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CARD. CHARLES JOURNET TEOLOGIA DELLE INDULGENZE Titolo originale dell'opera THEOLOGIE DES INDULGENCES (da «Nova et vetera », 1966, II, Fribourg) IMPRIMATUR E Vicariatu Urbis, die 15 Nov. 1966 ALOISIUS Card. Vicarius

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CARD. CHARLES JOURNET

TEOLOGIA DELLE INDULGENZE

Titolo originale dell'opera THEOLOGIE DES INDULGENCES (da «Nova et vetera », 1966, II, Fribourg)

IMPRIMATUR

E Vicariatu Urbis, die 15 Nov. 1966

ALOISIUS Card. Vicarius

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Indice

INTRODUZIONE ............................................................................................................................................................ 3

IL PROGRESSO OMOGENEO DELLA DOTTRINA CRISTIANA ................................................................................................ 3 VIA PROGRESSIVA DELLA «STORIA» DELLE DOTTRINE E VIA REGRESSIVA DELLA «CONTEMPLAZIONE» DELLE DOTTRINE

....................................................................................................................................................................................... 3

I PRESUPPOSTI DELLA DOTTRINA DELLE INDULGENZE ............................................................................... 4

COME PORRE LA DOTTRINA DELLE INDULGENZE ............................................................................................................. 4 LA COLPA E LA DUPLICE PENA DEL PECCATO .................................................................................................................. 4 ETERNIZZAZIONE DELLA COLPA E DELLA PENA .............................................................................................................. 5 LA GIUSTIFICAZIONE DEL PECCATORE ............................................................................................................................ 5 LA PENA TEMPORALE DEL PECCATO E LA LEGGE DELLA RIEQUILIBRAZIONE DELL'UNIVERSO ......................................... 5 LA MISTERIOSA RIEQUILIBRAZIONE REDENTRICE DI CRISTO E L'INVITO RIVOLTO AI CRISTIANI ...................................... 6 IL BATTESIMO NELLA MORTE DI CRISTO ......................................................................................................................... 6 IL TESORO RIVERSIBILE DELLE SOFFERENZE DI CRISTO PER IL SUO CORPO MISTICO CHE È LA CHIESA............................ 7 IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA ................................................................................................................................ 7 PERSISTENZA DELLA PENA TEMPORALE DEL PECCATO PERDONATO ................................................................................ 8 IL PRIMATO DELLA CARITÀ. CONVERSIONI STRAORDINARIE E CONVERSIONI COMUNI .................................................... 9 SODDISFAZIONE SACRAMENTALE E SODDISFAZIONE DELLE LIBERE OPERE DI PENITENZA ............................................. 10 IL PURGATORIO ............................................................................................................................................................. 10

LA DOTTRINA DELLE INDULGENZE .................................................................................................................... 12

LA SODDISFAZIONE È IN FONTE IN CRISTO E DERIVATA NEI CRISTIANI (24) .................................................................. 12 IL TESORO DELLE SODDISFAZIONI SOVRABBONDANTI DI CRISTO E DEI SANTI. LA BOLLA DI CLEMENTE VI ................. 13 TRE DOTTRINE CONNESSE: UN DEBITO, UN TESORO, UNA RIVERSIBILITÀ ...................................................................... 14 LA RIVERSIBILITÀ PER SEMPLICE INTERCOMUNICAZIONE DELLA CARITÀ...................................................................... 14 LA RIVERSIBILITÀ PER DIREZIONE DI INTENZIONE O LE INDULGENZE ............................................................................ 15 IL COMPITO DEL POTERE DELLE CHIAVI ........................................................................................................................ 15 LE DISPOSIZIONI RICHIESTE PER AVERE LE INDULGENZE ............................................................................................... 16 INDULGENZA PLENARIA E INDULGENZA PARZIALE ........................................................................................................ 17 L'INDULGENZA DATA DIRETTAMENTE AI VIVI PUÒ ESSERE TRASFERITA AI DEFUNTI A MODO DI SUFFRAGIO ................. 17 LA BOLLA «CUM POSTQUAM» DI LEONE X AL GAETANO ............................................................................................. 18 UN CAMBIAMENTO NON NELLA DOTTRINA MA NEL VOCABOLARIO. L'INDULGENZA «PER MODUM ABSOLUTIONIS» ..... 18 LA DOTTRINA DELLE INDULGENZE RAPPRESENTA UNO SVILUPPO OMOGENEO DELLA DOTTRINA CRISTIANA ................ 19 DETTA DOTTRINA È IRRIDUCIBILE AL MATERIALE CHE L'HA PREPARATA ...................................................................... 20 GLI USI PENITENZIALI ANTERIORI ALLE INDULGENZE ................................................................................................... 20

CONCLUSIONI .............................................................................................................................................................. 21

SACRAMENTALI E INDULGENZE .................................................................................................................................... 21

NOTE ............................................................................................................................................................................... 22

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INTRODUZIONE

Il progresso omogeneo della dottrina cristiana

Il deposito della rivelazione, conclusasi con la morte dell'ultimo degli apostoli, è affidato alla

Chiesa, alla quale Cristo ha promesso la sua assistenza continua fino alla consumazione dei secoli

perché fosse santamente conservato e fedelmente spiegato e sviluppato (1).

Il fatto dell'«esplicitazione» progressiva di una dottrina nel corso dei secoli è normale nella

Chiesa; queste successive prese di coscienza del deposito iniziale sono altrettante testimonianze

della sua vita interiore. Il ritorno alla sorgente deve dunque essere inteso non come un metterne tra

parentesi, ancor meno come un mettere in dubbio, le dottrine ulteriormente esplicitate, ma come un

riallacciamento di queste alla rivelazione originale. In questo caso l'illuminazione è scambievole: la

rivelazione primitiva illumina le sue «esplicitazioni», e le «esplicitazioni» a loro volta permettono

una nuova lettura, più attenta, della rivelazione stessa. Le definizioni del Concilio di Calcedonia,

scaturite dal Vangelo, ci aiutano a rileggere il Prologo di san Giovanni; quelle di Trento, a rileggere

le parole di Gesù che istituisce l'Eucarestia; quelle del primo Concilio Vaticano, a rileggere le

parole di Gesù a san Pietro, ecc. Il criterio di verità di una «esplicitazione» non è affatto la data

della sua apparizione nel tempo, ma l'omogeneità del suo contenuto con il deposito iniziale: «La

religione, scrive san Vincenzo di Lérins (2), non è dunque suscettibile di alcun progresso nella

Chiesa del Cristo? Certamente, ne deve esistere uno e considerevole... Ma a condizione che questo

progresso costituisca veramente per la fede un progresso (profectus), e non una alterazione

(permutatio)». A questo punto seguono le parole che saranno riportate dal primo Concilio Vaticano

(3): «Che crescano dunque e progrediscano largamente l'intelligenza, la scienza, la sapienza... ma

conformemente alla loro natura, cioè in una medesima dottrina (dogma), in un medesimo senso

(sensu), in una medesima credenza (sententia)».

Via progressiva della «storia» delle dottrine e via regressiva della «contemplazione» delle

dottrine

La storia sarà certamente preziosa per far conoscere l'apparizione di una dottrina; ma questa

dottrina, una volta riconosciuta dalla Chiesa, illuminerà retrospettivamente i giudizi di valore che lo

storico cattolico porterà sugli avvenimenti che l'hanno preparata. Una sola luce, quella della

rivelazione proposta dal magistero della Chiesa, rischiara le due vie complementari della teologia

cattolica: la via della storia delle dottrine che è progressiva, in quanto ricostruisce la teologia a

partire dal dato primitivo e dalle origini come queste risultano dal documento; e la via della

contemplazione delle dottrine che è regressiva, in quanto parte dal termine storico dell'evoluzione

tradizionale che essa considera come acquisito per risalire da quello alle sorgenti e rivelarcene le

profondità. (4)

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I PRESUPPOSTI DELLA DOTTRINA DELLE INDULGENZE

Come porre la dottrina delle indulgenze

Le verità della dottrina cristiana non si pongono sul medesimo piano. Esse sono tra loro

disposte in ordine gerarchico. Avviene ciò che accade in un albero, nel quale si distinguono le

radici, il tronco, i rami, le fronde; o come nel corpo umano, dove si distinguono il cuore, le arterie, i

vasi capillari. La dottrina delle indulgenze è simile alle fronde di un albero, ai vasi capillari

dell'uomo. E' una dottrina secondaria. Essa è apparsa nel corso dei secoli e in Occidente, come i

ramoscelli di un albero vigoroso e delicato a un tempo. È potuta rimanere lungo tempo non

conosciuta, non manifestata. Non correva alcun pericolo rimanendo tale. Ma succederebbe

altrimenti quando, una volta manifestatasi nella sua verità, incominciasse ad essere volutamente

ignorata, rifiutata, respinta. L'essiccarsi dei ramoscelli più periferici di un albero, la disfunzione dei

vasi capillari non sono di per sé disastrosi, ma preoccupano il coltivatore o il medico perché

possono essere l'indizio di disordini nefasti e più nascosti.

La dottrina delle indulgenze riguarda «la remissione della pena temporale dovuta ai peccati

già perdonati». Essa suppone una presa di coscienza progressiva dell'insegnamento del Vangelo e di

S. Paolo sulla natura del peccato; sulla situazione in cui questo pone l'uomo in rapporto a Dio e al

mondo, con la conseguente nozione di pena sia eterna che temporale del peccato; sulla natura del

perdono che viene da Dio per mezzo di Cristo; sulla parte che Cristo assegna alla sua Chiesa nella

dispensa del perdono o remissione del peccato, sia per mezzo dei sacramenti del battesimo e della

penitenza, sia per mezzo del potere di legare e di sciogliere; sul ruolo del peccatore stesso che,

sospinto dalle premure della mozione divina, passa dal peccato alla giustificazione e all'amore di

Dio; sulla natura dell'aiuto che può innanzi tutto ricevere dagli altri, e in seguito ricambiarlo a sua

volta, per il fatto del suo inserimento in una comunione di santi che unisce nella carità la Chiesa

tutta intera, prima peregrinante sulla terra, poi sofferente nel purgatorio, in fine gloriosa in cielo.

Il rifiuto cosciente della dottrina stessa delle indulgenze presupporrà il rifiuto o la

misconoscenza di uno o più punti della dottrina cristiana che abbiamo ora riassunto. Inversamente

la dottrina delle indulgenze sarà illuminata dallo studio di questi stessi punti.

La colpa e la duplice pena del peccato

Sotto gli impulsi segreti della grazia che bisogna sempre presupporre, l'uomo rimane libero,

cioè egli è messo in condizione di preferire Dio a se stesso, e ciò costituisce la santità; o preferire se

stesso a Dio, ed è il peccato, la tragedia del peccato. Questa comporta una colpa e un duplice

disordine, una duplice pena, perché la pena segue il disordine come l'ombra segue il corpo.

L'uomo preferisce se stesso a Dio: ecco l'offesa, l'oltraggio, la colpa (culpa) del peccato. Egli

si oppone a Dio, il Bene infinito che solo può colmare il suo cuore; di conseguenza egli scava

deliberatamente in se stesso un vuoto, una privazione di un Bene che è infinito; ecco la pena, la

privazione infinita, chiamata «pena del danno» (poena danmi).

Ma è per attaccarsi disordinatamente a qualche cosa, a un bene creato, che l'uomo si

allontana da Dio; nello stesso tempo egli viola l'ordine provvidenziale dell'universo, nel quale era

vantaggioso per lui inserirsi; di conseguenza egli scava in se stesso un vuoto, una privazione di un

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bene che è finito e creato; l'ordine dell'universo finirà per prevalere contro di lui, il disordine che

egli ha introdotto finirà per riversarsi su di lui come una privazione da lui sofferta; ecco la pena

finita, chiamata «pena del senso» (poena sensus), perché essa si estende fino a riparare, nella misura

in cui è stato contrastato, l'ordine della natura sensibile medesima, che noi preferiremmo chiamare

pena cosmica, pena della creazione, poiché essa è come la rivincita dell'universo, del cosmo, contro

la violenza fattagli dal peccato dell'uomo (cfr. Rom. 8, 20). (5)

Eternizzazione della colpa e della pena

La morte, qualora sorprenda il peccatore in questo stato, non sopprime, ma eternizza la colpa

e la ribellione della sua volontà contro Dio e contro l'ordine provvidenziale dell'universo.

Conseguentemente, essa eternizza la duplice pena del peccato mortale: la privazione della pace con

Dio, o pena infinita del danno, e la privazione della pace con l'universo, o pena del senso. Queste

due pene o privazioni, l'una infinita poiché è privazione di un Bene increato, l'altra finita poiché è

privazione di un bene creato, sono ormai senza termine. L'eternità della pena è una conseguenza

non, a rigore di termine, della gravità, ma della irremissibilità della colpa. C'è un passaggio a

livello dalla ribellione del peccato mortale alla ribellione dell'inferno, come c'è passaggio a livello

dalla carità della terra alla carità del cielo. La morte è il segnale di questi due passaggi irreversibili.

La giustificazione del peccatore

Ma al posto della morte, c'è il perdono di Dio e la grazia immeritata della giustificazione che può

folgorare il peccatore e trasferirlo dalle tenebre in una luce mirabile (1 Pt. 2, 9). Il peccatore sarà

stato forse sollecitato precedentemente da illuminazioni, da rimorsi, da desideri di perdono, come il

figliuol prodigo nel suo esilio (Lc. 15, 17); ma la giustificazione, il passaggio decisivo dalla notte al

giorno, è repentino. Egli si era allontanato da Dio per preferirgli pazzescamente il mondo; in un

attimo, sotto l'impulso invadente dell'amore di carità, al quale egli non deve altro come la

pecorella smarrita che il pastore va a ritrovare che consentire, sine nobis deliberantibus sed non

sine nobis consentientibus, viene strappato alla sua pazzia e convertito a Dio, lanciato in Dio,

gettato in Dio. Con la carità diffusa nel suo cuore, gli viene donato lo Spirito Santo in persona

(Rom. 5, 5). La pena del danno, la privazione del Bene infinito è ormai, e per sempre, abolita per

lui. Che avviene però della pena del senso?

La pena temporale del peccato e la legge della riequilibrazione dell'universo

Il peccatore è ora perdonato. Ed è nella luce di Dio che egli può considerare la sua colpa. Il

suo primo gesto sarà quello di sconfessarla, per averne rincrescimento e quindi dolore, contrizione.

Ma non è tutto. Egli si rende conto che, usando male della sua libertà, ha introdotto in se stesso e

nel corso degli avvenimenti di quaggiù, per quanto dipendono da lui, un disordine, uno squilibrio.

Egli non può fare in modo che ciò che è stato fatto non sia stato fatto, che l'ordine provvidenziale

assegnato da Dio all'universo non sia stato violato. Ma ora che egli si trova nell'amore di Dio, non è

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ridotto alla impotenza e all'inazione. Sotto l'impulso stesso dell'amore che dà vita a ogni cosa, si

sentirà trasportato a prendere delle iniziative contrarie a quelle con le quali egli ha perturbato il

mondo; cercherà così, per quanto gli è possibile, di compensare, di controbilanciare il disordine

introdotto nel mondo da lui e dagli altri se è stato avaro con una più stretta povertà, se è stato

impuro con una più rigida purezza, se è stato orgoglioso con una più profonda umiltà e di

riequilibrare in questo modo l'ordine sconvolto dell'universo. Perché questo è retto da una specie di

«principio d'Archimede» metafisico, da una legge ontologica di uguale pressione tra il tutto

universale e il tutto in particolare della persona umana, centro di attività libera. L'equilibrio rotto dal

mio peccato sarà sempre ricomposto: o dalla santità dell'ordine provvidenziale contro il quale io

persisto a cozzare, a ferirmi: ecco la pena del castigo (per quelli che sono nell'amore, essa ha

cessato di essere eterna, è espiabile e temporale); o con la libera e amorevole riparazione del mio

disordine: ecco il compenso o la soddisfazione (6).

La misteriosa riequilibrazione redentrice di Cristo e l'invito rivolto ai cristiani

Ci è stato proposto un esempio maggiore di riequilibrazione della pena del senso con

l'accettazione amorosa della prova. La colpa del primo Adamo è stata perdonata e il racconto

biblico della sua caduta si apre su un'aurora. Ma la pena della sua colpa, la morte con il suo corteo

di miserie, continua a infierire lungo tutto il corso della nostra storia (Rom. 5, 12; 1 Cor 15, 26). Il

secondo Adamo è venuto a compensare questi disordini. Ma come? Egli è entrato nel battesimo

stesso nel quale Giovanni convogliava la folla dei peccatori, si è incaricato di saldare il debito del

loro peccato «affinché ogni giustizia sia compiuta» (Mt 3, 15). Colui, dice l'Apostolo, «che non

aveva conosciuto il peccato è stato fatto peccato per noi» (2 Cor 5, 21; Gal. 3, 13). Come ha

riequilibrato il debito del peccato, in che modo ha soddisfatto per il peccato? Non allontanando le

sofferenze e la morte, ma prendendole su di sé, non eliminandole, ma più misteriosamente

illuminandole, trasfigurandole con il suo amore, per cambiare proprio quello che era per noi pena

del peccato, «retribuzione del peccato» (Rom. 6, 23), in compensazione e supercompensazione

redentrici.

Il battesimo nella morte di Cristo

Cristo entra nel battesimo con il potere di trasfigurare la morte. E quando ci invita a entrare a

nostra volta nel suo battesimo, a essere «battezzati nella sua morte» (Rom. 6, 3), che cosa può

questo significare se non il suo desiderio di assimilarci a lui, di associarci secondo la nostra povera

maniera alla sua morte redentrice, di cambiare la nostra propria morte, che costituisce per ciascuno

di noi pena e retribuzione del peccato, in morte cristiana, nella quale si rifletteranno gli splendori

della sua propria morte, sorgente sovrabbondante di compensazioni, di soddisfazioni, di redenzione

per il mondo intero?

Se ciò quindi è vero, se, per ciascuno dei battezzati nell'amore di Cristo, la morte stessa,

pena del peccato originale, può essere illuminata e può pertanto contribuire nel senso indicato

dall'Apostolo, (cfr. Col. 1, 24) alla riequilibrazione dell'universo, non è forse evidente che per i

battezzati nell'amore di Cristo, le libere iniziative che essi prenderanno allo scopo di compensare i

disordini della loro propria vita e di soddisfare per le proprie colpe, potranno contribuire, sotto lo

sguardo di Dio, alla riequilibrazione della loro povera vita? «O re, espia i tuoi peccati facendo

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giustizia e le tue iniquità usando misericordia ai poveri» (Dn. 4, 24). Passando sotto la legge di

Cristo, il consiglio del Profeta non dovrà "abolirsi" ma "compiersi".

Il tesoro riversibile delle sofferenze di Cristo per il suo Corpo mistico che è la Chiesa

Fermiamoci un istante. Abbiamo ora accennato a un punto centrale. Cristo entrando nella

morte diviene una sorgente di compensazione sovrabbondante per il peccato, capace di riversarsi su

quelli che saranno battezzati nel suo amore e nella sua morte. Cristo è il Capo, essi sono le membra.

L'Apostolo lo sapeva, dal momento della rivelazione sulla strada di Damasco (Atti, 9, 4), e non lo

ha mai dimenticato (Efes., 1, 23; Col., 1, 18). Cristo e la Chiesa, il Capo e le membra unite a lui per

mezzo della carità non formano che una sola persona (1 Cor., 12, 12-13), quasi una persona

mystica, dirà san Tommaso (7). Ormai la redenzione, la compensazione sovrabbondante che egli ha

dato per il peccato è da loro partecipabile; essa potrà, così come il suo amore, essere loro

comunicata; potrà riversarsi su di loro; si potrà parlare della riversibilità della redenzione e della

soddisfazione di Cristo sulle sue membra.

Il Redentore ci ha «riscattati per Dio al prezzo del suo sangue» (Apoc., 5, 9). L'amore di

Gesù in Croce per il Padre, che ha comportato per sopraggiunta la riparazione di tutti i disordini dei

nostri peccati, questo amore riparatore e redentore, riversibile su noi, da noi partecipabile, è un

tesoro. Questo "prezzo" della nostra redenzione (1 Cor., 6, 20; 7, 23) è un tesoro, è il nostro tesoro.

La parola tesoro è una parola utilizzata da Gesù per significare i beni supremi: «Dov'è il tuo tesoro,

là sarà anche il tuo cuore» (Mt., 6, 21). Se questa parola è un'immagine, non è vana, essa ricopre

immense e preziose realtà. Essa addita il rimedio completo che Cristo ha preparato per le nostre

pazzie, tutte le virtù e le ricchezze della Croce redentrice.

La redenzione del mondo è un tesoro, e questo tesoro è stato acquistato da Cristo per il suo

corpo mistico che è la Chiesa. E' un tesoro della Chiesa, il supremo tesoro della Chiesa. E' essa che

Cristo ha costituita depositaria e dispensatrice del mistero di salvezza nascosto da secoli in Dio

(Efes., 3,9). Essa lo dispensa con diversi mezzi. Per mezzo della predicazione evangelica. Per

mezzo anche dei sacramenti della nuova Legge. Due di questi sacramenti sono destinati a purificare

dal peccato: il battesimo al quale abbiamo testè fatto cenno, e il sacramento della penitenza.

Il sacramento della penitenza

«I discepoli furono ripieni di gioia alla vista del Signore. Egli disse loro ancora una volta:

Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, così io mando voi. Ciò detto soffiò su di loro e disse:

Ricevete lo Spirito Santo. Coloro ai quali rimetterete i peccati, saranno rimessi; coloro ai quali li

riterrete, saranno ritenuti». (Gv., 20, 21-23).

Il Padre manda Gesù, dandogli potere di rimettere i peccati con autorità: «Confida, figliuolo,

i tuoi peccati ti sono rimessi... Ora, affinché voi sappiate che il Figlio dell'uomo ha sopra la terra il

potere di rimettere i peccati...» (Mt., 9, 2-8); «Chi è costui che perdona anche i peccati?» (Lc. 7,

49). E Gesù a sua volta manda i suoi discepoli dando loro lo straordinario potere di intervenire con

autorità e con discernimento. Nella remissione dei peccati essi dovranno discernere, dovranno

giudicare se sia conveniente rimettere o ritenere.

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Qualunque condizione la Chiesa abbia potuto mettere nel volger dei secoli al suo esercizio,

essa è sempre stata conscia di detenere dal suo Salvatore risuscitato questa straordinaria missione di

intervenire con autorità nella remissione dei peccati.

Ma, d'altra parte, è impossibile che i peccati siano rimessi senza la conversione del cuore; e

il Salvatore che agiva con autorità, non li rimetteva mai senza far nascere il pentimento interiore.

Ciò pure la Chiesa ha sempre saputo.

Ed è con queste due certezze fondamentali, tutte e due evangeliche, che essa ha preso il via

per un lungo viaggio attraverso i secoli. Con una terza certezza ancora, evangelica essa pure, quella

di essere protetta, nella sua missione di conservare e di esplicare il deposito rivelato, da una

assistenza divina, sia prudenziale nei campi della ricerca, degli studi, delle incertezze, sia assoluta

nei campi in cui, impegnandosi completamente, la Chiesa definisce la sua dottrina. Durante il suo

viaggio dunque, i due principi fondamentali che sembrano escludersi cioè il perdono del peccato

per mezzo della autorità e il perdono del peccato per mezzo della conversione a Dio e della carità

entrano simultaneamente in azione, e, con le loro esigenze scambievoli, aprono una prospettiva alle

ricerche dei teologi. La loro prima preoccupazione, nel XII secolo, è di pensare a una

giustapposizione. Si distingue la assoluzione del sacerdote e il pentimento del peccatore; vengono

considerati come agenti successivamente e si cerca di attribuire loro degli effetti differenti. (8) Ma

una riflessione più approfondita potrà fare convergere tutti gli sforzi e permettere l'apparizione, nel

secolo XIII, con san Tommaso, di una sintesi dottrinale del sacramento della penitenza, accolta nel

secolo XV dal Concilio di Firenze, (9) e pienamente sviluppata, nel secolo XVI, dal Concilio di

Trento. (10)

L'assoluzione del sacerdote e il pentimento del peccatore non dovranno essere considerati

separatamente. Essi agiscono come le due parti costitutive di un unico sacramento cioè di un unico

mezzo privilegiato di cui Cristo stesso si serve per conferire la pienezza del suo perdono: «Come il

Padre ha mandato me, Io mando voi... Quelli a cui rimetterete i peccati, saranno rimessi...» (Gv. 20,

21 e 23).

Le iniziative partono sempre da Dio, dalle sue inesplicabili misericordie. E' lui che fa

nascere nel cuore del peccatore i primi movimenti di una contrizione ancora imperfetta, i primi

desideri di rinuncia alle sue colpe, di confessarle, di ripararle. E' Dio ancora che, nel momento in

cui, in seguito all'accusa del peccatore, è pronunciata la assoluzione del sacerdote, cioè nell'istante

preciso nel quale si compie il sacramento, irrompe per mezzo della sua carità nell'anima del

peccatore un poco come aveva fatto nel battesimo per portarlo, sotto la pressione stessa di

questa carità, alla confessione radicale della sua colpa e al bisogno amoroso di adoperarsi per

compensare, in primo luogo compiendo la soddisfazione che gli viene imposta sacramentalmente

dal confessore, i disordini a catena che egli ha introdotto nel mondo.

Persistenza della pena temporale del peccato perdonato

Eccoci nuovamente in presenza di disordini introdotti nel mondo da una colpa della libertà

dell'uomo, e davanti alla necessità di una riequilibrazione ora possibile di questi disordini per mezzo

di una pena compensatrice. La morte, sorprendendo il peccatore, avrebbe eternizzato la sua colpa, e

simultaneamente la sua duplice pena, l'una infinita (pena del danno), l'altra finita (pena del senso)

cioè il sopravvento dell'ordine universale sulla rivolta della persona umana. Ma, al posto della

morte, un raggio della grazia divina è caduto sul peccatore; allora, perdonata la sua colpa e ritrovata

la carità, la pena del senso che egli deve subire cessa di essere irreparabile per diventare riparabile,

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cessa di essere eterna per diventare temporale. Ecco la nozione di una pena temporale dovuta al

peccato già perdonato, che deve ora occupare la nostra attenzione.

Detta pena è più misteriosa forse di quanto pensiamo. In ogni caso la Chiesa ne ha avuto

sempre la più viva coscienza. Per far capire di che si tratta, abbiamo richiamato alla memoria la

colpa del primo uomo. Essa gli è stata stupendamente perdonata. Alla grazia di Adamo è succeduta

la grazia di Cristo. Felix culpa. Nondimeno l'originaria armonia dell'uomo con l'universo rimane

infranta (11). La creazione che l'uomo doveva assoggettare a sé (Gen. 1, 28) rimane a causa della

sua colpa e nei rapporti che egli ora ferito mantiene con essa, asservita alla vanità, abbandonata fino

al giorno della parusia alla schiavitù della corruzione (Rom. 8, 20-21). Il disegno della redenzione

non è tuttavia di abolire la morte e le penalità della vita presente, ma, cosa più preziosa, di

illuminarle e di far servire le sofferenze ai fini dell'amore.

Il primato della carità. Conversioni straordinarie e conversioni comuni

In quanto veniva trasmesso all'umanità, il peccato di Adamo era un peccato di natura. Non

poteva essere compensato, nel modo già ricordato, che dalla redenzione del secondo Adamo, il

Cristo. Ai peccati che commettiamo personalmente, ci sarà possibile, sotto l'impulso della carità

ritrovata per mezzo del perdono di Cristo, portare una compensazione personale.

Due punti sono ora da tener presenti:

Innanzi tutto, in quello che noi intraprendiamo sotto l'impulso dell'amore per compensare i

nostri peccati, ciò che supera tutto, ciò che è essenziale, sono i progressi stessi di questo amore il

quale, esercitandosi in questa maniera, s'accresce e si intensifica. La remissione della pena

temporale dei nostri peccati non è che secondaria nell'ordine dei valori, non può venire che in

sovrappiù. Essa non è per l'amore che un'occasione per esercitarsi. E' preferibile entrare in

purgatorio con una maggiore carità, che evitarlo con una carità meno intensa, quella per esempio

dei bambini morti subito dopo il battesimo. Chiunque dimentichi questo primato dell'amore «mezzo

universale della nostra salvezza, che si mescola dappertutto, e senza il quale nulla è salutare», (12)

si condanna a non comprendere più nulla nella dottrina della remissione della pena temporale del

peccato e a renderla del tutto incomprensibile.

Il secondo punto è ugualmente importante. La giustificazione del peccatore, la sua

conversione a Dio, può avvenire sotto il dominio di una carità talmente forte e provocare nel suo

cuore una contrizione così intensa, un dolore talmente profondo dei suoi peccati passati, che la pena

loro dovuta si troverà all'improvviso totalmente scontata. «Hodie mecum eris in paradiso» (Lc. 23,

43). Ma tali conversioni sono eccezionali. I teologi le considerano come miracolose; essi pensano

allora alle parole che Gesti rivolse alla peccatrice: «I suoi peccati, i suoi numerosi peccati, le sono

perdonati, perché ha molto amato» (Lc. 7, 47); o alla conversione di san Paolo. In questi casi la

carità potrà essere chiamata perfetta, non perché non possa e non debba ancora aumentare: «Siate

perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt., 5, 48), ma perché è radicalmente purificatrice

dell'essere intero del peccatore. (13)

Più spesso la mozione divina comincia con lo strappare l'uomo al suo peccato per stabilirlo

nella carità. Il suo cuore è ora capovolto. Il minimo grado di vera carità è sufficiente a lavare le sue

peggiori macchie e a provocare in lui una «contrizione perfetta» (così chiamata perché deriva dalla

carità stessa considerata nel suo infimo grado: contrizione perfetta non è sinonimo di carità

perfetta), cioè una sconfessione completa della sua colpa e un desiderio di ripararla. Consacrandosi

a questo compito, la sua carità esordiente (inchoata) troverà modo di crescere, e crescendo di

perfezionarsi. (14)

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Quando la carità sarà diventata perfetta, quando avrà attraversato le notti purificatrici dei

sensi e dello spirito, quando sarà sboccata nell'unione trasformante, allora non saranno più soltanto

le pene del peccatore a essere purificate, ma lui stesso interamente fino alle radici del suo

incosciente psichico. Il cammino da percorrere è lungo e, per noi poveri cristiani, non è in questa

vita, ma nell'aldilà che il termine dell'unione trasformante potrà essere raggiunto.

La carità che è in noi, anche se verace, vive unita a innumerevoli colpe veniali che, pur non

provocando la rottura con Dio, non sono prive di disordini da riparare e da compensare. E poiché

queste colpe, per le quali noi chiediamo ogni giorno perdono nel Padre nostro, ci accompagnano

per tutta la nostra vita, è tutta la nostra vita che ci converrà consacrare alla penitenza. La Chiesa lo

sa e non cessa di invitarci all'umiltà, alla preghiera, alle opere di penitenza, alla confessione

sacramentale. Ma al di là del ricorso ai mezzi di penitenza, la sua più grande cura sarebbe ben

poco perspicace chi non lo vedesse è quella di risvegliare nei cuori la fiamma di questa carità

senza la quale quando io avessi tutto compiuto e tutto donato, dice l'Apostolo, «io non sarei nulla»

(1 Cor, 13, 2).

Soddisfazione sacramentale e soddisfazione delle libere opere di penitenza

Il penitente si è presentato all'assoluzione del sacerdote con il proposito di soddisfare per il

suo peccato. Poi la grazia è scesa nel suo cuore. Sotto l'impulso di questa grazia, che si intensifica

esercitandosi, egli incomincia a compiere l'opera compensatrice o soddisfattoria che gli è stata

imposta dal confessore. (15) La compie con una carità più o meno viva. Essa viene accettata da Dio

in proporzione al fervore della carità: in materia di soddisfazione come altrove, ciò che conta, è più

l'amore che la cosa offerta. (16) Il penitente sarebbe quindi in regola con Dio? Può ritenersi

soddisfatto della sua soddisfazione? Pensarlo, sarebbe presunzione. La sua carità, facendosi più

esigente, lo porterà non solamente ad accogliere in spirito di amorosa penitenza le pene della vita e

della morte, ma anche ad andare incontro a soddisfazioni libere e spontanee (17). Tali sono le opere

soddisfattorie proposte nel Vangelo, le quali si dispongono sotto tre capi: l'elemosina (18), per

compensare l'attaccamento disordinato ai beni esteriori; il digiuno (19), per compensare

l'attaccamento disordinato ai beni corporali; la preghiera (20), per compensare l'attaccamento

disordinato all'amor proprio. Queste pratiche di penitenza portano rimedio alle tre bramosie che

riempiono il mondo: la brama degli occhi, la brama della carne, l'orgoglio della vita (1 Gv. 2, 16).

«Cristo ha sofferto una sola volta per i peccati, lui giusto per gli ingiusti... » (1 Pt. 3, 18). Simili

parole, che sono parole d'amore, illuminano la via del cristiano penitente. A volte egli s'accorge che

un sentimento di dolcezza pervade quelli che prendono sulle loro spalle il giogo del loro Signore.

Il purgatorio

La carità avrà permesso al cristiano, soprattutto nel momento in cui egli sentirà

approssimarsi la morte, di disapprovare le sue colpe veniali; altrimenti questa disapprovazione sarà

il primo atto dell'anima che entra in purgatorio (21). Ma avrà egli il tempo di riequilibrare il

disordine che dette colpe comportano? Ecco dunque l'anima che è nell'amore, ma sulla quale grava

il peso di una giustizia da compiere, di una pena non completamente espiata. Come potrà in questo

stato desiderare il contatto con la santità di Dio? In questo momento si aprono davanti a lei le porte

del purgatorio (22). Si sarebbe potuto evitare. In un certo senso il purgatorio è anormale. Esso è

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l'immensa misericordia che Dio riserva ai cristiani che sono morti nell'amore, ma che non hanno

saputo giungere fino in fondo alle esigenze purificatrici dell'amore. Il tempo del loro viaggio è

scaduto. Dovrebbero ora giungere al termine. Sentono che non possono. Ne deriva una sofferenza,

che è purificatrice. Essa consiste nel ritardo dell'ora dell'incontro. E' una specie di esilio, una

sofferenza nell'amore e dell'amore, ma soltanto espiatrice e soddisfattoria. L'amore ora non aumenta

più esercitandosi, come prima, nei giorni del loro pellegrinaggio. Esso si limita a lavare l'anima, a

togliere la polvere di cui è cosparsa, e in questo modo ad abbreviare il suo esilio.

Tuttavia, quaggiù, resta ancora aperta per i cristiani nel prolungamento delle opere

soddisfattorie che sarà loro domandato di compiere una via verso la remissione della pena

temporale del peccato, una via che permetta di sopperire, parzialmente o forse totalmente, alla

purificazione del purgatorio, e di affrettare, dopo la morte, l'istante dell'incontro con Dio. Detta via

è quella delle indulgenze (23).

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LA DOTTRINA DELLE INDULGENZE

Cerchiamo di proporre in primo luogo la dottrina delle indulgenze completamente

sviluppata, quella cioè che la Chiesa ha fatto sua. Essa potrà permetterei in seguito di illuminare

retrospettivamente certi usi penitenziali che hanno potuto preludere alla sua formazione.

La soddisfazione è in fonte in Cristo e derivata nei cristiani (24)

Il primo punto che dobbiam ricordare è che Cristo ci chiede, per quanto sta in noi, di

associarci alla soddisfazione che egli ha offerto per il peccato. «Noi tutti abbiamo ricevuto dalla sua

pienezza, grazia per grazia» (Gv., l, 16). Passando dal capo alle membra, da Cristo alla Chiesa, la

grazia non perde le sue proprietà; e come essa ha spinto Cristo a soddisfare, spingerà i cristiani a

entrare, sulle orme del Salvatore, nel grande movimento di riparazione a Dio per l'offesa del mondo.

Ciò che Cristo ha fatto, le sue membra cercheranno di fare a loro volta, seguendone l'esempio:

«Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi un modello, perché voi camminiate sulle sue tracce» (1 Pt.

2, 21). Come ci sarebbero simbiosi e sinergia tra la testa e il corpo, se l'azione iniziata nella testa

non si propagasse nel resto del corpo, se la sofferenza sopportata da Cristo non si compisse nei suoi

discepoli? «Io gioisco ora delle mie sofferenze per voi, e compio ciò che manca ancora alle pene di

Cristo, nella mia carne, per il suo corpo che è la Chiesa» (Cor, 1, 24).La soddisfazione scende da

Cristo alla Chiesa per mezzo di una specie di effusione. E' in fonte in Cristo, è derivata nella

Chiesa. E' perfetta e infinita in Cristo che è Dio; è imperfetta e finita nella Chiesa che è creatura. La

soddisfazione di Cristo vale per se stessa; da sola è capace di compensare a rigore di giustizia

l'offesa infinita del peccato e di penetrare fino in fondo ai cieli. Tutta la soddisfazione di un

semplice uomo, scrive san Tommaso, trae la sua efficacia dalla soddisfazione di Cristo: «omnis puri

hominis satisfactio efficaciam habet a satisfactione Christi» (25). Dal fatto che Cristo, che è il capo,

e i cristiani, che sono le membra, formano insieme una sola persona mistica, (una persona mystica),

continua il Gaetano (26), la soddisfazione dei cristiani è sostenuta da quella di Cristo. Il nostro

teologo riprenderà questo tema dieci anni dopo, il 13 maggio 1532, nel suo opuscolo De fide et

operibus (27), dedicato al papa Clemente VII, quando la controversia luterana avrà reso scottante

tale argomento. Cristo, dice egli, poteva da solo soddisfare per sua propria virtù; ma, essendo nostro

capo, in ragione della sovrabbondanza stessa (ex affluentia) della sua propria soddisfazione, giunge

fino a desiderare di soddisfare in noi e per mezzo nostro che siamo sue membra.

Infine la soddisfazione di Cristo era interamente sovrabbondante in questo senso particolare

che egli non doveva espiare per se stesso, essendo senza alcun peccato. Ma la soddisfazione che

offrono, uniti a Cristo, nascosti in Cristo, coloro che sono diventati per mezzo della carità sue

membra viventi, deve in primo luogo essere impiegata nel compensare le offese che essi hanno

causato con i loro propri peccati. E' solamente nei Santi, interamente purificati dall'amore, che le

sofferenze soddisfattorie cominciano a diventare sovrabbondanti e quindi sono capaci di riversarsi

su quelli che stanno loro intorno. «Essi vengono assimilati al Cristo in ciò stesso che egli ha sofferto

per gli altri, e le loro sofferenze, sorpassando i loro demeriti, potranno soddisfare per gli altri» (28).

Allorché sembra evidente che taluni di essi siano entrati nell'unione trasformante, le loro sofferenze

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invece di cessare diventano al contrario più intense, come pronte a riparare per le ingiustizie altrui.

Essi sentono ciò con tanta forza che non temono più per loro stessi il purgatorio, non che

misconoscano le pene del ritardo della visione beatificante chi le ha più vivamente presentite che

santa Caterina da Genova? ma perché gli ardori dell'amore sono diventati in loro più forti delle

pene del purgatorio (29). Ma al di sopra di tutti i Santi, chi è entrato più intimamente nella vita e

nella missione di Gesù, chi si è trovato più intensamente impegnato nel dramma della redenzione

del mondo se non la Vergine Maria, nella quale nessuna macchia né alcun disordine era da espiare,

e la cui sofferenza compensatrice, puro riflesso di quella del Figlio, poteva, essa pure, riversarsi

interamente sui nostri peccati?

Il tesoro delle soddisfazioni sovrabbondanti di Cristo e dei Santi. La Bolla di Clemente VI

«Soffrendo nella carità e nell'obbedienza, Cristo ha presentato a Dio qualcosa di più grande

di quanto esigesse la compensazione di tutta l'offesa del genere umano... La passione di Cristo

rappresenta una soddisfazione non solo sufficiente, ma sovrabbondante, per i peccati del genere

umano, secondo la I lettera di san Giovanni (2, 2). È Gesù Cristo, il giusto che è vittima di

propiziazione per i nostri peccati, non solamente per i nostri, ma anche per quelli del mondo intero»

(30). Sostenuta dalle sofferenze di Cristo, la sofferenza di coloro nei quali si riflette la sua

immagine diviene essa pure nella stessa maniera in cui un oggetto illuminato diventa luminoso

compensatrice.

Il valore compensatore, davanti alla giustizia di Dio, della sofferenza illuminata dalla carità

di Cristo è uno degli aspetti del mistero di salvezza nascosto fin dall'inizio dei secoli in Dio e

affidato da Cristo alla sua Chiesa, uno degli aspetti del tesoro della Chiesa. Un aspetto certo

secondario, ma che è un tesoro. Un tesoro della Chiesa intera pronto noi diremo in quale maniera

a riversarsi, per liberarli, su coloro la cui carità non è ancora arrivata a svincolarsi totalmente dalle

pastoie dei propri peccati.

«Il Figlio unico di Dio», scrive Clemente VI nella Bolla Unigenitus Dei Filius (27 gennaio

1343) «diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione (l Cor , 30), è entrato una

volta per sempre nel santuario, non con il sangue dei capri e dei vitelli, ma con il suo proprio

sangue, e ci ha acquistato una redenzione eterna (Ebr. 9, 12)... A meno che non si stimi il dono di

una tale effusione come privo di valore, vano, superfluo, chi potrà dire l'immensità del tesoro in tale

modo acquistato alla Chiesa militante da Cristo alla stregua di un padre che prepara per i suoi figli

un tesoro inesauribile...? Ad arricchire questo tesoro contribuiscono i meriti della beata Madre di

Dio e quelli di tutti gli eletti, dal primo all'ultimo... » (31).

La diciassettesima proposizione condannata da Leone X nella Bolla Exsurge Domine (15

giugno 1520) dice: «I tesori della Chiesa, dai quali il Papa trae le indulgenze, non sono i meriti di

Cristo e dei Santi» (32). La quarantunesima proposizione del sinodo di Pistoia, dove si trova il

medesimo errore, sarà condannata da Pio VI, nella Bolla Auctorem fidei, del 28 agosto 1794 (33).

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Tre dottrine connesse: un debito, un tesoro, una riversibilità

Che rimanga dopo il perdono dei nostri peccati personali un disordine da compensare

davanti alla giustizia divina, una pena temporale da espiare, è, l'abbiamo già detto, una dottrina

della Chiesa fondata sulla Scrittura ed insegnata dal suo magistero.

Che il "prezzo" della nostra redenzione (1 Cor 6, 20; 7, 23), frutto dell'amore e

dell'obbedienza di Cristo, tesoro di cui la Chiesa è dispensatrice, comporti fra le altre ricchezze

quello di una espiazione sovrabbondante compensatrice pronta a riversarsi sul mondo, è una

seconda dottrina della Chiesa le cui radici affondano nella Scrittura ed è chiaramente insegnata dal

suo magistero da più di cinque secoli.

La disposizione fondamentale e assoluta che queste compensazioni sovrabbondanti

suppongono in coloro sui quali esse si riverseranno, è che essi siano nella carità, poiché finché dura

il peccato la pena che esso comporta è irremissibile. Che ci sia ora, tra coloro in cui Dio abita con la

sua grazia e la carità, che l'Apostolo dice non finire mai (1 Cor 13, 8), una comunione misteriosa e

degli interscambi che legano tra loro i tre momenti di una unica Chiesa, peregrinante quaggiù,

espiante in purgatorio, gloriosa in cielo, è una terza dottrina della Chiesa che affonda le sue radici

anch'essa nella Scrittura, e che noi proclamiamo nel Credo confessando la comunione dei santi, la

quale è uno dei nomi della Chiesa.

La riversibilità per semplice intercomunicazione della carità

La soddisfazione di Cristo, che è primaria, infinita, valevole per il mondo intero, dà origine e

valore, abbiamo detto, alle soddisfazioni secondarie, dipendenti, limitate, che gli uomini potranno

offrire per sé stessi e per gli altri. La soddisfazione sovrabbondante di Cristo e le soddisfazioni

sovrabbondanti della Vergine Maria e dei suoi amici, assunte in quella del Redentore, hanno

acquistato per la Chiesa, e ciò pure abbiamo detto, un tesoro inesauribile pronto a riversarsi su

coloro i quali, non avendo pienamente espiato i loro disordini, si troveranno tuttavia nell'amore e

nella comunione dei santi.

Questo passaggio si compie in primo luogo in maniera quasi spontanea e naturale,

indipendentemente da ogni intervento del potere canonico e in virtù della sola comunione della

carità: "ex virtute caritatis quae facit omnia bona communia" (34). Dal momento in cui un uomo

entra nella carità o cresce nella carità, egli partecipa misteriosamente, a causa della sostanziale

intercomunicazione di tutti i rami e di tutte le fronde che fioriscono sulla radice stessa della carità,

«propter communicantiam in radice operis, quae est caritas » (35), a tutte le opere e attività che

sono state fatte nella carità. Se ne impadronisce in qualche modo per mezzo dell'amore. Dette opere

si propagano fino a lui per riconfortarlo in proporzione dell'intensità della sua carità. Può

incominciare a dire nel suo cuore il canto d'amore di san Giovanni della Croce: «Miei sono i cieli e

mia sei tu, o terra, e mie sono le nazioni, i giusti mi appartengono e la Madre di Dio è mia e tutte le

cose sono mie... » (36).

«A causa dell'unione di carità, dice ancora san Tommaso, tutti i fedeli di Cristo diventano un

solo corpo. L'atto di ciascuno si comunica agli altri nella maniera in cui si aiutano tra loro le

membra del nostro corpo. Colui che è nella carità gioisce di tutto ciò che si fa di bene, e più la sua

carità è grande, più grande ancora è la sua gioia, ovunque egli sia, in purgatorio, in paradiso o in

questo mondo» (37). Ciascuna buona azione è come una luce nuova che allieta tutte le altre in

proporzione del grado più perfetto della loro carità (38). A rigor di termine questa luce che si

diffonde in tutto il corpo mistico non è direttamente soddisfattoria. Essa può risultare da tutte le

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buone azioni compiute nella carità, che sono presupposte all'indulgenza. Ha per effetto, non, come

l'indulgenza, di compensare la pena del peccato, ma di confortare coloro che lavorano nell'amore

per riparare le loro colpe. Comprende il valore corredentore della sofferenza accettata nell'amore e

si estende a tutto quanto va sotto il nome di Comunione dei Santi. Fino a questo punto non entrano

ancora in questione direttamente le indulgenze.

La riversibilità per direzione di intenzione o le indulgenze

Ma il passaggio della soddisfazione sovrabbondante di Cristo che assume nella sua le

soddisfazioni sovrabbondanti della Vergine e dei Santi può avvenire in altra maniera, quando, per

direzione di intenzione, per intentionem (39), verranno designati coloro sui quali si fa il trapasso. E'

qui precisamente che intervengono il potere canonico e le indulgenze.

Una diuturna riflessione sul peccato dell'uomo e sul perdono di Dio, che ha occupato in

Occidente l'attenzione della Chiesa, ha permesso a questa di scoprire completamente il duplice

mistero, cioè, da una parte, una pena temporale da espiare davanti alla giustizia divina, anche dopo

il perdono delle nostre colpe, dall'altra, un tesoro di soddisfazioni sovrabbondanti, dovute alle

sofferenze di Cristo e dei santi, e pronte a riversarsi su di noi. Nello stesso tempo diventava

evidente agli occhi della Chiesa che essa poteva, in quanto dispensatrice della redenzione di Cristo,

determinare con autorità le condizioni alle quali i suoi figli dovrebbero sottomettersi quaggiù

affinché una parte della sovrabbondanza delle soddisfazioni del cielo si riversi su di loro, e affinché,

essendo la pena temporale del loro peccato compensata da questo fatto, Dio sia con loro indulgente

nella stessa misura.

Questa è la pura, l'autentica dottrina delle indulgenze, che san Tommaso trova inscritta nel

cuore stesso della pratica della Chiesa del suo tempo, e che egli ha cura soltanto di rilevare, nel suo

commento alle Sentenze, scritto tra il 1253 e il 1255 (40). Diversi punti devono essere sottolineati.

Il compito del potere delle chiavi

Innanzi tutto la dottrina delle indulgenze forma un tutto organico. Le nozioni di pena del

peccato, di compensazioni sovrabbondanti e riversibili per mezzo della mediazione del potere delle

chiavi, sono correlative e inseparabili. Nella Bolla Unigenitus Dei Filius (27 gennaio 1343), nella

quale ha proclamato il tesoro delle soddisfazioni di Cristo, il cui valore è infinito, e alle quali si

sono aggiunte quelle della Vergine e dei Santi, Clemente VI ha definito il ruolo dispensatore dei

poteri giurisdizionali. Il tesoro della redenzione, dice egli, è stato affidato al beato Pietro,

"clavigero" del cielo, e ai suoi successori, vicari di Cristo quaggiù, con il compito di «dispensarlo

salutarmente ai fedeli, salubriter dispensandum, per causa giusta e ragionevole, e di applicarlo

misericordiosamente, in generale o in particolare come si riterrà più utile davanti a Dio ai

peccatori confessati e veramente pentiti, per la remissione totale o parziale della pena temporale

dovuta ai peccati» (41).

Abbiamo testé parlato della mediazione del potere delle chiavi. Non è più questione qui della

chiave dell'ordine (clavis ordinis), che fa del sacerdote lo strumento della divina potenza che sola

può assolvere il peccatore e infondergli la grazia. Si tratta della chiave di giurisdizione (clavis

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jurisdictionis) (42), più precisamente del potere canonico che ha la Chiesa di regolare quaggiù la

condotta dei suoi figli.

Ma la pena temporale obbliga davanti alla giustizia divina, essa dipende dal foro divino. I

poteri della giurisdizione canonica sono dunque incapaci di assolverla? Proprio così. Tutta la loro

autorità si limiterà a determinare le condizioni alle quali le supercompensazioni del cielo potranno

riversarsi sui peccatori che si pentono. I poteri canonici non possono mai oltrepassare la soglia del

foro divino; ma possono precisare le condizioni richieste quaggiù per l'esercizio valido di un diritto

divino, le condizioni per esempio affinché siano riconosciuti validi il consenso al matrimonio o

l'assoluzione di un sacerdote.

Così è delle indulgenze. «Colui che riceve le indulgenze, scrive san Tommaso, non è assolto,

a rigore di termini dal debito della pena, ma gli è dato quanto gli occorre per saldare il suo debito»

(43). Concedere una indulgenza, dice egli ancora, significa appellarsi ai beni comuni della Chiesa

per fornire al penitente quanto gli occorra per pagare il suo debito (44). L'indulgenza si presenta non

come una sentenza, ma come una dispensa dei beni comuni, dei quali ciascuno potrà beneficiare

(45). Essa non esige altra autorità ad eccezione di quella che permette di dispensare il tesoro della

Chiesa (46). Non si tratta della chiave dell'ordine, richiesta per dispensare i sacramenti, ma della

chiave di giurisdizione che è sufficiente per dispensare i beni comuni della Chiesa (47).

In tal modo, con la dottrina delle indulgenze, finisce di esplicitarsi un aspetto particolare del

potere delle chiavi. Anche limitato a ciò che riguarda il perdono dei peccati, il potere delle chiavi

non è univoco. Le parole di Cristo a Pietro: Quodcumque solveris super terram (Mt. 16, 19) devono

intendersi differentemente se trattasi del "peccato" stesso o della «pena temporale» che davanti alla

giustizia divina segue il peccato. Il Gaetano ne precisa così l'esegesi: Tutto ciò che tu scioglierai

sulla terra conformemente al modo in cui ciò può essere sciolto, sarà sciolto anche in cielo: se

trattasi del peccato stesso, la Chiesa non può sciogliere che per mezzo del sacramento della

penitenza; se trattasi della pena temporale che segue il peccato, la Chiesa può sciogliere o attraverso

il sacramento della penitenza o per mezzo del trasferimento estrasacramentale delle soddisfazioni

sovrabbondanti del cielo (48).

Le disposizioni richieste per avere le indulgenze

Le disposizioni richieste per ricevere una indulgenza sono in primo luogo la presenza

nell'anima della grazia e della carità. Come potrebbe infatti la pena del peccato essere perdonata

quando il peccato stesso perseverasse? Questa è la ragione per la quale la Chiesa incomincia con

l'invitare i fedeli alla contrizione vera e, per la indulgenza plenaria, anche alla confessione e alla

comunione. Domanda loro inoltre di adoperarsi personalmente nel compensare la pena dei loro

peccati, e una delle condizioni che predispongono all'indulgenza è il compimento di un'opera di

penitenza. La grande preoccupazione della Chiesa, che appare a questo punto, non è tanto quella di

concedere una indulgenza quanto quella di cogliere l'occasione per indurre i fedeli al fervore della

carità. Il valore delle indulgenze per rimettere la pena è grande, dice san Tommaso, ma il valore

delle opere soddisfattorie, quando il loro compimento fa crescere l'amore, è incomparabilmente più

prezioso (49). Queste verità, se fossero ricordate, illuminerebbero la condotta della Chiesa. E' prima

di tutto il desiderio di intensificare la penitenza e la carità nel popolo cristiano che la porta ad

annunciare delle indulgenze, a indire dei giubilei.

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Indulgenza plenaria e indulgenza parziale

Il tesoro delle indulgenze non può essere raggiunto dal Sommo Pontefice, né possono essere

da lui aperte le porte attraverso le quali questo tesoro potrà effondersi, che in virtù di un esercizio

giusto e ragionevole del suo potere giurisdizionale. In altre parole, l'indizione di una indulgenza, per

essere valida, suppone una causa giusta e ragionevole. E in rapporto all'importanza di questa causa,

l'indulgenza offerta ai fedeli potrà, nell'intenzione della Chiesa, essere plenaria o parziale (50).

Se essa è parziale, come potrebbe essere misurata, sempre secondo la intenzione della

Chiesa, se non in riferimento all'opera di penitenza alla quale detta indulgenza è stata annessa? «Per

mezzo di una indulgenza parziale aggiunta a una preghiera o a un'opera pia, l'autorità ecclesiastica

concede al fedele, dal tesoro della Chiesa, una remissione davanti a Dio della pena temporale

proporzionata a quella che il compimento di tale preghiera o opera pia gli ha già ottenuto, tantam

adhuc remissionem coram Deo poenae temporalis quantam ipse eadem prece vel pio opere jam

acquirit» (51).

A questo punto è bene fermarci un istante. Concedendo le indulgenze che, per quanto

preziose esse siano, non rappresentano che un bene spirituale secondario, il desiderio della Chiesa,

abbiamo detto, è prima di tutto quello di intensificare la penitenza e la carità nel popolo cristiano.

Ne consegue quindi, che si dovranno concedere le indulgenze tenendo conto del ritmo secondo il

quale la carità cresce quaggiù in noi. Essa progredisce non con un movimento regolare e continuo,

ma nella maniera in cui avanza la vita nelle piante e negli animali, prima accumulando delle riserve,

poi procedendo per impulsi e a sbalzi (52). Le indulgenze parziali potranno corrispondere agli atti

quotidiani della carità. Quelle plenarie, più rare, ai momenti in cui, con degli atti più forti e più

ferventi di amore, la carità sale ad un livello superiore.

L'indulgenza plenaria, capace di liberare totalmente l'anima dalla pena temporale dei suoi

peccati e di introdurla immediatamente nel cielo, può essere ottenuta plenariamente ciò è evidente

soltanto se questa è immune da ogni attaccamento al peccato veniale; essa suppone un grado di

purezza eminente, segni di un'ardente carità, alla quale l'approssimarsi della morte può disporre ma

il cui accesso rimane difficile nella nostra debolezza. «Fai attenzione, dice santa Caterina da

Genova: la confessione e la contrizione richieste per l'indulgenza plenaria sono cose difficili a

compiersi» (53). Più frequentemente, sembra, l'indulgenza plenaria non viene acquistata che

parzialmente. Analogamente, e ciò pure è chiaro, le indulgenze concesse come parziali saranno

ricevute in proporzione alle disposizioni interiori del penitente. Di queste disposizioni interiori Dio,

e non la Chiesa è giudice.

L'indulgenza data direttamente ai vivi può essere trasferita ai defunti a modo di suffragio

Nella misura in cui una indulgenza sarà stata ottenuta, la Chiesa che, nella giusta

distribuzione delle indulgenze, pensa prima e direttamente ai suoi figli, potrà permettere che essa

sia trasferita ai defunti del purgatorio, i quali quindi non ne sono raggiunti che secondariamente e

indirettamente (54). La misura nella quale una indulgenza plenaria o parziale è ottenuta da tale o tal

altro fedele, la cui carità è più o meno fervente, è un segreto di Dio. Già da questo fatto si deduce

che la misura della compensazione che noi presentiamo a Dio perché egli voglia benevolmente

riversarla sui defunti del purgatorio, rimane anche essa un segreto di Dio. Spetterà pure a Dio

ripartire queste compensazioni tra coloro che, secondo le sue giustizie e le sue misericordie, ne

saranno trovati degni. Questa è la ragione per la quale la Chiesa, che può concedere le indulgenze

immediatamente e direttamente vivi, non può destinarle ai defunti del purgatorio che mediatamente

e indirettamente, a modo di offerta o di suffragio, per modum suffragii.

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Stiamo trattando di misteri meravigliosi. Una grande carità sarebbe stata capace di cancellare

tutta la pena dei nostri peccati e il purgatorio poteva essere evitato; in tal senso esso è anormale. Ciò

spiega come la Chiesa del purgatorio ridotta sotto questo aspetto all'impotenza, dipenda interamente

dalla carità della Chiesa della terra. Ci vorrà l'intervento della carità della Chiesa militante perché,

in proporzione di questo intervento, le supercompensazioni infinite che attendono nella Chiesa

celeste, possano essere riversate sulla Chiesa del purgatorio. «Come in una sola stella ci sta tanto

calore da sciogliere tutti i ghiacciai della terra, e tuttavia siamo costretti a sopportare l'inverno, e

come per far agire il braccio di una leva è necessario un punto d'appoggio, così Dio vuole che ogni

azione del cielo quaggiù abbia un punto d'appoggio sulla terra» (55). Chi tra noi pensando che ci

sono nel purgatorio delle anime per causa nostra male edificate e scandalizzate non sarebbe

portato a soccorrerle con tutte le forze della sua carità?

La Bolla «Cum postquam» di Leone X al Gaetano

Ecco, sulle indulgenze, il grande testo della Bolla «Cum postquam», del 9 novembre 1518,

mandata da Leone X al cardinale Gaetano a quel tempo legato in Germania (56):

«Il romano Pontefice, successore di Pietro "il clavigero", vicario di Gesù Cristo sulla terra,

può, in virtù del potere delle chiavi che aprono il regno dei cieli, allontanare dai fedeli ciò che è loro

di ostacolo, cioè il peccato (culpam), e la pena (poenam) dovuta ai peccati attuali: il peccato per

mezzo del sacramento della penitenza, la pena temporale dovuta secondo la giustizia divina ai

peccati attuali, per mezzo dell'indulgenza ecclesiastica.

«Egli può per delle giuste ragioni concedere a questi stessi fedeli, membra di Cristo per

mezzo del legame della carità, che siano essi in questa vita o in purgatorio, delle indulgenze, in

considerazione della sovrabbondanza dei meriti di Cristo e dei Santi.

«Quando, in virtù della sua autorità apostolica, egli concede una indulgenza per i vivi o per i

defunti, dispensa come è consuetudine il tesoro dei meriti di Gesù Cristo e dei Santi, sia che

conferisca l'indulgenza stessa sotto forma di assoluzione, per modum absolutionis, sia che la

trasferisca sotto forma di suffragio, per modum suffragii.

«E' per questo che tutti coloro, vivi o defunti, i quali avranno veramente ottenuto delle

indulgenze di tale natura, saranno liberati dalla pena temporale dovuta davanti alla giustizia divina

ai loro peccati attuali, nella misura equivalente all'indulgenza concessa e acquistata» (57).

Il 30 aprile 1519, Leone X inviava questa Bolla ad Helvetios accompagnandola con una

lettera nella quale precisava che la Bolla conteneva la vera definizione del potere del romano

Pontefice in materia di indulgenze (58).

Il 15 giugno 1520, la Bolla «Exsurge Domine» rilevava sei proposizioni erronee di Lutero

relative alle indulgenze (59).

Un cambiamento non nella dottrina ma nel vocabolario. L'indulgenza «per modum

absolutionis»

Il Papa, per autorità apostolica, apre le porte del tesoro dove il fedele trova di che

compensare o pagare il suo debito. Colui che riceve un'indulgenza, dice san Tommaso, a stretto

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rigor di termine non viene assolto o esonerato dal suo debito, gli viene invece dato di che pagarlo,

«non absolvitur simpliciter loquendo a debito poenae, sed datur ei unde debitum solvat » (60).

Questa dottrina è la stessa della Bolla di Leone X al Gaetano; ma, invece della parola

solvere, è la parola absolvere che la Bolla utilizza (61).

Tale parola era stata lungamente spiegata dal Gaetano stesso (62) e non poteva più, ormai,

dare luogo ad equivoci. Non si tratta qui del potere sacramentale di assolvere i peccati. Si tratta

solo del potere canonico. Non semplicemente in quanto questo può assolvere i penitenti dalle pene

disciplinari imposte al foro canonico della Chiesa stessa; ma in quanto può determinare con autorità

sotto quali condizioni i tesori del cielo possono riversarsi sulla terra e compensare la pena temporale

dovuta al foro divino per i peccati personali.

La dottrina delle indulgenze rappresenta uno sviluppo omogeneo della dottrina cristiana

La dottrina delle indulgenze è un fiore delicato ma autentico dell'albero sempre vivo della

dottrina cristiana. Essa è apparsa nel corso dei secoli, nella Chiesa assistita dallo Spirito Santo,

come un coronamento spontaneo dell'approfondimento nello stesso tempo dottrinale e sperimentale

dei misteri del peccato, dei perdoni di Dio, del ruolo ministeriale della Chiesa nella dispensa di detti

perdoni.

Se è vero che c'è nella Chiesa di Cristo un progresso legittimo e considerevole (63), non si

sarà dimostrato nulla di valevole contro le indulgenze quando si dirà che «nulla nella tradizione

primitiva e universale della Chiesa prova che le indulgenze erano conosciute e praticate come lo

sono state in seguito dal medioevo occidentale» (64). Nulla prova nella tradizione primitiva e

universale della Chiesa che la festa dell'Assunzione della Vergine, per esempio, sia stata conosciuta

e praticata come lo è stata a iniziare dal VII secolo prima in Oriente e poi in Occidente. E nulla si

sarà notificato di valido quando si dirà che «il ragionamento teologico che cerca di giustificare

l'introduzione tardiva delle indulgenze in Occidente costituisce un insieme di deduzioni in cui ogni

conclusione sorpassa un po' le premesse» (65). Sempre, diremo noi, le conclusioni sorpassano le

premesse nella esplicitazione. La questione, l'unica questione, è di sapere se le conclusioni sono

conformi al contenuto delle premesse, se tradiscono o corrompono il senso profondo e implicito

nascosto nelle premesse, o se invece, aiutano a rivelarlo, a manifestarlo, a farlo venire alla luce, a

esplicitarlo. Certamente, dice san Vincenzo de Lérins, «è necessario che ci sia un progresso nella

Chiesa di Cristo, e un progresso considerevole. Ma a condizione che questo progresso costituisca

veramente un progresso (profectus) per la fede e non una alterazione (permutatio); la caratteristica

del progresso infatti è che ciascuna cosa si sviluppi rimanendo sé stessa, mentre la caratteristica

dell'alterazione è che una cosa si trasformi in un'altra» (66). La rivelazione apostolica relativa al

disordine del peccato, al perdono di Dio, al potere delle chiavi, si è forse nel corso dei secoli

corrotta o sviluppata con la messa in luce di un duplice disordine del peccato, l'uno infinito nei

riguardi di Dio, l'altro finito nei riguardi della creazione, con una comprensione più profonda di un

tesoro di soddisfazione di Cristo «che oltrepassa in infinità l’efficacia dei sacramenti» (67) e di un

potere giurisdizionale di determinare le condizioni di riversibilità su di noi di questo tesoro? A detta

domanda bisogna rispondere affermativamente o negativamente. Se si risponde che, nelle mani

della Chiesa, la dottrina cristiana su questi differenti punti si è alterata, quale concetto dovremo fare

del disordine introdotto dal peccato tra l'uomo e la creazione (Rom. 8, 20), del senso redentore delle

sofferenze non respinte ma assunte da Cristo (Rom. 8, 17), del potere di legare e di sciogliere nei

cieli ciò che sarà stato legato o sciolto sulla terra, dell'assistenza promessa fino alla fine dei tempi?

E quale nozione ci si dovrà fare della crescita del regno che sviluppandosi da un piccolo seme

diventa un albero che accoglie gli uccelli dell'aria (Mt. 13, 31)?

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Detta dottrina è irriducibile al materiale che l'ha preparata

Henri Bergson ha insistito sull'illusione che esiste di voler spiegare le invenzioni della vita,

le intenzioni dell'arte e dello spirito con un semplice riordinamento di ciò che preesisteva, come si

ricostruirebbe un mosaico. Ciò che precedeva l'indulgenza non era ancora l'indulgenza, e quegli

storici che hanno pensato con ciò di render conto dell'indulgenza le sono passati vicino senza

comprenderla: non hanno saputo vedere nel tesoro delle soddisfazioni sovrabbondanti della Chiesa

del cielo che un'immagine troppo materiale, «avente il colorito del tempo» e incapace di significare

altra cosa che l'attenzione concessa da Dio a tutte le nostre preghiere. Hanno creduto a una

confusione fatta dalla Chiesa tra le pene del foro canonico e le pene del foro divino, a una

confusione dei due esercizi distinti del potere canonico, l'uno che gli permette di togliere

direttamente le pene del foro canonico, da lui imposte, l'altro che gli permette solo di determinare le

condizioni alle quali i tesori del cielo potranno compensare le pene del foro divino procurateci dai

nostri peccati. In una relazione letta 1'11 novembre 1965 a nome della conferenza episcopale di

Germania, « applaudita sinceramente dall'assemblea, ascoltata con viva attenzione dagli

osservatori» (68), il cardinale Dopfner, arcivescovo di Monaco, espresse, concludendo, la necessità

di un rifacimento completo della dottrina delle indulgenze.

Gli usi penitenziali anteriori alle indulgenze

Gli storici hanno studiato a lungo gli usi penitenziali esistenti prima delle indulgenze (69).

Oltre al potere sacramentale di assolvere, di cui abbiamo già parlato, si incontrano fin dai primi

secoli nella Chiesa delle "supplicationes" destinate a soccorrere i peccatori. Queste preghiere non

hanno nulla di propriamente sacramentale. Esse non assolvono dal peccato. Il loro nome deriva

dalla domanda in esse fatta a Dio perché voglia lui stesso assolverli.

Dette "supplicationes" aumentavano di importanza quando colui che le faceva era un

vescovo o il Sommo Pontefice. Le "assoluzioni" così concesse dai Papi abbondano nelle loro

lettere. Esse non hanno che un valore di intercessione, come del resto le "assoluzioni" liturgiche che

alla fine della messa si aggiungevano alle suppliche fatte per i penitenti.

Tutte queste preghiere, queste usanze, queste benedizioni potrebbero essere annoverate sotto

il nome che noi usiamo, in un senso molto largo, di sacramentali, nei quali le nostre preghiere e le

nostre domande particolari sono racchiuse e sollevate dalla grande preghiera della Chiesa, «che Dio

ama come la sua Sposa», e alle suppliche della quale egli potrà accordarci ciò che la mediocrità dei

nostri propri cuori non avrebbe saputo ottenere dalla sua bontà.

Più tardi, nell'VIII e IX secolo, nel momento in cui si generalizza la penitenza privata, la

distinzione tra il peccato rimesso e il debito restante dovuto, sebbene ammesso in ogni tempo nella

Chiesa, si imporrà con evidenza a tutti gli spiriti. Il sacerdote rimetterà i peccati con l'assoluzione

sacramentale (la cui formula come quella dell'unzione dei malati rimaneva deprecativa). Essa

lascerà sussistere a carico del peccatore l'obbligo di soddisfare a Dio per la pena temporale restante

dovuta. A questo fine sono più particolarmente ordinate le opere di penitenza che gli sono state

prescritte. Ed è pure a questo scopo che la Chiesa l'aiuterà con le "assoluzioni" liturgiche il cui uso

persiste e nelle quali essa non impegna che il suo potere di preghiera e di intercessione come fa per i

sacramentali. Più tardi ancora, quando la Chiesa, per aprire il tesoro delle soddisfazioni

sovrabbondanti del cielo, impegnerà il suo potere giurisdizionale, appariranno le indulgenze.

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CONCLUSIONI

Sacramentali e indulgenze

La Chiesa può aiutare i suoi figli peccatori con la preghiera. Essa li invita a pregare anche se

sono ancora prigionieri dei loro peccati, per trovare la forza di liberazione. La preghiera può

precedere la carità. Essa si appella in qualche maniera alle misericordie di Dio contro le giustizie di

Dio. Già da questi primi passi, la preghiera del peccatore è sostenuta dalla preghiera della Chiesa.

La preghiera della Chiesa è colorata dal fuoco della carità che arde sempre nel suo cuore. E' la

grande preghiera della sposa. Essa abbraccia tutti coloro che Cristo le ha affidati. Li accompagna e

li sorregge nelle più piccole azioni e circostanze della vita. Propone loro dei riti di purificazione e di

umiliazione quali l'acqua benedetta e l'imposizione delle ceneri, delle pratiche di rinuncia o di

penitenza quali l'elemosina e il digiuno, l'astinenza, delle preghiere di supplica o di "assoluzione"

per i peccatori e per i defunti, dei tempi di avvento e di quaresima. Benedice le immagini sacre, i

rosari, i crocifissi di cui essi si servono per pregare, i luoghi di pellegrinaggio che essi si recano a

visitare. Essa fa di ogni cosa dei sacramentali, cioè dei riti sotto i quali nasconde la sua ardente

supplica di sposa, affinché essi possano a ogni istante, nel loro silenzio e nella loro solitudine,

sentirsi trasportati da essa. A quel momento la loro povera e debole preghiera è simile a un

uccelletto che si posa sulle ali di un'aquila per essere trasportato verso l'alto.

La Chiesa può aiutare i suoi figli peccatori in un modo ancor più delicato. La via della

preghiera resterà sempre aperta, ma la Chiesa farà ora direttamente ricorso alla via della comunione

dei santi nella carità. Essa suppone nei suoi figli che si pentono la presenza della carità teologale.

Suppone in essi lo spirito di contrizione e, per l'indulgenza plenaria, l'unione a Cristo anche con la

comunione eucaristica. Suppone ancora in essi il senso del mistero del peccato, delle compensazioni

che esso esige, del male che rappresenta, per coloro che muoiono nell'amore, un ritardo del

momento del loro incontro con l'Essere amato. La Chiesa esige da essi degli atti di penitenza, o

elemosina, o digiuno, o preghiera. Allora sapendoli così preparati, così fusi in qualche modo nella

grande comunione dei santi che unisce il cielo, la terra e il purgatorio, essa ricorrerà alle indulgenze.

Queste non sono più direttamente, come la preghiera, un appello alle misericordie di Dio contro le

sue giustizie. Per una specie di capovolgimento, esse si appellano alle giustizie procurateci dalle sue

misericordie. Queste misericordie hanno spinto Dio a darci il suo Figlio unigenito; esse hanno

aiutato i santi a conformarsi a Cristo e questi hanno sofferto con lui e compensato con lui per ogni

specie di disordine causato dal peccato. Nella Chiesa del cielo ci sono delle supercompensazioni

che non si esauriscono per mezzo dei sacramenti. D'altra parte, nella Chiesa militante, c'è un

bisogno continuo e sempre rinascente di compensazioni. Non potranno i figli della Chiesa terrena

ottenere che vengano riversate su di loro le supercompensazioni della Chiesa del cielo? Non sarà

così sempre possibile un qualche contrappeso ai disordini del mondo, fornito dalla comunione

nell'amore? Ecco il meraviglioso mistero delle indulgenze. Come tutte le cose belle e delicate, un

tale mistero si presta ad essere misconosciuto, deformato, guastato. Ma sarebbe pazzia voltar le

spalle a tutto ciò che è bello e delicato perché può essere facilmente misconosciuto e guastato. Dove

allora si andrebbe a finire?

***

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Note

1) Concilio Vaticano I, Sess. IV, c. 4 (DS 3070).

2) Commonitorium, 23, 1-3.

3) Concilio Vaticano I, Sess. III, c. 4 (DS 3020).

4) E' così che Vladimir Soloviev, avendo citato la promessa di Gesù a Pietro, la illumina

retrospettivamente con il fatto del primato: «La parola di Cristo non poteva rimanere senza

effetto nella storia cristiana; e il principale fenomeno di questa storia doveva avere una causa

sufficiente nella parola di Dio. Si trovi dunque, per la parola di Cristo a Pietro, un effetto

corrispondente che non sia quello della cattedra di Pietro, e si scopra, per questa cattedra, una

causa sufficiente che non sia la promessa fatta a Pietro». La Russie et l'Eglise universelle,

Parigi, Stok, 1922, p. 132.

5) «Essendo il peccato un atto disordinato, è chiaro che chiunque pecca insorge contro un ordine

prestabilito; la conseguenza è che il peccato sarà represso da quest'ordine; tale repressione viene

chiamata pena». S. Tommaso, S. Teol., 1-2. q. 87, a. 1.

6) S. Tommaso, S. Teol., 3, q. 86, a. 4. Sulla «legge della riequilibrazione dell'essere», vedere

Jacques Maritain, Neuf leçons sur les notions premières de la philosophie morale, Parigi, Téqui,

pp. 72 e 184.

7) S. Tommaso, S. Teol., 3, q. 48, a. 2, ad 1; q. 49, a. 1.

8) Cf. articolo Absolution, di A. Vacant, Dict. de Théol. cath., t. l, col. 171.

9) Decretum pro Armenis, 22 nov. 1439 (DS 1323).

10) Sess. 14, 25 nov. 1551, Doctrina de sacramento poenitentiae (DS 1667 ss). Sul punto di vista

storico, vedere l'importante opera di Paul Galtier, S.J., L'Eglise et la remission des péchés aux

premiers siècles, Parigi, 1932. Dalla prima parte dell'opera, che studia il valore dell'assoluzione

nei primi secoli, stralciamo alcuni pensieri. Nel XIII secolo fu merito di S. Tommaso e di Scoto,

a differenza degli scolastici precedenti e dei «teologi improvvisati del XII sec. il cui pensiero

segna un regresso nella storia delle dottrine», di aver potuto, attraverso la via della logica,

risalire al pensiero profondo della Chiesa, sulla natura del potere che essa professa aver

ricevuto da Cristo, e di aver affermato il carattere veramente sacramentale dell'assoluzione del

sacerdote. «Questa concezione di un intervento sacerdotale che tende direttamente alla

remissione del peccato» e che è stata consacrata dal Concilio di Trento, «si trova espressa in

maniera abbastanza chiara nei primi secoli sì da potersi attribuire tale e quale alla Chiesa di quel

tempo, o bisogna vederci piuttosto una conclusione, alla quale si sarebbe giunti soltanto

progressivamente e che si sarebbe lentamente imposta all'adesione degli animi?». Secondo B.

POSCHMANN, detta concezione si sarebbe formata a poco a poco. La risposta di P. GALTIER

è invece «netta e decisa». Dal III al VI secolo in Occidente, da Tertulliano a S. Gregorio Magno,

bisogna riconoscere, nell'atto per mezzo del quale la Chiesa riconcilia il peccatore con Dio,

«una reale assoluzione del peccato».

11) Sulle parole di san Paolo: Ma se il Cristo è in voi, benché il corpo sia morto a causa del

peccato, però lo spirito è vivo in virtù della giustizia (Rom. 8, 10), san TOMMASO (S. Teol., 3.

q. 68, a. l, ad 2; q. 69, a. 3, ad 3), citando sant'AGOSTINO (Contra Julianum, libro 6, 17, n. 52),

noterà che il battesimo scende sull'anima che purifica da ogni peccato, ma non su tutto ciò che è

nell'uomo.

12) S. FRANCESCO DI SALES, Traité de l'amour de Dieu, libro 2, c. 8

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13) s. TOMMASO, S. Teol., 1-2, q. 113, a. 10; 3, q. 86, a. 5, ad 1. A questa carità perfetta

corrisponde una intensa penitenza interiore. Finché il santo vive tra noi, il dispiacere delle sue

colpe non può non procurargli dolore: «Non son degno di essere chiamato apostolo, perché ho

perseguitato la Chiesa di Dio» (1 Cor 15, 9). Cfr. S. TOMMASO, S. Teol., 3, q. 84, a. 8, ad 2.

14) «Ipsa gratia meretur augeri, ut aucta mereatur perfici»; S. AGOSTINO, Epist. 186, c. 3, n. 10.

Citato da S. TOMMASO, S. Teol., 1-2, q. 113, a. 10.

15) «Satisfactio confert gratiam prout est in proposito et auget eam prout est in executione »: S.

TOMMASO, S. Teol., 3, q. 90, a. 2, ad 2.

16) «In satisfactione magis attenditur affectus offerentis quam quantitas oblationis », dice S.

TOMMASO, S. Teol., 3, q. 79, a. 5, che cita le parole del Signore sull'obolo della povera

vedova, più prezioso dei tesori: Lc., 21, 3.

17) Mediante la preghiera che segue l'assoluzione: Che tutto ciò che tu farai di bene ti sia contato

per la remissione dei tuoi peccati, san Tommaso ritiene che le libere soddisfazioni che il

penitente compirà successivamente sono come integrate in anticipo nella soddisfazione

sacramentale: «talis satisfactio est sacramentalis, in quantum virtute clavium est culpae

commissae expiativa »; Quodlibet, 3, q. 13, a. 28.

18) Lc., 11, 41; 12, 33.

19) Mt, 4, 2; 6, 16.

20) Mt, 6,6; ecc.

21) S. TOMMASO, De malo, q. 7, a. 11, ad 16.

22) «L'anima vedendo che il purgatorio è stato fatto per disposizione divina allo scopo di purificare

le sue imperfezioni, ci si immerge». PIERRE DEBONGNIE, Sainte Catherine de Gènes, Parigi

1960, p. 97.

23) La 19.a proposizione di Lutero, condannata da LEONE X nella Bolla «Exsurge Domine», 15

giugno 1520, dice: «Le indulgenze, per coloro che veramente le ottengono, sono senza valore

per rimettere la pena dovuta ai peccati attuali davanti alla giustizia divina» (DS 1469).

24) Vedere sopra “Il tesoro riversibile delle sofferenze di Cristo per il suo Corpo mistico che è la

Chiesa”

25) s. TOMMASO, S. Teol., 3, q. 1, a. 2, ad 2.

26) Nel suo commento a questo testo della S. Teol. che sarà dedicato il 10 marzo 1522 al papa

Adriano VI.

27) Opuscula, ed. a Venezia 1612, t. 3, tr. II, c. 11.

28) GAETANO, Quaestiones de thesauro indulgentiarum, quaesitum 3, n. 8; ed. leon. della S.

Teol., t. 12. p. 362.

29) «Quando l'anima inizia il viaggio di ritorno al suo stato primario, talmente grande è l'ardore che

la spinge a trasformarsi in Dio che esso costituisce il suo purgatorio. In questo purgatorio essa

non vede un purgatorio, ma proprio questo istinto ardente e ostacolato costituisce il suo

purgatorio». PIERRE DEBONGNIE, Sainte Catherine de Genes, p. 211.

30) S. TOMMASO, S. Teol., 3, q. 48, a. 2. - «Il merito di Cristo agisce, certamente, per mezzo dei

sacramenti; tuttavia la sua efficacia non è limitata ai sacramenti; essa supera con la sua infinità

l'efficacia dei sacramenti»; S. TOMMASO, IV Sent. dist.20, q. l, a. 3, quaest. 1 (Suppl., q. 25, a.

1).

31) DS 1025 e 1027.

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32) DS 1467.

33) DS 2641.

34) S. TOMMASO, IV Sent. Dist. 45, q. 2, a. 4, quaest. (Suppl. q. 71, a. 12).

35) Loc. cit., q. 2, a. 1, quaest. 1 (Suppl., q. 71, a. 1).

36) Avis, sentences et maximes, Silverio. t. 4, p. 235. - Sul mistero della intercomunicazione della

carità, che sorpassa ma non esclude il dominio della soddisfazione, vedere L'Eglise du Verbe

incarné, t. 2, pp. 254-261.

37) Quodlibet, VIlI, q. 5, a. 9.

38) Ibid.

39) S. TOMMASO, IV Sent. Dist. 45. q. 2, a. 4, quaest. 1 (Suppl., q. 71, a. 12). - Il debito che un

amico paga per me non mi è più imputato: «per intentionem, actus alicuius transfertur in

alterum»: Quodlibet, II, q. 7, a. 14.

40) Vedere IV Sent., dist. 20, q. 1, a. 3, 4, 5, le chiare analisi riprodotte nel Supplemento della S.

Teol., q. 25, 26, 27, al quale ormai noi rimanderemo per brevità.

41) DS 1026.

42) S. TOMMASO, Suppl., q. 25, a. 2. ad l.

43) « Ille qui indulgentias suscipit non absolvitur simpliciter loquendo a debito poenae; sed datur ei

unde debitum solvat»: Suppl., q. 25, a. l, ad 2.

44) « Faciens indulgentias poenam pro eo, quam debuit, solvit de bonis eommunibus Ecclesiae »:

Suppl., q. 25, a. l, ad 3.

45) « Indulgentia autem non per modum sententiae datur, sed per modum dispensationis eujusdam...

»: Suppl., q. 27, a. 4. ed. 3.

46) «Ad hoc quod applicentur isti, requiritur auctoritas dispensandi hujusmodi thesaurum»: Suppl.,

q. 25, a. 2.

47) «Non pertinet ad dispensationem sacramentorum talis remissivo, sed ad dispensationem

bonorum communium Ecclesiae»: Suppl., q. 25, a. 2, ad. 1.

48) «Nam verus illius intellectus est: Quodcumque solveris eo modo quo illud est solubile...»:

Quaestiones de thesauro indulgentiarum, quaesitum quartum, n. 5, ed. leon., t. 12, p. 362.

49) « Quamvis indulgentiae multum valeant ad remissionem poenae, tamen alia opera satisfactionis

sunt magis meritoria respectu praemii essentialis; quod in infinitum melius est quam dimissio

poenae temporalis »: Suppl., q. 25, a. 2, ad 2; cf. q. 27, a. 2, ad 2. E ancora q.n, a. 12, ad,.3, dove

è detto dell'expiatio poenae: «sed hoc quasi nihil est comparatum possessioni regni coelorum».

50) «Thesaurus indulgentiarum non potest veraciter attingi a potestate pontificia nisi actu verae

dispensationis. Ergo tam indulgentia quam tanta indulgentia data sine causa rationabili, est

invalida»; GAETANO, Quaestiones de causa indulgentiarum, quaesitum l, n. 6. ed. leon., t. 12,

p. 365.

51) Positio de sacrarum indulgentiarum recognitione, Città del Vaticano 1965. p. 2. c. 1,2, p. 39.

52) s. TOMMASO, S. Teol., 1-2, q. 24, a. 6.

53) PIERRE DEBONGNIE, Sainte Cathérine de Genes, p. 213.

54) S. TOMMASO. IV Sent. dist. 45, q. 2, a. 3, quaest. 2; o Suppl.. q. 71. a. 10; . Principaliter

prodest ei qui indulgentiam accipit... Secundario autem et indirecte ei pro quo aliquis facit illud

quod est indulgentiac causa...».

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55) Questo splendido testo di P. RABUSSIER è citato più ampiamente in JACQUES MARITAIN,

Les degrés du savoir, 1932, p. 730.

56) Inserita dal GAETANO nel 1522 nel suo Commento alla Somma, 3. q. 48, a. 5, n. 3.

57) DS 1448.

58) « Romani Pontificis potestatem in hujusmodi indulgentiarum concessione... veram

definitionem... decrevimus» (DS 1449 e introduzione 1447).

59) Prop. 17: «I tesori della Chiesa dai quali il Papa trae le indulgenze non sono i meriti di Cristo e

dei Santi». - Prop. 19: «Le indulgenze, per coloro che le ottengono veramente, non hanno alcun

valore per rimettere la pena dovuta ai peccati attuali davanti alla giustizia di Dio». Cfr. DS 1467

e 1469.

60) Suppl., q. 25, a. l, ad 2.

61) Detta parola è ripresa nel Codice di Diritto Canonico, can. 911: «Tutti abbiano in grande

considerazione le indulgenze cioè la remissione davanti a Dio della pena temporale dovuta ai

peccati perdonati limitatamente alla colpa che l'autorità ecclesiastica concede, dal tesoro della

Chiesa, per i viventi sotto forma di assoluzione, per i defunti sotto forma di suffragio.

62) Tractatus de indulgentiis, in 10 capita, al card. Giulio de' Medici, Roma 8 dicembre 1517,

Opuscula, ed. Venezia 1612, t. 1, tr. 15. - Tractatus de indulgentiis in 6 quaestiones, Augsbourg

29 sett. - 7 ott. 1518, una sola è di Roma, 20 nov. 1518, t. l, tr. 16. Le Quaestiones de thesauro

indulgentiarum, quaesitum 1, che sono posteriori alla Bolla «Cum postquam» del 9 nov. 1518 e

alla Bolla «Exsurge Domine» del 15 giugno 1520, si devono probabilmente datare, secondo R.

P. von Gunten, ottobre - novembre 1520. Il GAETANO elimina subito qui due errori contrari.

L'uno, di Francesco Mairon, secondo il quale i poteri giurisdizionali, concedendo un'indulgenza,

penetrano direttamente nel foro divino per rimettere «auctoritative» la pena temporale del

peccato. L'altro, di Lutero, secondo il quale l'indulgenza è senza effetto nel foro divino e

riguarda soltanto le pene canoniche, che la Chiesa può imporre o togliere come impone o toglie

una scomunica. Tutto lo sforzo del GAETANO sta nell'introdurre nuovamente la parola

assoluzione per indicare esattamente ciò che, a partire da san Tommaso, si chiamava soluzione,

cioè l'atto con il quale la Chiesa ha autorità di aprire ai penitenti il tesoro dove esse troveranno

di che «pagare» il loro debito. La parola assoluzione, che veniva quindi ad avere un senso

nuovo, era molto antica ed era stata spesso utilizzata dai Papi per designare delle preghiere in

cui, come nelle nostre «assoluzioni», si domandava a Dio di assolvere e di soccorrere i peccatori

(vedere più avanti).

63) «Nullusne ergo in Ecclesia Christi profectus habebitur religionis? Habeatur plane, et maximus

», S. VINCENZO DI LÉRINS, Commonitorium, c. 23.

64) Rapporto di Sua Beatitudine MAXIMOS IV, letto a nome del sinodo dell'episcopato greco

melchita cattolico, il 10 novembre 1965, durante la 157.a Congregazione generale del Concilio

Vaticano II; riportata nella Documentation catholique, 20 febbraio 1966, col. 358.

65) bid.

66) Commonitorium, loc. cit,

67) «Meritum Christi... etsi in sacramentis operatur, non tamen efficacia eius in sacramentis

includitur, sed sua infinitate excedit efficaciam sacramentorum», S. TOMMASO, Suppl., q. 25,

a, 1.

68) Documentation, loc. cit., col. 360.

69) Fra i più recenti lavori, citiamo: B. POSCHMANN, Der Ablas im Licht der Bussgeschichte,

Bonn 1948: al quale si riferiscono PAUL GALTlER, S. J., Les indulgences: origine et nature, à

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propos d'un ouvrage récent, dans Gregorianum XXXI, 1950, pp. 258 - 274; e Henri Chirat, Les

origines et la nature de l'indulgence, d'après une pubblication récent, nella Revue des Sciences

Religieuses, XXVIII, 1954, pp. 39-57.

In tre articoli de «L'Osservatore Romano», 19, 24, 26 febbraio 1966, Mons. ROBERTO MASI

ricorda in quali circostanze è stata discussa la questione delle indulgenze, nell'Aula Conciliare,

alla fine della quarta sessione. Espone quindi La dottrina tradizionale delle indulgenze, poi la

«nuova opinione» di B. POSCHMANN e di K. RAHNER, i quali non vogliono vedere nelle

indulgenze che una preghiera di intercessione della Chiesa per i peccatori, in breve solo un

sacramentale.

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