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275 1 © 2010 ELSEVIER S.R.L. Tutti i diritti riservati. CAPITOLO 12 Scompenso cardiaco Gaetano A. Lanza Roberto Satolli Filippo Crea Lo scompenso cardiaco rappresenta una delle manife- stazioni cliniche più importanti e frequenti, iniziale o evolutiva, di molte patologie cardiache. Un’adeguata comprensione dello scompenso cardiaco non può pre- scindere da una conoscenza appropriata di come si esplica normalmente l’attività meccanica del cuore. Per questo motivo, prima di trattare gli aspetti fisiopatologici e clinici dello scompenso, si ritiene utile rivedere brevemente la fisiologia della funzione contrattile del muscolo cardia- co, insieme ai meccanismi di regolazione della gittata cardiaca. FISIOLOGIA DELLA CONTRAZIONE CARDIACA Il muscolo cardiaco (miocardio) è costituito da cellule (o fibre) muscolari striate, i miocardiociti, che vengono stimolate a contrarsi in maniera coordinata a ogni battito dalla corrente di depolarizzazione elettrica generata nor- malmente dal nodo seno-atriale (si veda il Capitolo 11). La finalità principale dell’attività contrattile cardiaca è di garantire un adeguato flusso di sangue a tutti gli organi. La quantità di sangue che viene espulsa dal cuore a ogni contrazione (sistole) è detta gittata sistolica. Essa rappre- senta solo una parte del volume telediastolico, vale a dire della quantità di sangue presente nella cavità ventricolare al termine della fase di rilasciamento del ciclo cardiaco (diastole). Il prodotto della gittata sistolica per il numero di battiti cardiaci al minuto (frequenza cardiaca) dà la portata cardiaca, che corrisponde, quindi, alla quantità di sangue che il cuore espelle in circolo in un minuto, ed è sostanzialmente identica per la parte destra e sinistra del cuore. La sistole cardiaca può essere divisa in due fasi. Nella fase iniziale, molto breve, l’eccitazione delle fibre miocar- diche ventricolari produce un aumento della pressione endocavitaria senza accorciamento delle fibre muscolari (contrazione isometrica), che causa la chiusura delle val- vole atrioventricolari. Successivamente, l’aumento della pressione intraventricolare determina l’apertura delle valvole semilunari aortica e polmonare, dando inizio all’espulsione del sangue; le fibre miocardiche si accor- ciano (contrazione isotonica), il volume dei ventricoli si riduce, e quindi un equivalente volume di sangue viene spinto nell’aorta e nell’arteria polmonare (fase espulsiva). Dopo aver raggiunto un massimo, la pressione endoven- tricolare comincia a ridursi, in quanto le fibre muscolari si rilasciano; quando essa, nel ventricolo sinistro, diviene inferiore alla pressione aortica (e, nel ventricolo destro, inferiore a quella polmonare), le valvole semilunari si richiudono. Inizia a questo punto la diastole ventricolare, che può essere divisa anch’essa in due fasi. In una prima fase, molto breve, il rilasciamento dei ventricoli avviene senza variazione di volume (rilasciamento isometrico). Quando la pressione endoventricolare, che continua progressivamente a diminuire per effetto del rilasciamen- to muscolare, diviene più bassa di quella presente negli atri, si aprono le valvole atrioventricolari e inizia la fase protodiastolica, di riempimento rapido dei ventricoli. L’aumento della pressione endocavitaria che consegue al riempimento ventricolare rallenta il flusso di sangue dagli atri ai ventricoli nella mesodiastole. In telediasto- le (o presistole), tuttavia, un nuovo impulso elettrico ha origine nel nodo del seno e si propaga agli atri, che, contraendosi, determinano un nuovo aumento di flusso verso i ventricoli. L’impulso giunge quindi ai ventricoli, dando origine a una nuova sistole. Le fasi del ciclo cardia- co, con le principali variazioni di pressione e di volume a livello cardiaco e vascolare, e la relazione con l’attività elettrica cardiaca sono schematicamente illustrate nella figura 12.1. Meccanica del muscolo cardiaco La meccanica della contrazione cardiaca è stata studiata a fondo dai fisiologi in studi sperimentali, che hanno con- sentito di individuarne i principi fondamentali e definirne i parametri quantitativi. Gli studi basilari sono stati eseguiti isolando un muscolo papillare cardiaco da un animale. In questi esperimenti, l’estremità inferiore del muscolo prelevato viene fissata a uno strumento che misura la tensione, mentre quella superiore è fissata al braccio lungo di una leva; all’altro braccio della leva può essere attaccato un peso, che non grava comunque sul muscolo a riposo, perché un fermo impedisce al braccio lungo di sollevarsi (Fig. 12.2 a). Quando il muscolo viene eccitato elettricamente, le mio- fibrille contenute nelle cellule miocardiche si accorciano, cioè il muscolo si contrae. Se nulla impedisce al muscolo di contrarsi liberamente (come quando nessun peso viene attaccato alla leva), la velocità con cui esso si accorcia è la massima possibile (velocità massima, o V max ). Il valore numerico della V max (in millimetri al secondo) è una mi- sura della contrattilità del muscolo, che è una proprietà intrinseca del muscolo stesso.

CAPITOLO 12 Scompenso Filippo Crea cardiaco 1 - Doktor33 · fi siologia della funzione contrattile del muscolo cardia-co, insieme ai meccanismi di regolazione della gittata cardiaca

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.

CAPITOLO 12

Scompenso cardiaco

Gaetano A. Lanza

Roberto Satolli

Filippo Crea

Lo scompenso cardiaco rappresenta una delle manife-stazioni cliniche più importanti e frequenti, iniziale o evolutiva, di molte patologie cardiache. Un’adeguata comprensione dello scompenso cardiaco non può pre-scindere da una conoscenza appropriata di come si esplica normalmente l’attività meccanica del cuore. Per questo motivo, prima di trattare gli aspetti fi siopatologici e clinici dello scompenso, si ritiene utile rivedere brevemente la fi siologia della funzione contrattile del muscolo cardia-co, insieme ai meccanismi di regolazione della gittata cardiaca.

FISIOLOGIA DELLA CONTRAZIONE CARDIACA

Il muscolo cardiaco (miocardio) è costituito da cellule (o fi bre) muscolari striate, i miocardiociti, che vengono stimolate a contrarsi in maniera coordinata a ogni battito dalla corrente di depolarizzazione elettrica generata nor-malmente dal nodo seno-atriale (si veda il Capitolo 11 ). La fi nalità principale dell’attività contrattile cardiaca è di garantire un adeguato fl usso di sangue a tutti gli organi. La quantità di sangue che viene espulsa dal cuore a ogni contrazione (sistole) è detta gittata sistolica . Essa rappre-senta solo una parte del volume telediastolico, vale a dire della quantità di sangue presente nella cavità ventricolare al termine della fase di rilasciamento del ciclo cardiaco (diastole). Il prodotto della gittata sistolica per il numero di battiti cardiaci al minuto (frequenza cardiaca ) dà la portata cardiaca , che corrisponde, quindi, alla quantità di sangue che il cuore espelle in circolo in un minuto, ed è sostanzialmente identica per la parte destra e sinistra del cuore. La sistole cardiaca può essere divisa in due fasi. Nella fase iniziale, molto breve, l’eccitazione delle fibre miocar-diche ventricolari produce un aumento della pressione endocavitaria senza accorciamento delle fi bre muscolari (contrazione isometrica ), che causa la chiusura delle val-vole atrioventricolari. Successivamente, l’aumento della pressione intraventricolare determina l’apertura delle valvole semilunari aortica e polmonare, dando inizio all’espulsione del sangue; le fi bre miocardiche si accor-ciano (contrazione isotonica ), il volume dei ventricoli si riduce, e quindi un equivalente volume di sangue viene spinto nell’aorta e nell’arteria polmonare (fase espulsiva). Dopo aver raggiunto un massimo, la pressione endoven-tricolare comincia a ridursi, in quanto le fi bre muscolari si rilasciano; quando essa, nel ventricolo sinistro, diviene

inferiore alla pressione aortica (e, nel ventricolo destro, inferiore a quella polmonare), le valvole semilunari si richiudono. Inizia a questo punto la diastole ventricolare, che può essere divisa anch’essa in due fasi. In una prima fase, molto breve, il rilasciamento dei ventricoli avviene senza variazione di volume (rilasciamento isometrico). Quando la pressione endoventricolare, che continua progressivamente a diminuire per effetto del rilasciamen-to muscolare, diviene più bassa di quella presente negli atri, si aprono le valvole atrioventricolari e inizia la fase protodiastolica, di riempimento rapido dei ventricoli. L’aumento della pressione endocavitaria che consegue al riempimento ventricolare rallenta il fl usso di sangue dagli atri ai ventricoli nella mesodiastole. In telediasto-le (o presistole), tuttavia, un nuovo impulso elettrico ha origine nel nodo del seno e si propaga agli atri, che, contraendosi, determinano un nuovo aumento di fl usso verso i ventricoli. L’impulso giunge quindi ai ventricoli, dando origine a una nuova sistole. Le fasi del ciclo cardia-co , con le principali variazioni di pressione e di volume a livello cardiaco e vascolare, e la relazione con l’attività elettrica cardiaca sono schematicamente illustrate nella fi gura 12.1 .

Meccanica del muscolo cardiaco

La meccanica della contrazione cardiaca è stata studiata a fondo dai fi siologi in studi sperimentali, che hanno con-sentito di individuarne i principi fondamentali e defi nirne i parametri quantitativi. Gli studi basilari sono stati eseguiti isolando un muscolo papillare cardiaco da un animale. In questi esperimenti, l’estremità inferiore del muscolo prelevato viene fi ssata a uno strumento che misura la tensione, mentre quella superiore è fi ssata al braccio lungo di una leva; all’altro braccio della leva può essere attaccato un peso, che non grava comunque sul muscolo a riposo, perché un fermo impedisce al braccio lungo di sollevarsi ( Fig. 12.2 a ). Quando il muscolo viene eccitato elettricamente, le mio-fi brille contenute nelle cellule miocardiche si accorciano, cioè il muscolo si contrae. Se nulla impedisce al muscolo di contrarsi liberamente (come quando nessun peso viene attaccato alla leva), la velocità con cui esso si accorcia è la massima possibile (velocità massima, o V max ). Il valore numerico della V max (in millimetri al secondo) è una mi-sura della contrattilità del muscolo, che è una proprietà intrinseca del muscolo stesso.

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Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO 276

Se si applica al braccio corto della leva un peso che agi-sce sul muscolo solo dopo che la contrazione ha avuto inizio (e per tale motivo prende il nome di postcarico , o afterload ), per potersi accorciare il muscolo deve sollevare il peso; ne deriva che esso impiega parte della forza svi-luppata con la contrazione per sollevare il carico e parte per accorciarsi. È facile constatare che quanto maggiore è il peso applicato, tanto minore è la velocità di accor-ciamento. Se il carico è troppo pesante per poter essere

sollevato, il muscolo si mette regolarmente in tensione, ma non si accorcia per niente (la velocità di accorcia-mento è cioè zero). I risultati di questi esperimenti si possono riassumere in un grafi co in cui si pone sull’asse orizzontale la forza che il muscolo sviluppa sollevando valori crescenti di peso e sull’asse verticale la velocità con cui avviene, di volta in volta, l’accorciamento. La curva che ne risulta è detta curva forza-velocità ( Fig. 12.3 ).

CM AA CA AM

CP AT

120

100

80 Aorta

60

40

20

0

Atrio sinistro Arteria polmonare

Vent

ricol

o sin

istro

Pressione(mmHg)

Atrio destro

Ventricolo destro

Attivitàmeccanica

Movimentivalvolari

Toni

Polso giugulare

Apicocardiogramma

ECG

Curva di volumedel ventricolo sinistro

Ventricolo sinistro

Atrio Ventricolo

Eiezione

Eiezione

CTAP

Destro

Sinistro

Destro

Sinistro

Ventricolo destro

Atrio sinistroAtrio destro

S4 CLICK S2 SAM S3

yx

a

A

CS1

zE

IC

v

IR

o RFW

SFW

P TQRS

0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 Sec

a c xz y

v

Figura 12.1 Fasi del ciclo

cardiaco.

Lo schema illustra i rapporti temporali tra i diversi eventi del ciclo cardiaco. In alto sono riportate le curve di pressione nelle quattro camere cardiache (atrio e ventricolo sinistro, atrio e ventricolo destro) e in aorta e arteria polmonare. Le lettere dell’alfabeto minuscole a, z, c, x, v, y indicano le diverse onde caratteristiche della curva di pressione atriale. Sotto le curve di pressione è indicata l’attività meccanica degli atri e dei ventricoli. Le parti evidenziate in giallo delle barre di attività meccanica dei ventricoli indicano le fasi di contrazione e di rilasciamento isometrici. Successivamente sono indicati i movimenti di apertura (A) e chiusura (C) delle valvole polmonare (P), aortica (A), tricuspide (T) e mitrale (M). S 1 , S 2 , S 3 e S 4 indicano il I, II, III e IV tono. Viene anche indicato lo schiocco di apertura della valvola mitrale (SAM), che si può tipicamente ascoltare in caso di stenosi di questa valvola. Seguono la curva di volume del ventricolo sinistro (che ne indica le fasi di riempimento e svuotamento), la curva del polso giugulare (con le stesse notazioni della curva di pressione atriale) e l’apicocardiogramma (che registra i movimenti dell’apice cardiaco e che presenta: 1) un’onda A in corrispondenza della contrazione atriale; 2) una salita isometrica [IC] con un apice E all’inizio dell’eiezione; 3) un’onda negativa durante il rilasciamento isometrico [IR] sino a un punto minimo [O] corrispondente all’apertura della valvola mitrale; 4) due tratti di riempimento rapido [RFW] e lento [SFW]). L’elettrocardiogramma alla base dello schema consente di valutare i rapporti tra attività meccanica e attività elettrica del cuore.

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Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO

1277

Nel cuore in attività i ventricoli si contraggono sempre con-tro una resistenza che si oppone all’espulsione del sangue, e quindi all’accorciamento delle fi bre muscolari. Questa re-sistenza è rappresentata per il ventricolo sinistro dalla pres-sione in aorta (che all’inizio della sistole è circa 80 mmHg) e per il ventricolo destro dalla pressione in arteria polmonare (che all’inizio della sistole è circa 5 mmHg). È evidente, quindi, che nel cuore in attività la velocità di accorciamento delle fi bre è sempre inferiore alla velocità massima, ossia quella misurabile nella condizione spe-rimentale del muscolo libero di accorciarsi senza alcun carico da sollevare. Un equivalente della velocità massima di accorciamento delle cellule miocardiche può tuttavia essere calcolato indirettamente e indica, come detto, la contrattilità (o stato inotropo) del muscolo cardiaco. La contrattilità può essere infl uenzata da vari fattori. Le catecolamine, per esempio, la fanno aumentare, mentre l’ipotiroidismo la fa diminuire. La contrattilità miocardica è inoltre ridotta in molte condizioni di scompenso car-diaco. Come è facile capire, l’aumento della contrattilità sposta in alto la curva forza-velocità del miocardio ( Fig. 12.4 ), mentre la sua diminuzione la sposta in basso. Oltre alla contrattilità, un’altra proprietà del muscolo cardiaco che contribuisce in modo fondamentale a re-golarne la funzione contrattile è quella responsabile del comportamento descritto dalla legge fondamentale del cuore di Starling , dal nome del fi siologo londinese Ernest Henry Starling, che per primo la descrisse all’inizio del Novecento. Per comprendere questa legge, si riconsideri il dispositi-vo sperimentale con il muscolo papillare. Se, rispetto al precedente esperimento, si solleva di qualche millimetro il fermo che blocca verso l’alto il braccio lungo della le-va, per effetto del peso applicato all’altro braccio le fi bre muscolari saranno in parte stirate già prima della contra-zione e acquisteranno una lunghezza a riposo leggermente superiore alla loro lunghezza naturale ( Fig. 12.2 b ). Un trasduttore applicato all’estremità inferiore del muscolo permette di misurare la tensione alla quale, con questo accorgimento, il muscolo viene sottoposto a riposo. A tale valore viene dato il nome di precarico (o preload ), per

sottolineare che esso agisce sul muscolo prima della con-trazione. Nella fi gura 12.2 b il precarico è indicato come una frazione del carico totale, il quale varia in funzione della posizione del fermo sulla leva, che determina uno stiramento più o meno elevato del muscolo. Ripetendo gli esperimenti con valori di precarico crescenti e mantenendo il postcarico costante, si può constatare che la velocità di accorciamento è tanto maggiore quanto più le fi bre vengono stirate a riposo dal precarico. Dunque, se la lunghezza delle fi bre miocardiche prima dell’inizio della contrazione viene aumentata, aumenta l’effi cienza

Figura 12.2 Preparato sperimentale per lo studio della contrazione miocardica.

Fermo spostato in altoLevaFermoLeva

Muscolopapillare

MuscoloPostcaricostirato

Postcarico

Precarico

Trasduttoredi tensione

ba

(a) Il fermo sulla leva è posto in modo che il muscolo papillare non sia stirato in condizioni di riposo. Variando il peso che il muscolo deve sollevare durante la contrazione (postcarico), si ottengono i dati necessari per costruire la curva forza-velocità illustrata nella fi gura 12.3 . (b) Se il fermo viene spostato in alto si ottiene un certo grado di stiramento del muscolo a riposo; in pratica una parte del carico agisce sul muscolo già prima della contrazione (precarico). Variando il precarico, a parità di postcarico, si ottengono i dati necessari per costruire la famiglia di curve illustrata nella fi gura 12.5 .

Figura 12.3 Curva forza-velocità.

Vmax

Vo

10

50

Carico (g)

Velo

cità

di a

ccor

ciam

ento

(mm

/sec

)

10

Il grafi co mostra come, aumentando il carico cui il muscolo cardiaco è sottoposto durante la contrazione, ossia il peso (espresso in grammi) che il muscolo deve sollevare durante la contrazione (postcarico nella fi gura 12.2 ), riportato sull’asse delle ascisse, la velocità di accorciamento del muscolo (espressa in mm/sec), riportata sull’asse delle ordinate, si riduce progressivamente. La velocità massima (V max ) si ha con un carico zero, mentre quando il carico raggiunge un valore tale per cui il muscolo non si accorcia per nulla, la velocità è pari a zero (V 0 ).

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Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO 278

della contrazione. Si ottiene cioè una curva forza-velocità spostata in alto, anche se in questo caso lo spostamento della curva non è parallelo, come avviene per variazioni della contrattilità, in quanto la V max non si modifica ( Fig. 12.5 ). Tuttavia, l’aumento della contrazione determinato da un aumento del precarico si verifi ca fi no a un certo livello di stiramento (detto massimale), oltre il quale non si verifi ca alcun ulteriore aumento della contrazione. In vivo , l’effetto fi siologico principale della relazione tra lunghezza iniziale della fi bra ed effi cienza della contrazione è quello di regolare con immediatezza eventuali variazioni del riempimento diastolico dei ventricoli. Maggiore, infatti, è il riempimento diastolico, maggiore sarà lo stiramento delle cellule mio-cardiche (in particolare subendocardiche) e maggiore sarà, entro certi limiti, la velocità di contrazione. Ciò consen-te, in ultima analisi, di armonizzare la funzione dei due ventricoli evitando oscillazioni eccessive del volume di sangue intravascolare contenuto nel circolo polmonare e nel circolo sistemico.

Meccanismi intracellulari della contrazione miocardica

Le proprietà delle fi bre cardiache descritte nel paragrafo precedente hanno ovviamente delle basi a livello cellulare e molecolare. Le cellule miocardiche contengono fasci di miofi brille, disposte lungo l’asse maggiore della cellula. Le miofi brille sono costituite da una serie di sarcomeri, minuscoli ci-

lindri che rappresentano la più piccola unità contrattile del miocardio. Il sarcomero, a sua volta, è costituito essenzialmente da due proteine fi lamentose, l’actina e la miosina , disposte parallelamente al suo asse maggiore. La relazione tra i fi lamenti di actina e di miosina nel sarcomero conferisce a questo il classico aspetto a bande visibile al microscopio elettronico ( Fig. 12.6 ). I fi lamenti di miosina occupano il centro del sarcomero. I fi lamenti di actina sono invece saldamente fi ssati alle due estremità del sarcomero stesso, le bande Z. In condizioni di riposo, actina e miosina si sovrappongono in parte, costituendo la banda scura A del sarcomero. Le bande chiare I sono invece costituite soltanto da fi lamenti di actina. Tra le due proteine si formano ponti, visibili al micro-scopio elettronico, costituiti da siti che contengono un enzima capace di scindere l’ATP. Durante la contrazione, grazie all’energia liberata dall’ATP, questi ponti si saldano e si sciolgono ciclicamente, facendo scorrere con forza i fi lamenti di actina su quelli di miosina. In tal modo le bande Z si avvicinano, il sarcomero si accorcia e così pure si accorciano in toto le fi bre miocardiche. La velocità e la forza dello scivolamento dipendono dal numero di ponti che si possono attivare contemporaneamente. Il numero di ponti dipende a sua volta dalla sovrapposizione reci-proca di actina e miosina all’inizio della contrazione e quindi dalla lunghezza iniziale del sarcomero. La lunghezza ottimale del sarcomero per la contrazione è compresa tra 2,0 e 2,2 � m. Al di sotto di tale lunghezza i fi lamenti di actina tendono a sovrapporsi tra loro al centro del sarcomero, riducendo così la possibilità di ponti con la miosina. Al di sopra di 2,2 � m i fi lamenti di actina si allon-tanano dal centro del sarcomero e anche in questo caso si riduce la sovrapposizione con la miosina ( Fig. 12.7 ). In condizioni di rilasciamento (diastole) la formazione dei ponti è inibita da due proteine associate ai fi lamenti di actina: tropomiosina e troponina . Quando la cellula miocardica viene eccitata, questa inibizione viene rimossa grazie all’azione degli ioni calcio, che si legano alla tropo-nina e ne modifi cano la struttura. Più in dettaglio, durante la fase di plateau del potenziale d’azione elettrico (fase 2), una piccola quantità di Ca 2+ attraversa la membrana cellulare e raggiunge il reticolo sarcoplasmatico (si veda Fig. 12.6 ). Eccitato dal modesto fl usso di Ca 2+ proveniente dall’esterno, il reticolo libera massicciamente gli ioni calcio che contiene, lasciandoli diffondere verso le miofi brille, dove appunto si legano alla troponina e consentono la formazione di ponti. L’accop-piamento tra eccitazione elettrica della cellula e contra-zione meccanica dipende dunque dal fl usso di Ca 2+ verso le miofi brille. Successivamente il reticolo sarcoplasmatico, grazie a una pompa ionica che utilizza energia generata dall’idrolisi dell’ATP, riprende ad accumulare attivamente Ca 2+ , ridu-cendone la concentrazione nelle miofi brille, sino a che prevale nuovamente sulle proteine contrattili l’inibizione da parte del complesso troponina-tropomiosina, che dà inizio al rilasciamento. Contemporaneamente, anche attraverso la membrana cellulare viene espulsa la piccola quota di Ca 2+ entrata in precedenza, sempre con processi attivi che consumano energia, cosicché la cellula diventa pronta per una nuova contrazione.

15

10

5

0

Carico (g)

Con noradrenalina

Basale

Velo

cità

di a

ccor

ciam

ento

(mm

/sec

)

321

Figura 12.4 Curva forza-

velocità ed effetti di variazioni

dell’inotropismo.

La curva inferiore (basale) è ottenuta come nell’esperimento relativo alla fi gura 12.3 . La curva superiore è ottenuta ripetendo lo stesso esperimento in presenza di noradrenalina. Come si vede, l’effetto inotropo del farmaco sposta la curva forza-velocità verso l’alto; per ogni determinato carico, cioè, si osserva una velocità di accorciamento maggiore rispetto alle condizioni basali.

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Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO

1279

10

5

0105

Carico (g)

Velo

cità

di a

ccor

ciam

ento

(mm

/sec

)

Precarico (g)

Lunghezza inizialedel muscolo

(mm)

1 basale 11,7

12,42

13,04

6 13,3

8 13,4

Figura 12.5 Curva forza-velocità ed effetti di variazioni del precarico.

Il grafi co riporta cinque curve di forza-velocità ottenute in condizioni basali ( Δ ) e dopo aver stirato il muscolo cardiaco a riposo (prima di stimolare la contrazione) con un piccolo peso, di entità progressivamente crescente (precarico), in modo che la lunghezza iniziale del muscolo aumenti progressivamente. Per ogni determinato carico cui il muscolo è sottoposto durante la contrazione, la velocità di accorciamento risulta tanto maggiore quanto maggiore è la sua lunghezza iniziale. È questa la base della legge di Starling . Come si può vedere dal grafi co, lo stiramento iniziale del muscolo non causa alcuna modifi ca della contrattilità intrinseca del muscolo. Infatti, non vi è alcun aumento della velocità massima in nessuna delle condizioni di aumento del precarico. Ciò è diverso da quello che si può osservare nella fi gura 12.4 , in cui la stimolazione inotropa provoca anche un aumento della velocità massima di contrazione.

Dischiintercalari

Nucleo

Cellulao fibra

Fibrille

Sarcolemma

Reticolo sarcoplasmatico

Sistema longitudinaleSistema a T

Disco intercalareCisterne terminali

Z

M

Z

Capillare

FIBRILLAdcba

SARCOMERO

Banda I

Band

a a

1,5

μm

Filamentidi actina

Filamentidi actinae miosina

Filamentidi miosina

SEZIONITRASVERSE

Figura 12.6 Disegno schematico del sarcomero. Il disegno illustra la struttura della cellula miocardica, delle miofi brille in essa contenute e dei sarcomeri, che rappresentano le unità elementari contrattili delle miofi brille.

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Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO 280

Si deve sottolineare che quanto maggiore è il fl usso di Ca 2+ verso le miofi brille, tanto maggiore è la velocità con cui si formano e si sciolgono ciclicamente i ponti tra actina e miosina e quindi tanto maggiori sono la velocità di contrazione e, pertanto, la contrattilità, a parità di altri fattori.

Contrazione ventricolare

Nel considerare i principi che regolano l’attività contrat-tile dei ventricoli del cuore in situ , si possono assumere il volume e la pressione delle cavità ventricolari come ana-loghi, rispettivamente, alla lunghezza e alla tensione delle fi bre del muscolo papillare isolato negli studi sperimenta-li. Anche se considerazioni analoghe possono essere fatte ovviamente per il ventricolo destro, nella trattazione che segue ci si riferirà principalmente al ventricolo sinistro, che, per semplicità, si assumerà abbia le caratteristiche geometriche di una sfera. In un ventricolo, la lunghezza delle fi bre a riposo dipende dal volume di riempimento ventricolare in telediastole, che assume perciò il signifi cato fi siologico di precarico. In base alla legge di Starling , quanto più aumenta il riempi-mento in diastole, tanto maggiori sono l’accorciamento successivo delle fi bre e, quindi, l’espulsione di sangue. Il volume di riempimento, a sua volta, è in relazione con la pressione ventricolare in telediastole (pressione di ri-empimento), che è più facile da misurare e perciò è di solito utilizzata come stima del precarico. La relazione tra

pressione e volume di riempimento dipende anche dalle caratteristiche di distensibilità del ventricolo in diastole. Il postcarico , d’altro canto, è costituito dall’insieme delle resistenze che il ventricolo deve superare per espellere il sangue. In termini più rigorosi, esso rappresenta lo sforzo ( stress ) di parete (forza per unità di superfi cie della parete) cui il ventricolo è soggetto durante la sistole. Secondo una legge fi sica, che porta il nome del fi sico francese Pierre Si-mon de Laplace , lo sforzo di parete (S) è uguale al prodotto della pressione endocavitaria (P) per il raggio della cavità (r) diviso 2 volte lo spessore (h) della parete (S = Pr/2h). In base a questa legge, quindi, il ventricolo si trova a sopportare un aumento del postcarico sia in caso di un aumento della pressione, sia in caso di un aumento del raggio, e quindi del volume ventricolare. L’aumento di spessore della parete, viceversa, comporta una riduzione del postcarico. Lo stato inotropo, o contrattilità, del ventricolo, infi ne, corrisponde al valore medio dello stato inotropo delle singole fi bre e dipende essenzialmente dalle condizioni metaboliche delle cellule, in particolare, come visto, dalla concentrazione intracellulare di calcio.

Relazioni fra pressione, volume e funzione ventricolare

Tenendo conto di quanto detto nei paragrafi precedenti, anche per il ventricolo è possibile costruire sperimental-mente dei grafi ci che mettono in relazione le condizioni

c

Actinaz a

b Miosina

100

80

60

40

200

4,03,53,02,52,01,51

BC

6 5 4 3 12

Forz

a (%

del

mas

simo)

Lunghezza del sarcomero (μm)

Actina

(a+b)Miosina

1(b+c)

2(b)

(b-c)3

4

5

(a)

(1/2 b)

6

ba

c

Figura 12.7 Lunghezza

ottimale del sarcomero.

La velocità e la forza di accorciamento del sarcomero (a) dipendono dal numero di ponti tra actina e miosina che si possono attivare contemporaneamente. Questo numero dipende, a sua volta, dalla sovrapposizione reciproca tra actina e miosina prima della contrazione, e quindi dalla lunghezza iniziale del sarcomero. Come si vede in (b), la lunghezza ottimale del sarcomero è compresa tra 2 e 2,2 � m, cui corrisponde una sovrapposizione ottimale tra actina e miosina (esempio 3 in c) e, quindi, la massima forza sviluppata dal sarcomero. Al di sopra di 2,2 � m (esempi 1-2 in c) i fi lamenti di actina si allontanano dal centro del sarcomero, per cui si riduce la sovrapposizione con la miosina e, quindi, viene meno il legame ottimale tra le due proteine contrattili del sarcomero. Al di sotto di tale lunghezza (esempi 4-5-6 in c), d’altro canto, i fi lamenti di actina tendono a sovrapporsi tra loro al centro del sarcomero, riducendo così, anche in questo caso, la possibilità di stringere ponti con la miosina.

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Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO

1281

del muscolo prima della contrazione (telediastole) con le prestazioni in sistole ( Fig. 12.8 ). Si immagini un dispositivo sperimentale che consenta di modifi care il riempimento (precarico ) di un ventricolo man-tenendo costanti gli altri fattori (inotropismo e postcarico ). Per ogni aumento del precarico si osserverà un aumento della gittata sistolica , sino a quando non si arriva a disten-dere le fi bre alla loro lunghezza ottimale. Oltre questo pun-to ogni ulteriore distensione produce una riduzione della gittata sistolica. In condizioni fi siologiche, tuttavia, questa condizione non viene mai raggiunta perché la lunghezza ottimale delle fi bre è quasi coincidente con la massima di-stensibilità elastica della parete ventricolare. In condizioni patologiche, invece, la distensibilità delle cellule può andare oltre quella massima ottimale, per cui un’ulteriore distensio-ne delle cellule fi nisce con il determinare una diminuzione della forza di contrazione e, quindi, della gittata. La relazione precarico-gittata può essere espressa in un grafi co in cui si ponga sull’asse orizzontale il precarico e su quello verticale la gittata sistolica. La curva che ne risulta è detta curva di funzione ventricolare o di Starling (in quanto rispecchia i principi della legge di Starling). Normalmente la curva presenta una parte ascendente (dove la gittata aumenta con il precarico) e un plateau (la gittata rimane costante pur aumentando ulteriormente il precari-co). In condizioni patologiche, come notato in precedenza, la curva presenta, dopo il plateau, una parte discendente, la quale indica che, aumentando il precarico oltre un certo livello, la gittata diminuisce (si veda Fig. 12.8 ). Si immagini ora di ripetere le misurazioni dopo aver fatto variare lo stato inotropo del ventricolo, per esempio con una stimolazione adrenergica. Per ogni valore di precarico si osserva allora una gittata sistolica maggiore rispetto a quanto osservato in assenza di stimolo inotropo. Nel gra-fi co la porzione ascendente di questa curva è più ripida e il plateau di gittata massima più elevato. La stimolazione

inotropa, quindi, sposta la curva di funzione ventricolare in alto. Ovviamente si osserverà l’inverso in caso di de-pressione dell’inotropismo cardiaco. Esiste, dunque, per ogni ventricolo un’intera famiglia di curve di funzione ventricolare, ciascuna in relazione a un particolare stato inotropo. Restano da considerare gli effetti del postcarico sulle curve di funzione ventricolare. Come precisato in precedenza, il postcarico, in base alla legge di Laplace, può aumentare per due ragioni: per un incremento della pressione nel ventrico-lo in sistole o per un aumento del raggio del ventricolo. Se si aumenta la pressione aortica e si ripetono le misura-zioni per disegnare una curva di funzione ventricolare, si osserverà, per ogni valore di precarico, una gittata sistolica minore rispetto alle misurazioni basali. Un aumento del carico di pressione, quindi, sposta la curva di funzione ventricolare in basso. Lo stesso avviene per un aumento del carico di volume, ma in grado assai minore. La ragione di ciò risiede ancora una volta nella legge di Laplace, nella cui formula entra il raggio e non il volume ventricolare. Se il volume del ventricolo, per esempio, raddoppia, il raggio (e quindi il postcarico), per evidenti ragioni geo-metriche, varia solo in proporzione alla radice cubica di 2 (1,26 circa), cioè in pratica aumenta del 26%. Inoltre, lo spostamento in basso dello curva di funzione ventricolare è parzialmente attenuato dall’aumento del precarico che opera attraverso il meccanismo di Starling. È da osservare che, oltre alle curve di funzione del ven-tricolo in sistole, è possibile costruire anche curve che descrivono le proprietà elastiche del ventricolo in diastole. Infatti, se si aumenta progressivamente il volume di riem-pimento diastolico e si misurano i corrispondenti valori di pressione che si vengono a ottenere in ventricolo, si può osservare che, sino a quando il volume di riempimento ventricolare è limitato, il suo aumento determina solo un modesto aumento della pressione intraventricolare (in

Figura 12.8 (a) Curve di funzione ventricolare in condizioni normali, di ridotta contrattilità (insuffi cienza ventricolare) o di aumentata contrattilità (stimolazione inotropa). (b) Curve di pressione-volume in diastole in condizioni normali, di ridotta distensibilità ventricolare (ipertrofi a) e di aumentata distensibilità ventricolare (dilatazione senza ipertrofi a).

Gittatao lavorosistolico

Volume telediastolicoa

Curve di funzione ventricolare

Aum

entat

a contr

attilit

à

Normale

Ridotta contrattilità

Pressionetelediastolica

Volume telediastolicob

Curve di pressione-volume

Ridott

a disten

sibilit

à

Normale

Aumentata distensibilità

Le curve di funzione ventricolare si costruiscono mettendo in relazione in un grafi co il precarico (volume telediastolico del ventricolo) con la prestazione contrattile (gittata o lavoro sistolico). Queste curve sono spiegate dalla legge di Starling, in base alla quale un aumento del precarico determina un aumento della gittata sistolica. Da notare che in presenza di insuffi cienza miocardica, oltre un certo limite di volume telediastolico, la gittata si riduce. Le curve di pressione-volume si costruiscono mettendo in relazione in un grafi co il volume telediastolico con la pressione telediastolica del ventricolo.

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Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO 282

quanto il ventricolo è distensibile). Quando il ventricolo è vicino ai valori massimi di riempimento, invece, anche un piccolo aumento del volume di riempimento determina un aumento rilevante della pressione intraventricolare. La relazione tra volume e pressione in diastole può essere espressa da un grafi co in cui si pone sull’asse orizzontale il volume telediastolico e su quello verticale la pressione telediastolica. Ne risulta una curva, detta di pressione-volume, che presenta un andamento quasi orizzontale all’inizio e si impenna poi progressivamente per valori più elevati di volume (si veda Fig. 12.8 ). La curva rifl ette la distensibilità (o compliance ) ventricolare . Quando il ventricolo diviene più rigido la curva si sposta verso l’alto e a sinistra, cioè, per uno stesso volume di riempimento il ventricolo presenta una pressione diastolica più elevata. È da osservare che la distensibilità ventricolare è determi-nata in parte dal rapporto fra fi bre elastiche e collagene nell’interstizio e dallo spessore della parete ventricolare. Pertanto un aumento del collagene interstiziale rende il ventricolo più rigido. Tuttavia, la distensibilità non è una proprietà del ventricolo puramente passiva. Durante le prime fasi della diastole, infatti, essa dipende anche dal processo di rilasciamento che avviene in questa fase. Questo processo che, come visto, comporta la rimozione degli ioni calcio dal legame con la troponina e il loro ac-cumulo nel reticolo sarcoplasmatico, è un processo attivo, che richiede consumo di energia (la pompa del calcio consuma ATP). Per questa ragione, in alcune circostanze patologiche (per esempio, ipertrofi a o ischemia miocardi-ca), esso può risultare incompleto o rallentato, causando così un’alterazione della distensibilità, e quindi del riem-pimento ventricolare. Inoltre, anche alcune condizioni patologiche del pericardio (per esempio, la pericardite costrittiva e il tamponamento cardiaco) infl uiscono sulla distensibilità ventricolare.

Infi ne, il ventricolo si riempie anche per effetto di un’azione attiva di risucchio del sangue. L’energia richiesta per questo effetto di “pompa aspirante” si ritiene derivi dalla forza elastica accumulata dal cuore durante la sistole. Tale mecca-nismo può essere compromesso in condizioni patologiche caratterizzate da una riduzione della contrattilità e della git-tata sistolica, in quanto, quando la sistole è meno energica, anche l’aspirazione diastolica risulta meno effi cace.

REGOLAZIONE DELLA PORTATA CARDIACA

Il cuore adatta costantemente la propria gittata ai bisogni metabolici dell’organismo grazie al gioco combinato dei tre fattori che determinano la gittata sistolica (precarico, inotropismo, postcarico) più un quarto fattore, la frequen-za cardiaca ( Fig. 12.9 ). Normalmente, a riposo, la portata cardiaca è di circa 5 L/min, mentre la gittata sistolica oscilla tra 65 e 85 mL. Quando occorre, tipicamente in corso di esercizio fi sico, il cuore aumenta la propria gittata, e lo fa soprattutto attraverso un aumento della frequenza cardiaca e della contratti-lità. Gli ambiti entro cui possono avvenire questi utili aumenti della frequenza e della contrattilità prendono il nome di riserva di frequenza e riserva di contrattilità. Da notare che l’aumento della frequenza cardiaca, riducendo la durata della diastole, potrebbe determinare una riduzio-ne del riempimento ventricolare (precarico), e quindi del-la gittata; tuttavia, il riempimento ventricolare in diastole viene abitualmente mantenuto a valori normali grazie a un aumento del ritorno venoso o anche, in alcune con-dizioni patologiche, a meccanismi di ridistribuzione della massa di sangue circolante, che contribuiscono a impedire che esso scenda al di sotto di valori che garantiscono una normale effi cienza della contrazione.

Forza/velocitàdi contrazione

Ritornovenoso

Pressionearteriosa

Gittatacardiaca

Resistenzeperiferiche

Contrattilità

Postcarico

Precarico

Frequenzacardiaca

Gittatasistolica

+ +

+

+ +

++

+

+

Figura 12.9 Lo schema riassume i

rapporti tra i vari fattori che

entrano in gioco nella regolazione

della gittata cardiaca. Il segno più (+) indica un aumento, quello

meno (−) una riduzione.

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Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO

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Inoltre, il cuore può fare fronte a una riduzione patologica della contrattilità o a un aumento del postcarico attraver-so un aumento del precarico che consenta di mantenere comunque a livelli adeguati l’effi cacia della contrazione. Ovviamente, esiste un limite oltre il quale l’aumento di riempimento dei ventricoli è impossibile, o per lo meno controproducente, in quanto lo stiramento eccessivo delle fi bre miocardiche porta a una contrazione meno effi ciente; inoltre, l’aumento eccessivo del diametro ventricolare, co-me visto, fa aumentare lo sforzo di parete, ossia il postcari-co. L’ambito entro cui il riempimento ventricolare può util-mente aumentare prende il nome di riserva di precarico. Si vedranno ora in dettaglio i singoli fattori che regolano la gittata sistolica e la portata cardiaca.

Frequenza cardiaca

La portata cardiaca è il prodotto della gittata sistolica per la frequenza cardiaca. Perciò, in condizioni fi siologiche, la frequenza cardiaca contribuisce in misura considerevole ad adeguare la portata cardiaca. Durante un esercizio fi sico moderato, per esempio, la fre-quenza cardiaca aumenta parallelamente all’entità dello sforzo, mentre la gittata sistolica resta quasi costante o aumenta di poco. L’aumento della frequenza cardiaca in questa condizione dipende dalla stimolazione che il siste-ma nervoso simpatico, la cui attività aumenta durante lo sforzo, esercita sulla velocità di scarica del nodo del seno, oltre che dall’eliminazione dell’effetto inibitorio del vago sullo stesso nodo seno-atriale (l’attività vagale è infatti inibita durante sforzo). Quando la frequenza cardiaca supera i 170-180 bpm (o anche valori più bassi con l’aumentare dell’età), la durata della diastole diviene troppo breve per consentire un buon riempimento del cuore. Di conseguenza la gittata sistolica diminuisce e ciò impedisce ulteriori aumenti della portata cardiaca. È questo il limite della riserva di frequenza.

Precarico

Se si fa aumentare artifi cialmente la frequenza cardiaca in un soggetto a riposo (per esempio, stimolando l’atrio destro con un catetere elettrodo introdotto da una vena periferica), la portata cardiaca resta pressoché invariata. Poiché la portata cardiaca è data dal prodotto della fre-quenza cardiaca per la gittata sistolica, ne deriva che la gittata sistolica si riduce, e ciò dipende dal fatto che anche il ritorno venoso per ogni singolo battito si riduce, mentre quello complessivo (per minuto) rimane costante. Durante l’esercizio fi sico l’aumento della frequenza car-diaca produce un cospicuo aumento della gittata. Ciò può avvenire perché contemporaneamente aumenta il ritorno venoso al cuore, grazie all’effetto di spremitura sul circolo venoso dei muscoli periferici e all’aumento del tono veno-so, per cui la gittata sistolica resta invariata o aumenta. L’adeguamento della portata cardiaca alle esigenze dei tes-suti richiede in ogni caso il mantenimento di un precarico ottimale. Questo dipende da diversi fattori.

Volume totale di sangue Riduzioni brusche della massa liquida circolante, superiori al 15% del totale (emorragie acute), determinano una

riduzione rilevante del precarico. Variazioni minori o croniche del volume totale di sangue, d’altro canto, non hanno effetti signifi cativi sul riempimento ventricolare.

Distribuzione del volume di sangue Il sangue circola continuamente, ma, se si fotografa la situa-zione in un determinato istante, si osserva che una quota di sangue è all’interno del torace, mentre il resto si trova distribuito alla periferia dell’organismo. Il precarico dipen-de dal volume di sangue intratoracico (volume centrale), il quale, a sua volta, è determinato da diversi fattori: • posizione del corpo: in piedi una quota maggiore di

sangue occupa le posizioni declivi, per cui il volume centrale diminuisce;

• tono venoso: la parete delle vene è capace di contrarsi, riducendo la quota di sangue periferico e aumentando quella centrale; ciò avviene durante l’esercizio fi sico o quando la pressione arteriosa cala bruscamente;

• spremitura muscolare: la contrazione dei muscoli scheletrici (con il gioco delle valvole venose) tende a spingere una quota maggiore di sangue verso il torace, aumentando, quindi, il volume centrale;

• pressione intratoracica: in inspirazione la pressione intratoracica è negativa, per cui in questa fase del respiro il volume di sangue centrale aumenta; la pressione intratoracica diviene positiva nello pneumotorace iperteso o, temporaneamente, durante accessi di tosse o altre situazioni di espirazione a glottide chiusa; in questi casi il volume centrale diminuisce, con effetti anche cospicui sul riempimento cardiaco.

Distensibilità cardiaca È la capacità del cuore di aumentare di volume senza au-mento eccessivo della pressione intracavitaria e dipende sia dalla distensibilità del miocardio sia da quella del peri-cardio. La prima si riduce in caso di ischemia, ipertrofi a o fi brosi del tessuto miocardico, la seconda in caso di versa-mento pericardico o di pericardite cronica costrittiva.

Effetto aspirante Il rinculo del cuore e la forza elastica accumulata durante la sistole producono un effetto di risucchio sul sangue proveniente dalle vene nella fase iniziale della diastole, che risulta compromesso in caso di ridotta contrattilità o di un’alterazione della matrice extracellulare miocardica con aumento del contenuto di collagene.

Contrazione atriale La sistole atriale contribuisce effi cacemente a completare il riempimento dei ventricoli nella parte fi nale della diastole. La perdita della contrazione atriale in caso di fi brillazione atriale può comportare una sensibile riduzione del riempi-mento ventricolare e, quindi, della gittata sistolica.

Frequenza cardiaca La riduzione del tempo a disposizione per il riempimen-to (durata della diastole) comporta, a frequenze elevate (oltre i 150-180 bpm, a seconda dell’età), una riduzione del precarico.

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Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO 284

Contrattilità miocardica

Durante l’esercizio fi sico, oltre alla frequenza cardiaca e al ritorno venoso, aumenta anche la forza contrattile del miocardio. In questa situazione, infatti, aumenta l’atti-vità del sistema nervoso simpatico e, quindi, la quanti-tà di noradrenalina liberata dalle terminazioni nervose simpatiche del cuore, con conseguente aumento della stimolazione dei recettori � -adrenergici del miocardio. Il grado di stimolazione nervosa dei recettori � -adrenergici cardiaci rappresenta il meccanismo fi siologico più im-portante alla base della riserva di contrattilità del cuore. Altri fattori possono però infl uenzare, positivamente o negativamente, l’inotropismo cardiaco.

Catecolamine circolanti La noradrenalina e l’adrenalina liberate dal surrene, o altre catecolamine somministrate a scopo terapeutico, come la dopamina e l’isoproterenolo, stimolano la contrattilità miocardica.

Farmaci inotropi positivi I glicosidi cardioattivi (digitale e simili), gli inibitori della fosfodiesterasi (amrinone e derivati), la caffeina, la teofi l-lina e il calcio sono tutte sostanze in grado di aumentare la forza contrattile del miocardio.

Ipossia, ipercapnia, acidosi Le gravi alterazioni del trasporto e della diffusione dei gas nel circolo e dell’equilibrio acido-base del sangue depri-mono in misura rilevante la forza contrattile del cuore. Si può quindi determinare un pericoloso circolo vizioso quando la funzione respiratoria è compromessa per motivi cardiaci (come nell’edema polmonare acuto), in quanto ciò contribuisce a deprimere a sua volta la contrattilità miocardica.

Sostanze inotrope negative Diversi gruppi di farmaci riducono la contrattilità mio-cardica. Tra di essi vi sono anzitutto i � -bloccanti, ma anche i calcio-antagonisti non diidropiridinici, diversi antiaritmici, anestetici locali e generali e i barbiturici. Anche un eccesso di alcol può ridurre la contrattilità cardiaca.

Postcarico

Il postcarico ha un effetto negativo sulle prestazioni ven-tricolari ed è proporzionale alla pressione ventricolare sistolica e al raggio del ventricolo. In sistole, la pressione ventricolare sinistra è uguale a quella aortica, che a sua volta, secondo una nota legge fi sica, equivale al prodotto della portata cardiaca per le resistenze vascolari (in for-mula: P = Q × R, dove Q è la portata e R la somma delle resistenze periferiche che si oppongono al fl usso del san-gue). Tali resistenze sono localizzate soprattutto a livello delle prearteriole e delle arteriole (vasi di resistenza), ma in parte dipendono anche dall’elasticità dei grandi vasi, soprattutto della stessa aorta. Durante l’esercizio fi sico la portata cardiaca aumenta e ciò causa, sulla base della precedente formula, un aumen-to della pressione aortica e quindi del postcarico, con

riduzione dell’effi cienza contrattile. Per limitare questo effetto negativo, si verifi ca per via rifl essa una dilatazione dei vasi di resistenza (soprattutto nei distretti muscolari) che limita l’aumento della pressione. In altri casi la pressione, e quindi il postcarico, può aumentare acutamente per un incremento acuto delle resistenze vascolari (per esempio, una vasocostrizione cutanea causata dal freddo). In questi casi il ventricolo, sottoposto a un postcarico maggiore, espelle una gitta-ta sistolica minore. Resta così in ventricolo una quota maggiore di sangue al termine di ogni sistole. Questa quota si aggiunge al normale riempimento diastolico, aumentando il precarico. Entro pochi battiti la mag-giore dilatazione del ventricolo in diastole riporta la gittata sistolica ai valori di partenza. In altre parole, per adattarsi a un aumento del postcarico il cuore sfrutta la riserva di precarico, in modo da mantenere costante la gittata. Questo adeguamento ha però un prezzo che risulta evidente, se si considera il lavoro del cuore. Il lavoro di una pompa che espelle un volume V di li-quido a una pressione P è proporzionale al prodotto di P × V. Nel caso del cuore, il lavoro per ogni sistole è dato dal prodotto della pressione sistolica media per il volume della gittata sistolica. Quindi, quando il cuore si adatta a un aumento di pressione aumentando il suo volume, così da mantenere costante la gittata sistolica, esso fi nisce comunque per compiere un lavoro maggio-re. Ciò comporta, per ogni contrazione, un maggiore consumo di energia e, quindi, di ossigeno. Oltre a ciò, un aumento di pressione comporta anche un minore rendimento cardiaco, che è definito come il rappor-to tra lavoro svolto ed energia spesa, e che già di base nel cuore è piuttosto basso (20-25% circa dell’energia consumata). Infatti, il lavoro effettivo (ossia la gittata sistolica) rimane costante, a dispetto dell’aumento del consumo energetico conseguente all’aumento della pressione arteriosa. Quando la contrattilità del cuore è ridotta, l’adattamento a un aumento brusco del postcarico è più diffi cile. Infat-ti, il cuore insuffi ciente sfrutta già in condizioni di base parte della riserva di precarico per mantenere una gittata normale; inoltre spesso la sua distensibilità è ridotta. Esso non può quindi aumentare di molto il riempimento per fare fronte a un aumento acuto delle resistenze perife-riche. Ne consegue che, quando il cuore presenta una signifi cativa insuffi cienza contrattile, un aumento acuto delle resistenze periferiche (e quindi della pressione e del postcarico) può determinare una riduzione della portata cardiaca, tanto maggiore quanto più depressa è la con-trattilità miocardica. Questi concetti possono essere espressi con un grafi co in cui sull’asse orizzontale si pongono le resistenze vasco-lari periferiche e su quello verticale la portata cardiaca ( Fig. 12.10 ). Il comportamento del cuore normale è rappresentato da una retta orizzontale (nessuna varia-zione della gittata con l’aumentare delle resistenze), che defl ette solo a valori estremi delle resistenze. Il compor-tamento di un cuore con contrattilità ridotta è rappre-sentato, invece, da una linea discendente (riduzione della gittata con l’aumento delle resistenze) tanto più inclinata verso il basso quanto più è compromessa la contrattilità miocardica.

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Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO

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Lo scompenso cardiaco (o insuffi cienza cardiaca) è una condizione patologica caratterizzata dall’incapacità del cuore di pompare una quantità di sangue (portata cardia-ca) adeguata alle necessità metaboliche dell’organismo o, comunque, di essere in grado di farlo solo a spese di un aumento delle pressioni di riempimento in una o più camere cardiache e nel circolo venoso a monte. Numerose malattie cardiache possono determinare o evol-vere verso una condizione preclinica o clinica di scompen-so cardiaco, e l’attuazione di alcune misure terapeutiche può in molti casi prevenirne o ritardarne lo sviluppo. Inoltre è possibile ridurre l’incidenza dello scompenso cardiaco nella popolazione anche prevenendo lo svilup-po delle malattie cardiache che ne sono potenziali cause (per esempio, cardiopatia ischemica, ipertensione ecc.), mediante controllo dei fattori di rischio che le determi-nano. Sulla base di queste considerazioni e dell’idea di un ap-proccio globale al problema dello scompenso cardiaco, fi nalizzato non solo al trattamento ma anche alla preven-zione, è stata proposta dall’American College of Cardio-logy/American Heart Association (ACC/AHA) una classi-fi cazione dello scompenso in quattro stadi ( Fig. 12.11 ). Nei primi due (A e B) sono inclusi pazienti che, in effetti, non hanno alcuna evidenza (clinica o subclinica) di scom-penso, ma nei quali appropriati interventi possono ridurre la probabilità che possano sviluppare uno scompenso in futuro. Gli ultimi due stadi (C e D) includono, viceversa, pazienti con evidenza di scompenso di gravità crescente, che necessitano specifi ci tipi di trattamento.

Epidemiologia

Lo scompenso cardiaco è una condizione patologica di frequente riscontro per il medico. In Europa la prevalenza oscilla dal 2 al 3%; pertanto circa 15 milioni di persone ne sono affetti. Un numero simile di pazienti ha disfunzione ventricolare in assenza di sintomi di scompenso cardiaco. L’incidenza dello scompenso nella popolazione aumenta con l’età e raddoppia (o più) per ogni decennio dai 40 agli 80 anni. Essa è quindi destinata ad aumentare in futuro, a causa sia dell’allungamento della vita media della popo-lazione sia, ancor più, dell’aumento dell’attesa di vita dei pazienti affetti da diverse forme di cardiopatie che possono sfociare nello scompenso. Nell’età adulta lo scompenso è più frequente negli uomini che nelle donne, a causa della maggiore prevalenza di cardiopatia ischemica; la differenza tende comunque ad annullarsi con il passare degli anni.

Eziologia

Dal punto di vista clinico è utile classifi care le cause dello scompenso in due categorie: 1) cause primarie, che compren-dono molte delle malattie che colpiscono il cuore, sebbene la cardiopatia ischemica , in primo luogo, e la cardiomio-patia dilatativa idiopatica siano quelle più frequentemente responsabili di scompenso ( Tab. 12.1 ); 2) cause precipitanti, che rendono evidente uno scompenso cardiaco subclinico, determinano l’aggravamento di uno scompenso preesistente o precipitano uno scompenso acuto. Per il clinico è impor-

Scompenso cardiaco

Gittata cardiaca

Normale Ipertensione

Ipertensione con scompensoModerata insufficienza miocardica

Grave insufficienza miocardica

Resistenze all’eiezione

Figura 12.10 Curve di resistenze-gittata.

Nel cuore normale un aumento acuto delle resistenze all’eiezione ventricolare, causato, per esempio, da una vasocostrizione periferica, non provoca alcuna variazione della gittata, salvo che per valori estremi di vasocostrizione. Nel cuore insuffi ciente, invece, ogni aumento delle resistenze si accompagna a una riduzione della gittata cardiaca. La riduzione è tanto più marcata quanto più grave è il grado di insuffi cienza contrattile del miocardio.

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Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO 286

tante identifi care sia la malattia cardiaca che è la causa di base dello scompenso sia i fattori precipitanti. Infatti, il trat-tamento delle cause sottostanti può prevenire o contenere il peggioramento dello scompenso cardiaco, o anche risolverlo del tutto, mentre il trattamento delle cause precipitanti può consentire il ritorno a uno stato di stabilità clinica.

Cause primarie Una condizione di scompenso cardiaco è nella maggior parte dei casi il risultato di un’insuffi ciente funzione mio-cardica. Questa può essere determinata primariamente dalla perdita di una quota signifi cativa di tessuto miocar-dico, come nell’infarto miocardico (la causa più frequente di scompenso cardiaco nei Paesi occidentali), oppure da alterazioni strutturali e funzionali diffuse del miocardio, come nella cardiomiopatia dilatativa non ischemica o nel-le miocarditi, o anche in alcune forme di cardiomiopatia dilatativa su base ischemica senza apparente evidenza di infarto (si veda il Capitolo 5 ). L’insuffi cienza miocardica può anche essere secondaria a un carico di lavoro cronico eccessivo, il quale può essere dovuto, a sua volta, a un sovraccarico di pressione (come nell’ipertensione arteriosa sistemica o polmonare o nelle

stenosi valvolari aortica o polmonare), o un sovraccarico di volume (come nelle insuffi cienze delle valvole sia atrio-ventricolari sia semilunari) (si veda il Capitolo 6 ). Molto raramente, l’insuffi cienza miocardica si può ma-nifestare per un sovraccarico di volume determinato da patologie extracardiache che impongono al cuore una gittata persistentemente elevata (come l’anemia grave e l’ipertiroidismo). Alcune malattie miocardiche, d’altro canto, possono causare uno scompenso cardiaco determinando principalmente una compromissione della funzione diastolica del miocardio (come la cardiomiopatia ipertrofi ca e quella restrittiva). Lo scompenso cardiaco deve essere distinto da altre forme di insuffi cienza circolatoria, nelle quali la funzione di trasporto di ossigeno ai tessuti è compromessa per un’al-terazione di una (o più di una) delle altre componenti del sistema (massa ematica, concentrazione di emoglobina ossigenata, letto vascolare). Un esempio di quadro clinico di insuffi cienza circolatoria non attribuibile a un’insuf-fi cienza miocardica o cardiaca è, per esempio, lo shock ipovolemico da emorragia acuta. In sintesi, bisogna ricordare che insuffi cienza miocardica, insuffi cienza cardiaca e insuffi cienza circolatoria non sono sinonimi, ma concetti di estensione crescente, ciascuno dei quali comprende i precedenti in una famiglia più ampia ( Fig. 12.12 ).

Cause precipitanti I pazienti con insuffi cienza cardiaca sono spesso suffi cien-temente compensati (vale a dire asintomatici, almeno a riposo, e in condizioni cliniche stabili) grazie a meccani-smi endogeni di compenso (si veda in precedenza e oltre) e/o a un appropriato trattamento farmacologico.

STADIO ANessuna cardiopatia

ma alto rischio di patologie

che danno scompenso

EsempioPazienti con: • ipertensione• cardiopatia ischemica• diabete mellito• uso di farmaci cardiotossici• storia familiare di cardiomiopatie

EsempioPazienti con: • pregresso IMA• disfunzione sistolica nel ventricolo sinistro• valvulopatie asintomatiche

EsempioPazienti con: • malattia cardiaca strutturale nota• dispnea, faticabilità, ridotta tolleranza allo sforzo

EsempioPazienti con: • sintomi gravi nonostante terapia massimale (pazienti con frequenti ospedalizzazioni che richiedono supporto terapeutico speciale)

STADIO BPazienti con malattiacardiaca strutturale,ma senza sintomi

di scompenso

STADIO CPazienti con malattia

cardiaca strutturale e sintomi

di scompenso

STADIO DScompenso

refrattario che necessita di interventispecializzati

Sviluppo di patologia cardiaca strutturale

Comparsa di sintomidi scompenso cardiaco

Sintomi di scompenso cardiaco refrattari, a riposo

Figura 12.11 Classifi cazione

dello scompenso cardiaco in stadi

dell’ACC/AHA.

La classifi cazione serve a identifi care non solo il grado di gravità dei sintomi in pazienti con evidenza di scompenso (stadi C-D), ma anche i soggetti o pazienti esenti da un quadro di scompenso, ma a rischio per la presenza di malattie cardiache che possono evolvere verso un’insuffi cienza cardiaca (stadio B) o pazienti che, pur non avendo patologie cardiache in atto, sono tuttavia ad alto rischio di sviluppare cardiopatie in grado di evolvere verso uno scompenso (stadio A).

Cardiopatia ischemica 65,0%

Miocardiopatia dilatativa idiopatica

18,0%

Cardiopatia valvolare 5,0%Cardiopatia ipertensiva 5,0%Altro 7,0%

d h

Tabella 12.1 Eziologia dello scompenso cardiaco

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Tuttavia diversi fattori, che sopraggiungono in modo più o meno improvviso, possono alterare l’equilibrio, talora precario, raggiunto dal paziente e causare un aggravamento del quadro clinico, determinando un peggioramento della funzione cardiaca o imponendo al cuore un carico di lavoro supplementare. In questi casi è importante individuare la causa che ha determinato l’aggravamento, perché spesso si tratta di condizioni reversibili che possono essere risolte con una terapia appropriata. Se il paziente supera la crisi acuta e la causa precipitante può essere eliminata, è spesso possibile recuperare il precedente stato di equilibrio. Nella gestione successiva del paziente si dovrà avere particolare cura di evitare l’esposizione alla causa o alle cause che hanno pre-cipitato l’aggravamento dello scompenso. I fattori che più frequentemente sono implicati come cause precipitanti di uno scompenso cardiaco sono indicati di seguito.

Stress fi sico, psichico, alimentare, ambientale Ogni brusco cambiamento delle condizioni di vita che comporti per il cuore un sovraccarico di lavoro (caldo, fred-do, eccesso di sale nella dieta, emozione, superlavoro ecc.) può rendere manifesto o peggiorare uno scompenso.

Ipertensione Bruschi aumenti della pressione arteriosa impongono al cuore, come visto, un signifi cativo aumento del lavoro, che può far precipitare o aggravare uno scompenso.

Aritmie La comparsa di aritmie è un evento frequente nei pazienti cardiopatici e può fare precipitare uno scompenso cardia-co in equilibrio precario. In caso di tachiaritmie si ha una marcata riduzione della durata della diastole, cosicché il riempimento ventricolare risulta insuffi ciente a mante-nere un’adeguata portata cardiaca; nelle bradiaritmie, d’altro canto, se la frequenza cardiaca è molto bassa, per mantenere la portata cardiaca a valori suffi cienti può es-sere richiesto un aumento della gittata sistolica al di sopra delle possibilità del ventricolo insuffi ciente. Inoltre, spesso

le aritmie comportano una dissociazione tra attività atriale e attività ventricolare, con perdita dell’apporto atriale al riempimento ventricolare, che in pazienti con insuffi cien-za cardiaca di una certa gravità può essere determinante per mantenere una suffi ciente portata cardiaca. La perdita della sistole atriale è anche la causa principale, insieme all’elevata frequenza cardiaca, dell’aggravamento dello scompenso quando si verifi ca una fi brillazione striale, che è peraltro una delle aritmie più frequenti in presenza di uno scompenso cardiaco. Infi ne, in caso di frequenti aritmie ventricolari o di tachicardia ventricolare, può contribuire alla riduzione dell’effi cienza contrattile ven-tricolare anche la perdita della normale sincronizzazione della contrazione miocardica conseguente all’attivazione anomala dei ventricoli.

Infezioni sistemiche Le infezioni possono precipitare uno scompenso cardiaco sia in quanto determinano un aumento del lavoro cardia-co (a causa dell’abituale tachicardia secondaria all’iper-piressia), sia per un aumento di citochine proinfi amma-torie circolanti, che possono deprimere la contrattilità miocardica.

Aumento della portata cardiaca La richiesta di un aumento della portata cardiaca, per motivi fi siologici (per esempio, durante una gravidanza) o per lo sviluppo di alcune condizioni patologiche (per esempio, anemizzazione , tireotossicosi ), può essere causa di aggravamento o anche del primo manifestarsi di uno scompenso cardiaco prima clinicamente latente.

Malattie renali L’insuffi cienza renale, acuta e cronica, è associata a una ridotta escrezione di sodio, che può esacerbare la riten-zione idrica tipica dello scompenso.

Embolia polmonare L’embolia polmonare è una patologia acuta che richie-de pronti riconoscimento e trattamento. In alcuni casi

Primitiva:– cardiopatia ischemica– miocardiopatie– miocarditi

Secondaria:– ipertensione arteriosa– cardiopatie valvolari– cardiopatie congenite– sindrome da alta gittata

– Ipertensione acuta grave– Cardiopatie valvolari (acute e croniche)– Cardiopatie congenite– Sindrome da alta gittata– Ostruzione AV– Ostruzione all’efflusso– Tamponamento cardiaco

– Riduzione della volemia– Anemia acuta– Vasodilatazione

Insufficienzamiocardica

Insufficienzacardiaca

Insufficienzacircolatoria

Figura 12.12 Relazione tra insuffi cienza miocardica, cardiaca e circolatoria.

Esso mostra come l’insuffi cienza miocardica, che è caratterizzata da un defi cit funzionale meccanico del muscolo cardiaco, costituisca una parte dell’insuffi cienza cardiaca, la quale più generalmente comprende tutti i casi in cui la presenza di malattie cardiache impedisce al cuore di garantire un’adeguata gittata cardiaca. L’insuffi cienza cardiaca, a sua volta, è una parte della più generale condizione di insuffi cienza circolatoria, che comprende tutti i casi in cui non si riesce a garantire un adeguato apporto di ossigeno ai tessuti dell’organismo.

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Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO 288

fenomeni microembolici, piuttosto che causare un quadro tipico di embolia polmonare, possono determinare un aumento della pressione nel circolo polmonare che si manifesta con un aggravamento di uno scompenso del ventricolo destro (si veda il Capitolo 21 ).

Riduzione inappropriata della terapia La causa più frequente di peggioramento dello scompenso cardiaco è probabilmente un’inappropriata autoriduzio-ne della terapia farmacologica da parte del paziente; è quindi importante spiegare bene al paziente che qualsiasi variazione del trattamento deve sempre essere concordata con il curante.

Assunzione di farmaci controindicati o di sostanze tossiche L’assunzione di farmaci che riducono la contrattilità car-diaca (come molti farmaci antiaritmici, i calcio-antagonisti non diidropiridinici, dosi eccessive di � -bloccanti e alcuni farmaci antineoplastici) o di farmaci che aumentano la ritenzione idrica (come gli estrogeni e i farmaci antin-fi ammatori, sia steroidei sia non steroidei) sono un’altra causa frequente di peggioramento di uno scompenso cardiaco. Inoltre, lo scompenso può essere aggravato da un’assunzione eccessiva di bevande alcoliche o sostanze tossiche, come, per esempio, la cocaina.

Nuove malattie cardiache Il sovrapporsi di una nuova malattia cardiaca (infarto mio-cardico, endocardite infettiva, miocardite) alla cardiopatia di base può fare precipitare, spesso in maniera catastrofi ca, un’insuffi cienza cardiaca in equilibrio precario.

Fisiopatologia

In presenza di una riduzione della contrattilità miocar-dica o di un sovraccarico di lavoro cardiaco, le conse-guenze emodinamiche più immediate sono rappresentate dall’aumento della pressione venosa a monte e/o dalla riduzione della gittata sistolica a valle della camera in-suffi ciente. L’organismo reagisce con una serie di mecca-nismi di compenso che hanno lo scopo di mantenere la portata cardiaca su valori normali. Nei gradi più lievi di scompenso questi aggiustamenti riescono a garantire un adeguato fl usso ematico in qualunque condizione. Nei casi di scompenso moderato, tuttavia, essi potranno con-sentire il mantenimento di una normale portata cardiaca solo a riposo, ma non sotto sforzo (quando è richiesto un aumento rilevante della gittata stessa). Nei casi più gravi, infi ne, essi saranno incapaci di garantire una gittata suffi -ciente anche per sforzi lievi, o addirittura a riposo. Va peraltro osservato che, sebbene i meccanismi di com-penso consentano di garantire, per un periodo più o meno lungo, un soddisfacente compenso di circolo, essi, soprattutto quando il loro grado di attivazione è elevato, possono progressivamente comportare effetti negativi sulla funzione cardiocircolatoria, che fi niscono con il contribuire a peggiorare, in un circolo vizioso, il quadro clinico dello scompenso cardiaco. I principali meccanismi di compenso che consentono al cuore di garantire una funzione di pompa soddisfacente in presenza di un’insuffi cienza cardiaca sono:

• meccanismo di Starling; • meccanismi neuroendocrini; • ipertrofi a miocardica e rimodellamento ventricolare.

Del primo di questi meccanismi si è parlato ampiamente in precedenza e si è visto come esso consenta una re-golazione rapida della funzione cardiaca. Si vedrà ora come si attua e cosa comporta l’attivazione degli altri due meccanismi.

Meccanismi neuroendocrini L’attivazione di meccanismi neuroumorali consente di ottenere un compenso rapido della funzione cardiaca. La riduzione della gittata cardiaca, infatti, determina imme-diatamente una serie di reazioni neuroumorali fi nalizzate a ripristinare valori normali della gittata stessa e mante-nere una normale perfusione degli organi. Uno schema dei principali meccanismi di compenso e delle loro con-seguenze è illustrato nella fi gura 12.13 . Una delle prime e importanti conseguenze di una ridu-zione della gittata sistolica, mediata da rifl essi nervosi a partenza da strutture barocettoriali e chemocettoriali, è l’attivazione del sistema nervoso simpatico. Questa de-termina, come già accennato nei paragrafi precedenti, un aumento sia della frequenza sia della contrattilità cardia-che. Essa, inoltre, produce una vasocostrizione arteriolare nei distretti più sacrifi cabili dell’organismo (soprattutto cute, muscoli scheletrici e organi addominali), favorendo la ridistribuzione del fl usso verso organi vitali (cuore e cervello), che hanno, peraltro, una regolazione delle re-sistenze vascolari in gran parte autonoma e indipendente da infl uenze neuroumorali. Un’altra fondamentale sequenza di meccanismi di adatta-mento nello scompenso consegue alla riduzione del fl usso a livello del rene. La ridotta gittata cardiaca determina una riduzione della pressione nelle arteriole glomerulari. Ne consegue una complicata sequenza di eventi che ha come risultato una ritenzione di acqua e sodio. Nella ri-sposta renale all’ipoperfusione riveste un ruolo centrale l’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAA) , che contribuisce a mantenere la vasocostrizione arteriolare. Inoltre, tanto la stimolazione � -adrenergica quanto l’atti-vazione del sistema RAA promuovono il trasporto di sodio nei tubuli prossimali e causano ritenzione idrosalina, che è fi nalizzata ad aumentare il ritorno venoso di sangue al cuore, con l’intento di rispristinare un’adeguata portata cardiaca. Il sodio e l’acqua trattenuti, infatti, espandono solo il volume del compartimento extracellulare dell’or-ganismo, in quanto il sodio è espulso attivamente dal-le cellule e l’acqua lo segue passivamente per gradiente osmotico. Il compartimento extracellulare comprende l’interstizio e il letto vascolare. Quindi, la ritenzione idro-salina aumenta il volume ematico e il volume del liquido interstiziale. Il volume ematico totale infl uenza il riempi-mento ventricolare (precarico) e pertanto il suo aumento tende a migliorare la funzione cardiaca. Può contribuire a questi meccanismi di compenso anche una maggiore liberazione, da parte dell’ipofi si, di argini-na-vasopressina (ormone antidiuretico ), che pure induce vasocostrizione e ritenzione idrica. La liberazione di argi-nina-vasopressina avviene sia per sollecitazioni osmotiche

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Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO

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(aumento della pressione osmotica del liquido extracellulare conseguente alla ritenzione di sodio), sia per sollecitazioni non osmotiche (la diminuzione della gittata sistolica viene avvertita dai barocettori carotidei come un segnale di dimi-nuzione del volume di fl uido circolante). È perciò possibile che nello scompenso cardiaco si abbia iponatriemia , che peraltro è un indicatore prognostico negativo. Oltre ai vari fattori neuro-ormonali circolanti, possono contribuire a determinare un aumento delle resistenze periferiche e ridistribuzione della portata cardiaca anche sostanze vasocostrittrici, prodotte in vari distretti vasco-lari, che agiscono come fattori locali di regolazione del circolo. Una delle più importanti di queste è l’endotelina , che è prodotta dalle cellule endoteliali. Agli altri meccanismi neuro-ormonali si aggiunge, nelle fasi fi nali dello scompenso cardiaco, un’elevata produzio-ne di alcune citochine, in particolare il fattore di necrosi tumorale (TNF, Tumor Necrosis Factor) , che è probabil-mente responsabile del quadro di cachessia che si presenta nello scompenso terminale.

Effetti negativi Come notato in precedenza, i meccanismi neuroumorali di adattamento circolatorio, validi ed effi caci nel breve termine, possono fi nire con l’essere controproducenti e nocivi a lungo termine. Per esempio, la vasocostrizione, utile inizialmente per ridistribuire il fl usso ematico verso gli organi vitali, alla lunga comporta un aggravio di lavoro per il cuore (aumento del postcarico) e può instaurare un

circolo vizioso che tende a far peggiorare lo scompenso. Nel caso di un cuore insuffi ciente, infatti, l’aumento delle resistenze periferiche fi nisce con il comportare un’ulte-riore riduzione della portata cardiaca; questa, a sua volta, determina un’ulteriore vasocostrizione per ridistribuire il fl usso insuffi ciente, e così via in una spirale negativa. La base razionale per l’uso di vasodilatatori arteriosi nella terapia dello scompenso (in particolare dei farmaci che inibiscono l’aumentata attività del sistema RAA) sta pro-prio nell’intento di interrompere questo circolo vizioso. Analogamente, anche la ritenzione di sodio e acqua opera-ta dal rene ipoperfuso, fi nalizzata, come visto, a garantire un adeguato ritorno venoso al cuore, può fi nire con l’es-sere inappropriata e avere alcune conseguenze negative. Essa, infatti, consente un miglioramento della gittata sistolica sino a quando la relazione precarico-gittata non raggiunge il plateau della curva di Starling. Al di là di questo limite l’espansione del volume ematico fi nisce con l’essere associata a una riduzione della gittata. Peraltro, a causa del defi cit contrattile cardiaco, le curve di Starling sono spostate in basso e, quindi, il plateau in queste con-dizioni viene raggiunto prima che nel cuore normale. La base razionale per l’uso dei diuretici e dei vasodilatatori venosi nello scompenso sta proprio nell’intento di ridurre il volume ematico totale, o di ridistribuirlo verso la peri-feria, nei casi in cui esso abbia superato i limiti utili per il miglioramento della prestazione cardiaca o rischi di pro-durre un’eccessiva trasudazione interstiziale (pericolosa soprattutto nei polmoni).

↑ Angiotensina IIAldosterone

Vasocostrizioneperiferica

ReninaET-1

↑ Attività SNS

Vasopressina (ADH)

Rimodellamentoventricolare

↓ Flusso renale↑ Ritenzione sodio

↑ Riassorbimento H2O↑ Secrezione di renina

↓ Sensibilità b-AR↓ Riserve norepinefrina

↓ Innervazione simpatica↑ Aritmie

Figura 12.13 Principali meccanismi neuroendocrini di compenso nello scompenso cardiaco, innescati dalla riduzione della gittata sistolica e dalla conseguente stimolazione di chemocettori e meccanocettori localizzati nel miocardio, nell’aorta e nel bulbo carotideo.

Sono illustrati i più importanti effetti dell’attivazione del sistema nervoso adrenergico, del sistema renina-angiotensina-aldosterone, oltre che della vasopressina (o ormone antidiuretico, ADH) e dell’attivazione vascolare locale che determina un aumento della produzione di endotelina 1 (ET-1).

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Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO 290

Meccanismi di controregolazione Indipendentemente dagli interventi farmacologici, anche l’organismo prevede meccanismi di controre-golazione che tendono a bilanciare, almeno in parte, l’eccessiva e persistente vasocostrizione e la ritenzione di acqua e sodio promosse dai meccanismi di compen-so. Uno dei più importanti è rappresentato dai peptidi natriuretici, sostanze vasoattive prodotte dalle cellule muscolari degli atri (peptide natriuretico atriale ) e dei ventricoli (peptide natriuretico di tipo B) in risposta a uno stiramento delle loro pareti che, come dice il no-me, favoriscono l’escrezione urinaria di sodio. L’effetto diuretico e natriuretico e quello vasodilatatore di questi peptidi tendono a ridurre il volume ematico, e quindi il precarico. In aggiunta a ciò, i peptidi natriuretici fre-nano l’attività del sistema simpatico, della vasopressina e del sistema RAA. Anche a livello renale vengono prodotte sostanze con effetti vasodilatatori, le prostaglandine , che contrastano in parte gli effetti dell’angiotensina sull’albero vascolare e contribuiscono a sostenere la fi ltrazione glomerulare quando il fl usso renale si riduce a livelli critici, nelle fasi avanzate della malattia. Per questo motivo i farmaci an-tinfi ammatori che inibiscono le prostaglandine possono peggiorare il quadro di scompenso. Un ulteriore meccanismo di protezione dagli effetti ne-gativi dei vari fattori neuroendocrini è rappresentato dalla ridotta espressione sulle membrane cellulari ( down regulation ) dei loro recettori specifi ci. In termini generali, qualsiasi stimolazione prolungata di recettori da parte di un ormone o di un neurotrasmettitore comporta alla lunga una riduzione del numero o della sensibilità dei recettori stessi. Tipicamente, la down regulation dei recet-tori � -adrenergici cardiaci durante lo scompenso tende a preservare le cellule miocardiche dagli effetti negativi dell’eccessiva stimolazione simpatica (apoptosi, aritmo-genicità). Tuttavia, quando essa è eccessiva e prolungata fi nisce con il determinare una marcata riduzione della risposta inotropa e cronotropa del cuore alla stimolazio-ne adrenergica, con compromissione del meccanismo di compenso. In questa situazione l’uso dei � -bloccanti, limitando la down regulation causata dall’intensa stimo-lazione adrenergica, può paradossalmente ripristinare una certa sensibilità dei � -recettori alle catecolamine, determinando così un miglioramento della performance ventricolare. Un meccanismo puramente periferico di adattamento all’ipoperfusione è costituito, infi ne, da una maggiore estrazione di ossigeno dal sangue arterioso che perfonde i tessuti da parte delle cellule, che determina una diminu-zione della saturazione di O 2 nel sangue venoso misto, che può scendere dal normale 70% a meno del 55%. Il risultato del complesso gioco dei meccanismi neuro-ormonali di adattamento che intervengono nello scom-penso cardiaco è un equilibrio precario, che diventa sempre più precario con il progredire dello scompenso. In alcune fasi lo stato di compenso è adeguato, in altre, invece, possono prevalere un’eccessiva vasocostrizione e/o un’eccessiva ritenzione idrica, che, in un cuore già in diffi coltà, fi niscono con il causare un ulteriore sovrac-carico e, quindi, un ulteriore peggioramento della sua effi cienza.

Ipertrofi a miocardica e rimodellamento ventricolare L’ipertrofi a miocardica costituisce un ulteriore meccani-smo di compenso che il cuore mette in atto per migliorare la sua effi cienza contrattile in condizioni di insuffi cienza cardiaca persistenti nel tempo. Essa è pertanto un mecca-nismo di compenso cronico. Non sono noti esattamente tutti i meccanismi moleco-lari attraverso cui un maggior carico di lavoro produce ipertrofi a. Probabilmente lo stimolo iniziale è l’aumento dello sforzo di parete che porta all’attivazione di canali ionici sensibili alle sue variazioni. Un secondo messagge-ro intracellulare agisce poi sul nucleo, attivando alcuni geni normalmente latenti. Ne risulta un doppio effetto: una crescita quantitativa della cellula, con aumento del numero delle fi brille, dei sarcomeri e dei mitocondri, e una variazione qualitativa delle proteine che vengono sintetizzate per realizzare tale crescita. Il primo effetto è legato soprattutto all’attivazione di alcuni proto-oncogeni, come c-fos e c-myc , che fanno parte del normale meccanismo che regola la crescita e la divisione cellulare. Il secondo effetto sembra consistere, invece, nella sintesi di varianti (isoforme) delle proteine contrattili o di altre proteine cellulari, con riattivazione, in particolare, della sintesi di isoforme fetali. Ciò avvie-ne, per esempio, per la miosina , la cui isoforma fetale dà una contrazione più lenta, ma caratterizzata da maggiore rendimento, cioè con minore consumo di energia a parità di lavoro, rispetto all’isoforma presente nell’adulto. La produzione di isoforme fetali nei cuori ipertrofi ci è stata dimostrata anche per le altre proteine che costituiscono le fi bre miocardiche e sembra fi nalizzata, complessivamente, a garantire un maggiore risparmio energetico, sebbene a prezzo di una minore funzionalità. Ciò vale anche per la pompa ATP-dipendente che accumula gli ioni calcio nel reticolo sarcoplasmatico durante la diastole, consentendo il rilasciamento dei miocardiociti; il conseguente rallenta-mento di questo processo aiuta a spiegare la signifi cativa disfunzione diastolica che caratterizza di solito il cuore ipertrofico. Anche le modificazioni della struttura del ventricolo che conseguono all’ipertrofi a contribuiscono a spiegare la disfunzione diastolica tipica di questa condizio-ne. Insieme alle modifi cazioni dei miocardiociti, infatti, vi è nell’ipertrofi a cardiaca la produzione di una maggiore quantità di collagene interstiziale, dovuta a un’aumentata attività dei fi broblasti. L’ipertrofi a miocardica, quindi, è in genere accompagnata da un certo grado di fi brosi, che conferisce una minore distensibilità alle pareti. Le variazioni della geometria del ventricolo che va incon-tro a ipertrofi a sono diverse a seconda del tipo di sovrac-carico a cui il cuore è sottoposto, sebbene, in generale, l’ipertrofi a si sviluppi in modo da mantenere lo sforzo di parete il più possibile entro limiti normali ( Fig. 12.14 ). Co-sì, se l’ipertrofi a miocardica è causata da un sovraccarico di pressione del ventricolo, si avrà un ispessimento delle pareti, mentre i volumi ventricolari non saranno sostan-zialmente modifi cati (ipertrofi a concentrica). Per la legge di Laplace (S = Pr/2h), l’aumento di spessore della parete ventricolare limita l’aumento di sforzo causato dall’au-mento di pressione. Se, viceversa, l’ipertrofi a è causata da un sovraccarico di volume, si avrà una dilatazione della camera ventricolare che consente di fronteggiare la neces-

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Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO

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sità di una maggiore gittata sistolica (ipertrofi a eccentrica). Ne consegue un incremento del postcarico, ma, anche in questo caso, un aumento dello spessore della parete ventricolare limita l’aumento dello sforzo di parete. Le modificazioni prodotte dall’ipertrofia permettono al cuore di sostenere, sino a un certo punto, il maggior carico di lavoro che viene richiesto. Se il grado di iper-trofi a (ed eventualmente della fi brosi associata) diventa eccessivo, esso fi nisce con il determinare una notevole alterazione dell’equilibrio energetico cellulare e con il compromettere sia la funzione sistolica sia quella diasto-lica. Con il persistere del sovraccarico, inoltre, l’architet-tura dei ventricoli si altera e si assiste a una progressiva dilatazione della cavità, con assottigliamento e fi bro-si delle pareti, che fi nisce per compromettere l’utilità dell’ipertrofi a stessa. Agli effetti negativi che si hanno in caso di ipertrofi a ec-cessiva contribuisce anche la possibilità che si verifi chino ischemia miocardica, causata dal maggior lavoro cardiaco e da un insuffi ciente sviluppo, e frequenti alterazioni del microcircolo coronarico.

Progressione dell’insuffi cienza miocardica I meccanismi responsabili del peggioramento clinico di uno scompenso cardiaco sono molteplici e non sempre facilmente identifi cabili. Come visto, se le cause dello scompenso persistono, i meccanismi di compenso descritti in precedenza posso-no diventare progressivamente insuffi cienti a mantenere uno stato di compenso emodinamico e possono essi stes-si avere effetti nocivi sul cuore. Esempi di questi effetti negativi sono l’effetto proaritmico causato dall’eccessiva attivazione simpatica, la fi brosi causata dall’attivazione del sistema renina-angiotensina e l’ischemia miocardica favorita dall’ipertrofia. Ovviamente, il peggioramen-to della patologia cardiaca di base o il sopravvenire di insulti cardiaci acuti (per esempio, un infarto acuto, una miocardite, un’endocardite ecc.) costituiscono altre condizioni frequenti di aggravamento del quadro di scompenso. Indipendentemente dai meccanismi, l’incremento più o meno progressivo e graduale di un sovraccarico di lavoro (pressorio e/o volumetrico) del cuore si rende responsabile

Normale

Sovraccarico pressorio Sovraccarico di volume

Aumento della pressione sistolica

Aumento del volume diastolico

Aumento diastolico di S

Aggiunta in serie di sarcomeri

Dilatazione della cavità

Aggiunta in parallelodi miofibrille

Aumento sistolico di S

Ispessimento della parete

Ipertrofiaconcentrica

Ipertrofiaeccentrica

– + +

– Figura 12.14 Schema dei meccanismi e delle caratteristiche dell’ipertrofi a miocardica da sovraccarico di pressione o di volume.

Nel sovraccarico di pressione le pareti ventricolari si ispessiscono grazie a una replicazione parallela dei sarcomeri. Ciò comporta un aumento più spiccato dello spessore di parete (h) rispetto al raggio della cavità (r). Per la legge di Laplace (S = Pr/2h), l’aumento di spessore (h) compensa l’aumento di pressione (P), in modo da far crescere di poco il postcarico o stress di parete (S). Nel sovraccarico di volume, invece, la cavità si dilata grazie a una replicazione in serie dei sarcomeri e ciò consente di incrementare la gittata sistolica. L’aumento r che ne consegue comporterebbe un aumento di postcarico, ma anche questo viene compensato da un corrispondente modesto aumento di h.

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in diversi pazienti di un progressivo peggioramento della funzione contrattile miocardica e dei sintomi di scompen-so che, alla fi ne, può portare all’ exitus . Le cause cellulari e molecolari del deterioramento con-trattile del miocardio non sono tuttora molto chiare, ma esso può rifl ettere una perdita progressiva di miociti (in particolare per apoptosi o morte programmata), una ridu-zione progressiva della loro attività contrattile, in assenza di una riduzione del loro numero, o entrambi i meccani-smi, che possono variamente coesistere, eventualmente con un peso diverso a seconda della causa primaria dello scompenso cardiaco.

Conseguenze fi siopatologiche dell’insuffi cienza cardiaca conclamata

Quando i meccanismi di compenso dell’insufficienza cardiaca non sono in grado di garantire una normale funzione circolatoria compaiono, in modo più o meno evidente, i segni dell’aumento della pressione venosa a monte e dell’ipoperfusione a valle del cuore insuffi ciente (stadi C e D dello scompenso cardiaco).

Congestione venosa L’aumento della pressione venosa che consegue all’insuf-fi cienza cardiaca, per qualsiasi causa essa si verifi chi, si trasmette a monte sino ai capillari, dove produce altera-zioni negli scambi di acqua e ioni. Come è noto, la parete dei capillari è impermeabile alle proteine e agli elementi corpuscolati del sangue, mentre lascia liberamente passare acqua, ioni e piccole molecole. Semplifi cando, gli scambi tra sangue e liquido interstiziale sono regolati dalla diffe-renza tra la pressione idrostatica nei capillari (che tende a fare uscire acqua verso l’interstizio) e la pressione osmoti-ca del plasma (che tende a trattenere e richiamare acqua nel letto vascolare). Man mano che la pressione idrostatica nei capillari aumenta, sino a raggiungere o superare quella osmotica (che è in media di 25 mmHg), la fuoriuscita di acqua verso l’interstizio diviene nettamente prevalente e si assiste alla formazione di edema interstiziale . Nel caso del polmone, se la quantità di acqua nel circolo aumenta e supera la possibilità di drenaggio da parte del sistema linfatico polmonare, essa inonda gli alveoli e l’edema diventa alveolare .

Ipoperfusione degli organi periferici Quando i meccanismi di compenso non sono più in grado di garantire una portata cardiaca suffi ciente a soddisfare le loro esigenze metaboliche, diversi apparati e sistemi dan-no segni di sofferenza e non svolgono più adeguatamente le proprie funzioni. L’ipoperfusione dei tessuti in genere produce ipossia pe-riferica e, nei casi gravi, acidosi , a causa dell’aumento del metabolismo anaerobico che la accompagna. L’ipoperfusione del rene, oltre un certo limite, produce insuffi cienza renale che, nei gradi estremi di shock cardio-geno, arriva sino all’anuria completa . Anche in casi non particolarmente gravi si possono riscontrare iperazotemia e aumento della creatinina . La congestione epatica (dovuta all’aumento della pres-sione venosa sistemica) associata all’ipoperfusione può condurre, nei casi gravi, alla necrosi centrolobulare, con

le relative manifestazioni metaboliche dell’insuffi cienza epatica.

Termini descrittivi (classifi cazione) dello scompenso cardiaco

Nel corso degli anni sono stati utilizzati diversi termini per descrivere caratteristiche particolari dello scompenso cardiaco, riferite, in genere, al prevalere di un particola-re meccanismo patogenetico o fi siopatologico o al tipo di presentazione clinica. Sebbene questi termini spesso non rispecchino in modo adeguato i meccanismi e le manifestazioni cliniche dello scompenso, possano talora generare confusione e siano tutto sommato spesso mal de-fi niti, essi sono ancora ampiamente utilizzati nella pratica clinica per la loro capacità di sintetizzare alcuni aspetti dello scompenso.

Scompenso cardiaco acuto e cronico Mentre il termine scompenso cardiaco cronico indica uno stato di insuffi cienza cardiaca, più o meno compensata e sintomatica, stabile nel tempo, il termine scompenso cardiaco acuto indica in genere la comparsa improvvisa o in breve tempo di sintomi e/o segni di insuffi cienza cardiaca importanti, che richiedono un trattamento più o meno rapido o urgente. Si deve osservare come uno scompenso cardiaco acuto possa verifi carsi in pazienti che presentano una funzio-ne contrattile del miocardio del tutto normale, a causa di patologie che impongono improvvisamente al cuore un carico di lavoro eccessivo, come, per esempio, una grave crisi ipertensiva, la rottura di un lembo valvolare per endocardite o anche un improvviso ostacolo al riem-pimento cardiaco (come nel tamponamento cardiaco o per un’ostruzione dell’ostio mitralico). Quadri clinici specifi ci, particolarmente gravi, di scom-penso cardiaco acuto sono l’edema polmonare acuto e lo shock cardiogeno, che sono descritti specifi camente in seguito.

Scompenso cardiaco destro e sinistro Le patologie cardiache che causano uno scompenso pos-sono compromettere esclusivamente o prevalentemente una delle sezioni (destra e sinistra) del cuore, con ov-vie implicazioni fi siopatologiche e cliniche. Infatti, se lo scompenso è dovuto alla compromissione del ventricolo e/o dell’atrio sinistro, l’aumento della pressione veno-sa, la congestione e gli edemi si verificano nel circolo polmonare (scompenso cardiaco sinistro) ; se, viceversa, esso è dovuto alla compromissione del ventricolo e/o dell’atrio destro, gli stessi processi patologici hanno luogo nella circolazione venosa sistemica (scompenso cardiaco destro) . Nello scompenso cardiaco sinistro prevarranno i sintomi di dispnea e i segni di stasi polmonare all’auscultazione toracica, mentre nello scompenso cardiaco destro pre-varranno i segni di una signifi cativa congestione venosa periferica (turgore delle giugulari, edemi periferici, epa-tomegalia). Lo scompenso cardiaco sinistro è di gran lunga più frequen-te, e ciò perché le malattie cardiache che più spesso sono causa di insuffi cienza cardiaca (la cardiopatia ischemica,

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Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO

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l’ipertensione arteriosa e i vizi valvolari importanti) coinvol-gono esclusivamente o prevalentemente le sezioni sinistre del cuore. L’interessamento esclusivo o predominante delle cavità destre nello scompenso è meno frequente e si verifi ca in genere per condizioni patologiche che interessano primi-tivamente il circolo polmonare (cuore polmonare cronico; si veda il Capitolo 13 ). Più spesso, viceversa, lo scompenso delle cavità destre del cuore consegue a quello delle cavità sinistre, per la ripercussione che le alterazioni del circolo venoso polmonare hanno, a lungo termine, sul circolo arterioso del polmone stesso. Alcune patologie, d’altro canto, possono colpire contemporaneamente le sezioni destre e sinistre del cuore (cardiopatia ischemica, miocar-diti, miocardiopatie), determinando fi n dal principio uno scompenso cardiaco biventricolare o globale.

Scompenso cardiaco sistolico e diastolico Si è già visto come la compromissione della funzione contrattile del miocardio ventricolare sia la causa più fre-quente di scompenso cardiaco (scompenso sistolico) . D’al-tro canto, in diversi casi sintomi di scompenso possono essere presenti in pazienti con normale funzione sistolica a causa di un’alterata funzione diastolica, dovuta a una ridotta distensibilità miocardica. Questa, se importante, può compromettere il riempimento diastolico ventrico-lare, causando un aumento delle pressioni endocavitarie telediastoliche e, quindi, nel circolo venoso a monte e, nei casi più gravi, può compromettere anche la gittata sistolica (scompenso diastolico; Fig. 12.15 ) .

Le cause di uno scompenso diastolico (detto anche scom-penso cardiaco con funzione sistolica preservata) sono so-prattutto le patologie del miocardio che causano eccessiva ipertrofi a e/o fi brosi delle pareti ventricolari (tipicamente l’ipertensione arteriosa). Una disfunzione diastolica, tut-tavia, è anche presente in pazienti con ridotta funzione sistolica. Questa, d’altro canto, può subentrare alla lunga in condizioni inizialmente caratterizzate da una pura di-sfunzione diastolica, per cui la separazione di queste due forme di scompenso è spesso arbitraria.

Scompenso anterogrado e retrogrado Questi termini si riferiscono, rispettivamente, alla preva-lenza di sintomi o segni di scompenso dovuti alla ridotta perfusione periferica conseguente alla riduzione della gittata cardiaca (quindi dovuti alle ripercussioni anterograde alla camera ventricolare insuffi ciente) o di sintomi o segni di scompenso dell’ipertensione venosa a monte della camera ventricolare insuffi ciente (quindi dovuti alle ripercussioni retrograde della disfunzione cardiaca). Anche in questo caso, tuttavia, la distinzione è sottile. I segni di congestione veno-sa spesso si associano a una grave compromissione sistolica e quindi della perfusione anterograda. D’altro canto una ridotta perfusione renale anterograda induce ritenzione di liquidi e quindi favorisce i segni di scompenso retrogrado.

Scompenso a bassa gittata e ad alta gittata Lo scompenso cardiaco classicamente si associa a una ridu-zione della portata cardiaca; esso quindi è, o tende a essere, a bassa portata . Tuttavia, esistono alcune condizioni, peral-

Disfunzione diastolica VSn

Alterato riempimento VSn

Riduzione del volumetelediastolico VSn

Aumento di pressionetelediastolica VSn

Ridotta gittatasistolica

Aumento di pressionein atrio sinistro

Attivazione neuro-ormonale

Congestione/edema polmonare

Ingrandimento atriale sinistro

Stasi atriale e nelle vene polmonari

Fibrillazione atriale

Rischiotromboembolico

Rimodellamentosfavorevole VSn

Ritenzioneidrosalina

Edema

Figura 12.15 Meccanismi attraverso cui la disfunzione diastolica del ventricolo sinistro può portare a segni e sintomi di scompenso cardiaco.

Si sottolinea come anche lo scompenso di tipo diastolico, causando aumento della pressione atriale sinistra, favorisca lo sviluppo di fi brillazione atriale.

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tro rare, in cui lo scompenso cardiaco si manifesta perché l’organismo richiede un fl usso ematico molto superiore al normale, che il cuore, pur non presentando di per sé alterazioni patologiche, almeno inizialmente, non riesce a garantire. Queste forme vengono defi nite di scompenso ad alta gittata . In pratica, allo scopo di aumentare la portata in risposta alle aumentate richieste dell’organismo, il cuore è sottoposto a un sovraccarico di volume simile a quello che si verifi ca nelle gravi insuffi cienze valvolari. In alcuni casi, inoltre, la patologia primitiva, responsabile delle au-mentate richieste metaboliche dell’organismo, determina anche una compromissione diretta della funzione con-trattile del miocardio, facilitando così la comparsa dello scompenso. In generale, le cause dello scompenso ad alta gittata sono abbastanza facilmente individuabili e il loro trattamento consente di risolvere effi cacemente lo scom-penso. Di seguito sono elencate le principali condizioni in grado di causare uno scompenso ad alta gittata.

Ipertiroidismo L’aumento della portata cardiaca in questi casi è dovuto al maggiore metabolismo tissutale causato dall’eccesso di ormoni tiroidei. La tireotossicosi , inoltre, a lungo termine può compromettere il metabolismo cardiaco. La presenza di segni di ipertiroidismo, di tachicardia o di tachiaritmie atriali refrattarie alle terapie consuete dovrebbe far sospet-tare la diagnosi.

Anemia In caso di anemia importante, un aumento della gittata cardiaca è necessario per mantenere un normale traspor-to di ossigeno ai tessuti. L’ipossia miocardica e l’anemia possono inoltre causare una compromissione dell’attività contrattile del miocardio.

Fistole arterovenose In presenza di fi stole periferiche arterovenose una quota del sangue pompato dal cuore non attraversa i capillari tissutali, ma passa direttamente dal circolo arterioso a quello venoso; per mantenere la perfusione la portata cardiaca deve di conseguenza aumentare. Una condizione analoga si ha nella malattia di Paget, per la presenza di un aumento del fl usso ematico a livello osseo.

Beri-beri , alcolismo Un grave defi cit di tiamina può determinare non solo i di-sturbi nervosi periferici tipici del beri-beri, ma anche una notevole vasodilatazione periferica, con aumento marcato del ritorno venoso; questo defi cit, inoltre, può anche com-promettere il metabolismo miocardico, riducendo la pro-duzione di energia per la contrazione. Il beri-beri è ormai rarissimo in Occidente; tuttavia, una forma di scompenso ad alta gittata da defi cit vitaminico si può verifi care negli alcolisti cronici; in questo caso è comunque più frequente uno scompenso cardiaco dovuto agli effetti tossici diretti dell’alcol sul miocardio (cardiomiopatia alcolica).

Manifestazioni cliniche dello scompenso cardiaco

I sintomi e i segni clinici principali che si possono riscon-trare all’anamnesi e all’esame obiettivo dei pazienti con

scompenso cardiaco sono riassunti nella tabella 12.2 , in cui vengono anche suddivisi in criteri maggiori e criteri minori per la diagnosi clinica sulla base di quanto sug-gerito dai risultati dello studio di Framingham. La loro patogenesi è sempre riconducibile in qualche modo alla congestione venosa o all’ipoperfusione periferica ed essi possono combinarsi in vario modo nel singolo paziente a comporre diversi quadri clinici variamente determinati dalle cause di base e di quelle scatenanti dello scompenso, dalla rapidità di insorgenza, dalla gravità della disfunzione ventricolare.

Sintomatologia I sintomi principali dello scompenso cardiaco riguardano la funzione respiratoria, l’attività muscolare, la diuresi e le funzioni cerebrali. La valutazione del livello di attività fi sica che determina la comparsa di sintomi (dispnea e fatica muscolare in primo luogo) consente di precisare il grado di capacità funzionale del paziente, che è strettamente dipendente dalla gravità dell’insufficienza cardiaca. Sulla relazione tra sintomi e attività fi sica si basa la classifi cazione funzionale di gravità dello scompenso cardiaco della New York Heart Association, che è quella più utilizzata nella pratica clinica ( Tab. 12.3 ).

Funzione respiratoria La dispnea è senz’altro il sintomo più frequente e carat-teristico dello scompenso e consiste in una sensazione di fatica a respirare associata a una sensazione di fame d’aria o mancanza di respiro. Essa è conseguenza della congestione polmonare, che provoca edema interstiziale e riduce perciò la distensibilità dei polmoni e l’ossigena-

Criteri maggiori • Dispnea parossistica notturna • Distensione delle vene del collo • Rantoli • Cardiomegalia • Edema polmonare acuto • Ritmo di galoppo da III tono • Aumento della pressione venosa (>16 cm H 2 0) • Refl usso epatogiugulare

Criteri minori • Edemi periferici • Tosse notturna • Dispnea da sforzo • Epatomegalia • Versamento pleurico • Riduzione della capacità vitale di un terzo del normale • Tachicardia (frequenza cardiaca > 120 bpm)

Criteri maggiori o minori • Perdita di peso > 4,5 kg in 5 giorni in risposta al trattamento

*La diagnosi è ritenuta certa in presenza di due criteri maggiori o di un criterio maggiore e due criteri minori.

Tabella 12.2 Criteri di Framingham per la diagnosi di scompenso cardiaco*

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Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO

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zione del sangue. Ciò fa aumentare il lavoro dei muscoli respiratori, che possono per di più essere male ossigenati per effetto dell’ipoperfusione periferica, e contribuisce a determinare la sensazione di mancanza di aria. Nei casi lievi o iniziali di scompenso la dispnea si mani-festa solo per sforzi intensi, o comunque in condizioni che richiedono un aumento del lavoro e della portata cardiaca. In alcuni pazienti, nelle fasi iniziali, il sintomo dominante può essere una tosse stizzosa. Nei casi più gravi la dispnea compare anche per sforzi di lieve entità e, nei casi avanzati, anche a riposo. Oltre che con gli sforzi, nei casi più gravi la dispnea può comparire con la semplice assunzione della posizione supina, per cui il paziente ha la necessità di assumere o mantenere la posizione eretta per potere respirare normal-mente (condizione defi nita ortopnea ). Pertanto, quando questi pazienti vanno a letto sono costretti a dormire con due o più cuscini per evitare la comparsa di dispnea, e quelli con maggiore insuffi cienza cardiaca sono a volte costretti a trascorrere intere notti seduti sul letto o su una poltrona per evitare o contenere la dispnea. Il motivo per cui la posizione supina facilita la comparsa di dispnea ri-siede nel fatto che essa aumenta il ritorno venoso al cuore, facilitando così la congestione polmonare. Per motivi analoghi i pazienti con insuffi cienza cardiaca possono andare incontro durante la notte a episodi im-provvisi di dispnea (dispnea parossistica notturna ). Oltre alla posizione supina, altri fattori possono contribuire in questo caso a facilitare la comparsa della dispnea, come una depressione del centro del respiro durante il sonno, che facilita l’ipossia, e la riduzione del tono simpatico, che priva il miocardio di uno stimolo importante per la sua effi cienza contrattile. In questi casi il paziente si sveglia improvvisamente con sensazione di diffi coltà respiratoria e un respiro affannoso e sibilante, talora accompagnato da tosse stizzosa. L’edema interstiziale, infatti, può compri-mere i bronchioli, provocando un aumento delle resisten-ze delle vie aeree (asma cardiaco) . In genere, il paziente si mette a sedere sul letto con i piedi penzoloni o si porta alla fi nestra alla ricerca di aria. Nei casi lievi i sintomi miglio-

rano rapidamente con la posizione eretta, mentre nei casi più gravi migliorano solo lentamente o non migliorano affatto senza un intervento terapeutico, soprattutto qua-lora si verifi chi un edema polmonare conclamato, il quale si manifesta quando la congestione polmonare è tale da provocare, oltre all’edema interstiziale, anche edema al-veolare (si veda oltre, Edema polmonare acuto ).

Attività muscolare I sintomi relativi all’attività muscolare, secondari all’ipo-perfusione dei muscoli, sono piuttosto frequenti, ma spes-so sfumati e aspecifi ci, e consistono nella facile comparsa di astenia durante attività fi sica.

Funzione renale Nello scompenso cardiaco le alterazioni della diuresi sono spesso tipiche. La diuresi, infatti, è spesso contratta di giorno, mentre frequentemente migliora di notte (nictu-ria) , costringendo il paziente ad alzarsi anche più volte per la minzione. Questo comportamento deriva dal fatto che durante le ore diurne l’ipoperfusione del rene può essere importante (per la ridotta gittata cardiaca), per cui la diuresi è ridotta. Di notte, con la posizione clinostatica, la portata cardiaca aumenta come conseguenza dell’au-mento del ritorno venoso; ne deriva un aumento della perfusione renale, la quale migliora anche per la riduzione della vasocostrizione delle arteriole renali. Nelle fasi più avanzate dello scompenso l’ipoperfusione renale diventa costante e produce oliguria (meno di 500-600 mL nelle 24 ore), con aumento dell’azotemia e della creatininemia. Quando la portata cardiaca è gravemente ridotta, si giunge all’anuria completa.

Attività cerebrale Sintomi di alterata funzione cerebrale compaiono solo nei casi di grave riduzione della portata cardiaca, in particola-re quando coesistono gravi alterazioni vascolari cerebrali. Normalmente infatti l’autoregolazione del fl usso ematico cerebrale protegge l’encefalo dall’ipoperfusione. Quando si manifestano, i sintomi cerebrali consistono in perdita di memoria, diffi coltà di concentrazione, insonnia e ansietà nei casi cronici. Nei casi acuti (edema polmonare e shock cardiogeno) , si osservano confusione mentale, agitazione, sonnolenza e infi ne coma.

Segni Diversi segni clinici indicativi di uno scompenso cardiaco possono essere variamente rilevati, a seconda delle cause e della gravità dello scompenso, mediante un attento esame fi sico del paziente.

Esame generale L’esame della cute nel paziente scompensato permette di evidenziare l’eventuale presenza di vasocostrizione o la presenza di edema. L’edema periferico , come la dispnea, è una manifestazio-ne frequente e tipica dello scompenso cardiaco. Come si è detto, esso non è solo il risultato dell’aumento di pressione nelle vene e nei capillari sistemici, ma anche della ritenzione idrosalina operata dal rene per effetto dell’ipoperfusione. In pazienti con puro scompenso sini-stro prolungato, infatti, vi può essere edema in assenza

Classe I Pazienti senza limitazioni dell’attività fi sica. L’attività fi sica abituale non causa sintomi

Classe II Lieve limitazione dell’attività fi sica. Il paziente è asintomatico a riposo, ma l’attività fi sica abituale causa sintomi

Classe III Grave limitazione dell’attività fi sica. Il paziente è asintomatico a riposo, ma un’attività fi sica anche inferiore a quella abituale causa sintomi

Classe IV Impossibilità di eseguire qualsiasi attività fi sica senza avere disturbi. Il paziente può presentare sintomi di scompenso cardiaco anche a riposo. I disturbi aumentano se viene intrapresa una qualsiasi attività fi sica

Tabella 12.3 Classifi cazione funzionale dei pazienti cardiopatici della New York Heart Association (NYHA)

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di congestione venosa sistemica. D’altro canto, in casi di scompenso destro insorto acutamente l’edema è inizial-mente assente, nonostante un aumento notevole della pressione venosa sistemica. Ciò avviene perché, prima che si manifesti un edema periferico, è necessario un marca-to aumento del liquido extracellulare, cosa che richiede alcuni giorni per verifi carsi. L’edema compare prima nelle parti declivi, e cioè ai piedi e alle caviglie, dove la pressione idrostatica venosa è più elevata, ed è tipicamente simmetrico (interessa cioè en-trambi gli arti inferiori). Nei casi meno gravi, esso compare durante il giorno ma viene riassorbito durante la notte, in seguito all’aumento del ritorno venoso e della diuresi, ed è assente al mattino. Nei pazienti costretti a letto l’edema compare prima in regione sacrale. La presenza di edema si apprezza in genere bene alla sem-plice ispezione cutanea. Tuttavia, nelle forme più sfumate la sua presenza può essere meglio evidenziata comprimen-do la cute con un dito in aree cutanee abitualmente più esposte allo sviluppo di edema (tipicamente la regione pretibiale); la digitopressione, infatti, determina, in pre-senza di edema, un piccolo affossamento della cute, che scompare lentamente (segno della fovea) . Nei casi più gravi di scompenso prolungato, l’edema può divenire generalizzato (anasarca) , coinvolgendo gli arti su-periori, il torace (versamento pleurico) , l’addome (ascite) e i genitali. Se l’edema non viene risolto e persiste nel tempo, esso può provocare indurimento della cute, con formazio-ne di aree discromiche (caratterizzate da macchie brune o rossastre), soprattutto sul dorso del piede e alle caviglie. La costrizione dei vasi cutanei è un meccanismo compen-satorio dell’ipoperfusione periferica e mira a garantire un fl usso adeguato agli organi più importanti. Essa diventa clinicamente evidente solo nei casi gravi di scompenso cardiaco, in particolare nello shock cardiogeno . In questi casi la cute appare pallida, fredda e madida di sudore; le estremità sono cianotiche. Nei casi estremi di vasocostri-zione, aree cutanee cianotiche si aggiungono al pallore e all’ipotermia, rendendo la cute diffusamente marezzata, soprattutto agli arti (si veda oltre, Shock cardiogeno ). Da notare che lo scompenso cardiaco cronico grave può portare a uno stato fi nale di cachessia , con perdita di pe-so e anoressia, una condizione indotta dall’aumentata produzione di alcune citochine, soprattutto il fattore di necrosi tumorale.

Esame cardiovascolare L’esame obiettivo cardiaco spesso rivela alcuni reperti piuttosto tipici, che sono presenti indipendentemente dalla causa dello scompenso, come una frequenza cardiaca tendenzialmente elevata (per effetto dell’ipertono simpa-tico), un cuore dilatato (spostamento dell’itto a sinistra e in basso o aumento dell’aia cardiaca alla percussione) e un ritmo di galoppo all’auscultazione, dovuto in genere alla presenza di un III tono cardiaco, che, in aggiunta al I e II tono, fa assumere al reperto auscultatorio cardiaco caratteristiche che ricordano, appunto, un “galoppo” (galoppo protodiastolico). A questo punto va ricordato che la presenza di un III tono è un reperto abitualmente fi siologico nei bambini e nei giovani. Viceversa, il suo riscontro in un soggetto adulto è un segno fortemente indicativo di insuffi cienza

miocardica ed è comunque quasi sempre un segno di patologia cardiaca, per cui impone un approfondimento diagnostico. Il III tono è prodotto dalla brusca decelerazione del riem-pimento ventricolare al termine della parte iniziale della diastole e si rende udibile quando il fl usso di sangue che riempie il ventricolo in diastole è aumentato (per esempio, insuffi cienza mitralica o tricuspidale , o shunt sinistro-de-stro ), oppure quando è ridotta la distensibilità delle pare-ti ventricolari, come avviene appunto nello scompenso, nell’ipertrofi a miocardica o nella pericardite costrittiva. Il III tono è un rumore di tonalità bassa, che si ascolta meglio con la campana del fondendoscopio in area apicale, con il paziente inclinato sul fi anco sinistro, quando origina, come è nella maggior parte dei casi, dal ventricolo sinistro. Quando origina dal ventricolo destro, d’altro canto, esso si ascolta meglio in regione parasternale sinistra al IV o V spazio intercostale, con il paziente in posizione supina. In diversi pazienti può apprezzarsi, da solo o in aggiunta al III tono, anche un IV tono, che è legato al rumore ge-nerato dalla spinta di sangue in un ventricolo con ridotta distensibilità, dalla sistole atriale (galoppo presistolico). La presenza sia di III che di IV tono conferisce ai toni cardiaci, all’auscultazione, le caratteristiche di un ritmo a quattro tempi. Altri segni auscultatori cardiaci dello scompenso possono essere un’aumentata intensità della componente polmo-nare del II tono (per l’aumento della pressione arteriosa polmonare) e la comparsa di soffi sistolici da insuffi cienza della valvola mitrale o tricuspide, che spesso consegue alla dilatazione delle rispettive camere ventricolari e allo sfi ancamento dei rispettivi anelli atrioventricolari secon-dario alla dilatazione ventricolare. L’ispezione del paziente consente di effettuare una valuta-zione della pressione venosa centrale, che è elevata nelle condizioni di scompenso con insuffi cienza ventricolare destra. La pressione venosa centrale si valuta osservando il grado di turgore delle vene giugulari in posizione semi-seduta (a 45°). In questa posizione, quando la pressione venosa è normale, le giugulari sono solo parzialmente distese. Per una valutazione migliore è opportuno svuo-tare le vene giugulari facendovi scorrere due dita, uno in senso craniale e l’altro in senso caudale, e lasciando poi riempire la vena solo dal basso (mantenendo la pressione sulla vena solo con il dito craniale). Se la vena si riempie sino in cima o quasi, la pressione venosa è aumentata. La pressione arteriosa, nei pazienti con scompenso cro-nico, è abitualmente normale o modestamente ridotta, soprattutto la sistolica e la differenziale, a meno che non sussista una condizione di ipertensione arteriosa di base. Quando la pressione differenziale è ridotta, il polso risulta piccolo (vale a dire con una ridotta escursione di ampiez-za apprezzabile alla palpazione). Misurando la pressione con lo sfi gmomanometro, si può rilevare talora, in casi di grave insuffi cienza ventricolare, la presenza di un polso alternante, che nei casi più evidenti si può apprezzare anche con la semplice palpazione dei polsi periferici. Il polso alternante consiste nella successione regolare di contrazioni cardiache energiche e contrazioni deboli, per cui a una pulsazione forte ne segue una più debole. Nei casi di scompenso cardiaco acuto la pressione arterio-sa, d’altro canto, è spesso elevata, soprattutto la diastolica,

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per effetto della vasocostrizione arteriolare periferica, che, come detto, è un meccanismo compensatorio all’ipo-perfusione. Se però la gittata sistolica è molto ridotta, la pressione, soprattutto quella sistolica e differenziale, risulta anche in questo caso normale o ridotta.

Esame del torace L’esame obiettivo toracico risulta in genere normale nei casi di scompenso lieve. Quando l’aumento della pres-sione nelle vene e nei capillari polmonari provoca trasu-dazione di liquido nel tessuto polmonare, si cominciano ad ascoltare rumori umidi in corrispondenza delle basi polmonari. Questi rumori si defi niscono come rantoli cre-pitanti e accompagnano l’inspirazione; tipicamente essi non si modifi cano dopo i colpi di tosse, a differenza dei rantoli di origine bronchiale. I rantoli possono interessare solo i campi inferiori, estendersi ai campi medi o essere diffusi a tutto l’ambito auscultatorio toracico, per livelli crescenti di gravità dello scompenso sinistro. Quando l’edema interstiziale e la congestione della mu-cosa bronchiale comprimono le vie aeree terminali, si possono ascoltare anche ronchi e sibili . In caso di edema polmonare acuto i rantoli divengono rapidamente gros-solani e si diffondono progressivamente a tutto l’ambito polmonare (cosiddetta marea montante). Nello scompenso cronico, l’aumento della pressione nei ca-pillari pleurici (che drenano sia nel sistema venoso sistemico sia in quello polmonare) determina talvolta un versamento pleurico, più frequentemente a destra (idrotorace) .

Esame dell’addome L’esame obiettivo addominale può mettere in evidenza anzitutto un’epatomegalia , che si verifi ca quando l’au-mento della pressione venosa sistemica da scompenso destro o globale provoca congestione delle vene epatiche. Se l’aumento di volume è acuto, l’organo risulta dolente alla palpazione. In alcuni casi una compressione sostenuta sull’addome fa comparire una distensione delle vene giu-gulari prima assente, segno che prende il nome di refl usso epatogiugulare . Se la congestione epatica si prolunga, la compressione pro-dotta dalle venule sugli epatociti produce atrofi a centrolo-bulare con segni clinici e di laboratorio di danno epatico (alterazioni enzimatiche, iperbilirubinemia ecc.). Quando la congestione venosa sistemica e l’epatomegalia sono gra-vi e prolungate, si può apprezzare anche splenomegalia . Nei casi di scompenso grave, inoltre, può comparire ascite , che è provocata da un prolungato aumento della pres-sione nelle vene epatiche e nei capillari peritoneali. Essa si manifesta più frequentemente nei casi di scompenso destro da ostruzione al riempimento cardiaco (stenosi della tricuspide o pericardite).

Esami diagnostici

Esami di laboratorio Gli esami di laboratorio di routine sono importanti per valutare la presenza di alterazioni della funzione renale o epatica o alterazioni degli elettroliti sierici spesso associate allo scompenso cardiaco. Utile per la diagnosi di un’origine cardiaca di sintomi compatibili con uno scompenso (dispnea in primo luogo)

è il dosaggio del peptide natriuretico di tipo B e del suo precursore NT-proBNP. Questi peptidi, come notato in precedenza, sono rilasciati dal miocardio in caso di au-mento della tensione parietale e hanno elevata sensibilità nell’identifi care la presenza di un sovraccarico ventricolare, per cui la loro negatività praticamente esclude la diagnosi di scompenso. Al momento, tuttavia, non è ben defi nito il valore al di sopra del quale essi dovrebbero essere consi-derati diagnostici e va tenuto anche presente che diverse condizioni che causano un aumento del lavoro cardiaco in assenza di insuffi cienza (per esempio, aritmie, ipossiemia, ischemia, ipertrofi a) possono causare un loro aumento. Anche un lieve aumento della troponina, non necessaria-mente causato da ischemia miocardica, è spesso osservato in pazienti con scompenso cardiaco, soprattutto in pa-zienti con fi brillazione atriale e/o insuffi cienza renale. Infi ne, gli esami di laboratorio sono utili per identifi care possibili cause precipitanti di scompenso cardiaco come tireotossicosi, anemia e infezioni subcliniche.

Elettrocardiogramma Sebbene l’elettrocardiogramma possa fornire informazioni utili a identifi care le cause primarie dello scompenso, non esistono segni ECG specifi ci di scompenso. Tuttavia, l’ECG mostra in genere alcune anomalie di vario tipo, dai segni di ipertrofi a ventricolare, con segni di sovraccarico, a segni di ingrandimento atriale, ad anomalie della conduzione intraventricolare a vari tipi di aritmie. Esso può inoltre rivelare la presenza di onde Q patologiche indicative di infarti miocardici pregressi. Un ECG completamente nor-male nei pazienti con scompenso cardiaco è molto raro.

Radiografi a del torace Informazioni importanti nel paziente scompensato posso-no essere ottenute da una radiografi a del torace e riguarda-no principalmente le dimensioni del cuore e la presenza e il grado della congestione polmonare ( Fig. 12.16 ). Le dimensioni del cuore si valutano calcolando il rapporto

Figura 12.16 Radiografi a del torace di un paziente con scompenso cardiaco.

La radiografi a mostra una marcata cardiomegalia, con aumentato rapporto cardio-toracico (0,78); si notano anche una congestione ilare e un piccolo versamento pleurico basale bilaterale.

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Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO 298

cardiotoracico, cioè il rapporto tra il diametro trasverso dell’ombra cardiaca e il diametro trasverso del torace a li-vello dei seni costo-frenici. Normalmente questo rapporto è inferiore a 0,5, vale a dire il diametro cardiaco non supera la metà di quello toracico. La valutazione della conge-stione polmonare consente di avere un’indicazione della gravità dello scompenso. Quando la pressione nei capillari polmonari (che normalmente non supera i 10-12 mmHg) è solo leggermente aumentata (13-18 mmHg), infatti, si osserva soltanto la cosiddetta inversione del circolo; si rendono cioè maggiormente evidenti i vasi venosi dei campi polmonari superiori, che normalmente, per ragioni di pressione idrostatica, sono meno visibili rispetto a quelli dei campi inferiori. Se la pressione capillare è più alta (sino a 23 mmHg), gli ili appaiono ingranditi e sfumati e i fasci bronchiolo-vascolari presi d’infi lata mostrano una super-fi cie sfumata causata da edema interstiziale perivascolare. Se l’aumento di pressione è persistente compaiono le strie di Kerley , cioè strie radio-opache dello spessore di pochi millimetri, a decorso orizzontale, prevalenti nei campi inferiori (si osservano soprattutto nella stenosi mitralica). Quando, infi ne, la pressione capillare polmonare supera i 25 mmHg, si osservano i segni radiografi ci dell’edema polmonare franco, cioè opacità più o meno omogenea di entrambi i campi polmonari (polmone “bianco”).

Ecocardiogramma L’ecocardiogramma mono-bidimensionale e color Dop-pler è senz’altro l’esame che contribuisce più di ogni al-tro a identifi care le cause dello scompenso cardiaco e a valutarne la gravità. Facilmente eseguibile, non invasivo e privo di rischi, que-sto esame consente di identifi care rapidamente molte delle patologie cardiache (coronariche, miocardiche, valvolari e del pericardio) in grado di causare uno scompenso. L’ecocardiogramma consente, in particolare, di esaminare adeguatamente la funzione contrattile globale e regionale del ventricolo sinistro e, sebbene con minore precisione, del ventricolo destro. A tal proposito, esso permette di calcolare facilmente la frazione di eiezione del ventricolo sinistro (FEVSn) , che costituisce il parametro più importante e più largamente utilizzato nella pratica clinica per indicare lo stato della con-trattilità miocardica e anche uno dei parametri prognostica-mente più importanti nei pazienti cardiopatici. Essa esprime la percentuale di sangue espulsa dal ventricolo durante la sistole sul totale del volume di sangue in esso contenuto al termine della diastole ed è ottenuta con la formula:

FEVSn = ( VTDS − VTS )

____________ (VTDS × 100 )

dove VTDS e VTS indicano il volume telediastolico e telesi-stolico del ventricolo sinistro, che sono facilmente misurabili all’ecocardiogramma. Normalmente, la FEVSn è compresa tra 60 e 75%, ed è comunque superiore al 50%. La sua ridu-zione è tanto maggiore quanto maggiore è la compromissio-ne della contrattilità globale del ventricolo sinistro. La valutazione della funzione sistolica ventricolare nei pazienti affetti da cardiopatia organica è estremamen-te importante, in quanto una riduzione subclinica della funzione ventricolare sinistra spesso precede i sintomi e i segni di scompenso. Il suo riconoscimento può pertanto

aiutare a prevenire l’evoluzione verso lo scompenso con-clamato. L’ecocardiogramma Doppler consente anche un’adegua-ta valutazione della funzione diastolica dei ventricoli mediante analisi Doppler del fl usso atrioventricolare (si veda il Capitolo 1 ).

Altri esami diagnostici Anche altre metodiche di imaging possono essere utilizza-te ai fi ni della valutazione dei volumi ventricolari e della FEVSn, come, in particolare, l’angioscintigrafi a , la tomo-grafi a computerizzata , la risonanza magnetica cardiaca e, in pazienti che necessitano di cateterismo cardiaco, la ventricolografi a . Questi metodi, però, sono decisamente meno pratici, più costosi, richiedono l’uso di isotopi o di mezzo di contrasto e, nel caso della ventricolografi a, sono invasivi, senza offrire signifi cativi vantaggi rispetto alla metodica ecocardiografi ca. Essi pertanto trovano in-dicazione per la valutazione della funzione ventricolare solo in casi selezionati.

Prognosi e stratifi cazione del rischio

In media, la prognosi dei pazienti con scompenso cardiaco non è buona. Nelle statistiche del passato la probabilità di morte entro 4-5 anni dall’insorgenza dei sintomi era del 50% negli uomini e del 30% nelle donne. In caso di scompenso grave, la probabilità di morte saliva al 65% a un anno e superava l’80% a 3 anni. La metà circa delle morti dei pazienti con scompenso cardiaco è improvvisa, mentre negli altri casi si assiste a un progressivo deterio-ramento cardiaco. Tuttavia, grazie ai progressi conseguiti con l’impiego di farmaci che contrastano il rimodellamen-to del miocardio, la mortalità nello scompenso cardiaco appare oggi ridotta e l’impianto di defi brillatori cardiaci automatici (ICD, Implantable Cardioverter Defi brillators) in pazienti ad alto rischio ha ridotto anche l’incidenza di morte improvvisa. Restano, tuttavia, numerosi i casi che alla lunga risultano refrattari a tutti i trattamenti. Quando uno scompenso grave non risponde a una terapia razionale condotta con tutti gli strumenti disponibili, la mortalità entro pochi mesi è elevata. La prognosi è più favorevole nei casi in cui lo scompen-so cardiaco è determinato da cause primarie rimovibili, come una valvulopatia o una cardiopatia ischemica con un’ampia area di miocardio ibernato (si vedano i Capitoli 5 e 6 ). La risoluzione della patologia di base, infatti, può in questi casi determinare un miglioramento anche con-sistente della funzione meccanica cardiaca. Vi sono diversi fattori (clinici e laboratoristici) che con-sentono di predire la prognosi in pazienti con scompenso cardiaco cronico ( Tab. 12.4 ). Tra questi la gravità dei sin-tomi (classe NYHA), la frazione di eiezione, la capacità di esercizio, la funzione renale e i livelli ematici di BNP/NT-proBNP sono tra i marcatori prognostici più importanti e utili dal punto di vista clinico.

Manifestazioni cliniche di scompenso cardiaco acuto grave

L’edema polmonare acuto e lo shock cardiogeno sono manifestazioni gravi di scompenso cardiaco che possono

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Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO

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costituire l’esordio drammatico di un’insuffi cienza cardia-ca, come può avvenire più tipicamente quando la causa dello scompenso è acuta (per esempio, un infarto esteso del miocardio), oppure rappresentare un serio aggrava-mento di uno scompenso cardiaco cronico.

Edema polmonare acuto L’edema polmonare acuto si manifesta quando la pres-sione nei capillari polmonari aumenta al di sopra di 25 mmHg; oltre questi livelli, infatti, l’equilibrio tra pres-sione idrostatica e pressione oncotica del sangue favorisce la trasudazione di liquido nell’interstizio e negli alveoli polmonari ( Fig. 12.17 ). Ne segue una compromissione sia degli scambi gassosi sia della funzione polmonare mecca-nica (ventilazione). L’ipossia e l’acidosi che ne derivano

provocano un ulteriore peggioramento della funzione cardiaca, con riduzione della portata e ulteriore aumento delle pressioni capillari polmonari, generando così un circolo vizioso. Anche in senso anterogrado, la riduzione della portata cardiaca attiva un altro circolo vizioso. Essa, infatti, stimola il sistema adrenergico che, attraverso la vasocostrizione cutanea, muscolare e splancnica, tende a mantenere la perfusione cerebrale e cardiaca. Questo spiega la tachicardia, l’ipertensione, l’aspetto cutaneo caratterizzato da pallore e profusa sudorazione e la con-trazione della diuresi. L’aumento delle resistenze vascolari periferiche, però, comporta un ulteriore aumento del carico di lavoro per il cuore e, quindi, tende a peggiora-re l’insuffi cienza cardiaca, con ulteriore riduzione della portata. Il paziente in edema polmonare acuto si presenta, in gene-re, agitato, seduto sul letto, fortemente dispnoico e tachip-noico, con respiro che, a seconda della gravità dell’edema, è caratterizzato da espirazione prolungata con sibili e ronchi, da inspirazione rumorosa e gorgogliante e, nei casi più gravi, dall’emissione con la tosse di un espettorato schiumoso, talvolta rosato. La cute del paziente si presenta fredda e sudata e le estremità e le labbra sono cianotiche. Il polso è in genere tachicardico; la pressione è spesso, anche se non sempre, elevata, soprattutto la diastolica, il che comporta spesso una riduzione della pressione dif-ferenziale. La diuresi risulta ridotta. All’auscultazione toracica si apprezzano rantoli inspiratori su tutti i campi polmonari. L’analisi dei gas ematici e dell’equilibrio acido-base rivela ipossia , acidosi (metabolica e respiratoria) e spesso ipercapnia .

Variabili cliniche

• Età

• Eziologia ischemica

• III tono, segni di congestione

• Classe NYHA

• Disfunzione renale, diabete

• Aumentata frequenza cardiaca

• Bassa pressione arteriosa

Variabili biochimiche

• Sodiemia

• Creatinina/clearance della creatinina

• Emoglobina

Neuro-ormoni

• Fattore natriuretico tipo B (BNP)/pro-BNP

• Fattore natriuretico atriale

Variabili elettrocardiografi che

• Fibrillazione atriale

• Durata del QRS/blocco di branca sinistra

• Ipertrofi a ventricolare sinistra

• Aritmie ventricolari complesse

• Ridotta variabilità della frequenza cardiaca

Variabili ecocardiografi che e radiografi che

• Frazione di eiezione ventricolare sinistra

• Indice di contrattilità regionale

• Volume telediastolico/telesistolico del ventricolo sinistro

• Funzione ventricolare destra

• Rapporto cardio-toracico alla radiografi a del torace

Variabili funzionali

• Capacità di esercizio

• Consumo massimo di O 2 durante test ergometrico

• Distanza percorsa al test del cammino di 6 min

Variabili emodinamiche

• Indice cardiaco

• Pressione telediastolica ventricolare sinistra

Tabella 12.4 Principali variabili prognostiche nello scompenso cardiaco congestizio

Versante spesso

Vasi linfatici

VeneSpaziperivascolaree interstiziale

H2O

Pressioneidrostatica

Pressioneosmotica

Capillari

Lamina di surfattante

Endoteliocapillare

Membranabasale

Alveoli

Pneumocito di primo ordinePneumocito di secondo ordine

Versante sottile

Setto interalveolareAssorbimento fisiologicodi liquido dai polmoni

Alveoli

Capillari

Figura 12.17 Meccanismo dell’edema polmonare.

Quando, in seguito a un aumento della pressione idrostatica all’interno dei capillari, secondario a un aumento della pressione venosa a valle, si forma un eccesso di liquido nell’interstizio polmonare, questo non può essere smaltito per via linfatica e trasuda negli alveoli.

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Alcuni pazienti possono riferire anche dolore retroster-nale. Ciò si può verifi care quando la causa scatenante dell’edema polmonare è un infarto miocardico acuto o un’ischemia miocardica grave , oppure, al contrario, se l’ipossia causata dall’edema polmonare fi nisce con il pro-vocare ischemia in pazienti con stenosi coronariche. Se non si interviene con un trattamento tempestivo, l’edema polmonare tende a peggiorare progressivamente sino all’arresto del respiro, oppure evolve verso lo shock cardiogeno (caduta della pressione) e l’arresto cardiaco. L’obiettivo principale del trattamento è quello di ridurre in modo marcato il precarico e, in caso di elevata pressio-ne arteriosa, anche il postcarico.

Shock cardiogeno Lo shock cardiogeno si manifesta quando la portata car-diaca scende al di sotto dei valori minimi necessari a mantenere la funzione degli organi vitali. In pratica, ciò si verifi ca in genere quando l’indice cardiaco è inferiore a 2,0 L/min/m 2 di superfi cie corporea. La grave riduzione della portata cardiaca consegue abitualmente alla perdita funzionale di almeno il 40% della massa miocardica, come può accadere, soprattutto, in caso di un infarto miocar-dico acuto esteso (che rimane la causa più frequente di shock cardiogeno) o, in alcuni casi, in seguito a una mio-cardite o un’altra patologia che comprometta gravemente la funzione miocardica. In un certo numero di casi, tutta-via, la causa della grave riduzione della portata cardiaca è rappresentata da una complicanza acuta meccanica, più spesso in corso di infarto miocardico acuto (come rottura del setto interventricolare, di un muscolo papillare o di corde tendinee, tamponamento cardiaco da rottura di cuore, infarto del ventricolo destro ecc.). Un tampona-mento cardiaco da altra causa e un’embolia polmonare sono ulteriori patologie importanti da considerare come causa dello shock cardiogeno. La violenta vasocostrizione che si innesca per mantenere la perfusione degli organi nobili (cervello e cuore), unita all’ipossia e all’acidosi, fi nisce per compromettere irrever-sibilmente anche il circolo periferico (arteriole, capillari, venule) con gravi alterazioni della permeabilità e della contrattilità vascolari. Si ha allora un sequestro di massa ematica in periferia (per fuoriuscita di liquido nello spazio interstiziale e per dilatazione paralitica dei vasi) che com-promette il riempimento cardiaco e riduce ulteriormente la portata, già gravemente compromessa per la patologia acuta cardiaca, sino all’arresto di circolo. Il paziente si presenta in genere dispnoico, spesso in stato confusionale o semicosciente e può riferire dolore retro-sternale (se vi è una sottostante cardiopatia ischemica). La cute è fredda e sudata, con ampie aree marezzate da mac-chie cianotiche. I polsi radiali sono spesso non apprezzabili e quelli carotidei e femorali sono piccoli e frequenti; la pressione arteriosa è bassa (< 90 mmHg) o addirittura non misurabile. Mentre predomina il quadro dell’ipoperfusio-ne periferica, spesso non sono presenti segni evidenti di congestione polmonare. La diuresi è molto scarsa o assente (oliguria o anuria ) ed è presente grave acidosi metabolica. Anche in caso di trattamento tempestivo e intensivo, il paziente con shock cardiogeno evolve spesso verso l’arre-sto di circolo e la morte, anche se la mortalità, nello shock che si verifi ca come complicanza di un infarto miocardico

acuto (che, come detto, è la condizione più frequente), è scesa da circa l’80% negli anni Ottanta a circa il 60% nell’era moderna della terapia intensiva e della riperfusio-ne coronarica meccanica.

Terapia

Terapia dello scompenso cardiaco cronico Gli obiettivi della terapia dello scompenso cardiaco sono due, il miglioramento dei sintomi e il migliora-mento della prognosi. Infatti, non tutti i farmaci che migliorano i sintomi dello scompenso cronico miglio-rano la prognosi. Per esempio, nello scompenso cro-nico gli ACE-inibitori e i � -bloccanti migliorano sia la prognosi sia i sintomi, mentre i diuretici migliorano i sintomi ma non la prognosi e i farmaci inotropi, con l’eccezione forse della digitale, possono miglio-rare i sintomi ma peggiorano la prognosi. I farmaci inotropi sono peraltro indicati in alcuni pazienti con scompenso acuto (si veda oltre). È da sottolineare poi che il trattamento deve com-prendere gli interventi medici o chirurgici diretti a correggere o rimuovere, laddove possibile, la causa primaria dello scompenso, come una coronaropatia, un vizio valvolare, una cardiopatia congenita ecc. Analogamente, il trattamento deve comprendere misure dirette a prevenire o eliminare eventuali cau-se precipitanti dello scompenso (infezioni, aritmie, embolia ecc.). I principali tipi di farmaci utilizzati nella terapia dello scompenso cardiaco, insieme ai loro effetti principali in questo contesto, sono riassunti nella tabella 12.5 . La figura 12.18 mostra inoltre lo schema progressivo di trattamento dei pazienti dallo stadio A allo stadio D del-lo scompenso in base alla classificazione ACC/AHA.

Misure generali Il paziente dovrebbe seguire norme di vita che evitino di imporre al cuore un lavoro eccessivo per le sue ca-pacità. Il riposo a letto o in poltrona è indispensabile in caso di scompenso acuto. Nei casi cronici possono essere indicati periodi di riposo programmati. Un’eccessiva restrizione dell’attività fisica, tuttavia, può avere effetti deleteri, favorendo fenomeni di tromboembolia venosa e l’ipotonia muscolare, con ulteriore riduzione della tolleranza per lo sforzo. Studi condotti in anni recenti hanno evidenziato come una cauta attività fisica, laddove possibile e calibrata sulle capacità e lo stato clinico del paziente, non solo non è controindicata, ma migliora i sintomi, la tollerabilità dell’esercizio e la qualità della vita dei pazienti con insufficienza cardiaca. Oltre agli sforzi fisici intensi, il paziente con scom-penso cardiaco deve evitare anche stress emotivi ec-cessivi, condizioni ambientali sfavorevoli (per esem-pio, temperatura e umidità elevate, che impongono al cuore un carico eccessivo di lavoro) ed eccessi alimentari. La dieta deve essere leggera e il peso deve essere mantenuto su valori quanto più possibile vicini a quelli ideali. L’assunzione di sale, infine,

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Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO

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deve essere contenuta il più possibile per evitare un aumento della ritenzione idrica e, quindi, del precarico.

ACE-inibitori Questi farmaci svolgono un ruolo fondamentale nel trattamento dei pazienti con scompenso cardiaco cro-nico. Essi, infatti, riducono la mortalità e migliorano i sintomi e i segni dello scompenso, migliorando di conseguenza, anche la qualità della vita. Da notare che i vantaggi prognostici degli ACE-inibitori si os-servano già nei pazienti che presentano disfunzione ventricolare sinistra ma sono del tutto asintomatici. Essi agiscono inibendo l’enzima che converte l’an-giotensina I in angiotensina II, ovvero l’Angiotensin Converting Enzyme (ACE), da cui deriva il termi-ne ACE-inibitori. Riducendo la produzione di an-giotensina II (che, come visto, è aumentata nello scompenso), gli ACE-inibitori determinano anzi-tutto vasodilatazione periferica, riducendo così le resistenze vascolari e interrompendo il circolo vi-zioso che dall’accentuata vasocostrizione cutanea e splancnica porta, per l’aumento del postcarico, a un ulteriore peggioramento della funzione e della portata cardiaca (si veda Fig. 12.10 ). Inoltre, il mi-gliore svuotamento ventricolare, conseguente alla riduzione delle resistenze all’eiezione, determina anche una riduzione del volume sistolico residuo, il che porta anche a una riduzione del precarico, con effetti benefici sulla pressione venosa polmonare (si veda oltre, Diuretici ). Da notare che gli ACE-inibitori agiscono anche ri-ducendo gli effetti nocivi diretti sul cuore dell’an-giotensina II, che, in eccessive quantità, alla lunga causa ipertrofia delle cellule miocardiche, seguita da apoptosi e fibrosi, con rimodellamento negativo del miocardio ventricolare. Alcuni degli effetti favo-revoli degli ACE-inibitori, infine, sembrano mediati dall’inibizione della produzione tissutale locale di angiotensina II, che è stata dimostrata essere presente in diversi organi, compreso il cuore. Ipotensione e insufficienza renale sono tra gli effetti collaterali più frequenti degli ACE-inibitori. Attenzio-ne bisogna prestare, inoltre, alla possibilità di iperpo-tassiemia , soprattutto quando essi sono somministrati in associazione con i diuretici risparmiatori di K + e in pazienti con insufficienza renale. Tra gli altri effetti collaterali importanti è da ricordare la possibilità, per quanto molto rara, di edema angioneurotico (dovuto a un aumento delle concentrazioni di bradichinina), mentre tra quelli più frequenti vi è la comparsa di tosse secca e spesso stizzosa.

Antagonisti recettoriali dell’angiotensina Questi farmaci, detti anche sartani, hanno effetti complessivamente simili agli ACE-inibitori. Essi an-tagonizzano gli effetti dell’angiotensina II con un meccanismo, però, di inibizione recettoriale diret-ta, per la precisione a livello dei suoi recettori AT-I, presenti soprattutto a livello dei vasi di resistenza.

Scompenso cardiaco Principali effetti nello scompenso cardiaco

Cronico ACE-inibitori e antagonisti recettoriali dell’angiotensina II

Inibizione degli effetti dell’angiotensina II

� -bloccanti Riduzione del postcarico

Effetti antiadrenergiciMiglioramento della risposta adrenergicaEffetto “antiaritmico”

Nitrati Vasodilatazione venosa perifericaRiduzione del precarico

Idralazina Vasodilatazione arteriolare

Diuretici dell’ansa e tiazidici Aumento dell’escrezione di Na + e liquidiRiduzione del precarico

Antialdosteronici Blanda azione diureticaRisparmio di K +

Glicosidi digitalici Attività inotropa positivaRiduzione della frequenza cardiaca durante fi brillazio-ne atriale

Acuto Diuretici dell’ansa Aumento dell’escrezione

di Na + e liquidiRiduzione del precarico

Nitrati Vasodilatazione venosa perifericaRiduzione del precarico

Nitroprussiato di sodio Vasodilazione sia venosa sia arteriosaRiduzione di precarico e postcarico

Glicosidi digitalici Attività inotropa positivaRiduzione della frequenza cardiaca durante la fi brilla-zione atriale

Amine simpaticomimetiche Attività inotropa positivaEffetto diuretico a basse dosi

Inibitori della fosfodiesterasi Attività inotropa positivaEffetto vasodilatatore arterioso

Morfi na Vasodilatazione venosa periferica

Riduzione del precarico Azione antidolorifi ca e sedativa

Tabella 12.5 Principali presidi farmacologici nella terapia dello scompenso cardiaco

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Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO 302

Studi recenti mostrano effetti clinici comparabili a quelli degli ACE-inibitori in pazienti con scompenso cardiaco, con possibilità di minori effetti collaterali, come ipotensione e tosse.

� -bloccanti Mentre per lungo tempo i � -bloccanti sono stati considerati controindicati in pazienti con scompen-so cardiaco a causa del loro effetto inotropo nega-tivo, oggi, al contrario, sono ritenuti, in assenza di controindicazioni assolute, farmaci indispensabili nel trattamento di questa patologia. Diversi studi, infatti, hanno dimostrato un beneficio significati-vo sulla sopravvivenza, sulla funzione ventricolare (che paradossalmente, come detto, migliora) e sui sintomi e segni dello scompenso. Da notare che anche con i � -bloccanti l’effetto positivo sulla pro-gnosi si osserva già in pazienti che presentano una disfunzione ventricolare sinistra ma sono del tutto asintomatici. I meccanismi attraverso cui questi farmaci determi-nano benefici nei pazienti con scompenso cardiaco sono verosimilmente molteplici. Contrastando l’at-tività simpatica, i � -bloccanti riducono la frequenza cardiaca, e quindi il lavoro cardiaco, con conseguente riduzione delle richieste energetiche e del consumo di ossigeno da parte del cuore. La riduzione della frequenza cardiaca, inoltre, favorisce un migliore flusso coronarico, con effetti benefici sulla funzione complessiva del cuore, in particolare in pazienti con cardiopatia ischemica. Infine, i � -bloccanti riducono la suscettibilità alle aritmie ventricolari e migliora-no il bilancio autonomico simpato-vagale, effetti

entrambi che possono ridurre l’incidenza di morte improvvisa. D’altro canto, nei casi di scompenso avanzato, nel quale la risposta inotropa cardiaca al sistema nervoso simpatico è gravemente compro-messa per lo sviluppo di down regulation recettoriale, i � -bloccanti possono favorire la riattivazione di una quota di recettori � -adrenergici sufficiente a miglio-rare la contrattilità miocardica in risposta agli stimoli simpatici. Sebbene siano efficaci, i � -bloccanti vanno comunque utilizzati con attenzione nei pazienti con scompenso, in quanto una depressione della funzione ventrico-lare è sempre possibile, soprattutto nelle fasi iniziali del trattamento o in caso di aumento delle dosi. La terapia andrebbe quindi cominciata sempre in am-biente ospedaliero, iniziando con dosi molto basse e aumentando le dosi molto gradualmente sino a quelle massime tollerate. Le controindicazioni all’uso dei � -bloccanti com-prendono bradicardia (FC < 60 bpm) o altre bradia-ritmie, ipotensione (pressione arteriosa sistolica < 90-100 mmHg) e storia di asma bronchiale.

Nitrati Quando somministrati acutamente, soprattutto per via venosa, i nitrati (nitroglicerina, isosorbide dini-trato) hanno un notevole effetto vasodilatatore ve-noso. Ciò determina una ridistribuzione della massa ematica dal centro verso la periferia e una marcata riduzione del ritorno venoso. Questi farmaci hanno quindi un effetto simile a quello dei diuretici, anche se il volume totale di liquido nell’organismo rimane invariato. Come per i diuretici, anche con i nitrati

Riduzione dei fattori di rischio, educazione del paziente e dei familiari

Trattare ipertensione, diabete, dislipidemia

ACE-I e β-bloccanti

ACE-I e β-bloccanti in tutti, diuretici per la ritenzione idrica

Aggiunta di ARB e/o antialdosteronici

Resincronizzazione cardiaca se QRS > 120 msec

ICD se FEVSn < 30-35%

Chirurgia della mitrale

Team multidisciplinare

Inotropi

VAD

Trapianto

STADIO A• Pazienti ad alto rischio• Nessun sintomo

STADIO B• Danno cardiaco strutturale• Nessun sintomo

STADIO C• Danno cardiaco strutturale• Sintomi attuali o precedenti

STADIO D• Sintomi refrattari al trattamento• Necessità di interventi speciali

Figura 12.18 Schema di

prevenzione dello scompenso

cardiaco e di trattamento

progressivo dei pazienti con scompenso

cardiaco conclamato, in base agli stadi della

classifi cazione ACC/AHA dello

scompenso.

ACE-I = ACE inibitori; FEVSn = frazione di eiezione del ventricolo sinistro; ICD = defi brillatore impiantabile; VAD = assistenza ventricolare meccanica.

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Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO

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bisogna fare attenzione a evitare un’eccessiva ridu-zione del precarico. Sebbene questi farmaci siano molto utili nelle fasi acute di uno scompenso cardiaco, come descritto in seguito, la loro utilità nella somministrazione cronica, per via transdermica o per via orale, è dubbia, sia al fine di migliorare i sintomi sia allo scopo di miglio-rare la prognosi, soprattutto in pazienti trattati in modo ottimale con diuretici, ACE-inibitori o sartani e � -bloccanti.

Vasodilatatori arteriosi Si fanno rientrare in questa categoria farmaci che agiscono direttamente sui vasi arteriosi di resistenza, causando quindi vasodilatazione arteriolare e riduzio-ne marcata del postcarico. Tra di essi vi sono i calcio-antagonisti diidropiridinici e l’idralazina . Gli studi clinici non hanno dimostrato un beneficio prognostico dei calcio-antagonisti diidropiridinici in pazienti con scompenso cardiaco. Ciò è verosimil-mente da attribuire all’attivazione riflessa del sistema nervoso simpatico che consegue all’ipotensione spes-so piuttosto marcata che questi farmaci determinano e che, come visto, può innescare effetti deleteri in pazienti con scompenso. L’associazione di idralazina e nitrati ha mostrato ri-sultati favorevoli sulla prognosi, ma i dati disponibili non sono così solidi come quelli ottenuti per ACE-ini-bitori, sartani e � -bloccanti. Inoltre, l’uso prolungato dell’idralazina causa spesso rilevanti effetti collaterali. Pertanto, il valore attuale di questi dati rimane dub-bio, considerata l’efficacia di farmaci più tollerati e con maggiore evidenza di benefici.

Diuretici I diuretici sono farmaci cardine nel trattamento dei sintomi dello scompenso cardiaco, mentre non sem-brano avere effetti significativi sulla prognosi a me-dio-lungo termine. Essi aumentano l’eliminazione di sodio e acqua con le urine e perciò riducono il volume ematico circolante e il liquido interstiziale, diminuen-do così il precarico e, di conseguenza, la congestione venosa. L’uso dei diuretici riduce la necessità di una restrizione eccessiva dell’assunzione di sale. I diuretici più usati nello scompenso sono di due tipi principali: i diuretici dell’ansa e i diuretici tiazidici. I primi hanno effetti diuretici più rapidi e potenti, e agiscono principalmente inibendo il riassorbimento di ioni Na + , K + e Cl - nel braccio ascendente dell’ansa di Henle ; il volume urinario è aumentato sia per la perdi-ta di acqua associata all’eliminazione di questi ioni, sia per un’inibizione del riassorbimento di acqua libera. I farmaci tiazidici hanno effetti diuretici più lenti, ma più prolungati; essi agiscono principalmente riducendo il riassorbimento di ioni Cl - nel braccio prossimale del tubulo convoluto distale e nella parte iniziale dell’ansa di Henle, con associato volume di acqua. I diuretici sono utili in tutte le forme di scompenso, ma devono essere dosati con cura per evitare l’ipo-volemia, con conseguente eccessiva riduzione del

riempimento cardiaco e della portata cardiaca. Essi possono, inoltre, causare ipokaliemia (per perdita eccessiva di K + nelle urine) e alcalosi metabolica (per perdita di ioni H + ). Evitare l’ipokaliemia è partico-larmente importante, perché essa può causare una sindrome dell’intervallo QT lungo, con comparsa di aritmie ventricolari gravi (si veda il Capitolo 11 ), e peggiorare un eventuale quadro di tossicità digitalica come descritto in seguito. Altri effetti collaterali dei diuretici comprendono astenia e, in caso di tossicità, nausea, vomito e le-targia. A livello metabolico si possono osservare ipe-razotemia, iperuricemia, ipertrigliceridemia e anche iperglicemia.

Diuretici risparmiatori di potassio Questi farmaci hanno solo una blanda azione diu-retica e sono anzitutto utilizzati in associazione ai diuretici dell’ansa e ai diuretici tiazidici allo scopo di evitare la perdita eccessiva di potassio con le uri-ne, e quindi l’ipopotassiemia, da questi causata. Es-si comprendono principalmente farmaci ad azione antialdosteronica, che contrastano la perdita di K + bloccando lo scambio di questo ione con gli ioni Na + e H + , promosso nei tubuli distali e nei dotti collettori dall’aldosterone. Alcuni diuretici risparmatori di K + , come la bumetanide, agiscono tuttavia direttamente (in modo indipendente dall’aldosterone) sul tubulo distale e sul dotto collettore. In studi recenti i farmaci antialdosteronici si sono dimostrati in grado di migliorare la prognosi dei pa-zienti con scompenso cardiaco già in terapia ottimale, migliorando la funzione ventricolare sinistra e la ca-pacità fisica e riducendo sia la mortalità totale sia la morte improvvisa. Il meccanismo di questi benefici non è chiaro. Tuttavia, oltre a evitare gli effetti ne-gativi dell’ipopotassiemia, questi farmaci sembrano contrastare l’azione profibrotica dell’aldosterone. L’effetto collaterale più pericoloso dei farmaci rispar-miatori di K + è l’iperkaliemia , che può svilupparsi con una certa frequenza in pazienti con insufficienza renale e in pazienti anziani, soprattutto quando essi sono associati a farmaci inibitori dell’angiotensina, per cui devono essere somministrati con attenzione in queste situazioni. Tra gli effetti collaterali più tipici dei farmaci antialdosteronici vi è la gineco-mastia .

Glicosidi digitalici I glicosidi digitalici sono in pratica gli unici farmaci ad azione inotropa positiva disponibili per il tratta-mento dello scompenso cardiaco cronico e sono stati usati largamente per molti anni in questi pazienti. Essi agiscono inibendo la pompa sodio-potassio del-la membrana delle fibre miocardiche, con l’effetto ultimo di aumentare la disponibilità di calcio intra-cellulare per la contrazione. Oltre a ciò, i glicosidi digitalici riducono la frequenza cardiaca e la condu-zione atrioventricolare (soprattutto per aumento del tono vagale).

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Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO 304

Sebbene la somministrazione di digitale possa sortire effetti benefici sui sintomi e sui segni di scompenso, la somministrazione a lungo termine non si è rive-lata in grado di migliorare la prognosi e in alcuni studi è stata addirittura associata a un aumento della mortalità, per cui il suo utilizzazo routinario non è più consigliato. La digitale può essere utile, tuttavia, nei casi di scompenso complicato da fibrillazione o flutter atriale con elevata frequenza ventricolare, in quanto questi pazienti traggono giovamento dalla sua capacità di ridurre la frequenza ventricolare. L’eccessivo accumulo di glicosidi digitalici nel sangue può determinare un tipico quadro di intossicazione digitalica, che comprende manifestazioni sia cardia-che sia extracardiache. Tra le prime vi è la possibilità sia di bradiaritmie (seno-atriali o atrioventricolari) sia di tachiaritmie (giunzionali o ventricolari), dovute a un aumento dell’eccitabilità delle cellule miocar-diche. I sintomi extracardiaci di intossicazione digi-talica comprendono, nelle forme più lievi, senso di nausea e conati di vomito, mentre, nei casi più gravi, possono comparire visione gialla e sintomi di delirio. Le concentrazioni sieriche di digossina aumentano in caso di insufficienza renale, per cui il rischio di intossicazione digitalica è maggiore in questi pazienti se non si ha cura di ridurre la dose. L’ipokaliemia e l’ipomagnesiemia, d’altro canto, possono favorire gli effetti tossici della digitale. Nel sospetto di intos-sicazione digitalica, il dosaggio della digossinemia consente di confermare o escludere la diagnosi.

Terapia non farmacologica In alcuni pazienti con scompenso cardiaco grave (classe NYHA III-IV), che rimangono sintomatici a dispetto di una terapia medica ottimale e che presen-tano all’ECG un QRS slargato (di solito ≥130 msec) con morfologia a blocco di branca sinistra, è possibile ottenere un miglioramento del quadro clinico con l’impianto di un pacemaker biventricolare. Il princi-pio su cui si basa questa terapia risiede nel fatto che, a causa della turba di conduzione intraventricolare, nella maggioranza di questi pazienti, parte dell’inef-ficienza contrattile del ventricolo sinistro è dovuta alla perdita della sincronizzazione della contrazione dei due ventricoli e delle varie regioni del ventricolo sinistro (in particolare del setto interventricolare e della parete posteriore). L’applicazione di due elet-trodi stimolatori (uno nel ventricolo destro e uno a livello della parete posteriore del ventricolo sinistro), che rispondono in modo sincrono all’attività atriale, consente di ripristinare in gran parte la sincronia della contrazione ventricolare, migliorando la gittata sistolica e, quindi, il quadro clinico. Questa terapia, definita di risincronizzazione cardiaca , si è dimostrata anche in grado di migliorare la prognosi dei pazienti con indicazione al trattamento. Non essendo essa esente da complicanze legate alla procedura, la sua attuazione va prospettata a pazienti che rientrano nelle indicazioni cliniche per le quali si è dimostrata efficace.

In pazienti con grave insufficienza cardiaca cronica refrattaria a qualsiasi forma di trattamento, l’unica possibile terapia rimane il trapianto cardiaco . L’in-tervento di trapianto cardiaco presenta ormai un’alta percentuale di successi e una buona sopravvivenza (oltre il 60% a 5 anni), grazie al miglioramento dei trattamenti immunosoppressivi, purché esso venga eseguito in pazienti ben selezionati. Un problema del trapianto, tuttavia, è rappresentato dalla limitata disponibilità di donatori. Un’alternativa, ancora sperimentale e utilizzabile solo in pochissimi centri specializzati, è in questi casi l’im-pianto di un cuore artificiale meccanico che sostituisce parzialmente (o totalmente) la funzione di pompa del cuore; ciò può essere soprattutto utile per consentire la sopravvivenza di un paziente in previsione e in attesa di un intervento di trapianto di cuore. In pazienti con grave riduzione della frazione di eiezio-ne ventricolare sinistra, infine, è da considerare l’im-pianto di un ICD, il quale riduce significativamente la morte improvvisa di questi pazienti interrompendo eventuali aritmie fatali. L’indicazione all’ICD è cate-gorica in pazienti sopravvissuti a un arresto cardiaco o in cui è stato documentato un evento aritmico po-tenzialmente fatale (prevenzione secondaria). D’altro canto, sono tuttora discusse le indicazioni all’impianto di ICD a scopo profilattico in pazienti che non hanno mai avuto in precedenza eventi aritmici gravi (pre-venzione primaria). Sulla base di alcuni studi clinici le linee guida sull’argomento tendono a indicare l’im-pianto di un ICD in tutti i pazienti con FEVSn < 30-35%. Tuttavia, appare chiaro che la maggior parte di questi pazienti non ha eventi aritmici anche a lungo termine, per cui sarebbe auspicabile, anche a causa dell’eccessivo costo di questi dispositivi, la possibilità di individuare gruppi di soggetti che effettivamente hanno un rischio significativamente alto di andare incontro a morte improvvisa e che quindi possono trarre effettivo beneficio dall’impianto di un ICD.

Terapia dello scompenso con funzione sistolica preservata (scompenso diastolico) Nei pazienti nei quali lo scompenso è prevalentemente legato a un aumento delle pressioni intraventricolari per un’alterazione della funzione diastolica, l’obiettivo principale è di ridurre, con un oculato uso dei diuretici, le pressioni di riempimento ventricolare, in modo da eliminare o contenere i sintomi di congestione venosa a monte (dispnea, edemi periferici), evitando però di causare una riduzione eccessiva del precarico, che po-trebbe determinare una riduzione significativa della gittata cardiaca. Sono inoltre utili i farmaci che possono migliorare il rilasciamento ventricolare, come, in par-ticolare, gli ACE-inibitori, e i � -bloccanti, che prolun-gano il tempo di riempimento diastolico riducendo la frequenza cardiaca. Sebbene il trattamento farmacolo-gico migliori i sintomi e i segni di scompenso, non vi è attualmente dimostrazione che esso comporti in questi casi anche un miglioramento della prognosi.

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Capitolo 12 - SCOMPENSO CARDIACO

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Terapia dello scompenso acuto Sotto il termine scompenso acuto si possono far ri-entrare tre tipi principali di condizioni che hanno in comune caratteristiche di gravità che rendono necessario un trattamento intensivo, più o meno urgente, al fine di evitare un’evoluzione infausta in breve tempo. Queste condizioni comprendono fasi subacute di aggravamento dei segni e sintomi di scompenso (contrazione marcata della diuresi, aumento della dispnea e/o degli edemi periferici, riduzione della pressione arteriosa) che risultano re-frattari all’abituale trattamento cronico e quadri di più immediata gravità quali l’edema polmonare acuto e lo shock cardiogeno. L’ottimizzazione del trattamento nei pazienti più gravi (tipicamente quelli in shock cardiogeno) può trarre giovamento dal monitoraggio dei parametri emodinamici. Infatti, l’obiettivo ideale della terapia farmacologica nello shock cardiogeno è migliorare la perfusione periferica aumentando l’efficienza con-trattile del miocardio, cercando allo stesso tempo di ridurre (se aumentate) le resistenze periferiche. Que-sto scopo può essere ottenuto con l’uso combinato di farmaci inotropi e vasodilatatori. Tuttavia, in diversi casi le resistenze periferiche sono già ridotte per la prevalenza della vasodilatazione reattiva periferica, per cui spesso, e soprattutto quando non si riesce a ottenere un aumento apprezzabile della contratti-lità miocardica, l’obiettivo primario è, all’opposto, quello di aumentare le resistenze per sostenere la pressione a vantaggio della perfusione degli organi vitali più importanti. I parametri emodinamici da monitorare in questi pazienti sono rappresentati dalla pressione arteriosa, dalla pressione venosa cen-trale, dalla pressione arteriosa polmonare e dalla pressione diastolica nel ventricolo sinistro. Inoltre, per una valutazione completa della funzione car-diaca può essere importante la misurazione della pressione telediastolica nel ventricolo sinistro, che è, come detto, una misurazione del precarico. La pressione telediastolica ventricolare sinistra può es-sere misurata in corso di cateterismo cardiaco destro con relativa facilità posizionando un catetere (di Swan-Ganz ) per via venosa nelle cavità destre del cuore e quindi nelle arterie polmonari. Se la punta del catetere viene avanzata sino a incunearsi in un piccolo vaso polmonare, le pressioni registrate dal catetere saranno quelle del sistema a valle (capillari e vene polmonari, atrio e ventricolo sinistro), le quali, al termine della diastole, sono uniformi. La misura-zione di questo parametro può risultare importante, in quanto una pressione telediastolica ventricolare sinistra troppo bassa può suggerire la necessità di aumentare il precarico (mediante somministrazio-ne di liquidi) per aumentare una gittata depressa, mentre valori troppo alti suggeriscono la necessità di facilitare lo svuotamento del ventricolo riducendo sia il precarico sia il postcarico. Attraverso lo stesso catetere è possibile misurare anche la portata cardiaca con il metodo della diluizione. Si è già visto come

normalmente la portata cardiaca a riposo sia di circa 5 L/min. Un parametro che consente di esprimere ancora meglio l’adeguatezza del flusso circolatorio è rappresentato, tuttavia, dall’indice cardiaco, che viene ottenuto dal rapporto tra la portata cardiaca e la superficie corporea, e che normalmente è > 3 L/min/m 2 .

Diuretici L’uso di diuretici e.v., spesso ad alte dosi, costituisce un trattamento cardine delle forme di aggravamento di uno scompenso cronico e dell’edema polmonare acuto. I farmaci da utilizzare nelle forme di scompenso acuto sono essenzialmente i diuretici dell’ansa (furosemide, torsemide), che hanno effetto rapido e potente, oltre a un iniziale lieve effetto vasodilatatore arterioso.

Nitrati I nitrati e.v., in somministrazione continua, trova-no indicazione nelle fasi di destabilizzazione di uno scompenso cronico, quando è evidente l’aumento dell’edema interstiziale o alveolare a livello polmo-nare. Piccoli boli ripetuti di nitrati e.v. possono esse-re utilizzati, inoltre, in associazione ai diuretici, per ottenere una rapida riduzione del precarico ed even-tualmente anche di un’elevata pressione arteriosa, nell’edema polmonare acuto.

Nitroprussiato di sodio Il nitroprussiato di sodio è un vasodilatatore apparte-nente alla famiglia dei nitroderivati, ma che possiede anche azione vasodilatatrice arteriosa. I suoi effetti vasodilatatori sono rapidi e potenti, per cui va uti-lizzato sotto attento monitoraggio della pressione arteriosa. Esso può essere somministrato solo per via venosa e per brevi periodi. L’uso prolungato, infatti, può portare ad accumulo e intossicazione da cianati. Il nitroprussiato di sodio è quindi utile solo nei casi di scompenso acuto grave non rispondente alla terapia diuretica e ai nitrati. In particolare, può essere utile nello shock cardio-geno, in quanto, a dispetto della grave ipotensione, riducendo le aumentate resistenze periferiche può consentire un miglioramento dell’eiezione ventrico-lare, assicurando così il mantenimento di una certa pressione e di un flusso sufficiente nel circolo. Tut-tavia, bisogna prestare attenzione, in questi casi, a evitare un calo ulteriore della pressione che compro-metterebbe inevitabilmente la perfusione degli organi più importanti (in particolare dello stesso cuore).

Farmaci inotropi Glicosidi digitalici Somministrati e.v. possono essere utili nei casi di scompenso acuto complicato da fibrilla-zione o flutter atriale con elevata frequenza ventricola-re, grazie al fatto che possono ridurre la frequenza ven-tricolare, facilitando il riempimento cardiaco. L’azione inotropa, inoltre, può anche essere utile per contribuire a risolvere un quadro di aggravamento di uno scom-penso cronico o un edema polmonare acuto.

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Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO 306

Amine simpaticomimetiche Sono utilizzate so-prattutto per risolvere casi di aggravamento suba-cuto o progressivo di scompenso o nei casi di shock cardiogeno. Le amine utilizzate nella terapia dello scompenso comprendono la dobutamina e la dopa-mina. A basse dosi questi farmaci (in particolare la dopamina) dilatano le arteriole renali e facilitano la perfusione renale, migliorando la diuresi. Con l’au-mento delle dosi, essi aumentano l’inotropismo car-diaco stimolando i recettori � -adrenergici, mentre a dosi più alte causano vasocostrizione, aumentando quindi le resistenze periferiche e la pressione arte-riosa. Questi farmaci, inoltre, incrementano anche la frequenza e l’eccitabilità del cuore, aumentando quindi il fabbisogno miocardico di O 2 e facilitando l’insorgenza di aritmie, con possibili effetti disa-strosi in caso di ischemia. Per questi motivi, essi devono essere impiegati solo per brevi periodi e sotto attento monitoraggio degli effetti clinici ed emodinamici. Nei casi di shock cardiogeno particolarmente grave, nei quali la pressione arteriosa sistolica rimane parti-colarmente bassa (< 60 mmHg), si può ricorrere all’uso di noradrenalina, che ha azione vasocostrittrice più marcata.

Inibitori della fosfodiesterasi Questi farmaci au-mentano l’inotropismo cardiaco aumentando la con-centrazione intracellulare di AMP ciclico mediante inibizione della sua degradazione da parte dell’enzi-ma fosfodiesterasi. L’accumulo di AMP ciclico nelle cellule miocardiche fa aumentare la concentrazione di Ca 2+ e stimola la contrazione, mentre nelle cellule muscolari lisce dei vasi riduce la concentrazione di Ca 2+ causando vasodilatazione. Studi clinici controllati hanno dimostrato che, sebbene questi farmaci possa-no migliorare i sintomi di uno scompenso acuto grave nell’immediato, quando continuati anche per brevi periodi finiscono con l’essere associati a un aumento

della mortalità. Come per le catecolamine, quindi, il loro uso è limitato alle fasi acute e a brevi periodi.

Morfi na La morfina, somministrata e.v., può essere utile a risolvere un edema polmonare acuto. Essa, infatti, riduce, come i nitrati, il ritorno venoso. Allo stes-so tempo, la morfina può ridurre anche la reazione adrenergica alla componente di agitazione e di ansia che sono spesso associate al grave quadro clinico. Il farmaco va tuttavia somministrato con attenzione, a dosi refratte, per la possibilità di depressione del centro del respiro e, quindi, di arresto respiratorio.

Terapia non farmacologica In caso di edema polmonare acuto, un accorgimento utile, quando non sono immediatamente disponibili i farmaci (e comunque attuabile anche in aggiunta ai far-maci), consiste nel porre dei lacci attorno alla radice de-gli arti inferiori in modo da ridurre il ritorno venoso. Nei pazienti con infarto miocardico acuto, insorto da poche ore, che si presentano in stato di shock, la contrattilità miocardica e, quindi, il quadro clinico possono essere migliorati da una tempestiva rivasco-larizzazione miocardica con angioplastica primaria. Questo tipo di intervento, in effetti, ha consentito di ottenere una certa riduzione della mortalità ospeda-liera di questo tipo di pazienti (dall’80 al 60% circa), anche se essa rimane comunque molto alta. In questi pazienti, inoltre, la perfusione coronarica può essere aiutata dalla contropulsazione aortica (cioè dal posi-zionamento in aorta discendente di un palloncino che si gonfia in diastole e si sgonfia in sistole). Nei pazienti, infine, nei quali lo shock cardiogeno è legato a complicanze meccaniche acute (si veda il Capitolo 5), il trattamento di elezione, laddove possibile, consiste nella rimozione o riparazione della causa dello shock. Anche in questo caso, comunque, la mortalità rimane elevata.

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