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Camb climatici 08 1 - isprambiente.gov.it · Conferenza – Sintesi dei lavori” 1, distribuito in occasione della Conferenza Nazionale. L’evento congressuale centrale si è svolto

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Informazioni legaliL’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici o le persone che agiscono per contodell’Agenzia stessa non sono responsabili per l’uso che può essere fatto delle informazioni contenutein questa pubblicazione.

APAT – Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecniciVia Vitaliano Brancati, 48 – 00144 RomaDipartimento Stato dell’ambiente e metrologia ambientalewww.apat.gov.it

ISBN 978-88-448-0344-5

Riproduzione autorizzata citando la fonte

Elaborazione graficaGrafica: Franco Iozzoli – APATFoto: Paolo Moretti, Paolo Orlandi, Alfredo Ricciardi Tenore – APAT

Grafica di copertina:Franco Iozzoli, Elena Porrazzo – APAT

Coordinamento tipografico e distribuzioneOlimpia Girolamo, Michela Porcarelli, Simonetta TurcoAPAT – Servizio ComunicazioneSettore editoria

Impaginazione I.G.E.R. s.r.l. – Via Odescalchi, 67/a – 00147 Roma

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Gli ultimi dati e proiezioni sul riscaldamento globale presentati nel quarto Rapporto dell’IPCC, ilGruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici voluto dalle Nazioni Unite, hanno evidenziatola necessità di nuovi interventi e nuove strategie volte, da una parte, alla riduzione delle emissioni diCO2, e più in generale dei gas a effetto serra, e dall’altra alla predisposizione di piani e program-mi di adattamento ai cambiamenti climatici in atto. In altre parole, è necessario prevenire il rischioclima agendo sulle cause, ma è anche necessario prevenire le inevitabili conseguenze negativeagendo sugli effetti.Le Nazioni Unite hanno così definito due strumenti: la strategia di mitigazione dei cambiamenti cli-matici e la strategia di adattamento ai medesimi.Con la prima si intende agire appunto sulle cause, con l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas a ef-fetto serra provenienti dalle attività umane ed eliminarne progressivamente l’accumulo in atmosfera.Con la seconda si vogliono minimizzare le conseguenze negative e prevenire i danni, riducendo lavulnerabilità territoriale e quella socio-economica ai cambiamenti del clima.Le due strategie non sono alternative, bensì complementari: quanto maggiore sarà l’impegno per lamitigazione dei cambiamenti del clima, tanto minori saranno le esigenze di adattamento e vicever-sa.Come emerge anche dal Libro Verde su “L’adattamento ai cambiamenti climatici in Europa”, adot-tato dalla Commissione Europea nel giugno 2007, l’area mediterranea risulta una delle più vulne-rabili nell’ambito del continente.I paesi del Mediterraneo, e pertanto anche l’Italia, saranno i primi a subire e a dover pagare ilprezzo più alto in termini di danni ambientali, perdita di vite umane e salute, costi economici. Agi-re subito diventa quindi necessario.Se nel nostro Paese si segnalano ritardi sul versante della mitigazione solo in piccola parte recupe-rati dall’azione degli ultimi anni, in tema di adattamento l’azione di governo ancora deve muoverei primi passi, anche in considerazione del fatto che questa problematica si è affacciata solo di recen-te nello scenario delle politiche ambientali. A differenza di molte nazioni europee, l’Italia non haancora messo a punto una strategia di adattamento ai cambiamenti climatici: agire in questo senso,nel nostro Paese, significherà in primo luogo mettere in sicurezza il territorio in termini di protezio-ne dal rischio idrogeologico, di difesa delle coste e di gestione delle risorse idriche.È stata, quindi, indetta la Conferenza Nazionale sui cambiamenti climatici quale momento di ana-lisi e di confronto sia a livello tecnico-scientifico che sul piano delle ricadute di natura economico-so-ciale, affinché fosse possibile porre le basi per la definizione di una strategia nazionale di adatta-mento ai cambiamenti del clima.

Presentazione

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La Conferenza Nazionale sui cambiamenti climatici 2007 – organizzata dall’APAT in collaborazio-ne con il Sistema delle Agenzie ambientali – è stata strutturata, per la complessità e la molteplicitàdei temi da trattare, in un insieme di momenti convegnistici coordinati.Workshop tematici e convegni preparatori, svoltisi nei mesi di giugno e luglio, sono stati finalizzatialla predisposizione dei presupposti tecnici per le fasi di valutazione e di dibattito finali oggetto del-la Conferenza di settembre. Con ciascuno di essi l’attenzione è stata focalizzata, in termini sia tec-nico-scientifici che socio-economici, sui maggiori rischi presenti sul nostro territorio e sulle possibiliopzioni di adattamento, nonché sullo stato di attuazione e di successo delle politiche di mitigazionee sugli effetti sulla salute. Una breve descrizione dei lavori è presente nell’Appendice di questa pub-blicazione, mentre la trattazione più completa è oggetto del volume “Gli eventi preparatori dellaConferenza – Sintesi dei lavori”1, distribuito in occasione della Conferenza Nazionale. L’evento congressuale centrale si è svolto nell’arco delle giornate del 12 e 13 settembre 2007 nelcorso delle quali hanno trovato spazio anche la Conferenza Junior, dieci Eventi collaterali e unaSessione “Poster”.Con la Conferenza, articolata in sessioni plenarie e sessioni parallele tematiche, è stata offerta, daun lato, l’opportunità di analizzare le principali criticità per l’Italia – attraverso la descrizione dell’at-tuale quadro conoscitivo e dei gap da colmare, delle iniziative già avviate o programmate a livelloistituzionale e di alcune esperienze di interesse – dall’altro, di affrontare momenti di dibattito, a li-vello tecnico-istituzionale e sopranazionale, al fine di elaborare e concordare le prime linee di indi-rizzo per una strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. In contemporanea all’evento convegnistico centrale si sono svolti dieci Eventi collaterali, autonoma-mente gestiti. L’iniziativa ha rappresentato un’occasione per l’approfondimento di alcune tematichecomplementari a quelle trattate nelle sessioni della Conferenza e la presentazione delle attività dialcuni centri di eccellenza che operano in ambiti scientifici di interesse per lo studio dei cambia-menti climatici. Con la Conferenza Junior, organizzata dall’APAT in collaborazione con il Sistema delle Agenzieambientali e con il supporto del Centro Turistico Studentesco (CTS) Ambiente, si è voluto coinvolge-re anche i cittadini più giovani nella ricerca di strategie e nella costruzione di un impegno indivi-duale e collettivo per affrontare il tema dei cambiamenti climatici, nelle due prospettive della mitiga-zione e dell’adattamento.La Conferenza, infine, ha ospitato una Sessione “Poster”, con 117 lavori suddivisi per argomento eorganizzati secondo un percorso tematico per facilitarne la consultazione.Con questa pubblicazione si vuole fornire un quadro sintetico, ma completo, delle valutazioni e del-le considerazioni emerse durante tutto il percorso che, a partire dagli eventi preparatori, si è conclu-so con la Conferenza Nazionale di settembre 2007.L’articolazione del documento segue una struttura che riproduce le tappe principali della manifesta-

Introduzione

1 Disponibile al sito web APAT http://www.apat.gov.it/site/it-IT/APAT/Pubblicazioni/Atti e http://www.conferenzacambiamenticlimatici2007.it/site/_Files/145517_Cambiamenti%20climatici.pdf.

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zione e ne propone i contenuti di sintesi.Con il capitolo 1 sono esposti i contenuti di sintesi della Conferenza, articolati nelle due giornatedei lavori.Nel capitolo 2 sono descritti brevemente gli argomenti dibattuti durante i dieci Eventi collaterali, ele attività svolte durante la Conferenza Junior (13 settembre).Nel capitolo 3 è riportato l’elenco dei poster presentati nell’ambito della Sessione “Poster”, suddivi-si per tematica di riferimento.Con il capitolo 4 sono proposte alcune considerazioni conclusive e una breve descrizione dei docu-menti finali della Conferenza: il Manifesto per il clima, le 13 Azioni per un adattamento sostenibi-le, il Manifesto della Conferenza Junior.In Appendice, infine, una sintesi dei lavori degli eventi preparatori – contenente alcune considera-zioni conclusive sulla portata degli eventi stessi e sugli aspetti di maggior rilievo in merito alle criti-cità per il nostro Paese – una valutazione economica degli impatti dei cambiamenti climatici e del-le strategie di adattamento in Italia, e il testo di tre documenti di sintesi della Conferenza: “Il Mani-festo per il clima”, “Le prime 13 azioni per l’adattamento sostenibile” e “La Carta della ConferenzaJunior sui cambiamenti climatici”.

Avv. Giancarlo ViglionePresidente APAT

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ANBI: Associazione Nazionale Bonifiche e Irriga-zioniANCI: Associazione Nazionale Comuni ItalianiAPAT: Agenzia per la protezione dell’ambiente eper servizi tecniciAPEC: Asia-Pacific Economic CooperationARPA: Agenzia regionale per la protezione del-l’AmbienteARSIA: Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’In-novazione nel Settore Agricolo-forestaleATO: Ambito Territoriale OttimaleAVI: (Catalogo) Aree Vulnerate ItalianeBAS: Biotecnologie, Agroindustria e protezionedella Salute (Dipartimento dell’ENEA)CCS: Cattura e stoccaggio del carbonioCCTA: Carabinieri per la tutela dell’ambiente CDM: Clean Development MechanismCFS: Corpo Forestale dello StatoCGE: Computable General Equilibrium (classe dimodelli economici che utilizzano dati economicireali per stimare come l’economia potrebbe ri-spondere a cambiamenti nella politica, nella tec-nologia o ad altri fattori esterni)CIA: Confederazione Italiana AgricoltoriCIBIC: Centro Interdipartimentale di Bioclimatolo-gia dell’Università degli Studi di FirenzeCIBM: Consorzio per il Centro Interuniversitario diBiologia Marina ed Ecologia Applicata “GuidoBacci” di LivornoCIRSA: Centro Interdipartimentale di Ricerca perle Scienze AmbientaliCMA: Unità di ricerca per la climatologia e la me-teorologia applicate all’agricoltura (ex-UfficioCentrale di Ecologia Agraria) del CRACMCC: Centro Euro-Mediterraneo per i Cambia-menti ClimaticiCNCC: Conferenza Nazionale sui cambiamenticlimaticiCNMCA: Centro Nazionale di Meteorologia e Cli-matologia AeronauticaCNR: Consiglio Nazionale delle RicercheCNR-IRPI: Istituto di Ricerca per la Protezione Idro-geologicaCONECOFOR: Rete Nazionale per il Controllo

degli Ecosistemi Forestali del CFSCONISMA: Consorzio Nazionale Interuniversita-rio per le Scienze del MareCo.Vi.R.I.: Comitato per la Vigilanza sull’uso delleRisorse IdricheCRA: Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazio-ne in AgricolturaCRED: Centre for Research on the Epidemiology ofDisastersCRED-EMDAT: CRED’s Emergency Disasters DataBase CTS: Centro Turistico Studentesco e GiovanileDISAT: Dipartimento di Scienze agronomiche egestione del territorio agro-forestale dell’Universitàdegli Studi di FirenzeDMV: Deflusso minimo vitaleDPSIR: Determinanti, Pressioni, Stato, Impatto eRisposteDIP.TE.RIS.: Dipartimento per lo Studio del Territorioe delle sue Risorse dell’Università degli Studi diGenovaECCP: European Climate Change ProgrammeEEA: European Environment AgencyENEA: Ente per le Nuove Tecnologie, l’Energia el’AmbienteESF MED CLIVAR: Mediterranean CLImateVARia-bility and predictabilityETS: Emission Trading SchemeFAO: Food and Agriculture OrganizationFEEM: Fondazione ENI “Enrico Mattei”GISS: Goddard Institute for Space Studies (Unitàdel “Columbia University Earth Institute”) dellaNASAGIZC: Gestione Integrata delle Zone CostiereGME: Gestore del Mercato Elettrico S.p.A.GNRAC: Gruppo Nazionale per la Ricerca sul-l’Ambiente CostieroGPL: Gas di Petrolio LiquefattoIAMC: Istituto per l’Ambiente Marino Costiero (Isti-tuto del CNR)IBAF: Istituto di Biologia Agro-ambientale e Fore-stale (Istituto del CNR)IBIMET: Istituto di Biometeorologia (Istituto delCNR)

Acronimi

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ICRAM: Istituto Centrale per la Ricerca scientifica etecnologica Applicata al MareICZM: Integrated Coastal Zone ManagementIDPA: Istituto per la Dinamica dei Processi Am-bientaliIFFI: Inventario dei Fenomeni Franosi in ItaliaINEA: Istituto Nazionale di Economia AgrariaINEMAR: INventario EMissioni AriaINGV: Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanolo-giaINOGS: Istituto Nazionale di Oceanografia e diGeofisica SperimentaleIPCC: Intergovernmental Panel on Climate ChangeISMAR: Istituto di Scienze MarineIUAV (Università IUAV di Venezia): Università “Isti-tuto Universitario di Architettura di Venezia”LIPU: Lega Italiana Protezione UccelliLTER-ITALIA: Rete italiana per le ricerche ecologi-che di lungo termineMATTM: Ministero dell’Ambiente e della Tutela delTerritorio e del MareMIPAIS: Méthodologies et Instruments pour la Pla-nification et la gestion durable de l’Irrigation encondition de SécheresseNASA: National Aeronautics and Space Admini-stration (Amministrazione Nazionale dell’Aero-nautica e dello Spazio) degli Stati Uniti d’AmericaOCSE: Organizzazione per la Cooperazione e loSviluppo EconomicoOMS: Organizzazione Mondiale della SanitàOMT: Organizzazione Mondiale del TurismoONU:Organizzazione delle Nazioni Unite

PRC: Piani Regolatori ComunaliRAM: Reparto Ambientale Marino del Corpo delleCapitanerie di portoRSU: Rifiuti Solidi UrbaniSCIA: Sistema nazionale per la raccolta, elabora-zione, e diffusione dei dati Climatologici di Inte-resse AmbientaleSIC: Siti di Importanza ComunitariaSISI: Sistema Informativo territoriale per la Salva-guardia delle Infrastrutture e della popolazioneSTRAS: Strategia Regionale di Azione Ambientaleper la Sostenibilità 2006-2010UCEA: Ufficio Centrale di Ecologia AgrariaUE: Unione EuropeaUNCCD: United Nations Convention to CombatDesertificationUNDP: United Nations Development ProgrammeUNECE-CLRTAP: United Nations Economic Com-mission for Europe/Convention on Long-rangeTransboundary Air PollutionUNEP: United Nations Environment ProgrammeUNFCCC: United Nations Framework Conventionon Climate ChangeUPI: Unione delle Province d’ItaliaUSL: Azienda Sanitaria LocaleVAS: Valutazione Ambientale StrategicaVIA: Valutazione Impatto AmbientaleWFD: Water Framework DirectiveWG: Working GroupWTO/GATS: World Trade Organization/GeneralAgreement on Trade in ServicesWWF: World Wide Fund for Nature

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ContributiLa Conferenza Nazionale sui cambiamenti climatici 2007 è stata un evento complesso che harichiesto l’apporto competente di eminenti personalità del mondo della politica e del mondo dellascienza nonché l’azione congiunta di numerose unità operative dell’APAT e delle Agenzie localiper la protezione dell’ambiente, con il contributo di esperti di altri organismi e amministrazioni, econ la cooperazione di molte risorse professionali.

ComitatiPrestigiose personalità, nel Comitato di Coordinamento e nel Comitato Scientifico dellaConferenza, hanno messo a disposizione la propria competenza perché fossero definiti al meglio,rispettivamente, le linee di indirizzo politico e i riferimenti scientifici per un ottimale svolgimentodell’evento.

Comitato di Coordinamento: Giancarlo Viglione (APAT), Presidente – Antonio Bernardini (MAE) –Roberto Caracciolo (APAT) – Corrado Clini (MATTM) – Vincenzo Ferrara (ENEA).

Comitato Scientifico (che ha dato assistenza al Comitato di Coordinamento): Gianfranco Bologna(WWF) – Margaretha Breil (FEEM) – Sergio Castellari (INGV) – Giuseppe Gagliardi (APAT) –Simonetta Lombardo (APAT) – Claudio Margottini (APAT) – Giovanni Nani (MATTM) – TeresaNanni (CNR) – Stefano Tibaldi (ARPA Emilia Romagna) – Riccardo Valentini (Università dellaTuscia) – Edi Valpreda (ENEA) – Maria Rosa Vittadini (IUAV).

Organizzazione generale: il Gruppo di lavoro APATL’organizzazione della Conferenza, per tutti i suoi aspetti, è stata affidata dal Ministrodell’ambiente ad APAT, sulla base di un Protocollo d’intesa. Per il perseguimento degli obiettivifissati, APAT ha istituito un Gruppo di lavoro interno sotto il coordinamento di RobertoCaracciolo, Direttore del Dipartimento Stato dell’ambiente e metrologia ambientale, assistitoda Claudio Maricchiolo, Dirigente Responsabile del Servizio SINANET, così costituito: SilviaBacchiocchi – Stefania Calicchia – Ernesto Canta – Alessio Capriolo – Lorenzo Ciccarese –Stefano Corsini – Riccardo De Lauretis – Claudia Delfini – Franco Desiato – Cristian Di Stefano– Domenico Gaudioso – Francesca Giordano – Roberto Inghilesi – Anna Luise – RosannaMascolo – Renata Montesanti – Cristina Pacciani – Claudio Piccini – Astrid Raudner – LucianaSinisi – Daniele Spizzichino – Roberta Vinciguerra.

Contributi e ringraziamenti

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Organizzazione tecnico-operativa (APAT)L’organizzazione tecnico-operativa della Conferenza è stata curata da APAT che si è avvalsa,oltre che del Gruppo di lavoro, anche del supporto delle competenti Unità che hanno messo adisposizione numerose risorse umane.

Coordinamento generale: Roberto Caracciolo (AMB-DIR).

Coordinamento tecnico: Claudio Maricchiolo (AMB-NET).Supporto tecnico: Stefania Calicchia (BIB-FOR) – Francesca Giordano (AMB-MPA) – Maria-concetta Giunta (AMB-ASA) – Anna Luise (AMB-DES) – Adolfo Pirozzi (BIB-FOR) – AstridRaudner (AMB-NET).Coordinamento organizzativo: Silvia Bacchiocchi (DIR-COM) – Roberta Vinciguerra (AMB-NET).Supporto organizzativo: Emilio Avola (DIR-COM) – Laura Bianchi (DIR-COM) – Veronica D’Offizi(DIR) – Elisabetta Giovannini (AMB-ASA) – Olimpia Girolamo (DIR-COM) – Simona Petrescu (DIR-COM) – Michela Porcarelli (DIR-COM) – Mila Verboschi (DIR-COM).Segreteria organizzativa: Sabrina Farris (DIR-COM) – Daniela Nutarelli (DIR-COM) – NadiaMattozzi (DIR-COM) – Alessandro Gaspare Pace (DIR-COM) – Noemi Tsuno (DIR).Coordinamento Comunicazione: Renata Montesanti (DIR-COM).Coordinamento Ufficio Stampa: Cristina Pacciani (DIR-COM).Supporto Comunicazione e Ufficio Stampa: Giuliana Bevilacqua (DIR-COM) – Lorena Cecchini(DIR-COM) – Claudia Delfini (DIR-COM) – Lucia Fattori (DIR-COM) – Fabrizio Felici (DIR-COM) –Franco Iozzoli (DIR-COM) – Alessandra Lasco (DIR-COM) – Paolo Moretti (DIR-COM) – PaoloOrlandi (DIR) – Filippo Pala (DIR-COM) – Anna Rita Pescetelli (DIR-COM) – Elena Porrazzo (DIR-COM) – Paola Richard (DIR-COM).Coordinamento “Conferenza Junior”: Emi Morroni (BIB-DIR).Amministrazione: Ernesto Canta (GEN-SAG).Sito web e information technology: Simona Benedetti (BIB-WEB) – Giordano Colasanti (BIB-WEB)– Stefano De Paolis (BIB-WEB) – Cristian Di Stefano (AMB-NET) – Florido Falcioni (BIB-WEB) –Daniela Genta (BIB-WEB) – Franco Guiducci (BIB-WEB), Anna Maria Rizzo (BIB-WEB).Collaborazione: Francesco Abballe (BIB-MUS) – Anna Aiello (BIB-DIR) – Chiara Aloisio (DIR) –Zeno Amicucci (GEN-SAG) – Silvia Bonaventura (BIB-FOR) – Maria Vittoria Castellani (GEN-DIR)– Dora Ceralli (BIB-WEB) – Vincenza Cipollone (BIB-FOR) – Beatrice Fernandez (AMB-NET) –Francesca Floccia (DIR-ISP) – Rosalba Fusaro (BIB-FOR) – Paola Giambanco (DIR-COM) – AndreaGiuliani (BIB-FOR) – Stefania Leone (GEN-GAR) – Andrea Martini (DIR-COM) – Daria Mazzella(DIR-COM) – Giovanni Mezi (DIR-COM) – Sandra Moscone (DIR-REL) – Sabrina Panico (DIR) –Rossana Petralia (GEN-DIR) – Patrizia Polidori (BIB-FOR) – Luigi Ramacci (AM-NET) – MatteoSalomone (AMB-ASA), Nadia Sbreglia (BIB-FOR) – Emanuele Ticca (DIR-COM) – Simonetta Turco(DIR-COM) – Maria Loreta Vitellozzi (AMB-DIR).

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Eventi preparatoriGli Eventi preparatori – organizzati anche con il significativo contributo delle Agenzie per laprotezione dell’ambiente delle Regioni nelle quali si sono svolti – hanno rappresentato, nel loroinsieme, un momento di approfondimento dei molteplici temi ambientali su cui ha impatto laproblematica dei cambiamenti climatici, per mezzo del quale è stato possibile assicurare, da unlato, il dovuto risalto a ciascun tema e, dall’altro, un agile svolgimento dell’evento convegnistico. Di seguito sono riportati i nominativi di coloro che hanno contribuito alla realizzazione di talieventi.

Workshop “Le variazioni climatiche e i processi di desertificazione: verso piani di monitoraggio estrategie di riduzione della vulnerabilità e di adattamento” (Alghero, 21-22 giugno 2007): AnnaLuise (APAT) – Andrea Motroni (ARPA Sardegna) – Maurizio Sciortino (ENEA) – Guido Bonati(INEA).Workshop “Cambiamenti climatici e ambiente marino costiero: scenari futuri per un programmanazionale di adattamento” (Palermo, 27-28 giugno 2007): Stefano Corsini (APAT) – Edi Valpreda(ENEA), con il contributo di: Sergio Marino (ARPA Sicilia) – Maurizio Ferla (APAT) – GiulianoFierro (Gruppo Nazionale per la Ricerca sull’Ambiente Costiero GNRAC) – Giovanni Randazzo(EUCC).Workshop “Cambiamenti climatici e ambienti nivoglaciali: scenari e prospettive di adattamento”(Saint-Vincent, 2-3 luglio 2007): Luca Mercalli (Comitato Glaciologico Italiano) – Umberto Morradi Cella (ARPA Valle d’Aosta) – Edoardo Cremonese (ARPA Valle d’Aosta) – Giovanni Agnesod(ARPA Valle d’Aosta) – Sara Tornato (ARPA Valle d’Aosta) – Claudio Piccini (APAT).Workshop “Cambiamenti climatici e dissesto idrogeologico: scenari futuri per un programmanazionale di adattamento” (Napoli, 9-10 luglio 2007): Claudio Margottini (APAT) – DanieleSpizzichino (APAT) – Giuseppe Onorati (ARPA Campania).Workshop “Effetti dei cambiamenti climatici sul bacino del Po” (Parma, 16 luglio 2007): MartinaBussettini (APAT) – Silvano Pecora (ARPA Emilia Romagna).Convegno “Cambiamenti climatici e salute” (Roma, 25 giugno 2007): Luciana Sinisi (APAT).Convegno “Inventario emissioni gas serra in Italia 1990-2005” (Brindisi, 20 luglio 2007):Riccardo De Lauretis (APAT) – Daniela Romano (APAT), con il contributo di: Giorgio Assennato(ARPA Puglia) – Stefano Cesarini (ARPA Lombardia) – Domenico Gaudioso (Ministero per losviluppo economico).

Per i dettagli sui contributi agli Eventi preparatori si rinvia alla pubblicazione “Gli Eventipreparatori della Conferenza – Sintesi dei lavori” (APAT, settembre 2007; www.apat.gov.it;www.conferenzacambiamenticlimatici2007.it; www.minambiente.it).

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Sessioni plenarie, Sessioni parallele, Gruppi di lavoroNel corso della Conferenza Nazionale hanno avuto luogo Sessioni plenarie, Sessioni parallele eGruppi di lavoro.

I Relatori delle Sessioni plenarie sono citati in dettaglio all’inizio della sintesi del rispettivointervento.

Una sintesi degli interventi e dei dibattiti svoltisi nelle Sessioni parallele e nei Gruppi di lavoro èstata presentata dai rispettivi Rapporteur nel corso della Sessione plenaria conclusiva della primagiornata della Conferenza, presieduta da Stefano Tibaldi (ARPA Emilia Romagna, Direttore delServizio Idrometeorologico; Membro del Comitato Scientifico della CNCC 2007).

Sessione plenaria A, prima parte – Risorse IdrichePresidente: Gianni Piatti (Sottosegretario MATTM).Relatori: Ezio Todini (Docente, Università di Bologna, Dipartimento Scienze della Terra eGeologico-Ambientali) – Roberto Passino (Presidente COVIRI, MATTM).Interventi: Renzo Rosso (Docente, Politecnico di Milano) – Antonio Rusconi (Docente, IUAV),Rapporteur – Elio Lannutti (Presidente Comitato Ecolabel Ecoaudit) – Massimo Gargano (PresidenteANBI) – Mauro D’Ascenzi (Presidente Aggiunto Federutility) – Roberto Della Seta (PresidenteLegambiente) – Riccardo Petrella (Presidente Comitato Internazionale per il Contratto Mondialedell’Acqua).

Sessione plenaria A, seconda parte – AgricolturaPresidente: Bruno Dettori (Sottosegretario MATTM).Relatori: Giampiero Maracchi (Direttore IBIMET-CNR) – Domenico Vento (Direttore CMA-CRA).Interventi: Marco Bindi (Docente, Università di Firenze, Direttore DISAT) – Francesco NicolaTubiello (Research Scientist Columbia University, NASA-GISS) – Franco Miglietta (Dirigente RicercaIBIMET-CNR) – Guido Bonati (Ricercatore INEA), Rapporteur – Vincenzo Coccolo (DirettoreGenerale ARPA Piemonte) – Giuseppe Politi (Presidente CIA) – Sergio Marini (Presidente Coldiretti)– Federico Vecchioni (Presidente Confagricoltura).

Sessione plenaria B, prima parte – Suolo e costePresidente: Gaetano Benedetto (Vicecapo di Gabinetto MATTM).Relatori: Claudio Margottini (Consigliere del Ministro dell’ambiente per il rischio idrogeologico,APAT) – Giuliano Fierro (Docente DIP.TE.RIS, Università di Genova).Interventi: Maria Rosa Vittadini (Docente, Dipartimento di Pianificazione del Territorio, IUAV) –Giovanni Menduni (Segretario Generale dell’Autorità di Bacino del fiume Arno) – Edi Valpreda(Ricercatore, Dipartimento Ambiente, Cambiamenti Climatici, Sostenibilità, ENEA), Rapporteur –Stefano Corsini (Dirigente Servizio Difesa Coste, Dipartimento Acque Interne e Marine, APAT) –Pasquale Versace (Docente, Dipartimento Difesa del Suolo, Università della Calabria) – Felice DiGregorio (Docente, Dipartimento Scienze della Terra, Università di Cagliari) – Diego Tommasi(Coordinatore Nazionale Ambiente e Protezione Civile, Conferenza Stato-Regioni) – AlessandroGiannì (Responsabile Campagna Mare Greenpeace).

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Sessione plenaria B, seconda parte – Biodiversità e forestePresidente: Laura Marchetti (Sottosegretario MATTM).Relatori: Riccardo Valentini (Docente, Università degli Studi della Tuscia; CMCC) – Marino Gatto(Docente, Politecnico di Milano).Interventi: Cesare Corselli (Presidente Conisma) – Giuseppe Scarascia Mugnozza (Direttore IBAF-CNR) – Lorenzo Ciccarese (Segreteria Tecnica Sottosegretario MATTM) – Bruno Petriccione (UfficioCONECOFOR, CFS), Rapporteur – Piero Corda (Docente, Università degli Studi di Sassari) –Giuliano Tallone (Presidente LIPU) – Kevin Conrad (Direttore Esecutivo Rainforest Coalition) –Gianfranco Bologna (Direttore Scientifico WWF).

Sessione plenaria C – MitigazionePresidente: Gianni Silvestrini (Consigliere del Ministro per lo sviluppo economico).Relatori: Corrado Clini (Direttore Generale per la Ricerca ambientale e lo sviluppo, MATTM) –Riccardo De Lauretis (Responsabile Settore Emissioni in Atmosfera, Dipartimento Statodell’Ambiente, APAT).Interventi: Giorgio Palazzi (Direttore Dipartimento Energia, ENEA) – Salvatore Zecchini (PresidenteGME) – Carlo Maria Marino (Presidente ARPA Lombardia) – Emilio D’Alessio (PresidenteCoordinamento Agende 21 locali) – Karl-Ludwig Schibel (Coordinatore Alleanza per il Clima) –Rosa Filippini (Presidente “Amici della Terra”) – Domenico Gaudioso (Dipartimento Statodell’Ambiente, APAT), Rapporteur.

Gruppo di lavoro – Ambiente e saluteGiorgio Bartolini (Centro Interdipartimentale di Bioclimatologia (CIBIC) Università degli Studi diFirenze) – Paola Bottoni (Istituto Superiore di Sanità) – Giovanni Braca (APAT) – Martina Bussettini(APAT) – Mario Carere (Istituto Superiore di Sanità) – Tullio D’Aponte (Università degli Studi diNapoli “Federico II”) – Francesca De Maio (APAT) – Anamaria de Martino (Ministero della salute)– Benedetta Dell’Anno (Ministero dell’ambiente) – Anna Maria Fausto (Università della Tuscia) –Enzo Funari (Istituto Superiore di Sanità) – Giancarlo Majori (Istituto Superiore di Sanità) – LauraMancini (Istituto Superiore di Sanità) – Stefania Marcheggiani (Istituto Superiore di Sanità) –Angiolo Martinelli (ARPA Umbria) – Bettina Menne (OMS Regione Europea) – Marina Miraglia(Istituto Superiore di Sanità) – Marco Morabito (Centro Interdipartimentale di Bioclimatologia(CIBIC) Università degli Studi di Firenze) – Marzia Onorari (ARPA Toscana) – Simone Orlandini(Centro Interdipartimentale di Bioclimatologia (CIBIC) Università degli Studi di Firenze) – WalterRaineri (ARPA Liguria) – Sabrina Rieti (APAT) – Roberto Romi (Istituto Superiore di Sanità) – DanilaScala (ARPA Toscana) – Luciana Sinisi (APAT), Rapporteur – Daniele Spizzichino (APAT) – JessicaTuscano (APAT) – Tanja Wolf (OMS Regione Europea).

Gruppo di lavoro – Mare e risorse marineFranco Andaloro (Dirigente di ricerca ICRAM) – Ferdinando Boero (Ordinario di EcologiaUniversità di Lecce) – Giancarlo Boeri (Direttore Dipartimento Tutela delle acque interne e marineAPAT) – Angelo Cau (Ordinario di ecologia Università di Cagliari) – Cesare Corselli (PresidenteCONISMA) – Roberto Danovaro (Ordinario di Ecologia Università Politecnica delle MarchePresidente AIOL) – Stefano De Ranieri (Direttore CIBM Livorno) – Silvano Focardi (Rettore

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Università di Siena, Presidente ICRAM) – Serena Fonda Umani (Ordinario di Ecologia Universitàdi Trieste) – Silvestro Greco (Dirigente di Ricerca Istituto Centrale per la ricerca scientifica etecnologica applicata al mare (ICRAM); Consigliere Scientifico del Ministro dell’ambiente per lepolitiche del mare), Rapporteur – Alessandro Lippi (Presidente CIBM Livorno) – MariangelaRavaioli (Dirigente di Ricerca CNR Bologna) – Attilio Rinaldi (Direttore “Daphne” ARPA EmiliaRomagna) – Vincenzo Saggiomo (Dirigente di Ricerca Stazione zoologica Napoli) – FabrizioSerena (ARPA Toscana).

Eventi collaterali e Conferenza JuniorGli Eventi collaterali, svoltisi in contemporanea con i lavori delle Sessioni e dei Gruppi, hannorappresentato per molte istituzioni e organizzazioni pubbliche e private l’occasione per farconoscere a un pubblico vasto le proprie attività.La Conferenza Junior è stata un momento significativo di coinvolgimento delle giovani generazioninella riflessione sulla problematica dei cambiamenti climatici.I soggetti organizzatori, i referenti, i moderatori e i relatori di ciascun evento sono citati in dettaglioal capitolo 2 “Sintesi Eventi collaterali e Conferenza Junior”, all’inizio della sintesi del rispettivoevento.

Sessione “Poster”La Conferenza di settembre ha presentato anche una sessione poster. Gli Autori dei poster espostisono citati in dettaglio al capitolo 3 “Sessione Poster”.

Questa pubblicazione – Il Gruppo di lavoro “ad hoc” APAT e collaborazioniPer la predisposizione di questa pubblicazione, è stato costituito un Gruppo di lavoro “ad hoc”interno all’APAT, coordinato da Rita Calicchia (AMB-RAS), e composto da: Maria AlessiaAlessandro (AMB-RAS), Anna Chiesura (AMB-VAL), Claudia Delfini (DIR-COM; primo editing eselezione materiale fotografico), Anna Rita Pescetelli (DIR-COM), Luca Segazzi (AMB-ASA).

Il Gruppo di lavoro ha curato la predisposizione dei testi di sintesi relativi alle sessioni plenarie ela redazione finale di questa pubblicazione.

Francesca Giordano (AMB-MPA) ha dato supporto al Gruppo di lavoro curando raccolta e sintesidei contributi dei Referenti degli Eventi collaterali e strutturando il materiale informativo relativoalla Sessione “Poster”.

Stefano Tibaldi, Direttore del Servizio Idrometeorologico di ARPA Emilia Romagna e Membro delComitato Scientifico della CNCC 2007, ha collaborato con il Gruppo di lavoro “ad hoc” APAT,coordinando l’attività di raccolta e organizzazione dei contributi dei Rapporteur delle Sessioniparallele della Conferenza e dei Referenti degli Eventi preparatori, e ha partecipato alla fase direvisione finale di questa pubblicazione.

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Questa pubblicazione – Autori, coordinatori e contributori

Capitoli Autori, coordinatori, contributoriSezione introduttiva Roberto Caracciolo1, Stefano Tibaldi2, Rita Calicchia1

1. Sintesi della ConferenzaSessioni plenarie Gdl “ad hoc” APATSessioni parallele Coordinamento a cura di Stefano Tibaldi2, con contributi di:

Guido Bonati3, Domenico Gaudioso1, Bruno Petriccione4,Antonio Rusconi5, Edi Valpreda6

Gruppi di lavoro Coordinamento a cura di Stefano Tibaldi2, con contributi di:Silvestro Greco7, Luciana Sinisi1

2. Sintesi Eventi collaterali Eventi collaterali: a cura di Francesca Giordano1, con e Conferenza Junior contributi di:

Marco Castagna8, Tiziano Colombo9, Cesare Corselli10,Franco Desiato1, Dario Esposito11, Massimo Iannetta6,Rosario Lembo12, Antonio Navarra13, Micaela Solinas14

Conferenza Junior: contributo di Adolfo Pirozzi1, StefaniaCalicchia1

3. Sessione “Poster” a cura di Francesca Giordano1

4. Conclusioni Roberto Caracciolo1, Anna Luise1, Rita Calicchia1

AppendiciA.1.1 – A.1.7 Sintesi Eventi Coordinamento a cura di Stefano Tibaldi2, con contributi preparatori di:

Giovanni Agnesod15, Guido Bonati3, Martina Bussettini1,Stefano Corsini1, Edoardo Cremonese15, Riccardo DeLauretis1, Anna Luise1, Claudio Margottini1, LucaMercalli16,17, Umberto Morra di Cella15, AndreaMotroni18, Giuseppe Onorati19, Claudio Piccini1, MaurizioSciortino6, Luciana Sinisi1, Daniele Spizzichino1, SaraTornato15, Edi Valpreda6

A.2 Gli impatti dei cambiamenti climatici e le strategie di adattamento a cura di: Carlo Carraro13, Jacopo Crimi13, Alessandrain Italia.Una valutazione economica. Sgobbi13, con il contributo di Alessio Capriolo1

1: APAT – 2: ARPA Emilia Romagna – 3: Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA), Roma – 4: CorpoForestale dello Stato, Ufficio CONECOFOR, Roma – 5: Università IUAV, Venezia – 6: ENEA – 7: Istituto Centraleper la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare (ICRAM) – 8: Muvita S.r.l. Agenzia Provinciale perl’ambiente, l’energia e l’innovazione, Arenzano (Ge) – 9: Centro Nazionale di Meteorologia e ClimatologiaAeronautica (CNMCA), Pratica di Mare (RM) – 10: CoNISMa – 11: Commissione Ambiente ANCI; Assessoratoalle Politiche ambientali e agricole del Comune di Roma – 12: Contratto Mondiale dell’Acqua – 13: CentroEuroMediterraneo per i cambiamenti climatici (CMCC) – 14: Centro Turistico Studentesco (CTS) – 15: ARPA Valled’Aosta – 16: Società Meteorologica Italiana – 17: Comitato Glaciologico Italiano – 18: ARPA Sardegna – 19:ARPA Campania.

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RingraziamentiAl termine di questa lunga, ma indispensabilmente dovuta, elencazione – prova visibile, semmaifosse necessario – del notevole impegno richiesto per realizzare un evento di tale livello, sidesidera esprimere il più vivo ringraziamento a ciascuno di coloro che, a vario titolo e in variamisura, hanno contribuito alla riuscita della Conferenza Nazionale sui cambiamenti climatici 2007nel corso di tutti i suoi momenti, dagli Eventi preparatori al Convegno, a questa pubblicazione.A fronte di un così nutrito concorso di competenze, qualche involontaria dimenticanza puòavvenire. A coloro che, pur avendo contribuito, non risultassero esplicitamente citati va il nostropiù cordiale ringraziamento, unitamente all’espressione di sentite scuse.

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Presentazione 3

Introduzione 5

Acronimi 7

Contributi e ringraziamenti 9

Sezione introduttiva 21

Capitolo 1 Sintesi Conferenza 27

12 settembre

1.1 Cerimonia di apertura 271.1.1 David Harcharik – FAO, Direttore Generale Aggiunto 271.1.2 Giancarlo Viglione, Commissario Straordinario APAT 281.1.3 Piero Marrazzo, Presidente della Regione Lazio 301.1.4 Fausto Bertinotti, Presidente della Camera dei Deputati 311.1.5 Alfonso Pecoraro Scanio, Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio

e del mare 311.2 Quadro di riferimento internazionale 34

1.2.1 Mari Amano – OCSE, Vicesegretario Generale 341.2.2 Roberto Acosta – United Nations Framework Convention on

Climate Change (UNFCCC), Coordinatore Strategie Adattamento 361.2.3 Filippo Giorgi – IPCC / WG 1, Vicepresidente 37

1.3 Quadro di riferimento nazionale e mediterraneo 401.3.1 Vincenzo Ferrara – ENEA, Dirigente. Consigliere del Ministro

dell’ambiente per i cambiamenti del clima 401.3.2 Roberto Caracciolo – APAT, Direttore Dipartimento Stato dell’ambiente

e metrologia ambientale 431.4 Sessioni parallele e Gruppi di lavoro 47

1.4.1 Antonio Navarra – Centro EuroMediterraneo per i Cambiamenti Climatici, Direttore 47

1.5 Sessione A – Prima parte: Risorse idriche 491.5.1 Antonio Rusconi – Università IUAV di Venezia •Rapporteur 49

1.6 Sessione A – Seconda parte: Agricoltura 571.6.1 Guido Bonati – Istituto Nazionale di Economia Agraria Roma •Rapporteur 57

1.7 Sessione B – Prima parte: Suolo e coste 601.7.1 Edi Valpreda – ENEA, Dipartimento Ambiente, cambiamenti globali

e sviluppo sostenibile •Rapporteur 601.8 Sessione B – Seconda parte: Biodiversità e foreste 64

1.8.1 Bruno Petriccione – Corpo Forestale dello Stato, Ufficio CONECOFOR Roma •Rapporteur 64

Indice

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1.9 Sessione C – Mitigazione 681.9.1 Domenico Gaudioso – APAT •Rapporteur 68

1.10 Gruppo di lavoro “Ambiente e salute” 711.10.1 Luciana Sinisi – APAT •Rapporteur 71

1.11 Gruppo di lavoro “Mare e risorse marine” 741.11.1 Silvestro Greco – Istituto Centrale per la ricerca scientifica

e tecnologica applicata al mare (ICRAM) •Rapporteur 74

13 settembre

1.12 Gli strumenti di adattamento 771.12.1 Nicola Greco – Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione,

Direttore Linea Editoriale. Comitato Tecnico MATTM 771.12.2 Stefano Boato – Comitato Tecnico MATTM 771.12.3 Roberto Bertollini – OMS Europa, Direttore Programma

Speciale Salute e Ambiente 781.12.4 Carlo Carraro – Università “Ca’ Foscari” di Venezia,

Direttore Dipartimento Scienze economiche 801.13 Tavola Rotonda 83

Mariapia Garavaglia, Vicesindaco di Roma 83Franco Marini, Presidente del Senato della Repubblica 84

Partecipanti alla Tavola Rotonda da parte di: 84

Gianni Riotta, Direttore TG1 RAI – Moderatore 84

Alfonso Pecoraro Scanio, Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 85Fabio Mussi, Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica 86Pierluigi Bersani, Ministro dello Sviluppo Economico 87Altero Matteoli, Commissione Ambiente del Senato 88

Guglielmo Epifani, Segretario Generale CGIL 89Renzo Bellini, Segretario Confederale CISL 90Luigi Angeletti, Segretario Generale UIL 91Renata Polverini, Segretario Generale UGL 92

Emma Marcegaglia, Vicepresidente Confindustria per l’energia e il coordinamento delle politiche industriali e ambientali 93

1.14 Piani di adattamento: la dimensione internazionale ed europea 951.14.1 Tommaso Sodano, Presidente Commissione Ambiente del Senato 951.14.2 Achim Steiner – UNEP, Direttore Esecutivo Programma Ambiente 961.14.3 Hans Verolme – WWF Internazionale, Direttore “Programma Clima” 981.14.4 Alexander Muller – FAO, Assistente del Direttore Generale 1001.14.5 Kevin Watkins – HDR-UNDP, Direttore 1.14.6 Kevin Conrad – Programma di riforestazione tropicale Rain

Forest Coalition, Direttore esecutivo 1031.14.7 John Ashton – Rappresentante del Governo del Regno Unito

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per i cambiamenti climatici 1041.14.8 Guido Sacconi – Parlamento europeo, Presidente della

Commissione Temporanea Cambiamenti climatici 1051.14.9 Nicholas Thery – Commissione Europea 106

1.15 Chiusura dei lavori 1061.15.1 Giancarlo Viglione, Commissario Straordinario APAT 1061.15.2 Alfonso Pecoraro Scanio, Ministro dell’ambiente e della tutela

del territorio e del mare 1071.15.3 Romano Prodi, Presidente del Consiglio dei Ministri 110

Capitolo 2 Sintesi Eventi collaterali e Conferenza Junior 1132.1 Eventi del 12 settembre 113

2.1.1 Il turismo nell’era dei cambiamenti climatici 1132.1.2 Presentazione delle attività del Centro EuroMediterraneo

per i Cambiamenti Climatici 1152.1.3 Presentazione del Rapporto APAT “Lo stato e le tendenze

del clima in Italia. Gli indicatori del 2006” 1182.1.4 Atlante climatico italiano dell’Aeronautica Militare 119

2.2 Eventi del 13 settembre 1192.2.1 Il Progetto V.E.C.T.O.R. 1192.2.2 “Osservatorio per il diritto all’acqua” del MATTM 1202.2.3 Presentazione del Rapporto ENEA su “Cambiamenti climatici

e agro-ecosistemi” 1212.2.4 Muvita: l’esperienza del primo Science Centre italiano dedicato

al tema dei cambiamenti climatici 1222.2.5 Ruolo e iniziative degli enti locali a fronte dei cambiamenti climatici 122

2.3 Conferenza Junior 125

Capitolo 3 Sessione “Poster” 1273.1 Sintesi di workshop e convegni 1273.2 Poster di background 1283.3 Clima: stato e tendenze 1283.4 Impatti, vulnerabilità e adattamento 129

3.4.1 Ambiente montano e criosfera 1293.4.2 Biodiversità e foreste 1303.4.3 Agricoltura 1313.4.4 Risorse idriche e degrado del suolo 1323.4.5 Bacino dell’Adige 1333.4.6 Bacino del Po 1333.4.7 Bacino dell’Arno 1333.4.8 Ambiente marino costiero 134

3.5 Inventari ed emissioni (sorgenti e sink) 1353.6 Approcci integrati e uso sostenibile delle risorse 1363.7 Educazione, sensibilizzazione e informazione 136

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Capitolo 4 Conclusioni 139

Appendici 147

A.1 Sintesi Eventi preparatori 147A.1.1 – Workshop di Alghero, 21-22 giugno 2007

Le variazioni climatiche e i processi di desertificazione: verso piani dimonitoraggio e strategie di riduzione della vulnerabilità e di adattamento •A cura di Anna Luise (APAT) e Andrea Motroni (ARPAS), con la collaborazione di Maurizio Sciortino (ENEA) e Guido Bonati (INEA) 147

A1.2 – Workshop di Palermo, 27-28 giugno 2007 Cambiamenti climatici e ambiente marino-costiero: scenari futuri per un programma nazionale di adattamento •A cura di Stefano Corsini (APAT) – Edi Valpreda (ENEA) 153

A.1.3 – Workshop di Saint-Vincent, 2-3 luglio 2007 Cambiamenti climatici e ambienti nivoglaciali: scenari e prospettive di adattamento •A cura di Luca Mercalli (Società Meteorologica Italiana, Comitato Glaciologico Italiano) – Umberto Morra di Cella (ARPA Valle d’Aosta) – Edoardo Cremonese (ARPA Valle d’Aosta) – Giovanni Agnesod (ARPA Valle d’Aosta) – Sara Tornato (ARPA Valle d’Aosta) – Claudio Piccini (APAT) 158

A.1.4 – Workshop di Napoli, 9-10 luglio 2007 Cambiamenti climatici e dissesto idrogeologico: scenari futuri per un programma nazionaledi adattamento •A cura di Claudio Margottini (APAT) – Daniele Spizzichino (APAT) – Giuseppe Onorati (ARPA Campania) 163

A.1.5 – Workshop di Parma, 16 luglio 2007 Effetti dei cambiamenti climatici sul bacino del Po•A cura di Martina Bussettini – APAT 169

A.1.6 – Convegno di Roma, 25 giugno 2007 Cambiamenti climatici e salute •A cura di Luciana Sinisi – APAT 175

A.1.7 – Convegno di Brindisi, 20 luglio 2007 Inventario emissioni gas serra in Italia 1990-2005 •A cura di Riccardo De Lauretis – APAT 179

A.2 Gli impatti dei cambiamenti climatici e le strategie di adattamento in Italia. Una valutazione economica•A cura di Carlo Carraro, Jacopo Crimi, Alessandra Sgobbi (CentroEuromediterraneo per i Cambiamenti Climatici), con il contribuo di Alessio Capriolo (APAT)A.2.1 La valutazione degli impatti dei cambiamenti climatici 182A.2.2 Gli impatti del cambiamento climatico in Italia 183A.2.3 Gli impatti macroeconomici del cambiamento climatico in Italia 185A.2.4 Commenti conclusivi 186

A.3 Manifesto per il clima – Un New Deal per l’adattamento sostenibile e la sicurezza ambientale 187

A.4 Le prime 13 azioni per l’adattamento sostenibile 189

A.5 Carta della Conferenza Junior sui cambiamenti climatici 190

Galleria fotografica 193

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Come era stato ampiamente anticipato fin dalleprime fasi di annuncio e di programmazionedell’evento, la Conferenza non avrebbe dovutoaffrontare solo questioni di natura scientificacirca la reale sussistenza, le dimensioni e lecause dei cambiamenti climatici, bensì avviareanche quel processo necessario per dare alPaese un’efficace strategia per fronteggiare ilfenomeno. E questo perché l’evento si collocavain una fase molto più matura, rispetto ad analo-ghi avvenimenti svoltisi in precedenza, dello svi-luppo conoscitivo e di consapevolezza, a tutti ilivelli, sulla questione.Quest’ultima valutazione fa riferimento, in parti-colare, alla pubblicazione del Quarto RapportoIPCC, con il quale la comunità scientifica inter-nazionale ha espresso il convincimento che icambiamenti climatici sono un dato di fatto, chel’uomo ne è una determinante causa e che, seb-bene le azioni per la loro mitigazione sianofondamentali e assolutamente necessarie, nonsi riuscirà comunque a evitare che i fenomenigià innescati procedano ulteriormente, anchenel caso, del tutto teorico, che diventino subitooperative misure drastiche di taglio delle emis-sioni antropogeniche di gas a effetto serra. L’autorevolezza delle valutazioni espresse dal-l’IPCC, che non ha certo bisogno di avalli, deri-va innanzitutto dalla partecipazione a tale or-ganismo della comunità scientifica praticamentedell’intero Pianeta. Ha fatto, pertanto, partico-larmente piacere la favorevole congiuntura tem-porale tra la programmazione della Conferen-za e il conferimento del Premio Nobel per la pa-ce, ex equo con Al Gore2, all’IPCC per l’impe-gno profuso sulle questioni legate alla studio e

alla sensibilizzazione globale sulle tematichedei cambiamenti climatici, anche per la loro va-lenza sociale.La presa d’atto, non solo, della consistenza delfenomeno, ma anche, dell’inevitabilità degli effet-ti che ne conseguono ha reso del tutto evidente,tra l’altro, come sia necessario dare il via, ac-canto alle iniziative di mitigazione, anche a unanuova linea di azione che, anticipando le previ-sioni circa i futuri scenari ambientali e territoria-li, consenta sia di minimizzare i danni, sia dicogliere eventuali opportunità di sviluppo che sidovessero presentare.Con queste premesse non stupisce la denomina-zione di prima Conferenza sui cambiamenti cli-matici in Italia conferita alla manifestazione chesi è tenuta nel settembre 2007. Con il RapportoIPPC è, altresì, avvalorata la bontà della sceltadi conferire alla manifestazione anche l’obiettivodi creare i presupposti per la definizione di unaStrategia nazionale di adattamento sostenibileai cambiamenti climatici.E proprio per conseguire quest’ultima finalità, èstata favorita la partecipazione dei principalistakeholder del settore, a partire da qualificaterappresentanze delle istituzioni, delle parti so-ciali, delle organizzazioni non governative, ol-tre a quella del mondo della ricerca e della for-mazione. Questa impostazione, peraltro, ha indotto aprogrammare la manifestazione su un arcotemporale relativamente ampio, proprio pernon comprimere nell’ambito di un singolo even-to congressuale la discussione e le valutazionidi problematiche tanto complesse.Si è così deciso di tenere una serie di eventi pre-

Sezione introduttiva

2 Albert (Al) Arnold Gore, Jr.: 45° Vicepresidente degli Stati Uniti d’America (1993-2001), durante la presidenza diBill Clinton. Gore ha ottenuto il Premio Nobel per la pace 2007 (assegnatogli il 12 ottobre) per il suo impegno in di-fesa dell’ambiente.

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paratori, finalizzati ad affrontare tutte le princi-pali questioni di natura tecnico-scientifica allabase del problema del cambiamento climatico edei suoi impatti sull’uomo, sul territorio e sugliecosistemi naturali, per pervenire alla Confe-renza di settembre con ben definiti presuppostitecnici riguardo alla pianificazione degli inter-venti. Questo lavoro preparatorio ha fatto sì chela Conferenza abbia potuto effettivamente esse-re focalizzata sulla problematica dell’adatta-mento, di particolare interesse pratico sia per ilMinistero dell’ambiente sia per il Governo. Il la-voro svolto nel corso dei workshop di prepara-zione costituisce un patrimonio rilevante di co-noscenza, ma anche di diagnosi, dei problemidei quali sappiamo meno e che possono, quindi,rappresentare criticità conoscitive importanti.Sono stati programmati, e tenuti dal 21 giugnoal 20 luglio in diverse regioni italiane, in colla-borazione con le rispettive Agenzie ambientali,ben 7 eventi relativi ad altrettante questioniconnesse ai cambiamenti climatici. In partico-lare, sono stati posti all’attenzione di tali eventii potenziali effetti con maggiore probabilità dievenienza nel nostro contesto territoriale, o cheaddirittura già si presentano con dimensioninon trascurabili. La desertificazione, l’erosione delle coste, la de-glaciazione, il rischio idrogeologico, l’impove-rimento idrico del bacino del Po, il nesso tra cli-ma e salute, le emissioni di gas a effetto serrasono diventati, quindi, altrettanti temi di appro-fondimento. Di ciascuno è dato di seguito qual-che breve cenno.Un importante settore di criticità di impatto peril nostro territorio è senz’altro costituito dal pro-gressivo accentuarsi del fenomeno dell’aridità acausa dell’aumento delle temperature, accom-pagnato dalla diminuzione di intensità, in alcu-ni contesti territoriali, e dalle mutate modalità dioccorrenza delle precipitazioni, nonché dall’ulte-riore presenza di zone di intensa urbanizzazio-ne, di degrado delle caratteristiche dei terreni

dovute a cause molteplici, fra cui pratiche agrico-le scorrette, incendi boschivi, salinizzazionedelle falde, ecc. I cambiamenti climatici in corso stanno inequi-vocabilmente aumentando il rischio di desertifi-cazione in tutto il territorio nazionale, e non so-lo nelle regioni meridionali tradizionalmentepiù a rischio. Nell’Atlante Nazionale della de-sertificazione è riportato che il 51,8% dell’inte-ro territorio nazionale è a rischio di desertifica-zione, a causa di fattori climatici e pedologici. Un altro ambito, in cui è più evidente la criticitàdi impatto per il nostro Paese, è rappresentatodagli ambienti marini costieri. L’Italia, infatti,con i suoi oltre 8.000 chilometri di costa è, difatto, immersa nel mar Mediterraneo e, quindi,ogni modificazione che interviene su questi am-bienti si traduce in alterazioni di significativeporzioni del territorio nazionale complessivo. Ifenomeni dell’erosione costiera e delle inonda-zioni generate dalle variazioni del livello mediodel mare e dalle mareggiate estreme hanno,già oggi, un impatto enorme in relazione allaperdita di biodiversità, di patrimonio paesaggi-stico e ambientale (le pinete costiere, le dune, lestesse spiagge, ecc.) e di aree per lo sviluppo diattività a forte impatto economico. Gli scenariche fanno seguito ai cambiamenti climatici inatto evidenziano incrementi dell’azione delleforzanti che generano tali fenomeni e che in-durranno un’intensificazione della perdita odella degenerazione delle aree di spiaggiabassa e sabbiosa (quasi il 40% – pari a 1.500chilometri, su 4.000 – è destinato a essere eroso)e, di conseguenza, degli ambienti costieri, conimpatti di diversa natura, tra i quali spicca certa-mente quello relativo al turismo. Analoghe considerazioni valgono per la pre-senza, sul nostro territorio, di importanti porzio-ni della Catena alpina e della Catena appennini-ca, che conferiscono agli impatti sugli ambientinivo-glaciali un considerevole valore. Dei circa4.474 chilometri quadrati di superficie glaciale

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che ricoprivano le Alpi verso il 1850, nel 2000ne rimanevano 2.272, pari al 51%. Riduzionidello stesso ordine di grandezza sono confer-mate anche sui massicci montuosi italiani, connumerosi piccoli ghiacciai che dal 1957 a oggisi sono estinti. L’innevamento è in riduzione dal1990 su gran parte delle Alpi, sia in termini diquantità, sia in termini di durata. Attorno aquota 2.500 metri, nel periodo 1990-2005, èstato osservato un anticipo della fusione primave-rile di circa 15 giorni rispetto al cinquantennioprecedente, con riflessi sul regime idrologico(anticipo dei deflussi primaverili e riduzione diquelli estivi). I principali impatti derivanti da talifenomeni sugli ambienti nivo-glaciali sono ri-conducibili, essenzialmente, alla riduzione diuna riserva idrica strategica, alla modifica neiregimi fluviali, alla perdita di biodiversità, all’aumento del rischio di frane e, non ultimo, adanni alle attività turistiche. Nel programmare gli eventi preparatori, è stataposta non poca attenzione alle problematichelegate al rischio idrogeologico. Il territorio na-zionale, infatti, per la sua conformazione oro-grafica e geologica, è sempre stato interessatoda fenomeni idraulici e geomorfologici di notevo-le intensità. Tra il 1279 e il 2002, il CatalogoAVI3 (CNR-IRPI) riporta 4.521 eventi con danni,di cui 2.366 relativi a frane (52,3%), 2.070 ainondazioni (45,8%), 85 a valanghe (1,9 %).Nello stesso periodo, si hanno 13,8 vittime peranno in occasione di fenomeni franosi e 49,6per anno per quelli alluvionali (fonte AVI-CNR).Solo nel Ventesimo secolo sono stati registratioltre 10.000 morti, feriti e dispersi, 350.000senza tetto e sfollati, migliaia di case distrutte odanneggiate, migliaia di ponti distrutti o dan-neggiati, centinaia di chilometri di strade e ferro-

vie distrutte o danneggiate. Sebbene le analisidi correlazione tra cambiamenti climatici e va-riabilità del rischio idrogeologico presentino,attualmente, un livello di confidenza alquantobasso, è opinione ampiamente diffusa tra gliesperti di settore che gli scenari non siano affat-to favorevoli. Le significative modificazioni deipattern e delle modalità di precipitazione, inparticolare con un aumento delle frequenze deifenomeni di breve durata ma forte intensità, co-stituiscono le principali cause dell’incremento ditale fattore di rischio. Come detto, è difficile, e si presenta ancora conlivelli di confidenza relativamente bassi, la previ-sione del clima del futuro, specialmente a unascala spaziale ridotta come quella italiana. An-cor più complesso e difficile appare prevederele modificazioni che subiranno le variabili idro-logiche. Il problema di un ulteriore depaupera-mento delle risorse idriche, tuttavia, si poneugualmente come un probabile rischio per tuttal’area mediterranea, Italia compresa, e i cui pri-mi effetti “visibili” sono le ricorrenti “emergenzesiccità” che hanno coinvolto il bacino del Po apartire dall’anno 2003. Questo bacino idro-grafico, influenzato da una complessità di fatto-ri sensibili al clima, costituisce infatti un impor-tante scenario di eventi idro-meteo-climatici esocioeconomici. Se si considerano la densitàabitativa del territorio, le attività produttive inse-diate, le infrastrutture e il grado di utilizzazionedella risorsa idrica, il bacino del Po rappresentauna realtà eccezionalmente varia e un puntonevralgico dell’economia nazionale. L’elevataquantità di risorse idriche storicamente disponi-bili nel bacino, se da un lato ha avuto un ruoloprimario nello sviluppo urbano ed economicodell’area, dall’altro ha portato a sovrastimare,

3 AVI: Aree Vulnerate Italiane. È un progetto commissionato, nel 1989, dall’allora Ministro per il Coordinamentodella Protezione Civile al Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche del CNR. I ricercatori del-l’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica del CNR rappresentano il nucleo principale di tale Gruppo.(http://avi.gndci.cnr.it)

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in generale, la capacità di autodepurazione na-turale del fiume e, soprattutto, la disponibilitàdella risorsa. Come conseguenza di ciò, i diritti diprelievo complessivi superano oggi la disponi-bilità idrica residua in chiusura bacino. Gli esseri umani sono esposti agli effetti di mu-tati schemi climatici e meteorologici e, in perioditemporali variabili, alle condizioni socio-econo-miche dipendenti dalle risorse naturali. Diventa-no sempre maggiori le evidenze degli effetti deicambiamenti climatici sulla salute umana, siadirettamente con aumento della temperatura,alluvioni, ecc., sia indirettamente attraverso al-terazioni della quantità e qualità di acqua,aria, cibo, ecosistemi. A questi effetti non solo èassociato un aumento del rischio di mortalità emorbilità collegate a ondate di calore, ma sonoassociate anche modifiche nella distribuzione dialcuni vettori di malattie infettive, di specie al-lergeniche, di pollini e di nuovi rischi biologici echimici. Tali impatti, nel loro complesso, impon-gono che sia assunto un atteggiamento proattivo,ovvero che siano definiti e messi a punto piani eprogrammi di adattamento da parte dei sistemi diprevenzione che vanno a integrarsi con i sistemidi allarme e di risposta, al fine di ridurre le con-seguenze negative dei cambiamenti climatici. Infine, sebbene la Conferenza di settembre el’intero programma di eventi siano stati focaliz-zati essenzialmente sulle strategie di adatta-mento ai cambiamenti climatici, non si potevanon affrontare le tematiche relative alla mitiga-zione. Per tale motivo, si è preso spunto dallapresentazione dell’ultimo aggiornamento, pre-disposto da APAT, dell’inventario delle emissionidi gas a effetto serra per trattare l’argomento.L’enfasi è stata posta sull’analisi dei trend delleemissioni nel nostro Paese e sui principali fattorideterminanti l’attuale stato dell’arte in materia.Gli Atti di questi eventi preparatori sono statigià pubblicati e distribuiti nel corso della Confe-renza di settembre, e una sintesi è riportata inquesto volume (cfr. l’Appendice A.1).

I due giorni dell’evento congressuale principale,partendo proprio dagli esiti di detti lavori pre-paratori, sono stati dedicati all’approfondimen-to di tutte quelle questioni più direttamente col-legate alla formulazione di specifiche linee-gui-da necessarie per la definizione di una Strate-gia nazionale di adattamento ai cambiamenticlimatici. E così il Manifesto per il clima e Le pri-me 13 azioni per l’adattamento sostenibile e la si-curezza ambientale, frutto delle attività dellaConferenza sintetizzate da Gruppi di lavoro“ad hoc”, sono stati presentati nella sessione fina-le svoltasi alla presenza del Presidente del Con-siglio dei Ministri e del Ministro dell’ambiente.In contemporanea all’evento convegnistico cen-trale, si sono svolti dieci “Eventi collaterali”, del-la durata di un’ora ciascuno, gestiti autonoma-mente dagli enti proponenti. Con tali eventi sivoleva approfondire alcune tematiche che nonera possibile trattare in dettaglio nell’ambitodelle sessioni della Conferenza, presentare al-cuni rapporti e progetti di interesse, e portare aconoscenza di un pubblico più vasto le attivitàdi alcuni centri di eccellenza e di alcuni enti cheoperano in ambiti scientifici attinenti allo studiodei cambiamenti climatici. È stato così analizza-to il ruolo del turismo nell’era dei cambiamenticlimatici nonché l’impatto dei cambiamenti cli-matici sulla biodiversità. Sono state presentatealcune pubblicazioni, quali il rapporto APAT“Lo stato e le tendenze del clima in Italia. Gli in-dicatori del 2006”, l’“Atlante climatico italiano”dell’Aeronautica Militare, il Rapporto ENEA“Cambiamenti climatici e agro-ecosistemi”, il“Progetto V.E.C.T.O.R.”. Il Centro EuroMediter-raneo sui cambiamenti climatici, l’Osservatorioper il diritto all’acqua del MATTM, Muvita e alcu-ni enti locali hanno, infine, illustrato le attivitàche svolgono in riferimento alla tematica deicambiamenti climatici. Un breve commento specifico merita un eventocollaterale del tutto particolare: la “ConferenzaJunior”.

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Poiché il successo delle politiche ambientalipassa, di necessità, attraverso una crescita diconsapevolezza da parte di tutti i cittadini, ingenerale, e dei giovani in particolare, si è deci-so di tenere la “Conferenza Junior”. Inquadratanel Decennio ONU dell’Educazione allo svilupposostenibile, è stata letteralmente “il primo gior-no di scuola” per una rappresentanza di circa100 studenti delle scuole medie di secondo gra-do, provenienti da diverse regioni italiane, im-pegnati sotto la guida di esperti in un’attività digame simulation sulle dinamiche che intercorro-no tra le attività umane e i cambiamenti climati-ci. Tale modalità di lavoro ha consentito l’acqui-sizione di conoscenze complesse attraverso l’e-sperienza, e ha assicurato il coinvolgimento ra-zionale ed emotivo da parte dei ragazzi che, siauspica, abbiano poi approfondito la tematicanel corso dell’anno scolastico. Sebbene gli eventi preparatori siano stati foca-lizzati ognuno sulle criticità prodotte da un par-ticolare tipo di impatto, un’ulteriore problemati-ca, comune praticamente a tutte le altre analizza-te, è emersa in modo chiaro come un motivo disottofondo che ha accompagnato tutti gli eventi.A monte delle “criticità di impatto”, vi è un rile-vante numero di “criticità conoscitive” sulle pro-blematiche relative al clima che limitano, allostato attuale, l’incisività delle proposte di inter-vento e, quindi, l’efficacia delle possibili azioni diadattamento. Molte di queste criticità conoscitive(le più specificamente “tematiche”) sono ampia-mente elencate e discusse, in questa pubblica-zione, con le sintesi delle sessioni parallele dellaConferenza e dei Gruppi di lavoro (cfr. il capi-tolo 1).Una particolare criticità conoscitiva, emersa inpiù di uno dei diversi momenti della Conferen-za, è quella legata alla mancanza di un data-base idrometeoclimatico nazionale, sufficiente-mente completo e aperto, che possa mettere lacomunità scientifica e tecnica nazionale nellacondizione di affrontare adeguatamente studi

sul cambiamento climatico e su i suoi impatti.Questo database consentirebbe di proporreazioni di adattamento basate su solide valuta-zioni quantitative, derivate da dati relativi alnostro territorio nazionale e non da estrapola-zioni di conclusioni di studi realizzati altrove esu dati che non sempre riguardano direttamentel’Italia.Non si è mai inteso affermare che non vi sonodati. I dati, al contrario, vi sono, ma la loro loca-lizzazione è parcellizzata tra molte istituzioni(in genere pubbliche) diverse. Tali istituzioni so-no, talvolta, ancora oggi restie a mettere a dis-posizione della comunità volumi rilevanti di da-ti in loro possesso in forma disaggregata, forsenel timore, comprensibile ma non condivisibile,di perdere controllo e paternità del loro patri-monio osservativo. Conseguenza di ciò è cherisulta talvolta difficilissimo, se non impossibile,al ricercatore e al tecnico, disporre di un set didati (dati che pure esistono e sono di pubblica ti-tolarità) che permettano loro di analizzare undato problema e di trarne conclusioni solide eaffidabili nello spazio, nel tempo, nella fre-quenza dei campionamenti e nella certezzadell’applicazione di opportune procedure dicontrollo di qualità, verifica e omogeneizza-zione degli stessi. In un momento come l’attuale, nel quale la co-scienza dell’importanza fondamentale di ade-guate conoscenze sullo stato e sull’evoluzionedel clima (anche, e soprattutto, alla scala nazio-nale) si sta sempre più diffondendo, questa par-ticolare criticità legata alla mancanza di un ade-guato database idrometeoclimatico nazionaleaperto ha ormai assunto un tale rilievo (negati-vo) da giustificare un intervento governativo.È stato più volte auspicato dai partecipanti aidibattiti svoltisi nell’ambito degli eventi prepa-ratori e nel corso delle sessioni della Conferenzache il Ministero dell’ambiente, di concerto conle istituzioni nazionali coinvolte e interessate –per esempio: APAT e il Sistema Agenziale nel

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suo complesso; il Servizio Meteorologico del-l’Aeronautica; l’UCEA del MIPAF; il Dipartimen-to della Protezione Civile; le istituzioni regionalidiverse dalle ARPA, laddove gestiscano data-base idrometeoclimatici; il CNR – si faccia pro-motore di un’iniziativa finalizzata a colmare alpiù presto questa grave lacuna organizzativa,promuovendo la creazione di un database idro-meteoclimatico nazionale, supportato tecnica-mente e tecnologicamente da APAT e gestito daun Comitato tecnico-scientifico rappresentativodi tutte le istituzioni coinvolte. Più in generale, è poi emerso, dalle discussionie dai dibattiti svoltisi a margine dei vari mo-menti della Conferenza, come le criticità cono-scitive, nel loro complesso:– impediscano, o rendano difficoltosa, la predi-

sposizione dei piani di adattamento;– inducano, di preferenza, a varare interventi

negli ambiti di impatto dei cambiamenti cli-matici per i quali già sono note le azioni dimitigazione/adattamento;

– inducano a effettuare analisi di rischio laddo-ve il rischio sarebbe compiutamente quantifi-cabile;

– possano rappresentare un motivo per rinviarel’intervento negli ambiti di impatto per i qualisono sconosciute, ancora del tutto o soltantoparzialmente, le azioni di mitigazione/adat-tamento, sino a quando il livello di confidenzaraggiunto nella conoscenza dei meccanismialla base degli impatti in questi ambiti sia taleda far ragionevolmente ipotizzare un’accetta-bile probabilità di successo per gli interventiche fossero decisi.

È apparso, quindi, molto urgente affrontareadeguatamente, e con la dovuta sollecitudine,le principali criticità conoscitive emerse dallaConferenza e dagli eventi preparatori. In partico-lar modo la criticità legata alla mancanza di unDatabase Idrometeoclimatico Nazionale.La risoluzione di queste criticità conoscitive do-vrebbe costituire una sorta di primo passo nelcammino (non più dilazionabile) che conduce,prima, alla formulazione di una Strategia na-zionale di adattamento al cambiamento climati-co e, poi, alla definizione di un Piano nazionaleattuativo.

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12 sttembre 2007

1.1 Cerimonia di aperturaalla presenza del Presidente della Repubblica,Sen. Giorgio Napolitano, e del Presidente dellaCamera dei Deputati, On. Fausto Bertinotti

1.1.1 David Harcharik – FAO,Direttore Generale Aggiuntoin rappresentanza di JacquesDiouf, Direttore Generale FAO

A nome dell’Organizzazione nellacui sede è ospitato l’evento, dà il benvenuto ai parte-cipanti alla Conferenza Nazionale sui cambiamenticlimatici 2007, in particolare al Presidente della Re-pubblica, Giorgio Napolitano.

I problemi del cambiamento climatico sono unfenomeno ormai evidente e del quale sono di-mostrazione le alluvioni più frequenti, le siccitàpiù intense, l’aumento delle temperature e i gra-vi incendi boschivi.FAO4 è soprattutto attenta agli effetti devastanti

che il clima provoca sull’agricoltura e, in parti-colare, sulla vita di 852 milioni di persone, vitti-me della fame: di questi, 815 vivono nei paesiin via di sviluppo (PVS), e le loro condizioni divita peggiorano di anno in anno.Le ragioni della penuria alimentare sono tante ecomplesse, e il cambiamento climatico è una diqueste. Le pratiche agricole dei PVS dovrannocambiare, in considerazione del fatto che siccitàe alluvioni saranno nel futuro più intense.Auspicando che FAO possa beneficiare dei ri-sultati della Conferenza, è da ricordare chemolte sono le collaborazioni già avviate traFAO e Italia per studiare i mutamenti del clima:il progetto CLIMAGRI-Med, che consente dicreare una struttura scientifica comune per lostudio degli impatti nel settore agricolo in alcunipaesi del Mediterraneo; il Global land covernetwork e CARBOAFRICA, che hanno comescopo lo studio del ciclo del carbonio e di altrigas a effetto serra nell’Africa sub-sahariana.FAO, inoltre, ospita il Segretariato della

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4 Food and Agriculture Organization of the United Nations.

1. Sintesi Conferenza

L’innegabile importanza riconosciuta ormai al tema dei cambiamenti climatici ha consentito di radunareesponenti di grande rilievo, provenienti non solo dal mondo scientifico, ma anche da quello politico, econo-mico e sociale, nazionale e internazionale, che in occasione di questa Conferenza si sono fatti portatori dipossibili soluzioni e azioni per far fronte ai mutamenti climatici e alle problematiche economiche e sociali aesse collegate. Partendo da un’analisi della situazione attuale, è stata riconosciuta e condivisa da tutti i par-tecipanti la necessità: di sensibilizzare tutti gli attori sociali (cittadini, enti pubblici e privati); di “agire ora” ein modo globale; di considerare l’adattamento importante e prioritario quanto la mitigazione; di migliorarela conoscenza e colmare le lacune sui fenomeni in atto; di valutare i costi dell’inazione.In questo capitolo, dopo un breve excursus sui programmi e le azioni adottati a livello internazionale, sonoanalizzate nel dettaglio le diverse criticità scaturite dai cambiamenti climatici nel nostro Paese: risorse idri-che, agricoltura, suolo e coste, biodiversità e foreste, ambiente e salute, mare e risorse marine. Le risposte pro-venienti dal mondo politico sono affiancate e confrontate con le azioni più opportune da adottare, propostedal mondo scientifico.

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Partnership globale sulle biotecnologie, creatasu iniziativa del Governo italiano e sostenutadai paesi del “G8 +5”5.

1.1.2 Giancarlo Viglione, Com-missario Straordinario APAT

Introduce i lavori della ConferenzaNazionale sui cambiamenti climaticie rivolge saluti di benvenuto al Presi-

dente della Repubblica, al Presidente della Camera,al Ministro per le attività produttive, al Ministro per irapporti con il Parlamento, al Presidente della Com-missione Ambiente della Camera, al Presidente dellaCommissione Ambiente del Senato, al Presidentedella Regione Lazio, al Vicedirettore Generale dellaFAO, alle autorità ecclesiastiche, militari e civili, alPremio Nobel Rita Levi Montalcini6.Ringrazia il Presidente della Repubblica, e i Rappre-sentanti dei settori maggiormente interessati daicambiamenti climatici: istituzioni e organismi di ri-cerca, strutture tecniche e operative, le Parti sociali,le organizzazioni non governative, i cittadini.

Oggi, con questo evento, che può senz’altro de-finirsi la prima Conferenza sui cambiamenti cli-matici in Italia, si vuole accelerare e rendere piùefficace il processo di formazione di una Strate-gia nazionale per combattere i cambiamenti cli-matici, ponendo una particolare enfasi sulle mi-sure di adattamento alle modificazioni che ne-cessariamente interverranno nel nostro contestoterritoriale, ambientale, sociale ed economico.I cambiamenti climatici non sono più solo unaquestione di natura scientifica che attende unarisposta, ma stanno diventando sempre di più

una priorità tra le emergenze globali, emergen-ze che devono essere affrontate sin da subito econ tutto l’impegno per eliminarne gli effetti inde-siderati. Con l’ultimo Rapporto7 della CommissioneONU sui cambiamenti climatici (IPCC), da unlato, è stato confermato senza alcuna incertez-za che il fenomeno è in atto e che l’uomo, conun uso insostenibile delle risorse, ne è responsa-bile, dall’altro, sono stati forniti scenari di surri-scaldamento globale allarmanti, con conse-guenze sull’ambiente e sulle popolazioni chepotrebbero assumere dimensioni difficilmentefronteggiabili, se non si interviene nell’imme-diato e con estrema decisione. Gli effetti prevedi-bili – alcuni già in atto, altri che si manifesteran-no in tempi molto prossimi – inizieranno a inte-ressare per lo più la sfera fisica come, peresempio, nel caso dell’innalzamento del livellodel mare o del progredire del fenomeno delladesertificazione. Questi effetti, però, sono desti-nati a tradursi rapidamente in ricadute sul conte-sto socio-economico, provocando anche un’ul-teriore divaricazione della forbice tra i diversiceti sociali e, più in generale, un maggiore gaptra paesi ricchi e paesi poveri che potrà causare,tra l’altro, un aumento dei flussi migratori daisecondi verso i primi. Affrontare e combattere i cambiamenti climaticie i conseguenti effetti non è, quindi, soltanto unproblema che attiene alla sfera delle politicheambientali, ma diviene sempre più una questio-ne di equità sociale, come il Papa ha avuto mo-do di affermare recentemente a Loreto8 in occa-sione dell’Agorà dei giovani italiani: “Serve un sìdeciso alla tutela del creato e un impegno forte

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5 G8 (Gruppo degli 8 o Grandi 8): organizzazione dei sette paesi più industrializzati del mondo – Stati Uniti d’A-merica, Giappone, Germania, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Francia, Italia, Canada – più laRussia.6 Premio Nobel per la Medicina, nel 1986, ex aequo con Stanley Cohen (Stati Uniti d’America) per le scoperte e l’in-dividuazione di fattori di crescita cellulare.7 Si tratta del quarto Rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC): “Climate Change 2007”.8 Agorà dei giovani italiani. Loreto, 2 settembre 2007.

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per invertire quelle tendenze che rischiano diportare a situazioni di degrado irreversibile”.Se tutti i segnali ci inducono a cambiare rotta,poco, troppo poco, è stato sinora fatto. Cambia-re rotta significa, innanzitutto, attuare politichedi mitigazione, ovvero porre in atto tutte quelleiniziative finalizzate a limitare l’emissione di gasa effetto serra che rappresentano la principalecausa antropica dei cambiamenti climatici. Traqueste iniziative, il risparmio energetico devegiocare un ruolo primario al pari di un maggio-re ricorso alle fonti energetiche rinnovabili. Ma,così come anticipato in precedenza, gli effettidei cambiamenti sono già in atto e si sviluppe-ranno ulteriormente nei prossimi anni, anche se lepolitiche di mitigazione dovessero avere succes-so. Cosa, allo stato attuale, difficilmente prono-sticabile. È necessario, dunque, prevenire i dan-ni conseguenti agli effetti dei cambiamenti cli-matici così mettendo in sicurezza il territorio. Imutati scenari territoriali potranno anche deter-minare opportunità che devono essere colte con ilnecessario anticipo. Le misure che consentono diperseguire queste finalità vengono dette “misuredi adattamento”. “Adattarsi” non significa ar-rendersi ma “reagire”: reagire non solo per mini-mizzare effetti indesiderati, ma anche per co-gliere eventuali opportunità. A fronte di queste esigenze, il nostro Paese sitrova in condizione di particolare difficoltà.Non sarà facile, infatti, abbattere le emissioni digas a effetto serra per conseguire gli obiettividel Protocollo di Kyoto – quasi il 20% entro il2012 rispetto ai valori del 2005 – sebbene, co-me dimostrano i dati dell’APAT, qualche segnalepositivo inizia a intravedersi. Occorre, quindi,incoraggiare non solo tutte le iniziative di miti-gazione, ma anche intervenire in modo decisocon strategie di adattamento, sebbene su que-sto versante nulla sia stato fatto negli anni scor-si. È vero che questa problematica si è affaccia-ta abbastanza di recente sullo scenario dellepolitiche ambientali, o più in generale territoria-

li, ma è altrettanto vero che altri paesi si sonogià dati una strategia di intervento. Proprio conl’obiettivo di colmare questi ritardi, sono stateprogrammate iniziative cui l’attuale Governo, epiù specificatamente il Ministero dell’ambiente,conferiscono la massima priorità. In tale conte-sto è collocata questa Conferenza che vuole edeve essere momento di analisi e di discussionesu tutti gli elementi conoscitivi disponibili, e chedeve far pervenire all’individuazione degli ele-menti guida di una Strategia nazionale di adat-tamento sostenibile.Come detto in apertura, questa manifestazionepuò essere considerata la prima ConferenzaNazionale sui cambiamenti climatici in Italia, inquanto l’unica a precederla risale al 1993. Or-ganizzata dal Ministero dell’ambiente insiemeall’ENEA, ebbe un taglio quasi esclusivamentetecnico-scientifico, e si svolse in un diverso con-testo conoscitivo e soprattutto di consapevolez-za sulla questione dei cambiamenti climatici. Cisi augura che non si debbano attendere altri 14anni per una nuova Conferenza sui cambia-menti climatici ma che questo possa essere unappuntamento istituzionalizzato e fisso, ben ca-denzato nell’agenda del Ministero dell’ambien-te, in particolare, e del Governo in generale.E ora, una sintetica descrizione del programmadella Conferenza. Si è ritenuto che un tema cosìcomplesso non potesse essere affrontato inun’unica tornata congressuale. È stato, quindi,deciso di programmare un percorso di avvici-namento alla Conferenza: sono state individua-te specifiche tematiche legate ai cambiamenticlimatici, discusse in appositi workshop che sisono tenuti in tutta Italia, dal 20 giugno al 20luglio, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, in colla-borazione con le Agenzie ambientali locali. Ladesertificazione, il nesso tra clima e salute, l’e-rosione delle coste, la deglaciazione, il rischioidrogeologico, l’impoverimento del bacino delPo e l’emissione di gas a effetto serra sono di-ventati temi di approfondimento. Gli atti di que-

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sti workshop, anche in formato multimediale,sono già oggi disponibili nella cartella.Questi due giorni, dunque, dovranno consentiredi pervenire alla formulazione di specifiche li-nee guida per una Strategia nazionale di adat-tamento ai cambiamenti climatici. Un appositodocumento, frutto dei lavori della Conferenzasintetizzati da gruppi di lavoro ad hoc, verràpresentato nella sessione finale che si svolgeràalla presenza del Presidente del Consiglio deiMinistri e del Ministro dell’ambiente PecoraroScanio. In conclusione, un cenno a uno degli eventi col-laterali della Conferenza. Il successo delle politi-che ambientali passa attraverso una crescita diconsapevolezza da parte di tutti i cittadini ingenerale e dei giovani in particolare. Per questoè stato deciso di organizzare, per la secondagiornata di questo evento congressuale, la Con-ferenza Junior, a cui saranno invitati circa 100ragazzi delle scuole medie superiori provenien-ti da diverse regioni italiane. Saranno impe-gnati, sotto la guida di esperti in giochi di simu-lazione, ad approfondire le dinamiche che in-tercorrono tra le attività umane e i cambiamenticlimatici.

1.1.3 Piero Marrazzo, Presiden-te della Regione Lazio

L’incontro di oggi offre a tuttiun’opportunità seria, quella diconfronto sul tema dei cambia-

menti climatici. Avere coscienza del problemaambientale consente di promuovere un nuovomodello di sviluppo nella pianificazione del ter-ritorio e di adottare nuovi modelli energetici.Dalla raccolta differenziata alle energie rinno-vabili, l’impegno in primis delle istituzioni, maanche come cittadini, è di muoversi in manieraforte e chiara verso quella che viene definita“l’economia verde”, il che significa coniugare losviluppo economico e la sostenibilità. Il clima in-

fatti può essere difeso con piccoli gesti quotidia-ni ma di grande responsabilità, piccoli ma con-creti gesti di attività amministrativa a tutti i livellie di senso civico. È necessario prendere co-scienza e imporre a livello globale la difesa deidiritti attraverso la conoscenza e la responsabi-lità. Si parla dunque di un nuovo modello di svi-luppo e di consumo, che porti la regione Lazioa diventare una regione amica dell’ambiente.Le parole del Presidente della Repubblica:“Energia e ambiente sono sfide che possono es-sere vinte ma solo se siamo uniti, con una politi-ca comune” indicano la necessità di una gran-de alleanza per l’ambiente. Negli ultimi anni il tema è finalmente arrivatocon prepotenza e con forza nelle agende delleistituzioni nazionali e sovranazionali. Sonoqueste che hanno il dovere di costruire le condi-zioni di crescita sociale e culturale, all’internodelle quali però le singole persone e le comunitàcivili devono riconoscersi per poi recepire la ne-cessità di cambiare per difendere il clima. Sitratta di un processo che vedrà coinvolte le istitu-zioni e i cittadini.L’attenzione diffusa nei confronti dell’ambienterivela un cambiamento culturale che deve coin-volgere ancora di più tutta la società, e non solosingoli settori. “Dalle nicchie alle piazze”: que-sto deve essere l’obiettivo. In questo modo leistituzioni locali, come le Regioni, potranno atti-vare e realizzare politiche attive di garanzia disostenibilità ambientale come, per esempio, il“Documento di programmazione economica efinanziaria regionale”, che definisce il Laziocon l’aggettivo “verde”.Quella dei cambiamenti climatici è una sfidaglobale che impegna ogni livello istituzionale.Nel Regno Unito, per esempio, è stato annun-ciato che entro il 2008 tra le materie di studioverrà inserito anche il riscaldamento globale e ilcambiamento climatico; le coscienze si formanolì, nelle scuole. Infatti non possono bastare leistituzioni a modificare un modello di consumo

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consolidato; non vi è possibilità di uscita, se nonsaranno protagonisti i cittadini. Se si vuole cen-trare l’obiettivo occorre pensare a una vera epropria rivoluzione culturale; quando si parladi famiglia, diventa necessario parlare anche didifesa dell’ambiente. La questione ambientale è un’opportunità di svi-luppo: modernizzare significa anche passaredal crocevia della difesa dell’ambiente. Oppor-tunità di lavoro potranno essere coniugate al-l’opportunità di una qualità di vita migliore:combattere per riqualificare i siti inquinati signi-fica dare opportunità di lavoro. Nel Lazio unesempio di ciò è l’ex Valle del Sacco, fortemen-te colpita sin dai primi del Novecento. Oggi èdivenuta “Distretto della Valle dei Latini”, il primoin Italia per la produzione integrata di energiepulite. E questo è stato solo un primo inizio: ilprogramma regionale, infatti, prevede l’incre-mento del fotovoltaico con 76 installazioni diimpianti fotovoltaici nelle scuole. Per combatte-re invece, la dispersione e lo spreco dell’acqua,la Regione ha stanziato 365 milioni di euro peril risanamento della rete idrica. Infine, aderen-do alla proposta della Protezione Civile Naziona-le, verranno istituiti campi scuola per sensibiliz-zare i più giovani ai temi dell’ambiente. Alloslogan del WWF che ha accompagnato questaConferenza Nazionale: “Siamo tutti testimonidel cambiamento del clima” si può aggiungereche siamo anche “protagonisti”.

1.1.4 Fausto Bertinotti, Presi-dente della Camera dei Deputati

L’espressione “cambiamento delclima” non è adeguata alla gravi-tà degli scenari futuri, in quanto

fornisce al fenomeno un senso di “neutralità” e“oggettività”, non descrivendone i rischi di ca-tastrofe a esso connessi. Se il cambiamento cli-matico non è una sorta di impazzimento estre-mo della natura e se esistono elementi causali

del fenomeno, essi risiedono nel sistema di rapi-na e dominio della natura che un intero cicloeconomico ha prodotto. Rientra, allora, neicompiti della politica operare un cambiamentodi paradigma e affrontare sia le inadeguatezzeculturali sia le resistenze di interessi che nonhanno alcuna propensione a questo cambia-mento. Per questo, parole come “sviluppo” e“crescita” non possono più essere usate senza“sorveglianza critica”, specialmente in aree co-me il Mediterraneo, che risente del fenomenodel mutamento climatico.

1.1.5 Alfonso Pecoraro Scanio,Ministro dell’ambiente e dellatutela del territorio e del mare

Il Ministro ringrazia tutti coloro che,nel corso del 2007, hanno lavorato

all’organizzazione della Conferenza Nazionale: inparticolare, l’APAT a cui ha inteso affidare la prepa-razione dell’evento. Ringrazia anche gli enti scientifi-ci che hanno collaborato, tra cui l’ENEA, l’ICRAM, ilCNR, le Università e tutti coloro che ne hanno seguitola lunga fase preparatoria.Il Ministro saluta ed esprime ringraziamenti al Presi-dente della Repubblica per aver più volte richiamatola centralità dei temi dell’ambiente, dei giovani, dellosviluppo sostenibile del Paese. Ringrazia anche i Ministri presenti, Bersani e Chiti; ilPresidente della Commissione Ambiente, territorio elavori pubblici della Camera, Realacci, e il Presiden-te della Commissione Territorio, ambiente e beni am-bientali del Senato, Sodano; i molti parlamentari; irappresentati del Sindacato, delle imprese, delle asso-ciazioni ambientaliste, della comunità scientifica.Infine, saluta e ringrazia la Professoressa Levi Mon-talcini quale Rappresentante di eccellenza dell’Italia,per aver voluto essere presente alla cerimonia diapertura.L’azione cui vogliamo dare il via oggi con laConferenza parte da dati molto concreti. La temperatura in Italia e nell’area mediterra-

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nea è aumentata di 1,4 gradi centigradi (°C)negli ultimi 50 anni, mentre la media mondiale èdi + 0,7 °C nell’arco del secolo. Le piogge sonodiminuite del 5% negli ultimi 100 anni. La de-sertificazione, un tempo solo problema del SudItalia, oggi è una realtà diffusa, che tocca areecome la Pianura Padana. Il rischio idrogeologi-co è una minaccia presente in forma più o menograve nell’80% dei comuni italiani, soprattuttonell’Appennino meridionale e in alcune regioni(Campania, Calabria, Liguria e la zona delleLanghe). I ghiacciai alpini hanno perso, in unsecolo, metà del loro volume e il 30% della su-perficie. Il Po sta subendo riduzioni progressivedelle portate medie, con aumento della variabi-lità tra piene e secche. Un chilometro su tre dicoste basse è in fase di arretramento, mentre 33aree costiere rischiano di essere sommerse dalmare nei prossimi decenni. La biodiversità ma-rina, così come quella terrestre, cambia e nuovespecie aliene si stanno insediando nel Mediter-raneo.Per quanto riguarda la salute, cito il recente stu-dio9 dell’APAT e dell’Organizzazione mondialedella sanità (OMS) su clima e salute: ogni anno,per ogni grado di aumento della temperatura,si calcola un aumento del 3% sulla mortalitàmedia nelle città italiane ed europee.Per passare agli effetti sui settori produttivi, èevidente che i primi a risentire delle conseguen-ze del cambiamento climatico saranno agricoltu-ra e turismo. La produttività dei terreni potrebbediminuire del 22%, con danni economici quanti-

ficabili in 200-300 milioni di euro l’anno. Le re-gioni mediterranee diventerebbero sempre me-no adatte al turismo estivo.Tutto ciò significa che bisogna agire in tempi ve-loci.Riportando all’Italia le stime del “RapportoStern”10 sui cosiddetti “costi dell’inazione” per ilGoverno del Regno Unito, nell’ipotesi di un au-mento di 1,5°C della temperatura globale, perfar fronte ai danni prodotti dai cambiamenti cli-matici nel nostro Paese servirebbero almeno 50miliardi di euro l’anno. Invece il taglio delleemissioni di gas a effetto serra costerebbe all’Ita-lia dai 3 ai 5 miliardi di euro l’anno e le misuredi adattamento sarebbero quantificabili in 1 mi-liardo e mezzo di euro l’anno. È evidente, quin-di, che non agire costerebbe 40 volte in più del-l’agire ora.La lotta al cambiamento climatico è fatta di duefasi, che devono essere tra loro integrate: la mi-tigazione e l’adattamento. Mitigazione significaridurre le emissioni di gas a effetto serra e ri-chiede grandi accordi internazionali; adatta-mento significa costruire strategie che consenta-no di superare le difficoltà, agendo anche local-mente con iniziative territoriali. In questo ambitoconta anche il tipo di scelta: le misure di adatta-mento devono essere sostenibili, proteggere ilterritorio rispettandolo, senza aumentarne lavulnerabilità e senza accrescere il conto delleemissioni di gas a effetto serra. Per esemplifica-re: una costa cementificata in maniera selvag-gia è un ambiente che resiste meno al cambia-

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9 APAT-OMS: “Cambiamenti climatici ed eventi estremi: rischi per la salute in Italia”, APAT 2007.(http://www.apat.gov.it/site/it-IT/APAT/Pubblicazioni/Altre_Pubblicazioni.htm)Il Rapporto, prodotto nel quadro delle attività di sviluppo di un progetto collaborativo tra le due istituzioni e realiz-zato anche attraverso il contributo di numerosi esperti nazionali individuati dall’OMS, è stato presentato in un con-vegno APAT tenutosi a Roma il 25 giugno 2007, nell’ambito degli eventi preparatori della Conferenza nazionale(workshop tematici e convegni realizzati con le Agenzie ambientali in tema di desertificazione, deglaciazione, rischioidrogeologico, aree marine costiere). (www.apat.gov.it.)10 Nicholas Stern: “Stern Review Report on the Economics of Climate Change”, 2006. Nicholas Stern è Head of theGovernment Economic Service del Regno Unito e Adviser to the Government on the economics of climate change anddevelopment. (http://www.hm-treasury.gov.uk/independent_reviews/stern_review_economics_climate_change/sternreview_index.cfm)

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mento climatico rispetto alla duna costiera. Allostesso modo, gli interventi leggeri di sistemazio-ne, quelli che utilizzano tecniche di ingegnerianaturalistica costano meno e hanno maggiorecapacità di resistenza agli effetti provocati daicambiamenti climatici.Riguardo alla mitigazione, l’Italia ha purtroppoaccumulato 10 anni di ritardo. Per colmare ildivario non basta la piccola inversione di ten-denza del 2006 (dovuta, in buona parte, all’in-verno mite e all’estate non particolarmente cal-da); ci siamo impegnati a diminuire, entro il pe-riodo 2010-2012, la CO2 del 6,5% rispetto al1990 e, invece, le emissioni sono aumentate del12%. È necessario adeguare rapidamente ilPiano nazionale di allocazione dei permessi diemissione, piano al quale peraltro si sta lavo-rando per poter rispondere alle osservazioniformulate dall’Unione Europea.Attualmente, il nostro Pianeta emette tra 26 e28 miliardi di tonnellate di CO2 ogni anno,mentre ne può assorbire solo 12 tra mare e fore-ste. Nel 2050, senza interventi, vi saranno 90miliardi di tonnellate di anidride carbonica inatmosfera. Per questo dobbiamo stabilizzare leemissioni secondo il quantitativo che la Terra ri-esce ad assorbire. Il problema è tanto più gravese si considera che più il Pianeta si surriscalda,più gli oceani diminuiscono la propria capacitàdi assorbimento di CO2. Una questione di simileentità non può essere affrontata efficacementese non a livello mondiale. Alla Tredicesima Conferenza sui cambiamenticlimatici, che si terrà a Bali nel prossimo dicem-bre, l’Unione Europea – forte della posizioneraggiunta al proprio interno per il taglio del20% delle emissioni di gas a effetto serra entro il2020 – proporrà una riduzione del 30% e si im-

pegnerà a lavorare insieme con tutti gli opera-tori del Pianeta per ridurre drasticamente leemissioni di CO2, per puntare sull’innovazione,sul risparmio energetico, sulla grande capacitàdella tecnologia di dare risposte concrete. È im-portante, per esempio, cogliere in campo energe-tico l’occasione costituita dalla forte evoluzionedel fotovoltaico e del solare, perché è evidenteormai che è il sole la più grande fonte di ener-gia di cui potremo disporre nel futuro. La sfidatecnologica diventa, quindi, quella di renderedisponibile e utilizzabile l’enorme quantità d’e-nergia che il sole ci irradia in maniera continuae gratuita. Sempre riguardo alla mitigazione, ènecessario evitare gli sprechi di energia e mate-rie prime, ancora numerosi nelle attività quoti-diane: qui possiamo intervenire anche comesingoli cittadini. Ma è necessario e urgente approntare imme-diatamente una Strategia nazionale di adatta-mento al cambiamento climatico. È importantesia sviluppare la prevenzione dalle conseguen-ze negative del fenomeno con azioni che possa-no essere adottate nei vari settori, sia integrare leazioni di adattamento in Europa, così come indi-cato con il recente “Libro Verde” della Commis-sione11. Domani sarà qui anche il Presidente delConsiglio. Vorremmo potergli consegnare il do-cumento di conclusione di questi lavori, affinchéquesto possa essere utilizzato come base perl’elaborazione di una Strategia nazionale diadattamento e dei piani dei vari settori: difesadel suolo, delle risorse idriche e delle coste; in-terventi contro la desertificazione, per la difesadella salute dei cittadini, per la creazione di siste-mi di allerta rapida, per lo sviluppo dell’agricol-tura, del consumo e dell’edilizia sostenibili.Tra questi, è prioritario un Piano per il dissesto

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11 Libro Verde della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo eal Comitato delle Regioni: “L’adattamento ai cambiamenti climatici in Europa – Quali possibilità di intervento per l’UE”.[{SEC(2007) 849} – COM(2007) 354 definitivo]. (http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2007:0354:FIN:IT:PDF)

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idrogeologico. Da tempo, potremmo dire dasempre, il nostro Paese vive gli episodi dram-matici delle alluvioni. Ma già negli anni scorsigli eventi calamitosi di Sarno e Soverato hannorappresentato le prime avvisaglie di fenomeniclimatici nuovi, di diversa intensità rispetto alpassato: le “bombe d’acqua”, piogge deva-stanti concentrate in un tempo molto breve. Nonè esclusivamente un problema meteorologico;qui si parla soprattutto della messa in sicurezzadel territorio italiano. Sommando le cifre fornitedalle varie Autorità di bacino, emerge che que-sta grande opera pubblica, la messa in sicurez-za del territorio italiano, costerebbe 40 miliardidi euro. Eppure, proprio da uno dei workshop12

preparatori alla Conferenza si evince che usan-do minori quantità di cemento e aumentandogli interventi naturali la spesa diminuirebbe an-che di quattro o cinque volte. Un esempio pertutti: nel bacino fluviale dell’Arno erano previ-ste, per la prevenzione del dissesto, opere strut-turali per 1 miliardo e 600 milioni di euro. Conla nuova progettazione “leggera” è stato dimo-strato che bastano addirittura solo 200 milioniper fare un grande piano di messa in sicurezzadel bacino. L’altra grande priorità ambientale italiana, chevoglio ricordare qui oggi, è il mare. In Italia ab-biamo circa 8.000 chilometri di coste, ma nonuna normativa organica per la loro tutela, nonuna legge nazionale sul mare né uno studiocomplessivo a livello nazionale. Tra gli altri pro-blemi causati dal cambiamento climatico, an-che quello del mare Adriatico nel quale, almenonel 2003, si è ridotto fino a scomparire il rime-scolamento tra acque profonde e superficiali,con grave rischio per quella delle tre grandicorrenti del Mediterraneo che qui ha origine.Si tratta solo di due indicazioni esemplificative.Con questa Conferenza si vuole fare un primo

grande passo verso la realizzazione di un “Ma-nifesto per l’adattamento sostenibile e per la sicu-rezza ambientale” nel nostro Paese. Sicurezzadalle frane, dalle alluvioni, dalla siccità. Sicu-rezza che è ormai considerata dal Governo,dal Parlamento e da tutte le forze politiche edalle istituzioni un impegno fondamentale ecentrale e che qui vogliamo declinare in modonuovo e più ampio rispetto alla consueta acce-zione. Insomma, occorre agire qui e subito. “Actnow!”, dicono tante associazioni e organizza-zioni internazionali. Noi vogliamo coglierequesto messaggio e rilanciarlo.

1.2 Quadro di riferimento internazionale

1.2.1 Mari Amano – OCSE, Vi-cesegretario Generale

Da sempre l’Organizzazioneper la Cooperazione e lo Svilup-po Economico (OCSE) è impe-

gnata ad aiutare i paesi a raggiungere una cre-scita economica sostenibile. In un’ottica di collaborazione e confronto l’Or-ganizzazione, insieme al Governo italiano e adaltre istituzioni, sia governative che non gover-native, sta cercando di individuare le miglioristrategie per combattere i cambiamenti climatici. Gli aspetti su cui oggi è opportuno porre l’atten-zione riguardano le politiche e gli strumentieconomici essenziali per combattere i cambia-menti climatici. Secondo l’OCSE, per limitare,infatti, i rischi presenti e futuri, i paesi devononecessariamente cambiare il proprio approccioe i propri modelli produttivi, e investire in nuovetecnologie. Le politiche prioritarie per affrontare i cambia-

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12 Workshop “Cambiamenti climatici e dissesto idrogeologico: scenari futuri per un programma nazionale di adat-tamento”. Napoli, 9-10 luglio 2007.

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menti climatici devono essere orientate versostrategie che favoriscono l’integrazione dellepolitiche ambientali con gli obiettivi politici, ver-so sinergie che accrescano lo sviluppo economi-co, verso un incremento di investimenti destinatial processo di adattamento al cambiamento cli-matico, sia in quei paesi a basso reddito partico-larmente vulnerabili ai mutamenti climatici, sianei paesi dell’OCSE.Per quanto riguarda gli strumenti economici ènecessario che sia fissato un prezzo del carbonioglobale che tutti i paesi e tutti i settori produttividevono adottare, in modo tale da limitare i costidella mitigazione. Per fissare il prezzo è possi-bile procedere attraverso diverse strade: peresempio, applicando una tassazione che colpiscai combustibili fossili o il carbonio; oppure, attra-verso l’eliminazione delle sovvenzioni, chespesso finiscono per nuocere l’ambiente, oppureattraverso programmi di scambio di emissioni;o attraverso l’istituzione di meccanismi flessibiliche consentono una mitigazione al minimo co-sto possibile.Alcuni paesi OCSE, come Danimarca, RegnoUnito e Norvegia, stanno già applicando alcunidi questi strumenti, quale per esempio la Car-bon Tax. L’efficacia degli interventi è, però, dovu-ta a un loro utilizzo integrato e a un’azioneconcordata e condivisa tra i vari paesi. Occor-re, quindi, una cooperazione internazionaleche colleghi le iniziative nazionali fra loro e as-sicuri la partecipazione al processo di riduzio-ne di tutti i principali paesi emettitori. Il meccani-smo della Carbon Tax porterà a un ampliamen-to del mercato di gas a effetto serra, rafforzando-lo e collegando il processo di scambio con quel-lo per uno sviluppo pulito, il Clean DevelopmentMechanism (CDM).Ricerche effettuate dall’OCSE hanno evidenzia-to la possibilità di agire sia attraverso un au-mento progressivo delle imposte collegate aicombustibili e all’energia, attualmente vigenti – eallineando nuovamente la differenziazione sulle

imposte automobilistiche a seconda del poten-ziale di inquinamento – sia eliminando queisussidi per combustibili ad alta intensità di carbo-nio.Secondo l’OCSE, al fine di ridurre le emissioni,occorre prestare molta attenzione alle nuove“tecnologie verdi” e incoraggiare l’efficienzaenergetica nei mercati già esistenti. In tal senso, èimportante che i governi attuino politiche volte aincoraggiare le aziende ad adottare quelle tec-nologie che garantiscono l’efficienza energetica oun migliore rendimento energetico, avvalendosidi strumenti economici interessanti o di altre misu-re economicamente efficienti. L’adattamento non è una scelta ma un’esigenzaimmediata, e riguarda non solo isole remote delPacifico o paesi soggetti alla siccità in Africa,ma riguarda tutti i paesi dell’OCSE: esso occu-perà, quindi, una parte essenziale nel quadropost 2012, nei programmi di sviluppo naziona-li e internazionali. L’integrazione dell’adattamento al cambiamen-to climatico nelle attività di sviluppo è indispensa-bile, se si vogliono raggiungere gli obiettivi disviluppo della “Dichiarazione del Millennio”delle Nazioni Unite e uno sviluppo sostenibile dilungo periodo.Oggi si presta molto attenzione al problema deirischi legati al cambiamento climatico, manonostante ciò sono ancora bassi gli investi-menti destinati al processo di adattamento. Il costo stimato dell’adattamento va da 10 a 40miliardi di dollari. Cifre ancora approssimative. Attualmente sono pochi i paesi che hanno messoin atto azioni concrete per affrontare il proble-ma dell’adattamento al cambiamento climatico.Spesso sono state le leggi di mercato le leve chehanno incoraggiato l’adozione di misure diadattamento autonome come, per esempio, nelcaso delle Alpi europee, dove le stazioni sciistichesono state spostate a quote più alte e aumentatol’utilizzo di neve artificiale. Queste misure sonoperò adattamenti tecnici che hanno limiti e che,

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in molti casi, finiscono per avere conseguenzenegative sull’ambiente. La neve artificiale, infat-ti, richiede un maggior consumo di acqua edenergia, e lo spostamento a quote più alte dellestazioni sciistiche rischia di mettere in pericolo ifragili sistemi che si trovano in montagna.Maggiore è il numero dei paesi impegnati a ri-durre le emissioni di gas a effetto serra e minoresarà il costo globale delle iniziative e i problemidi competitività, consentendo in tal modo di supe-rare uno dei maggiori ostacoli dell’azione politi-ca. Oggi, grazie all’IPCC, sono aumentate le cono-scenze sulle caratteristiche del fenomeno e, attra-verso le nuove tecnologie, sarà possibile trovaresoluzioni sempre più efficaci e innovative.Affinché i negoziati internazionali progredisca-no, occorre trovare nuove soluzioni su come fissa-re il prezzo globale del carbonio, su come assicu-rare la partecipazione a livello globale alla ridu-zione delle emissioni di gas a effetto serra e su co-me finanziare la mitigazione e l’adattamento so-prattutto nei paesi meno sviluppati.

1.2.2 Roberto Acosta – UnitedNations Framework Conventionon Climate Change (UNFCCC),Coordinatore Strategie Adatta-mento

Con la Convenzione Quadro sui cambiamenticlimatici è stata stabilita la concentrazione digas a effetto serra accettabile affinché non siverifichino interferenze pericolose sul sistemaclimatico, sulla produzione alimentare, sullosviluppo economico, e si abbia il tempo perprovvedere ad azioni di adattamento. Il proces-so di adattamento vede coinvolti tutti i paesi, inparticolar modo quelli sviluppati che devonoaiutare quelli meno sviluppati ad affrontare gli

effetti peggiori del cambiamento climatico.L’importanza di individuare misure di adatta-mento è cresciuta sempre di più dall’entrata invigore della Convenzione del 1995, che attri-buiva il ruolo prioritario ai meccanismi di miti-gazione. Oggi è riconosciuto che la mitigazio-ne e l’adattamento devono procedere contem-poraneamente, onde evitare perdite umane evalori economici. Con la Convenzione Quadroè affrontato il problema dell’adattamento sottodiversi aspetti: scientifico, attuativo, finanziario,e indicato il modo di sviluppare i piani di adat-tamento e le modalità di lavoro del gruppo diesperti. Con il “Programma di Nairobi” vienesottolineata l’importanza di coinvolgere le or-ganizzazioni internazionali nell’aiutare i paesiad adattarsi, attraverso una migliore compren-sione della situazione attuale e futura e fornendoloro le informazioni su cui pianificare azioni ef-ficaci. Determinante in questa fase è l’unione didiversi organi quali FAO, OCSE, IPCC, UNDPche, confrontandosi, hanno unito le loro cono-scenze scientifiche consentendo e favorendomigliorie ai programmi di azione. Con la Con-venzione è affrontato anche il problema dellasostenibilità economica dei piani di azione perinterventi più urgenti, e pur essendo significati-ve le cifre a ciò destinate – 225 milioni di dolla-ri provenienti dal Fondo speciale per i cambia-menti climatici e i 320 milioni di dollari (Fondoper l’adattamento) che dipendono dal CDM –esse non risultano sufficienti per aiutare i paesimeno sviluppati ad affrontare l’adattamento. Con la Conferenza svoltasi recentemente aVienna13 è stato avviato il dialogo e lo scambiodi esperienze sulla migliore metodologia dianalisi per affrontare il problema in modo strate-gico in un’ottica di lungo periodo. Durante laConferenza, i paesi partecipanti si sono con-frontati sul modo di procedere dopo il 2012,

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13 Vienna, 27-31 agosto 2007: negoziati sul clima e nuove misure per ridurre le emissioni climalteranti nell’ambitodella Convenzione ONU sul clima e del Protocollo di Kyoto.

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ossia quando il Protocollo di Kyoto verrà a sca-denza. Nonostante oggi abbiamo conoscenzelimitate, nel 2030 le risorse economiche neces-sarie saranno dell’ordine dai 28 ai 67 miliardidi dollari l’anno per sanità, acqua, infrastrutture,agricoltura e zone costiere. Queste cifre rap-presentano, nel quadro dei flussi previsti, solouna percentuale minima (0,6% – 0,25%) para-gonato al PIL del 2030. Occorre, però, tenerepresente che il costo dell’inazione potrebbe es-sere molto più alto rispetto a quello previsto peril processo di adattamento. Gli elementi fondamentali di un accordo futurosono il riconoscimento, da parte di tutti i paesi,che la mitigazione deve procedere di pari passocon l’adattamento, in un contesto di svilupposostenibile e che nessun paese da solo potràmai agire, ma che è necessaria un’azione glo-bale, altrimenti le iniziative prese singolarmenterischieranno di non essere sufficienti e comun-que non efficaci. Le Nazioni Unite, insieme aisingoli paesi, si stanno impegnando per affron-tare in maniera risolutiva il problema dei cam-biamenti climatici attraverso programmi e azio-ni efficaci, ma è necessario che ci sia una vo-lontà politica per poter affrontare il problema inmodo concreto.L’interesse su questo tema è molto forte e coin-volge non solo il mondo politico, i media, maanche il settore privato interessato, in modoparticolare, all’evoluzione del “mercato del car-bonio” dopo il 2012.Attraverso il dialogo sarà possibile definire iflussi finanziari, la riduzione delle emissioni, ladeforestazione, la biodiversità, il trasferimentodi tecnologie, e il modo in cui sarà possibileprocedere a uno sviluppo del CDM al fine di in-cludere anche i paesi che ancora non ne fannoparte. È importante agire tra il 2009 e il 2012,così che sia possibile una transizione morbidadopo la fine del Protocollo di Kyoto. Tale dialogodovrà fornire risposte di lungo periodo, ossiaoltre i 5 anni, considerando che l’Unione Euro-

pea è impegnata a ridurre le emissione al 20% eche le emissioni dei paesi continueranno ad au-mentare, e così anche il “mercato del carbo-nio”. In questo contesto, tale mercato potrà rap-presentare un’opportunità per i PVS, che po-tranno ridurre le loro emissioni e concentrarsisull’adattamento.

1.2.3 Filippo Giorgi – IPCC /Working Group 1, Vicepresi-dente

Gli scenari dell’IPCC. Il motoredel nostro clima è il Sole, che ri-

scalda la Terra. Se non esistesse l’atmosfera econ essa i gas a effetto serra, l’energia solare equella infrarossa fuggirebbero nello spazio e laTerra sarebbe molto fredda. I gas a effetto ser-ra, invece, assorbono tale energia e permettonoal nostro Pianeta di mantenere le temperatureche hanno consentito l’evoluzione umana. L’ef-fetto serra è in sé, quindi, un fenomeno positivo,che permette di mantenere il nostro Pianeta auna temperatura costante e mite.Cosa è accaduto, allora, al nostro Pianeta? Igrafici elaborati dall’IPCC relativamente allapresenza in atmosfera dei tre fra i maggiori gasa effetto serra – anidride carbonica CO2, meta-no CH4, ossido nitroso N2O – e dei clorofluoro-carburi mostrano una situazione pressoché co-stante negli ultimi duemila anni. Dall’inizio della“rivoluzione industriale” la concentrazione diquesti gas è salita a valori di gran lunga più ele-vati rispetto a quelli naturali. Ma non solo: i ca-rotaggi effettuati ai Poli hanno permesso di ri-costruire i valori dei gas nelle età glaciali e in-terglaciali, ed è emerso che le concentrazioniodierne sono le più alte degli ultimi 650 milaanni.Le evidenze del “climate change”. La conclusio-ne forse principale del Quarto Rapporto IPCC èche il riscaldamento globale è ormai inequivo-cabile, come comprovato dalla molteplicità di

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evidenze osservate. Queste includono il riscal-damento globale della superficie terrestre di cir-ca 0,74 °C (+/-0,18 °C) negli ultimi 100 anni(figura 1.1), il riscaldamento globale deglioceani e della troposfera (quest’ultimo in lineacon il riscaldamento superficiale dagli anni Set-tanta), l’innalzamento del livello globale delmare (circa 20 centimetri dal 1870) e una forteriduzione di ghiacciai continentali e ghiaccimarini (in particolare, la Calotta artica).

Analizzando l’andamento della temperatura,gli scienziati hanno osservato un progressivo ecostante innalzamento a partire dall’inizio delsecolo scorso, con l’eccezione di due periodi dicaldo anomalo verificatisi fra il 1920 e il 1930(non riconducibili, però, ai gas a effetto serra).Sono gli anni Settanta a segnare uno shift nel si-stema climatico e a dare il via a un’accelerazio-ne del fenomeno. Secondo l’IPCC, i 50 anni ap-pena trascorsi sono stati i più caldi degli ultimi1.300 e le temperature registrate oggi supera-no di gran lunga il famoso surriscaldamento delperiodo medioevale. Un innalzamento dellatemperatura che, tuttavia, si verifica a “macchiadi leopardo”, per cui talune zone del Pianetasono più colpite di altre. Tra queste, l’Europa e ilMediterraneo nelle quali il riscaldamento avan-za con una velocità media maggiore rispetto alresto del Globo.

Le conseguenze dell’innalzamento della tempera-tura sono numerose: scioglimento e restringi-mento della quasi totalità dei ghiacciai mondia-li, diminuzione delle coperture nevose nell’arcodegli ultimi 25-30 anni. Fenomeni documentatidalle immagini fotografiche raccolte dall’IPCC:lo scioglimento della Calotta artica appare evi-dente in due foto scattate nel 1979 e, successi-vamente, nel 2005; stessa situazione si evincenelle immagini dei ghiacciai alpini di Pizzo Ber-

nina e Pizzo Palù, ritratti nel 1978 e poi nel2003 (figura 1.2). Ulteriori evidenze del riscaldamento globale so-no date dall’innalzamento del livello del mare,pari a circa 20 centimetri nell’arco degli ultimi100 anni, e dallo spostamento verso i Poli delleperturbazioni; ma anche dalla maggiore intensi-tà – non frequenza! – con cui si abbattano i ciclo-ni tropicali ed extratropicali o dall’aumento del-le ondate di calore e degli eventi siccitosi in tuttii continenti, accompagnata dalla presenza diprecipitazioni di maggiore intensità. In generale,si registra un aumento dei fenomeni climaticiestremi: si fanno più frequenti gli eventi siccitosie le alluvioni; piove di meno ma con più intensi-tà su tutti i continenti. La raccolta delle evidenze ha portato l’IPCC aconcludere che il riscaldamento del clima è oggiinequivocabile e, per la prima volta nella storia,

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Figura 1.1 - Riscaldamento globale della su-perficie terrestre.

Figura 1.2 - Scioglimento di alcuni ghiacciaialpini.

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la comunità scientifica afferma, pressoché con-cordemente, l’esistenza di un trend di crescitaglobale della temperatura.Le cause. Emissioni di gas a effetto serra, aerosolatmosferici, piccole particelle di inquinamentocome i PM5 e PM10, il cambiamento dell’uso delterritorio sono alcuni dei fattori legati all’attivitàumana che provocano il riscaldamento globale.A questi vanno aggiunte le cause naturali: ra-diazioni provenienti dal Sole, emissioni di parti-celle prodotte dall’attività vulcanica e, infine,una variabilità naturale del sistema climatico.Per definire quanta parte del riscaldamento siaattribuibile a cause naturali e quanta a quelleantropogeniche, l’IPCC ha creato ad hoc alcunimodelli climatici inserendo entrambi i fattori inun unico sistema. Se il riscaldamento dipendaunicamente da fattori naturali (natural forcings) oda una combinazione di cause umane (all for-cings) è questione che anima non solo la comu-nità scientifica, ma soprattutto il mondo dei me-dia. Spesso i giornali indicano nel Sole il princi-pale colpevole del cambiamento climatico; tut-tavia i dati raccolti negli ultimi 50 anni dimo-strano il contrario, ovvero, che sono soprattutto igas a effetto serra a incidere in maniera pre-ponderante sul fenomeno del mutamento clima-tico. Il forcing radiativo di tutti i fattori antropici(gas a effetto serra, aerosol, uso del territorio)dal 1750 a oggi è positivo e, quindi, causa del ri-scaldamento del sistema climatico. È stimato incirca 1,6 (0,6 – 2,4) W/m2 ed è, quindi, moltomaggiore di quello dovuto alla variazione dellaradiazione solare, pari a circa 0,12 (0,03 –0,30) W/m2. E oggi l’IPCC può affermare, con un’altissimaprobabilità (90-95%), che l’aumento della con-centrazione dei gas a effetto serra dovuto all’at-tività umana è la principale causa del riscalda-mento globale osservato dalla metà del secoloscorso (figura 1.3).Cosa aspettarsi dal futuro? È difficile formulareprevisioni certe sull’andamento delle emissioni

di gas a effetto serra, e i cosiddetti “scenari diemissione” sviluppati dal Panel intergovernativopresentano situazioni estremamente variabili. Imeno allarmanti prevedono per il 2100 un au-mento della CO2 pari al 40-50%, ma se le emis-sioni cresceranno con il ritmo attuale (businessas usual) le proiezioni indicano valori tre voltepiù alti. Stessa incertezza si ha sull’aumentodella temperatura, con il range che varia da unminimo di 1 °C a un massimo di + 6. Un’incertez-za di dati che, però, mette in luce l’inevitabilità diun aumento della temperatura: non sappiamodi quanto crescerà, tuttavia la temperatura globa-le è destinata ad aumentare. Si è molto discusso, inoltre, del possibile collassodella circolazione oceanica mondiale, ma i mo-delli dell’IPCC non lo prevedono. Nonostanteciò, se la fase di riscaldamento dovesse prolun-garsi oltre questo secolo, potremmo andare in-contro a fenomeni semi-irreversibili, quali il col-lasso della circolazione oceanica profonda e laconseguente scomparsa della corrente del Golfo,come anche il possibile scioglimento dellaGroenlandia e delle lingue di ghiaccio nell’Antar-tico occidentale (ice sheets). Fenomeni estremiche preluderebbero necessariamente a un in-nalzamento del livello del mare di circa 15 me-tri a fronte dei 20-60 centimetri previsti dagli at-

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Figura 1.3 - Identificazione dell’effetto umanosul riscaldamento globale.

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tuali scenari IPCC. Realtà o fantascienza? Os-servando quel che è accaduto all’inizio del2002, quando la grossa lingua dell’Antarticooccidentale Larsen-B si è sgretolata nell’arco diun mese e mezzo a causa del riscaldamentoglobale, si può dire che le proiezioni siano piùreali di quanto si pensi. E se i modelli risultano corretti, si attendonoconseguenze particolarmente negative sull’areadel Mediterraneo. I modelli di previsione del Pa-nel intergovernativo dicono che il Mediterraneosi scalderà in modo più intenso rispetto alla me-dia globale, specialmente d’estate, con valorisuperiori al 40-50% del resto del mondo. Perquesta sua caratteristica il Mediterraneo è chia-mato climate change hotspot, nome con il qualesi indica una zona sulla superficie terrestre par-ticolarmente sensibile ai cambiamenti climatici. Su tutta l’area mediterranea si prevede una di-minuzione delle precipitazioni e particolarmen-te sopra il nostro Paese, con un conseguenteinaridimento del centro-sud. I modelli IPCC pre-conizzano per l’Italia un forte innalzamentodella temperatura paragonabile a quello verifica-tosi nella tragica estate del 2003. Le ondate dicalore anomalo dell’estate 2003 provocaronodecine di migliaia di morti e l’attività agricolasegnò uno dei livelli più bassi delle ultime deca-di. I costi umani e di produzione sono stati mol-to più alti di quelli prevedibili con qualsiasi cal-colo di spesa per l’adattamento. Ebbene, i model-li climatici dicono che estati come quella del2003 potrebbero divenire la norma. In sintesi. Si possono sintetizzare i punti princi-pali del Rapporto redatto dall’IPCC, con unaparticolare attenzione alla situazione dell’areamediterranea.1. Il global warming è inequivocabile e la co-

munità scientifica è unanime nell’affermarela presenza di un trend di riscaldamento glo-bale.

2. Dalla metà del secolo scorso l’aumento dellaconcentrazione di gas a effetto serra è pro-

vocato prevalentemente dalle attività umane,con una probabilità del 90-95%.

3. Il Mediterraneo è una regione molto vulnera-bile al riscaldamento, specialmente nella sta-gione estiva.

4. I modelli IPCC non prevedono eventi semi-irre-versibili, quali il collasso della circolazioneoceanica, lo scioglimento della Groenlandiae dell’Antartide occidentale, ma suggerisco-no che, se questo riscaldamento continueràal di là di questo secolo e per altre centinaia dianni, qualcosa di irreversibile potrebbe effet-tivamente accadere.

5. È comunque ipotizzabile che un certo livellodi cambiamento globale sia inevitabile e chedovremo imparare a gestire l’inevitabile, ap-prontando piani di adattamento.

6. È allo stesso tempo fondamentale lavoraresulla mitigazione, per evitare di raggiungere lesituazioni più catastrofiche e di per sé inge-stibili.

1.3 Quadro di riferimento nazionale e me-diterraneo

1.3.1 Vincenzo Ferrara – ENEA,Dirigente. Consigliere del Mini-stro dell’ambiente per i cambia-menti del clima

Prima di presentare la situazioneitaliana, alcune considerazioni di carattere ge-nerale.Per cercare di risolvere i problemi legati al cam-biamento climatico, è necessario prima di tuttoavviare un processo di mitigazione dei suoi ef-fetti, altrimenti i danni saranno talmente ingentida provocare una pesante recessione dell’eco-nomia a livello mondiale. Quindi, l’azione ur-gente è quella di ridurre le emissioni applican-do il criterio affermato con la ConvenzioneQuadro sui cambiamenti climatici dell’ONU,criterio fondato sul “principio della responsabili-

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tà comune” (seppure differenziata) e sul “prin-cipio dell’equità”.A livello internazionale, due sono le posizionipredominanti sulle emissioni inquinanti. Di unasono portavoce i paesi aderenti al Protocollo diKyoto, per i quali il problema del clima va risol-to riducendo le emissioni in base ai due principiprecedentemente citati. L’altra posizione è so-stenuta dai paesi che non hanno aderito al Pro-tocollo di Kyoto (tra i quali gli Stati Uniti).Nato per suscitare il buon esempio e trascinare lenazioni ancora scettiche su una strada virtuosa,il Protocollo non si è dimostrato, tuttavia, stru-mento sufficiente a far sì che, nella maggiorparte dei paesi sottoscrittori, i livelli dei gas aeffetto serra diminuissero: al contrario, si è assi-stito spesso a un loro aumento. In questo sensoè negativo, seppur comprensibile, il veto postoda alcuni paesi in via di sviluppo (PVS) comeCina e India, i quali – nel pieno di una fase dicrescente sviluppo socio-economico – sono po-co inclini a tagliare le emissioni, anche vedendoil mancato mantenimento da parte dei paesi dilunga industrializzazione dell’impegno preso.Non si può sperare che i PVS aderiscano aitrattati di riduzione delle emissioni senza un im-pegno serio da parte degli altri. Anche perchèsaranno proprio le piccole isole del Pacifico o ipaesi più poveri dell’Africa a pagare le primeconseguenze del global warming, pur nonemettendo gas a effetto serra e vivendo in condi-zioni di estrema povertà. È quel che sta già acca-dendo nell’Oceano Pacifico, dove l’innalza-mento del livello del mare ha provocato l’inon-dazione di una parte dell’isola di Tuvalu, a se-guito della quale sono in corso accordi con laNuova Zelanda per il progressivo trasferimentodei cosiddetti “profughi ambientali”.Unione Europea, Stati Uniti e Alliance of SmallIsland States (AOSIS) sono portatori di tre diffe-renti posizioni sulle misure da intraprendere percombattere il riscaldamento globale. L’Europa èfavorevole a tagli significativi delle emissioni

che consentano che l’innalzamento delle tempe-rature sia mantenuto entro i 2 °C, mentre gliStati Uniti e i paesi del patto Asia-Pacifico concor-dano, in linea generale, sulla riduzione delleemissioni, ma non intendono fissare limiti o vin-coli di alcun genere per i prossimi 50 anni. Laterza posizione, quella dell’AOSIS, è per unatassazione delle emissioni proporzionata allaloro quantità e composizione. Il ricavato econo-mico dovrebbe confluire in un fondo che servi-rebbe per finanziare le strategie di adattamentodei membri AOSIS: in questo caso, le emissionisarebbero pagate dai paesi industrializzati.Questo è il contesto internazionale, nel qualenon si fanno progressi perché, alla base, c’èuna questione di fondo da risolvere: come ri-partire il taglio delle emissioni secondo il princi-pio di equità, precedentemente citato.Per quanto riguarda il nostro Paese, l’Italia deveattuare il Protocollo di Kyoto e agire con piùfretta di altri in quanto, oltre a non aver dimi-nuito le emissioni, è anche sottoposto a unamolteplicità di rischi.Abbiamo quattro questioni fondamentali da af-frontare: risorse idriche, sistemi agroforestali,aree marino-costiere e gestione del territorio.Relativamente alle risorse idriche, è da rilevareche la disponibilità di acqua diminuisce (figura1.4), mentre aumenta in modo molto significati-vo il prelievo. Possibili soluzioni a questa critici-tà sono la difesa delle risorse attuali, eventual-mente aumentando la disponibilità di acquacon sistemi artificiali come la dissalazione, op-pure l’adozione della strategia di “adattamentoattivo” secondo cui ci si “adatta” risparmiandol’acqua (riutilizzo).Lo spostamento verso nord degli ecosistemi con-seguente a una frammentazione del territoriorappresenta un aspetto agrosistemico e agrofo-restale dei cambiamenti climatici, che hannoimpatti anche sull’agricoltura e problemi con-nessi (parassiti, scelta delle metodiche agricoleda adottare, cambiamento di modalità di pro-

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duzione o cambiamento di prodotti, ecc.).Quanto alle aree marine costiere (figura1.5), l’Ita-lia è a rischio per la sua esposizione sul Mediter-raneo, un mare in mutamento che diventa sem-pre più caldo e salato (figura1.6). La temperaturadelle sue acque, infatti, cresce al ritmo di 0,6 °Cper decennio, rappresentando il trend più elevatoa livello mondiale, superiore alla già notevole ve-locità di riscaldamento dell’Oceano Indiano.È in corso, poi, una forte erosione delle costebasse dovuta, in parte, a fenomeni collegabiliai cambiamenti del clima e, in parte, a fattoriumani, come la mancanza di apporti fluviali, losbarramento delle dighe, i prelevamenti d’ac-qua e altri elementi che hanno cambiato gliequilibri naturali. Tale processo di distruzionecomporta disastri nelle zone direttamente colpi-te, per esempio quella veneziana, e ha riper-cussioni anche sul turismo e sull’uso delle coste.Infine, sono da considerare gli aspetti territoria-

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Fonte: ENEA

Figura 1.5 - La situazione delle coste italiane.

Figura 1.4 - Variazione della portata dei corsi d’acqua.

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li, in quanto, se le attività svolte in un territoriosubiscono cambiamenti, in quel territorio posso-no cambiare le opportunità di sviluppo e sorge-re eventuali tensioni sociali.A causa di queste problematiche appare fonda-mentale per l’Italia partire con un Piano nazio-nale di adattamento ai cambiamenti climaticicollegato alla strategia di mitigazione.

1.3.2 Roberto Caracciolo –APAT, Direttore DipartimentoStato dell’ambiente e metrolo-gia ambientale

Stato delle conoscenze e criticità La descrizione del quadro nazionale prende lemosse dall’analisi delle criticità scaturite daiworkshop preparatori che si sono svolti, lungotutto il territorio nazionale, nei mesi precedentila Conferenza sui cambiamenti climatici. Le cri-ticità rilevate sono riconducibili a due tipologie:la prima è legata agli impatti causati dai cam-biamenti del clima; la seconda riguarda la ca-renza conoscitiva in materia. Una conoscenzascientifica in continuo sviluppo è indispensabileper costruire scenari futuri attendibili, cioè ca-

ratterizzati da un certo livello di affidabilità.Per quanto concerne gli impatti, i dati storici di-mostrano che, dal 1850 al 2000, le Alpi (figura1.7) hanno già perso la metà della loro superfi-cie glaciale, passando da 4.474 chilometriquadrati a solo 2.272 con una serie di impattidi notevole rilievo, per esempio: sulle risorseidriche, che ricevono un minore apporto estivodi acqua proveniente dallo scioglimento dellenevi; sul tipo di flora e di fauna che abitualmen-te abita questi ambienti alpini, provocando cosìuna perdita di biodiversità; sul turismo, con unimpatto di tipo economico.

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Fonte: ENEA

Figura 1.6 - La circolazione marina mediterranea.

Figura 1.7 - Ambienti nivo-glaciali alpini.

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Un tema di notevole rilievo è quello del bacinodel Po (figura 1.8), in relazione alla stretta cor-relazione con le risorse idriche di un’importantearea territoriale nazionale. Il bacino del Po co-pre, infatti, quasi un quarto dell’intera superficienazionale. Tutto ciò che avviene in questo baci-no è fondamentale e strategico per il Paese e,per tale motivo, sono necessari studi e analisi dacui sia possibile delineare una situazione chiarae definita che permetta di capire come inserire,in futuri piani di adattamento, quest’area geo-grafica.

L’Italia, per la sua conformazione, è immersanel Mediterraneo (figura 1.9): ha circa 8.300chilometri di coste, con territorio interno talmen-te esiguo da essere molto fragile. Di questi, circa4.000 chilometri sono bassi e sabbiosi, e alme-no 1.500 di questi ultimi sono a rischio di scom-parsa: cioè, quasi il 40% di coste basse risultagià in erosione e a rischio allagamento. Relativamente al rischio di desertificazione,l’Atlante Nazionale della Desertificazione,prodotto dall’Istituto Difesa del Suolo delCRA, stima che circa il 50% dell’intero territo-rio nazionale presenti potenzialmente tale ri-schio a causa di fattori climatici e pedologici,in particolare in zone quali la Sardegna, laPuglia, la Sicilia, la Calabria, la Basilicata ela Campania (figura 1.10).Altra criticità rilevata è quella relativa al rischioidrogeologico (figura 1.11): l’Italia ha, infatti,una geologia alquanto complessa, soggetta afenomeni idrogeologici. I dati riportati in un ap-posito archivio storico, che vanno dal 1979 al2002, evidenziano ben 4.521 casi di eventi condanni; di questi oltre il 50% è rappresentato daeventi franosi, il 45,8% da alluvioni e l’1,9% davalanghe. Solo nel secolo scorso in Italia vi sonostate 10.000 vittime tra morti e feriti, e ben 350mila senzatetto. Il rischio idrogeologico è partico-larmente sensibile al cambiamento climaticoper effetto delle mutate condizioni delle precipi-tazioni. Oggi ci troviamo di fronte a piogge chemediamente diminuiscono, ma sono concentratein archi temporali più brevi: si hanno pioggepiù violente che si abbattono su un territorio chesi presta poco alla dispersione, un territorio ari-do che favorisce fenomeni franosi.L’aumento di temperatura non ha impatti solo ditipo ambientale e socio-economico, ma ha an-che impatti sulla salute umana. Una testimo-nianza al riguardo è rappresentata dal rappor-

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Figura 1.8 - Il bacino del Po.

Figura 1.9 - L’ambiente marino costierodell’Italia.

14 Cfr. nota n. 9.

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to “Cambiamenti climatici e salute”14, realizzatodall’APAT in collaborazione con l’Organizza-zione Mondiale della Sanità, con il quale sonoposte in risalto le conseguenze e i possibili effet-ti sanitari dei cambiamenti climatici. In particola-re, è stato evidenziato che, per ogni grado diaumento di temperatura, è previsto – solo per leondate di calore – un aumento del 3% del tassodi mortalità. Altri effetti sanitari secondari ri-guardano l’introduzione sul nostro territorio dispecie aliene come, per esempio, la zanzara ti-gre. Non meno importanti e significativi sonogli effetti dei fenomeni idrogeologici sul tasso dimortalità.I gruppi di lavoro che hanno operato in relazio-ne ai diversi workshop hanno costruito, attra-verso i dati raccolti, la “matrice delle criticità”dove, sulle ascisse, sono riportate le fonti deidati (workshop) e, sulle ordinate, le principalicategorie di impatto così come definite dalla bi-

bliografia del settore (IPCC). Tale matrice (figu-ra 1.12) ha consentito di fare una fotografiadella situazione del nostro Paese evidenziando,per quanto riguarda le matrici ambientali, learee critiche – come le risorse idriche, gli am-bienti marino costieri, la biodiversità – e, per lematrici economiche, il turismo e l’agricoltura.Per ciascuno di questi settori sono state analiz-zate le variabili climatiche di impatto, gli effettiprimari e gli effetti secondari, è stata studiata lasituazione attuale e si è cercato di costruire ipossibili scenari futuri.

Scenari futuri Per l’ambiente marino costiero, la situazione at-tuale si presenta con un livello del Mare Medi-terraneo inalterato, con 1.500 chilometri di costebasse, pianure costiere comprese, in erosione ea rischio allagamento. Gli scenari futuri preve-dono: un probabile innalzamento del livello del

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Figura 1.10 - Indice di aridità. Figura 1.11 - Il rischio idrogeologico in Italia.

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mare tra i 28 e i 43 centimetri, entro il 2100; unrischio di allagamento di 4.500 chilometri qua-drati di aree costiere e pianure (25,4%, nelNord; 5,4%, al Centro; 62,6%, al Sud; 6,6%, inSardegna); aree a rischio, come la Laguna diVenezia e le coste dell’Alto Adriatico, come learee delle foci di alcuni fiumi, le aree a caratte-re lagunare come la Laguna di Orbetello e lecoste particolarmente basse.Per quanto riguarda le risorse idriche, la situa-zione attuale si presenta con una diminuzionedei ghiacciai e una riduzione di quantità/dura-ta di innevamento. Rispetto al cinquantennioprecedente, dal 1990 è stato rilevato un anticipodella fusione primaverile di 15 giorni, attorno aquota 2.500 metri. Tale dato ha una notevole ri-levanza sulla portata del Po che, nel luglio2007, è stata pari a 391 m3/s, a fronte di unvalore storico medio di 1.156 m3/s. Gli scenarifuturi indicano: una riduzione dei ghiacciai piùampi, entro il 2100, dal 30% al 70%; unascomparsa, entro il 2050, dei ghiacciai minoriposti al di sotto dei 3.500 metri; una ridu-

zione/scioglimento anticipato delle nevi; un au-mento della frequenza di eventi siccitosi (da unevento ogni 100 anni a uno ogni 50 anni, omeno, entro il 2070); una riduzione, entro il2070, della portata dei corsi d’acqua alpini fi-no all’80% nei mesi estivi. Per quanto attiene al patrimonio forestale e allabiodiversità, l’Italia nel 2005 aveva una super-ficie forestale pari a 10,5 milioni di ettari (35%del territorio nazionale). Nel secolo scorso, nel-l’ambiente alpino, è stato registrato uno sposta-mento progressivo, quantificabile in 0,5-4 metriper decennio, delle specie vegetali verso altitu-dini maggiori. Per gli scenari futuri, è prevista:una maggiore durata del periodo di crescitadelle colture e un anticipo medio di 3 giorniogni 10 anni di tutte le fasi vitali delle specie fo-restali; un avanzamento della linea boschivanelle zone alpine di centinaia di metri; una per-dita del 62% delle specie vegetali montane, entroil 2080; una perdita del 20% delle aree umidecostiere, sempre entro il 2080. Gli impatti di queste matrici ambientali hanno

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Figura 1.12 - La matrice delle criticità di impatto.

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rilevanti ripercussioni sui settori economici.In agricoltura, entro il 2050, si prevede una ridu-zione della produttività agricola delle coltureeuropee mediterranee.Gli scenari futuri legati al turismo presentano unmaggior impatto dei cambiamenti climatici sulturismo estivo balneare e su quello delle zonealpine. Una stima circa la contrazione dei volu-mi di spesa per l’industria turistica alpina haevidenziato una riduzione media del 10,2%,nel 2030, e del 10,8% nel 2090. Questi sono i primi dati di sintesi che mostranoquali sono le criticità del nostro territorio.Accanto a tali criticità vi sono, poi, quelle di ca-rattere conoscitivo. Gli scenari futuri dipendonodalla nostra capacità di prevedere ciò che po-trebbe avvenire, e ciò discende da diversi fatto-ri quali: 1. esiti delle politiche di mitigazione;2. difficoltà di previsione dei modelli climatici;3. difficoltà relativa al calcolo dell’impatto dei

cambiamenti climatici, in particolare se siconsidera la sfera socioeconomica;

4. esiguità di coefficienti di correlazione tra va-lore fisico e valore economico per diverse va-riabili.

Ciò significa che occorrono interventi che con-sentano di migliorare la confidenza con gli sce-nari futuri. Esistono già impatti tangibili, su cui èopportuno intervenire immediatamente; suquelli meno tangibili è necessario procedere at-traverso un’analisi di rischio. Dove il rischio diun’inazione risulta elevato, occorre un interven-to immediato; ovvero, dove il rischio risulta in-vece limitato, è possibile attendere in vista diuna migliore capacità conoscitiva. È importantetenere presente che le risorse a disposizione so-no limitate ed è, quindi, opportuno utilizzarle inmodo mirato, e non disperderle.

1.4 Sessioni parallele e Gruppi di lavoro

1.4.1 Antonio Navarra – CentroEuroMediterraneo per i Cam-biamenti Climatici, Direttore

Intervento di introduzione generale

In questi ultimi anni le problematiche del cam-biamento climatico hanno avuto un’enorme dif-fusione nella società in generale. Il pubblico hainfatti compreso rapidamente la portata di que-sti fenomeni e il cambiamento climatico è diven-tato il punto simbolico sul quale ci si interrogasul nostro posto nel mondo e si ripensa il nostrorapporto con la natura.L’elemento di novità non è rappresentato dallanostra capacità di cambiare l’ambiente. L’am-biente della penisola italiana è ben lungi dal-l’essere “naturale”. I disboscamenti iniziati inetà romana hanno cambiato il volto della peniso-la. Oggi però possediamo una nuova capacitàglobale di cambiare il tessuto stesso del nostropianeta, di modificare in modo involontario ilpalcoscenico sul quale ci troviamo. Ma se le condizioni naturali sono state irrime-diabilmente alterate dalla nostra stessa presen-za e non possiamo più ritrovarle cosa ci restada fare? Dobbiamo prendere atto che fa ormaiparte delle nostre responsabilità far si che il si-stema di riscaldamento del pianeta sia regolatoa livelli accettabili. È un problema non dissimiledalla determinazione dei livelli di temperaturacomuni in un condominio che siano confortevoliper tutti.L’anidride carbonica è il principale gas respon-sabile per la regolazione della temperatura delpianeta. I dati geologici, che in questo caso sibasano su misure dirette dell’atmosfera ance-strale intrappolata nei ghiacciai perenni dellaGroenlandia e dell’Antartide, mostrano che ivalori attuali (circa 370 parti per milione) sono ipiù alti mai registrati negli ultimi 650.000 anni:

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la Terra si trova, quindi, in una situazione nuovarispetto al suo recente passato. Questi risultatiindicano che stiamo ponendo il Pianeta in unostato eccezionale, nel senso che la situazioneattuale non ha precedenti, né dal punto di vistadei valori assoluti, né dal punto di vista della ra-pidità con la quale si è creata questa situazio-ne. Inoltre, ci sono pochi dubbi che l’aumento dianidride carbonica sia causato dall’espansionedella nostra civiltà; ma se questo è il caso, allo-ra vuole anche dire che stiamo giocando con ildelicato meccanismo che regola il termostatodel Pianeta.Il meccanismo fondamentale è, quindi, rapida-mente spiegato, ma altra cosa è cercare di anda-re oltre. Cercare di comprendere in dettaglioquello che l’aumento dei gas a effetto serra (nonsolo l’anidride carbonica, ma anche altri, comeil metano) potrà causare a parametri macrosco-pici come l’alternarsi delle stagioni, la distribu-zione delle piogge e via via in un accavallarsidi effetti, fino alla distribuzione delle malattieinfettive, delle oscillazioni di mortalità per ognicausa e, in generale, fino agli effetti sull’econo-mia in generale. Per rispondere a queste do-mande, i ragionamenti qualitativi non bastano.Occorre usare sofisticati metodi matematici, imodelli di simulazione, che ci forniscono i det-tagliati parametri necessari per rispondere adomande di questo tipo. La quantità e qualitàdelle interazioni nel sistema climatico è però diportata tale che le proiezioni numeriche sonoaffette ancora da sostanziali incertezze anchegrandi, che devono essere prese in considera-zione quando si analizzano i risultati.La scienza dei cambiamenti climatici non puòseguire lo stesso percorso delle altre scienze na-turali, è impossibile fare esperimenti con il climadella Terra. La verifica sperimentale di varieipotesi può essere fatta solo attraverso l’uso deimodelli numerici di circolazione generale chequindi rappresentano il nostro principale stru-mento di investigazione quantitativa dei cam-

biamenti climatici. Così come tutte le grandi in-stallazioni scientifiche, i modelli sono in conti-nua evoluzione e perfezionamento e, quindi, illoro progresso è assolutamente necessario al fi-ne della comprensione del sistema climatico.Il Centro EuroMediterraneo per i CambiamentiClimatici (www.cmcc.it) si pone, quindi, all’a-vanguardia di questa battaglia, luogo di discus-sione e ricerca dove si possano raccogliere lecompetenze necessarie ad affrontare questacomplessa questione. I primi risultati indicanoche nell’area del Mediterraneo abbiamo buoneragioni per cominciare a considerare seriamen-te il problema. Le proiezioni del CMCC indica-no che l’effetto dell’aumento dei gas a effettoserra potrà esprimersi in una diminuzione delleprecipitazioni invernali sul Mediterraneo del20-25% e in un aumento sostanziale delle tempe-rature estive, rendendo estati come quella del2003 più probabili. La combinazione di scarseprecipitazioni e alte temperature renderà piùpressanti i problemi di desertificazione, special-mente per il sud della penisola e le isole. Studipreliminari indicano che per la Sardegna il climaprevalente alla fine del secolo potrà ridurre lasuperficie destinata a colture foraggere al 30%della superficie coltivabile. L’anidride carbonica in atmosfera continua adaumentare. Più aspettiamo più le correzioni do-vranno essere massicce e costose. È ormai tempodi cominciare a prendere misure efficaci da unlato per cercare di mitigare i cambiamenti dimi-nuendo le emissioni, dall’altro predisponendomisure per adattarsi all’inevitabile cambiamentoclimatico nei prossimi anni. In questo percorsola comunità scientifica e il CMCC sono pronteper fornire al pubblico informazioni scientificheoneste, accurate, tempestive e attendibili suicambiamenti climatici.

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1.5 Sessione A – Prima parte: risorse idriche

1.5.1 Antonio Rusconi – Università IUAV, Venezia • Rapporteur

Stato delle conoscenzeNegli ultimi decenni, si è evidenziato in Italia uncrescente squilibrio tra la domanda idrica deivari settori (civile, agricolo, zootecnico, indu-striale, ricreativo, ecc.) e la disponibilità di ri-sorse idriche. Le pressioni che hanno portato auna tale situazione sono molteplici, ma possonoessere ricondotte in sintesi a sei fattori.

– Un evidente calo nella disponibilità di risorseidriche dovuto ai cambiamenti climatici in atto,che hanno già generato sul territorio italianouna diminuzione tangibile delle precipitazionimedie annue e un incremento della loro varia-bilità spazio-temporale, associati a un sostan-zioso aumento delle temperature medie – conconseguente incremento delle perdite per eva-potraspirazione – e una sensibile diminuzionedelle riserve nivo-glaciali dell’Arco alpino.

– Una perdita di disponibilità di acque di falda acausa del sovrasfruttamento degli acquiferi edel loro crescente inquinamento, che ne pre-giudica l’uso soprattutto nei settori civile, agri-colo e zootecnico, unitamente al crescente loroimpoverimento a causa del drenaggio prodot-to da molti alvei fluviali, eccessivamente ab-bassati e incisi per diffusi maldestri interventi

antropici (escavazioni di ghiaia, sbarramentimontani, opere trasversali, ecc.).

– Una crescente indisponibilità di riserve idri-che superficiali causata dal parziale interri-mento dei serbatoi esistenti, oltre che da unaloro diminuita possibilità di regolazione inconseguenza del loro recente utilizzo anchecon scopi antipiena.

– Una domanda idrica crescente legata allo svi-luppo socio-economico del Paese.

– La vetustà dei sistemi di adduzione e distribu-zione (reti di acquedotto) per uso civile e irri-guo, che portano a perdite di rete dell’ordinedel 30-50% delle portate immesse.

– Metodi di irrigazione (quali la sommersione ol’uso di sprinklers) non più compatibili con leridotte disponibilità di risorsa per le loro alteidroesigenze.

Come si può notare, il primo fattore non è diret-tamente controllabile, se non con azioni a lungoperiodo e a scala globale, mentre gli altri sonopiù direttamente controllabili a scala nazionalee possono costituire la base per le azioni diadattamento ai cambiamenti climatici in atto.Conseguenze della mancata disponibilità di ri-sorsa sono situazioni di criticità, come peresempio le drastiche riduzioni dei deflussi su-perficiali della maggior parte dei corsi d’acqua(Po, Arno, Piave, ecc.) degli ultimi anni. Inoltre,l’attuale modello di sviluppo e la disordinatagestione del territorio portano anche a situazio-ni di dissesto idrogeologico (alluvioni e frane),la cui frequenza e intensità tendono ad aumen-tare a seguito dei cambiamenti climatici in atto.È evidente come le azioni necessarie a dare unarisposta di adattamento ai cambiamenti climati-ci debbano, tuttavia, essere precedute da un’at-tività conoscitiva che permetta di creare sia gliscenari futuri di disponibilità di risorsa, siaquelli di sviluppo desiderato, sia un quadro diriferimento delle azioni da svolgere e della lorotempistica, al fine di valutarne l’efficacia e lasostenibilità.

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La necessità di adattamento ai cambiamenti cli-matici deve indurci a ripensare l’attuale disordi-nato modello di sviluppo economico, che vedenella risorsa idrica una risorsa da sfruttare e dareperire in quantità sempre maggiori, verso unconcetto più sostenibile in cui l’acqua è ormaiun fattore limitante di uno sviluppo equilibrato,anche rispettoso dell’ambiente e delle genera-zioni future. A livello comunitario, con la direttiva Quadro2000/60/CE, è stato fissato l’obiettivo di impe-dire l’ulteriore deterioramento della qualità del-le acque, proteggere e migliorare lo stato deicorpi idrici – intesi come ecosistemi acquatici eterrestri – e delle zone umide da essi dipenden-ti, nonché delle acque costiere, sotterranee e ditransizione. A tal fine, sono stati posti in essere gliindispensabili prerequisiti per realizzare strategiedi adattamento ai cambiamenti climatici per ilmedio-lungo periodo. È stato introdotto un si-gnificativo cambiamento nelle modalità di ge-stione dell’acqua, prevedendo un sistema inte-grato in cui vengano prese in considerazionetutte le variabili (sia qualitative che quantitative)che influiscono sui corpi idrici, parimenti alleesigenze degli ecosistemi terrestri e delle zoneumide che da essi dipendono. Quindi, sebbenei cambiamenti climatici non siano esplicitamentecitati nel testo, con la norma comunitaria sonostati previsti quei “meccanismi” che permettono diprenderne in considerazione gli effetti. Effettiche, nella maggior parte dei casi, non potrannoche accrescere gli impatti che insistono a scaladi bacino derivati dalle pressioni di origine antro-pica conseguenti ai diversi utilizzi dell’acqua(industriale, agricolo, civile) e allo sfruttamentodel suolo.Con lo European Climate Change Programme(ECCP II) è stato riconosciuto alla direttiva2000/60/CE un ruolo importante all’internodella messa a punto di efficaci strategie adatta-tive da parte degli stati membri dell’Unione Euro-pea ai quali è chiesto di:

– impegnarsi ad avere un quadro completo del-le pressioni ambientali includendo i cambia-menti climatici;

– dare applicazione all’approccio a scala dibacino non fermandosi ai confini amministra-tivi;

– fare propria la prospettiva di gestione di lun-go termine degli ecosistemi;

– monitorare gli impatti ambientali, sia conse-guenti ai cambiamenti climatici che di altraorigine;

– definire chiari target di qualità ambientale;– sviluppare e applicare piani di gestione che

prevedano misure coerenti con la definizionedei target;

– aggiornare periodicamente i piani di gestio-ne, tenendo conto dei dati e delle informazio-ni più recenti.

Il quadro normativo introdotto nel nostro Paeseincentra il complesso delle azioni finalizzate al-la tutela delle risorse idriche sul raggiungimentoe/o il mantenimento dell’equilibrio del bilancioidrico, definito come la comparazione, in unperiodo di tempo considerato e in fissato baci-no, fra le risorse idriche disponibili superficiali esotterranee e i fabbisogni per i diversi usi. Lacrescente conflittualità sugli usi, che da alcunianni si fa sempre più accesa anche nei distrettiidrografici a elevata piovosità, dipende com-plessivamente da un crescente aumento del defi-cit idrico, cioè dall’ampliamento dello sbilan-ciamento tra la disponibilità e il fabbisogno.Una buona parte delle cause va ricercata neglieccessivi, e spesso incontrollati, usi dell’acqua,oltre che nella vetustà degli impianti. Tali fattorinon devono, però, essere confusi con altre irri-nunciabili esigenze, ormai impellenti, che com-prendono sia la necessità della tutela e dellaconservazione degli ecosistemi acquatici fluvio-lacuali e sotterranei, sia l’urgenza del persegui-mento di un’accettabile mitigazione del rischioidrogeologico. I cambiamenti climatici in atto e quelli previsti

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concorrono sempre più ad aggravare lo sbilan-ciamento idrico, in quanto accentuano la ridu-zione delle disponibilità e l’aumento dei fabbi-sogni. È, perciò, impellente un nuovo progettocomplessivo di bilancio idrico nazionale, chedeve trovare sede nei previsti piani di bacino dinuova generazione, redatti dalle istituende Auto-rità distrettuali secondo le indicazioni normativecomunitarie, non ancora chiaramente definitecon i codici ambientali dell’Italia. Infatti, il de-creto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, con ilquale pure è stata recepita la relativa norma co-munitaria (in particolare, la direttiva 2000/60),dopo oltre due anni, non ha ancora trovatoconcreta attuazione. L’aggiornamento del bi-lancio idrico nazionale deve, in particolare,considerare le tendenze e i possibili scenari deiprossimi decenni conseguenti ai cambiamentidel clima, affinché possano essere avanzate lenecessarie proposte di adattamento a scala di-strettuale e nazionale. Il riferimento da cui partire è costituito dalla stimadel bilancio idrico formulata nel 1971 dallaConferenza Nazionale delle acque, secondocui, nel nostro Paese, le disponibilità idrichemedie annue ammontavano a circa 50 miliardidi metri cubi, dei quali 12 miliardi riguardavanole risorse sotterranee e 40 si rendevano disponi-

bili, grazie alla regolazione di circa 8,4 miliar-di di metri cubi invasati negli oltre 500 grandiserbatoi esistenti. Di tale disponibilità, circa il60% (32 miliardi) era riservato agli usi agricoli,il 15% (8 miliardi) era destinato agli usi civili ela rimanente parte, 13 miliardi di metri cubi,pari a un quarto del totale disponibile, agli usiindustriali (tabella 1.1).La ripartizione delle risorse a livello geograficoevidenzia un’accentuata differenza – sia nelladisponibilità, sia nello sfruttamento – tra Nord,Sud e Centro, ma in ogni caso Eurostat (2001)pone l’Italia tra i paesi UE più ricchi in termini dirisorsa rinnovabile teoricamente disponibile. Èanche questa percezione di grande disponibilitàdi acqua ad aver favorito, oltre allo sviluppo so-cio-economico, un incontrollato aumento deiconsumi negli utilizzi irrigui, civili e industriali. Se all’aumento di idroesigenze si assommano leriduzioni nella disponibilità, dopo oltre 30 annidalle valutazioni della Conferenza Nazionaledelle acque, è indispensabile chiedersi se sipuò, ancora, parlare di un bilancio idrico me-dio del Paese, ovvero quantificare il deficit idricopalesato ormai per più mesi all’anno in diversibacini idrografici, con prospettive sempre piùgravi per i prossimi decenni con diversi scenari dicambiamenti climatici.

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Tabella 1.1 – Il bilancio idrico medio annuo dell’Italia, secondo le stime della Conferenza Na-zionale delle acque del 1971.

RISORSE IDRICHE Quantità risorse idriche (miliardi m3/anno) FABBISOGNI IDRICI Quantità fabbisogni idrici

(miliardi m3/anno)

Precipitazioni 296 Usi civili 8

Risorse naturali 155 Usi agricoli 32

Risorse sup.li potenziali 110 Usi industriali 13

Risorse sup.li utilizzabili 40

Risorse sotterranee 12

Disponibilità totale 52 Fabbisogno totale 53

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CriticitàLe carenze conoscitive in campo idrologico co-stituiscono uno degli aspetti più rilevanti delladifficoltà di aggiornare il quadro sopraesposto.Infatti, le funzioni del Servizio Idrografico Na-zionale sono oggi svolte in modo avanzato ecompleto solamente da alcune regioni, non con-sentendo sistematiche valutazioni complessivealle scale dei bacini idrografici sovraregionali edel Paese intero. Le conseguenze più evidenti so-no il mancato aggiornamento di alcune impor-tantissime pubblicazioni del Servizio, le unicheche consentirebbero un raffronto delle avvenutetrasformazioni idrologiche e delle tendenze inatto. Il riferimento non va solamente agli “Anna-li Idrologici”, che da diversi anni non sono piùpubblicati né da parte dell’APAT, né da partedelle Autorità di bacino, ma anche ad altre pub-blicazioni di carattere generale, quali: la “Cartadelle linee dei massimi periodi con precipitazionenulla”, ferma al 1960; la “Carta della precipita-zione media annua in Italia”, ferma al 1950; lapubblicazione n. 17 del citato Servizio Idrografi-co Nazionale “Dati caratteristici dei corsi d’ac-qua italiani”, pubblicata l’ultima volta nel 1970,che riporta, per centinaia di sezioni fluviali, l’af-flusso meteorico, il deflusso, la perdita apparen-te, il coefficiente di deflusso, le durate delle varieportate, ecc. per ogni anno.Un aggiornato quadro conoscitivo deve con-sentire sistematicamente di confrontare e attualiz-zare l’imponente mole di serie di dati storiciraccolti a partire dagli inizi del Ventesimo seco-lo, analizzare e prevedere la variabilità idrologi-ca, nei dettagli più importanti, confermando ladiminuzione e l’estremizzazione delle precipi-tazioni, l’aumento dell’evaporazione, il ritirodei ghiacciai e, complessivamente, le ragioniidrologiche della diminuzione dei deflussi su-perficiali. Ciò permetterebbe di aggiornare lestime delle risorse naturali (teoricamente disponi-bili), di quelle potenziali (realmente disponibili) edi quelle utilizzabili, consentendo di quantifi-

carne le riduzioni e le tendenze future. Per fareciò, l’analisi dei dati idro-meteorologici e leprevisioni in termini di scenari evolutivi dovran-no essere completati dall’adozione di una siste-matica modellazione idrologica di dettaglio,che consenta di evidenziare in ogni distrettoidrografico, le varie disponibilità idriche suddivi-se nelle diverse componenti del ciclo idrologico:acque di superficie, infiltrazione nel suolo, volu-mi disponibili e deflussi di falda, ecc.Deve, infine, essere aggiornata la conoscenzadella capacità utile dei serbatoi. La drastica ri-duzione della capacità di invaso, a causa del-l’interrimento dei serbatoi, ha comportato unasensibile diminuzione dei volumi di regolazio-ne, oltre ai volumi non utilizzabili perché destina-ti alla conservazione degli ecosistemi acquatici(deflusso minimo vitale e mantenimento dei li-velli minimi nei serbatoi), e a quelli che sonoperduti per lo svuotamento stagionale – dispo-sto in questi ultimi anni da alcune Autorità dibacino – dei serbatoi stessi a scopo antipiena.È, pertanto, da ritenere che le risorse oggi effet-tivamente utilizzabili siano certamente inferioria quei 40 miliardi di metri cubi annui, a suotempo calcolati.Di particolare importanza risulta la conoscenzadel decadimento quali-quantitativo delle risorseidriche sotterranee. Negli ultimi decenni, anche inconseguenza di un troppo lungo e sofferto tra-sferimento di competenze dallo Stato alle Re-gioni, è avvenuto un incontrollato sovrasfrutta-mento delle falde acquifere, contestualmente aun peggioramento dello stato qualitativo. Inpianura, molti alvei fluviali sono diventati dre-nanti delle acque di falda a causa della loro in-cisione per le eccessive escavazioni di ghiaiaoperate in passato mentre, nei tratti terminali, lasubsidenza (naturale e antropica) e l’eustatismomarino hanno favorito la diffusione della sali-nizzazione delle falde, già sensibilmente de-presse per i ricordati eccessivi prelievi.Contestualmente alla riduzione quali-quantitati-

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va delle risorse idriche, deve essere evidenziatala netta crescita dei fabbisogni, anche se è pra-ticamente impossibile, al momento, quantificarla.È da ritenere che il fabbisogno di 53 miliardi dimetri cubi annui del 1971 sia considerevolmen-te aumentato, a cominciare dall’uso civile-pota-bile, a causa di noti fattori quali le perdite dellecondotte e il maggiore consumo domestico. An-che nel settore agricolo, vanno analizzate leconcessioni idriche rilasciate in passato senzauna verifica di compatibilità con il bilancio idri-co, i prelievi non autorizzati, le sub-concessioniidroelettriche lungo le reti irrigue che prelevanol’acqua anche durante le stagioni non irrigue, lemaggiori idroesigenze per una mancata piani-ficazione delle produzioni agricole, ecc. Deve,infine, essere mutato radicalmente il metodo dicalcolo del bilancio idrico nazionale, alla lucedella nuova normativa sul rilascio del deflussominimo vitale, definito con il decreto del Mini-stero dell’ambiente 28 luglio 2004 secondo cui lacomparazione fra le risorse e i fabbisogni idriciper i diversi usi deve essere fatta “… al nettodelle risorse necessarie alla conservazione de-gli ecosistemi acquatici …”.

AzioniL’analisi degli impatti dei cambiamenti del climasul bilancio idrico complessivo del nostro Paeseindica un aggravamento del deficit nei prossimianni e il peggioramento nei conflitti sugli usiidrici. La riduzione delle disponibilità è sostan-ziale, e si manifesta gravissima anche in queidistretti idrografici tradizionalmente abbondan-ti di risorsa che, inoltre, devono ora poter con-tare su volumi al netto delle risorse necessariealla conservazione degli ecosistemi acquatici eche, quindi, devono rivedere gli schemi di utiliz-zazione pensati e attuati parecchi decenni fa, incondizioni idro-socio-ambientali del tutto diver-se. Nell’ambito delle diverse azioni possibili perperseguire il bilancio idrico nazionale e peradattarlo ai futuri scenari climatici, possono esse-

re individuate le seguenti 13 classi di interventi,di tipo non strutturale e di tipo strutturale (tabel-la 1.2).Le azioni non strutturali comprendono quelle diseguito riportate.I – La definizione dell’assetto istituzionale. Sitratta dell’indispensabile strumento, di caratteregenerale, necessario per affrontare il governodelle risorse idriche nei prossimi anni. Giova ri-cordare, a tale proposito, che da molti mesi ilcomplessivo impianto legislativo riguardante ladifesa del suolo e la tutela delle acque (decreto le-gislativo 152/06) è entrato in una fase di per-durante stallo, in attesa di definizione. Le Autori-tà di bacino sono in una situazione di vera epropria paralisi operativa, mentre le nuove Au-torità distrettuali non sono ancora state avviate. II – La riorganizzazione dell’attività conoscitiva.Senza le conoscenze e i confronti con le serie didati di osservazione idrometeorologici del passa-to, non è possibile quantificare e qualificare latendenze dei vari aspetti legati alle risorse idri-che, né tanto meno pianificare la mitigazione el’adattamento. È, quindi, necessario recuperaree integrare in una banca dati informatizzatatutti i dati cartacei raccolti dai vari Uffici Idro-grafici sparsi sul territorio nazionale, dati checostituiscono un patrimonio unico in campomondiale per l’abbondanza, il livello di detta-glio e la sistematicità. È oltremodo urgente, daun lato, sostenere e integrare l’attività delle re-gioni potenziando le reti di monitoraggio idro-logico e qualitativo delle acque, dall’altro pro-cedere a un’unificazione a livello centrale del-l’elaborazione dei dati forniti dalle regioni e se-condo gli indirizzi e le direttive dell’Organizza-zione Meteorologica Mondiale. La conoscenza,l’analisi e la previsione della “variabilità idrolo-gica”, cioè della distribuzione spazio-temporaledelle quantità di acqua presenti nelle diversecomponenti del ciclo idrologico, deve costituirel’obiettivo conoscitivo di base, ottenibile me-diante la calibrazione di modelli di simulazione

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idrologica e idrogeologica estesa tutto il territo-rio italiano, in grado di coprire anche i baciniprivi di sufficienti misure. Tali modelli potranno consentire di valutare lereali disponibilità di risorsa per i vari usi, afronte di mutati scenari evolutivi del clima.III – La redazione dei piani di gestione dei distret-ti idrografici. Si tratta dell’azione direttamenteconseguente alle precedenti, e riguarda sia lapianificazione della tutela quali-quantitativa delleacque, sia la redazione dei piani per l’assetto

idrogeologico. È evidente la fondamentale im-portanza di tale azione, perseguita sia prose-guendo e aggiornando le attività delle “vecchie”Autorità di bacino, alla scala del distretto idro-grafico, sia recependo organicamente le specifichedirettive comunitarie sulla tutela delle acque e sul-la difesa dalle alluvioni. I nuovi piani di distrettodovranno simulare diversi scenari di condizioniclimatiche e dovranno introdurre il fattore “incer-tezza” nei metodi di governo delle acque deiprossimi decenni. Per definire un piano naziona-

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Tabella 1.2 – Le linee principali dell’adattamento, cioè le ipotesi di azioni da intraprendere abreve, medio e lungo termine, finalizzate all’aggiornamento del bilancio idrico nazionale

OBIETTIVOtutela risorse idriche e recupero ecosistemi

acquatici

OBIETTIVOaumento delle

disponibilità idriche utilizzabili

OBIETTIVOriduzione dei

fabbisogni idrici e risparmio idrico

Azioni non strutturali

I - Definizione assetto istituzionale =============== =============== ===============

II - Riorganizzazione attivitàconoscitiva =============== =============== ===============

III - Piani di gestione dei Distrettiidrografici =============== =============== ===============

IV - Formazione aggiornato catastoconcessioni ===============

V - Riorganizzazione polizia idraulica =============== ===============

VI - Revisione concessioni =============== ===============

VII - Introduzione deflusso minimovitale ===============

VIII - Mantenimento livelli minimiserbatoi ===============

Azioni strutturali

IX - Sghiaiamento e sfangamentoserbatoi ===============

X - Nuovi serbatoi e utilizzo cavedismesse ===============

XI - Ammodernamento reti adduzioneirrigue ===============

XII - Ricarica falde acquifere =============== ===============

XIII - Interventi protezione erisanamento corpi idrici =============== ===============

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le delle risorse idriche, sarà necessario prelimi-narmente poter disporre dei piani di gestione di-strettuali, organicamente messi insieme in uncomplesso quadro nazionale.

Le ulteriori azioni di tipo non strutturale, finaliz-zate soprattutto al risparmio idrico e alla ridu-zione dei fabbisogni, dovranno portare a un re-cupero delle portate fluviali, sia lungo i trattimediani, sia verso le foci, contribuendo alla ri-duzione della risalita del cuneo salino, scorag-giando il ricorso a inopportune opere mobilianti-intrusione. Comprendono quelle di seguitoriportate.

IV – La formazione di un aggiornato catastodelle concessioni e delle utenze idriche. Si trattadi un’iniziativa importantissima, che deve esseresviluppata, non solo, sulla scorta delle fonda-mentali informazioni in possesso delle Autoritàdi bacino e delle Regioni ma, soprattutto, in ba-se a verifiche e controlli direttamente effettuatiin situ, sul territorio, con particolare riguardo aiprelievi da pozzi “a uso domestico”, ancorchédotati di contatori sigillati dalla pubblica ammi-nistrazione. V – La riorganizzazione della polizia idraulica.Il rafforzamento della vigilanza per contrastare iprelievi non autorizzati deve, ovviamente, coin-volgere la diretta competenza delle regioni, conl’eventuale supporto dello Stato mediante, so-

prattutto, il Corpo Forestale nazionale. Deve es-sere riconosciuto, a tale riguardo, che l’accerta-mento territoriale delle violazioni delle normeconcernenti le utilizzazioni idriche, l’utilizzodelle aree di pertinenza fluviale e, più in genera-le, la tutela delle acque e delle opere idrauliche,rappresenta un aspetto andato via via svilendo-si, contrariamente a quanto richiesto dalle im-pellenti necessità e previsto con diverse normerimaste, purtroppo, inattuate. VI – La revisione delle concessioni idriche. I di-sciplinari delle derivazioni, con i quali si miraalla riduzione dei consumi non necessari e chedevono comprendere anche le misure di emer-genza nei casi di crisi idrica, devono essere op-portunamente aggiornati sulla base di realisticibilanci idrici redatti dalle Autorità di distrettosecondo le linee guida emanate, a suo tempo,dal Ministero dell’ambiente (decreto ministeriale28 luglio 2004). Una particolare attenzione de-ve essere rivolta alle concessioni riguardanti laproduzione idroelettrica da prese ubicate nellereti irrigue, il cui esercizio deve essere autoriz-zato solamente durante la stagione irrigua enon durante tutti i mesi dell’anno, come inveceaccade diffusamente. In ogni caso, si dovrà ri-correre alla regolazione giornaliera e orariadelle derivazioni secondo una centralizzazionedelle informazioni idrologiche in tempo reale,eventualmente integrando le recenti reti di mo-nitoraggio idrologico installate in questi anniper i compiti di allertamento delle piene.

Di particolare importanza devono essere leazioni non strutturali finalizzate alla tutela degliecosistemi idrici e paesaggistici, tra cui quelle diparticolare importanza sono di seguito riportate.VII – L’introduzione del deflusso minimo vitale(DMV). Tale provvedimento deve essere genera-lizzato e deve diventare definitivo laddove siastato introdotto, negli anni passati, a titolo speri-mentale. A tale riguardo, è necessario riaffer-mare che al DMV la legge assegna la tutela del-

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la biocenosi acquatica, escludendo quindi lapossibilità che esso possa assumere funzione si-stematica e ordinaria di diluizione delle acquenon disinquinate.VIII – Il mantenimento dei livelli minimi di rispet-to degli invasi dei serbatoi. Le esigenze paesag-gistico-ambientali ed economico-turistiche sonoprioritarie e irrinunciabili per le Comunità mon-tane, unitamente alla tutela degli aspetti igieni-co-sanitari e, quindi, durante le fasi di massimosfruttamento delle riserve idriche, andrà comun-que previsto che non si possa scendere al di sot-to di un livello minimo dei serbatoi opportuna-mente stabilito caso per caso.

Anche l’insieme delle azioni strutturali deve tende-re, da un lato, ad aumentare le disponibilità idri-che, dall’altro a diminuire i fabbisogni, unita-mente agli obiettivi di tutela degli ecosistemi ac-quatici e di qualità ambientale. Tra gli interventicertamente preliminari, deve essere ricordata lamanutenzione degli esistenti sistemi idraulici, sianaturali che artificiali, e l’aumento della capacitàdi accumulo dei sistemi idrici dei bacini e dei di-stretti idrografici. In particolare, devono essereaffrontati gli interventi di seguito riportati.IX – Lo sghiaimento e lo sfangamento dei serba-toi. Da alcuni anni questo problema è stato af-frontato dal legislatore e, nel 2004, con il citatodecreto del Ministero dell’ambiente 28 luglio2004, sono stati fissati i criteri di compilazionedei progetti di gestione degli invasi ma, a tut-t’oggi, la pratica attuazione di quanto ivi contenu-to, tutt’altro che semplice, deve ancora iniziare.Deve, altresì, essere avviato l’adeguamento deiserbatoi all’uso antipiena mediante la modificadei loro scarichi e la stabilizzazione dei pendii,così come previsto con alcuni piani di bacino re-datti negli anni scorsi. Tale ulteriore iniziativaconsentirà una superiore flessibilità nella capa-cità di regolazione, con sensibile maggiore dis-ponibilità da destinare agli usi diversi.X – La realizzazione di nuovi invasi “a uso pluri-

mo”. In alcuni casi, ormai, questi sono indispen-sabili per trasferire nel tempo i volumi idrici ecce-denti affluiti al sistema idrografico durante lefasi di abbondanti precipitazioni, anche in gra-do quindi di laminare le piene, da realizzaresia in montagna sia in pianura mediante l’utiliz-zo di alcune delle molte cave dismesse, presentinell’alta pianura. Nei casi più importanti, que-ste azioni, pur essendo state da tempo inseritenei piani di bacino adottati dalle Autorità di ba-cino, necessitano oggi di aggiornate e parteci-pate valutazioni e verifiche strategico-ambien-tali. XI – L’ammodernamento delle reti di adduzioneirrigue. La finalità non è solo quella della ridu-zione delle perdite, ma anche la riconversioneirrigua da scorrimento a pioggia, con sensibile ri-sparmio di portate e volumi distribuiti. Tali azio-ni, inserite nei piani di tutela delle acque predi-sposti dalle regioni, necessitano non solo di de-cisivi finanziamenti, ma anche dell’introduzionedi strumenti di rapida attuazione.XII – La ricarica delle falde. Si tratta di impor-tanti interventi strutturali che possono inciderein modo determinante sul risparmio e sul recu-pero quali-quantitativo delle risorse idriche, cuiva aggiunta una realistica verifica delle coltureeccessivamente idroesigenti per i futuri scenariclimatici.XIII – L’attuazione degli interventi di protezionee risanamento dei corpi idrici. A tutt’oggi, sola-mente alcune regioni hanno definito i piani ditutela delle acque che, comunque, devono esse-re integrati con gli aggiornamenti introdotti conla recente normativa nazionale (decreto legisla-tivo 152/06). Il perseguimento degli obiettivi diqualità ambientale delle acque deve, ovviamen-te, assumere una particolare priorità nell’ambitodell’adattamento alle tendenze climatiche in attoe a quelle previste. Le azioni strutturali, in parti-colare, devono urgentemente riguardare la rea-lizzazione degli interventi per l’adeguamentodelle reti fognarie, la depurazione e l’adegua-

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mento degli impianti, il riutilizzo delle acque re-flue, lo stoccaggio delle acque di prima piog-gia, ecc.

Le ricordate diverse ipotesi di azione, finalizza-te al raggiungimento e/o mantenimento del bi-lancio idrico in ogni distretto idrografico delPaese, dovranno quindi costituire il corpo cen-trale dei Piani di gestione dei distretti idrografici,coerentemente con la vigente normativa comu-nitaria e nazionale. In tale processo, costituiràelemento guida la valutazione della reale effi-cacia delle diverse ipotesi di azione per l’adatta-mento ai cambiamenti climatici e la loro caden-za temporale. Tale valutazione potrà essere af-frontata utilizzando il modello DPSIR (Drivers-Pressures-State-Impact-Response) – come sug-gerito dall’Agenzia europea dell’ambiente ecome ormai di pratica corrente – con il quale,attraverso simulazioni basate su scenari presen-ti e futuri e l’uso di indicatori di tipo economico,socio-economico e ambientale, saranno possi-bili il confronto e la valutazione delle diverseipotesi di strategie di adattamento ai cambia-menti climatici e l’allocazione delle risorse idricheai vari settori di utilizzo, nel rispetto delle priori-tà e delle scelte politiche.

1.6 Sessione A - Seconda Parte: Agricoltura

1.6.1 Guido Bonati – Istituto Nazionale di Eco-nomia Agraria, Roma • Rapporteur

Stato delle conoscenzeLe previsioni relative al clima futuro suscitanogiustificate preoccupazioni per le gravi conse-guenze che potrebbero interessare l’attivitàagricola, soprattutto nelle aree ecologicamentepiù compromesse. L’agricoltura italiana, in par-ticolare, essendo anche particolarmente orien-

tata verso produzioni tipiche e di alta qualità in-scindibilmente legate al territorio di origine, ri-vela un ulteriore grado di vulnerabilità al cam-biamento e ai correlati processi di land degra-dation. A un primo esame, gli impatti sono differenziatiper le produzioni vegetali e animali, e possonoderivare sia da un aumento delle temperature(invernali e estive), che da variazioni consistentirispetto ai dati climatici di base (eventi estremi,gelate tardive, siccità, ecc.). Al di là degli aspet-ti meramente biologici e fisiologici, si ha un im-patto complessivo sull’agricoltura come settoreeconomico, tenendo conto di tutta la filiera (in-dustria dei mezzi di produzione, industriaagro-alimentare, ecc.). Il potenziale impatto delcambiamento climatico sull’agricoltura ha unaimportante risonanza economica, che va a inci-dere sul settore agricoloalimentare, che, nel suocomplesso, rappresenta secondo le stime dispo-nibili più recenti, riferite all’anno 2006, il15,5% del PIL, pari a circa 229 miliardi di euro.I possibili effetti delle variazioni climatiche sul-l’agricoltura possono essere ricondotti ai se-guenti fattori:– aumento della concentrazione della CO2 at-

mosferica, che si traduce potenzialmente inun aumento delle rese e in una maggiore resi-stenza delle colture alla siccità;

– variazioni della temperatura, delle precipita-zioni e dell’insolazione, con comparsa dieventi estremi (gelate tardive, siccità, grandi-nate, ecc.);

– aumento del livello dei mari e più profondaintrusione del cuneo salino anche per la possi-bile riduzione delle portate fluviali;

– aumento dell’apporto delle precipitazioni in-tense sul totale delle precipitazioni annuali so-prattutto nel periodo invernale;

– aumento delle sequenze di giorni consecutivisenza pioggia.

Una conseguenza immediata dell’aumento delletemperature – per certi aspetti non del tutto nega-

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tiva – è quella di rendere disponibile una mag-giore quantità di energia a favore dei processidi crescita e sviluppo delle colture agrarie. La fi-siologia vegetale, infatti, risulta positivamentecorrelata, ovviamente entro gli specifici limiti fisio-logici di ciascuna specie e varietà, proprio con ivalori della temperatura ambientale. È opportuno sottolineare, tuttavia, come un ci-clo produttivo più breve dovuto a un andamentotermico stagionale più caldo della norma, pos-sa risultare negativo per la produttività agrico-la. In diversi casi, infatti, la contrazione dei pro-cessi di crescita e di sviluppo può compromette-re la quantità e la qualità della produzione fina-le. Ciò accade, per esempio, nelle fasi di antesio di riempimento delle cariossidi del frumentotenero, quando l’occorrenza di temperatureelevate determina, rispettivamente, una irrego-lare formazione dei granuli pollinici (sterilità) euno scarso accumulo di sostanza secca nellecariossidi (minore peso ettolitrico, percentualedi proteine e scadente qualità commerciale del-le cariossidi). L’accelerazione dei cicli colturali,inoltre, può comportare anche la concentrazionedelle raccolte in periodi più ristretti rendendomeno graduale l’approvvigionamento dei mer-cati e più complesso e costoso lo stoccaggio deiprodotti. Le analisi climatiche condotte sulle temperatureregistrate su tutto il territorio italiano hannomesso in evidenza anche una minore frequenzadi basse temperature (< 0 °C), soprattutto nelleregioni del Nord dove, nel corso di cinquan-t’anni, il numero medio annuale di tali occor-renze si è quasi dimezzato. Riguardo a que-st’ultimo aspetto, va però rimarcato che gli an-damenti termici più favorevoli, inducendo unapiù precoce ripresa vegetativa o incoraggiandol’anticipo delle semine, espone maggiormenteal rischio di inattesi ritorni di freddo (gelate tar-dive primaverili e gelate precoci autunnali).Inoltre la mancanza di gelo, può aumentare i ri-schi di attacchi parassitari (crittogame, insetti,

acari, ecc.) in quanto le cariche infettive nonvengono abbattute in modo significativo. Varia-zioni nel quadro termico e pluviometrico modifi-cano inoltre la fenologia delle infestanti e inparticolare l’epoca di germinazione e di emer-genza; ciò ha ripercussioni sull’efficacia deitrattamenti, il che impone studi sulla messa apunto di nuove metodologie di difesa.Tutto ciò considerato impone all’agricoltura digiocare un ruolo attivo di adattamento al cam-biamento climatico e di mitigazione dei suoi ri-flessi negativi sull’ambiente (assorbimento dellaCO2), sul territorio (mantenimento del paesag-gio), nel settore della produzione di energie alter-native (energia da biomasse). Ogni azione diadattamento dovrà, ovviamente, ricercare stra-tegie sostenibili a breve e lungo termine che mi-rino a un uso intelligente delle risorse naturalidisponibili e a una pianificazione adeguata de-gli interventi.

CriticitàSono state individuate le seguenti criticità e caren-ze conoscitive.– Esigenza di contestualizzare gli scenari IPCC

alla realtà italiana, con individuazione degliscenari a scala locale, anche tenendo contodelle differenziazioni climatiche presenti all’interno del nostro territorio.

– Analisi delle connessioni fra gli aspetti stretta-mente biologici e le ricadute sulla strutturadelle aziende agricole e sulla filiera agro-ali-mentare.

– Carenza di modelli interpretativi dei rapportifra cambiamenti climatici, pressione antropi-ca e desertificazione. Le analisi si sono infattifocalizzate sino a oggi sulla individuazionedelle aree sensibili alla desertificazione, manon sulla possibile evoluzione del fenomenoin presenza di cambiamento climatico.

– Miglioramento delle conoscenze in campobiologico, in particolare sugli eventi estremi,tenendo conto del fatto che lo studio della ri-

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sposta agli eventi climatici estremi, in corri-spondenza delle fasi di sviluppo vegetativoparticolarmente sensibili (intensità delle preci-pitazioni e semina/raccolta, gelate e ripresavegetativa, alte temperature e fioritura/ matura-zione, ecc.) non è stato invece affrontato, consufficiente attenzione e precisione, sia in termi-ni sperimentali che di sviluppo di strumenti revi-sionali, quali modelli di simulazione.

– Valutazione degli impatti sulle produzioni ani-mali, oltre che su quelle vegetali: l’aumentodelle temperature potrebbe mettere a rischiola tradizionale azienda agricola lombarda oemiliana, basata su uno stretto rapporto fracolture erbacee e allevamenti zootecnici (bo-vini e suini). In questo caso i problemi deriva-no agli allevamenti da temperature eccessive(gli animali soffrono il caldo, che provoca unarepentina caduta della produzione di latte,accompagnata da aumenti nello stress e nellamorbilità).

– Condivisione di sistemi di monitoraggio e diallerta precoce: a livello nazionale e locale sihanno numerosi strumenti di analisi agro-me-teorologica o di individuazione di situazionidi crisi legate alla siccità. Si ha però scarsacondivisione di strumenti e metodologie fra leamministrazioni interessate, non esclusiva-mente di interesse agricolo.

– Individuazione delle opportunità offerte dalriscaldamento globale, in particolare nelle re-gioni settentrionali, a causa dello spostamentodelle colture orticole e frutticole dalle regionisettentrionali.

– Difficoltà a comprendere l’impatto reale deicambiamenti climatici, soprattutto da partedegli agricoltori. Benché i segnali di una modi-fica del clima siano frequenti e costanti nelcorso degli ultimi anni, non vi è ancora suffi-ciente consapevolezza del fatto che questipossano essere strutturali e non episodici.

– Carenza di dotazioni finanziarie per la ricerca,la sperimentazione e lo sviluppo tecnologico.

Benché vi siano progetti di ricerca in corsosull’impatto dei cambiamenti climatici in agri-coltura, questi non rientrano nell’ambito diuno specifico programma nazionale e nonhanno carattere di continuità.

– Dipendenza dalle risorse idriche al Nord e alSud, anche se in modo differenziato. In Italia,infatti, la situazione è fortemente differenziatafra le regioni centro-settentrionali, in cui l’irriga-zione avviene prevalentemente con prelievodi acqua da fiumi e successiva distribuzionein canali consortili, e le regioni meridionali, incui si ha l’accumulo di consistenti volumi di ri-sorsa idrica in invasi durante la stagione in-vernale e la successiva adduzione e distribu-zione alle aziende agricole utilizzando sistemiin pressione. Paradossalmente, in una situa-zione di progressiva diminuzione degli ap-porti nivo-glaciali e di precipitazioni forte-mente variabili nei quantitativi globali da unanno all’altro, le regioni settentrionali, chemancano di grossi sistemi di accumulo, si tro-vano in una situazione di maggiore debolez-za rispetto a quelle meridionali.

Azioni In risposta alle pressioni derivanti dai cambia-menti climatici, è stata individuata una serie dipriorità operative.– Individuazione e sperimentazione di nuove

varietà e colture, in grado di rispondere inmodo adeguato all’aumento delle temperatu-re e al manifestarsi di eventi estremi.

– Predisposizione di un piano delle acque, ba-sato sull’accumulo di risorsa idrica, mediantela realizzazione di nuovi invasi e la costruzio-ne di sistemi di accumulo aziendali o intera-ziendali, allo scopo di sfruttare al meglio leprecipitazioni invernali.

– Sperimentazione di nuove tecniche agronomi-che.

– Ricerca genetica e sperimentazione in campoper sfruttare l’aumento di concentrazione in

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CO2 grazie a nuove cultivar.– Ricerca di carattere agronomico e economi-

co-agrario sull’impatto dei cambiamenti cli-matici per l’agricoltura, tenendo conto dellapossibilità per le aziende agricole di adattarsipositivamente alle pressioni indotte dal muta-mento del clima, anche con significative mo-difiche negli ordinamenti colturali.

– Attivazione del circuito ricerca di base - speri-mentazione - assistenza tecnica, per coinvol-gere gli agricoltori nella comprensione delleproblematiche relative ai cambiamenti clima-tici e dei possibili adattamenti.

– Avvio di un piano nazionale per il risparmioidrico a livello aziendale, sia utilizzando ap-posite tecniche di irrigazione localizzata, siautilizzando acque reflue depurate.

– Modifiche nel quadro istituzionale di gestionedelle risorse idriche, garantendo la semplifi-cazione dei processi decisionali e la condivi-sione degli strumenti operativi e la priorità,evitando la frammentazione attuale.

1.7 Sessione B – Prima Parte: Suolo e coste

1.7.1 Edi Valpreda – ENEA, Dipartimento Am-biente, cambiamenti globali e sviluppo sostenibile • Rapporteur

Stato delle conoscenzeCon la Sessione “Suolo e coste” è stata propo-sta la sintesi congiunta delle conoscenze su im-patti e opzioni di adattamento ai cambiamenticlimatici previsti negli scenari dell’IPCC relativa-mente a due fenomeni di rischio che sono statiinvece oggetto di distinti workshop organizzati,rispettivamente, a Palermo (27-28 giugno, sulrischio costiero) e Napoli (9-10 luglio, sul disse-sto idrogeologico) nella fase preparatoria dellaConferenza Nazionale sui Cambiamenti Clima-tici.La rilevanza di entrambi questi fenomeni per la

comunità e il territorio nazionale e la semprepiù stretta correlazione tra l’evoluzione e la ge-stione del territorio continentale (di bacino) e li-toraneo viene sostenuta sia dalle direttive euro-pee già in vigore (Direttiva sulle acque, 2001),sia in quelle in fase di sviluppo (“Libro Verdesulle Aree Marittime”, 2007), e hanno creato ipresupposti di questa scelta. Gli stessi principidi Gestione Integrata delle Zone Costiere(GIZC) per le aree costiere rinforzano l’impor-tanza di un approccio integrato tra territoriocontinentale e costiero oltre alla spinta a supe-rare le limitazioni di natura amministrativa nellepratiche di gestione e sviluppo.Il dissesto idrogeologico (frane e alluvioni), cosìcome l’erosione e l’allagamento delle aree co-stiere, sono problemi che già ora interessano,con una rilevanza enorme, tutto il territorio italia-no: a oggi risultano censite oltre 13.000 aree arischio “elevato” e “molto elevato” pari a 30chilometri quadrati e al 98% del territorio na-zionale; analogamente risultano circa 1.500 ichilometri di costa già in erosione su 4.000 chi-lometri complessivi di spiaggia esistenti (pari acirca il 40%). Negli ultimi 50 anni le vittime con-seguenti a fenomeni idraulici sono diminuite(31 vittime anno), aumentando però, con cre-scita esponenziale, i costi economici associati(APAT, 2006): ciò evidenzia una generale in-compatibilità tra le politiche di sviluppo socio-economico fino a oggi adottate e le dinamicheproprie dell’ambiente naturale. Questi problemi si acuiranno nei prossimi de-cenni per gli impatti, rilevanti, attesi sul cicloidrologico e fenomenologie connesse, in conse-guenza dei cambiamenti climatici in atto.Fenomeni di rischio idrogeologico. In relazione aquesti, l’aumento previsto dei fenomeni estremidi tipo meteorico e, al contempo, la diminuzionedei totali annui delle precipitazioni produrran-no variazioni nell’innesco e/o variazione deicaratteri attuali del dissesto idrogeologico. Ciòimplicherà una potenziale variazione delle zo-

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ne di massimo rischio, con l’estensione a settorioggi meno compromessi (per esempio, le zoneglaciali in cui si sta verificando la rapida scom-parsa del permafrost), una generale variazionedelle modalità di sollecitazione dei versanti e,quindi, l’esigenza di rivedere e aggiornare leconoscenze sui meccanismi di innesco dei di-versi fenomeni di dissesto e della classificazionestessa della pericolosità del territorio, sempremeno relazionata alle serie storiche di occor-renza dei fenomeni catastrofici. In questo conte-sto ha un ruolo di causa scatenante preponde-rante l’utilizzo antropico del territorio: lo svilup-po edilizio e urbano (spesso anche abusivo) el’abbandono, o l’inadeguatezza, delle praticheagricole come la stessa cementificazione deglialvei fluviali spesso paradossalmente attuatacome opera di mitigazione degli effetti dellepiene.

Zone costiere. Nelle zone costiere gli effetti delriscaldamento globale in atto accentueranno lavelocità evolutiva e le perdite di territorio, ren-dendo sempre più frequenti e diffusi fenomenidi erosione della costa e allagamenti, con con-seguenti perdite e danneggiamenti sino a inte-ressare, potenzialmente, negli scenari a fine se-colo, l’intera costa bassa italiana. L’enormepressione antropica già ora presente rende erenderà ogni adattamento ai cambiamentiestremamente complesso. Questo territorio, in-fatti, sarà esposto a sollecitazioni sempre mag-

giori, provenienti sia da mare che da terra (tem-peste, onde, storm surge e sollevamento del li-vello del mare), le quali aumenteranno la su-scettibilità dei litorali con danni e perdite dellerisorse, nuovi problemi di salute e variazioninell’economia e nel comportamento sociale. Lapercezione dell’ambiente costiero come territo-rio da “usare” come risorsa lo ha reso altamen-te vulnerabile, perché ne rende necessari la sta-bilizzazione o l’ampliamento. Già oggi oltre il50% della popolazione nazionale vive in pros-simità delle coste: tra il 1990 e il 2000, si è avu-to, in Italia, un aumento dell’urbanizzazioneentro il primo chilometro di oltre il 60%, ove siprevede un ulteriore aumento del 54% dellapressione antropica nelle simulazioni dell’AEAal 2025.

Criticità La mancanza di dati di base certi di riferimentoper l’intera collettività per quanto riguarda sia ilrischio idrogeologico sia il rischio costiero è ilpresupposto della mancanza, in Italia, di valu-tazioni omogenee sull’intero territorio nazionaledi impatto fisico e socioeconomico di questi fe-nomeni, rispetto a scenari di cambiamento cli-matico del futuro. Esiste la consapevolezza dirischio di incremento della pericolosità del terri-torio italiano in una situazione già oggi obiettiva-mente ritenuta critica, ma esiste un’altrettantoreale difficoltà di esprimere questa consapevo-lezza attraverso valutazioni economiche o, co-munque, quantitative. La conoscenza disponibi-le non risulta essere adeguata a sostenere questeesigenze: troppo concentrata sullo sviluppo distudi e metodologie diverse in siti sperimentali epoco mirata alle esigenze di una pianificazionea scala nazionale.Fa, comunque, parte della consapevolezza ci-tata la cognizione che, attualmente o in futuro,non potranno essere difese allo stesso modo tut-te le coste in erosione applicando il principio,oggi prevalente, di rendere stabile il limite ter-

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ra-mare con tecniche tradizionali (opere di di-fesa rigide) o con tecniche “morbide” (peresempio, i ripascimenti con sabbie o ghiaie).Allo stesso modo, lo sviluppo e l’attuazione disistemi di monitoraggio e di allerta e l’introdu-zione di incentivi per interrompere l’abbandonodella pratica agricola sui versanti sembrano es-sere, al momento, le risposte più adeguate perlimitare gli effetti del dissesto idrogeologico econtenere, al massimo, il rischio residuo e la ge-stione di questi problemi attraverso l’emergen-za. Tutto questo implica la capacità di sapermettere a punto una programmazione territo-riale, anche su base nazionale, che consenta dipoter valutare velocemente “dove fare cosa” edi poter scegliere quale opzione sia la migliorepossibile, prevedendo soluzioni (tecnologiche emetodologiche) localmente diversificate e inno-vative in quanto basate non sulle sole esperienzedel passato, in modo da poter essere adeguateanche alle incertezze che gli scenari di cambia-mento climatico propongono. Tra queste esi-genze di innovazione è stata indicata, tra l’al-tro, l’introduzione di nuovi criteri nella proget-tazione di opere e infrastrutture. Queste do-vranno essere inserite nel contesto ambientalecome elementi e al contempo soggetti di impatto,tenendo conto, nella loro progettazione, degliimpatti indiretti e delle sollecitazioni che derive-ranno dalle variazioni indotte dai cambiamenticlimatici (per esempio: con i tempi di ritorno, sucui è basato il loro dimensionamento, rivalutatiin base agli scenari di cambiamenti climatico).In generale, è stata evidenziata la necessità: diripensare agli interventi sul territorio secondologiche multifunzionali; di abbandonare strate-gie di intervento basate solo sulla difesa passi-va; di sostenere esperienze sempre più ampia-mente riguardanti la consapevolezza e la for-mazione quali elementi fondamentali per la ge-stione dei conflitti di uso e di sviluppo, conflittiche saranno sempre più forti in un territorio cosìantropizzato e così vulnerabile come quello ita-

liano rivela di essere.Oggi, in Italia, non siamo in condizione di dareattuazione a queste esigenze, per mancanza dicertificate e omogenee conoscenze a livello na-zionale degli impatti spaziali attesi e, forse, so-prattutto per l’inadeguatezza degli strumenti digoverno del territorio (in un contesto di tradizio-ne di abuso del medesimo). Inoltre, la difficoltà aintraprendere, in questo ambito, azioni strategi-che rilevanti (come, invece, avviene in altri pae-si europei) dipende, probabilmente, anche dallamancanza di una tradizione di sviluppo di poli-tiche integrate tra ambiente ed economia, oltreche da una storica difficoltà ad attuare forme dicondivisione partecipata nei processi gestionalidel territorio. Si tratta, quindi, di affrontare e ri-solvere al più presto questi limiti intervenendo:a) sulle politiche di uso e gestione del territorio

con:– l’adeguamento delle regole di progetta-

zione a un sistema in cambiamento che ri-chiede più flessibilità nei contenuti e nelleprocedure;

– lo sviluppo di criteri comuni per sostenereun approccio strategico nazionale nellescelte locali delle opzioni di adattamentomigliori possibili;

– la riconnessione funzionale tra sistemacontinentale (di bacino) e sistema costiero-marino (sedimenti, gestione flussi, pianifi-cazione sviluppo attività ecc), oggi non piùvigente, da ritrovare attraverso la pianifi-cazione e l’applicazione delle direttive eu-ropee di ambito, tutte per lo più disattese inItalia (Acque, Aree Marittime, GIZC);

b) sulla produzione di conoscenza adeguata aidentificare le opzioni di adattamento e valu-tare i costi e le conseguenze di tali opzioniattraverso il finanziamento di programmi na-zionali:– per comprendere la vulnerabilità del terri-

torio nazionale a fronte degli impatti dieventi climatici;

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– per monitorare l’evoluzione degli impattiattesi sul territorio italiano.

AzioniSe l’adattamento è una risposta fondamentalein riferimento al tema dei cambiamenti climati-ci, lo è ancora di più in riferimento ai fenomenidi rischio idrogeologico in ambito continentalee costiero. Le esigenze di convivenza tra rischioe utilizzo del territorio, in un paese a così altadensità abitativa, sono evidenti, e la politica diemergenza, che ha sinora dominato la rispostaistituzionale nel nostro Paese, si sta rilevandoinadeguata e certamente non percorribile comestrategia a lungo termine di buon governo, senon altro per la richiesta di finanziamenti desti-nata a crescere smisuratamente, finanziamentiche risultano non investiti ma persi.Pur nella consapevolezza che esiste, in Italia,un’esigenza non ancora soddisfatta di capirel’evoluzione del clima in futuro nel contesto spe-cifico italiano – che dovrà trovare spazio in spe-cifici programmi di ricerca, anche sovranazio-nali – risulta urgente e prioritario far fronte, conadeguati finanziamenti nazionali, alle esigenzeattuali e future di adattamento del Paese, conl’organizzazione e avvio di un “Piano naziona-le di adattamento per la difesa del suolo e dellecoste” di cui sono parte:a) una fase conoscitiva con:

– il finanziamento di un programma nazio-nale che abbia, come priorità, la produzio-ne della conoscenza spaziale e quantitati-va degli impatti (tematici ed economici),condivisa e certificata a scala nazionale, e ilmonitoraggio della loro evoluzione, in re-lazione con le variazioni delle condizionimeteoclimatiche possibili e con il coinvolgi-mento delle diverse componenti della ricer-ca scientifica nazionale, del sistema delleagenzie nazionali e locali e delle ammini-strazioni regionali e locali;

– la riattivazione, l’adeguamento e la ripro-

gettazione funzionale del sistema naziona-le di acquisizione, gestione e accesso aidati delle reti di monitoraggio meteoclimati-co;

b) una fase operativa con il finanziamento dellaprogettazione e attuazione di azioni di adat-tamento che prevedano interventi non struttu-rali e multifunzionali tra cui:– lo sviluppo di pratiche agricole adeguate al

contenimento dell’erosione dei versanti, – l’aumento della resilienza dei sistemi co-

stieri attraverso la ricostruzione di zone ditransizione e in particolare di dune costierefinalizzate al contenimento dell’erosione ecome barriera all’ingressione del cuneo sa-lino nelle falde costiere,

– la ri-pianificazione sostenibile di attività einfrastrutture in zona litorale da parte delleamministrazioni coinvolte e attuata nel-l’ambito di procedure di GIZC.

È stata, inoltre, sollecitata l’istituzione di unConsiglio Tecnico Permanente di cui faccianoparte rappresentanti di diverse istituzioni/Entidi ricerca/Ministeri interessati, anche in con-nessione con l’Osservatorio per il rischio idro-geologico costiero (già istituito presso APAT)per:– sostenere e concretizzare l’integrazione tra

ambiti di competenza istituzionale diversaproponendo e coordinando progetti mirati al-le esigenze di conoscenza per l’adattamentoe che prevedano la produzione e la reale con-divisione dei dati geografici di base e carto-grafici;

– certificare i metodi di analisi e rilievo dati eanalisi e tra questi, in primis, l’entità degli im-patti attesi ai cambiamenti climatici;

– definire regole minime comuni per la valuta-zione, gestione e riduzione del rischio idro-geologico e costiero e creare le condizioni diconsenso nel territorio a interventi di pianifi-cazione sostenibile;

– sostenere l’adeguamento della pianificazione

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territoriale e, nella normativa per la nuovaprogettazione, delle opere idrauliche e infra-strutturali, inserendovi l’esigenza di conside-rare gli effetti dei cambiamenti climatici oltreche favorendo il ricorso alle pratiche di manu-tenzione “programmate” come opportunità diadeguamento delle opere esistenti rispetto alvariare delle condizioni di contesto;

– avviare azioni specifiche di didattica ambien-tale, di formazione e informazione.

1.8 Sessione B – Seconda Parte: Biodiversità e foreste

1.8.1 Bruno Petriccione – Corpo Forestale delloStato, Ufficio CONECOFOR Roma• Rapporteur

Stato delle conoscenzeLe tendenze climatiche in atto e quelle previstedagli scenari di IPCC sposteranno verso nord, alatitudini più elevate, le condizioni climatiche eambientali tipiche dell’area mediterranea. Que-sto significa che tutti gli ecosistemi del Mediterra-neo tenderebbero a “migrare” verso l’Europacentro occidentale e settentrionale. La rapiditàdel cambiamento climatico in atto è però digran lunga maggiore della velocità di coloniz-zazione di nuovi spazi della quale sono capaci lespecie vegetali, soprattutto quelle dominantinelle foreste: è, quindi, da attendersi la progres-siva “disgregazione” di tutti gli ecosistemi, conle conseguenti modifiche anche del paesaggio econ profonde implicazioni soprattutto nei settoridell’agricoltura, del turismo e tempo libero e nelsettore residenziale.Gli studi e le ricerche sin qui realizzati indicanoche, se le emissioni di gas a effetto serra conti-nueranno all’attuale livello o a livelli superiori aquelli correnti durante il corso di questo secolo, laresistenza e la resilienza di molti ecosistemi (inpratica, la loro abilità ad adattarsi naturalmen-

te) sarà fortemente indebolita da una combina-zione senza precedenti di cambiamenti nel cli-ma, con numerosi disturbi a essi associati (peresempio: inondazioni, siccità, incendi, acidifi-cazione degli oceani, esplosioni di specie di in-setti particolarmente nocive e parassite, ecc.) edi altri elementi di cambiamento indotti dall’in-tervento umano (specialmente, modificazionidell’uso del suolo, inquinamento e sovrasfrutta-mento di risorse).I cambiamenti climatici comportano, quindi,una modificazione nello stato della biodiversità.In genere per gli organismi viventi si prospettano,come reazione, tre possibilità: spostamento del-l’area di distribuzione, meccanismi di adatta-mento, estinzione. Sono già stati raccolti diversidati su fenomeni di estinzione che hanno giàavuto luogo, fenomeni dovuti proprio agli effettidel cambiamento climatico.

Le ricerche sulla fenologia delle specie costitui-scono un importante strumento per indagare icambiamenti biologici ed ecologici indotti dalcambiamento climatico. I tempi di fioritura, dimigrazione, di letargo, di deposizione delle uo-va e le diverse fasi dei cicli vitali di numerosespecie ci forniscono informazioni preziose suimutamenti che stanno avendo luogo nella bio-diversità, in risposta ai cambiamenti climatici. Queste modifiche fanno parte di un gruppo direazioni di adattamento al cambiamento: sitratta dei cambiamenti che possiamo definire

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“reversibili”, e che possono essere riscontratianche a livello individuale (come, appunto, varia-zioni fenologiche, fisiologiche e comportamen-tali). Si possono verificare anche casi di adatta-menti “genetici”, soprattutto microevolutivi, cheperò possono interessare maggiormente speciecon cicli vitali brevi e tassi di crescita elevati. La documentazione sin qui raccolta dai varicontinenti e dalla maggior parte degli oceanidimostra che molti sistemi naturali stanno già ri-sentendo dei cambiamenti climatici regionali, inparticolare degli aumenti della temperatura.Questa situazione riguarda anche l’area mediter-ranea e il nostro Paese.Per quanto riguarda numerose specie, esistonoormai chiare evidenze che il recente riscalda-mento stia fortemente influenzando i sistemibiologici terrestri, con alcuni cambiamenti qualil’anticipo dei già citati eventi fenologici prima-verili come la fioritura, la migrazione e la depo-sizione delle uova da parte degli uccelli, e glispostamenti verso alte latitudini di diverse spe-cie animali e vegetali. Esiste documentazione relativa ad alcuni cam-biamenti nei sistemi biologici marini e acquaticiassociati all’aumento delle temperature dell’ac-qua così come alle modificazioni nella copertu-ra del ghiaccio, della salinità, dei livelli di ossige-no e della circolazione. Tali cambiamenti includo-no spostamenti nei range e variazioni nella pre-senza di diverse specie di pesci, plancton e al-ghe alle alte latitudini degli oceani, aumenti nel-l’abbondanza di alghe e zooplancton nei laghi,modificazioni nei range e migrazioni anticipatenei pesci dei fiumi. Tra gli ecosistemi terrestri, quelli di montagna –così come molti ecosistemi forestali e delle zoneumide – potranno subire cambiamenti nellacomposizione di specie, e alcuni di essi scom-parire completamente. Le specie più sensibiliandranno incontro a estinzioni locali, man manoche le loro nicchie scompariranno. Andrannoperdute per sempre intere popolazioni e con es-

se particolari ecotipi, adattatisi nel corso dellaloro evoluzione a condizioni locali peculiari. Lespecie che risulteranno favorite saranno, inve-ce, quelle opportuniste, ad ampia distribuzioneed elevato tasso riproduttivo, come le infestanti.Le più colpite saranno le popolazioni che giàoggi presentano dimensioni ridotte e sono loca-lizzate in aree ristrette (specie relitte, al loro li-mite distributivo, perseguitate, ecc.): in questicasi anche piccole variazioni climatiche provo-cheranno conseguenze di vasta portata. Ne ri-sulta un quadro nel quale molti ecosistemi sonodestinati a scomparire nella loro forma attuale,per essere sostituiti da nuovi raggruppamenti diorganismi, caratterizzati – almeno nella faseiniziale – da relazioni semplificate, minorecomplessità e scarsa stabilità.L’abbassamento della falda freatica e la contra-zione del periodo di innevamento, già oggi benosservabili, sono tra le cause dirette del collassodi questi ecosistemi, che non appaiono in gradodi recuperare, a causa della rapidità dei cam-biamenti climatici in corso e dell’indisponibilitàdi adeguate risorse genetiche a breve. Già oggii primi sintomi di questi processi sono verificabi-li. Studi effettuati sulle Alpi Centrali dimostrano ilprogressivo spostamento in aree più elevate dispecie vegetali di alta quota, mentre osserva-zioni effettuate sugli Appennini Centrali eviden-ziano una tendenza all’adattamento degli eco-sistemi di alta quota a un aumento dell’aridità.In questi casi, la composizione specifica ha su-bito cambiamenti, negli ultimi dieci anni, del-l’ordine del 10-20%, con preoccupanti sintomidi un processo di degenerazione ormai in atto(incremento delle specie vegetali più adattateall’aridità e agli stress e parallela diminuzionedi quelle più adattate a maggiore disponibilitàidrica, basse temperature e maggiore inneva-mento).Nei prossimi 100 anni è attesa una progressivadisgregazione degli ecosistemi forestali, deiquali solo poche componenti potranno migrare in

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aree più adatte ai mutati scenari climatici, men-tre la maggior parte di esse sarà destinata all’e-stinzione, almeno a livello locale. Le specie conelevata capacità di spostamento (per esempio: igrandi mammiferi, come orso, lupo e ungulati),in grado quindi di tentare di sfuggire alla dis-gregazione del loro habitat, si troveranno incondizioni di disadattamento, in quanto saràper loro impossibile adattarsi in così breve tem-po ai nuovi ecosistemi in via di formazione chepotranno ricostituirsi solo nell’arco di alcuni seco-li. Questo potrebbe essere il futuro delle forestedell’Italia Centrale (colpite dai cambiamenti cli-matici più di quelle delle Alpi), secondo unoscenario che emerge dagli studi in corso suipossibili effetti dei cambiamenti climatici sulladistribuzione delle principali specie arboree fore-stali in Italia.Secondo questi studi, entro la fine del secolopotrebbe verificarsi un generale aumento dei li-miti altitudinali di distribuzione di tutte le specieforestali, con il loro potenziale spostamento aquota maggiore. Si creerebbero, quindi, condi-zioni favorevoli per una significativa espansio-ne dell’areale di distribuzione delle specie me-diterranee, a causa di un processo di progressi-va mediterraneizzazione delle zone interne del-la Penisola; si verificherebbe una forte riduzio-ne dell’areale di distribuzione delle specie piùmesofile e microterme (faggio, castagno, carpi-no bianco, farnia), che sarebbero minacciate diestinzione a livello locale. Le reali possibilità di“spostamento” degli ecosistemi forestali sono,comunque, al di sotto delle necessità: la rapiditàdel cambiamento climatico in atto è, infatti, digran lunga maggiore della velocità di coloniz-zazione di nuovi spazi della quale sono capaci lespecie arboree. Inoltre, le specie vegetali e ani-mali a esse associate posseggono, ognuna, unadiversa capacità di dispersione e colonizzazione:è, quindi, da attendersi la progressiva disgre-gazione degli ecosistemi forestali, già in atto inparticolare nelle foreste più sensibili ai cambia-

menti climatici perché strettamente dipendentidall’abbondanza di acqua negli strati superfi-ciali del suolo. In questi casi, si sono verificateripetute ed estese morie di grandi alberi di farnia,cerro e carpino bianco, che hanno frammentatoe disgregato la foresta.Tutti i programmi europei di monitoraggio delleforeste indicano un anticipo medio di 3 giorniogni 10 anni di tutte le fasi vitali delle principalispecie forestali (emissione delle foglie, fioriturae fruttificazione). Negli ultimi 50 anni, quindi,tutti i cicli naturali delle foreste hanno subito unanticipo di circa 15 giorni, in grado di provo-care gravi danni all’equilibrio delle componentivegetali, animali e del suolo delle nostre foreste.

CriticitàLe seguenti lacune nelle ricerche in corso a livel-lo nazionale sono state giudicate prioritarie.1. Necessità di un sistema coordinato di moni-

toraggio e di primo allarme delle conseguen-ze dei cambiamenti climatici su tutti gli ecosi-stemi terrestri e marini. Oggi si svolgonomolte ricerche nel settore, ma spesso non co-ordinate, frammentarie e limitate a singolearee.

2. Necessità di disporre di scenari dettagliati diimpatto sugli ecosistemi più vulnerabili (foreste,alta montagna, coste, zone umide, ecc.), alfine di improntare la pianificazione territo-riale a criteri scientifici sulla capacità di adat-

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tamento degli ecosistemi. Oggi esistono solopoche esperienze frammentarie, non coordi-nate e insufficienti.

3. Necessità di raccolta e gestione integrata deidati delle aree di monitoraggio e delle ricercheecologiche sui cambiamenti climatici. Oggisono raccolti moltissimi dati da molti soggetti,ma spesso si tratta di “cimiteri di dati” total-mente inutilizzabili, di informazioni cioè notesolo ai produttori, non elaborate e quasisempre raccolte secondo protocolli non ar-monizzati.

4. Necessità di ripristinare le connessioni ecolo-giche a livello nazionale, per favorire l’adat-tamento degli ecosistemi, su base eco-regio-nale. Oggi esistono solo progetti o interventinon coordinati. Un prezioso lavoro, sulla ba-se del quale sarebbe possibile pianificare gliinterventi, è la Biodiversity vision elaboratadal WWF nell’ambito del processo di conser-vazione eco-regionale, con la collaborazio-ne del MATTM e di molti enti di ricerca, per leeco-regioni Alpina e Peninsulare.

Azioni Al fine di limitare i danni che i cambiamenti cli-matici stanno causando a carico degli ecosistemie che causeranno sempre più nei prossimi anni,occorre: favorire l’adattamento di tali ecosiste-mi, rafforzando le misure di protezione dellearee di rifugio e degli ecosistemi più minacciati(foreste umide, planiziali e di alta montagna,comunità di alta quota, ecc.); istituire reti diaree protette in grado di favorire la migrazionedelle specie sulla spinta dei cambiamenti clima-tici; rafforzare i programmi di monitoraggio ericerca ecologica a lungo termine, per poterdisporre su scala nazionale di un efficace sistemadi primo allarme delle conseguenze in atto. LaRete per la Ricerca Ecologica a Lungo TermineLTER-Italia, opportunamente consolidata, estesae rafforzata, è in grado di fornire un efficace si-stema di monitoraggio comprendente sia gli

ecosistemi terrestri (foreste, laghi, fiumi, aree dialta montagna) sia quelli marini, superando laframmentarietà di iniziative locali non coordi-nate ed episodiche. Di seguito l’illustrazione dialcune azioni prioritarie.1. Consolidamento, estensione e rafforzamento

della Rete di Ricerca Ecologica a Lungo Ter-mine LTER-Italia, come sistema di monitorag-gio e di primo allarme delle conseguenze deicambiamenti climatici su tutti gli ecosistemiterrestri e marini. Un efficiente sistema di ri-cerca e monitoraggio coordinato a livello na-zionale, con una vasta partecipazione deisettori di punta del mondo della ricerca, è l’u-nico strumento in grado di individuare lemaggiori criticità connesse agli effetti deicambiamenti climatici e di fornire, in temporeale, dati e informazioni scientificamenteoggettivi sugli effetti sugli ecosistemi.

2. Realizzazione di un sistema di monitoraggiodegli impatti dei cambiamenti climatici, sullabase della Rete Nazionale delle aree protette(prioritariamente, Parchi Nazionali e RiserveStatali).

3. Produzione di scenari di impatto, tra i qualiun progetto pilota per la tutela delle aree dirifugio delle specie forestali più vulnerabili(specie arboree, ornitiche, ecc.), attraverso laloro identificazione e cartografia su tutto ilterritorio nazionale (estensione del progetto“BioRefugia”) e successiva adozione di stru-menti di protezione territoriale.

4. Ripristino degli ecosistemi più danneggiatidai cambiamenti climatici (foreste, coste, zoneumide), per aumentarne la resilienza, mitiga-re gli effetti di tali cambiamenti e favorire l’a-dattamento degli ecosistemi stessi.

5. Realizzazione di reti ecologiche funzionali,con deframmentazione e riconnessione delterritorio.

6. Promuovere estesi interventi di riforestazione eafforestazione secondo criteri ecologici, peraumentare il potenziale di mitigazione del

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patrimonio forestale italiano e creare “corri-doi” ecologici che favoriscano l’adattamentodegli ecosistemi forestali.

7. Rafforzare la prevenzione e la protezionedelle foreste dagli incendi, in particolare neibiotopi di più alto valore ambientale (areeprioritarie) e nelle aree di rifugio.

8. Promuovere la gestione sostenibile delle fore-ste, per mantenere il loro potenziale di miti-gazione e per garantirne la permanenza infuturo.

9. Attuare la direttiva 2000/60/CE (acque), ladirettiva 2001/42/CE (VAS) e la legge-dele-ga sul sistema di contabilità ambientale na-zionale.

10. Adottare un Piano Nazionale di adatta-mento ai cambiamenti climatici.

11. Adottare un Piano Nazionale per la tuteladella biodiversità.

1.9 Sessione C - Mitigazione

1.9.1 Domenico Gaudioso – APAT • Rapporteur

Stato delle conoscenzeLa mitigazione ai cambiamenticlimatici riguarda due temi princi-

pali:a) il rapporto tra mitigazione e adattamento a

livello globale ma anche nel contesto dellestrategie specifiche di risposta ai cambia-menti climatici elaborate a livello nazionale,regionale e locale;

b) le condizioni necessarie per l’attuazione dellestrategie di mitigazione ai diversi livelli territo-riali, da quello internazionale a quello loca-le.

Per quanto riguarda il punto a), se è vero cheadattamento e mitigazione competono a livellonazionale per quanto riguarda l’allocazionedelle risorse, in realtà i due approcci sono com-

plementari, e anzi dovrebbero essere conside-rati come due aspetti di un’unica risposta inte-grata alla minaccia dei cambiamenti climatici.Quel che è certo è che, nei prossimi 20 anni,anche le politiche di mitigazione più aggressivepotranno fare ben poco per ridurre il riscalda-mento legato all’inerzia del sistema climatico, eche sarà comunque necessario prendere misuredi adattamento. Anche se le concentrazioni digas a effetto serra fossero stabilizzate ai livellidel 2000 con effetto immediato, il riscaldamen-to globale continuerebbe a un tasso di 0,1 °Cper decennio (a fronte dello 0,2 °C atteso).Il mix ottimale tra adattamento e mitigazioneandrebbe trovato sulla base di considerazionibasate sull’analisi costi-benefici. L’applicazionedi tecniche di questo tipo non presenta problemiper la mitigazione, per la quale si dispone di in-dicatori affidabili (le emissioni di gas a effettoserra evitate), mentre non vale per l’adattamen-to. Gli interventi di adattamento e di mitigazionesono riferiti, inoltre, generalmente a scale spa-ziali e temporali diverse (locale e medio termineper l’adattamento, nazionale e lungo termineper la mitigazione). Infine, gli interventi di mitiga-zione possono essere affidati a soggetti privati,attraverso l’adozione di misure obbligatoriee/o sistemi di incentivi e disincentivi (come, peresempio, il mercato del carbonio), mentre quellidi adattamento prevedono un ruolo più impor-tante delle autorità pubbliche, al fine di tutelarei settori sociali e i paesi più vulnerabili.Per molti interventi di adattamento di naturapreventiva esistono importanti sinergie con lamitigazione. Ciò vale, in particolare, per i paesiin via di sviluppo e per quelli meno sviluppati, eper il settore agro-forestale, per quello energeti-co e per le aree costiere. Con la tabella 1.3, conla quale sono sintetizzati i principali impatti deicambiamenti climatici sul settore energetico inItalia e le relative opzioni di adattamento, èmesso in evidenza come molti interventi finalizza-ti ad attenuare le conseguenze dei cambiamenti

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climatici sull’offerta e sulla domanda di energianel nostro Paese presentano opportunità inte-ressanti in termini di mitigazione per la riduzio-ne delle emissioni di gas a effetto serra.Per quanto riguarda la mitigazione, tutti i rela-tori hanno convenuto sulla necessità di un coin-volgimento di tutti i livelli istituzionali, comecondizione per favorire il successo degli inter-venti programmati. Le barriere che ostacolano ilsuccesso degli interventi sono, però, di naturadiversa, e sono state sintetizzate secondo le in-dicazioni di seguito riportate.

AzioniA livello internazionale. Per quanto riguarda ilnegoziato internazionale, gli sforzi attualmente incorso per definire obiettivi di riduzione al di làdel periodo interessato dal Protocollo di Kyotonon avrebbero senso, se non si riuscisse a coin-volgere i paesi maggiormente responsabili delleemissioni di gas a effetto serra. Questo compor-

ta – non oltre i prossimi 2-3 anni – il ritorno de-gli Stati Uniti (e dell’Australia) al tavolo nego-ziale e la disponibilità di Cina, India e Brasile(almeno) a contenere le proprie emissioni di gasa effetto serra. L’ampliamento del mercato inter-nazionale del carbonio appare attualmente lastrategia più interessante per il coinvolgimentodelle aziende dei paesi industrializzati (a parti-re da quelle USA), mentre attraverso un uso intel-ligente dei meccanismi flessibili si potrebbe pro-muovere il trasferimento ai paesi emergenti del-le tecnologie a ridotte emissioni di carbonio, fa-vorendo nello stesso tempo la presenza delleimprese italiane sui mercati internazionali.A livello europeo. L’Unione europea ha acquisi-to nel tempo la leadership degli sforzi interna-zionali per la riduzione delle emissioni di gas aeffetto serra e, con le conclusioni del Consiglioeuropeo, si è impegnata a orientare le propriepolitiche energetiche in questa direzione. Il suc-cesso della strategia europea ha un’importanza

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Tabella 1.3 – Impatti dei cambiamenti climatici sul settore energetico in Italia e relative opzio-ni di adattamento.

Principali impatti sul settore energetico Possibili opzioni di adattamento

• diminuzione della domanda di consumi energetici per ilriscaldamento invernale, aumento di quella per il raffre-scamento estivo, con spostamento verso l’estate del picco didomanda elettrica e rischi di black-out;

• diminuzione della capacità di produzione idroelettricaper la riduzione complessiva delle precipitazioni atmosfe-riche e delle riserve nivo - glaciali;

• diminuzione della capacità complessiva di produzionetermoelettrica per gli impianti dotati di sistemi di raffred-damento a ciclo aperto;

• diminuzione – nella stagione estiva – dell’efficienza deicicli combinati con turbine a gas naturale a causa delletemperature più elevate dell’aria;

• aumento dei rischi per gli impianti costieri di produzione dielettricità per l’intensificarsi di fenomeni estremi e l’au-mento del livello del mare;

• aumento dei rischi di interruzione delle reti di trasmissioneelettrica e di black-out dovuti a eventi meteorologici estre-mi, rischio idrogeologico, incendi boschivi;

• aumento della possibilità di utilizzazione dell’energia sola-re e maggiore aleatorietà dell’energia eolica.

• diffusione di dispositivi di uso finale più efficienti (condi-zionatori, ma anche illuminazione e elettrodomestici);

• diffusione di pompe di calore;• promozione dell’edilizia a basso consumo di energia e

bioclimatica;• miglioramento del grado di interconnessione della rete

elettrica;• diffusione sul territorio di piccoli impianti e microgenerato-

ri dotati di micro-reti che diminuiscono la vulnerabilità delsistema elettrico;

• utilizzo di sistemi di raffreddamento a ciclo chiuso per gliimpianti termoelettrici lungo i fiumi;

• diffusione di sistemi di accumulo dell’energia (attraversoopportuni vettori elettrici);

• incremento della utilizzazione della geotermia;• incremento della utilizzazione della fonte solare.

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determinante per quei paesi, come il nostro, chesono ancora molto lontani dal raggiungimentodel proprio obiettivo di Kyoto. Gli obiettivi euro-pei in materia di riduzione delle emissioni digas a effetto serra e di promozione delle fontienergetiche rinnovabili devono, però, ancoraessere trasferiti a livello europeo, e l’armoniz-zazione degli obiettivi e delle strategie di politi-ca energetica tra gli stati membri è ancora as-solutamente inadeguata. La Commissione euro-pea assegna agli strumenti economici e fiscaliun ruolo centrale nell’ambito di queste strategie,ma l’armonizzazione delle accise sui combustibi-li non ha fatto negli ultimi anni alcun passoavanti, mentre il sistema europeo di emissionstrading concentra tutti gli sforzi di riduzione sulsettore energetico e sulle industrie energivore,trascurando per esempio il settore dei trasporti,che è quello che presenta il tasso di crescita piùelevato.

A livello nazionale. Il bilancio delle strategie re-lative all’attuazione del Protocollo di Kyoto non èfin qui esaltante. A parte il trend crescente delleemissioni, risulta evidente la mancanza di coor-dinamento tra i vari ministeri interessati, mentremolte misure della delibera CIPE 2002 relativeai trasporti e al settore energetico sono state to-talmente abbandonate.L’introduzione di strumenti di mercato in campoenergetico (“certificati verdi”, “certificati bian-chi”) si è scontrata con difficoltà amministrative

e cattivo funzionamento del mercato (situazionidi oligopolio, volatilità dei prezzi, scarsa traspa-renza). Si dovrebbe invece puntare a un uso piùrazionale, e coordinato, degli strumenti di mer-cato, della regolamentazione e della tassazione.Peraltro, gli obiettivi ambiziosi prospettati dalProtocollo di Kyoto e dalle conclusioni del Consi-glio di primavera 2007 hanno bisogno, per es-sere raggiunti, di un coinvolgimento reale di tut-ti i livelli istituzionali: basti pensare che il 30%delle emissioni del Paese è conseguenza diazioni e politiche locali. Per superare la situazione attuale di deresponsa-bilizzazione delle regioni e degli enti locali (non-ostante le competenze rilevanti per le politiche dimitigazione), potrebbe essere opportuna l’ado-zione di forme di coinvolgimento basate sul prin-cipio del burden sharing, che prevedano anchemodalità premiali o dissuasive. Per esempio, sipotrebbe favorire la partecipazione degli enti lo-cali al mercato del carbonio attraverso il lancio diun mercato dei crediti nazionale complementareall’EU Emission Trading Scheme (ETS).Per superare la disponibilità limitata di risorsepubbliche per gli interventi di mitigazione daparte di regioni ed enti locali, è necessarioescludere dal Patto di Stabilità alcuni investi-menti operati dagli enti locali per la diffusionedelle energie rinnovabili e la riduzione dei con-sumi energetici.Più in generale, date le difficoltà che si riscon-trano nell’inserimento, tanto nei processi deci-sionali delle amministrazioni quanto nelle sceltequotidiane degli individui, di obiettivi di lungoperiodo – come quelli di mitigazione, è utile fa-vorire l’adozione e la sperimentazione concre-ta, ai diversi livelli, di strumenti di monitoraggioper valutare l’efficacia degli interventi di miti-gazione (inventari locali, indicatori, “bussoladel clima”, …).A livello settoriale. Il trend delle emissioni di gasa effetto serra dal settore dei trasporti nei paesidell’Unione europea (+ 24,7% tra il 1990 e il

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2005 nei paesi dell’UE-15) rende evidente lanecessità di sforzi maggiori e soluzioni innovati-ve per il contenimento delle emissioni prove-nienti da questo comparto.In particolare, il sistema europeo di emissiontrading esclude totalmente le emissioni di CO2dal trasporto su strada e, al momento, nei pianidella Commissione europea e del Consiglio, fi-gura esclusivamente l’introduzione di un tetto diemissione per le emissioni dal trasporto aereo.È invece necessaria, nel medio periodo, l’introdu-zione di nuovi strumenti economici per il settoredei trasporti, per esempio attraverso un mercatodei certificati di emissione di CO2/km con tettouguale per tutti e pari a 120 g/km (la flessibilitàdi uno strumento del genere dovrebbe favorirnel’introduzione, mentre l’uso di altri strumenti,quali gli accordi volontari, si è fin qui rivelatofallimentare). Il lancio di un meccanismo del ge-nere non dovrebbe essere ostacolato dall’Italia,dal momento che l’efficienza dei veicoli è unpunto di relativa forza per l’industria automobi-listica italiana, e meriterebbe invece uno sforzocoordinato del sistema-Paese.A lungo termine, alcune nuove tecnologie at-tualmente in fase di sviluppo (bioetanolo di se-conda generazione; tecnologie di cattura estoccaggio del carbonio, CCS) potrebbero gioca-re un ruolo centrale per la riduzione delle emis-sioni.È, infine, necessario utilizzare le sinergie tra mi-tigazione e adattamento, in particolare per ilsettore agro-forestale, quello energetico e lapianificazione territoriale (interventi che metto-no il territorio in sicurezza, e lo rendono più re-siliente).

1.10 Gruppo di Lavoro “Ambiente e salute”

1.10.1 Luciana Sinisi – APAT • Rapporteur

Il mandato al Working GroupAmbiente e Salute (WG) dellaCNCC 2007 discende da prece-

denti iniziative APAT relative alla questione “climae salute”, svolte nel percorso preparatorio verso laConferenza Nazionale, che hanno riguardato: – l’elaborazione di un rapporto APAT15 in col-

laborazione con l’OMS quale primo screening globale delle evidenze scientifichein tema di rischi e impatti sulla salute correla-ti agli effetti ambientali e meteo climatici con-seguenti a cambiamenti climatici ed eventiestremi e, in particolare, sui rischi potenzialie gli impatti osservati nella nostra realtà na-zionale;

– la diffusione di una sintesi conoscitiva, per glioperatori ambientali, riguardante i rischi egli impatti socio-sanitari, realizzata sulla basedel dibattito sviluppatosi e delle necessitàemerse nel corso dei diversi eventi tematicipreparatori16 alla Conferenza.

Sulla base di tali risultanze, al WG “Ambiente esalute – Vulnerabilità e adattamento” è stata af-fidata la realizzazione di un documento tecnicodi base finalizzato alla definizione di proposteoperative, da integrare nelle politiche di adatta-mento ambientale, che avessero come obiettivo lamitigazione dell’esposizione a rischi sanitariemergenti associati alle alterazioni del territorioe delle risorse naturali indotte da cambiamenticlimatici ed eventi estremi. Quella che segue è la sintesi del documento dibase17 realizzato dagli esperti del WG.

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15 Cfr. nota n. 49.16 APAT: “Gli eventi preparatori della Conferenza. Sintesi dei lavori”. Roma, 2007. (http://www.apat.gov.it/site/it-IT/APAT/Pubblicazioni/Atti e http://www.conferenzacambiamenticlimatici2007.it/site/_Files/145517_Cambiamenti%20climatici.pdfwww.apat.gov.it) 17 “Cambiamenti climatici e salute: criticità e proposte progettuali per una strategia di adattamento ambientale”.

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Stato delle conoscenzeCon il Rapporto APAT-OMS sono stati eviden-ziati i nuovi scenari ambientali di rischio per lasalute e per il benessere delle comunità le cui at-tività dipendono dalle risorse naturali e dallecostanti meteo-climatiche. Alle conclusioni, siafferma: “… L’integrazione di interventi per ladifesa della salute con le strategie ambientali diadattamento può facilitare l’implementazionedi queste ultime e le politiche di altri settori le cuiscelte hanno impatti rilevanti sulla salute ...”.Sulla base di queste premesse e in considera-zione della finalità e dell’obiettivo del mandato,il WG ha focalizzato l’analisi e la discussionesu scenari di intervento peculiari delle capacità ecompetenze istituzionali e tecniche dei sistemiambientali e territoriali, ovvero l’attuazione:– di strumenti di tutela della qualità delle risorse

naturali (acque, suolo e coste, biodiversità, si-stemi agro-forestali) e le possibili azioni sudeterminanti che incidono sulla variazionedella frequenza e delle caratteristiche del ri-schio sanitario;

– della disponibilità in sicurezza delle risorseper garantire lo sviluppo dei settori socio-eco-nomici quali turismo e agricoltura;

– prevenzione e mitigazione del rischio sanita-rio in sinergia con i sistemi di early warningdella sanità;

– di sinergie con gli ambiti di gestione delegataagli enti locali e con le attività del Sistemaagenziale.

In tale contesto operativo e sulla base dell’anali-si esperta dei rischi sanitari emergenti, sonostati definiti gli scenari ambientali prioritarid’interesse, ovvero alluvioni/inondazioni, ca-renza idrica, surriscaldamento terrestre e marino.Di questi scenari ambientali sono stati identifi-cati i determinanti e i fattori di rischio ambienta-li e sanitari, come schematizzato con la figura1.13.In sintesi: gli effetti ambientali indotti dai cam-biamenti climatici (alterazione della biodiversi-

tà, della qualità delle acque potabili e di bal-neazione, degli alimenti e dell’aria), oltre aglieffetti diretti associati agli eventi rapidi destrut-turati del territorio (mortalità e lesioni dirette daalluvioni, inondazioni costiere, frane, tempestedi varia intensità) e alle ondate di calore e digelo, comportano nuovi rischi biologici e chimi-ci, con effetti potenziali a breve e lungo terminesulla salute della popolazione esposta negli sce-nari considerati.Tali rischi sanitari si possono essere schematiz-zati in: – epidemie dovute a:

• aumento nella distribuzione territoriale,specie e quantità di vettori (es: zanzare) dimalattie virali, batteriche e parassitarie;

• contaminazione microbiologica di acque ealimenti;

• alterazione nella distribuzione e tossicità dispecie patogene nel mare;

– aumento di effetti tossici/morbilità da:• aumento di alghe tossiche e cianobatteri

nelle acque di balneazione;• micotossine negli alimenti; • aumento della distribuzione e tossicità di

pollini e spore fungine allergizzanti; • aumento della concentrazione di inquinanti

chimici in suolo, biota e acque potabili.Come sintetizzato con la figura 1.13, molti sonoi determinanti ambientali che possono incideresulla variazione della frequenza e delle caratte-ristiche dei rischi sanitari.

Criticità ed esposizione a rischi ambientaliIn tale scenario, per la definizione delle proposteoperative progettuali a sostegno di un piano diadattamento, il WG ha individuato quattro areedi intervento prioritario:a) contaminazione chimica e biologica di ma-

trici ambientali e biota;b) aumento della distribuzione dei vettori;c) aumento di specie vegetali allergizzanti;d) impatti socio economici diretti.

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Adattamento: proposte operativeL’analisi estensiva elaborata nel documento tec-nico ha preso in considerazione le attuali critici-tà (conoscitive, normative, operative) della ge-stione dei rischi citati negli scenari meteoclimati-ci esaminati. Sono stati, quindi, individuati pro-getti operativi finalizzati al superamento dellecriticità, come schematizzato con la figura 1.14.L’integrazione delle tematiche di gestione dellamitigazione dell’esposizione a rischi sanitariemergenti non può, comunque, ritenersi risoltacon l’avvio di progetti operativi. A tal fine, oltrealla fattibilità tecnica dell’eventuale messa a si-stema delle proposte operative, l’analisi delWG ha anche evidenziato la necessità di attua-re, nel nostro Paese, una serie di meccanismi fa-cilitanti, a supporto della fattibilità e dell’attua-zione dei piani di adattamento, quali:– integrazione delle tematiche di gestione dei ri-

schi sanitari emergenti nei tavoli tecnici di set-tore (agricoltura, risorse idriche, rischio idro-geologico, ecc.);

– dinamismo e adattabilità dei sistemi di con-trollo, monitoraggio e flussi informativi alleesigenze d’intervento rapido;

– formazione ambiente e salute ad hoc deglioperatori ambientali e sanitari;

– integrazione della valutazione ambiente e sa-lute in progetti e proposte operative dei varisettori di tutela e pianificazione (esempio: va-lutazione del rischio per la salute delle opzionid’adattamento);

– formazione accademica dei tecnici e forma-zione degli operatori della pianificazione;

– progetti integrati di comunicazione e informa-zione;

– eventuale implementazione o adeguamentodelle norme vigenti che consentano la pianifica-

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Figura 1.13 - Sintesi del documento predisposto dal Gruppo di lavoro “Ambiente e salute”.

Determinanteambientale

Fattore ambientale di rischio Rischio sanitario Alluvioni/

inondazioniCarenza idrica

Surriscaldam.terrestre e marino

Depuratori,acquedotti, sistemifognari Sistemi dicontrollo emonitoraggioPratiche agricole Siticontaminati Approvv.acqua

Contaminazionebiologica acqua ealimenti

↑↑ Epidemie malattieinfettive Tossicitàacque dibalneazione

X (Rischi a brevetermine)

X (Erogazione acqua,igiene di base)

X ↑ Tossicitàmicrorganismi

Contaminazionechimica suolo, biotae acquedotti

↑↑ Effetti tossici acuti ea lungo termine

X (Rischi a medio-lungo term)

X ↑↑Concentraz.inquinanti

X ↑ Fitosanitari

Microclima ebiodiversità Controllodel vettore

↑↑Vettori (es. zanzare, zecche)

↑↑Malattie virali,batteriche eparassitarie davettori

X X

X ↑ Specied’importazioneedistribuzione

Interventi dicontenimento(strutturali e non)Destinazione d’usodel territorio, livellodel mare ed erosionecostiera

Danni territoriali Impatti socio-economici diretti X X

X (Innalzamento del mare)

Alterazione fenologiae biodiversità

↑↑Pollini (specie edistribuzione) espore fungine

↑↑Soggetti allergici eincidenza malattieallergiche

X ↑ Stagione especieallergizzanti

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zione di risorse a livello territoriale per le nuo-ve attività individuate.

1.11 Gruppo di Lavoro “Mare e risorsemarine”

1.11.1 Silvestro Greco – Istituto Centrale per laricerca scientifica e tecnologica applicata almare (ICRAM) • Rapporteur

Gli effetti del cambiamento climatico sull’am-biente marino hanno, e avranno sempre più, unforte impatto sulla biodiversità e l’ecologia deinostri mari, nonché ripercussioni sull’economia,l’occupazione e il nostro benessere complessivo.

CriticitàÈ necessario aumentare la capacità di com-

prensione dei cambiamenti in atto negli ecosi-stemi marini mediterranei, così come è determi-nante la creazione di una struttura per la rac-colta e integrazione di tutte le informazioni esi-stenti sullo stato di salute e sicurezza del MareMediterraneo per contrastare le carenze cono-scitive sulle interazioni tra diversi ecosistemimarini.

AzioniIn un’ottica di intervento, le priorità sono, quindi,quelle di seguito indicate.– Conservare e proteggere gli ambienti marini

naturali per il mantenimento di alti livelli difunzionalità e produzione di beni e serviziecosistemici:• modulazione dell’estensione delle aree mari-

ne protette per mantenere i servizi ecosiste-mici offerti;

• estensione della protezione ad ambienti

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Figura 1.14 - Alcune proposte operative del Gruppo di lavoro “Ambiente e salute”.

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profondi del Mediterraneo (per esempio,banchi di coralli profondi e montagne sotto-marine):

• identificazione di nuovi hot spot di biodi-versità marina;

• previsione di eventuali effetti a cascata;• promozione di pratiche di sviluppo sostenibi-

le nel Mediterraneo meridionale.– Contrastare la perdita di biodiversità marina:

• sviluppo di strategie a lungo termine per ilmonitoraggio degli effetti dei cambiamentiin atto su biodiversità e funzionamento de-gli ecosistemi marini;

• conoscenza degli effetti dei cambiamenticlimatici sui cicli vitali delle specie marine;

• monitoraggio della presenza e distribuzio-ne di specie aliene e di alghe e altri organi-smi potenzialmente tossici;

• adozione di un approccio precauzionaleper l’introduzione volontaria di specie nonindigene;

• valutazione dell’impatto dei cambiamentisugli stock ittici e altre risorse rinnovabili esviluppo di strategie di pesca adattative pertutelare gli stock ittici.

– Migliorare le condizioni di qualità ecologicadegli ambienti marini:• conoscenza delle alterazioni a carico delle

condizioni trofiche e idrodinamiche;• conoscenza delle alterazioni dovute a feno-

meni di inquinamento e/o contaminazionee dei loro effetti ecologici;

• sviluppo di procedure di Integrated-CoastalZone Management (ICZM) capaci di ri-spondere in modo dinamico e adattativo aicambiamenti in atto;

• identificazione di strumenti opportuni per ilrispetto della Water Framework Directive(Directive 2000/60/EC);

• sviluppo di pratiche di recupero e restauroecologico di ecosistemi marini compromessio danneggiati;

• identificazione di procedure di decontami-nazione di siti marini con utilizzo di eco-tecnologie.

– Creare e adottare le strategie di prevenzione,mitigazione e adattamento degli impatti sullasalute e l’economia:• creazione di un sistema di early warning

per prevenire l’impatto sulla balneazione esulla salute umana di specie animali e vege-tali marine dannose, velenose o tossiche.

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13 settembre 2007

1.12 Gli strumenti di adattamento

1.12.1 Nicola Greco – Scuola Superiore dellaPubblica Amministrazione, Direttore della Linea Editoriale. Comitato Tecnico del Ministe-ro dell’ambiente e della tutela del territorio edel mare

Stato delle conoscenzeLa situazione in Italia risulta poco confortante.Un terzo delle coste italiane è in arretramento;coste che nel 1942 erano praticamente disabi-tate (occupate linearmente per circa l’8%, com-presi gli insediamenti portuali) risultano oggioccupate per il 51% da varie attività: quella abi-tativa (attualmente, oltre il 30% della popola-zione risiede lungo le coste nazionali), la tradi-zionale attività portuale (oggi assai industrializ-zata), la pesca, l’attività di produzione e distribu-zione dell’energia, infrastrutture di trasportoconnesse a quelle portuali e aeroportuali, masoprattutto il turismo. Sono 25.000 le aziendeturistiche di medio - grande livello presenti lungole coste italiane. Non meno preoccupante è l’attuale assetto nor-mativo. Un tempo il Codice della navigazione(codice di guerra del 1942) prevedeva, per ra-gioni di carattere difensivo, che la proprietàdella linea di costa dovesse appartenere inde-rogabilmente allo Stato. Solo in casi ecceziona-li quest’ultimo poteva dare in concessione a pri-vati (per usi non incompatibili con quelli delloStato) porzioni limitate di costa. L’osservazionedella realtà attuale consente di capire come, neltempo, gli interessi di parte abbiano finito colprevalere, anche in termini di nuovi regimi giuri-

dici, sull’impostazione propria del citato Codi-ce. Ciò anche a causa dell’assenza, nell’ordina-mento nazionale, di una sezione privilegiatache riguardi la difesa delle coste dalle attivitàche vi si svolgono. Tra i tentativi fatti per cercare di ovviare ai pro-blemi citati è stata ricordata la legge n. 979 del1982 “Disposizioni per la difesa del mare edelle coste dall’inquinamento” che, nel cercaredi regolare la materia, riconosceva la necessità diuna regolazione compartecipata: detentori diinteressi socio-economici e comunità tecnicoscientifica uniti nel tentativo di comporre i legitti-mi interessi economici e le inderogabili urgenzeambientali.

1.12.2 Stefano Boato – Comitato Tecnico delMinistero dell’ambiente e della tutela del terri-torio e del mare

Gli strumenti di pianificazione del territorio so-no moltissimi. Purtroppo, in mancanza di unavisione sistemica e complessiva in grado di co-ordinarne l’uso, i risultati ottenuti sono, allo sta-to attuale, poco soddisfacenti.Tra le azioni da intraprendere in via prioritariac’è sicuramente la revisione dei piani di bacinoattualmente vigenti: se, facendo una verifica diefficacia, è possibile che il costo di un piano dibacino passi da 1.500 milioni di euro a 300milioni, significa che i piani esistenti necessita-no quanto meno di un’attenta rivalutazione.Quest’ultima, tra l’altro, non deve prescinderedal fatto che per la legge i valori ambientali so-no sovra ordinati rispetto alle pur legittime ne-cessità di urbanizzazione e infrastrutturazione

13 settembre

L’adattamento consiste nella capacità dell’uomo di modificare le proprie attività sociali ed economiche infunzione dei cambiamenti climatici in atto. Una strategia di adattamento efficiente, cioè in grado di limitareal minimo i danni economici, sociali e sanitari, deve tenere conto dei diversi strumenti a disposizione delle au-torità competenti: strumenti normativi, pianificatori, di prevenzione sanitaria e di valutazione economica.

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del territorio. Altro problema è l’incapacità degli attuali pianidi considerare adeguatamente i processi cheavvengono normalmente sul territorio. Processimeno evidenti rispetto a casi calamitosi, qualialluvioni e frane, ma che, se trascurati, creanole condizioni per il verificarsi di queste e altreemergenze.C’è poi il problema dei piani di bacino non fat-ti. In base al decreto Sarno e Soverato tutta l’Ita-lia dovrebbe essere coperta da un piano, ma almomento la situazione è ben diversa. Ciò che manca è, dunque, una visione d’insie-me delle problematiche esistenti; ciò fa sì che siintervenga su fenomeni complessi, quali quelliche coinvolgono il territorio, con singole operedi dubbia utilità. Tra queste: i ripascimenti artifi-ciali (che producono coste fragili) e le paratoiemobili (es. Adige e Brenta) per il controllo delcuneo salino.Al fine di creare la necessaria visione d’insie-me, occorre elaborare piani che tengano conto diconcetti quali: piano processo (che permetta dicontrollare negli anni l’andamento delle attivi-tà), sperimentabilità (sottoporre le azioni al vagliodelle previsioni fatte), gradualità (agire per mo-duli di realizzazione successivi), reversibilità (incaso di risultati non raggiunti o controprodu-centi), stagionalità. Con ciò si intende affermareche è la progettazione dell’uso del territorio, lapianificazione sistemica, che deve incorporareall’inizio il modo di prevedere e di progettarel’uso del suolo.18

Una volta elaborati, i piani devono poi essereportati avanti con pratiche di attuazione co-erenti. I piani e i progetti devono incorporarel’aspetto ambientale, devono confrontare ecomparare le alternative e le compatibilità so-ciali, ambientali ed economiche in modo da in-centivare la partecipazione della collettività, e

contemporaneamente occorre potenziare il co-ordinamento tra ministeri e tra ministeri e regio-ni in modo da creare le condizioni per una con-creta attuazione dei piani.In sostanza: o esiste la volontà di sostenere l’at-tuazione di un piano o quest’ultimo è automati-camente destinato a risolversi in un fallimento.

1.12.3 Roberto Bertollini – OMSEuropa, Direttore ProgrammaSpeciale Salute e Ambiente

L’epidemia di chikungunya, verifi-catasi nel mese di giugno del

2007 in Emilia Romagna, sembra confermare ilsospetto che al cambiamento climatico possaaccompagnarsi la diffusione di patologie tra-smesse da vettori sensibili alle mutate condizioniambientali. La possibilità che singoli casi impor-tati di malattie tropicali, come la malaria, si tra-sformino in epidemie locali non sembra dunqueremota, visto che i patogeni trovano sempre piùspesso il vettore giusto e le condizioni adatteper la propria diffusione.Di qui la necessità di creare sistemi di sorve-glianza attivi, strumenti di prevenzione rapidied efficaci che consentano di verificare casi so-spetti di focolai epidemici per una pronta rispo-sta di sanità pubblica che miri al contenimentoe alla prevenzione delle patologie.Anche alla luce della recente adozione da partedell’Italia del nuovo Regolamento sanitario in-ternazionale, è necessario che il Sistema sanita-rio italiano potenzi il sistema di sorveglianzaepidemiologico sul territorio, in modo omoge-neo e coordinato a livello regionale. Ciò po-trebbe essere favorito da un più ampio e informa-to coinvolgimento della rete dei medici di baseper la segnalazione rapida dei focolai epidemi-ci. La rapidità della risposta è, infatti, l’elemento

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18 La chikungunya è una malattia febbrile acuta virale, epidemica, trasmessa dalla puntura di zanzare infette.

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centrale per il controllo di questi problemi.Le malattie trasmesse da vettori sono uno deglieffetti sulla salute associati al cambiamento cli-matico e sono parte di un quadro più complessoche comprende la mortalità associata alle on-date di calore o al possibile aumento di patolo-gie respiratorie dovute all’amplificazione deglieffetti degli inquinanti dovute alle mutate condi-zioni climatiche. Il rapporto su “Cambiamenticlimatici e salute” di APAT-OMS segnala come,per ogni grado centigrado di aumento dellatemperatura al disopra di un valore soglia speci-fico per ogni città italiana, si assiste a un au-mento della mortalità generale pari a circa il3% al giorno. Le ondate di calore sono un proble-ma che si riscontra prevalentemente nelle areeurbane e che colpisce per lo più persone anzia-ne, sole o malate.Le proiezioni future indicano che le ondate dicalore aumenteranno di frequenza e di intensità:adattarsi a questa realtà richiede, pertanto, un

sistema di assistenza e sostegno sociosanitarioche, attivato da allarmi precoci, si avvalga dimezzi semplici ed efficaci di assistenza e cura.Parliamo di visite domiciliari ai soggetti a ri-schio, di aggiustamenti terapeutici per i malaticronici, di raccomandazioni alla popolazioneper assicurare un adeguato apporto idrico, delsoggiorno in ambienti freschi per un tempo suf-ficientemente lungo per l’organismo per ritem-prarsi e superare la crisi più acuta: ovviamente,tutto sostenuto da sistemi di allarme precoce checonsentono alla popolazione di essere informa-ta con qualche giorno di anticipo della vicinaondata di calore.Alcuni dati preliminari relativi all’andamentodella mortalità in alcune grandi città italianesembrano indicare una certa efficacia dell’in-sieme degli interventi di prevenzione fin’ora at-tuati.Le curve della mortalità per le città di Roma eTorino (figura 1.15) mostrano una riduzione

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Fonte: Michelozzi et al., J. Epidemiol. Community Health 2006; 60; 417-423.

Figura 1.15 - Relazione tra la temperatura Tappmax e la mortalità a Roma e a Torino (1995-2002; 2003; 2004).

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della mortalità nel 2004 rispetto sia al 2003 siaal periodo 1995-2002, probabilmente dovutaagli interventi di carattere socio-sanitario messi incampo. Trattandosi di dati preliminari, l’inter-pretazione può anche essere molto diversa. Ciòsuggerisce, comunque, la necessità di estenderei programmi di allarme precoce, coordinati at-tualmente dalla Protezione Civile e presenti in17 capoluoghi di provincia, a tutti i capoluoghi diprovincia italiani, identificando congiuntamentele risorse che sono necessarie ai comuni, alleautorità locali, per potenziare gli interventi so-cio-sanitari necessari.Una misura di adattamento al cambiamento cli-matico è, quindi, l’aumentare l’allocazione dellerisorse e l’utilizzare strumenti preventivi per laprotezione della salute. Ciò ha un significatopiù ampio di quello semplicemente legato aglieffetti sul cambiamento climatico, in quantocomporta una diversa impostazione del sistemasanitario italiano.

1.12.4 Carlo Carraro – Univer-sità Ca’ Foscari di Venezia, Di-rettore Dipartimento Scienzeeconomiche

Lo studio “La valutazione econo-mica degli impatti dei cambiamenti climatici edelle strategie di adattamento”19, svolto dall’U-niversità “Ca’ Foscari” di Venezia, è consistitonell’applicazione di tecniche di valutazioneeconomica agli impatti fisici così come rilevatida studi dell’OMS.L’analisi è avvenuta per ambiti diversi, quali zo-ne alpine, zone a rischio idrogeologico, zonecostiere, zone a rischio desertificazione, saluteumana.Obiettivo primario dello studio è stato quello direalizzare un’analisi costi-benefici delle misure

di adattamento, valutando in primo luogo il co-sto del cambiamento climatico in assenza di taliprovvedimenti. Per fare ciò, è stato necessarioeffettuare una stima degli impatti fisici presentie passati, al fine di poter formulare previsionisul futuro in funzione di diversi scenari climatici:è stato, quindi, ricostruito l’aumento della tem-peratura, l’incremento del livello dell’acqua delmare, l’incremento degli eventi estremi e cosìvia, e da questi sono stati poi ricostruiti gli im-patti sui vari settori economici.Il lavoro è consistito, essenzialmente, nel mettereinsieme le informazioni attinenti alla sfera eco-nomica e quelle attinenti alla sfera ambientale.Al modello macroeconomico standard utilizza-to dalla Banca Mondiale per la valutazione, peresempio, delle politiche commerciali o monetarie,è stata aggiunta la parte relativa agli impattiambientali. Ne è risultato un modello disaggre-gato per 17 settori economici in ciascuna delle9 regioni in cui è diviso il mondo, grazie al qua-le sono stati calcolati gli impatti generati daicambiamenti climatici sul commercio interna-zionale, sui flussi di capitali internazionali e sututte le variazioni intersettoriali.Di cruciale importanza la valutazione del valoreeconomico imputabile all’impatto fisico. A parti-re da stime quantitative degli impatti, si è procedu-to con l’attribuzione di un valore sia ai beni dimercato, sia a quelli fuori mercato. In una situa-zione, per esempio, in cui il livello del mare au-menta, occorre considerare quanta terra, quantacosta è perduta a causa dell’incremento del livel-lo del mare; quanto le aree desertificate tendonoa espandersi; quanti chilometri di aree desertifi-cate in più si avranno per ogni scenario di incre-mento della temperatura. Il passo successivo èquello di considerare le ripercussioni sulle attivitàeconomiche coinvolte, ossia di dare un valore al-la terra perduta, alle zone costiere che subiranno

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19 Cfr. nota n. 16.

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l’impatto e perderanno, quindi, infrastrutture turi-stiche, infrastrutture di trasporto, ecc.; di dare unvalore a queste perdite che dovranno delocaliz-zarsi; alla terra inaridita che non potrà più essereusata per usi agricoli, e così via.

Le difficoltà incontrate sono state soprattutto dicarattere informativo: spesso, infatti, sono dis-ponibili informazioni su scala europea, ma nonsu scala italiana. Effettuare il downscaling dallivello IPCC a quello nazionale è un’operazionealquanto complessa.Di ciascun impatto è stato ricostruito il relativovalore economico. Per le zone alpine, per esem-pio, è stato calcolato il numero delle stazionisciistiche che potrebbero continuare a funzio-nare con innevamento naturale o artificiale, infunzione dell’aumento della temperatura. Conun incremento di 2 gradi della temperatura (cheè un incremento minimo, previsto al 2100), il li-vello per cui le stazioni sciistiche possono essereinnevate è 1.800 metri e il numero di stazioniitaliane innevabili si riduce di metà, mentre con4 gradi diventa soltanto il 20%, quindi con unaperdita consistente per l’industria turistica. PerVal d’Aosta, Piemonte e Alto Adige è stata calco-

lata la relativa perdita in termini monetari, e co-struito un modello della domanda turistica ingrado di tener conto delle variazioni in terminidi fatturato (tabella 1.4). Per quanto riguarda l’impatto dell’incremento

del livello del mare, sono stati calcolati la quan-tità della terra che sarebbe perduta, il valoredella terra, il valore delle attività economiche in-sediate, e così via. È stato possibile calcolareper vari scenari gli impatti relativi alla quantità diterra perduta a causa degli incrementi del livel-lo del mare. Come casi-studio sono stati sceltiVenezia e la Piana del Sangro, e si è cercato diricostruire in dettaglio il valore del danno eco-nomico prodotto dai cambiamenti climatici. PerVenezia, sono stati considerati il turismo, la pe-sca, le strutture edilizie, le attività commerciali,e sono stati quantificati anche i danni socialidovuti alla non vivibilità di una città che subiscein continuazione l’impatto dovuto all’incremen-to delle acque alte. Sono stati, poi, calcolati esommati questi possibili danni economici, giun-gendo a una stima del danno complessivo dacambiamenti climatici. Tale valore è stato calco-lato per intervalli di tempo – 2030, 2070, 2090

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Tabella 1.4 – Perdita economica annua (milioni di euro) derivante dall’uscita dal mercato del-le stazioni sciistiche prive di copertura affidabile.

Fonte: Elaborazione da dati EURAC (2007) e Progetto HERMES (2005).

>1650 (+1°C) >1800 (+2°C) >2100 (+4°C)

Valle d’Aosta 4.706 13.977 39.861

Piemonte 10.666 18.667 32.000

Lombardia Na Na Na

Veneto Na Na Na

Trentino Na Na Na

Alto Adige 23.762 92.081 139.607

Friuli Venezia Giulia 13.625 13.625 13.625

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– in funzione di diverse frequenze di eventi dialta marea a Venezia.I dati rilevati relativi alla salute umana indicanoche l’impatto stimato per la variazione del nu-mero di decessi dovuti a ondate di calore perl’anno 2020 è pari a 281 milioni di euro, men-tre i benefici monetari che possono essere otte-nuti attraverso le misure di prevenzione – checonsentono di correggere il comportamento, inmodo da difendersi dalle ondate di calore – so-no pari a 134 milioni di euro.Aggregando, infine, tutti gli impatti esaminati –da quelli sulla salute, a quelli sull’agricoltura,sul turismo e sull’energia – sono stati ipotizzatidue scenari di incremento della temperatura. Ilprimo mostra una perdita, al 2050, di circa lo0,2% del PIL, ossia circa 10 miliardi del PIL aprezzi di oggi. Per il secondo scenario, al2100, invece, il danno sale a circa l’1,2% delPIL, ossia a circa 3 volte e mezzo il PIL di oggi,passando così da 10 a 70 miliardi di euro. Sepoi venisse preso in considerazione il danno al2200, il danno tenderebbe a crescere in modoesponenziale al crescere della temperatura(questa componente di costo è, inevitabilmente,più che addizionale, poiché dipende dal tassodi sconto). Sono state fatte anche ipotesi nonconsiderando il PIL (che, in realtà, misura i flussidi reddito), ma la variazione di benessere: inquesta seconda ipotesi, i 10 miliardi di euro so-no diventati 30.Volendo dare una valutazione complessiva ri-guardo a tutti gli ambiti studiati, è possibile direche il danno economico generato dagli impatticonsiderati sarà decisamente rilevante già entroil 2030, e assumerà proporzioni critiche nei de-cenni a seguire.Si è cercato, ovviamente, di pervenire a stimemolto precise, perché solo in questo modo saràpossibile capire quali sono le misure che posso-

no essere messe in atto e quali risorse possonoessere dedicate per attuare misure di mitigazio-ne e adattamento.

1.13 Tavola Rotonda alla presenza del Presidente del Senato dellaRepubblica Italiana, Sen. Franco Marini

Mariapia Garavaglia – Vicesin-daco di Roma

A nome dell’Amministrazione Co-munale della città in cui si svolge l’e-vento, dà il benvenuto ai parteci-

panti alla Conferenza e ringrazia il Governo e il Mi-nistro dell’ambiente per l’iniziativa.

Le amministrazioni comunali hanno un rapportodiretto con i cittadini, e grazie a ciò le scelte digoverno possono essere interiorizzate, vissute,divenendo comportamentali sino al punto in cuipoi i cittadini stessi chiedono al Comune di im-pegnarsi maggiormente sui temi della salutepubblica, delle polveri sottili, del trasporto pub-blico e privato, del riscaldamento. Recentemen-te, il Sindaco di Roma20 ha sottolineato l’esigen-za, per il mondo di oggi, dell’azione di un go-vernment internazionale per l’ambiente, facen-do riferimento al fatto che i beni ambientali sonoun patrimonio condiviso fra tutti gli abitanti delPianeta.Il Comune di Roma da tempo ha riservato gran-de attenzione alle politiche ambientali. Primo inItalia, secondo in Europa dopo Barcellona, hadisposto che, nella concessione dell’edificazio-ne privata di una nuova costruzione, almeno il30% del fabbisogno complessivo e il 50% del-l’acqua a scopo sanitario siano garantiti confonti rinnovabili. Molti i fronti sui quali sono sta-

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20 Nel 2007, Walter Veltroni.

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te avviate iniziative. Riguardo al trasporto pubbli-co, per esempio: sono stati acquistati 400 nuoviautobus a metano, la flotta del Comune è stataconvertita a metano o a GPL, verrà potenziatala metropolitana con la costruzione della lineaC, è in corso il rafforzamento delle linee A e B ela progettazione della D. Si lavora molto anchecon le scuole, attraverso specifici progetti lororiservati.Trasporto, educazione, lavoro nelle scuole: è at-traverso queste scelte che l’Amministrazione diRoma intende manifestare un comportamentodi responsabilità comune.

Franco Marini, Presidente delSenato della Repubblica

Ringrazia il Ministro dell’ambienteper aver promosso la Prima Confe-renza Nazionale sui cambiamenti

climatici. Nel corso dell’intervento ringrazia anche ilCapo del Dipartimento della Protezione Civile Italia-na della Presidenza del Consiglio dei Ministri21 e gliuomini dei vari enti pubblici che compongono il Di-partimento, per l’impegnativo lavoro svolto nell’estate2007 per contrastare i disastri provocati dagli incendi.

La problematica dei cambiamenti climatici devediventare uno dei temi più urgenti e prioritarinell’agenda politica di tutti i governi. Gli scienzia-ti più autorevoli prevedono scenari inquietantiper il nostro Pianeta, se non saranno adottatecon tempestività misure stringenti per ridurre leemissioni inquinanti, per razionalizzare lo sfrut-tamento delle risorse naturali, per salvaguarda-re il nostro ambiente.

Affrontiamo questi fenomeni sovente in condi-zioni di emergenza e, purtroppo, essi sono desti-nati a diventare sempre più gravi. L’azione poli-tica deve essere incisiva nel contrastare il peri-colo dell’assuefazione da parte dell’opinionepubblica dinanzi a danni che la colpiscono pro-fondamente.USA e Russia, nel corso dell’ultimo vertice delG822, hanno sottoscritto un documento che liimpegna a considerare seriamente l’opzione,fortemente sostenuta da Europa, Canada eGiappone, di dimezzare entro il 2050 le pro-prie emissioni di gas a effetto serra. L’Europadeve impegnarsi a esercitare una leadership in-ternazionale nella lotta ai cambiamenti climatici,andando oltre i pur ragguardevoli obiettivi defi-niti per il risparmio energetico e la diffusionedelle fonti rinnovabili. Strumenti principali per ilraggiungimento di questi traguardi saranno gliaccordi politici internazionali, come quello – siauspica, da tutti condiviso – che sarà rilasciatodalla Conferenza delle Nazioni Unite sui cam-biamenti climatici che si terrà a Bali a dicembre,e con il quale saranno fissati obiettivi per gli an-ni successivi al 2012, scadenza del primo pe-riodo di obblighi previsti con il Protocollo diKyoto. Tali accordi dovranno essere accompa-gnati, nel medio e breve periodo, da iniziativeoperative dei singoli paesi incentrate sulla di-versificazione delle fonti energetiche, sul rispar-mio di energia e su tecnologie pulite, oltre chesu misure organizzative con le quali poter esse-re in grado di fronteggiare le emergenze ricor-renti. A questo riguardo, sarebbe importanteche l’Europa si dotasse di una solida e ampiarete di protezione civile.

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21 Nel 2007, Guido Bertolaso.22 Cfr. la nota n. 5.Il Gruppo si riunì la prima volta nel novembre 1975, in Francia, a Rambouillet, per decidere come affrontare la cri-si petrolifera in corso. Da allora il Gruppo si è riunito ogni anno (l’Unione Europea prende parte alle riunioni inquanto tale). Nel 2007, l’incontro è avvenuto in Germania (Heiligendamm, nei pressi di Rostock, dal 6 all’8 giu-gno).

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Con una recente indagine conoscitiva dellaCommissione Ambiente del Senato è stato evi-denziato che deve essere rafforzato l’impegnodell’Italia, sia per il raggiungimento degli obiet-tivi del Protocollo di Kyoto, sia per una crescitaeconomica ambientalmente sostenibile. Nono-stante le misure previste con la legge Finanzia-ria per il 2007 e con l’ultimo documento di pro-grammazione economica e finanziaria, si deveconstatare che siamo ancora molto indietro, an-che rispetto ad alcuni nostri partner europei.Occorre ripartire in modo determinato e con-vinto, consapevoli anche delle opportunità of-ferte all’economia e all’occupazione dalla ricer-ca e dall’innovazione orientate verso lo svilup-po sostenibile. C’è grande spazio perché possaessere svolto un lavoro qualificato, spazio chepotrebbe soddisfacentemente essere impegnatotanto da iniziative di successo delle nostre uni-versità, quanto dall’affermazione delle nostretecnologie. Molto occorre fare anche sul ver-sante istituzionale a tutti i livelli, non solo a quel-lo nazionale. Le competenti amministrazioni,statali e locali, devono trovarsi insieme per pro-grammare e realizzare interventi organici edefficaci quali strumenti adeguati per indirizzaree concertare scelte e comportamenti individuali eimprenditoriali tali da consentire che sia attivatoun circolo virtuoso di responsabilità nei con-fronti dell’ambiente.

Partecipanti alla Tavola Rotonda

Alfonso Pecoraro Scanio, Ministro dell’ambientee della tutela del territorio e del mareFabio Mussi, Ministro dell’università e della ri-cerca scientificaPierluigi Bersani, Ministro dello sviluppo econo-micoAltero Matteoli, Commissione Ambiente del Se-natoGuglielmo Epifani, Segretario Generale CGILRenzo Bellini, Segretario Confederale CISLLuigi Angeletti, Segretario Generale UILRenata Polverini, Segretario Generale UGL

Emma Marcegaglia, Vicepresidente Confindu-stria per l’energia e il coordinamento delle poli-tiche industriali e ambientali

Moderatore: Gianni Riotta, Direttore TG1 RAI

G. Riotta. Una brevissima rifles-sione su come i media – televi-sioni e giornali – devono occu-parsi dei problemi dell’ambien-te, in generale, e delle conse-guenze dei cambiamenti climatici,

in particolare. L’informazione deve scongiurare ilrischio che, in coloro che ne fruiscono, nasca ilsenso dell’assuefazione e quello della colpevo-lizzazione. L’orso polare alla deriva su un pic-colo iceberg, immagine che abbiamo visto mol-te volte, in futuro potrebbe suscitare nel pubblicosoltanto indifferenza. La volontà politica, plane-taria e dei singoli stati, è presupposto indispen-sabile per far convergere gli interessi comuni eassicurare ai popoli un futuro di benessere. Ènecessario abbandonare le ideologie di colpe-volizzazione dei singoli cittadini: oggi non è im-portante tanto capire di chi è la colpa, quantocosa dover fare tutti insieme per risolvere i pro-blemi ambientali.Dobbiamo capire che non c’è soluzione alle que-

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stioni ambientali che non comporti costi e perico-li e che, tanto per garantire l’evoluzione dei pae-si in via di sviluppo quanto per assicurare alleprossime generazioni un futuro di benessere, so-no necessarie scelte coraggiose e condivise.

A. Pecoraro Scanio.Ringrazia il Presidente del Senato, Marini, il Vicesin-daco di Roma, Garavaglia, e tutti i partecipanti allaTavola Rotonda. Ringrazia, inoltre: l’APAT, per il la-voro svolto con il contributo delle ARPA regionali; ilComando Carabinieri per la tutela dell’ambiente(CCTA) e il Reparto ambientale marino (RAM) delCorpo delle Capitanerie di porto23, per la collabora-zione prestata.

In questa Conferenza un risultato significativo ègià stato raggiunto: quello di avere messo insie-me, in questi mesi, migliaia di esperti, non soloscienziati e rappresentanti delle istituzioni, maanche operatori del mondo economico, del sin-dacato, dell’impresa, dell’associazionismo, del-l’amministrazione pubblica, dell’università.Grazie a tutti è stato possibile fare un grandelavoro preparatorio, di cui peraltro è già statopubblicato e reso disponibile un documento disintesi. Oggi abbiamo quindi l’occasione diraccogliere i risultati finali. Per sintetizzare: è ilmomento del “conoscere per decidere”.È vero quello che ha detto il Presidente del Se-nato: in alcuni casi, manca la conoscenza condi-visa, necessaria perché siano fatte scelte ade-guate. Le politiche ambientali necessitano diuna programmazione di lungo periodo, che vaoltre i limiti temporali della legislatura. È senzadubbio il caso delle politiche sull’energia, cherichiedono orizzonti ampi, così come dell’ambi-zioso ma necessario impegno per la riduzione

delle emissioni di CO2 del 60% entro il 2050 odel Piano di messa in sicurezza dell’Italia. Sa-rebbe necessario individuare una sorta di luogodi confronto dove dibattere questi problemi,compresi quelli relativi alle infrastrutture territoria-li, uno strumento di particolare urgenza percontrastare gli effetti dei cambiamenti climatici. L’adattamento, uno dei temi centrali di questaConferenza, va sviluppato attraverso un’azioneintegrata che consenta di coordinare le misureambientali con le politiche settoriali di sviluppoeconomico, la legislazione e i programmi di fi-nanziamento delle grandi opere. Siamo un grande Paese che ha importanti po-tenzialità tecnologiche, grandi meriti di culturaben espressi nell’ambito della ricerca, enormicapacità e qualità nel mondo del lavoro e inquello dell’impresa. Ho sempre sostenuto chebisogna essere a fianco del nostro mondo indu-striale e cogliere nel tema dell’ambiente un’op-portunità per lo sviluppo, pur essendo consape-voli della presenza di interessi contrastanti. At-traverso la riduzione delle emissioni di CO2 el’utilizzo di energie da fonti rinnovabili – impor-tanti azioni di mitigazione degli effetti dei cam-biamenti climatici alle quali l’Italia può dare unforte contributo – è anche possibile far sì che ilpetrolio così risparmiato sia disponibile per altriutili impieghi. Proprio perché siano meglio ap-profonditi gli stretti collegamenti tra l’energia el’ambiente, è stato avviato con il Ministro Bersa-ni il lavoro di preparazione per lo svolgimentodi una Conferenza sul tema.Noi non siamo produttori di petrolio, bensì ditecnologia, di meccanica, di merci: pertanto,l’energia risparmiata con una migliore efficienzapuò essere destinata alle nostre produzioni dieccellenza. Le norme varate lo scorso anno dal

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23 Con la legge 31 luglio 2002, n. 179 recante “Disposizioni in materia ambientale”, è stato istituito il Reparto am-bientale marino (RAM) del Corpo delle Capitanerie di porto, posto alle dipendenze funzionali del Ministro dell’am-biente e della tutela del territorio e del mare per “conseguire un più rapido ed efficace supporto alle attività di tute-la e di difesa dell’ambiente marino e costiero”.

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Governo a favore dell’edilizia e della sostituzio-ne dei frigoriferi – per inciso, sarebbe auspicabi-le l’estensione ad altri elettrodomestici – sonoaltrettanti esempi di modalità di sostegno all’in-dustria, alle famiglie, ai consumatori e, nellostesso tempo, di aiuto all’ambiente.È sulla consapevolezza di possedere questecompetenze che dobbiamo far leva per lanciaresfide sull’innovazione del sistema industriale delnostro Paese, a partire da cose concrete, peresempio dalla produzione di pannelli fotovoltai-ci. Dopo il decreto per l’incentivazione alla pro-duzione di energia elettrica dal sole varato in-sieme con il Ministro Bersani, è stato infatti regi-strato un vero e proprio boom dell’utilizzo delfotovoltaico in Italia, nonostante alcuni ostacoliburocratici per eliminare i quali il Ministero del-l’ambiente e il Ministero dello sviluppo econo-mico stanno lavorando. Le tecnologie necessa-rie sono, però, in grande prevalenza di importa-zione. È necessario, quindi, che la produzioneitaliana delle tecnologie solari venga incorag-giata, in modo che sia possibile coniugare felice-mente azioni di salvaguardia dell’ambiente esviluppo industriale. L’adattamento va inteso, insomma, come capa-cità di reazione per garantire la sicurezza am-bientale ma anche come occasione di rilanciodel nostro Paese. Il Ministero dell’ambiente èfavorevole a rivedere le procedure con le qualisono regolate queste attività produttive per fa-cilitarle, e al riguardo esprime disponibilità aun grande patto con il mondo del lavoro, an-che sulla base dell’iniziativa “Industria 2015”24

lanciata dal Ministero per lo sviluppo economi-co. Anche con il Ministero della ricerca e del-l’università è in corso un lavoro comune indi-rizzato a consentire in modo più agevole la tra-sformazione dei risultati della ricerca in inno-

vazioni tecnologiche.Per concludere, un messaggio di speranza enon di rassegnazione. Con questa Conferenzasi è voluto richiamare l’attenzione sul fatto che,nella realtà e come ci dicono i rapporti delleNazioni Unite, il clima ha già subito, sta suben-do cambiamenti drammatici. Ma questo nostrogrande appuntamento nazionale vuole sottoli-neare e valorizzare il fatto che il nostro Paesepossiede un grande patrimonio di conoscenze,di cultura, di capacità operative sulla base delquale possiamo ragionevolmente ipotizzare dipoter contrastare efficacemente gli effetti negati-vi del cambiamento in atto. È una scommessa sucui ci sentiamo di puntare.

F. Mussi. L’ambiente è attual-mente il campo principale dellapiù grande e più dura battagliapolitica che abbia mai impegna-to l’umanità. Il mondo è in riser-va: è intravista la fine dei com-

bustibili fossili, e continuare a bruciarli puòprovocare cambiamenti irreversibili nella com-posizione biochimica dell’atmosfera. Si è difronte a un doppio problema, il livello delle tec-nologie e il modello economico e sociale, chepuò essere sintetizzato così: il capitalismo nellasua forma attuale è incompatibile con il pianetaTerra. È necessaria una riforma del sistemaeconomico e sociale, poiché le criticità ambien-tali richiedono una trasformazione strutturale.Per attuarla pacificamente, è fondamentale chela conoscenza, frutto della ricerca scientifica,sia sempre più sviluppata e che sia messa adisposizione di tutti.Per quanto riguarda le strategie di adattamento,bisogna invertire la tendenza all’accelerazionedei cambiamenti climatici. Gli obiettivi posti

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24 Piano messo a punto dal Ministero per lo sviluppo economico con il quale sono stabilite le nuove linee strategichedella politica industriale italiana sulla base delle quali, nel medio-lungo periodo (il 2015), le attività industriali do-vranno integrare produzione manifatturiera, servizi avanzati e nuove tecnologie.

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dall’Europa – entro il 2050, riduzione di circa il60% delle emissioni di CO2 in aria con, entro il2020, incremento del 20% del risparmio energe-tico, del 20% delle energie rinnovabili e del20% di alternative – sono molto impegnativi.L’Italia, che ha sottoscritto il Protocollo di Kyoto,si sta allontanando dal raggiungimento di que-sti obiettivi. Risparmio energetico vuol dire mo-tori efficienti, tecniche costruttive innovative, si-stemi di mobilità e trattamento dei rifiuti all’a-vanguardia: grandi scelte, comprese quelle de-rivanti dai comportamenti dei singoli cittadini(fare la raccolta differenziata dei rifiuti, instal-lare pannelli fotovoltaici, ecc.). E per le energieda fonti alternative, l’Italia deve recuperare unduplice svantaggio: il limitato utilizzo dell’ap-plicazione di energia solare ecc. e la pressochéinesistente produzione delle relative tecnologie.Queste scelte, poiché richiedono ingenti finan-ziamenti, dovrebbero essere rappresentate daspecifiche voci nella prossima legge Finanzia-ria.I governi di tutto il mondo – come scrive in unsuo recente libro David Gustein, vicedirettoredell’Istituto di tecnologia della California Cal-tech, rivolgendosi ai ricercatori, agli scienziatie, appunto, ai governi di tutto il mondo – do-vrebbero concentrare le risorse e le intelligenzeper disinnescare quella che egli chiama “labomba ambientale” dei cambiamenti climatici.L’Italia dovrebbe farsi promotrice di una propo-sta in tal senso a livello internazionale. Per otte-nere risultati, naturalmente, vi sono alcune con-dizioni che devono essere presenti. Una per tut-te: se una parte crescente del surplus dell’eco-nomia mondiale, che cresce del 4-5% l’anno, èdestinata agli armamenti, non vi saranno fondisufficienti per la riduzione delle emissioni diCO2, azione che comporta grandissime risorseeconomiche per gli investimenti in ricerca e intecnologie.

P. L. Bersani. Il tema ambientalepuò essere una guida ai processidi innovazione e di crescita so-stenibile, divenendo così unaparte importante della nostracultura. Ciò significa che la no-

stra cultura deve fornirci criteri di razionalità ecompatibilità per poterlo trattare.Per esempio, perché sia credibile l’impegnopreso dall’Unione europea di ridurre le emissio-ni in aria dei gas a effetto serra, un criterio puòessere rappresentato dalla sua capacità di dareimpulso a un negoziato internazionale che fa-vorisca la nascita di una partnership in ambitoeconomico, politico, ecc., tale da consentire aipaesi in via di sviluppo di progredire senza ri-petere le scelte ambientalmente negative fattedai paesi industrializzati.Un altro criterio di razionalità è quello che po-tremmo chiamare della “legittimazione degliobiettivi” mancando il quale, se in economia siriscontrano micidiali distorsioni a causa di nonadeguati meccanismi messi in opera per rag-giungere giusti obiettivi, gli stessi sono delegitti-mati. Un esempio può essere fornito dalle que-stioni legate al mix energetico. La politica delGoverno italiano al riguardo è incentrata sullapromozione di un mix che comprende anche ilcarbone. Ciò al fine di far mantenere all’Italia ilpasso industriale e tecnologico collegato allaproduzione di elettricità dal carbone, dal mo-mento che il principio “chi inquina paga” havalenza diversa nei vari paesi membri dell’U-nione europea a causa dell’aver adottato unmeccanismo “perverso” di autorizzazione delleemissioni, in base al quale una medesima im-presa può rilasciare emissioni di diversa tipolo-gia e quantità a seconda del paese in cui ope-ra. Questo non è un meccanismo razionale,tanto che dovrebbe essere chiesto all’Unioneeuropea di rivederne l’impostazione, pur man-tenendo gli obiettivi fissati, pena una perdita dicredibilità.

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In altri termini, i buoni obiettivi devono esserelegati a buoni meccanismi. Per esempio, la pro-duzione di energia da fonti rinnovabili: è unmercato che noi dobbiamo, e vogliamo, incenti-vare.Se questo buon obiettivo venisse legato, neiprossimi anni, a meccanismi non razionali,avremmo nel mercato economico distorsioni taliper cui l’obiettivo finirebbe delegittimato. È notoche è attualmente in corso un dibattito circal’applicazione di strumenti quali il “CIP6”25 atariffa garantita o i cosiddetti “certificati verdi”.Poiché è un tema palesemente global, è neces-sario che i criteri cautelativi riguardanti il mec-canismo delle importazioni siano valutati nel-l’ambito più vasto della politica economica eu-ropea perché, se i paesi membri decidono sin-golarmente, si avranno micidiali distorsionieconomiche.Un altro esempio di criterio di razionalità as-sente è fornito dal tema della sicurezza energe-tica. Posto il fatto che il nostro mix energeticodeve puntare sulle rinnovabili e sull’efficienzaenergetica, è pur vero che, attualmente, il gas èla componente più rilevante. Ne consegue lanecessità che siano garantite le infrastrutture es-senziali per il suo approvvigionamento. La sele-zione delle “migliori” infrastrutture sarebbe au-spicabile che avvenisse in opportune sedi ovefosse possibile svolgere una seria riflessione po-litica, allo scopo di poter prendere decisioni sul-le questioni strategiche non emancipandole dal-la valutazione ambientale, ma studiando solu-zioni che consentano l’adozione di procedurelineari. Ciò al fine sia di tranquillizzare i cittadi-ni sotto il profilo della sicurezza sia di poterconsiderare i temi ambientali serenamente intutta la loro rilevanza.I casi citati hanno riscontri nei fatti. Il Governo,dall’anno scorso, ha attuato alcune misure nel-

l’ambito della politica industriale, misure che, do-vendo essere intensificate e perfezionate neimeccanismi amministrativi, necessitano di unapolitica di lungo periodo. I risultati sono stati coltiin molti settori: nei sistemi di distribuzione, in ter-mini di risparmio energetico; è stato avviato il fo-tovoltaico; è stato registrato un consumo maggio-re di idrocarburi di migliore qualità – automobilie altro – con conseguente riduzione delle emis-sioni; si sta affrontando il problema dei consumidomestici. Per la nuova politica industriale, sonostati avviati progetti che riguardano l’efficienzaenergetica e la mobilità sostenibile. Per l’efficien-za energetica è previsto un impulso allo sviluppodi tecnologie italiane. Per la mobilità: il raddop-pio, entro due o tre anni, della capacità ferrovia-ria sull’asse fondamentale del Paese consentiràdi ridurre in modo significativo l’uso di automo-bili, autostrade e così via. È, poi, necessaria una“politica del riuso”, con una migliore utilizzazionedelle infrastrutture e riuso del territorio: riqualifi-cazione urbana; uso di aree compromesse constorie industriali negative; snellimento delle pro-cedure di bonifica e reinvestimento; nuovo pianodegli investimenti per il Sud. Per concludere: inserendo criteri di razionalitànel dibattito tra politiche ambientali e politicheindustriali è possibile giungere a soluzioni con-cordate.

A. Matteoli. Ringrazia il Ministro dell’ambienteper l’invito a partecipare alla TavolaRotonda.

Tutti dovrebbero abbandonarel’atteggiamento indifferente o, al contrario, ca-tastrofista nei confronti degli effetti prodotti daicambiamenti climatici. Il problema esiste: que-sto fenomeno incide sulle scelte quotidiane della

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25 “CIP6”: modo sintetico di indicare gli strumenti approvati dal Comitato Interministeriale Prezzi (CIP) con la delibe-razione n. 6 del 1992: contributi alle fonti di energia assimilabili alle energie alternative.

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popolazione; e l’economia e la politica ne de-vono tenere conto.Due problemi vanno affrontati nell’immediato,in Italia: il trasporto e la produzione di energia.In questa legislatura l’incentivazione delle fontirinnovabili ha avuto a disposizione più risorsee, quindi, vento e acqua sono stati utilizzati piùche in passato per produrre energia. Si puòcondividere la scelta per l’Italia del mix energe-tico comprendente anche il carbone e il gas,con la conseguente necessità di impiego dei ri-gassificatori.Sul trasporto: è necessario avere risorse ade-guate per migliorare i servizi in città – mezzipubblici e parcheggi – altrimenti i cittadini con-tinueranno a usare massicciamente le automo-bili. Un dato: sul nostro territorio, abitato da56-57 milioni di abitanti, vi sono 32 milioni diauto che circolano; di questi, 13 milioni hannosuperato i 10 anni di vita e sono, quindi, alta-mente inquinanti.È auspicabile un confronto politico ad ampiospettro sulle problematiche ambientali.Per concludere, una nota positiva: sulla base dialcune iniziative degli Stati Uniti d’America e dialcuni timidi primi segnali da parte della Cinasembra ragionevole ipotizzare che questi paesi sistiano orientando verso un utilizzo più sosteni-bile dell’ambiente.

G. Epifani. Se intercorre moltotempo tra la descrizione degli ef-fetti dei cambiamenti climaticifatta, per esempio, dai media el’indicazione delle azioni di ri-sposta in base alle quali è possibi-

le cambiare o mitigare tali effetti o procederead adattamenti nei loro confronti, viene a crear-si una situazione particolarmente delicata dalpunto di vista della responsabilità individuale e diquella collettiva. Ancora peggio, se tali azioninon sono proprio indicate. Sarebbe, pertanto,auspicabile che il Governo, tra qualche tempo –

per esempio, tra due anni – fosse in condizionedi fare il punto di quello che in questo periodofosse stato fatto, cosicché la denuncia di aspettinegativi fosse accompagnata dalla presenta-zione di quelle iniziative che avessero consenti-to di cominciare a invertire tendenze o a co-struire risposte ai problemi. Sarebbe, inoltre,opportuno che la descrizione sia dei processi dicambiamento sia dei pericoli impliciti nei rap-porti tanto fra territori quanto tra generazionifosse affiancata da un piano di formazione ealfabetizzazione dei cittadini – produttori, consu-matori, giovani, ecc. – su questi fenomeni, le lo-ro conseguenze e i problemi che causano, af-finché possa essere colmato il divario tra la de-nuncia e la consapevolezza individuale degliesiti dei cambiamenti climatici.Alcune considerazioni. L’Italia è un paese che èmolto bravo a fare cose straordinarie a livello disingole realtà, ma che incontra grandi difficoltàquando si tratta di governare i processi com-plessi, quelli che riguardano più territori, piùamministrazioni, più istituzioni, più interessi. Itrasporti, l’energia, la formazione, la sanità –cioè, tutti quei settori in cui non basta la capaci-tà individuale, ma occorre una logica consapevo-le di governo coordinato – ne sono un esempio.Anche le azioni di intervento nei confronti deigas a effetto serra, il risparmio energetico, ladiversificazione delle fonti, la tutela delle coste, leacque interne, l’assetto idrogeologico, la mon-tagna, il mare richiedono una capacità di go-verno generale.Riguardo agli “strumenti” da utilizzare per unapolitica di contrasto dei cambiamenti climatici,si avverte l’esigenza di ripartire con una logica di“fiscalità di vantaggio”, di “fiscalità premian-te”, in modo che sia possibile premiare le im-prese che si comportano bene, che innovano,che attuano politiche di risparmio energetico,riconversione o investimenti rispetto a quelleche non fanno tutto ciò. E ciò che vale per le im-prese deve valere anche per le comunità, le fami-

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glie, le amministrazioni locali. La domandapubblica è un altro strumento a disposizionedelle strategie di contrasto. Infatti, se è adegua-tamente orientata, coordinata, può avere effettipositivi su tutta la “produzione di beni e serviziverde”, o a basso contenuto energetico o ad al-to contenuto tecnologico e di risparmio ambien-tale. Adottando una logica di sistema, conse-guentemente è affermato il primato dell’interessecollettivo su quello individuale o di parte. Un altro punto debole nelle strategie di contra-sto ai cambiamenti climatici è rappresentatodalla ricerca e l’innovazione. Il Paese è in ritar-do tanto su i contenuti dei piani della ricercaquanto sulle conseguenti ricadute sull’innova-zione, con il risultato per esempio che, riguardoa tutte le fonti energetiche, l’Italia è in difficoltà. E ancora: l’attuazione dei piani di bonifica per lariconversione di molte aree del Paese spesso èbloccata per mancanza di risorse. Ma prima diagire a favore di nuove criticità, sarebbe neces-sario iniziare dalle tante emergenze ambientalituttora esistenti le quali, se non risolte, rimango-no un problema che, alla lunga, potrebbe esse-re complicatissimo risolvere.Dove trovare le risorse per tutto questo? L’ap-provazione della legge Finanziaria per il 2008porrà il Paese di fronte alle difficoltà e ai nodiirrisolti. Incentivi, investimenti, responsabilitàpubblica e capacità di privilegiare una logicadi mercato che valorizzi i profitti, non solo mone-tari, a medio e a lungo termine, piuttosto chequelli a breve: questa la strada da seguire.Infine: il mondo del lavoro. Esso risente degli ef-fetti dei cambiamenti climatici, e sebbene – dalpunto di vista sindacale – molte cose siano muta-te rispetto al passato, tuttavia a volte è un lace-rante dilemma scegliere tra far aprire una fab-brica e affrontare un problema di inquinamen-to, quando si ha il problema della mancanza dioccupazione. Il lavoro, però, è anch’esso unasorta di “fonte di ecologia sociale”, in termini disicurezza e qualità. Molti degli obiettivi legati

all’inserimento dei temi ambientali in una nuovadimensione di mercato possono essere raggiun-ti, se è posto al centro dell’attenzione ciò che èprodotto e, soprattutto, come è prodotto.

R. Bellini. Ringrazia per l’invito e presenta isaluti del Segretario Generale CISL,Raffaele Bonanni, impossibilitato aessere presente.

Spesso si nota una certa difficoltà a trasferire laconvergenza di più portatori di interesse, regi-strabile nel momento dell’analisi di un certo pro-blema, al momento in cui si deve passare all’a-zione. Per far sì che ciò accada relativamente al-le problematiche ambientali, sarebbe necessariauna “grande alleanza” tra le istituzioni, la politi-ca, le organizzazioni sindacali, i sistemi economi-ci e produttivi, le associazioni ambientaliste: inbreve, un nuovo “patto di civiltà”, con il qualefosse possibile proteggere l’uomo e l’ambiente. Detto questo, alcune considerazioni. Una primariflessione riguarda lo sviluppo sostenibile. Essonon è realizzabile esclusivamente attraverso ilmercato o l’iniziativa privata. Sarebbe opportu-no ripensare il ruolo del sistema pubblico rispet-to ad alcuni temi fondamentali quali, per esem-pio, l’energia e il mix energetico. Non c’è dubbioche, per trovare soluzioni che soddisfino le esi-genze dell’Italia, il ruolo dell’attività pubblicadebba essere fondamentale per l’indirizzo degliinterventi relativi all’incentivazione delle fontirinnovabili e all’utilizzo delle fonti tradizionali.Anche la gestione dell’acqua, la proprietà pub-blica, le abitazioni civili, il sistema dei trasportirappresentano ambiti nei quali il ruolo del pub-blico è importante. Potrebbe essere utile attivareun grande sistema di investimenti con il qualefavorire l’eco-compatibilità di questi settori. L’i-niziativa privata, poi, potrebbe essere stimolataa partecipare a tali realizzazioni mediante si-stemi premiali e incentivanti. È necessario che

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questi ultimi non siano esclusivamente indiriz-zati, in modo indistinto, verso un sistema pro-duttivo finanziario ed economico, ma che losiano anche verso la valorizzazione del capita-le umano e delle risorse naturali. Il Ministro del-l’ambiente ha affermato che basta investire l’1%del prodotto interno lordo per risparmiare 20volte tanto sui costi delle conseguenze dellamancanza di interventi. Quindi, è necessarioche i sistemi premiali siano finalizzati alla pro-duttività del lavoro e delle risorse naturali. Que-sti gli elementi che consentono uno sviluppoqualitativo capace di conciliare l’uso del territo-rio e le risorse naturali con la persona; elementida considerare fondamentali in fase di proget-tazione degli interventi, e non consequenziali osubalterni.Una considerazione relativa al mondo del lavoro.Proprio nell’attività del Sindacato si vede la pos-sibilità di riuscire a coniugare i temi legati allosviluppo, i problemi ambientali ed ecologici: peresempio, istituendo sui posti di lavoro il Rappre-sentante per la sicurezza e l’ambiente. A questidovrebbe essere riconosciuta la competenza dicontrattare con le aziende l’impatto ambientaledelle loro attività, al fine di poter addivenire a unvero e proprio bilancio ambientale delle risorse.Il sistema produttivo, infatti, non può risolversiesclusivamente nel binomio “produzione-consu-mo”, senza considerare i costi ambientali, umanie sociali. Anche in questo caso, serve un grandesistema di relazioni sindacali che sia in grado dimettere insieme, non solo ed esclusivamente nel-la logica della responsabilità sociale dell’impresa,questi grandi temi.Ultima considerazione. Anche a livello europeosono, purtroppo, da registrare molte contraddi-zioni, quando si passa dall’analisi dei problemialle azioni per risolverli. A quelle specifiche ci-tate da altri se ne potrebbe aggiungere una, dicarattere più generale. Lo sviluppo sostenibilecostituisce il quadro generale in cui è inserita la“Strategia di Lisbona”. L’attuazione di questa è

lasciata alla decisione politica dei singoli stati,alla loro disponibilità e possibilità economica:in definitiva, alla volontarietà e non a un’imposta-zione vincolante con obblighi da rispettare. Ènecessario, pertanto, lavorare a livello europeoper riuscire a fare in modo che ogni singolopaese trovi posizione all’interno di questa pro-gettualità; per fare ciò non è possibile esserevincolati solo ed esclusivamente alla rigiditàmonetaria, ma serve attivare una politica eco-nomica europea utile a creare un mercato fi-nanziario europeo al quale attingere per grandiprogetti di utilità condivisa finalizzati a uno svi-luppo sostenibile cooperativo di qualità e di for-te coesione sociale.

L. Angeletti. Le azioni che devo-no essere compiute per contra-stare gli effetti dei cambiamenticlimatici, come tutte le azioni fi-nalizzate a contrastare situazio-ni avverse, richiedono un suffi-

ciente livello di consenso dell’opinione pubbli-ca. Il messaggio che i media, la classe dirigente,gli esperti trasmettono ai cittadini sull’argomen-to dovrebbe mettere in risalto gli aspetti chepossono influire effettivamente sui loro compor-tamenti e indurre la maggioranza a ritenere cheil problema sia reale ma al tempo stesso possibi-le da risolvere, spiegando anche come fare. Sidovrebbe, pertanto, evitare di adottare forme dicomunicazione che inducano a pensare, peresempio, all’ineluttabilità degli eventi, a respon-sabilità occulte quali loro cause, a drastici peg-gioramenti dei modelli di vita attuali quali mez-zi per contrastarli.È certo che il comportamento di centinaia di mi-lioni di persone che vivono nel cosiddetto “Pri-mo Mondo” ha grande valenza nei confrontidell’ambiente. Non lasciare la plastica ovun-que, gettare le lattine e i vetri nei raccoglitori,spegnere la luce quando non serve tenerla ac-cesa sono comportamenti concreti, che assom-

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mano l’acquisizione della conoscenza del pro-blema e la soluzione del problema stesso.Anche la politica del lavoro, nel suo senso piùgenerale, deve avere cura di trasmettere mes-saggi positivi. Per esempio: l’anno scorso il Gover-no ha disposto l’aumento della tassa di bollo sul-le vecchie automobili che inquinano, adottandoun comportamento punitivo nei confronti dei cit-tadini che non possono acquistare un’auto nuova.Un comportamento positivo nell’opinione pub-blica va incoraggiato attraverso la riduzione delcarico fiscale, incentivando le imprese che ri-sparmiano energia o che fanno investimenti peradottare processi produttivi meno inquinanti. At-tuare scelte politiche concrete significa anchelanciare un messaggio importante: l’essere uma-no può vivere meglio di come non abbia fattonegli ultimi due secoli, in cui lo sviluppo ha ri-guardato solo il 10% dell’umanità. È giunto ilmomento che tale sviluppo, almeno tendenzial-mente, punti a raggiungere il 100% dell’umanità.Occorre trovare una soluzione alla questione,apparentemente insolubile, tra disponibilità dimaterie prime e risorse naturali e il crescente nu-mero di fruitori. Non è vero che lo sviluppo indu-striale, lo sviluppo economico, l’accrescimentodei posti di lavoro, la qualificazione dell’attivitàlavorativa siano incompatibili con le risorse na-turali disponibili: semplicemente, bisogna tenerpresente che vi sono risorse che possono essereutilizzate largamente perché pressoché infinite eche ve sono altre, non infinite, che devono essereusate meno e meglio.È necessario maturare una cultura razionaledell’agire.

R. Polverini. Ringrazia il Ministro dell’ambienteper aver promosso l’importante ini-ziativa della Conferenza Nazionalesui cambiamenti climatici, e per averviinvitato le Organizzazioni sindacali.

Per iniziare, è opportuno richiamare l’attenzione

sul problema dell’acqua. Per noi non si trattasoltanto del problema del risparmio idrico, odella salvaguardia del mare: si tratta, prima ditutto, della garanzia dell’utilizzo di un beneprezioso per la sopravvivenza, per l’ambiente eper la sicurezza di un paese.Per questo non siamo favorevoli ai tentativi chenel nostro Paese si stanno facendo per privatiz-zarne la gestione. Non siamo contrari alle libe-ralizzazioni, è evidente, ma la gestione di alcu-ni beni, a nostro avviso, deve rimanere sotto ilcontrollo dello Stato. L’ambiente, anche grazie a questa Conferenza,è tornato prepotentemente al centro dell’atten-zione politica e dell’opinione pubblica: si notauna nuova sensibilità verso le tematiche am-bientali, in Italia e nel mondo. Per esempio, labattaglia condotta negli Stati Uniti dall’ex vice-presidente Al Gore ha, in qualche modo, ride-stato le coscienze ambientaliste – pur con tuttele critiche che sono state riportate – in un paeseche non è generalmente molto sensibile allaquestione ambientale, al punto da aver favoritoun atteggiamento più aperto di quell’ammini-strazione nei confronti del Protocollo di Kyoto.Ancora: recentemente, in sede APEC (Asia-Pa-cific Economic Cooperation) è stato concluso unaccordo tra i paesi del settore Asia-Pacifico –che comprende anche Stati Uniti, Cina e Russia –per l’adozione di una serie di obiettivi, sebbenesenza impegni stringenti, riguardanti la riduzio-ne delle emissioni di gas a effetto serra. È im-portante che la Cina, questo enorme paese chesta raggiungendo elevati traguardi di sviluppoeconomico per lo più non seguendo le normedei paesi occidentali, cerchi di dare un consensoper porre base alla riduzione dei gas a effettoserra. In Gran Bretagna la ricerca di un rappor-to migliore uomo-ambiente ha ormai permeatotutte le forze politiche, ed è addirittura al centrodel programma del leader conservatore. LaGermania si sta dando obiettivi molto ambiziosiche, peraltro, riesce a conseguire molto rapida-

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mente, prim’ancora che il governo li fissi a livel-lo ufficiale, grazie alla spontanea iniziativa deiprivati. In Europa si sta discutendo di una diret-tiva per la tutela penale dell’ambiente e si staattuando, pur con grande fatica, il Piano d’a-zione per l’efficienza energetica. A fronte di tutto ciò, il Sindacato non può piùconsiderare la tutela dell’ambiente una variabi-le indipendente rispetto alle esigenze di occu-pazione, ma deve anche prendere in esame lasalute e la sicurezza dei lavoratori, quindi an-che la sicurezza dei territori interessati. Infatti,oltre alla sicurezza sui luoghi di lavoro, le ma-lattie professionali hanno molto a che fare con iproblemi dell’ambiente.Anche le Borse cominciano a premiare le im-prese che producono beni destinati al risparmioenergetico, quasi a testimonianza di un atteg-giamento diverso delle industrie, che comincianoa tenere in considerazione il valore ambientale.L’impulso dato alla ricerca sulle nuove tecnolo-gie riduce la dipendenza da materie prime co-stose e introvabili. Le nanotecnologie, per esem-pio potrebbero rappresentare un elemento im-portante per una migliore efficienza delle fontialternative. Queste nuove opportunità devonoessere poste alla base del ristabilimento dellegiuste gerarchie tra economia, esigenze del-l’uomo e ambiente.La povertà è un aspetto inscindibile dal modelloeconomico, e dovrebbe condurci a ripensare ilnostro modello di sviluppo riducendo, nel con-tempo, le fonti di inquinamento. Nel 2006 l’UEha varato un Piano di azione per l’efficienzaenergetica con il quale sono stati posti obiettiviprecisi per il risparmio energetico, dimostrandoche è possibile mantenere i medesimi standarddi attività a fronte di consumi minori. Per rag-giungere gli obiettivi fissati è indispensabile unacorretta informazione sulla situazione delle ri-sorse energetiche disponibili e sui fabbisognireali.Tutto ciò richiede anche molte risorse economi-

che: la legge Finanziaria per il 2008 può rap-presentare un strumento con il quale verificarel’effettiva volontà politica al riguardo.

E. Marcegaglia. Ringrazia il Ministro dell’ambienteper l’invito a partecipare alla Confe-renza Nazionale sui cambiamenticlimatici.

L’industria italiana crede fermamente di avereun ruolo e una responsabilità nel contribuire,insieme a tutti gli altri soggetti coinvolti, alla so-luzione delle problematiche poste dai cambia-menti climatici. La tutela ambientale, principioche tutti condividiamo, deve essere congiuntaalla sicurezza energetica, alla competitività del-le imprese e al benessere dei nostri cittadini. Ec-co perché risulta necessaria la collaborazionetra istituzioni, imprese e lavoro. È opportunoche l’Europa abbia una leadership in materia dilotta ai cambiamenti climatici e che si pongaobiettivi ambiziosi, ma è bene sottolineare conestrema chiarezza che la leadership europeadeve essere, altresì, espressa attraverso la ca-pacità di portare ai tavoli di contrattazione, conimpegni vincolanti, anche gli altri grandi paesidel mondo. Altrimenti, la questione dei cambia-menti climatici non si risolve e sorge, per le impre-se, un problema serio di competitività.Il punto cruciale non è rappresentato tanto dalfatto che il capitalismo di oggi non sia coniuga-bile con la tutela ambientale: il capitalismo sanolo è, e lo è fortemente ma, se grandi paesi comela Cina, non praticheranno politiche di riduzio-ne delle emissioni, le stesse regole di mercato ri-schiano di essere stravolte.Accanto a ciò, sono necessari anche investi-menti e incentivi seri sulla ricerca e sulla forma-zione e, per quanto riguarda l’Italia, in partico-lare nel Mezzogiorno.Vi sono, però, anche iniziative positive che meri-tano di essere citate.

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Ecco perché, in Confindustria, è stata costituitauna Task Force “ad hoc” sull’efficienza energeti-ca coinvolgendo tutte le associazioni e strutturedel sistema, e nello scorso mese di luglio abbia-mo pubblicato il documento finale che riporta leproposte del settore industriale italiano per ilPiano Nazionale di efficienza energetica. Pro-poste che riguardano non solo il settore indu-striale, ma anche comparti quali terziario, resi-denziale, infrastrutture/trasporti.Solo per fare alcuni esempi: nel settore della cli-matizzazione, si può ottenere una riduzione delconsumo di energia tra il 30 e il 50% rispettoagli impianti tradizionali; nel campo della co-ibentazione, si possono ridurre le emissioni diCO2 di circa 20 Mtonn/anno; per quanto ri-guarda gli elettrodomestici, con le indicazionifornite con le Proposte di Confindustria, si puòottenere, da qui al 2015, un risparmio di 30Mtep, equivalenti a circa 68 Mtonn di CO2; sulversante dell’illuminazione, si possono ridurredel 38% i consumi elettrici; favorendo l’adozio-ne di motori elettrici ad alta efficienza e inverter,il risparmio può arrivare a circa 20 TWh/anno(7% dei totali consumi elettrici italiani).Affinché questi risultati possano essere raggiun-ti occorre, però, che le politiche di incentivazio-ne siano improntate a logiche di lungo periodo,in grado di orientare gli investitori costituendoun contesto stabile e affidabile e non siano, inve-ce, sottoposte a continua contrattazione per otte-nere un risultato di mercato predeterminato.Questo approccio è valido anche per le fontirinnovabili per le quali, richiedendo investimen-ti ingenti, è necessario che siano garantite rego-le che rimangano costanti e strutturali e che noncambino continuamente, in modo che chi deci-

de di investire in questi settori sappia a cosa vaincontro. È indispensabile anche che sia disponi-bile un quadro organico dei vari provvedimentie incentivi, in base al quale sia possibile avereuna visione complessiva delle incentivazioni perl’efficienza energetica, per le fonti rinnovabili, i“certificati bianchi”, i certificati verdi, l’emissiontrading. E che gli investimenti in questo settorenon siano resi difficoltosi da complesse proce-dure burocratiche.Riguardo alla produzione di energia da fontirinnovabili, alcune imprese italiane, in partnership con professori universitari che negliultimi quindici anni hanno conseguito brevettisui pannelli fotovoltaici, hanno avviato un’ini-ziativa per produrli in Italia, specificamente inLombardia: i primi esemplari sono attesi tra cir-ca un anno e mezzo. Gli imprenditori italiani, poi, hanno risposto inmaniera significativa alle iniziative del Governosull’innovazione industriale (il Piano “Industria2015”26), in quanto hanno compreso che que-sto è un settore nel quale investire, fare innova-zione tecnologica e andare avanti. La Finanzia-ria è il momento vero, concreto, in cui è possibi-le attuare queste politiche. Come Confindustriaabbiamo proposte perché l’efficienza energeti-ca e l’energia da fonti rinnovabili possano esse-re sviluppate: le mettiamo a disposizione, epensiamo davvero che in questo campo moltopossa essere fatto.C’è un mondo che si sta muovendo. Probabil-mente i risultati non sono visibili oggi ma traqualche tempo, per cui invitiamo il Ministro del-l’ambiente a organizzare, tra un anno o due, unevento analogo per verificare i progressi fatti.

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26 Cfr. nota n. 24.

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1.14 Piani di adattamento: la dimensioneinternazionale ed europea

1.14.1 Tommaso Sodano, Presi-dente Commissione Ambientedel Senato

L’aumento dei rischi connessi aimutamenti climatici obbliga a

scelte che occorre assumere in tempi brevi, enonostante non sia ancora certo il mix miglioretra le politiche di adattamento e quelle di miti-gazione, la cosa certa è che più si investe ora inmitigazione, minor bisogno ci sarà in futuro didover ricorrere ai piani di adattamento, e minorsofferenza ci sarà nel mondo. Sottovalutare illegame tra politiche di mitigazione e di adatta-mento potrebbe minare l’efficacia stessa deiprogrammi e degli investimenti mirati alla ridu-zione degli effetti dei cambiamenti climatici. Gliinterventi di mitigazione sono un obbligo per lecomunità mondiali, e l’impegno a ridurre leemissioni secondo gli obiettivi del 2020 sono unpassaggio importante ma, nonostante tutto, an-cora parziale.I piani di adattamento, così come le politiche dimitigazione, hanno impatti trasversali soprattut-to per ciò che attiene alla gestione del territorio,alla gestione delle risorse idriche, alle produ-zioni agricole, alle infrastrutture. Spesso, anchea livello internazionale, si trovano esempi di in-terventi che, con l’intenzione di ridurre le emissio-ni e di attuare quindi misure di mitigazione, ge-nerano invece impatti non sempre coerenti congli obiettivi prefissati. Si prenda il caso dei bio-carburanti, esempio eclatante di come politicheche vogliono essere di mitigazione possono in-vece avere conseguenze negative, come l’inqui-namento atmosferico, la deforestazione, le in-giustizie sociali, rendendo proibitivo l’accessoal cibo per milioni di persone. Il recente rappor-to dell’OCSE sui biocarburanti evidenzia comequesti costituiscano un pericolo per la sicurezza

alimentare, a fronte di una riduzione massimadelle emissioni di uno scarso 3%. Oltretutto, ibiocarburanti generano una pericolosa compe-tizione tra automobili e persone: una concor-renza tra 800 milioni di persone che hanno leauto e 3 miliardi di persone che vivono con 2dollari al giorno. Paesi come l’Indonesia e laMalesia hanno già scelto di investire molto nellaproduzione di biodiesel: secondo stime delleNazioni Unite questo porterebbe a un processodi deforestazione del 98% già nel giro dei pros-simi 20 anni. Diventa, quindi, difficile valutarenel breve periodo gli effetti delle politiche di mi-tigazione nel ridurre la vulnerabilità dal puntodi vista socio-economico nei vari paesi. I pianidi adattamento, invece, possono essere perse-guiti anche da singoli stati e da singole realtàterritoriali. Ma poiché i paesi che dovrannospendere di più per mitigare – i paesi industria-lizzati – non corrispondono a quelli che dovran-no poi spendere di più per adattarsi – i cosid-detti “paesi in via di sviluppo” – ne consegueche anche i piani di adattamento necessitano diun coordinamento a livello internazionale.Tra gli obiettivi principali di una politica diadattamento deve esserci anche quello di evita-re che le conseguenze dei cambiamenti climati-ci possano rafforzare disuguaglianze sociali trale popolazioni. Gli effetti dei mutamenti climati-ci, infatti, colpiscono con maggiore forza i pae-si in via di sviluppo e le fasce di popolazionemeno abbienti in tutti i paesi: basti citare quelloche è avvenuto in alcune aree del Bangladesh,del Nepal, o del centro Africa. Se una frazionepiccolissima di risorse che vengono investite inipotesi alternative di adattamento venisse indi-rizzata alla mitigazione da un lato e all’adatta-mento dall’altro, probabilmente anche gli inve-stimenti in ricerca e innovazione sarebbero tra-scurabili rispetto a quelli “di emergenza” neces-sari, a valle, per ripristinare i danni provocatidelle catastrofi ambientali. Come ricordato dalMinistro dell’ambiente nella sessione di apertura,

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il rapporto tra gli investimenti preventivi e quellidi emergenza sarebbe di 1 a 40. Il cambiamento climatico rappresenta una sfidaal modello di produzione e alla continua corsaalla crescita economica. È necessario, a propo-sito, far emergere le contraddizioni tra salute eprofitto, tra ambiente e crescita, tra sviluppo esostenibilità. Se è vero che la natura impiega unanno e 3 mesi per rinnovare quello che l’umani-tà consuma in un anno, vuol dire che l’umanitàsta consumando il suo stesso capitale a ritmi in-sostenibili: è questo il paradosso del binomio“sviluppo sostenibile”. Per compiere passi signi-ficativi nella lotta ai cambiamenti climatici,quindi, occorre ripensare l’assunto del nostromodello economico, secondo cui il benesseredelle persone aumenta di pari passo con i consu-mi. Lo sviluppo non deve essere necessariamen-te subordinato a un grande consumo di risorse:ci sono esperienze nel mondo che dimostranoche è possibile raggiungere un livello di benesse-re economico senza per questo motivo danneg-giare le risorse.L’obiettivo del Parlamento italiano – a partiredalla Finanziaria – sarà quello di compiere ilcambio di rotta, di effettuare una virata storicain direzione dell’eco-sufficienza attraverso unariduzione dell’energia e dei materiali utilizzatinell’intero ciclo di vita dei prodotti. Oltre a rivede-re il modello di produzione e consumo, bisognarivedere le scelte politiche industriali, ragionarein termini di un diverso consumo del territorio edelle risorse, nei paesi industrializzati in primoluogo ma sempre con un’attenzione ai paesi invia di sviluppo. Non si può, infatti, parlare dipolitiche di adattamento senza tenere semprepresente il quadro di riferimento globale. Occorre affrontare il tema dei cambiamenti glo-bali in modo rigoroso e scientifico, sperandoche la politica e i governi del mondo ascoltinouna volta tanto ciò che dice il mondo della ricer-ca. Si potranno, così, gettare le basi per unanuova politica a livello internazionale, che eviti

quello scenario catastrofico ipotizzato dal pre-sidente del Senato Marini: che si possa avere,nei prossimi anni, una terza guerra mondialeper il dominio sulle risorse primarie.

1.14.2 Achim Steiner – UNEP,Direttore Esecutivo ProgrammaAmbiente

La questione del riscaldamentoglobale è emblematica di società

che non vogliono affrontare scelte difficili, sinoa quando tali scelte non divengono inevitabili enon più rinviabili. Nel 2007 il tema dei cambia-menti climatici è passato dall’essere tema aesclusivo appannaggio di scienziati e negoziato-ri a essere argomento di dominio pubblico, comesta avvenendo ora in Italia con questa Confe-renza.L’IPCC, il gruppo di eccellenza istituito dalle Na-zioni Unite, dall’Organizzazione Mondiale diMetereologia e dall’UNEP (United Nations En-vironmental Programme) ha dimostrato in ma-niera egregia come occorra un sistema multilate-rale per affrontare le sfide poste dai cambia-menti ambientali. Appena tre o quattro anni fasi dibatteva di quanto contasse la scienza, o l’e-conomia, o se dovesse invece essere la politicadell’interesse pubblico a dover sostenere il di-battito, così come avviene oggi. Quello che è successo negli ultimi mesi è dienorme rilevanza. Prima di tutto, non bisognapiù dibattere sui dati scientifici: l’IPCC ha usato iltermine “inequivocabile” per indicare l’eviden-za del legame tra attività umana e cambiamenticlimatici. Persino i modelli che sono stati utiliz-zati anni fa per esaminare le conseguenze po-tenziali dei cambiamenti climatici non sarannogli stessi che potranno essere utilizzati fra tre oquattro generazioni. È oggi che dobbiamo ef-fettuare alcune scelte, e man mano che il tempopassa abbiamo sempre meno tempo e possibili-tà. È di pochi giorni fa la notizia che persino il

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modello dell’IPCC sullo scioglimento dei ghiac-ciai è obsoleto, e che il fenomeno è di un’entitàmolto maggiore di quella prevista con i nostrimodelli. Il Direttore Generale dell’Agricoltura dellaGroenlandia ha comunicato, con orgoglio, chenel suo Paese si coltivano patate e che tra uno odue anni si pianteranno le fragole. Il riscalda-mento climatico, quindi, è complesso non solodal punto di vista scientifico, ma anche da quellodella distribuzione delle conseguenze: mentre inGroenlandia aumenterà la superficie da desti-nare all’agricoltura e si potranno sviluppare atti-vità prima non possibili, in altre parti del mondoinvece si perderà la possibilità di fare cose che sifacevano da innumerevoli generazioni.Oggi non dobbiamo preoccuparci tanto se cisia o meno il riscaldamento globale, quantopiuttosto di come faranno 6-7 o 8 miliardi dipersone in contesti molto diversi fra loro ad af-frontare un problema come quello dei cambia-menti climatici, mai manifestatosi prima. Unproblema che non può più essere affrontato ascala locale, e neppure con il solo paradigmaeconomico: il riscaldamento globale pone allesocietà e ai paesi del mondo una sfida a tra-sformarsi e a cambiare. Nel mondo esistono oltre 500 accordi politicisul tema dell’ambiente, molti dei quali firmatida più di 100 paesi. Questo testimonia unosforzo mai intrapreso prima nel superare gli in-teressi dei singoli attraverso la presa di coscien-za comune dei problemi in atto. Nessun paese,per quanto potente e tecnologicamente avanza-to, potrà mai vincere da solo la lotta ai cambia-menti climatici. Lo dimostra il cambiamento del-l’opinione pubblica negli Stati Uniti e in Cina, oin Australia e in India. Solo nell’ultimo anno laquestione ha acquisito rilevanza pubblica. Lagente ha cominciato a chiedersi cosa stesserofacendo i governi e i rappresentanti economiciper risolvere le questioni che ci stanno di fronte,e l’opinione e le reazioni della gente vanno pre-

se sul serio, perché sono il barometro di quantouna società voglia e sia pronta a fare alcunescelte. Questo è stato un altro grande cambia-mento. L’IPCC non ha fatto solo scienza, ma haanche permesso di capire che il cambiamentodel clima non è la fine inevitabile delle nostresocietà, ma che abbiamo le possibilità e i mezziper reagire, se solo riusciamo a trovare il mododi riunire più di 190 paesi attorno a un tavoloper cercare risposte comuni. Mitigazione e adattamento sono complementari.Persino in Italia, dove la priorità deve esserecerto la mitigazione, non bisogna sottovalutare lanecessità di adattarsi a un mondo in cui il riscal-damento globale diventa sempre più probabile.Invece di continuare a discutere di come e seun’alluvione o siccità siano la prova dei cam-biamenti climatici, guardiamo a quello che cidice la scienza e a come gli eventi puntuali cor-rispondano o meno a una tendenza generale.Si capisce così perché il dibattito abbia attiratoimprovvisamente l’attenzione dell’opinionepubblica: proprio perché i singoli eventi, manife-statisi in maniera apparentemente disconnessa,appaiono invece rispondere ai trend previsticon gli studi scientifici. Anche se continuiamo a discutere se la tempe-ratura in Italia sia aumentata di 0,3 o di 0,5 °C,quei numeri decimali dopo la virgola non devo-no distrarci dal fatto che il riscaldamento globa-le produrrà prima o poi le conseguenze di cuiabbiamo sentito in questi giorni. Proprio qui ini-zia la nostra sfida all’avvicinarsi della Confe-renza delle Parti prevista dalla United NationsFramework Convention on Climate Change. Tradue mesi e mezzo, 190 paesi si riuniranno aBali, in Indonesia, per aprire il processo di ne-goziazione per il dopo-Kyoto. Non sarà unprocesso facile, ma gli eventi degli ultimi sei me-si lasciano sperare che per il 2009 – quando leparti si riuniranno nuovamente a Copenhagen– il mondo sia riuscito ad accordarsi. Il vero og-getto della negoziazione tra i paesi è il riconosci-

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mento delle varie realtà che le diverse societàdel Pianeta, dall’Africa all’Europa, dal NordAmerica al Pacifico, dovranno affrontare. La problematica dei cambiamenti climatici haprodotto trasformazioni uniche e straordinariesul piano internazionale: ci ha consentito di con-cordare sui fatti e di disporre di un quadro diazione globale all’interno del quale agire in varimodi, per raggiungere un obiettivo comune.La triste realtà tuttavia è che, se si guarda all’A-frica oggi, si vede come il continente meno re-sponsabile del riscaldamento globale è anchequello meno preparato per fronteggiarne leconseguenze. Questo è un dato che finora lacomunità internazionale non ha consideratocon sufficiente serietà. È riprovevole che, nel2007, si stia ancora dibattendo sulla conve-nienza o meno di istituire un piccolo fondo perl’adattamento destinato ad aiutare i paesi in viadi sviluppo. Occorre, quindi, capire quanto la comunità in-ternazionale sia disposta a investire nel soste-gno ai paesi in via di sviluppo, specie quelli piùvulnerabili. Nei dibattiti pubblici in atto in Italiacome questa Conferenza, e in altri paesi, risie-de l’inizio di una comprensione da parte dellapopolazione e una disponibilità a guardare alfenomeno climatico non come a una formulascientifica, tecnocratica o economica da risolve-re ma come a una sfida fondamentale al con-cetto di solidarietà e alla capacità dei paesi diaiutarsi tra loro.L’aspetto peculiare dei cambiamenti climatici èche, oggi, persino il paese più povero è parteinevitabile della capacità dei paesi ricchi di vi-vere in una realtà caratterizzata dal riscalda-mento globale. Il passaggio a un’economialow-carbon non è né un lusso né un privilegiodei paesi industrializzati, e neppure è dei paesiin via di sviluppo la responsabilità morale dimuoversi in breve tempo verso modelli di svilup-po all’avanguardia. Bisogna stare attenti a che il problema dei cam-

biamenti climatici non diventi una strategia dimanipolazione economica di una parte delmondo contro un’altra. Non possiamo cercareun accordo internazionale accusando la Cinadi essere interessata al proprio sviluppo, perchéquesto è esattamente quello che ha impedito al-l’Italia di rispettare gli impegni presi con l’ac-cordo di Kyoto, e che ha giustificato gli StatiUniti dal non ratificarlo. L’egoismo è proprio diogni paese, e la capacità di superarlo e di ne-goziare un accordo richiede un approccio di-verso, come quello promosso dal sistema delleNazioni Unite con la leadership dello stesso Se-gretario Generale che ha invitato i capi di statoa discutere delle responsabilità da prendere. Ilsistema della piattaforma multilaterale è oggil’unica speranza per conciliare tutte le differentirealtà e ottenere un risultato condiviso da tutti.

1.14.3 Hans Verolme – WWFInternazionale, Direttore “Pro-gramma Clima”

La visione del futuro, sostenutadal World Wide Fund è per un

mondo climate safe: un mondo nel quale il ri-scaldamento globale si mantiene, in media, benal di sotto dei 2 °C, nel quale le emissioni diCO2 saranno ridotte dell’80% rispetto al 1990per la metà del secolo e gli ecosistemi più vulne-rabili e rari riusciranno ad adattarsi ai cambia-menti climatici.Il cambiamento climatico è una sfida urgenteche richiede un’azione concertata. Dopo il2012 è necessario un accordo giusto ed equocapace di:– ridurre in maniera significativa le emissioni

da combustibili fossili dei paesi industrializ-zati;

– offrire forti incentivi per gli investimenti nelleenergie pulite, indirizzando le economie deipaesi emergenti verso un modello di crescita abasso consumo di carbonio;

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– arrestare la perdita di foreste;– rafforzare la capacità di adattamento al

cambiamento climatico della natura e dellasocietà umana.

Per raggiungere tali obbiettivi le nazioni devo-no risolvere questioni fondamentali di gover-nance, stabilire indirizzi politici chiari ancheper il trasferimento di risorse finanziarie e tec-nologiche, arrestare forme insostenibili di usodel territorio e investire in infrastrutture sia natu-rali che umane. Paesi, quale l’Italia, dovrannoridurre le loro emissioni di almeno il 20% entro il2020 ed entro la metà del secolo dovranno esse-re “de-carbonizzate” le nostre economie. Unquadro di azione globale, sulla scorta del Pro-tocollo di Kyoto, richiederà il supporto di fortipolitiche nazionali ed europee, investimenti pri-vati e scelte individuali per un futuro pulito. Un mix di politiche e misure organiche dovràessere finalizzato a:– migliorare significativamente l’efficienza

energetica in settori chiavi come le costruzio-ni, i trasporti, l’energia, e le industrie – com-prese quelle più energivore come quelle me-tallurgiche, chimiche, ecc.;

– velocizzare lo sviluppo delle energie rinnova-bili;

– accelerare la conversione verso combustibilia ridotto contenuto di carbonio come il gas.

Questo permetterà di inviare un forte segnalesia al pubblico sia al privato.Il WWF sta investendo molte risorse per la con-servazione della natura e per garantire politi-che forti e sostenere un accordo nelle NazioniUnite sulla scorta del Protocollo di Kyoto. Unadattamento efficace richiede una forte mitiga-zione, e si concentra attorno a quattro azionichiave:1. proteggere uno spazio adeguato sia in termi-

ni quantitativi che qualitativi;2. limitare tutti gli stress non dipendenti dal cli-

ma;3. adottare approcci di gestione adattativi;

4. ridurre le emissioni dei gas a effetto serra.Per quanto riguarda il secondo punto, occorresottolineare che anche se venissero eliminateoggi tutte le emissioni di gas climalteranti, ilcambiamento climatico continuerebbe per altri50-100 anni. Quindi, quello che è davvero im-portante fare è intervenire in tutte le fonti distress, perché non si può arrestare il processo dicambiamento del clima in atto, che è un proces-so di più lungo termine.Alcuni dicono che l’adattamento è una nuovamitigazione. Si parla di mitigazione ormai da15 anni e, all’improvviso, l’adattamento diventaattraente. Ma il costo dell’inazione sul frontedella mitigazione sarà molto grave e, come ri-cordato da Achim Steiner, non sarà a costo zero.Occorre rafforzare la capacità istituzionale, co-me in Italia con questa Conferenza. Occorre,inoltre, valutare la vulnerabilità del territorio eseguire una pianificazione generale che tengaconto del cambiamento del clima. Essa non do-vrà, però, consistere nel classico sviluppo delleinfrastrutture, ma in nuove tecnologie di adatta-mento che offrano al mercato opportunità di ri-cerca, innovazione e trasferimento di know-how. La scala degli investimenti richiesti è dell’ordinedi centinaia di miliardi di dollari, e queste sonocifre che non possono essere coperte con gliaiuti allo sviluppo. Quindi chi paga? Colui cheinquina?Nonostante tutte queste difficoltà, la situazionenon è senza speranza. Il WWF ha in campo di-versi progetti nel mondo finalizzati alla valuta-zione della vulnerabilità degli ecosistemi e allafattibilità di integrare azioni di adattamento neiprogetti di conservazione. Nel Mediterraneo iprogetti del WWF riguardano le aree di ripro-duzione delle tartarughe e consistono – tra l’al-tro – nel misurare la temperatura della sabbia,utile a capire i cambiamenti di rapporto tra i ses-si e il fenomeno dello sbiancamento dei coralli,le correnti oceaniche e la ricerca di nuove aree

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di conservazione per le tartarughe, perché quel-le in cui erano solite vivere sono scomparse. Il WWF coinvolge centinaia di persone collega-te tra loro da una piattaforma globale nominata“Testimone del Clima”, dove si possono con-frontare le proprie idee con quelle altrui, scam-biarsi foto, video, ecc. È iniziata quattro anni facon cinque persone e ora sono centinaia le per-sone in tutto il mondo che si impegnano a sensi-bilizzare politici e cittadini sul problema del ri-scaldamento globale. Gli impatti dei cambiamenti climatici sono, or-mai, evidenti in Italia come altrove: ondate dicalore eccezionali, scarsità di risorse idriche,crisi delle attività agricole, ecc. Il WWF credeche sia necessario proteggere la rete di ecosi-stemi sul pianeta e la loro capacità di adattarsi aicambiamenti causati dal riscaldamento climati-co. Questa è la maggiore opera pubblica da“mettere in cantiere”.

1.14.4 Alexander Muller – FAO,Assistente del Direttore Generale

Anche se la comunità internazio-nale avrà successo, come si spe-ra, nelle negoziazioni per il do-

po-Kyoto a Bali, si avrà comunque a che farecon i cambiamenti climatici nei prossimi decen-ni. Oltre a mitigazione e adattamento, la FAOformula un’ulteriore proposta: quella di discute-re anche le strategie di gestione del rischio. Afronte dell’aumento nel futuro di casi di siccità einondazioni in tutto il mondo, infatti, la gestionedel rischio delle situazioni catastrofiche è unapriorità per il programma politico di ogni go-verno. L’intervento si concentra intorno alla domanda: icambiamenti climatici rappresentano una sfidaaggiuntiva rispetto a quelle già presenti? E qua-li sono le sfide globali nel mondo? I cambia-menti climatici rappresentano, al momento, unodei rischi maggiori per lo sviluppo sociale, eco-

nomico e per l’ambiente. Se si considerano ipaesi in via di sviluppo, poi, il loro effetto diret-to e indiretto rischia di minare decenni di sforziverso la crescita, e i paesi più poveri sarannoquelli a subire le conseguenze più gravi. Il fenomeno del riscaldamento globale producediversi impatti nelle varie parti del mondo: inGroenlandia si coltivano le patate, nel futuro sipensa di fare crescere le fragole. Ma l’impattodel cambiamento climatico sull’Africa è unesempio di come saranno le fasce più poveredella popolazione mondiale a subire le conse-guenze più gravi. Il “Rapporto Stern” indica chele rese delle coltivazioni più importanti in Africadiminuiranno – a seconda dell’aumento mediodelle temperature – tra il 5 e il 35%.Essendo l’Africa l’area dove vivono le personeche più soffrono la fame in tutto il mondo, biso-gna collegare la sfida dei cambiamenti climaticiad altre sfide che ci troveremo a dover affronta-re, e cui dare una risposta integrata. La FAO ha prodotto un rapporto per capire co-sa succederà nei prossimi 50 anni, in una pro-spettiva sino al 2050: assisteremo a una serie dicambiamenti globali, molti dei quali avrannoun impatto diretto sulle aree rurali e riguarde-ranno soprattutto la sicurezza alimentare. Lemaggiori determinanti di questi cambiamentisono l’aumento demografico, l’urbanizzazione,i flussi migratori (e non soltanto all’interno del-l’Africa, ma anche tra i continenti), le patologietransfrontaliere e, ovviamente, una sempremaggior competizione per l’acqua e le terrenon destinate alle coltivazioni. Nell’arco deiprossimi 45 anni la popolazione crescerà sinoa contare 9,2 miliardi di persone. L’incrementodemografico non sarà uguale né tra le regioniné tra i paesi. La crescita maggiore avverrà neipaesi in via di sviluppo, e saranno quindi i pae-si più poveri a dover fronteggiare il boom de-mografico, proprio quelli che saranno più col-piti dai cambiamenti climatici.Nei prossimi 45 anni si dovrà produrre fino

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all’80% di cibo in più rispetto ai livelli attuali.Questo incremento della popolazione nei paesi invia di sviluppo avrà luogo, quasi al 100%, nellearee urbane: quindi, nel 2050, tutte le personeche nasceranno in più saranno nelle aree urba-ne, e ci sarà sempre maggiore competizioneper acqua, cibo, risorse naturali e industriali.L’effetto dei cambiamenti climatici e l’incrementodel mercato agro-alimentare produrrà unasempre maggiore movimentazione di beni, conun sempre maggior impatto in termini igienico-sanitari. Pensiamo al caso dell’influenza avia-ria, che non è causata dai cambiamenti climati-ci: esso dimostra che le patologie possono dif-fondersi a grande distanza, in pochi mesi, pro-prio in ragione del grande movimento di merci epersone. Questo significa che tutta la comunitàinternazionale deve impegnarsi nell’affrontarele minacce che possono scaturire dall’urbaniz-zazione, dall’incremento demografico e da unsempre maggiore volume di commerci di derra-te alimentare, oltre ovviamente quelle poste daicambiamenti climatici. Inoltre, il mondo avrà bisogno di sempre piùenergia: si stima che, nei prossimi 45 anni, gliattuali livelli di consumo globale (460 exajoule;1 exajoule = 1018 joule, cioè 1 miliardo di mi-liardi di joule!) raddoppieranno. Quindi, occor-re chiedersi come affrontare questo incrementodel fabbisogno energetico e, allo stesso tempo,diminuire le emissioni, utilizzare sempre minoriquantità di carbonio, olio e minerali. L’unicomodo per affrontare queste tematiche è quellodi avere un approccio olistico e mantenere sem-pre una visione generale d’insieme. Negli ultimi due anni si è visto che la richiesta dibiocombustibili ha prodotto un aumento deiprezzi delle derrate alimentari: il prezzo delgrano, per esempio, è aumentato da 120 dollaria tonnellata del 2000 agli attuali 210-250 dol-lari a tonnellata. Questa è, ovviamente, unaquestione che riguarda la comunità internazio-nale.

Non si può separare l’adattamento dalla miti-gazione e non si può prescindere dall’integrarein ogni politica la tematica dei cambiamenti cli-matici. Ogni sforzo sarà vano in assenza di unacollaborazione a scala mondiale.

1.14.5 Kevin Watkins – HDR-UNDP, Direttore

Ogni anno, il “Rapporto sullosviluppo umano” delle NazioniUnite presenta lo stato e i pro-

gressi compiuti nel campo della riduzione dellapovertà, dell’eguaglianza tra generi, della de-mocrazia, ecc. Proprio come per i fenomeni delclima, anche per il processo di sviluppo umanoesistono momenti al di là dei quali è impossibile,per gli esseri umani vulnerabili, riprendersi eche incidono sulla vita di generazioni e genera-zioni, iniziando una spirale di infelicità e pover-tà. Negli ultimi cinquant’anni abbiamo visto il pro-gresso delle società umane, per quanto diffor-me e con grandi diversità tra uomini e donne,tra campagna e città, e con intere regioni esclu-se che non hanno potuto goderne i benefici.Ma, nei prossimi 50 anni, vivremo con il timoredell’inversione del trend dello sviluppo umano,e questo dato non ha precedenti.Gandhi, intervistato dai giornalisti inglesi chegli chiedevano se l’India dopo l’indipendenzaavrebbe seguito il cammino dello sviluppo indu-striale della Gran Bretagna, rispose con un’al-tra domanda: “Se lo faremo in India, quantipianeti pensate che ci serviranno?”. Questa èuna domanda che si addice molto bene allaquestione del riscaldamento globale. Quantipianeti serviranno, se India o Cina cominciasse-ro a consumare energia quanta se ne consuma inItalia, negli USA o nel mondo sviluppato? Le mi-nacce e le preoccupazioni sono molte, ma icambiamenti climatici possono aiutarci anche aricordare cose che tendiamo a dimenticare. Vi-

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viamo in un mondo che, a molti livelli, è diviso:disparità sociali enormi, divisioni religiose eculturali a volte molto pericolose. Ma c’è unacosa a cui non possiamo sfuggire, e che condivi-diamo tutti al di là delle divisioni, delle culture edei paesi: viviamo tutti sullo stesso pianeta, vi-viamo in un mondo ecologicamente interdipen-dente; l’atmosfera è una, e per poter gestire be-ne la situazione è necessario che cambiamo inostri comportamenti. Oltre agli aspetti economici e ambientali, nondobbiamo dimenticare che la giustizia socialefra i popoli e i diritti umani sono altri aspettifondamentali. I poveri del mondo, i loro figli e iloro nipoti, e anche i nostri nipoti, dovrannosopportare le decisioni che noi prenderemo onon prenderemo. L’adattamento non è un con-cetto astratto, ma un dato di fatto: che ci piacciao meno, i nostri figli e nipoti dovranno subire leconseguenze delle nostre scelte e sopportare ri-schi potenzialmente catastrofici. Cosa si farà per aiutare i due miliardi di perso-ne più vulnerabili e più povere nel mondo (il40% della popolazione mondiale), che ognigiorno devono affrontare rischi e difficoltà? Per icontadini etiopi, per esempio, la siccità non èuna cosa che colpisce il raccolto di un anno ebasta: essa vuol dire anche non poter mandare ifigli a scuola, non poterli curare. Perdere dueanni di istruzione è una menomazione che haconseguenze per anni. Le conseguenze dellasiccità di un anno hanno ripercussioni sulla vitadella gente per anni e anni. Sono milioni le per-sone che in Africa e nella parte meridionaledell’Asia devono vivere subendo le conseguen-ze di cataclismi climatici che sono avvenuti anniprima. Questo non è un discorso astratto, in quanto ilrisultato di decisioni prese dal mondo ricco èche le conseguenze sono subite dal mondo pove-ro. Che fare allora? La prima cosa è mitigare leminacce dei cambiamenti climatici, laddove èpossibile prevederle sin da ora. È ancora possi-

bile evitare di superare la soglia dei 2 °C. Iltempo non è molto, e sarà necessario tagliare leemissioni in misura decisamente superiore aquella che le autorità politiche sembrano esseredisposte ad accettare. A essere onesti, i paesi ricchi seguono la traietto-ria sbagliata e non hanno nessuna intenzionedi adottarne un’altra che permetta una riduzionesufficiente delle emissioni. Ma in realtà, anchese si adottasse lo scenario più rigoroso di miti-gazione (e supponiamo che oggi i paesi ricchi,leggendo il Rapporto, decidessero di adottareuna riduzione delle emissioni del 30% entro il2020), cosa succederebbe? I cicli e i sistemi cli-matici cambiano molto lentamente, molto piùlentamente di quelli politici e quindi, anche conuna mitigazione molto rigorosa, non si vedrebbeun cambiamento prima della metà del decennio2030-2040 e la temperatura media continue-rebbe ad aumentare fino al 2050. È una consi-derazione semi-scientifica ma che ha grandiimplicazioni politiche, perché significa che, per laprima metà di questo secolo, non solo noi masoprattutto i poveri del mondo dovranno sop-portare le conseguenze del cambiamenti clima-tici di cui non hanno alcuna responsabilità. Equesta è una gravissima ingiustizia. C’è un rap-porto inverso tra coloro che soffrono del proble-ma e coloro che il problema l’hanno creato. Senon affrontiamo questa disparità e questa re-sponsabilità, non possiamo garantire che gliobiettivi del Millennium Development Goals –l’importante progetto cui ha aderito l’intera co-munità internazionale – di cui vediamo alcunilenti progressi in molti settori, saranno raggiuntial 2015. Si è detto che anche i paesi ricchi devono adat-tarsi ai cambiamenti climatici, e questo è certa-mente vero. Ma i paesi ricchi sono molto meglioattrezzati per affrontare i problemi relativi aicambiamenti in atto. L’Olanda deve affrontarerischi enormi, ma è anche provvista di unastraordinaria rete di infrastrutture difensive. I

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cittadini sono assicurati; i contadini, se perdonoil raccolto, possono essere indennizzati dall’assi-curazione. In alcuni paesi l’adattamento inagricoltura significa poter coltivare frutta e verdu-ra. I paesi poveri, invece, devono affrontare i ri-schi senza alcuna protezione, e nessuna assicu-razione che li indennizzi. Occorre decidere:continueremo ad acconsentire a questa sorta di“adattamento-apartheid”, in cui i paesi ricchiproteggono i propri cittadini con tecnologie oassicurazioni, mentre i poveri nei paesi in via disviluppo devono affogare o nuotare con il solosalvagente delle loro poche risorse?Sembra una cosa orribile, ma a essere onesti èproprio quello che si sta facendo. Gli Stati Unitispendono attualmente 1,3 miliardi di dollari perla difesa dalle inondazioni. La spesa totale perl’adattamento con meccanismi multilaterali per ipaesi poveri ammonta a circa 30 milioni di dol-lari. Questa è una profonda ingiustizia. Vivia-mo in un mondo interdipendente, e i paesi ric-chi non possono proteggere solo i loro cittadini evoltare le spalle a chi è povero.

1.14.6 Kevin Conrad – Pro-gramma di riforestazione tropi-cale Rain Forest Coalition, Diret-tore esecutivo

Nei paesi in via di sviluppo, il ve-ro dilemma è sfamare la popolazione e allo stes-so tempo mantenere intatte le risorse naturali. Il Protocollo di Kyoto include la forestazione, la ri-forestazione, la deforestazione e, quindi, puòessere uno strumento utile ai paesi in via di svilup-po, ma esclude la deforestazione in questi ulti-mi. La deforestazione è responsabile del 35%dell’aumento delle emissioni di anidride carboni-ca, e questo vale anche per la maggior partedei paesi in via di sviluppo. Se guardiamo alla to-talità delle aree del Pianeta, la deforestazione èstata più aggressiva in Africa, proprio nel conti-nente che è assente nei dibattiti sui cambiamen-

ti climatici e sui meccanismi del Protocollo diKyoto, come i Clean Development Mechanisms.La vera sfida, quindi, è capire come la comunitàglobale può parlare di foreste, permettere allecomunità rurali che vi vivono di sopravvivere enello stesso tempo aiutare questi paesi a gestirel’adattamento. La deforestazione è importante per i paesi indu-strializzati: l’Olanda ha una deforestazione del2%, l’ha ridotta e ovviamente vuole fare unoscambio di crediti. Se i PVS volessero fare lastessa cosa, non sarebbe possibile perché non èloro permesso. Eppure, una tonnellata di CO2 èuna tonnellata di CO2, ed è la stessa cosa seviene da un’industria o dalla deforestazione.Allora, perché si può lucrare sulla riduzione diemissioni in Italia e non in Papua Nuova Gui-nea? Ma Papua Nuova Guinea è soltanto un’iso-letta nel Pacifico, con 6 milioni di persone e 35lingue, dove le diverse popolazioni hanno diffi-coltà a comunicare tra loro e, pertanto, è arduoimmaginare come le possa essere possibile co-municare con il resto del mondo. È importanteallora che i PVS inizino a parlare fra loro, an-che coalizzandosi. La “Coalizione per le fore-ste”, per esempio, è un’organizzazione intergo-vernativa, cui aderiscono oltre 30 paesi, chepermette alle popolazioni di parlare fra loro.Il mondo ha perso circa 1 miliardo di acri di fo-reste, con impatti non solo sul clima ma anchesulle acque e sulla salute: la gente beve acquanon potabile e va all’ospedale per le patologieche ne conseguono, con una spesa medico-sa-nitaria sempre maggiore. Anche le zone di pescadiminuiscono, non soltanto per le specie disponi-bili ma anche per gli habitat che le ospitano. Iservizi forniti dagli ecosistemi sono compromes-si: se sparissero tutte le api, dovremmo andarea impollinare a mano piante e fiori! Ovviamen-te, al diminuire delle risorse aumenta la compe-tizione per tali risorse per acquisirle. Questo è, difatto, quello che avviene nel momento in cui leforeste sono abbattute.

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Le nazioni industrializzate devono continuaread approfondire le loro politiche, devono esserespronate a trovare una soluzione, devono es-serci reali benefici. Se si chiede alla PapuaNuova Guinea di ridurre la deforestazione, biso-gna prima capire perché abbatte le foreste, fareun’analisi di quanto costa alla sua economia:solo allora sarà possibile una sua collaborazio-ne con il G8, con la Banca Mondiale e con le al-tre organizzazioni mondiali. Tuttavia, per il pri-mo periodo di impegno, ossia fino al 2012, nonè stato previsto volontariamente alcuno stru-mento per compensare la mancanza di abbatti-mento delle foreste. La deforestazione, dunque,deve esser parte del regime futuro. L’Unione Eu-ropea deve continuare a essere leader nelle po-litiche sui cambiamenti climatici e partner deipaesi in via di sviluppo.

1.14.7 John Ashton – Gran Bre-tagna, Rappresentante del Go-verno per i cambiamenti climatici

Questa Conferenza ha un signifi-cato enorme perché è la prima

del genere in questo Paese. È un grossissimo risul-tato per il Governo italiano e per il Ministero del-l’ambiente.Un punto di partenza molto importante peranalizzare il problema è riconoscere che do-vremmo affrontare conseguenze molto serie emolto destabilizzanti. Peraltro le stiamo già af-frontando, e coloro che soffriranno di più sono esaranno i più poveri. Se la parola “solidarietà” si-gnifica qualcosa nel quadro politico delle nostresocietà, dovremo fare molto di più di quello chefacciamo oggi per aiutare i poveri a sopravvi-vere alle conseguenze dei cambiamenti climati-ci. Nel contempo, però, se pensiamo di risolverei problemi con l’adattamento, rischiamo unagrossa delusione. Sappiamo già che la tempe-ratura media mondiale è aumentata di 3,7 °C eche le conseguenze che stiamo subendo adesso

sono quelle iniziali dovute al cambiamento.L’unico modo per evitare che il mondo non soffraconseguenze insopportabili è operare una tra-sformazione radicale dell’economia, versoun’economia locale low-carbon. Il problema è che, anche se sappiamo che versola metà di questo secolo dovremo necessaria-mente effettuare una trasformazione enorme-mente superiore a quelle che abbiamo avuto fi-no a oggi, se guardiamo a quello che stiamo fa-cendo adesso o anche di cui stiamo parlando, cirendiamo conto che facciamo molto poco. Dobbiamo diventare realistici, dobbiamo sve-gliarci e cercare di andare al di là dei temi poli-tici. Occorre ammettere la natura reale del pro-blema, che non è diplomatica né ambientale,ma di investimenti. Il mondo investirà circa 20mila miliardi di dollari in infrastrutture fra oggie il 2030, ma questa somma ci darà un mondocon un alto tenore di carbonio o con un bassotenore di carbonio? Attualmente, in Cina, sono7.000 le nuove macchine che escono ogni gior-no dalle fabbriche e 2 le centrali a carbone chevengono costruite ogni settimana. Se non ri-usciamo, in pochissimi anni, ad agire insiemenell’interesse dei cinesi, degli asiatici, degliamericani, degli europei, a meno che non ri-usciamo a invertire la traiettoria, saremo vera-mente nei guai.La buona notizia è che la tecnologia per farloesiste, i capitali esistono. La Banca Centraleconta su 1.300 miliardi di dollari di riserveestere, e le analisi economiche che sono stateeffettuate ci dicono che ce lo possiamo permette-re: ci costa molto di più non reagire al proble-ma di quanto ci costerebbe reagire. Il problemaquindi è anche politico, non solo economico. Negli ultimi 150 anni, in Europa, la politica hatrattato dei rapporti fra capitale e manodopera.Sappiamo che la politica odierna si occupa an-che del modo in cui questi due capitali – umanoe tecnologico – interagiscono con la conoscen-za. Come mettere insieme questi tre pilastri, per

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elaborare una proposta interessante? È una sfidaanche per l’economia e le aziende private. Lamaggior parte delle aziende interessate defini-sce la capacità di creare ricchezza e aggiunge-re valore ignorando totalmente questa trans-izione.Molti di voi qui sono ambientalisti, o appartengo-no ad associazioni ambientaliste. Noi dobbia-mo imparare a parlare la lingua della sicurezzae della prosperità, se vogliamo generare quel-l’impulso politico che ci porti dove vogliamo ar-rivare. Il problema è che la politica che si fa inEuropa oggi è una politica di ansia, di ango-scia, di preoccupazione: grandi minacce, terro-rismo, sfide alla competitività, alla globalizza-zione. È necessaria, invece, una politica che siabasata sulla fiducia e che sia proiettata versol’esterno, che convinca i nostri partner principa-li a unirsi a noi. Al Consiglio Europeo di prima-vera si è detto che, effettivamente, in Europa sisarebbe costruita un’economia low-carbon, chenon si sarebbero aspettati gli altri, che si sareb-be presa l’iniziativa. A questo punto, dobbiamomostrare di credere in questo impegno. Moltopresto, in Europa, si dibatterà del futuro del bilan-cio europeo. Se si vuol sapere in realtà a checosa tiene un’organizzazione, si deve andare avedere dove spende i propri soldi e, per quantoriguarda l’Unione Europea, i fondi dei contri-buenti. Chiunque sia interessato ai cambiamen-ti climatici deve dire: “Abbiamo bisogno di fon-di per la sicurezza climatica in Europa”. Noidobbiamo intervenire in questo dibattito e dob-biamo vedere come usare gli investimenti pub-blici attraverso il bilancio europeo e dare energiaa questo dibattito, per fare in modo che l’Europaagisca in modo concreto sulla sicurezza climati-ca.

1.14.8 Guido Sacconi – Parla-mento europeo, Presidente del-la Commissione TemporaneaCambiamenti climatici

I concetti di mitigazione e adat-tamento, per quanto importanti, non rendonoforse ancora sufficientemente conto della ter-ribile complessità del problema. Per quanto sipossano elaborare strategie e piani finanziariper gestire adeguatamente gli effetti del ri-scaldamento globale, tutte le previsioni chepossono essere formulate sono destinate a di-ventare insostenibili, se non si agisce subito e inmaniera incisiva. La nostra strategia si prefig-ge di mantenere entro 2 °C il surriscaldamen-to del Pianeta rispetto al periodo iniziale del-l’industrializzazione. Moltissimi climatologiritengono che già questa sia una soglia di ri-schio, e quando si parla di soglie di rischio siparla di effetti differenziati tra le diverse zonedel Pianeta. Ed è esattamente questa una del-le “maledizioni” del problema del cambia-mento climatico. Perché, se è vero che l’Italiaè il paese in cui la temperatura è aumentatadi più, è anche vero però che gli effetti più de-vastanti sugli umani si verificano in altre zonedel mondo. È anche per questo che sarebbeimportante cominciare, già da questa Confe-renza, a delineare una proposta di adatta-mento in chiave di trasferimento di conoscenzee capacità tecnologiche a partire dai paesipiù poveri. Ma intanto, cosa sta succedendo del Protocollo diKyoto? Dalle proiezioni si può dire che, probabil-mente nel 2012, l’Europa riuscirà a ridurre leemissioni dell’8%: ma quello sarà un valore me-dio, raggiunto grazie a sforzi particolari di cer-ti paesi che stanno andando oltre gli obiettiviconcordati. L’Italia – è stato detto – è andata in-dietro, e deve cambiare radicalmente marcia.Alla luce di queste difficoltà, occorre rendersiconto di cosa significherà il “post-Kyoto “e i

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suoi obiettivi 20-20-2027. Ashton ha segnalatoquanto sia combattuta, da parte dell’industriaautomobilistica europea, la proposta dellaCommissione europea di portare le emissionimedie delle automobili da 140 a 120 grammidi CO2 per chilometro.Sarà difficilissimo definire un nuovo sistema piùgeneralizzato di scambio di diritti di emissioni,e si sta già lavorando per l’inclusione dell’avia-zione.Il problema è che l’Europa contribuisce alleemissioni globali soltanto per il 18% e può,quindi, riuscirci, avviando una profonda ricon-versione energetica dell’economia, del sistemaindustriale e dei trasporti. In Europa, su 1000abitanti (e siamo circa 500 milioni), ci sono piùdi 600 autovetture, negli Stati Uniti ci si avvici-na a 700 e in Cina ce ne sono 60. In Sud Africa,o nel Congo, sicuramente molte meno, ma que-sta è la situazione. È recente la notizia della progressiva riduzionedegli investimenti nella ricerca relativa alle nuo-ve tecnologie. Purtroppo, non è vero che questesono già disponibili: ce ne sono alcune mature,ma altre sono ancora in fase di sperimentazio-ne e industrializzazione. Come quella relativaalla cattura e allo stoccaggio del carbone, giàdisponibile in Cina e in Sudafrica, ma non an-cora pronta su base industriale. L’Unione Euro-pea sta allestendo 12 impianti che sfruttano unatecnologia simile, ma prima del 2030 non saràpossibile renderli operativi su vasta scala.Occorre investire molto nella ricerca, per dareun segnale politico forte. Si può, inoltre, iniziarea ragionare – per il “dopo-Kyoto” – su un siste-ma nel quale i diritti di emissione possono esse-re esercitati in rapporto alle persone e, su questabase, iniziare a stabilire le risorse da destinare ai

paesi che hanno il diritto allo sviluppo. Sviluppocui essi non saranno disposti a rinunciare, mache dovrà seguire sentieri diversi da quelli chenoi abbiamo adottato e che hanno ridotto il Pia-neta nelle condizioni attuali.

1.14.9 Nicholas Thery – Com-missione Europea

È tempo di agire. L’Unione Euro-pea ha una strategia di mitiga-zione: vogliamo ridurre del 20%

le nostre emissioni entro il 2020, unilateralmen-te, e siamo pronti a puntare anche al 30%, sealtri paesi si uniranno a noi, sempre con la stes-sa scadenza temporale. L’Unione Europea rap-presenta il giusto livello per definire una strategiadi adattamento, e il ruolo dell’Italia sarà estre-mamente importante da questo punto di vista.La Commissione europea, alla fine del mese digiugno2007, ha adottato ciò che si chiama un“Libro Verde” (un documento di consultazione)contenente alcune misure di adattamento, chesarà disponibile sul nostro sito web fino alla finedi novembre28.

1.15 Chiusura dei lavorialla presenza del Presidente del Consiglio deiMinistri, On. Romano Prodi

1.15.1 Giancarlo Viglione, CommissarioStraordinario APAT

Un sentito ringraziamento al Presidente delConsiglio, per la sua autorevole presenza e lasua sensibilità nei confronti dei temi ambientali;alle Alte Cariche istituzionali che hanno parteci-

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27 20% di riduzione delle emissioni di CO2 (30% in caso di successo del negoziato internazionale); 20% di energiaprodotta a partire da fonti rinnovabili; 20% di incremento dell’efficienza energetica. 28 Sito web della CE: http://ec.europa.eu/index_it.htm. Dopo novembre 2007, il documento sarà disponibile al si-to web: http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/site/it/com/2007/com2007_0354it01.pdf.

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pato alla Conferenza, dal Presidente della Re-pubblica al Presidente del Senato, al Presidentedella Camera, così come ai Ministri che sono in-tervenuti, al Presidente Matteoli; ai Segretaridelle organizzazioni sindacali, alla Confindu-stria; alle associazioni ambientaliste; al Coman-do dei Carabinieri per la tutela dell’ambiente;alla Capitaneria di Porto; ai ragazzi della Con-ferenza Junior, e alla FAO per l’ospitalità dimo-strata.Mi dichiaro soddisfatto per la grande parteci-pazione di pubblico registrata, ben superiorealle aspettative. Ringrazio la stampa e tutti i mezzi di comunica-zione che hanno dato conto dell’evento: sonoconvinto che il successo delle politiche ambien-tali passa anche, e soprattutto, attraverso unapresa di coscienza da parte dei cittadini. Co-municare significa poter dire alle istituzioni, efar dire alle istituzioni, cosa non va e cosa vasulle politiche ambientali, e farvi meditare su leistituzioni; ma significa anche trasmettere tuttociò ai cittadini per indurli, eventualmente, acambiare i propri stili di vita.Consegno al Ministro per l’ambiente una sintesi– articolata in un “Manifesto” e in una lista diazioni concrete – preparata da un Gruppo di lavoro “ad hoc” a conclusione non solo del-la Conferenza, ma anche e soprattutto dei workshop preparatori svoltisi dal 20 giugno al21 luglio in tutta Italia, grazie anche alle Agen-zie regionali. Desidero, infine, ringraziare ancora il Ministroper l’ambiente per la fiducia dimostrata neiconfronti dell’Agenzia che, insieme alle Agen-zie regionali, può essere soggetto tecnico dellepolitiche ambientali.

1.15.2 Alfonso Pecoraro Scanio, Ministro del-l’ambiente e della tutela del territorio e del mare

Un sentito ringraziamento a tutti coloro chehanno preso parte a questo evento. In partico-lare, al Presidente del Consiglio che ha volutoessere qui presente a chiudere i lavori di questaConferenza.Ringrazio molto la stampa, i 400 giornalisti ac-creditati e tutti gli organi di informazione chehanno riservato le prime pagine a un evento diquesto genere, forse per la prima volta nel no-stro Paese.Ringrazio le 70 persone dell’APAT che hannolavorato a questa iniziativa; i 90 relatori; le 124personalità che hanno voluto partecipare ai lavo-ri e, tra queste, in particolare, il Presidente dellaRepubblica italiana, ieri i Presidenti della Ca-mera e del Senato e anche la senatrice LeviMontalcini, che ha salutato l’avvio della Confe-renza.Ringrazio anche l’APAT che ha ben organizzatol’evento, come anche le ARPA regionali: insie-me rappresentano un Sistema di Agenzie im-portante per il nostro Paese, che va ancora ulte-riormente valorizzato. Grazie, infine, al Co-mando Carabinieri per la tutela dell’ambienteper il lavoro che svolge, come anche alla Guar-dia costiera e alle Capitanerie di porto, e a tuttele altre forze dell’ordine che ci aiutano in un’azio-ne importante sui temi della tutela dell’ambientee del contrasto all’illegalità.L’Italia vuole davvero impegnarsi nella lotta aicambiamenti climatici: ne è una prova il succes-so della Conferenza, che ha registrato 2.500accreditati, contro i 1.000 attesi, e quasi100.000 collegamenti via internet.Dalla Conferenza e dai workshop preparatorisono scaturiti due documenti finali: il “Manifestoper il clima – Un New Deal per l’adattamentosostenibile e la sicurezza ambientale”, articola-to in cinque grandi punti, e “Le prime 13 azioniper l’adattamento sostenibile”.

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Temi centrali del “Manifesto” sono l’adattamen-to sostenibile, la mitigazione e la sicurezza am-bientale: il termine sicurezza – seppure moltousato – viene raramente collegato al tema delladifesa del territorio, che è invece il fondamentostesso del nostro vivere e del nostro operare. Lamitigazione ha bisogno di accordi internazio-nali: il Presidente Prodi, quando presiedeva laCommissione europea, ha molto lavorato per-ché la Russia aderisse al Protocollo di Kyoto.Oggi, il nostro impegno è di andare oltre e diavviare la trattativa per il post 2012: lo faremo aBali, a dicembre, con grande determinazione,seguendo le indicazioni emerse dall’Unione eu-ropea e confermate dal Parlamento italiano conmozioni approvate all’unanimità da tutte le forzepolitiche. Questi impegni riguardano la riduzio-ne delle emissioni di gas serra di almeno il 20%entro il 2020, con la richiesta di arrivare al 30%di tagli per quella stessa data e di raggiungere il60% di riduzione entro il 2050, coerentementecon le indicazioni che ci arrivano dall’IPCC.Inoltre, già il 24 di questo mese, si terrà a NewYork l’Assemblea delle Nazioni Unite sui cam-biamenti climatici, voluta dal segretario Ban KiMoon, un appuntamento di straordinaria im-portanza.Assieme alle politiche di mitigazione, le strate-gie di adattamento sostenibile devono essereconsiderate prioritarie dal Governo e integratenelle politiche economiche, sociali, finanziarie,agricole e territoriali, perché il benessere, laqualità della vita dei cittadini italiani di oggi edi domani dipendono dalla salute del Pianeta edal suo clima. L’impegno che esce dalla Conferenza è quellodi predisporre, entro il 2008, una Strategia na-zionale per l’adattamento sostenibile ai cam-biamenti climatici e per la sicurezza ambienta-le. Nei prossimi mesi saranno avviati i lavori diun Comitato per la preparazione delle lineeguida. Chiedo anche a tutti coloro che hannocontribuito ai lavori preparatori della Conferen-

za di collaborare alla realizzazione di questaStrategia nazionale.Le misure di mitigazione e quelle di adattamen-to al cambiamento climatico devono essere inte-grate nei temi della protezione degli ecosistemi,della biodiversità terrestre e marina, nella ge-stione del suolo, delle coste e delle risorse idri-che, nella tutela sanitaria della popolazione,nell’agricoltura e sviluppo rurale, nel turismo,nella politica industriale ed energetica. In que-sto contesto, assume priorità la concreta attua-zione di alcuni strumenti normativi – quali: ladirettiva Quadro sulle acque 2000/60; la diret-tiva Habitat e la direttiva Uccelli; la Convenzioneinternazionale per la protezione delle Alpi; il Si-stema nazionale di contabilità ambientale, va-rato dal Governo con un disegno di legge nelloscorso Consiglio dei Ministri – e il completa-mento delle riforme necessarie a una valutazio-ne ambientale strategica che permetta l’avvio diuna pianificazione nazionale adatta a contra-stare i rischi dei cambiamenti climatici.È necessaria la definizione di un Piano nazio-nale di adattamento ai cambiamenti climaticiper il quale devono impegnarsi l’intero Gover-no, le istituzioni locali e territoriali, le parti so-ciali. Questo strumento dovrà essere collegato eintegrato con altri due accordi sottoscritti a livel-lo internazionale: il Piano nazionale per la bio-diversità e il Piano nazionale di lotta alla siccitàe alla desertificazione. Il Piano nazionale perl’adattamento ai cambiamenti climatici deve,inoltre, comprendere strategie di difesa del suo-lo, di gestione integrata delle coste, di adatta-mento del turismo, di gestione delle risorse idri-che, di adattamento delle politiche agricole e unprogramma nazionale di informazione e sensibi-lizzazione dei cittadini sui cambiamenti climati-ci. Indispensabile è la realizzazione di un Centrodi competenza sugli impatti dei cambiamenticlimatici e sulla validità delle misure di adatta-mento affinché possa essere garantito un moni-toraggio costante di ciò che accade nel Paese.

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Occorre, inoltre, sostenere iniziative per assiste-re i paesi in via di sviluppo nella programma-zione e nell’attuazione dei piani di adattamentosostenibile ai cambiamenti climatici. Per questo èopportuno proporre, a livello europeo, l’istitu-zione di uno specifico Fondo con il quale siapossibile supportare le iniziative di assistenzaai paesi in via di sviluppo, con particolare at-tenzione a quelli dal bacino del Mediterraneo. Ildramma dei rifugiati climatici è, già oggi, unproblema importante per il nostro Paese: dob-biamo contrastare la catastrofe che minaccial’Africa, e questo è un impegno del Governoitaliano che il Presidente Prodi ha ripetutamenteaffermato.Da più parti arriva l’appello al rispetto della na-tura e la richiesta di una grande riconversioneecologica dell’economia e della società. Occor-re rispondere con azioni concrete e immediate: ilmotto è “Act Now”.Tra le tredici azioni concrete per l’adattamentosostenibile, prioritarie sono quelle sul risparmioenergetico nel settore residenziale, su cui il Go-verno già con la legge Finanziaria dell’annoscorso ha dato un segnale. L’auspicio è che siapossibile fare altrettanto per il 2008 estendendoi contributi per la sostituzione degli elettrodo-mestici e stabilizzando il sistema di incentivi allabioedilizia e al rinnovo del patrimonio edilizionel nostro Paese. Un’altra proposta interessanteper aumentare forme di consumo compatibilecon l’adattamento climatico è per esempio quel-la per l’adozione di una “etichettatura idrica” dibeni e prodotti, al fine di poter valutare il consu-mo di acqua richiesto per ottenerli. Occorreadeguare la gestione della risorsa idrica alcambiamento climatico, avviare azioni volonta-rie di risparmio di acqua in agricoltura attraver-so un patto con le organizzazioni agricole e larevisione delle grandi concessioni idriche che, avolte, risalgono a cento anni fa. L’acqua deveessere considerata sempre di più un bene co-mune e indispensabile alla vita di tutti.

L’UNEP, il Programma Ambiente delle NazioniUnite, ha lanciato la campagna “One BillionTrees”, per piantare un miliardo di alberi sulPianeta: l’Italia potrebbe impegnarsi a piantaremilioni di alberi per avviare, anche nel nostroPaese, una grande riforestazione nazionale. Laforestazione deve essere considerata tra quellemisure che integrano adattamento e mitigazio-ne: con i sistemi di ingegneria naturalistica econ la vegetazione siamo in grado di contrasta-re le frane e prevenire i disastri ambientali, utiliz-zando nello stesso tempo l’unica risorsa che ab-biamo in grado di assorbire CO2 invece di pro-durla.La sicurezza delle coste italiane deve essereadeguata alle regole urbanistiche. L’Italia nonha una normativa omogenea in materia di maree coste: occorre una legge-delega che permettaal Parlamento di dibattere il tema e, poi, di vara-re norme che consentano di regolamentare latutela del mare.Necessario, inoltre, è sviluppare una grande at-tività a favore della difesa del suolo aprendo,per esempio, nuovi cantieri per la messa in sicu-rezza dei territori a rischio: lo scorso anno nesono stati avviati 300, e occorre procedere nel-l’azione di prevenzione. La montagna è un altrogrande tema da affrontare: occorre incoraggia-re un turismo sostenibile anche a fronte delladrammatica evoluzione in corso nel sistemamontagna: diminuzione drastica dei ghiacciai,delle riserve idriche e degli ecosistemi.Gli effetti del cambiamento climatico sulla saluteci costringono a pensare a strategie sanitarieche ne prevengano i rischi. Bisogna mettere apunto un sistema più efficiente di early warningmeteo-climatico nelle aree a maggior rischio dialluvioni e frane. Occorre aumentare la parteci-pazione e il coinvolgimento dei cittadini nellepolitiche di mitigazione e di adattamento, rilan-ciando tra l’altro la rete delle “Agende 21”. Al-tro punto è realizzare forme di incentivazioneambientali per il lavoro e le imprese, anche in

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relazione alle nuove norme di contabilità am-bientale.Questi, in sintesi, i cinque temi del “Manifestoper il clima” e le tredici azioni concrete per l’a-dattamento sostenibile, enucleate dalle tanteproposte che sono state formulate. Questi pro-getti, che oggi sono sottoposti al Presidente delConsiglio, saranno trasmessi dal Ministero del-l’ambiente ai ministeri interessati alle azioni diadattamento e mitigazione. Saranno trasmesseanche le 20 richieste che hanno fatto i giovanidella Conferenza Junior. Molte sono simili aquelle dei due documenti della Conferenza, dalturismo eco-sostenibile a un nuovo modello dieconomia, mentre altre riguardano altri campicome la mobilità sostenibile, la promozione del-la bicicletta, ecc.Diverse opportunità per azioni concertate po-trebbero presentarsi nell’immediato futuro. Oggiil Ministro Bersani ha annunciato che si procede-rà a breve a convocare la Conferenza Naziona-le su energia e ambiente. L’auspicio è che neiprimi sette mesi del 2008 sia possibile tenereuna serie di conferenze preparatorie. Oggi ilpresidente Matteoli ha dichiarato la sua disponi-bilità a lavorare, sulla base della richiesta delministro dell’ambiente, a un’iniziativa che coin-volga tutte le forze politiche, in quanto alcuni te-mi richiedono un investimento di lungo periodoe una partecipazione di tutte le forze politiche,di maggioranza e di opposizione. Assieme al-l’impegno di tutti i ministri, al messaggio conte-nuto nel saluto delle istituzioni – sia l’interventodel Presidente della Camera Bertinotti, sia quellodel Presidente del Senato Marini – queste aper-ture possono essere considerate come altrettantedichiarazioni di disponibilità per una fattivaazione. Il dibattito parlamentare per la prossimaFinanziaria, nel quale approderà anche il lavorosvolto dalle Commissioni parlamentari, potràrappresentare il primo banco di prova di taledisponibilità a decidere azioni concrete. Infatti,già nel 2008 potrebbero essere avviate alcune

iniziative sulla difesa del suolo, sulla difesa delmare, sugli interventi di risparmio energetico,sugli interventi e studi rinnovabili.La “grande guerra” che si sta combattendo nelmondo, oggi, è quella di riuscire a invertire latendenza del cambiamento climatico e cambia-re in modo positivo l’economia, garantendo atutti più benessere. Perché il vero benessere èpoter respirare, poter mangiare, poter avereacqua disponibile, un ambiente sicuro e un Pia-neta che possa continuare a vivere.

1.15.3 Romano Prodi, Presiden-te del Consiglio dei Ministri

Il nostro Pianeta è a rischio, ed ècolpa dell’uomo. Con la pubbli-cazione del Quarto Rapporto

dell’IPCC la comunità scientifica internazionaleha espresso una dolorosa convinzione: i cam-biamenti climatici sono ormai un dato di fatto.Il fatalismo di chi sostiene che la Terra è semprestata soggetta a cicli di caldo o di freddo è ormaiscarsamente credibile e privo di reali consensi.Tra le zone del Pianeta più fragili ed espostec’è il Mediterraneo, Italia compresa. Questo cideve imporre una maggiore attenzione al pro-blema, una maggiore consapevolezza. Occorreagire subito. Due sono le principali linee d’a-zione: quella della mitigazione e quella dell’a-dattamento sostenibile. Entrambe le direzionirichiedono intelligenza nell’uso delle risorse,ma anche un atteggiamento mentale di granderispetto per tutto quello che ci circonda. Serve una nuova alleanza con la natura, e nonsolo perché ciò è in qualche modo dovuto, maanche perché il rispetto dell’ambiente può essereun grande fattore di sviluppo. Il Governo è fer-mamente convinto di questo, e perciò ne ha fattouna linea guida del programma dell’Unione. Questa nuova alleanza richiede un grandeprogetto quanto più possibile condiviso a livelloplanetario. Ma se è bene perseguire politiche

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globali, occorre anche muoversi senza aspetta-re che ci siano necessariamente tutti. Le misure diadattamento hanno, infatti, una rilevanza eun’efficacia positiva in ambito locale. Pensia-mo al problema dell’utilizzo dell’acqua, dellacoibentazione degli edifici, della riforestazio-ne: tutte azioni che ci aiutano a consumare me-no, ma anche a diffondere un nuovo modo divivere che può avere impatti positivi (e non solosul piano locale). Il nostro impegno, in questosenso, è stato evidente nei mesi passati. La leg-ge Finanziaria contiene misure a favore del ri-sparmio energetico e della riduzione dei com-bustibili fossili, così come incentiva la mobilitàsostenibile e lo sviluppo delle energie rinnova-bili: punti prioritari del Governo portati avanti,con forza, anche in sede europea.In generale, il Governo si impegna a compierealcune azioni.– Supportare nei paesi in via di sviluppo la pro-

grammazione e l’attuazione di piani di adatta-mento sostenibile ai cambiamenti climatici,anche per evitare squilibri a livello globale. Imutamenti del clima, infatti, possono contri-buire ad allargare la forbice tra paesi poverie paesi ricchi, determinando così le condizioniper ulteriori processi migratori.

– Sostenere le iniziative di livello comunitario epromuovere progetti di cooperazione con ipaesi in via di sviluppo, con particolare at-tenzione a quelli del bacino mediterraneo.

– Ridurre la dipendenza energetica da aree delmondo strategicamente critiche e avviare ladiffusione sul territorio di sistemi di impiantidi piccole dimensioni per produrre energiapulita, secondo il “modello dell’energia distri-buita”. In questo senso, non basta incentivarela domanda di chi intende utilizzare le rinno-vabili. Bisogna stimolare l’industria nazionalenell’offerta di tecnologie adeguate per favori-re l’evoluzione del sistema produttivo italia-no, e ridurre così la dipendenza da tecnolo-gie estere.

Il settore energetico, oltre a quello delle scienzedella vita e a quello della meccanica, è fra i set-tori con priorità nazionale. Nel futuro, gli im-pianti per la produzione dell’energia da fontirinnovabili potrebbero essere piccoli – anchedomestici – così da poter essere installati inmodo decentrato, con minori problemi di loca-lizzazione e una maggiore adattabilità alla no-stra struttura industriale (fatta prevalentemente,come sappiamo, di piccole-medie imprese). Iltema della sicurezza energetica deve essere af-frontato a partire dalla differenziazione deipunti di origine del gas, sempre nel rispetto de-gli obiettivi di tutela del nostro patrimonio artisti-co e ambientale, che è unico al mondo.Occorre, al contempo, una gestione più coor-dinata delle conoscenze e dei dati relativi aglieffetti dei cambiamenti climatici sul nostro terri-torio: delle conseguenze ultime e sistemiche,spesso, non abbiamo il giusto polso. Si senteallora la necessità di una sorta di “osservato-rio”, una struttura di coordinamento che mettainsieme tutti gli aspetti scientifici, industriali,ambientali, architettonici, paesaggistici e cheelabori le proiezioni nel futuro di certe varia-zioni di oggi. Possiamo pensare di dare unaperiodicità a questa Conferenza, magari ognicinque anni, per poter verificare in un periododi tempo congruo i risultati macro di questapolitica. In conclusione, le azioni del Governo sono arti-colate su tre direttrici.1. Incentivazione del risparmio energetico, come

testimoniano le misure prese circa le detra-zioni fiscali per gli interventi negli edifici e ariguardo di frigoriferi e altri elettrodomesti-ci. Le misure saranno ampliate come dettodal Ministro Bersani, e la Finanziaria per il2008 conterrà specifiche norme per il com-pletamento di quel Piano nazionale per l’effi-cienza energetica che il Governo ha appenainviato alla Commissione europea.

2. Sviluppo delle energie rinnovabili: le misure

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vanno dai crediti d’imposta su geotermia ebiomasse all’introduzione di una quota mi-nima obbligatoria di biocarburanti nei tra-sporti, fino all’obbligo dell’inserimento pro-gressivo del fotovoltaico nei nuovi edifici.Sono stati realizzati 300 impianti, e si stannoavviando diverse iniziative nell’ambito delPiano “Industria 2015”29.

3. Garanzia di sicurezza dell’approvvigiona-mento energetico. In Parlamento abbiamo indiscussione misure per riordinare gli incenti-

vi e semplificare l’autorizzazione della con-nessione alla rete elettrica per impianti afonti rinnovabili. Sono in fase di predisposi-zione anche linee guida per il procedimentoautorizzativo degli impianti, al fine di ga-rantire agli investitori una maggiore unifor-mità a livello territoriale.

Coniugare tutela ambientale e sicurezza ener-getica, attraverso un lavoro collettivo che vedaunite tutte le forze politiche e sociali, è estrema-mente importante, e lo sarà sempre più.

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29 Cfr. nota n. 24.

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2.1 Eventi collaterali del 12 settembre

2.1.1 Il turismo nell’era dei cambiamenti cli-matici

Organizzazione dell’evento: CTS (Centro Turi-stico Studentesco e Giovanile).Referente e moderatore: Micaela Solinas (CTS,Responsabile Turismo Sostenibile e Parchi).Interventi di: Bruno Dettori (Sottosegretario al-l’Ambiente), Alberto Corti (ASTOI, Direttore ge-nerale), Alfredo Somoza (ICEI, Direttore e Pastpresident AITR).

Nell’ambito dei lavori della Conferenza Nazio-nale sui cambiamenti climatici, l’organizzazio-ne di un evento collaterale dedicato al turismoha avuto l’obiettivo di focalizzare la riflessionesulle complesse dinamiche che legano l’indu-stria del turismo e il mutamento del clima, temache finora ha avuto un rilievo relativo nel dibat-tito pubblico, così come nel mondo scientifico enell’agenda dei decisori politici. Eppure, si par-la della seconda industria del Pianeta e di 1,56miliardi di arrivi internazionali che l’Organiz-zazione Mondiale per il Turismo (OMT) prevedeper il 2020: di questi, 720 milioni solo in Europa,con un tasso di crescita del 4,4%.

La responsabilità dell’industria turistica al cam-biamento del clima è riconosciuta dall’OMT eufficialmente sancita già dalla Dichiarazione diDjerba del 2003, con la quale si invitano i go-verni, gli operatori e i portatori di interessi dif-fusi ad adottare tempestivamente misure con-crete per abbattere il contributo del turismo allaproduzione di gas a effetto serra (dovuto princi-palmente ai trasporti) e ad altri problemi am-bientali legati al climate change (per esempio,al consumo di risorse idriche).Ma nella “questione clima”, il turismo viene aessere, a un tempo, colpevole e vittima, aggres-sore e aggredito: perché, se è vero, che gli spo-stamenti turistici di massa possono concorrereall’avverarsi di deteriori scenari climatici, d’al-tro canto, non v’è dubbio che i mutamenti in at-to procurino effetti diretti e indiretti (variazionidella temperatura di aria e acqua, modificazio-ni su biodiversità e paesaggio) sulle risorse am-bientali vitali per l’attività turistica, che rischiacosì di veder gradualmente compromesse, intermini di appeal, le proprie destinazioni. Ra-gionando da un punto di vista squisitamenteeconomico, è facile prevedere che, qualora levariazioni del clima diminuiranno bellezza ecomfort delle mete, il tasso di crescita del turi-smo internazionale conoscerà una battuta d’ar-

2. Sintesi Eventi collaterali e Conferenza Junior

Il clima e la vulnerabilità intrinseca degli ecosistemi rappresentano gli elementi più sensibili di questo cam-biamento con effetti diretti su biodiversità, sugli ecosistemi, sulle risorse naturali e sulla salute. Affinché que-ste criticità non diventino elementi strutturali e vincolanti per il pianeta e gli esseri umani, è necessario ragio-nare concretamente sulle azioni da intraprendere. Questo capitolo presenta alcuni studi e progetti che descri-vono sia i principali indicatori climatici, gli scenari futuri e le soluzioni di tipo biotecnologico e metodologi-co più innovative per il processo di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici, cercando di con-tenere il danno potenziale, per esempio sull’ambiente marino costiero, sulla gestione della risorsa idrica, suagro-ecosistemi (Rapporto APAT, Progetti FISR, V.E.C.T.O.R. Rapporto ENEA), sia percorsi didattici e labora-tori (Muvita, Conferenza Junior) mirati a comunicare, informare ed educare, rispetto al ruolo che ciascunessere umano può avere, nel contrastare i cambiamenti climatici e adottare le opportune strategie di adatta-mento.

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resto, e così gli introiti da esso generati: 584miliardi di euro nel 2006, di cui 298 (51% deltotale mondiale) solamente in Europa. Deve certamente essere considerata la capacitàdell’industria turistica globale di essere in gradodi far fronte a cambiamenti, anche drammatici:nel 2005 – in un panorama internazionale ca-ratterizzato da una generalizzata incertezzada un punto di vista politico ed economico, pernon parlare del terrorismo, dei disastri naturali,dell’aumento dei prezzi del petrolio – il settorenel suo complesso ha, nondimeno, avuto unacrescita del 5,5%, ovvero un punto e mezzopercentuale in più rispetto al tasso medio di cre-scita annuale, che è del 4,1%.

Questo fa pensare che, potendo, l’umanità pro-babilmente continuerà a viaggiare, come hasempre fatto, anche dopo eventi scioccanti co-me il crollo delle Torri Gemelle a New York, e innumeri sempre più consistenti. I flussi turistici sisposteranno, alcune destinazioni verranno ab-bandonate, altre invece avranno un boom in-sperato ma, nel complesso, a livello globale,l’industria “resisterà”, saprà adattarsi, almenonel medio termine. È evidente, però, che a livel-lo di singole località, regioni o anche nazioni,la crisi del settore turistico legata ai mutamentidel clima potrà causare esiti disastrosi per l’eco-nomia di molte destinazioni, esiti che si aggiun-geranno agli effetti diretti provocati sull’am-biente: il turismo occupa, infatti, milioni di perso-

ne nel mondo e costituisce la prima voce nel bi-lancio di diversi paesi, molti dei quali in via disviluppo. Il problema è, quindi, più complesso di quantonon possa apparire, un “nodo gordiano” che,per essere utilmente sciolto, necessita di un im-pegno forte e congiunto di differenti soggetti.Cosa fare, quindi, per impegnare gli attori –pubblici e privati, locali e nazionali – alla ricer-ca di soluzioni in un contesto così incerto, sia daun punto di vista degli scenari che dei tempiprevisti? In termini di misure di “mitigazione” e “adatta-mento”, rispetto ai mutamenti cui il Pianeta andràincontro nei prossimi decenni, l’impegno del-l’industria turistica può essere riassunto in duegrossi filoni di azioni:– la riduzione del contributo del turismo alle

emissioni di gas a effetto serra e l’introduzionedi misure di compensazione, a livello di setto-re e/o dei singoli componenti della filiera;

– la necessità di affrontare i cambiamenti cheavranno un impatto sull’industria, a tutti i livel-li (globale, ma anche e soprattutto nazionale,regionale, locale).

Il rapporto tra cambiamenti climatici e turismo èstato analizzato da entrambe le angolature congli ospiti presenti alla Tavola rotonda. In termini dimitigazione, nel corso del dibattito, è stata af-frontata la problematica del trasporto aereo –che costituisce una fonte rilevante di emissioni digas a effetto serra, tra l’altro in forte ascesa – edè stato esaminato il possibile ruolo che il turismopotrebbe avere sia a livello internazionale chelocale nel contenere le emissioni. In termini diadattamento, sono state discusse alternative,ipotesi di riconversione, misure di sostegno daattuare a favore delle destinazioni turistiche indifficoltà a causa dei cambiamenti climatici (sipensi, per esempio, alle tante mete turistiche inver-nali in crisi per l’ormai cronica mancanza di ne-ve, o a quelle balneari che devono fronteggiarestagioni estive messe a repentaglio dall’instabili-

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tà atmosferica). Due nodi sono di fondamentaleimportanza, per affrontare in modo adeguato ilrapporto tra cambiamenti climatici e turismo intermini sia di mitigazione che di adattamento: ilprimo riguarda la formazione dei cittadini (maanche di amministratori e imprese); il secondo èrelativo alla disponibilità di dati, informazioni,ricerche specifiche e di settore.La posizione del CTS riguardo alla problematicaoggetto dell’evento è che le misure di mitigazionee adattamento devono essere individuate e pro-grammate a partire da studi rigorosi e continuati-vi sugli impatti che le dinamiche turistiche causa-no sul clima e viceversa. Occorre colmare gli attua-li vuoti di conoscenza secondo un approccio mul-tidisciplinare e di vasta scala. Tuttavia, la caren-za di informazioni precise non impedisce di co-minciare ad agire subito concretamente, cercandodi valutare già oggi i fattori di vulnerabilità e lacapacità di resistenza delle destinazioni rispettoa una crisi climatica potenziale.Per il mondo del turismo è, quindi, auspicabileche si agisca in maniera preventiva, facendo le-va sulla flessibilità e sull’adattabilità del settore.Se il clima di oggi è il risultato di emissioni delpassato, quello di domani, giocoforza, dipende-rà dalle emissioni di oggi: è questo il richiamo auna responsabilità intergenerazionale primache planetaria, con implicazioni politiche, eco-nomiche e profondamente educative per tutti.La grande massa di turisti in movimento nonpuò essere fermata ma, in prospettiva, deve es-sere vista come un’opportunità: in attesa che gliscienziati stabiliscano e quantifichino i rapporti dicausa-effetto, gli operatori del turismo hanno ilcompito di coinvolgere i clienti in iniziative eprogetti che sviluppino il senso di responsabilitàindividuale e stimolino la sensibilità per la “so-stenibilità”, anche in vacanza.

2.1.2 Presentazione delle attività del CentroEuroMediterraneo per i Cambiamenti Climatici

Organizzazione dell’evento: CMCC (Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici).Referente e moderatore: Antonio Navarra(CMCC, Direttore).Interventi di: Giovanni Aloisio (CMCC), Pas-quale Schiano (CMCC), Antonio Marcomini(CMCC), Andrea Alessandri (CMCC), Donatel-la Spano (CMCC), Carlo Carraro (CMCC).

Il Centro EuroMediterraneo per i cambiamenticlimatici è stato costituito nel 2005 da un con-sorzio di enti di ricerca, pubblici e privati, e dauniversità italiane. I soci fondatori del Centrosono: l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulca-nologia, la Fondazione ENI Enrico Mattei, l’U-niversità del Salento, il Consorzio Italiano Ricer-che Aerospaziali (CIRA), l’Università del Sannioin Benevento, il Consorzio Venezia Ricerche(CVR). Altre istituzioni italiane sono Centri asso-ciati del Centro e partecipano ai programmiscientifici dello stesso. Tra questi, l’Università diSassari gioca un ruolo particolarmente rilevantenell’area degli impatti sull’agricoltura. Altripartner associati sono: l’International Centre forTheoretical Physics (ICTP) di Trieste; l’Istituto Na-zionale di Oceanografia e Geofisica sperimenta-le (OGS) di Sgonico (Trieste); l’Università dellaTuscia; l’Istituto Agronomico Mediterraneo diBari (IAMB); il Centro di Ricerca in MatematicaPura ed Applicata (CRMPA) dell’Università de-gli Studi di Salerno; la Southern Partnership forAdvanced Computational Infrastructures (SPA-CI30); il Consiglio Nazionale delle Ricerche(CNR).Il CMCC è organizzato in sei Divisioni: Applica-zioni numeriche e scenari (ANS); Calcolo scien-

30 Collaborazione sinergica e strutturale tra l’Università degli Studi di Lecce, l’Università degli Studi della Calabria eil Centro di Ricerche per il Calcolo Parallelo e i Supercalcolatori (joint venture tra il CNR e l’Università degli Studi diNapoli Federico II) attualmente Sezione di Napoli dell’Istituto di Calcolo e Reti ad Alte Prestazioni.

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tifico e operazioni (SCO); Valutazione econo-mica degli impatti e delle politiche dei cambia-menti climatici (CIP); Impatti sull’agricoltura, fore-ste ed ecosistemi naturali terrestri (IAFENT); Im-patti sul suolo e sulle coste (ISC); Formazione,documentazione e divulgazione (FDD). La strut-tura è a rete, con sede principale a Lecce e altresedi a Bologna, Venezia, Capua e Sassari.La missione scientifica del CMCC consiste nellosviluppare e approfondire le conoscenze nelcampo della variabilità climatica naturale e an-tropogenica, le sue cause e le sue conseguenzetramite la stima degli impatti su vari sistemi esettori, con una speciale enfasi sullo sviluppo disimulazioni numeriche climatiche ad alta risolu-zione. La ricerca include temi come lo studiodelle teleconnessioni tropicali-extratropicali,della variabilità decennale e interannuale delclima, studi fondamentali sulle proprietà dellacircolazione generale, stima economica degliimpatti dei cambiamenti climatici. Il CMCC mette a disposizione della comunitàscientifica nazionale prodotti di alta qualità e,quindi, sviluppa ricerche allo scopo di garantireil continuo aumento della qualità e affidabilitàdei prodotti, svolgendo anche una funzione disupporto tecnico-scientifico, con un gruppoadeguato destinato al supporto utenti.I prodotti del CMCC sono modelli, simulazioni,software applicativi e attività di formazione dipersonale di alta qualificazione nel campo delladinamica del clima, in quello delle tecnologieinformatiche e nella valutazione degli impattidei cambiamenti climatici e delle politiche cli-matiche.La capacità di modellistica del clima del CMCCpermetterà all’Italia di partecipare in manierafattiva alle attività dell’IPCC e degli altri organiscientifici dell’UNFCCC, della Convenzione percombattere la desertificazione e della Conven-zione sulla biodiversità. La stessa capacità rap-presenta, inoltre, un supporto irrinunciabile allaformazione della posizione italiana nell’ambito

delle trattative del “post-Kyoto”. Con la figura 2.1 viene illustrato il concetto al-la base del CMCC: realizzare un’integrazionetra modellisti numerici del clima, specialisti dicalcolo scientifico e software e specialisti te-matici nei vari settori che possono subire gliimpatti delle variazioni climatiche. La sfida è,infatti, di far comunicare efficacemente comuni-tà scientifiche diverse, altrimenti potrebbe deli-nearsi una situazione nella quale gli specialistidi impatti potrebbero avere aspettative total-mente irrealistiche della capacità dei modelli ei modellisti potrebbero produrre dati inutili oirrilevanti per gli studi di impatto. Questa inte-grazione è realizzata dal CMCC attraverso leattività di coordinamento e interazione tra levarie Divisioni.Il lavoro del CMCC è basato sulla disponibilitàdi notevoli risorse di calcolo. È stata completatal’acquisizione del sistema di calcolo principale(figura 2.2). Questo è composto di un sistema dicapability, dedicato alla produzione delle simu-lazioni numeriche, e di un sistema di capacity,dedicato alla manipolazione dei dati prodotti,all’analisi e funzionante anche come testbedper lo sviluppo di codici massicciamente paralle-li. Il sistema ha una capacità di archiviazione dioltre 1.000 Tbyte e dischi per 390 Tbyte.Il sistema permetterà lo sviluppo di modelli cli-matici che includeranno una migliore rappre-sentazione del Mar Mediterraneo e, quindi, losvolgimento di studi climatici particolarmentemirati alla regione mediterranea e alle sue intera-zioni con il resto del mondo. Inoltre, il Centro hasviluppato un modello del sistema-Terra che in-clude una descrizione completa del ciclo del car-bonio, compresi gli ecosistemi vegetali e marinie gli effetti dell’uso del suolo. Nonostante la suagiovane età, il CMCC si avvia a diventare unprotagonista della ricerca europea e nazionale.Ulteriori informazioni sono disponibili sul sitoweb del CMCC, http://www.cmcc.it.

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Figura 2.1 - La struttura logica del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici. Lesimulazioni climatiche devono essere progettate, eseguite e analizzate da una comunità checondivida un vocabolario e abbia ben chiare le limitazioni e le necessità di ciascunadisciplina.

Figura 2.2 - Il sistema di calcolo del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici.

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2.1.3 Presentazione del Rapporto APAT “Lostato e le tendenze del clima in Italia. Gli indica-tori del 2006”

Organizzazione dell’evento: APAT.Referente e moderatore: Franco Desiato (APAT).Interventi di: Valentina Pavan (ARPA Emilia Ro-magna).

Nel corso dell’intervento introduttivo sono statiillustrati i presupposti, lo scopo e gli sviluppidell’attività di reporting sullo stato e le tendenzedel clima in Italia e del Sistema Nazionale perla raccolta, l’elaborazione e la diffusione deidati Climatologici di Interesse Ambientale(SCIA); sono state illustrate sinteticamente le ca-ratteristiche salienti dell’andamento delle variabi-li climatiche in Italia nel corso del 2006, metten-dole anche a confronto con quelle alla scalaglobale e con i valori climatologici normali.Il rapporto (Serie APAT “Stato dell’Ambiente” n.11/2007) è il secondo di una serie avviata loscorso anno. Illustra l’andamento, nel corso del-l’anno, dei principali indicatori climatici deriva-ti dal sistema SCIA (www.scia.sinanet.apat.it),realizzato dall’APAT in collaborazione e con idati delle principali reti osservative presenti sulterritorio nazionale: il Servizio Meteorologicodell’Aeronautica Militare, l’Ufficio Centrale diEcologia Agraria, il Servizio Mareografico del-l’APAT e dieci Agenzie Regionali per la Prote-zione dell’Ambiente (ARPA).Nel capitolo introduttivo del Rapporto sono de-scritti alcuni aspetti salienti del clima 2006, ascala globale e continentale, e sono riepilogatigli eventi più significativi che hanno influenzatol’andamento delle temperature e delle precipi-tazioni sull’Italia nel corso delle stagioni. Il corpodella pubblicazione comprende una serie di ca-pitoli, uno per ogni variabile climatica. In ap-pendice sono illustrati i criteri adottati per la de-terminazione dei valori degli indicatori e per larealizzazione delle illustrazioni.

Nel Rapporto si evidenzia come, in Italia, il2006 sia stato complessivamente un anno moltopiù caldo della norma, con un’anomalia media dicirca + 1 °C rispetto al trentennio di riferimento1961-1990. Come negli ultimi dieci anni, a ec-cezione del 2005, l’anomalia positiva dellatemperatura media in Italia è stata superiore aquella media globale (circa 0,5 °C).Il 2006 è stato il quindicesimo anno consecutivocon anomalia di temperatura positiva, e il suovalore di anomalia media è il sesto dal 1961 aoggi. Solo i primi tre mesi dell’anno e il mese diagosto hanno registrato un’anomalia negativa. Ilmese relativamente più freddo è stato gennaio,con un’anomalia di – 0,85 °C. Le anomaliemensili positive sono tutte maggiori di 1° C. Lu-glio è stato il mese più caldo rispetto alla norma(+ 2,55 °C), seguito da dicembre e ottobre. Anche gli indicatori dei valori estremi di tempe-ratura confermano la connotazione “calda” del2006: il numero medio di giorni con gelo, cioè ilnumero di giorni con temperatura minima mi-nore o uguale a 0 °C, è stato circa il 15% inferio-re alla norma, mentre il numero di notti tropica-li, cioè con temperatura minima maggiore di 20°C, e il numero medio di giorni estivi, cioè contemperatura massima maggiore di 25 °C, hannosuperato di circa il 60% e il 20% i rispettivi valo-ri normali. In particolare, per il numero mediodi notti tropicali, il 2006 si colloca al quarto po-sto negli ultimi 46 anni.Per quanto riguarda le precipitazioni, nel 2006esse sono state mediamente scarse al Nord e alCentro, soprattutto nella prima metà dell’anno.Al Sud, invece, precipitazioni più abbondantidella norma, soprattutto nei mesi estivi, hannocausato un bilancio idrico annuale complessi-vamente neutro. Non sono mancati eventi diprecipitazione intensa, soprattutto nel mese diagosto, con una punta massima di precipitazio-ne giornaliera (337,4 millimetri) registrata dallastazione di Fiorino (GE) della rete regionaledell’ARPA Liguria.

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2.1.4 Atlante climatico italiano dell’Aeronauti-ca Militare

Organizzazione dell’evento: Centro Nazionaledi Meteorologia e Climatologia Aeronautica diPratica di Mare (CNMCA).Referente – Intervento unico: Tiziano Colombo(CNMCA-SMAM).

Sono stati presentati i prodotti salienti, elaboratida parte del Servizio di Climatologia del Servi-zio Meteorologico dell’Aeronautica, che speci-ficano l’andamento del clima nel nostro Paeserispetto alla norma.È stata mostrata la struttura generale dell’Atlan-te Climatico d’Italia, di prossima pubblicazione,relativo alle condizioni medie climatiche verifi-catesi in Italia nel corso del trentennio 1971-2000. Tale pubblicazione ricalca alcuni reso-conti climatici già apparsi anche presso altriServizi Meteorologici europei, quale per esem-pio Meteo France.È stata illustrata la sezione “Climatologia” del si-to web www.meteoam.it presente alla voce “Cli-ma”, per la quale è possibile accedere al “Bollet-tino climatico mensile” con il quale è illustrato,per ogni mese, l’andamento sia delle temperatu-re minime e massime sia delle precipitazioni,confrontato con lo standard climatico dell’Orga-nizzazione Meteorologica Mondiale relativo alperiodo 1961-1990. Ivi – nella sottosezione“Grafici climatologici”, alla voce “Confronto da-ti climatici con dati reali mensili” – sono presenta-ti anche i confronti delle misure delle singole sta-zioni meteorologiche con lo standard climatico.È stato anche fatto cenno ai lavori recenti effettua-ti dal Servizio di Climatologia del CNMCA, coni quali è stato studiato il riscaldamento globaleutilizzando i dati in possesso del Servizio Me-teorologico dell’Aeronautica; si è parlato, inparticolare, dell’ultimo lavoro “Study of tempe-rature and precipitation variations in Italy ba-sed on surface instrumental observations”, pub-

blicato su “Global and Planetary Change”(2007, n. 57, pagg. 308-318).Altri articoli sull’andamento del clima in Italiasono stati pubblicati sull’ultimo numero della“Rivista di Meteorologia Aeronautica”, organoufficiale del Servizio Meteorologico dell’Aero-nautica, numero presentato in occasione dell’e-vento e distribuito ai presenti.

2.2 Eventi collaterali del 13 settembre

2.2.1 Il Progetto V.E.C.T.O.R.

Organizzazione dell’evento: Consorzio Nazio-nale Interuniversitario per le Scienze del Mare(CoNISMa).Referente e moderatore: Cesare Corselli (CoNI-SMa, Presidente).Interventi di: Fabrizio Antonioli (ENEA), Ma-riangela Ravaioli (CNR-ISMAR).

Il progetto V.E.C.T.O.R (VulnErabilità delle Co-ste e degli ecosistemi marini italiani ai cambia-menti climaTici e loro ruolO nei cicli del caRbo-nio mediterraneo), coordinato da CoNISMa,con le sue 10 linee di ricerca, studia gli impattipiù significativi dei cambiamenti climatici in attosull’ambiente marino mediterraneo e il ruolo diquesto bacino nel ciclo planetario della CO2.Con la partecipazione di numerosi enti e istitu-zioni di ricerca italiani – quali gli Istituti ISMAR,IAMC, IDPA del CNR, ENEA, ICRAM, CMCC,INOGS e la Stazione Zoologica “Anton Dohrn”di Napoli – il progetto disegnerà possibili sce-nari futuri dell’impatto che i cambiamenti clima-tici potrebbero avere sulle coste italiane.Gli scenari proposti riguardano i cambiamentinelle estensioni delle aree costiere, nella morfo-logia delle spiagge emerse e sommerse, nellastruttura della colonna d’acqua e nelle modalitàdi circolazione costiera, nei trasporti litoranei,nel trasporto di aerosol dal mare all’area co-

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stiera e gli impatti relativi sulle opere e aree oc-cupate dall’uomo.A questi scenari verranno associati, in alcunearee, quelli legati ai cambiamenti negli ecosi-stemi (bentonici e pelagici) lagunari e marini intermini di diversità biologica, produttività, dis-tribuzione di specie invasive e di specie com-mercialmente importanti.Le 13 campagne oceanografiche svolte nei primi18 mesi di progetto, per un periodo complessivodi 117 giorni-nave, hanno visto avvicendarsi abordo delle navi Universitatis, Urania, DallaPorta e OGS-Explora, diversi gruppi di ricerca-tori impegnati nel monitoraggio di una lungaserie di parametri chimico-fisici, sia nei sedi-menti di fondo sia nella colonna d’acqua in dif-ferenti condizioni stagionali, necessari per com-prendere il ruolo che il Mediterraneo e alcunidei suoi bacini minori (Adriatico e Tirreno) as-sume a livello di bilancio del Carbonio.La multidisciplinarità del progetto, che coinvol-ge tra l’altro oltre 500 tra ricercatori e tecniciafferenti ai 9 enti partner, è stata ampiamentepresentata alla comunità scientifica in diversicontesti congressuali, dalla presentazione uffi-ciale a Castel dell’Ovo (Napoli, luglio 2006), alQuinto Congresso Nazionale per le Scienze delMare organizzato da CoNISMa (Viareggio,novembre 2006); al Meeting “La ricerca italia-na sui cambiamenti climatici. Scenari, impatti,politiche”, organizzato dal CMCC (Gallipoli,maggio 2007). I risultati preliminari sono stati discussi nel corsodel Primo Workshop V.E.C.T.O.R. (Rimini, set-tembre 2007) ospitato nell’ambito di GEOITA-LIA 2007, Sesto Forum Italiano di Scienze dellaTerra. (sito web: http://vector-conisma.geo.unimib.it/)

2.2.2 “Osservatorio per il diritto all’acqua”del MATTM

Organizzazione dell’evento: Osservatorio per ildiritto all’acqua (MATTM).Referente e moderatore: Rosario Lembo (Osser-vatorio).Interventi di: Alex Zanotelli (Missionari Combo-niani), Maurizio Montalto (Osservatorio), Tizia-no Butturini (Gruppo Tutela Ambientale Sud Mi-lanese – TASM, Presidente).

Nel corso dell’evento è stata affrontata la pro-blematica della gestione della risorsa idrica eavviata una discussione circa le possibili solu-zioni alternative rispetto a quelle attualmentepromosse dal mondo politico e improntate altrittico tecnologia-finanza-mercato.Tra le soluzioni concrete, efficaci e possibili perfar fronte agli effetti del cambiamento climaticosull’acqua che l’ “Osservatorio per il diritto al-l’acqua” propone, possono essere menzionatialcuni esempi, quali:– portare al 10% la superficie delle terre agri-

cole riservate all’agricoltura biologica neipaesi occidentali entro il 2012;

– vietare l’uso della terra per la produzione dibioetanolo, processo altamente idrovoro;

– eliminare l’elevato consumo di acqua richie-sto per l’irrigazione a pioggia, sostituendolacon altri metodi meno dispendiosi, anche tra-mite incentivi per la rottamazione; cessare lesovvenzioni all’irrigazione intensiva, spo-standole su altre con minor consumo di ac-qua;

– condizionare la produzione di colture alledisponibilità idriche locali (principio dell’e-condizionalità degli usi produttivi);

– sanzionare severamente gli enti/istituzioniterritoriali responsabili delle risorse idricheche non tengono i Libri di campagna e i Cata-sti industriali per gli usi produttivi delle risorseidriche;

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– fare rispettare le leggi esistenti in materia diprotezione del suolo e di tutela delle risorseidriche;

– fare il censimento dei pozzi e far rispettare laregolamentazione del loro uso e della loromanutenzione;

– ridurre del 50% i pesticidi entro il 2015 e vie-tarne la vendita libera;

– sostituire le bottiglie di plastica per le acqueminerali e le acque di sorgente;

– ripubblicizzare la gestione delle acque mine-rali e regolamentarne la distribuzione inter-regionale in termini di prelievi e di tasse diconcessione;

– vietare la pubblicità commerciale delle acqueminerali;

– promuovere il consumo di acqua di rubinettonelle città, nelle scuole ed edifici pubblici, e larealizzazione di punti pubblici di erogazionedell’acqua (“Case dell’acqua”);

– creare un’Autorità nazionale delle acque, esu queste basi costituire un’OrganizzazioneMondiale dell’Acqua di cui farebbe parte unTribunale internazionale delle acque;

– escludere l’inserzione dei servizi idrici neinegoziati sulla liberalizzazione dei servizi(WTO/GATS), e vietare la vendita/esporta-zione dell’acqua tra regioni e tra paesi;

– adottare accordi sopranazionali vincolanti inmateria di conservazione e uso delle acquedei bacini idrologici transnazionali;

– ripubblicizzare la gestione dei servizi pubbli-ci, laddove necessario, e reinventare sistemidi finanziamento pubblico degli investimentiper infrastrutture e per i servizi idrici;

– promuovere il partenariato pubblico/pubblicotra imprese ed enti locali;

– adottare il principio di econdizionalità suiprelievi d’acqua dai bacini fluviali;

– adottare un accordo internazionale sulla mo-ratoria della costruzione di grandi dighe.

2.2.3 Presentazione del Rapporto ENEA su“Cambiamenti climatici e agro-ecosistemi”

Organizzazione dell’evento: ENEA (Ente per leNuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente).Referente e moderatore: Massimo Iannetta(ENEA).Interventi di: Giovanna Zappa (ENEA), NicolaColonna (ENEA), Patrizia Galeffi (ENEA), An-namaria Bevivino (ENEA).

Sono state presentate alcune delle esperienzematurate dal Dipartimento Biotecnologie,agroindustria e protezione della salute (BAS)dell’ENEA sul tema “Cambiamenti climatici eagro-ecosistemi”. Le aree tematiche trattate afferiscono alle lineedi ricerca di seguito indicate.1. Componenti agroecosistemiche a rischio.2. Interazioni tra cambiamenti climatici, inqui-

nanti ambientali, agro-ecosistemi ed effettisulla salute.

3. La gestione degli agro-ecosistemi per la miti-gazione dei processi di degrado delle risorsenaturali e dei cambiamenti climatici.

4. Riduzione del danno prodotto dai cambia-menti climatici attraverso sistemi di adatta-mento flessibile.

Le evidenze scientifiche prodotte nel corso diquesti ultimi anni sul tema dei cambiamenti am-bientali globali provocati dall’uomo inducono aragionare concretamente sugli impatti prodottie sulle azioni da intraprendere, affinché le criti-cità ambientali e socio-economiche non diventi-no elementi strutturali e vincolanti per il nostroPianeta e per gli esseri umani che lo abitano. Ilclima e la vulnerabilità intrinseca degli ecosiste-mi rappresentano gli elementi più sensibili diquesto cambiamento, generando effetti direttisu biodiversità, ecosistemi, risorse naturali e sa-lute, ma anche gravi emergenze territoriali ecalamità naturali.L’agricoltura si colloca in una posizione nodale ri-

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spetto alle altre attività antropiche, in quantopuò produrre effetti diretti, oltre che sul clima,anche sulla salute e su biodiversità ed ecosistemiper fenomeni di inquinamento e sfruttamentodelle risorse naturali, con particolare riguardoalle acque (superficiali e di falda) e ai suoli.Inoltre, l’agricoltura può subire tutti gli effetti di-retti e indiretti delle altre attività antropiche edegli eventi naturali, per cui occorre valutare at-tentamente la stretta relazione che esiste traqualità dell’ambiente, produzione agricola, ali-menti e salute dell’uomo.Per passare dalla diagnosi dell’attuale situazio-ne alla possibile terapia, nel corso dell’eventosono state presentate alcune possibili soluzioniinnovative di tipo biotecnologico e metodologico,in grado sia di contenere nel breve periodo ildanno potenziale sugli agro-ecosistemi (adatta-mento ai cambiamenti climatici in atto) sia dimitigare i processi di degrado delle risorse na-turali.

2.2.4 Muvita: l’esperienza del primo ScienceCentre italiano dedicato al tema dei cambia-menti climatici

Organizzazione dell’evento: Muvita S.r.l.Agenzia Provinciale31 per l’ambiente, l’energiae l’innovazione.Referente – Intervento unico: Marco Castagna(Muvita, Presidente).

L’obiettivo perseguito con l’evento collaterale èstato quello di illustrare il percorso che ha por-tato alla realizzazione del Muvita e di presenta-re coloro che ne sono stati i protagonisti, l’artico-lazione spaziale e gli argomenti affrontati, glisviluppi e le ricadute sul territorio a partire dall’at-tività di educazione e divulgazione, così da offri-re un termine di riferimento per analoghe ini-

ziative che volessero essere avviate nel nostroPaese.Il Muvita è uno “science centre” – cioè, un inno-vativo centro di animazione scientifica – il pri-mo in Italia interamente dedicato al rapportotra uomo, energia e clima. Il Centro proponepercorsi didattici e laboratori mirati alla scoper-ta della macchina del clima, delle varie fonti dienergia, dei temi del risparmio e dell’efficienzaenergetica. Sorto nel luogo di una delle piùgrandi tragedie ambientali del nostro tempo(l’affondamento della petroliera “Haven”, nel1991) ha l’obiettivo di comunicare, informareed educare rispetto al ruolo che ciascuno puòavere nel contrastare i cambiamenti climatici inatto e adottare le opportune strategie di adatta-mento agli stessi.La mission di Muvita è quella di dare impulso aimodelli di crescita sostenibile, favorendone l’e-spressione e assecondando il dibattito attornoalle problematiche ambientali.Muvita mira, inoltre, a operare una mediazioneculturale fra ricerca e grande pubblico, cercan-do di assumere una funzione sociale per educa-re i cittadini, i giovani in primo luogo, a unanuova visione del mondo e dei rapporti tra l’uo-mo, la natura e la tecnologia.

2.2.5 Ruolo e iniziative degli enti locali a fron-te dei cambiamenti climatici

Organizzazione dell’evento: CoordinamentoAgende 21 Locali Italiane, ANCI, UPI.Referente e moderatore: Dario Esposito (ANCI,Presidente Commissione ambiente – Assessorealle politiche ambientali e agricole del Comune diRoma).Interventi di: Francesco Bicciato (Coordina-mento Agende 21 Locali Italiane, Vicepresi-dente – Assessore all’ambiente del Comune di

31 Provincia di Genova.

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Padova), Angelo Paladino (Commissione Am-biente UPI – Assessore all’ambiente della Pro-vincia di Salerno).

Nel suo intervento introduttivo Dario Espositoha sottolineato che la partecipazione alla Confe-renza nazionale sui cambiamenti climatici daparte degli enti locali, rappresentati dalle pro-prie associazioni, è il segnale della volontà cheComuni, Province e Regioni vogliono giocareun ruolo da protagonisti nelle politiche per il cli-ma. Nel corso del 2008 sarà sviluppato il pro-getto relativo alla redazione partecipata di unPiano d’azione comunale che consenta, entro il2012, di tagliare all’interno del territorio citta-dino del 6,5% (rispetto al 1990) le emissioni digas climalteranti.Sono stati, poi, illustrati i numerosi ambiti di in-tervento delle Province per incidere sulle politi-che per il clima: dalla pianificazione territoria-

le, con ricadute sulle scelte in materia di mobili-tà e urbanistica, al contrasto all’erosione costie-ra, alle politiche energetiche.Il Gruppo di lavoro del Coordinamento “Agende21 locali per Kyoto” ha proposto di inserire Co-muni, Province e Regioni nei registri degli aven-ti diritto ai “certificati bianchi” e “verdi” e diescludere dal patto di stabilità gli investimentiper il risparmio energetico e la produzione dienergia da fonti rinnovabili. È stato affermatoche l’azione congiunta degli enti locali italianipuò contribuire al raggiungimento degli obietti-vi del Protocollo di Kyoto per almeno il 20% de-gli impegni di riduzione assunti dall’Italia e che,nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà,gli enti locali virtuosi potrebbero entrare neimeccanismi di compravendita delle quote diCO2, cedendo al governo centrale – in grave ri-tardo rispetto agli obiettivi di Kyoto – una partedelle emissioni risparmiate.

Figura 2.3 - Un momento dell’evento collaterale organizzato dal Coordinamento Agende 21Locali Italiane, dall’ANCI e dall’UPI sul tema “Ruolo e iniziative degli enti locali a fronte dei cam-biamenti climatici”.

Roma, 13 settembre2007, ConferenzaNazionale suicambiamenti climatici.Sala gremita inoccasione dell’eventocollaterale organizzatoda CoordinamentoAgende 21 LocaliItaliane, ANCI e UPI sultema “Ruolo einiziative degli entilocali a fronte deicambiamenti climatici”.A destra FrancescoBicciato, assessore delComune di Padova,ente capofila delGruppo di lavoro delCoordinamentoAgende 21 locali perKyoto.

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2.3 Conferenza Junior

Organizzazione dell’evento: APAT Dipartimen-to per le attività bibliotecarie, documentali e perl’informazione; in collaborazione con ARPA To-scana; con il supporto di CTS Ambiente e laconsulenza di Paola Rizzi (Docente Universitàdegli Studi di Sassari, Dipartimento di Architettu-ra e pianificazione, Facoltà di Architettura).Referenti: Emi Morroni (APAT, Direttore Diparti-mento per le attività bibliotecarie, documentalie per l’informazione BIB), Adolfo Pirozzi (APAT-BIB, Dirigente Servizio Educazione e Formazio-ne Ambientale FOR), Stefania Calicchia (APAT-BIB-FOR, Responsabile Settore Educazione Am-bientale).Moderatore (attività di giocosimulazione): PaolaRizzi (Docente, Università degli Studi di Sassari,Facoltà di Architettura).Interventi Sessione di Roma: Massimo Scalia(Comitato tecnico-scientifico DESS UNESCO),Massimiliano Tabusi (Segretario Società Geo-grafica Italiana), Miriam Marta (AssociazioneItaliana Insegnanti di Geografia), CarmelaD’Aiutolo (ARPA Toscana, Responsabile A. F.Educazione Ambientale), Francesco Apruzzese(ARPA Emilia Romagna, Struttura Tematica Epi-demiologia Ambientale), Roberta Renati (ARPAEmilia Romagna, Servizio IdroMeteorologico),Adolfo Pirozzi (APAT-BIB, Dirigente ServizioEducazione e Formazione Ambientale FOR).Interventi Sessione parallela presso l’AziendaUSL 11 di Empoli (Fi): Luca Lombroso (Docente,Università di Modena e Reggio Emilia).

La Conferenza Junior ha destato interesse siaper la particolarità delle attività realizzate, siaper il pubblico intervenuto: al Palazzo FAO, aRoma, erano presenti circa cento di ragazzi dai12 ai 18 anni, accompagnati da alcuni inse-gnanti, in rappresentanza di istituti scolastici diRoma e delle province di Roma, Arezzo e Ge-nova, mentre un altro gruppo di circa ottanta

studenti ha partecipato alla Conferenza Juniorin videoconferenza dalla sede dell’Azienda USL11 di Empoli, nell’ambito di un evento paralleloorganizzato dall’ARPA Toscana.La denominazione di “conferenza” non si pre-sta molto a spiegare le finalità e le modalità disvolgimento di questa iniziativa di educazioneambientale, che ha ricevuto tra l’altro un impor-tante riconoscimento dalla Commissione Italia-na dell’UNESCO nell’ambito delle attività per ilDecennio ONU dell’Educazione allo svilupposostenibile. La finalità era quella di coinvolgere lafascia più giovane della cittadinanza nel dibatti-to nazionale su un tema sicuramente molto im-pegnativo e complesso quale quello dei cam-biamenti climatici, apparentemente lontano,per le sue implicazioni nel lungo periodo, dallasensibilità dei giovani, attratti soprattutto da feno-meni immediatamente percepibili e sperimenta-bili.

La scelta attuata dagli organizzatori è stataquella di proporre ai partecipanti un’attività sti-molante e dinamica, invitandoli a essere protago-nisti attivi piuttosto che passivi ascoltatori di infor-mazioni e nozioni scientifiche trasmesse da re-latori adulti.Il raggiungimento di questi obiettivi è stato affida-to alla progettazione e sperimentazione di unametodologia innovativa, quella della gioco-si-mulazione, attraverso un lavoro di equipe che

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ha coinvolto il Settore Educazione ambientaledi APAT, il CTS Ambiente e l’ARPA Toscana eche si è avvalso del decisivo contributo profes-sionale della prof.ssa Paola Rizzi, docente diUrbanistica presso l’Università degli Studi diSassari ed esperta internazionale di tale meto-do utilizzato soprattutto in ambiti di pianifica-zione partecipata.La metodologia è stata scelta considerando lasua valenza in un ambito (i cambiamenti clima-tici) i cui temi e problematiche esprimono unelevatissimo grado di complessità. L’intreccio tra fenomeni meteo-climatici e caratte-ristiche ambientali, sociali ed economiche di unterritorio non può essere né semplificato (per il ri-schio di banalizzare i fenomeni), né ridotto a se-quenze di nozioni indipendenti e frammentate. Nella gioco-simulazione tutti gli elementi ven-gono mantenuti – nel caso specifico sono statimantenuti quasi tutti: sicuramente è stata elimi-nata la componente geopolitica che, nella realtà,incide per esempio sulle dinamiche internazio-nali e sulle scelte in campo energetico – e messia disposizione dei giocatori. Spetta a loro sce-gliere se utilizzarli o meno, approfondendoquesto o quel concetto, in base al ruolo che vie-ne loro casualmente attribuito e alle naturali di-namiche relazionali che il gioco contribuisce acreare.Quindi, non solo educazione ambientale in ter-mini di stimolo a conoscere e a riflettere sul rap-porto tra uomo e natura, ma occasione peranalizzare l’insieme delle dinamiche che con-nettono le diverse attività e comportamenti uma-ni con i fenomeni naturali e con i loro effetti allediverse scale alle quali si manifestano. Sulle base di queste scelte e considerazioni èstato così possibile realizzare il gioco Va.d.di. –Vallo a dire ai dinosauri (con riferimento, tra ilserio e l’ironico, a una delle teorie più accredita-te sulle cause della scomparsa di questi rettili). Ilgioco è basato sulla creazione di un contestoterritoriale immaginario ma verosimile, la re-

gione di Pycaia, comprendente tre realtà urbanecon caratteristiche ambientali e sociali differenti– rispettivamente: una metropoli, Naraoia; unacittadina costiera, Molaria, e un paesino dimontagna, Santacaris – nelle quali i cittadini-giocatori, in base al ruolo a essi assegnato, sonostati impegnati ad affrontare una serie di eventilegati ai cambiamenti climatici.Procedendo tra varie situazioni di gioco, intera-zioni e decisioni individuali e collettive, la giorna-ta trascorsa a Pycaia ha permesso ai suoi “abi-tanti”, stimolati da un gruppo di facilitatoriadulti, di giungere ad adottare, tramite un refe-rendum, un documento strategico contenenteuna lista di azioni prioritarie utili a fronteggia-re, e possibilmente evitare, le conseguenze ne-gative dei cambiamenti climatici. Il coinvolgi-mento, in questa fase, di un gruppo di espertiadulti, rappresentanti di diverse aree disciplina-ri, ha completato il percorso dell’esperienzaeducativa vissuta dai giovani con alcune inte-grazioni e con una valutazione, sostanzialmen-te positiva, del lavoro compiuto.

In sintesi, il “Manifesto” della Conferenza Ju-nior, che è stato ufficialmente consegnato nellasessione di chiusura al Ministro dell’ambiente,risulta sorprendentemente in linea con le con-clusioni degli adulti. I ragazzi si esprimono afavore di un maggior utilizzo di fonti energeti-che rinnovabili e di risparmio delle risorse idri-

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che; si dimostrano fiduciosi nella ricerca di nuo-ve tecnologie per la salvaguardia del territorio esi dichiarano disponibili a modificare le proprieabitudini quotidiane per evitare sprechi di risor-se e integrare nei propri comportamenti i valoridella sostenibilità.Visti gli ottimi risultati raggiunti con la Confe-renza Junior 2007, ci si può giustamente augu-rare che altri studenti in futuro possano ripeterel’esperienza educativa della gioco-simulazione

Va.d.di., che è tuttora in fase di ulteriore affina-mento nei contenuti e nelle modalità di eroga-zione, nella speranza che iniziative come que-sta servano a suscitare curiosità e interessi nuo-vi, utili a una comprensione sempre migliore diuna problematica così complessa come quelladei cambiamenti climatici, e delle risposte – dif-ficili ma non impossibili – da parte dell’uomo,per affrontarli, piuttosto che accelerarli, comepurtroppo è stato fatto finora.

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I 117 poster della CNCC2007 sono raccolti in 7sezioni, di seguito descritte.I poster della sezione “Sintesi di workshop econvegni” presentano i principali risultati otte-nuti nell’ambito degli eventi organizzati in prepa-razione alla CNCC2007 e finalizzati alla pre-disposizione dei presupposti tecnici per le fasidi valutazione e dibattito finali oggetto dellaConferenza. I poster della sezione “Background” sono statirealizzati dall’Organizzazione dellaCNCC2007 per offrire un quadro conoscitivoriguardo ai principali documenti internazionalirelativi alla tematica dei cambiamenti climatici,con particolare riferimento alla strategia diadattamento e agli aspetti di valutazione eco-nomica. Fa parte di questa sezione anche il po-ster relativo alla neutralizzazione delle emissio-ni della Conferenza.Le sezioni 3, 4, 5 sono strutturate sulla base del-le tematiche dei tre Gruppi di Lavoro dell’IPCC:“Clima: stato e tendenze”; “Impatti, vulnerabilitàe adattamento”; “Inventari ed emissioni (sor-genti e sink)”.La sezione 6 raccoglie i contributi di presenta-zione di approcci integrati e uso sostenibile del-le risorse.Infine, la sezione 7 presenta i poster con finalitàdi educazione, sensibilizzazione e informazione.

Di seguito l’elenco dei poster che sono statiesposti, con la citazione degli autori.

3.1 Sintesi di workshop e convegni

Le variazioni climatiche e i processi di desertifi-cazione: verso piani di monitoraggio e strategiedi riduzione della vulnerabilità e di adattamento

A. Luise*, A. Motroni**, G. Bonati***, M. Scior-tino***** Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servi-zi tecnici (APAT)** ARPA Sardegna*** Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA)**** Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambien-te (ENEA)

Cambiamenti climatici ed eventi estremi: rischiper la saluteL. Sinisi*, J. Tuscano* * Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servi-zi tecnici (APAT)

Cambiamenti climatici e ambiente marino-co-stiero: scenari futuri per un programma nazio-nale di adattamentoS. Corsini*, A. Barbano*, S. Mandrone*, S.Morucci*, V. Pesarino*, L. Sinapi*, E. Valpre-da**, C. Vicini** Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servi-zi tecnici (APAT) – Dipartimento Tutela acque interne emarine – Servizio Difesa delle coste ** Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente(ENEA) – Dipartimento Ambiente, Cambiamenti Globa-li e Sviluppo Sostenibile (ACS)

Cambiamenti climatici e ambienti nivo-glaciali:scenari e prospettive di adattamentoL. Mercalli*, U. Morra di Cella**, E. Cremone-se**, G. Agnesod**, S. Tornato**, C. Piccini**** SMI-CGI** ARPA Valle d’Aosta*** Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i ser-vizi tecnici (APAT)

Cambiamenti climatici e dissesto idrogeologico:scenari futuri per un programma nazionale diadattamentoC. Margottini*, D. Spizzichino*, G. Onorati*** Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servi-zi tecnici (APAT)** ARPA Campania

3. Sessione “Poster”

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Effetti dei cambiamenti climatici sul bacino delfiume PoM. Bussettini*, C. Alessandrini**, S. Pecora*** Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servi-zi tecnici (APAT)** ARPA Emilia-Romagna – Servizio IdroMeteorologico

Inventario nazionale delle emissioni di gas serra:stato e tendenzeD. Romano*, M. Vitullo** Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servi-zi tecnici (APAT)con il contributo di:R. De Lauretis*, D. Gaudioso**, G. Assenna-to***, S. Caserini***** Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servi-zi tecnici (APAT)** Ministero dello Sviluppo Economico*** ARPA Puglia**** ARPA Lombardia

3.2 Poster di background

La neutralizzazione delle emissioni della Confe-renzaA. Raudner** Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servi-zi tecnici (APAT)

IPCC WGI – Le basi scientificheF. Desiato*, F. Giordano*, W. Perconti* * Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servi-zi tecnici (APAT)

IPCC WGII – Impatti, vulnerabilità e adattamen-toF. Desiato*, F. Giordano*, W. Perconti* * Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servi-zi tecnici (APAT)

IPCC WGIII – MitigazioneA. Raudner** Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servi-zi tecnici (APAT)

Il Rapporto PesetaA. Martini*, A. Capriolo* * Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servi-zi tecnici (APAT)

Il Rapporto SternA. Martini*, A. Capriolo* * Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servi-zi tecnici (APAT)

Il “Green Paper” della Commissione europeasull’adattamentoA. Raudner** Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servi-zi tecnici (APAT)

3.3 Clima: stato e tendenze

Il Sistema nazionale di indicatori del Clima inItalia (SCIA) F. Desiato*, A. Toreti*, G. Fioravanti*, P. Fra-schetti*, F. Baffo*, F. Giordano*, M. Pennacchi*,W. Perconti** Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servi-zi tecnici (APAT)

La tendenza delle precipitazioni in ItaliaF. Desiato*, A. Toreti*, G. Fioravanti*, P. Fra-schetti*, F. Baffo*, F. Giordano*, M. Pennacchi*,W. Perconti** Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servi-zi tecnici (APAT)

La tendenza della temperatura in ItaliaF. Desiato*, A. Toreti*, G. Fioravanti*, P. Fra-schetti*, F. Baffo*, F. Giordano*, M. Pennacchi*,W. Perconti** Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servi-zi tecnici (APAT)

Il Sistema Idro-Meteo-Mare dell’APAT: verso lamodellazione integrata meteorologica, marinae idrologica sul Mediterraneo M. Casaioli*, S. Mariani*, A. Orasi*, A. Bru-schi*, M. Bussettini*, R. Inghilesi* * Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servi-zi tecnici (APAT)

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Monitoraggio e prevenzione del rischio meteo-idrologico: il ruolo di ARPAL in relazione aicambiamenti climatici in atto F. Castino*, L. Onorato*, V. Bonati*, R. Cresta*,E. Trovatore* * ARPA Liguria

Il trend dello Standard Precipitation Index (SPI)in Basilicata (1951-2006) B. Bove*, C. Brindisi*, C. Glisci*, V. Lanorte*,M. Lovallo*, G. Marchetta*, R. Votta* * ARPA Basilicata – Settore Monitoraggio

Dinamiche della siccità coinvolte nella storia delcambiamento climatico in Italia N. Diodato*, G. Bellocchi* * GTOS/TEMS Network, Monte Pino Met Research Ob-servatory

Siccità in Lombardia: il ruolo dell’ARPA M. Cislaghi*, G. P. Minardi*, M. Russo* * ARPA Lombardia

Indici di cambiamento climatico: variazioni cli-matiche e sistema elettrico F. Apadula*, L. Nigro*, T. Colombo**, S. De An-gelis**, F. Maimone**, V. Pelino** * CESI RICERCA SpA – Dipartimento Ambiente e Svilup-po Sostenibile** Servizio Meteorologico dell’Aeronautica Militare –Centro Nazionale di Meteorologia e Climatologia Ae-ronautica (CNMCA)

Metodologia per la produzione di scenari cli-matici e bioclimatici ad alta risoluzione per ilTerritorio Nazionale F. Attore*, F. Francesconi*, R. Valenti*, A. Col-lalti*, F. Bruno* * Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Diparti-mento di Biologia Vegetale

QUITSAT al servizio delle tematiche del clima(Qualità dell’aria mediante l’integrazione di

misure a Terra, da terra, da Satellite e di model-listica chimica multifase e di Trasporto) W. Di Nicolantonio*, C. Tomasi**, E. Bolzacchi-ni***, A. Cacciari*, F. Fierli**, G. Finzi****, G.Giovanelli**, G. P. Gobbi**, A. Petritoli**, G.Redaelli*****, L. Volta****, G. Visconti*****, A.Ananasso******, R. Guzzi******* Carlo Gavazzi c/o Consiglio Nazionale delle Ricer-che (CNR) – Istituto di Scienze dell’atmosfera e del clima(ISAC), Sede di Bologna** Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) – Istituto diScienze dell’atmosfera e del clima (ISAC), Sede di Bolo-gna*** Università degli Studi di Milano - Bicocca, Diparti-mento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio**** Università degli Studi di Brescia, Dipartimento diElettronica per l’Automazione***** Università degli Studi de L’Aquila, Centro di eccel-lenza per l’Integrazione di Tecniche di Telerilevamento eModellistica Numerica per la Previsione di Eventi Me-teorologici Estremi (CETEMPS)****** Agenzia spaziale italiana (ASI)

3.4 Impatti, vulnerabilità e adattamento

3.4.1 Ambiente montano e criosfera

Il monitoraggio dei ghiacciai con tecniche di Te-lerilevamento: base di conoscenza e supportoall’adattamento D. Bellingeri*, E. Zini** ARPA Lombardia – Settore Sistemi Informativi Am-bientali

Il monitoraggio in alta quota in Appennino A. Stanisci*, B. Petriccione**, G. Rossi***, E.Zanini****, M. Freppaz****, G. Corti*****, C.Giancola*, G. Pelino*, G. Parolo**** Università degli Studi del Molise, Dipartimento diScienze e Tecnologie per l’Ambiente e il Territorio(S.T.A.T.)** Corpo Forestale dello Stato – Ufficio CONECOFOR *** Università degli Studi di Pavia, Dipartimento di Eco-logia del Territorio**** Università degli Studi di Torino, Dipartimento diValorizzazione e Protezione delle Risorse Agroforestali***** Università Politecnica delle Marche, Dipartimento diScienze Ambientali e delle Produzioni Vegetali

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Evidenze dei cambiamenti climatici sull’am-biente glaciale e periglaciale delle Dolomiti A. Cagnati*, A. Crepaz*, M. Valt ** ARPA Veneto – Dipartimento Regionale per la Sicurez-za del Territorio, Centro Valanghe di Arabba

Variazioni recenti del manto nevoso sul versantesud delle Alpi M. Valt*, A. Cagnati*, A. Crepaz* * ARPA Veneto – Dipartimento Regionale per la Sicurez-za del Territorio, Centro Valanghe di Arabba

Il catasto dei ghiacciai della Regione Lombar-dia: quantificazione della risorsa idrica e suevariazioni recenti C. Smiraglia*–**, M. Citterio***, T. Carnielli*,C. D’Agata*–**, G. Diolaiuti*–*** Università degli Studi di Milano, Dipartimento diScienze della Terra “A. Desio”** Comitato Glaciologico Italiano – Sezione di Torino *** Geus Copenhagen

Ghiacciaio del Belvedere: misure di spostamen-to e ablazione (stagione 2006) D. Godone*, A. Tamburini**, F. Godone***, R.Chiabrando** Università degli Studi di Torino, Facoltà di Agraria,Dipartimento di Economia e Ingegneria Agraria Fore-stale e Ambientale (DEIAFA), Sezione Topografia e Co-struzioni** IMAGEO (Torino)*** Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) – Istitutodi ricerca per la protezione idrogeologica (IRPI), Sededi Torino

L’attuale fase di regresso dei ghiacciai italiani:la riduzione di una risorsa idrica fondamentale C. Smiraglia*–**, C. D’Agata*–**, G. Diolaiu-ti*–**, F. Apadula***, G. Stella**–**** Università degli Studi di Milano, Dipartimento diScienze della Terra “A. Desio”** Comitato Glaciologico Italiano – Sezione di Torino*** CESI RICERCA SpA

Quantificazione operativa della riserva idricanivale mediante rilevamento nivometrico e mo-dellistica idrologica del manto nevoso A. Salandin*, S. Barbero*, M. Cordola* * ARPA Piemonte

Riscaldamento climatico e anomalie termichesulle Alpi: risposta della vegetazione arborea edei ghiacciai a confronto M. Pelfini*, G. Leonelli*, P. Cherubini*** Università degli Studi di Milano, Dipartimento diScienze della Terra “A. Desio”** WSL Swiss Federal Research Institute, Dendro Sciences

La colonizzazione arborea epiglaciale comeconseguenza del riscaldamento climatico M. Pelfini*, M. Santilli*, G. Leonelli*, M. Bozzoni** Università degli Studi di Milano, Dipartimento diScienze della Terra “A. Desio”, Comitato GlaciologicoItaliano

3.4.2 Biodiversità e foreste

Monitoraggio del gradiente altitudinale di di-versità floristica in relazione ai cambiamenti cli-matici in Appennino centrale (Italia) J. P. Theurillat*, M. Iocchi*, M. Cutini*, G. DeMarco** Università degli Studi di Roma Tre, Dipartimento diBiologia

Le reti di monitoraggio fenologico delle speciearboree e forestali: uno strumento per lo svilup-po di strategie di gestione e adattamento in am-biente mediterraneo D. Spano*, C. Cesaraccio**, P. Duce**, L. Bota-relli***, W. Pratizzoli***, V. Sacchetti**** Università degli Studi di Sassari, Dipartimento di Eco-nomia e Sistemi Arborei (DESA)** Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) – Istituto diBiometeorologia (IBIMET), Sezione di Sassari*** ARPA Emilia Romagna

Gestione del rischio incendi boschivi in areaMediterranea: metodi e modelli per la previsionedel rischio e la valutazione dell’impatto ambien-tale P. Duce*, B. Arca*, G. Pellizzaro*, A. Ventura*,P. Zara*, D. Spano**, C. Sirca**, M. Salis**, V.Bacciu**, R. L. Snyder***, K. T. Paw U**** Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) – Istituto diBiometeorologia (IBIMET), Sezione di Sassari

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** Università degli Studi di Sassari, Dipartimento diEconomia e Sistemi Arborei (DESA) – Centro EuroMedi-terraneo per i Cambiamenti Climatici*** University of California, Atmospheric Science, Da-vis, California

3.4.3 Agricoltura

Il cambiamento climatico e il settore agro-fore-stale - La ricerca promossa dall’ARSIA R. Russu*, G. Maracchi**, M. Bindi**** Regione Toscana – Agenzia Regionale per lo Sviluppoe l’Innovazione nel Settore Agricolo-forestale (ARSIA)** Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) – Istituto diBiometeorologia (IBIMET), Sede di Firenze *** Università degli Studi di Firenze, Dipartimento diScienze Agronomiche e gestione del Territorio agro-fore-stale (DISAT)

Cambiamenti climatici e agro-ecosistemiEnte per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Am-biente (ENEA) – Dipartimento Biotecnologie,Agroindustria e Protezione della Salute (BAS),Centro Ricerche Casaccia

Agricoltura e cambiamenti climatici: le ricerchedel CRA-UCMEA D. Vento*, S. Esposito*, E. Di Giuseppe* * Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agri-coltura (CRA) – Unità di Ricerca per la Climatologia e laMeteorologia applicate all’Agricoltura (UCMEA)

Evoluzione dei sistemi colturali a seguito deicambiamenti climaticiD. Ventrella* * Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agri-coltura (CRA) – Istituto Sperimentale Agronomico

Strategie di adattamento e rischio climatico nei si-stemi agricoli mediterranei P. Duce*, C. Cesaraccio*, D. Spano**, I. Ioco-la**, A. Motroni***, S. Canu***, M. Dettori***** Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) – Istituto diBiometeorologia (IBIMET), Sezione di Sassari** Università degli Studi di Sassari, Dipartimento diEconomia e Sistemi Arborei (DESA) – Centro EuroMedi-terraneo per i Cambiamenti Climatici*** Servizio Agrometeorologico Regionale per la Sar-

degna (SAR Sardegna)**** Agenzia per la ricerca in agricoltura della RegioneSardegna, Dipartimento per la ricerca nelle ProduzioniVegetali (AGRIS-DPV Sardegna)

Agricoltura irrigua e scenari di cambiamentoclimaticoR. Zucaro** Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA)

Valutazione con approccio GIS dell’uso irriguosostenibile del sistema suolo-coltura-clima nellearee non attrezzate e servite da reti collettivedei Consorzi di Bonifica del Sud Italia – Proget-to MIPAAF “Assistenza Tecnica Risorse IdricheRegioni Meridionali” R. Napoli*, G. Morelli*, N. Laruccia*, L. Gar-din*, M. Paolanti*, P. Nino**, S. Vanino**, F. DeSantis**, S. Fabiani**, C. Liberati**, A. Cascio-lo***, G. Romano**** Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agri-coltura (CRA) – Istituto Sperimentale Studio e Difesa delSuolo ** Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA)*** Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Fore-stali – Ufficio Commissario Ad Acta (ex Agensud)

Servizio Agrometeorologico Lucano – Applica-zioni e attività nell’ambito dei processi di deser-tificazione e di degrado delle aree agricole re-gionaliE. Scalcione*, P. Zienna*, G. Giancipoli*, A. La-guardia*, N. Cardinale**, G. Lacertosa*** Agenzia Lucana di Sviluppo e di Innovazione in Agri-coltura (ALSIA)** Metapontum Agrobios

Recupero e utilizzo di acqua da impianti idro-vori presenti nelle reti di bonifica delle RegioniMeridionali F. De Santis*, P. Nino*, G. Bonati*, G. Roma-no**, A. Casciolo*** Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA)** Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Foresta-li – Ufficio Commissario Ad Acta (ex Agensud)

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3.4.4 Risorse idriche e degrado del suolo

Il cambiamento climatico e la pianificazionedella risorsa idrica in Emilia Romagna F. Dottori*, L. Botarelli*, W. Pratizzoli*, G. Bor-tone**, R. Bissoli**, E. Cimatti*** ARPA Emilia Romagna – Servizio IdroMeteorologico ** Regione Emilia-Romagna – Direzione Generale Am-biente e difesa del suolo e della costa

Il cambiamento climatico e la gestione dell’irri-gazione in condizioni siccitose: il progetto MI-PAIS F. Dottori*, L. Botarelli*, G. M. Aiello**, R. Melo-ni**** ARPA Emilia Romagna – Servizio IdroMeteorologico ** Hydrocontrol*** Consorzio di Bonifica della Sardegna Meridionale

Persistenza dell’attività vegetativa su scale cli-matiche da dati satellitari: stima di tempi caratte-ristici e indici di vulnerabilità alla desertificazio-ne R. Coppola*–**, V. Cuomo*, M. D’Emilio*–***,M. Lanfredi*–***, M. Liberti*–**, M. Macchia-to***–****, T. Simoniello*–**** Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) – Istituto diMetodologie per l’Analisi Ambientale (IMAA), Sede diTito Scalo (Potenza)** Università degli Studi della Basilicata, Dipartimentodi Ingegneria e Fisica dell’Ambiente (DIFA)*** Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Scien-ze Fisiche della Materia (CNISM), Unità di Ricerca diNapoli**** Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Di-partimento di Scienze Fisiche (DSF)

Aridità e desertificazione M. Sciortino*, M. Bucci*, E. Caiaffa*, R. M. Do-nolo*, G. Fattoruso*, G. Salvetti** Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente(ENEA)

Risorse idriche e desertificazione: i risultati delprogetto europeo DeSurvey M. Sciortino*, M. Bucci*, E. Caiaffa*, R. M. Do-nolo*, G. Fattoruso*, G. Salvetti*

* Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente(ENEA)

Monitoraggio dei processi erosivi dovuti al regi-me pluviometrico e alle attività agropastoralinella Sardegna centro-orientale A. Canu*, C. Zucca**, R. Della Peruta*** Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) – Istituto diBiometeorologia (IBIMET), Sezione di Sassari** Università degli Studi di Sassari, Nucleo di Ricercasulla Desertificazione (NRD)

Salinizzazione e desertificazione lungo la costaemiliano-romagnola: le attività del CIRSAScienze AmbientaliM. Antonellini*, L. Caruso*, B. Giambastiani*,G. Gabbianelli*, M. Laghi*, A. Minchio*, P.Mollema*, M. Sabia*, D. Savelli*, F. Stecchi*, E.Ulazzi** “Alma Mater Studiorum” Università di Bologna , Cen-tro Interdipartimentale di Ricerca per le Scienze Am-bientali (CIRSA), Sede di Ravenna

Studio e monitoraggio delle condizioni meteo-climatiche e ambientali per l’analisi dei processidi desertificazioneServizio Agrometeorologico Regionale per laSardegna (SAR Sardegna)

Poster della Regione LiguriaRegione Liguria – Servizio Assetto del territorio

Piano di azione locale per la lotta alla siccità e al-la desertificazione – Regione PugliaM. Iannetta*, A. Ursitti**, G. Basso***, C. Trotta** Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente(ENEA) – Dipartimento Biotecnologie, Agroindustria eProtezione della Salute (BAS), Gruppo Lotta alla deserti-ficazione, Centro Ricerche Casaccia** Regione Puglia – Assessorato alle Risorse Agro-ali-mentari – Settore Agricoltura*** Università degli Studi di Foggia, Dipartimento diScienze-Agro-Ambientali, Chimica e Difesa Vegetale,Facoltà di Agraria

Poster della Regione SicilianaRegione Siciliana – Assessorato Agricoltura eForeste, Dipartimento Foreste

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Cambiamenti climatici e ambientali coinvoltinella successione storica (1675-2004) dei tassidi erosione nel bacino del Fiume Calore N. Diodato*, A. Trocciola**, R. Pica*** Monte Pino Met Research Observatory, GTOS/TEMSNetwork** Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente(ENEA), Centro Ricerche Portici

SISI - Sistema Informativo territoriale per la salva-guardia delle infrastrutture e della popolazione A. B. Della Rocca*, G. Abbate*, G. Fattoruso*, S.Grauso*, S. Lo Curzio*, F. Pasanisi*, A. Peloso*,R. Pica*, M. Pollino*, C. Tebano*, A. Trocciola* * Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente(ENEA) – Dipartimento Ambiente, Cambiamenti Globa-li e Sviluppo Sostenibile (ACS)

Impatto socio-economico delle principali allu-vioni in Italia dal 1951 a oggi B. Lastoria*, M. Casaioli*, S. Mariani*, G. Mona-celli** Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servi-zi tecnici (APAT)

3.4.5 Bacino dell’Adige

Un modello a componenti per la stima del bilan-cio idrico del fiume Adige R. Rigon*, A. Antonello**, A. Bellin*, M. Berna-bè*, A. Bertagnoli*, M. Brotto*, S. Endrizzi*, E.Ghesla*, D. Giacomelli*, S. Franceschi**, B.Majone** Università di Trento, Centro Universitario per la DifesaIdrogeologica dell’Ambiente Montano (CUDAM) ** HydroloGIS srl

Il plancton fluviale come strumento di conoscen-za della qualità ecologica e gestione delle ac-que del Fiume Adige N. Salmaso*, P. Sartori**, A. Zignin*, B. Cen-tis*, N. Dell’Acqua*** Istituto Agrario di S. Michele all’Adige ** Autorità di Bacino del fiume Adige

Il progetto di ricerca “Report” (Regolazione del-

le Portate Fluviali): linee guida per una gestioneeco-compatibile delle dinamiche fluviali M. Cristina Bruno*, B. Maiolini*, A. Bellin**, G.Zolezzi**, A. Siviglia**, N. Dell’Acqua**** Museo Tridentino di Scienze Naturali** Università degli Studi di Trento, Dipartimento Inge-gneria Civile e Ambientale (DICA)*** Autorità di Bacino del fiume Adige

Partecipazione pubblica e analisi costi-benefici:linee guida per una gestione eco-compatibiledel fiume Adige P. S. Lupo Stanghellini*, G. Perghem*** Museo Tridentino di Scienze Naturali** Autorità di Bacino del fiume Adige

Ipotesi di adattamento del bilancio idrico aicambiamenti climatici nel bacino del fiume Adi-ge D. Iob*, R. Veltri* * Autorità di Bacino del fiume Adige

3.4.6 Bacino del Po

Progetto Re.Mo. del Po – Analisi e proposte perla conoscenza e la pianificazione integrata nelbacino del fiume Po F. Moroni*, F. Filippi*, F. Tornatore*, R. Braga*, B.Bertolo*, M. Pancaldi*, F. Barattieri*, L. Chion-na*, G. Camorani*, C. Vezzani* * Autorità di Bacino del fiume Po, Parma

Attività conoscitiva per la prevenzione deglieventi di magra del fiume PoF. Dadone*, B. Bertolo*, R. Braga*, P. Pavesi* * Autorità di Bacino del fiume Po, Parma

3.4.7 Bacino dell’Arno

Modello d’infiltrazione efficace del Bacino delfiume ArnoAutorità di Bacino del fiume Arno – Segreteriatecnico operativa

Valutazione dei bilanci degli acquiferi di pianu-

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ra del Bacino del fiume ArnoAutorità di Bacino del fiume Arno – Segreteriatecnico operativa

Zonazione delle disponibilità di acque sotterra-nee negli acquiferi di pianuraAutorità di Bacino del fiume Arno – Segreteriatecnico operativa

Bilancio delle acque superficiali nel Bacino delfiume ArnoAutorità di Bacino del fiume Arno – Segreteriatecnico operativa

Interferometria radar per l’analisi dei fenomeni disubsidenza alla scala di bacinoAutorità di Bacino del fiume Arno – Segreteriatecnico operativa

Censimento delle aree in dissesto da frana e va-lutazione della suscettibilità per il Bacino del fiu-me ArnoAutorità di Bacino del fiume Arno – Segreteriatecnico operativa

Variazioni del regime pluviometrico nel periodo1960-2006Autorità di Bacino del fiume Arno – Segreteriatecnico operativa

QRF (Quantitative Risk Forecast): un sistema dipreannuncio integrato in tempo reale del rischioda esondazione per il Bacino dell’ArnoAutorità di Bacino del fiume Arno – Segreteriatecnico operativa

Pianificazione di bacino e biodiversità. Strate-gie operative nello scenario del cambiamentoclimaticoAutorità di Bacino del fiume Arno – Segreteriatecnico operativa

Il fiume Arno a Subbiano: laboratorio naturale

per lo studio degli effetti locali del cambiamentoclimatico. Valutazioni della dinamica delle for-zanti meteorologiche.Autorità di Bacino del fiume Arno – Segreteriatecnico operativa

Il fiume Arno a Subbiano: laboratorio naturaleper lo studio degli effetti locali del cambiamentoclimatico. Primi risultati sugli effetti delle varia-zioni climatiche sul regime fluviale e sulla capa-cità di trasporto solido.Autorità di Bacino del fiume Arno – Segreteriatecnico operativa

3.4.8 Ambiente marino costiero

Lo stato dei litorali italianiGruppo Nazionale per la Ricerca sull’AmbienteCostiero

La gestione della fascia costiera alla luce deicambiamenti climaticiRegione Toscana, Università degli Studi di Fi-renze, Gruppo Nazionale per la Ricerca sul-l’Ambiente Costiero

Le dune costiere a protezione delle risorse idri-che in Emilia-Romagna: le attività del CIRSAScienze Ambientali M. Antonellini*, G. Gabbianelli*, M. Laghi*, A.Minchio*, P. Mollema*, D. Savelli*, F. Stecchi** “Alma Mater Studiorum” Università di Bologna , Cen-tro Interdipartimentale di Ricerca per le Scienze Am-bientali (CIRSA), Sede di Ravenna

Monitoraggio e gestione di tratti costieri a sal-vaguardia della loro naturalità. Le strategie del-la Regione Sardegna attraverso casi di studioS. De Muro*, G. De Falco**, M. Costa***Con la collaborazione di: M. Cancemi****, T.Batzella*, C. Kalb*, N. Pusceddu*, S. Simeo-ne**, S. Bua*, F. Tocco** Università degli Studi di Cagliari, Dipartimento Scien-ze della Terra, Osservatorio Coste E Ambiente NaturaleSottomarino (O.C.E.A.N.S.)** Fondazione IMC – Centro Marino Internazionale –ONLUS*** CRITERIA srl**** Office de l’Environnement de la Corse (OEC)

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3.5 Inventari ed emissioni (sorgenti e sink)

L’inventario nazionale delle emissioni di gasserra e gli obblighi del Protocollo di Kyoto A. Bernetti*, R. D. Condor*, M. Contaldi*, R. DeLauretis*, E. Di Cristofaro*, B. Gonella*, D. Ro-mano*, M. Vitullo* * Agenzia per la Protezione dell’ambiente e per i servizitecnici (APAT)

L’inventario delle emissioni in atmosfera dellaRegione Puglia: metodologie e risultati E. Andriani*, M. Brattoli*, P. Bruno*, M. Casel-li*, G. De Gennaro*, L. De Gennaro*, M. A. DeLeonibus*, A. Parenza*, R. Giua**, S. Spagno-lo**, M. Cammarrota*** Università degli Studi di Bari, Centro Interdipartimenta-le di Ricerca su Metodologie e Tecnologie Ambientali(METEA)** ARPA Puglia

Inventario delle emissioni di gas serra in Lom-bardia S. Caserini*, A. Fraccaroli*, M. Moretti*, A. M.Monguzzi*, E. Angelino*, G. Fossati*, A. Giu-dici**ARPA Lombardia

Applicazione di una rete neurale per l’analisidei mutamenti climaticiV. Bevilacqua*, F. Intini**, S. Kuhtz**** Politecnico di Bari, Dipartimento di Elettrotecnica edElettronica (DEE)** NatiFortuNati SpA*** Università degli Studi della Basilicata, Dipartimento diIngegneria e Fisica dell’Ambiente (DIFA), Facoltà di In-gegneria

Il Progetto Roma per KyotoComune di Roma – Assessorato alle PoliticheAmbientali e Agricole, Dipartimento X

Misura ultrasensibile dei tenori di radiocarbo-nio nella SOM (Soil Organic Matter): un meto-do efficace per la caratterizzazione del ciclo

terrestre del Carbonio, guardando alla mitiga-zione del cambiamento climatico in attoF. Marzaioli*, C. Lubritto*, A. D’Onofrio*, M. F.Cotrufo*, F. Terrasi* * Seconda Università degli Studi di Napoli, Dipartimen-to di Scienze ambientali

Dai suoli agricoli un contributo a Kyoto? M. Mazzoncini*, C. Di Bene**, A. Coli***, E.Bonari*** Università di Pisa, Dipartimento di Agronomia e Ge-stione dell’Agroecosistema** Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Land Lab –Agricoltura, Ambiente e Territorio*** Università di Pisa, Centro Interdipartimentale di Ri-cerche Agro-ambientali “Enrico Avanzi”

Applicazione di modelli numerici nello studiodel confinamento geologico e mineralogico digas serra in Italia S. Biagi*, C. Geloni*, F. Ghepardi** Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) – Istituto diGeoscienze e Georisorse (IGG), Sede di Pisa

Il sequestro mineralogico di CO2 in Italia: risulta-ti e prospettive future C. Boschi*, L. Dallai*, A. Dini*, G. Ruggieri** Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) – Istituto diGeoscienze e Georisorse (IGG), Sede di Pisa

Emissioni e assorbimenti di gas serra dai settoriAgricoltura e Uso del Suolo e Foreste in Italia R. D. Condor*, M. Vitullo*, R. De Lauretis** Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servi-zi tecnici (APAT)

N2O di origine batterica in atmosfera ed effettoserra D. Davolos*, B. Pietrangeli** Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza delLavoro (ISPESL) – Dipartimento Installazioni di Produ-zione e Insediamenti Antropici (DIPIA)

Emissioni di biogas da discariche RSU e intera-zione con l’atmosfera: ipotesi di lavoro M. Lelli*, B. Raco*, A. Scozzari* * Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) – Istituto diGeoscienze e Georisorse (IGG), Sede di Pisa

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3.6 Approcci integrati e uso sostenibiledelle risorse

Il contenimento energetico nell’edilizia per la ri-duzione dei gas serra D. Santonico* * Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servi-zi tecnici (APAT)

Piano per il clima: attuazione strategia regiona-le di azione ambientale per la sostenibilitàSTRAS 2006-2010Regione Marche – Servizio Ambiente e Paesag-gio

Trentino Progetto ClimaProvincia autonoma di Trento

Adattamento e mitigazione. Un approccio inte-grato nella Città di Venezia G. Penzo*, G. De Filippo**, C. Scarpa** Città di Venezia – Direzione Ambiente e Sicurezza delTerritorio** Città di Venezia – Direzione Ambiente e Sicurezzadel Territorio – Osservatorio Naturalistico della Laguna

AMICA. Adattamento e Mitigazione - un ap-proccio integrato di politica del climaAlleanza per il clima Italia (Onlus)

CRC - Centro di Ricerca sul clima e i cambia-menti climatici - Integriamo le esperienze B. Romano*, F. Asdrubali*, B. Brunone*, C. Burat-ti*, F. Cotana*, F. Figorilli*, E. Gaino** Università degli Studi di Perugia

Strumenti di preannuncio dei rischi naturali –Approccio non strutturale come opzione diadattamento climatico S. Barbero*, R. Pelosini*, D. Rabuffetti*, C. Ron-chi** ARPA Piemonte

L’impiego della Life Cycle Assessment (LCA) per

la valutazione ambientale di un sistema solaretermico a concentratori parabolici F. Cavallaro** Università degli Studi del Molise, Dipartimento diScienze Economiche, Gestionali e Sociali (SEGeS)

I modelli “Comprehensive” per la valutazionedegli impatti delle attività antropiche e la defini-zione di strategie sostenibili d’uso delle risorse C. Cosmi*, S. Di Leo**–***, S. Loperte*, F. Pie-trapertosa*, M. Salvia*, V. Cuomo*, M. Mac-chiato***–***** Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) – Istituto diMetodologie per l’Analisi Ambientale (IMAA), Sede diTito Scalo (Potenza)** Università degli Studi della Basilicata, Dipartimentodi Ingegneria e Fisica dell’Ambiente (DIFA)*** Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) – IstitutoNazionale per la Fisica della Materia (INFM), Sede diNapoli**** Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Di-partimento di Scienze Fisiche (DSF)

Soluzioni per il controllo del riscaldamento glo-bale F. Cotana*, F. Rossi*, M. Filipponi** Università degli Studi di Perugia, Centro Interuniversi-tario di Ricerca sull’Inquinamento da Agenti Fisici (CI-RIAF)

3.7 Educazione, sensibilizzazione e infor-mazione

Adozione di comportamenti sostenibili: barrie-re e soluzioni S. Kuhtz*, F. Intini*** Università degli Studi della Basilicata, Dipartimento diIngegneria e Fisica dell’Ambiente (DIFA), Facoltà di In-gegneria** NatiFortuNati SpA

Informare: conoscere per scegliere il nostro fu-turoA. Casali*, F. Falcioni*, D. Genta*, L. Olivetta*, P.Polidori*, R. Rossi*, N. Sbreglia** Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servi-zi tecnici (APAT)

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Maltempo: proteggersi informandosi E. Bertolotti*, G. P. Minardi** * Regione Lombardia – Protezione Civile** ARPA Lombardia – Servizio Meteorologico Regionale

Agenda scolastica europea per l’ambiente e losviluppo sostenibile G. Moca*, M. De Santis*, D. Pavone** Provincia di Chieti

Muvita: per capire il legame tra l’uomo, l’ener-gia, il climaMuvita S.r.l. Agenzia Provinciale32 per l’am-biente, l’energia e l’innovazione

Un importante strumento di adattamento: l’edu-cazione – Un esempio di applicazioneG. Arbia*, G. Paesano*, G. Priod*, R. Pelosini** ARPA Piemonte

DesertArt: una strategia lungimirante di adatta-mento ai cambiamenti globali O. Casali*, M. Sciortino*, L. Pietrelli*, P. Menego-ni**, C. Trotta**, L. Giordano*** Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente(ENEA) – Dipartimento Ambiente, Cambiamenti Globa-li e Sviluppo Sostenibile (ACS)** Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente(ENEA) – Dipartimento Biotecnologie, Agroindustria eProtezione della Salute (BAS)

Teacher Scientist Partnership: insegnanti, stu-denti e ricercatori per uno sviluppo competitivo esostenibile P. Duce*, A. Raschi*, L. Bacci*, P. Zara*, D. Ma-randola* * Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) – Istituto diBiometeorologia (IBIMET)

Eurosolar per la trasformazione del modelloenergetico esistente verso l’autonomia energeti-ca: esperienze di ricerche e formazione C. Collaro*, V. Chiodi* * Eurosolar Italia

BiciClima nuovi stili di vita per una mobilità soste-nibileAchabGroup srl, Provincia di Venezia, FIAB on-lus

L’Alleanza per il clima delle Città europee con ipopoli indigeni delle foreste pluvialiAlleanza per il clima Italia (Onlus)

L’attività APAT nel quadro dei Progetti Europeiper la gestione delle risorse idriche e il monito-raggio della siccitàM. Casaioli*, S. Mariani*, G. Monacelli*, M. C.Galluccio** Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servi-zi tecnici (APAT)

32 Cfr. nota n. 31.

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Al termine del percorso di approfondimento de-gli impatti dei cambiamenti climatici sul nostroPaese promosso dal Ministero dell’ambientecon la collaborazione di APAT e riportato inquesto volume, i due giorni della ConferenzaNazionale sui Cambiamenti Climatici hannopresentato, attraverso la presenza e la testimo-nianza di autorevoli esperti e politici, i principa-li punti di vista in termini di elaborazioni scienti-fiche e strategie politiche per affrontare questache è, ormai, considerata molto più che una mi-naccia da tenere in considerazione negli anni avenire, quanto piuttosto un’emergenza che deveessere affrontata con efficacia in tempi semprepiù prossimi. La Conferenza del 12 e 13 settembre 2007 ha,tra l’altro, anche costituito una sede di confrontoserrato e competente tra le diverse esigenze e idiversi punti di vista delle istituzioni di governo edi amministrazione pubblica ai loro diversi li-velli territoriali, dell’università e del mondo dellaricerca in genere, della società civile e delle as-sociazioni.Nelle sale della FAO è stata registrata la pre-senza di circa 2.500 persone; circa 400 sonostati i giornalisti accreditati, per una presenza,con grande risalto nei massimi organi di infor-mazione, di notizie e articoli. E circa 100.000sono stati i collegamenti al sito web dove gli in-terventi e le relazioni erano trasmessi in temporeale e dove potevano essere reperiti sia i docu-menti elaborati nei mesi precedenti nell’ambitodei workshop tematici, sia i principali rapporti etesti di riferimento a livello nazionale e interna-zionale. La nutrita serie di eventi collaterali or-ganizzati da diversi soggetti e la presentazione

di una ricca galleria di poster scientifici hannoaggiunto ulteriori elementi di interesse alle duegiornate.Questo complesso di attività è servito tanto arappresentare il quadro, ormai delineato, delletendenze in atto e delle priorità da affrontare,quanto ad avviare la definizione di una road-map di strategie e politiche da attuare.Le analisi degli scienziati e degli esperti, innan-zitutto, hanno definitivamente chiarito quali sonogli andamenti dei dati e i risultati degli scenarielaborati in termini di aumenti delle temperature,di variazioni delle condizioni climatiche, di im-patti sugli ecosistemi e sul territorio, in una vi-sione sostanzialmente omogenea dei dati e del-la loro valutazione.Come ha efficacemente illustrato con la sua rela-zione Filippo Giorgi33, la principale conclusionedel Quarto Rapporto IPCC34 è che il riscalda-mento globale è ormai indiscutibile. Tra le nu-merose evidenze osservate, i dati sull’andamen-to delle temperature della superficie terrestre in-dicano che il suo riscaldamento a livello globaleè stato di circa 0,74 °C (+/– 0,18 °C) negli ulti-mi 100 anni, accompagnato dal riscaldamentoglobale degli oceani e della troposfera, dall’in-nalzamento del livello globale del mare (circa20 centimetri dal 1870) e da una forte riduzionedi ghiacciai continentali e ghiacci marini (inparticolare, della Calotta artica). L’accelerazione del fenomeno di un progressivoe costante innalzamento della temperatura par-te dagli anni Settanta. Secondo l’IPCC, i 50 an-ni appena trascorsi sono stati i più caldi degliultimi 1.300, con temperature che hanno digran lunga superato quelle del surriscaldamento

33 Vicepresidente IPCC/Working Group 1; cfr. paragrafo 1.2.3 di questa pubblicazione.34 Cfr. nota n. 7.

4. Conclusioni

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del periodo medioevale. Le cause del fenomenosono, in parte, naturali – radiazioni solari, par-ticelle prodotte dall’attività vulcanica, variabilitànaturale del sistema climatico – ma anche deri-vanti da attività dell’uomo: tra le principali,emissioni di gas a effetto serra, aerosol atmo-sferici, piccole particelle di inquinamento comei PM5 e PM10, cambiamento dell’uso del territorio.Secondo l’IPCC, l’aumento della concentrazio-ne dei gas a effetto serra dovuto all’attivitàumana è, con una probabilità del 90-95%, laprincipale causa del riscaldamento globale os-servato dalla metà del secolo scorso. Gli effettiprincipali varieranno in dimensione e caratteristi-che in relazione al rallentamento o meno di taliemissioni. L’aumento della temperatura è, però,inevitabile.Il riscaldamento non appare distribuito unifor-memente su tutto il Pianeta: in alcune aree, tracui l’Europa e il Mediterraneo, presenta una ve-locità media di avanzamento maggiore. Secon-do i complessi modelli elaborati, il Mediterra-neo si scalderà in modo più intenso rispetto allamedia globale, specialmente d’estate, con valo-ri superiori al 40-50% del resto del mondo. Eanche i suoi effetti non saranno uniformi. Sonoattese, infatti, tra l’altro, sensibili diminuzionidelle precipitazioni e – particolarmente sopra ilnostro Paese, con un conseguente inaridimentodel centro-sud – ondate di calore anomalo, condecine di migliaia di morti e sensibile diminu-zione delle produzioni agricole.È emerso un generale accordo anche sul fattoche gli impatti dei cambiamenti climatici sul-l’ambiente e, di conseguenza, sulla vita dell’uo-mo sono già evidenti, misurabili, e la loro evo-luzione a tempi anche brevi prevedibile. È,quindi, indispensabile l’attuazione del Protocol-lo di Kyoto e della Convenzione Quadro delleNazioni Unite sui cambiamenti climatici, se sivuole almeno contenere l’inevitabile innalza-mento delle temperature e limitarne danni ed ef-fetti negativi, se non disastrosi.

A partire da queste generali constatazioni, si èdelineata la convergenza sulla necessità che lestrategie e le azioni per la mitigazione dei cam-biamenti climatici, basate essenzialmente sulcontenimento delle emissioni di gas a effettoserra e sulla valorizzazione dei cosiddetti “ser-batoi di CO2”, debbano essere affiancate dapolitiche e strategie di adattamento, ovvero, se-condo le definizioni adottate con i principalidocumenti a livello internazionale ed europeo,politiche e strategie mirate a modificare le atti-vità sociali ed economiche dell’uomo in funzionedei cambiamenti climatici in atto in modo taleda limitare al minimo i danni economici, socialie sanitari, tenendo conto dei diversi strumentinormativi, pianificatori, di prevenzione sanita-ria e di valutazione economica disponibili.Diventa così centrale il rapporto tra mitigazionee adattamento, con la valorizzazione delle pos-sibili sinergie positive e il contenimento delleeventuali interazioni negative, in una visioneche mette in risalto la loro integrazione come ri-sposta coordinata e complementare ai cambia-menti climatici e ai loro ineludibili effetti nel bre-ve-medio periodo. Una conferma di ciò è il nu-mero sempre maggiore di paesi che stanno pre-parando piani di adattamento accanto a quellidi mitigazione (a partire dai cosiddetti “PiccoliStati Insulari”, per i quali l’innalzamento del li-vello del mare è già una realtà a cui far fronteper una questione di sopravvivenza).Queste strategie e queste azioni devono essereelaborate ai diversi livelli territoriali (nazionale,regionale e locale) nel quadro degli impegni in-ternazionali (globali ed europei), ma anche te-nendo conto delle specificità dei diversi settoridella produzione e del consumo per i quali le ri-sorse ambientali costituiscono un fattore produt-tivo di rilievo, spesso finora usato senza che siapreso in considerazione il suo deterioramentoqualitativo e quantitativo. Naturalmente, il conte-sto generale in cui tali strategie e tali azioni siformano e sono attuate deve prevedere la defini-

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zione di una relazione virtuosa tra le conclusio-ni cui perviene il mondo della ricerca e gli inte-ressi degli operatori del mondo economico, delsindacato, dell’impresa, dell’associazionismo. Altro elemento comune emerso da tutti gli inter-venti è senza dubbio la considerazione che icambiamenti climatici non sono più solo unaquestione di natura scientifica che attende unarisposta, ma stanno diventando sempre di piùuna minaccia evidente e un’emergenza da af-frontare subito e con molto impegno per elimi-narne, o almeno contenerne, gli effetti indeside-rati. Inoltre, affrontare e combattere i cambia-menti climatici e i conseguenti effetti non è solo unproblema da risolvere all’interno delle “sempli-ci” politiche ambientali, ma diviene sempre piùuna questione intersettoriale che contiene ancheaspetti di equità sociale, per le differenti moda-lità e intensità con cui colpisce sia le diverse fascesociali all’interno di uno stesso paese, sia paesidiversi. Solo per fare alcuni esempi: l’innalza-mento del livello del mare o l’allargamento delladesertificazione avranno ricadute in termini so-cioeconomici che, secondo le analisi presentatecon l’ultimo Rapporto di valutazione dell’IPCC econ gli studi sviluppati per singoli paesi, potran-no provocare ulteriori divaricazioni del gap tra idiversi ceti sociali e, più in generale, di quellotra paesi ricchi e paesi poveri, già assai profon-do.Si tratta, dunque, di ottenere un mix ottimale tramitigazione e adattamento, basato su datiscientifici affidabili e omogenei, su un’analisicosti-benefici che tenga conto delle implicazionidi ordine sociale oltre che economico e sullacollaborazione tra tutti i soggetti coinvolti. Unmix ottimale che, però, deve scontare alcuneprofonde differenze tra mitigazione e adatta-mento. Con riferimento agli indicatori, peresempio: per la mitigazione si dispone di indi-catori affidabili (la diminuzione delle emissionidi gas a effetto serra); per l’adattamento, inve-ce, non si dispone di analoghi strumenti, anche

per la specificità locale che le azioni di adatta-mento devono avere. Infatti, in generale, le sca-le spaziali e temporali sono diverse (locale emedio termine, per l’adattamento; nazionale elungo termine, per la mitigazione); i soggetti re-sponsabili possono appartenere all’ambito delprivato nel caso di interventi di mitigazione (peresempio, in qualità di destinatari di misure ob-bligatorie e/o di sistemi di incentivi e disincenti-vi come, tra gli altri, il “mercato del carbonio”),mentre le autorità pubbliche devono avere unruolo decisamente più rilevante per gli interven-ti di adattamento, vista la necessità di tener con-to delle diverse implicazioni sociali ed economi-che.Far funzionare meglio gli strumenti giuridici eistituzionali esistenti, hanno detto molti degliesperti intervenuti, è comunque un presuppostoessenziale per il successo dei piani di adatta-mento, così come per gli interventi di mitigazio-ne. Solo, infatti, la costruzione di un saldo siste-ma di riferimento può renderli efficaci.Quali le maggiori criticità italiane dovute aicambiamenti climatici? Le portate dei fiumi di-minuiscono sensibilmente; le coste, soprattuttole coste basse, senza dubbio, stanno già suben-do fenomeni di forte erosione; la desertificazio-ne avanza; il rischio di incendi forestali aumen-ta; l’aumento delle temperature produrrà scarsi-tà d’acqua e danni all’agricoltura e al turismo;il rischio idrogeologico appare in aumento sen-sibile, in correlazione all’aumento degli eventiestremi. In sintesi: le questioni fondamentali fan-no riferimento alle risorse idriche, ai sistemiagroforestali, alle aree marine costiere e allagestione del territorio, senza dimenticare i rischiconnessi alla salute umana, con nuove forme dimalattie. A partire dai risultati dei workshop preparatori,APAT ha costruito una prima sorta di quadrosintetico delle criticità per il nostro Paese, ovverouna “matrice delle criticità” che consente di ot-tenere una sintesi quasi fotografica della situa-

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zione, evidenziando le problematiche ambien-tali critiche che, per quanto riguarda le compo-nenti naturalistiche, sono le risorse idriche, gliambienti marino costieri, la biodiversità, e che,per i settori antropici, sono il turismo e l’agricol-tura. Consente altresì di analizzare le variabiliclimatiche di impatto, gli effetti primari e gli effet-ti secondari e, infine, di studiare la situazioneattuale e di costruire possibili scenari futuri.È possibile delineare, in estrema sintesi, alcu-ni di questi scenari futuri. Per l’ambiente mari-no costiero, è necessario prevedere l’innalza-mento del livello del mare, che potrebbe esse-re compreso tra i 28 e i 43 centimetri entro il2100, e un significativo rischio di allagamen-to di 4.500 chilometri quadrati di aree costie-re e pianure (25,4%, nel Nord; 5,4%, al Cen-tro; 62,6%, al Sud; 6,6%, in Sardegna). Sonostate individuate alcune aree a rischio, come laLaguna di Venezia e le coste dell’Alto Adriati-co, come le aree delle foci di alcuni fiumi, learee a carattere lagunare come la Laguna diOrbetello e le coste particolarmente basse.Per quanto riguarda le risorse idriche, giàoggi è da registrare una diminuzione deighiacciai e una riduzione di quantità/duratadi innevamento; nel futuro, i fenomeni sonodestinati a essere più significativi. Relativa-mente a foreste e biodiversità, nel Novecento,nell’ambiente alpino, è avvenuto un notevolespostamento progressivo delle specie vegetaliverso altitudini maggiori, da 0,5 a 4 metriper decennio. La previsione è di una maggio-re durata del periodo di crescita delle colturee un anticipo medio di 3 giorni ogni 10 annidelle fasi di vita delle specie forestali; di unalinea boschiva che, nelle zone alpine, do-vrebbe avanzare di centinaia di metri; di unaperdita, entro il 2080, del 62% delle specievegetali montane; di una perdita, sempre en-tro il 2080, del 20% delle aree umide costiere.Nel complesso, le previsioni sugli andamenti ditemperature e precipitazioni concordano su un

dato rilevante: l’aumento dei cosiddetti “eventiestremi”, come le alluvioni e i periodi di siccità,eventi ai quali l’Italia è particolarmente esposta ei cui danni sono sempre molto rilevanti.Tutti i settori economici che utilizzano risorsenaturali, dalla produzione di energia da idroelet-trico in poi, registreranno impatti significativiper la riduzione o le modifiche della disponibili-tà di tali risorse. In particolare, per l’agricoltu-ra, è prevista una riduzione della produttivitàdelle colture europee mediterranee nei prossimidecenni, mentre, per il turismo, l’impatto deicambiamenti climatici sul turismo estivo balnea-re e su quello delle zone alpine è evidente.Il messaggio trasmesso dalla Conferenza – pe-raltro strettamente collegato a quanto hanno af-fermato gli scienziati coinvolti dall’IPCC per lapreparazione del Quarto Rapporto di valuta-zione – è che, insieme alle politiche e agli inter-venti che mirano alla mitigazione dei cambia-menti climatici attraverso il contenimento delleemissioni dei gas a effetto serra ritenuti i princi-pali fattori di accelerazione dei cambiamenticlimatici, è indispensabile e urgente predisporree attuare strategie, piani, programmi mirati al-l’adattamento agendo sulla riduzione della vulne-rabilità degli ecosistemi e del territorio.Alcune considerazioni sono state ripetute e con-divise in gran parte delle analisi e delle valutazio-ni svolte, anche con uno specifico riferimento al-le caratteristiche del territorio italiano, indican-do gli elementi base sui quali poter costruire unPiano Nazionale di adattamento ai cambia-menti climatici, a partire dalle condizioni mag-giormente critiche osservate.Sono state segnalate da molti interventi, e permolti aspetti del complesso percorso verso laformulazione e la realizzazione di un tale Pia-no, numerose carenze conoscitive, vuoi per l’as-senza di dati, vuoi per la loro disomogeneità,vuoi per la non univocità delle valutazioni, vuoiinfine per l’impossibilità a definire una completaanalisi e valutazione dei diversi fenomeni in atto

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nel nostro Paese. Tali carenze rappresentanoelementi di ostacolo, in particolare, per l’elabo-razione di scenari e previsioni accettabili siadegli andamenti delle varabili climatiche chedelle relazioni tra questi e le variabili sociali edeconomiche. La scarsità o, meglio, la quasi to-tale assenza di queste ultime rende difficile unadefinizione delle priorità di azione che tengaopportunamente conto dei rischi di inazione edei costi correlati.La risoluzione di queste criticità conoscitive, ilcontinuo aggiornamento di dati, informazioni,analisi e valutazioni dovrebbe costituire, quin-di, una sorta di primo passo nel cammino (nonpiù dilazionabile) che, molto schematicamente,porta prima alla definizione qualitativa e quan-titativa dei fenomeni in corso, poi a un’attribu-zione di priorità, infine all’avvio di azioni speci-fiche per il loro contenimento. Nuovi e miratiflussi di risorse verso la ricerca e, soprattutto,verso lo sviluppo e la diffusione di tecnologieche considerino la necessità di un drastico ta-glio alle emissioni di gas a effetto serra e checontribuiscano in maniera significativa alla ri-duzione dei danni, anche di quelli già in atto,nonché una migliore organizzazione e coordi-namento degli sforzi sono, dunque, indispensa-bili.Il nostro Paese deve, quindi, efficacemente pro-cedere all’elaborazione di programmi, piani,azioni che consentano di raggiungere gli obiet-tivi di emissioni a noi assegnati nell’ambito delProtocollo di Kyoto e delle decisioni europee.Nello stesso tempo, deve affrontare la questione

dell’adattamento, tenendo conto del fatto che ledue questioni sono strettamente connesse: conrecenti documenti europei è stato messo in evi-denza che solo mantenendo l’innalzamentodelle temperature entro 2 °C sarà possibile af-frontare efficacemente gli effetti dei cambia-menti climatici già in atto con gli indispensabilipiani di adattamento e con costi tali da non influi-re negativamente sullo sviluppo socioeconomi-co. Anzi, alcuni studi a carattere economico,sebbene non esaustivi – dal Rapporto Stern35 al-le elaborazioni condotte in Europa con il pro-getto PESETA36 e avviate in Italia da APAT con ilCMCC – indicano un trade off positivo tra costi diadattamento e costi derivanti dagli impatti ne-gativi dei cambiamenti climatici.Dal punto di vista operativo, dunque, è apparsoevidente, alla fine della Conferenza e dopoavere svolto analisi e ascoltato qualificati pareritecnico-scientifici, economici e politici, che ilpunto di partenza dovesse essere un adegua-mento delle conoscenze, concretizzabile con ilrilancio del Piano nazionale di ricerca sul climae con l’aggiornamento e la messa in opera deipiani nazionali collegati, come quello sulla sic-cità e sulla desertificazione (già elaborato) equello per la difesa del suolo e per i rischi idro-geologici, a cui aggiungerne di nuovi, qualiquello per la difesa delle coste e quello per il tu-rismo, con un’attenzione particolare ai cambia-menti in alta montagna, seguendo magari le lineeguida internazionali esistenti. Il successo dei piani e dei programmi che do-vranno essere definiti per gli interventi di adatta-

35 Cfr. la nota n. 10.36 PESETA: acronimo del progetto “Projection of Economic impacts of climate change in Sectors of the EuropeanUnion based on bottom-up Analysis” (Previsione dell’impatto economico del cambiamento climatico in settori dell’U-nione europea, basata su analisi bottom-up). Il progetto rientra tra quelli finanziati dalla Direzione generale Ricer-ca della Commissione europea. È coordinato dal Centro Comune di Ricrerche JRC/IPTS (Energy and Climate Chan-ge Group of the Competitiveness and Sustainability Unit) e coinvolge molti istituti di ricerca: JRC/IES, ICIS-Maa-stricht University, AEA Technology, Metroeconomica, FEDEA, University of Southampton, FEEM, Polytechnic Univer-sity of Madrid. Si avvale anche della collaborazione del Rossby Center.

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mento ai cambiamenti climatici dipende, però,fortemente anche dall’impegno dei cittadini,dalla diffusione e dalla crescita di una consape-volezza profonda dell’importanza di tali inter-venti. Nel corso della Conferenza, anche in riferimen-to all’articolo 6 della già citata ConvenzioneQuadro sui cambiamenti climatici delle NazioniUnite, è stata più volte ribadita la necessità difare formazione, informazione e public aware-ness, diffondere cioè una conoscenza scientifi-camente corretta dei fenomeni in atto e deicomportamenti favorevoli a mitigarne la portatae gli impatti. Senza il contributo di tutti coloroche ne sono coinvolti, infatti, nessuna strategiae nessun piano può avere successo. E in questocaso il coinvolgimento deve essere assoluta-mente totale, vista la globalità e la pervasivitàdei cambiamenti in atto.Per perseguire questo obiettivo è necessariopartire da una vera e propria “rivoluzione cul-turale” il cui primo passo è rappresentato pro-prio da interventi nella fase di formazione dellecoscienze dei cittadini, a cominciare dalle scuo-le. L’idea di proporre una “Conferenza Junior”,alla quale sono stati invitati e hanno partecipatocento ragazzi in rappresentanza delle scuolemedie superiori delle diverse regioni italiane, ènata da questa consapevolezza, e i risultati ot-tenuti hanno felicemente confermato la bontàdell’intuizione. Il primo passo fatto dalla Conferenza Naziona-le sui cambiamenti climatici per la costruzionedi un piano di adattamento è stato l’elaborazio-ne di due documenti conclusivi con i quali, alla lu-ce delle discussioni svolte e delle indicazioniraccolte, sono indicati gli elementi di base, defi-nite le priorità operative, proposta una sorta di li-nee-guida: il “Manifesto per il clima – Un NewDeal per l’adattamento sostenibile e la sicurez-za ambientale” e “Le prime 13 azioni per l’a-dattamento sostenibile”. Questi due documentisono affiancati dal cosiddetto “Manifesto Ju-

nior” prodotto dalla Conferenza Junior, orga-nizzata con la consapevolezza che vi è la ne-cessità, come dicevamo, di programmi di for-mazione e di educazione efficaci per l’effettivocoinvolgimento di tutti, a partire proprio dallebasi acquisibili durante il percorso scolastico.Il “Manifesto per il clima” affronta, come temicentrali, l’adattamento sostenibile, la mitigazio-ne e la sicurezza ambientale intesa come sicu-rezza del territorio. Le strategie e i piani di mitigazione vanno, ne-cessariamente, inquadrati nel negoziato inter-nazionale a livello di Nazioni Unite e di Unioneeuropea. Insieme alle strategie di adattamentosostenibile, devono costituire una priorità delGoverno del Paese ed essere integrati in tutte lepolitiche a carattere economico, sociale, finan-ziario, agricolo e territoriale che, come abbia-mo visto, subiscono prepotentemente gli effettidei cambiamenti climatici, in particolare, e dellecondizioni ambientali, in generale.In proposito, è stato assunto l’impegno esplicito apredisporre, entro il 2008, una Strategia nazio-nale per l’adattamento sostenibile ai cambia-menti climatici e la sicurezza ambientale. Primoatto, la costituzione di un Comitato, in cui sa-ranno rappresentati tutti i ministeri interessati,per la predisposizione delle linee guida. La pre-disposizione e la realizzazione di una Strategianazionale dovrà essere basata sul contribuito e lacollaborazione di coloro che hanno partecipatoai lavori della Conferenza.Le misure di mitigazione e quelle di adattamen-to al cambiamento climatico devono essere inte-grate e, dunque, la definizione di un Piano nazio-nale di adattamento ai cambiamenti climaticinon può prescindere da una piena attuazionedi un Piano nazionale per la mitigazione deicambiamenti climatici, per il quale è richiestol’impegno di tutto il Governo, delle istituzioni lo-cali e territoriali, delle forze politiche, delle par-ti sociali nel loro insieme. Il Piano dovrà esserecollegato e integrato con il Piano nazionale per

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la biodiversità e il Piano nazionale di lotta allasiccità e alla desertificazione, previsti con le altreconvenzioni internazionali globali. Dovrà com-prendere, seguendo le priorità individuate, stra-tegie, piani e azioni di difesa del suolo, di ge-stione integrata delle coste, di adattamento delturismo, di gestione delle risorse idriche, diadattamento delle politiche agricole e un pro-gramma nazionale di informazione e sensibiliz-zazione dei cittadini sui cambiamenti climatici.Per ottenere un’effettiva efficacia di un tale Pianocosì articolato e complesso, dovrà essere ga-rantito il suo monitoraggio costante attraversol’attività di un Centro di competenza sugli im-patti dei cambiamenti climatici e sull’adatta-mento, da istituire a tal fine.Tra le azioni concrete e immediate per l’adatta-mento sostenibile, sono state individuate comeprioritarie quelle sul risparmio energetico nelsettore residenziale, quelle sull’adeguamentodella gestione delle risorse idriche al cambia-mento climatico, considerate sempre più un benecomune e indispensabile alla vita di tutti, quellesulla forestazione: tutte misure che integranoadattamento e mitigazione. E inoltre, tali priori-tà fanno riferimento alla necessità di contrastarele frane e prevenire i disastri ambientali con i si-stemi di ingegneria naturalistica, di assicurarela sicurezza delle coste italiane e di renderlaadeguata alle regole urbanistiche, di mettere apunto un sistema più efficiente di early warningmeteo-climatico nelle aree a maggior rischio dialluvioni e frane e di siccità, di sviluppareun’ampia rete di attività a favore della difesadel suolo, di incoraggiare il turismo sostenibile.Infine, le evidenze in tema sanitario rendononecessaria l’elaborazione di una strategia ca-pace di prevenire i rischi connessi agli effetti deicambiamenti climatici sulla salute.Opportune forme di incentivazioni ambientali

per il lavoro e le imprese così come la promo-zione e il sostegno per la partecipazione e il co-involgimento dei cittadini nelle politiche di mitiga-zione e di adattamento, rilanciando tra l’altro larete delle “Agende 21”, costituiscono strumentiche possono rendere le politiche climaticherealmente efficaci.Comunque, molti interventi autorevoli di espo-nenti del Governo e delle Parti Sociali hannoancora più dettagliatamente tracciato la stradada seguire e suggerito azioni e linee di attività,come risulta dalle sintesi delle rispettive relazio-ni riportate in questa pubblicazione.Il Rappresentante del Governo della Gran Bre-tagna per i cambiamenti climatici, John Ashton,ha affermato che questa Conferenza ha un si-gnificato enorme perché è la prima del generein questo Paese, e che è stato un notevolissimorisultato per il Governo italiano e per il Ministe-ro dell’ambiente. In effetti, questa Conferenza ha rappresentato ilprimo passo verso un obiettivo che il Ministrodell’ambiente ha definito di adattamento soste-nibile e che deve essere un impegno fondamen-tale e centrale di Governo, Parlamento, di tuttele forze politiche e delle istituzioni. Un obiettivoche, per essere raggiunto, richiede azioni im-mediate e tempi lunghi, nonché lo sviluppo diazioni integrate e il coordinamento delle misureambientali con le politiche settoriali di sviluppoeconomico e sociale, la legislazione e i pro-grammi di finanziamento delle grandi opere. Inaltri termini, lo sviluppo di una strategia diadattamento ai cambiamenti climatici può e de-ve fare da guida ai processi di innovazione e diuna crescita sostenibile, e diventare un elementodi base della nostra cultura.Anche l’ex vicepresidente americano Al Goreha pubblicamente apprezzato, in occasione delVertice ONU sui cambiamenti climatici37, lo

37 New York, 24 settembre 2007.

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sforzo compiuto dal Governo italiano nell’orga-nizzare questa Conferenza Nazionale.Al Gore, com’è noto, ha condiviso con l’IPCC il“Nobel per la Pace 2008”, un “Nobel per laPace” che, negli ultimi anni, sta premiandodonne e uomini in prima fila per la protezionedel Pianeta e in difesa della vita umana, sottoli-neando quindi la stretta interconnessione tra lecondizioni socio-politiche e quelle ambientaliper il raggiungimento della pace e il conteni-mento dei conflitti. Il premio è stato condiviso

anche da un gruppo di scienziati e di espertiitaliani – molti dei quali protagonisti di spiccodella Conferenza – in quanto chiamati a colla-borare con l’IPCC nelle sue varie iniziative.Con questa Conferenza Nazionale sui cambia-menti climatici è stato tracciato, nelle sue lineegenerali, un percorso che attende ora di essereseguito, con l’indirizzo delle istituzioni politiche,con il contributo degli scienziati e degli esperti,con il coinvolgimento di tutti i settori produttivi econ la piena partecipazione di tutti i cittadini.

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A.1 Sintesi Eventi preparatori

A.1.1 Workshop di Alghero, 21-22 giugno2007Le variazioni climatiche e i processi di desertifi-cazione: verso piani di monitoraggio e strate-gie di riduzione della vulnerabilità e di adatta-mento a cura di Anna Luise (APAT) e Andrea Motroni(ARPAS), con la collaborazione di MaurizioSciortino (ENEA) e Guido Bonati (INEA)

IntroduzioneLa Convenzione Internazionale delle NazioniUnite sulla lotta alla Siccità e Desertificazione(UNCCD) definisce la desertificazione come “ildegrado delle terre nelle zone aride, semi-aridee sub-umide secche, attribuibile a varie cause,fra le quali le variazioni climatiche e le attivitàantropiche”. Questa definizione pone al centrosia la perdita delle caratteristiche bio-chimico-fisiche del suolo, sia la redditività economica,individuando le zone di maggiore vulnerabilitànelle regioni aride, semi-aride e sub-umide sec-che e il sovrapporsi di cause di origine naturale,enfatizzando quelle climatiche e antropiche. Ladesertificazione è un lento processo che provocala perdita della capacità biologica di sostenere,tra l’altro, la produzione agricola e forestale(sterilità funzionale). I cambiamenti climatici avranno un forte impat-to sulla desertificazione a causa dell’incrementodegli eventi siccitosi, di cui negli ultimi anni si èregistrato un incremento della durata e dellafrequenza. Nei paesi del Mediterraneo setten-trionale, siccità e desertificazione potranno in-crementare i loro effetti sia in conseguenza del-le variazioni del clima, sia in conseguenza diun uso non sostenibile delle risorse naturali, tracui grande rilievo assumono lo sfruttamento in-

tensivo dei terreni e delle risorse idriche.

Stato delle conoscenzeLa situazione italiana. In Italia, porzioni sempremaggiori del territorio presentano caratteristi-che climatiche di aridità a causa dei concomi-tanti aumenti delle temperature, e diminuzionidelle precipitazioni. Le pressioni di natura cli-matica e gli impatti dell’ intensa urbanizzazio-ne, di pratiche agricole scorrette, di incendi bo-schivi, della progressiva salinizzazione dellefalde, stanno inequivocabilmente aumentandoil rischio di desertificazione in tutto il territorionazionale, e non solo nelle regioni meridionalitradizionalmente più a rischio.L’Atlante Nazionale della Desertificazione pro-dotto dall’Istituto Difesa del Suolo del CRA stimache il 51,8% dell’intero territorio nazionale, ecioè le regioni Sicilia, Sardegna, Puglia, Cala-bria, Basilicata e Campania, nonché parte diLazio, Abruzzo, Molise, Toscana, Marche eUmbria sono esposte a rischi di desertificazio-ne, a causa di fattori climatici e pedologici. L’Atlante Nazionale stima che, a oggi, “nell’in-sieme dell’area delle regioni prese in esame learee naturali completamente denudate, quindia sterilità funzionale, risultano essere il 3% dellasuperficie, mentre le aree parzialmente denu-date sono il 4%; le aree dove sono presenti fortie moderati fenomeni di erosione, circa il 6%, sisovrappongono parzialmente alle aree prece-denti, ma sono sicuramente sottostimate, inquanto l’informazione relativa alla presenza difenomeni di erosione spesso non è presente neidati a disposizione. I suoli vulnerabili, cioè a ri-schio potenziale di forte erosione, perché sottili ecollocati su forti pendenze, che assommano al9% del territorio indagato. Un altro 9% è costi-tuito da aree a vegetazione naturale e naturali-forme a scarsa copertura del suolo, solo in mi-

Appendici

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nima parte coincidenti con le precedenti. Learee sensibili al rischio di degradazione delsuolo per erosione, perché eccessivamentesfruttate dal pascolamento, sono circa il 5%, chevanno a sommarsi a un altro 2% di aree a pa-scolamento intenso, dove questa attività puòaggravare situazioni già sensibili o vulnerabiliper altre condizioni”.Secondo quanto riportato nell’Atlante Naziona-le, il processo di degrado più diffuso è l’erosioneidrica. Frane e alluvioni, diminuzione della so-stanza organica e perdita di biodiversità sonoprocessi in buona parte legati all’erosione idri-ca. L’inaridimento del suolo dovrebbe essereconsiderato come una minaccia specifica, an-che perché potrebbe crescere notevolmente aseguito dei cambiamenti climatici e di uso delsuolo. L’uso di acque di irrigazione di bassaqualità può contribuire alla diminuzione di so-stanza organica e all’accumulo di sali nel suolo.

I processi di salinizzazione, alcalinizzazione esodificazione sono diffusi non solo nelle areecostiere, ma anche in dipendenza della litolo-gia, dell’uso del suolo e dei processi di erosione

del suolo. La situazione internazionale. Gli scenari climati-ci presentati nell’ultimo rapporto dell’IPCC e altriscenari al 2100 dei maggiori centri internaziona-li di ricerca sul clima mostrano, per il bacino delMediterraneo, un aumento della temperaturamedia, una riduzione delle precipitazioni me-die annue e una conseguente riduzione delledisponibilità idriche. In Italia, questi fenomeniinteresseranno principalmente le zone interne,la Sicilia e la Sardegna.In conseguenza di incrementi della frequenza edell’intensità di fenomeni climatici estremi (allu-vioni e siccità), aumenterà la vulnerabilità degliecosistemi naturali e agrari. Gli incendi estivi,l’alternanza di episodi alluvionali e periodi sicci-tosi, l’innalzamento previsto del livello del maree la conseguente salinizzazione delle falde edei terreni prossimi alla costa, aumenteranno ildegrado e la perdita di suolo e di vegetazione,

portando a un aumento della sensibilità del ter-ritorio italiano ai processi di desertificazione. Il quadro della situazione dell’aridificazionebasato su dati mensili di temperatura e precipita-

Fonte: Progetto Climagri, UCEA.

Figura A.1.1 - Distribuzione nazionale delle superfici semi aride e sub-umide e umide.

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zione mensili riferiti al periodo 1951-2000 (fi-gura A.1.1) indica che le regioni Sicilia, Sarde-gna e Puglia sono maggiormente interessatedalle condizioni di aridità e che anche altre re-gioni e aree costiere sono interessate con mino-re intensità al fenomeno. L’aridificazione è au-mentata – tra il 1951 e il 2000 – su tutto il terri-torio nazionale, e nella regione Sicilia l’esten-sione delle superfici umide, nel periodo 1971-2000, è inferiore al 10% della superficie del ter-ritorio regionale, le zone sub-umide secche so-no superiori al 50% e le zone semi aride sonocirca il 40%.La siccità costituisce un rischio ambientale cheinteressa tutto il territorio nazionale il cui impat-to può avere forte rilevanza a livello sia am-bientale sia economico, nonché sul piano me-diatico. Mentre non esistono attualmente valuta-zioni omogenee e complete dell’evoluzionetemporale di indicatori di siccità a scala regio-nale, nell’ambito degli studi di climatologia, leanalisi concordano nella diagnosi di una ridu-zione delle precipitazioni a scala annuale emensile. Comunque, la rilevanza dei fenomenidi siccità, in particolare per la lotta alla deserti-ficazione, è riconosciuta anche dalla normativacomunitaria, e si stanno concertando iniziative.La copertura del suolo costituisce un dato di na-tura socio-economica di fondamentale impor-tanza, ai fini della valutazione della desertifica-zione. I dati disponibili provengono dal CorineLand Cover relativamente agli anni 1990 e2000; altri dati sono contenuti nella banca dati –realizzata dall’Istituto Nazionale di EconomiaAgraria (INEA) nelle regioni “Obiettivo 1”, e ri-guardante l’utilizzazione delle risorse idricheper scopi irrigui – di maggiore dettaglio, inquanto la legenda contiene più classi, la superfi-cie minima utilizzata arriva sino al dettaglio di6,25 ettari (contro i 25 del Corine) e la legendaè maggiormente dettagliata per le coperture delsuolo di tipo agricolo e forestale. Il settore delle risorse idriche è caratterizzato

dalla frammentazione delle informazioni persettori di utilizzo. Con i Piani di tutela delle acque– istituiti con la legge 152/99 e, successiva-mente, con la direttiva Quadro sulle acque2000/60CE – è prevista una pianificazionedelle risorse idriche nel contesto territoriale deibacini idrografici e dei distretti idrografici. Inmolte regioni l’elaborazione e l’approvazionedi tali Piani è ancora in corso. La capacità di accumulo negli invasi è, in parte,utilizzata anche per approvvigionare il settorecivile e, specialmente in anni di siccità, la quotadestinata all’agricoltura viene ridotta dando lapriorità all’approvvigionamento potabile. IConsorzi di bonifica registrano annualmentel’acqua disponibile negli invasi, prima della sta-gione irrigua, per la programmazione delladistribuzione.

AzioniIndicazioni per la predisposizioni di strategie epiani di adattamento. Prendendo in esame i di-versi ecosistemi naturali nei quali i fenomeni didesertificazione possono manifestarsi, le strategiedi adattamento dovranno essere adeguate alleloro diverse caratteristiche. Comunque, si deve sempre tener conto che il cli-ma è certo un fattore determinante per la vita el’evoluzione degli ecosistemi naturali. Altri fat-tori esercitano pressioni rilevanti sulle risorsenaturali e, nello specifico, contribuiscono ai fe-nomeni di desertificazione come importanti fatto-ri socio-economici (crescita di popolazione, svi-luppo economico e tecnologico, scelte di merca-to, ecc.) che esercitano, ed eserciteranno sem-pre di più, pressioni su suoli e risorse idriche.(figura A.1.2).Le scelte strategiche ne dovranno quindi tenerconto, adottando metodi e modelli di valutazio-ne integrata delle variabili ambientali e di quellesocio-economiche, considerato che le strategiedi mitigazione della desertificazione e quelle diadattamento ai cambiamenti climatici relativa-

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mente agli impatti sul suolo si intersecano e si so-vrappongono, spesso con un effetto sinergico.Strategie e piani di adattamento per la desertifi-cazione. La predisposizione di strategie e piani diadattamento dovrebbe essere basata, nel casodella desertificazione, su indicatori di vulnera-bilità del territorio a scala locale, coordinati inun ambito nazionale. Solo a tale scala può es-sere colta la variabilità di gran parte dei fattori divulnerabilità del suolo che definiscono la deser-tificazione (perdita di produttività ecologica,per esempio). La loro efficacia, poi, è stretta-mente connessa alle conoscenze disponibili inmerito ai fenomeni in atto, agli effetti delle azio-ni di adattamento e alla loro evoluzione. Sono,pertanto, necessari sforzi e impegni per indiriz-zare, e sostenere, la ricerca scientifica e tecno-logica verso sia una continua attenzione, uncontinuo monitoraggio, dei risultati delle azioni diadattamento sia verso una continua valutazionedegli effetti diretti e indiretti, delle loro eventualisinergie o sbilanciamenti tanto nei sistemi natura-li quanto nella valutazione di costi economici esociali.La principale strategia di mitigazione e di adat-tamento alla desertificazione e agli impatti deicambiamenti climatici sul degrado del territorio èstata finora costituita dall’attuazione del Pro-

gramma di azione nazionale di lotta alla deser-tificazione, con il quale è previsto un sistema ar-ticolato di azioni, che tiene conto dei principidello sviluppo sostenibile e che attribuisce a re-gioni e ad Autorità di bacino, secondo le rispet-tive funzioni, l’elaborazione e l’attuazione dimisure specifiche a carattere agronomico, fore-stale, civile e sociale, accompagnate e sostenuteda specifici piani di informazione, formazioneed educazione, in alcuni settori individuati co-me prioritari:– protezione del suolo;– gestione sostenibile delle risorse idriche;– riduzione dell’impatto delle attività produttive;– riequilibrio del territorio.In tale cornice, alcune regioni e istituzioni na-zionali, con modalità diversificate e con specifi-cità locali, hanno – utilizzando risorse finanzia-rie nazionali ed europee – sia avviato numerosiprogetti a carattere conoscitivo, sia promossoazioni pilota e interventi formativi.I fenomeni e le osservazioni più recenti hannomesso in evidenza come la desertificazionevenga sempre più percepita come un fenomenoche interessa, con varia intensità, tutte le regioni,alcune delle quali hanno già avviato program-mi di analisi e valutazione del rischio o azionipilota mirate. Con iniziative finalizzate allo sviluppo di carto-grafie riguardanti aree sensibili alla desertifica-zione è stato possibile individuare priorità especificità presenti in alcune regioni, tra cui:Abruzzo, Basilicata, Calabria, Emilia Roma-gna, Liguria, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sici-lia, Toscana. Alcune regioni hanno provvedutoa inserire il tema della desertificazione nell’am-bito della programmazione regionale per la tu-tela delle acque, per l’assetto idrogeologico onei piani di sviluppo rurale (Abruzzo, Lombar-dia, Puglia, Sardegna) oppure nella definizionedi interventi di recupero (tra le altre: Basilicata,Calabria, Liguria, Piemonte). Nel complesso,queste iniziative soffrono, però, della mancan-

Figura A.1.2 - Natura del fenomeno delladesertificazione (adattato da EC, 1997).

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za di un sistema unico di condivisione delle me-todologie, degli archivi e della conoscenza,nonché di modalità comuni e concordate di in-dividuazione, descrizione e lotta alla desertifi-cazione. Strategie di adattamento per gli ecosistemiagrari. Nel caso di questi ecosistemi, in partico-lare, le strategie di adattamento possono essereformulate sul versante sia delle strategie economi-che di settore – dove si può agire attraverso l’o-rientamento delle dinamiche dei prezzi e, quin-di, per esempio adottando costi agricoli inferio-ri, in funzione delle variazioni a carico delleproduzioni – sia di quelle agronomiche. L’obiet-tivo primario delle strategie agronomiche diadattamento è quello di evitare, totalmente oparzialmente, la riduzione delle produzioniagricole attraverso aggiustamenti a breve-ter-mine e adattamenti a lungo-termine. Per quantoriguarda il breve termine, la produzione puòessere ottimizzata con variazioni minime del si-stema agricolo, procedendo alla gestione deisistemi colturali – attraverso, per esempio: l’im-piego contemporaneo di cultivar con caratteri-stiche diverse, per ridurre la variabilità dellaproduzione; il cambio delle pratiche agronomi-che e delle date di semina; il cambio del tipoe/o delle modalità di impiego di fertilizzanti epesticidi – e adottare opportune tecniche per laconservazione dell’umidità del suolo (introdu-zione di tecniche di conservazione dell’umiditàcon no tillage, pacciamatura, ecc., e di gestionedell’irrigazione, ottimizzandone l’ammontare el’efficienza). In altri termini, gli agricoltori/landmanager molto probabilmente risponderannoai cambiamenti climatici, cambiando per esem-pio il management delle colture attuali (date disemina; cambio di cultivar; modifica delle prati-che di irrigazione e fertilizzazione, ecc.) oppureadottando nuovi sistemi colturali.Per quanto riguarda, invece, gli adattamenti alungo-termine, si parla di modifiche strutturalidel sistema produttivo agricolo, come:

– il cambio dell’uso del suolo, per ottimizzare ostabilizzare la produzione: per esempio, so-stituzione di colture con alta variabilità inter-annuale (frumento) con colture a più bassavariabilità (pascoli);

– lo sviluppo di nuove cultivar che si adattanopiù velocemente agli stress indotti dai cam-biamenti climatici (miglioramento geneticotradizionale o attraverso l’uso di biotecnolo-gie);

– la sostituzione di colture per conservare me-glio l’umidità del suolo (esempio: mais consorgo);

– opportune modifiche del microclima per mi-gliorare l’efficienza dell’uso dell’acqua(esempio: frangivento, colture intercalari,ecc.).

Le opzioni di adattamento devono comprende-re, oltre a indicazioni tecniche e accordi istitu-zionali, la possibilità di accedere a strumentieconomici che ne incentivino l’adozione per tut-ti gli attori coinvolti, pubblici e privati. Una poli-tica di adattamento deve considerare la neces-sità di mettere insieme comportamenti e azioniindividuali di soggetti privati effettivamente epotenzialmente colpiti, accordi sottoscritti dacomunità locali colpite e politiche nazionali op-portunamente inserite in un quadro internazio-nale di accordi.L’attuazione della nuova direttiva sulla protezio-ne del suolo, in fase di elaborazione dall’UE,costituisce una preziosa opportunità per avvia-re azioni di monitoraggio e protezione dei suolie, quindi, di lotta alla desertificazione. In partico-lare, le misure per la lotta alla desertificazioneincludono azioni di livello strategico e tecnicoda applicare nelle aree che sono affette (o lo so-no state in passato) da processi di desertifica-zione. Tali misure sono di prevenzione (pratichegestionali per la protezione e l’uso razionaledel suolo, delle risorse idriche, della vegetazione,del territorio e degli ecosistemi), di mitigazione(pianificazione integrata per l’uso del suolo e

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applicazione di sistemi di uso sostenibile dellarisorsa suolo) e di ripristino (una volta che alcu-ne soglie sono superate, anche se sono rimosse lecause di degradazione, questa può essere con-trastata solo attraverso azioni di ripristino). Lareintroduzione di specie di interesse o l’aumentodella copertura vegetale sono solo un surrogatodi azioni finalizzate al raggiungimento dell’o-biettivo reale: ripristinare la funzionalità dell’e-cosistema, facilitando meccanismi di autoso-stentamento.La direttiva, pur non definendo le azioni di lottaalla desertificazione in maniera vincolante, in-dica che, per una politica di protezione del suo-lo mirata ed efficace, è necessario sapere dove èin corso il degrado. È risaputo che alcuni pro-cessi di degrado come l’erosione, la diminuzio-ne della materia organica, la compattazione, lasalinizzazione e le frane si verificano solo in de-terminate aree che corrono rischi maggiori, eper questo è necessario individuare tali aree arischio e, se necessario, identificare “aree pilota”,specie nel caso della perdita di biodiversità delsuolo. Lo stesso approccio dovrebbe essere ri-servato ai processi relativi all’aridità e alla sicci-tà, che possono indurre alla desertificazione. In riferimento alla disponibilità di risorse idri-che, la Commissione europea dà indicazioniper quanto riguarda la scarsità della risorsaidrica e la siccità. Tra le misure da adottare èsegnalata la necessità di stabilire il giusto prez-zo dell’acqua, di allocare la risorsa in modo piùefficiente, di migliorare la gestione del rischio disiccità, di aumentare la disponibilità (da consi-derare come vera ultima opzione), di migliorarele performance delle tecnologie, di stimolareuna cultura della water conservation, di aumen-tare la conoscenza e il flusso di informazione atutti i livelli. Strategia della valorizzazione delle tecnologietradizionali e dell’applicazione di nuove tecnolo-gie ispirate al principio della conservazionedelle risorse naturali. Non deve essere sottova-

lutata neanche la strategia basata sulla valoriz-zazione delle tecnologie tradizionali e sull’ap-plicazione di nuove tecnologie che si ispirano alprincipio della conservazione delle risorse natu-rali. Non esiste ancora un inventario di questetecnologie, ma l’iniziativa del Ministero del-l’ambiente e della Regione Toscana di realizza-re un centro di studi internazionale sulle cono-scenze tradizionali rappresenta una grandepromessa per procedere in tale direzione.Per quanto riguarda le valutazioni economiche,non sono disponibili – a livello italiano e benpoche anche a livello globale – valutazioni o sti-me specifiche dei costi della desertificazione. Inrealtà, non sono ancora disponibili una meto-dologia e strumenti operativi capaci di favorire losviluppo di un’analisi e di una valutazione inte-grate dei costi diretti e indiretti del fenomeno. InItalia, la valutazione economica dell’inazione(ovvero, del danno) e delle misure necessarieper la lotta alla desertificazione dovrebbe asso-lutamente tener conto delle differenze esistentinel territorio e, quindi, dovrebbe essere affronta-ta su scala sia regionale che nazionale, tenendoconto dei fattori che, in ciascuna specifica situa-zione, contribuiscono da una parte alla defini-zione del rischio e dall’altra all’estendersi deifenomeni di desertificazione. In tal modo, i ri-sultati raggiunti nel campo della valutazione deicambiamenti climatici (vedere, per esempio, lavalutazione dell’incidenza dei cambiamenti cli-matici sull’erosione o sugli incendi e delle perdi-te di produttività associate a tali fenomeni) po-trebbero, con le opportune cautele e adattati alcontesto della desertificazione, fornire una sti-ma accettabile. Si deve, comunque, tener conto della particolarecomplessità del tema, che impone di operare a li-velli di notevolissimo dettaglio spaziale (analisidei fenomeni di degrado del suolo a scala micro) edi integrare una diversità di approcci tematici/di-sciplinari caratterizzati invece da una amplissimavariabilità di scale sia spaziali (da globale a loca-

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le) sia temporali (da quella di singolo evento piovo-so a quella decadale e oltre). Inoltre, la diversitàdei fenomeni che sono responsabili della desertifi-cazione o che ne sono gli effetti, rende indispen-sabile l’adozione di approcci integrati lungo tutte lefasi delle valutazioni, parallelamente all’adozionedi politiche integrate.Anche se esiste una certa flessibilità per ridurre lavulnerabilità degli ecosistemi alle variazioni cli-matiche, occorre capire con quale velocità sisarà in grado di adattare conoscenza e tecno-logia, rispetto alla velocità di mutamento del cli-ma (per esempio, con le opportune scelte di po-litica economica e di pianificazione del territo-rio e con le infrastrutture necessarie).Un aspetto da prendere in considerazione ri-guarda le sinergie e/o incompatibilità trascelte/tecniche di adattamento e quelle di miti-gazione (si pensi, in campo agricolo, alla ridu-zione delle lavorazioni). Comunque, si deve sempre tener conto che il cli-ma è certo un fattore determinante per la vita el’evoluzione degli ecosistemi naturali, ma altrifattori esercitano pressioni rilevanti sulle risorsenaturali e, nello specifico, contribuiscono ai fe-nomeni di desertificazione, come importanti fat-tori socio-economici (aumento della pressioneantropica, spopolamento delle aree marginali,sviluppo economico e tecnologico; scelte dimercato, ecc.) che esercitano, ed eserciterannosempre di più, pressioni su suoli e risorse idri-che. Le scelte strategiche ne dovranno quindi te-ner conto, con l’adozione di metodi e modelli divalutazione integrata delle variabili ambientalie di quelle socio-economiche. Una sfida per lescelte di oggi che influenzeranno il prossimo fu-turo è, quindi, anche quella di individuare dovee come i cambiamenti climatici potranno creareimportanti situazioni di rischio in aggiunta allepressioni già esistenti, di individuare cioè areegià significativamente fragili in ragione di dina-miche sociali ed economiche.

A.1.2 Workshop di Palermo, 27-28 giugno 2007 Cambiamenti climatici e ambiente marino-co-stiero: scenari futuri per un programma nazio-nale di adattamentoa cura di Stefano Corsini (APAT) – Edi Valpreda(ENEA)

Stato delle conoscenzeL’adattamento ai cambiamenti climatici nellearee costiere necessita di informazioni adegua-te sull’intensità delle mareggiate, l’altezza delleonde, il livello del mare. Tali variabili, in gene-re, non possono essere ricostruite e/o simulatese non mediante una ricostruzione generale de-gli eventi meteorologici e dei loro eventualicambiamenti di regime. La ricostruzione e/o si-mulazione del clima costiero non può, pertanto,essere disgiunta da quella di processi meteorolo-gici, quali cicloni e venti.La ricostruzione del clima passato non ha a dis-posizione serie temporali sufficientemente lun-ghe e ben distribuite geograficamente per ca-ratterizzarne la variabilità e le tendenze. Que-sto risulta particolarmente vero per le onde ma-rine, le cui misure sono fornite da boe ondame-triche e rilievi satellitari. Le boe ondametricheforniscono serie temporali che sono general-mente disponibili, al più, dalla seconda metàdegli anni ‘80 e in un numero limitato di posi-zioni isolate. I dati satellitari sono disponibili so-lo a partire dalla prima metà degli anni ‘90. Laconoscenza di quanto avvenuto in precedenzaè basata su simulazioni con modelli che risento-no dell’imprecisione presente nei campi di vento.L’indicazione attualmente disponibile mostra,durante la seconda metà del secolo scorso, unadiminuzione dell’intensità media delle mareg-giate nei mesi invernali e anche una riduzionedegli eventi estremi, sia pure limitata a una fa-scia centrale del Mediterraneo che interessa l’Ita-lia meridionale. È necessario uno sforzo nellamodellistica per migliorare la qualità delle rico-struzioni delle passate mareggiate e della loro

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climatologia, e migliorare l’informazione at-tualmente disponibile. La situazione è meno cri-tica per il livello del mare che, comunque, nelMediterraneo non presenta per ora l’evoluzioneindicata negli scenari dell’IPCC.In tale contesto, la ricerca si trova ad affrontaredue problemi complementari, entrambi crucialiper la gestione delle coste: 1) la ricostruzionedel clima presente, incluse tendenze e variabili-tà a varie scale temporali; 2) l’identificazione dicambiamenti climatici conseguenti al futuro au-mento degli effetti antropici (esempio: CO2 e al-tri gas a effetto serra, aerosol, ecc.). Per entrambi i problemi, pur essendo disponibi-li risultati di rilievo e informazioni utili, lo statodelle conoscenze richiede sostanziali progressiper aumentare l’affidabilità e la quantità di in-formazione disponibile.A fronte dell’inadeguatezza dell’informazioneattualmente disponibile, è giusto menzionarealcune iniziative attualmente in atto: il progettoVECTOR del PNRC, il progetto CIRCE dell’FP6-EU, il programma ESF MedCLIVAR, e anche,più in generale, il progetto EU-FP6 ENSEMBLE,per la modellistica del clima a scala regionale.Tuttavia il programma complessivo costituitodalle interrelazioni tra questi progetti non risultaessere ancora sufficiente, a causa della man-canza di una specifica focalizzazione sulla ge-stione delle coste italiane anche nei più recentiprogetti e programmi nazionali di ricerca (peresempio: CIRCE, MedCLIVAR, ENSEMBLE). Ciòevidenzia l’esigenza di un coordinamento na-zionale di settore.Appare evidente che, in attesa che siano incre-mentate l’estensione temporale, la qualità e ladistribuzione territoriale delle serie storiche diparametri fisici utili, aspetti per i quali sarannonecessari moltissimi anni, oltre al recupero diorganizzazioni tali da garantire la sorveglian-za omogenea e continua delle installazioni dimisura per tempi compatibili con quelli neces-sari, dell’ordine delle centinaia di anni, è indi-

spensabile basarsi sulla elaborazione di scenaricon associati livelli di probabilità.L’erosione e l’allagamento delle aree costieresono fenomeni già presenti con una rilevanzanotevole nel nostro territorio. Dagli anni Settan-ta a oggi si è evidenziata una generale tenden-za all’arretramento delle coste sabbiose italia-ne. Questa tendenza è in aumento anche senzaconsiderare gli effetti dei cambiamenti climatici,a causa della riduzione di apporto solido flu-viale alle spiagge, degli effetti di mareggiataconcomitanti con eventi alluvionali, dell’aumen-to relativo del livello del mare. Sono già in erosione e a rischio allagamento1.500 dei circa 4.600 chilometri di coste basseitaliane, piane costiere comprese (ovvero, quasiil 20% del totale dei circa 8.300 chilometri dicoste).Anche nell’attuale impossibilità di quantificarele ulteriori perdite negli scenari di cambiamentoclimatico, è però evidente che queste interesse-ranno le attività e i “beni” presenti nell’area lito-rale, e cioè le attività turistico-balneari, le moltearee SIC costiere e aree naturali protette, le du-ne costiere, le pinete e le specie floro-faunistichepregiate, le infrastrutture di trasporto, le zoneurbanizzate costiere, l’acqua a causa del pro-cesso di salificazione delle falde nelle aree allu-vionali costiere. A questi elementi a rischio è daaggiungere la presenza di attività agricole nellepiane costiere e di allevamenti ittici nelle zonedi transizione. A questa tendenza “di fondo” si sommeranno,secondo gli scenari IPCC, gli effetti indotti daicambiamenti climatici.Tutte queste considerazioni sono però solo qua-litative e non supportate da quei parametriquantitativi indispensabili per le necessarie va-lutazioni costi-benefici che supportano le politicheterritoriali di settore. Comunque, gli scenari di variazione di vulnera-bilità propongono un quadro in cui i processidominanti saranno gli stessi di oggi, il regime

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ondametrico sarà meno intenso e il trasportosolido litoraneo (già oggi scarsissimo) sarà ulte-riormente ridotto. L’effetto del sollevamento delmare nel Mediterraneo è previsto attorno a 35centimetri negli scenari IPCC (figura A.1.3), an-che se gli studi specifici nel contesto italiano indi-cano che il nostro mare non è attualmente in si-gnificativo sollevamento (figura A.1.4).

Per ogni centimetro di sollevamento del mare,nelle aree costiere si verifica un innalzamentodel cuneo salino fino a 40 volte, e quindi la co-sta risulta estremamente sensibile a tale para-metro. Le zone di maggiore suscettibilità saran-no le spiagge sabbiose meno ampie e con ap-parati dunari retrostanti assenti o fortementedegradati.Considerato quanto sopra, risulta ancora piùcritica la carenza di risultati, a scala nazionale,in termini di scenari attesi, utili a supportare consufficiente dettaglio spaziale la valutazione de-gli impatti del fenomeno dell’erosione e degliallagamenti delle aree costiere, anche in rela-zione a intervalli temporali ben più brevi di

quelli con cui ci si deve confrontare tenendoconto del contributo dei cambiamenti climatici. Nessuno studio a oggi, infatti, soddisfa le con-dizioni di copertura nazionale omogenea dellavalutazione e di capacità di valutare quantitati-vamente le implicazioni del fenomeno di erosio-ne/allagamento negli scenari di cambiamentoclimatico proposti dall’IPCC.

Premesso che la conoscenza degli scenari diimpatto dei cambiamenti climatici nelle aree co-stiere non è ancora a livelli tali per cui possarappresentare una base affidabile per consenti-re l’individuazione delle priorità di intervento ascala nazionale, bisognerà investire in iniziati-ve con le quali sia possibile giungere in tempibrevi a una migliore conoscenza dei fenomenicosì da poter effettuare una valutazione seppursommaria di costi e benefici delle azioni diadattamento che faranno parte del Piano na-zionale.Al fine di colmare questa rilevante lacuna, oc-correrà poter fruire di quei dati di base omoge-nei a scala nazionale e di grande accuratezza

Fonte: F. Raicich, CNR – Istituto di Scienze marine ISMAR, Trieste. Workshop “Cambiamenti climatici e ambiente marino costiero:scenari futuri per un programma nazionale di adattamento” (Palermo, 27-28 giugno 2007).

Figura A.1.3 - L’aumento del livello del mare nel Mediterraneo secondo il “Quarto RapportoIPCC 2007”.

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che, come è stato evidenziato nel workshop, so-no già stati raccolti per l’Italia, paese per il qua-le si ha una teorica disponibilità di informazionicartografiche maggiore che in altri. Ciò chemanca è una consuetudine all’accesso e allacondivisione di questi dati. È, quindi, necessariocoordinare le tecniche e i prodotti del rileva-mento e assicurare la condivisione incondizio-nata di basi cartografiche ed elaborati tematici“strategici” tra i diversi enti e ambiti ammini-strativi centrali, regionali e locali.A questo proposito, nel convegno si è convenu-to sull’opportunità che sia attivato un Tavolo tec-nico interdisciplinare, per l’individuazione diindici e metodi che consentano di definire i neces-sari scenari quantitativi di impatto dell’erosio-ne/allagamento nel territorio costiero italiano,nonché la messa a punto di un piano di monito-raggio che ne assicuri l’aggiornamento.

AzioniLe opzioni di adattamento o di riduzione dellavulnerabilità per le aree costiere italiane partonodal presupposto che non è economicamente so-

stenibile ipotizzare interventi di difesa indiscrimi-nati su tutti gli oltre 4.600 chilometri di coste bas-se sabbiose italiane, tutte interessate, in teoria,dagli effetti dei cambiamenti climatici. Anche so-lo intervenire sugli attuali circa 1.500 chilometridi coste già in erosione, richiederebbe investi-menti iniziali enormi (dell’ordine di 2 miliardi dieuro) e ripetuti nel tempo, nonché l’impiego diquantitativi di sedimenti per ripascimento dell’or-dine di 150-200 milioni di metri cubi iniziali,senza contare i quantitativi necessari alla conser-vazione degli interventi. Tali quantitativi, del re-sto, con le necessarie caratteristiche fisiche e diqualità, sarebbero anche difficilmente reperibiliin tutte le zone interessate dai fenomeni, stanteanche l’attuale normativa di settore. Le soluzioni possibili per attuare le strategie diadattamento sono:– l’abbandono di aree alla loro evoluzione na-

turale;– la conservazione e/o ricostruzione di zone

naturali di interfaccia “morbida” fra terra emare;

– la conservazione e/o ricostruzione delle du-ne costiere;

– la messa in atto di strategie di pianificazioneterritoriale per evitare ulteriori compromissio-ni in termini di vulnerabilità, anche attraversovincoli di pianificazione;

– la difesa della posizione relativa terra-marecon opere morbide (ripascimenti) piuttostoche rigide;

– l’aumento della resilienza morfologica dellaspiaggia emersa (dune) e sommersa (barre, ecc.);

– gli interventi normativi volti a sovraordinareai piani regolatori comunali (PRC) le indica-zioni dei piani di adattamento ai cambia-menti climatici, e alla introduzione della Va-lutazione Ambientale Strategica (VAS) nelprocesso di valutazione dei piani costieri, in-cludendovi gli aspetti connessi all’impatto deicambiamenti climatici; il sistema di valutazio-ne deve essere indipendente dal soggetto che

Fonte: F. Raicich, CNR – Istituto di Scienze marine ISMAR, Trie-ste. Workshop “Cambiamenti climatici e ambiente marino co-stiero: scenari futuri per un programma nazionale di adatta-mento” (Palermo, 27-28 giugno 2007).

Figura A.1.4 - Serie temporali secolari italia-ne.

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elabora il piano.La prima e la seconda strategia richiamano ilprincipio di rinunciare alla guerra di posizionetra terra e mare aprendo alle opzioni che pre-vedono una modalità diversa di convivenza nel-le aree costiere, in cui gli insediamenti abitativi eproduttivi trovano un nuovo equilibrio con i valo-ri e le dinamiche naturali. Questo implica un’azione di pianificazione diarea vasta (almeno regionale, se non a scala diversanti marini) che consideri non solo l’impattodell’opera nell’immediato territorio limitrofo,ma anche la sua interazione con il sistema co-stiero e che sia ispirata al principio che “nonvengano più finanziati interventi che induconoerosione”. Per le opere di difesa: è stato evidenziato chenella progettazione si dovrà tenere conto deglieffetti dei cambiamenti climatici. Bisognerà an-che avere il coraggio di rimuovere, ove possibi-le, le opere di difesa tradizionali che con i cam-biamenti climatici vedranno diminuire la loroefficienza.La scelta delle più adeguate opzioni di adatta-mento deve essere basata anche su valutazionieconomiche (costi-benefici). Tuttavia, gli esempipiù recenti di applicazione di modelli di valuta-zione economica per la comparazione di op-zioni di adattamento ai cambiamenti climatici,illustrati nel workshop, sono stati sviluppati perambiti costieri limitati e rivolti, soprattutto, allesole aree di piana costiera che esprimono unaspecificità connessa con le attività agricole. Learee agricole in fascia costiera sono esse stesseoggetto di pressione e, quindi, di impatti negati-vi. Peraltro, il valore economico di una loro po-tenziale perdita non è paragonabile al valore dialtre tipologie di utilizzo del territorio. La possi-bilità di “perdere” suolo agricolo rappresenta,quindi, un’opzione strategica di adattamentoplausibile soprattutto nelle aree di bassa pianu-ra che possono essere soggette a riallagamen-to. Ciò tenendo conto anche che i costi ambien-

tali, energetici e infrastrutturali per l’adegua-mento dei sistemi di regimazione delle acquesuperficiali nelle piane costiere depresse, inconseguenza ai cambiamenti climatici, non sa-ranno sempre commisurabili con il valore del“bene” protetto. La stima del valore degli arenilisfruttati a uso turistico balneare, presentata nelcorso dei lavori del workshop, è un altro esempiodi indicatore per la valutazione dei costi asso-ciati a una possibile perdita in una tipologia dicosta molto diffusa in Italia. Quindi, lo sforzodovrà essere rivolto a mettere in sinergia le di-verse esperienze oggi disponibili, individuandoun approccio metodologico semplice e applica-bile a scala nazionale in tempi brevi, e che siamaggiormente rappresentativo delle diverse ca-ratteristiche delle coste italiane.Alla luce di quanto sopra, diventa ancora piùurgente l’attuazione delle raccomandazionidella CE in materia di ICZM (Recommendationof the European Parliament and of the Council,concerning the implementation of IntegratedCoastal Zone Management in Europe del30/5/2002), elaborando linee guida naziona-li condivise con le amministrazioni e gli enti chehanno attualmente le competenze della pianifi-cazione e tenendo conto degli effetti e delle esi-genze di adattamento ai cambiamenti climatici.Sono altrettanto urgenti interventi di definizionenormativa del “Piano Coste”, introducendo inquesto il concetto di cambiamento climatico,definendone la minima estensione in base a cri-teri di dinamica costiera, e non amministrativi,e prevedendo la sua sovra-ordinazione rispettoai piani regolatori comunali e agli altri strumen-ti di pianificazione. Considerando l’entità degli investimenti che sirenderanno necessari per la pianificazione co-stiera, sarà indispensabile attuare una sinergiatra investimenti pubblici e privati attraverso stru-menti legislativi che favoriscano gli investimentiprivati funzionali anche alle esigenze dell’adat-tamento.

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Dal workshop è, inoltre, emersa la richiesta diuna forma di coordinamento nazionale sul te-ma delle coste (ricerca, monitoraggio, metodo-logie, criteri di pianificazione, ecc.) affinché chiopera a livello locale non sia isolato rispetto alcontesto generale, le esperienze oggi limitate aalcune realtà diventino effettivamente patrimo-nio della collettività nazionale e i risultati deiprogetti di ricerca siano valorizzati. Il contributodei progetti interregionali UE non ha colmatoquesta carenza. Si propone, pertanto, l’istitu-zione di forme di aggregazione a livello centra-le di iniziative, progetti e programmi da avviarenell’ambito costiero attraverso, per esempio, uncomitato nazionale sulle coste, con la parteci-pazione di rappresentanti istituzionali, delle re-gioni e del mondo accademico.Un ulteriore strumento potrebbe essere un “os-servatorio” nazionale, da costituirsi per esem-pio presso la stessa APAT, finalizzato al monito-raggio dello stato di attuazione della normativae della pianificazione di settore e degli inter-venti di adattamento e riduzione della vulnera-bilità. Al di là di tutto, è necessario considerare di mo-dificare la percezione del rapporto tra l’uomo eil territorio costiero, in particolare nell’area me-diterranea dove maggiori sono le pressioni e leaspettative di fruizione economica e sociale.L’adeguamento ai cambiamenti climatici com-porta uno spostamento nella percezione tempo-rale degli effetti delle scelte di sviluppo, che do-vranno avere un orizzonte di decenni. Inoltre, lapercezione delle zone costiere come risorsasfruttabile staticamente nel tempo confligge con lecaratteristiche intrinseche di dinamicità e insta-bilità del sistema che sinora si è teso a renderestabile artificialmente. Un cambiamento di aspettative implica un cam-biamento sociale e culturale che passa attraver-so la promozione di uno scambio efficace e sta-bile tra gli operatori della scienza, dell’ammini-strazione e i cittadini. Lo stesso mondo dell’in-

formazione è più interessato a proporre notizieche non a diffondere conoscenza, anche attra-verso un dialogo organico con il mondo scienti-fico. Una proposta emersa nel corso del workshop è lacostituzione di un canale televisivo dedicato alletematiche ambientali, incluse quelle relative aicambiamenti climatici, che proponga un ap-proccio semplice ma rigoroso, in cui la comuni-tà scientifica si senta efficacemente rappresen-tata, e che stimoli la crescita di una nuova gene-razione giornalistica.

A.1.3 Workshop di Saint-Vincent, 2-3 luglio 2007Cambiamenti climatici e ambienti nivoglaciali:scenari e prospettive di adattamentoa cura di Luca Mercalli (Società MeteorologicaItaliana, Comitato Glaciologico Italiano) – Um-berto Morra di Cella (ARPA Valle d’Aosta) –Edoardo Cremonese (ARPA Valle d’Aosta) –Giovanni Agnesod (ARPA Valle d’Aosta) – Sa-ra Tornato (ARPA Valle d’Aosta) – Claudio Picci-ni (APAT)

Stato delle conoscenze Dei circa 4.474 chilometri quadrati di superfi-cie glaciale che ricoprivano le Alpi verso il1850, nel 2000 ne rimanevano 2.272, vale adire il 51%. Attualmente, la superficie glacialeitaliana ammonta a poco meno di 500 chilome-tri quadrati, circa un quinto del totale alpino.Tale copertura è pressoché per intero concen-trata sulle Alpi. Quasi la totalità degli apparatiglaciali italiani è in arretramento dal 1990, conuna forte accelerazione del fenomeno osserva-bile dal 2003 (figura A.1.5).La riserva idrica totale dei ghiacciai italiani èmodesta in quantità. In mancanza di misureestensive di spessore, applicando alla superficieglacializzata una stima di spessore medio di30-50 metri, si ottengono circa 15-25 chilometricubici d’acqua, corrispondenti al 40-68% delvolume del Lago Maggiore.

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Quanto all’evoluzione futura dei ghiacciai alpi-ni, le simulazioni effettuate per la Svizzera indi-cano verosimili perdite areali del 70% rispettoalle condizioni attuali, nell’ipotesi di un ulterioreriscaldamento di 2° C, entro il 2060. Per le areeglacializzate del versante italiano delle Alpi,con riferimento a queste stime, stante la man-canza di simulazioni specifiche e complessive,si può ritenere che, data la posizione geograficapiù esposta a elevato soleggiamento e all’in-fluenza delle ondate di caldo di matrice africana,la riduzione possa essere ancor più drastica. Isettori sommitali dei grandi ghiacciai del MonteBianco, del Monte Rosa e dell’Ortles-Cevedalepotranno conservarsi, ma il destino degli appa-rati minori posti sotto quota 3.500 metri, sem-bra essere l’estinzione, anche in relazione ai ri-dotti spessori glaciali (30-50 metri attorno aquota 2.800 – 3.200 metri). Nelle attuali condi-zioni, non passeranno forse più di 10 anni primadella scomparsa di modesti ghiacciai marginalicome quelli delle Alpi Marittime, dell’Alta Valle diSusa e delle Alpi Orobie.Benché negli ultimi anni siano stati avviati studi intale campo, è necessario aumentare la cono-scenza sulla distribuzione e le dinamiche di al-terazione del permafrost, sia in terreno che nel-le pareti rocciose. A tale fenomeno sono, infatti,

riconducibili eventi catastrofici quali frane ecrolli.Anche per quanto riguarda l’innevamento man-ca un quadro complessivo di scenario. Seriestoriche sono localmente disponibili, per lo piùin postazioni di monitoraggio meteoclimatico dibacini idroelettrici. È necessario acquisire unapiù completa conoscenza di tale elemento e mi-gliorare la capacità previsionale dei relativitrend, anche tenendo conto che nell’ambientealpino gli effetti di un aumento della temperatu-ra globale sono, in genere, più evidenti rispettoalle pianure temperate: un aumento di tempera-tura media di pochi decimi di grado riduce lafrazione di precipitazioni che cade sotto formadi neve e, di conseguenza, l’altezza dell’accu-mulo di neve al suolo. Inoltre, risulta anticipatae accelerata la fusione primaverile del mantonevoso.

Gli impatti dei cambiamenti climatici in ambien-te alpino Gli impatti sul turismo. Le caratteristiche delleprecipitazioni (neve, pioggia, umidità, tempe-ratura percepita) sono un elemento fondamen-tale dell’attrattiva turistica delle località monta-ne, soprattutto in inverno. Ogni loro cambia-mento può alterare la propensione dei turisti avisitare quella specifica località.Sono evidenti gli impatti sulla disponibilità e af-fidabilità della copertura nevosa in inverno, co-sì come sulla lunghezza stessa delle stagioniestiva e invernale, direttamente collegate allapossibilità di praticare attività sportive e ricreati-ve.Impatti si verificano anche sulla possibilità di vi-sitare specifici ecosistemi come foreste o ghiacciaile cui caratteristiche, se non l’esistenza stessa,sono legate al clima: sono un esempio i nume-rosi sentieri glaciologici realizzati nei diversisettori alpini allo scopo di consentire la fruizionedi ambienti rilevanti dal punto di vista paesag-gistico e naturalistico.

Fonte: Comitato Glaciologico Italiano.

Figura A.1.5 - Percentuale di ghiacciai in arre-tramento sulle Alpi (1925-2005).

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Infine, l’andamento di domanda e offerta turi-stiche è legato anche all’aumento di intensità efrequenza negli eventi climatici estremi. Un as-sociato incremento di rischio di frane, valanghee alluvioni può sottoporre a stress addizionalele strutture turistiche, aumentandone i costi dimanutenzione e le spese per le attività di pre-venzione/protezione. Il flusso turistico potreb-be, invece, contrarsi come conseguenza dellapiù difficoltosa accessibilità alle destinazioni tu-ristiche di montagna, se eventi estremi più fre-quenti e intensi portassero a un deterioramentodelle vie di comunicazione e delle altre infra-strutture, o se venisse percepita una minore si-curezza della località.Gli impatti sull’agricoltura. Gli effetti della de-glaciazione sull’agricoltura passano, principal-mente, attraverso le variazioni nella disponibili-tà di acqua. Non vanno, però, trascurati altrifattori: aumento della temperatura e della CO2nell’atmosfera e nei cicli biogeochimici, danniprodotti da eventi climatici estremi.Nel caso particolare delle colture alpine, sem-bra che, per moderati scenari di incrementodella temperatura, non si avranno particolariproblemi di scarsità idrica. Questo fatto connes-so all’effetto fertilizzazione della CO2 per la sti-molazione della fotosintesi, dovrebbe condurre,in controtendenza rispetto al dato nazionale, aun possibile aumento della produttività dei suolidi montagna, elemento che potrebbe esserefonte di vantaggi.I pericoli più grandi per le colture alpine sem-brano piuttosto essere rappresentati dagli even-ti climatici estremi, in particolare dall’aumentodella frequenza di precipitazioni intense, e dalconseguente incremento del rischio idrogeolo-gico, che può mettere in pericolo determinatecoltivazioni collocate in aree instabili e/o espo-ste.Le variazioni nella disponibilità della risorsaidrica conseguente agli effetti dei cambiamenticlimatici sulla nivo-glaciologia non riguardano

solo le zone montane, ma anche l’agricolturadelle zone di pianura, la cui idrologia dipendedalle riserve idriche delle terre alte circostanti.Gli impatti sulla biodiversità e sul patrimonio fo-restale. Anche per la biodiversità il principalefattore di impatto è l’incremento di temperatura,senza però trascurare altri fattori quali l’incre-mento di CO2 in atmosfera, e conseguentemen-te nei cicli biogeochimici, nonché l’aumento dieventi estremi.Gli effetti riconosciuti dei cambiamenti climaticisulla biodiversità in alta quota riconducibili al-l’aumento di temperatura sono lo shift altitudi-nale delle specie e la contrazione di habitat ido-nei per specie a elevata specializzazione.È presente già da ora un concreto rischio diperdita di biodiversità d’alta quota, soprattuttonivale, dal momento in cui le specie sommitali sitroveranno a competere con le più adattabilispecie in arrivo dalle quote inferiori. Si preve-de, per esempio, che la linea boschiva potrebbespostarsi verso l’alto di alcune centinaia di metrinel corso del prossimo secolo.Anche la fenologia è destinata a mutare: si ègià evidenziato (CONECOFOR) un anticipomedio di 3 giorni ogni 10 anni di tutte le fasi vi-tali (emissione delle foglie, fioritura e fruttifica-zione) delle principali specie forestali che, sedestinato a continuare, può provocare gravidanni all’equilibrio tra le componenti vegetali,animali e del suolo delle foreste.Altri effetti riconducibili all’incremento di CO2riguardano l’aumento dei nutrienti, aumentoche favorisce una competizione sfavorevole perle specie vegetali adattate ad ambienti moltopoveri.Un rischio elevato per il patrimonio forestale al-pino è rappresentato, inoltre, dall’aumento dellafrequenza di siccità, in via diretta per le conse-guenze negative indotte dalla scarsità idrica,ma anche per la relazione di questa con il ri-schio incendi: periodi secchi e aumento nellaforza dei venti, entrambi legati al cambiamento

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climatico, favoriscono infatti la loro insorgenza. Gli eventi estremi causano incremento dell’ero-sione, con riduzioni di habitat o soppressioni distazioni di specie rarissime, ma anche il supera-mento, per siccità prolungata, delle soglie diadattamento delle specie. Inoltre possono pro-vocare schianti di alberi e conseguente maggio-re vulnerabilità a insetti e funghi patogeni.Agli effetti diretti dei cambiamenti climatici sullabiodiversità si accompagnano effetti indirettiche possono essere altrettanto importanti. Essiderivano dalle risposte connesse al cambia-mento climatico provenienti da agricoltura, fo-reste, gestione delle acque, pianificazione terri-toriale, ecc.Impatti sul territorio alpino di eventi estremi edissesto idrogeologico. Il ritiro dei ghiacciai e ilriscaldamento di zone soggette a permafrost libe-rano e/o mobilizzano grandi masse di sedi-menti morenici aumentando l’instabilità geolo-gica, soprattutto in versanti particolarmentescoscesi e in zone a questi morfologicamenteconnesse.Anche le variazioni del ciclo idrico hanno unimpatto diretto sul rischio geologico. Queste so-no causate congiuntamente dall’andamentodelle precipitazioni e dalle dinamiche deighiacciai. Infine, è necessario considerare il ruolo dellavariazione nell’intensità delle precipitazioni,aspetto di particolare rilevanza per il versantemeridionale delle Alpi che presenta le areemaggiormente colpite da precipitazioni estremedi tutto l’arco alpino, per il trasporto atmosfericodi vapore dal Mediterraneo.Gli impatti sul sistema idroelettrico delle varia-zioni nella disponibilità della risorsa idrica. Gliimpatti attesi sul sistema idroelettrico alpinoprevedono una perdita netta di producibilitàspecifica, da attribuirsi principalmente alla di-minuzione delle precipitazioni nevose.Il possibile effetto equilibrante sul regime idricoalpino per l’aumento della temperatura potrebbe

rappresentare un certo vantaggio per il settoreidroelettrico che avrà la possibilità di gestire inmodo più efficiente le proprie centrali. Esso però,oltre a essere transitorio, configura un aumentodel rischio alluvione in inverno e in primaverain tutti quei bacini alimentati dalla fusione deighiacci.

AzioniStrategie di adattamento del turismo alpino alcambiamento climatico.Strategie tecniche. Consistono nell’apportareopportune modifiche alla morfologia delle areesciistiche, allo scopo di renderle sciisticamentepiù affidabili.– Interventi volti a conservare lo spessore del

manto nevoso necessario a permettere lapratica dello sci (hanno forti limitazioni am-bientali ed economiche).

– Interventi volti a cambiare la collocazione edestensione delle piste spostandole in zone piùaffidabili dal punto di vista della coperturanevosa e cioè più in alto o in zone più fredde,a Nord o su ghiacciai (hanno forti limitazioniambientali ed economiche).

– Produzione di neve artificiale, che presentavari aspetti critici legati alla disponibilità diappropriate condizioni di umidità e soprat-tutto di temperatura dell’aria, nonché di in-genti risorse idriche, con necessità di investi-menti, costi operativi e di manutenzione mol-to elevati.

Strategie comportamentali. Sono incentrate sul-la differenziazione dell’offerta turistica.– Adattamento di apertura e durata della sta-

gione invernale all’effettiva disponibilità dineve.

– Ampliamento della gamma di attività ricrea-tive praticabili durante l’inverno.

– Contrazione o ritiro dell’offerta turistica in-vernale, ampliamento di quella estiva.

Strategie volte a limitare i rischi di una stagioneinsoddisfacente. Possono essere strategie “indu-

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striali” – come fusioni, creazione di consorzi traimprese atte ad ampliare la dimensione deicomprensori sciistici e diversificare il rischioscarsità di neve – oppure “finanziarie”, come il ri-corso ai weather derivatives o a particolari formedi assicurazione. Strategie per l’adattamento dell’agricoltura allevariazioni di disponibilità della risorsa idrica inaree montane. Il comparto agricolo dovrà ade-guarsi alla modificazione delle condizioni eco-nomiche e ambientali in modo relativamente ra-pido. I possibili adattamenti riguardano:– aspetti ingegneristici: nuovi invasi da gestire

oculatamente senza esaurirli completamentein estate; interconnessione delle reti idrichetale da consentire una migliore distribuzionegeografica dell’acqua; riutilizzazione delleacque reflue e delle acque di drenaggio;

– aspetti aziendali: sostituzione dei sistemi diirrigazione con quelli a più basso consumo;impiego di nuove tecnologie quale il telerileva-mento per l’individuazione dei momenti dicarenza idrica; coltivazione di specie menoesigenti in termini idrici;

– aspetti istituzionali: miglioramento della ge-stione idrica, con accorpamento della fram-mentazione delle competenze e accentra-mento dei livelli decisionali nel convincimentoche le problematiche legate alla gestione sonopiù importanti di quelle legate alla carenzain sé.

Strategie di adattamento per la biodiversità. Trale azioni più utili al fine dell’adattamento del-l’ambiente-ecosistema ai cambiamenti climaticinelle zone montane, si possono ricordare quellevolte a operare: per una rete ecologica efficien-te, che non ostacoli le migrazioni delle specie;l’integrazione della problematica dei cambia-menti climatici nella pianificazione territoriale;la riduzione delle sinergie tra impatti, allo sco-po di rafforzare la resilienza; la sorveglianzadello sviluppo delle specie più competitive; e, senecessario, interventi capillari per le specie a ri-

schio di estinzione. Inoltre, le aree protette do-vrebbero avere un nuovo ruolo con indirizzi ditutela attiva. Tutto ciò presuppone conoscenzeche riducano l’approssimazione dei modelliprevisionali degli impatti sugli ecosistemi: è,quindi, importante dotarsi di strumenti idoneirelativi all’adeguamento normativo, al monito-raggio e controllo, allo sviluppo della base diinformazioni, al trasferimento delle conoscenze ealla comunicazione.In ambito conoscitivo devono essere studiati econosciuti meglio i meccanismi e i sistemi di fun-zionamento. In questo senso l’ambiente alpinoe glaciale, ricco di biodiversità e meno distur-bato da altri agenti esterni (minor “rumore”),può costituire un ottimo laboratorio dove studia-re i fenomeni e gli effetti dei cambiamenti clima-tici sulla biodiversità.Adattamento a eventi estremi e dissesti idro-geologici collegati ai fenomeni di deglaciazio-ne. Sono fondamentali l’informazione e l’edu-cazione al rischio, ma anche la presenza sulterritorio di persone (guide alpine, gestori di rifu-gi) che in qualche modo lo presidiano, e chepossono integrare con le loro osservazioni i da-ti ricavati dal monitoraggio strumentale. L’im-prevedibilità puntuale di molti eventi estremi ri-chiede informazione più che divieti. Altro aspet-to importante è redigere mappe di rischio, chedovrebbero considerare non solo elementi geo-logici ambientali, ma anche sociali ed economi-ci. È, infatti, fondamentale capire quali aree in-corporino il maggior valore economico/socia-le, per avere una visione globale del rischio edare priorità agli interventi. Nella pianificazione economica e territoriale vainclusa esplicitamente la componente climaticadel rischio, accanto alle altre determinanti, conconsiderazione specifica dell’incremento di ri-schio dovuto alle variazioni climatiche. Strategie di adattamento del settore idroelettri-co al cambiamento climatico. I possibili adatta-menti riguardano il miglioramento dell’efficienza

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del parco idroelettrico (per il quale sono prevedi-bili miglioramenti dell’ordine del 3-5%), la dif-fusione delle tecniche di ripompaggio e di im-pianti miniidro, nonché la realizzazione di nuo-vi bacini che raccolgano acqua da pioggia. Vaanche tenuta presente la possibilità di migliora-re la gestione dei bacini esistenti.

A.1.4 Workshop di Napoli, 9-10 luglio2007 Cambiamenti climatici e dissesto idrogeologi-co: scenari futuri per un programma nazionaledi adattamento a cura di Claudio Margottini (APAT) – DanieleSpizzichino (APAT) – Giuseppe Onorati (ARPACampania)

IntroduzioneIl workshop di Napoli ha visto un’ampia e qua-lificata partecipazione. Sono stati accreditati320 iscritti per le due giornate di lavori; sonostate tenute 36 relazioni e sono stati presentati40 poster, riguardanti le tematiche: stato delleconoscenze, attività di raccolta dati, costi e stra-tegie di adattamento. I decisori politici hannodimostrato la consapevolezza della rilevanzadei temi affrontati, con gli interventi istituzionalidel Ministro dell’ambiente, del Presidente dellaXIII Commissione del Senato della Repubblica edell’Assessore alle politiche ambientali della Re-gione Campania. È in preparazione un volumecontenente gli atti dell’incontro. Gli interventi scientifici hanno consentito di ag-giornare lo scenario del dissesto idrogeologicoin Italia e di evidenziare come l’incremento deglieventi idrometeorologici intensi – dovuto aicambiamenti climatici – aumenti in modo consi-stente il rischio di frane veloci e alluvioni “rapi-de”. Il percorso metodologico del workshop (figu-ra A.1.6) è iniziato dalla comprensione delleforzanti dei fenomeni di dissesto e dall’aggior-

namento dello stato della conoscenza nel settoreper pervenire alla proposta di nuove politicheper l’uso e gestione del territorio.

Stato delle conoscenzeDati di riferimento. Il cambiamento climaticopresenta impatti rilevanti sul ciclo idrologico esu tutte le fenomenologie a esso collegate, diconseguenza anche sul dissesto idrogeologicosia direttamente, modificando intensità e distri-buzione spazio-temporale delle precipitazioni,sia indirettamente, contribuendo alle modifica-zioni nell’uso del suolo. In un paese come l’Ita-lia, naturalmente soggetto ai dissesti, è utile dis-porre di un quadro di riferimento sugli eventistorici. Tra il 1279 e il 2002, il catalogo AVI38

riporta 4.521 eventi con danni, di cui 2.366 re-lativi a frane (52,3%), 2.070 a inondazioni(45,8%) e 85 a valanghe (1,9%), con 13,8 vitti-me per anno in occasione di fenomeni franosi e49,6 per anno per quelli alluvionali (catalogoAVI). Negli ultimi 50 anni le vittime conseguentia fenomeni idraulici sono diminuite (31 vittimeanno), aumentando però, con crescita esponen-ziale, i costi economici associati (APAT, 2006).Le alluvioni e frane in Piemonte (settembre1994: 84 vittime), Versilia (giugno 1996: 13vittime), Campania (maggio 1998: 161 vitti-me), a Soverato (settembre 2000: 13 vittime), inVal d’Aosta e Piemonte (novembre 2000: ri-spettivamente, 16 e 4 vittime), Vibo Valentia (lu-glio 2006: 4 vittime) sono solo alcuni fra i piùrecenti esempi di una situazione generale di in-compatibilità tra le politiche di sviluppo socio-economico fino a oggi adottate e le dinamicheproprie dell’ambiente naturale. Anche a livelloglobale, le catastrofi idrogeologiche sembranoregistrare un forte incremento (CRED EM-DAT).Lo stesso trend si rileva nelle serie storiche italia-ne dove, per esempio, si registrano 4 eventi ultra-

38 CNR. Progetto AVI. Cfr. nota n. 3.

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secolari in Piemonte negli ultimi 10 anni (APAT,2006). Le cartografie elaborate dalle Autoritàdi bacino in attuazione del decreto legge180/98 e s.m.i. (la cosiddetta “legge Sarno”)hanno evidenziato la presenza, in Italia, di circa13.000 aree a rischio elevato e molto elevatoper alluvioni, frane e valanghe. Queste aree so-no pari a 29.517 chilometri quadrati e rappre-sentano il 9,8% del territorio nazionale, coinvol-gendo 6.352 comuni (81,9%) (fonte MATTM).Con il progetto IFFI, l’APAT (APAT, 200739) haelaborato un quadro completo e omogeneo del-la distribuzione delle frane sul territorio nazio-nale, comprendente anche quelle non pericoloseper le infrastrutture urbane e territoriali. Sonostati così identificati sino a oggi 461.083 fenome-ni di versante: in media 1,53 eventi per chilo-metro quadrato, per un totale di 19.686 chilo-metri quadrati di territorio in dissesto, pari al

6,5% dell’intero territorio nazionale. I costi eco-nomici e sociali sostenuti dallo Stato italiano persopperire ai danni conseguenti alle calamitànaturali non sono ancora censiti in manieracompleta e omogenea. Nel periodo dal 1968 al1992 sono stati stimati in 75 miliardi di euro,con un valore medio di 3 miliardi di euro/anno(fonte Gazzetta Ufficiale del Senato, 1992; costiattualizzati al 1992). Limitatamente ai fenomenialluvionali, l’Annuario dei dati ambientali APAT(APAT, 200640) riporta un totale di 16 miliardidi euro nel periodo 1951-2005, con una mediadi 0,293 miliardi euro/anno, che diventano0,773 nel periodo 1990-2005. Ancor menochiari sono i costi per la prevenzione: è degnodi nota come la distribuzione delle opere pub-bliche in Italia, nel periodo 2000-2005, eviden-zi come la Categoria N04 (protezione dell’am-biente, difesa del suolo e risorse idriche) pre-

39 APAT, 2007. Rapporto sulle frane in Italia – Il progetto IFFI; metodologia, risultati e rapporti regionali. Roma.40 APAT, 2006. Annuario dei dati ambientali 2005-2006. Roma.

Fonte: APAT.

Figura A.1.6 - Percorso metodologico e scientifico del workshop “Cambiamenti climatici edissesto idrogeologico: scenari futuri per un programma nazionale di adattamento” (Napoli,9-10 luglio 2007).

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senti appalti pubblici per 9.338.928.387,00euro, seconda solo alla categoria N01 (strade)(fonte Autorità per la Vigilanza sui ContrattiPubblici). Limitatamente alle leggi di finanzia-mento relative a opere per il risanamento deldissesto idrogeologico (decreto legge 180/98 es.m.i. e legge 179/02) gestite direttamente dalMinistero dell’ambiente e della tutela del territo-rio e del mare, si evidenziano, nel periodo1998-2005, stanziamenti pari a1.491.538.585,00 euro relativi a 1.959 inter-venti (fonte APAT, progetto RENDIS). I dati illu-strati nel workshop e sopra richiamati rendonoevidente la frammentarietà dei data base e del-le informazioni socio-economiche e, contempo-raneamente, la notevole dimensione del disse-sto idrogeologico in Italia a cui si accompagna-no risorse economiche decisamente insufficien-ti. Con tali presupposti la definizione di scenari diimpatto del dissesto idrogeologico sui sistemisocio-economici del futuro è decisamente un’o-perazione molto complessa. Sull’evoluzione re-cente del clima in Italia, soprattutto in relazioneai fattori d’innesco e/o variazione del dissestoidrogeologico – seppur con margini di incertez-za, soprattutto per le precipitazioni – durante ilavori del workshop è emerso: 1. un ulteriore aumento della temperatura, con

incremento dei periodi siccitosi e ondate dicalore;

2. un prevalente decremento delle precipitazionimedie;

3. una diminuzione dei giorni piovosi;4. un aumento di intensità delle precipitazioni

(pochi, ma intensi, nubifragi) (figure A.1.7 eA.1.8: Brunetti et. alii, 200641).

La descrizione dettagliata delle tendenze del cli-ma in Italia è stata oggetto di altre sessioni spe-cifiche dei lavori della Conferenza, mentre detta-

gli sull’andamento del clima nell’ultimo decen-nio possono essere desunti dal sistema SCIA diAPAT, messo a punto dal Sistema delle Agenzieambientali.

Impatti del cambiamento climatico sul dissestoidrogeologico. Gli impatti sono stati valutati apartire dall’analisi dei dissesti, delle tendenzedel clima finora misurate e degli scenari climati-ci dell’IPCC. Le principali conseguenze del cam-biamento climatico sui fenomeni franosi e allu-vionali, nonché sulle priorità conoscitive, posso-no essere così sintetizzati:1. la tendenza in atto delle precipitazioni, posi-

tiva per quanto riguarda la loro intensità eprevalentemente negativa in termini di quan-titativi totali annuali, comporta una variazio-

41 Brunetti M., Maugeri M., Monti F., Nanni T. 2006:. Temperature and precipitation variability in Italy in the last twocenturies from homogenised instrumental time series. Int. J. Climatol., 26, 345-381.

Fonte: CNR – Istituto di Scienze dell’atmosfera e del clima.

Figura A.1.7 - Andamento dei giorni piovosi evariazione dell’intensità giornaliera (mm/giorno piovoso) in Italia, dal 1800 al 2006.Da notare una diminuzione di circa il 10%dei giorni piovosi, a cui si contrappone un in-cremento delle intensità di precipitazionigiornaliere di circa il 5%.

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ne delle modalità di sollecitazione dei ver-santi da parte degli eventi meteorologici;

2. l’aumento dei fenomeni estremi di tipo meteo-rico potrebbe causare un incremento deglieventi di frana del tipo colate rapide di fan-go/detrito, unitamente a fenomeni di erosio-ne del suolo quale conseguenza dell’aumentodelle temperature e dell’indice di aridità;

3. i fenomeni franosi rapidi devono essere sem-pre più caratterizzati: da nuove procedureche affianchino dalla perimetrazione di tipoessenzialmente geomorfologico; da indicato-ri e parametri geotecnici e geo-meccanici,con nuovi sistemi di allerta e preavviso basa-ti non solo sulla variazione dell’input pluvio-metrico ma anche sulla sua variazione in ter-mini di liquefazione potenziale all’internodelle coltri potenzialmente instabili;

4. per i fenomeni franosi lenti: la diminuzionedei totali annui delle precipitazioni suggeri-sce che le frane attivate da piogge abbon-danti e prolungate possano andar incontro,in futuro, a periodi di quiescenza; si segnala,inoltre, che sono inadeguate le soglie pluvio-

metriche singole, e che i sistemi interferometri-ci e satellitare a scala nazionale possonocontribuire a superare il gap di conoscenzesulle interazioni tra input meteorico e cine-matica dei fenomeni;

5. l’incremento dei fenomeni di precipitazionead elevata intensità potrebbe causare nellefasce montane e pedemontane alpine e ap-penniniche un incremento dei fenomeni dipiena improvvisa (flash-floods);

6. la riduzione delle precipitazioni medie an-nue sembrerebbe condurre a una generalediminuzione delle portate medie dei corsid’acqua, con impatti sulla stabilità dellesponde;

7. alcuni dati sulle portate dei fiumi emiliani evi-denziano una riduzione dei tempi di propa-gazione delle onde di piena, lasciando ipo-tizzare un contributo dell’antropizzazione al-le modalità di deflusso;

8. l’aumento delle temperatura e i lunghi perio-di siccitosi potrebbero portare a forti “ritiri”dei terreni più tipicamente argillosi, con dan-ni agli edifici ivi costruiti;

Fonte: CNR – Istituto di Scienze dell’atmosfera e del clima.

Figura A.1.8 - Distribuzione spaziale della riduzione di giorni di pioggia e di incremento del-le intensità giornaliere.

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9. l’aumento progressivo della temperatura,con la conseguente riduzione del permafrost edelle aree glaciali nelle zone alpine, potreb-be causare un aumento delle deformazioni diversante anche a forzante pluviometrica inal-terata; in particolare, è possibile prevedere:a) l’aumento di frane di crollo in aree oggi

sostanzialmente stabili, in quanto al diso-pra della linea del permafrost;

b) l’aumento di frane lente nelle zone oggiinteressate da permafrost;

c) crolli e colate di detrito, per svuotamentodi bacini lacuali che si formano durante lefasi di ritiro dei ghiacciai;

d) colate rapide nelle morene glaciali, chesono scoperte per arretramento dei ghiac-ciai;

e) crolli per termoclastismo;f ) fenomeni di air blast.

Oltre ai fenomeni sopra richiamati, nell’affron-tare i dissesti idrogeologici è opportuno ricor-dare che le trasformazioni antropiche del terri-torio sono, insieme agli eventi meteorici e allesollecitazioni sismiche, la principale causa scate-nante dei fenomeni franosi. Quindi, tra le azio-ni per l’adattamento, rientrano: la limitazionenello sviluppo urbano delle zone suscettibili dafrana; l’introduzione di norme specifiche più re-strittive; la protezione del patrimonio urbanoesistente, con interventi fisici di mitigazione;l’attivazione di sistemi di monitoraggio e aller-ta; l’introduzione di incentivi per interromperel’abbandono della pratica agricola sui versanti.Rispetto all’urbanizzazione, in molte regioni delMezzogiorno, è particolarmente preoccupanteil fenomeno dell’abusivismo edilizio che, favori-to dai periodici condoni, ha portato a edificare inaree a rischio idrogeologico.Necessità emerse nella valutazione degli impat-ti. Al fine di un adattamento proattivo è neces-sario comprendere la vulnerabilità attuale delterritorio a fronte degli impatti di eventi climatici,capire l’evoluzione del clima nel futuro, i relativi

rischi e le opportunità, identificare le opzioni diadattamento e valutare i costi e le conseguenze ditali opzioni. Di seguito, sono riportate le princi-pali priorità emerse durante i lavori del workshop, nei campi della ricerca di base, del-l’impatto dei cambiamenti climatici sul dissestoidrogeologico, della pianificazione territoriale,quali elementi cardine di un Piano nazionale diadattamento ai cambiamenti climatici nel settoredella difesa del suolo. Lo stato della conoscenzaevidenzia, purtroppo, l’estrema difficoltà nelcomprendere le risposte del sistema ambientale,in termini di dissesto idrogeologico, a fronte diforzanti meteo-climatiche che hanno subito mo-dificazioni e che, presumibilmente, ne subiran-no di ulteriori ancora più intense. Ne consegue lanecessità di sviluppare la conoscenza nei settoridella ricerca di base, da cui far scaturire i cor-retti elementi previsionali, conoscenza in grado dicondizionare le politiche pianificatorie e diadattamento del prossimo futuro. Gli argomentiprincipali da sviluppare nella ricerca di basesono: 1. l’incremento dei dati di base e della cono-

scenza;2. lo sviluppo di nuovi e più accurati modelli,

tali da consentire soprattutto di migliorare eattuare il downscaling dei dati IPCC ai conte-sti nazionali, da cui far derivare una migliorecomprensione dei processi di correlazionetra precipitazioni e fenomeni di dissesto;

3. lo sviluppo delle analisi e delle elaborazionisocio-economiche.

L’analisi del livello della conoscenza relativa al-la valutazione dell’impatto dei cambiamenti cli-matici sul dissesto idrogeologico evidenzia, in-vece, sia la notevole difficoltà di comprensionedegli effetti dei medesimi cambiamenti sul suolo(tipologia dei fenomeni, frequenza, intensità, ri-schio, ecc.) sia il fatto che la comunità scientifica,frammentata nelle varie componenti disciplina-ri, non ha ancora raggiunto quella maturità cul-turale richiesta dalla complessità e dalla multi-

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disciplinarietà delle problematiche. Ciò è tipicodelle aree scientifiche di frontiera, quale quelladei cambiamenti climatici ove si rendono neces-sarie nuove integrazioni delle competenze e unriallineamento della filiera della conoscenzaverso un obiettivo che si discosta da quelli piùtradizionali della difesa del suolo. Inoltre, lamancanza di dati di base sufficientemente este-si temporalmente e geograficamente e opportu-namente validati pone serie limitazioni alla va-lutazione degli impatti dei cambiamenti climati-ci sul suolo. Diviene, quindi, importante svilup-pare:1. la conoscenza relativa ai processi fisici che

conducono al dissesto idrogeologico e la rela-zione con i cambiamenti climatici;

2. l’analisi delle conseguenze economiche deldissesto idrogeologico;

3. la comprensione delle risposte e i condizio-namenti del sistema antropico.

AzioniRiduzione della vulnerabilità ai cambiamentidel clima e opzioni di adattamento. La realizza-zione di un Piano nazionale di adattamento de-ve principalmente porre le basi per una nuovapolitica per l’uso e la gestione del territorio. Lapianificazione territoriale diviene, quindi, il car-dine attorno a cui far ruotare i vari ambiti interes-sati dai cambiamenti climatici, tra cui il dissestoidrogeologico. Di seguito, sono elencate le prin-cipali opzioni di adattamento, finalizzate allariduzione della vulnerabilità territoriale in rela-zione al dissesto idrogeologico e alla sua evolu-zione futura, presentate con il documento APAT disintesi dei lavori degli eventi preparatori dellaConferenza (APAT 200742). Tali opzioni fannoriferimento a quattro temi principali: politiche diinformazione e produzione legislativa e docu-mentale; politiche di uso e gestione del territo-

rio; applicazione di nuovi sistemi di allarme emonitoraggio; dialogo interistituzionale. In particolare, per le politiche di uso e gestionedel territorio, è stata evidenziata l’importanza di:a) un utilizzo dell’uso del suolo come difesa,

mediante riconversioni, trasformazioni pro-duttive, rinaturalizzazioni e finanche deloca-lizzazioni insediative, permettendo di attuarepolitiche di difesa attiva finalizzate alla ridu-zione degli elementi esposti a danneggia-mento con restrizioni dello sviluppo urbanoin zone a elevata suscettibilità;

b) azioni di gestione dell’uso del suolo – la ge-stione costituisce uno dei fattori preponde-ranti sulla stabilità dei versanti – che asse-condino l’evoluzione naturale, sia in terminidi miglioramento delle caratteristiche mecca-niche del suolo, sia in termini di controllo deideflussi;

c) interventi non strutturali, per la riduzione del-la vulnerabilità;

d) sviluppo di sistemi non strutturali per la miti-gazione degli impatti (esempio: recuperoaree abbandonate e conservazione di quelleesistenti);

e) abbandono della strategia di intervento ba-sata sulla difesa passiva di mero contenimen-to delle piene e di incremento della portata diprogetto, che produce un superdimensiona-mento generalizzato delle opere di difesapassiva;

f ) innalzamento delle soglie di ammissibilitàper la realizzazione di nuovi insediamenti,perché aree oggi relativamente sicure, in unfuturo, potranno trovarsi in condizioni nonaccettabili di rischio;

g) interventi di difesa attiva, mediante tecnichedi ingegneria naturalistica, mirati a eliminarele situazioni più frequenti di innesco delle co-late rapide di fango.

42 Cfr. nota n. 16.

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Tra gli elementi di supporto per la gestione delterritorio devono anche essere annoverate lenuove reti di allarme meteorologico, anche incorso di ampliamento da parte della ProtezioneCivile nazionale. Tali reti sono necessarie per ilpreavviso di eventi estremi, quali flash floods ecolate rapide di detrito, non rilevabili in temporeale con le tradizionali reti idrometeorologiche. Gli elementi di cui sopra non possono non scatu-rire da un processo di informazione, produzionelegislativa e diffusione della documentazioneche porti a:h ) mappe di pericolosità e di rischio ridisegnate

con criteri molto più cautelativi, ovvero con ri-ferimento al clima attuale e al clima futuro;

i ) zonazioni delle aree a rischio, basate su cri-teri scientifici e riproducibili;

j) aggiornamento delle basi dati climatologichee geologiche di riferimento;

k) capillare e continua attività di didattica am-bientale (differenziata in relazione alle carat-teristiche ambientali e mirata a fare appren-dere quali siano le risorse e i problemi delterritorio nel periodo di cambiamento climati-co), propedeutica, ma non sufficiente, a evi-tare interventi di abuso ambientale;

l) studi di analisi multi-rischio a scala idoneaper la comprensione degli effetti del dissestoidrogeologico e di altre tipologie di dissestocorrelate;

m) trasferimento della conoscenza relativa al te-ma “cambiamenti climatici/dissesto idro-geologico” nella pianificazione del territorio(da strategica a locale);

n ) interventi legislativi, di regolamentazione eorganizzazione;

o) progettazioni per scenario di riferimento enon per tempi di ritorno.

Le principali azioni a lungo termine per l’adat-tamento devono, al contempo, aumentare la re-silienza tramite il miglioramento della capacitàdella società nel suo insieme di conoscere e af-frontare i dissesti idrogeologici. Le priorità te-matiche riportate in sintesi devono essere af-frontate con una visione consapevole che la ri-duzione dei disastri naturali costituisce unacomponente dello sviluppo sostenibile (Assem-blea Generale UN, 200743) e che, nel corso delVentunesimo secolo, i fattori d’innesco idrologi-ci subiranno significative variazioni a seguitodei cambiamenti climatici (IPCC, 200744). Ilpercorso sopra delineato andrà incentivato at-traverso una stretta collaborazione dei soggettidetentori di dati di base e utilizzatori della co-noscenza, promuovendo un valido coordina-mento delle attività istituzionali di Stato, Regio-ni, Autorità di bacino, ATO, ecc. Andrà miglio-rata, in conclusione, la cooperazione e la siner-gia tra i diversi attori, pubblici e privati, cheoperano nella difesa del suolo, attivando una“Consulta Permanente” per la difesa del suoloin Italia ove siano rappresentati tutti gli attorioperanti nel settore45.

A.1.5 Workshop di Parma, 16 luglio 2007 Effetti dei cambiamenti climatici sul bacino del Poa cura di Martina Bussettini – APAT

IntroduzioneIl bacino idrografico del fiume Po, influenzatoda una complessità di fattori sensibili al clima,costituisce un importante scenario di eventi

43 Assemblea Generale delle Nazioni Unite. 2007. Risoluzione A/RES/61/200 - Natural disasters and vulnerabi-lity. New York, USA, 1-4.44 IPCC. 2007. Climate Change 2007: Impacts, Adaptation and Vulnerability. Working Group II Contribution to theIntergovernmental Panel on Climate Change Fourth Assessment Report. Summary for Policymakers. Bruxelles, 1-22(http://www.ipcc-wg2.org). 45 Intergovernmental Climate Change Impacts and Adaptation Canadian Working Group (2005). National ClimateChange Adaptation Framework.

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idro-meteo-climatici e socioeconomici. Essorappresenta – per densità del territorio, attivitàproduttive insediate, infrastrutture e grado diutilizzazione della risorsa idrica – un punto ne-vralgico dell’economia nazionale.L’elevata quantità di risorse idriche storicamentedisponibili nel bacino idrografico del Po, se da unlato ha svolto un ruolo primario nello sviluppourbano ed economico dell’area, dall’altro haportato a sovrastimare in generale la capacitàdi autodepurazione naturale del fiume e, so-prattutto, la disponibilità complessiva della ri-sorsa. In tal modo, i diritti di prelievo complessi-vi superano oggi la disponibilità idrica mediaresidua in chiusura bacino. L’influenza del cambiamento climatico sulle va-riabili idrologiche ha sottolineato, ancor di piùdurante gli ultimi anni, la necessità di una go-vernance di bacino capace di assorbire le po-tenziali tensioni sociali nell’utilizzo competitivodelle acque e nel controllo delle piene fluviali,nonché di valorizzare e mettere a sistema la co-operazione tra le amministrazioni territorial-mente interessate. Il workshop ha trovato, pertanto, nel bacino delPo il contesto migliore ove affrontare il temadell’adattamento al cambiamento climatico inatto, con particolare attenzione al monitorag-gio delle grandezze idrologiche, alla pianifica-zione dello sviluppo del bacino idrografico, auna più efficiente e sostenibile gestione delle ri-sorse idriche, all’ecosistema acquatico e a tuttele realtà socioeconomiche influenzate dagli ef-fetti del clima.

Stato delle conoscenze e criticitàLa conoscenza del cambiamento climatico nelBacino Padano: gli impatti primari. Gli inter-venti al workshop da parte delle Agenzie am-bientali dell’Emilia Romagna, della Lombardia,del Piemonte, della Valle d’Aosta e del Venetohanno confermato e specificato, a livello regiona-le, quanto pubblicato dall’IPCC mediante l’ana-

lisi di dati ambientali.Premesso che le analisi climatiche sono forte-mente condizionate dalle scale temporali e spa-ziali cui si riferiscono a causa della non staziona-rietà dei fenomeni e della loro alta disomoge-neità spaziale, nell’ultimo trentennio si osservaun aumento delle temperature medie annue aun ritmo molto rilevante (circa 2 °C dal 1960 aoggi, che potrebbero arrivare a 3 o 4 °C alla fi-ne del secolo), con trend lineari in costante cresci-ta man mano che ci si avvicina al presente.Il cambiamento del regime pluviometrico, neivalori medi annui, appare meno immediato dacogliere. In generale, si rileva un aumento del-l’intensità dei singoli eventi piovosi, ma una ri-duzione complessiva del numero di eventi col ri-sultato di un rilevante calo delle precipitazionimedie annue di circa il 20% nell’ultimo trenten-nio. Il calo è più evidente in primavera e in esta-te (sino al 50%) e molto meno in autunno, sta-gione durante la quale le precipitazioni medienon diminuiscono, ma aumenta molto la varia-bilità interannuale.Le proiezioni climatiche per il secolo in corsosuggeriscono, per l’area del bacino del Po, es-senzialmente un proseguimento dei trend in atto,con ulteriori aumenti della temperatura a finesecolo di qualche grado e precipitazioni in ulte-riore calo, ma con variabilità interannuale e in-terstagionale in aumento.Anche le precipitazioni nevose e il volume deighiacciai alpini risultano essere in forte calo. Lacopertura nevosa subisce le maggiori riduzioniin primavera e nel passaggio autunno-inverno,poiché la stagione di accumulo della neve alsuolo è ritardata, mentre quella di fusione è an-ticipata.A causa della forte correlazione negativa dellacopertura nevosa con la temperatura dell’aria,le proiezioni per il Ventunesimo secolo ne dannouna diminuzione distribuita su vaste aree delPianeta. Contestualmente, ci si attende ancheun costante proseguimento dell’arretramento

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dei principali ghiacciai alpini: i dati delle varia-zioni frontali confermano che la loro attività,dal 1860 a oggi, è stata generalmente omoge-nea, eccetto un breve intervallo alla fine dell’Ot-tocento in cui la variabilità di precipitazione ascala regionale può aver causato accumuli dif-ferenti. Quantitativamente, tale deglaciazioneha portato, sino a oggi, alla perdita di circa il40% della superficie dei ghiacciai. Impatti secondari. Alla diminuzione progressivadegli afflussi e all’aumento della domanda idri-ca registrati nel periodo 1975-2006 fa riscon-tro, nello stesso periodo, un decremento significa-tivo della portata media in chiusura di bacino(sezione del Po a Pontelagoscuro; figure A.1.9,A.1.10) di circa il 20% su base annua e del

45% nella sola stagione estiva.Va sottolineato che la stima dell’impatto delcambiamento climatico sulle portate è affettadalle incertezze legate alla mancanza e/o in-completezza delle informazioni relative ai pre-lievi effettuati a monte delle sezioni di misura,con conseguente difficoltà nella ricostruzionedei deflussi naturali e quindi possibile disomo-geneità dei valori delle portate oggetto di compa-razione temporale.Analoga considerazione va fatta per quanto ri-guarda lo studio degli impatti sui laghi naturali eartificiali, per i quali alle incertezze sui prelievi siaggiungono quelle sugli schemi gestionali adot-tati.Altro aspetto da considerare riguarda la stimadei tempi di ritorno. Negli ultimi anni le portateminime (estive) a Pontelagoscuro hanno fattosegnare tempi di ritorno (calcolati sui valori cli-matici storici) superiori a 200 anni, mentre glistessi tempi di ritorno calcolati in sezioni più amonte mostravano valori tra 5 e 10 anni. Ciòimplica, da una, parte la necessità di rivedere leprocedure applicative dei metodi statistici clas-sici a situazioni non stazionarie, dall’altra sotto-linea che la percezione della rarità di un eventometeo-climatico che riguarda l’intero bacinocambia radicalmente, se il tempo di ritorno vie-ne calcolato alla chiusura del bacino montanopiemontese (prima di tutti i grandi prelievi idricieffettuati sull’asta del Po) o alla foce, cioè quan-do tutti i prelievi sono stati effettuati.È chiaro, quindi, che ai forti trend climatici inatto si sono sommati, negli ultimi decenni, altret-tanto forti trend (in crescita) della domanda dirisorsa idrica e dei conseguenti prelievi sull’astadel Po e sui suoi principali affluenti.Alle modificazioni significative della distribu-zione, durata e intensità delle precipitazioni li-quide e nevose fanno seguito rilevanti modifica-zioni del regime dei deflussi superficiali (esem-pio: figura A.1.10) e sotterranei con:– aumento dei periodi di esposizione al rischio

Fonte: ARPA Emilia Romagna.

Figura A.1.9 - Portata media annua del Po aPontelagoscuro (1975-2006).

0

100

200

300

400

500

600

700

800

900

1000

gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic

porta

ta

2006

mediastorica

Fonte ARPA Piemonte.

Figura A.1.10 - Portata media annua del Po aIsola S. Antonio.

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di siccità e alluvioni: va ricordato che, negliultimi dieci anni, il Piemonte ha dovuto affron-tare almeno tre eventi di piena che le statisti-che correnti indicherebbero come ultracente-narie;

– diminuzione della durata e della capacità diritenzione idrica del suolo e di ricarica dellefalde;

– aumentata probabilità e intensità degli episodidi intrusione del cuneo salino;

– deterioramento della qualità dell’acqua (mi-nore diluizione, maggiore temperatura e con-tenuto di nutrienti) e degli ecosistemi associati;

– maggiore esposizione al rischio idraulico, didesertificazione e sanitario;

– conseguente progressiva inadeguatezza/in-sufficienza di alcune opere idrauliche.

Nel bacino padano tali modificazioni sono am-plificate e immediatamente riscontrabili nel deli-cato sistema deltizio, che può pertanto essereconsiderato un indicatore di sintesi dello statodell’intero bacino. A un aumento del livello ma-rino – sinora, in verità, piuttosto contenuto, main probabile aumento sia in valore assoluto chenella rapidità del trend – e alla diminuzionedelle portate fluviali corrisponde una risalitadell’Adriatico nella Pianura Padana, che oggi èattestata sui 20 chilometri contro i circa 2 deglianni Settanta. La diminuita disponibilità delle risorse indottadal nuovo regime climatico inasprisce la con-correnza tra gli usi, e mette in crisi tutti i settori inquanto direttamente o indirettamente dipenden-ti dalle risorse stesse: idropotabile, agricoltura(per i minori apporti per lo sfasamento dellestagioni colturali rispetto alle disponibilità natu-rali), energia (impianti idroelettrici; maggiorerichiesta di energia per il prelievo e la distribuzio-ne di acqua; raffreddamento di centrali termi-che), turismo (minor apporto nevoso, deteriora-mento dello stato dei corpi idrici superficiali),industria e infrastrutture (inadeguatezza delleopere di difesa/invaso e degli impianti di trat-

tamento). In questo contesto giocano un ruolocruciale le riserve idriche dei grandi laghi e deiserbatoi montani. Per i bacini montani utilizzati ascopo idroelettrico, gli schemi gestionali hannosubito variazioni importanti dopo la liberaliz-zazione del mercato dell’energia e un aumento dicompetizione dell’uso idroelettrico con quelli irri-guo e idropotabile.Il monitoraggio, i dati, i modelli. Il monitorag-gio idrologico sul quale sono basate le cono-scenze e le previsioni relative ai cambiamenticlimatici e ai loro impatti viene oggi attuato da-gli enti regionali che hanno ereditato le funzionidel Servizio Idrografico e Mareografico Nazio-nale (ARPA/APPA, Centri Funzionali di Prote-zione Civile, assessorati, direzioni generali). La tradizione e l’esperienza maturate nel baci-no del Po in materia di monitoraggio e analisiidrologica consentono di tracciare un quadroabbastanza chiaro dei fenomeni in corso. Vi so-no, tuttavia, alcune criticità in fase di parzialesuperamento a seguito di una serie di iniziative alivello regionale, interregionale e di Autorità dibacino: revisione e adeguamento delle reti dimonitoraggio e integrazione dei sistemi infor-mativi; applicazioni di modellistica numericaidrologica e idraulica per la previsione dellepiene fluviali; applicazioni di modellistica per lagestione delle risorse idriche, ottimizzata sepa-ratamente per le situazioni di magra fluviale;potenziamento del rilievo dei corsi d’acqua e,in particolare, campagne di misura della salini-tà nel tratto deltizio nonché rilievi topograficidelle sezioni fluviali, campagne di misura diportata, taratura e aggiornamento delle scaledi deflusso; gestione di servizi operativi regio-nali per la valutazione delle condizioni di inneva-mento. Passando dalla scala locale a quella nazionale,c’è da evidenziare come alla necessità di inte-grare le informazioni alla scala di bacino deveessere associata quella di completare il livellonazionale di riferimento e sintesi delle informa-

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zioni (per esempio, il completamento degli “An-nali idrologici di bacino” con i lavori mancantipregressi), ancora frazionate e incomplete acausa dell’aumentata complessità e numerositàdei soggetti preposti al monitoraggio e alla ge-stione delle risorse idriche. Per quanto riguarda le conoscenze e la valutazio-ne degli impatti, le maggiori criticità riguardano:– scarsa fruibilità e disponibilità dei dati nel loro

complesso, anche a causa della molteplicitàdei soggetti preposti al monitoraggio idrologi-co, soprattutto quando si tratti degli enti con-cessionari (gestori degli invasi, consorzi,ecc.);

– incompletezza delle serie idrologiche storiche edifficoltà nell’aggiornamento del pregresso;

– necessità di recuperare i dati storici alle ag-gregazioni temporali più basse (scale orarie);

– riduzione e/o interruzione delle attività dimonitoraggio dei corsi d’acqua (sezioni, porta-te, livelli, scale di deflusso);

– scarsità di dati e conoscenze sull’idrologiasotterranea;

– continuità (soprattutto nel rilievo sistematicodelle caratteristiche idrologiche dei corsi d’ac-qua) e conformità agli standard internaziona-li a seguito della regionalizzazione del Servizioidrografico;

– scarsità e, talvolta, impossibilità di sufficienteconoscenza dei dati di pressione sia quantita-tiva (prelievi superficiali e sotterranei) sia qua-litativa (scarichi);

– scarsità di dati sugli usi e sugli schemi gestiona-li della risorsa;

– necessità di nuovi strumenti di valutazioneeconomica degli impatti e delle misure (conta-bilità ambientale, analisi economica).

Alcune di queste criticità hanno natura organiz-zativa, altre economico-finanziaria. Tutte po-trebbero essere utilmente affrontate a livello delSistema nazionale delle Agenzie ambientali. In ogni caso, tutto ciò comporta:– incertezze nella stima della disponibilità e

della distribuzione spazio-temporale delle ri-sorse idriche, nel bilancio idrologico e idricodi bacino e, quindi, grande difficoltà nelquantificare i trend delle quantità derivate;

– difficoltà conseguente nell’applicazione dimodelli di gestione delle risorse e di modelliidrometeoclimatici che consentano di valutaregli impatti e di prevedere i possibili scenaricon un adeguato grado di affidabilità;

– ulteriore difficoltà nella pianificazione a lungotermine dell’uso della risorsa in maniera so-stenibile.

Pertanto, è necessario potenziare l’intera attivitàdi monitoraggio per le nuove finalità: rivedendola consistenza e conformità delle reti; recupe-rando i dati storici e integrando i sistemi infor-mativi, soprattutto dove il monitoraggio non è acarico delle Agenzie ambientali; accrescendo,se del caso, la disponibilità finanziaria com-plessiva del sistema e la struttura centrale di ri-ferimento nelle sue funzioni di indirizzo, con-trollo, accentramento e distribuzione dei dati edell’informazione.

AzioniI cambiamenti climatici stanno già provocandoconseguenze significative sulla disponibilitàdelle risorse idriche, andando ad aggravarnelo stato già compromesso dalle crescenti pres-sioni antropiche e, soprattutto, dall’assenza diuna vera politica di gestione integrata dell’ac-qua a livello di bacino. Gli impatti sulle risorse condizioneranno pesan-temente lo stato dei sistemi naturali e antropici.Perciò, oltre alle azioni di mitigazione, è neces-sario attuare strategie di adattamento alle mu-tate condizioni idrologiche che siano coerenticon le stesse azioni di mitigazione, onde evitareche queste ultime impattino negativamente sullaresilienza dei sistemi idraulici. Per esempio: l’in-centivo alla produzione di energia alternativa,per esempio idroelettrica, dovrebbe essere riva-lutato sulla base degli impatti ambientali sulle

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risorse idriche, sugli ecosistemi associati, sull’e-sposizione al rischio idraulico. A scala del baci-no del fiume Po, quanto sopra detto si traducenella necessità/richiesta di una governance coor-dinata di acqua e aria (con le misure di riduzio-ne delle emissioni di CO2).In particolare, è sia necessario sia opportunoche le strategie di adattamento siano integrateall’interno delle politiche di tutela e gestionedelle acque già esistenti (direttiva Quadro sulleacque WFD 2000/60/CE e direttive “figlie”:direttiva acque sotterranee, proposta direttivaper la valutazione e la gestione dei rischi di allu-vione, piano di azione per la scarsità idrica,ecc.), in coordinamento con le altre strategie disviluppo (energetico, territoriale, agricolo, ecc.) esecondo un Piano direttore nazionale di svilupposostenibile. La direttiva Quadro sulle acque, col suo ap-proccio iterativo e ciclico, consente di inserire lestrategie di adattamento agli impatti provocatidai cambiamenti climatici sulle risorse idricheall’interno del processo pianificatorio, e intro-duce l’obbligo di varare, entro il 2010, politi-che incentivanti l’uso efficiente delle risorse edel recupero dei costi dei servizi idrici, com-prendendovi anche quelli ambientali.Le norme nazionali (legge183/89, decreto le-gislativo 152/99, legge 36/94) già prevedeva-no un approccio alla pianificazione e gestioneintegrata delle risorse idriche (piani di assettoidrogeologico e piani stralcio, piani di tuteladelle acque) coordinata con gli altri settori (unottimo esempio è costituito dai piani di conser-vazione della risorsa idrica per la produzioneagricola e zootecnica). Tale approccio ha con-sentito di raggiungere un livello di eccellenza:– dell’attività dell’Autorità di bacino del fiume

Po nella conoscenza e pianificazione alla sca-la di bacino;

– delle attività delle regioni territorialmente inte-ressate al bacino del fiume Po nella pianifica-zione e gestione regionale delle risorse idri-

che, con l’introduzione di misure e leve eco-nomiche (per esempio, il nuovo metodo tarif-fario della Regione Emilia Romagna) confor-mi alla direttiva.

I limiti di competenza e potestà delle normesuddette hanno, di fatto, causato un’impossibili-tà di governo idrico alla scala sovra-regionale, ereso necessario il ricorso a strumenti emergen-ziali (cabine di regia, commissariamenti straor-dinari, ecc.). Infatti, in sede di Cabina di regiadel Po, sono stati concordati un piano di rilasciodagli invasi e uno di riduzione/ottimizzazionedei prelievi per uso irriguo finalizzati ad assicu-rare la portata minima a Pontelagoscuro, ne-cessaria a garantire gli usi primari e a contra-stare la risalita del cuneo salino. Senza i pianicitati la crisi idrica dell’estate 2007 avrebbe po-tuto avere conseguenze ben più gravi di quelleche si sono avute.Per superare l’impasse e garantire un’effettivagovernance di bacino efficace occorre:– ricollocare le azioni ai livelli appropriati per

darvi soluzione e, quindi, superare le visionilocalistiche e amministrative; la dimensioneglobale, il ruolo dell’Europa, la scala di bacinosono le risposte più efficaci ai problemi postied esacerbati dai cambiamenti climatici;

– integrare tra loro, rispettivamente le politichesettoriali e gli attori istituzionali e sociali.

La soluzione offerta dalla direttiva Quadro ac-que 2000/60/CE, l’Autorità di distretto idro-grafico, consente di ricondurre a un unico sog-getto:– il coordinamento della pianificazione e ge-

stione sostenibili delle risorse e del territorio; – il governo unitario dei dati di monitoraggio; – gli strumenti di previsione e governo delle cri-

si, interagendo con il Dipartimento della Pro-tezione Civile per le azioni in tempo reale;

il controllo dell’efficacia delle misure concordatenei piani e programmi che gli enti territorialigestiscono e/o realizzano. Durante il workshop è stata evidenziata la ne-

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cessità strategica di una governance a scala dibacino, ed è stato individuato nel “distrettoidrografico”, previsto con la direttiva Quadrosulle acque , l’istituzione che può avere ruoloforte di indirizzo, controllo strategico e gestionedegli obiettivi affinché sia dato avvio a unanuova gestione della risorsa idrica, del suolo edegli assetti territoriali coerentemente con i detta-ti comunitari e con gli interessi in gioco da partedi tutti gli stakeholder.

A.1.6 Convegno di Roma, 25 giugno 2007Cambiamenti climatici e salute a cura di Luciana Sinisi – APAT

Il Gruppo di lavoro I (Principi Fisici di Base )dell’IPCC con il suo contributo al Quarto Rap-porto 2007 di Valutazione del Panel afferma

che“… Numerosi cambiamenti nel clima sonostati osservati alle scale continentali, regionali edi bacino oceanico. Questi includono cambia-menti nelle temperature e nei ghiacci nell’Arti-co, estesi cambiamenti nelle quantità di precipi-tazioni, nella salinità dell’oceano, nelle strutturedei venti e nelle tipologie di eventi estremi comesiccità, precipitazioni eccezionali, ondate di ca-lore e nell’intensità dei cicloni tropicali (inclusiuragani e tifoni)….”.Questi dati sono confermati dalle osservazionidisponibili nel data base internazionale pubbli-co Emergency Disaster Data Base (EM-DAT),gestito dal CRED46. Con la figura A.1.11 è pre-sentato l’andamento degli eventi estremi classi-ficati come “disastri idrogeologici” (valanghe,frane, siccità, ondate di calore e di gelo, allu-vioni, incendi, tempeste, uragani cicloni, tifoni,

46 Centre for Research on the Epidemiology of Disasters (CRED) Université Catholique de Louvain, Centro collabora-tivo dell’OMS. Per la raccolta dei dati si avvale, in gran parte, dei contributi delle Agenzie delle Nazioni Unite,nonché di istituzioni di ricerca, compagnie assicurative (Lloyds) e agenzie di stampa per la raccolta di dati relativi adisastri naturali e tecnologici, con particolare riferimento agli impatti socio economici.

Fonte: CRED/ISDR/UCL “Annual disaster statistics review: numbers and trends”. Maggio 2007 – Centre for Research on the Epide-miology of Disasters (CRED), Université Catholique de Louvain.

Figura A.1.11 - Numero di disastri idrogeologici (alluvioni, frane, siccità, temperature estreme,valanghe, tempeste, cicloni) occorsi tra il 1987 e il 2006.

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inondazioni e onde anomale) registrati a livellomondiale nel periodo 1987-2006.Gli esseri umani sono esposti agli effetti di mu-tati schemi climatici e meteorologici sia diretta-mente (aumento della temperatura, alluvioni,ecc.), sia indirettamente attraverso cambiamen-ti della quantità e qualità di acqua, aria, cibo,ecosistemi e, su periodi temporali variabili, del-le condizioni socio-economiche dipendenti dallerisorse naturali.Sempre maggiori evidenze degli effetti dei cam-biamenti climatici sulla salute umana indicanoche questi non solo hanno comportato un au-mento del rischio di mortalità precoce e morbili-tà collegati a ondate di calore, ma anche alte-rato la distribuzione di alcuni vettori di malattieinfettive, dell’allergenicità di pollini e di nuovirischi biologici e chimici veicolati da biota, ac-que potabili e di balneazione.Nel decennio 2000-2006 il numero globale de-gli eventi estremi disastrosi (365) è aumentatodel 187% rispetto al numero di eventi simili del-la decade precedente (195). Tali eventi hannocolpito oltre 400 milioni di persone, provocan-do circa 33.000 decessi in termini di danni di-retti e mortalità precoce (figure A.1.12 A/B)47. La vulnerabilità sociale, intesa come impatti e ri-schi potenziali per sopravvivenza, benessere esalute conseguenti alle alterazioni ambientaliindotte da cambiamento e variabilità del clima,è quindi argomento centrale delle politiche diadattamento. Rispetto al rischio sanitario globale indotto daicambiamenti climatici, un programma di adat-tamento deve tener quindi conto, in via priorita-ria, dei propri ambiti di capacità istituzionale etecnica – salvaguardia della qualità delle risorsenaturali (acque, suolo e coste, biodiversità, si-

stemi agroforestali) e disponibilità delle risorse– per garantire lo sviluppo dei settori socioecono-mici quali turismo, agricoltura, energia e, per lasua fattibilità, deve tener conto anche degli am-biti di gestione delegata agli enti locali.Negli scenari attuali e futuri indotti dai cambia-menti climatici l’azione di prevenzione ambien-tale, prevedibilmente, dovrà riguardare la pia-nificazione a medio e lungo termine di azioni diadattamento, sia nelle fasi che precedono even-ti estremi o disastrosi (mitigazione delle vulne-rabilità), sia in quelle successive (post evento)che possono richiedere interventi di media elunga durata, avendo per base una caratteriz-zazione di pericolosità e rischio per ambiente,salute e benessere sostenibile.Una prima analisi della questione “ambiente esalute” è stata parte integrante delle attività pre-paratorie antecedenti alla prima ConferenzaNazionale sui cambiamenti climatici 2007,promossa dal Ministero dell’ambiente.Tale processo conoscitivo è stato realizzato siaattraverso il perfezionamento del rapportoAPAT-OMS48 “Cambiamenti climatici ed eventiestremi: rischi per la salute in Italia”, sia utiliz-zando gli elementi di riflessione di interesse perle politiche ambientali e territoriali discussi insede degli specifici workshop tematici preparato-ri organizzati, con il coordinamento del Mini-stero dell’ambiente, con l’ausilio di APAT e delSistema delle Agenzie ambientali, e di espertidi altre istituzioni.Tra le prime conclusioni, pur in carenza di un’a-nalisi sistematica per tutti i fattori ambientali edi vulnerabilità territoriale, i dati disponibili in-dicano che gli scenari di rischio sono presentianche in Italia e, non in ultimo, l’analisi deitrend e delle evidenze dei dati europei e inter-

47 Il numero peraltro è sottostimato, considerando che il data base CRED raccoglie eventi secondo criteri d’inserimen-to quali: a) 10 o più persone riportate come decedute; b) 100 o più persone colpite; c) dichiarazione di uno stato d’e-mergenza; d) richiesta di assistenza internazionale.48 Cfr. nota n. 9.

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nazionali indica che il fenomeno è in crescitaprogressiva, interessando nuove aree geografi-che tra cui l’Europa.Nell’ottica delle attività preparatorie alle strategiadi adattamento nazionale per le politiche am-bientali, un primo screening degli strumenti cono-

scitivi di supporto disponibili ha evidenziatogap di conoscenza o di strutturazione ad hocdelle informazioni disponibili.Nell’ambito dell’ampia problematica “clima esalute” le incertezze valutative sono ancora ingran parte oggetto di studio e ricerca da parte

Fonte: APAT adattata da EM-DAT, 2007 – Centre for Research on the Epidemiology of Disasters (CRED), Université Catholique deLouvain.

Figura A.1.12 A/B - Conseguenze dei disastri naturali in termini di decessi e popolazione col-pita.

2.8214.136

32 16 7621.551

5.205 5.215

9.202

3.653

217 74

18.239 14.645

0

2.000

4.000

6.000

8.000

10.000

12.000

14.000

16.000

18.000

20.000

n.

wind storm wild fires slides flood extreme temperature drought total

Disastri naturali e decessimedia 2000-20052006

38.9

25.6

02

67.0

25.5

58

47.8

43

2.03

6

333.

807

398.

449

106.

190.

567

32.1

61.2

89

721.

095

62.7

54

145.

601.

529

30.7

07.0

00

291.

820.

443

130.

357.

086

0

20.000.000

40.000.000

60.000.000

80.000.000

100.000.000

120.000.000

140.000.000

n.

wind storm wild fires slides flood extremetemperature

drought total

Disastri naturali e popolazione colpita media 2000-20052006

A)

B)

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degli specialisti del settore biomedico. L’esposi-zione meteoclimatica è un concetto recente chesolo negli ultimi dieci anni, grazie all’impegnodell’OMS e della comunità scientifica interna-zionale ed europea, ha ampliato sia la sua baseconoscitiva che le metodologie per una migliorecomprensione del fenomeno e della sua evolu-zione futura. Persistono, tuttavia, incertezze nelquantificare gli effetti attribuibili ai cambiamenticlimatici, nel caratterizzare gli impatti attuali,nello stimare impatti futuri e futuri rischi poten-ziali. La valutazione implica elementi di scala,specifiche di esposizione e l’elaborazione dipercorsi causali spesso complessi e indiretti.Molti ricercatori non hanno familiarità con lascala geografica degli impatti sulla salute asso-ciati al clima e con la caratteristica ampia scalatemporale. Alcuni impatti sulla salute seguonopercorsi indiretti e complessi. Molti settori di stu-dio – quali il carico di malattie (morbilità) associa-to alle alterazioni delle risorse naturali conse-guenti a eventi quali, per esempio, alluvioni ocarenza idrica – stanno progressivamente rice-vendo adeguata attenzione. Altri settori, comeper esempio la vulnerabilità dei lavoratori out-door, necessitano ancora di maggiore attenzionee possono essere considerati sostanzialmenteemergenti in termini di studio e analisi. D’altro canto, anche sul piano della conoscenzaambientale sono state registrate ancora criticitàsulla validazione nazionale condivisa di scenariambientali e meteoclimatici futuri, sulla cono-scenza degli impatti ambientali e socio-econo-mici osservati (serie storiche) e sulla caratteriz-zazione di pericolosità indotta da cambiamenticlimatici ed eventi estremi sulla vulnerabilità delterritorio (alluvioni, stabilità dei versanti, areecostiere, frane, sistemi agroforestali). Non in ul-timo, da segnalare anche la criticità relativa al-la valutazione integrata degli effetti socio-eco-nomici indiretti associati che incidono sul be-nessere (specie in scenari di carenza o assenzadi ammortizzatori sociali), quali i danni alla

produttività, all’occupazione e, in generale, alsistema economico locale e alla competitivitànazionale, sia allo stato attuale che negli scena-ri di riferimento. Complessità della ricerca e onerosi danni osser-vati sollecitano ancora di più un’applicazioneproattiva del principio di precauzione e dei suoistrumenti attuativi di carattere conoscitivo, in-formativo e decisionale, tra cui la promozione –tra gli operatori ambientali e i pianificatori –della conoscenza (e della consapevolezza) dellavulnerabilità sociale nella sua complessità.L’obiettivo ultimo strategico è, quindi, quello didare ulteriore impulso all’integrazione ad hocdegli aspetti di valenza sanitaria nelle nuoveazioni di monitoraggio, strategie di sviluppo,pianificazione e interventi sul territorio, azionisollecitate dai nuovi scenari ambientali indottida cambiamento e variabilità del clima.La conoscenza di questi nuovi fattori di rischioemergenti può, infatti, consentire una preven-zione ambientale più mirata e supportare unapiù consistente valutazione delle priorità nellapianificazione di strategie di adattamento daparte delle autorità ambientali, che possono co-sì più consapevolmente assumere il proprio ruo-lo di rilievo nel vasto capitolo del managementdel rischio da cambiamenti climatici.Una valutazione più operativa, in termini diazioni specifiche di competenza dei sistemi diprevenzione ambientale, è stata oggetto di unaprima analisi da parte del Gruppo di lavoro“Ambiente e salute – Vulnerabilità e adattamen-to” nell’ambito della Conferenza Nazionale suicambiamenti climatici (cfr. par. 1.11).

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A.1.7 Convegno di Brindisi, 20 luglio 2007 Inventario emissioni gas serra in Italia 1990-2005 a cura di Riccardo De Lauretis – APAT

Con il Convegno è stata presentata la serie stori-ca delle emissioni relativa al periodo dal 1990al 2005, comunicata ufficialmente al Segreta-riato della Convenzione sui cambiamenti clima-tici. Nell’ambito degli strumenti e delle politicheadottati per fronteggiare i cambiamenti climati-ci, un ruolo fondamentale è svolto dal monito-raggio delle emissioni dei gas climalteranti. Inparticolare, l’APAT realizza ogni anno l’Inventa-rio nazionale delle emissioni in atmosfera, che ècorrentemente utilizzato per verificare il rispettodegli impegni che l’Italia ha assunto a livello inter-nazionale sulla protezione dell’ambiente atmo-sferico, come la Convenzione Quadro sui cam-biamenti climatici (UNFCCC), la Convenzione diGinevra sull’inquinamento atmosferico trans-frontaliero (UNECE-CLRTAP), le direttive euro-pee sulla limitazione delle emissioni.Per quel che riguarda la Convenzione sui cam-biamenti climatici, la comunicazione ufficialeavviene attraverso la compilazione di un forma-to di trasmissione dei dati (Common ReportingFormat) e la redazione di un rapporto esplicati-vo relativo all’inventario (National Inventory Re-port). In particolare, il documento “ItalianGreenhouse Gas Inventory 1990-2005 Natio-nal Inventory Report 2007” (APAT, 200749) de-scrive la comunicazione annuale italiana del-l’inventario delle emissioni dei gas a effetto ser-ra dal 1990 al 2005, in accordo a quanto pre-visto nell’ambito della Convenzione Quadro suicambiamenti climatici delle Nazioni Unite e delMeccanismo di Monitoraggio dei Gas a effettoSerra dell’Unione Europea. L’inventario nazio-

nale viene aggiornato ogni anno, per includerele eventuali revisioni relative alle metodologie el’utilizzo dell’informazione e dei dati di basepiù recenti. Con l’Inventario nazionale delle emissioni in at-mosfera, oltre a essere quantificati i livelli diemissione, sono identificate le fonti principalidegli inquinanti. Il documento, poi, è strumentoindispensabile di supporto nelle politiche ri-guardanti la qualità dell’aria. L’analisi della si-gnificativa serie storica disponibile consente dimonitorare l’andamento delle emissioni a livellosettoriale e di individuare gli strumenti e le poli-tiche che possono contribuire maggiormente al-la riduzione delle emissioni di gas a effetto serranazionali e regionali.Da un’analisi di sintesi della serie storica dei da-ti di emissione dal 1990 al 2005, è posto in evi-denza che le emissioni nazionali totali dei seigas a effetto serra, espresse in CO2 equivalente,sono aumentate del 12,1% nel 2005 rispetto al-l’anno base (corrispondente al 1990), a frontedi un impegno nazionale di riduzione del 6,5%entro il periodo 2008-2012. In particolare, leemissioni complessive di CO2 sono pariall’85,1% del totale e risultano, nel 2005, superio-ri del 13,5% rispetto al 1990, mentre le emissio-ni relative al solo settore energetico sono aumen-tate del 14,5%. Le emissioni di metano e di protos-sido di azoto sono pari, rispettivamente, a circa il6,9% e 7,0% del totale, e presentano andamentiin diminuzione per il metano (– 0,4%) e in aumento (+ 6,2%) per il protossidodi azoto. Gli altri gas a effetto serra – HFC, PFCe SF6 – hanno un peso complessivo intornoall’1% sul totale delle emissioni; le emissioni diquesti ultimi gas sono in forte crescita per quan-to riguarda gli HFC e in diminuzione per i PFC el’SF6. Anche se al momento non rilevanti ai fini

49 APAT, 2007. Romano D., Condor R., Contaldi M., De Lauretis R., Di Cristofaro E., Gaudioso D., Gonella B., Vitul-lo M. Italian Greenhouse Gas Inventory 1990-2005. National Inventory Report 2007. Agenzia Protezione perl’ambiente e per i servizi tecnici, luglio 2007.

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del raggiungimento degli obiettivi di riduzionedelle emissioni, il significativo trend di crescita lirenderà sempre più importanti nei prossimi an-ni. I dati preliminari del 2006 indicano che leemissioni di gas a effetto serra diminuisconodell’1,5% rispetto al 2005, con andamenti con-trastanti nei vari settori. Tale risultato sembra do-vuto, principalmente, all’andamento delle emis-sioni nel settore civile, con una riduzione paricirca al 18% delle emissioni di CO2, riduzionedovuta a fattori prevalentemente congiunturali. Nel Convegno ampio spazio è stato dedicatoall’interazione esistente tra l’Inventario nazio-nale, gli inventari realizzati a scala locale e gliscenari di riduzione delle emissioni sia dai gasa effetto serra sia da altri inquinanti, e a comegli obiettivi di riduzione nazionali possano es-sere ripartiti a livello regionale e locale. La ne-cessità di elaborare inventari di gas a effettoserra a livello regionale consistenti con gli in-ventari delle altre sostanze e con l’Inventarionazionale è originata dall’esigenza di doverdisporre di informazione confrontabile, soprat-tutto in considerazione della valutazione e at-tuazione di politiche di riduzione dei gas a ef-fetto serra così come di politiche da attuare nel-l’ambito dei Piani di risanamento regionali peril raggiungimento degli obiettivi di qualità del-l’aria. Le interazioni delle emissioni di gas a ef-fetto serra e di sostanze che condizionano laqualità dell’aria sono sostanzialmente concen-trate sulla riduzione dei consumi energetici esull’adozione di tecnologie che aumentano l’effi-cienza energetica e la riduzione delle emissioninocive. Il riconoscimento di tali interazioni e ilrisultato degli scenari sono gli strumenti princi-pali dei decisori politici per individuare e defini-re le politiche e le misure da adottare per ridur-re l’inquinamento sia su scala nazionale sia suquella locale.L’eventualità della ripartizione degli obiettivinazionali di riduzione delle emissioni di gas aeffetto serra previsti con il Protocollo di Kyoto a li-

vello regionale comporta il dover fare alcuneconsiderazioni necessarie per attribuire corret-tamente gli obiettivi nazionali alle singole regio-ni. L’analisi dei dati di emissione dei gas a effet-to serra regionali – sia assoluti che relativi allevariabili socio-economiche come la popolazio-ne, l’estensione territoriale e il valore aggiunto –indicano che le emissioni di gas a effetto serraper regione sono condizionate dalla presenza omeno di grandi impianti sia di produzione dienergia elettrica che industriali, come gli im-pianti siderurgici, le raffinerie e gli impianti pe-trolchimici, impianti spesso ad alto impatto am-bientale e basso valore aggiunto. Tali impianticontinuano a essere, comunque, opere di inte-resse nazionale e il ruolo delle regioni nel pro-grammarne le riduzioni emissive potrebbe esse-re limitato.La figura A.1.13 presenta, per l’anno 2000,gli indicatori delle emissioni di gas a effettoserra per valore aggiunto messi in relazionecon il valore aggiunto regionale per abitante.I valori regionali sono confrontati con i valorimedi nazionali. Con il grafico è messo in evi-denza il peso emissivo di quelle regioni comela Puglia, la Sicilia e la Sardegna dove è con-centrata la presenza di complessi industrialidall’elevato impatto ambientale.La realizzazione di inventari dei gas a effetto ser-ra al fine di verificare il rispetto di obiettivi di ri-duzione a livello territoriale locale è condizionataa un congruo investimento in sistemi di acquisi-zione ed elaborazione dei dati necessari a livellodettagliato. In alternativa, a livello locale sembrapiù opportuno valutare l’effetto delle politiche dimitigazione su singoli settori attraverso l’uso diindicatori semplici e ben definiti. Seguendo leesperienze di altri paesi, l’utilizzo di valutatoridelle emissioni a livello individuale può essereutile a scopo di sensibilizzazione, anche attraver-so la comunicazione, diffusione e condivisionedelle misure e dei comportamenti sostenibili incollaborazione con il mondo della formazione.

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ARPA Puglia ha presentato il primo inventarioregionale della Puglia realizzato nell’ambito diuna convenzione tra ARPA, Regione Puglia,Università e CNR. Nel corso della presentazio-ne sono state evidenziate sia le difficoltà incontra-te nella raccolta dei dati necessari per la stimadelle emissioni a livello regionale sia le profes-sionalità e sinergie di competenze sviluppateper consentire tale risultato. L’adozione del si-stema condiviso INEMAR (Regione Lombardia,200550) e la partecipazione alle attività di ela-borazione e condivisione dei vari moduli con lealtre Regioni e ARPA coinvolte ha consentito didisporre di un utilissimo materiale di partenza(metodologie di calcolo/stima, fattori di emis-sioni, fonti di informazioni, ecc.) per l’allesti-mento dell’inventario delle emissioni, anche senon sempre è stato possibile applicare le metodo-logie a causa della carenza delle fonti informa-

tive e dei dati richiesti. La realizzazione dell’in-ventario regionale ha messo in evidenza che ènecessario mantenere nel tempo le professiona-lità e le sinergie di competenze sviluppate, perconsentire tale risultato e continuare l’aggiorna-mento dell’inventario. Nell’ambito del Convegno è stato sottolineatocome l’ “economia del carbonio”, nata nell’am-bito del Protocollo di Kyoto, sia un meccanismovirtuoso in grado di autofinanziare gli interven-ti di riduzione delle emissioni richieste con lostesso Protocollo, migliorando al contempo l’effi-cienza e la sicurezza energetica del Paese.I “crediti”, oltre ad avere un valore ambientalenella contabilità del Protocollo di Kyoto, e diconseguenza dell’Emissions Trading europeo,hanno un valore finanziario nel mercato delcarbonio e, soprattutto, un valore economico.Infatti, la necessità di ridurre le emissioni, e in

50 Regione Lombardia, 2005. Inventario delle emissioni della Regione Lombardia. Regione Lombardia, FondazioneLombardia Ambiente, ARPA Lombardia (www.ambiente.regione.lombardia.it/inemar/ inemarhome.htm).

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Fonte: APAT.

Figura A.1.13 - Emissioni regionali di gas a effetto serra e valore aggiunto nel 2000. Qualitànormalizzate rispetto alla media nazionale (Italia: 1).

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ogni caso di compensarle con i crediti, rappre-senta un costo addizionale per i sistemi indu-striali poco efficienti e un vantaggio per i sistemiindustriali molto efficienti e, soprattutto, un vo-lano per la riconversione dell’intero sistema ver-so l’ideazione e produzione di tecnologie piùefficienti per la produzione di energia, e di tec-nologie e prodotti che fanno un uso più efficien-te dell’energia. È stato sottolineato che l’esistenza di un mercatonazionale delle emissioni garantirebbe unamassa di risorse finanziare per un periodo ditempo sufficiente a far nascere e sostenereun’industria nazionale delle tecnologie per laproduzione di energia rinnovabile e per l’effi-cienza energetica, con innegabili impatti positi-vi sul prodotto interno e sulla competitività delsistema.È vero, però, che al di là degli aspetti economi-ci, il mercato del carbonio deve rappresentareun’occasione per convogliare risorse verso leenergie rinnovabili e l’efficienza nell’uso dell’e-nergia, due argomenti di fondamentale impor-tanza per un paese, come il Nostro, che è quasitotalmente dipendente dall’estero per le fornitureenergetiche.La piena fungibilità del mercato domestico conil “mercato” del Protocollo di Kyoto e dell’EU-ETS farebbe nascere sinergie positive, in grado didare una forte spinta alla nascita di un’industrianazionale delle tecnologie per le energie rinno-vabili e l’efficienza energetica. Infatti, per esem-pio, forte sarebbe l’interesse per la produzione dienergie rinnovabili se queste dessero benefici alproduttore grazie al mercato dell’EU-ETS, alconsumatore grazie a un mercato domestico eallo Stato grazie al “mercato di Kyoto”.

A.2 Gli impatti dei cambiamenti climatici ele strategie di adattamento in Italia. Unavalutazione economica51

a cura di Carlo Carraro, Jacopo Crimi, Ales-sandra Sgobbi (CentroEuromediterraneo per iCambiamenti Climatici), con il contributo diAlessio Capriolo (APAT)

A.2.1 La valutazione degli impatti dei cambia-menti climatici

Per poter definire appropriate strategie di adatta-mento è necessario disporre di una quantifica-zione dei loro costi e dei loro benefici. I costi so-no dati dal valore monetario delle opere o delleiniziative o delle politiche che producono l’adat-tamento al cambiamento climatico. I benefici so-no definiti dall’ammontare del danno da cam-biamento climatico che si è potuto evitare grazieall’adattamento. Per valutare i benefici di unastrategia di adattamento è, quindi, necessarioconoscere il valore del danno totale prodotto dalcambiamento climatico (detto anche “costo diinazione”), e quanto di questo danno è evitabilegrazie alla strategia di adattamento.Le metodologie di valutazione economica pos-sono essere suddivise in due categorie generi-che. Da un lato, ci sono gli approcci bottom-up(detti anche “di equilibrio parziale”). Questetecniche vengono utilizzate per stimare il valoreeconomico degli impatti dei cambiamenti cli-matici su singoli settori, o per singoli impatti, in-dipendentemente dal sistema di cui fanno par-te. Metodi che invece sono basati su modelli “diequilibrio generale” (o top-down) tengono con-to di tutti gli effetti a catena che uno specificoimpatto ha su altre variabili o settori economici.

51 Questo testo è la sintesi di un più ampio rapporto sulla valutazione economica degli impatti dei cambiamenti cli-matici e delle relative strategie di adattamento realizzato insieme ad Anna Alberini, Andrea Bigano, Francesco Bo-sello, Margaretha Breil, Michela Catenacci, Aline Chiabai, Fabio Eboli, Gretel Gambarelli, Alessandra Goria, Car-lo Giupponi, Paulo A. L. D. Nunes, Luca Marazzi, Ramiro Parrado, Francesco Pauli, Roberto Roson e Chiara Travi-si, che vanno quindi considerati anche come coautori.

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La scelta tra un approccio di equilibrio parzialee uno di equilibrio generale è strettamente de-terminata dai dati disponibili, dalla dimensionee dallo scopo dell’analisi. Esempio: un’analisicircoscritta a una realtà locale ristretta o a unfenomeno limitato (per esempio, una frana) de-ve/può essere ragionevolmente trattata construmenti di equilibrio parziale, mentre l’analisi diun fenomeno importante come il turismo (laprincipale industria italiana) richiede un ap-proccio di equilibrio generale per le sue riper-cussioni su tutti i settori economici nazionali.Tuttavia, l’analisi parziale e quella generale nondevono necessariamente essere considerate comecontrapposte. Se, da un lato, a volte non è pos-sibile, o addirittura non opportuno, estendereun’analisi dal parziale al generale, dall’altroogni analisi di equilibrio economico generalevede il suo primo passo necessario nella quanti-ficazione degli effetti settoriali. La sintesi che seguirà riassume il lavoro fattoper quantificare il valore economico dei costidei cambiamenti climatici su quattro aree ad al-ta vulnerabilità: quelle alpine, quelle costiere,quelle a rischio di desertificazione e quelle a ri-schio idrogeologico52. Per ciascuna area si ècercato, sulla base della letteratura esistente(assai insufficiente, soprattutto per l’Italia) diidentificare le principali conseguenze fisiche deicambiamenti climatici futuri, e di dare loro unvalore economico. Si è cercato, poi, di quantifi-care il valore delle conseguenze di possibilistrategie di adattamento. Stante la carenza divalutazioni degli impatti fisici dei futuri cambia-menti climatici, è stata ampiamente utilizzata la

tecnica del benefit transfer in modo da poterapplicare all’Italia informazioni provenienti dastudi relativi ad altri paesi o a scale geografichesovra-nazionali (in particolare, relativi all’Unio-ne Europea). Infine, attraverso un modello multi-settoriale dell’economia mondiale, sono statiaggregati i vari effetti del cambiamento climati-co in modo da valutare la risposta autonoma intermini di adattamento del sistema economiconazionale e il costo netto residuale del cambia-mento climatico (utilizzando la variazione delprodotto interno lordo come indicatore macroe-conomico aggregato).

A.2.2 Gli impatti del cambiamento climatico inItalia

Le zone alpine sono ecosistemi molto fragili, do-ve alle forti pressioni antropiche si uniscono gliimpatti dei cambiamenti climatici. Il settore eco-nomico maggiormente colpito risulta essere ilturismo invernale, che è anche il settore che ge-nera maggior ricchezza. Il punto di partenzaper la stima degli impatti del cambiamento cli-matico sul turismo alpino invernale è la conside-razione che la linea di affidabilità della neve sipotrebbe spostare di circa 150 metri in altitudi-ne per ogni grado centigrado di aumento dellatemperatura (Föhn 199053; Haeberli and Beni-ston 199854). Usando gli scenari di cambia-mento climatico proposti dall’IPCC, Bigano eBosello (200755) stimano una riduzione del red-dito generato dal turismo invernale per le Alpiitaliane del 10,2% e del 10,8% per il 2030 e2090, rispettivamente. Se, nel 2006 e quindi

52 Per maggiori dettagli si vedano: Bigano e Pauli (2007), per il rischio idrogeologico; Bosello et al. (2007), per lezone alpine; Breil et al. (2007), per le zone costiere; e Gambarelli et al. (2007), per il rischio desertificazione.53 Föhn, P. (1990):. “Schnee und Lawinen”. In: Schnee, Eis und Wasser der Alpen in einer wärmeren Atmosphäre,Internationale Fachtagung, Mitteilungen. VAW ETH Zurich n. 108, pagg. 33-48.54 Haeberli, W. and Beniston, M. (1998):. “Climate change and its impacts on glaciers and permafrost in the Alps”.,Ambio, Vol. 27, pagg. 258-265.55 Bigano, A. and Bosello F. (2007). “Impacts of Climate Change on Tourism in the Italian Alps: An Economic Asses-sment”., Rreport for the ClimChAlps Project.

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sull’attuale struttura economica, si fosse presen-tato uno scenario climatico come quello ipotiz-zato per il 2030, vi sarebbe stata una perditavariabile dai 2,46 milioni di euro per il Venetoai 587 milioni di euro per il Trentino Alto Adige.L’effetto dei cambiamenti climatici sul rischioidrogeologico varia considerevolmente nelle di-verse zone d’Europa (EEA, 200756). Non esisto-no, per l’Italia, stime del costo socio-economicodell’aumento del rischio idrogeologico causatodai cambiamenti climatici (e, quindi, relativo alfuturo). Eventi passati indicano un costo di 32,7milioni di dollari americani per le inondazioniavvenute tra il 1939 e il 2004, mentre il mag-gior evento franoso ha causato un danno totaledi 1,2 miliardi di dollari (EM-DAT database, inBigano e Pauli, 200757). Una prima stima delvalore del territorio a rischio di frane e inonda-zioni in tre regioni italiane (Lombardia, Cala-bria e Lazio) indica un totale di 103 milioni dieuro per il rischio di alluvioni, e di 187 milionidi euro per le frane.Per le zone costiere, invece, il maggior dannodai cambiamenti climatici è sicuramente la per-dita di terreno e di infrastrutture localizzate lungole coste, a causa sia dell’innalzamento del livellomedio del mare, sia dell’aumento dei fenomeni

erosivi. Un danno notevole potrebbe anche inte-ressare il settore turistico, qualora temperatureestreme nelle coste spostassero i flussi turisticiverso zone meno calde. Uno studio condottodalla FEEM e dall’ENEA sulla zona ad alto ri-schio del fiume Sangro in Abruzzo stima il costodiretto dei cambiamenti climatici sui 14 milionidi euro (Breil et al., 200758) per lo scenario di ri-ferimento al 2100. Prendendo in considerazioneanche l’aumento del rischio idrogeologico, talestima salirebbe a 73 milioni di euro. Bosello et al. (2006a59) stimano il costo di ina-zione, in termini di perdita di terreno costiero, egli investimenti necessari per la protezione delleinfrastrutture e del territorio costiero. I loro risul-tati indicano che gli investimenti necessari perproteggere le coste dall’innalzamento del livellomedio del mare sono relativamente bassi (tra lo0,0003% e lo 0,0011% del PIL nel 2020, a se-conda dello scenario di cambiamento climati-co). Tale cifra è, però, più alta del valore del ter-ritorio che potrebbe essere perso in assenza dimisure di protezione. I risultati del modello, anchese sono divergenti rispetto ad altre stime a livel-lo europeo (si veda, per esempio, EC 200760),sono in linea con altri studi (per esempio, Dar-win e Tol, 200161; Deke et al., 200162).

56 EEA (2007). “Climate change and water adaptation issues”. EEA, Technical report n. 2/2007, European Envi-ronment Agency, Copenhagen.57 Bigano, A., Pauli, F. (2007):. “Dimensioni socio-economiche, costi dell’inazione e strategie di adattamento perl’impatto del cambiamento climatico sul sistema idrogeologico italiano”. Rapporto per il Workshop APAT su “Cam-biamenti climatici e dissesto idrogeologico: scenari futuri per un programma nazionale di adattamento”, Napoli, 9-10 luglio 2007.58 Breil, M., Catenacci, M., Travisi, M. (2007):. “Impatti del cambiamento climatico sulle zone costiere: Quantifica-zione economica di impatti e di misure di adattamento – Sintesi di risultati e indicazioni metodologiche per la ricer-ca futura”. Rapporto per il Workshop APAT su “Cambiamenti climatici e ambiente marino-costiero: scenari futuriper un programma nazionale di adattamento”. Palermo, 27-28 giugno 2007.59 Bosello, F., Bigano, A., Roson, R., Tol, R. .S. J. (2006a):. “Economy-Wide Estimates of the Implications of ClimateChange: A Joint Analysis for Sea Level Rise and Tourism”. FEEM Working Paper Series No. 135.06.60 EC (2007). “Green Paper on Climate Change and Adaptation”. European Commission.61 Darwin, R. F., Tol, R. S. J. (2001):. “Estimates of the Economic Effects of Sea Level Rise.” Environmental and Resour-ce Economics 19.62 Deke, O., Hooss, K. G., Kasten, C., Klepper, G., & Springer, K. (2001):. “Economic Impact of Climate Change:Simulations with a Regionalized Climate-Economy Model”. Kiel Institute of World Economics, Kiel, 1065.63 Chiabai, A. Nunes, P. A. L. (2006):. “Exploring the use of alternative econometric model specifications so as to as-sess the economic value of high water events in the city of Venice, Italy.”. FEEM report.

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Infine, Nunes e Chiabai (200763) stimano il costodell’innalzamento del livello medio del mare nelmar Adriatico e, in particolare, per la città diVenezia. La diminuzione dei flussi turistici risulte-rebbe in una perdita pari a circa 35-43 milioni dieuro nel 2030; i danni al settore dell’acquacoltu-ra si attesterebbero attorno ai 10-16 milioni dieuro nel 2030; le infrastrutture della città stori-ca, i danni alle attività commerciali, e i dannisociali causati dalla limitata fruibilità della cittàammonterebbero a un totale di 60-102 milionidi euro nel 2030. Infine, interessante notare co-me la spesa per le misure di adattamento priva-to sarebbero di circa 1,5 milioni di euro.Il 5,5% del territorio italiano è già a rischio deser-tificazione, e le pressioni antropiche e il cam-biamento climatico rischiano di peggiorare lasituazione. Come per gli impatti precedenti, so-no pressoché inesistenti studi che stimino per l’I-talia il costo economico del cambiamento clima-tico in termini di un aumento del rischio di de-sertificazione. Utilizzando stime realizzate peraltri paesi, si può valutare il danno associato alrischio di desertificazione per l’Italia in una ci-fra che varia dai 60 ai 412 milioni di dollariamericani all’anno (Gambarelli et al, 200764).

A.2.3 Gli impatti macroeconomici del cambia-mento climatico in Italia

Le valutazioni del costo dei cambiamenti climati-ci sin qui riassunte sono riferite a settori specificio a specifici impatti. Nonostante tali stime sianochiaramente rilevanti nella definizione di politichesettoriali, non prendono in considerazione le in-terazioni tra i vari settori, e dunque le ripercussio-

ni del cambiamento climatico su tutta l’econo-mia. È quindi importante tentare di aggregaregli impatti settoriali per pervenire a una stimadei costi dei cambiamenti climatici su tutto il ter-ritorio italiano e per tutti i settori economici (te-nendo conto che l’economia italiana è stretta-mente interconnessa con quella delle altre re-gioni del mondo).Per fare ciò, è stato utilizzato un modello diequilibrio generale (CGE) dell’economia mon-diale, all’interno del quale è stato enucleato ilsistema economico italiano. Introducendo nelmodello le variazioni nelle grandezze economi-che (stocks e flussi) indotte dai cambiamenti cli-matici, è possibile derivare alcune stime degliimpatti economici dei cambiamenti climatici perl’Italia (Roson, 200765). Tali stime possono esse-re effettuate per uno o più anni futuri e non,quindi, solo in modo retrospettivo. Nel modello CGE, il danno aggregato non èdato solo dalla somma dei singoli impatti, marappresenta il danno residuo, dopo che il sistemaeconomico si è adattato autonomamente alcambiamento climatico – adattamento che av-viene tramite variazioni nei prezzi e variazionidella domanda e offerta sui vari mercati. Ab-biamo stimato gli impatti economici del cam-biamento climatico sulla salute (e, quindi, suproduttività e forza lavoro), sull’agricoltura, sulturismo, sul mercato dell’energia, sulle zone co-stiere, con particolare riferimento all’innalza-mento del livello medio del mare, e sulle aree a ri-schio di desertificazione. Gli impatti sull’econo-mia nazionale (che è composta di 17 settori) esulle economie di altre regioni mondiali vengonostimati attraverso un modello che permette an-

64 Gambarelli G., Giupponi C., Goria A. (2007):. “La desertificazione, i costi dell’inazione e la valutazione delle op-zioni di adattamento al cambiamento climatico”. Rapporto per il Workshop APAT su “Le variazioni climatiche e iprocessi di desertificazione: verso piani di monitoraggio e strategie di riduzione della vulnerabilità e di adattamen-to”. Alghero, 21-22 giugno 2007.65 Roson R. (2007): “Gli impatti macro-economici del cambiamento climatico sui vari settori economici e sul commer-cio internazionale con un modello di equilibrio generale”. Rapporto per la “Conferenza nazionale sui cambiamen-ti climatici 2007”. Roma, 12-13 settembre 2007.

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che di tenere in considerazione i legami che esi-stono tra aree del mondo attraverso il commerciointernazionale. I risultati ottenuti, nonostante leovvie limitazioni, rappresentato un buon puntodi partenza per la stima del costo economicodei cambiamenti climatici in Italia, al netto del-l’adattamento autonomo dei sistemi socio-eco-nomici.Utilizzando il 2050 come anno di riferimento,consideriamo due scenari di cambiamento cli-matico, rifacendoci al più recente rapportoIPCC (IPCC, 2007a66, b67, c68). Nello scenariopiù ottimista, che considera un aumento dellatemperatura media di 0,93 °C al 2050, l’Italiavedrebbe un calo nel PIL compreso tra lo 0,12 elo 0,16%. In uno scenario pessimista, con unaumento di temperatura al 2050 di 1,2 °C, laperdita di PIL sarebbe di 0,16-0,20%. Ma cosasuccederebbe ai diversi settori dell’economia?Nello scenario ottimista, diversi settori subireb-bero una netta perdita: il settore dei servizi, cheinclude il turismo, per esempio, vedrebbe unariduzione dello 0,71-0,87% del suo prodottocomplessivo. Alcuni settori della produzioneenergetica – in particolare, petrolio e gas – sub-irebbero pure una netta diminuzione (– 1,88%e – 3,72%, rispettivamente), che può essere at-tribuita a un minor bisogno di energia per il ri-scaldamento invernale. D’altro canto, la produ-zione di energia elettrica aumenterebbe (+ 1,8%) per far fronte a una maggior richiesta dienergia elettrica per il condizionamento d’aria.Nel caso in cui, oltre al cambiamento climatico,vi fosse anche un aumento della desertificazio-ne, la produzione agricola subirebbe un calodell’1,45% rispetto a uno scenario senza cam-biamento climatico.

I risultati del modello indicano, quindi, che gliimpatti macro-economici del cambiamento cli-matico in Italia, in presenza di adattamento au-tonomo, sono di natura prevalentemente distri-butiva, che non influenzano significativamenteil PIL nazionale, almeno entro il 2050. Impattipiù forti tendono, infatti, a realizzarsi nella se-conda metà del secolo. Mentre alcuni settori sa-rebbero penalizzati (per esempio, agricoltura eturismo), altri potrebbero trarre beneficio dalcambiamento climatico, o non esserne signifi-cativamente influenzati. Si noti, infine, che queste stime del costo deicambiamenti climatici non prendono in consi-derazione i costi “non di mercato”, ovvero costirelativi a realtà non soggette a scambio e, quin-di, che non hanno un prezzo (per esempio, gliimpatti sulla biodiversità o sul patrimonio artisti-co e architettonico).

A.2.4 Commenti conclusivi

Vi è un crescente interesse, nella letteraturascientifica, verso il complesso fenomeno deicambiamenti climatici, ma per la maggior partel’interesse si concentra su specifici aspetti, qualiper esempio la salute umana o l’innalzamentodel livello medio del mare. Raramente l’atten-zione si concentra sulla valutazione economicadegli impatti dei cambiamenti climatici e dellestrategie di adattamento.Le ricerche riassunte in questo lavoro rappresen-tano un primo tentativo di identificare le mag-giori aree di vulnerabilità italiane, quantificarnei probabili impatti del cambiamento climatico, einfine fornire una loro valutazione economica. Icosti dell’inazione sono quantificati per settori e

66 IPCC, (2007a). “Climate Change 2007: The Physical Science Basis. Summary for Policymakers”. Contribution ofWorking Group I to the Fourth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change.67 IPCC, (2007b). “Climate Change 2007: The Physical Science”. Contribution of Working Group I to the Fourth As-sessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change.68 IPCC (2007c). “Climate change 2007: Impacts, Adaptation and Vulnerability”. Working Group II Contribution tothe IPCC.

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impatti specifici in isolamento, ma sono poi ag-gregati in un modello macro-economico che cipermette di seguire gli impatti dei cambiamenticlimatici a livello aggregato sul PIL italiano, con-siderando anche le interazioni della nostra Na-zione con le altre regioni del mondo69.

A.3 Manifesto per il clima

Un New Deal per l’adattamento sostenibile ela sicurezza ambientaleConclusioni della Conferenza Nazionale suicambiamenti climatici (Roma, 12-13 settem-bre 2007)

I cambiamenti climatici costituiscono un problemanazionale. Le strategie per contrastarli vannoconsiderate prioritarie per l’iniziativa del Go-verno e per l’integrazione delle azioni di ridu-zione delle emissioni di gas a effetto serra e del-le azioni di adattamento sostenibile nelle politichesociali, economiche, finanziarie, agricole e terri-toriali. Queste azioni possono e devono rappre-sentare anche un importante volano per l’occu-pazione. La sicurezza, il benessere e la qualitàdella vita dei cittadini italiani di oggi e domani di-pendono dalla salute del Pianeta e dal suo cli-ma. Il Ministero dell’ambiente e della tutela delterritorio e del mare entro il 2008 definirà unastrategia nazionale per l’adattamento sostenibi-le ai cambiamenti climatici e per la sicurezzadel territorio.

1. In base ai risultati della Conferenza Nazionale,coerentemente con le strategie delineate in sedeNazioni Unite (in particolare, la ConvenzioneONU sui Cambiamenti Climatici, UNFCCC) econ quelle delineate in sede di Unione Europea,è necessario sviluppare politiche concrete di miti-gazione dei cambiamenti climatici rispettando gliimpegni assunti e lavorando nelle opportune sediinternazionali per più significative riduzioni del-l’emissione di gas climalteranti, avviando conte-stualmente iniziative concrete a favore del rispar-mio, dell’efficienza energetica e dell’utilizzo difonti rinnovabili sostenibili. Si deve, innanzitutto,attuare il Protocollo di Kyoto entro il 2012 e, nel-l’ambito della prossima rinegoziazione degliobiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti,procedere alle ulteriori riduzioni delle emissionidi gas a effetto serra indicate dall’Unione Euro-pea, pari ad almeno il 20% entro il 2020 (cheauspichiamo diventino del 30%, come previstodall’UE, nel quadro di un accordo globale) e al60% entro il 2050, coerentemente con le indicazio-ni dell’Intergovernmental Panel on Climate Chan-ge (IPCC).

2. È necessario coordinare le misure di mitiga-zione con quelle di adattamento al cambiamen-to climatico, integrando da subito queste ultimenelle politiche settoriali di sviluppo economico,nella legislazione e nei programmi di finanzia-mento delle grandi opere, prevedendo azioniimmediate di adattamento che possono già oggiessere avviate in Italia, a partire dalle politiche

69 Ulteriore bibliografia.Alberini A., Chiabai A. (2007): “Quali sono i costi e i benefici dell’adattamento rispetto ai rischi per la salute del-l’uomo dovuti ai cambiamenti climatici?”. Rapporto per il Workshop APAT su “Cambiamenti climatici ed eventiestremi: rischi per la salute in Italia”. Roma, 25 giugno 2007.Bosello F., Marazzi L., Nunes P. A. L. D. (2007a): “Le Alpi italiane e il cambiamento climatico: elementi di vulnera-bilità ambientale ed economica, e possibili strategie di adattamento”. Rapporto per il Workshop APAT su”Cambia-menti climatici e ambienti nivo-glaciali: scenari e prospettive di adattamento”. Saint-Vincent, 2-3 luglio 2007.Bosello F., Roson R., and Tol R. S. J. (2006b): “Economy-Wide Estimates of the Implications of Climate Change: Hu-man Health”. Ecological Economics, vol. 58(3), pagg. 579-591.Stern, N. (2007). “The Economics of Climate Change: The Stern Review”. Cambridge University Press.

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riguardanti:– la protezione degli ecosistemi e della biodi-

versità (terrestre e marina);– la gestione del suolo e delle coste;– la gestione delle risorse idriche;– la tutela sanitaria della popolazione;– l’agricoltura e lo sviluppo rurale;– l’industria e l’energia;– il turismo.

In questo contesto assumono priorità la concretaattuazione di alcuni strumenti normativi, tra iquali:a) la direttiva Quadro Acque 2000/60 (risorse

idriche);b) la direttiva Habitat 92/43/CEE e direttiva

Uccelli 79/409/CEE (biodiversità);c) la Convenzione Internazionale per la prote-

zione delle Alpi;d) il Sistema contabilità nazionale ambientale

(legge delega);e il completamento del percorso di riforme dellenorme sulla valutazione ambientale, soprattuttoper quanto riguarda l’integrazione della valuta-zione ambientale strategica (VAS) nei nuovipiani.

3. È necessaria la definizione immediata di unPiano nazionale di adattamento ai cambiamen-ti climatici, che veda impegnato l’intero Governo,le istituzioni locali e territoriali e le parti sociali,connesso e integrato con l’avvio o la concretaimplementazione dei due piani previsti dalledue grandi Convenzioni internazionali:– il Piano nazionale per la biodiversità, con

particolare riferimento al ripristino ecologicoe alla deframmentazione;

– il Piano nazionale di lotta alla siccità e alladesertificazione.

Inoltre, in un’ottica di piena sostenibilità am-bientale, il Piano dovrà comprendere le miglioristrategie di intervento per:

– la difesa del suolo;– la gestione integrata delle coste;– l’adattamento del turismo in Italia;– a gestione delle risorse idriche;– un programma nazionale di partecipazione,

informazione, sensibilizzazione dei cittadinisui cambiamenti climatici.

La complessità del tema dei cambiamenti delclima e delle sue interconnessioni con gli aspettidi sviluppo socio-economico nazionale e con gliaspetti internazionali (legati alle politiche europeee all’attuazione delle direttive comunitarie, cosìcome alle politiche extraeuropee e alle relazioniinternazionali), richiede che il Piano nazionaledi adattamento ai cambiamenti climatici sia co-erente con le strategie di mitigazione e le inizia-tive di ricerca sui cambiamenti climatici e la for-mazione.L’esigenza di sviluppare strategie e piani diadattamento ai diversi livelli territoriali richiede ladisponibilità, per le amministrazioni di tali ambi-ti, di dati, informazioni e documentazione, non-ché la predisposizione di rapporti periodici sul-lo stato di attuazione delle iniziative. Per conse-guire queste finalità è opportuno attribuire, sulmodello tedesco, all’Agenzia per la protezionedell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) lefunzioni di Centro di competenza sugli impatti esull’adattamento ai cambiamenti climatici.

4. Devono, inoltre, essere promosse iniziativeper assistere i paesi in via di sviluppo nella pro-grammazione e nell’attuazione di piani di adat-tamento sostenibile ai cambiamenti climatici,anche al fine di prevenire squilibri sociali. Perfavorire la sostenibilità nelle politiche di adatta-mento, è opportuno proporre l’istituzione di unFondo europeo di adattamento che possa sup-portare le iniziative di assistenza ai paesi in viadi sviluppo, con particolare attenzione a quellidel bacino mediterraneo.5. Si auspica che gli impegni del Governo ita-

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liano per integrare le logiche di adattamento aicambiamenti climatici all’interno delle politichegenerali e settoriali possano essere conseguitientro un arco temporale di tre anni. Per monito-rare i progressi, così come per adeguare le po-litiche al ritmo incalzante del mutamento climati-co, si auspica la convocazione della Conferen-za Nazionale sull’adattamento ai cambiamenticlimatici con una cadenza che segua almenoquella dei Rapporti dell’IPPC e che preveda ses-sioni di aggiornamento.

A.4 Le prime 13 azioni per l’adattamentosostenibile

Dalla Conferenza Nazionale sul CambiamentoClimatico e dai lavori preparatori emergonoalcune indicazioni per l’azione prioritaria delMinistero dell’ambiente. Il Ministero si impe-gna a farsi promotore di una politica vasta ecoordinata con i ministeri competenti.

1. Avviare una vasta opera di ricerca e cono-scenza delle maggiori criticità connesseagli effetti del cambiamento climatico; im-pegnarsi nella preparazione di un Rapportoannuale sul monitoraggio dei cambiamenticlimatici e dei loro effetti sull’ambiente, sullasalute dei cittadini, sull’economia; coinvol-gere in maniera vasta il mondo della ricercae dell’università.

2. Confermare ed espandere il sistema di in-centivi per il risparmio energetico nel settoreresidenziale; avviare un programma di so-stegno per la bioedilizia, definendo norma-tive che ne permettano lo sviluppo, con l’o-biettivo di integrare le azioni di riduzione digas a effetto serra con quelle di adattamen-to al clima che cambia.

3. Impegnarsi nell’incentivazione di nuove for-me di consumo compatibile con le esigenzedell’adattamento climatico, a cominciare

dalla promozione dell’etichettatura idricadi beni e prodotti.

4. Adeguare la gestione delle risorse idricheal cambiamento climatico; avviare azionivolontarie di risparmio di acqua per l’agri-coltura attraverso un patto con le organiz-zazioni agricole; evitare lo sfruttamentodelle falde in prossimità delle zone umide digrande valore naturalistico; conservarel’acqua e distribuirla senza sprechi.

5. Rispondere all’impatto dei cambiamenti cli-matici sull’agricoltura; difendere i prodottitipici italiani, sostenendo l’agricoltura diqualità e l’agricoltura biologica, incentivan-do colture tradizionali resistenti alla minoredisponibilità di acqua, sostenendo la colti-vazione delle foreste e la manutenzione delterritorio.

6. Mettere in sicurezza le coste italiane; ade-guare le regole urbanistiche sulla linea dicosta; ripensare alle infrastrutture portuali,alle reti di trasporti, alla localizzazione diimpianti di produzione di energia in rela-zione alla variazione della linea di costa;ripristinare le dune costiere e le zone umi-de.

7. Rispondere all’atteso aumento della fre-quenza e gravità degli eventi estremi, siste-mando e rimettendo in sicurezza le aree amaggior rischio idrogeologico; applicare lenorme di sicurezza per le costruzioni nellezone di espansione dei fiumi e nelle aree a ri-schio frana e valanga; riforestare le aree abassa copertura vegetale, con l’obiettivo dimitigare gli effetti del riscaldamento climati-co e di adattare il territorio ai rischi indotti(difesa del suolo, desertificazione).

8. Provvedere a un’azione di gestione sosteni-bile delle risorse marine; avviare meccani-smi per lo sviluppo della pesca sostenibile;mettendo a punto un piano di recupero del-la risorsa fiume, coordinando le azioni disalvaguardia dell’ecosistema e la gestione

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della risorsa idrica.9. Pensare alla montagna: incoraggiare un tu-

rismo meno legato alle esigenze sciistiche,più consapevole del patrimonio naturalisti-co; puntare alla riqualificazione delle areesciistiche e sottoporre la realizzazione dinuove infrastrutture alla verifica della fatti-bilità e della convenienza economica.

10. Inserire nelle strategie sanitarie la variabiledei nuovi rischi collegati al clima per quan-to riguarda sia la localizzazione che il fun-zionamento delle strutture sanitarie.

11. Mettere a punto un sistema ancora più effi-ciente di early warning meteoclimatico nellearee a maggior rischio alluvioni e frane,per intervenire preventivamente là dove giàsi sa che le emergenze si produrranno.

12. Aumentare il livello di partecipazione e dicoinvolgimento dei cittadini nelle politichedi mitigazione e adattamento ai cambia-menti climatici; lanciare iniziative di sensi-bilizzazione e partecipazione democraticacon la realizzazione di un Climate Day, daeffettuarsi nel giorno della ratifica del Pro-tocollo di Kyoto (16 febbraio).

13. Realizzare forme di incentivi ambientali peril lavoro e le imprese, anche in relazione al-le nuove norme della contabilità ambienta-le.

A.5 Carta della Conferenza Junior suicambiamenti climatici

Piano d’azione elaborato dai ragazzi parteci-panti alla Conferenza Junior per interventi dimitigazione e adattamento ai cambiamenti cli-matici

NOI alunni delle scuole:

Liceo Scientifico Morgagni, Liceo Classico Mon-tale, Liceo Classico Mamiani di Roma; Istituto

Tecnico Industriale L. Trafelli di Nettuno; IstitutoTecnico Di Vittorio di Ladispoli; Istituto TecnicoCommerciale e Industriale P. Levi di Ronco Scri-via; Istituto Comprensivo G. Vasari e Pier dellaFrancesca di Arezzo; Istituto Comprensivo Sta-tale Masaccio di S. Giovanni Valdarno; IstitutoComprensivo Montanelli – Petrarca di Fucec-chio; Scuola Media Busoni – Vanghetti di Empo-li; Istituto Comprensivo G. Galilei di Montopoliin Valdarno; Istituto Calasanzio di Empoli; Istitu-to Ferrarsi – Brunelleschi di Empoli; IstitutoComprensivo O. Orsini di Castiglione della Pe-scaia; Istituto Statale di Istruzione Superiore A.Gramsci – J. M. Keynes di Prato

riuniti nelle città di Roma e di Empoli e parteci-panti alla gioco-simulazione “Vallo a dire ai di-nosauri”, concludendo questo percorso di ap-prendimento condiviso sul problema dei cam-biamenti climatici, formuliamo una nostra pro-posta, contenente alcuni principi e azioni che ri-teniamo indispensabili per difenderci dalle con-seguenze negative dei cambiamenti in atto eper garantire a noi e alle generazioni future unambiente sano e vivibile.Attraverso la nostra esperienza di gioco, abbia-mo sperimentato innanzitutto che i nostri com-portamenti individuali incidono sulla dimensio-ne globale degli eventi climatici, e condividia-mo con gli esperti che il nostro stile di vita quoti-diano deve andare di pari passo con le sceltecollettive.Abbiamo inoltre verificato che, per fronteggiarei cambiamenti climatici, possono essere altret-tanto utili sia le strategie cosiddette di “mitiga-zione” sia quelle di “adattamento”, strettamentelegate tra loro.Pertanto, al termine di questa giornata e delprezioso dialogo con gli esperti che ci hannoaffiancato, abbiamo individuato e vorremmo“adottare” le seguenti priorità di azione:

1. installazione di impianti che utilizzino ener-

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gie rinnovabili;2. recupero acque chiare e scure;3. uso di tecnologie avanzate per la salva-

guardia territoriale e incentivi per la ricercascientifica;

4. obbligo per le nuove costruzioni di utilizza-re impianti e tipologie edili a basso fabbi-sogno energetico;

5. aumento di personale di servizio e controllosul territorio;

6. incentivi all’utilizzo di energie rinnovabili;7. risparmio, riduzione degli sprechi (anche

attraverso il miglioramento delle reti di ap-provvigionamento idrico);

8. utilizzo sostenibile delle acque in agricolturae industria;

9. rieducazione energetica;10. gestione corretta dei rifiuti;11. pianificazione del territorio, pianificazione

idrica ed energetica;12. campagna informativa per sensibilizzare la

popolazione sul risparmio energetico;13. investire, incentivare e promuovere la ricer-

ca e la formazione;14. utilizzare, sviluppare e finanziare le fonti

rinnovabili rivolte in particolare alle singole

utenze;15. incentivare la mobilità sostenibile (esempio

car pooling, car sharing, pedobus, ecc.);16. creazione di una tassa di scopo locale sulle

emissioni;17. un nuovo modello di economia;18. investire sul turismo eco-sostenibile;19. promuovere il ricorso a prodotti locali;20. promuovere servizi in prossimità dell’uten-

za (vicini ai cittadini).

Noi, partecipanti alla Conferenza Junior suicambiamenti climatici 2007, desideriamo infineringraziare gli organizzatori dell’APAT e delCTS, la prof.ssa Paola Rizzi, gli organizzatoridell’ARPA Toscana e dell’Azienda USL 11 diEmpoli, gli esperti e i collaboratori intervenuti, eil Ministero dell’ambiente e della tutela del terri-torio e del mare per averci dato l’occasione dipartecipare a questo importante evento su untema che è – e certamente sarà sempre di più –di grande rilievo per la Terra e per tutte le formedi vita che essa ospita (compresi noi!).

Roma – Empoli, 13 settembre 2007

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Napoli, 9-10 luglio 2007

Saint-Vincent, 2-3 luglio 2007

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