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Capitolo 1:”La Casa Passiva” ______________________________________________________ _______________________________________________________________ 7 Capitolo 1 :“La Casa Passiva” 1.1 Definizione dello Standard Passivhaus L’era dei combustibili fossili a basso costo, durata circa 100 anni, sta mostrando una serie di segnali di crisi. In questo lasso di tempo la notevole disponibilità di energia per alimentare impianti attivi di climatizzazione, invernale ed estiva, ha sminuito il ruolo che l’involucro edilizio ha tradizionalmente rivestito nel raggiungimento degli obiettivi di comfort e benessere ambientale. Dal 1973 [3] le avvisaglie di crisi energetica hanno, però, catalizzato la ripresa di una progettazione architettonica che, per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, individua come prioritaria l’azione moderatrice delle componenti edilizie. Col tempo è stata composta una ricca tavolozza di soluzioni ingegneristico - architettoniche che riscopre i principi della cosiddetta “progettazione passiva”. Il termine passivo si riferisce ad edifici in cui le condizioni di comfort (invernale e/o estivo) vengono raggiunte grazie a caratteristiche ottimizzate dell’involucro edilizio e a sistemi di trasporto del calore (pompe o ventilatori) da o verso l’ambiente circostante, che non richiedono l’utilizzo di energia fossile o di altre fonti convenzionali. In pratica si utilizzano sorgenti di raffrescamento naturali o pozzi di calore, per l’esportazione di calore fuori dall’edificio. Qualora sia necessario fornire energia per attuare il sistema, allora il sistema di trasferimento di calore è a basso costo e semplice. Nel 1991 Wolfgang Feist e Bo Adamson applicarono l’approccio progettuale passivo ad una casa a Darmstadt con l’obiettivo di fornire, per il clima tedesco, un caso studio di abitazione a basso consumo energetico e costo ragionevole [3]. Nel 1998, basandosi sulle esperienze condotte, Feist codificò il progetto passivo delle case di Darmstadt nello STANDARD PASSIVHAUS che, fondamentalmente proponeva: un limite nel fabbisogno energetico di riscaldamento; un requisito di qualità (livello di comfort termico); un limite sul consumo di energia primaria per tutti gli usi finali (riscaldamento degli ambienti, elettrodomestici e illuminazione, acqua calda).

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Capitolo 1 :“La Casa Passiva”

1.1 Definizione dello Standard Passivhaus

L’era dei combustibili fossili a basso costo, durata circa 100 anni, sta mostrando

una serie di segnali di crisi. In questo lasso di tempo la notevole disponibilità di

energia per alimentare impianti attivi di climatizzazione, invernale ed estiva, ha

sminuito il ruolo che l’involucro edilizio ha tradizionalmente rivestito nel

raggiungimento degli obiettivi di comfort e benessere ambientale.

Dal 1973 [3] le avvisaglie di crisi energetica hanno, però, catalizzato la ripresa di

una progettazione architettonica che, per ridurre la dipendenza dai combustibili

fossili, individua come prioritaria l’azione moderatrice delle componenti edilizie.

Col tempo è stata composta una ricca tavolozza di soluzioni ingegneristico -

architettoniche che riscopre i principi della cosiddetta “progettazione passiva”.

Il termine passivo si riferisce ad edifici in cui le condizioni di comfort (invernale

e/o estivo) vengono raggiunte grazie a caratteristiche ottimizzate dell’involucro

edilizio e a sistemi di trasporto del calore (pompe o ventilatori) da o verso

l’ambiente circostante, che non richiedono l’utilizzo di energia fossile o di altre

fonti convenzionali. In pratica si utilizzano sorgenti di raffrescamento naturali o

pozzi di calore, per l’esportazione di calore fuori dall’edificio. Qualora sia

necessario fornire energia per attuare il sistema, allora il sistema di trasferimento

di calore è a basso costo e semplice.

Nel 1991 Wolfgang Feist e Bo Adamson applicarono l’approccio progettuale

passivo ad una casa a Darmstadt con l’obiettivo di fornire, per il clima tedesco, un

caso studio di abitazione a basso consumo energetico e costo ragionevole [3].

Nel 1998, basandosi sulle esperienze condotte, Feist codificò il progetto passivo

delle case di Darmstadt nello STANDARD PASSIVHAUS che,

fondamentalmente proponeva:

• un limite nel fabbisogno energetico di riscaldamento;

• un requisito di qualità (livello di comfort termico);

• un limite sul consumo di energia primaria per tutti gli usi finali (riscaldamento

degli ambienti, elettrodomestici e illuminazione, acqua calda).

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Fig.1: Esempio di climatizzazione di una casa passiva

L’insieme di sistemi di controllo termico passivo attuati in questi primi edifici e

nei successivi (ottimo isolamento delle parti opache, riduzione a livelli minimi dei

ponti termici, adozione di finestre e telai a bassa trasmittanza termica, involucro a

tenuta d’aria elevata ossia n 50 < 0.6 h-1, sistema di ventilazione meccanica e

recupero di calore ad alta efficienza sull’aria in uscita) è stato in seguito

generalmente associato allo standard. Con questo tipo di strategie si è semplificato

notevolmente il sistema di distribuzione dell’energia necessaria per il

riscaldamento. Si distribuisce aria calda attraverso un sistema di ventilazione

meccanica, già presente per le necessità di rinnovo dell’aria interna non garantito

dalle infiltrazioni (la permeabilità all’aria dell’involucro è molto limitata) e

mediante un recuperatore di calore si eleva la temperatura dell’aria esterna in

ingresso estraendo energia dall’aria viziata in uscita (fig.1). L’ulteriore aumento di

temperatura necessario a fornire sufficiente energia agli ambienti può essere

ottenuto con vari sistemi (una stufa a legna, un impianto solare, una pompa di

calore, ecc.) comunque di bassa potenza. Questa semplificazione del sistema di

riscaldamento concorre, congiuntamente ai bassi consumi di energia, a rendere

queste cose attraenti dal punto di vista economico, oltre che ambientale.

Di seguito sono riportati i cinque punti che definiscono l’attuale Standard

Passivhaus tedesco per i paesi dell’Europa Centrale:

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1. Criterio del riscaldamento: il fabbisogno di energia utile per il

riscaldamento ambientale non ecceda i 15 kWh per m² di superficie

netta abitabile per anno.

2. Criterio dell’energia primaria: la richiesta di energia primaria per

tutti i servizi energetici, inclusi riscaldamento, acqua calda

sanitaria, elettricità per l’abitazione e gli ausiliari, non ecceda i 120

kWh per m² di superficie netta abitabile per anno.

3. Tenuta all’aria: l’involucro edilizio dovrebbe presentare un

risultato del test di pressurizzazione (a 50 Pa), condotto secondo la

EN 13829, di non più di 0.6 h-1.

4. Criterio della temperatura di comfort invernale: la temperatura

operativa nelle stanze può essere mantenuta sopra i 20 °C

d’inverno, usando le succitate quantità di energia.

5. Tutti i valori di richiesta energetica sono calcolati secondo il

Passive House Planning Package (PHPP) e si riferiscono alla

superficie netta abitabile, cioè la somma delle superfici nette

abitabili di tutte le stanze (in pianta).

1.2 La casa passiva nel Mediterraneo

Lo standard Passivhaus è nato per rispondere alle esigenze connesse al clima

relativamente freddo dell’Europa Centrale [14]. Sebbene anche le abitazioni

dell’Europa Meridionale necessitino di essere riscaldate d’inverno è, tuttavia,

necessario che garantiscano condizioni confortevoli anche durante l’estate e,

spesso, quest’ultimo risulta essere il problema predominante. L’architettura

vernacolare tipica delle aree meridionali dell’Italia e della Spagna riflette tale

necessità ed, infatti, l’attuale Progettazione Passiva prende spunto da molte di

queste soluzioni tecniche tradizionali.

Da un lato le analisi hanno mostrato che, in certe regioni, le soluzioni tecniche

previste dallo standard Passivhaus possono essere un punto di partenza efficace

anche per raffrescare le abitazioni in estate (anche se sono necessarie alcune

modifiche al fine di ridurre, in alcuni periodi dell’anno, l’effetto della radiazione

solare incidente).

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Dall’altro lato, invece, il progetto ha evidenziato che alcuni requisiti espliciti o

impliciti dello standard Passivhaus possono essere resi meno stringenti nei climi

dei Paesi Mediterranei. Ad esempio, il requisito del limite massimo della

permeabilità all’aria dell’involucro edilizio (n50 ≤ 0,6 h-1) richiede

necessariamente che venga installato un sistema di ventilazione meccanica per il

ricambio dell’aria. Tuttavia, l’esperienza maturata, ad esempio, in Spagna ed in

Portogallo, dimostra che è possibile costruire case a basso consumo energetico

senza ricorrere a sistemi attivi per la ventilazione e con prestazioni dell’involucro

edilizio meno stringenti.

La nuova definizione ha, quindi, l’obiettivo di estendere lo stesso concetto

vincente ai climi più caldi.

I principali cambiamenti introdotti per rendere lo standard Passivhaus pertinente

al contesto Mediterraneo sono:

1. l’introduzione di un limite esplicito del fabbisogno energetico per il

raffrescamento estivo (15 kWh/m2anno).

2. L’introduzione di requisiti minimi per le condizioni di comfort interne

estive: le temperature operative degli ambienti debbono rimanere negli

intervalli di comfort definiti dalla norma EN 15251 del 2007.

3. Un rilassamento del valore limite della tenuta all’aria dell’involucro

edilizio (n50 ≤ 1,0 h-1). Questo permette conformità al nuovo standard

senza che si installi necessariamente un sistema di ventilazione meccanico.

Nel clima Mediterraneo per difendersi dal caldo è necessario proteggersi dalla

radiazione solare e dissipare il calore accumulato dalle strutture sfruttando

l’alternanza di temperatura tra il giorno e la notte. Qualsiasi soluzione scelta deve

naturalmente evitare di compromettere la prestazione invernale dell’edificio. La

casa deve prima di tutto evitare durante la stagione estiva l’eccessivo

irraggiamento sulle superfici di copertura così come sulle facciate vetrate e

opache. Le soluzioni sono documentate e innumerevoli, ma ancora una volta

ostinatamente non applicate nella maggioranza dei casi: coperture e facciate

ventilate, sistemi di ombreggiamento fissi o regolabili (frangisole, schermature,

quinte vegetali), forma dell’edificio, orientamento. La seconda regola, quella di

dissipare il calore durante la notte, ben si adatta a zone marine o collinari in

presenza di regimi di brezza e inversione termica, ma decisamente meno in aree di

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pianura o nelle grandi conurbazioni metropolitane, capaci di generare il noto

fenomeno di surriscaldamento microclimatico.

1.3 Interventi sull’albedo e uso del verde per diminuire l’effetto “isola di

calore”

L’effetto noto come “isola di calore” deve essere mitigato, per mezzo di

un’adeguata progettazione delle aree circostanti gli edifici e, solo in fase

successiva, intervenendo impiantisticamente con il condizionamento

dell’involucro [4].

Il fenomeno isola di calore si esplica, in termini generali, in un aumento delle

temperature medie dell’aria e della temperatura media radiante delle superfici

(fig.2).

Fig.2: Utilizzo delle piante per ridurre l’effetto isola di calore

Questa alterazione delle caratteristiche climatiche assume caratteri

particolarmente notevoli nella stagione estiva, con differenze di temperatura fra

città e campagna dell’ordine di qualche grado centigrado. Ciò comporta

inevitabilmente un aumento della domanda di energia per il condizionamento

estivo degli ambienti interni, oltre che condizioni di marcato discomfort negli

spazi esterni. Un altro effetto dell’isola di calore urbana è l’accentuazione delle

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condizioni favorevoli alla formazione di smog fotochimico ed, in particolare, alla

formazione di ozono.

Fra le molteplici cause che generano un’isola di calore vi è la concentrazione di

usi energetici (trasporti, produzione di calore ), l’uso di materiali di finitura delle

superfici con caratteristiche termofisiche sfavorevoli, la scarsa presenza di

vegetazione e di specchi d’acqua.

Il controllo dell’albedo (coefficiente di riflessione totale, cioè su tutte le

lunghezze d’onda; le superfici chiare hanno un’albedo più alta delle superfici

scure) della pavimentazione degli spazi pubblici (strade, marciapiedi,

parcheggi,ecc.) deve permettere la riduzione delle temperature superficiali con

effetti sul comfort esterno e sulla riduzione dei carichi solari nel condizionamento

degli spazi chiusi. La semplice scelta dei materiali ad elevato albedo (colori

chiari) per la realizzazione delle superfici urbane dovrà essere effettuata nella

direzione della riduzione delle temperature delle superfici (e quindi la quantità di

energia che esse re-irraggiano) e sui carichi di raffrescamento garantendo nel

contempo effetti sul comfort e benessere delle persone (evitare gli sbalzi termici

freddo interno-caldo esterno).

Il ricorso al verde dovrà avere non soltanto un valore decorativo, ma dovrà essere

progettato e quantificato in modo da produrre effetti sul microclima dell’area

mitigando i picchi di temperatura estivi (>1°C) grazie all’evapotraspirazione ed,

inoltre, consentire l’ombreggiamento per controllare l’irraggiamento solare diretto

sugli edifici e sulle superfici circostanti durante le diverse ore del giorno. Per

quanto riguarda gli edifici, è opportuno disporre la vegetazione o altri schermi in

modo tale da massimizzare l’ombreggiamento estivo delle seguenti superfici, in

ordine di priorità:

• le superfici vetrate e/o trasparenti esposte a Sud e Sud-Ovest;

• le sezioni esterne di dissipazione del calore degli impianti di climatizzazione i

tetti e le coperture;

• le pareti esterne esposte a Ovest;

• le pareti esterne esposte a Est e a Sud;

• le superfici orizzontali adiacenti alle sezioni esterne di dissipazione del calore

degli impianti di climatizzazione;

• le superfici capaci di assorbire radiazione solare entro 6 metri dall’edificio;

• il terreno entro 1.5m dall’edificio.

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Le ore in cui, nella stagione estiva, l’effetto di schermatura consente maggiori

risparmi sono:

• per superfici esposte ad Ovest: dalle 14:30 alle 19:30

• per superfici esposte a Est: dalle 7:30 alle 12:00

• per superfici esposte a Sud: dalle 9:30 alle 17:30

Per ottenere un efficace ombreggiamento degli edifici occorre che gli alberi

utilizzati vengano piantati a distanze tali che la chioma venga a situarsi a non più

di 1.5 metri di distanza dalla facciata da ombreggiare quando esposta ad Est o

Ovest e non più di 1 metro di distanza dalla facciata da ombreggiare quando

esposta a Sud.

E’ consigliabile che anche le parti più basse delle pareti perimetrali degli edifici

esposte a Est, Ovest e Sud, vengano ombreggiate per mezzo di cespugli.

Anche l’uso di rampicanti sulle facciate consente buone riduzioni

dell’assorbimento della radiazione solare in estate e una riduzione delle

dispersioni per convezione in inverno.

1.3.1 Controllo della radiazione solare

In estate, la radiazione solare attraversa le superfici trasparenti dell’involucro

(serramenti esterni), comportando un apporto di energia istantaneo che deve

essere annullato dall’impianto di climatizzazione.

L’effetto della radiazione solare può essere ridotto facendo uso di varie tipologie

di schermature quali ad esempio aggetti verticali (per orientamenti Est e Ovest) o

orizzontali (per orientamenti a Sud), frangisole esterni fissi o regolabili, tende

esterne (avvolgibili o alla veneziana), tende interne (del tipo alla veneziana o in

tessuto), vetri speciali.

La protezione dall’esterno risulta molto efficace, in quanto impedisce alla

radiazione solare di colpire la superficie trasparente.

L’efficacia di diversi sistemi di protezione solare dipende principalmente da tre

fattori:

• Dalla geometria del sistemi di protezione solare;

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• Dall’orientamento della facciata;

• Dal periodo dell’anno.

I grafici della figura 3 evidenziano l’efficacia di alcuni sistemi di protezione

solare. La protezione solare riguarda anche le superfici opache ed in particolare le

coperture che, tra le superfici dell’involucro, sono più esposte alla radiazione

solare. Nel caso in cui non sia possibile ricorrere a veri e propri sistemi di

ombreggiamento, è opportuno scegliere una corretta colorazione delle superfici,

privilegiando l’utilizzo di colori con un basso coefficiente di assorbimento.

Fig.3: Variazione della trasmissione per irraggiamento diretto in funzione del diverso tipo di

aggetto utilizzato e dall’orientamento della facciata

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1.4 Caratteristiche strutturali di una casa passiva

1.4.1 Componenti opachi Per l’implementazione dello standard Passivhaus sono già state testate con

successo e possono perciò essere utilizzate tutte le varie tipologie costruttive

tradizionali: costruzioni in muratura, elementi prefabbricati, costruzioni in acciaio,

costruzioni in calcestruzzo, costruzioni leggere, e tutte le combinazioni di questi

metodi.

L’involucro edilizio è composto da tutte quelle parti della costruzione che

separano l’ambiente interno da quello esterno, quello proprio di una Casa Passiva

è caratterizzato da un eccellente livello di isolamento termico. I coefficienti di

perdita di calore delle mura perimetrali e delle pareti contro terreno sono compresi

tra 0,10 e 0,15 W/m2K, con riferimento al clima del Centro Europa, mentre per le

costruzioni di tipo tradizionale i valori sono più elevati; in conseguenza a ciò da

un lato le perdite di calore per trasmissione durante la stagione invernale per una

abitazione passiva possono essere considerate trascurabili, dall’altro la

temperatura delle superfici interne è prossima a quella dell’aria interna: ciò

consente di evitare i danni causati dalla presenza di umidità nell’aria e di elevare

la percezione del comfort interno.

Durante il periodo estivo un elevato isolamento termico rappresenta una buona

protezione contro il caldo, tuttavia per assicurarsi un elevato benessere termico un

involucro iperisolato è condizione necessaria ma non sufficiente. Sono, infatti,

imprescindibili sia una corretta ventilazione che una progettazione accurata

dell’ombreggiatura [5] .

Un’altro principio basilare è “costruire evitando i ponti termici”. L’isolamento

deve essere applicato con continuità per tutto l’involucro dell’edificio senza

significativi ponti termici, tramite questo accorgimento non ci saranno punti

freddi e nessuna perdita extra di calore. Ciò contribuirà direttamente

all’ottenimento di un edificio confortevole e in grado di mantenere un buona

qualità abitativa nel tempo.

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1.4.1.1 Isolamento termico

Nel corso degli ultimi due decenni, lo studio degli standard di isolamento termico

in nuovi edifici europei si è concentrato sullo spessore dell’isolamento con lane

minerali progettato e usato sulle nuove costruzioni. Vi è stato un continuo

progresso negli standard di isolamento in vari paesi, soprattutto in Europa

centrale. Il Sud continua a restare indietro, nonostante le normative europee

richiedono migliori standard per soddisfare gli obiettivi di Kyoto. Lo stesso vale

per lo spessore isolante delle pareti e dei tetti. Le cifre relative ai vari paesi

prendono in considerazione la popolazione e i gradi giorno, ovvero il numero di

giorni all’anno in cui è necessario usare il riscaldamento. Tutte le prestazioni

vengono paragonate ai livelli svedesi, i risultati mettono in evidenza il maggiore

potenziale di risparmio energetico in alcuni paesi settentrionali, ma indicano

chiaramente che gli sforzi principali devono concentrarsi nel Sud e nei paesi

aventi una vasta popolazione. Si possono realizzare anche notevoli progressi in

quasi tutti i paesi europei aumentando gli standard dello spessore isolante per

pareti e tetti. Ad esempio, se gli standard isolanti svedesi (220 mm) venissero

impiegati in Italia (50 mm), si otterrebbero risparmi energetici fino al 90%. Lo

stesso vale per l’intera Europa dove si potrebbero ottenere risparmi superiori al

50% [6]. I valori U per tetti e pareti rispettivamente di 0.10 W/m2K e 0.15

W/m2K dovrebbero essere standard per le nuove costruzioni in tutti i paesi europei

e possibilmente per gli edifici esistenti.

Il 4 luglio 2008 è entrato in vigore il decreto n.15 del 30 maggio 2008 pubblicato

nella G.U. del 3/07/2008 di recepimento della direttiva 2006/32/CE,

sull’efficienza degli usi finali del’energia e i servizi energetici che introduce

deroghe alle distanze minime ed alle altezze massime degli edifici per favorire un

migliore isolamento termico.

Sono i paesi con vaste popolazioni, quali l’Italia, che hanno il potenziale più

elevato di risparmio energetico. La perdita di energia totale derivante dalle case si

basa sulle normative attualmente in vigore per nuove costruzioni è stata stimata

essere circa 1.164.442 milioni di MJ all’anno [15]. Tuttavia, molti edifici vecchi

hanno un isolamento ridotto o, addirittura, inesistente ed è qui che si ha un

potenziale molto più elevato di risparmio.

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L’elevata incidenza dei consumi per riscaldamento rispetto ai consumi totali del

residenziale (tab.1) è da attribuire prevalentemente alle caratteristiche degli

involucri degli edifici: i due terzi delle nostre abitazioni sono di costruzione

anteriore alla legge 373/1976 «Norme per il contenimento del consumo energetico

per usi termici negli edifici» ed una percentuale analoga non subisce interventi di

manutenzione straordinaria da almeno 20 anni.

2000 2001 2002 2003

Riscaldamento 17.993 18.728 17.657 19.123

Acqua calda 2.907 2.939 2.900 2.952

Usi cucina 1.539 1.523 1.504 1.486

Usi elettrici

obbligati

4.052 4.097 4.222 4.404

Totale

residenziale

26.491 27.287 26.283 27.966

Tab.1: Consumi finali di energia nel settore residenziale per funzione d’uso kTEP . [15]

1.4.1.2 I materiali termoisolanti

I materiali termoisolanti (tab. 2) sono quelli che possiedono una bassa conduttività

termica λ, (normalmente inferiore a 0,05 W/mK). Si tratta principalmente di

materiali porosi (alveolari) e fibrosi in cui è racchiusa aria che è un cattivo

conduttore di calore. I migliori materiali termoisolanti possiedono struttura

alveolare con pori ben chiusi. La conduttività termica (λ) dei materiali è indicata

nelle schede tecniche dei produttori, ma i valori riportati sono leggermente più

bassi rispetto a quelli effettivi, perché vengono stabiliti in laboratorio dove il tasso

di umidità è inferiore rispetto a quello riscontrabile negli edifici. I materiali

fibrosi, e anche alcuni di quelli porosi, sono igroscopici, cioè assorbono

facilmente umidità. L’umidità assunta espelle l’aria e quindi ne diminuisce la

proprietà termoisolante. I materiali igroscopici devono pertanto essere protetti

contro l’umidità e si prestano soprattutto all’impiego in costruzioni a secco. Nella

scelta del materiale termoisolante si dovrebbero valutare non solo le

caratteristiche tecniche che, ovviamente, sono le più importanti, ma anche quelle

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ecologiche. I migliori pregi termoisolanti li possiedono certi materiali sintetici,

che, però, dal punto di vista ambientale, causano diversi problemi.

MATERIALI TERMOISOLANTI

Fibre di cocco Fibre di cotone Polistirolo espanso Fibre di legno

0.040-0.045 W/mK 0.040-0.045 W/mK 0.035-0.040 W/mK 0.050-0.060 W/mK

Lana di vetro Pannello di sughero Perlite espansa Poliuretano

0.035-0.050 W/mK 0.040-0.045 W/mK 0.040-0.060 W/mK 0.025-0.035 W/mK

Tab.2: Conducibilità termica dei materiali termoisolanti più utilizzati

1.5 Tecniche di miglioramento dell’efficienza energetica

1.5.1 Pareti perimetrali

In inverno un buon isolamento delle pareti perimetrali limita le perdite di calore e,

aumentando la temperatura delle superfici interne, riduce un’importante causa di

discomfort locale, l’asimmetria radiante dovuta a parti fredde e i danni che

possono essere provocati dalla condensazione di vapore acqueo (crepe, muffe) [7].

A differenza dell’isolamento del basamento, quello delle pareti perimetrali ha

sempre un effetto positivo: durante le ore calde estive riduce i flussi di calore

verso l’interno, inclusi quelli generati dalla radiazione solare incidente sulla

superficie esterna. L’isolante viene posto con una soluzione “a cappotto” (fig.4).

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Fig.4: Schema di installazione di isolamento esterno a cappotto

Questo tipo particolare di isolamento esterno a cappotto consiste nell’applicare

l’isolante termico all’esterno in modo uniforme e tale, quindi, da eliminare i ponti

termici con le strutture in cemento armato, i fenomeni di condensa del vapor

d’acqua. La posizione all’esterno dell’isolante comporta anche una maggiore

inerzia termica, una minore oscillazione della temperatura interna ed un miglior

grado di benessere interno. Si deve porre attenzione alla posa dell’isolante poiché,

all’esterno delle pareti, è possibile avere attacchi degli agenti atmosferici. Sono

consigliabili il polistirene espanso (a celle chiuse per evitare l’assorbimento

dell’acqua) e la lana minerale in lastre rigide di elevata densità.

A seconda delle tipologie costruttive si possono avere pareti esterne a doppio

strato con intercapedine interna che può essere parzialmente o interamente

utilizzata per installare isolante termico. Una tecnica molto utilizzata (fig.5)

(valida anche per edifici già esistenti) per le pareti doppie è detta di insufflazione

dell’isolante: questo viene insufflato tramite opportuni fori all’interno delle

intercapedini ancora allo stato di schiuma che poi solidifica formando una lastra

ben rigida interna che sigilla ogni possibile ponte verso l’esterno. Si usano

schiume di urea o poliuretaniche in genere. Occorre lasciare fuoriuscire l’umidità

iniziale prodotta dalle schiume prima di chiudere del tutto i fori di immissione.

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Fig.5: Schema di posa dell’isolante interno mediante insufflazione di schiume

nell’intercapedine Una tecnica che si sta sviluppando in questi ultimi anni e che sembra dare ottimi

risultati sul comportamento termico degli edifici è l’utilizzo delle pareti ventilate.

Esse consistono di una normale parete esterna alla quale si aggiunge una lamina di

materiale dello spessore di 1÷2 cm posta ad una distanza di circa 5÷10 cm dalla

prima in modo da formare un canale libero fra le due superfici (fig. 6).

Per effetto delle differenze di temperatura fra le superfici e dei gradienti termici

verticali si ha una circolazione di aria che produce effetti benefici: riduce il

surriscaldamento interno poiché riduce la temperatura aria-sole della parete

esterna, evita gli effetti di condensa e, soprattutto in estate, favorisce la

ventilazione esterna e quindi il raffrescamento interno.

In inverno la maggiore ventilazione nell’intercapedine fra gli strati favorisce gli

scambi termici ma la riduzione dell’isolamento termico viene compensata dagli

altri effetti benefici e, quindi, complessivamente questo tipo di parete risulta

conveniente. Oggi sono disponibili pareti esterne prefabbricate (materiale gessoso

su rete metallica) che si possono applicare facilmente alle pareti esterne, anche se

già costruite, mediante una serie di agganci metallici di facile inserimento.

L’uso di materiali lapidei (ad esempio di pietra bianca di modica) può costituire

un elemento architettonico di stimolo alla realizzazione delle pareti ventilate.

Sullo stesso principio si possono avere anche le coperture ventilate costituite da

doppi solai con intercapedine d’aria di 10÷20 cm in modo da favorire la

ventilazione e, soprattutto in estate, lo smaltimento del calore.

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E’ da tenere ben presente che le pareti formanti l’intercapedine debbono lasciare

due aperture, una in basso ed una in alto, in modo da lasciare circolare l’aria

interna per effetto camino. Dette aperture è bene che siano protette da reti

metalliche antitopo.

Fig.6: Schema di installazione di una parete ventilata

E’ importante scegliere bene il colore delle pareti esterne poiché esso influenza

l’interazione con la radiazione solare (si ricordi la definizione della temperatura

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aria-sole) e, quindi, sulle trasmissioni di energia. Occorre evitare l’uso di pareti

esterne leggere poiché si avrebbe una bassa capacità termica dell’edificio che

porterebbe ad avere forti oscillazioni termiche all’interno dell’edificio.

Evitare l’uso di grandi superfici in calcestruzzo armato a faccia vista: questo

conduce bene il calore e per conseguenza si avrebbero forti dispersioni termiche e

non buone condizioni ambientali di benessere. Le pareti esterne debbono anche

essere verificate per la diffusione dell’umidità (metodo di Glaser) onde evitare

danneggiamenti per la condensa del vapore acqueo e, quindi, è molto importante il

montaggio degli isolanti e la scelta degli stessi (in fig.7 è possibile vedere una

modalità di montaggio degli isolanti delle pareti).

Fig.7: Posa in opera dell’isolante esterno

1.5.2 Isolamento delle coperture

Le coperture sono elemento importantissimo di un edificio. Esse hanno sempre

caratterizzato le tipologie costruttive tipiche dell’architettura vernacolare (si pensi

ai dammusi di Pantelleria, ai trulli della Puglia,…). Attraverso le coperture si

hanno forti dispersioni che debbono essere adeguatamente contrastate con

l'utilizzo di isolanti termici o di tecnologie costruttive particolari. Le coperture,

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inoltre, debbono assicurare un corretto smaltimento delle acque meteoriche. Le

tipologie di isolamento maggiormente utilizzate sono le seguenti[7]:

Isolamento posto sull’estradosso a tetto caldo

In questo caso l’isolante termico è posto all’esterno esternamente al solaio,

immediatamente al di sotto dello strato di impermeabilizzazione. Le coperture

piane (molto utilizzate alle nostre latitudini) soffrono anche di forti irraggiamenti

solari e, quindi, di cicli termici che provocano fessurazioni dannose. Per evitare

questi effetti si possono usare varie tecniche. Ad esempio, si può ricoprire il

soffitto con pietrisco o ghiaia a grossa granulometria sparsa uniformemente in

modo che vi si possa camminare sopra o anche si può utilizzare uno strato

pedonale esterno, come indicato in fig. 8.

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Fig.8: Schema di isolamento sull’estradosso del soffitto

Isolamento posto sull’estradosso a tetto rovescio

Il materiale isolante è posto all’esterno dello strato impermeabilizzante e pertanto

le radiazioni solari lo colpiscono direttamente. Per evitare danni dovuti ai cicli

termici e alle infiltrazioni di acqua, gli isolamenti termici debbono essere densi e

non assorbenti (a celle chiuse). Questi isolanti fungono anche da barriere al

vapore. In fig. 9 si ha una rappresentazione di tetto rovescio con strato esterno

zavorra.

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Fig.9: Esempio di tetto rovescio

Controsoffitto interno

L’isolante termico è posto sulla parte interna del solaio, possibilmente

opportunamente distanziato da questo. Questa disposizione annulla la capacità

termica del solaio e può interferire con l’impiantistica sovrastante (tubi, canali

d’aria, canaline elettriche, impianti di illuminazione). L’isolante può essere

installato in pannelli rigidi con intelaiatura portante del tipo controsoffitto

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addossato alla superficie del solaio oppure con la creazione di un’opportuna

intercapedine che può essere a sua volta utilizzata come volume tecnico di

passaggio degli impianti.

Copertura a falde

Si possono isolare le falde oppure creare un solaio di sottotetto interno ed isolare

quest’ultimo. Se si isolano le falde si può porre l’isolante sotto le tegole,

immediatamente al di sopra della barriera di vapore. Nel caso di solaio di

sottotetto si può porre l’isolante immediatamente al di sopra della superficie

esterna. L’isolante può essere a lastre o anche feltri di lana di roccia in sacchetti

protettivi o anche in granuli dispersi uniformemente sulla superficie.

Solai su pilotis

Anche in questo caso occorre porre molta attenzione a ben isolare questi solai per

ridurre le dispersioni termiche. Quasi sempre la posizione dell’isolante è esterna al

solaio in modo da lasciare libero il pavimento calpestabile. Per evitare attacchi

degli agenti atmosferici occorre anche prevedere intonaci esterni adeguatamente

resistenti (intonaci plastici).

In estate i tetti, che più degli altri componenti edilizi sono esposti alla radiazione

solare diretta se non opportunamente isolati, contribuiscono in maniera

significativa all’aumento delle temperature all’interno degli ambienti confinanti

(in fig. 10 è possibile vedere una modalità di montaggio degli isolanti sulla

copertura).

In caso di tetti inclinati supportati da travi in legno è preferibile ridurre i ponti

termici posizionando il materiale isolante tra la struttura portante e le tegole. In

caso di coperture in cemento armato è preferibile aumentare la massa termica

efficace isolando esternamente. In entrambi i casi è indispensabile proteggere il

materiale coibente con membrane impermeabili ed è possibile introdurre uno

strato di ventilazione sotto le tegole o i coppi capace di asportare in estate

l’energia termica immagazzinata.

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Fig.10: Posa in opera dell’isolante sulla copertura

1.5.3Assenza di ponti termici

Per fluire dall’ambiente riscaldato verso l’esterno,il calore seguirà il percorso con

la minor resistenza termica, questo significa che non deve per forza essere il

percorso perpendicolare alle superfici. Molto spesso il calore “cortocircuita”

attraverso un singolo elemento caratterizzato da una conduttività molto più alta

rispetto ai materiali circostanti. Tale fenomeno di trasmissione di calore viene

indicato con il nome di “ponte termico”.

Gli effetti tipici dei ponti termici sono i seguenti [8]:

� Diminuzione della temperatura delle superfici interne; nel peggiore dei

casi ciò può comportare un elevato tasso di umidità;

� Dispersioni termiche significativamente aumentate.

Entrambi possono essere evitati nelle Case Passive: le temperature interne sono

elevate a sufficienza da evitare un tasso critico di umidità e le dispersioni termiche

sono trascurabili.

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Se il coefficiente di ponte termico, che è un indicatore delle dispersioni dovute al

ponte termico, è più basso di 0,01 W/mK , l’edificio può essere giudicato come

“senza ponti termici”. Se l’intero involucro termico viene realizzato in accordo

con il principio di evitare i ponti termici né il progettista né il costruttore avranno

mai da preoccuparsi per l’umidità e sarà sempre più semplice calcolare il bilancio

energetico.

1.5.3 I componenti finestrati

Non c’è altro componente nel settore edilizio che abbia avuto una crescita

qualitativa paragonabile a quella del campo della finestratura. Il coefficiente di

perdita termica (Uw) delle finestre sul mercato è stato ridotto di un fattore 8 in 30

anni. Agli inizi degli anni ‘70 la maggior parte delle finestre aveva il vetro

singolo, il valore Uw era approssimativamente 5,5 W/(m2K) [8]. Il calore perso

attraverso 1 m2 di queste finestre è quantificabile in circa 60 litri di olio

combustibile. Tali finestre generavano costi di esercizio stimabili in 48 €/m2 di

energia finale per riscaldamento ogni anno. Ma non c’erano solo le enormi perdite

termiche. A causa dello scarso isolamento, il freddo dall’esterno riusciva a

penetrare direttamente sulle superfici interne: se la temperatura scendeva al di

sotto di – 7,5 °C poteva formarsi ghiaccio sulla superficie interna del vetro.

Uno scarso livello di isolamento è, perciò, legato ad un basso livello di comfort ed

ad un crescente pericolo di danni. Un po’ meglio funzionano i doppi vetri che

vennero introdotti dopo le prime crisi petrolifere. Tra i due pannelli vetrati vi è

racchiusa dell’aria, il coefficiente di perdita termica è ridotto da 5,5 a 2,8

W/(m2K) e, di conseguenza, le perdite sono ridotte quasi della metà rispetto al

vetro singolo e con ricadute sui costi annuali. La temperatura della superficie

interna non si abbassa mai al di sotto dei 7,5 °C anche nei periodi di maggior

rigore (-15°C), quindi, non c’è formazione di ghiaccio, tuttavia la superficie è

ancora sgradevolmente fredda e presenta condensa a causa della temperatura più

bassa del punto di rugiada.

Il più importante passo in avanti verso la bassa emissività si ebbe con

l’introduzione all’interno dello spazio interplanare di rivestimenti metallici, da cui

la questione prende il nome di “Basso Emissivo” per la ridotta emissività termica.

Questi rivestimenti riducono la radiazione termica tra il pannello interno e quello

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esterno di un fattore da 5 a 20. In aggiunta il gas contenuto tra i pannelli viene

sostituito con gas nobili (Argon o Cripto) i quali hanno bassissima conduttività.

Una finestra tradizionale in legno od in plastica, facente uso di distanziatori

standard e di doppio vetro basso emissivo, ha un valore Uw compreso tra 1,3 e 1,7

W/(m2K). In questo modo il calore disperso viene ridotto ancora di un fattore 2

rispetto al vecchio standard a vetro doppio. Attualmente la temperatura media

della superficie interna si aggira intorno ai 13 °C durante il periodo invernale,

tuttavia, può ancora essere percepito un flusso di aria fredda dovuto a correnti

convettive, come uno strato freddo a pavimento e questo va ridotto per ottenere un

livello ottimale di comfort.

L’innovazione nel campo dell’edilizia dell’efficienza energetica è rappresentato

dalla comparsa delle finestre a triplo-strato basso emissivo. Realizzando due spazi

interplanari con un rivestimento basso emissivo per ciascuno e riempiendoli con

gas nobile, il valore U si abbassa a valori compresi tra 0,5 e 0,8 W/(m2K). Per

ottenere questi valori è necessario che non solo i vetri, ma che tutta la finestra

abbia un ottimo livello di isolamento, incluso perciò anche il telaio e gli

spaziatori. Il risultato è una finestra che genera alto comfort termico, una finestra

specifica per la casa passiva. Usando una finestra di questo tipo la perdita annuale

di calore è ridotta a non più di 8 litri di olio combustibile per metro quadro d’area

di finestratura, che rappresenta un fattore di riduzione 8 rispetto al valore iniziale.

In aggiunta, se si considera il guadagno solare passivo ottenuto attraverso la

finestra, le perdite di calore di una finestra di questa qualità sono superate in

valore dai guadagni passivi.

Non è per caso che le perdite di calore nette dei componenti trasparenti

dell’edificio sono trascurabili come per i componenti opachi. Il livello di

isolamento dei componenti opachi (valore U di circa 0,15 W/m2K) è ben

bilanciato dalla qualità delle finestre disponibili per le Case Passive. Entrambi

permettono allo standard PassivHaus di essere implementato nel clima freddo e

umido del Centro Europa, mantenendo all’interno il comfort termico

semplicemente riscaldando l’aria di ventilazione.

I vantaggi delle finestre per case passive non sono soltanto le ridotte dispersioni

termiche, bensì anche un rilevante comfort termico. Anche durante il periodo

invernale la temperatura della superficie interna non scende al di sotto dei 17 °C,

ciò si traduce nell’assenza di correnti fredde. Ovviamente affinchè ciò avvenga è

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necessaria la presenza di tutte le condizioni collaterali che caratterizzano una

PassivHaus, come l’alta tenuta d’aria e l’assenza di ponti termici. Con queste

condizioni il comfort termico è indipendente dalle modalità con cui il calore viene

fatto giungere alla stanza, per riuscire in questo tali finestre sono una caratteristica

fondamentale.

1.5.4 Ermeticità all’aria

L’ermeticità all’aria non è un dettaglio trascurabile in una costruzione a basso

consumo energetico, essa è indispensabile per evitare danni all’edificio. Lacune in

tal senso comportano un notevole trasporto di umidità per trasmissione.

L’involucro esterno di un edificio dovrebbe essere il più ermetico possibile,

questo è un principio basilare valevole indipendentemente dalla tipologia di

edificio considerata, vale cioè sia per una casa passiva che per un’abitazione

tradizionale. E’ l’unica strada percorribile per evitare i danni causati da condensa

e aria umida che diffondono attraverso l’edificio; questo tipo di problemi non

sono caratteristici solo dei climi freddi, essi infatti possono presentarsi

ugualmente in climi caldi ed umidi a causa del flusso d’aria dall’esterno

all’interno. La causa è pertanto la stessa in entrambi i casi: l’involucro

dell’edificio che disperde. Le correnti d’aria di qualsiasi natura, siano esse di

origine convettiva o semplicemente spifferi, non sono tollerate in nessun caso da

parte degli abitanti di un edificio, perciò per soddisfare a pieno le aspettative di

comfort termico è indispensabile che l’edificio sia ermetico. La tenuta all’aria

dell’edificio va valutata tramite il Blower Door Test [8] (fig. 11 e fig.12). Il test

viene eseguito utilizzando un ventilatore che espelle all’esterno, con porte e

finestre chiuse, l’aria interna dell’edificio sino ad arrivare ad una pressione

differenziale di 50 Pa tra interno ed esterno dell’edificio. Successivamente, con

apposite apparecchiature, si misura il volume d’aria che fluisce all’interno

dell’edificio attraverso l’involucro: il numero di ricambi orari in tali condizioni di

gradiente pressorio è indicato con il simbolo n50.

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Fig.11: verifica della tenuta dell’aria dell’edificio tramite il Blower Door Test

Fig.12: principio di funzionamento blower door test

L’impermeabilità dell’aria non va confusa con l’isolamento. Entrambe sono

caratteristiche essenziali per ottenere un involucro di qualità, ma sono

caratteristiche che vanno realizzate per strade diverse.

Una costruzione ben isolata non è automaticamente anche impermeabile all’aria.

L’aria passa facilmente attraverso l’isolante se fatto di lana di roccia o lana di

vetro; questi materiali infatti non sono impermeabili all’aria, pur avendo

un’ottima capacità isolante.

Dall’altro lato una costruzione ermetica non è necessariamente ben isolata, per

esempio, per avere un’eccellente impermeabilità all’aria è sufficiente una

semplice lamina di alluminio, che però ha tutt’altro che capacità isolante. Inoltre,

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con il concetto di impermeabilità all’aria non si intende quello di “barriera al

vapore”. Quest’ultima consiste in uno strato di materiale impermeabile ai liquidi

che protegge la parte più delicata destinata all’isolamento termico. La sua utilità è

solo contro il vapor d’acqua proveniente dagli ambienti interni, od esterni nel caso

di pareti controterreno, e che potrebbe penetrare fino al materiale isolante termico,

va posta perciò all’interno della costruzione. I materiali convenzionali quali, ad

esempio, gesso o intonaco rinforzato con argilla sono sufficientemente ermetici

all’aria, ma consentono la diffusione del vapore.

Per ciò che riguarda la sola infiltrazione dell’umidità essa basta a rendere un

ambiente inadeguato ad assicurare una buona qualità dell’aria interna. Alcune

abitazioni, studiate con il preciso intento di comprendere il legame tra ermeticità

all’aria dell’involucro e benessere interno globale, hanno evidenziato un valore di

tenuta d’aria compreso tra i 4 e 10 h-1. Queste abitazioni da un lato non erano

sufficientemente ermetiche da evitare danni causati dalla fuoriuscita dell’aria

umida dall’altro invece lo erano troppo affinché le infiltrazioni mantenessero

l’equilibrio. Si è, perciò, giunti alla conclusione che fosse necessario avere un

livello più alto di impermeabilità all’aria, perciò tali abitazioni dovevano essere

considerate “non ermetiche”.

Senza un sistema di ventilazione il valore di tenuta all’aria deve essere almeno 3

h-1, con il sistema di ventilazione meccanica invece di 1,5 h-1.

Dall’esperienza maturata con lo standard PassivHaus una condizione importante è

ottenere un involucro il più ermetico possibile, ciò implica ottenere valori n50 più

bassi possibile: i valori indicativi non superano gli 0,6 h-1 e sono, generalmente,

compresi tra 0,2 e 0,6 h-1.

La tenuta all’aria è una caratteristica indipendente dalla tipologia di materiale

impiegato per la costruzione, i valori sopraindicati possono essere raggiunti sia

con materiali prefabbricati che in muratura. Le condizioni indispensabili per

ottenere valori utili sono chiaramente una progettazione dettagliata ed una

realizzazione accurata. Infatti, un involucro edilizio può dirsi chiuso

ermeticamente soltanto se consiste di uno strato uniforme ed ininterrotto che

avvolge l’intero volume dell’edificio. In fase progettuale, in particolare, è molto

importante specificare per ciascun componente dell’involucro quale parte di esso

sia dedicata al raggiungimento del valore di ermeticità di progetto ed, in secondo

luogo, deve essere altrettanto dettagliato come vengano fra loro collegati tali

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componenti per mantenere intatto l’involucro ermetico. Devono essere eseguiti,

infine, controlli accurati nei collegamenti tra muratura perimetrale e serramenti

ed, in generale, in tutti quegli elementi che attraversano l’involucro (eventuali

tubazioni, scatole di derivazione ecc…). E’ sufficiente, infatti, qualche

infiltrazione o giunti non correttamente eseguiti per causare perdite che possono

raggiungere anche i 1000 kWh all’anno.

1.5.5 Ventilazione meccanica forzata

Nella progettazione di una Casa Passiva gli obiettivi più importanti da

raggiungere sono il comfort e la salute degli inquilini. A questo scopo è

indispensabile assicurare un’eccellente qualità dell’aria interna e questo è

possibile solo se l’aria stantia viene sostituita da aria fresca ad intervalli regolari.

E’ chiaro che non si può arrivare a questo risultato semplicemente aprendo la

finestra un paio di volte al giorno. Il sistema di ventilazione meccanica dovrà

occuparsi di asportare costantemente l’aria viziata dagli ambienti quali cucine o

bagni e di rimpiazzare l’aria rimasta inviando aria fresca a camere, studi, ecc...

Esso si occuperà di fornire correttamente quella quantità di aria richiesta per

soddisfare gli standard qualitativi, impiegando solamente aria proveniente

dall’esterno senza, perciò, che dell’aria stantia venga rimessa in circolazione, e

assicurando, quindi, una elevatissima qualità dell’aria interna.

L’obiettivo può essere raggiunto con un impianto di ventilazione semplice, nel

quale l’aria viene immessa direttamente attraverso bocchette di immissione a

parete o a soffitto, con l’aria di rinnovo che entra nella stanza nella quantità

prestabilita. Tuttavia, questo tipo di impianto genererebbe delle perdite troppo

elevate per una Casa Passiva. Gli edifici a standard passivo sono stati realizzati

sempre utilizzando dei recuperatori di calore ad altissima efficienza. Il calore

viene così recuperato dall’aria esausta e fornito all’aria di rinnovo tramite uno

scambiatore di calore. Nel processo di scambio termico i flussi non si mescolano

tra di loro, lo stato dell’arte dei sistemi di ventilazione presenta dei valori di

recupero di calore superiori al 75% e inferiori al 95% [8]. Questi valori si

ottengono tramite l’utilizzo di scambiatori di calore a flussi incrociati e ventilatori

altamente efficienti (tipicamente motori-FC dalla straordinaria efficienza). Con

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questa tecnologia il calore recuperato è dalle 8 alle 15 volte superiore

all’elettricità richiesta.

Tale elevatissima efficienza degli impianti di ventilazione è motivata dall’uso di

tubature interrate. Durante il periodo invernale il terreno ha una temperatura più

elevata di quella dell’aria esterna e durante il periodo estivo presenta una

temperatura più bassa. E’, perciò, possibile preriscaldare direttamente l’aria di

rinnovo attraverso una condotta interrata in inverno oppure indirettamente

facendo circolare una soluzione salina all’interno di queste condutture interrate

riscaldando l’aria tramite uno scambiatore aria-liquido.

1.6 Soluzioni impiantistiche ad alta efficienza per case passive

1.6.1 Recupero dell’energia dall’aria stantia mediante uno scambiatore o

pompa di calore

L’espulsione all’esterno dell’aria esausta comporta sempre notevoli sprechi di

calore e questo è contrario al principio del risparmio energetico. Molta energia

può essere risparmiata, in inverno, con il recupero di calore dall'aria esausta in

uscita (fig.13 e fig.14). Il recupero richiede un impianto di ventilazione

meccanica. Gli edifici ad alta efficienza energetica sono, pertanto, dotati di

impianti di ventilazione con scambiatori in cui il calore dell'aria in uscita (20°C)

viene conferito all'aria fresca in entrata. Per ottenere buoni risultati, gli

scambiatori devono avere un rendimento di almeno il 60-75 % [3].

Fig.13: Principio di funzionamento scambiatore di calore a flussi incrociati

Sono in uso due tipi di scambiatori: 1) scambiatori a vie incrociate e 2) a flusso

inverso. I primi hanno un rendimento del 60 %, i secondi possono recuperare fino

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al 95 % del calore. E’ possibile anche l’installazione in serie di due scambiatori a

vie incrociate, così il recupero sale fino all’80%.

Fig.14: Due tipologie di scambiatori impiegati per il recupero del calore

Il recuperatore dovrebbe trovarsi all'interno dell'edificio termicamente ben isolato,

per mantenere minime le perdite di calore; deve essere, inoltre, ben accessibile per

le operazioni di ricambio filtri e manutenzione. Negli scambiatori può formarsi

della condensa che deve essere asportata e smaltita nella fognatura. Nel caso di

impianti di ventilazione autonomi, collocati all'interno di un alloggio, bisogna

tenere conto della leggera rumorosità dell'impianto ed installarlo in un locale con

pareti e porte acusticamente isolate. Affinché lo scambiatore non congeli a basse

temperature, l'aria fresca aspirata può essere preriscaldata in uno scambiatore di

calore interrato (fig.15 e fig.16). A questo scopo, il tubo d'aspirazione va interrato

per alcuni metri. Questo preriscaldamento riduce le perdite di calore dell'impianto

durante il periodo di riscaldamento e, in estate, lo scambiatore interrato raffredda

l'aria calda esterna in entrata.

Fig.15: Inserimento dello scambiatore nel sistema di ventilazione

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Un'altra possibilità di recuperare calore dall'aria esausta la offre l'uso di una

pompa di calore aria/aria. In questo caso l'aria fresca viene aspirata direttamente

(senza tubi o canali) dall'esterno e il calore recuperato dalla pompa utilizzato per

riscaldare l'acqua sanitaria.

Il ventilatore e la pompa di calore possono essere integrati in un unico

apparecchio. Spesso vengono anche integrati recuperatori a piastra per aumentare

lo sfruttamento dell'aria esterna. Il COP della pompa di calore dovrebbe essere

decisamente maggiore di 3, cioè produrre 1.000 W energia termica da 300 W

elettrica.

Fig.16: Schema di un impianto di ventilazione con pompa di calore e recuperatore a piastra

1.6.2 Utilizzo di pompa di calore con sonda geotermica orizzontale per la

climatizzazione estiva ed invernale utilizzando l’acqua come fluido

termovettore

La crescente esigenza di raffrescare gli ambienti nel periodo estivo, oltre che

riscaldarli nella stagione invernale, ha portato negli ultimi anni alla diffusione

delle pompe di calore reversibili, ossia di macchine termodinamiche in grado di

sottrarre calore dall’edificio per cederlo all’ambiente esterno in estate, e viceversa

in inverno.

L’efficienza di queste macchine è influenzata in maniera significativa dalle

temperature di esercizio, o meglio dal dislivello di temperatura tra ambiente

interno e sorgente esterna. Un grosso limite delle pompe di calore che utilizzano

l’aria come sorgente esterna è che in inverno la temperatura esterna risulta più

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bassa quando maggiore è la richiesta di calore per riscaldare. Queste

considerazioni portano a due conclusioni [9]:

• qualora ci si voglia avvalere delle pompe di calore, è opportuno abbassare la

temperatura alla quale si deve fornire calore ovvero, nel caso del

riscaldamento civile, orientarsi verso sistemi che possano fornire calore

operando a temperature dell’ordine dei 35°C come nel caso di pannelli

radianti anziché a 60°C e oltre come nel caso dei sistemi tradizionali;

• l’aria esterna, la più comune sorgente termica per le pompe di calore è

termodinamicamente poco efficiente, visto che il carico termico da soddisfare

cresce quando la temperatura esterna diminuisce facendo calare sia il COP

(vedi figura 17) sia la potenzialità termica erogabile dalla macchina.

Fig.17: Andamento del COP teorico e reale in funzione dell’incremento di temperatura, per una temperatura di riscaldamento di 60°C

Un’efficace alternativa all’aria come sorgente esterna di calore è offerta dal

terreno. Infatti questo presenta alcune caratteristiche molto favorevoli: a causa

della sua elevata inerzia termica, già a moderata profondità risente poco delle

fluttuazioni termiche giornaliere e stagionali, al punto che la sua temperatura si

può considerare pressoché costante per tutto l’anno; ciò porta ad avere differenze

di temperatura tra sorgente termica e ambiente da climatizzare inferiori rispetto a

quanto si avrebbe utilizzando l’aria esterna come sorgente termica, con

conseguente miglioramento dell’efficienza dell’impianto e minori costi operativi.

Inoltre, ci sono altri vantaggi rispetto allo sfruttamento dell’aria come sorgente di

calore: principalmente minor rumorosità e minor impatto estetico.

L’accoppiamento della pompa di calore al terreno visto come sorgente termica

esterna (GSHP: Ground-Source Heat Pump) può essere realizzato mediante sonde

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geotermiche, ovvero tubazioni inserite nel terreno e percorse da un fluido

termovettore, che non sono altro che un particolare tipo di scambiatore di calore.

Le pompe di calore che sfruttano il terreno come sorgente termica si possono

distinguere in tre categorie in funzione della modalità con cui avviene lo scambio

termico con il sottosuolo:

1. impianti accoppiati direttamente con il terreno attraverso un sistema di

tubazioni a circuito chiuso al cui interno scorre il fluido termovettore;

2. impianti che utilizzano l’acqua di falda come fluido termovettore, con o senza

reimmissione nella falda stessa dopo l’uso;

3. impianti che sfruttano l’acqua dei laghi e dei bacini come sorgente termica

attraverso un circuito che può essere sia aperto che chiuso.

Come è facile comprendere il caso 2 e il caso 3 richiedono situazioni ambientali

particolari legate alla disponibilità idrica e soprattutto comportano maggiori

vincoli legislativi sull’inquinamento termico delle acque (attualmente la materia è

regolamentata a livello nazionale dalla L. 152/99, ma sono da tener presenti

eventuali piani regionali di risanamento delle acque emanati da alcune Regioni).

Invece, il caso 1 è un sistema più adattabile alle diverse condizioni, anche per

quanto riguarda la disposizione delle tubazioni stesse nel terreno, che possono

assumere uno sviluppo orizzontale (lineare, a spirale, etc.) o verticale.

Sistema di captazione verticale

La tecnica di estrazione del calore è la tecnologia più consolidata e meno

influenzata dalle condizioni ambientali esterne. E' realizzata attraverso sonde

geotermiche di captazione (fig.18), costituite da tubi a U in polietilene nei quali

circola acqua miscelata con antigelo ecologico, che vengono calate in pozzi,

realizzati in perforazioni del diametro di pochi centimetri e invisibili dopo la

costruzione, che vanno dai 50 ai 150 m di profondità, a seconda della potenza

termica necessaria e della tipologia di terreno. Nel funzionamento in

riscaldamento invernale, la soluzione viene inviata nel circuito della sonda e, a

contatto con il terreno più caldo, si riscalda e viene portata alla pompa di calore,

che la utilizza come sorgente fredda. In fase di condizionamento estivo il ciclo

viene invertito ed il sistema cede al terreno il calore estratto dall'ambiente interno,

raffrescandolo. Grazie al fatto che il terreno è a temperatura costante durante tutto

l'anno, la pompa di calore mantiene sempre un'efficienza elevata di esercizio.

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Fig.18: Sonda geotermica verticale

Sistema di captazione orizzontale

Per prelevare questa quota di calore "gratuito, naturale e rinnovabile", si prevede

la posa di sonde geotermiche composti da tubi in polietilene ad alta densità, o tubi

di rame con guaina in polietilene anti corrosione, nei quali circola rispettivamente

acqua glicolata o fluido frigorifero ecologico (fig.19). Questi vengono interrati ad

una profondità dell'ordine di 2-2,5 metri: si tratta di una tipologia di impianto

indicata per le zone più temperate, e meglio esposte al sole per garantire "la

ricarica energetica del terreno".

Il fluido contenuto nella sonda geotermica a contatto con il terreno evapora,

sottraendo energia termica, da trasferire come sorgente fredda alla pompa di

calore e destinata a scaldare l'acqua di riscaldamento. La superficie esterna

necessaria è dell'ordine di 1,5-2 volte la superficie interna (molto dipende,

ovviamente, dal fabbisogno energetico dell'ambiente interno, e quindi dal grado di

isolamento). Ad installazione eseguita, il terreno sarà ripristinato: la posa di sonde

geotermiche non ha alcun impatto visivo, e non altera in alcun modo la natura del

terreno, nel quale è possibile piantare piccoli arbusti e coltivare fiori. L'unico

accorgimento da rispettare è che la zona di captazione non sia ricoperta da

materiali duri (piastrelle, cemento) che impedirebbero lo scorrimento delle acque.

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Capitolo 1:”La Casa Passiva”______________________________________________________

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Fig.19: Sonda geotermica orizzontale

Le sonde geotermiche orizzontali a prima vista possono apparire più economiche

rispetto a quelle verticali, ma molto dipende dal tipo di scavo e dall’eventuale

presenza di falda superficiale.

Il campo di sonde a sviluppo orizzontale può presentarsi in diverse configurazioni,

differenti fra loro secondo le diverse disposizioni delle tubazioni, del numero di

tubi impiegati e della connessione fra i rami come illustrato in fig. 20.

E’ evidente che ad un maggiore fabbisogno termico dell’edificio corrisponde una

maggiore estensione della superficie del terreno dedicato alla posa del campo di

sonde. I parametri principali che influenzano il flusso termico scambiato fra la

sonda e il sottosuolo sono sostanzialmente la lunghezza della tubazione, la

profondità di installazione ed il passo tra i tubi; pertanto occorre valutare con

attenzione la disponibilità di superficie di terreno da parte dell’utenza qualora si

scelga di adottare un impianto a sonde geotermiche a sviluppo orizzontale.

Le sonde orizzontali richiedono comunque superfici del terreno sensibilmente

maggiori rispetto a quelle verticali risentendo, inoltre, in certa misura,

dell’escursione annuale di temperatura dell’aria esterna. Quest’ultimo aspetto

peraltro può giocare a favore di questa tecnologia, soprattutto in ambito

residenziale, dove il rapporto tra carichi invernali ed estivi è compreso tra 2 e 3.

Risulta, pertanto, interessante l’utilizzo delle sonde orizzontali, visto che la

rigenerazione del terreno in estate può essere fatta a spese della temperatura e

dell’irradiazione esterna e, quindi, in modo gratuito [10].

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Fig.20: Configurazioni di posa per le sonde geotermiche a sviluppo orizzontale

Questi impianti utilizzano il calore che si trova accumulato negli strati più

superficiali della terra: calore che, fino ad una profondità di 5 metri, si trova

disponibile a temperature variabili da 8 a 13°C. Questo calore deriva soprattutto

dal sole e dalle piogge. Infatti, fino ad una profondità di 5 metri, l’energia

geotermica non dà alcun contributo significativo, in quanto apporta meno di 1

caloria ogni 10 metri quadrati di terreno. Pertanto bisogna installare di questi

collettori in zone dove può arrivare, senza alcun impedimento, il calore

proveniente dal sole e dalle piogge.

A tal fine, non si deve coprire il terreno sotto cui sono posti i collettori con

costruzioni (garages, prefabbricati, porticati) e neppure con pavimenti

impermeabilizzati o con terrazze.

Si deve anche evitare che piante, siepi o altri arbusti possano creare significative

zone d’ombra. Questi collettori possono essere realizzati con tubi in polietilene,

polipropilene o polibutilene, posti in opera ad una profondità variabile da 0,8 a 2,0

m. Nei tubi è fatto circolare un fluido composto da acqua e antigelo.

Lo sviluppo dei collettori può essere del tipo a serpentini o ad anelli e deve

rispettare le seguenti distanze minime:

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• -2,0 m dalle zone d’ombra indotte da edifici confinanti, muri di cinta,

alberi, siepi o altri impedimenti;

• -1,5 m dalle reti degli impianti interrati di tipo non idraulico: reti

elettriche, del telefono e del gas;

• -2,0 m dalle reti degli impianti interrati di tipo idraulico: reti dell’acqua

sanitaria, delle acque di scarico e piovane;

• -3,0 m da fondazioni, recinzioni, pozzi d’acqua, fosse settiche, pozzi di

smaltimento e simili.

Nel progettare i sistemi di captazione del calore bisogna evitare non solo

sottodimensionamenti, ma anche sovradimensionamenti: cioè, bisogna evitare

soluzioni che possono rubare troppo calore al sottosuolo. Un raffreddamento

eccessivo del terreno può infatti provocare gravi conseguenze, sia per il

funzionamento della pompa di calore sia per la vegetazione, specie nel caso di

congelamento delle radici. I terminali d’impianto che meglio si adattano alle

pompe di calore geotermiche sono i sistemi radianti ed i ventilconvettori; in alcuni

casi si può adottare lo scambio diretto con l’aria inviata agli ambienti. In

quest’ultimo caso, benché sia possibile realizzare un salto termico ridotto rispetto

al caso in cui si utilizzi l’acqua come fluido termovettore, non è conseguibile in

modo agevole l’effetto di riduzione del picco del fabbisogno, ricorrendo, di

conseguenza, ad un costoso sovradimensionamento sia della macchina che

dell’intero impianto. Per completezza si ricorda che sono possibili degli accumuli

termici anche utilizzando l’aria come fluido termovettore ma presentano

sicuramente maggiore ingombro rispetto a quelli a cambiamento di fase oppure ad

accumulo sensibile d’acqua.

I sistemi a ventilconvettori necessitano di un certo sovradimensionamento perché

la temperatura di mandata dell’acqua è compresa tra 35°C e 40°C, inoltre, non

consentono alcun effetto di peak-shaving (attenuazione e sfasamento del picco del

fabbisogno). I sistemi radianti hanno come punto di forza la bassa temperatura di

alimentazione grazie alle ampie superfici che li caratterizzano. L’effetto della

temperatura superficiale sul comfort interno consente di avere temperature

dell’aria inferiori (durante la stagione invernale) e maggiori (durante la stagione

estiva) di quelle richieste dai sistemi di tipo convettivo riducendo, di fatto, le

dispersioni dell’ambiente e, quindi, il fabbisogno termico. Questo tipo di terminali

è caratterizzato da una certa inerzia termica che, per molto tempo, si è cercato di

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Capitolo 1:”La Casa Passiva”______________________________________________________

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ridurre diminuendo il più possibile la massa coinvolta nello scambio di calore, al

fine di rendere quanto più rapida possibile la risposta alla richiesta dei carichi

interni. Una nuova tendenza, particolarmente promettente per l’accoppiamento

alle pompe di calore geotermiche è, invece, quella di incrementare il più possibile

la massa dell’impianto radiante. Questi sistemi sono conosciuti con i termini di

“active thermal slab” o “Betonkernoktivierung” o “attivazione termica della

massa” e sono caratterizzati dal fatto che l’intero solaio è coinvolto nello scambio

termico (non c’è la presenza di un isolante termico come si può vedere in fig. 21).

Fig.21: Sezione della struttura di un “active thermal slab”

L’adozione di questa tipologia d’impianto (che in realtà è difficile distinguere

dall’edificio) permette di adottare diverse strategie di funzionamento consentendo

bassi costi di esercizio a parità di comfort interno rispetto agli impianti

tradizionali: tra le varie strategie possibili è importante sottolineare quella che

consente l’accumulo termico notturno (sfruttando l’eventuale tariffa elettrica

bioraria), rendendo possibile l’utilizzo della potenza termica durante il giorno per

il solo trattamento dell’aria primaria, evitando in tal modo la sovrapposizione dei

fabbisogni. Si può facilmente intuire che una simile soluzione consente di ridurre

considerevolmente la potenza nominale installata abbassando sia i costi di

installazione sia quelli di esercizio, consentendo di conseguenza tempi di ritorno

del capitale investito relativamente brevi. L’effetto di “peak-shaving” si ottiene

senza sistemi di accumulo aggiuntivi, ma sfruttando esclusivamente la massa del

solaio termicamente attivo. Il costo del “thermal slab” è pari o inferiore a quello di

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Capitolo 1:”La Casa Passiva”______________________________________________________

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un usuale sistema a pannelli radianti dal momento che si utilizzano componenti

che già fanno parte dell’edificio: il costo maggiore dell’impianto deriva

sicuramente dalla pompa di calore reversibile e dalle sonde geotermiche.

In tabella 3 si riportano i rendimenti specifici per diversi tipi di terreno:

Tipologie di sottosuolo Rendimento W/m Terreno asciutto 20 Roccia o terreno umido 50 Roccia con alta conducibilità 70 Ghiaia, sabbia asciutta <20 Ghiaia, sabbia satura 55-65 Argilla, limo umido 30-40 Roccia calcare 45-60 Arenaria 55-65 Granito 55-70 Gneiss 60-70

Tab.3: Valori approssimativi di rendimenti specifici per diversi tipi di sottosuolo per sonde

geotermiche collocate a 1÷2 metri di profondità

1.6.3 Raffrescamento ventilativo mediante scambiatore geotermico ad aria

Nei sistemi di raffrescamento ventilativo geotermico, il controllo della

temperatura in ambiente, avviene per mezzo dell’aria di rinnovo, che circola in

condutture a contatto con il terreno profondo e, quindi, si raffredda prima di

entrare in ambiente. L’aria è fatta circolare attraverso le condutture interrate,

tramite un ventilatore [16].

Le parti che costituiscono tale sistema sono le seguenti (fig.22):

1. testa di captazione ad elemento di aspirazione verticale, provvista di filtro;

2. condotto interrato, orizzontale con pendenza costante;

3. sistema di scarico della condensa;

4. canali di distribuzione dell’aria all’interno dell’edificio.

L’aria viene prelevata all’esterno dalla testa di captazione, dotata di apposito

sistema filtrante; giunta in profondità, percorre il condotto orizzontale e, per

effetto dello scambio termico con le superfici della stessa tubazione a contatto con

il terreno, diminuisce la propria temperatura. A valle di tale condotto, l’aria

raffrescata attraversa un pozzetto di scarico della condensa, che può drenare

direttamente nel terreno (soluzione tipica nel caso di assenza di un piano interrato

dell’edificio) o essere collegato, attraverso un sifone a bottiglia, alle acque

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bianche della rete fognaria domestica. L’aria, quindi, attraverso i canali di

distribuzione raggiunge gli ambienti da climatizzare.

Fig.22: layout raffrescamento ventilativo geotermico

L’immissione dell’aria in ambiente può avvenire in modo diretto o attraverso il

collegamento all’impianto di ventilazione meccanica che, qualora dotato d’unità

di trattamento aria e relativo recuperatore di calore, può controllarne le

caratteristiche microclimatiche.

Il dimensionamento dei condotti deve essere seguito sulla base della portata d’aria

di rinnovo richiesta, per esigenze igieniche e/o di raffrescamento, secondo i

principi di dimensionamento degli impianti a tutt’aria. Tale portata può essere

determinata considerando le caratteristiche degli spazi che saranno serviti dallo

scambiatore geotermico o desunta direttamente dal dimensionamento dell’unità di

trattamento aria con la quale, se presente, il sistema di scambio geotermico si

dovrà interfacciare. Le variabili che devono essere definite, in fase di

dimensionamento dei condotti, sono:

1. sezione e area perpendicolare al flusso di ogni condotto;

2. velocità dell’aria;

3. numero dei condotti.

La sezione tipica consigliata per i condotti interrati è quella circolare, che riduce

le perdite di carico e sopporta meglio la pressione del terreno sovrastante. Il

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diametro che ottimizza la superficie di scambio e limita i costi di fornitura, è di

20-25 cm.

La velocità ottimale dell’aria all’interno dei condotti varia, in genere, tra 3 e 5

m/s; velocità maggiori sono sconsigliate, poiché riducono l’efficacia dello

scambio termico e determinano un incremento delle perdite di carico all’interno

dei condotti.

Sulla base delle precedenti considerazioni, il numero dei condotti che

compongono lo scambiatore geotermico può essere determinato attraverso la

seguente relazione:

( )pru vA

Gn

⋅=

dove:

G: portata d’aria [m3 /s];

Au: area di sezione del singolo condotto [m2];

vpr: velocità di progetto dell’aria all’interno del condotto [m /s].

Se si considera il periodo estivo, l’aria calda è introdotta nel sottosuolo, come

sopra descritto e, percorrendo il condotto nella sua lunghezza, cede calore per

convezione alle superfici lambite. Tale calore viene, quindi, trasferito per

conduzione attraverso lo spessore del condotto e, a sua volta, verso gli strati più

profondi del terreno. Quest’ultimo si comporta come una grande massa di

accumulo che, grazie alla sua elevata capacità termica, è in grado di assorbire e

disperdere il calore così scambiato.

La capacità termica del terreno, tuttavia, non è illimitata; seppur con lentezza, per

la grande inerzia, lo scambiatore geotermico tende a riscaldare la porzione di

terreno limitrofo. Tale fenomeno dipende da:

� la sollecitazione termica, ossia dal calore fornito dallo scambiatore

geotermico;

� le caratteristiche del terreno, ed in particolare la sua diffusività termica,

che indica la rapidità con cui il calore si diffonde in profondità.

Se il terreno è dotato di un’elevata diffusività termica, il calore che viene

scambiato attraverso le superfici del condotto viene rapidamente propagato in

profondità; tali superfici e la corona di terreno limitrofo, pertanto, tenderanno a

non surriscaldarsi come avviene, invece, nei terreni caratterizzati da una bassa

diffusività. In modo analogo lo stesso tipo di terreno, al cessare del passaggio

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dell’aria nei condotti, tende a raffreddarsi con maggiore rapidità, recuperando più

velocemente la temperatura del terreno indisturbato.

Dati di monitoraggio testimoniano che la lunghezza del condotto e la distanza tra

le canne per scambiatori a collettore, sono parametri di primaria importanza nel

definire le prestazioni nel tempo. Per quanto riguarda il primo parametro, si è

rilevato che lo scambio termico maggiore avviene nel tratto iniziale del condotto,

caratterizzato dalla più alta differenza di temperatura tra l’aria e il terreno. Tale

segmento tenderà, pertanto, a surriscaldarsi più rapidamente, determinando una

riduzione della superficie di scambio effettiva e, quindi, delle potenzialità di

raffrescamento del sistema. L’effetto è paragonabile a quello di riduzione della

lunghezza del condotto.

Per quanto riguarda il secondo parametro, occorre considerare che la diffusione

del calore nella corona di terreno circostante ciascuna canna interferisce con

quelle adiacenti, determinando una più rapida riduzione della superficie di

scambio effettiva.

1.7 Utilizzo del solare termico per la climatizzazione invernale

Il collettore solare piano nella sua configurazione più semplice è costituito:

1. da una piastra canalizzata solitamente metallica;

2. da uno strato di materiale isolante;

3. da una o più coperture trasparenti.

La piastra ha la funzione di raccogliere la radiazione solare e di cedere l’energia

ad un fluido termovettore [11], generalmente un’opportuna miscela di acqua e

antigelo o aria. Salvo il caso che il fluido vada ad interessare l’intera superficie

(lama fluida) della piastra come avviene spesso nei collettori ad aria, è importante

avere un’ottima conducibilità termica che consenta il passaggio dalla piastra ai

canali dell’energia raccolta anche con un salto di temperatura limitato. La piastra

è solitamente costituita da un metallo ad elevata conduttività termica (rame o

alluminio) anche se, talvolta, viene realizzata in acciaio usando adeguati spessori.

Lo strato di materiale isolante limita le dispersioni nelle parti posteriore e laterale

del collettore: la piastra si trova all’interno di un contenitore che ospita sia gli

schermi trasparenti che l’isolante e protegge il collettore solare dagli agenti

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atmosferici. Per garantire una lunga resistenza del contenitore, esso viene

realizzato spesso in acciaio inox o in alluminio.

La fig. 23 evidenzia un semplice schema di un collettore solare piano. Si nota lo

schermo trasparente nella parte superiore. Esso è per lo più realizzato in vetro, per

la caratteristica nota del vetro di risultare molto trasparente alla radiazione solare,

ma poco o nulla trasparente alla radiazione termica che si sviluppa dalla piastra

calda.

Fig.23: Schema elementare di un collettore solare piano

Il rendimento di un collettore solare, cioè la frazione della radiazione solare

incidente che viene fornita all’impianto come energia termica utile, risulta tanto

migliore quanto maggiore è la trasparenza alla radiazione solare degli schermi

trasparenti e la capacità di assorbimento della piastra. Si possono ottenere ottimi

risultati su questo versante, utilizzando vetro a basso contenuto di Fe e con un

rivestimento in nero fumo della piastra. Non bisogna dimenticare comunque che

anche un vetro ad alta trasparenza risente fortemente dell’angolo di incidenza

della radiazione, come illustrato dalla fig. 24 che mostra l’andamento tipico del

prodotto trasmissività-assorbimento in funzione dell’angolo di incidenza rispetto

al valore ad incidenza normale.

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_______________________________________________________________ 49

Fig.24: Andamento tipico del prodotto trasmissività-assorbimento in funzione dell’angolo di

incidenza della radiazione rispetto al valore ad incidenza normale

1.7.1 Funzionamento impianto solare

Fig.25 Impianto a circolazione forzata

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Un impianto a circolazione forzata (fig.25) è formato da un collettore solare a sé

stante, connesso attraverso un circuito con un serbatoio localizzato nell’edificio.

All’interno del circuito solare si trova acqua o un fluido termovettore antigelo. La

pompa di circolazione del circuito solare è attivata da un regolatore differenziale

di temperatura quando la temperatura all’interno del collettore è superiore alla

temperatura di riferimento impostata nel serbatoio di accumulo. Il calore viene,

quindi, trasportato al serbatoio di accumulo e ceduto all’acqua sanitaria mediante

uno scambiatore di calore.

Mentre in estate l’impianto solare copre tutto il fabbisogno di energia per il

riscaldamento dell’acqua sanitaria, in inverno e nei giorni con scarsa insolazione

serve per il preriscaldamento dell’acqua. La parte del serbatoio che contiene

l’acqua calda a pronta disposizione, cioè quella da tenere sempre in temperatura,

può essere riscaldata da uno scambiatore di calore collegato a una caldaia. Il

riscaldamento ausiliario viene comandato da un termostato quando nel serbatoio

la temperatura dell’acqua nella parte a pronta disposizione scende al di sotto della

temperatura nominale desiderata.

Negli impianti a circolazione naturale la circolazione tra collettore e serbatoio di

accumulo viene determinata dal principio di gravità, senza energia addizionale. Il

fluido termovettore si riscalda all’interno del collettore. Il fluido caldo all’interno

del collettore è più leggero del fluido freddo all’interno del serbatoio, tanto che a

causa di questa differenza di densità si instaura una circolazione naturale. Il fluido

riscaldato cede il suo calore all’acqua contenuta nel serbatoio e ricade nel punto

più basso del circuito del collettore. Negli impianti a circolazione naturale il

serbatoio si deve trovare quindi in un punto più alto del collettore.

Negli impianti a un solo circuito l’acqua sanitaria viene fatta circolare

direttamente all’interno del collettore.

Negli impianti a doppio circuito il fluido termovettore nel circuito del collettore e

l’acqua sanitaria sono divisi da uno scambiatore di calore. Gli impianti a

circolazione naturale vengono offerti come un’unità premontata fissata su una

struttura di supporto oppure vengono integrati nel tetto. Il riscaldamento ausiliario

può essere ottenuto con una resistenza elettrica inserita nel serbatoio oppure con

una caldaia istantanea a valle del serbatoio.

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_______________________________________________________________ 51

1.7.2 Integrazione del solare termico con caldaia a condensazione

La caldaia a condensazione oltre a sfruttare il calore generato dalla combustione

permette di recuperare quella quantità che è contenuta nei fumi di scarico.

Mediante il loro raffreddamento, il vapore acqueo contenuto nei fumi condensa

cedendo il calore trattenuto. Questo processo innalza notevolmente il rendimento

dell’apparecchio consentendo un risparmio fino al 15% dell’energia termica

rispetto a caldaie convenzionali a gas. Le caldaie a condensazione possono essere

installate in qualsiasi impianto di riscaldamento: particolarmente vantaggiosi sono

i sistemi a bassa temperatura (pannelli a pavimento).

Fig.26: Pannello solare collegato ad una caldaia a condensazione

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1.7.3Pompa di calore geotermica integrata col solare termico

Lo sfruttamento delle fonti di energia rinnovabile può essere contemporaneo e ciò

allo scopo di raggiungere risultati di efficienza più alti superando i limiti delle

singole tecnologie [13]. E’ possibile individuare più possibili interazioni tra le

quali, ad esempio, pompa di calore geotermica assistita da fonte solare. L’idea

consiste nello sfruttare l’acqua calda prodotta da un collettore solare termico per

innalzare la temperatura di evaporazione durante la stagione invernale. Questo

consente di ridurre la dimensione del pannello solare rispetto al caso in cui esso

venga usato direttamente per l’alimentazione dei terminali di riscaldamento e di

ottenere una continuità di esercizio anche in mancanza di sole. Lo schema

impiantistico è riportato in fig. 27:

Fig.27: Pompa di calore geotermica con integrazione solare

L’acqua riscaldata dal collettore solare viene inviata al circuito di scambio

termico fra il terreno e l’acqua dell’evaporatore, miscelandovisi in maniera

opportuna e innalzandone la temperatura a valori più alti di quelli possibili con il

solo effetto geotermico. In questo modo il funzionamento della pompa di calore

migliora sensibilmente, fino ad ottenere valori di COP anche superiori a 5, in

quanto la temperatura di evaporazione può essere innalzata fino al suo limite

costituito dal minimo rapporto di compressione sopportabile dal compressore.

Per questa soluzione bisogna prevedere di smaltire tutta l’energia captata dal

collettore solare durante l’estate (a meno del suo utilizzo diretto come acqua

sanitaria), stagione in cui l’acqua calda in circolo al condensatore della pompa di

calore risulterebbe controproducente ai fini dell’efficienza dell’impianto. E’

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necessario, allora, dotarsi di sistemi di smaltimento del calore o di inibizione della

capacità del pannello di captare l’energia solare.

Il reintegro energetico del geoscambiatore per mezzo dei pannelli solari è stato

concepito in rapporto alle basi logiche seguenti [12]:

1. il circuito dei pannelli solari viene impiegato quando la temperatura dell'acqua

prodotta è superiore a quella che si ha sulla mandata o sul ritorno del

geoscambiatore. In questo modo è possibile recuperare energia dal sole anche in

condizioni che normalmente non sono considerate utili (per esempio, potrebbe

essere sufficiente una temperatura di 10° C o addirittura meno).

2. l’acqua riscaldata dai pannelli solari può essere inviata sia direttamente alla

macchina a pompa di calore, sia al geoscambiatore, anche modulando la portata,

allo scopo di ottenere una temperatura dell’acqua che consenta la massima

efficienza della macchina. Il funzionamento nelle due condizioni estreme è

ideogrammato nelle figg. 28 e 29 seguenti.

Fig.28: Funzionamento invernale

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Fig.29: Funzionamento estivo

3. i pannelli solari prelevano acqua dalla mandata o dal ritorno del geoscambiatore

alla temperatura più bassa disponibile allo scopo di massimizzare il recupero

energetico. Questo è consentito dal sistema di regolazione appositamente studiato,

il quale, interpretando i dati delle temperature rilevate sul circuito del

geoscambiatore, agisce sui seguenti organi:

a. la pompa del circuito dei pannelli solari (più esattamente quella tra scambiatore

a piastre e geoscambiatore, che nello schema in fig. 30 riportato alla pagina

seguente è individuata come EP06);

b. le valvole a tre vie presenti nelle interconnessioni tra i due circuiti (pannelli

solari e geoscambiatore).

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Fig.30: Schema delle interconnessioni tra circuito dei pannelli solari e circuito del

geoscambiatore