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Autori V AUTORI Laura Marconato DVM, Dipl ECVIM-CA (Oncology) Laureata a Milano in Medicina Veterinaria. Diplomata nel 2008 al college europeo di medicina interna-oncologia. Autrice del testo Oncologia medica dei piccoli animali (Poletto editore, 2005), di al- cuni capitoli del testo Malattie respiratorie del cane e del gatto (Poletto editore, 2009), del testo Princìpi di chemioterapia in on- cologia (Poletto editore, 2009) e di numerosi articoli su riviste na- zionali e internazionali; ha, inoltre, curato lʼedizione italiana del- lʼopera Algoritmi in medicina per piccoli animali (Poletto editore, 2011). Ha presentato numerosi poster e lavori scientifici a con- gressi nazionali e internazionali. Dal 2011 è presidente della So- cietà Italiana di Oncologia Veterinaria (SIONCOV). Dopo un periodo negli Stati Uniti e in Svizzera, dal 2011 collabo- ra con il Centro Oncologico Veterinario (Sasso Marconi - Bolo- gna), dove è responsabile dellʼoncologia medica. Dino Amadori MD Laureato in Medicina e Chirurgia con lode presso lʼUniversità de- gli Studi di Bologna il 17 novembre 1961. Direttore Scientifico dellʼIRCCS dellʼIstituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori (IRST), Meldola (Forlì). Membro del CTS dellʼIstituto Oncologico Romagnolo. Già Presidente del- lʼAssociazione Italiana di Oncologia Medica dal 1997 al 1999. Pre- sidente del Comitato Etico dellʼIstituto Superiore di Sanità. Membro delle principali società scientifiche nazionali e internazionali in ambi- to oncologico. Lʼattività scientifica, documentata da circa 400 pub- blicazioni, la maggior parte su riviste a diffusione internazionale, ver- te su: biologia dei tumori solidi, terapia medica (ormonoterapia, che- mioterapia e terapia biologica) dei tumori solidi, epidemiologia clini- ca oncologica ed epidemiologia molecolare oncologica. Dal 1998 al 2001, ha fatto parte della Commissione Unica del Farmaco presso il Ministero della Sanità. È Presidente del Comitato Tecnico/Scienti- fico Regionale per lʼArea dellʼAssistenza in Oncologia dellʼEmilia Ro- magna. È stato coordinatore del sottoprogetto 9 Clinical Trial in so- lid tumor del Progetto ACRO del CNR e coordinatore del sottopro- getto Caratterizzazione biologica e strategie terapeutiche innovative nei tumori solidi del Progetto Strategico Oncologia CNR-MURST. Cu- ratore dei volumi Oncologia genetica (Poletto editore, 2001), Ma- nuale di semeiotica e diagnostica oncologica (Poletto editore, 2003), Sperimentazione clinica in oncologia (Poletto editore, 2004), Terapia molecolare in oncologia (Poletto editore, 2005), Sviluppo dei farma- ci oncologici con bersaglio molecolare dalla tradizione allʼinnovazio- ne (Poletto editore, 2006), Libro italiano di cure palliative - seconda edizione (Poletto editore, 2007), Informatizzazione in oncologia (Po- letto editore, 2008), Cardioncologia (Poletto editore, 2009) e Osteo- oncolology textbook (Poletto editore, 2010).

cap 1 1-9:gabbia - Libri Veterinaria · Prefazione IX Sono passati sette anni dallʼavventura del primo testo italiano di oncologia veterinaria e que-sto periodo, tutto sommato breve,

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Autori

V

AUTORI

Laura MarconatoDVM, Dipl ECVIM-CA (Oncology)Laureata a Milano in Medicina Veterinaria. Diplomata nel 2008 alcollege europeo di medicina interna-oncologia. Autrice del testoOncologia medica dei piccoli animali (Poletto editore, 2005), di al-cuni capitoli del testo Malattie respiratorie del cane e del gatto(Poletto editore, 2009), del testo Princìpi di chemioterapia in on-cologia (Poletto editore, 2009) e di numerosi articoli su riviste na-zionali e internazionali; ha, inoltre, curato lʼedizione italiana del-lʼopera Algoritmi in medicina per piccoli animali (Poletto editore,2011). Ha presentato numerosi poster e lavori scientifici a con-gressi nazionali e internazionali. Dal 2011 è presidente della So-cietà Italiana di Oncologia Veterinaria (SIONCOV). Dopo un periodo negli Stati Uniti e in Svizzera, dal 2011 collabo-ra con il Centro Oncologico Veterinario (Sasso Marconi - Bolo-gna), dove è responsabile dellʼoncologia medica.

Dino Amadori MDLaureato in Medicina e Chirurgia con lode presso lʼUniversità de-gli Studi di Bologna il 17 novembre 1961. Direttore Scientifico dellʼIRCCS dellʼIstituto Scientifico Romagnoloper lo Studio e la Cura dei Tumori (IRST), Meldola (Forlì). Membrodel CTS dellʼIstituto Oncologico Romagnolo. Già Presidente del-lʼAssociazione Italiana di Oncologia Medica dal 1997 al 1999. Pre-sidente del Comitato Etico dellʼIstituto Superiore di Sanità. Membrodelle principali società scientifiche nazionali e internazionali in ambi-to oncologico. Lʼattività scientifica, documentata da circa 400 pub-blicazioni, la maggior parte su riviste a diffusione internazionale, ver-te su: biologia dei tumori solidi, terapia medica (ormonoterapia, che-mioterapia e terapia biologica) dei tumori solidi, epidemiologia clini-ca oncologica ed epidemiologia molecolare oncologica. Dal 1998 al2001, ha fatto parte della Commissione Unica del Farmaco pressoil Ministero della Sanità. È Presidente del Comitato Tecnico/Scienti-fico Regionale per lʼArea dellʼAssistenza in Oncologia dellʼEmilia Ro-magna. È stato coordinatore del sottoprogetto 9 Clinical Trial in so-lid tumor del Progetto ACRO del CNR e coordinatore del sottopro-getto Caratterizzazione biologica e strategie terapeutiche innovativenei tumori solididel Progetto Strategico Oncologia CNR-MURST. Cu-ratore dei volumi Oncologia genetica (Poletto editore, 2001), Ma-nuale di semeiotica e diagnostica oncologica (Poletto editore, 2003),Sperimentazione clinica in oncologia (Poletto editore, 2004), Terapiamolecolare in oncologia (Poletto editore, 2005), Sviluppo dei farma-ci oncologici con bersaglio molecolare dalla tradizione allʼinnovazio-ne (Poletto editore, 2006), Libro italiano di cure palliative - secondaedizione (Poletto editore, 2007), Informatizzazione in oncologia (Po-letto editore, 2008), Cardioncologia (Poletto editore, 2009) e Osteo-oncolology textbook (Poletto editore, 2010).

Autori

VI

Giuliano Bettini DVMLaureato con lode presso lʼUniversità di Bologna nel 1988; è pro-fessore associato nel Dipartimento di Scienze Mediche Veterinariedella stessa Università. È titolare degli insegnamenti di AnatomiaPatologica Veterinaria I e Oncologia Veterinaria, delegato per le re-lazioni internazionali e si occupa di diagnostica necroscopica, cito-patologica e istopatologica. Lʼattività di ricerca riguarda principal-mente lʼoncologia comparata e, in particolare, la caratterizzazioneimmunoistochimica di fattori prognostici delle neoplasie animali, lacancerogenesi ambientale e la diagnostica istologica e citologica.È autore di circa 200 contributi fra pubblicazioni scientifiche e co-municazioni a congressi nazionali e internazionali.

Ugo Bonfanti DVM, Dipl ECVCPLaureato con lode presso lʼUniversità di Milano nel 1992.Dopo aver esercitato la libera professione occupandosi di medi-cina interna, oncologia medica e patologia clinica, attualmente sioccupa di sviluppo preclinico di farmaci. Ha effettuato stage pres-so università europee e americane. Nel 2005 ha conseguito il di-ploma del college europeo di patologia clinica veterinaria (ECVCP).Ha presentato relazioni di citologia, oncologia e medicina internain occasione di seminari, corsi, master universitari e congressi na-zionali e internazionali. Autore e coautore di oltre 40 pubblicazioni su riviste italiane estraniere.

Julia BuchholzDVM, Dipl ACVR (Radiation Oncology)Ha studiato Medicina Veterinaria a Giessen (Germania) e Nantes(Francia); si è laureata a Giessen nel 2002. È diplomata al colle-ge americano di radiologia veterinaria, specializzazione in ra-dioncologia.Nel 2005 ha completato una tesi sulla terapia fotodinamica al-lʼUniversità di Zurigo (Svizzera). Nel 2007 ha completato il resi-dency in radioncologia (programma combinato, Università di Zu-rigo e Colorado State University). Dopo il residency, ha lavoratocome assistant professor in oncologia allʼUniversità di LouisianaState (Stati Uniti dʼAmerica). Ha lavorato al Centro OncologicoVeterinario di Sasso Marconi (Bologna).Ha pubblicato e presentato numerosi lavori a livello nazionale einternazionale.Al momento dirige il Dipartimento di Radioncologia allʼAnimal On-cology and Imaging Center di Hünenberg (Svizzera).

Autori

VII

Andrea Casadei GardiniMD, OncologyLaureato a Bologna in Medicina e Chirurgia nel 2008; dal 2009 spe-cializzando in oncologia medica allʼUniversità di Ferrara.Attualmentecollabora con il professor Dino Amadori allʼIRST di Meldola (Forlì).Autore di numerosi poster e lavori scientifici presentati a congressiinternazionali e nazionali di oncologia medica e biologia moleco-lare (ASCO, AIOM, AACR). Principali settori dʼinteresse sono lʼon-cologia dei tumori gastroenterici e lo screening del carcinoma delcolon retto, di cui è autore di diversi lavori scientifici.

Stefano Comazzi DVM, phD, Dipl ECVCPPer tre anni direttore sanitario di un laboratorio privato di analisi ve-terinarie di Milano, a prevalente attività in ematologia, chimica clini-ca e citologia. Dal 2002 è diplomato allʼEuropean College of Vete-rinary Clinical Pathology (ECVCP). Attualmente ricercatore pressoil Dipartimento di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica Ve-terinaria dellʼUniversità degli Studi di Milano, dove è docente dei mo-duli di Neoplasie ematologiche e Disordini emopoietici nellʼambitodei corsi di laurea in Medicina Veterinaria. È stato inoltre docentedel corso di tecniche diagnostiche laboratoristiche presso lʼUniver-sità di Udine. La sua attività scientifica verte prevalentemente suaspetti di patologia clinica, con particolare riferimento alle malattielinfomieloproliferative dei piccoli animali e agli aspetti citofluorime-trici in corso di differenti patologie degli animali domestici. È statomembro dellʼeditorial board della rivista internazionale VeterinaryClinical Pathology e autore di più di 40 pubblicazioni su riviste in-ternazionali con impact factor e di più di 100 pubblicazioni tra rivi-ste nazionali e atti di congressi, nonché di capitoli di libri, tra cui laVI edizione dello Schalmʼs Veterinary Hematology.

Riccardo FinotelloDVM, PhD, MRCVSLaureato in Medicina Veterinaria allʼUniversità di Pisa nel 2007, haconseguito il titolo di philosophical doctor in Medicina Veterinaria pres-so la stessa Università nel 2011. Autore e coautore di articoli scienti-fici su riviste nazionali e internazionali, ha presentato poster e lavoriscientifici a congressi nazionali e internazionali. Nel 2008 è stato fel-low visitor presso il Dipartimento di Patologia Umana e Oncologia del-lʼUniversità di Firenze. Dal 2009 al 2010 è stato coresponsabile delservizio di oncologia medica dellʼOspedale Didattico Veterinario Ma-rio Modenato dellʼUniversità di Pisa e nel 2010 è stato direttore delservizio di oncologia medica del Centro Oncologico Veterinario di Sas-so Marconi (Bologna). Dal 2010 è istruttore al master di II livello in on-cologia veterinaria dellʼUniversità di Pisa. Da novembre 2010 è resi-dent ECVIM-CA (Oncology) presso lo Small Animal Teaching Hospi-tal dellʼUniversità di Liverpool (Gran Bretagna). È membro SCIVAC,SIONCOV ed ESVONC.

Autori

VIII

Marianna RicciMD, OncologyLaureata a Bologna in Medicina e Chirurgia. Si è specializzata inmarzo 2012 alla scuola di specializzazione di oncologia pressolʼUniversità degli Studi di Ferrara. Attualmente collabora con il pro-fessor Dino Amadori presso IRST di Meldola (Forlì). Autrice di po-ster e lavori scientifici presentati a congressi nazionali e interna-zionali di oncologia medica (ASCO, AIOM, ISO). Ha pubblicatolavori scientifici su riviste nazionali e internazionali.Ha partecipato a stage formativi presso hospice in Paraguay e pres-so Oncologia Medica di Mwanza in Tanzania. Collabora con il Cen-tro di Osteoncologia di Meldola. Principali settori dʼinteresse sonolʼosteoncologia e tumori rari e la prevenzione oncologica.

Federica RossiDVM, Spec Rad Vet, Dipl ECVDILaureata nel novembre 1993 presso lʼUniversità degli Studi di Bo-logna, si è specializzata in radiologia veterinaria nel 1993 e si è di-plomata nel 2003 al college europeo di diagnostica per immagini. È autrice di oltre 40 pubblicazione scientifiche nazionali e interna-zionali, revisore di edizioni italiane di testi di diagnostica per imma-gini, inoltre coautore del testo di Radiologia del cane e del gatto (Po-letto editore, 2005), del Manuale di ecografia del cane e del gatto(BSAVA, 2011) e del testo Veterinary Computed Tomography (Wi-ley-Blackwell, 2011). Dal 2007 al 2010 è stata presidente della Società Veterinaria Italia-na di Diagnostica per Immagini (SVIDI) e dal 2006 al 2009 presi-dente dellʼEAVDI (European Association of Veterinary DiagnosticImaging). Dal 2010 è presidente SCIVAC. Dal 1993 lavora come libero professionista, svolgendo attività direferenza in diagnostica per immagini a Sasso Marconi (Bologna),dove si occupa di radiologia, ecografia e tomografia computeriz-zata. Svolge attività di ricerca nel campo dellʼecografia con mez-zi di contrasto. Presta, inoltre, la sua attività presso il Centro Oncologico Veterina-rio (Sasso Marconi, Bologna), primo centro di radioterapia veteri-naria italiano, di cui è una dei soci fondatori.

Damiano StefanelloDVM, PhD (Oncologia Veterinaria Comparata) - RicercatoreLaurea con lode conseguita a Milano nel 1999. Nel 2004 conse-gue il titolo di Dottore di Ricerca in Oncologia Veterinaria e Com-parata. Attualmente è ricercatore universitario presso la Facoltàdi Medicina Veterinaria di Milano, dove si occupa esclusivamen-te di oncologia clinica, in particolare canina e felina. È responsa-bile dellʼUnità di Chemioterapia Oncologica Veterinaria pressolʼOspedale Veterinario di Lodi del Polo Universitario di Lodi. Dal2011 è vicepresidente della Società Italiana di Oncologia Veteri-naria (SIONCOV-SCIVAC). Autore e coautore di diverse pubbli-cazioni internazionali, ha presentato lavori scientifici a congressinazionali e internazionali e ha partecipato in qualità di relatore acongressi italiani aventi come tema lʼoncologia veterinaria.

Prefazione

IX

Sono passati sette anni dallʼavventura del primo testo italiano di oncologia veterinaria e que-sto periodo, tutto sommato breve, ha visto unʼenorme evoluzione in campo scientifico, la na-scita del primo centro di radioterapia in Italia, la formazione professionale di nuovi resident,che nel prossimo futuro diventeranno specialisti in oncologia medica veterinaria. Questo nuovo testo di oncologia, seppur elaborato da una moltitudine di mani, condensalo stato dellʼarte in oncologia, preservando unitarietà concettuale e fornendo un impiantodidattico semplice e immediato. Questo manuale ha lʼambizione di completezza e pratici-tà: con ciò mi auguro che sia di aiuto a chi di oncologia già si occupa e che possa avvici-nare alla materia chi invece è ancora soltanto curioso. Spero di riuscire almeno in partea trasmettere a chi legge lʼamore e lʼentusiasmo che nutro per questa materia.Ho fortemente desiderato il confronto con lʼoncologia umana (ricordiamoci che in campooncologico ci aiutiamo a vicenda): il professor Amadori e i suoi collaboratori Marianna eAndrea hanno partecipato con entusiasmo alla stesura di questo testo. Li ringrazio di cuo-re e sono sicura che tutti i lettori apprezzeranno la parte di oncologia comparata che com-pleta ogni capitolo.Questo libro non esisterebbe senza il contributo dato dai coautori di grande grido, non so-lo tutti eccellenti professionisti, ma anche e soprattutto amici, che hanno accettato con en-tusiasmo di partecipare alla stesura di questʼopera, creando un lavoro straordinario. No-nostante la coralità di messaggi, emerge lʼallenamento al dialogo e al confronto recipro-co, portando spesso al ripensamento critico delle proprie verità. Ragazzi, grazie, siete mitici!!!

Ringrazio Damiano (demien), per tutto quello che abbiamo vissuto insieme, per la lungastrada percorsa (quasi) mano nella mano, per il reciproco sostegno, incoraggiamento, sfo-go. Ma anche per tutte le chiacchiere extraoncologiche su skype.Ringrazio Federica (fede), per lʼentusiasmo che trasmette quando lavora, per la profes-sionalità, ma anche per lʼamicizia che ci lega, dal primo incontro a Roma allʼattuale con-divisione delle nostre giornate.Ringrazio Giuliano (obama), da anni il “mio” patologo: ti fai inseguire, non ti fai trovare, mifai fare duemila telefonate, ma alla fine riesci sempre a fare le magie.Ringrazio Julia (giulibuc), guerriera, dose-intensa, dolcissima: lavorare e confrontarmi conte, imparare da te, giorno dopo giorno, caso dopo caso, è stato straordinario.Ringrazio Riccardo (ric), per tutte le cose che abbiamo fatto insieme. Hai visto come seiandato lontano? Only the braves … sai che occupi un posto speciale.Ringrazio Stefano (il biondo), perché lʼoncoematologia può diventare divertente.

PREFAZIONE(Laura Marconato)

Prefazione

X

Ringrazio Ugo (hugh), amico da sempre, semplicemente meraviglioso. Ci lega tanta vitavissuta insieme (siamo vecchi), non potrei fare a meno di te (e neanche dei soprannomiche mi dai, -Bree-).Ringrazio Vincenzo, che ha creduto di nuovo in me, dandomi la possibilità di scrivere que-sto trattato.Ringrazio Eliana, non solo editrice di questo testo, ma anche unʼamica che mi ha sempresostenuto molto, non solo professionalmente. Ringrazio anche il fantastico, paziente te-am che la circonda e che ha fatto ancora una volta un lavoro eccellente.Ringrazio i miei genitori: il mondo può crollare, ma voi ci siete (ed è bello saperlo). Rin-grazio la mia sorellina scapestrata: Kopf hoch!

Dedico questo lavoro a due persone speciali.

A Tommaso: “Sogna ciò che ti va. Sii ciò che vuoi essere. Perché hai solo una vita e unasola possibilità di fare le cose che vuoi fare dentro di te” (Paolo Coelho). Ho cercato di ru-barti il minor tempo possibile, scrivendo mentre tu dormivi o non cʼeri; grazie piccolo mio:mi fai venire voglia di essere una persona migliore.Allʼuomo che mi ha insegnato che i sogni devono passare attraverso i muri di pietra.

Sasso Marconi (Bologna), marzo 2012

Prefazione

XI

Da quando, più di centocinquanta anni fa, Charles Darwin pubblicò la prima edizionedellʼ Origine della specie, il dibattito filosofico, scientifico e teologico sullʼorigine della spe-cie umana è tuttora aperto e le diverse posizioni culturali si stanno affrontando, senza chesi sia ancora raggiunto un livello di sintesi condiviso.Per molto tempo il dibattito si è sviluppato più a livello filosofico e teorico che non a livel-lo biologico e scientifico, determinando così un conflitto, talora fazioso e intollerante, fradue correnti contrapposte, lʼevoluzionistica e la creativistica.Nel tempo, molte evidenze scientifiche si sono accumulate a dimostrazione della “vici-nanza biologica” fra le due specie, umana e animale, e il contributo apportato dalla ge-netica a questa dimostrazione è stato fondamentale.Oggi si sa che i genomi delle diverse specie possono essere paragonati e dal confrontoemerge che le maggiori somiglianze si registrano fra specie che si sono separate in tem-pi più recenti.Allorché si consideri quella componente del genoma che è costituita per 3-5 per cento daigeni in senso stretto, quelli cioè che codificano per specifiche proteine cellulari e ne con-dizionano il comportamento biologico, e che per 30-35 per cento è costituita dalle regionidi controllo degli stessi geni, le somiglianze fra specie umana e i primati animali supera-no 98 per cento, facendo ipotizzare che la separazione fra le due specie sia il più recen-te degli eventi evolutivi.Resta tuttavia un buon 60-65 per cento del genoma del quale ancora oggi non si cono-scono le funzioni e che, per questo motivo, viene definito genoma “oscuro” o “in eccesso”o addirittura genoma “spazzatura”, per significare che esso non svolge in realtà alcunafunzione biologica.Un fenomeno di grande interesse è lʼosservazione che le sequenze dei geni in senso stret-to sono molto più conservate, quindi simili nei genomi di specie diverse, rispetto a quelledi tutte le altre regioni, e che quella componente del genoma cosiddetta “oscura” o “in ec-cesso” è caratterizzata da un passaggio più fluido e libero da una specie allʼaltra.Comʼè facile comprendere, soprattutto se si rimane fermi allʼaspetto biomolecolare delle re-lazioni fra specie umana e altre specie animali, ancora molto lavoro deve essere fatto per co-noscere appieno, sempre che questo sia mai possibile, come sia avvenuta e se sia realmenteavvenuta la derivazione evoluzionistica dellʼuomo dalle specie animali a lui più vicine.Più recentemente, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, lʼattenzione delle ricer-che sulle possibili relazioni evolutive fra uomo e altre specie animali si è spostata al livel-lo più alto dellʼintegrazione fra le proprietà biologiche e le proprietà funzionali, quello deicomportamenti.

PREFAZIONE(Dino Amadori)

Prefazione

XII

In base a studi di psicologia comparata e di eziologia cognitiva, volti a verificare se puòessere dimostrata una “continuità mentale” fra uomo e animali, sembra che la mente ani-male possa possedere un “kit cognitivo” di base che potrebbe attribuire agli animali ca-pacità di apprendimento, di memorizzazione, dʼinterazione sociale, di rappresentazionedegli oggetti e anche rudimenti della nozione di spazio, di tempo e persino generica ca-pacità di soluzione di problemi. Se si ammette che i diversi componenti del “kit cognitivo”possono essere più o meno sviluppati in funzione della specifica pressione selettiva del-lʼambiente di una determinata specie, ne deriva che il grado dʼintelligenza di soggetti ap-partenenti a specie diverse è legato a specifiche pressioni ambientali subìte nel corso del-la loro filogenesi.Guardando poi al comportamento sociale, recenti studi hanno messo in evidenza che i com-portamenti dellʼuomo e degli animali sono mediati da processi neurochimici omologhi, piùspecificamente dai neuropeptidi. I neuropeptidi, lʼossitocina in particolare, sembrano essere,secondo questi studi, la radice “neurochimica” dalla quale prendono origine molteplici aspet-ti del comportamento sociale degli animali, fra questi il rapporto protezionistico della madreverso il figlio e il reciproco attaccamento, le vocalizzazioni sessuali nei pesci, negli anfibi, ne-gli uccelli e nei mammiferi. Nei primati, lʼossitocina sembrerebbe mediare anche processi psi-cocomportamentali molto complessi, come lʼempatia e lʼaltruismo. Un dato ancora più sor-prendente, emerso dagli studi di zooantropologia e pet-therapy, è che il rilascio di ossitocinapuò essere provocato anche dallʼinterazione fra uomo e cane!È un dato obiettivo lʼevidenza che lʼinteresse fra le somiglianze e le differenze che distin-guono lʼuomo dalle altre specie animali si sta estendendo a più di una disciplina del gran-de universo della conoscenza dellʼuomo e della sua origine. Tuttavia, fino a oggi tutte lericerche si sono rivolte esclusivamente alle dinamiche “fisiologiche” del rapporto evoluti-vo fra specie umana e altre specie animali.Ma come stanno le cose dal punto di vista delle differenze/somiglianze fra uomo e ani-male nel campo della patologia? È ormai di accezione comune il concetto che se cʼè unamalattia “genetica” per definizione, questa è il cancro. Lo è per la sua genesi, per i mec-canismi che ne regolano la progressione, per il condizionamento genetico della rispostao della resistenza ai trattamenti specifici, per la stessa natura ereditaria o sporadica e peril definitivo esito della malattia.Molti dei successi e dei fallimenti terapeutici, soprattutto di quelli farmacologici, che si re-gistrano nei tumori maligni hanno una base farmacogenetica, che condiziona anche granparte degli effetti tossici delle terapie antiblastiche. Come stanno le cose a questo proposito nel mondo animale?Quali sono le caratteristiche epidemiologiche, cliniche ed evolutive della patologia onco-logica nelle due specie, umana e animale?Sono questi gli interrogativi che hanno stimolato la nostra curiosità e che ci hanno spintoa produrre questa opera di oncologia comparata, anche se il nostro lavoro si è limitatosemplicemente a presentare lo stato dellʼarte della diagnosi, della caratterizzazione isto-logica e molecolare e della terapia dei tumori osservati nellʼuomo e nellʼanimale.Ben altri approfondimenti sono necessari per rispondere a quasi tutte le domande che hosopra formulato, ma non è escluso che a questa prima fatica editoriale non possa far se-guito un successivo, ancora più affascinante lavoro di ricerca in un settore della cono-scenza umana che attiene al mistero più profondo del nostro essere, quello della nostraorigine e del nostro destino ultimo.

Meldola (Forlì), aprile 2012

PARTE GENERALE

cap 1 1-9:gabbia 28-05-2012 16:29 Pagina 1

capitolo 1

APPROCCIO AL PROPRIETARIO DEL PAZIENTE ONCOLOGICO

Damiano Stefanello

Il medico veterinario che svolge la propria attivitàrelazionandosi con proprietari di cani e gatti utiliz-za costantemente la comunicazione come stru-mento dʼinterazione. La comunicazione rappresentalo strumento primario del rapporto interpersonale,che viene utilizzato in qualsiasi ambito lavorativo enon, per ottenere e dare informazioni: infatti, è am-piamente riconosciuto che ogni rapporto interper-sonale inizia, prosegue, si modifica e finisce attra-verso un rapporto di comunicazione. Nellʼattività clinica il medico veterinario utilizza lacomunicazione e, in particolare, quella di tipo ver-bale come principale strumento per interagire conil proprietario mediante intenti differenti, che vannodalla gestione quotidiana del “pet” (alimentazione,igiene, comportamento e profilassi vaccinali), allanecessità di approfondire riscontri clinici con esa-mi più approfonditi, proposte terapeutiche, comu-nicazione di eventuale insuccesso terapeutico, fi-no alla comunicazione della scelta eutanasica. Èinfatti ampiamente riconosciuto che lʼattività clinicadel medico veterinario è caratterizzata da elevataesposizione verbale e non, nei confronti del pro-prietario che avanza spesso richieste di successoterapeutico garantito, di prognosi favorevole o chenon infrequentemente misura la necessità di un in-tervento sanitario con i costi di prestazioni e noncon lʼobbiettivo principale di migliorare qualità di vi-ta e/o quantità di vita del pet.

Lʼoncologia clinica del cane e del gatto è presen-te in ambito pratico da molti anni in Italia, anchese le possibilità diagnostiche e terapeutiche sonomutate e sono state fortemente migliorate, graziea tecnologia e maggior professionalità di mediciveterinari, che con caparbietà e studio hanno con-sentito di raggiungere standard di gestione deci-samente elevati nella pratica clinica. È però do-veroso sottolineare che tecnologia e professiona-lità del medico veterinario sono stati fortemente

aiutati da proprietari sempre più disposti a sotto-porre i propri animali a trattamenti, che hanno co-me obbiettivo principale non la cura, ma il miglio-ramento di qualità di vita: è il caso, per esempio,di alcune malattie linfoproliferative, tra cui linfomae leucemie acute. La diversa predisposizione delproprietario a investire tempo e denaro nella ge-stione di malattie oncologiche canine e feline è ingran parte dovuta al mutato ruolo da semplici ani-mali da compagnia a reali componenti della fami-glia. Il medico veterinario si confronta con pazienticanini e felini che sempre più spesso sono consi-derati componenti attivi del nucleo familiare, tan-to che da essi o su di essi dipendono e ricadono irapporti affettivi dei componenti stessi della fami-glia. Non è più insolito che scelte diagnostiche eterapeutiche e prognosi dichiarata dal medico ve-terinario siano non infrequentemente messe in di-scussione dal proprietario per diverse ragioni, chespesso sorprendentemente esulano dai rapportidi fiducia con il professionista, ma che esprimonoda parte del proprietario un rapporto di dipenden-za dal e del pet.È naturale pertanto considerare che il ruolo di co-municazione in oncologia veterinaria sia strategi-co non solo da un punto di vista di rapporto com-merciale veterinario-cliente, ma di gestione sani-taria del problema oncologico in funzione di rap-porto tra pet e proprietario. In medicina umana,nelle varie specialità cliniche, il ruolo di comuni-cazione è considerato strategico, rilevato dallʼesi-genza di suggerire specifici corsi postlaurea dedi-cati. La carenza in ambito di comunicazione è so-prattutto avvertita in oncologia clinica, dove piùspesso vengono messe a dura prova le abilità co-municative dellʼoncologo. In medicina veterinaria,il clinico che si dedica allʼoncologia e ovviamentelo specialista in oncologia deve tenere in consi-derazione la comunicazione come strumento perinteragire con il proprietario nellʼintento di aiutarlo

PARTE GENERALE

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cap 1 1-9:gabbia 28-05-2012 16:29 Pagina 2

capitolo 1Approccio al proprietario del paziente oncologico

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a compiere scelte oggettive che diano possibilitàdi trattamento e, dove possibile, di cura a cani egatti con neoplasia. Il ruolo di comunicazione in oncologia veterinariae in medicina veterinaria, in generale, assume ele-vata importanza se si considera che il proprieta-rio decide per il suo pet e che il veterinario si in-terfaccia non direttamente con il paziente ma conil suo tutore, che in molti casi assume sempre piùi connotati del proprietario-genitore, avvicinandomedico veterinario e specialista in oncologia ve-terinaria, almeno per la gestione dei consulti, allospecialista in oncologia pediatrica.Per tutti questi motivi verranno descritti, seppurparzialmente, meccanismi ed elementi di comuni-cazione, per meglio introdurre e comprendere lʼim-portanza di una buona gestione del proprietariodel paziente oncologico e indagare suoi potenzialimeccanismi decisionali nelle diverse fasi della ma-lattia oncologica (comunicazione di diagnosi, te-rapia, eventuale fallimento terapeutico ed euta-nasia), con il primario obbiettivo di fornire una co-municazione onesta ed efficace.

È innanzitutto importante riconoscere la comuni-cazione come processo dinamico, che prevede co-dificazione e interpretazione di qualsiasi cosa det-ta e fatta di fronte a un interlocutore. Scambio dimessaggi e successiva decodifica avvengono tradue attori della comunicazione, che nel caso spe-cifico della medicina veterinaria sonoemittente, chesʼidentifica con il medico veterinario, e ricevente,che sʼidentifica con il proprietario-genitore. La prima regola che si deve tenere in considera-zione è che il medico veterinario, in qualità di emit-tente, deve essere conscio di regole di comuni-cazione nellʼintento di codificare un messaggiochiaro e facilmente comprensibile per il ricevente.La seconda regola è di prevedere, almeno in par-te, possibili reazioni e domande dellʼemittente, perdecodificare i suoi messaggi in modo corretto eadeguato, nellʼintento di disporre di comunicazio-ne persuasiva per ottenere permesso e consensodi gestione clinico-oncologica del pet.Il medico veterinario, pertanto, come attore prin-cipale di comunicazione in un contesto clinico chefornisce parere sanitario, deve soprattutto sapereche le variabili che possono condizionare il pro-cesso comunicativo sono molteplici ed è altresì in-dispensabile riconoscere che lo stile comunicati-vo si modifica nel corso degli anni, rischiando spes-so dʼimpoverirsi di dettagli, se quotidianamente il

modo di comunicare non subisce analisi critica co-struttiva e adeguato aggiornamento, rifacendosi aregole generali di comunicazione. A questo propo-sito è doveroso ricordare che medici e medici ve-terinari che si occupano esclusivamente di una spe-cialità tendono a comunicare le medesime infor-mazioni e a rispondere alle medesime domandequasi tutti i giorni. Questa ripetitività rischia di com-promettere la qualità di comunicazione, in quantolo specialista tende a dare per scontato informa-zioni, dettagli e priorità che nella maggior parte deicasi non sonoconosciuti dallʼinterlocutore.Per que-sto motivo, è indispensabile rifarsi a uno schemagenerale, che consenta di esprimere un modellocomunicativo bidirezionale e che, al tempo stesso,non risenta in modo compromettente di variabili oc-casionali, come stato dʼanimo, debolezze o, moltopiù comunemente, stanchezza e stress.

È fondamentale che il medico veterinario intera-gisca con il proprietario, utilizzando una comuni-cazione cosiddetta bidirezionale, dove a codifica-re e decodificare i messaggi sono emittente e ri-cevente simultaneamente. Tuttavia, è anche im-portante ricordare che il modo in cui i messaggisono codificati e decodificati sia da emittente siada ricevente dipende da atteggiamenti, conoscenze,valori e aspettative dei rispettivi attori. Atteggia-menti, conoscenze, valori e aspettative riassumo-no personalità ed esperienze vissute di una per-sona e, pertanto, ne condizionano il modo di co-dificare e decodificare un messaggio. Sicuramen-te le strategie comunicative risultano più efficacise lʼinterlocutore è conosciuto da tempo, in quan-to le informazioni disponibili da parte del medicoveterinario sul ricevente riescono a essere cali-brate e mirate. La conoscenza approfondita del-lʼinterlocutore è possibile se il proprietario è giàcliente della clinica veterinaria e questo può age-volare lʼemittente nel comunicare le cosiddette cat-tive notizie, poiché il messaggio da codificare ri-sulta essere meglio contestualizzato. In realtà, quando il consulto è gestito da uno spe-cialista, è molto probabile che lʼemittente dispon-ga di poche informazioni sul ricevente (proprieta-rio-genitore) e abbia poco tempo per instaurareuna comunicazione bidirezionale giusta e onesta.Per questo motivo, la conoscenza di idee e con-vinzioni del proprietario-genitore, per quanto ge-neriche, consente al medico veterinario di affron-tare in modo corretto almeno il primo consulto, cheda sempre è considerato cruciale, anche in onco-

cap 1 1-9:gabbia 28-05-2012 16:29 Pagina 3

PARTE GENERALE

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contatto con la mucosa vescicale, comportandoalterazioni irreversibili, tra cui edema, necrosi, emor-ragia, fibrosi e mineralizzazione distrofica. Clini-camente,si osserva cistite emorragica inizialmentesterile, che tende a diventare settica in seguito anecrosi mucosale. Lʼuso a lungo termine di ciclo-fosfamide ad alte dosi può provocare carcinomauroteliale a carico di vescica.

• Lʼuso prolungato di agenti alchilanti, in generale(per esempio, per il trattamento di linfoma multi-centrico nel cane), può comportare la comparsadi secondo tumore (prevalentemente sarcomi) me-si/anni dopo il termine della chemioterapia.

• Alcuni ingredienti presenti in prodotti antiparas-sitari, tra cui petrolio, poliesteri e xilene, sono sta-ti associati a sviluppo di carcinoma uroteliale divescica nel cane. Si è visto, infatti, che cani espo-sti a insetticidi topici hanno rischio maggiore disviluppare tumore vescicale.

• Uno studio ha dimostrato correlazione significa-tiva tra esposizione a erbicida acido 2,4-diclorofe-nossiacetico (2,4-D) e linfoma nel cane. Lo studioconcludeva che i proprietari di cani con linfoma ap-plicavano lʼerbicida più frequentemente rispetto aproprietari di cani sani. La stessa osservazione èstata fatta in seguito a studi epidemiologici uma-ni, che hanno riportato modesta associazione traesposizione a 2,4-D e maggiore rischio di svilup-pare linfoma non Hodgkin nellʼuomo, paragonabi-le istologicamente a quello canino.

• Asbesto, materiale utilizzato in edilizia, comprendeuna famiglia di silicati fibrosi. Lʼesposizione a fi-bre di asbesto è stata correlata allo sviluppo, nel-lʼuomo e negli animali domestici, di mesotelioma,raro tumore maligno delle cellule epiteliali che ri-vestono le cavità celomiche del corpo, ovvero ca-vità pleurica, pericardica e peritoneale. Le fibrepiù sottili, una volta inalate, tendono a depositar-si in vie aeree terminali e negli alveoli e sono re-sponsabili di un processo infiammatorio iniziale,che porta lentamente a trasformazione malignadi cellule mesoteliali. Uno studio ha dimostratoche anche i cani esposti ad asbesto sono più a ri-schio per lo sviluppo di mesotelioma, in partico-lare quelli che vivono in ambiente urbano.

• Dalla combustione di tabacco si liberano so-stanze irritative e cancerogene, tra cui idrocar-buri policiclici aromatici e N-nitrosamine. Gli ef-fetti tossici e cancerogeni di fumo di sigaretta sitraducono a livello polmonare in alterazioni strut-turali irreversibili di bronchi e alveoli, incapacitàfunzionale di difesa umorale e cellulare e, in ul-

fomi mediastinico, multicentrico, extranodale eleucemico rappresentano le forme più comune-mente associate a infezione con FeLV.

• FIV è un lentivirus morfologicamente simile al vi-rus dʼimmunodeficienza umana (HIV), ma anti-genicamente diverso. FIV si trasmette per ino-culazione diretta di saliva o sangue attraversoferite da morso; sʼipotizzano inoltre trasmissioniveneree, durante gravidanza, parto o allatta-mento. FIV replica in linfociti T CD4+ e CD8+,linfociti B, macrofagi e astrociti. Lʼinfezione conFIV predispone alcuni gatti allo sviluppo di linfo-ma; possibili motivi sono cronica deficienza delsistema immunitario oppure attivazione di mec-canismi dʼazione oncogeni che facilitano la tra-sformazione maligna delle cellule. Di solito, sitratta di linfoma extranodale, che interessa gat-ti adulti e anziani.

• FeSV è un raro ibrido che deriva da ricombina-zione tra FeLV esogeno e protoncogeni conte-nuti nel genoma felino; pertanto, gatti infettati daFeSV sono sempre FeLV-positivi. FeSV provo-ca lʼinsorgenza di fibrosarcomi che, contraria-mente a quelli non FeSV-indotti, sono multicen-trici e si sviluppano in gatti giovani. La crescita èmolto rapida, con tempo di raddoppiamento spes-so < 12-72 ore. Le lesioni sono in genere loca-lizzate in corrispondenza di ferite o morsi.

Cancerogenesi chimica

I composti chimici riconosciuti come cancerogeninegli animali sono molteplici e la loro pericolositàè legata alla produzione di radicali che interagi-scono con DNA cellulare, danneggiandone la cor-retta struttura chimica. Le sostanze cancerogenedevono quasi sempre essere metabolizzate in com-posti attivi a livello epatico per mezzo del sistemamicrosomiale. Agenti cancerogeni sono:

• composti organici (benzene, idrocarburi policiclici,amine aromatiche, agenti alchilanti, derivati ani-linici, azocomposti);

• composti inorganici (arsenico, asbesto, ferro, cro-mo, nichel, berillio, cobalto).

• Ciclofosfamide è un agente alchilante citotossicoutilizzato in molti protocolli chemioterapici in pa-zienti sia umani sia animali. Ciclofosfamide vienedecomposta in mostarda fosforamidica (compo-sto attivo) e acroleina (composto tossico). Acro-leina è escreta intatta nelle urine, dove viene a

capitolo 2Epidemiologia ed eziologia neoplastiche

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tima analisi, crescita tumorale. Gli effetti nocividel fumo di sigaretta negli uomini sono noti damolto tempo, ma recentemente è stata rilevatalʼimportanza epidemiologica del fumo passivoanche in animali domestici. Uno studio recenteha dimostrato che gatti che convivono con fu-matori sono due volte più a rischio di sviluppa-re linfoma e la percentuale aumenta con nume-ro di sigarette fumate, numero di fumatori perambiente domestico e durata dellʼesposizione.Il gatto esposto al fumo passivo non solo lo ina-la, ma ne ingerisce le particelle che si deposita-no sul suo mantello durante il leccamento.

• Gatti esposti a fumo passivo hanno inoltre rischioaumentato di sviluppare carcinoma squamocel-lulare (SCC) orale. Gatti i cui proprietari fuma-vano 1-19 sigarette al dì avevano rischio au-mentato di 4 volte di sviluppare SCC rispetto agatti che vivevano in ambiente privo di fumatori;tale differenza era statisticamente significativa.

• Anche cani esposti a fumo passivo o aria inqui-nata sono maggiormente a rischio di svilupparetumori polmonari.

• Gatti che indossavano collari antipulci avevanorischio aumentato di 5 volte di sviluppare SCCorale rispetto a gatti-controllo, attribuibile a vici-nanza tra pesticidi e cavo orale. Lʼuso regolaredi shampoo antiparassitari riduceva invece il ri-schio di sviluppare SCC orale di 90 per cento,dal momento che i bagni frequenti rimuovonocontaminanti chimici dal mantello, con seconda-ria ridotta assunzione orale durante la pulizia.

• Gatti alimentati con cibo umido (in particolare, abase di tonno) avevano rischio di 3-5 volte su-periore rispetto a gatti-controllo di sviluppare SCCorale. Gatti alimentati con cibo secco hanno, in-fatti, ridotto accumulo di tartaro e, conseguente-mente, migliore igiene orale. Anche nellʼuomo lascarsa igiene orale è stata associata a maggio-re rischio di sviluppare SCC.

• La residenza in aree urbane inquinate aumentail rischio di sviluppare SCC tonsillare nel cane.Lʼemissione di sostanze tossiche (tra cui diossi-na) da rifiuti urbani incendiati favorisce cancero-genesi nellʼuomo e nel cane. In questʼultima spe-cie, il rischio di sviluppare linfoma è aumentatodi 2,39 volte.

Cancerogenesi fisica

Gli agenti fisici cancerogeni sono radiazioni ultra-violette, radiazioni ionizzanti e corpi estranei.

• Le radiazioni ultraviolette (UV) appartengono aspettro elettromagnetico a corta lunghezza dʼon-da adiacente alla zona di violetto di luce visibile. Èstato dimostrato che le radiazioni di lunghezzadʼonda compresa tra 290 e 320 nm (UV-B) hannoruolo patogenetico importante, poiché alterano ilsistema immunitario e danneggiano direttamenteil DNA. Un esempio molto indicativo è lo svilupponegli animali a mantello bianco di SCC cutaneo inseguito a esposizione a raggi del sole, oppure incorrispondenza di aree glabre del corpo, come,per esempio, planum nasale, addome o estremi-tà di padiglioni auricolari (figure 2 e 3). La lesioneiniziale è caratterizzata da dermatosi che evolvesuccessivamente a carcinoma. Lʼazione cancero-gena è dose-dipendente ed è legata a esposizio-ne cronica e cumulativa, anziché a unica dose.

• Lʼenergia di radiazioni ionizzanti determina undanno a carico di DNA, con conseguenti altera-zioni mutagene e oncogene. Nellʼuomo, ma an-

Figura 3 - Carcinoma squamocellulare UVA-indotto, che interes-sa padiglione auricolare di gatto a mantello chiaro.

Figura 2 - Carcinoma squamocellulare UVA-indotto su planum na-sale in gatto.

PARTE GENERALE

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capitolo 4

CANCRO E PATOLOGIA

Giuliano Bettini

Ruolo del patologo

Il compito del patologo nella gestione del pa-ziente oncologico, o sospetto tale, è innanzituttola diagnosi. Il cancro è una malattia della prolife-razione cellulare e la conferma certa di natura etipo di malattia tumorale che si sta verificando inun animale (ovvero, la diagnosi) può derivare atuttʼoggi solo dallʼesame microscopico delle cellu-le, con tecniche di citologia o dʼistologia.In un concetto attuale di oncologia, inoltre, la sem-plice affermazione se si tratta di tumore o meno, ese benigno o maligno, non è più considerata suffi-ciente. Lʼidea che non tutte le neoplasie malignesono ugualmente maligne è ormai assodata e alpatologo è spesso chiesto di fornire informazionicorrelate al comportamento biologico, per esem-pio, tramite formulazione del grading istologico oapplicazione di metodiche immunoistochimiche obiomolecolari. Nelle neoformazioni asportate chi-rurgicamente, inoltre, il patologo deve anche pro-nunciarsi su completezza di escissione chirurgica.Il patologo svolge quindi ruolo cardine nellʼonco-logia, che spesso va oltre la diagnosi. Collabora-zione tra clinico e patologo significa che entrambidevono cooperare per ottenere il migliore risulta-to possibile e cioè diagnosi attendibile e maggio-re quantità possibile di altre informazioni, utili perdefinizione di prognosi e pianificazione di miglio-re strategia terapeutica. Affinché questa coopera-zione sia efficace, entrambi gli attori, clinico e pa-tologo, devono conoscere le peculiarità del lavo-ro dellʼaltro: il clinico, per mettere il patologo in con-dizione di applicare al meglio le sue cognizioni; ilpatologo, per avere chiaro quali sono le informa-zioni di cui il clinico ha maggiore necessità.In questo capitolo saranno passati in rapida ras-segna gli aspetti del lavoro del patologo che de-vono essere meglio noti al clinico, per quanto at-tiene a campionamento, refertazione, grading isto-

logico e valutazione dei margini. Nel capitolo suc-cessivo, saranno esemplificate alcune ulteriori de-terminazioni cui il patologo può ricorrere per per-fezionare la diagnosi o per fornire informazioni ag-giuntive (istochimica, immunoistochimica, micro-scopia elettronica, biologia molecolare).

Corretta gestione del campione

Il lavoro del patologo inizia dal campione, ov-vero dal frammento di tessuto prelevato con ido-nee metodiche (biopsia) che, dopo opportuni trat-tamenti, in laboratorio sarà trasformato in prepa-rato istologico da esaminare al microscopio. Labiopsia è il ponte attraverso cui inizia il dialogo traclinico e patologo. Affinché questo dialogo sia ef-ficace, è però necessario che il patologo sia con-scio di difficoltà e limitazioni cui può essere sotto-posto il clinico nel prelevare un campione e il cli-nico deve conoscere le fasi che portano a realiz-zazione di preparato istologico e le modalità concui si svolge lʼesame istologico e si raggiunge ladiagnosi, per comprenderne le limitazioni.I campioni destinati allʼesame istologico possonoderivare da biopsie incisionali o escissionali. Labiopsia incisionale è eseguita con bisturi o altristrumenti taglienti come punch, tru-cut, pinze en-doscopiche, secondo caratteristiche e localizza-zione del tessuto che deve essere campionato, esi limita al prelievo di un piccolo frammento. Labiopsia escissionale consiste nellʼasportazione chi-rurgica dellʼintera lesione, su cui è successiva-mente condotto lʼesame istologico (limitata a casiin cui è stato precedentemente condotto esamecitologico o a rari casi in cui la procedura chirur-gica è scarsamente condizionata da diagnosi: peresempio, splenectomia). Indipendentemente dal-le modalità con cui è eseguito il prelievo, si elen-cano di seguito alcuni suggerimenti al riguardo,che mirano a evitare che il prelievo bioptico risul-

cap 4 26-34:gabbia 28-05-2012 16:30 Pagina 26

capitolo 4Cancro e patologia

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re i processi di autolisi e preparare il campionea successivi passaggi di laboratorio. Il liquido fis-sativo comunemente utilizzato è formalina peristologia, che si ottiene diluendo a 10 per centoformalina di commercio (ovvero, soluzione di for-maldeide a 40 per cento): i campioni sono per-tanto immersi in soluzione di formaldeide a 4 percento. La formalina, che normalmente è tampo-nata a pH 7-7,2 allo scopo di garantire migliorepreservazione delle caratteristiche del tessuto,determina fissazione del tessuto grazie a for-mazione di legami a ponte tra le proteine, piùprecisamente tra residui di lisina; tali legami nonmodificano in maniera determinante la strutturaproteica, per cui lʼantigenicità non viene perdu-ta e ciò consente anche la successiva applica-zione di metodi di rivelazione immunoistochimi-ca. La formalina ha buon potere di penetrazionenei tessuti ma, affinché la fissazione avvenga intempi rapidi in tutto il campione, è necessario chei pezzi non abbiano spessore > 6-7 mm e chesiano immersi in quantità sufficiente di fissativo(almeno 10 volte il volume del materiale da fis-sare). Il tempo necessario per avere fissazionecompleta varia in funzione di dimensioni e ca-ratteristiche del campione; generalmente, la fis-sazione è considerata completa dopo 24 ore, tra-scorse le quali il pezzo può essere avviato a suc-cessive procedure istologiche. La conservazio-ne di un campione in formalina non altera le ca-ratteristiche morfologiche per un tempo indefini-to (mesi, anni), ma può precludere la possibilitàdi ricorrere ad approfondimenti immunoistochi-mici. Il contenitore destinato a contenere cam-pione e formalina deve essere idoneo, e cioè in-frangibile, a chiusura ermetica, di dimensioni ade-guate, con apertura sufficientemente ampia dapermettere il comodo passaggio del pezzo fis-sato (la fissazione indurisce il tessuto).

• Identificazione e informazioni di accompagna-mento: molti laboratori di patologia fornisconomoduli di accompagnamento; in ogni caso, i da-ti essenziali da comunicare al patologo sono se-gnalamento, anamnesi, sintomatologia, aspettoe localizzazione della neoformazione, eventualiterapie attuate prima del prelievo, eventuali que-siti specifici; le informazioni clinico-anamnesti-che permettono al patologo di articolare megliole diagnosi differenziali e di fornire, quindi, re-sponsi più accurati; quando si inviano biopsiemultiple, se non espressamente specificato, il pa-tologo considererà tutti i campioni come prove-

ti in esito non diagnostico per motivi tecnici o ina-deguata pianificazione.

• Dimensioni: le biopsie incisionali sono spesso dipiccole o piccolissime dimensioni e ciò può ren-dere la diagnosi meno attendibile o impossibile.In linea di massima, in campioni il cui diametromaggiore è inferiore al millimetro possono esse-re apprezzate solo caratteristiche citologiche enon caratteristiche istologiche; tanto più è picco-lo il campione, maggiore è la possibilità che essocomprenda solo aree connettivali o di concomi-tante flogosi; i campioni ottenuti da tessuti friabilitendono a frammentarsi o addirittura a dissolver-si in formalina: in questi casi, può essere utile pro-curarsi gabbiette da istologia in cui inserire i cam-pioni o avvolgerli in carta prima di fissarli.

• Numero: tanto più piccoli sono i campioni, tantomaggiore deve essere il loro numero, per au-mentare le possibilità che il campione sia rap-presentativo; in ogni caso, mai un solo campio-ne; maggiori sono le dimensioni della massa,maggiore il numero di campioni da prelevare.

• Aree da campionare: evitare aree che allʼesamemacroscopico o alla diagnostica per immaginiappaiono necrotiche, emorragiche o cistiche; sesono evidenti aree di aspetto diverso, ognuna diqueste deve essere campionata; privilegiare areedove il tessuto appare compatto; di regola è piùprobabile che la porzione centrale di neoplasievoluminose sia necrotica; tuttavia, in alcuni casi(per esempio, osteosarcoma), deve essere pri-vilegiato il prelievo di aree centrali; in biopsieescissionali selezionare anche il punto di transi-zione tra tessuto normale e patologico, dal cuiesame è possibile avere utili informazioni su ti-po di accrescimento e potenziale infiltrante.

• Manipolazione: i piccoli campioni bioptici sonosoggetti ad artefatti da schiacciamento, soprat-tutto prima della fissazione. I campioni devonoessere estratti da pinza bioptica, punch o tru-cutcon la massima cura, aiutandosi con un ago edevitando lʼuso di pinze; i piccoli campioni non de-vono essere posti su garze o altro materiale as-sorbente, che ne determinerebbero la rapida di-sidratazione, ma eventualmente su apposita car-ta o spugnette imbevute di soluzione fisiologicao formalina; la fissazione deve avvenire subitodopo il prelievo: pertanto, il contenitore deve es-sere preparato con adeguato anticipo e pronta-mente disponibile.

• Fissazione: la fissazione ha lo scopo di blocca-

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PARTE GENERALE

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Alcuni autori consigliano, inoltre, lʼasciugatura ra-pida del materiale, specie se estremamente flui-do, al fine di ottenere migliore conservazione del-le cellule stesse.In particolare, per ottenere materiale derivante daversamenti cavitari (toracici o addominali), si puòricorrere allʼausilio della diagnostica per immagini(ecografia, in particolare); il prelievo viene effettua-to con aghi di diametro variabile e lʼanestesia loca-le è raramente necessaria. Come già si è detto inprecedenza, poiché il numero di cellule allʼinternodel fluido può essere estremamente variabile, il prin-cipale limite in questo tipo dʼindagine è rappresen-tato da scarsa o assente cellularità. I rischi colle-gati alla procedura sono limitatissimi e correlati apossibile perforazione di organi interni (come milza,intestino, polmoni) o accumulo di liquido nel sotto-cute. Il liquido prelevato viene, come già si è detto,in parte strisciato direttamente e in parte conserva-to in provette contenenti anticoagulante (EDTA), inattesa della processazione sopradescritta.

Colorazioni

Le colorazioni più frequentemente impiega-te in citologia neoplastica sono rappresentate da quel-le tipo Romanowsky. Queste colorazioni (Wright,Giemsa, Diff-Quik® o Hemacolor®) sono facili da uti-lizzare, da conservare e da interpretare. Ogni colo-razione possiede le sue caratteristiche procedure diimpiego e preparazione, che dovrebbero essere se-guite in generale, pur con alcune differenti possibili-tà di adattamento. Per esempio, strisci spessi, qualiquelli provenienti da linfonodi, fegato o midollo os-seo, possono necessitare di tempi più lunghi di colo-razione per permettere adeguata penetrazione di co-loranti allʼinterno di cellule, mentre strisci sottili, o abasso contenuto proteico, quali prelievi derivanti daliquido cefalorachidiano, urine, o trasudati puri, pos-sono richiedere tempi più brevi. È assolutamente necessario che i vetrini da sot-toporre a esame citologico non siano conservatiin prossimità di contenitori di formalina e non sia-no spediti insieme a contenitori che contengonoframmenti di tessuto da inviare allʼesame istologi-co: i vapori di formalina, infatti, tendono a pene-trare nelle cellule presenti sui vetrini e ad alterar-ne le caratteristiche tintoriali; in queste occasionile cellule assumono colorazione blu-verdastra eperdono i dettagli nucleocitoplasmatici; pertanto,il campione diventa spesso illeggibile e viene ri-chiesto un nuovo campionamento.

Per lʼinvio al laboratorio del campione prelevato, èsempre consigliabile utilizzare contenitori rigidi, al fi-ne di evitare la frantumazione dei vetrini inviati. Èinoltre necessario allegare al campione inviato tuttele informazioni relative al caso, compresi, evidente-mente, segnalamento e anamnesi accurate. È con-sigliabile, infine, utilizzare vetrini con banda sabbia-ta sulla quale scrivere, a matita, identificazione delpaziente e sito di provenienza del prelievo, quandovengono campionati siti di prelievo differenti.

Lettura citologica e interpretazione del campione

Premessa importante è rappresentata dallanecessità di adeguata esperienza da parte del cito-patologo, poiché ci si può spesso trovare di fronte aquadri citologici di difficile interpretazione: in tal caso,solo esperienza di base e continuo aggiornamentopossono aiutare chi interpreta il campione a rag-giungere una diagnosi precisa e accurata.Il campione sospetto per neoplasia viene esaminatodapprima a piccolo ingrandimento (10x o 20x), al fi-ne di valutare adeguatezza di preparazione e colo-razione, nonché qualità del preparato. Particolare at-tenzione deve essere prestata ai margini del prepa-rato stesso dove, in particolare per quanto riguardala citologia di lesioni a contenuto liquido e la citologiaesfoliativa, può spesso concentrarsi la maggior par-te di cellule diagnostiche. È opportuno, inoltre, pun-tualizzare che è consigliabile esaminare con accura-tezza i margini di campioni spessi, dove le cellule sidispongono in monostrato e si colorano, quindi, conmaggiore intensità e in maniera adeguata.Dopo la valutazione del campione a piccolo in-grandimento, questo viene accuratamente esa-minato a elevato ingrandimento (40x o 100x), alfine dʼinterpretare le caratteristiche nucleocito-plasmatiche delle cellule. Vengono in successio-ne riportati nel referto:

• qualità e adeguatezza del campione;• popolazione cellulare prevalente (se una prevale

rispetto alle altre);• descrizione citomorfologica di popolazioni cellu-

lari presenti;• commento e conclusione.

In particolare, occorre definire se le cellule presentisono normali, se rappresentano processo infiamma-torio, processo iperplastico/displastico o neoplasia.Campioni inconclusivi sono rappresentati da cam-

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capitolo 6Citologia oncologica e metodiche correlate

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pioni acellulari o ematici: in tal caso, può esserenecessario un secondo tentativo di campionamentocitologico, o lʼesecuzione di procedure diagnosti-che più invasive (come biopsia tissutale). Campio-ni “negativi per neoplasia” possono essere cam-pioni inconclusivi o campioni che, pur derivando datessuto neoplastico, non contengono cellule dia-gnostiche della patologia in atto. Lʼesame citopa-tologico deve essere sempre seguito da valutazio-ne istopatologica della neoplasia, anche in casi incui lʼesaminatore ritiene di aver raggiunto diagnosiconclusiva tramite lʼindagine citopatologica. Infine, la biopsia citologica linfonodale permettespesso lʼidentificazione di metastasi. Infatti, le no-tevoli differenze citomorfologiche delle cellule neo-plastiche metastatiche, rispetto al monomorfismodelle cellule linfoidi, sono spesso di notevole aiu-to nellʼidentificare il coinvolgimento linfonodale daparte di neoplasie maligne. La citologia linfono-dale, che può essere approntata sia su linfonodiesplorabili, sia su linfonodi allʼinterno di cavità cor-poree, permette quindi la corretta stadiazione (dif-fusione) del processo neoplastico.

Classificazione citologica delle neoplasie

Una delle finalità più importanti dellʼesame ci-tologico è rappresentata dalla differenziazione traprocesso neoplastico e processo infiammatorio.Altri fini dellʼesame citologico, nellʼambito del pro-

cesso neoplastico, sono rappresentati dalla defi-nizione dellʼorigine della neoplasia stessa e daltentativo di differenziare la neoplasia benigna daquella maligna.Nellʼambito della lettura di un esame citologico, rive-stono particolare importanza i criteri o caratteri di ma-lignità delle cellule che si esaminano, in particolareper neoplasie di origine epiteliale e mesenchimale.Si riconoscono:

• criteri di malignità generali, quali ipercellularità,pleomorfismo (variazione di forma delle celluledi uno stesso tipo), anisocitosi (variazione di di-mensioni delle cellule) e macrocitosi (aumentodi dimensioni delle cellule);

• criteri di malignità nucleare, quali anisocariosi,macrocariosi, nuclear molding, aumentato rap-porto nucleo/citoplasma, multinucleazione, irre-golarità della membrana nucleare, mitosi atipi-che, cromatina grossolana e irregolarmente di-stribuita e anomalie nucleolari (macronucleoli,nucleoli angolari);

• criteri di malignità citoplasmatica, quali basofilia,vacuolizzazioni, margini citoplasmatici irregola-ri o indistinti.

Nella valutazione del potenziale maligno di unaneoplasia si considerano, in particolare, criteri dimalignità generali e nucleari, più accurati nel de-finire il potenziale maligno di un tumore. I criteri dimalignità citoplasmatica rivestono invece impor-

Tabella I - Caratteristiche citologiche generali dei tumori. (Da: COWELL RL, TYLER RD, MEINKOTH JH ET AL, 2008;modificata).

categoria dimensione forma cellularità presenzadelle cellule delle cellule dei campioni di aggregati

epiteliale grandi rotonde di solito elevata sìangolate

mesenchimale piccole fusate di solito bassa no(cellule fusate) medie stellate

mastocitoma linfomarotondo- piccole rotonde di solito elevata nocellulare medie

tumore istiocitomavenereo

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raggiungere conte elevate, anche se aumenti delnumero di piastrine non sono eccezionali in corsodi neoplasie (più spesso in seguito a carenza diferro e flogosi). Va, inoltre, ricordato che alcuni far-maci, quali vincristina e, più raramente, cortisoni-ci, estrogeni e adrenalina inducono frequentementetrombocitosi, anche considerevole (figura 2). Le trombocitopenie risultano invece più frequen-temente associate a coagulazione intravasale dis-seminata, ipoplasia midollare (da mielottisi o ca-chessia neoplastica), occasionalmente a radia-zioni o a farmaci (anche chemioterapici).

Valutazione della coagulazione

Se il quadro coagulativo generalmente può forni-re scarse indicazioni specifiche per la diagnosi dineoplasia, è da ricordare che i tempi di coagula-zione rientrano frequentemente nei parametri va-lutati come profilo preoperatorio. La valutazione diparametri indicativi di fibrinolisi, quali D-dimeri eprodotti di degradazione della fibrina (PDF), pos-sono invece essere utili per la valutazione sia dicoagulazione intravasale disseminata sia di trom-bosi, complicanze non infrequenti, sia in corso dineoplasie sia nel periodo postoperatorio.

Biochimica clinica

Da un punto di vista oncologico, la valutazio-ne del quadro biochimico può fornire indicazioniutili, che possono grossolanamente essere rias-sunte in due aspetti: cosiddetti profili dʼorgano emarker tumorali specifici, utilizzabili da un puntodi vista diagnostico e/o prognostico.

Profili dʼorgano

Lʼutilizzo di profili dʼorgano o profili biochimici, checomprendono un numero anche piuttosto elevatodi parametri, è entrato ormai nella consuetudineanche per i pazienti oncologici. Questi esami, sep-pur spesso ridondanti, possono essere utili per de-finire funzionalità e danno a carico di organi, qua-li fegato, rene e pancreas, ma purtroppo fornisco-no scarse indicazioni specifiche di patologie tu-morali. Il loro utilizzo va, pertanto, inteso princi-palmente come test di screening, utile per valuta-re soggetti nei quali non è stata ancora emessadiagnosi specifica o per valutare la funzionalità diorgani importanti ai fini di metabolizzazione edescrezione di farmaci chemioterapici.

Più raramente, alcuni parametri possono dare in-dicazioni riguardo localizzazione di neoplasie pri-mitive o secondarismi a carico di organi specifici.In corso di carcinoma epatocellulare, per esem-pio, ma anche di linfoma e neoplasie metastati-che, si assiste frequentemente a incremento ditransaminasi alanintransferasi (ALT) e aspartato-transferasi (AST) e, secondariamente, di indici dicolestasi (gammaglutamiltransferasi - GGT - e fo-sfatasi alcalina - ALP). Al contrario, in corso di car-cinoma biliare, ma anche di carcinoma pancreati-co, incrementi di enzimi di colestasi sono gene-ralmente più precoci e ingenti e spesso compaio-no ittero e bilirubinuria, ma secondariamente pos-sono comparire anche alterazioni di transamina-si. In tutte queste condizioni i parametri di funzio-nalità epatica appaiono generalmente normali, poi-ché la massa epatica residua tende a compensa-re lʼattività di aree colpite. Il profilo epatico risulta,tuttavia, di scarso utilizzo non solo per la diagno-si del tipo di neoplasia, ma persino per distingue-re patologie neoplastiche da forme infiammatorie.Unʼanaloga situazione si può riscontrare in cor-so di carcinoma pancreatico, che può indurre au-menti, anche considerevoli, di amilasi e lipasi, maanche colestasi con ittero, aumento di ALP, GGTe acidi biliari. Questo quadro non è, tuttavia, dif-ferente da quello di patologie infiammatorie, qua-li pancreatiti acute.Neoplasie del pancreas endocrino (insulinoma), alcontrario, sono invece generalmente associate aipoglicemia, quadro piuttosto caratteristico che,una volta esclusi eventuali errori preanalitici, de-ve essere confermato con la determinazione del-lʼinsulinemia. In questo caso, sono frequentementeriscontrabili anche incrementi di transaminasi eALP e, più raramente, ipoalbuminemia.Neoplasie renali (soprattutto carcinomi e linfomi)o delle vie urinarie possono indurre iperazotemiarenale o postrenale; va, tuttavia, ricordato che lʼau-mento di creatinina e urea si riscontra quando siraggiunge la perdita di almeno 75 per cento di ne-froni e, pertanto, questo quadro risulta tardivo eperaltro non specifico di neoplasia.Tra i parametri biochimici più spesso associati adalcune neoplasie, va ricordata ALP. Incrementidellʼattività di ALP, generalmente < 8 volte il limi-te superiore del range di riferimento, sono stati ri-scontrati in 55 per cento dei cani con neoplasiemammarie maligne e in 47 per cento dei cani conneoplasie benigne, indipendentemente da istoti-po e presenza di metaplasia ossea. Aumenti di

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ALP totale o dʼisoenzima osseo sono stati segna-lati in cani con osteosarcoma e generalmente as-sociati a prognosi sfavorevole. Infine, aumenti diALP totale e, in particolare, dellʼisoforma steroido-indotta sono caratteristicamente associati nel canea iperadrenocorticismo (83-100 per cento dei casi).

Marker tumorali

La ricerca si è spesso concentrata, in medicina siaumana sia veterinaria, sul tentativo di trovare un testdi laboratorio singolo e poco costoso che fosse dʼaiu-to nella diagnosi precoce di tumori specifici o nellavalutazione di recidiva. In medicina umana sono sta-ti identificati numerosi potenziali marker tumorali, magran parte di essi non raggiunge completamente loscopo, poiché generalmente mostra incrementi bio-logicamente evidenziabili solo quando la malattia èprogredita a uno stadio avanzato (bassa sensibilitàe scarsa precocità); inoltre, i livelli ematici possonoalzarsi in seguito a differenti patologie neoplastichee a numerose condizioni non neoplastiche (bassaspecificità). I marker attualmente utilizzati in onco-logia umana possono essere grossolanamente sud-divisi in 5 categorie differenti:

• proteine oncofetali (antigene carcinoembriona-rio - CEA -, α-fetoproteina - AFP);

• ormoni (gonadotropina corionica beta - HCG -,ormoni ectopici);

• enzimi sierici (fosfatasi acida - ACP -, fosfatasialcalina - ALP -, latticodeidrogenasi - LDH);

• immunoglobuline; • antigeni specifici tumorali (CA-125; CA-15.3; anti-

gene specifico prostatico - PSA).

In medicina veterinaria, i tentativi di validare pa-rametri potenzialmente utili per diagnosi precocee identificazione di recidiva non hanno al momentoevidenziato test utilizzabili su larga scala nella pra-tica clinica, nonostante alcuni di essi possano es-sere comunque utilizzati con successo in alcunepatologie specifiche.Nonostante la concentrazione totale o ionizzata dicalcio non possa essere considerata marker tu-morale in senso stretto, lʼidentificazione dʼipercal-cemia, spesso > 14-15 mg/dl di calcio totale, è nel-la gran parte dei casi legata a ipercalcemia para-neoplastica (maligna), che accompagna una buo-na percentuale di neoplasie differenti, quali linfo-mi, soprattutto mediastinici a immunofenotipo T(non raro nel cane, infrequente nel gatto), carci-

nomi apocrini di sacchi anali e altri adenocarcino-mi (incluso mammario) e timomi. Nella maggiorparte dei casi, questo incremento è dovuto allaproduzione da parte del tumore di proteine checompetono per i recettori di paratormone (PTH-related protein, PTH-rp) (vedere capitolo 10). Al-tre volte lʼipercalcemia è legata a localizzazioneprimaria a livello osseo (mieloma, linfoma, meta-stasi ossee) o direttamente a neoplasie paratiroi-dee con aumento di produzione di PTH (iperpa-ratiroidismo primario). Lʼidentificazione di elevataipercalcemia in test di screening può, pertanto, es-sere utile per sospettare neoplasie occulte; tutta-via, mancano studi specifici che identifichino gra-do di precocità, sensibilità e specificità di tale ri-scontro per le diagnosi di neoplasia.La presenza dʼipergammaglobulinemia con piccomonoclonale, seppur non strettamente patogno-monico, va considerato fortemente indicativo dineoplasie della linea plasmocitaria (mieloma mul-tiplo; figura 3). Tra le diagnosi differenziali possi-bili, va ricordato che, soprattutto utilizzando test inelettroforesi capillare, alcune patologie infettive oli-goclonali (soprattutto ehrlichiosi e leishmaniosi)possono presentare picchi similmonoclonali e, per-tanto, la diagnosi definitiva richiede la valutazionedi aspirato midollare.Recentemente, numerosi studi si sono concentratisul possibile uso di alcune proteine di fase acuta(APP) come possibili biomarker di neoplasia: incorso di neoplasie di differente natura, infatti, granparte di APP tende a subire incrementi anche so-stanziali. Tuttavia, tali incrementi non consentonodi essere distinti da quelli secondari a patologie

Figura 3 - Elettroforesi di proteine sieriche: ipergammaglobuline-mia con picco monoclonale in cane con mieloma multiplo.

albumine globuline

γ

α2β

α1

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capitolo 7Diagnostica di laboratorio

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prelievi dalla lesione. La sensibilità della radiologianella ricerca di metastasi riportata da diversi studiin letteratura varia da 65 a 97 per cento. Un recen-te studio ha messo a confronto radiologia e TC: nelgruppo di pazienti studiati, solo 9 per cento di tutti inoduli polmonari visualizzati in TC era visibile me-diante radiologia convenzionale e ben 39 per cen-to dei cani esaminati con studio radiografico stan-dard presentava noduli in TC. Ciò significa che siavevano falsi negativi in quasi 40 per cento dei sog-getti. Piccoli noduli polmonari vanno distinti da va-si o piccole aree di mineralizzazione ectopica, fre-quenti in soggetti anziani. I criteri radiografici per laloro differenziazione possono essere così riassun-ti (figura 2):

- foci di mineralizzazione ectopica - distribuzio-ne tendenzialmente ventrale, margini più sfu-mati e irregolari (figura 2 A);

- noduli polmonari - rotondeggianti, distribuzionee dimensioni variabili, radiopacità inferiore ri-spetto alle altre strutture (a meno che non sia-no mineralizzati) (figura 2 B, C);

- vasi polmonari - seguono lʼarborizzazione deibronchi; se colpiti “dʼinfilata”, producono imma-gine rotondeggiante, che ha elevata radiopaci-tà (maggiore di quella di un nodulo rotondeg-giante) (figura 2 C).

Va, inoltre, tenuto conto che la malattia metastati-ca polmonare può presentarsi anche in forme nonfrancamente nodulari, più difficili da identificare ra-diologicamente, come,per esempio, in caso di car-cinomatosi polmonare, in cui lʼaspetto è di tipo mi-sto, con componente interstiziale, che spesso ren-de difficile lʼinterpretazione (figura 3). Per questomotivo, casi complessi, in cui il rischio di malattiametastatica è alto e in cui si devono prendere im-

Figura 1 - Studio radiografico completo del torace di cane conlesione nodulare (diagnosi finale: adenocarcinoma primario)del lobo craniale destro: proiezioni laterale destra (A), lateralesinistra (B) e ventrodorsale (C). Il nodulo, localizzato a destra,è scarsamente visibile nella proiezione laterale destra, a causadi atelectasia del polmone circostante, mentre è ben contrasta-to da polmone areato nella proiezione laterale sinistra. La pro-iezione ventrodorsale consente di confermare la sua localizza-zione polmonare.

A

B

C

capitolo 8Diagnostica per immagini

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portanti decisioni dal punto di vista terapeutico, de-vono essere approfonditi mediante TC. Ciò non si-gnifica che lo step della radiologia debba esseresaltato. Non sarebbe corretto utilizzare diretta-mente TC, che richiede anestesia generale e com-porta maggiori costi per il proprietario, solo per vi-sualizzare noduli polmonari visibili con il sempliceesame radiografico del torace.

• Scheletro appendicolare e rachide vanno sem-pre indagati in prima battuta mediante studio ra-diografico diretto, che nella maggior parte dei ca-si consente dʼidentificare la sede di lesione e diorientarsi tra condizioni di tipo neoplastico e nonneoplastico. Sede di lesione, grado di coinvolgi-mento di strutture scheletriche e tessuti molli ecriteri radiografici che contraddistinguono lesio-ni “osteoaggressive” e “non osteoaggressive” (ve-dere capitolo 28), insieme a informazioni otte-nute da clinica e indagini laboratoristiche, sonogli elementi che consentono in molti casi di di-stinguere tra una zoppia causata da evento nonneoplastico e un tumore. Anche prima di ottene-re lʼesito di biopsia, se sʼidentifica una lesione mar-catamente osteoaggressiva in un cane di grossataglia anziano in sede predisposta, il sospetto dineoplasia ossea primaria è quasi una certezza (fi-gura 4). Anche in questo caso vanno ricordati i li-miti della radiologia, principalmente determinatida difficoltà dʼinterpretazione di regioni anatomi-che complesse, come quelle del rachide, e scar-sa sensibilità nel dimostrare riassorbimento os-seo. Almeno 50-75 per cento della spongiosa os-sea di un segmento vertebrale deve essere rias-sorbita prima che una lesione di un corpo verte-brale possa essere visualizzata in un radiogram-ma in proiezione laterale del rachide. Per que-sto motivo, in caso di sospetto clinico e studio ra-diografico negativo, si deve procedere con altremetodiche dʼimaging (scintigrafia o TC).

• Il ruolo della radiologia addominale si è ridimen-sionato mano a mano che lʼutilizzo dellʼecogra-fia è diventato routinario nella pratica clinica an-che in medicina veterinaria. Resta sempre da ri-cordare, tuttavia, che, anche se in generale unesame ecografico approfondito è maggiormen-te informativo, ci sono situazioni in cui è impor-tante eseguire un radiogramma anche dopo eco-grafia, perché talvolta può aggiungere elementifondamentali o chiarire quadri dubbi. Esempi so-no rappresentati da masse retroperitoneali, che

Figura 2 - Particolari di proiezioni laterali del torace di due cani di-versi. A) Sono visibili numerosi piccoli noduli mineralizzati conmargini irregolari (foci di mineralizzazione ectopica). B) Nodulipolmonari rotondeggianti con radiopacità nel rangedei tessuti mol-li (metastasi). C) Stesso cane di figura B: sono evidenziati, neicerchi bianchi, altre metastasi e, nei cerchi neri, vasi polmonari,più radiopachi dei noduli.

A

B

C

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effettuare prelievi. Lʼaspirazione ecoguidata diversamento e lesioni solide è rapida e sicura epuò essere eseguita quasi sempre con pazien-te sveglio. Maggiori precauzioni vanno prese sesi decide di eseguire una biopsia a tutto spes-sore, che comporta maggiori rischi, anche per-ché richiede sempre almeno una sedazione.

• Tessuti molli superficiali. Qualsiasi lesione su-perficiale è accessibile alla valutazione ecografi-ca; unica necessità è la tricotomia dellʼarea inte-ressata. Lʼindagine ecografica è estremamenteutile per stabilire un possibile organo di originedella lesione, valutarne sede, estensione, com-posizione (contenuto liquido e solido) e vascola-rizzazione. Di grande interesse sono regioni displancnocranio e porzione prossimale di collo, incui è possibile identificare lesioni che originano daorgani, come ghiandole salivari e tiroide, linfono-di mandibolari e retrofaringei, grossi vasi, bulbooculare o tessuti molli di regione retrobulbare. Lʼap-parato muscoloscheletrico rappresenta unʼaltraapplicazione dellʼecografia e, nonostante nellamaggior parte dei casi sia rivolta alla valutazionedi malattie ortopediche non neoplastiche, questapuò essere molto utile per riconoscere lesioni tu-morali di tessuti molli e periarticolari e per valu-tarne anche il coinvolgimento osseo. Se,per esem-pio, cʼè osteolisi, viene a mancare la barriera pergli ultrasuoni rappresentata dallʼosso: la lesionediventa quindi visibile e un eventuale prelievo puòessere effettuato anche da una lesione scheletri-ca, grazie alla guida ecografica.

Ecocontrastografia

Lʼecografia con mdc è una recente applica-zione dellʼecografia, che ha stimolato un grandeinteresse nel settore oncologico, anche nel mon-do della medicina veterinaria. Una spiegazione ap-profondita di questa tecnica esula dagli scopi diquesto testo; tuttavia, è doveroso ricordare alme-no i principali concetti alla base della metodica. Imezzi di contrasto per ecografia sono composti damicrobolle, le cui caratteristiche fisiche e chimichesono alla base della loro capacità di generare unʼim-magine ecografica e si riassumono fondamental-mente in due capisaldi.

• Dimensioni nellʼordine di pochi micron, quindi si-mili o inferiori a quelle degli eritrociti. Ciò con-sente il passaggio invariato di microbolle attra-

verso il filtro polmonare. Lʼiniezione di mdc in unavena periferica permette il transito del bolo finoalla circolazione sistemica arteriosa: quindi, va-lutazione di microcircolo di tessuti e organi.

• Le proprietà acustiche delle microbolle derivanodalla loro composizione: la presenza al centro del-la bolla di un gas ne fornisce lʼecoriflettenza, cioèla capacità di produrre intenso segnale ultraso-noro di ritorno, e le proprietà del guscio ne deter-minano sia stabilità sia caratteristiche di elastici-tà. I mezzi di contrasto di seconda generazionenon sono, infatti, costituiti da guscio rigido, ma dacapsula elastica, formata da microparticelle (fo-sfolipidi), che consentono alla microbolla di mo-dificare il proprio diametro, quando viene investi-ta dallʼultrasuono che attraversa il tessuto. Il van-taggio di questa “oscillazione” è quello di produr-re uno spettro ultrasonoro di ritorno che contienefrequenze multiple della frequenza di origine (co-siddette frequenze “armoniche”), le quali posso-no essere isolate e utilizzate per produrre la map-pa vascolare di un organo o di un tessuto.Le diverse tecnologie che sono state sviluppateper differenziare il segnale prodotto dalle micro-bolle da quello di tessuti circostanti variano in ba-se a casa produttrice. Lʼutilizzo di mdc presuppone quindi anche lʼac-quisizione della tecnologia dedicata, con la qua-le si è in grado di valutare, isolare e visualizza-re il solo segnale proveniente da mdc, soppri-mendo quello originato dal tessuto che lo con-tiene. Lʼesame viene condotto in modo da valu-tare in tempo reale la perfusione di una lesione,includendo fasi dʼingresso (wash-in) e di uscita(wash-out) di mdc.

Le applicazioni attuali dellʼecocontrastografia inmedicina veterinaria includono caratterizzazionedi lesioni neoplastiche maligne di organi addomi-nali e studio di vascolarizzazione e perfusione dilinfonodi neoplastici. Analogamente a ciò che èstato mostrato in campo umano, anche nei picco-li animali lʼorgano che è stato maggiormente in-dagato è il fegato. Il parenchima epatico si prestabene allo studio con mdc, in quanto una lesionefocale può essere confrontata con il parenchimaadiacente per valutare differenze o similitudini nel-la perfusione. Il fegato è lʼorgano per il quale i pat-tern di perfusione sono stati meglio caratterizzatie in cui la differenziazione di lesioni maligne e be-nigne sulla base di tipo di perfusione ha ormai suf-ficiente evidenza scientifica. Possono essere stu-

capitolo 8Diagnostica per immagini

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diate lesioni primarie già visualizzate medianteecografia basale o ricercare presenza di meta-stasi. Il rilievo di noduli disseminati ipoperfusi conrapido wash-out in paziente con emangiosarco-ma splenico indica presenza di metastasi epati-che (figura 11). Nonostante si possa quindi consi-derare attualmente una metodica affidabile per lavalutazione di lesioni epatiche, questa non dà sem-pre risultati facili da interpretare: pertanto, non de-ve essere sempre considerata alternativa allʼese-cuzione di prelievo dalla lesione, che risulta spes-so necessario per tipizzare tipo di neoplasia e adot-

tare corretta strategia terapeutica. Meno concor-di sono finora i dati pubblicati che riguardano le-sioni spleniche. Anche gli studi effettuati per gli al-tri organi della cavità addominale (reni, surrenali,prostata e testicoli) e per linfonodi richiedono ul-teriore validazione scientifica, anche se i primi ri-sultati sono incoraggianti. Va, infine, ricordato che parte delle informazioniottenute con ecocontrastografia si sovrappongo-no a quelle ottenute mediante TC con contrasto.Il vantaggio dellʼecografia rimane quello di potereseguire lʼesame senza sedazione o anestesia,previa collaborazione del paziente. Lo svantaggio,rispetto a TC, è di non poter comunque comple-tare la stadiazione del paziente, esaminando an-che il torace.

Tomografia computerizzata

La grande innovazione dellʼesame TC è sta-ta quella di utilizzare un fascio di raggi X per rap-presentare un determinato distretto corporeo me-diante produzione di immagini tomografiche se-quenziali, che corrispondono a una serie di sottilistrati del volume esaminato. In ciascuna di que-ste immagini, le diverse componenti tissutali ven-gono riprodotte e distinte grazie a elevata risolu-zione di contrasto (capacità di TC di distinguerepiccole differenze di densità). Vengono superati,in questo modo, due grandi limiti della radiologiaconvenzionale:

• essere una tecnica di diagnostica per immaginiche rappresenta su un unico piano strutture tri-dimensionali;

• avere scarsa capacità nella differenziazione didensità dei tessuti.

Lʼevoluzione tecnologica ha comportato, anche inquesto settore, miglioramenti sostanziali in quali-tà dʼimmagine ottenuta e velocità di esecuzionedellʼesame. Il concetto alla base della formazione dʼimmagineTC, tuttavia, è rimasto invariato: lʼimmagine vie-ne prodotta grazie alla rotazione del tubo radio-geno attorno al paziente durante lʼavanzamentodel lettino allʼinterno del gantry. Il fascio di fotoniche attraversa le strutture corporee viene attenuatoe colpisce una serie di rilevatori (detettori), cheruotano in sincronia con il tubo radiogeno. I de-tettori registrano il valore di attenuazione, che vie-ne trasformato in segnale elettrico, inviato al com-

Figura 11 - Ecografia con mdc (A) e TC postcontrasto (B) di fe-gato di cane con metastasi epatiche tomografiche. Le immaginimostrano lo stesso nodulo, che si presenta, rispetto al parenchi-ma epatico circostante, ipoecogeno nella fase di wash-out di mdcecografico (A) e ipoattenuante nello studio TC postcontrasto (B).

A

B

PARTE GENERALE

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del quale viene posizionato il paziente. A secon-da del tipo di magnete utilizzato, cambia lʼintensi-tà del campo magnetico prodotto, la cui unità di mi-sura è il Tesla (T). Lʼintensità del campo magneti-co a disposizione influenza le modalità operative,ma soprattutto la qualità dʼimmagine prodotta. Pas-sando da unità a basso campo (0,2-0,4 T) a unitàad alto campo (intensità fino a 4 T), si hanno van-taggi in termini di qualità dʼimmagine e tempi discansione; tuttavia, salgono i costi.

• Una volta attivato il campo magnetico allʼinternodel corpo esaminato, si determina una prima fa-se di equilibrio magnetico. Successivamente, vie-ne applicata una serie di onde di radiofrequen-za, emesse da una speciale bobina, una speciedi antenna che può avere varie forme (rigida oflessibile) e che viene posizionata attorno allaparte dʼinteresse. La bobina ha duplice funzio-ne: è in grado di produrre impulsi a radiofre-quenza, che modificano lo stato di equilibrio pre-cedentemente raggiunto, e di ricevere il segna-le di ritorno degli atomi dʼidrogeno nel momentoin cui essi tornano alla situazione di riposo.

• Le modalità con cui si succedono questi eventisono estremamente complesse e costituisconola base per la produzione di varie sequenze RM.Lʼacquisizione di diverse sequenze è fondamentalein RM poiché, a seconda dellʼintensità del se-gnale prodotto da ciascun tessuto, è possibiledifferenziare le varie strutture e identificare le le-sioni. Alcune sequenze sono più adatte alla va-lutazione di dettagli anatomici (T1), altre più sen-sibili nel riconoscimento di lesioni (T2). Alcunesequenze vengono utilizzate per sopprimere se-gnali provenienti da specifiche componenti: peresempio, da liquido cefalorachidiano (FLuid At-tenuated Inversion Recovery, FLAIR) o tessutoadiposo (Short Thau Inversion Recovery, STIR).

• Anche lʼimmagine RM sfrutta lʼutilizzo di scala digrigi, il cui significato è sempre quello di fornireallʼimmagine il contrasto necessario ai fini dia-gnostici. A differenza di TC, il livello di grigio nonè però espressione di densità dei tessuti. Per lacorretta interpretazione delle immagini, è ne-cessario conoscere che tipo dʼintensità di segnaleproduce ciascun tessuto nella specifica sequen-za utilizzata.

• Anche in RM viene utilizzato il mezzo di contra-

Figura 15 - Meningioma di lobi olfattorio e frontale in cane. Im-magini RM, ottenute sui piani trasversale (A), dorsale (B) e sa-gittale (C), pesate in T2 (A) e T1 postcontrasto (B, C). La lesioneè extrassiale, ben delimitata, iperintensa in T2 e mostra intensoe omogeneo enhancement nella sequenza T1 postcontrasto. (Pergentile concessione di Massimo Baroni).

A

B

C

capitolo 8Diagnostica per immagini

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Figura 16 - Esempio di scansione scintigrafica (piano dorsale) dicane con adenocarcinoma tiroideo. La massa presenta elevatacaptazione di radiofarmaco; il lobo tiroideo controlaterale è sop-presso. Cranialmente alla lesione, sono visibili due strutture cap-tanti (ghiandole salivari).

sto: si tratta di una sostanza paramagnetica (ga-dolinio), che viene iniettata in una vena periferi-ca al dosaggio standard di 0,2 mg/kg. Lʼacquisi-zione di sequenze postcontrasto consente di va-lutare la vascolarizzazione di organi e tessuti emettere in evidenza aree anormali di captazio-ne, che a livello cerebrale indicano alterata per-meabilità di barriera ematoencefalica.

• Come per TC, lʼesecuzione di un esame RM ri-chiede lʼanestesia generale: per la necessità diacquisire numerose sequenze, i tempi di acqui-sizione di uno studio RM completo sono nor-malmente più lunghi rispetto a un esame TC.

• Va tenuto conto che il campo magnetico non de-ve essere disturbato da interferenze esterne, chepotrebbero creare artefattinelle immagini. Per que-sto motivo, il magnete va isolato mediante appo-site gabbie (gabbia di Faraday) ed è necessarioevitare interferenze da parte di oggetti metallici eapparecchiature elettroniche, come monitor e car-relli per anestesia, che devono essere costruiti ap-positamente, oppure alloggiati al di fuori della gab-bia. Artefatti possono essere causati anche da im-pianti metallici nel paziente (per esempio, protesio microchip), che possono impedire la corretta va-lutazione dello studio acquisito.

• Attualmente, le indicazioni più frequenti in onco-logia veterinaria includono valutazione di neo-plasie di cranio (sia neuro- sia splancnocranio),rachide e scheletro appendicolare, anche per-ché le unità a basso campo sono quelle mag-giormente disponibili in medicina veterinaria.Tuttavia, analogamente a quello che succedenellʼuomo, probabilmente le applicazioni onco-logiche di RM si estenderanno anche ad altri im-portanti settori (per esempio, addome e torace)nel prossimo futuro.

Medicina nucleare

La scintigrafia è una tecnica il cui principio èbasato sulla valutazione della distribuzione di unasostanza radioattiva (radiofarmaco), che vieneiniettata per via endovenosa. Il radiofarmaco mag-giormente utilizzato è tecnezio (nella sua formametastabile di 99mTc), per breve emivita (6 ore) efacilità con cui può essere legato ad altre sostan-ze. Per lo studio dello scheletro, 99mTc viene abbi-nato a una molecola (difosfonato, 99mTc-MDP) che

si lega alla matrice ossea; una valutazione a di-stanza di circa 4 ore dalla somministrazione con-sente di ottenere informazioni sul metabolismo del-lʼosso. Il passaggio di radiofarmaco nei tessuti per-mette una valutazione anatomica, anche se nondettagliata, come quella ottenuta con le altre tec-niche dʼimaging, ma soprattutto fornisce informa-zioni funzionali delle modalità con cui esso vienecaptato, metabolizzato ed escreto. Per questo mo-tivo, la scintigrafia è in grado di dimostrare lesio-ni anche prima che queste producano alterazionimorfologiche di un organo e che possano, quindi,essere identificate mediante altri studi.

• Lʼelevata sensibilità nellʼidentificazione del pro-cesso patologico non è purtroppo associata abuona specificità. Lesioni captanti radiofarmaco,o aree ipocaptanti, possono essere causate dalesioni tumorali o non tumorali; quindi, è semprenecessario effettuare altre indagini per differen-ziare neoplasia da malattia non neoplastica.

• Lʼacquisizione delle immagini richiede lʼutilizzodi gammacamera, che è in grado di rilevare le ra-diazioni gamma che fuoriescono dal paziente, ecomputer, che trasforma i dati acquisiti in immagi-ne. Il paziente e i liquidi organici prodotti devono

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capitolo 9

STADIAZIONE CLINICA:SISTEMI TNM E WHO

Laura Marconato

Dopo aver valutato TNM per un dato paziente, èpossibile inquadrarlo in uno stadio clinico, utile daun punto di vista prognostico. Una volta stabilitolo stadio clinico, questo deve restare invariato nel-la cartella medica del paziente durante lʼintero de-corso della malattia. La terapia può modificare lastoria clinica del paziente e il tumore può recidi-vare. In questo caso, è possibile ristadiare neo-plasie recidivanti e indicare il nuovo stadio clinicoutilizzando il prefisso “r” (rTNM).

Classificazione TNM clinica o pretrattamento

La classificazione TNM clinica (cTNM) si basa suevidenza acquisita prima di iniziare la terapia an-titumorale e si basa su dati clinici (esame seme-iotico), diagnostica per immagini (radiologia, eco-grafia, endoscopia, TC, RM, scintigrafia), citologia(figure 1-4). La classificazione TNM clinica è fon-damentale per scegliere la terapia più adeguata.

Classificazione TNM chirurgica

La classificazione TNM chirurgica (surgical, sTNM)consente lʼacquisizione di elementi aggiuntivi sul-lʼestensione del processo neoplastico in pazientisottoposti a resezione chirurgica.La chirurgia assume ruolo diagnostico quando letecniche non invasive si rivelano inapplicabili persede, dimensione di lesione oppure prevalenza dimateriale necrotico.

Classificazione TNM patologica o postchirurgica

La classificazione TNM patologica (pTNM) si ba-sa su evidenza ottenuta prima di iniziare il tratta-mento, modificata da informazioni aggiuntive ac-quisite da chirurgia e conseguente valutazione isto-

Introduzione

I tumori si differenziano in base a sede anato-mica, tipo istologico e grado di malignità. Ogni tumoreè caratterizzato da propria storia clinica, tipo di diffu-sione metastatica, risposta a terapia e modalità di re-cidiva dopo trattamento ed è stadiato in base a suadimensione e diffusione anatomica. La stadiazioneclinica di una neoplasia rappresenta la fase obbliga-toria nellʼapproccio al paziente oncologico, sia per-ché dà importanti informazioni prognostiche, sia per-ché rappresenta il modello con cui i pazienti vengo-no selezionati per la terapia. Pertanto, dopo aver ot-tenuto diagnosi di certezza, diventa fondamentale va-lutare lʼestensione neoplastica, poiché i risultati di sta-diazione delineano prognosi e tipo di terapia.

Sistema di classificazione TNM

La classificazione TNM considera da un pun-to di vista clinico lʼestensione anatomica del tu-more. Oltre allʼindubbia utilità di avere una sortadi “linguaggio standardizzato” e di facilitare, quin-di, lo scambio di informazioni tra medici, la sta-diazione TNM aiuta lʼoncologo clinico a pianifica-re la terapia più adatta, dà indicazione prognosti-ca e valuta e confronta risultati terapeutici.La classificazione TNM sottolinea rilevanza pro-gnostica di dimensione e invasività locale di tumo-re primitivo (T), stato di linfonodi regionali (N) e pre-senza di metastasi distanti (M). Contrariamente adaltri sistemi classificativi, TNM valuta separatamenteT, N e M, per poi raggrupparli in stadi.La classificazione TNM è applicata per la valuta-zione di tumori solidi (per esempio, tumori mam-mari, polmonari, genitourinari). La principale limi-tazione riguarda lʼimpossibilità di stadiare neopla-sie sistemiche e diffuse, come linfomi e leucemie,per i quali si utilizza lo schema WHO.

capitolo 9Stadiazione clinica: sistemi TNM e WHO

capitolo 9Stadiazione clinica: sistemi TNM e WHO

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2) N = stato di linfonodi regionali (fissi o mobili, di-mensioni, consistenza, coinvolgimento singoloo multiplo, ipsilaterale o controlaterale, distri-buzione bilaterale)N0 = nessuna evidenza di metastasi a linfonodi (LN) regionali N1,2,3,4 = gradi crescenti dʼinteressamento di linfonodi regionaliNx = non è possibile valutare linfonodi regionali (dati insufficienti)

Le metastasi a linfonodi non regionali sono con-siderate metastasi a distanza. Il loro significatoclinico è tuttavia difficile da interpretare.Lo stato N ha importantissime implicazioni pro-gnostiche per tumori solidi (per esempio, perneoplasie di testa e collo, vescicali e intestina-li), dal momento che riflette lʼimpossibilità dʼin-tervenire efficacemente sul tumore primitivo. Lin-fonodi fissi (N3) sono tipicamente chirurgica-mente non rimovibili e, pertanto, si accompa-gnano a prognosi per lo più sfavorevole. Infine,il coinvolgimento linfonodale spesso riflette lʼele-vata probabilità di diffusione ematogena (neo-plasie mammarie).

3) M = presenza o assenza di metastasi a distanzaM0 = nessuna evidenza di metastasi a distanzaM1 = metastasi (diverse da linfonodiregionali) presenti (specificare sede)Mx = impossibile verificare la presenza di metastasi

La presenza di metastasi a distanza definiscein modo chiaro pazienti inoperabili e si ac-compagna, nella maggior parte dei casi, a pro-gnosi infausta. M può essere definito clinica-mente, ma il più delle volte richiede indaginistrumentali.

Simboli

• Suffisso “m”: “m” posto tra parentesi indica pre-senza di tumori multipli.

• Prefisso “y”: in casi in cui la stadiazione è ese-guita durante o dopo terapia multimodale, la ca-tegoria cTNM o pTNM è identificata dal prefisso“y”. In altre parole, ycTNM o ypTNM indica lʼesten-

sione neoplastica al momento della valutazionee non prima di iniziare la terapia.

• Prefisso “r”: recidiva diagnosticata dopo inter-vallo libero da malattia.

• Prefisso “a”: stadiazione eseguita in sede au-toptica.

Linfonodi regionali

Linfonodi regionali riscontrabili nel cane e nel gat-to, suddivisi secondo regione anatomica, sono ri-portati in tabella I.

Linfonodo sentinella

Per definizione, il linfonodo sentinella rappresentail primo linfonodo che accoglie vasi linfatici prove-nienti dalla regione anatomica in cui si è sviluppa-to il tumore (e che quindi lo drenano). La valuta-zione istopatologica del linfonodo sentinella riflettelʼestensione neoplastica regionale, con ovvie im-plicazioni prognostiche e terapeutiche. La biopsiadi linfonodo sentinella è eseguita sempre più spes-so in oncologia umana, per corretta stadiazione eidentificazione di eventuali micrometastasi, non al-trimenti riconoscibili. Le micrometastasi sono infat-ti impossibili da identificare mediante normali testdi screening e sono ritenute responsabili di disse-minazione neoplastica sistemica tardiva. Pertanto,se il linfonodo sentinella contiene cellule neoplasti-che, è possibile rimuoverlo, ma solo se il migliora-mento di prognosi supera la morbidità secondariaa linfadenectomia. Se il linfonodo sentinella noncontiene cellule neoplastiche, non deve essere ri-mosso, evitando al paziente intervento chirurgicoinutile e morbidità a esso associata.La valutazione del linfonodo sentinella ha accer-tate implicazioni prognostiche nei seguenti tumo-ri del cane: polmonari primitivi, mammari, mela-noma di cavo orale, osteosarcoma, sinoviosarco-ma, mastocitoma, sarcoma istiocitico.Metodi utilizzati in medicina veterinaria per valu-tare il linfonodo sentinella sono escissione chirur-gica (linfadenectomia), valutazione citologica (chetuttavia può dare falsi negativi), scintigrafia, inie-zione peritumorale di colorante blu associato atracciante radioattivo ed ecografia con mezzi dicontrasto.

capitolo 9Stadiazione clinica: sistemi TNM e WHO

91

Schema TNM per diversi tumori di cane e gatto

� TNM tumori di origine epidermica-dermica (esclusi mastocitoma e linfoma)

T = tumore primitivoTis = carcinoma in situT0 = nessun tumore evidenteT1 = diametro massimo del tumore < 2 cm, superficialeT2 = diametro massimo 2-5 cm, o invasione minima, indipendentemente dalle dimensioniT3 = diametro > 5 cm, o invasione di sottocute, indipendentemente dalle dimensioniT4 = tumore che invade altre strutture (fascia muscolare, osso e cartilagine)

Nel caso di tumori multipli, la classificazione è definita da T del tumore più grande. La molteplicità di tumori è indicata tra parentesi: per esempio, T2(5).

N = linfonodi regionaliN0 = linfonodi regionali non interessatiN1 = linfonodo ipsilaterale mobile

N1a = non aumentato di volumeN1b = aumentato di volume

N2 = linfonodo controlaterale o bilaterali mobiliN2a = non aumentato di volumeN2b = aumentato di volume

N3 = linfonodi fissi

M = metastasi distantiM0 = nessuna evidenza di metastasi a distanzaM1 = metastasi presenti (specificare sede)

� TNM carcinomi di ghiandole apocrine di sacchi anali

stadio clinico T N M

I diametro massimo < 2,5 cm negativo negativoII diametro massimo > 2,5 cm negativo negativoIIIa qualsiasi T positivo, diametro massimo < 4,5 cm negativoIIIb qualsiasi T positivo, diametro massimo > 4,5 cm negativoIV qualsiasi T qualsiasi N positivo

� TNM tumori digitali (cane)

T = tumore primitivoT1 = diametro massimo < 2 cm; tumore superficiale o esofiticoT2 = diametro massimo 2-5 cm; minima invasioneT3 = diametro > 5 cm o tumore infiltrante il sottocuteT4 = tumore che invade fascia od osso

N = linfonodi regionaliN0 = linfonodi regionali istologicamente non interessatiNr = linfonodi regionali precedentemente rimossi

PARTE GENERALE

128

capitolo 11

TERAPIA DEL DOLORE

Laura Marconato

Introduzione

Analisi condotte in oncologia umana descri-vono prevalenza di dolore in 28 per cento dei pa-zienti oncologici con diagnosi recente di cancro,in 50 per cento dei pazienti con diagnosi preesi-stente di cancro e in > 80 per cento dei pazienti infase avanzata/terminale.Si può ipotizzare la stessa prevalenza anche inoncologia veterinaria; pertanto, il trattamento deldolore diventa eticamente imperativo.Purtroppo, ancora troppo spesso il dolore da can-cro è sottovalutato e trattato in maniera inadegua-ta. Possibili motivazioni sono mancato riconosci-mento di sofferenza, inadeguata raccolta di infor-mazioni anamnestiche (soprattutto in merito a qua-lità di vita), scarsa valutazione del paziente alla dia-gnosi e durante follow-up, timori e pregiudizi su ri-schi connessi allʼimpiego di alcuni analgesici e dif-ficoltà burocratiche connesse al loro utilizzo.È dovere del medico veterinario alleviare il dolore delpaziente oncologico, rispondere alle domande delproprietario e fortificare il rapporto uomo/animale.

Eziopatogenesi

Il dolore associato a malattia oncologica puòderivare da invasione del tumore in tessuti adia-centi, trattamenti antitumorali, debilitazione croni-ca del paziente, sindromi paraneoplastiche, ma-lattie concomitanti e/o pregresse (tabella I).Il dolore può caratterizzare le fasi precoci o termi-nali della malattia e può essere dʼintensità varia-bile, aumentando mano a mano che la malattiaevolve. Il dolore può essere il primo sintomo dineoplasia, ma più spesso tende a manifestarsiquando essa è già avanzata e ha invaso e distruttole strutture adiacenti. Nel paziente oncologico bi-sogna per lo più affrontare un dolore cronico.Schematicamente, si può così riassumere la ba-se neurofisiologica del dolore: i recettori nocicet-tivi, ampiamente distribuiti a livello cutaneo, mu-scolare, connettivale e viscerale, trasmettono almidollo spinale un impulso; qui, esso viene filtra-to e integrato, prima di poter procedere ai centrisopraspinali (talamo, corteccia, sistema limbico eformazione reticolare), dove viene decodificato. Il

Tabella I - Eziologia del dolore nel paziente oncologico.

dolore correlato invasione ossea, da parte del tumore primitivo o di sue metastasidirettamente a neoplasia occlusione viscerale

compressione o invasione di tessuti mollicompressione o invasione nervosainvasione e occlusione vascolareinfiammazione o necrosi

dolore associato dolore postchirurgiaalle terapie antitumorali dolore postchemioterapia:

• neuropatia periferica (alcaloidi della vinca)• cistite emorragica (ciclofosfamide)dolore postradioterapia: fibrosi, mielopatia da irradiazione, dermatiti/mucositi

dolore non correlato cause concomitanti o pregresse al tumore o alla sua terapia

capitolo 11Terapia del dolore

129

dioterapia o chirurgia. I tumori primitivi che più fre-quentemente interessano le vertebre sono osteo-sarcoma, condrosarcoma, emangiosarcoma, fibro-sarcoma e mieloma multiplo; tra quelli metastatici, siricordano adenocarcinoma mammario, carcinomiprostatico, epatico, renale e vescicale. In base allasede interessata, la compressione del midollo pro-voca deficit sensori, nonché vari gradi di paralisi (pa-raplegia fino a tetraplegia) e disturbi sfinterici.Lʼinteressamento di plessi nervosi, quale brachia-le e lombosacrale, determina la comparsa di sin-tomatologia dolorosa, che si estrinseca nelle fasipiù avanzate con debolezza, alterazione di rifles-si e atrofia muscolare.È doveroso ricordare che, in sede chirurgica, èpossibile lesionare accidentalmente un nervo, li-mitando quindi funzionalità della parte innervata edeterminando disturbi di sensibilità o insorgenzadi dolore. Chemioterapia e radioterapia possonoanchʼesse provocare dolore, per un fenomeno acu-to reattivo, oppure per reazione tardiva. I citotos-sici potenzialmente neuropatici comprendono al-caloidi della vinca, 5-fluorouracile e cisplatino.

Valutazione del dolore in medicina veterinaria

Alcuni segni o sintomi possono aiutare nello sta-bilire lʼentità del dolore e sono così schematizzati:

• pazienti con dolore moderato- alterazioni comportamentali, di appetito, di atti-vità e/o postura;

• pazienti con dolore intenso- vocalizzazione, pianto;- retrazione della parte dolente alla palpazione;

• segni aspecifici di dolore- perdita di appetito fino ad anoressia;- insonnia;- tachicardia;- respirazione affannosa;- elevata temperatura corporea;- midriasi;- scialorrea.

Strategie terapeutiche

Il dolore nel paziente oncologico può esserecosì gestito:

• controllando la patologia sottostante (tumore) me-diante chirurgia, radioterapia e/o chemioterapia;

risultato finale di questa intricata rete di informa-zioni ascendenti e discendenti, che vede coinvol-ti numerosi trasmettitori, si traduce in percezionedi dolore e in conseguente risposta a esso.

Classificazione temporale e fisiopatologica

Il dolore acuto tipicamente viene percepito du-rante procedure diagnostiche o interventi tera-peutici (chirurgia, radioterapia e chemioterapia),mentre è raro che si verifichi durante le fasi inizialidella malattia oncologica. Il dolore cronico è comune nel paziente oncologi-co e tipicamente si verifica per meccanismi neu-ropatici. Provocano dolore cronico metastasi os-see, necrosi di midollo osseo, artrite, decubito oimpossibilità di movimento e neuropatie.La classificazione fisiopatologica è utile sia per loca-lizzare il dolore sia per indirizzare la terapia corretta.Il dolore può essere classificato in nocicettivo (so-matico e viscerale) e neuropatico. Il primo rispon-de bene, almeno inizialmente, a terapia farmaco-logica con oppiacei; il secondo richiede, general-mente, la somministrazione di farmaci antiepilet-tici, antidepressivi e antiaritmici.Il dolore somatico può essere superficiale (cute esottocute) o profondo (tessuto connettivo, ossa, ar-ticolazioni, muscoli) e tende a essere ben localizza-to e continuo, talvolta associato a prurito. Il doloreosseo, provocato da un tumore primitivo oppure me-tastatico, rappresenta senza dubbio la causa più fre-quente di sofferenza nel paziente oncologico ed è ti-picamente costante e dʼintensità crescente. Il mec-canismo patogenetico vede coinvolti riassorbimen-to osseo indotto da sostanze rilasciate dal tumore,stiramento periostale e spasmo muscolare reattivo.Frequentemente, lʼinvasione ossea esita in fratturapatologica che va ad acuire il quadro.Il dolore viscerale continuo interessa visceri e or-gani parenchimatosi ed è poco localizzato e pro-fondo; quello viscerale incidente riguarda organicavi e dotti, è di tipo colico ed esacerbato da spa-smi o dilatazioni. Un tumore che interessa un vi-scere parenchimatoso, come milza o fegato, puòprovocare dolore attraverso la distensione dellacapsula, ricca di nocicettori.Il dolore neuropatico riguarda sistema nervoso cen-trale e periferico ed è solitamente provocato dacompressione da parte del tumore o di sue meta-stasi di midollo spinale o plessi nervosi, oppure rap-presenta un effetto collaterale di chemioterapia, ra-

PARTE GENERALE

130

• alterando trasduzione, trasmissione e percezio-ne del dolore nellʼindividuo mediante modalità far-macologiche, non farmacologiche e/o interventiste;

• intervenendo per ridurre sofferenza e migliorare lagestione complessiva del paziente, risolvendo co-stipazione, diarrea, perdita di appetito, insonniae vari problemi geriatrici, tra cui osteoartrite, ci-stite, perdita di vista/udito e obesità.

Il controllo del dolore nel paziente oncologico nondeve essere indicato come problema secondario,bensì deve far parte del quadro terapeutico globa-le e deve, quindi, essere preliminare a ogni altro ap-proccio. Nel paziente in fase avanzata o terminale,il tumore spesso non risponde più a trattamenti an-tineoplastici e la terapia primaria può diventare ad-dirittura controproducente, esacerbando eventualieffetti collaterali. Ecco che la terapia del dolore di-venta obbiettivo da perseguire, priorità assoluta.Per adottare la strategia terapeutica migliore, è ne-cessario valutare origine e intensità del dolore.I princìpi guida da seguire sono:

• prevenire il dolore - non attendere cioè che lʼani-male manifesti sofferenza prima di somministra-re un analgesico;

• somministrare inizialmente farmaci antinfiam-matori non steroidei, per sostituirli o affiancarli aoppiacei, nel caso i primi siano inefficaci;

• personalizzare la terapia in base a caratteristicheindividuali (soglia del dolore); molto utile è la ste-sura di accurata anamnesi analgesica che descri-va farmaci somministrati, loro dosaggio, intervallodi somministrazione e risultato ottenuto, in modo daidentificare abbastanza velocemente gli antidolori-fici più efficaci in un dato paziente.

Oltre agli ovvî benefici di terapia antidolorifica, è uti-le ricordare che la prevenzione del dolore prima dichirurgia contribuisce a diminuire la dose di ane-stetico richiesta per mantenere lʼanestesia. Nel pe-riodo postoperatorio, il dolore aumenta stato di de-bilitazione del paziente, accentua stato catabolico,prolunga ospedalizzazione e ricovero; sʼintuisce,dunque, il vantaggio di una copertura analgesicaanche dopo lʼintervento chirurgico.Il controllo del dolore prevede sua modulazionefarmacologica e utilizzo singolo o combinato di chi-rurgia e/o radioterapia e/o chemioterapia palliati-ve. Detti interventi terapeutici hanno ruolo nella te-rapia palliativa soltanto se i benefici del trattamentosuperano gli effetti collaterali.

WHO ha elaborato un sistema gerarchico “a gra-dini”, per gestire nel modo più corretto il dolore. Ilprimo approccio antidolorifico (gradino 1) preve-de la somministrazione di farmaci antinfiammato-ri non steroidei (FANS), da associare, in caso dinecessità, a oppiacei (gradino 2). Se ancora il do-lore non è controllato, ma anzi si acuisce, si puòaumentare la dose di oppiacei (gradino 3).In caso di dolore persistente, prima di cambiare ca-tegoria di analgesico, è meglio sostituire il farmacocon uno alternativo appartenente allo stesso gruppo. In linea generale, vale quanto segue: il dolore dilieve o moderata entità va trattato con FANS, as-sicurandosi che non ci siano controindicazioni si-stemiche. Quando il dolore si acuisce, è possibi-le aggiungere oppioidi al regime terapeutico. Se ildolore aumenta ancora, è possibile innalzare ladose di oppioidi.È bene ricordare che lʼanalgesia continua facilitail mantenimento di benessere animale; pertanto, ifarmaci antidolorifici non dovrebbero essere som-ministrati solo quando il dolore diventa moderato-intenso.

Antistaminici, antidepressivi triciclici e antiserotoninergici

Lʼistamina favorisce trasduzione e trasmissionedel dolore attraverso la stimolazione di vari recet-tori. Alcuni antistaminici (clorfeniramina, loratidi-na, idrossizina, amitriptilina) sono indicati per il trat-tamento di dolore legato a flogosi e chirurgia e didermatiti indotte da radioterapia. Gli antistaminicisono inoltre stimolatori di appetito e antiemetici. Incombinazione con oppiacei, rappresentano la pri-ma scelta nel paziente oncologico.Gli antidepressivi triciclici (trazadone, mirtazapi-na) possono alleviare il dolore prima che lʼeffettosedativo sia evidente; pertanto, possono essereutilizzati in combinazione con oppiacei. Essi sonoinibitori selettivi di ricaptazione di serotonina e no-radrenalina e mostrano attività anticolinergica eantistaminica. Sono particolarmente indicati neltrattamento di dolore cronico, anche se lʼesattomeccanismo dʼazione è ancora poco chiaro.

Antinfiammatori non steroidei

Gli antinfiammatori non steroidei sono farmaci anal-gesici efficaci nel controllare dolore acuto e croni-co e hanno il vantaggio di avere lunga durata dʼazio-

capitolo 11Terapia del dolore

131

ne (tabella II). Per questi motivi, FANS rappre-sentano la prima scelta per controllare il dolore nelpaziente oncologico e dovrebbero essere utilizzatiin prima battuta, a meno che non esistano con-troindicazioni. È importante sottolineare che mol-ti FANS (in particolare, coxib) svolgono anche at-tività antitumorale. Infatti, numerosi tumori so-vraesprimono COX-2; pertanto, lʼinibizione recet-toriale da parte di farmaci inibenti (FANS appun-to) esita in risposta antitumorale.FANS hanno azione nocicettiva periferica, bloccan-do la sintesi di prostaglandine a livello di recettore. Inaltre parole, FANS inibiscono sensibilizzazione delrecettore a stimolo dolorifico e trasmissione a livellospinale. Il meccanismo dʼazione prevede inibizione

di ciclossigenasi (COX) e mancata sintesi di prosta-glandine a partire da acido arachidonico contenutonelle membrane cellulari. Le prostaglandine, veri epropri mediatori del processo infiammatorio, oltre arilasciare sostanze algogene, sensibilizzano i noci-cettori allo stimolo doloroso; inoltre, facilitano la tra-smissione dellʼimpulso doloroso attraverso midollospinale. Alcune prostaglandine facilitano il riassorbi-mento osseo esacerbando il dolore in caso di tumo-re osseo primitivo e metastatico.Sullʼazione nocicettiva centrale di FANS si sta an-cora indagando.La differenza principale tra vari FANS risiede in ti-po e incidenza di tossicità. Si conoscono due classi di COX: COX-1 e COX-2.

Tabella II - Antinfiammatori utilizzati in medicina veterinaria.

farmaco dose e via di somministrazione specie livello di dolore

acido 10-25 mg/kg ogni 8-12 ore po cane lieveacetilsalicilico 10 mg/kg ogni 48 ore po gatto lieve

10-20 mg/kg sid po furetto lieve

carprofene 2,2 mg/kg ogni 12 ore po cane moderato0,5-2 mg/kg ogni 12 ore po gatto moderato

piroxicam 0,3 mg/kg sid po cane moderato0,3 mg/kg ogni 24-48 ore po gatto moderato

meloxicam 0,2 mg/kg po (o sc, ev), poi 0,1 mg/kg sid po cane moderato0,2 mg/kg po o sc, poi 0,1 mg/kg per 2-3 giorni, gatto moderatopoi ulteriore riduzione

naprossene 5 mg/kg po, poi 1,2-2,8 mg/kg sid po cane moderato

ketoprofene 2 mg/kg sid sc, im, ev, poi 1 mg/kg/die po, ev, im, sc cane moderato2 mg/kg sid sc, poi 1 mg/kg/die gatto moderato

flunissina come antipiretico: 0,25 mg/kg ev, sc, im, cane e gatto moderatomeglumina eventualmente da ripetere

come analgesico: 1 mg/kg ev, sc, im cane moderatocome analgesico: 0,25 mg/kg ev, sc, im gatto moderatocome analgesico: 0,5-2 mg/kg sid po, im furetto moderato

acido tolfenamico dolore acuto: 4 mg/kg sid sc, im, po per 3-5 giorni cane e gatto moderatodolore cronico: 4 mg/kg sid sc, im, po per 3-5 giorni; cane moderatola dose parenterale è indicata per il primo giorno soltanto

etodolac 10-15 mg/kg sid po cane moderato

deracoxib 1-2 mg/kg sid allʼoccorrenza cane moderato

tepoxalin 10 mg/kg sid po cane moderato

PARTE GENERALE

132

cienza dellʼenzima epatico glucoroniltransferasi:lʼemivita di acido acetilsalicilico è, pertanto, pro-lungata e, se somministrato ripetutamente, puòportare a serie intossicazioni. Nei cani può pro-vocare importanti sanguinamenti gastroentericied è controindicato in pazienti con insufficienzarenale, pregresse ulcere e disordini emorragici.Lʼacido acetilsalicilico, infatti, inibisce in modopermanente e irreversibile la formazione di trom-bossani, risultando in attività anticoagulante.

• Carprofene. Inibitore preferenziale (non seletti-vo) di COX-2. Indicato per la sua azione analge-sica e antinfiammatoria nel cane. Si consiglia dimonitorare funzionalità epatica. Nel gatto, non èancora stata valutata in pieno la sicurezza.

• Piroxicam. FANS ad attività analgesica e antitu-morale indiretta (mediante interazione con siste-ma immunitario). A questo riguardo, maggiori det-tagli si possono trovare nel capitolo 18.

• Meloxicam. Inibitore preferenziale (non seletti-vo) di COX-2, disponibile in formulazione sia ora-le sia iniettabile. Attualmente, non ha mostratotossicità renale o epatica. Lʼattività analgesica èstata ampiamente descritta nel cane, mentre nelgatto sono disponibili soltanto pochi dati.

• Naprossene. FANS analgesico, antinfiammato-rio e antipiretico. È spesso difficile dosare accu-ratamente questo FANS e, avendo a disposizio-ne alternative efficaci e più sicure, è raramenteutilizzato in medicina veterinaria.

• Ketoprofene. Inibitore equivalente di COX-1 eCOX-2. Da alcuni autori, ketoprofene è consi-derato lʼanalgesico non steroideo dʼelezione delgatto. Può essere somministrato per via orale oparenterale.

• Flunissina meglumina. Potente inibitore di COX adattività analgesica, antinfiammatoria e antipiretica.Deve essere utilizzata con cautela in animali conulcere gastroenteriche, lesioni renali o malattieematologiche. Se utilizzato come analgesico, siconsiglia la somministrazione di unʼunica dose; selʼanimale non risponde, unʼulteriore dose è rara-mente efficace, mentre è potenziata la tossicità. Èun prodotto esclusivamente per uso veterinario.

• Acido tolfenamico. Potente inibitore di COX, cheesibisce attività farmacologica analoga a quelladi acido acetilsalicilico. Inibendo lʼattività anchedi trombossani, lʼacido tolfenamico altera la fun-zionalità piastrinica. Lʼacido tolfenamico è effica-ce nel dolore acuto, sia nel cane sia nel gatto, enel dolore cronico, ma solo nel cane.

• Etodolac. Inibitore non selettivo di COX ad atti-

• COX-1 è coinvolta in regolazione di alcune funzio-ni omeostatiche dellʼorganismo, come manteni-mento dʼintegrità di mucosa gastrica (facilitandosecrezione di muco), di flusso renale e di fun-zionalità piastrinica, mediante la produzione diprostaglandine “buone” o costitutive, molto utiliallʼorganismo.

• COX-2 interviene nella mediazione di dolore eflogosi mediante la produzione delle cosiddetteprostaglandine inducibili non fisiologiche, che ini-ziano e perpetuano il processo infiammatorio (va-sodilatazione, alterazione di permeabilità capil-lare, potenziamento di altri mediatori della flo-gosi, chemiotassi e iperalgesia).

Lʼinibizione di COX-1 è, quindi, responsabile del-la tossicità indotta da FANS, mentre lʼinibizione diCOX-2 è associata a effetti analgesici e antin-fiammatori di FANS. FANS di nuova generazione,che inibiscono selettivamente COX-2, miglioranola tollerabilità gastrica e renale. È importante mo-nitorare con attenzione i pazienti in chemioterapiatrombocitopenizzante, che contemporaneamenteassumono FANS, per la possibile insorgenza disanguinamenti gastroenterici. FANS, infatti, inibi-scono lʼaggregazione piastrinica, esacerbando glieventuali difetti di coagulazione. Inoltre, è consi-gliabile evitare la contemporanea somministra-zione di altri FANS, glicocorticoidi e antibiotici po-tenzialmente nefrotossici (aminoglicosidici).FANSdevono essere prescritti insieme a uno o più ga-stroprotettori (antistaminici anti-H2, inibitori dellapompa protonica, analoghi di prostaglandine).FANS possono essere somministrati per tutte le vie.Dopo un intervento chirurgico, si preferisce la som-ministrazione parenterale (ev, im, sc), fino a quan-do il paziente riprende ad alimentarsi autonoma-mente. Altrimenti, per motivi pratici e perché moltospesso la terapia è somministrata a livello domici-liare, si predilige la somministrazione orale.Negli ultimi anni, sono state introdotte in que-stʼampia classe di analgesici interessanti nuovemolecole caratterizzate da ridotta tossicità a pari-tà di efficacia.

• Acido acetilsalicilico. Inibitore non selettivo diCOX ad attività analgesica, antinfiammatoria eantiaggregante piastrinico, utilizzato in cani e gat-ti. In questʼultima specie, tuttavia, il dosaggio ri-chiede particolare monitoraggio, poiché esisteinabilità fisiologica a metabolizzare ed eliminarei salicilati. Il gatto, infatti, presenta innata defi-

PARTE GENERALE

138

spalla più larga rispetto a quelle di cellule neopla-stiche, in cui (sulla base del modello lineare qua-dratico) si ha ridotto rapporto α/β; tale rapporto quan-tifica la sensibilità dei tessuti al frazionamento.Per tale motivo, la radioterapia deve essere elar-gita in piccole frazioni: nellʼintervallo tra le sedute,i tessuti normali possono recuperare, riducendogli effetti collaterali del trattamento.La riparazione di danni subletali a carico di tessu-ti sani si completa nellʼarco di circa 6 ore, con lʼec-cezione di tessuti del sistema nervoso centrale,per i quali ci vuole più tempo. Questo dato è im-portante nel caso di trattamenti accelerati (descrittiin un paragrafo successivo).

Riossigenazione

Circa due terzi di danno biologico prodotto da ra-diazioni è ossigeno-dipendente e mediato da ra-dicali liberi (danno indiretto). Circa un terzo di dan-no biologico prodotto da radiazioni è invece diret-to, poiché indipendente da ossigeno.Il danno indiretto al DNA provocato da radicali li-beri può essere riparato in condizioni ipossiche,ma può diventare permanente o irreparabile selʼossigeno è disponibile (ipotesi di fissazione del-lʼossigeno). Da ciò si evince quanto sia importan-te lʼossigeno in radioterapia. Le regioni ipossichedel tumore (generalmente, centrali o necrotiche)sono tendenzialmente radioresistenti.Lʼipossia può essere cronica o acuta: la prima de-riva da limitata diffusione di ossigeno attraverso itessuti; la seconda è provocata da ostruzione tem-poranea di vasi neoplastici (perfusione). Durante radioterapia, le cellule sono riossigenate,indipendentemente da tipo dʼipossia. La riossige-nazione è un importantissimo fattore che contri-buisce alla radiosensibilità dei tumori. Lʼipossia au-menta di 2,5-3 volte la resistenza delle cellule neo-plastiche allʼeffetto di radiazioni rispetto a distret-ti meglio ossigenati (rapporto di potenziamento diossigeno, OER).

Ridistribuzione

Sono particolarmente sensibili alle radiazioni lecellule che si dividono con maggiore frequenza e,quindi, tra queste, anche le cellule tumorali. Le cel-lule molto differenziate che non replicano, comeeritrociti, cellule muscolari e nervose, sono tipica-mente radioresistenti. Fibroblasti e cellule endo-teliali hanno sensibilità alle radiazioni che è con-

deve essere curativo, a causa di radiosensibilitàdi strutture normali adiacenti.In caso di protocolli curativi (realizzabili, appunto,in caso di lunga aspettativa di vita), gli effetti col-laterali acuti sono considerati accettabili fino a uncerto grado, mentre gli effetti collaterali tardivi (chepossono comparire dopo mesi o anni dal tratta-mento) devono essere evitati, perché irreversibili.La radioterapia palliativa ha lo scopo di migliora-re la qualità di vita del paziente, riducendo doloreo trattando sintomi, quali dispnea, emorragia, pa-ralisi e problemi di defecazione/minzione. In que-sto caso, gli effetti collaterali acuti devono essereevitati o ridotti al minimo. Talvolta, con tali proto-colli palliativi, è possibile influenzare positivamente(e indirettamente) non solo qualità di vita, ma an-che quantità di vita.

Come funziona la radioterapia?

La radioterapia danneggia il DNA e diventaefficace durante il processo di divisione cellulare:quando le cellule tentano di dividersi, muoiono. Ta-le evento non necessariamente si verifica al pri-mo tentativo mitotico. Generalmente, il tempo dirisposta a radioterapia dipende da tasso prolife-rativo della neoplasia. Tumori a elevata attività pro-liferativa rispondono altrettanto velocemente (en-tro giorni), mentre tumori ad attività proliferativalenta necessitano di più tempo per rispondere (set-timane-mesi).Unʼeccezione è rappresentata da tessuto linfati-co, ghiandole lacrimali e salivari e testicoli, poichéle cellule che originano da tali distretti muoiono nelgiro di poche ore per apoptosi.

Frazionamento della radioterapia

Nel 1975, Rodney Withers ha introdotto il con-cetto di “quattro R di radiobiologia: riparazione,riossigenazione, ridistribuzione, ripopolamento”.

Riparazione

Tanto più le cellule sono capaci di riparare il dannoal DNA, tanto più sono radioresistenti. In generale,le cellule normali hanno migliore capacità riparati-va rispetto a cellule neoplastiche, traducendosi invantaggio terapeutico.Le curve di sopravvivenza di cellule normali hanno

capitolo 12Principi di radioterapia

139

siderata intermedia e il loro danneggiamento è re-sponsabile di effetti collaterali tardivi.La radiosensibilità varia in base a distribuzione del-le cellule nel ciclo cellulare. Le cellule che si tro-vano in fase M (mitosi) o G2 al momento dellʼirra-diazione sono radiosensibili. Le cellule, invece, infase S tardiva (sintesi di DNA) o G1 (G0) sono ra-dioresistenti. Possibili cause includono maggiorecapacità riparativa durante fase S, presenza diDNA condensato in fase M, con indisponibilità dienzimi riparatori, variazioni in gruppi sulfidrilici, chefungono da radioprotettori.La ridistribuzione di cellule durante le frazioni diprotocollo radioterapico consiste nellʼavanzamen-to di cellule radioresistenti a livelli più radiosensi-bili del ciclo cellulare.

Ripopolamento

Il trattamento radioterapico, così come la chemio-terapia, può stimolare le cellule neoplastiche so-pravvissute a dividersi più rapidamente (ripopola-zione accelerata o clonogenica). Withers e collabo-ratori hanno dimostrato, in caso di tumori di testa ecollo, che la ripopolazione clonogenica accelera cir-ca 28 giorni dopo lʼinizio di radioterapia frazionata.In altre parole, se il trattamento radioterapico durapiù di 28 giorni, è necessario aumentare la dose perfrazione di circa 0,6 Gy/giorno, per contrastare il ri-popolamento. Per questo motivo, la radioterapia do-vrebbe essere completata il prima possibile, cioèquando gli effetti collaterali sono ancora accettabi-li, dal momento che il prolungamento del tempo ditrattamento non protegge da effetti tardivi, ma hagrande impatto su effetti collaterali precoci.Il ripopolamento è il motivo per cui è meglio, nelcaso sia necessario, posticipare lʼinizio di radiote-rapia, anziché creare pause una volta che il pro-tocollo è stato iniziato.Tipo di frazionamento e durata totale del tratta-mento dipendono essenzialmente da tipo di tu-more e finalità della terapia (curativa o palliativa).Un esempio di trattamento accelerato (la stessadose totaleè somministrata molto più velocemente)è rappresentato da protocollo radiante per carci-nomi squamocellulari nel gatto, caratterizzati daproliferazione molto elevata; tale protocollo è uti-lizzato per contrastare il ripopolamento. Per ragioni di radiobiologia, carcinoma prostaticoe melanoma richiedono, invece, trattamenti ipo-frazionati, caratterizzati dasomministrazione di po-che dosi, ma più elevate.

Dose radiante

La dose assorbita (misurata in Gray, Gy) rap-presenta lʼenergia depositata dalla radiazione a li-vello di massa di materiale nel sito dʼinteresse:

1 Gray (Gy) = 1 Joule/kg

Tale energia può essere depositata nel tumore aopera di particelle cariche (radiazioni ionizzanti) onon cariche (radiazioni indirettamente ionizzate).Come anticipato, le cellule che non riescono a ri-parare il danno del DNA provocato da radiazionisono considerate radiosensibili e richiedono, quin-di, una dose radiante totale inferiore.

Tipi di radioterapia

Le tecniche di radioterapia includono telete-rapia, brachiterapia e radioterapia metabolica.

Teleterapia

La teleterapia è il metodo di radioterapia maggior-mente utilizzato in medicina sia umana sia veteri-naria. Questa tecnica applica pacchetti di energiadallʼesterno, senza contatto diretto con il tumore. La teleterapia si avvale di vari apparecchi.

• Ortovoltaggio (150-350 kV): può essere utilizza-to per lesioni superficiali, dello spessore che va-ria da qualche millimetro a pochi centimetri (di-pende da filtrazione del fascio, attuabile, peresempio, con rame). La dose massimale è sem-pre somministrata a livello di superficie cutanea;a 2 cm di profondità, la dose diminuisce di circa90 per cento. Per effetto fotoelettrico, lʼassorbi-mento osseo è sempre elevato. La pianificazio-ne terapeutica è manuale e, nella maggior par-te dei casi, è utilizzato soltanto un fascio.

• Cobalto-60 (due raggi γ di 1,17 e 1,33 MeV; emi-vita di 5,26 anni): la sorgente radioattiva si trovanella testa della macchina e i raggi γ sono diret-ti tra collimatori alla regione da irradiare. Lʼener-gia è nel range di megavoltaggio e rende possi-bile irradiare tumori localizzati in profondità. Glisvantaggi includono continua emissione di ra-diazioni e poca precisione. In merito a questʼul-timo punto, la dimensione della fonte di radia-zioni (circa 2 cm) crea unʼampia penombra, cheha impatto negativo sui margini del campo di ra-dioterapia, risultando, appunto, in imprecisione.

PARTE GENERALE

162

Da questo esempio si evince che il protocollo com-binato ha intensità di dose sommata superiore ri-spetto a doxorubicina in monoterapia (1,8 verso 1),offrendo vantaggio terapeutico.

Per densità di dose sʼintende la quantità di che-mioterapico somministrata in un lasso di tempovariabile e si basa sulla somministrazione di far-maci a intervalli ravvicinati (figura 3 B). Un regime che somministra dose x in giorni y è me-no dose-denso di un regime che somministra x ingiorni y/2. In questo caso, lʼintensità di dose è sta-ta ottenuta mediante accorciamento dʼintervallo, inaltre parole aumentando la densità di dose. Scopodei regimi dose-densi è somministrare farmaci il piùfrequentemente possibile, per distruggere malattiaminima residua ed evitare lʼemergenza di cloni che-mioresistenti. Un esempio caratteristico di regimedose-denso è la chemioterapia metronomica, chetuttavia non si prefigge di somministrare elevate do-si di chemioterapico (dose cumulativa), ma picco-lissime dosi a brevi intervalli.

Terapia multimodale

Lʼapproccio terapeutico moderno al cancro(essenzialmente tumori solidi caratterizzati da com-portamento biologico aggressivo) prevede spessotrattamenti multimodali: in altre parole, chirurgia e ra-dioterapia, per il controllo locale, e chemioterapia,per il trattamento di malattia metastatica (foci sia mi-crometastatici sia macrometastatici). I cosiddetti pro-tocolli di associazione combinano diverse strategieterapeutiche nel tentativo di ottenere sinergie ed ef-fetti di potenziamento, per migliorare, in ultimo, laprognosi dei pazienti oncologici. Gli scopi della terapia multimodale sono:

• riduzione di stadio clinico di malattia (down-sta-ging);

• eliminazione di micrometastasi sistemiche;• trattamento di malattia minima residua dopo aspor-

tazione chirurgica;• prolungamento di sopravvivenza.

Nel tempo sono state proposte molteplici asso-ciazioni, per quanto riguarda sia strategia tera-peutica (combinazioni tra chirurgia, radioterapia echemioterapia), sia cronologia di applicazione (trat-tamento neoadiuvante o adiuvante).La scelta di terapia antitumorale e sue associa-zioni si basa sui seguenti fattori:

• valutazione completa di estensione neoplastica(stadiazione clinica);

• conoscenza approfondita di caratteristiche intrin-seche del tumore, incluse vie di metastatizzazio-ne, radiosensibilità e chemiosensibilità;

• valutazione di sede anatomica, tipo istologico estrutture normali nella regione da trattare;

• definizione di scopi terapeutici (curativi o palliativi);• selezione di modalità di trattamento appropriate,

inclusi “dose” (chirurgica, radiante o chemiote-rapica) e volume neoplastico da trattare (moda-lità adiuvante o neoadiuvante);

• valutazione delle condizioni generali del paziente.

Chemioterapia neoadiuvante

Il razionale di chemioterapia neoadiuvante si basasullʼipotesi di Goldie-Coldman. Se è vero che il vo-lume di cellule neoplastiche chemioresistenti au-menta con lʼincrementare di dimensioni del tumore,allora la chemioterapia ha massima efficacia e po-tenziale di cura nelle fasi iniziali di malattia. Inoltre,somministrando chemioterapia prima di intervenirechirurgicamente, non si avrebbero fenomeni cica-triziali, che alterano il letto vascolare, compromet-tendo lʼefficace distribuzione di chemioterapico.Gli scopi principali di chemioterapia neoadiuvan-te sono ridurre le dimensioni del tumore primitivo,per renderlo aggredibile con chirurgia, e bersa-gliare foci micrometastatici sistemici clinicamenteocculti, tipicamente molto sensibili allʼazione far-macologica. È anche possibile individuare pazientiche rispondono al trattamento e che possono es-sere sottoposti a chemioterapia adiuvante in se-guito ad asportazione chirurgica del tumore, uti-lizzando il tumore come marker biologico di ri-sposta a farmaco somministrato. Una scarsa ri-sposta a chemioterapia identifica, invece, quei pa-zienti per i quali è necessario valutare seriamen-te approcci terapeutici alternativi.La chemioterapia neoadiuvante trova poche appli-cazioni dirette nella pratica clinica: ciò è da ricondur-re agli accertati svantaggi, tra cui ritardato trattamentodefinitivo locoregionale (in caso di mancata rispostaa chemioterapia), peggioramento delle condizioni delpaziente (in caso di tossicità), possibilità di metasta-tizzazione a distanza (in caso di perdita dʼimmuno-sorveglianza indotta da chemioterapia).

Chemioterapia adiuvante

Dopo asportazione chirurgica di un tumore, il volu-

capitolo 13Principi di chemioterapia

163

me che resta (malattia minima residua, sia localesia sistemica) può essere bersagliato con che-mioterapia, se naturalmente esiste indicazione (peresempio, tumori biologicamente aggressivi, a ele-vato potenziale metastatico di alto grado, con lin-fonodo regionale positivo e/o con elevato rischiodi recidiva locale). Le cellule residue presentano,infatti, elevata frazione di accrescimento e sonopertanto sensibili al trattamento chemioterapico,che sarebbe così in grado di eliminare microme-tastasi clinicamente occulte. Non devono inoltreessere affrontati i problemi tipici di tumor burdenelevato, tra cui ridotto apporto vascolare, ipossia,eterogeneità neoplastica ed emergenza di clonichemioresistenti.Per tumori a elevato rischio di recidiva locale, lʼim-piego di chemioterapia adiuvante è quanto maicontroverso. La necessità di chemioterapia adiu-vante è enfatizzata dalla consapevolezza che, unavolta recidivato, il tumore molto difficilmente ri-sponderà a chemioterapia. Al tempo stesso, alcu-ni pazienti che ricevono chemioterapia adiuvantenon recidiverebbero in ogni caso, poiché lʼinter-vento chirurgico è già stato da solo risolutivo. I princìpi che regolano la chemioterapia adiuvan-te sono i seguenti:

• somministrare soltanto chemioterapici efficaciper quel tipo di tumore;

• il tumore deve essere stato asportato chirurgi-camente;

• la chemioterapia deve essere iniziata il primapossibile dopo chirurgia;

• somministrare chemioterapici alla massima do-se tollerata;

• somministrare chemioterapia per un periodo ditempo limitato.

Lʼindicatore principale di efficacia (tasso di remis-sione completa) si perde in setting adiuvante, dalmomento che il tumore primitivo è stato rimosso.Gli end-point principali sono dunque durata dʼin-tervallo libero da malattia e sopravvivenza com-plessiva. Nel singolo paziente, non è possibile sta-bilire se chemioterapia adiuvante ed eventuale tos-sicità sono state di beneficio o necessarie.

Radioterapia e chemioterapia

Lʼassociazione terapeutica radioterapia locale-chemioterapia sistemica è volta a ottenere mag-giore attività antitumorale (ampliare lʼindice tera-

peutico), sia su tumore primitivo sia su microme-tastasi sistemiche. Infatti, sebbene il controllo lo-coregionale del tumore sia della massima impor-tanza per prolungare lʼintervallo libero, la presen-za di micrometastasi compromette la riuscita ditrattamento chirurgico/radioterapico. Combinandole due modalità, si bersagliano volumi neoplasticidifferenti e si diminuisce la dose sia di chemiote-rapia sia di radioterapia, riducendo notevolmentela tossicità secondaria a ciascun trattamento.In merito a modalità di associazione, radioterapiae chemioterapia possono alternarsi, succedersi neltempo oppure essere somministrate contempora-neamente. In questʼultimo caso, se si vuole dirige-re lʼazione antineoplastica contro lo stesso obbiet-tivo (tumore principale), si utilizzano chemioterapi-ci radiosensibilizzanti che incrementano lʼeffetto ci-tolesivo dei raggi ionizzanti, somministrati, in ge-nere, unʼora prima del trattamento radiante. I meccanismi dʼazione alla base dellʼeffetto siner-gico sono, dopo radioterapia, riossigenazione di cel-lule neoplastiche ipossiche, che sono quindi più fa-cilmente raggiunte dai farmaci, mancata riparazio-ne di danni subletali a carico di DNA di cellule neo-plastiche e sincronizzazione del ciclo cellulare.Laddove, invece, lʼassociazione contemporaneaabbia obbiettivi diversi (tumore primitivo o “santua-ri” inaccessibili a chemioterapici - radioterapia - emicrometastasi al di fuori del campo dʼirradiazio-ne - chemioterapia), si scelgono chemioterapicinon necessariamente radiosensibilizzanti efficacicontro metastasi. Si parla, in questo caso, di as-sociazione spaziale.

Valutazione di risposta a chemioterapia: end-point clinici

Per valutare se il trattamento chemioterapi-co è stato efficace, è necessario innanzitutto averstabilito in quale setting è stata somministrata lachemioterapia, se con strategia dʼinduzione, adiu-vante o neoadiuvante.

Chemioterapia dʼinduzione

Si applica su pazienti con tumori in genere avan-zati e misurabili. La risposta a chemioterapia vie-ne classificata come remissione completa, remis-sione parziale, malattia stabile e progressione. Perremissione sʼintende scomparsa parziale o totaledi segni e sintomi collegati allo stato patologico.

PARTE GENERALE

166

capitolo 14

CHEMIOTERAPICI IN MEDICINA VETERINARIA

Laura Marconato

di raggiungere tale scopo, sono quantità di farma-co somministrato e intervallo di somministrazione.In condizioni ideali, sarebbe necessario conosce-re per ogni chemioterapico il rapporto tra dose,conseguenze terapeutiche e tossiche e durata dieffetto. Sfortunatamente, in medicina veterinariaspesso mancano tali informazioni. Inoltre, diffe-renze genotipiche e fenotipiche fanno sì che lostesso dosaggio di chemioterapico provochi, in in-dividui diversi, profili farmacocinetici variabili, condifferenti risposte terapeutica e tossica.I chemioterapici hanno indice terapeutico ristretto,ovvero sono farmaci poco maneggevoli, e le con-seguenze di modesta overdose o di piccolo sotto-dosaggio possono essere fatali per il paziente (tos-sicità inaccettabile o mancata risposta terapeutica).È perciò imperativo dosare i chemioterapici accu-ratamente e conoscerne la farmacologia clinica.In studi tossicologici, lʼutilizzo di peso corporeo perdosare i farmaci (mg/kg) non consente correlazionetra animali roditori ed esseri umani. Comparando uo-mo e topo, 1 mg/kg rappresenta una dose dram-maticamente differente e questo a causa di dimen-sioni, gittata cardiaca e distribuzioni epatica e rena-le, mentre 1 mg/m2 è in sostanza la stessa dose. Il dosaggio di farmaci in base a superficie corpo-rea (mg/m2) permette di somministrare al pazien-te una dose più sicura, soprattutto in casi in cuiesiste differenza estrema di taglia, come, per esem-pio, soggetto adulto e giovane oppure diverse raz-ze di cani (tabelle I e II). Utilizzando la superficiecorporea, vengono a essere eliminate le differen-ze di metabolismo basale, distribuzione, metabo-lismo ed eliminazione di farmaco, che normalmenteesistono tra cani piccoli e cani grandi. La formula utilizzata per estrapolare la superficiecorporea dal peso dellʼanimale è la seguente:

BSA (superficie corporea) = 10 x W (peso corporeo in grammi)2/3

Introduzione

Negli ultimi decenni, lʼoncologia medica ha vi-sto sviluppare numerosi farmaci antineoplastici,utilizzati con successo non solo in medicina uma-na, ma anche in medicina veterinaria.A differenza di chirurgia e radioterapia, che non pos-sono superare il limite del controllo locoregionale deltumore, la chemioterapia svolge azione sistemica edeve, quindi, essere presa in considerazione per tu-mori del sistema emolinfatico, quali linfoma, leuce-mie, mieloma multiplo e altre neoplasie emopoieti-che, oppure tumori che hanno elevato potenzialemetastatico. Il più delle volte, tuttavia, la chemiote-rapia è utilizzata in panorama multidisciplinare, in-sieme cioè a chirurgia e/o radioterapia.Al contrario della chirurgia, in genere più facilmenteaccettata dai proprietari perché rimuove il tumore,la chemioterapia non ha questo carattere dʼim-mediatezza ed è, pertanto, più difficilmente ap-prezzata. Inoltre, lʼeventuale tossicità secondariaal trattamento può provocare conflitto decisionaletra qualità di vita e più lunga sopravvivenza.Il veterinario oncologo diventa figura di riferimen-to che deve essere in grado di trovare lʼequilibriotra validità di sforzo terapeutico e accanimento,stabilendo rapporto di fiducia e di continua comu-nicazione con il proprietario.

Come calcolare la dose di chemioterapico

La somministrazione di chemioterapia a unpaziente comporta, da un lato, effetto terapeutico(desiderato), dallʼaltro, effetto tossico (indesidera-to). Scopo della chemioterapia è massimizzare larisposta terapeutica e minimizzare la tossicità inac-cettabile. Le variabili correlate al dosaggio, che consentono

Tabella I - Conversione peso/superficie corporea percani.

kg m2 kg m2

0,51,0 2,03,04,05,06,07,08,09,0

10,011,012,013,014,015,016,017,018,019,020,021,022,023,024,025,0

*per peso > 50 kg, aggiungere 0,02 m2 per chilogrammo.

sare il farmaco in base a peso corporeo e non inbase alla superficie.

Modalità di somministrazione

I chemioterapici possono essere somministratiper via orale, endovenosa, intrarteriosa, sottocu-tanea, intralesionale, intraincisionale, intracavita-ria, intravescicale e inalatoria. Efficacia e tossici-tà spesso variano in base alla via di somministra-zione scelta ed errori tecnici, anche banali, pos-sono compromettere lʼefficacia della terapia o ac-centuarne la tossicità.

I chemioterapici che possono essere somministratiper via orale sono largamente impiegati in medi-cina veterinaria, sia in strategia dose-intensa, sia

capitolo 14Chemioterapici in medicina veterinaria

167

Ciò nonostante, lʼutilizzo della superficie corporeaper dosare i farmaci citotossici non è sempre giu-stificato; infatti, la disposizione di un farmaco nonè sempre proporzionale alla superficie corporea:differenze in distribuzione, metabolismo ed escre-zione di farmaco possono precludere lʼestrapola-zione di dose tra specie diverse oppure tra indivi-dui diversi nellʼambito della stessa specie. Per esempio, utilizzando la superficie corporea,cani di piccola taglia (< 10 kg) e gatti ricevono, inproporzione, dosi maggiori, e, quindi, hanno pic-co plasmatico, emivita, volume distribuito ed ef-fetti collaterali maggiori rispetto a cani di grossataglia. Ne sono esempi doxorubicina, melphalane sali del platino.Attualmente, in cani di piccola taglia e gatti, e so-lo per alcuni chemioterapici, si raccomanda di do-

0,060,100,150,200,250,290,330,360,400,430,460,490,520,550,580,600,630,660,690,710,740,760,780,810,830,85

26,027,028,029,030,031,032,033,034,035,036,037,038,039,040,041,042,043,044,045,046,047,048,049,050,0*

0,880,900,920,940,960,991,011,031,051,071,091,111,131,151,171,191,211,231,251,261,281,301,321,341,36

Tabella II - Conversione peso/superficie corporea pergatti.

kg m2 kg m2

0,10,20,30,40,50,60,70,80,91,01,21,41,61,82,02,22,42,52,62,83,03,23,43,53,63,84,04,24,44,54,64,8

0,0220,0340,0450,0540,0630,0710,0790,0860,0930,1000,1130,1250,1370,1480,1590,1690,1790,1840,1890,1990,2080,2170,2260,2310,2350,2440,2520,2600,2690,2730,2770,285

5,05,25,45,55,65,86,06,26,46,56,66,87,07,27,47,57,67,88,08,28,48,58,68,89,09,29,49,59,69,8

10,0

0,2920,3000,3070,3110,3150,3230,3300,3370,3450,3480,3520,3600,3660,3730,3800,3830,3870,3930,4000,4070,4130,4160,4200,4260,4320,4390,4450,4490,4520,4580,464

capitolo 14Chemioterapici in medicina veterinaria

169

agenti antimitotici o alcaloidi vegetali (attivi du-rante fase M).

• Agenti fase-aspecifici: distruggono le cellule chesi dividono indipendentemente da fase del ciclocellulare. Esempio: agenti alchilanti, doxorubici-na e mitoxantrone.

• Agenti ciclo-aspecifici: tossici sia per cellule chesi dividono, sia per cellule in fase G0. Esempio:mostarde azotate (mecloretamina) e nitrosouree.

I chemioterapici che agiscono durante una fasespecifica del ciclo cellulare sono efficaci soltantoquando la cellula si trova nella fase di sintesi o di-visione mitotica. I chemioterapici che invece agi-scono indipendentemente dalla fase cellulare eser-citano la loro azione durante lʼintero ciclo.

Agenti alchilanti

Gli agenti alchilanti sono fase-aspecifici, dal mo-mento che esercitano la loro attività citotossica sututte le fasi del ciclo cellulare, anche se le cellulein fase S sono comunque più sensibili, poiché illoro DNA è parzialmente svolto e, quindi, più ac-cessibile.Gli agenti alchilanti promuovono il trasferimento digruppi alchilici nel DNA, determinando rottura dicatena e distruzione del templato di DNA, che, asua volta, interrompe le informazioni necessarieper divisione cellulare. Pertanto, i chemioterapicisono definiti agenti alchilanti se contengono grup-pi reattivi alchilici capaci di formare legami cova-lenti con DNA. La resistenza è secondaria allʼaumentata ripara-zione del DNA ed è tipicamente cross-reagente, va-le a dire che la resistenza verso un agente alchi-lante indica resistenza anche verso tutti gli altri.

biettivo è stabilizzare il paziente e non indurre re-missione, minimizzando la tossicità. La chemiote-rapia metronomica, poiché somministrata in regi-me continuativo al paziente, impedirebbe il recu-pero di cellule neoplastiche, che si verifica, inve-ce, negli intervalli di protocolli tradizionali. Bersa-gli di chemioterapia metronomica sono soprattut-to cellule endoteliali e loro precursori midollari, ilcui ruolo è portare sostentamento al tumore.

Farmaci antineoplastici

I chemioterapici citotossici danneggiano le cel-lule neoplastiche, interferendo con sintesi di pre-cursori di DNA oppure interagendo con DNA stes-so, impedendone la duplicazione. Altri bersagli so-no enzimi, membrana cellulare, microtubuli, or-moni e fattori di crescita. Purtroppo, non esistonochemioterapici in grado di distinguere tra cellulanormale e tumorale: ciò spiega la tossicità asso-ciata a somministrazione di terapie citotossiche.Tuttavia, essendo le cellule tumorali caratterizza-te da crescita incontrollata, è probabile che essesiano in fase di divisione cellulare quando vienesomministrato il chemioterapico e siano, pertan-to, più sensibili a effetti nocivi.I chemioterapici sono classificati didatticamente intre gruppi, secondo meccanismo dʼazione e fasedel ciclo cellulare durante la quale agiscono. Que-sta classificazione non deve essere considerataassoluta, poiché, per molti chemioterapici, è an-cora sconosciuto o poco chiaro il meccanismodʼazione.

• Agenti fase-specifici: distruggono le cellule chesi dividono in fasi particolari del ciclo cellulare.Esempio: antimetaboliti (attivi durante fase S) e

farmaco dose (cane) dose (gatto) tossicità eliminazione indicazioni

carmustina 50-100 mg/m2 ev non riportata mielosoppressione urine: 48 ore melanoma,(nellʼarco di 2 ore), dose-limitante tumori cerebralidiluita in fisiologica e cumulativa feci: 48 ore inoperabili, (150-250 ml), (trombocitopenia infomaogni 6 settimane e neutropenia)

non eccedere vescicante100 mg totali

ciclofosfamide 50-75 mg/m2/die po per 2 o 4 giorni; mielosoppressione urine: 24 ore ampio spettro200-300 mg/m2 ev ogni 3 settimane dose-limitante antineoplastico

e reversibile feci: 5 giorni (linfomi, carcinomi),in regime metronomico, (neutropenia spesso7-10 mg/m2 sid-eod po e linfopenia) siero: 6 giorni in combinazione

tossicità immunosoppressoregastroenterica,più grave in seguito a somministrazione orale

cistite emorragica da acroleina (soprattutto dopo somministrazione ev)

clorambucile 0,2 mg/kg/die po (trattamento continuo); mielosoppressione urine: 48 ore leucemia linfocitica2-6 mg/m2/die po; dose-limitante cronica, 8 mg/m2/die po per 5 giorni e cumulativa feci: 48 ore linfoma(trattamento pulsatile); (in sostituzione 15 mg/m2/die po per 4 giorni lieve tossicità a ciclofosfamide),(trattamento pulsatile) gastroenterica mieloma multiplo,

policitemia vera,tossicità neurologica mastocitoma rara e reversibile

immunosoppressore

dacarbazina 200 mg/m2 ev non consigliata tossicità midollare urine: 48 ore linfoma (rescue),per 5 giorni consecutivi dose-limitante melanoma,

e prolungata feci: 48 ore sarcominon eccedere (leucopenia250 mg totali e trombocitopenia)

oppure tossicità gastroenterica800-1.000 mg/m2 ev in infusione lenta vescicante(2-8 ore), da ripetersi dopo 3 settimane

oppure (in regime combinato) 600 mg/m2 ev, diluita in 250-1.000 ml NaCl, in 5 ore

ifosfamide 350-375 mg/m2 ev 900 mg/m2 ev tossicità renale urine: 4 giorni vari sarcomicon protocollo con protocollo dose-limitante: (osteosarcoma,di diuresi di diuresi somministrare sempre feci: 48 ore emangiosarcoma); e somministrazione e somministrazione con Mesna sarcoma iniettivodi Mesna di Mesna felino

mielosoppressione dose-limitante (neutropenia)

PARTE GENERALE

170

PARTE GENERALE

202

capitolo 16

MANIPOLAZIONE SICURA E NORMATIVE

Riccardo Finotello

Introduzione

Nel campo della medicina umana, il consi-stente aumento delle malattie neoplastiche e il suc-cessivo sviluppo della ricerca in tal senso hannocondotto a trattare sempre più pazienti oncologicicon farmaci chemioterapici antiblastici. Tali far-maci, nellʼultimo decennio, hanno trovato largo im-piego anche in medicina veterinaria, dove lʼonco-logia medica è una disciplina specialistica in lar-ga espansione. Questa crescita è dimostrata dalrecente avvento di nuovi farmaci, cosiddetti intel-ligenti (farmaci a bersaglio molecolare), specifi-camente creati per la medicina veterinaria, qualiPalladia® e Masivet®. Molte sostanze ad attività citotossica e citostatica,che lʼoncologia veterinaria condivide con quellaumana, inibiscono la proliferazione delle celluleneoplastiche, non risparmiando però (mancata se-lettività) i tessuti sani, quali prevalentemente mi-dollo osseo e tratto gastroenterico, dando originecosì alla tossicità acuta e cronica. Lʼoperatore sanitario è, dopo il paziente, il sogget-to più esposto al farmaco antiblastico, in dosi ge-neralmente minime (subterapeutiche), ma ripetutee prolungate nel tempo. Tossicità cronica e irrever-sibile è stata osservata nel personale ospedalieroattraverso effetti cancerogeni, mutageni e terato-geni, ben documentati fin dai primi anni Ottanta,nonché acuti, quali irritazioni di cute e mucose, do-vute a contatti accidentali durante le procedure dipreparazione o somministrazione dei farmaci. Come la maggior parte dei farmaci, i chemiotera-pici antiblastici, dopo una fase di metabolizzazio-ne epatica e/o renale e una di distribuzione, subi-scono una fase di escrezione attraverso feci, uri-ne e secrezioni corporee. Seppure solo le primedue vie siano state confermate in medicina vete-rinaria, si comprende bene come anche per me-dici veterinari la farmacosicurezza sia argomento

importante non solo per il personale che diretta-mente manipola tali sostanze, ma per tutti coloroche vi entrano in contatto attraverso i locali di pre-parazione, somministrazione e degenza (per esem-pio, colleghi, personale addetto alle pulizie) o pervicinanza al paziente (per esempio, proprietario).

Rischi professionali

I farmaci chemioterapici antiblastici sono consi-derati hazardous drugs: questo termine fu usatoper la prima volta dallʼAmerican Society of Hospi-tal Pharmacists (ASHP) ed è attualmente utilizza-to dallʼOccupational Safety and Health Admini-stration (OSHA). Una sostanza è classificata co-me pericolosa, se studi condotti su animali o uo-mo ne dimostrano cancerogenicità, tossicità ver-so gli organi riproduttori o danni ad altri distretticorporei. Gli effetti causati dallʼesposizione a far-maci pericolosi sono condizionati non tanto dalladose di farmaco a cui si è esposti, ma soprattuttodalla suscettibilità individuale, che pertanto non èprevedibile. Le potenziali proprietà dei chemiote-rapici nellʼindurre condizioni maligne sono rias-sunte in tabella I.Sono stati stabiliti criteri per la manipolazione diquesti farmaci, ma la messa in pratica è risultataessere talvolta inadeguata o inefficace. Concen-

Tabella I - Potenziali tossicità dei chemioterapici.

• genotossicità: capacità di una sostanza di indurremodificazioni allʼinterno della sequenza nucleotidi-ca o della struttura a doppia elica del DNA

• mutagenicità: capacità di indurre o aumentare mu-tazioni genetiche permanenti attraverso modifica-zioni del DNA

• cancerogenicità: capacità di provocare incontrolla-ta replicazione cellulare

• teratogenicità: capacità di provocare difetti nello svi-luppo del feto

capitolo 16Manipolazione sicura e normative

203

trazioni rilevabili di antiblastici sono state docu-mentate sia in urine e feci del personale addettoalla loro manipolazione sia nei locali adibiti alla lo-ro preparazione e/o somministrazione, pur nel ri-spetto di norme di sicurezza.

Cancerogenicità

Lʼeffetto cancerogeno dei farmaci antiblastici èdimostrato da studi condotti su animali da labo-ratorio fin dagli anni Settanta e tale evidenza hatrovato ulteriore conferma nella documentata in-sorgenza, dopo chemioterapia, di tumori sia so-lidi (epiteliali e mesenchimali) sia rotondocellula-ri (per esempio, leucemie acute imputate a tera-pia), non correlati con la neoplasia primaria. Al-cuni studi hanno inoltre mostrato una relazionetra manipolazione di farmaci antiblastici e insor-genza di neoplasie nel personale tecnico impie-gato nei reparti oncologici, anche se è da consi-derare che non tutti i chemioterapici sembranocapaci dʼindurre la stessa tossicità: lʼInternatio-nal Agency for Research on Cancer (IARC) haperciò catalogato le sostanze pericolose in baseal loro potenziale cancerogeno, classificandolein 5 gruppi (tabella II).Malgrado tale premessa, questa non è sufficien-temente sostenuta dalla letteratura, per poter af-fermare che lʼesposizione a piccole e continue do-si di farmaco possa necessariamente indurre lʼin-sorgenza di neoplasie. È comunque interessantenotare come facciano parte del gruppo 1 (tabellaII) molti farmaci utilizzati nel paziente veterinario,non solo per il trattamento di patologie neoplasti-che, ma anche immunomediate, e che, data la lo-ro forma farmaceutica (compresse, confetti o cap-sule), vengono frequentemente dispensati al pro-prietario, con il compito di somministrarli per tem-pi anche molto lunghi. Sarebbe,quindi, eticamentecorretto avvertire lʼinteressato circa il potenziale ri-schio, invitandolo allʼosservazione di rigide normedi farmacosicurezza.

Effetti mutageni

Diversi studi hanno dimostrato come farmaci anti-blastici possano causare effetti tossici sul DNA delpersonale esposto, attraverso aberrazioni cromoso-miali, scambi tra cromatidi fratelli, delezioni genichee presenza di frammenti di DNA a livello citopla-smatico (micronuclei). Altri studi, in cui tale relazio-ne non è stata dimostrata, hanno però attribuito ta-

Tabella II - Classificazione dei chemioterapici in ba-se a potenziale carcinogenico.

gruppo 1: agenti carcinogenici (sufficiente evidenza di carcinogenesi in esseri umani)

• azatioprina• busulfan • protocolli chemioterapici per linfoma

(per esempio, MOPP, protocolli combinati che includono agenti alchilanti)

• clorambucile• ciclofosfamide • melphalan • thiotepa • tamoxifene

gruppo 2A: agenti probabilmente carcinogenici (limitata evidenza in esseri umani, ma sufficienteevidenza in animali)

• carmustina • lomustina • cisplatino• doxorubicina • mecloretamina• procarbazina• etoposide

gruppo 2B: agenti probabilmente carcinogenici per gli esseri umani (evidenza limitata in esseriumani, ma assenza di evidenza in animali)

• bleomicina• dacarbazina • mitomicina• streptozotocina • daunorubicina • mitoxantrone

gruppo 3: agenti non classificabili per carcinogenicità nellʼuomo

• D-actinomicina • 5-fluorouracile• ifosfamide• 6-mercaptopurina• metotrexate• vinblastina• vincristina• idrossiurea

gruppo 4: agenti probabilmente non cancerogeninellʼuomo

• nessun chemioterapico antitumorale rientra nella categoria

MOPP = mecloretamina, vincristina, procarbazina, prednisone.

213

capitolo 17

NUOVE STRATEGIEANTITUMORALI

Laura Marconato

Introduzione

Le principali modalità terapeutiche antiblasti-che sono chirurgia, radioterapia e chemioterapia.Resistenza farmacologica acquisita, instabilità ge-netica ed eterogeneità di cellule neoplastiche so-no tutti fattori che concorrono in alcuni casi al fal-limento terapeutico. La migliore conoscenza dieventi molecolari coinvolti in progressione tumo-rale e le caratteristiche biologiche del tumore, co-me, per esempio, potenziale metastatico, hannoconsentito di sviluppare nuove strategie terapeu-tiche antitumorali, tra cui inibizione di angiogene-si e terapia a bersaglio molecolare. Lʼanimale da compagnia rappresenta, per diversimotivi, un ottimo modello per lo studio delle basimolecolari del cancro e per le ricerche preclinichevolte a individuare nuove strategie terapeutiche.Innanzitutto, uomo e animale da compagnia con-dividono lo stesso ambiente e sono esposti ai me-desimi fattori cancerogeni eventualmente presen-ti: lʼanimale può, quindi, fungere da vera e propriasentinella ambientale di cancerogenesi.Inoltre, al contrario di animali da laboratorio in cuii tumori sono indotti sperimentalmente, in anima-li domestici e uomo essi si sviluppano sponta-neamente, ma nei primi il decorso tende a esse-re più rapido, consentendo una raccolta dati piùveloce. Non bisogna, infine, dimenticare il com-plesso aspetto etico della ricerca: mentre la spe-rimentazione su animali da laboratorio suscita an-cora sentimenti contrastanti, i trial clinici condottisu animali da compagnia, per i quali il gold stan-dard terapeutico non è ancora stato identificato, èpiù facilmente accettato e compreso.

Angiogenesi e strategie antiangiogenetiche

Introduzione allʼangiogenesi

Alcune decine di anni fa, Judah Folkman teorizzòche i tumori non potessero crescere oltre 2-3 mmin assenza di adeguato apporto vascolare. Attual-mente, è universalmente accettato che sia la cre-scita di tumore primitivo sia il fenomeno di meta-statizzazione richiedano necessariamente apportovascolare, definito con il termine di angiogenesi. Af-finché aumenti il diametro di un tumore, anche lʼan-giogenesi deve incrementare. Bersagliando i vasidel tumore, si può quindi bersagliare il tumore stes-so e su questo concetto si basano le strategie an-tiangiogenetiche sfruttate in oncologia.Si definisce angiogenesi o neovascolarizzazionela formazione di nuovi vasi a partire da vasi pree-sistenti. In generale, i vasi sanguigni hanno ruolocritico nellʼapportare ossigeno e nutrienti ai tessutie nellʼeliminare prodotti tossici che derivano dalmetabolismo cellulare. Lʼangiogenesi è cruciale inmolti processi fisiologici o fisiopatologici - quali em-briogenesi, ovulazione, gravidanza o guarigionedi ferite - e in processi patologici - quali arterio-sclerosi, retinopatia diabetica, ulcera gastrica, cre-scita tumorale e sviluppo di metastasi.È ormai universalmente accettato che la crescitatumorale è angiogenesi-dipendente e in letteratu-ra esistono più di 3.000 pubblicazioni che dimo-strano chiaramente il nesso tra neovascolarizza-zione e progressione di malattia neoplastica: ilcomportamento biologico del tumore è, infatti, in-fluenzato dalla capacità della neoplasia di indurrecrescita e organizzazione endoteliale. Senza ade-guato supporto sanguigno, il tumore non può cre-scere oltre 1 mm3 e il tasso metastatico è basso o

capitolo 17Nuove strategie antitumorali

cap 17 213-223:gabbia 29-05-2012 10:42 Pagina 213

PARTE GENERALE

218

Anticorpi monoclonali

Gli anticorpi monoclonali (MAb) sono prodotti apartire da una plasmacellula resa immortale edespansa in modo clonale, che produce un anti-corpo specifico contro una proteina. Di conse-guenza, MAb mostra elevate affinità e specificitàper una particolare proteina.MAb sono molecole grosse con elevato peso mo-lecolare: pertanto, non possono essere sommini-strati per via orale (perché verrebbero digeriti nel-lʼintestino), ma soltanto per via parenterale. Inoltre,sempre a seguito delle loro grosse dimensioni, nonpenetrano allʼinterno delle cellule. Da ciò si dedu-ce che il bersaglio di MAb deve essere il dominioextracellulare del recettore coinvolto nella regola-zione neoplastica. Una volta occupato da MAb, ildominio non è più disponibile per il ligando natura-le: il recettore non viene attivato e il segnale di cre-scita cellulare silenziato. Ciò è vero, se la cellulaneoplastica sovraesprime il recettore. Se, invece,cʼè attivazione costitutiva (secondaria a mutazionedel gene che codifica per il recettore), MAb non in-terferisce con lʼattività proliferativa della cellula.Trastuzumab si lega al dominio extracellulare delrecettore HER-2, il quale è codificato dal proton-cogene c-erbB-2 o neu. Tale gene è amplificato in20-30 per cento dei tumori mammari della donnae,di conseguenza, si ha sovraespressione di HER-2 sulla superficie di cellule neoplastiche. Non esi-stendo un ligando per HER-2, il meccanismo dʼazio-ne di trastuzumab non si esplica mediante com-petizione inibitiva, bensì mediante internalizza-zione e successiva degradazione endocitica diHER-2. Nel cane e nel gatto, HER-2 è sovrae-spresso in alcuni tumori mammari e nellʼosteo-sarcoma del cane, dove assume significato pro-gnostico sfavorevole.Cetuximab si lega al dominio extracellulare diEGFR, inibendo il legame tra recettore ed EGF(inibizione competitiva) e silenziando il segnaleproliferativo.Bevacizumab è diretto contro il recettore di VEGF,importante promotore di angiogenesi in diversi tu-mori; agisce sul recettore per inibizione competi-tiva del ligando, inibendo neoangiogenesi. Rituximab, MAb chimerico anti-CD20, ha rivolu-zionato il modo di affrontare le malattie linfoproli-ferative dellʼuomo, in modo particolare linfomi non-Hodgkin: infatti, dalla concezione di malattia noneradicabile, si è passati alla consapevolezza diguarigione in una parte di pazienti. Il ruolo tera-

peutico di rituximab è stato valutato in vitro per iltrattamento di linfomi canini: pur immunoespri-mendo CD20, le cellule neoplastiche non sono ingrado di legarsi a MAb; pertanto, rituximab nontrova applicazione clinica in veterinaria.In medicina veterinaria, MAb 231 ha dato inveceimportanti risultati nel trattamento del linfoma delcane, se utilizzato insieme a chemioterapia, mi-gliorando sia intervallo libero da malattia sia so-pravvivenza. MAb 231 non è più in commercio.

Inibitori di proteine heat shock 90

Le proteine heat shock 90 formano un complesso,insieme ad altre proteine, avente la funzione di cor-reggere conformazione, ripiegamento, attività, lo-calizzazione intracellulare e turnover di tutta unaserie di proteine coinvolte in crescita cellulare e so-pravvivenza. Tra le proteine che dipendono da uncorretto funzionamento di HSP90 si ricordano KIT,Met, Akt, Raf e BCR-ABL. Per svolgere la propriaattività, HSP90 richiedono ATP: pertanto, il man-cato legame con questa molecola inibisce lʼattivitàdellʼintero complesso proteico, attivando seconda-riamente la degradazione proteasoma-dipendente.Dal momento che molti tumori sovraesprimonoHSP90, piccoli inibitori di queste proteine possonoessere sfruttati in clinica.

Inibitori di proteasoma

Il normale turnover di proteine prevede la degrada-zione di queste ultime per mantenere la normaleomeostasi. Il proteasoma è un complesso enzima-tico costituito da diverse subunità, localizzato a li-vello citoplasmatico e nucleare, che riconosce pro-teine legate a ubiquitine e, quindi, pronte a esseredegradate. Nelle cellule tumorali, le ubiquitine si le-gano a molecole importanti come p53 e Bax, cata-lizzandone degradazione e favorendo, quindi, so-pravvivenza cellulare e proliferazione. Il proteasomasvolge, pertanto, unʼimportante funzione nel mante-nere lʼintegrità tumorale. Il più importante inibitore diproteasoma è bortezomib, utilizzato in medicina uma-na nel trattamento di mieloma multiplo, accanto astrategie chemioterapiche convenzionali.

Inibitori di deacetilasi istonica

Allʼinterno delle cellule, DNA è strutturalmente or-ganizzato per mezzo di proteine che ne favori-scono la compattazione. Tali proteine prendono il

cap 17 213-223:gabbia 29-05-2012 10:42 Pagina 218

capitolo 17Nuove strategie antitumorali

219

nome di istoni. In seguito ad acetilazione, gli isto-ni interagiscono meno con il DNA, inducendo cam-bio conformazionale e promuovendo, quindi, tra-scrizione di materiale genetico. Al contrario, le dea-cetilasi prevengono la trascrizione genica. Lo squi-librio tra acetilazione e deacetilazione favorirebbela cancerogenesi. In particolare, le deacetilasi isto-

Introduzione

Non è passato molto tempo da quando lʼon-cologia medica si era posta il problema di indivi-duare bersagli cellulari specifici, nonostante nonfossero ancora noti i meccanismi biomolecolari al-la base di trasformazione e progressione della cel-lula tumorale.Da allora i risultati sono stati importanti, grazie aiprogressi avvenuti in farmacologia oncologica ealle più moderne tecniche radioterapiche e radio-metaboliche.Lʼarricchimento chemioterapico è giunto grazie afarmaci, quali antimicrotubulinici (tassani e vino-relbina), inibitori di topoisomerasi I (campotecine),complessi del platino (oxaliplatino), antifolati (gem-citabina, capecitabina, fludarabina, pemetrexed)e nuovi agenti alchilanti (temozolamide).I progressi della ricerca degli ultimi anni hanno al-tresì permesso di sviluppare nuove strategie ormo-nali, che sono entrate di diritto nella pratica clinica:modulatori selettivi di recettori estrogenici, inibitoristeroidei e non di aromatasi e antiandrogeni.Le moderne tecnologie hanno portato nuovi suc-cessi anche per quanto riguarda radioterapia e te-rapia radiometabolica.La radioterapia, scoperta più di cento anni fa efondata su raggi X e radioattività naturale, ha da-to origine alla radioterapia a fasci esterni e allabrachiterapia. Sono stati impiegati altri 50-60 an-ni per sfruttare la radioattività di Cobalto 60 e ra-diazioni ionizzanti, alla base di apparecchiaturecome acceleratori lineari. Attualmente, la moder-na radioterapia si esegue anche con particelle,quali protoni, neutroni e pioni.Negli ultimi 10-15 anni si è assistito, inoltre, allo svi-

luppo della medicina nucleare, grazie allʼutilizzo diradioisotopi in oncologia. Lo sviluppo di questa bran-ca della medicina allʼinterno di terapie oncologichesi è avuto grazie sia al potenziamento delle tecni-che di utilizzo di nuovi radiofarmaci sia al nuovo im-piego di alcuni di questi farmaci già noti in prece-denza. Alcuni radiotraccianti hanno decisamentecontribuito alle terapie oncologiche, quali tracciantidi calcio e fosforo marcati con tecnezio, fluoro-DOPA e microcolloidi marcati con tecnezio.Accanto alle terapie più tradizionali con radionu-clidi, quali 131I, 32P e 89SR, sono stati utilizzati recen-temente radiocomposti costituiti da molecole bio-logicamente attive (anticorpi monoclonali, peptidi,avidina-biotina), legate a radionuclidi specifici.Lʼevoluzione degli studi sperimentali ha permes-so, quindi, la nascita di nuovi radionuclidi e nuovivettori, con il conseguente sviluppo di radioimmu-noterapia e radioterapia recettoriale.Lo studio del genoma umano ha portato a più ap-profondita conoscenza dei meccanismi biomoleco-lari di trasformazione neoplastica, individuando al-cuni siti molecolari utili come bersaglio terapeutico.I bersagli molecolari più conosciuti sono a livellodella cascata proliferativa e a livello dei meccani-smi di riproduzione cellulare, quali recettori per fat-tori di crescita, proteine cellulari, fattori correlati adangiogenesi e trasduzione del segnale, fattori le-gati allʼapoptosi.La scoperta di queste cosiddette “molecole intelli-genti” ha dato origine a una terapia molecolare mi-rata, che agisce su processi di crescita, sopravvi-venza, invasione e metastasi delle cellule tumoralie, non per ultimo, sul processo di neoangiogenesi.Tuttavia, il considerevole progresso ottenuto inogni ambito delle terapie oncologiche ha incon-

niche sono frequentemente sovraespresse in tu-mori, prevenendo, per esempio, la trascrizione digeni regolatori, come p21 e p53, e rappresentanoquindi bersaglio ideale per lo sviluppo di farmaciinibenti questi enzimi. Lʼacido valproico, per esem-pio, inibendo deacetilasi istoniche, favorisce lʼapo-ptosi di cellule neoplastiche.

CENNI DI ONCOLOGIA COMPARATA

Dino Amadori, Marianna Ricci

cap 17 213-223:gabbia 29-05-2012 10:42 Pagina 219

PARTE SPECIALE

PARTE SPECIALE

244

re), spesso sanguinanti e di dimensione variabile,per lo più localizzati su testa, palpebre e zampe (fi-gura 2). Nei cani anziani non sembra invece che lʼori-gine sia virale. I papillomi che si localizzano a livellodelle zampe sono tendenzialmente duri e iperche-ratosici e provocano dolore e zoppia, richiedendo ilpiù delle volte escissione chirurgica.Il papilloma cutaneo invertito è poco comune e in-teressa animali giovani (8 mesi-3 anni di età), ma-nifestandosi come lesione a coppa, con centro che-ratinico che si apre in superficie tramite un poro cen-trale. Sono tipiche le localizzazioni addominali ven-trali e inguinali. Diversi studi su ibridizzazione di DNAvirale hanno evidenziato che il virus presente in ta-le variante è differente da quello classico.Lʼultima variante associata a papillomavirus è sta-ta soprattutto riportata in cani giovani schnauzernani e carlini (in cui è accertata trasmissione ere-ditaria di tipo autosomico recessivo) sotto formadi macule e macchie su ventre e piatto delle co-sce. Tali lesioni sono inizialmente identiche a len-tigo e nevi pigmentati, ma con lʼevolvere si for-

si), mentre nel gatto tumori benigni e maligni oc-corrono più o meno con la stessa frequenza.In merito alla classificazione, esistono ancora mol-teplici difficoltà dʼinquadramento, essenzialmentesecondarie ai continui aggiornamenti sia istopa-tologici sia terapeutici cui sono soggetti i tumoricutanei, che esitano in notevole confusione e di-vergenza di opinione tra clinici e patologi.La classificazione istopatologica WHO suddivideschematicamente i tumori cutanei in epiteliali, me-lanocitici, mesenchimali e inclassificabili (tabella I).Sono inoltre inclusi tumori metastatici alla cute, ci-sti, amartomi e lesioni pseudotumorali. La stadiazione secondo il metodo TNM per tumo-ri epidermici e dermici è riportata nel capitolo 9,cui si rimanda.

TUMORI DELLʼEPIDERMIDE

Papilloma

Introduzione

Papillomavirus è un virus a DNA contagioso,che viene trasmesso per lo più tramite contatto di-retto e che penetra nellʼorganismo attraverso le-sioni presenti su cute o mucose, con periodo dʼin-cubazione di circa uno o due mesi.Papillomavirus sembrano implicati nellʼeziologia dicerte forme di carcinoma squamocellulare in ca-ne e gatto. Forme molto gravi e clinicamente inu-suali sono state riportate in cani con immunodefi-cienza IgA oppure trattati con corticosteroidi o che-mioterapici. È ipotizzabile che lʼimmunodepres-sione possa esacerbare unʼinfezione latente e faraumentare il tropismo virale ai vari tessuti.

Quadro clinico

Il papilloma cutaneo è raro nel gatto, mentre èmolto comune nel cane, specie in cui esistono al-meno cinque forme cliniche ascrivibili a vari papil-lomavirus, ognuno con caratteristiche specifiche an-che da un punto di vista istologico: papillomatosiorale, papilloma cutaneo, papilloma cutaneo inver-tito, papilloma cutaneo papillare iperpigmentato mul-tiplo e placche pigmentate multiple.Il papilloma cutaneo di origine virale è tipico di canigiovani e si presenta come nodulo singolo o nodulimultipli biancastri, sessili o peduncolati (a cavolfio-

Figura 2 - Papilloma cutaneo in giovane cane.

Figura 3 - Papilloma cutaneo in gatto.

capitolo 19Tumori della cute

247

Figura 7 - Carcinoma squamocellulare su planum nasale in gatto. Figura 8 - Carcinoma squamocellulare su padiglione auricolare ingatto.

Figura 9 - Carcinoma squamocellulare su palpebre e padiglioniauricolari in gatto.

Figura 10 - Carcinoma squamocellulare su labbra e guancia ingatto.

Figura 11 - Cheratosi attinica su padiglione auricolare di gatto amantello bianco.

Figura 12 - Carcinoma squamocellulare auricolare in gatto a mantel-lo bianco. La lesione è particolarmente estesa e deturpa lʼanimale.

415

POLIPI NASOFARINGEI

I polipi nasofaringei sono classificati come masse nonneoplastiche di natura infiammatoria. Essi si svilup-pano prevalentemente in soggetti giovani (< 2 anni),sono piuttosto frequenti nel gatto, ma rari nel cane.I polipi originano dal canale uditivo medio (in que-sto caso possono perforare il timpano e protrudereattraverso il canale uditivo esterno) o dalla tuba diEustachio (in questo caso possono occupare il na-sofaringe). Lʼeziologia non è stata accertata, tutta-via si sospetta che siano ereditari o congeniti (peranomalie di archi branchiali) oppure che si sviluppi-no secondariamente a infezioni batteriche o virali.Sintomi classici sono raffreddore, respirazione ru-morosa, alterazione fonetica, scolo nasale e otor-rea (spesso purulenta); più raramente, si osser-vano disfagia, tosse, segni vestibolari (scuotimentodi testa, nistagmo, perdita di equilibrio e atassia),alitosi ed epifora.Alla visita clinica, è possibile osservare una mas-sa nella faringe caudale, a livello di palato duro,oppure nel canale uditivo esterno.Lʼiter diagnostico si snoda in esame otoscopico, ra-diografia o TC di cranio, radiografia del torace, per lafrequente presenza di polmonite ab ingestis secon-daria, ed eventualmente esami citologico e bioptico.Se il polipo è localizzato in rinofaringe, lʼesame ra-diografico del cranio, eseguito in proiezione late-rale, mette in evidenza una lesione a radiopacitàdi tessuti molli che oblitera il passaggio nasofa-ringeo, normalmente occupato da aria. Se la se-de è la bolla timpanica, proiezione sagittale o pro-iezioni speciali effettuate per studiare le bolle (pro-iezione rostrocaudale leggermente estesa o a boc-ca aperta) presenta quadro sovrapponibile a otitemedia, caratterizzato da aumento di radiopacità di

bolla timpanica con variabile ispessimento di pa-rete (figura 1 A). In questi casi, non è presente li-si ossea e ciò è criterio radiografico importante perdistinguere queste situazioni dalla neoplasia del-la regione di orecchio medio. Lʼapprofondimentocon TC è di aiuto prima della chirurgia per visua-lizzare meglio sede, dimensioni del polipo e di-mostrare piccole lesioni non visibili radiologica-mente (figura 1 B, C). Citologicamente, sʼidentifica popolazione infiam-matoria mista, rappresentata da linfociti e pla-smacellule e raramente da polimorfonucleati neu-trofili e macrofagi, non raramente associata a ele-menti epiteliali mucosali iperplastici, displastici ocon caratteri di metaplasia squamosa e a even-tuale reattività fibroplasica (fibroblasti).Istologicamente, i polipi nasofaringei sono costi-tuiti da asse fibrovascolare edematoso, ricopertoda epitelio respiratorio moderatamente iperplasti-co. Nellʼasse stromale è possibile rilevare infiltra-to flogistico, stravasi emorragici con macrofagi ca-richi di emosiderina, cellule giganti multinucleatee fenomeni di metaplasia ossea.La terapia dʼelezione è chirurgica e prevede poli-pectomia, mediante trazione delicata attraversocavo orale o canale uditivo esterno, anche per viaendoscopica. La trazione si accompagna a reci-diva in 50 per cento dei casi. Lʼosteotomia dellabolla timpanica è indicata nei casi di polipi infiam-matori ricorrenti, coinvolgimento della bolla stes-sa od otite. La percentuale di recidiva in questocaso è < 10 per cento. Il materiale accumulatosiallʼinterno della bolla deve essere inviato al labo-ratorio per coltura batteriologica e antibiogramma. La complicanza più comune è la sindrome di Hor-ner transitoria, caratterizzata da miosi, ptosi e pro-lasso di terza palpebra, secondaria a danneggia-mento del neurone postgangliare simpatico, loca-lizzato vicino allʼorecchio medio. Il più delle volte

capitolo 26

TUMORI DELLʼAPPARATO RESPIRATORIO

Laura Marconato, Federica Rossi, Giuliano Bettini, Ugo Bonfanti, Julia Buchholz

capitolo 26Tumori dellʼapparato respiratorio

PARTE SPECIALE

416

la sindrome di Horner si risolve entro un mese dal-la chirurgia.

TUMORI DEL PLANUM NASALE

I tumori del planum nasale sono piuttosto comuninel gatto, ma rari nel cane. Il più frequente tumo-re che interessa questa zona è il carcinoma squa-mocellulare (SCC), la cui eziopatogenesi è da ri-condurre a esposizione a raggi ultravioletti (so-prattutto UV-B) e ad assenza di pigmento protet-tivo (figura 2 A). Altri tumori occasionalmente se-gnalati in questa sede sono linfoma, fibroma, fi-brosarcoma, papilloma, emangioma, melanoma emastocitoma.Lʼazione cancerogena dei raggi ultravioletti è do-se-dipendente: pertanto, esposizioni croniche aradiazioni UV causano maggiore danno di una sin-gola esposizione, tra cui mutazioni a carico di p53(gene oncosoppressore). In presenza di danno acarico di DNA, p53 spinge le cellule in fase di ar-resto proliferativo (per consentire la riparazionedel danno prima della successiva replicazione) oapoptosi (se il danno è irreparabile). Mutazioni di-rette o alterazioni epigenetiche comportano per-dita funzionale di p53, evento molto frequente neitumori, sia di uomo sia di animali domestici. Nel-le cellule con p53 mutato viene a mancare lʼindu-zione apoptotica: pertanto, queste sono in gradodi proliferare e di andare incontro a ulteriori muta-zioni (progressione), responsabili in ultimo di ete-rogeneità neoplastica.Tipicamente, SCC evolve attraverso varie fasi nel-lʼarco di diversi mesi, riconoscibili sia clinicamen-te sia istologicamente come carcinoma in situ (ero-sioni superficiali), SCC superficiale e SCC infil-trante (ulcere profonde). La cheratosi attinica (odermatite attinica) rappresenta la lesione precan-cerosa iniziale. Il comportamento biologico di SCCè aggressivo localmente, ma le metastasi regio-nali e a distanza sono evento raro, soprattutto al-la diagnosi.Nel gatto, SCC interessa la superficie cornificataesterna del planum nasale (figura 2 B) e si ac-compagna spesso a lesioni concomitanti su padi-glioni auricolari e palpebre (figura 3). I gatti a man-tello bianco sono evidentemente predisposti. Nelcane, SCC può interessare il planum oppure lamucosa delle narici.

Figura 1 - A) Proiezione radiografica dorsoventrale di gatto conpolipo rinofaringeo nella bolla timpanica destra. La bolla è in-grandita e più radiopaca rispetto alla controlaterale. B, C) EsameTC dello stesso gatto. La scansione TC mette in evidenza pre-senza di fluido e tessuto allʼinterno della bolla (B) e piccola por-zione del polipo, che si estende dalla tuba nella faringe (C) e chesi presenta come lesione rotondeggiante ben delimitata con en-hancement periferico (freccia).

A

B

C

capitolo 26Tumori dellʼapparato respiratorio

417

Citologicamente, SCC si caratterizzano per la pre-senza di cellule angolate, ad ampio citoplasmaomogeneo, cheratinizzato e con nucleo centrale(figura 4). Le cellule neoplastiche, a differenti gra-di di maturazione, possono essere di piccole di-mensioni, immature, cuboidali, nucleate e con scar-so citoplasma intensamente basofilo, oppure cel-lule mature e di grosse dimensioni, con piccolo nu-cleo e citoplasma intensamente cheratinizzato amargini netti. Sono caratteristicamente evidenti fe-nomeni di maturazione asincrona tra nucleo e ci-toplasma, in cui il primo è centrale, voluminoso eimmaturo, e il secondo ampio, vitreo, con la pre-senza talora di vacuoli. Si associa frequentemen-te intensa flogosi neutrofilica.Lʼesame istologico permette di differenziare tra che-ratosi attinica e SCC e di valutare, in questʼultimocaso, grado di differenziazione e profondità dʼinfil-trazione. Nella cheratosi attinica si rileva iperpla-sia irregolare dellʼepidermide, con iper- parache-ratosi, perdita di polarità dei cheratinociti in stratibasale e spinoso e iperplasia papillare dello stra-to basale. Nelle zone interessate, i cheratinocitipossono presentare moderato pleomorfismo, nu-cleoli prominenti e attività mitotica non limitata al-lo strato basale. La proliferazione è però contenu-ta dalla membrana basale, che appare intatta: ilprincipale elemento che differenzia cheratosi atti-nica da SCC è, infatti, rappresentato, più che daatipie cellulari, da invasione del derma. Gli aspet-ti istologici di SCC del planum nasale sono simili aquelli riscontrabili in altri distretti cutanei. Lʼistotipopiù comune è SCC ben differenziato, caratterizza-to da isole e cordoni di cellule epiteliali squamoseatipiche,che tendono a cheratinizzazione nella par-

Figura 2 - A, B) Carcinoma squamocellulare del planum nasale in gatto.

A B

Figura 3 - Carcinoma squamocellulare felino. Concomitante inte-ressamento di padiglioni auricolari e palpebre.

Figura 4 - Esame citologico di carcinoma squamocellulare del pla-num nasale: cellule epiteliali poligonali, angolate, con nucleo cen-trale, talora nucleolato, ad ampio citoplasma, cheratinizzato; neu-trofili non degenerati sparsi tra le cellule neoplastiche.

PARTE SPECIALE

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La terapia dʼelezione è chirurgica e prevede exe-resi della massa. È importante ricordare che è pos-sibile asportare fino a 50 per cento della trachea.Radioterapia e chemioterapia sono efficaci in ca-so di linfoma o plasmacitoma. In ogni caso è indi-cata la terapia medica di supporto con corticoste-roidi e aminofillina.La prognosi è riservata, soprattutto se il tumore siestende allʼavventizia.

TUMORI PRIMITIVI DEL POLMONE

Introduzione

Contrariamente allʼuomo, in cui i tumori pol-monari primitivi (soprattutto maligni) sono molto fre-quenti nei Paesi occidentali e le cui incidenza e mor-talità sono in costante aumento, questi sono rari ne-gli animali domestici, con prevalenza di 0,1-0,9 percento. Sono invece frequenti i tumori polmonari me-tastatici (ripetizione a distanza di neoplasie insorte inaltri organi); tuttavia, la distinzione tra lesione primi-tiva e metastatica è talvolta critica non solo da un pun-to di vista macroscopico, ma anche microscopico ela diagnosi di neoplasia polmonare primitiva può avolte solo seguire lʼesclusione di un tumore in altrasede che abbia metastatizzato al polmone. Fattore causale principale nellʼuomo è lʼesposi-zione prolungata (anche passiva) al fumo di siga-retta, seguita da esposizione ad alcune sostanzechimiche e minerali (asbesto, smog e inquinamentoatmosferico, radon, uranio, cromo e nichel), non-ché a radiazioni. Ancora, non sono da sottovalu-tare alcune malattie irritative croniche, che pos-sono favorire lʼinsorgenza secondaria di tumorepolmonare, come, per esempio, bronchiti croni-che, bronchiectasie e tubercolosi. Negli animali domestici lʼevento causa-effetto nonè così chiaro. Sebbene i cani possano fungere dasentinelle ambientali per alcune sostanze perico-lose, come esposizione a fumo passivo, asbesto,insetticidi e vernici, non è stato dimostrato in que-sta specie aumento di prevalenza di tumori pol-monari. Sono state ipotizzate cause chimiche (espo-sizione a nitrosamine e idrocarburi policiclici aro-matici) e genetiche (mutazioni a carico di onco-geni e alterazioni cromosomiche). Recentemen-te, è stata descritta nel cane lʼassociazione tra an-tracosi dovuta a inalazione di smog e tumori pol-monari maligni.

Analogamente allʼuomo, anche gli animali dome-stici che sviluppano neoplasie polmonari tendonoa essere adulti o anziani, probabilmente per ridu-zione senile della capacità di riparazione di DNA.Non è invece stata confermata alcuna predispo-sizione né di razza né di sesso.

Patologia molecolare di neoplasie polmonari primitive

Il fenomeno cancerogeno a livello polmona-re non deriva da un improvviso evento di trasforma-zione maligna (ex abrupto), bensì trae origine da unprocesso a stadi multipli, caratterizzato dallʼaccumu-lo di successive alterazioni genetiche ed epigeneti-che (alterazioni di metilazione di DNA), che compor-tano il passaggio da forme inizialmente iperplastichea forme displastiche e, infine, a forme neoplastichecon capacità invasiva e metastatica. In breve, a se-guito di mutazioni geniche, si crea instabilità geno-mica caratterizzata da continue e ripetute mutazionia carico di geni regolatori, tra cui delezioni (perdita dieterozigosi), riarrangiamenti, mutazioni puntiformi, er-rori in splicing e amplificazioni geniche. Recente-mente, è emersa l̓ importanza dell̓ alterazione di espres-sione e funzione di telomerasi, enzima che sintetiz-za tratti ripetuti alle estremità cromosomiche (telo-meri), rendendo la cellula immortale. Lo spettro di queste lesioni si sussegue nel tempo,secondo la teoria sequenziale delle alterazioni pro-gressive morfologiche e molecolari. Non è chiaro sele forme iperplastiche e displastiche lievi abbiano ne-cessariamente potenzialità evolutiva maligna; al con-trario, forme displastiche gravi e carcinomi in situ de-vono a tutti gli effetti essere considerati come lesio-ni preneoplastiche, dal momento che sono in gradodi innescare lʼautonomia di crescita, che è caratteri-stica propria di cellule neoplastiche.Le moderne tecnologie atte ad analizzare geni e lo-ro prodotti hanno aperto nuove frontiere dʼindagine,che forniranno utili elementi per emettere diagnosipiù precoce, dare giudizi prognostici più accurati eorientare meglio il trattamento farmacologico, que-stʼultimo finalizzato a garantire massima efficacia eminimizzare rischio di tossicità.Sebbene siano stati fatti importanti progressi nellostudio di alterazioni genetico-molecolari a carico dioncogeni e oncosoppressori, in medicina umana, eancora di più in medicina veterinaria, le applicazio-ni di biologia molecolare a diagnostica e terapia ditumori polmonari sono ancora limitate.

capitolo 26Tumori dellʼapparato respiratorio

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Il carcinoma bronchioloalveolareè caratterizzato dacrescita neoplastica lungo le pareti alveolari (clas-sificazione in base a sede dʼinsorgenza). È moltofrequente nel cane (85 per cento di tutti i tumori pol-monari primitivi) e tende a svilupparsi periferica-mente, nel parenchima polmonare, e in particolarenei lobi caudali del polmone destro. Si tratta di untumore aggressivo, con moderato potenziale me-tastatico per via sia aerogena sia linfatica, che puòpresentarsi in forma multifocale (stesso lobo) o mul-ticentrica (diversi lobi omolaterali o polmone con-trolaterale; 39 per cento dei casi), realizzando la co-siddetta cancerizzazione di campo. Non è chiarose la multicentricità sia espressione di precoce me-tastatizzazione intrapolmonare o di reale crescitadi foci neoplastici indipendenti; tuttavia, ciò non èdi fatto importante ai fini della stadiazione TNM, dal

Patologia di neoplasie polmonari primitive

Classificazione e istotipi

La più recente (1999) classificazione dei tumoripolmonari stabilita da WHO pone non poche dif-ficoltà obiettive ed è ancora lontana da svelare edescrivere la complessità biologica di tumori pol-monari. Si tratta di una classificazione per lo piùmorfologica, il cui principale vantaggio consistenella possibilità di applicazione su larga scala.I tumori polmonari possono originare da qualsiasicomponente del polmone; tuttavia, la maggior par-te di essi è di origine epiteliale e prende origine dabronchioli o alveoli. Più rari, invece, i tumori di de-rivazione mesenchimale, sia benigni sia maligni,e i tumori che originano dal tessuto linfatico nor-malmente presente nel polmone. I tumori polmonari sono classificati in base a sededʼinsorgenza (broncogenica, ghiandole bronchiali obronchioloalveolare) o ad aspetti istologici (adenoi-de, squamoso, a grandi cellule, a piccole cellule). Itumori a insorgenza bronchioloalveolare sono peri-ferici (figura 36) e prendono origine da cellule di Cla-ra (bronchiolari) e pneumociti di tipo II (alveolari); itumori a insorgenza centrale (ilare) derivano inve-ce da epitelio bronchiale o ghiandole bronchiali (fi-gura 37). I tumori bronchioloalveolari possono es-sere solitari o multicentrici, quelli ilari sono più spes-so solitari. Nellʼuomo e nel gatto sono più comuni itumori centrali, mentre nel cane sono più comuniquelli a insorgenza periferica.La distinzione in tumori a piccole cellule (di natu-ra neuroendocrina) e non a piccole cellule, adot-tata in medicina umana, non è di fatto attuabile nelcane e nel gatto, a fronte di scarsa rappresenta-zione di tale suddivisione. È inoltre ampiamentedibattuta lʼorigine cellulare dei diversi istotipi. Esi-ste, tuttavia, evidenza che i tumori polmonari ori-ginino da una cellula precursore comune, capacedi differenziarsi in vari istotipi. Pertanto, la classi-ficazione attuale dei tumori polmonari si basa piùche altro su criteri istologici morfologici anzichéistogenetici (tabella VI) e rappresenta lʼestremasemplificazione di una realtà, che è invece ben piùarticolata e complessa.I tumori polmonari benigni sono molto rari nel ca-ne e nel gatto; la maggior parte è maligna e di ori-gine epiteliale.

Figura 36 - Rappresentazione schematica di tumore a origineperiferica.

Figura 37 - Rappresentazione schematica di tumore a originecentrale.

capitolo 26Tumori dellʼapparato respiratorio

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Tumori di seni nasali e paranasali

I tumori maligni di cavità nasali e seni para-nasali nellʼuomo sono piuttosto rari (0,5-1 per cen-to di tutti i tumori maligni), con incidenza in Italiadi 11 casi ogni 100.000 abitanti. Sono più frequentiin Africa meridionale ed Estremo oriente, rispettoai Paesi occidentali.Il seno mascellare rappresenta la sede con inci-denza maggiore, seguita da cavità nasali e senoetmoidale. Questi tumori sono più frequenti nel-lʼuomo rispetto alla donna (rapporto 2:1).

Eziologia

È stata dimostrata correlazione tra queste neo-plasie e lavorazione di nichel, acido isopropilico,cromo, legno e cuoio.

Istopatologia

Il carcinoma squamocellulare è la variante più fre-quente a insorgenza nel seno mascellare; a segui-re, neoplasie a origine ghiandolare (adenocarcino-mi, carcinomi adenoidocistici e carcinomi mucoepi-dermoidi) e sarcomi; più rari linfomi e melanomi. Alivello etmoidale, è prevalente lʼadenocarcinoma, inparticolare in Europa, mentre nelle casistiche ame-ricane prevalgono i carcinomi di tipo spinocellulare.Una possibile spiegazione di tale differenza riguar-da lʼutilizzo maggiore di mezzi di protezione indivi-duali nei lavoratori americani rispetto a quelli euro-pei (lʼadenocarcinoma etmoidale presenta come fat-tore di rischio la lavorazione di legno e cuoio).

Quadro clinico

La sintomatologia varia secondo la sede anatomi-ca in cui si sviluppa la neoplasia; inoltre, i sintomisono spesso modesti e aspecifici, molto simili aquelli dei più comuni processi flogistici cronici, di cuiquesti pazienti spesso sono affetti. I sintomi gene-ralmente sono più precoci nelle neoplasie delle ca-vità nasali rispetto a quelle dei seni paranasali.

CENNI DI ONCOLOGIA COMPARATA

Dino Amadori, Andrea Casadei Gardini

Queste neoplasie tendono ad avere crescita lo-cale, di tipo erosivo, con sintomi per lo più legatia questo tipo di comportamento. Solo tardivamentedanno metastasi, inizialmente linfonodali e poi pervia ematica ad altri organi (in particolare, carcino-ma adenoidocistico e sarcomi).Dolore e dolorabilità sono i sintomi iniziali, in par-ticolare in neoplasie dei seni. Le neoplasie di que-sta parte anatomica possono dare precocementedisfonia (fisiologicamente, i seni, in particolare quel-lo mascellare, hanno funzione di risonanza dei fe-nomeni di fonazione). Lʼepistassi può essere il primo sintomo di neopla-sia delle cavità nasali. I sintomi tardivi sono sem-pre dovuti allo sconfinamento del tumore in zoneanatomiche contigue, con conseguenti esoftalmo,diplopia, strabismo, trisma (infiltrazione di musco-latura pterigoidea), parestesie o ipoanestesia, do-vuta allʼinteressamento dei nervi sensitivi, e per-dita dei denti.

Diagnosi

La rinoscopia è il gold standard per poter rilevarele neoplasie vegetanti nasoetmoidali. TC o RM èesame dʼelezione per la diagnosi di neoplasie deiseni mascellari. Le indagini devono essere esegui-te con mdc e in proiezioni sia assiali sia coronali, inmodo da rilevare lʼerosione dellʼosso limitrofo. Labiopsia è fondamentale per giungere a diagnosi cer-ta e per impostare il trattamento più idoneo.

Terapia

Escludendo linfomi, melanomi e carcinomi scar-samente differenziati, per tutte le altre forme isto-logiche le metastasi linfonodali sono piuttosto ra-re, per cui lʼapproccio terapeutico deve mirare al-la radicabilità locale per impedire le recidive. Conle attuali tecniche chirurgiche, ormai consolidateda tempo, si ottengono ottimi risultati sia in termi-ni di radicabilità sia per quanto riguarda lʼaspettoestetico. La radioterapia non è di facile realizzazione in undistretto così ricco di strutture nobili (cavità orbi-

PARTE SPECIALE

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taria ed encefalo, in particolare) e richiede spes-so lʼutilizzo di tecniche conformazionali.La chemioterapia può essere utilizzata sia a li-vello locale (nellʼesperienza olandese dopo chi-rurgia è utilizzato fluorouracile a livello topico),sia per via sistemica. Il suo utilizzo principale èin forme non trattabili con altre tecniche o recidi-ve non asportabili e in presenza di metastasi adistanza. Nella maggior parte dei casi, lʼapproccio terapeu-tico è multidisciplinare (oncologo, radioterapista,chirurgo).

Prognosi

Complessivamente la sopravvivenza a 5 anni è di30-40 per cento; i migliori risultati si hanno nelle for-me più precoci (T1-T2), in cui si raggiunge soprav-vivenza a 5 anni di 60 per cento.

Tumori della laringe

Rappresentano 4,5 per cento di tutti i tumorimaligni. Sono prevalenti nel sesso maschile ri-spetto a quello femminile; in alcune aree il rap-porto è anche di 20:1.

Eziologia

È un tumore estremamente fumo-correlato, ma an-che le forme infiammatorie (per esempio, leuco-plachia) possono essere considerate fattori predi-sponenti.

Istopatologia

Le forme spinocellulari sono le più rappresentate;molto rare sono altre forme istologiche.

Quadro clinico

Il sintomo principale di questa forma tumorale è ladisfonia, in particolare nelle localizzazioni cordalie sottoglottiche. Nelle forme sovraglottiche non ra-ramente si possono avere odinofagia e disfagia,come primi sintomi. La storia naturale, e in particolare lʼeventuale coin-volgimento linfonodale, varia a seconda della loca-lizzazione. Le metastasi linfonodali sono rare, in ca-so di localizzazione cordale, a causa della scarsapresenza di drenaggio linfatico, mentre sono fre-quenti le metastasi linfonodali bilaterali laterocervi-

cali nelle forme sovraglottiche. Le metastasi linfo-nodali sono frequenti anche nelle forme sottoglotti-che e per lo più interessano i linfonodi delle vie lin-fatiche della catena ricorrenziale.

Diagnosi

La diagnosi si basa su laringoscopia diretta con fi-bre ottiche flessibili, che permette di eseguire unabiopsia, e su laringoscopia diretta in sospensione,che consente anche di eseguire piccoli interventichirurgici. Lʼinteressamento linfonodale è valuta-to principalmente tramite RM.

Terapia

Finalità principali del trattamento sono sopravvi-venza del paziente e mantenimento della voce edel riflesso di deglutizione. Per raggiungere talescopo, spesso prima di chirurgia si esegue che-mio- radioterapia a scopo neoadiuvante.

Prognosi

Complessivamente la sopravvivenza a 5 anni è di50-75 per cento.

Tumori del polmone

Il carcinoma del polmone costituisce 12,8 percento di tutti i tumori e rappresenta la prima cau-sa di morte per cancro.Nonostante lʼesteso programma di ricerca, i risul-tati terapeutici ottenuti sono scarsi. La percentua-le di sopravvivenza a 5 anni è complessivamentedi 15 per cento. Lʼinnegabile progresso dei mezzidiagnostici non ha sostanzialmente modificato lastoria naturale di questa malattia: infatti, in due ter-zi dei casi si ha già interessamento locoregionaleo a distanza al momento della diagnosi.

Eziologia

Il fumo di sigaretta è la principale causa di carci-noma polmonare. Nei fumatori il rischio è au-mentato di 30 volte rispetto ai non fumatori. Stu-di epidemiologici hanno evidenziato che il rischioè in rapporto con la dose cumulativa di sigarettefumate.Altre sostanze coadiuvanti per lo sviluppo di car-cinoma del polmone sono asbesto (in soggetti con-temporaneamente esposti ad asbesto e fumo di