito in opportune classi di funzioni ammissibiliè presente anche in altri problemi di natura sica come il potenziale gravi-tazionale ed elettrostatico e la distribuzione della temperatura in un corpo.L'equazione di Euler-Lagrange del funzionale di Dirichlet è rappresentatodall'operatore di Laplace ∆u = 0 ed in presenza di forze esterne da ∆u = f

Superci minime. I metodi diretti hanno avuto un inuenza decisiva nellarisoluzione del problema delle superci minime : Determinare tra tutte lesuperci Σ di IR3 con bordo assegnato ∂Σ = Γ quella di area minima. Ènoto che si può realizzare sperimentalmente tale supercie, ponendo un lodi ferro, che formi una curva chiusa, nell'acqua saponata e quando si toglieil lo dall'acqua la pellicola di acqua e sapone, che si forma all'interno, è lasupercie minima di bordo assegnato. Tale problema, era stato formulatoda Lagrange nel 1762, ma bisogna aspettare il 1930 per avere una primarisposta soddisfacente grazie al risultato di esistenza di Rado e Douglas,ottenuto un attraverso un'opportuna applicazione del metodo diretto. Laformulazione matematica del problema delle superci minime dipende dallanozione di supercie che si considera.Superci minime cartesiane. Supponiamo che la supercie Σ assegnatanello spazio a tre dimensioni IR3 sia cartesiana , sia quindi il graco di unafunzione (x, y, u(x, y)) e di conseguenza l'area di Σ è data dalla formula

Area(Σ) = I(u) =∫∫

Ω

√1 + |Du(x, y)|2 dx dy,

Si tratta di determinare il minimo del funzionale precedente nella classedelle funzioni denite in Ω con assegnato valore φ sul bordo.Superci minime parametriche. Una supercie parametrica in IR3 haequazione

u = (x(ξ, η), y(ξ, η), z(ξ, η))

dove ((ξ, η) ∈ K con K ⊂ IR2 ed è regolari quando considerati i due vettori(uξ,uη), il loro prodotto vettoriale è non nullo ed in questo caso l'area dellasupercie è data da :

Area(Σ) = I(u) =∫∫

A

||uξ × uη|| dξ dη.

Si tratta di un funzionale denito in un classe di funzioni vettoriali, n = 3e N = 3.

Problemi di elasticità non lineare. Per alcuni materiali, detti ipere-lastici il problema della ricerca delle congurazioni di equilibrio si descriveattraverso la ricerca di minimi di funzionali integrale della forma :

E(u) =∫Ω

f(x,∇u, adj∇u,det∇u) dx

Per ogni matrice A la matrice adjA, è denita attraverso la relazioneA adjA = detA Id e denota la matrice di tutti i s× s minori della matrice

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p. 11 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 1

A, 2 ≤ s ≤ min n,N. Nel funzionale E la dipendenza da ∇u governa ledeformazioni di linea, adj∇u, governa le deformazioni di supercie e det∇umisura localmente i cambi di volume eI problemi di elasticità non lineare possono essere arontati con il proce-dimento dei metodi diretti. si tratta di risultati relativamente recenti, chepartono con alcuni articoli di Antman (1970-1973) ed J.L. Ericksen (1980)nel caso unidimensionale e di Ball (1977-1983) nel caso a più dimensioni eproseguono con il contributo di molti matematici tra cui ricordiamo P. G.Ciarlet, B. Dacorogna, I. Fonseca, N. Fusco, D. Kinderlehrer, R. Kohn, J.Maly, P. Marcellini, S. Muller, P. Pedregal, V. Sverak, L. Tartar.

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2

Equazione di Euler-Lagrange

2.1 Equazione di Euler-Lagrange

I problemi di Calcolo delle Variazioni di determinare il valore minimo di unassegnato funzionale integrale sono analoghi allo studio dell'ottimizzazione diuna funzione reale di variabile, anche se in questo caso l'insieme di denizioneè uno spazio di funzioni a dimensione innita.Data una funzione g : I ⊂ IR → IR, diremo che è derivabile in t0 se esiste unnumero reale che denotiamo con g′(t0), tale che

g(t0 + h)− f(t0) = g′(t0)h+ ε(h)

con |h| < δ e limh→0ε(h)h = 0.

Diremo che t0 è un punto di minimo relativo per g se esiste δ tale che per ogni|h| < δ

g(t0 + h) ≥ g(t0)

Supponiamo che g ∈ C1(I) allora vale il Teorema di Fermat e si ha chef ′(t0) = 0. Infatti, dalla derivabilità di g in t0 segue che :

0 ≤ g(t0 + λh)− g(t0) = g′(t0)λh+ ε(λh)

Se λ > 0 allora dividendo per λ

0 ≤ g(t0 + λh)− g(t0)λ

= g′(t0)h+ε(λh)λ

e si può concludere che g′(t0)h ≥ 0. Ragionando allo stesso modo per λ < 0si ha g′(t0)h ≤ 0 e quindi necessariamente g′(t0) = 0.Per ottenere condizioni necessarie per i minimi locali di funzionali, dobbiamointrodurre il concetto di derivata di un funzionale.Sia I : Y ⊂ X → IR e Y un aperto dello spazio normato X, quindi per ogniy0 ∈ Y esiste δ tale che per ogni ||h|| < δ si ha y0 + h ∈ Y .

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Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 2 p. 14

Denizione 2.1. Dierenziale secondo Frechet. Il funzionale I si dicedierenziabile secondo Frechet in y0 ∈ Y se esiste un funzionale lineare LFy0 :X → IR, detto Dierenziale di Frechet di I in y0 tale che per ogni ||h|| < δ

I(y0 + h)− I(y0) = LFy0(h) + ε1(h)

con lim||h||→+∞ε1(h)||h|| = 0.

Il dierenziale df(t0) di una funzione reale di variabile reale dierenziabile int0 è il Dierenziale secondo Frechet.

Denizione 2.2. Dierenziale secondo Gateaux. Il funzionale I si dicedierenziabile secondo Gateaux in y0 ∈ Y se esiste un funzionale LineareLGy0 : X → IR, detto Dierenziale di Gateaux di I in y0, tale che per ogni||h|| < δ

I(y0 + h)− I(y0) = LGy0(h) + ε2(h)

con limt→0ε2(th)t = 0.

Il concetto di dieren ziabilià secondo Gateaux è più debole di quelo secondoFrechet. Infatti é evidente che se I è dierenziabile secondo Frechet lo è anchesecondo Gateaux, ma non vale il viceversa.Se I è dierenziabile secondo Gateaux in y0, per t abbastanza piccolo e ||h|| <δ si può denire la funzione nella variabile t

G(t) = I(y0 + th)

si ha

G′(0) = [dI(y0 + th)

dt]t=0 = lim

t→0

I(y0 + th)− I(y0)t

= limt→0

LGy0(th) + ε2(h)t

= LGy0(h)

Si può anche dimostrare che se il seguente funzionale in X

h→ [dI(y0 + th)

dt]t=0

é lineare, allora coincide con il dierenziale di Gateaux.Diamo la seguente denizione :

Denizione 2.3. Diremo Variazione prima secondo Gateaux I in y0 ∈Y e la indicheremo con δI(h), il funzionale denito in X da

δI(h) = [dI(y0 + th)

dt]t=0

Il funzionale δI(h) è quindi lineare se e solo se I è dierenziabile secondoGateaux. Ad esempio studiamo la funzione

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p. 15 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 2

g(x, y) =xy2

x2 + y2se (x, y) 6= (0, 0)

g(x, y) = 0 se (x, y) = (0, 0)

Si vede facilmente che g ha nel punto (0, 0) derivate lungo tutte le direzionidel piano e quindi esiste δg(h, k) :

δg(h, k) = limt→0

g(th, tk)t

= limt→0

t3hk2

t3(h2 + k2)=

hk2

h2 + k2

tuttavia, poiché δg(h, k) non è lineare, g non è dierenziabile in (0, 0).La variazione prima di I è un funzionale omogeneo :

δI(λh) = λδI(h) per ogni λ ∈ IR

Infatti

δI(λh) = limτ→0

λI(y0 + τth)− I(y0)

τ= λδI(h)

L'incremento del funzionale I(y0 + h)− I(y0) si può rappresentare attraversola sua variazione prima. Vale infatti :

Teorema 2.4. Un funzionale omogeneo del primo ordine L : X → IR è lavariazione prima di un funzionale I se e solo se esiste δ > 0 tale che per ognih ∈ X con ||h|| < δ si ha

I(y0 + h)− I(y0) = L(h) + ε(h) (2.1.1)

con limt→0ε(th)t = 0.

Dimostrazione. Sia L = δI la variazione prima di I, dalla denizione segue

I(y0 + th)− I(y0) = tδI(h) + tα(th)

dove limt→0 α(th) = 0. Poniamo k = th, dalla proprietà di omogeneità di δI

I(y0 + k)− I(y0) = δI(k) + ε(k)

dove ε(k) = tα(k) e limt→0ε(th)t = limt→0 α(th) = 0.

Supponiamo che valga (2.1.1) e proviamo L = δI. Per h = th

I(y0 + th)− I(y0) = tL(h) + ε(th)

dividendo per t e facendo tendere t→ 0 si ha :

limt→0

I(y0 + th)− I(y0)t

= L(h) + limt→0

ε(th)t

= L(h)

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Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 2 p. 16

Dalla condizione (2.1.1) segue che la variazione prima è univocamente deter-minata. Supponiamo che L1 e L2 siano due funzionali distinti soddisfacenti(2.1.1), segue

I(y0 + th)− I(y0) = L1(h) + ε1(h) = L2(h) + ε2(h).

Sia h0 6= 0 con L(h0) = L1(h)− L2(h) 6= 0 segue

L(h0) = ε1(h0)− ε2(h0)

e quindi

L(h0) = limt→0

L(th0)t

= limt→0

ε1(th0)− ε2(th0)t

= 0

Assegnato I : Σ → IR, con Σ ⊂ X, se Σ non è un aperto o un sottospazio diX, si deve considerare lo spazio delle variazioni ammissibili

H = h ∈ X; x+ h ∈ Σ per ogni x ∈ Σ

Diremo che x0 è un minimo locale se esiste δ tale che per ogni h ∈ H con||h|| < δ vale I(x0) ≤ I(x0 + h).Vale la seguente generalizzazione del Teorema di Fermat :

Teorema 2.5. Sia x0 un minimo locale di I denito in Σ. Se I ammettevariazione prima e lo spazio H delle variazioni ammissibili è un sottospaziolineare di X allora

δI(h) = 0 per ogni h ∈ H

Dimostrazione. Dal Teorema 2.4 :

I(y0 + h)− I(y0) = δ(h) + ε(h) (2.1.2)

con limt→0ε(th)t = 0, quindi se x0 è un minimo locale esiste δ tale che per

ogni h ∈ H con ||h|| < δ si ha

δI(h) + ε(h) ≥ 0

Poiché H è un sottospazio lineare di X, per ogni t con |t| < 1 si ha ||th|| < δ,quindi per t > 0

δI(th) + ε(th) = tδI(h) + ε(th) ≥ 0

da cui

δI(h) +ε(th)t

> 0

e passando al limite per t → 0 segue δI(h) ≤ 0. Considerando t < 0 si haδI(h) ≤ 0, da cui segue δI(h) = 0 per h ∈ H con ||h|| < δ.Sia h ∈ H e consideriamo h0 = δh

2||h|| , visto che ||h0|| < δ si ha δI(h0) = 0 madal momento che δI(h) è omogeneo, segue δI(h) = 0 per ogni h ∈ H.

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p. 17 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 2

Consideriamo la variazione prima di un funzionale integrale unidimensionale :∫ b

a

f(x, u(x), u′(x))dx (2.1.3)

denito per u ∈ C1([a, b]) e f = f(x, s, z) di classe C1([a, b] × IR × IR) ris-petto a tutte la variabili. Sia u0 ∈ C1([a, b]) e per t sucientemente piccolo,consideriamo

I(u0 + th) =∫ b

a

f(x, u0 + th, u′0 + th′)dx

dove h ∈ C1([a, b]), dal teorema di derivazione sotto il segno di integrale,segue ;

δI(h) =∫ b

a

[fs(x, u′0, u′0)h+ fz(x, u′0, u

′0)h′]dx (2.1.4)

dove fs, fz denotano le derivate parziali di f rispetto alle variabili s e z. Inquesto caso il funzionale δI è lineare in h.Supponiamo che il funzionale (2.1.3) sia denito nella classe di Dirichlet ;

Σ =u ∈ C1([a, b]), u(a) = A u(b) = B

In questo caso bisogna considerare lo spazio delle variazioni ammissibili

H =h ∈ C1([a, b]), h(a) = h(b) = 0

che è un sottospazio lineare di C1([a, b]), quindi si può applicare il Teorema2.5, se u0 ∈ Σ è un minimo locale si ha da (2.1.4) :

δI(h) =∫ b

a

[fs(x, u′0, u′0)h+ fz(x, u′0, u

′0)h]dx = 0 (2.1.5)

per ogni h ∈ C1([a, b]) con h(a) = h(b) = 0. La (2.1.3) viene chiamata formadebole dell'Equazione di Euler-Lagrange.Per ottenere ulteriori condizioni necessarie per i minimi di funzionali integrali,abbiamo bisogno del Lemma Fondamentale del Calcolo delle Variazioni

Teorema 2.6. Sia g ∈ C0([a, b]) tale che per ogni h ∈ C1([a, b]) con h(a) =h(b) = 0 ∫ b

a

g(x)h(x)dx = 0,

allora g(x) = 0 in [a, b].

Dimostrazione. La dimostrazione procede per assurdo. Supponiamo che g(x0) >0, dal teorema della permanenza del segno esiste τ > 0 tale che g(x) > 0 perogni x tale che |x − x0| < τ . Sia h(x) = (x − x0 − τ)2(x − x0 + τ)2 per|x− x0| < τ e h(x) = 0 altrimenti, allora∫ b

a

g(x)h(x)dx =∫ x0+τ

x0−τg(x)(x− x0 − τ)2(x− x0 + τ)2 > 0

in contraddizione con l'ipotesi.

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Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 2 p. 18

Il Lemma Fondamentale del Calcolo delle Variazioni ha anche la seguenteforma più debole, di cui più avanti daremo la dimostrazione.

Teorema 2.7. , Sia Ω un aperto di IRn e g ∈ L1(Ω) tale che per ogni h ∈

C∞0 (Ω) ∫Ω

g(x)h(x)dx = 0,

allora g(x) = 0 q.o. in Ω.

Diamo qualche esempio

1. Deniamo

I1(u) =∫ 1

0

(1− u′2)dx

nella classe Σ =u ∈ C1([a, b]), u(0) = 0 u(1) = −1

. Sia u0 è un

minimo locale di I in Σ allora

δI1(h) =∫ 1

0

2(1− u′0)2u′0h′dx = 0

per ogni h ∈ C1([a, b]) con h(0) = h(1) = 0.

2. Sia

I2(u) =∫ 1

0

(1 + u′2)dx

nella classe Σ =u ∈ C1([a, b]), u(0) = u(1) = 0

. Se u0 è un minimo

locale di I in Σ, si deve avere

δI2(h) =∫ 1

0

2u′0h′dx = 0

per ogni h ∈ C1([a, b]) con h(0) = h(1) = 0. In particolare per h = u0∫ 1

0

(u′0)2dx = 0

che implica u′0 = 0 e quindi u0 è costante e poiché è nulla agli estremiu0 = 0.

3. Consideriamo

I3(u) =∫ 1

0

(u2 + xu′)dx

nella classe Σ =u ∈ C1([a, b]), u(0) = 1 u(1) = 0

. Sia u0 tale che la

variazione prima di I3 in u0 sia il funzionale nullo :

δI3(h) =∫ 1

0

(2u0h′ + xh′)dx = 0

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Page 23: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 19 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 2

per ogni h ∈ C1([a, b]) con h(0) = h(1) = 0. Integrando per parti∫ 1

0

2u0hdx+ [xh]10 −∫ 1

0

hdx = 0

e poiché [xh]10 = 0 segue ∫ 1

0

(2u0 − 1)hdx = 0

. Dal Lemma fondamentale del Calcolo delle Variazioni. Teorema 2.6,segue che 2u0 − 1 = 0 e cioè u0 = 1

2 . L'unica soluzione che annulla lavariazione prima del funzionale non soddisfa le condizioni agli estremi,quindi I3 non ha minimi locali.

2.2 Derivazione dell'Equazione di Euler-Lagrange

Nel caso di funzionali integrali una funzione u0 in cui la variazione prima ènulla è soluzione di un equazione dierenziale.Consideriamo il funzionale integrale∫ b

a

f(x, u(x), u′(x))dx (2.2.6)

con f = f(x, s, z) di classe C2 nelle sue variabili e studiamo il problema diminimo

(P) m = Inf I(u) : u ∈ Σ (2.2.7)

nella classeΣ =

u ∈ C1([a, b]), u(a) = A u(b) = B

,

Teorema 2.8. Sia u0 un minimo di (P), I(u0) = m. Allora u0 è soluzionedell'equazione dierenziale, detta Equazione di Euler-Lagrange :

d

dxfz(x, u(x), u′(x)) = fs(x, u(x), u′(x)) (2.2.8)

ed in particolare se u0 ∈ C2([a, b]) allora ;

fzz(x, u0, u′0)u′′0 + fzs(x, u0, u

′0)u′0 + fx(x, u0, u

′0) = fs(x, u0, u

′0)

Dimostrazione. Nel seguito indicheremo fs(x, u0(x), u′0(x)) = fs(x, u0, u′0) e

fz(x, u0(x), u′0(x)) = fz(x, u0, u′0). La variazione prima di I in u0 è il funzio-

nale nullo e quindi per ogni h ∈ C1([a, b]) con h(a) = h(b) = 0.

δI(h) =∫ b

a

[fs(x, u′0, u′0)h+ fz(x, u′0, u

′0)h′]dx = 0. (2.2.9)

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Page 24: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 2 p. 20

Dal procedimento di integrazione per parti

[fz(x, u0, u′0)h]ba −

∫ b

a

dfz(x, u0, u′0)

dxhdx+

∫ b

a

fs(x, u0, u′0)hdx = 0

e quindi ∫ b

a

[fs(x, u0, u′0)− dfz(x, u0, u

′0)

dx]hdx = 0

La tesi segue dal lemma fondamentale del Calcolo delle Variazioni.

L'aermazione del teorema precedente si può invertire in particolari ipotesisu f .

Teorema 2.9. Sia f = f(x, s, z) convessa nelle variabili (s, z) per ogni x ∈[a, b]. Allora se u0 è soluzione di (2.2.8) allora è anche soluzione del problemadi minimo (P).

Dimostrazione. Dalla convessità di f segue che per ogni altra u ∈ Σ :

f(x, u, u′) ≥ f(x, u0, u′0) + fs(x, u0, u

′0)(u− u0) + fz(x, u0, u

′0)(u′ − u′0)

Integrando su [a, b] e utilizzando il procedimento per parti, poiché u = u0 ina e b, segue

I(u) ≥ I(u0) +∫ b

a

[fs(x, u0, u′0)− d

dxfz(x, u0, u

′0)](u− u0).

Dal momento che u0 è una soluzione di (2.2.8) segue che u0 è minimo.

Vale poi il seguente teorema di unicità :

Teorema 2.10. Sia f = f(x, s, z) strettamente convessa nelle variabili (s, z)per ogni x ∈ [a, b], allora se esiste il minimo di (P) è unico.

Dimostrazione. Siano u0 e v0 due minimi I(u0) = I(v0) = m. Dalla strettaconvessità di f segue

f(x,12u0 +

12v0,

12u′0 +

12v′0) <

12f(x, u0, u

′0) +

12f(x, v0, v

′0)

integrando su [a, b] si ottiene

I(12u0 +

12v0) <

12I(u0) +

12I(v0) = m

Si giunge ad un assurdo visto che ( 12u0 + 1

2v0) ∈ Σ.

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Page 25: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 21 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 2

Osservazione 2.11. È noto dalla teoria delle equazioni dierenziali ordinariache i problemi ai limiti, cioè con valori assegnati agli estremi dell'intervallo didenizione, non sempre hanno soluzione e la discussione delle varie condizionidi compatibilità può essere molto complicata. Data un equazione dierenzialesi dice problema di Sturm-Lioville quello di determinare le soluzioni che sod-disfano condizioni assegnate agli estremi. Questo tipo di problema non sempreha soluzione unica. Infatti le due costanti che compaiono nell'integrale generaledi un equazione dierenziale del secondo ordine non sono sempre sucienti adindividuare la soluzione. Consideriamo ad esempio, un caso molto semplice :

y′ + y = 0y(0) = y(π) = 0 (2.2.10)

questo problema ammette innite soluzioni y(x) = A sinx. Il seguente pro-blema

y′ + y = sinxy(0) = y(π) = 0 (2.2.11)

invece non ha soluzioni> Infatti supponiamo che y sia una soluzione ;∫ π

0

y′′ sinxdx+∫ π

0

y sinxdx−∫ π

0

(sinx)2dx = 0

Integrando per parti nel primo e nel terzo integrale e tenendo conto che y(0) =y(π) = 0 si giunge alla seguente contraddizione :

0 =∫ π

0

(sinx)2dx =π

2

Passiamo al caso di integrali multipli. Sia Ω un aperto di IRn e f = f(x, s, z)con (x, s, z) ∈ Ω × IR× IRn, indichiamo

I(u) =∫Ω

f(x, u(x), Du(x))dx

dove u : Ω → IR e Du denota il vettore gradiente di u, Du = (Dx1 , .., Dxn).Consideriamo il problema di minimo

(PΩ,ϕ) InfI(u) =

∫Ω

f(x, u,Du)dx, u ∈ C1(Ω,ϕ)

dove ϕ è una funzione denita e continua su tutto Ω e C1(Ω,ϕ) rappresenta laclasse delle funzioni u ∈1 (Ω) tali che u = ϕ su ∂Ω. Lo spazio delle variazioniammissibili è lo spazio vettoriale C1

0 (Ω) quindi se u0 è soluzione del problema(PΩ,ϕ), dal Teorema 2.5 si ha che la variazione prima di I in u0 è il funzionalenullo su C1

0 (Ω)

δI(h) = [dI(y0 + th)

dt]t=0 = [

d

dt

∫Ω

f(x, u+ h,Du+Dh)dx]t=0 = 0

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Page 26: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 2 p. 22

e dal teorema di derivazione sotto il segno di integrale∫Ω

n∑i=1

fzi(x, u0, Du0)hxi + fs(x, u0, Du0)hdx (2.2.12)

(2.2.12) è la forma debole dell'Equazione di Euler-Lagrange. Supponiamo chef e u0 siano di classe C2 e Ω abbia una frontiera regolare tenendo conto delfatto che

div(fzh) =n∑i=1

∂xi(fzih) +

n∑i=1

fzihxi

la (2.2.12) si può riscrivere nella forma :∫Ω

div(fzi(x, u0, Du0)h)dx+∫Ω

[−n∑i=1

∂xifzi(x, u0, Du0)+fs(x, u0, Du0)]hdx = 0

Dal teorema della divergenza, visto che h = 0 su ∂Ω∫Ω

div(fzi(x, u0, Du0)hdx =∫∂Ω

n∑i=1

fzi(x, u0, Du0)hνidσ = 0

e quindi ∫Ω

[−n∑i=1

∂xifzi(x, u0, Du0) + fs(x, u0, Du0)]hdx = 0

Dal Lemma Fondamentale del Calcolo delle Variazioni in più dimensioni, siottiene la forma forte dell'Equazione di Euler-Lagrange :

−n∑i=1

∂xifzi(x, u0, Du0) + fs(x, u0, Du0) = 0

Consideriamo, ad esempio l'integrale di Dirichlet

D(u) =∫Ω

|Du|2dx

ed il problema di minimo nella classe di funzioni u ∈ C1(Ω) con un valoreassegnato su ∂Ω. L'equazione di Euler-Lagrange in forma debole è data da∫

Ω

n∑i=1

∂u

∂xi

∂h

∂xidx = 0 per h ∈ C1

0 (Ω)

e la sua forma forte è l'equazione di Laplace :

∆u =n∑i=1

∂2u

∂xi= 0

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Page 27: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 23 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 2

Consideriamo l'integrale di Dirichlet generalizzato :

12

∫Ω

|Du|2dx+∫Ω

g(x)u(x)dx

L'equazione di Euler-Lagrange è data da∫Ω

n∑i=1

∂u

∂xi

∂h

∂xidx+

∫Ω

g(x)h(x)dx = 0

e la relativa forma forte è data da ∆u = g.Assegnata una funzione g : IR→ IR deniamoG(t) =

∫ t0g(s)ds e consideriamo

il funzionale :

I(u) =∫Ω

12|Du|2dx+

∫Ω

G(u)dx

L'equazione di Euler-Lagrange è data da

−∫Ω

n∑i=1

∂u

∂xi

∂h

∂xidx−

∫Ω

g(u)hdx = 0 per h ∈ C10 (Ω)

e la forma forte è l'equazione di Poisson non lineare : −∆u = g(u),Consideriamo il funzionale dell'area delle superci cartesiane ;

A =∫Ω

∫Ω

√1 + |Du|2dx

L'equazione di Euler-Lagrange relativa la problema del minimo di I con asse-gnato valore al bordo di Ω in forma debole è data da

−∫Ω

n∑i=1

Dxiu√1 + |Du|2

Dxihdx = 0

ed in forma forten∑i=1

Dxi(Dxiu√

1 + |Du|2) = 0.

Consideriamo il caso di funzionali integrali deniti nella classe delle funzionivettoriali u : Ω → IRN :

I(u) =∫Ω

f(x, u(x), Du(x))dx

dove Du è la matrice Jacobiana di u, Du = (∂uα

∂xi) al variare di α = 1, ...N e

i = 1, ...n e f : Ω × IRN × IRnN di classe C2 nelle sue variabili.Considerato un problema di minimo nella classe C1(Ω, IRN ), con assegnatovalore al bordo, se u0 è soluzione allora, per ogni h ∈ C1

0 (Ω, IRN ), procedendocome nel caso scalare, si ha :

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Page 28: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 2 p. 24∫Ω

∑i,α

(fzαi (x, u0, Du0)Dxihα + fsα(x, u0, Du0))hα)dx = 0 (2.2.13)

e ragionando, come prima, attraverso il procedimento di integrazione per parti,si ottiene∫

Ω

(∑i,α

∂xifzαi (x, u0, Du0)− fsα(x, u0, Du0))hαdx = 0 (2.2.14)

Dal Lemma Fondamentale del Calcolo delle Variazioni segue la forma forte,che in questo caso è data dal seguente sistema di equazioni dierenziali aderivate parziali∑

i,

∂xifzαi (x, u0, Du0)− fsα(x, u0, Du0) = 0

per ogni α = 1, ..., N .

Osservazione 2.12. Osserviamo che quando f = f(z) ed è di classe C2, lefunzioni lineari sono soluzioni dell'equazione di Euler-Lagrange :∫

Ω

∑i,α

(fzαi (Du)Dxihα = 0 per ogni h ∈ C10 (Ω, IRN ) (2.2.15)

Sia w0 una funzione lineare in IRn, poiché Dw0 = z0 ∈ IRNn si ha :∫Ω

∑i,α

fzαi (z0)Dxihα = 0

che è senz'altro soddisfatta, essendo, per ogni i, α,∫Ω

∑i,αDxih

α = 0, dalmomento che hα = 0, sul bordo di Ω.

Osservazione 2.13. Nel ricavare l'equazione di Euler-Lagrange abbiamo consi-derato problemi di Dirichlet, cioè classi di funzioni con valore assegnato sulbordo di Ω. Supponiamo di non avere questa condizione e quindi questa voltaper studiare la variazione prima del funzionale non dobbiamo imporre che hsia a supporto compatto :

δI(h) = [dI(y0 + th)

dt]t=0 = 0 per ogni h ∈ C1(Ω, IRN )

e ∫Ω

(∑i,α

∂xifzαi (x, u0, Du0)Dxih

α + fsα(x, u,Du0))hα)dx = 0 (2.2.16)

e integrando per parti si ottiene

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Page 29: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 25 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 2∫Ω

(∑i,α

∂∂xi

fzαi (x, u0, Du0)− fsα(x, u0, Du0))hαdx+∫∂Ω

∑i,α fzαi (x, u0, Du0)νihαdσ = 0

(2.2.17)

dove νi indica la componente i-esima del versore normale esterna a ∂Ω. Poichél'ultima relazione deve valere in particolare per h ∈ C1

0 (Ω, IRN ), ne deduciamoche (2.2.13) continua a valere∑

i,α

∂xifzαi (x, u0, Du0)Dxih

α + fsα(x, u0, Du0))hα) = 0

allora per ogni h ∈ C1(Ω, IRN ) segue∫∂Ω

∑i,α

fzαi (x, u0, Du0)νihαdσ = 0

e per ogni α = 1, ...., N∑i,α

fzαi (x, u0, Du0)νi = 0 su ∂Ω. (2.2.18)

Quindi si conclude che se anche non si assegna una condizione sul bordo lafunzione u0 deve soddisfare comunque le N condizioni (2.2.18) sulla frontieradi Ω. (2.2.18), che vengono chiamate Condizioni naturali.A titolo d'esempio consideriamo il seguente funzionale di Fermat

I(u) =∫ b

a

g(x, u(x))√

1 + (u′)2dx

con g continua e g(x, s) 6= 0, nella classe delle funzioni u ∈ C1([a, b]) tali cheu(a) = A ma nessuna condizione è assegnata in b. La (2.2.18) in questo casodiventa :

fu′(b, u0(b), u′0(b)) = 0 ⇒ g(b, u0(b))u′0(b)√

1 + (u′0)2= 0

e quindi u′0(b) = 0. La funzione minimo u0 ha la tangente in b ortogonale allaretta x = b.

2.3 Osservazioni sull'Equazione di Euler-Lagrange

L'Equazione di Euler-Lagrange è una condizione necessaria per un minimodi un funzionale integrale ma in generale non è una condizione sucientema se f è convessa nelle variabili s, z, anche nel caso di integrali multipli,ogni soluzione dell'equazione di Euler-Lagrange è minimo. Consideriamo, persemplicità, il caso :

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Page 30: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 2 p. 26

I(u) =∫Ω

f(x,Du)dx,

con f convessa in z. Proviamo che se u0 è soluzione della forma debole∫Ω

∑i,α

fzαi (x,Du0)Dxihα = 0,

per ogni h ∈ C10 (Ω, IRN ), allora u0 è un minimo di I tra tutte le funzioni

che assumono il valore u0 su ∂Ω. Poiché ogni funzione di questa classe sipuò scrivere come u0 + h con h ∈ C1

0 (Ω, IRN ), dall'ipotesi di convessità seguefacilmente che

I(u0 + h)− I(u0) ≥∫Ω

∑i,α

(fzαi (x,Du0)(Dxihα)dx = 0.

In alcuni casi l'equazione di Euler-Lagrange può dare una completa risoluzionedel problema di minimo. Infatti spesso l'esistenza della soluzione può esserechiara dal signicato geometrico o sico del problema in esame e se l'equazionedierenziale ha un unica soluzione, questa deve essere necessariamente unminimo.Vale la pena osservare che non sempre un problema di minimo ammette so-luzione. Diamo alcuni esempi.

Esempio 1 Sia

I(u) =∫ 1

−1

(u′)2(1− u′)2dx

e consideriamo il problema

m =u ∈ C1([−1, 1]) : u(−1) = 0 u(1) = 1

.

L'equazione di Euler-Lagrange del problema è data da :

d

dx[2u′ + 4u′3 − 6u′2] = 0 ⇒ 2u′ + 4u′3 − 6u′2 = C ⇒ u′ = C1

e quindi u(x) = x+12 è l'unica soluzione che soddisfa le condizioni agli estremi

ma non è soluzione del problema di minimo.Proveremo che m = 0 e poiché I(u) = 1

8 , segue che u non è minimo e quindiil problema non ammette soluzioni.Consideriamo la successione :

uh(x) = 0 − 1 ≤ x < − 1h

uh(x) = h4 (x+ 1

h )2 − 1h ≤ x <

1h

uh(x) = x 1h ≤ x ≤ 1

(2.3.19)

si ha uh(−1) = 0 e uh(1) = 1 ed inoltre

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Page 31: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 27 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 2

I(uh) =116

∫ 1n

− 1h

(1 + h4x4 − 2h2x2)dx =116

(2h

+2h4

5h5+

4h2

3h3),

quindi. poiché limh I(uh) = 0, allora m = 0.Tuttavia il funzionale I ammette minimo nella classe delle funzioni continue eregolari a tratti cioè che presentano un numero nito di discontinuità di primaspecie nella derivata. In questa classe l'estremo inferiore è ancora uguale a 0,infatti basta considerare la successione :

uh(x) = 0 − 1 ≤ x < − 1h

uh(x) = h2 (x+ h) − 1

h ≤ x <1h

uh(x) = x 1h ≤ x ≤ 1

(2.3.20)

e si vede che limh I(uh) = 0. La funzione u0 denita da

u0(x) = 0 − 1 ≤ x < 0u0(x) = x 0 ≤ x < 1 (2.3.21)

è tale che I(u0) = 0 ed è quindi un minimo. La funzione u0 non è l'unicominimo infatti si possono costruire funzioni regolari a tratti che soddisfano idati al bordo con u′ = 0 oppure u′ = 1.

Esempio 2 Consideriamo ora un funzionale integrale, con funzione inte-granda strettamente convessa, ma che non ammette soluzioni neanche nellaclasse delle funzioni C1 a tratti. Deniamo

I(u) =∫ 1

0

x(u′)2dx,

con le condizioni u(0) = 1 e u(1) = 0. L'equazione di Euler-Lagrange è datada

(xv′)′ = 0⇒ u′(x) =c

x⇒ u(x) = c log x+ d

con c e d costanti reali. Si vede subito che non esistono soluzioni di classeC1 dell'equazione, con i valori assegnati agli estremi. Proviamo che il pro-blema non ha soluzioni neppure nella classe delle funzioni regolari a tratti.Consideriamo la successione (uh) di funzioni regolari a tratti

uh(x) = 1 0 ≤ x < 1h

uh(x) = − log xlog h

1h ≤ x ≤ 1 (2.3.22)

È evidente che un(0) = 1 e un(1) = 0 ed inoltre

I(uh) =∫ 1

1h

x

(x log h)2dx =

1log h

quindi limn I(un) = 0, allora anche in questa classe l'estremo inferiore è 0. Lasoluzione u0 deve essere quindi tale che I(u0) = 0, ma allora necessariamenteu′0 = 0 ⇒ u0 = c, con c costante reale, quasi ovunque nell'intervallo[0, 1] madalla continuità segue u0 = c in tutto [0, 1] e le condizioni agli estremi nonpossono essere soddisfatte.

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Page 32: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 2 p. 28

2.4 Osservazioni sull'Equazione di Euler-Lagrange

In generale non è facile risolvere l'Equazione di Euler-Lagrange, vi sono alcunicasi speciali in cui essa può essere ricondotta ad un equazione del primo ordinee la soluzioni possono essere ottenute con metodi noti. Consideriamo funzionali con integranda f = f(x, z) cioè

I(u) =∫ b

a

f(x, u′)dx

in questo caso l'Equazione di Euler-Lagrange ha la forma :

d

dxfz(x, u′(x)) = 0⇒ fz(x, u′(x)) = c

Si tratta di un equazione dierenziale del primo ordine se si può esplicitarerispetto ad u′ si ottiene u′ = g(x, c), da cui si ricava u′.

Sia f = f(z) allora l'Equazione di Euler-Lagrange è data da

fz(u′(x)) = c

che implica u′ costante, le soluzioni sono funzioni ani. Quando f è unafunzione convessa :

f(z1 + (1− λ)z2) ≤ λf(z1) + (1− λ)f(z2)

per ogni coppia z1, z2 e λ ∈ (0, 1), allora l'esistenza dei minimi si ricavautilizzandola disuguaglianza di Jensen :

Proposizione 2.14. Sia f = f(z) una funzione convessa e u : [a, b] → IRlimitata , allora

f(1

b− a(∫ b

a

u(x)dx) ≤ 1b− a

∫ b

a

f(u(x))dx

Dimostrazione. Supponiamo che f sia derivabile, allora si ha∫ b

a

f(u(x))dx ≤ f(z)(b− a) + f ′(z)∫ b

a

(u(x)− z)dx

Scegliamo z = 1b−a (

∫ bau(y)dy, allora∫ b

a

f(u(x))dx ≤ f(1

b− a

∫ b

a

u(y)dy)(b− a)+

= f ′(z)∫ b

a

u(x)dx− f ′(z)∫ b

a

(1

b− a

∫ b

a

u(y)dydx

da cui segue la tesi.

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Page 33: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 29 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 2

Il problema di minimo

Inf

∫ b

a

f(u′(x))dx : u(a) = A, u(b) = B

ha almeno una soluzione nello spazio delle funzioni continue e derivabili atratti nell'intervallo [a, b], infatti

1b− a

∫ b

a

f(u′)dx ≥ f(1

b− a

∫ b

a

u′(y)dy) = f(B −Ab− a

)

da cui segue che la funzione u0(x) = B−Ab−a (x−a)+A è minimo del problema.

Se f = f(x, s), non dipende da u′, allora l'equazione di Euler-Lagrange siriduce a fs(x, u(x)) = 0, che non è un equazione dierenziale ed ha persoluzioni curve implicitamente denite dalla funzione fs.

Consideriamo il caso f = f(s, z), l'equazione ha la forma

d

dxfz(u, u′) = fs(u, u′) (2.4.23)

Limitiamoci a studiare le soluzioni non identicamente nulle, allora (2.4.23)è equivalente a

d

dx(u′fz(u, u′)− f(u, u′)) = 0 (2.4.24)

Infatti

d

dx(u′fz − f) = u′′fz + u′

d

dxfz − fsu′ − u′′fz = u′(

d

dxfz − fs)

. Un integrale primo di (2.4.24) è dato, con C costante reale da :

u′fz(u, u′)− f(u, u′) = C (2.4.25)

Quest'ultima equazione in alcuni casi può essere risolta. Supponiamo adesempio che :

f(s, z) = g(s)√

1 + z2

In questo caso (2.4.25) diventa :

u′g(u)u′√1 + u′2

− g(u)√

1 + u′2 = − g(u)√1 + u′2

= C

da cui si ricava

g(u) = C√

1 + u′2 ⇒ (g(u)C

)2 = 1 + u′2

e quindi

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Page 34: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 2 p. 30∫du√

( g(u)C )2 − 1

=+− (x+ c1)

il segno positivo o negativo deve essere scelto in accordo con il segno di u′.Consideriamo il problema della brachistocrona, che abbiamo descritto nelprimo capitolo : Si tratta di minimizzare il funzionale :

I(u) =∫ x1

0

√1 + u′2(x)√2gu+ v0

dx

nella classe delle funzioni continue con derivata prima continua e tali cheu(0) = 0 e u(x1) = u1. In questo caso :

g(u) =1√

2gu+ v0

quindi, bisogna determinare le funzioni u tali che

1√(1 + u′2)(2gu+ v0)

= C

Poniamou′(x) = cotgϕ(x) (2.4.26)

Si ottiene

1√(1 + u′2)

=√

2gu+ v0)⇒ 1C2(1 + (cotgϕ)2)

= v20 + 2gu

che implica

v20 + 2gu =

(sinϕ)2

C2,

Risolvendo in u si ha

u = −v20

2g+

(sinϕ)2

2gC2= −v

20

2g+

14gC2

(1− cos 2ϕ),

da (2.4.26) segue allora

dx = tgϕ(x) = tgϕ(x)1

2gC2(2 sinϕ(x) cosϕ(x) =

=1

2gC2(sinϕ(x))2 =

12gC2

(1− cos 2ϕ(x)),

integrando

x =1

2gC2(ϕ(x)− 1

2sin 2ϕ(x)) + C1 =

14gC2

(2ϕ(x)− sin 2ϕ(x)).

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Page 35: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 31 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 2

Ponendo θ = 2ϕ e r = 12gC2 > 0, otteniamo

x = C1 + r(θ − sin θ)y = −v

20

4g + r(1− cos θ)

Tali equazioni rappresentano una famiglia di cicloidi generate da un punto

su una circonferenza di raggio r che rotola sulla retta y = −v20

2g . imponendoil passaggio per i punti (0, 0) e (x1, u1), si ottiene il sistema nelle variabiliC,C1, θ1, θ2

0 = C1 + r(θ1 − sin θ1)0 = − v

20

4g + r(1− cos θ1)x1 = C1 + r(θ2 − sin θ2)u1 = −v

20

4g + r(1− cos θ2)

Tale sistema ammette esattamente una soluzione che è l'arco di cicloideche passa per i punti del piani indicati. Pertanto esiste una ed una solaestremale del problema. Si può dimostrare, ma la dimostrazione è alquantocomplessa, che tale estremale è anche un minimo del funzionale quandola velocità iniziale v0 è positiva. Se v0 = 0, l'arco di cicloide è ancora unminimo ma non nella classe delle funzioni C1 essendo u′(0) = +∞.

Diamo ora qualche esempio :

Esempio 3 Consideriamo

I(u) =∫ 2

1

u′(x)(1 + x2u′(x))dx

nella classe delle funzioni u(1) = 3 e u(2) = 5> La funzione integranda nondipende da z e l'equazione di Euler-Lagrange ha la forma :

d

dx(1 + 2x2u′(x))dx = 0⇒ 1 + 2x2u′(x) = C

allora

u′ =C1

2x2⇒ u =

1− C1

2x+ C2

le estremali costituiscono una famiglia di iperboli. Con C1 = 9 e C2 = 7 si hal'estremale u = 7− 4

x , che passa per i due punti assegnati.

Esempio 4 Consideriamo il funzionale

I(u) =∫ b

a

√1 + u′2

udx

nella classe delle funzioni tali che u(a) = A e u(b) = B> siamo nel caso f =f(s, z), dalle relazioni precedenti le estremali del problema devono soddisfare

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Page 36: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 2 p. 32∫du√

( 1Cu )2 − 1

=+− (x+ C1)

da cui segue(x+ C1)2 + u2 = C2

2

quindi una famiglia di circonferenze con centro sull'asse delle ascisse. L'es-tremale del problema sarà quella che passa per i punti assegnati. Il problemaha un unica soluzione, poiché per due punti qualsiasi del semipiano superiorepassa una ed una sola semicirconfereza con centro sull'asse delle ascisse.

2.5 Superci minime di rotazione

Nel capitolo 1 abbiamo visto il problema delle superci minime di rotazione :Si tratta di determinare la curva y = y(x) dotata di derivata prima, che uniscedue punti del piano (a,A) e (b, B), la cui rotazione intorno all'asse x determinala supercie con area minima> Ricordiamo che per ogni curva y ∈ C1([a, b])l'area della supercie di rotazione da essa generata è data da :

A(y) = 2π∫ b

a

y(x)√

1 + y′2(x)dx

quindi la formulazione generale del problema è la seguente ;

Problema 1 Minimizzare il funzionale integrale :

I(u) = 2π∫ b

a

u(x)√

1 + u′2(x)dx

nella classe delle funzioni u ∈ C1([a, b]) tali che u(a) = A e u(b) = B.

Supponiamo che A,B > 0. La funzione integranda f = f(s, z) = s√

1 + z2 equindi l'integrale primo f − u′fz = α con α costante è, in questo caso, datoda

u√

1 + u′2 − u′2u√1 + u′2

= α⇒ u′2 = α2(1 + u′2)

da cui segue

u′ =+−

√u2 − α2

per α = 0 si ottiene u = 0. Dal metodo di separazione delle variabili e operandola trasformazione con il coseno iperbolico u = α cosht, si ha∫

1αdx =

∫du√

u2 − α2

e operando la trasformazione con il coseno iperbolico y = α cosht

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Page 37: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 33 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 2∫α sinht

α√

(cosht)2 − 1= t+ c

da cui segue

x = αt+ β ⇒ t =x− βα

, ed in conclusione

u(x) = α coshx− βα

(2.5.27)

(2.5.27) rappresenta una famiglia a due parametri, che sono estremali del pro-blema della supercie minima di rotazione. Le curve rappresentate da (2.5.27)vengono chiamate catenarie e le superci di rotazione da esse generate si chia-mano catenoidi di rotazione.Si dimostra che esistono punti del piano P2 = (b.B) che non possono essereuniti da un altro punto assegnato del piano P1(a,A) con una curva catenaria,quindi può non esistere un estremale del funzionale I che soddisfa le condizioniagli estremi e quindi il problema 1 non ha soluzione. Per semplicità suppo-niamo che a = 0 e A = 1. Deniamo in (2.5.27) la relazione tra α e β in modotale che u(0) = 1

α coshα

β= 1⇒ α = (cosh

α

β)−1

Denotiamo con λ = αβ , allora (2.5.27) diventa

u(x, λ) =cosh(x coshλ− λ)

coshλ

da cui segue u′(x, λ) = sinh(x coshλ − λ) e quindi u′(0, λ) = sinh(−λ) =− sinhλ, che al variare di λ dà tutte le possibili pendenze delle estremali delfunzionale I, che partono da (0, 1). Vogliamo ora determinare λ in modo taleche la curva passi per P2(b, B) :

u(b, λ) =cosh(b coshλ− λ)

coshλ= B

Dimostreremo che quest'ultima relazione non ammette soluzione per ogniscelta di b e B.Osserviamo prima di tutto che :

cosht =12

(exp(t)− exp(−t)) ≥ |t|

quindi

u(b, λ) =cosh(b coshλ− λ)

coshλ≥ |b| − |λ|

coshλ

Deniamo ϕ(λ) = |λ|coshλ , tale funzione ammette il valore massimo λ0, radice

dell'equazione coshλ0 − λ0 sinhλ0 = 0 e quindi λ0 = coshλ0sinhλ0

, in conseguenza

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Page 38: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 2 p. 34

u(b, λ) ≥ |b| − |λ0|coshλ0

= |b| − 1| sinhλ0

(2.5.28)

Si ha dunque che se si sceglie b in modo tale che |b| − 1| sinhλ0

= B0 e B < B0,poiché (2.5.28) non è soddisfatta da nessun λ, segue che non esiste un estremaleche soddisfa u() = 1 e u(b) = B.Sul problema delle superci minime di rotazione si possono fare alcune osser-vazioni, di cui tuttavia non diamo le dimostrazioni.Si può provare che la famiglia di catenarie (2.5.27) possiede un inviluppo ecioè una curva tale che in ogni suo punto esiste una ed una sola curva dellafamiglia ad essa tangente, che si trova nel semipiano positivo.Si possono presentare tre casi :

1. Il punto P2(b.B) si trova sopra l'inviluppo. In questo caso si prova cheesistono due curve della famiglia (2.5.27) che uniscono P2(b.B) a P1(0, 1).La curva superiore, che non tocca l'inviluppo è il minimo del problema 1.

2. P2(b.B) si trova sull'inviluppo. In questo caso esiste una sola curva dellafamiglia (2.5.27) che unisce P2 a P1, che risulta un estremale del problema,ma non realizza il minimo. Infatti il minimo del problema 1 non è unacatenaria ma la funzione generalmente continua denita da

u0(x)

1 x = 00 x ∈ (0, b)B x = b

La supercie di rotazione generata da u0 è costituita dalla supercie dege-nere dei due cerchi. Tale soluzione è stata data da Goldschmidt nel 1831da cui prende il nome.

3. P2(b.B) si trova sotto l'inviluppo. In questo caso non esiste nessuna estre-male che passa per P2 ed il minimo del problema è ancora fornito da unestremale generalmente continua.

2.6 Estremali spezzate e Condizioni di

Weierstrass-Erdmann

Consideriamo il funzionale

J(u) =∫ 1

−1

u2(1− u′)2dx

nella classe delle funzioni C1([−1, 1]) con le condizioni u(−1) = 0 e u(1) = 1.si vede che J(u) ≥ 0 e considrando la successione minimizzante

uh(x) =

0, −1 ≤ x < − 1

hh4 (x+ 1

h ), − 1h ≤ x <

1h

x, 1h ≤ x ≤ 1

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Page 39: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 35 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 2

si vede che il valore minimo è 0. Il problema non ha minimo nella classedelle funzioni C1 perché non esiste una funzione continua con la sua derivatache annulla il funzionale e soddisfa le condizioni agli estremi. Il funzionaleha minimo nella classe delle funzioni regolari a tratti cioè nella classe dellefunzioni continue con derivate che hanno un numero nito di discontinuità diprime specie. Ad esempio u0(x) = 0 nell'intervallo [−1, 0) e u0(x) = x in [0, 1]soddisfa le condizioni agli estremi e I(u0) = 0.Asegnato un funzionale integrale :∫ b

a

f(x, u(x), u′(x))dx

nella classe delle funzioni regolari a tratti che soddisfano le condizioni u(a) = Ae u(b) = B.Una soluzione u0 di questo problema soddisfa l'equazione di Euler-Lagrange

d

dxfz(x, u0, u

′0) = fs(x, u0, u

′0) (2.6.29)

in ogni sottointervallo in cui è derivabile con continuità.Le soluzioni dell'equazione (2.6.29) che hanno salti di discontinuità nella deri-vata prima si chiamano estremali spezzate. Diamo alcune condizioni necesarieche tali estremali devono soddisfare nei punti di discontinuità.Sia u0 una soluzione di (2.6.29) che soddis le condizioni agli estremi e persemplicità supponiamo che la sua derivata abbia un solo punto di salto in c .Indichiamo con

u′(c+ 0) = limx→c+

u′(x), u′(c− 0) = limx→c−

u′(x).

Consideriamo la funzione continua

x ∈ [a, b]→∫ x

a

fs(x, u0(t), u′0(t))dt

infatti

limx→c+

∫ x

a

fs(x, u0(t), u′0(t))dt = limx→c−

∫ x

a

fs(x, u0(t), u′0(t))dt

Da altra parte integrando (2.6.29) si ha

fz(x, u0(x), u′0(x)) =∫ x

a

fs(x, u0(t), u′0(t))dt+ C

e quindi mettendo insieme le due ultime relazioni si ha :

fz(x, u0(c), u′0(c+ 0)) = fz(x, u0(c), u′0(c− 0)) (2.6.30)

(2.6.30) deve valere in tuuti i punti di discontinuità di u0.

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Page 40: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 2 p. 36

Inoltre, osserviamo che

d

dx(f−u′fz) = fx+fsu′+fzu′′−u′′fz−u′

d

dxfz = fx+u′[fs−

d

dxfz], (2.6.31)

quindi un estremale soddisfa

d

dx(f − u′fz) = fx

e in altro modo

f(x, u0(x), u′0(x))− u′0fz(x, u0(x), u′0(x)) =∫ x

a

fx(t, u0(t), u′0(t))dt+ C

(2.6.32)Utilizzando (2.6.32) si ottiene un'altra condizione necessaria. Infatti la fun-zione

H(x) =∫ x

a

fx(t, u0(t), u′0(t))dt

è continua anche se u0 ha salti di discontinuità e H(c − 0) = H(c + 0), edenotato

[f − u′fz]c−0 = f(c, u0(c), u′0(c− 0))− u′0fz(x, u0(c), u′0(c− 0)) =

[f − u′fz]c+0 = f(c, u0(c), u′0(c+ 0))− u′0fz(c, u0(c), u′0(c+ 0))

si ha[f − u′fz]c−0 = [f − u′fz]c+0 (2.6.33)

Le osservazioni precedenti possono riassumersi nel seguente modo ;Sia u0 un minimo locale di I nella classe delle funzioni regolari a tratti con lecondizioni agli estremi u(a) = A, u(b) = B, allora in ogni punto di disconti-nuità di u′0 si ha necessariamente

[fz]c−0 = [fz]c+0, [f − u′fz]c−0 = [f − u′fz]c+0 (2.6.34)

(2.6.34) vengono chiamate Condizioni di Weierstrass-Erdmann.Consideriamo il funzionale che abbiamo considerato all'inizio della sezione :

J(u) =∫ 1

−1

u2(1− u′)2dx

il suo minimo

u0(x) =

0, −1 ≤ x < 0x, 0 ≤ x ≤ 1

ha un punto di salto nelle derivata in c = 0 con u′0(c− 0) = 0 e u′0(c+ 0) = 1e si vede facilmente che le (2.6.34) sono soddisfatte in 0.Le condizioni (2.6.34) trovano una semplice interpretazione geometrica attra-verso la nozione di Indicatrice della funzione integranda f .

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Page 41: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 37 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 2

Consideriamola curva che rappresenta f = f(x, s, z) come funzione della solavariabile z per (x, u0(x)) ssato, quindi la curva di equazione :

ξ = zη = f(x, u0(x), z) (2.6.35)

Tale curva è chiamata indicatrice di f nel punto (x, u0(x)). Assegnati duepunti (ξ1, η1) e (ξ2, η2) di tale curva, scriviamo le equazioni delle rispettiverette tangenti ;

η − η1 = fz(x, u0(x), ξ1)(ξ − ξ1)η − η2 = fz(x, u0(x), ξ2)(ξ − ξ2) (2.6.36)

Sia c un punto di discontinuità di u′0 e consideriamo per x = c la curvaindicatrice nei punti

(ξ1, η1) = (u′0(c− 0), f(c, u0(c), u′0(c− 0)))

(ξ2, η2) = (u′0(c+ 0), f(c, u0(c), u′0(c+ 0)))

Le equazioni delle rette tangenti (2.6.36) diventanoη − f(c, u0(c), u′0(c− 0)) = fz(c, u0(c), u′0(c− 0))(ξ − u′0(c− 0))η − f(c, u0(c), u′0(c+ 0)) = fz(c, u0(c), u′0(c+ 0))(ξ − u′0(c+ 0)) (2.6.37)

Mettendo in relazione (2.6.37) con le condizioni di Weierstrass-Erdmann(2.6.34) si ha che la prima delle (2.6.34) stabilisce che le due rette in (2.6.37)hanno lo stesso coeciente angolare e quindi sono parallele, mentre la secondadelle (2.6.34) aerma che le due rette coincidono.Si può concludere che se u0 è un minimo di I e u′0 ha un punto di discontinuitàin c, la curva indicatrice di f relativa a (c, u0(c)) ha la stessa retta tangenetenei punti distinti (c, u0(c), f(c, u0(c), u′0(c − 0))) e (c, u0(c), f(c, u0(c), u′0(c +0)))Se la curva indicatrice è strettamente convessa o concava cioè se vale fzz(x, s, z) >0 oppure fzz(x, s, z) < 0 in ogni punto (x, s, z), allora il funzionale I non puòavere minimi con derivate prime discontinue, dal momento che la curva indi-catrice non ha due punti distinti con la stessa retta tangente.

Esempio 5 Consideriamo il funzionale

I(u) =∫ 4

0

(u′2 − 1)2dx

con le condizioni u(0) = 0 e u(4) = 2.Sia u0 un minimo locale con unadiscontinuità nella derivata nel punto c e poiché deve soddisfare l'equazionedi Euler-Lagrange in [0, c0 e (c, 4] si ha che

u′(u′2 − 1) = C ⇒ u′ = C

u0 ha un'espessione del tipo ;

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Page 42: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 2 p. 38

u0(x) =

C1x, 0 ≤ x < cC2x+ (2− 4C2), c ≤ x ≤ 4x, 1

h ≤ x ≤ 1

Poiché u0 è continua in c si deve avere c = 2−4C1C1−C2

e di conseguenza C1 6=C2> Dalle condizioni di Weierstrass-Erdmann (2.6.34) si possono ricavare lecostanti C1 e C2. Dalla prima si ha :

[fz]c−0 = 4C1(C21 − 1) = [fz]c+0 = 4C2(C2

2 − 1)

e la seconda in questo caso diventa

[u′0fz − f ]c−0 = (C21 − 1)(3C2

1 + 1) = [u′0fz − f ]c+ = (C22 − 1)(3C2

2 + 1)

di conseguenza le costanti devono risolvere il seguente sistemaC1(C2

1 − 1) = C2(C22 − 1)

(C21 − 1)(3C2

1 + 1) = (C22 − 1)(3C2

2 + 1) (2.6.38)

(2.6.38) è risolto per C1 =+− 1 e C2 =+

−!. Poiché la funzione f(z) = (z2 − 1)2

hai nei punti z1 = +1 ez2 = −1 la stessa retta tangente, dalle osservazionifatte sulla funzione indicatrice segue che u′0(c+ 0) =+

− 1 e u′0(c− 0) =+− 1.

Il problema in esame ha due estremali, la prima relativo a C1 = 1 e C2 = −1

u1(x) =

x, −0 ≤ x < 3−x+ 6, 3 ≤ x ≤ 4x, 1

h ≤ x ≤ 1

ed la seconda a C1 = −1 e C2 = 1 :

u2(x) =

−x, −0 ≤ x < 1x− 2, 1 ≤ x ≤ 4x, 1

h ≤ x ≤ 1

Dal momento che I(u1) = I(u2) = 0 , le estremali sono anche minimi delproblema.

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Page 43: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

3

Metodi Diretti del Calcolo delle Variazioni

3.1 Principio di Dirichlet

Il teorema fondamentale dell'algebra di Gauss ha segnato l'inizio di un nuovomodo di arontare i problemi matematici. Fino a quel momento infatti, glistudi delle equazioni algebriche cercavano di ottenere formule esplicite delleradici. Gauss invece provò l'esistenza di tali radici, senza preoccuparsi di cal-colarne l'espressione. Per la prima volta si stabiliva l'esistenza di soluzioni esolo successivamente si arontava la questione di determinare i procedimenti ele tecniche per ottenere l'espressione esplicita. Agli inizi dell'Ottocento le duequestioni si separano ed è proprio nello studio delle Equazioni Dierenziali edel Calcolo delle Variazioni che si ottengono i risultati più interessanti, spessosuggeriti anche da considerazioni di natura sica. Di particolare importanzafurono gli studi di Riemann , basati su alcune considerazioni che possiamoriassumere nel modo seguente :Consideriamo una supercie formata da uno strato sottile ed uniforme dimateriale conduttore di elettricità e supponiamo che in essa si generi unacorrente stazionaria dovuta a batterie : il potenziale associato è una soluzionedi un problema al contorno per un equazione dierenziale, che può esserededotta da un problema di minimo : determinare tra tutti i possibili ussi delcampo elettrico quello che produce una minima quantità di calore.A Riemann si deve il merito di aver osservato che un problema dierenzialepoteva essere ricondotto alla ricerca di un minimo di un funzionale integralelegato all'equazione.Il problema di determinare una funzione armonica u, in un dominio Ω con unvalore assegnato sulla frontiera di Ω :

∆u = 0in Ωu = g su ∂Ω

(3.1.1)

si può ricondurre a quello di determinare il minimo del seguente funzionale,detto di Dirichlet :

Page 44: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 3 p. 40

D(u,Ω) =∫Ω

|Du(x)|2 dx,

nella classe delle ammissibili che assumono il valore g su ∂Ω.Riemann era convinto che visto D(u) ≥ 0, poiché il funzionale D è inferior-mente limitato ammetteva minimo e quindi era assicurata l'esistenza dellesoluzioni del problema (3.1.1) e pose questo argomento alla base delle suateoria, che prende il nome di Principio di Dirichlet.Si deve a Weierstrass nel 1869 la critica a tale principio, che solo nel 1900 fuformulato in modo esatto da Hilbert.Il Principio di Dirichlet nella sua formulazione originaria può essere enunciatonel modo seguente :Consideriamo il problema di minimo per il funzionale di Dirichlet :

Inf D(u,Ω), u ∈ U (3.1.2)

nella classe U delle funzioni continue in Ω e regolari a tratti in Ω e tali che u =g su ∂Ω. Il problema ammette una ed una sola soluzione u ∈ C(Ω) ∩ C2(Ω),che è una funzione armonica e risolve il problema dierenziale (3.1.1).Il Principio di Dirichlet è conseguenza della teoria classica del Calcolo delleVariazioni, infatti abbiamo visto che ∆u = 0 è l'equazione di Euler-Lagrangedel funzionale di Dirichlet.Tuttavia quest'osservazione non può da sola costituire la dimostrazione, infattisebbene D sia inferiormente limitato nella classe delle funzioni ammissibili,non è detto che il valore minimo sia assunto, come può essere facilmente vistocon alcuni esempi.

Esempio 6 Consideriamo

I(u) =∫ 1

0

(u(x))2dx

nella classe u ∈ C([0.1]) con u(0) = 0 e u(1) = 1. Ovviamente I ha estremoinferiore uguale a 0 ma non esiste nessuna funzione nella classe delle funzioniammissibili per cui I(u) = 0.

Esempio 7 Consideriamo

I(u) =∫ 1

−1

x4(u′)2dx

nella classe delle funzioni continue e derivabili a tratti tali che u(−1) = −1 eu(1) = 1. Si vede facilmente che la successione : uh(x) = −1 nell'intervallo[−1,− 1

h ), uh(x) = hx nell'intervallo [− 1h ,

1h ) ed uh(x) = 1 per x ∈ [ 1

h , 1] è mi-nimizzante. Infatti l'estremo inferiore del problema è 0 e I(uh) = 2

5h2 . Tuttavianessuna funzione nello spazio delle funzioni ammissibile realizza I(u) = 0.

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Page 45: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 41 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 3

Per determinare i minimi del funzionale integrale bisogna trovare un me-todo che non usi le condizioni necessarie contenute nell'equazione di Euler-Lagrange. Nascono così i Metodi Diretti che si basano sulla nozione di semi-continuità inferiore per successioni.Sia I : U→ IR un funzionale denito in U dotato della topologia τ .

Denizione 3.1. Il funzionale I ,è sequenzialmente semicontinuo inferior-mente per successioni rispetto alla topologia τ , se per ogni successione(uh) ∩U, convergente ad una funzione u0 nella topologia τ , si ha

I(u) ≤ lim infh→∞

I(uh).

Il procedimento dei Metodi Diretti consiste dei seguenti passi :(a) Provare che l'estremo inferiore m di I in U è nito ;(b) Provare l'esistenza di una successione minimizzante di I in U, cioè unasuccessione (uh)h tale che

m = limh→∞

I(uh);

che converge o ammette (almeno) una sottosuccessione convergente ad unafunzione u0 ∈ U ;

(c) Garantire la semicontinuità inferiore del funzionale I.Si ha quindi

I(u0) ≤ lim infh→∞

I(uh) = m.

e si conclude che u0 è un minimo di I in U.Dato un funzionale I inferiormente limitato con estremo inferiore m nellaclasse di competizione è garantita l'esistenza di una successione minimizzante.Tuttavia non è sempre detto che tale successione converga e quando convergenon è detto che la funzione limite appartenga alla classe di competizione.Anche per l'integrale di Dirichlet può sorgere questo tipo di dicoltà.

Esempio 8 Consideriamo D(u) nel cerchio B1 di centro l'origine e raggio1 :

Inf D(u,B1), u = 0 su ∂B1 (3.1.3)

ovviamente m = 0 e la funzione u(x) = 0 in B1 è l'unica soluzione di (3.1.3).È possibile costruire una successione minimizzante di (3.1.3) che non convergein senso classico alla funzione identicamente nulla.Scriviamo D(u,B1) in coordinate polari

D(u,B1) =∫ 2π

0

∫ 1

0

[(∂u

∂r)2 +

1r

(∂u

∂ϑ)2]rdrdϑ

e deniamo la successioneuh(r, ϑ) = Ch log ρh per r < ρ2

h

uh(r, ϑ) = Ch log rρh

per ρ2h ≤ r < ρh

uh(r, ϑ) = 0 per ρh ≤ r ≤ 1(3.1.4)

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Page 46: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 3 p. 42

Si ha che

D(uh, B1) = 2πC2h

∫ ρ

ρ2h

1rdr = −2πC2

h log ρh

È possibile scegliere ρh e Ch in modo tale che limh→∞D(uh, B1) = 0, mentrela successione (uh) non converge in senso classico alla funzione nulla. Infattiper ρh = exp(−h) e Ch = −h− 2

3 si ha

D(uh, B1) = 2π(−h− 43 )(−h) = 2πh−

13

quindi uh è una successione minimizzante tale che uh(0, 0) = −h− 23 (−h) =

h13 , che tende all'innito per h→ +∞. La funzione limite di una successione

minimizzante non sempre determina una soluzione del problema.

Da altra parte l'idea di studiare il problema variazionale per risolvere quellodierenziale non sempre è corretta. Infatti si può vericare che il problemadi minimo non ha soluzione mentre quello dierenziale ha soluzioni. Un casoconcreto è dato dal seguente esempio, dovuto ad Hadamart.

Esempio 9 Consideriamo B1 e su ∂B1 deniamo la funzione continua g =g(ϑ) attraverso una serie di Fourier :

a0

2+

+∞∑h=1

(ah coshϑ+ bh sinhϑ)

non necessariamente convergente. È noto che per r < 1 la soluzione di ∆u = 0nel cerchio Bρ di centro l'origine e raggio 0 < ρ < 1 con u = g sul bordo, sipuò rappresentare attraverso la serie convergente :

u(r, ϑ) =a0

2+

+∞∑h=1

rh(ah coshϑ+ bh sinhϑ)

e nel stesso cerchio

D(u,Bρ) = π

+∞∑h=1

(a2h + b2h)hρ2h

quindi per ogni k

π

k∑h=1

(a2h + b2h)hρ2h ≤ D(u,Bρ) ≤ π

+∞∑h=1

h(a2h + b2h)

facendo tendere ρ→ 1, segue

D(u,B1) = π

+∞∑h=1

h(a2h + b2h) (3.1.5)

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Page 47: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 43 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 3

ed è ben denito se e solo se la serie a secondo membro converge. È possibilecostruire funzioni continue g per cui la serie in (3.1.5) diverge.Deniamo g con i coecienti dello sviluppo di Fourier della forma ah = 0 ebh = h−2 per h = k! altrimenti bh = 0, si ottiene

g(ϑ) =+∞∑k=1

sin(k!ϑ)k2

Consideriamo u dato dalla formula (3.1.5), il relativo funzionale di Dirichletha la forma

D(u,B1) = π

+∞∑h=1

k!k4

= +∞

Il problema dierenziale con questa scelta di dati è risolubile, ma non puòessere ricondotto al problema variazionale, che invece non ammette soluzioni.Possiamo concludere che non vi è completa equivalenza tra i due tipi di pro-blemi.

Un modo per evitare questa dicoltà è quello di restringere la scelta possibiledei dati al bordo considerando dati g che sono la restrizione sul bordo diΩ di funzioni continue e regolari a tratti in Ω e tali che D(g) < +∞. Conquest'ipotesi aggiuntive il Principio di Dirichlet è dimostrabile ma non pertutti i domini.

Esempio 10 Consideriamo il cerchio unitario privato dell'origine B1 e de-niamo la funzione g(r) = 0 per r = 1 e g(r) = 1 per r = 0, che risulta continuasulla frontiera di B1. Il problema di minimo per l'integrale di Dirichlet in B1

InfD(u, B1), u = g su ∂B1

(3.1.6)

non ha soluzione. Si possono infatti costruire delle funzioni che prolunganoil dato g su tutto il cerchio tali che il valore dell'integrale di Dirichlet siaarbitrariamente piccolo. Deniamo per δ > 0 la funzione

uδ(r, ϑ) = 1 per 0 ≤ r ≤ δ2

uδ(r, ϑ) = 1− log rlog δ per δ2 ≤ r ≤ δ

uδ(r, ϑ) = 0 per δ ≤ r ≤ 1(3.1.7)

Si ha che

m = D(uδ, B1) =2π

(log δ)2

∫ δ

δ2

1rdr = − 2π

log δ

quindi m = 0. L'eventuale soluzione deve soddisfare D(u, B1) = 0 e riducen-dosi ad una costante non può assumere il valore g sulla frontiera.

Per stabilire l'esatta formulazione del Principio di Dirichlet dobbiamo tenerconto dei seguenti fatti :

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Page 48: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 3 p. 44

Funzionali inferiormente limitati non è detto che abbiano minimo ; Le successioni minimizzanti possono non convergere al minimo ; Il problema dierenziale è risolubile mentre il problema di minimo non nonha soluzione ;

Se il dominio di integrazione non è regolare il problema di minimo può nonavere soluzione.

Formulazione precisa del Principio di Dirichlet :Siano dati un aperto Ω limitato, con frontiera regolare ed una funzione gcontinua in Ω, regolare a tratti in Ω e tale che D(g) < +∞. Consideriamo ilproblema

Inf D(u,Ω), u = g su ∂Ω (3.1.8)

nella classe delle funzioni continue in Ω, regolare a tratti. Questo problemaha un unica soluzione u che è soluzione del problema dierenziale

∆u = 0 in Ωu = g su ∂Ω

Il Metodo Diretto risulta quindi un metodo indiretto per la risoluzione delleequazioni dierenziali che porta alla ricerca dei minimi di funzionali integrali.Inoltre i metodi diretti si sono rivelati di grande utilità per lo studio dellesoluzioni ottenute come limiti di opportune successioni minimizzanti e nellarealizzazione di procedure numeriche per calcolare i minimi, come ad esempioil Metodo di Ritz.

3.2 Applicazione dei Metodi Diretti

In questa sezione dimostriamo il Principio di Dirichlet nell'ambito degli Spazidi Sobolev.Gli spazi di Sobolev sono particolari spazi di funzioni, la cui denizione fa usodella nozione di derivata debole, che si basa sulla formula di integrazione perparti.Nel seguito Ω denota un aperto limitato di IRn.

Denizione 3.2. Diremo che Ω è un aperto di classe Cm, se per ogni x0 ∈∂Ω esiste un intorno U di x0 ed un applicazione biettiva U → B, dove Bè la sfera n-dimensionale di centro 0 e raggio 1, soddisfacente alle seguenticondizioni :(1)

H ∈ Cm(B) e H−1 ∈ Cm(U)

(2)H(B+) = U ∩Ω e H(B0) = U ∩ ∂Ω

dove B+ = x ∈ B : xn > 0 e B0 = x ∈ B : xn = 0.

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Page 49: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 45 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 3

Se Ω ∈ C1 allora per ogni x0 esiste un unica normale esterna ν(x0).Vale il seguente teorema di Gauss-Green o della divergenza :

Teorema 3.3. Sia Ω ∈ C1 e u ∈ C1(Ω) ∩ C0(Ω) allora∫Ω

Dxiudx =∫∂Ω

uνidσ

In particolare se F(x) = (F1, ..., Fn) è un campo vettoriale denito in Ω diclasse C1(Ω) ∩ C0(Ω) allora vale∫

Ω

div Fdx =∫Ω

n∑i=1

Fxi(x)dx =∫∂Ω

n∑i=1

Fiνidσ

Applicando la relazione precedente al prodotto uv, con u, v ∈ C1(Ω)∩C0(Ω)si ha la Formula di integrazione per parti∫

Ω

vDxiudx =∫∂Ω

uvνidσ −∫Ω

vDxivdx

Se u ∈ C1(Ω), allora per ogni ϕ ∈ C∞0 (Ω) :∫Ω

uϕxi dx = −∫Ω

uxi ϕ dx.

Se u : [a, b] −→ IR, u ∈ L1loc(Ω), allora v è la derivata debole di u, se per ogni

ϕ ∈ C10 [a, b] ∫ b

a

uϕ′ dx = −∫ b

a

v ϕ dx.

Se u ∈ L1loc(Ω), allora ha derivata prima debole se esistono n funzioni

(v1, . . . , vn) appartenenti a L1loc(Ω) tali che :∫

Ω

uϕxi dx = −∫Ω

viϕ dx ∀ϕ ∈ C∞0 (Ω) e ∀i = 1, . . . , n

W 1,p(Ω) è lo spazio delle funzioni u ∈ Lp(Ω) tale che le derivate prime deboliuxi ∈ Lp(Ω) ed è uno spazio di Banach con la seguente norma :

‖u‖1,p =

|u|p +

n∑i=1

∫Ω

|uxi |p dx

1p

. (3.2.9)

In W 1,p(Ω) si deniscono due topologie dierenti : la topologia forte, deter-minata dalla norma e la topologia debole, che deniremo attraverso la conver-genza delle successioni di funzioni, anche se va osservato che non è una topo-logia metrizzabile.

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Page 50: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 3 p. 46

Si dice che (uh) ⊂ W 1,p(Ω) converge debolmente a u in W 1,p(Ω), uh u, se

per ogni v ∈ Lq(Ω) e per i = 1, ..n1p

+1q

= 1, si ha

limh

∫Ω

uh v dx =∫Ω

u v dx ⇐⇒ uh u in Lp(Ω);

limh

∫Ω

(uh)xi v dx =∫Ω

uxi v dx ⇐⇒ (uh)xi uxi in Lp(Ω).

La convergenza debole e la topologia forte sono legati dalla seguente pro-prietà, che generalizza il teorema di Bolzano-Weierstrass valido negli spazi adimensione nita :

Teorema 3.4. Data (uh) una successione di elementi di W 1,p, p > 1, taleche ‖uh‖1,p ≤M , allora esiste un'estratta che converge nella topologia debolein W 1,p(Ω) a una funzione u.

Vale inoltre il seguente Teorema di Immersione compatta di Rellich :

Teorema 3.5. Supponiamo che Ω sia un aperto regolare e p > 1, l'immer-sione di W 1,p in Lp(Ω) è compatta : ogni successione limitata nella norma diW 1,p(Ω) ha un estratta che converge in Lp(Ω) rispetto la convergenza forte.

Lo spazio W 1,p0 (Ω) denisce la chiusura di C1

0 (Ω) rispetto alla norma diW 1,p(Ω) ed è uno spazio di Banach munito della norma di W 1,p(Ω).Le funzioni diW 1,p

0 (Ω) sono in qualche senso le funzioni che si annullano sullafrontiera di Ω, anche se è estremamente delicato precisare questa aermazionedal momento che le funzioni che appartengono agli spazi di Sobolev sono quasiovunque denite. Tuttavia valgono queste due caratterizzazioni delle funzionidi W 1,p

0 (Ω) :

Teorema 3.6. Sia u ∈W 1,p con supporto compatto e contenuti in Ω. Allorau ∈W 1,p

0 .

Teorema 3.7. Supponiamo che Ω abbia frontiera regolare e u ∈ W 1,p(Ω) ∩C(Ω). Le seguenti proprietà sono equivalenti u = 0 in Ω u ∈W 1,p

0 (Ω)

Teorema 3.8. Disuguaglianza di Poincaré : Sia u ∈ W 1,p0 (Ω), esiste una

costante C = C(Ω, p), dipendente da Ω e da p tale che∫Ω

|u(x)|2dx ≤ C(Ω, p)∫Ω

|Du(x)|2dx (3.2.10)

La disuguaglianza di Poicaré assicura che in W 1,p0 (Ω), la norma di W 1,p è

equivalente alla norma in Lp del solo gradiente.

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Page 51: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 47 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 3

Diamo la formulazione variazionale del Principio di Dirichlet nello spazio diSobolev W 1,p

0 , che corrisponde al caso di dato al bordo g = 0. Assegnata unafunzione f ∈ L2(Ω), consideriamo il problema di minimo per il funzionale diDirichlet perturbato

m = InfI(u) =

∫Ω

|Du|2dx+∫Ω

fudx, u ∈W 1,20 (Ω)

(3.2.11)

Teorema 3.9. Il problema (3.2.11) ha un unica soluzione

Dimostrazione. Sia w ∈ W 1,p0 (Ω), dalla disuguaglianza di Holder per le fun-

zioni di L2(Ω) si ha ∫Ω

fwdx ≥ −||f ||L2 ||w||L2

per ogni ε > 0 dalla disuguaglianza (3.2.10) segue

||f ||L2 ||w||L2 ≤ ε2||w||2L2 +1ε2||f ||2L2 ≤ Cε2||Dw||2L2 +

1ε2||f ||2L2

si ha

I(w) ≥∫Ω|Dw|2dx− Cε2

∫Ω|Du|2dx|2dx− 1

ε2

∫Ω|f |2dx

≥ (1− Cε2)∫Ω|Dw|2dx− 1

ε2

∫Ω|f |2dx

(3.2.12)

scegliendo ε sucientemente piccolo, (1− Cε2) > 0, segue

I(w) ≥ −C∫Ω

|f |2dx

quindi I è inferiormente limitato in W 1,p0 (Ω). Sia (uh) una successione mini-

mizzante : limh→+∞ I(uh) = m, poichè

I(uh) ≥ (1− Cε2)∫Ω

|Duh|2dx−1ε2

∫Ω

|f |2dx

segue che (Duh) è una successione limitata nella norma di L2 e ancora perla disuguaglianza di Poincaré (3.2.10) anche nella norma di W 1,2

0 (Ω). Per ilTeorema 3.4 esiste un estratta, che denoteremo ancora con (uh), che convergenella topologia debole diW 1,2

0 (Ω) ad u ∈W 1,20 (Ω). Si ha poi che (uh) converge

ad u nella topologia forte della norma di L2 , per il teorema di immersione diRellich 3.5. Proviamo che∫

Ω

|Du|2dx ≤ lim infk→∞

∫Ω

|Duh|2dx (3.2.13)

Poiché la funzione f(z) = |z|2 è convessa in z ∈ Rn, si ha

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Page 52: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 3 p. 48

f(z)− f(z) ≥n∑i=1

fzi(z)(zi − zi)

e quindi

f(Duh)− f(Du) ≥n∑i=1

fzi(Dxi u)(Dxiuh −Dxi u)dx (3.2.14)

Integrando su Ω∫Ω

|Duh|2dx ≥∫Ω

|Du|2dx+∫Ω

n∑i=1

(Dxi u)(Dxiuh −Dxi u)dx

Dal momento che Du ∈ L2(Ω) e Dxiuh − Dxi u tende a 0 nella topologiadebole di L2(Ω) l'ultimo integrale in (3.2.14) tende a 0.La relazione (3.2.13) dice che

∫Ω|Du|2 è un funzionale inferiormente semicon-

tinuo per successioni rispetto alla convergenza debole di W 1,20 (Ω). Da altra

parte

|∫Ω

f(uh − u)dx| ≤∫Ω

|f |(uh − u)dx ≤ ||uh − u||L2 ||f ||L2

e poiché (uh) converge a u nella convergenza forte di L2(Ω)

limk→∞

∫Ω

fuhdx =∫Ω

fudx,

quindiI(u) ≤ lim inf

k→∞I(uh)

Proviamo che u è l'unica soluzione del problema. Supponiamo che esista unaltra soluzione v tale che I(u) = I(v) = m. Deniamo la funzione w = 1

2 u+ 12 v,

dalla stretta convessità di f(z) = |z|2 e dal fatto che∫Ωfudx è lineare, segue

m ≤ I(w) <12I(u) +

12I(v) = m

che implica che anche w è minimo e che

12|Du|2 +

12|Dv|2 = |Dw|2 = |1

2Du+

12Dv|2

da cui Du = Dv quasi ovunque in Ω e quindi u − v è costante e poichèu− v ∈W 1,2

0 (Ω), segue che u− v = 0 quasi ovunque in Ω.

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Page 53: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 49 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 3

3.3 Problemi di Minimo nella classe delle funzioni di

Lipschitz

Nel seguito Ω denota un aperto limitato di IRn e C0,1(Ω) lo spazio dellefunzioni di Lipschitz costituito dalle funzioni continue in Ω tali che

|u(x)− u(y)| ≤ L|x− y| per ogni x ∈ Ω.

La più piccola costante L per cui vale la relazione precedente è detta costantedi Lipschitz della funzione u e si indica con [u]0,1 :

[u]0,1 = supx6=y

|u(x)− u(y)||x− y|

Lo spazio C0,1(Ω) è uno spazio di Banach munito della norma :

||u||0,1 = ||u||∞ + [u]0,1

Le funzioni di C0,1(Ω) sono in particolare di classe C0(Ω) e quasi ovunquederivabili in Ω con derivata in L∞.Consideriamo il seguente problema variazionale delle Superci Minime nonParametriche :

Problema 2 Assegnata ϕ ∈ C0,1(∂Ω), determinare il minimi del funzionale

I(u) =∫Ω

√1 + |Du(x)|2 dx (3.3.15)

fra tutte le funzioni u ∈ C0,1(Ω), con u = ϕ su ∂Ω

Osserviamo che il funzionale I è ben denito in u ∈ C0,1(Ω), dal momentoche tali funzioni sono q.o. dierenziabili con derivata in L∞. Inoltre se il datoϕ ∈ C0,1(∂Ω) la classe delle funzioni u ∈ C0,1(Ω) con u = ϕ su ∂Ω è nonvuota.Tuttavia il problema precedente non ha soluzioni per ogni aperto limitato Ωe per ogni dato al bordo ϕ, come si può vedere dal seguente

Problema 3 Problema di Bernstein. Sia C la corona circolare di IR2 diraggi 1 e 2 per α > 0 deniamo

ϕα(x, y) = 0 se x2 + y2 = 4ϕα(x, y) = α se x2 + y2 = 1 (3.3.16)

e consideriamo il seguente problema di minimo :

(Pα) InfI(u) =

∫∫C

√1 + |Du(x, y)|2 dx dy, u ∈ C0,1(C), u = ϕα su ∂C

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Page 54: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 3 p. 50

Proviamo dapprima che se uα è una soluzione del problema (Pα) allora deveavere simmetria radiale uα(x, y) = vα(r) dove r =

√x2 + y2, r ∈ [1, 2], con

vα(1) = α e vα(2) = 0. Per u ∈ C0,1(C) e per 1 ≤ r ≤ 2 deniamo

u(r) =1

∫ 2π

0

u(r, ϑ)dϑ

Proviamo cheI(u) ≤ I(u)

Infatti dal teorema di derivazione sotto il segno di integrale si ha :

I(u) = 2π∫ 2

1

√1 +

[1

∫ 2π

0

urdϑ

]2

rdr

Dalla disuguaglianza di Jensen applicata alla funzione convessa g(t) =√

1 + t2,segue che :

I(u) ≤∫ 2π

0

∫ 2

1

[√1 + u2

r +1r2uϑ

]rdrdϑ = I(u)

Possiamo allora limitarci a considerare la classe delle funzioni Lipschitziane asimmetria radiale v = v(r) tali che v(1) = α e v(2) = 0 ed il funzionale I hala forma

I(v) = 2π∫ 2

1

√1 + v′2(r)rdr.

Se v = vα(r) è una soluzione del problema di minimo (Pα) deve essere solu-zione dell'equazione di Euler-Lagrange :

d

dr

[rv′α√1 + v′2α

]= 0

da cui seguerv′α = c1

√1 + v′2α

con c1 ∈ IR e quindi(r2 − c21)v′2α = c21

v′α(r) =+−

c1√r2 − c21

Si vede facilmente che vα non può essere crescente in un intervallo contenutoin [1, 2]. In questo caso esisterebbe un sottointervallo in cui vα è concava esostituendo ai valori di vα il segmento di retta orizzontale, con derivata nulla,nel tratto concavo, si diminuirebbe il valore del funzionale I. Quindi v′α < 0 e

v′α = − 1√r2

c21− 1

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Page 55: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 51 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 3

integrando

vα = c1 logc2

r +√r2 − c21

con c1 e c2 costanti reali, che sono determinate dai valori agli estremi. Dallacondizione vα(2) = 0 segue che c2 = 2 +

√4− c21 e quindi

α = vα(1) = c1 log2 +

√4− c21

1 +√

1− c21Ricordando che |c1| ≤ 1, si ha che l'uguaglianza precedente stabilisce unacondizione sull'ampiezza di α, infatti poiché la funzione

h(t) = t log2 +√

4− t2

1 +√

1− t2

è crescente , si deve avere :

c1 log2 +

√4− c21

1 +√

1− c21≤ log(2 +

√3) = α0.

Se α > α0 non esiste una soluzione di classe C0,1, infatti la condizione sullacirconferenza interna può essere vericata solo se α ≤ α0. L'esempio di Bern-stein ha anche un signicato geometrico. Se α > α0, la supercie minima nonè cartesiana e è costituita dal graco della funzione vα0(r) e dalla porzionedel cilindro verticale che ha come base la circonferenza interna di raggi 1,compresa tra i livelli α e α0.Il problema delle superci cartesiane di area minima non ammette sempresoluzioni, è necessario assegnare delle condizioni sull'aperto di denizione Ωe sul dato ϕ.Nel seguito poniamo C0,1(Ω,ϕ) la classe delle funzioni u ∈ C0,1(Ω) che assu-mono su ∂Ω il valore ϕ ∈ C0,1(∂Ω).Dal momento che la funzione integranda f(z) =

√1 + z2 nel problema (3.3.15)

è strettamente convessa e di classe C1(IRn), consideriamo la forma generaledel problema

Problema 4 Assegnata una funzione f : IR −→ IR, f ∈ C1(IRn), stretta-mente convessa, Ω un aperto limitato e ϕ ∈ C0,1(∂Ω), determinare la fun-zione u0 soluzione del problema variazionale :

(PΩ,ϕ) InfI(u) =

∫Ω

f(Du)dx, u ∈ C0,1(Ω,ϕ)

Nel seguito del paragrafo dimostreremo, utilizzando il procedimento dei Me-todi Diretti. che sotto opportune ipotesi su Ω e ϕ, il problema (PΩ,ϕ) ha ununica soluzione.I risultati sono dovuti a Haar, Radò e Bernstein, nel caso di due dimensioniintorno al 1930 e sono stati poi ripresi in seguito e completati da P. Hartmann,G. Stampacchia, D. Gilbarg e M. Miranda tenta anni dopo.

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Page 56: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 3 p. 52

La scelta dello spazio C0,1 è strettamente legata al procedimento dei MetodiDiretti. Dal momento che l'eventuale minimo deve essere il limite di una suc-cessione minimizzante, la limitatezza nella norma di C0,1 di tale successionepermette di utilizzare il Teorema di compattezza di Ascoli-Arzelà e otteneresucessioni estratte uniformemente convergenti.

Teorema 3.10. Sia K un insieme compatto di IRn e H un sottoinsieme limi-tato di C0(K). Se gli elementi di H sono equilimitati ed equicontinui e cioè :

Per ogni u ∈ H e ε > 0 esiste δ > 0 tale che per ogni coppia di di elementix, x′ di K con |x− x′| < δ si ha |u(x)− u(x′)| < ε

allora H è un sottinsieme compatto in C0(K).

L'applicazione del procedimento dei Metodi Diretti al problema (PΩ,ϕ) è poigarantita dal seguente teorema di semicontinuità inferiore.

Teorema 3.11. Assegnata un aperto limitato Ω di IRn e una funzione f ∈C1(IRn) convessa, il funzionale

I(u) =∫Ω

f(Du)dx

è inferiormente semicontinuo rispetto alla topologia delle convergenza uni-forme nei limitati di C0,1(Ω).

Dimostrazione. Sia R > 0, indichiamo con VR(Ω) il sottoinsieme limitato diC0,1(Ω) denito da

VR(Ω) =u ∈ C0,1(Ω), ||u||0,1 ≤ R

Sia (uh) ∩ VR(Ω), dal Teorema di Ascoli-Arzelà esiste un asottosuccessione,che continuiamo a denotare con (uh), e u ∈ VR(Ω) tale che (uh) convergeuniformemente a u in Ω. Poiché f è di classe C1 ed è convessa si ha :

I(uh)− I(u) ≥∫Ω

n∑i=1

fzi(Du)(Dxiuh −Dxiu)dx

Consideriamo la funzione sommabile inΩ, x ∈ Ω −→ (fz1(Du(x), ....fzn(Du(x))),dal teorema di densità può essere approssimata nella norma di L1(Ω) da fun-zioni continue con derivata prima continua ed a supporto compatto in Ω ecioè per ogni ε > 0 esiste una φε = (φ1

ε, ..., φnε ), tale che∫

Ω

|fzi(Du)− φiε|dx < ε

per ogni i = 1, 2, .., n. Allora∫Ω

∑ni=1 fzi(Du)(Dxiuh −Dxiu)dx = J1 + J2

=∫Ω

(Dfz(Du)− φε)Dxi(uh − u)dx+∫Ω

∑ni=1 φ

iεDxi(uh − u)dx

(3.3.17)

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Page 57: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 53 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 3

Poiché uh, u ∈ VR(Ω) si ha J1 ≤ ε2Rn.Osserviamo poi che

div(φε(u− uh)) =n∑i=1

φiεDxi(uh − u)dx+n∑i=1

Dxiφiε(uh − u)

segue che∫Ω

n∑i=1

φiεDxi(uh − u)dx =∫Ω

div(φε(uh − u))dx−n∑i=1

Dxiφiε(uh − u).

e dal teorema della divergenza :∫Ω

div(φε(u− uh))dx =∫∂Ω

(uh − u)φενdσ −∫Ω

(uh − u) div φεdx

Poiché φε è nulla sul bordo di Ω, si ha che il primo integrale è nullo. Si puòconcludere che

|∫Ω

n∑i=1

φiεDxi(uh − u)dx| ≤ C||u− uh||∞

passando al limite per h→ +∞, dal momento che la successione (uh) convergeuniformemente a u in Ω si ha

lim infh

[I(uh)− I(u)] ≥ −2εRn

e dall'arbitrarietà di ε, segue la semicontinuità di I :

lim infh

I(uh) ≥ I(u)

Osservazione 3.12. Dal teorema di semicontinuità dimostrato ed il teorema diAscoli-Arzelà assicurano, utilizzando il procedimento dei Metodi Diretti, cheil problema di minimo (PΩ,ϕ) ha soluzione se ci restrigiamo alla classe

VR(Ω,ϕ) = u ∈ VR(Ω) : u = ϕ su ∂Ω

L'insieme VR(Ω,ϕ) è infatti compatto nella topologia della convergenza uni-forme quindi ogni successione minimizzante ha un estratta che converge aduna funzione uR ∈ VR(Ω,ϕ) e la proprietà di semicontinuità provata nel pre-cedente teorema assicura che uR è minimo.

Osservazione 3.13. Sia uR il minimo del funzionale I nella classe VR(Ω,ϕ), sesoddisfa la stretta disuguaglianza

||uR|| < R

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Page 58: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 3 p. 54

allora uR è minimo di I in tutta la classe delle funzioni v ∈ C0,1(Ω,ϕ).Deniamo vt = uR + t(v − uR), ovviamente vt = uR = ϕ su ∂Ω e per tsucientemente piccolo ||vt|| ≤ R, quindi vt ∈ VR(Ω,ϕ). Dalla convessità delfunzionale I segue :

I(uR) ≤ I(vt) ≤ (1− t)I(uR) + tI(v)

da cui seguetI(uR) ≤ tI(v)

e quindi la funzione uR è minimo di I su tutto C0,1(Ω,ϕ).

L'esistenza di soluzioni per il problema (PΩ,ϕ) è quindi ricondotto alla ricercadi maggiorazioni a priori per la norma di Lipschitz per le soluzioni di (PΩ,ϕ).Se si suppone che esistano C0 e R0 due costanti positive tali che ogni soluzioneu0

(i) ||u0||∞ ≤ C0,(ii) [u0]0,1 ≤ R0,Sia uR il minimo di I nella classe VR(Ω,ϕ) con R > R0. per (ii) uR soddisfala condizione [u0]0,1 ≤ R0 < R e quindi è minimo in tutto C0,1.

3.4 Maggiorazioni a priori

Consideriamo il problema (PΩ,ϕ), con f strettamente crescente e di classeC1(IRn) e ϕ ∈ C0,1(∂Ω). La stretta convesità delle funzione integranda fimplica che se il problema ammette una soluzione essa è unica. Diamo oraalcune proposizioni che stabiliscono le proprietà dell'eventuale soluzione di(PΩ,ϕ).

Proposizione 3.14. Sia u una soluzione di (PΩ,ϕ), allora per ogni apertoA ⊂⊂ Ω sia ha che u è soluzione del problema (PA,u) cioè del funzionale Idenito in A con il dato u sul bordo di A.

Dimostrazione. Sia v ∈ C0,1(A) con v = u su ∂A. Deniamo la funzionew(x) = v(x) per x ∈ A e w(x) = u(x) per x ∈ Ω − A. La funzione w ècontinua e lipschitziana in Ω e nei punti di Ω − A o w non è dierenziabileoppure Dw = Du e dunque∫

Ω

f(Dw)dx =∫A

f(Dv)dx+∫Ω−A

f(Du)dx

inoltre poichè w = u = ϕ sul bordo di Ω e u è soluzione del problema in Ωsegue che∫

Ω

f(Du)dx =∫A

f(Du)dx+∫Ω−A

f(Du)dx ≤∫Ω

f(Dw)dx

quindi ∫A

f(Du)dx ≤∫A

f(Dv)dx

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Page 59: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 55 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 3

Proposizione 3.15. Siano ϕ1 e ϕ2 due funzioni di classe C0,1(∂Ω) conϕ1 ≤ ϕ2 su ∂Ω. Se u1 e u2 sono soluzioni dei problemi (PΩ,ϕ1) e (PΩ,ϕ2)rispettivamente allora u1 ≤ u2 in Ω.

Dimostrazione. Supponiamo che l'aperto A = x ∈ Ω;u1 > u2 sia nonvuoto. L'aperto A è contenuto propriamente in Ω e inoltre u1 = u2 su ∂A.Per la proposizione precedente segue che u1 e u2 sono due minimi distinti delfunzionale I denito in A con lo stesso dato al bordo. Poiché I è strettamenteconvesso segue che A è vuoto.

Consideriamo ora il caso che il dato al bordo ϕ sia la restrizione a ∂Ω di unafunzione ane denita in IRn.

Proposizione 3.16. Sia ϕ la restrizione a ∂Ω di una funzione ane ϕ de-nita in IRn, ϕ = a+ < z0, x >, per x ∈ IRn. Allora ϕ è l'unica soluzione delproblema (PΩ,ϕ).

Dimostrazione. Dalla stretta convessità :

f(z) > f(z0) +n∑i=1

fzi(z0)(zi − z0i)

quindi, tenendo conto che in Ω vale Dϕ = z0, se v ∈ C0,1(Ω) con v = ϕ sulbordo di Ω

f(Dv(x)) > f(z0) +n∑i=1

fzi(z0)(Dxiv − z0i)

per ogni x ∈ Ω tale che Dv(x) 6= z0 = Dϕ(x). Supponiamo che v(x) 6= ϕ(x)su un sottoinsieme di Ω di misura positiva, integrando su Ω si ottiene∫

Ω

f(Dv)dx >∫Ω

f(Dϕ) +n∑i=1

∫Ω

fzi(z0)(Dxiv − z0i)

Dal teorema della divergenza

n∑i=1

∫Ω

fzi(z0)(Dxiv − z0i) =∫∂Ω

(v − ϕ)fz(z0)νdσ

Poiché v = ϕ sul bordo di Ω, segue∫Ω

f(Dv)dx >∫Ω

f(Dϕ)dx

Il seguente Teorema è noto come Principio del Massimo

Teorema 3.17. Sia ϕ ∈ C0,1(∂Ω) e sia u una soluzione di (PΩ,ϕ), allora perogni x ∈ Ω si ha

min∂Ω

ϕ ≤ u(x) ≤ max∂Ω

ϕ (3.4.18)

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Page 60: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 3 p. 56

Dimostrazione. Poniamo m = min∂Ω ϕ e M = max∂Ω ϕ e consideriamo i dueproblemi

(PΩ,m) InfI(u), u ∈ C0,1(Ω), u = m su ∂Ω

e

(PΩ,M ) InfI(u), u ∈ C0,1(Ω), u = M su ∂Ω

Dalla proposizione 3.16, si ha che le funzioni costanti u1 = m e u2 = Msono le soluzioni dei problemi (PΩ,m) e (PΩ,M ) rispettivamente. Allora poichèm ≤ ϕ(x) ≤M su ∂Ω si ha per la proposizione 3.15 segue (3.4.18).

Proposizione 3.18. Sia u una soluzione del problema (PΩ,ϕ) allora vale laseguente maggiorazione :

[u]0,1 = Sup|u(x)− u(y)||x− y|

: x ∈ Ω, y ∈ ∂Ω

(3.4.19)

Dimostrazione. Siano x1 e x2, x1 6= x2 e poniamo τ = x1 − x2 e deniamo lafunzione in Ωτ = x ∈ Ω : x+ τ ∈ Ω

uτ (x) = u(x+ τ)

Si prova che uτ è minimo di I in Ωτ , infatti sia v ∈ C0,1(Ωτ ) con v = uτ su∂Ω, per x ∈ Ω consideriamo la funzione v(x) = v(x− τ), si ha∫

Ωτ

f(Dv)dy =∫Ω

f(Dv)dx ≥∫Ω

f(Du)dx =∫Ωτ

f(Duτ )dy

Sia A = Ω ∩ Ωτ , sottoinsieme aperto e non vuoto di Ω,x1 ∈ A. Per la pro-posizione 3.14, le funzioni u e uτ sono soluzioni del problema di minimo in Aper il funzionale I con u e uτ rispettivamente come dati al bordo. Proviamo :

maxA|u− uτ | = max

∂A|u− uτ | (3.4.20)

Sia M = max∂A |u − uτ |, osserviamo che uτ + M minimizza il funzionale Inella classe C0,1(A) con v = uτ + M su ∂A. Poiché u ≤ uτ + M su ∂A, perla proposizione 3.15 segue u ≤ uτ + M in A. In modo analogo si prova cheuτ ≤ u+M e quindi (3.4.20). Dal fatto che x1 ∈ A, si ha

|u(x1)−u(x2)| = |u(x1)−uτ (x1)| ≤ max∂Ω|u(x)−u(x+τ)| = |u(x0)−u(x0 +τ)|

con x0 ∈ ∂A. da altra parte poiché ∂A = (∂Ω ∩ Ωτ ) ∪ (Ω ∩ ∂Ωτ ) necessa-riamente o x0 ∈ ∂Ω oppure x0 ∈ ∂Ω e dunque indicando con L il secondomembro di (3.4.19), per x1, x2 ∈ Ω, si ottiene :

|u(x1)− u(x2)| ≤ L|x1 − x2|

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Page 61: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 57 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 3

Introduciamo la condizione Condizione di pendenza limitata con cos-tante L0 da imporre sul dato al bordo ϕ per stabilire la maggiorazione apriori.Indicheremo tale condizione con (B.S.C.)(Bounded slope condition)

Denizione 3.19. Diremo che una funzione ϕ ∈ C0,1(∂Ω) soddisfa la (B.S.C,),se per ogni x0 ∈ ∂Ω esistono due funzioni ani denite da

w+(x0, x) =< a+(x0), x− x0 > +ϕ(x)

w−(x0, x) =< a−(x0), x− x0 > +ϕ(x)

tali che||w+||0,1 ≤ L0 ||w+||0,1 ≤ L0

(o in modo equivalente ||a+||, ||a−|| ≤ L0) e per x ∈ ∂Ω

w−(x0, x) ≤ ϕ(x) ≤ w+(x0, x) (3.4.21)

Inne per x0, in (3.4.21) vale l'uguaglianza.

La condizione di (B.S.C.) signica che per ogni punto x0 ∈ ∂Ω esistono dueiperpiani passanti per il punto (x0, ϕ(x0)) con pendenza limitata indipenden-temente da x0, in modo che la supercie (x, ϕ(x)), sia compresa interamentetra i due iperpiani.Osserviamo che se ϕ è la restrizione all'aperto Ω di una funzione ane. ϕ sod-disfa la condizione (B.S.C.). In generale quando ϕ non è la restrizione di unafunzione ane, allora l'esistenza di un dato che soddisfa la (B.S.C.), implicaalcune condizioni di regolarità sull'aperto Ω e precisamente si deve avere chesia convesso. Infatti in questo caso le due funzioni w−(x0, x) e w+(x0, x) sonodistinte e quindi deve risultare per ogni x ∈ ∂Ω

< (a+ − a−), x− x0 >≥ 0.

Si può provare che per ogni x0 ∈ ∂Ω passa un piano d'appoggio e quindi Ω èconvesso.La convessità di Ω non è tuttavia suciente a garantire l'esistenza di un datosoddisfacente la (B.S.C.).Si può inoltre stabilire un legame tra la regolarità della funzione ϕ e di ∂Ω edil fatto che essa soddis la (B.S.C.).Valgono infatti i seguenti teoremi :

Teorema 3.20. (Hartman,1964) Sia Ω un aperto limitato e convesso di IRn

e sia ϕ una funzione denita su ∂Ω vericante la (B.S.C.). Allora se ∂Ω è diclasse C1 si ha che anche ϕ ∈ C1(∂Ω). Inoltre se ∂Ω è di classe C1,α ancheϕ ∈ C1,α(∂Ω).

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Page 62: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 3 p. 58

Teorema 3.21. (M.Miranda,1965) Sia Ω un aperto limitato e uniformementeconvesso di IRn :Per ogni x0 in ∂Ω esiste un iperpiano πx0 passante per x0 e tale che per ognix ∈ ∂Ω la distanza di x dall'iperpiano sia maggiore o uguale al quadrato delladistanza di x da x0 e cioè :

dist(x, πx0) ≥ C|x− x0|2 C > 0

Allora ogni funzione ϕ ∈ C2(IRn) soddisfa la (B.S.C.) su ∂Ω.

Assegnata al dato al bordo la (B.S.C.) si dimostra la seguente maggiorazionea priori.

Proposizione 3.22. Sia ϕ soddisfacente la (B.S.C.) con costante L0 e sia uuna soluzione del problema (PΩ,ϕ) allora per ogni x, y in Ω si ha

|u(x)− u(y)| ≤ L0|x− y| (3.4.22)

Dimostrazione. Siano x, y ∈ ∂Ω , (3.4.22) è una diretta conseguenza della(B.S.C.), infatti

w+(x, y) =< a+(x, y), y − x > +ϕ(x) ≥ ϕ(y)

ew−(x, y) =< a−(x, y), y − x > +ϕ(x) ≤ ϕ(y)

e dal fatto che ||a+||, ||a+|| ≤ L0, segue

ϕ(y)− ϕ(x) ≤< a+(x, y), y − x >≤ L0||y − x||

ϕ(x)− ϕ(y) ≤< a−(x, y), x− y >≤ L0||y − x||

Da altra parte dalla (B.S.C.) per ogni ssato x ∈ ∂Ω segue che per ogni altroy ∈ ∂Ω :

w−(x, y) ≤ ϕ(y) ≤ w+(x, y)

Per la proposizione 3.16 le funzioni ani w− e w+ sono gli unici minimi delfunzionale I nella classe delle funzioni C0,1(Ω) che assumono il valore w− ew+ rispettivamente su ∂Ω, allora dal Principio del Massimo, Teorema 3.17 :

w−(x, y) ≤ ϕ(y) ≤ w+(x, y) y ∈ Ω

Consideriamo x ∈ ∂Ω e y ∈ Ω, si ha

u(x)−u(y) = ϕ(x)−u(y) ≤ ϕ(x)−w−(x, y) =< a−(x, y), x− y >≤ L0|x− y|

u(y)− u(x) = u(y)− ϕ(x) ≤ w+(x, y)− ϕ =< a+(x, y), x− y >≤ L0|x− y|

cui segue (3.4.22) per x ∈ ∂Ω e y ∈ Ω. Dalla proposizione 3.18 segue la tesi.

Siamo ora in grado di provare il teorema di esistenza ed unicità.

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Page 63: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 59 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 3

Teorema 3.23. Assegnati una funzione f ∈ C1(IRn) strettamente convessa,Ω un aperto convesso e limitato di IRn e ϕ ∈ C1,0(∂Ω) soddis la (B.S.C.)con costante L0, esiste una ed una u0 sola soluzione del problema (PΩ,ϕ).Inoltre, x ∈ Ω

min∂Ω

ϕ ≤ u0(x) ≤ max∂Ω

ϕ (3.4.23)

e per ogni x, y ∈ Ω|u(x)− u(y)| ≤ L0|x− y| (3.4.24)

Dimostrazione. Sia VL(Ω,ϕ) il sottoinsieme di C1,0(Ω,ϕ) costituito dalle fun-zioni v ∈ C1,0(Ω) tali che [v]0,1 ≤ L e v = ϕ su ∂Ω. Proviamo che se ϕ soddisfala (B.S.C.) con costante L0 allora VL0(Ω,ϕ) è non vuoto. e quindi per ogniL ≥ L0 anche VL(Ω,ϕ) 6= Φ.Deniamo v0(x) come l'estremo inferiore dei valori w(x), al variare di w nellaclasse delle funzioni ane in Ω, [w]0,1 ≤ L0 e tali che w ≥ ϕ sul bordo di Ω :

v0(x) = Inf w(x) : w ane [w]0,1 ≤ L0 w ≥ ϕ su ∂Ω

L'insieme considerato è non vuoto, dal momento che w+ della condizione(B.S.C.) vi appartiene ed è inferiormente limitato, infatti per x ∈ Ω e y ∈ Ω

|w(x)− w(y)| ≤ L0|x− y| ≤ L0 diamΩ

e quindi

w(y) ≥ w(x)− L0 diamΩ ≥ ϕ(x)− L0 diamΩ ≥ min∂Ω

ϕ− L0 diamΩ

Proviamo che v0 ∈ C1,0(Ω) con [v]0,1 ≤ L0. Fissati y ∈ Ω e ε > 0 esiste wfunzioni ane in Ω tale che [w]0,1 ≤ L0 e w ≥ ϕ sul bordo di Ω per cui :

v0(y) ≥ w(y)− ε

. Per ogni altro x ∈ Ω

v0(x)− v0(y) ≤ w(x)− w(y) + ε ≤ L0|x− y|+ ε

e per ε→ 0 seguev0(x)− v0(y) ≤ L0|x− y|

Scambiando x con y si ottiene [v]0,1 ≤ L0.Dalla denizione segue che v0 ≥ ϕ su ∂Ω. Fissato x ∈ ∂Ω, per la (B.S.C.),esiste una funzione w+(x, .) per cui

v0(x) ≤ w+(x, x) = ϕ(x)

e quindi v0 = ϕ. Proviamo ora che gli elementi di VL0(Ω,ϕ) 6= Φ oltre adessere equicontinui sono anche equilimitati in Ω. Sia v ∈ VL0(Ω,ϕ) e x ∈ Ω ey ∈ ∂Ω :

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Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 3 p. 60

|v(x)| ≤ |v(x)− v(y)|+ |v(y)| ≤ L0|x− y|+ |ϕ(y)| ≤ L0 diamΩ + max∂Ω

ϕ

Dal Teorema di Ascoli-Arzelà segue che VL0(Ω,ϕ) è un sottoinsieme compattonella topologia della convergenza uniforme. Dall'osservazione 3.12 il problemadi minimo per il funzionale I nella classe VL(Ω,ϕ) per L > L0, ha un unicominimo, e dal principio del massimo e dalla maggiorazioni a priori

min∂Ω

ϕ ≤ u0(x) ≤ max∂Ω

ϕ (3.4.25)

[uo]0,1 ≤ L0 < L (3.4.26)

Dall'osservazione 3.13 segue che u0 è soluzione del problema (PΩ,ϕ), che risultaunico per la stretta convessità di I.

Osservazione 3.24. Osserviamo che se f è solo convessa in z si può dimostrareche il problema ammette almeno una soluzione.Consideriamo, al variare di h i funzionali

Ih(u) =∫Ω

[f(Du) +1h|Du|2]dx

ed la famiglia di problemi (PhΩ,ϕ) relativa ai funzionali Ih nella classe dellefunzioni v ∈ C0,1(Ω) con il valore ϕ sul bordo. Per ogni ssato h il problemaammette una ed una sola soluzione uh, dal momento che fh(z) = f(Du) +1h |Du|

2 è una funzione strettamente convessa ed inoltre dalle proposizioni 3.17e 3.22 si ha

maxΩ|uh| ≤ C e [uh]0,1 ≤ L0

con C e L0 dipendono solo dal dato al bordo ϕ. Segue che la successione (uh) èequilimitata ed equicontinua e quindi dal Teorema di Ascoli-Arzelà la famigliaha un estratta, che denotiamo ancora con (uh), che converge uniformementein Ω ad una funzione u0 ∈ C0,1(Ω). Poiché Ih è semicontinuo inferiormenterispetto alla convergenza uniforme segue che

I(u0) ≤ Ih(u0) ≤ lim infhIh(uh)

e quindi poiché uh è minimo di Ih, si ha anche per ogni v ∈ C0,1(Ω) con v = ϕsul bordo di Ω

I(u0) ≤ lim infh

∫Ω

[f(Duh) +1h

∫Ω

|Duh|2]dx ≤ lim infh

∫Ω

[f(Dv) +1h|Dv|2]dx

e per h→ +∞ segue I(u0) ≤ I(v).Si può vedere che l'insieme delle soluzioni è un sottoinsieme convesso e chiusodi C0,1(Ω).

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4

Teoria del Rilassamento e Problemi non convessi

4.1 Teoria del Rilassamento

Consideriamo un problema di minimo nella forma generale

(PX,I) m = Inf I(u); u ∈ X .

dove I è un funzionale reale e X è uno spazio metrico. Quando succede cheI non è semicontinuo inferiormenete o che X non è completo in una datatopologia per altri versi si rivela particolarmente opportuna, non si possonoapplicare i Metodo Diretti ed il problema può non avere soluzione ma dalpunto di vista delle applicazioni può essere interessante studiare il compor-tamento delle soluzioni minimizzanti di (PX,I). A questo scopo si associa a(PX,I) un altro problema, detto rilassato.Sia W uno spazio metrico e I un funzionale in W tale che :(i) X è identicato con un sottospazio denso di W ;(ii) Per ogni (uh) ⊂ X che converge a w in W si ha

I(w) ≤ lim infh

I(uh)

(iii) Per ogni w esiste (uh) ⊂ X che converge a w e tale che

I(w) = limhI(uh)

Il seguente problema

(PW,I) m = InfI(w); w ∈W

.

si chiama problema rilassato di (PX,I).Si vede subito che m = m.Da (ii) segue che m ≤ m, infatti se uh = u per ogni h

I(u) ≤ lim infh

I(uh) = I(u)

Page 66: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 4 p. 62

Sia w ∈W , allora per (iii) esiste (uh) ⊂ X che converge a w e tale che

I(w) = limhI(uh) ≥ m

e quindi m ≥ m.La condizione (ii) implica che per ogni successione minimizzante di (PX,I)convergente ha per limite una soluzione di (PW,I).Inoltre per ogni w0 ∈ W soluzione del problema rilassato (PW,I), per la (iii)esiste una successione, minimizzante di (PX,I) che converge a w0.Osserviamo esplicitamente che la costruzione del problema rilassato non èunica.Consideriamo il caso in cui il funzionale I non è inferiormente semicontinuorispetto alla topologia τ di X. In questo caso si può considerare come funzio-nale rilassato di I, il seguente

Φ(u) = Inf

lim infh

I(uh), limhuh = u in τ

. (4.1.1)

Il funzionale Φ è denito in u ∈ X come l'estremo inferiore, al variare dellesuccessioni (uh) che convergono a u nella topologia τ , dei limiti inferiori dellasuccessione di numeri reali I(uh).Consideriamo il problema

(PX,Φ) mΦ = Inf Φ(u); u ∈ X .

e proviamo che è un rilassato di (PX,I).Dalla denizione di Φ segue che (i) e (ii) sono soddisfatte.Per provare (iii) osserviamo prima di tutto che dalla (4.1.1) segue che per ognik ∈ N esiste (ukh), con limh u

kh = u tale che

lim infh

I(ukh) < Φ(u) +1k

da altra parte per la denizione di limite inferiore esiste un estratta di (ukh),che indichiamo con (ukhk) tale che

I(ukhk) < lim infh

I(ukh) +1k< Φ(u) +

2k

passando al limite per k → +∞ segue

lim infk

I(ukhk) < Φ(u)

Dalla denizione di Φ si ha

Φ(u) ≤ lim infk

I(ukh)

e vale l'uguaglianza.

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Page 67: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 63 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 4

La condizione (iii) aerma che nella denizione (4.1.1) di Φ l'estremo inferioreè in realtà un minimo.Si prova inoltre che Φ è semicontinuo inferiormente rispetto alla topologiaτ . Infatti per ogni j sia (uj) una successione convergente a u e sia (ukj ) conlimk u

kj = uj tale che

Φ(uj) = limkI(ukj )

Allora per ogni j, esiste un estratta (ukjj ) per cui limj ukjj = u e

Φ(uj)−1j< I(ukjj ) < Φ(uj) +

1j

quindi si ha :Φ(u) ≤ lim inf

jI(ukjj ) = lim inf

jΦ(uj).

Nella denizione di Φ, scegliendo in particolare uh = u per ogni h, segue cheΦ(u) ≤ I(u).Proviamo che Φ è il più grande funzionale inferiormente semicontinuo rispettoalla topologia τ minore o uguale a I.Sia G un funzionale denito in X inferiormente semicontinuo rispetto allatopologia τ con G(u) ≤ I(u) per ogni u ∈ X. Sia (uh) ⊂ X una successioneconvergente a u , allora

G(u) ≤ lim infh

G(uh) ≤ lim infh

I(uh)

e quindi G(u) ≤ Φ(u).Osserviamo che il funzionale costante G(u) = m è inferiormente semicontinuoe poiché m ≤ I(u) si ha che m ≤ Φ(u) per ogni u ∈ X e quindi m ≤ mΦ. Daaltra parte poiché Φ(u) ≤ I(u) segue mΦ = m.Dal momento che Φ è un funzionale inferiormente semicontinuo rispetto allatopologia τ se (PX,Φ) ha una successione minimizzante che converge , il limiteè una soluzione.Inoltre le successioni minimizzanti del problema di partenza (PX,I) se conver-gono hanno come limite una soluzione di (PX,Φ).Assegnato Ω un aperto limitato di IRn, f(x, s, z) denita in Ω × IR × IRn eu ∈W 1,p(Ω), se I ha la seguente forma integrale :

I(u) =∫Ω

f(x, u(x), Du(x))dx

non è detto che il funzionale Φ denito in (4.1.1) ammetta un'espressioneintegrale.Il problema della rappresentazione integrale del funzionale rilassato è statoampiamente studiato negli ultimi decenni e sono state individuate alcunecondizioni sucienti sulla funzione integranda f(x, s, z) anché il funzionale

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Page 68: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 4 p. 64

rilassato rispetto alla topologia debole di W 1,p(Ω) sia ancora un funzionaledel calcolo delle Variazioni ed in particolare abbia la forma :

Φ(u) =∫Ω

f∗∗(x, u(x), Du(x))dx

con f∗∗(x, s, z) la più grande funzione convessa nella variabile z minore ouguale a f .

4.2 Funzionali non convessi del Calcolo delle Variazioni

In questo paragrafo diamo alcuni risultati di esistenza per funzionali nonconvessi del Calcolo delle Variazioni.Abbiamo visto che la convessità di f nella variabile z ∈ IRn è una condizionesuciente anché il funzionale integrale I(v) =

∫Ωf(Dv)dx sia semicontinuo

inferiormente rispetto alla topologia della convergenza uniforme. Tuttavia laconvessità di f non è una condizione necessaria per l'esistenza di minimi.Osserviamo anche che questo tipo di problemi sono collegati ad alcune ques-tioni di elasticità non lineare, ad esempio il problema dell'antiplane shear cioèdeformazioni di taglio ed in questo contesto sico la convessità di f non è unipotesi sicamente accettabile.In una dimensione i problemi non convessi sono stati ampiamente studiatinegli ultimi anni ed in particolare nel caso unidimensionale ricordiamo alcunericerche di Olech (1970),Aubert-Taharaoui (1979) e Marcellini (1980), cheutilizzano tre procedimenti dierenti.Sia J = [a, b] e per f una funzione di classe C1 in IR tale che :

limt→+−∞

f(t)|t|−1 = +∞ (4.2.2)

consideriamo :

(PJ,A,B) m = Inf

I(u) =

∫ b

a

f(v′)dx, v ∈ C0,1(J) v(a) = A v(b) = B

.

Denotiamo com f∗∗(t) la più grande funzione convessa minore o uguale a f :

f∗∗(t) = Sup g(t) : g convessa g ≤ f

Supponiamo per semplicità che f sia non convessa in un unica componenteconnessa, allora esistono α, β in cui

ft(α) = ft(β)

quindi in α e β il graco di f ha la stessa retta tangente e quindi

f(α)− f(β) = ft(α)(α− β)

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Page 69: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 65 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 4

f(β)− f(α) = ft(β)(β − α).

Inoltre f∗∗(α) = f(α) e f∗∗(β) = f(β) e nell'intervallo [α, β] si ha f∗∗(t) <f(t) e f∗∗ è una funzione ane della forma f∗∗(t) = ht+ q,con

h = ft(α) = ft(β) =f(β)− f(α)

β − α

Vediamo da vicini il procedimento di Marcellini, che si adatta ad una genera-lizzazione al caso di dimensione n > 1.

Teorema 4.1. Sia f soddisfacente (4.2.2) allora per ogni intervallo J e perA,B il problema (PI,A,B) ammette soluzione.

Dimostrazione. Associamo a (PJ,A,B) il seguente problema convesso

(P∗∗J,A,B) Inf

I∗∗(u) =

∫ b

a

f∗∗(v′)dx, v ∈ C0,1(J) v(a) = A v(b) = B

.

Dalla disuguaglianza di Jensen∫ b

a

f∗∗(v′)dx ≥ (b− a)f∗∗(1

b− a

∫ b

a

v′dx) = (b− a)f∗∗(B −Ab− a

)

Il valore minimo del problema convesso è (b−a)f∗∗(B−Ab−a ) e ponendo t0 = B−Ab−a

ed è evidente che la funzione u0(x) = t0(x−a)+A è una soluzione del problema(P∗∗J,A,B).Se f∗∗(t0) = f(t0) segue

I(v) ≥ I∗∗(v) ≥ (b− a)f∗∗(t0) = (b− a)f(t0) = I(u0)

allora u0 è soluzione anche del problema non convesso (PJ,A,B).Se f∗∗(t0) < f(t0), cioè t0 ∈ [α, β], esiste ϑ ∈ (0, 1) tale che t0 = ϑα+(1−ϑ)βe poiché f∗∗ è ane nell'intervallo [α, β] si ha :

f∗∗(t0) = ϑf∗∗(α) + (1− ϑ)f∗∗(β)

ma dalle proprietà di α e β] si ha anche che

f∗∗(t0) = ϑf(α) + (1− ϑ)f(β)

Costruiamo la funzione u, tale che

u′(x) = α per x ∈ [a, a+ ϑ(b− a)]

u′(x) = β per x ∈ [a+ ϑ(b− a), b]

ed anche u(a) = A e u(b) = B. Vale che :

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Page 70: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 4 p. 66∫ b

a

f(u′)dx = ϑ(b− a)f(α) + (1− ϑ)(b− a)f(β) =

= f∗∗(t0)ϑ(b− a) = f∗∗(α) + (1− ϑ)(b− a)f∗∗(β) = f∗∗(t0)ϑ(b− a)

quindi, per ogni altra v vale∫ b

a

f(u′)dx =∫ b

a

f∗∗(u0)dx ≤∫ b

a

f∗∗(v)dx ≤∫ b

a

f(v)dx

si può concludere che u, oltre che soluzione di (PJ,A,B), è anche una soluzionedel problema non convesso (PI,A,B).

Osserviamo che nella dimostrazione del teorema precedente abbiamo otte-nuto una soluzione del problema non convesso costruendo una soluzionedel problema convesso tale che f(u′(x)) = f∗∗(u′(x)) in tutto l'intervallo[a, b] ed è stato cruciale il fatto che f∗∗ è una funzione ane nell'insiemet : f(t) > f∗∗(t) La condizione di anità di f∗∗, sempre soddisfatta inuna dimensione, diventa una condizione suciente in dimensioni n > 1.Consideriamo ora il caso di funzionali integrali multipli. Assegnati f : IR −→IR, Ω un aperto limitato e ϕ ∈ C0,1(∂Ω), consideriamo il seguente problemavariazionale :

(PΩ,ϕ) InfI(v) =

∫Ω

f(Dv)dx, v ∈ C0,1(Ω,ϕ).

dove C0,1(Ω,ϕ) denota la classe delle funzioni C0,1(Ω) che assumono il valoreϕ su Ω.Vale il seguente teorema di esistenza per il problema (PΩ,ϕ) dovuto a Mascolo-Schianchi (1983)

Teorema 4.2. Siano f una funzione continua in IRn, Ω un aperto limitato diIRn e ϕ una funzione di classe C0,1(∂Ω), soddisfacente la condizione (B.S.C.)con costante L0. Denotata con f∗∗ la più grande funzione convessa minorantef supponiamo che(a) L'insieme

K = z ∈ IRn; f∗∗(z) < f(z) ,

é un aperto limitato di IRn ;(b) Esistono mi ∈ IR, i = 1, ..., n e q ∈ IR tali che per ogni z ∈ K :

f∗∗(z) =n∑i=1

mizi + q, (4.2.3)

allora il problema (PΩ,ϕ) ammette almeno una soluzione.

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Page 71: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 67 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 4

Dimostrazione. Consideriamo il problema convesso :

(P∗∗Ω,ϕ) m∗∗ = InfI∗∗(v) =

∫Ω

f∗∗(Dv)dx, v ∈ C0,1(Ω,ϕ).

Per i risultati del Capitolo 3, il problema (P∗∗Ω,ϕ) ammette almeno una solu-zione u tale che [u]0,1 ≤ L0 o in modo equivalente |Du(x)| ≤ L0 per quasiogni x ∈ Ω.Per ogni L ≥ L0, denotiamo con SL l'insieme delle soluzioni di (P∗∗Ω,ϕ),I∗∗(u) = m∗∗. che appartengono alla classe VL(Ω,ϕ) =

u ∈ C0,1(Ω,ϕ) : [u]0,1 ≤ L

.

La prova del teorema è divisa in tre passi. Primo PassoProviamo che la funzione denita da

u = sup u(x) : u ∈ SL

è un elemento di SL.Si vede facilmente che u ∈ VL(Ω,ϕ). Proviamo che esiste una successione(un) ⊂ SL, che converge uniformemente a u, poiché I∗∗ è inferiormentesemicontinuo rispetto alla convergenza uniforme,

I∗∗(u) ≤ lim infn

I∗∗(wnn) = m∗∗

segue che u ∈ SL.Siano u1, u2 due elementi di SL e deniamo

w+(x) = sup u1(x), u2(x) w−(x) = inf u1(x), u2(x)

e sia A = x ∈ Ω : u1(x) < u2(x). A è un aperto di Ω e u1 = u2 su ∂A.D'altra parte, poiché u1 e u2 sono minimi del funzionale I∗∗ si ha∫Ω

f∗∗(Du1)dx ≤∫Ω

f∗∗(Dw+)dx =∫A

f∗∗(Du2)dx+∫Ω−A

f∗∗(Du1)dx

∫Ω

f∗∗(Du2)dx ≤∫Ω

f∗∗(Dw−)dx =∫A

f∗∗(Du1)dx+∫Ω−A

f∗∗(Du2)dx

e quindi vale ∫A

f∗∗(Du1)dx =∫A

f∗∗(Du2)dx

che implicaI∗∗(w+) = I∗∗(u1) = I∗∗(u2) = I∗∗(w−)

e di conseguenza w+ e w− appartengono a SL.Osserviamo che le funzioni di SL sono equicontinue e quindi per ogni ε > 0e per ogni u ∈ SL esiste δε = ε

L tale che per ogni coppia di punti x, x′ con|x− x′| < δε, si ha |u(x)− u(x′)| < ε.

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Page 72: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 4 p. 68

Fissato x0 ∈ Ω, dalla denizione di u, per ogni k ∈ N esiste uk ∈ SL taleche

uk(x0) > u(x0)− 1k

Per l'equicontinuità, per ε = 12n , per ogni x nella sfera B(x0,

12nL ), di centro

x0 e raggio 12nL , vale

uk(x) > u(x)− 1n− 1k

Poiché Ω è compatto, si può ricoprire con un numero nito di sfere diraggio 1

2nL e quindi esistono x1, ...., xN in Ω tali che l'unione delle sfere dicentro xi e raggio 1

2nL contengono Ω. Sia x ∈ Ω, allora esiste j tale che

x ∈ B(xj , 12nL ) e ujk tale che

ujk(x) > u(x)− 1n− 1k

Deniamownk = sup

u1k, ..., u

Nnk

Per quanto detto wnk ∈ SL ed inoltre per ogni x ∈ Ω, esiste j tale che

wnk (x) > ujk(x) > u(x)− 1n− 1k

Considerando la successione ottenuta con il procedimento diagonalizzazionewnn, per ogni n si ha

u(x) > wnn(x) > u(x)− 2n

quindi wnn converge puntualmente a u in Ω e per il Teorema di Ascoli-Arzelàanche uniformemente, a meno di un estratta

Secondo Passo Proviamo che non esiste x0 ∈ Ω in cui u è dierenziabiletale che :

Du(x0) ∈ K |Du(x0)| < L (4.2.4)

Supponiamo che (4.2.4) sia soddisfatta Dal Lemma 4 dell'Appendice 2 dellibro di P.L. Lions, (Generalized Solutions of Hamilton-Jacobi Equation,Pitman, 1983) per ogni punto x in cui una funzione lipschtziana v é die-renziabile esiste una funzione Φ ∈ C1(Ω) tale che

DΦ(x) = Dv(x) Φ(x) = v(x) Φ(y) < v(y) y 6= x0

Per v = u si ha :

DΦ(x0) = Du(x0) Φ(x0) = u(x0) Φ(y) < u(y) y 6= x0

Poiché Φ ∈ C1(Ω), esiste un intorno di x0, Bδ = B(x0, δ), tale che per ognix ∈ Bδ

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Page 73: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 69 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 4

DΦ(x) ∈ K |DΦ(x0)| < L

per ogni x ∈ Bδ, deniamo w(x) = Φ(x)+εϕ(x) con ϕ ∈ C∞0 (Bδ),0 ≤ ϕ ≤ 1e ϕ(x0) = 1. Dalle proprietà di ϕ segue che per ε sucientemente piccoloanche w soddisfa (4.2.4). Inoltre poiché Φ < u per ogni y 6= x0, esiste unaperto A ⊂ Bδ tale che w(x) = Φ(x) + εϕ(x) = u su ∂A. Sia w la funzionedi C0,1(Ω) denita da

w(x) = Φ(x) + εϕ(x), in x ∈ Aw(x) = u(x) in x ∈ Ω −A (4.2.5)

Dall'ipotesi (4.2.3) di anità di f∗∗ in K e dal fatto che

f∗∗(z) ≥n∑i=1

mizi + q, z ∈ IRn

segue∫Ω

f∗∗(u)dx−∫Ω

f∗∗(w)dx ≥∫A

(f∗∗(u)−f∗∗(w))dx ≥∫A

n∑i=1

miDxi(u−w)dx

Poiché u = w in Ω −A, in particolare per il teorema della divergenza vistoche u = w in ∂Bδ

I∗∗(u)− I∗∗(w) ≥∫Bδ

n∑i=1

miDxi(u− w)dx =∫∂Bδ

n∑i=1

mi(u− w)νidσ = 0

Si conclude che I∗∗(u) = I∗∗(w), e quindi anche w sarebbe un elementodi SL con w(x0) > u(x0) contro il fatto che u è per denizione l'estremosuperiore degli elementi di SL. La (4.2.4) non è soddisfatta da nessun x0 inΩ in cui u è dierenziabile.

ConclusioneSia u = sup u(x) : u ∈ SL, con L ≥ L0 tale che la sfera di IRn dicentro l'origine e raggio L contenga K, K ⊂ B(0, L). Dalle maggiorazionia priori si ha che che |Du(x)| ≤ L0 < L e quindi per l'Osservazione 2del capitolo 3, u è un minimo del funzionale I∗∗ in tutto C0,1(Ω,ϕ). Perquanto provato nel Passo 2, necessariamente Du(x) non può appartenere aK. Quindi Du(x) ∈ IRn −K e vale

f∗∗(Du(x)) = f(Du(x)) q.o. x ∈ Ω

di conseguenza per ogni v ∈ C0,1(Ω,ϕ) si ha

I(u) = I∗∗(u) ≤ I∗∗(v) ≤ I(v)

e quindi u è una soluzione del problema non convesso (PΩ,ϕ).

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Page 74: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 4 p. 70

Osservazione 4.3. Supponiamo che il problema convesso (P∗∗Ω,ϕ) ha un unicasoluzione u e dalle maggiorazioni a priori |Du(x0)| ≤ L0. Sia x0 un puntoin cui è dierenziabile e tale che Du(x0) ∈ K procedendo come nel secondopasso della dimostrazione se Du(x0) ∈ K, la funzione w sarebbe un minimodel problema distinto da u. Dunque Du ∈ IRn −K e di conseguenza u è unasoluzione del problema non convesso (PΩ,ϕ).

La condizione del Teorema 4.2 assegna un tipo di non convessità sulla funzionef . Consideriamo ad esempio f(z) = (|z|2 − 1)2 ed è facile vericare che K =z : |z| ≤ 1 e che

f∗∗(z) = 0 per |z| < 1f∗∗(z) = f(z) per |z| ≥ 1 (4.2.6)

quindi le condizioni (a) e (b) del teorema di esistenza sono soddisfatte. Diamoora un esempio di funzione che non soddisfa la condizione di anità (b). Siag(t) ≥ 0 denita per t ≥ 0 e tale che :

g(t) ≥ g(0) + λt, λ > 0 (4.2.7)

e deniamof(z) = g(|z|)

.Se g è convessa in t allora la derivata destra g′+(t) è crescente, allora

g′+(t) ≥ g′+(0) ≥ λ > 0

quindi anche g è crescente ed quindi facile vericare che f è convessa. Infatti,per z0 = ϑz1 + (1− ϑ)z2, poiché |z0| ≤ ϑ|z1|+ (1− ϑ)|z2| segue

f(z0) = g(|ϑz1 +(1−ϑ)z2|) ≤ ϑg(|z1|)+(1−ϑ)g(|z2|) = ϑf(z1)+(1−ϑ)f(z2)

e per il teorema della divergenza visto che u = w in ∂Bδ

n∑i=1

miDxi(u− w)dx = 0

Supponiamo che g sia non convessa e denotiamo con g∗∗ la più grande funzioneconvessa minore o uguale a g, proviamo che

f∗∗(z) = g∗∗(|z|)

Ovviamente g∗∗(|z|) è una funzione convessa minorante f e quindi f∗∗(z) ≥g∗∗(|z|).Da altra parte è possibile dimostrare che

g∗∗(t) = infϑ,t1,t2

ϑg(t1) + (1− ϑ)g(t2) : t = ϑt1 + (1− ϑ)t2

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p. 71 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 4

segue per z ∈ IRn e ε esiste ϑ ∈ (0, 1) e b, c reali positivi tale cheg∗∗(|z|) + ε ≥ ϑg(b) + (1− ϑ)g(c)|z| = ϑb+ (1− ϑ)c (4.2.8)

Scegliendo z1 = bz|z| e z2 = cz

|z| segue che per z = ϑz1 + (1− ϑ)z2 si ha

f∗∗(z) + ε ≥ f(z1) + (1− ϑ)f(z2)

da cui segue che f∗∗(z) = g∗∗(|z|).Se vale (4.2.7) il graco in IR di g∗∗ è un segmento con pendenza positiva,nell'intervallo in cui è strettamente minore di g , allora il graco di f∗∗(z) =g∗∗(|z|) in IRn è un tronco di cono e quindi la condizione di anità (b) delteorema 4.2 non è soddisfatta.Vale il seguente teorema di non esistenza, dovuto a P. Marcellini

Teorema 4.4. Siano Ω uniformemente convesso e g soddisfacente le condi-zione (4.2.7) deniamo il seguente funzionale integrale

I(v) =∫Ω

g(|Dv|)dx

Dato t0 un punto in cui g non è convessa, g(t0) > g∗∗(t0) il problema

m = InfI(v), v ∈ C0,1(Ω) v = u0(x1, ..., xn) = t0x1 su ∂Ω

non ha soluzione.

Dimostrazione. Proviamo dapprima che u0 è l'unico minimo del funzionale

G(v) =∫Ω

|Dv|dx

nella classe delle v ∈ C0,1(Ω) con v = u0 su ∂Ω. Infatti dal teorema delledivergenza ∫

Ω

|Du0|dx =∫Ω

(u0)x1dx =∫Ω

(v)x1dx ≤∫Ω

|Dv|dx

allora ogni altra soluzione w deve essere tale che wx1 = |Dw| e quindi w deveessere indipendente dalle variabili x2, x3, .., xn e dato che w = t0x1 sul bordodi Ω allora w = t0x1 in tutto Ω.Siano m e q tali che g(t0) = ht+ q, vale che g∗∗(t) ≥ ht+ q per ogni t > 0.Poiché g(0) = λt è una funzione convessa, la condizione (4.2.7) implica che

g∗∗(t) ≥ g(0) + λt ≥ g∗∗(0) + λt

quindi (g∗∗)′(t) ≥ (g∗∗)′(0)λ > 0 e segue che h = (g∗∗)′(t0) ≥ λ > 0. Si haquindi

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Page 76: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 4 p. 72∫Ω

g∗∗(|Dv|)dx ≥ q|Ω|+h∫Ω

|Dv|dx > q|Ω|+h∫Ω

|Du0|dx =∫Ω

g∗∗(|Du0|)dx

(4.2.9)poiché g∗∗(|Du0|) = g∗∗(t0) e l'uguaglianza in (4.2.9) vale se e solo se v = u0.Quindi u0 è l'unico minimo del problema. Poiché g non è convessa in t0, si hache

g(|Du0|) = g(t0) > g∗∗(t0) = g∗∗(|Du0|)

quindi per ogni altra v ∈ C0,1(Ω) con v = u0 su ∂Ω si ha∫Ω

g(|Dv|)dx >∫Ω

g∗∗(|Du0|)dx.

È possibile dimostrare che vale la seguente formula di rilassamento

InfI(v), v ∈ C0,1(Ω) v = u0 su∂Ω

= Inf

I∗∗(v), v ∈ C0,1(Ω) v = u0 su∂Ω

= I∗∗(u0)

poiché per ogni v si ha I∗∗(u0) < I(v) e I∗∗(u0) < I(u0), si conclude che ilproblema non convesso non ammette soluzioni.

Dalla dimostrazione del teorema precedente segue che l'esistenza e la nonesistenza di soluzioni di problemi non convessi è strettamente legata all'unicitàdei minimi per problemi non strettamente convessi (la funzione f∗∗ non è maistrettamente convessa).Si tratta di un problema interessante e non completamente risolto.Va anche detto che non è noto se la condizione di anità delle funzione f∗∗

nell'insieme in cui f∗∗ < f è anche una condizione suciente per l'esistenzadi soluzioni.

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Page 77: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

5

Applicazioni alla Teoria dell'Elasticità non

lineare

L' elasticità non lineare consiste nel determinare la congurazioni di equilibriodei corpi elastici sotto assegnate condizioni. In particolare consideriamo laloro formulazione variazionale, senza tenere conto per semplicità degli eettiinerziali e termici.

5.1 Richiami di Analisi tensoriale

Abbiamo bisogno di richiamare alcune denizioni e nozioni di Analisi tenso-riale.Si dice Tensore una trasformazione lineare di IRN in sè. Siano v e u in IRN e A èun tensore, la notazione v = Au indica che v è il vettore ottenuto applicando adu la trasformazione lineare A. Valgono le operazioni fondamentali riguardantii tensori e cioè la somma (A + B)u = Au + Bu e la moltiplicazione per unoscalare (αA)u = α(Au) e la composizione (AB)u = A(Bu). Vi sono poi iltensore nullo 0u = 0 ed il tensore identico Idu = u. Il trasposto di un tensoreA è quell'unico tensore AT tale che per ogni vettore u e v

(Au, v) = (u,AT v)

dove (, ) rappresenta il prodotto scalare. È immediato vericare che

(A+B)T = AT +BT , (AB)T = BT AT , (AT )T = A.

Un tensore A si dice simmetrico quando A = AT . Dati due tensori A e B,se accade che BA = Id, allora si dice che A è invertibile e che B = A−1 èl'inverso di A. L'inverso di A è anche invertibile ed il suo inverso è A. Segueche A è invertibile se e solo se esiste un tensore A−1 che verichi una delleseguenti uguaglianze :

AA−1 = Id = A−1A

Se A e B sono invertibili allora anche AB è invertibile e (AB)−1 = A−1B−1.Anche il trasposto di un tensore invertibile è invertibile e coincide con

Page 78: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 5 p. 74

il trasposto di A−1 e per convenienza si denotano con lo stesso simboloA−T = (AT )−1 = (A−1)T .Un tensore si dice ortogonale se conserva il prodotto scalare tra vettori

(Qu,Qv) = (u, v)

Dalla denizione di trasposto segue che

(QT Qu, v) = (u, v)

e quindi per l'abitrarieà di u e v si ha che un tensore Q è ortogonale se e solose QT Q = Id. Segue che un tensore ortogonale è invertibile e il suo inversocoincide con il trasposto Q−1 = QT . Di conseguenza QQT = Id e deduciamoche se Q è ortogonale anche QT e Q−1 sono ortogonali.Un tensore è positivo se (Au, u) > 0 per ogni vettore u non nullo.Il teorema di decomposizione polare aerma che ogni tensore A ammette ledecomposizioni A = QU e A = V Q, con U e V positivi e simmetrici e Qortogonale. Mentre U e V sono univocamente determinati da A, il tensore Qè lo stesso nelle due decomposizioni se e solo se A è invertibile.Per il determinante di un tensore, diamo la denizione solo nel caso N = 3 :

detA =(Au ∧Av,Aw)

u ∧ v, w)

dove u, v, w sono tre qualunque vettori linearmente indipendenti, e ∧ rap-presenta il prodotto vettoriale. Ricordando che il prodotto misto tra vettori èrappresentato geometricamente dal volume del parallepipedo avente gli stessivettori come spigoli, si ha che detA è il rapporto tra il volume sotteso daivettori Au, Av, Aw e quello sotteso da u, v e w.Si dimostra che detA è diverso da zero se e solo se A è invertibile. Inoltrevalgono le seguenti proprietà : det(A · B) = detA detB, detAT = detA,det(A−1) = (detA)−1.Sia A = (aij) allora si denisce la traccia di A come trA =

∑aij .

Una regione regolare di IRn è un aperto Ω la cui frontiera è unione di un nu-mero nito di superci di classe C1. Per ogni regione regolare deniamo su ∂Ωil campo n dei versori della normale esterna a ∂Ω, che è un campo regolare intutti i punti regolari di ∂Ω e cioè in quei punti che non stanno sull'intersezionedi due superci che costituiscono la frontiera di Ω. Una funzione v denita inΩ ed a valori in IRn si dice campo vettoriale, una funzione A denita in Ω eda valori nello spazio dei tensori M si chiama campo tensoriale.La divergenza di un campo vettoriale è lo scalare div u(x) = tr∇u, mentrela divergenza di un campo tensoriale A(x) è l'unico campo vettoriale tale cheper ogni vettore a

(divA(x), a) = divAT (x)a

Si vede che per ogni campo vettoriale v(x) vale :

(divA(x), v(x)) = div(AT (x)v(x))− (A(x),∇v(x))

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Page 79: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 75 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 5

Osserviamo infatti che la divergenza di un tensore ha una particolare inter-pretazione in forma integrale :

div(A(x)) = limδ→0

1vol(Ω)x,δ

∫∂(Ω)x,δ

A(x)n(x) dS(x)

dove ssato x ∈ Ω, (Ω)x,δ è la palla di centro x e raggio δ.Se v e A sono campi di classe vettoriali e tensoriali di classe C1 e Ω è unaregione regolare , vale il teorema della divergenza :∫

Ω

div v(x) dx =∫∂Ω

(v(x),n(x)) dS∫Ω

divA(x) dx =∫∂Ω

A(x)n(x) dS

dove con dx si è indicato l'elemento di volume e con dS l'elemento di super-cie. Vale anche la seguente identità∫

Ω

(divA(x), v(x)) dx = −∫Ω

A(x)∇v(x) dx+∫∂Ω

(A(x)n(x), v(x)) dS

5.2 Introduzione alla teoria dell'elasticià

Sia Ω ∈ IR3 un aperto connesso con frontiera ∂Ω regolare. Ω è la parte dispazio occupata dal corpo prima che sia deformato ed è detta congurazionedi riferimento.Una deformazione del corpo è una funzione sucientemente regolare u : Ω −→IR3, u(x) = x′ (x ∈ Ω e x′ ∈ u(Ω) ⊂ IR3), F = ∇u(x) è il gradiente dideformazione.La nozione di deformazione è consistente con il cosidetto assioma di conti-nuità : per ogni parte, D di Ω, D e u(D) sono dieomor.Una conseguenza immediata è Il principio di permanenza della materia : nes-suna regione di volume nito può essere trasformata in una regione di volumenullo (implosione) od innito (esplosione).Questo principio si traduce nella richiesta :

detF 6= 0 detF−1 6= 0.

Una seconda conseguenza è il Principio di impermeabilità : dierenti porzionidi materia non possono comprenetarsi.Nel considerare la nozione di deformazione, al contenuto del assioma di conti-nuità si aggiunge il requisito complementare che la deformazione preserval'orientamento locale, i.e.

detF > 0.

Quest'ultimo requisito di plausibilità sica, all'apparenza innocente, costi-tuisce una delle maggiori dicoltà nella risoluzione dei problemi di meccanica

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Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 5 p. 76

non lineare dei continui, in quanto impone di ricercare le soluzioni in unaclasse di funzioni che ha poca e dicile struttura.

Un corpo si dice elastico se soggetto ad un certo carico, subisce una defor-mazione che però scompare nel momento in cui togliamo il carico, facendotornare il corpo nella congurazione iniziale.

Un corpo si dice omogeneo quando le caratteristiche del corpo non cambianoda punto a punto.Un corpo si dice isotropo se le sue caratteristiche in un suo punto o in unintorno non cambiano se ci spostiamo lungo le direzioni uscenti dal puntoDiremo il solido incomprimibile quando soggetto ad una deformazione il rap-porto tra il volume del corpo deformato e della congurazione di riferimentorisulta 1 e quindi deve essere :

detF = 1.

Un corpo deformato attraverso un'arbitraria deformazione u, può essere sog-getto a forze rappresentate da un campo vettoriale

f : u(Ω) −→ IR3

Il campo f deve dipendere da u e rappresenta la densità delle forze applicateper unità di volume nella congurazione deformata.Vi possono poi essere delle forze di supercie denite come un campo vettorialesu una parte della frontiera γ1 ⊂ ∂u(Ω),

g : γ1 −→ IR3,

Il campo g rappresenta la densità delle forze applicate per unità di area nellacongurazione deformata.

I seguenti assiomi sono fondamentali nella meccanica dei continui e sono noticome il Principio di stress di Euler e Cauchy.

Assioma 1 Esiste un campo vettoriale

t : u(Ω)× S −→ IR3

dove, S =n ∈ IR3, ‖n‖ = 1

denota la sfera unitaria di IR3, tale che

A1 (Assioma del bilancio delle forze) Per ogni E ⊂ u(Ω)∫E

f(y) dy +∫∂E

t(y,n) dS(y) = 0

dove n è la normale esterna lungo ∂E e dS(y) è l'elemento di area.

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Page 81: Calcolo delle Variazioni Analisi applicata

p. 77 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 5

A2 (Assioma del bilancio dei momenti) Per ogni E ⊂ u(Ω)∫E

y ∧ f(y) dy +∫∂E

y ∧ t(y,n) dS(y) = 0

dove a ∧ b è il prodotto esterno (vettoriale) in IR3.

A3 Per ogni E ⊂ u(Ω) e per ogni y ∈ γ1 ∩ ∂E, in cui la normale n esterna èben denita :

t(y,n) = g(y).

Questo principio esprime l'idea intuitiva che l'equilibrio statico di un corpodeformato è dovuto dall'elemento elementare di supercie t(y,n) che vienechiamato tensore della tensione (stress) di Cauchy-Green.In altro modo, si può dire che le forze di contatto hanno densità supercialedescritta dal campo vettoriale t(y,n) denito su ogni versore n ∈ S.

Si prova che t(y,n) dipende linearmente da n. Infatti vale il seguente Teoremadi Cauchy.

Teorema 5.1. Assumiamo che f sia continua e che t(y, n) sia dierenziabilecon continuità rispetto a n. Allora esiste un campo tensoriale :

T : u(Ω) −→M

dove M è lo spazio dei tensori 3× 3, tale che :

t(y,n) = T (y) n , y ∈ u(Ω) e n ∈ S

e inoltre :−div(T (y)) = f(y) y ∈ u(Ω)T (y) = T (y)T y ∈ u(Ω)T (y) n = g(y) y ∈ γ1

dove n è la normale esterna a γ1.

La seconda condizione aerma che T (y) è un tensore simmetrico.Il tensore di Cauchy misura la forza di contatto per unità di supercie nellacongurazione deformata, tuttavia la congurazione deformata non è notain anticipo. Per trasformare le aermazioni del Teorema di Cauchy in unproblema al contorno per un'equazione dierenziale, abbiamo bisogno di es-primere le sue conclusioni nella congurazione di riferimento Ω piuttosto chein u(Ω).

È necessario determinare la forza di contatto per unità di supercie misuratanella congurazione di riferimento Ω, cioè, nota F = ∇u e l'energia di de-formazione immagazzinata dal corpo deformato a causa di F e nota l'azioneesercitata per unità di supercie bisogna trovare quale è la forza esercitatache dà origine a tutte le caratteristiche che ritroviamo nel corpo deformato

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Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 5 p. 78

u(Ω).

Operiamo un cambio di variabili y = u(x) e deniamo :

TR(x) = det∇u(x)T (u(x))∇u(x)−T

Il tensore TR è chiamato tensore di Piola-Kircho. La trasformazione prece-dente è determinata dal fatto che :

div(TR(x)) = det∇u(x) divy(T (y)).

Vediamo perché si utilizza questa trasformazione. Indichiamo con nR la nor-male esterna nel punto x della congurazione di riferimento Ω. Consideriamola terna ortonormale (lR,mR,nR), in cui lR e mR sono i versori tangentiall'elemento di supercie. I loro trasformati attraverso ∇u = F , dati da F lRe F mR, sono tangenti all'elemento superciale deformato, e quindi sono or-togonali alla sua normale n

(F lR,n) = (F mR,n) = 0,

o anche(lR, FTn) = (mR, F

Tn) = 0

quindi FTn è ortogonale sia a lR che a mR.Invece il trasformato di nR, F nR, non è in generale parallelo a n. Infatti,dalla relazione precedente si deduce che il vettore FT n è ortogonale sia a lRche a mR e quindi è parallelo a nR.Di conseguenza n è parallelo a F−T nR e non a F nR. Infatti, poiché FTn =γnR si ha n = γF−TnR.Esprimendo il rapporto tra le due variazioni superciali dS e dSR, in funzionedelle aree sottese dai vettori lR e mR si ottiene :

dSdSR

=|F lR ∧ F mR||lR ∧mR|

= |F lR ∧ F mR|

Osserviamo che il vettore F lR ∧ F mR è parallelo a n e quindi a F−T nR,quindi

F lR ∧ F mR = γF−T nR.

Moltiplicando scalarmente per F nR e ricordando la denizione di determi-nante si ha che

detF = (F lR ∧ F mR, F nR) = (γF−T nR, F nR) = γ

da cui seguedS

dSR= detF |F−TnR|

che dà subito

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p. 79 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 5

dS(u(x)) = detF (x)|F−T (x)nR(x)| dSR(x)

Dalla particolare forma integrale della divergenza di un tensore :

div(T (y)) = limδ→0

1vol(u(Ω)y,δ)

∫∂(u(Ω))y,δ

T (y)n(y) dS(y)

dove ssato y ∈ u(Ω), u(Ω)y,δ è la palla di centro y e raggio δ.Operiamo la trasformazione y = u(x) :

div(T (y)) =

limδ→0

1vol(Ωx,δ) det∇u(x)

∫∂Ωx,δ

T (u(x)) det∇u |(∇u)−TnR(x)|n dSR(x)

quindi poiché n é parallelo a FTnR possiamo porre

F−TnR = |F−TnR|n

si ha, dalla denizione di TR :

div(T (y)) =1

vol(Ωx,δ) det∇u(x)limδ→0

∫∂Ωx,δ

TR(x)nR(x) dSR(x) =1

det∇u(x)div(TR(x)).

Poniamo inoltre :

H(x) = det∇u f(y)G(x) = det∇u |(∇u)−TnR(x)| g(y)

e quindiH(x) dx = f(y) dyG(x) dSR(x) = g(y) dS(y)

dove dS rappresenta gli elementi di area nelle relative variabili.Le conclusioni del teorema di Cauchy possono essere scritte nella congura-zione di riferimento nella forma :

−div(TR(x)) = H(x) x ∈ ΩTR(x)nR = g(x) x ∈ Γ1

∇u(x)TR(x)T = TR(x)∇u(x)T x ∈ Ω

dove u(Γ1) = γ1 e nR è la normale esterna a Γ1.

La terza relazione segue dalle proprietà delle matrici trasposte

TR(x)T = det∇u(x)TT ((∇u(x))−T )T = det∇u(x)T (u(x))(∇u(x))−1

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Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 5 p. 80

5.3 Funzionali integrali nella teoria dell'elasticità

Nella meccanica dei continui vi sono due diversi tipi di leggi : quelle generali,valide per tutti i corpi continui, come le leggi del bilancio ed alcuni assiomiche, ad esempio stabiliscono che la massa e le iterazioni restano invariaterispetto ai cambiamenti di osservatore e le leggi costitutive che sono valideper particolari classi di corpi continui e che tengono conto del materiale di cuiè costituito il corpo.Un materiale è chiamato elastico se il tensore di Cauchy per ogni y ∈ u(Ω) èuna funzione di x = u−1(y) e del gradiente di deformazione ∇u(x).Le equazioni costitutive in questo caso possono essere scritte nel seguentemodo :

TR(x) = T (x,∇u(x)) (5.3.1)

dove T è chiamato la funzione risposta del materiale.Assumiamo che sulla frontiera di Ω sia assegnata una condizione al bordo,allora la congurazione di equilibrio u deve soddisfare le condizioni del teoremadi Cauchy, che diventano :−div(T (x,∇u(x))) = F (x, u(x)) x ∈ Ω;

T (x,∇u(x))n = G(x,∇u(x)) x ∈ Γ1;u(x) = φ(x) x ∈ ∂Ω.

(5.3.2)

Abbiamo assunto che le forze interne e di supercie siano dipendenti da x e∇urispettivamente, come accade nella maggior parte delle situazioni interessanti.Un materiale elastico è detto iperelastico se esiste una funzione

W : Ω ×M −→ IR (5.3.3)

dierenziabile rispetto a F ∈M tale che :

∂W

∂F(x, F ) = T (x, F ). (5.3.4)

La funzione W (x, F ) è detta densità di energia del materiale e se si supponeche esista una funzione f(x, u) tale che :

∂f

∂u(x, u) = F (x, u) x ∈ Ω, u ∈ IR3 (5.3.5)

e dal teorema di Cauchy segue :

div

(∂W

∂F(x,∇u(x))

)+∂f

∂u(x, u(x)) = 0. (5.3.6)

Proviamo che (5.3.6) è il sistema di equazioni di Euler-Lagrange di un funzio-nale integrale della forma

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p. 81 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 5

E(u) =∫Ω

W (x,∇u(x)) dx−∫Ω

f(x, u) dx, (5.3.7)

e quindi dai risultati del Capitolo 2, i minimi di E sono soluzioni dell'equazionedi Cauchy.Sia u0 un minimo di E, con il dato al bordo u = φ su ∂Ω, allora per ogni vnulla su ∂Ω si ha che u0 + t v appartiene alla classe delle funzioni di cui u0 èminimo. Allora per ogni t > 0 :

E(u0) ≤ E(u0 + tv)

di conseguenza, denita G(t) = E(u0 + tv), si deve avere :

G′(0) =[d

dtE(u0 + tv)

]t=0

= 0,

Dalle assunzioni di regolarità, è lecito il passaggio di derivata sotto il segno diintegrale :

0 = G′(0) =∫Ω

[∂W

∂F(x,∇u0(x))∇v(x)− ∂f

∂u(x, u0(x)) v(x)

]dx.

Dal teorema della divergenza :∫Ω

∂W

∂F(x,∇u0(x))∇v(x) dx =

∫∂Ω

(∂W

∂F(x,∇u0(x))n, v(x)

)dS −

∫Ω

div

(∂W

∂F(x,∇u0(x))

)v(x) dx

il primo integrale è nullo, poichè v è nulla su ∂Ω, e quindi si ha∫Ω

[div

∂W

∂F(x,∇u0(x)) +

∂f

∂u(x, u0(x))

]v(x) dx = 0. (5.3.8)

Dal lemma fondamentale del Calcolo delle Variazioni segue (5.3.6).Si conclude che le congurazioni di equilibrio del sistema sono funzioni estre-mali del funzionale dell'energia E, nel senso che sono le soluzioni del sistemadi equazioni di Euler-Lagrage di E.Il funzionale E rappresenta l'energia totale del sistema ed i suoi minimi sonole congurazioni di equilibrio del sistema.Osserviamo che la formulazione matematica dell'idea che per deformare ilcorpo in un punto, o all'innito, siano necessari sforzi estremi, è la seguente :

W (x, F )→ +∞ detF → 0+;W (x, F )→ +∞ |F | → +∞.

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Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 5 p. 82

Possiamo concludere che per i materiali iperelastici il problema della ricercadelle congurazioni di equilibrio si descrive attraverso la ricerca di minimi difunzionali integrale Vogliamo determinare quindi, in relazione ai materiali chesi intendono studiare, delle equazioni costitutive che siano sicamente accet-tabili e che permettano l'applicazione del procedimento dei Metodi Diretti.Consideriamo dapprima il caso unidimensionale. Sia assegnata una sbarrasottile che inizialmente occupa 0 < x < 1 e vogliamo determinare la posizionedi equilibrio u = u(x) con valori ssati in u(0) e u(1). Come abbiamo giàdetto, sotto l'azione delle forze il punto P si muove no al punto P ′ = u(P ),per il principio di permanenza della materia u′(x) 6= 0 e per il principio diimpenetrabilità deve conservare l'orientamento e quindi u′ > 0.In ogni punto è denita una funzione che esprime la resistenza delle forzeinterne σ = σ(x, z). Per alcuni materiali la funzione σ tale che σ(x, 1) = 0,è strettamente crescente rispetto alla deformazione z e per ogni x ssato edinoltre σ(x, z) +∞ ed a −∞ per z → +∞ e per z → −∞ rispettivamente.La quantità di energia necessaria per deformare il materiale nel punto x di unfattore z è dato da

W (x, z) =∫ z

1

σ(x, t)dt

e quindi l'energia totale del sistema è espressa dall'integrale

E(u) =∫ 1

0

W (x, u′(x)) dx

Dal momento che Wz(x, z) = σ(x, z) è una funzione strettamente crescente,la funzione densità di energia W è una funzione convessa nella variabile z.Inoltre è sicamente ragionevole supporre che

limz→0

W (x, z) = +∞

lim|z|→+∞

W (x, z) = +∞

ed inoltre

lim|z|→∞

W (x, z)|z|

=∞.

Possiamo quindi aermare che le seguenti ipotesi sono accettabili dal puntodi vista sico :(a) lim

z→0W (x, z) = +∞

(b) W (x, z) ≥ C1 + C2|z|p con p > 1.

(c) W (x, z) é una funzione convessa nella variabile z per q.o. x ∈ [0, 1]Dalla seconda condizione segue che il funzionale E è coercivo in W 1,p edall'ipotesi di convessità si ha che E è semicontinuo inferiomente rispetto allaconvergenza debole diW 1,p([0, 1]), quindi esiste una soluzione u0 del problema

m = E(u0) = infE(v) : v ∈W 1,p([0, 1]), v(0) = α, v(1) = β

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p. 83 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 5

e poiché E(u0) <∞ necessariamente u0′ > 0 q.o. in [0, 1].

Consideriamo il caso n = N = 3. La densità di energia è una funzioneW (x,A),A ∈ R3×3, tale che W (x, Id) = 0, dove Id è la matrice identità, ed inoltre

lim|A|→∞

W (x,A) = +∞

limdetA→∞

W (x,A) = limdetA→0

W (x, z) = +∞.

A dierenza del caso unidimensionale, per alcuni materiali la convessità di Wrispetto alla variabile A non è sicamente accettabile.Consideriamo un materiale omogeneo, ad esempio la gomma. La gomma è unmateriale estremamente elastico, nel senso che si deforma con poca quantitàdi energia mentre è necessaria una grande energia per modicare il volume.Consideriamo quindi un cubo di gomma con lato 1 e deformiamolo con duedeformazioni dierenti i cui gradienti siano dati rispettivamente dalla matriciA1 e A2 : 1/4 0 0

0 4 00 0 1

4 0 0

0 1/4 00 0 1

Con la prima deformazione A1 il cubo si è deformato di 1/4 lungo l'asse x e di4 lungo l'asse y ed è lasciato inalterato lungo l'asse z. Mentre la deformazionecon gradiente A2 si sono invertiti i ruoli di x ed y. In entrambi i casi il cubo èstato deformato nello stesso parallelepipedo e non c'è stata alcuna variazionedel volume detA1 = detA2 = 1 , è quindi lecito assumere che

W (A1) = W (A2)

Supponiamo che W sia una funzione convessa :

W

(A1 +A2

2

)≤ 1

2W (A1) +

12W (A1) = W (A1) = W (A2)

Se deformiamo il cubo iniziale con la deformazione il cui gradiente è la matrice1/2A1 + 1/2A2 : 17/8 0 0

0 17/8 00 0 1

si ottiene un parallelepipedo di volume maggiore in quanto det(1/2A1 +1/2A2) > 1. Quindi supponendo W convessa, si ha che la quantità di ener-gia necessaria per deformare il cubo aumentandone il volume risulta minore

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Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 5 p. 84

dell'energia necessaria per deformare il cubo mantenendo il volume costantee questo è assurdo per il materiale considerato.Va anche notato che la convessità della densità di energia W è in contraddi-zione con alcune condizioni che si assumono in elasticità. La matrice F = ∇u,ha detF 6= 0, ed è quindi è invertibile, dal teorema di decomposizione polare,esiste una matrice ortogonale R e una matrice simmetrica denita positiva Utale che F = RU . Tale teorema esprime il fatto che :Ogni applicazione lineare si decompone in una rotazione, data da Q ed unadilatazione o contrazione, data da U .Dal punto di vista elastico R non ha eetti, perché determina solo la rotazionerigida del corpo, mentre U ha l'eetto elastico di contrarre e dilatare.Si richiede quindi che la densità di energia W deve soddisfare la seguenteproprietà, detta di frame-indierent .

W (x,RF ) = W (x, F ) ∀F e R ortogonale.

Le trasformazioni che sono rotazioni pure, sono indipendenti dall'osservatore,principio di obiettività e indierenza del materiale.Queste considerazioni sono dovute a J. Ball, che si propose di determinarele nuove assunzioni costitutive che permettessero di studiare i problemi dielasticità attraverso i procedimenti del Metodo Diretti.Nel caso scalare N = 1, Tonelli intorno al 1920 ha dimostrato che la conves-sità di f = f(x, s, z) rispetto a z è anche una condizione necessaria per lasemicontinuità inferiore.Nel caso N > 1, vale un diverso risultato, dovuto a C.B. Morrey,1952, che haintrodotto la nozione di funzione quasi-convessa :

Denizione 5.2. Una funzione f = f(x, s, z), con (x, s, z) ∈ Ω× IRn× IRNn

è detta quasi-convessa se per ogni (x0, s0, z0) ∈ Ω ×RN ×RNn risulta

mis(Ω)f(x0, s0, z0) ≤∫Ω

f(x0, s0, z0 +Dϕ) dx,

per ogni ϕ ∈ C10 (Ω ×RN ).

Vale il seguente teorema, che stabilisce una condizione necessaria sulla fun-zione integranda f anché il funzionale integrale sia semicontinuo :

Teorema 5.3. Sia f continua, allora se il funzionale

I(u) =∫Ω

f(, x, u(x), Du(x)) dx

è semicontinuo inferiomente rispetto alla seguente convergenza della succes-sione (uk) :(i) la successione (uk) converge uniformemente a u in Ω(ii) SupDuk(x) ≤M , per ogni k.allora f è quasi-convessa.

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p. 85 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 5

Osservazione 5.4. Si vede facilmente che se f è convessa è anche quasi-convessa. Sia f(x, s, z) convessa in z e per semplicità supponiamo che siadi classe C1 in Ω ×RN ×RNn .Per ogni ssato (x0, s0, z0) sia Λ0 = fz(x0, s0, z0) la derivata di f rispetto allavariabile z. Allora segue

f(x0, s0, z0 +Dϕ) ≥ f(x0, s0, z0)+ < Λ0, Dϕ >

Integrando su Ω∫Ω

f(x0, s0, z0 +Dϕ) dx ≥ f(x0, s0, z0)mis(Ω), |

dal teorema della divergenza, si ha per ogni ϕ ∈ C10 (Ω ×RN ) :∫

Ω

< Λ0, Dϕ) = 0

segue che f è quasi-convessa. Non vale il viceversa, esistono funzioni quasi-convesse che non sono convesse.

Nei suoi lavori Ball ha osservato che la quasi-convessità, introdotta da Morreycome condizione necessaria alla semicontinuità, ha un interessante interpreta-zione sica, in quanto equivale al fatto che le deformazioni lineari sono minimilocali dell'energia totale del sistema.Consideriamo un materiale omogeneo, W = W (A) di energia totale :

E(u) =∫Ω

W (Du(x)) dx,

si dice u0 è un minimo locale quando, per ogni ϕ ∈ C1(Ω) :

E(u0) =∫Ω

W (Du0(x)) dx ≤ E(u0 + φ) =∫Ω

W (Du0(x) +Dϕ)

Se si assume W quasi-convessa e cioè :

|Ω|W (A0) ≤∫Ω

W (A0 +Dϕ) dx

denita la funzione lineare u0 =< A0, x > +a, si ha che per ogni ϕ ∈ C1(Ω) :∫Ω

W (Du0(x)) dx = W (A0)|Ω| ≤∫Ω

W (Du0(x) +Dϕ)

La condizione di quasi-convessità su W , per i materiali omogenei é la tra-duzione matematica del fatto sico che per deformare in modo da ottenerecongurazioni stabili è suciente utilizzare deformazioni con gradiente cos-tante.

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Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 5 p. 86

Per un materiale non omogeneo W = W (x,A) è sicamente plausibile sup-porre che in ogni x, ssato nella congurazione di riferimento Ω, si comporticome se fosse omogeneo e quindi assumere W quasi-convesso per ogni x.Osserviamo tuttavia che la quasi-convessità è una condizione abbastanza dif-cile da vericare, dal momento che non è una proprietà puntuale. Sono statequindi introdotte alcune nuove nozioni, di tipo puntuale, che si era pensatopotessero essere equivalenti alla quasi-convessità.

Denizione 5.5. Una funzione W denita in RnN è detta poli-convessa seesiste una funzione g(z) convessa tale che

W (A) = g(T (A))

dove T (A)= (A, adj2A, . . . ..,adjn∧N ).

Nella precedente denizione adjsA denota la matrice di tutti i s × s minoridella matrice A, 2 ≤ s ≤ min n,N.Ad esempio se n = N = 2 allora W (A) = g(A,detA). Osserviamo che lafunzione W (A) = detA è una funzione poli-convessa ma non convessa nellavariabile A.

Denizione 5.6. Una funzione W è detta convessa di rango uno se per ogniλ in (0, 1) e per ogni A,B ∈ RnN con rango(A−B) ≤ 1 si ha

W (λA+ (1− λ)B) ≤ λW (A) + (1− λ)W (B)

Le funzioni convesse di rango uno hanno un'interpretazione puntuale. Se Wè convessa di rango uno, allora la funzione h(χ, η) = W (A + χ

⊕η) , con

χ ∈ rN , η ∈ Rn e χ⊗η = χαηi, è convessa separatamente nelle variabili χ e

η.Vale il seguente risultato che lega le varie nozioni :

Teorema 5.7. W convessa ⇒W poli-convessa⇒W quasi-convessa ⇒W convessa di rango uno.

Nessuna delle precedenti implicazioni si inverte se non in casi particolari. Sonostate dati esempi di funzione convessa di rango 1 che non sono quasi-convessaed esistono funzioni quasi convesse che non sono poli-convesse.

5.4 Un problema non convesso in elasticità

Sia Ω un aperto regolare di IR2 e deniamo B = Ω × [0, L]. Consideriamo uncorpo che occupa nella congurazione di riferimento il cilindro B e sia elastico,incompressibile, isotropo e omogeneo.Consideriamo deformazioni del tipo Antiplane shear e cioè u : B → R3 dellaforma

u(x1, x2, x3) = (x1, x2, x3 + ϕ(x1, x2)

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p. 87 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 5

con ϕ denita in Ω. Il cilindro mantiene quindi le generatrici parallele ma sisposta in avanti.Il gradiente di deformazione F = ∇u è dato da : 1 0 0

0 1 0ϕx1 ϕx2 1

e soddisfa la condizione det∇u = 1 dei corpi incomprimibili. ConsideriamoFT la matrice trasposta di F : 1 0 ϕx1

0 1 ϕx2

ϕx1 0 1

e sia B = FFT : 1 0 ϕx1

0 1 ϕx2

ϕx1 ϕx2 ϕ2x1

+ ϕ2x2

+ 1

La densità di energia che rappresenta l'energia di deformazione per unitàdi volume è una funzione W = W (I1, I2, I3) dove (I1, I2, I3) denotano gliinvarianti della matrice B :

I1 = tr B = 3 + ϕ2x1

+ ϕ2x2

= 3 + |Dϕ|2

I2 =12

((tr B(2− tr B2) = ϕ2x1

+ ϕ2x2

+ 3 = 3 + |Dϕ|2

I3 = det B = 1

Restrigiamo la nostra attenzione ai materiali che dipendono solo da I = I1 =I2 e questa assunzione implica cheW determina il tensore S di Piola-Kirchho,a meno di una pressione arbitraria, attraverso la relazione :

S = −pF−T + 2W ′(I)F

si verica facilmente che

S11 = S22 = S33 = 2W (I)− p S12 = S21 = 0

S31 = 2W ′(I)ϕx1 S32 = 2W ′(I)ϕx2

S13 = pϕx1 S23 = pϕx2

L'equazione di Cauchy div S = 0, in questo caso diventa tenendo conto delfatto che W ′ non dipende da x3

∂∂x1

[2W ′(I)− p] + ∂p∂x3

ϕx1∂∂x2

[2W ′(I)− p] + ∂p∂x3

ϕx2∂∂x1

(2W ′(I)ϕx2) + ∂∂x1

(2W ′(I)ϕx2) = ∂p∂x3

(5.4.9)

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Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 5 p. 88

La terza equazione ci dice che ∂p∂x3

è indipendente da x3 e quindi p(x1, x2, x3) =cx3 + π(x1, x2) e inserendolo nelle prime due equazioni si ha che π(x1, x2) =2W ′(I) + cϕ+ d.La terza equazione è l'unica che deve essere risolta e diventa

∂x1(2W ′(I)ϕx2) +

∂x1(2W ′(I)ϕx2) = c

o in modo equivalente

2∑i=1

∂xi(2W ′(3 + |∇ϕ|2))ϕxi) = c∂xi = c

L'equazione di Cauchy è l'equazione di Euler-Lagrange del funzionale dell'ener-gia, che quindi ha la forma

E(ϕ) =∫Ω

(W (3 + |∇ϕ|2) + cϕ)dx

La formulazione variazionale del problema è di determinare i minimi del fun-zionale :

E(u) =∫Ω

w(|∇u|) + cu)dx

dove Ω è un aperto diIRn e w : IR+ → IR+ nella classe delle funzioni regolariu che assumono un ssato valore sul bordo di Ω.Quando w è una funzione convessa applicando il procedimento dei MetodiDiretti del capitolo 3, il problema ha soluzione ma nel caso dell'antiplaneshear la funzione w non è una convessa e il problema può non avere soluzione.Applicando la teoria del rilassamento si possono tuttavia avere delle informa-zioni sul comportamento delle successioni minimizzanti.Sia w∗∗ la più grande funzione convessa minorante w, è ragionevole supporreche w′ > 0 e che esistono α, β ∈ R+ tali che

(w∗∗)′(t) = w′(t) se t ∈ [0, α] ∩ [β,+∞)

(w∗∗)′(t) = w′(α) se t ∈ [α, β].

Inoltre α e β sono tali che w′(α) = w′(β) e vericano la cosidetta regoladell'area :

w(α)− w(β) =∫ β

α

w′(t)dt = w′(β)(α− β)

nel senso che esiste un punto γ ∈ (α, β) tale l'area tra il graco di w′ e laretta y = w′(α) = w′(β) per t ∈ (α, γ) è uguale a quella relativa all'intervallo(γ, β).La linea [(α,w′(α))(β,w′(β))] è chiamata Linea di Maxwell.Supponiamo che w(0) = 0 e

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p. 89 Appunti di Calcolo delle Variazioni, Capitolo 5

C1|t|p − C2 ≤ w(t) ≤ C3|t|p − C4

Indichiamo con (P) il problema

m = InfE(u) =

∫Ω

w(|∇u|dx : u ∈W 1,p(Ω) u = g su ∂Ω

ed il problema convesso associato (P∗∗)

m∗∗ = InfE(u) =

∫Ω

w∗∗(|∇u|)dx : u ∈W 1,p(Ω) u = g su ∂Ω

Vale il seguente teorema di rilassamento

Teorema 5.8. Nelle ipotesi precedenti si ha(i) m = m∗∗ ;(ii) Il problema convesso (P∗∗) ha almeno una soluzione :(iii) ogni successione minimizzante (uh) del problema (P) ha un estratta checonverge nella topologia debole di W 1,p(Ω) ad una soluzione di (P∗∗) ;

(iv) Per ogni soluzione u0 del problema (P∗∗) esiste una successione minimiz-zante (P) che converge a u0.

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