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CARIT AS DIOCESANA DI COMO Osservatorio delle Povertà e delle Risorse di Como Italiani in affanno Gli adulti italiani nei Centri di Ascolto della provincia di Como di Patrizia Cappelletti Le relazioni sociali dei CdA della Diocesi di Luigi Nalesso Marzo 2006

CARITAS DIOCESANA DI COMO Osservatorio delle …propone di essere un mero assaggio di una possibile traiettoria di ricerca futura, vorreb-be porre l’accento su almeno due questioni

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CARITAS DIOCESANA DI COMO Osservatorio delle Povertà e delle Risorse di Como

Italiani in affanno

Gli adulti italianinei Centri di Ascolto della provincia di Como

di Patrizia Cappelletti

Le relazioni sociali dei CdA della Diocesidi Luigi Nalesso

Marzo 2006

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Questa pubblicazione dell’Osservatorio dellepovertà e delle risorse della Caritas Diocesa-na, sezione di Como, giunge a compimentodi un cammino di maturazione del rapportotra Ufficio Diocesano e Centri di Ascolto delterritorio durato un paio d’anni. Nel primo anno si è lavorato al rinnovamen-to della scheda cartacea di accoglienza neiCentri di Ascolto e sulla capacità dell’equipedi un CdA (grande o piccola che sia) di leg-gere i dati e di rispondere ad alcuni semplicidomande rispetto alle persone che si sonopresentate per un colloquio.Nel secondo anno il lavoro che già si era ini-ziato si è inserito nell’alveo del Progetto Re-te di Caritas Italiana e ha permesso di: defi-nire con codici precisi i dati che emergono daun colloquio in CdA, rilevare non solo le ri-chieste, ma anche i bisogni (a volte inespres-si), dare formazione ai CdA in merito allaraccolta dati e alla loro discussione in equipe,visitare i singoli Centri di Ascolto (sono 11più Porta Aperta e sparsi su un territorio dio-cesano che è di 4200 kmq) per condivideresul posto il lavoro che si stava portandoavanti tutti insieme.Penso che possiamo essere soddisfatti del la-voro svolto, anche se sembra sempre di averfatto poco rispetto alle necessità e, soprattut-to, in questo caso, sembra che si tratti di unlavoro puramente tecnico. Non è così: soloattraverso una rielaborazione come quellaoperata in questi anni le persone che vengo-no in Centro di Ascolto e le povertà che por-

tano con sé possono essere incontrate non so-lo dagli operatori e dai volontari dei Centri,ma anche da tutta la comunità cristiana (cheha voluto i CdA zonali) e possono essere pre-sentati alla società civile perché rifletta e sitrovino insieme rimedi alle situazioni di disa-gio di cui solo in parte si riesce a farsi carico.E anche questa pubblicazione ha lo stessoscopo:• si era notato che ai Centri di Ascolto giun-

ge una quota alta di italiani tra i 25 e i 50anni, che cioè dovrebbero essere i più atti-vi e autonomi. Si desiderava conoscerne ilvolto e le problematiche. La ricerca di Pa-trizia Cappelletti sui 5 CdA situati in Pro-vincia di Como risponde puntualmente allaquestione posta e dà un’idea di drammiumani che non devono essere ignorati, per-sone a cui occorre stare vicini e che, se fos-sero altrimenti accompagnate, potrebberorisolvere almeno in parte i propri problemi;

• avere chiesto da due anni a questa parte atutti i Centri di Ascolto una relazione so-ciale produce ora un’abbondanza di datiche rendono significativa l’esperienza del-la Caritas anche sul piano civile in tutto ilterritorio della Diocesi. La seconda partedella pubblicazione è un primo tentativo dilettura comparata di situazioni sociali mol-to diverse tra loro (dalla Bassa Comascaall’Alta Valtellina). Affineremo poi glistrumenti di lettura, ma urge che le comu-nità cristiane accolgano questo lavoro, chepuò diventare memoria della vita di una

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Introduzione

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I CdA Caritas nel nostro territorio

Nel territorio della Diocesi di Como apparte-nenti alla Provincia lariana vi sono 5 centri diAscolto della Caritas: Como città, Tremezzo,Gravedona, Lomazzo e Uggiate.Siamo partiti da qui per incontrare – tra i mil-le possibili volti della povertà – quelli chemaggiormente ci assomigliano, persone, co-me noi, di cittadinanza italiana.

Come è possibile che ancora oggi vi sianoitaliani che si rivolgano ai CdA della Caritas?Quali le problematiche più gravose e diffuse?Quali, ancora, i contesti in cui questo disagionasce e si afferma?

Ne è nato un breve viaggio che ha toccato inostri CdA e che ci ha consentito di incontra-re alcuni volontari che, nel breve periodo danoi osservato, hanno accolto, ascoltato e –dove possibile – supportato numerosi italianiche abbiamo voluto definire “in affanno”.L’affanno ci rimanda ad uno stato di ansia, dipreoccupazione, di angoscia: è una sorta diconcitata frequenza di respiro che si originaquando percepiamo che l’aria tutto attorno sifa più rarefatta ed insufficiente…

Questo articolo che, nella sua sinteticità, sipropone di essere un mero assaggio di unapossibile traiettoria di ricerca futura, vorreb-be porre l’accento su almeno due questioni.La prima, possiamo dire, più interna alla Ca-

ritas, e che lasceremo in sospeso per una con-divisione in altri contesti, concerne la neces-sità di potenziare e, dove necessario, rinver-dire le risorse dei CdA già esistenti, nellaconvinzione dell’innegabile contributo cheessi, da anni, offrono al nostro contesto terri-toriale. A ciò si aggiunge la sempre più fondata con-sapevolezza che l’ascolto e l’aiuto sono sì es-senziali, ma non esaustivi dell’impegno di uncredente, e che quest’ultimo debba sentirsichiamato a farsi promotore di riflessioni col-lettive, di una onesta ricerca delle cause deidisagi e delle povertà di cui è testimone, finoalla loro doverosa denuncia.

La seconda, di più ampio respiro e sulla qua-le mi soffermerò, riguarda le persone di citta-dinanza italiana che entrano, come utenti, inun CdA.È un invito, seppure parzialissimo, a soffer-mare lo sguardo su problematiche complessecome le povertà, la vulnerabilità sociale, iprocessi di inclusione ed esclusione nel no-stro territorio ed il punto di partenza sono sta-ti proprio i CdA, luoghi di osservazione as-solutamente privilegiati, che rappresentanole nostri zone “sensibili” per percepire, inmodo dinamico ed in tempo reale, i processidi precarizzazione, di impoverimento, di ato-mizzazione che sempre più caratterizzano ilnostro tempo.

Di qui l’esigenza, sempre più condivisa da

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Chiesa locale e stimolo per dare spazio aquella carità che il Papa Benedetto XVI ciha indicato come “compito di tutta la co-munità ecclesiale”.

Entro nel merito brevemente solo su un pun-to: la questione lavoro. Essa si è fatta moltopiù urgente negli ultimi tempi anche per ser-vizi Caritas, messi a dura prova dal fatto dinon poter dare risposte significative in unsettore che non è tipicamente “nostro”, mache tocca tantissimi dei casi che veniamo aconoscere, anche di persone che non sonoemarginate, ma rischiano di diventarlo pro-prio su questo punto. Abbiamo iniziato a ri-flettere per darci qualche strumento praticoche aiuti per il lavoro i più svantaggiati,quelli a cui nessuno ne offrirebbe. Nel frat-tempo devo anche aggiungere la mia voce atante che chiedono per tutti, e specie per chiha famiglia,un lavoro dignitoso e giustamen-te retribuito.

Un primo doveroso ringraziamento va a Ca-ritas Italiana, che ci ha sostenuto economica-mente con le risorse del Progetto Rete. Nonsempre è facile collaborare a distanza, mapenso che questa nostra produzione sia diconsolazione anche per il loro lavoro di coor-dinamento a livello nazionale.Naturalmente esprimo tutto il mio apprezza-mento per la dottoressa Patrizia Cappelletti eper gli operatori della Caritas Diocesana(Massimiliano Cossa, Giuseppe Menafra,Luigi Nalesso) che hanno profuso il loro im-pegno perché si arrivasse a questo piccolo,ma significativo risultato.Un vivo ringraziamento a tutto l’Osservato-rio di Como, ai membri del Coordinamentodei Centri di Ascolto e a tutti i volontari chein essi operano, perché ricerche come questapossono esserci ed essere utili solo perché es-si incontrano ogni giorno persone vere e con-dividono i loro reali e umanissimi problemi.

don Daniele Denti

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Italiani in affannoAppunti di ricerca sugli italiani che si rivolgono ai Centri di Ascolto dellaCaritas Diocesana in provincia di Comodi Patrizia Cappelletti

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Dei 69 utenti, 42 hanno dichiarato di risiede-re nel comune di Como; 8 sono senza fissadimora e fanno riferimento a pensionati/dor-mitori cittadini; 13 risiedono in Comuni del-la cintura cittadina, 3 in paesi sul medio ba-cino del Lario / Val d’Intelvi, 3 in Comunidella Diocesi di Milano.

Circa la loro provenienza si rileva come, su69 casi totali, ben 36 persone risultano natefuori regione (52%). Di queste, 2 sono nateall’estero (Svizzera e Argentina, tipici paesidi destinazione dei nostri flussi migratori; icognomi rilasciati hanno origine italiana èprobabile che vi siano alle spalle percorsi diemigrazione della famiglia di appartenenza);21 persone sono nate in Meridione; 13 alCentro-Nord Italia.Altre 8 persone sono nate in Lombardia, mafuori dal territorio comasco, mentre solo in22 casi, gli utenti sono nati nella nostra pro-vincia. Di 3 persone non è stato segnalato illuogo di nascita.

Origine Tot. Percentuale

Provincia di Como 22 31,9Altre province lombarde 8 11,6Centro-Nord 13 18,8Meridione e Isole 21 30,4Estero 2 2,9Non rilevato 3 4,4Totale utenti 69 100

Sarebbe interessante poter ulteriormente ana-lizzare come sia andato strutturandosi e con-solidandosi negli anni il fenomeno migrato-rio che ha interessato la biografia di questepersone e del loro nucleo familiare e se que-sto abbia realmente prodotto processi di ef-fettiva integrazione. Dove il radicamento è stato probabilmente

solo superficiale e dove non esiste una signi-ficativa rete familiare di origine, particolarifasi della vita (malattia, invecchiamento) o diepicrisi individuale e/o familiare (problemidi natura economica, abitativa, lavorativa)sembrano rappresentare eventi altamentedrammatici tali da provocare profondi squili-bri nell’assetto del singolo o della famigliaintera.Quasi a dirci che l’immigrazione nelle nostrezone potrebbe non aver sempre significatoun reale investimento sul futuro da parte dichi arriva, ma anche, contemporaneamente,che chi ha accolto non ha saputo o voluto da-re uno spazio settoriale – ossia solo fisico,abitativo, professionale – ma non relazionalee affettivo – al nuovo venuto.

Un altro aspetto di forte interesse riguarda lostato civile delle persone che si sono presen-tate al CdA. Ben 23 persone hanno dichiara-to di essere separati o divorziati, mentre altri5 hanno ammesso di vivere delle forti con-flittualità con il partner, a cui si aggiunge unulteriore caso dove moglie e 3 figlie minorivivono all’estero.Pur non essendo questo, nella maggior partedei casi, il motivo principale che sembra in-durre alla richiesta di un sostegno, la situa-zione di abbandono o di conflittualità coniu-gale rappresenta, in molti casi, la causa pri-migenia dell’intero percorso discendente, o,quantomeno, il problema cardine attorno alquale appaiono ruotare tutte le altre proble-matiche.

In altri 7 casi, la conflittualità narrata ha ri-guardato il rapporto genitori-figli. Talvolta il disagio è espresso da genitori an-ziani, che vedono compromesso il loro giàinstabile equilibrio da un figlio disoccupato,

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tutti i responsabili ed i volontari Caritas, dimigliorare anche l’aspetto della raccolta, del-la organizzazione e della sintesi dei dati, av-valendosi di percorsi procedurali uniformi econdivisi, a livello locale, regionale e nazio-nale. È un cammino, questo, non sempre fa-cile, ce ne rendiamo ben conto, eppure im-prescindibile, affinché la ricchezza di ogniincontro non vada perduta.

Cogliamo, quindi, l’occasione di questa bre-ve ricerca per ringraziare tutti coloro che, no-nostante le fatiche e i limiti ancora osserva-bili, con grande generosità e sensibilità, sistanno impegnando per raggiungere questoimportante obiettivo.Un altro sincero grazie va ai responsabili edai volontari che, in questi mesi, ci hanno ac-colto ed aiutato a ricomporre i frammenti diun tratto della loro storia.

Gli utenti italianiI profili emersi nei diversi CdA

La visita dei cinque CdA Caritas sopra citatici ha permesso di ripercorrere insieme ai lo-ro responsabili e ad alcuni volontari alcunimesi di accoglienza e di ascolto. Ponendo a tema il profilo delle sole personeitaliane che si sono recate una o più volte neiCdA, abbiamo cercato di tracciare un brevequadro dei bisogni emergenti. Un quadro, più che una fotografia, vista l’im-possibilità di disporre, purtroppo, di una re-gistrazione di dati uniforme e puntuale.Un quadro, tuttavia, che, seppur in modoframmentato e parziale, propone inequivoca-bilmente alcune sottolineature e suggeriscealcune priorità.Qui di seguito riportiamo alcune sintesi dei

dati raccolti. Come si vedrà, esistono delleevidenti tendenze comuni, mentre, in altri ca-si, sembrano profilarsi peculiarità legate aiparticolari contesti locali.

COMO CITTÀI volontari del CdA di Como città hanno in-contrato, nel primo semestre del 2005, 69persone, di cui in ben 34 casi si è trattato dinuova utenza (52%).Gli uomini sono stati 37, le donne 32. Generalmente le persone di sesso maschilehanno presentato inizialmente un problemapersonale per arrivare solo in seguito a dipin-gere l’intero quadro familiare e relazionale. Le donne, invece, si sono molto più frequen-temente fatte portavoce vuoi di bisogni coin-volgenti l’intero nucleo familiare, vuoi diproblematiche che interessavano un altrocomponente della famiglia, mentre solo inseconda battuta sono state fatte emergereproblematiche personali.

In merito all’età, presentiamo il seguenteprospetto riepilogativo:

Anno di nascita n. utenti Percentuale

Non rilevato 1 1,5 1910-1919 2 2,9 1920-1929 5 7,2 1930-1939 4 5,8 1940-1949 10 14,5 1950-1959 12 17,4 1960-1969 19 27,5 1970-1979 10 14,51980-1989 6 8,7 Totale utenti 69 100

Come è possibile osservare, le persone rivol-tesi al CdA di Como si concentrano nella fa-scia dai 30 ai 60 anni, con una punta massi-ma attorno ai 35-45 anni.

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problema del disagio – sia quello che assumeil volto della depressione, fino a quello dellapatologia conclamata – ha interessato 18 casi. Problematiche relative altri aspetti della sa-lute hanno riguardato ulteriori 9 casi.

La maggior parte delle richieste avanzate han-no comunque interessato più aree tematiche.Se il bisogno primario espresso dall’utenza èstato quasi generalmente quello di naturaeconomica, l’invito alla narrazione dei per-corsi individuali e familiari ha portato ad evi-denziare quasi ovunque forti multiproblema-ticità, dove alla carenza di reddito dovuta al-la mancanza di lavoro o all’insufficienza del-le provvidenze pubbliche, si accompagnanosovente conflittualità coniugali o familiari,stati depressivi, carenze abitative e percorsidevianti.Solo in pochissimi casi, la richiesta ha ri-guardato il puro ascolto, soddisfatta da un so-stegno relazionale personale o l’accompa-gnamento verso altre forme di supporto psi-cologico, di segretariato sociale, o prestazio-ni di natura legale. Fatto, questo, che inducead una riflessione sul ruolo attuale e futurodei CdA.Un aspetto particolare su cui vorrei soffer-marmi è il fatto che in moltissimi casi questevicende altamente problematiche coinvolgo-no figli minori.Un primo sguardo ha focalizzato la situazio-ne delle separazioni, dei divorzi o delle ten-sioni tra coniugi. Qui l’analisi ha evidenziatocome in ben 17 casi fossero coinvolti uno opiù minorenni nati dalle unioni precedenti odalle nuove convivenze.Non possiamo dimenticare, tuttavia, che an-che problematiche di natura diversa hannoforti conseguenze sul benessere psicofisico dibambini e ragazzi. In altri 19 casi di presenza

di minori, sono stati l’insufficienza del reddi-to, la mancanza di lavoro o di una abitazioneadeguata, ovvero lo stato depressivo di una opiù figure genitoriali a rendere altamente pro-blematico il benessere del nucleo familiare.

La necessità di un lavoro di rete – con i ser-vizi sociali territoriali, ma anche con le par-rocchie e l’associazionismo - appare quantomai urgente per supportare coralmente situa-zione altamente problematiche, dal cui esitodipenderà il futuro di molti.

GRAVEDONAL’utenza italiana del centro di Ascolto diGravedona può essere fatta rientrare nelle se-guenti tipizzazioni.

Un primo gruppo concerne gli anziani soliche arrivano al CdA con la richiesta di un in-tegrazione del reddito insufficiente. Molti diessi dispongono della sola pensione minimaed hanno alle spalle un passato burrascoso incui il problema dell’alcol si intreccia con ildisagio psichico. Ma la richiesta formale ri-vela quasi sempre una forte povertà relazio-nale. Contro la solitudine si osa solo un gridodi aiuto silenzioso.

Un secondo gruppo riguarda una fascia diutenza più giovane, tra i 35 ed i 50 anni, siamaschile che femminile che vive vuoi sola,vuoi con un genitore anziano. Anche in questo caso le storie del passatonarrano percorsi non facili di tossicodipen-denza, alcolismo, carcerazione, fino alla de-pressione. Spesso il lavoro non c’è, oppure èsaltuario, poiché per queste persone è quasiimpossibile garantire la tenuta.Un terzo gruppo coinvolge interi gruppi fa-miliari che si presentano al CdA in situazio-

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disturbato psichicamente o dipendente da al-cool o droghe; altrove sono i figli che la-mentano l’abbandono da parte dei genitoriche non sono disponibili ad offrire loro so-stegno nei momenti di precarietà economica,lavorativa o affettiva. In entrambi i casi que-ste tensioni sono il palcoscenico sul qualevengono poi rappresentati i drammi perso-nali e familiari. Le conseguenze di natura economica, abitati-va, psicologica e affettiva, che una divisioneo una violenta tensione comportano, sembra-no tagliare le più significative reti di prossi-mità a cui ci si dovrebbe rivolgere nei mo-menti di difficoltà, e così si finisce per rivol-gersi ad un Centro di Ascolto.

Circa la natura dei bisogni espressi, sui 69 ca-si ascoltati, ben 56 sono essenzialmente pro-blematiche economico-finanziarie, collegatealla mancanza o alla insufficienza reddituale.12 persone hanno fatta semplice richiesta diviveri e/o vestiario; 18 persone hanno espres-so la necessità di un prestito, molto spesso afondo perso; in altri 11 casi si sono avutecongiuntamente entrambe le domande. In 2 casi, si sono avute anche richieste di me-dicinali.Il prestito in denaro è stato indirizzato soven-te per il pagamento delle utenze domestiche,per l’affitto e per l’evasione del mutuo acce-so per l’acquisto della prima casa.Altrove, si sono finanziati i costi di trasportoper il raggiungimento del luogo di lavoro.

Strettamente collegata al problema del reddi-to si colloca l’accompagnamento nella ricer-ca di un lavoro. 23 persone si sono dichiarati disoccupati. Al-tre 8 hanno lamentato occupazioni precarie,in nero, part-time e, dunque, insufficienti a

garantire una soglia di reddito adeguata.In altri due casi, la richiesta ha riguardato unsostegno per un congiunto (figlia e nipote).Spesso ci troviamo di fronte ad un percorsoclassico: un basso livello di istruzione e/o dirisorse personali si innestano su problemati-che psichiche, di dipendenza, di devianza,quando non di seri problemi di salute fisicache riducono o compromettono sostanzial-mente l’abilità al lavoro. Altrove, invece, si è assistito ad un percorsodiscendente di disagio psico-fisico o di abu-so di sostanze, a causa della perdita dell’oc-cupazione: da una posizione professionale ri-conosciuta e ben retribuita si passa, a causadi eventi esterni quali una riduzione del per-sonale o del fallimento aziendale, alla disoc-cupazione, un nuovo status che, soprattuttoper gli uomini di mezza età, diventa forte-mente drammatico e che innesca carriere di-scendenti per l’impossibilità di trovare a bre-ve termine occupazioni altrettanto remunera-tive dal punto di vista economico e del sod-disfacimento personale.Un’altra fascia di bisogno fortemente evi-denziatosi riguarda il problema abitativo.Ben 31 richieste (45%) hanno riguardatoproblemi legati allo sfratto, alla precarietà oalla provvisorietà dell’abitazione. Di questi,12 soggetti hanno dichiarato di vivere pressopensionati, in coabitazione con parenti o co-noscenti, o di essere senza fissa dimora.Il problema della casa emerge in tutta la suagravità in una città dove gli alloggi non sem-brano mancare, suscitando domande sullanecessità di una politica di intervento a so-stegno dell’accesso ad un diritto primario efortemente incidente sui percorsi di devianzae di esclusione.Numerose richieste si sono invece concentra-te sugli aspetti psicologico-relazionali. Il

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bisogni relativi all’intero nucleo familiare.Diversamente gli uomini, nella quasi totalitàdei casi, raccontano di bisogni che li riguar-dano personalmente.Circa la provenienza delle persone accolte,ben 14 sono risultate essere nate in Sud Ita-lia, 12 in provincia di Como, 8 in altre pro-vince lombarde, 2 in altre regioni settentrio-nali, 3 all’estero – pur essendo di cittadinan-za italiana. Per 4 soggetti il dato non è stato registrato. In merito all’età, i dati raccolti rilevano comel’utenza si concentri in modo significativonella fascia di età 35-44 anni, età in cui le re-sponsabilità legate al mantenimento o allosviluppo del proprio nucleo familiare - di na-scita recente o in fase di ingrandimento - au-mentano in modo considerevole. Basti pen-sare al desiderio di accedere ad una abitazio-ne di proprietà o, comunque, ad una sistema-zione più confortevole, così come la ricercadi un’occupazione più stabile e meglio remu-nerata. Questo, a fronte di un aumento delleproblematiche legate al mercato del lavoroed alla diffusione di occupazioni precarie esottopagate. Assai ridotta appare, invece, la fascia degliultrasettantenni.

Tabella riassuntiva:Anno di nascita n. utenti Percentuale

Non rilevato 1 2,4 1920-1929 1 2,4 1930-1939 2 4,7 1940-1949 7 16,7 1950-1959 5 11,9 1960-1969 18 42,9 1970-1979 5 11,9 1980-1989 3 7,1 Totale utenti 42 100

Circa lo stato civile, gli utenti del Cda di Lo-mazzo risultano per lo più coniugati (n.18),seguono i separati (n. 9) e i celibi/nubili (n.9,di cui una ragazza madre). Si aggiungono n.3convivenze di fatto e n.3 vedovi/e.

In relazione ai bisogni emersi, è necessariopremettere che pochissime sono state le ri-chieste che hanno interessato una sola pro-blematica. Nella maggior parte dei casi, infatti, la situa-zione presentata sommava più aree di disagioche coinvolgevano l’intero nucleo familiareed originatesi, sovente, in un passato non re-centissimo.Al primo gruppo appartengono tutte le do-mande che hanno riguardato la sola ricerca diassistenza domiciliare per un familiare mala-to o anziano (n. 3) e la sola richiesta di vive-ri da parte di famiglie presenti solo tempora-neamente sul nostro territorio (n.1 caso, fa-miglia di giostrai).In altri tre situazioni, l’ascolto ha evidenzia-to, accanto al bisogno emergente di assisten-za a domicilio, anche l’esigenza di una vici-nanza relazionale. A queste vanno sommati le richieste di ac-compagnamento legale o di orientamentonell’uso dei servizi (n. 5) che hanno comun-que una significativa componente di ascoltoe di comprensione del contesto e della condi-zione psico-fisica del narrante.

In tutti gli altri casi, le situazioni descritte so-no state di natura multiproblematica. Lacomplessità delle situazioni ha richiesto in-terventi su più livelli, da quello di puro so-stegno economico, all’accompagnamentopsico-relazionale, all’attivazione di un coin-volgimento di altri enti (parrocchie, servizisociali, etc).

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ni di epicrisi, quali la morte di un congiuntoo un fallimento economico, ma l’ascolto per-mette di portare in superfici vissuti comples-si e multiproblematici, legati molto spesso apercorsi tragici dei figli che si ripercuotonosull’equilibrio finanziario ed emotivo deipropri genitori.Un ultimo grappolo di richieste arriva da fa-miglie rom di nazionalità italiana che cicli-camente compaiono nel territorio. I loro biso-gni sono essenzialmente di natura economica.Nel complesso le problematiche più frequen-ti sono quelle legate all’insufficienza reddi-tuale (sia a causa dell’esiguità delle rimessepubbliche, sia per l’indisponibilità di un buonlivello remunerativo) che alla condizione la-vorativa. Il lavoro, dove c’è, è precario, men-tre si riconferma come la disponibilità di unsolo reddito non sia assolutamente sufficien-te ai normali bisogni di una famiglia.Altro fattore in grado di compromettere lastabilità della famiglia è la separazione. Incaso di divisione della coppia, i figli vengo-no affidati alla madre, la quale, per poter ga-rantire la sua funzione genitoriale, non puòche lavorare a tempo parziale, con una con-seguente riduzione del reddito. Dagli opera-tori viene sottolineata come a questa nuovasituazione non corrisponda, poi, un adegua-mento dello standard di vita: la madre, cer-cando a tutti i costi di mantenere un livellodi vita elevato a compensazione della perdi-ta affettiva e relazionale, si ritrova poi lace-rata da tensioni fortissime, che minano ilsuo già fragile equilibrio.“I figli stanno già pagando questa povertàculturale” – ci conferma don Roberto.Una povertà culturale che si esprime anchenel nomadismo di molti giovani che cercanoaltrove, a Sondrio, come a Milano, i luoghidel divertimento e dello sballo.

L’alcolismo – seppure con fisionomie diver-se – emerge nelle storie dei nonni, dei padrie, quindi, dei figli, segno di una piaga diffici-le da estirpare, a cui si aggiunge, oggi, unasensibile diffusione delle droghe.Molto diffusa è anche la depressione psichi-ca, spesso nascosta sotto altri veli.Rispetto ai migranti, le problematicheespresse dagli italiani appaiono sensibilmen-te più sfaccettate. A ciò si unisce, qui, ancheun forte sentimento di vergogna, il quale fa sìche alcune situazioni emergano grazie al pas-sa-parola del vicinato o all’intervento del sa-cerdote. Molti problemi, tuttavia, continuanoa rimanere sommersi.Questo aspetto, tipico della realtà di paese, èmitigato dal fatto che il CdA di Gravedonasia collocato in alcuni spazi all’interno del-l’ospedale in modo che l’accesso al CdA nonsia facilmente notato.Ciò che rappresenta limite diviene tuttavia ri-sorsa nel momento in cui si pongono in evi-denza le strette maglie di un tessuto sociale incui la solidarietà è ancora qualcosa di quoti-diano e di estremamente concreto. La cono-scenza reciproca e le reti di vicinato sembra-no, nel bene e nel male, sopravvivere ancora.

LOMAZZONei primi 6 mesi del 2005 sono state avanza-te al Centro di Ascolto 42 richieste da partedi persone di nazionalità italiana. Di queste, 23 sono state presentate da perso-ne che avevano già ricorso, una o più volte inpassato, al Cda. Le restanti 19 hanno, percontro, riguardato nuovi utenti.A fronte di 15 uomini, hanno varcata la so-glia del centro 27 donne. L’analisi delle richieste sottolinea, come èavvenuto del resto altrove, che generalmentele figure femminili si sono fatte portatrici di

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Dall’analisi dello stato civile delle 16 donnerichiedenti lavoro, emergono:6 casi di donne separate, 3 coniugate, 3 libe-re (di cui una ragazza madre), 2 vedove e dueconviventi (in un caso, trattasi di ragazza ma-dre, nel secondo il compagno ha avuto pro-blemi di tossicodipendenza e presenta deficitcognitivi).Trattasi, quindi, prevalentemente, di reali sta-ti di bisogno.Anche nel caso delle tre persone coniugate,eccezion fatta per un unico caso relativo aduna donna proveniente dall’estero e con qua-lifiche professionali elevate, che ha subitotrovato lavoro, nelle altre due situazioni, so-no state l’accensione di un mutuo per l’ac-quisto della casa e l’età avanzata del maritoad indurre le figure femminili a cercareun’occupazione.

Una seconda area riguarda la conflittualitàintrafamiliare (7 casi). Quattro situazioni hanno interessato conflittitra coniugi; in un caso sono emerse proble-matiche tra genitori-figli; in ultimo caso laconflittualità è emersa su entrambi i fronti.Tutte le conflittualità tra coniugi hanno potu-te essere ricondotte vuoi a separazione avve-nuta (conflitto per la gestione dei figli, 2 ca-si), vuoi ad atteggiamenti poco rispettosi del-la persona (insufficiente rispetto per la don-na, n. 1 caso) o, ancora, in un ultimo caso ildiverbio ha convinto la donna a richiedere unsupporto legale.La conflittualità tra genitori e figli si è confi-gurata, in un caso, nella difficile gestione del-la dipendenza etilica del figlio da parte dellamadre, ed in un altro caso nella durissimaconvivenza con la malattia psichica, sia delfiglio che del marito, da parte della figuramaterna.

La richiesta di assistenza domiciliare a fa-miliari (n. 6) ha interessato in 4 casi la ricer-ca di una badante. In due casi, la situazioneemersa è stata più complessa, vuoi perchécoinvolgente non figure anziane, bensì unconiuge (n. 1 caso) o un figlio (n. 1 caso) gra-vemente non autosufficienti. In queste dueultime situazioni, l’accompagnamento si èconfigurato anche come supporto psicologi-co e relazionale.

Cinque richieste (n. 5) hanno riguardato for-me di forte esclusione sociale. In 2 casi si è trattato di persone senza fissa di-mora, di cui, una è poi deceduta, ed alla qua-le è stata offerta la possibilità di una residen-za, e, quindi, di tumulazione, in loco. In altri due casi ci si è confrontati con formedi randagismo abitativo e di percorsi di so-pravvivenza costellati da espedienti e da an-coraggi a brevissimo termine. Si tratta, inogni caso, di percorsi complicati, mai del tut-to chiari e, pertanto, di difficile lettura ed in-terpretazione. Il CdA offre delle tamponaturea livello materiale e momenti di sosta in cuil’aiuto si coniuga principalmente comeascolto e attenzione.Un ultimo caso ha presentato, per contro, unastabilità residenziale ma compromessa da unforte degrado del contesto di vita, dall’inca-pacità nella gestione della cura di sé e da ma-lattie neuro-psichiatriche accertate. La richiesta dell’utente si è limitata ai soli vi-veri, ma, oltre a ciò, il CdA ha offerto un luo-go in cui stabilire un minimo di relazione, làdove, per le difficili condizioni sopra esposte,qualsiasi contatto sociale risulta estrema-mente arduo.

Quattro utenti hanno fatto richiesta di solicontributi economici. In due casi, tuttavia,

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Circa la natura delle richieste avanzate, sinte-tizziamo le problematiche principali nelloschema seguente:Problem. principale n. utenti Percentuale

Ricerca lavoro 17 40,5 Conflittualità intrafamiliare 7 16,6 Assistenza a familiari 6 14,3Esclusione sociale 5 11,9Sussidio economico 4 9,5Reddito insuff. per ridotte provvigioni pubbliche 1 2,4Dipendenze 1 2,4Solo viveri 1 2,4Totale 42 100

Come facilmente deducibile, la maggior partedell’utenza si è presentata al CdA per esseresostenuta nella ricerca di un’occupazione.L’approfondimento delle storie e l’analisidell’iter di accompagnamento offerto hamesso in evidenza una sottoclassificazionedei casi in tre profili sintetici.

Un primo profilo riguarda donne che, pur pre-sentando anche una situazione problematica,possiedono risorse sufficienti per accedere inmodo autonomo al mercato del lavoro. L’ascolto e l’accompagnamento relazionaleofferto dal CdA, insieme, ovviamente, ad unorientamento concreto nella ricerca occupa-zionale, sembra essere stata sufficiente peruna sorta di riattivazione delle competenzepersonali e dell’autostima. In 5 casi, le persone sostenute sembrano averpositivamente risolto la loro ricerca e nonhanno fatto più ricorso al CdA. In un caso ul-teriore non si è avuta conferma di una solu-zione favorevole del problema, ma, poiché lapersona non si è più ripresentata al centro, sipresume che essa sia riuscita a trovare un’oc-cupazione.

Un secondo profilo sembra interessare perso-ne con alle spalle un vissuto maggiormenteproblematico. Qui, la ricerca di un lavoro è complicata daseparazioni o forti conflittualità familiari, di-sagi psico-relazionali personali o di un con-giunto, mancanza di sostegno da parte dellefamiglie di origine, dipendenze (n. 3 casi)Tali richieste hanno riguardato tutte figurefemminili decise a rientrare sul mercato dellavoro per sostenere la precaria condizioneeconomica della famiglia (trattasi di nucleimonoparentali o famiglie in cui il lavoro delconiuge è di natura precaria o reso tale daun’incapacità di tenuta occupazionale gene-rata da problemi pregressi).In questi casi l’ingresso nel mondo del lavo-ro si rivela più complicato, il percorso piùlungo e non sempre la situazione sembraevolversi favorevolmente.

Un ultimo gruppo riguarda situazioni com-plesse in cui, tuttavia, è difficile intravederereali desideri di emancipazione (n. 8 casi ).La domanda di lavoro – avanzata in sei casida donne, in un caso da uomini - è sempre ac-compagnata da richieste materiali (viveri evestiario) e, spesso, l’attivazione di reti di so-stegno da parte del CdA rivela come le per-sone si siano già indirizzate a più enti per ri-cevere aiuto. Sembra emergere, in questi casi, una menta-lità di tipo assistenzialistico: ogni richiesta èlegittima, ad ogni bisogno deve corrisponde-re – per diritto – una risposta, affiora una piùo meno esplicita pretesa di esigibilità. Percontro, a fronte di tutto ciò, è difficile rileva-re in queste persone un reale processo di au-tonomizzazione, di sforzo personale e di re-visione delle premesse che hanno portato al-la situazione lamentata.

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Vi è, inoltre, qualche anziano che vive in si-tuazioni di disagio economico e che possiedeun animale domestico. Le restrizioni a cuisono soggette fanno sì che, sovente, questepersone si privino del necessario per sfamarel’animale, a cui riservano, spesso, anche glistessi viveri ottenuti dal Centro di Ascolto.La difficoltà di accettare tale situazione vie-ne controbilanciata dalla considerazione sul-l’estrema solitudine e povertà relazionale incui sopravvivono questi utenti, che vedono illoro cane o gatto, quale unica presenza co-stante ed affettuosa.

Quasi tutte le persone presentatesi sono ori-ginarie nella zona. In genere, sono più frequenti le richieste pro-venienti dagli uomini, rispetto a quelle avan-zate da donne.Il responsabile del CdA ci ha offerto una sin-tesi dei profili incontrati.

Nel periodo analizzato, si sono rivolti allaCaritas alcuni nuclei familiari (n. 4) com-posti da genitori e figli minori che hanno ri-chiesto qualche forma di sostegno economi-co per insufficienza reddituale. La problematica evidenziatasi riguardaval’incapacità di tenuta lavorativa degli adultiche, per problemi di natura psichica o carat-teriale, presentavano gravi difficoltà a garan-tire una stabilità economica alla famiglia.Qui si è intervenuti principalmente con vive-ri o con contributi in denaro per l’affitto o peril trasferimento della famiglia in altra località(n. 1 caso). In un caso si è offerto un sostegno di tipo so-cio-pegadogico per la gestione dei tre figliminori, in considerazione dell’invalidità fisi-ca della madre.Due casi sono stati indirizzati al consultorio

al fine di intraprendere un percorso di terapiafamiliare.Si sono rivolti al CdA anche alcuni uomini(n. 6) singles separati. Alle spalle vi sonodissesti economici, situazioni di disoccupa-zione o di precarietà lavorativa connessa apercorsi di dipendenza etilica, a disagio psi-chico, o a passata carcerazione. L’età media èattorno ai 50 anni, tutti di origine locale. So-lo in 2 occasioni, le famiglie di origine pro-venivano dal Veneto. Le richieste, oltre all’aiuto nella ricerca di unlavoro, sono di tipo materiale. Spesso si in-contrano situazioni di forte squilibrio perso-nale che, in alcuni casi, sembrano annuncia-re ipotesi di suicidio.In un caso il problema della precarietà eco-nomica del single era collegata ad una situa-zione di invalidità, di cui il CdA si è fatto ca-rico dal 2002 in modo totale per alcuni mesi,per poi avviare un percorso di autonomia fi-nanziaria, fino al riconoscimento dell’asse-gno di accompagnamento.

Due (n. 2) richieste di sostegno hanno ri-guardato maschi trentenni in gravi difficoltànella ricerca di un lavoro per problemi di di-pendenze. La narrazione di queste biografieevidenzia la difficoltà di avviare percorsi ditenuta, poiché questi ultimi sono sovente in-terrotti puntualmente da nuove cadute le qua-li rendono il rapporto con questi utenti forte-mente ciclico.In alcuni casi, la relazione di aiuto si inter-rompe. Ci viene segnalato il caso di un gio-vane dimesso dai servizi, al quale si è cerca-to di proporre un tentativo di ancoraggio gra-zie all’offerta di un alloggio in affitto: l’espe-rimento è naufragato per la scomparsa delgiovane che ha lasciato dietro di sé anche ildebito dell’appartamento.

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la situazione è apparsa poco chiara sia per ladestinazione dei fondi richiesti, sia per labiografia un poco sfuggente del richiedente.Un’altra richiesta ha riguardato il pagamentodi alcune utenze domestiche, ma, dopo unaserie di contributi mensili e la sensibilizza-zione di altre realtà del territorio, alla richie-sta di una riflessione riguardante altri aspettiproblematici del nucleo familiare e la propo-sta di percorsi di sostegno, la donna non si èpiù ripresentata.In un solo caso, la domanda di un contributoeconomico ha riguardato un intervento mira-to: l’avvio di un giovane nucleo familiarecon minore e l’acquisizione di una casa. Ilprestito, che ha permesso una positiva risolu-zione della situazione, è stato poi completa-mente restituito.

Presso il CdA di Lomazzo non sono emerserichieste provenienti da percettori di provvi-gioni pubbliche insufficienti rispetto alle nor-mali esigenze di vita. In un solo caso, un uo-mo anziano, in forte disagio per la propria si-tuazione percepita fortemente precaria, è sta-to ascoltato, rassicurato e sostenuto nel recu-pero di alcuni piccoli lavori che hanno con-cesso all’uomo di riattivarsi e di vedere posi-tivamente il proprio futuro.

Un altro caso ha riguardato problemi di di-pendenza da alcol da parte di una donna conalle spalle una famiglia di origine coinvoltanel medesimo problema. Qui le ripercussioninegative si sono riversate sui figli minori, inparticolare su una ragazzina che ha subitogravi maltrattamenti. La situazione è comun-que seguita in maniera massiccia e puntualedal comune di residenza.Non si tratta, evidentemente, dell’unico casodi dipendenza riscontrato, ma, qui, il proble-

ma è emerso, in tutta la sua complessità, qua-le problematica centrale.

Anche circa il disagio psichico non sembraappaiano situazioni conclamate che, per laloro gravità, spingono a varcare la soglia delCdA, ma il malessere è serpeggiante dietrotante richieste di ricerca occupazionale o disostegno economico.

Nell’azione svolta nei primi sei mesi del2005 dal Centro di Lomazzo si evidenzia iltentativo di privilegiare la funzione dell’a-scolto e dell’accompagnamento. Anche se ilsupporto materiale (svolto in stretta collabo-razione con i frati francescani di Cermenate)appare inevitabile nell’economia del Cda,l’obiettivo dei volontari è quello di limitare ilsolo sostegno materiale e di avviare – ovvia-mente dove possibile – percorsi di autonomiae di enpowerment, evitando l’equivoco diforme di dipendenza da parte degli utenti efacendo chiarezza sulla necessità di una atti-vazione personale da parte del richiedente.La domanda emergente dal cda è quella le-gata ad una sempre maggiore collaborazionecon le varie realtà parrocchiali della zona,nella convinzione che solo la presenza di untessuto relazionale e di prossimità accoglien-te e sensibile possa supportare, nel prosieguodel percorso all’interno del normale contestodi vita quotidiana, quelle persone che, neimomenti di epicrisi, si sono decise a ricorre-re ad un CdA.

TREMEZZOPresso il CdA di Tremezzo si sono rivolte –nel primo semestre del 2005 – dalle 15 alle20 persone, di cui solo 2 o 3 sconosciuti. Ciòevidenzia un forte tasso di cronicità delle si-tuazioni.

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psichici) che mettono in crisi il difficile equi-librio di genitori pensionati.Le volontarie del CdA hanno sottolineatouna ridotta affluenza al Centro di Ascolto,poiché le richieste di natura essenzialmenteeconomica (pacco viveri, etc.) si dirigonoverso il centro di Olgiate.Ancora, ci viene segnalato un netto rafforza-mento del lavoro di rete con i servizi del ter-ritorio.

Equilibrismi quotidianiTra inclusione ed esclusione

Come molti studiosi sociali hanno già evi-denziato, la separazione tra ricchezza e po-vertà, tra benessere e disagio non è mai net-ta, nei fatti come nelle concettualizzazioni,anzi, essa può essere interpretata come uncontinuum dove, ad un polo, possiamo collo-care l’inclusione e all’altro l’esclusione.Cosa fa la differenza?La risposta appartiene a quelle di non facilesoluzione. Non sempre vi è, innanzitutto, unasingola ragione. Inoltre, ben lungi dall’erro-nea tentazione – tra l’altro sottilmente diffu-sa – di ricercare nei percorsi individuali del-le colpe personali, non possiamo non rifarcia contesti più ampi e complessi.

Insieme a Costanzo Ranci (1), possiamo innan-zitutto sottolineare che sono tre gli universi diriferimento per tentare di seguire e compren-dere la deriva verso il polo del disagio.Il primo universo è quello del lavoro, un uni-verso complesso e variegato, ma segnato nelsuo insieme da trasformazioni importanti chestanno sempre più mostrando le loro ricadu-te nei nostri microcosmi quotidiani. L’acces-

so nel mondo del lavoro non solo si è fattopiù difficoltoso, ma il profilo prevalentepresso i nuovi assunti è quello del lavoratoreatipico. Ciò, con tutta una serie di problemicollaterali legati all’incertezza economica,professionale ed identitaria quale orizzontedi vita, la pressione psicologica derivantedalla competizione nel mantenere il posto fa-ticosamente conseguito, la tensione di garan-tire sempre il massimo delle proprie perfor-mances, l’ansia che si origina nella fase di ri-cerca di un nuovo lavoro.Inoltre, è in aumento il rischio di esclusioneper persone di mezza età, licenziate, con unbagaglio esperienziale obsoleto, non più ingrado di entrare in modo sufficientemente“elastico” in un gioco sempre più senza re-gole e sicurezze.

Il secondo universo è quello del welfare edella sua inesorabile compressione che haportato ad una revisione al ribasso delle tra-dizionali sicurezze sociali ed economiche.

Il terzo universo è quello delle reti di solida-rietà. La famiglia, la parentela, il vicinato, lasfera delle amicizie, seppur ancora vive e si-gnificative, appaiono, tuttavia, a molti sem-pre meno risorsa nei momenti di crisi e di bi-sogno. La distanza fisica, gli impegni lavorativi e fa-miliari, l’accelerazione dei tempi individuali,familiari e collettivi, e la compressione deglispazi dedicati alla relazione rendono semprepiù ardui i momenti dell’ascolto, della com-pagnia, della cura, dell’aiuto quotidiano,spicciolo ma concreto. Per molti anziani tut-to ciò è sinonimo di solitudine, quando nondi abbandono. Ma ciò si evidenzia anche neicasi – crescenti – di instabilità familiare, di

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In tre casi si sono avute richieste da parte difamiglie residenti che cercavano una badanteper l’assistenza ad un congiunto. Il fenome-no del badantato ci viene descritto come pre-sente in loco. Il centro di ascolto promuove,di fronte a tali richieste, percorsi di legalità,spingendo le famiglie ad assumere personecon regolare permesso di soggiorno. Ci vie-ne sottolineata, tuttavia, l’esistenza di un for-te mercato illegale e la presenza di individuiche letteralmente “smistano” i clandestini.

I bisogni fondamentali evidenziatisi riguar-dano essenzialmente i percorsi lavorativi. Al-la sensibile riduzione delle prospettive di la-voro offerte dall’economia della zona, si ag-giungono, nei casi incontrati, difficoltà dimantenimento occupazionale per i motivi giàsopra evidenziati che richiederebbero percor-si di accompagnamento più articolati.

In molte storie raccolte dal CdA affiora ilproblema dell’alcolismo, molto diffuso nellazona, in egual misura tra uomini, donne egiovani.Anche l’uso di stupefacenti è presente, conuna nuova diffusione di droghe pesanti tradi-zionali consumate in forme nuove. Il problema è serpeggiante ed è difficile unintervento anche a causa della difficoltà di ri-conoscere il disagio nel proprio congiunto.Ciò evidenzia un’altra difficoltà da tenerepresente nell’analisi del ruolo del CdA. È so-lo il bisogno urgente e drammatico che spin-ge a recarsi al Centro di Ascolto. La richiesta assume quindi un connotato es-senzialmente materiale, mentre viene a per-dersi, purtroppo, l’aspetto relazionale che do-vrebbe essere prioritario in un Centro diAscolto.

UGGIATEAl Centro di Ascolto di Uggiate sono perve-nute, da settembre 2004 a giugno 2005 , daparte di utenti italiani, 11 domande.Di queste, sei hanno evidenziato quale biso-gno principale un problema di natura finan-ziaria, collegato essenzialmente a un redditoridotto che diviene insufficiente nel momen-to in cui sopraggiungono altri oneri, quali ilpagamento del mutuo per la casa. Una seconda area si riferisce al problema la-voro. Non sempre la richiesta di un supportonella ricerca di un’occupazione è presentatadagli utenti come bisogno principale, ma es-sa fa capolino nella maggior parte dei collo-qui originati dall’avanzamento di una richie-sta di sostegno economico.Anche ad Uggiate si rileva che spesso, gli ita-liani che arrivano al CdA hanno lavori pre-cari, part-time, a tempo determinato, dove ladifficoltà della ricerca è amplificata vuoi daun ridotto capitale culturale o relazionale,vuoi da disagi psichici, dipendenze o percor-si carcerari.In due casi, tuttavia, la richiesta di un lavorosi è risolta favorevolmente, poiché la personaè riuscita autonomamente a trovare un’occu-pazione.Una richiesta ha riguardato la ricerca di unabadante.È interessante notare che, su 11 richieste, ben10 appartengono a persone di origine nonlombarda, essendo la maggior parte delle fa-miglie provenienti dal Sud Italia (una solaeccezione per una famiglia del Veneto).Ad Uggiate le richieste appaiono presentatein modo equo tra uomini e donne; queste ul-time, tuttavia, riportano nella quasi totalitàdei casi problemi dell’intero nucleo familiareo di singoli conviventi. Spesso si tratta di fi-gli problematici (tossicodipendenti o malati

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1 C. Ranci, Le nuove disuguaglianze sociali in Italia, Il Mulino, 2002

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parlato della “sindrome della quarta settima-na”, ma le statistiche dicono che vi sono mol-ti nuclei in affanno già alla terza. Anche neinostri CdA non mancano persone che si ri-volgono per ricevere pacchi viveri o buonimensa, così come per il pagamento delleutenze domestiche. In molti dei casi ascoltati nei CdA, la richie-sta di un contributo economico si verifica nelmomento dell’acquisto della casa di pro-prietà o quando si realizza che la quota delmutuo bancario acceso è troppo onerosa peril bilancio familiare.

Altrove, la povertà economica è da ricolle-garsi, in primis, all’insufficienza delle prov-videnze pubbliche. Ciò sembra riguardare inparticolar modo molti anziani soli percettoridi pensioni minime. Se l’accumulo di due en-trate può rivelarsi strategico nell’affrontare lenecessità quotidiane, lo status di single, inuna vecchiaia non protetta da buone garanziepensionistiche o da patrimoni familiari, puòdiventare humus fertile per processi di impo-verimento. Qui il problema economico si radica su unproblema di natura relazionale. La mancanzao l’insufficienza di reti protettive familiarirappresentano ciò che fa la differenza con al-tri situazioni in cui un reddito limitato è, tut-tavia, bilanciato da un sostegno familiare oparentale.Potremmo, quindi, affermare, che, nella vita,possiamo anche affrontare situazioni difficili– la perdita di un lavoro, uno stato depressio-nale, una malattia, una crisi coniugale – mase ciò si inserisce all’interno di un tessutoprotettivo – primariamente di natura familia-re, ma anche di vicinato e amicale – l’elasti-co si può tendere pericolosamente, ma anco-ra non spezzarsi.

Il disporre di cerchie allargate si rivela im-portante nella ricerca di un’occupazione, maanche nel reperimento di informazioni o nelsuggerimento di nuove strategie qualora sirendano necessari sostegni esterni (sostegnipsicologici, servizi sociali, assistenza domi-ciliare, etc.).Inoltre, la presenza di figure “amiche” sostie-ne nel processo di empowerment e di attiva-zione personale.Così, nell’affrontare eventi critici ci si rivol-ge in primis alla propria sfera parentale, con-fidando nelle risorse intrafamiliari, anche sele trasformazioni intercorse nell’organizza-zione e nella gestione della famiglia stannorendendo sempre più difficoltoso questo tipodi soluzione.Dopo questa breve panoramica possiamo do-mandarci se è in atto un processo di impove-rimento progressivo tra le persone di nazio-nalità italiana residenti nel nostro territorio. Sulla base dei dati raccolti, tra l’altro moltodisomogenei, è impossibile poterlo afferma-re. Tuttavia non possiamo disconoscere il fat-to che i processi di impoverimento non ri-guardano le sole categorie alle quali siamoabituati ad attribuire disagi ed esclusione: gliimmigrati, senza fissa dimora, rom… Se ci avviciniamo con maggiore attenzioneai profili degli italiani giunti nei CdA possia-mo constatare che, spesso, emergono storieche descrivono, in partenza, situazioni di suf-ficiente normalità, messe in crisi, tuttavia, daun evento – la perdita del lavoro, una malat-tia, l’acquisto della casa, la separazione – cheproduce un disequilibrio negli assetti econo-mici e/o relazionali del nucleo o del singolo.Il fatto che molti delle persone che hannoavanzato una richiesta di aiuto sia originariadi altre regioni sembra confermare che sianoproprio le reti di sostegno familiare o paren-

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separazioni e di divorzi.Questi tre fattori, combinati tra loro, rappre-sentano lo sfondo su cui proiettare i percorsiindividuali.Le situazioni emerse nei CdA sembrano con-fermare ancora una volta questo intreccio.Se il bisogno che microscopicamente emergecon tutta la sua gravità è quello del sostegnoeconomico spicciolo, esso è da ricollegarsi auno o a più di queste costellazioni.L’insufficienza del reddito è tipica di chi haun lavoro a bassa remunerazione, soventecollegato alla mancanza di una qualifica pro-fessionale o di un livello di istruzione suffi-cientemente elevato. Ancora essa è caratteristica di chi ha sì un’oc-cupazione, ma precaria, a tempo determinato,o stagionale, così che, a fasi di equilibrio fi-nanziario, ne subentrano altre di deficit.Non ultimo, l’indisponibilità ad un redditosufficiente è da ricollegarsi alla difficoltà ditenuta nell’occupazione lavorativa di chi vi-ve un disagio psichico, una malattia mentale,percorsi legati all’uscita dalla droga, dall’al-col, dal carcere.Infine, la richiesta di un integrazione si veri-fica anche in presenza di un unico percettoredi reddito. È stato osservato che uno dei fat-tori che più di altri può compromettere l’e-quilibrio di un nucleo familiare è la mancan-za di una seconda entrata. Se ciò si evidenzia ancora limitatamente nelcaso di nuclei coesi, il numero delle richiestedi questo tipo aumenta considerevolmente incaso di separazione dei coniugi. Se, prima, la presenza di due redditi garanti-va la stabilità economica, la riduzione delleentrate provoca una fragilizzazione dei nu-clei familiari originatesi dalla separazione.La famiglia monoparentale si conferma esse-re in molte ricerche come il profilo familiare

più vulnerabile.Parlare di “insufficienza” del reddito porta adomandarsi, comunque, quale sia la sogliaassunta a parametro della sufficienza, ossiarispetto a cosa e a quali uscite il reddito di-sponibile si riveli troppo basso.Due sono le considerazioni.Da un lato, se è vero che la povertà è un con-cetto “relativo”, ossia collegato inevitabil-mente ad un contesto di riferimento, nonpossiamo dimenticare quanto la “percezio-ne”, il “sentirsi” povero sia un fattore impor-tante nei processi di inclusione o, viceversa,di esclusione. Ciò significa che, se dall’ac-quisto di un capo firmato non dipende evi-dentemente la sopravvivenza di un indivi-duo, è innegabile che da esso deriva il perce-pirsi o, viceversa, il non percepirsi parte di ungruppo, di una società. Di essere, insomma,“uguale” agli altri. Questo rincorrere uno“status” riconoscibile dall’ostentazione di al-cuni beni è stato segnalato con preoccupazio-ne anche dal CdA di Gravedona.

Alcuni degli utenti dei Centri di Ascolto chehanno lamentato un reddito insufficientehanno mostrato qualche difficoltà nel conse-guire una gestione oculata dello stesso. Questo problema, tuttavia, se è in parte attri-buibile all’incompetenza dei singoli, deve es-sere anche ugualmente ricondotto ad un si-stema culturale che pone marcatamente altrepriorità e che presenta come assolutamentenecessari determinati consumi e comporta-menti. La povertà economica si ricollega,quindi, ad una povertà più marcatamente“culturale”.Dall’altro lato, è altrettanto vero che in Italia,di veri poveri ne esistono ancora, e parecchi:persone che fanno fatica ad acquistare persi-no generi alimentari di prima necessità. Si è

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Ripensare strategie di inclusioneAscoltare per immaginare

Ascoltare una storia di vita, una tra le tanteraccolte dai Centri di Ascolto, può apparireriduttivo, quasi inutile.Eppure, se ci pensiamo bene, il collegare unsemplice dato ad una persona concreta, che,con la sua corporeità occupa uno spazio, fi-sico e mentale, è un passaggio altamente im-portante: questo percorso a ritroso ci porta,infatti, a ricondurre l’astrazione del numerocon la realtà tridimensionale dell’esistenzaumana, la sintesi dell’aggregazione all’ana-lisi dell’unicità individuale.Ci aiuta, insomma, a ritrovare, al di là di unascheda, un Volto.

La signora G. ha quarant’anni. È stata segna-lata dal CdA di Como che non la sente daqualche tempo. La contatto telefonicamentespiegandole sommariamente la mia richiestadi incontrarla e lei, con un’immediatezza chemi sorprende, si dichiara disponibile, nono-stante sia molto impegnata tra lavoro, casa euna bimba di quasi 3 anni.

Arriva in auto al nostro incontro. È curata,con un filo di trucco, almeno così mi pare al-la prima occhiata… Non ha molto bisogno didomande, io mi limito ad interromperlaquando qualche passaggio mi risulta pocochiaro. Lei, gentile, fa un passo indietro e mispiega con pazienza.

“La mia è una di quelle storie che, se miguardo indietro, mi fanno dire: “Figurati,proprio a me doveva capitare!” Invece sì,proprio a me… Sono nata in Sicilia, ma a 60 giorni ero giàarrivata in questa zona. La mia vita l’ho vis-

suta sempre qui. Ho sempre avuto problemicon i miei genitori, perché in una famigliameridionale emigrata al Nord si fa l’erroredi portarsi con sé la propria mentalità o leabitudini del Sud, come l’essere più attacca-ti ai maschi, mentre le femmine devono subi-re e essere messe da parte. Noi eravamo in tre fratelli, due maschi ed io.

Ho finito la terza media, poi ho incomincia-to a frequentare un corso di estetista e dopotre anni – avevo già i miei 17 anni – ho avu-to un grave incidente stradale, che non mi hapermesso per un lungo periodo di parlare,scrivere e camminare. Dopo un anno circa mi sono ripresa, ma nonho potuto conseguire il diploma perché la lo-goterapia, per imparare a parlare come ibambini, è stata molto lunga. A causa di questo incidente sono stata seimesi in ospedale: qui cercavo di darmi da fa-re, in modo da avere poco tempo per pensa-re al mio stato, ma, andando in giro in altrestanze per aiutare altri ammalati che eranoin difficoltà – anche per piccole cose, comeaiutare a tirare la coperta più vicino o pas-sare un bicchiere di acqua –, vedevo che c’e-ra gente che aveva problemi più grossi deimiei, e così mi davo coraggio, e, aiutando ilprossimo, non avevo tempo per pensare:“Chissà come finirò!”.Ero stanca, alla sera, ma contenta! Quindi mi hanno dato un marchio – invalida– e sono stata iscritta alle liste speciali. Hoavuto posti di lavoro in ospedali e case di cu-ra. I primi mesi non erano molto piacevolicon i colleghi, perché l’invalido viene quasisempre discriminato… Si dice che lavora dimeno ma guadagna come tutti! Non era unabella sensazione, ma io cercavo di fare vale-re il mio operato.

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tale a rappresentare il bivio che conduce, daun lato, al riassorbimento della falla, e, dal-l’altro, alla caduta in un vortice, dove la si-tuazione di complica ed amplifica.È proprio l’inesistenza di reti di prossimitàche spinge molti a rivolgersi proprio ai CdA. In alcuni casi, la riattivazione da parte dei vo-lontari Caritas delle relazioni familiari hapermesso di ipotizzare soluzioni più “legge-re”, quando non di risolvere il problema.

Le richieste esaminate non possono esseresempre ricollegate ad una situazione di “po-vertà” conclamata. Molto più spesso la do-manda proviene da una nuova area di disagioche, facendo nuovamente ricorso a Ranci,viene definita di “vulnerabilità sociale”. Con questo termine si vuole significare unasituazione caratterizzata da una precarizza-zione dei percorsi di vita causata dall’incro-ciarsi dell’instabilità lavorativa e dalla rarefa-zione dei legami relazionali di supporto.Si tratta, in conclusione di un processo dicorrosione delle precedenti certezze, in cam-po professionale, rispetto alle garanzie del si-stema di welfare e ai sostegni di prossimità.L’incertezza che ne deriva – sia reale che per-cepita – sembra riguardare una fascia semprepiù cospicua della popolazione italiana che sitrova a dover fronteggiare un preoccupantefenomeno di progressiva fragilizzazione.

Esistono delle soluzioni locali a problemiglobali legati alle trasformazioni del mondodel lavoro, al ridimensionamento dei sistemi

di welfare, ai mutamenti nelle relazioni e nel-la struttura familiare?Evidentemente no. Non ci resta che sceglie-re: possiamo giustificarci per un comprensi-bile senso di impotenza, oppure, da qualcheparte, avviare processi di sostegno.Un primo passo ce lo indica la strategia pe-dagogica di Caritas. L’invito è, innanzitutto, quello di osservare.Un osservazione umile, nel suo partire daisingoli vissuti raccolti dai nostri centri diascolto. Intelligente, nel suo tentativo di an-dare al di là del dato. Dinamica e propositiva,nel suo incessante riproporre temi e problemiall’attenzione pubblica. Ne suggeriamo alcuni: i processi di vulnera-bilità dei nuclei monoparentali nati da sepa-razioni e divorzi, l’insufficienza reddituale ela solitudine relazionale di tanti anziani, l’in-debolimento della rete sociale per le famiglieitaliane immigrate al Nord, l’aumento del di-sagio psichico, dell’indebitamento, la po-vertà culturale che amplifica il sentimento diprecarietà economica…

Quindi, il discernere. Un discernere che siacollegiale, partecipato, attivo, profetico.Per poi agire, con azioni magari piccole, maconcrete e mirate alle situazioni, sempre al-l’interno di un legame relazionale, di un“ascolto”.Così, pur tenendo d’occhio il globale, si puòcontinuare a lavorare sul locale.Un locale che, nel “qui ed ora” di un Centrodi Ascolto, si fa immancabilmente “persona”.

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questi miei progetti, e mi diceva: “Ma dovela trovo un’altra come te?”. E i miei senti-menti si nutrivano ed ero convinta di averetrovato l’“America” vicina a casa, senza an-dare a cercarla a 20.000 km lontano.Anche se casa mia era distante dal suo lavo-ro, però avevamo la tranquillità. È stato incasa mia un anno e due mesi. Negli ultimimesi era un po’strano, diceva che io non an-davo molto d’accordo con sua figlia che èsempre venuta prima di me... Gli dicevo: “Seper caso rimarrò incinta sarà il momento piùbello della mia vita, dall’uomo che amo dav-vero…”.Nell’ottobre del 2002 si è accordato con lasorella per riscattare l’appartamento e ionon gli sono più servita. Se n’è andato. Pro-prio quel mese sono rimasta incinta, ma nongli ho detto niente perché è stata troppo for-te la delusione. Quando è stato messo al cor-rente voleva ritornare con me, basta cheabortivo, perché diceva, un po’ l’età, un po’ icosti…Dopo la delusione di essere stata lasciata, ildestino me l’ha fatta ancora. Mi sono trova-ta incinta e senza lavoro. Il posto l’ho persoperché non avevo segnalato in tempo la miainvalidità. L’ufficio di collocamento mi ave-va detto che ero allo stesso livello di tutti,perché avevo superato un esame professio-nale, di non dire niente se non quando mifosse stato chiesto. Sul modulo di assunzionenon avevo capito una domanda e l’ho trala-sciata. Dopo due settimane mi hanno chia-mata contestandomi di avere nascosto chefacevo parte delle liste speciali… Nonostan-te la mia ingenuità nel capire le cose, sul la-voro fino a quel momento, non c’era statonessuno che si era lamentato del mio servi-zio. Comunque, dopo il periodo di prova nonmi hanno rinnovato il contratto.

Allora mi sono attaccata alla mia gravidan-za, alla fede e a un numero verde che mi hainformata che quasi in ogni città c’era unCentro di Aiuto alla Vita. Ci sono andata eloro mi hanno fatto conoscere il CdA dellaCaritas. Io ormai avevo deciso della mia vita: volevoil mio bambino. Avevo bisogno di un soste-gno economico, ma anche qualcuno con cuiparlare e così andavo spesso a raccontare lamia situazione al Centro di Ascolto. Qui mihanno sostenuta con un appoggio morale,soprattutto quando avevo in corso la ristrut-turazione della casa, perché i lavori non an-davano più avanti seriamente, poi con glialimenti e qualche telefonata per avere alcu-ne dilazioni nei pagamenti…

La questione con il papà di mia figlia non èfinita, ora è passata in mano ad un legale.Stiamo facendo il riconoscimento della bam-bina perché lui non vuole tirare fuori un cen-tesimo anche se vive molto bene. Trova lascusa che deve già pensare ad una figlia e, aquella che abbiamo avuto insieme, può daresolo 100 euro al mese! È una situazioneshock! Lui mi ha anche danneggiato dichia-rando al suo legale che io sono proprietariadi cinque case! Io ho la mia casa e quellasotto l’ho dovuta comprare obbligatoria-mente perché nell’88 avevo già incominciatoa pagare un forte acconto prima che lo co-noscessi e se non avessi concluso l’acquisto,avrei perso tutto l’anticipo dato. Ho compra-to in contanti con i soldi che avevo messo daparte, ma non bastavano per pagare tutti ilavori di ristrutturazione ed è intervenutomio fratello con un prestito. Sono ancora indebito con lui, ma aspetterà. Però la casaera proprio disastrata e almeno ora ho lacertezza di un’entrata sicura.

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A 21 anni me ne sono andata a vivere da so-la, non ce la facevo più a sopportare che, frai figli, non ero mai apprezzata, incoraggiata;tutto ciò che facevo non andava mai bene,quando io dentro di me sentivo tanta forza,ma non potevo dimostrarla.A fatica ho mantenuto i rapporti con i mieigenitori. Ho imparato a lavorare e con molta faticasono riuscita a mantenermi. Con l’incidenteavevo avuto dei soldi con cui mi sono com-perata la casa.

In occasione di un rapporto sentimentale in-cominciato nell’anno 1982, mi è stato offer-to di trascorrere una vacanza nelle isole Fi-lippine e di conoscere un posto così primiti-vo ma con molte ricchezze. Il mio ex-compagno l’avevo conosciuto qui.Lui lavorava, stavamo bene. Poi, dopo 10anni, la storia è finita e, con tanto coraggio,mi sono licenziata, ho affittato la mia casa econ qualche amico che avevo conosciuto nel-le Filippine, me ne sono andata a vivere inquell’isola.Vivevo bene con i soldi che mi fruttava la miacasa. Ho apprezzato molto la popolazione eil loro modo di vivere. Mi dicevo: “Avrò tan-te cose da imparare e non avrò tempo di ri-cordare quello che ho lasciato”.La vita era molto facile – non ci sono l’Iva ele tasse, non c’è il metano perché fa semprecaldo sia in estate che in inverno e la vita co-stava molto poco a paragone delle nostreabitudini. Ma, ahimè, il biglietto del viaggioscadeva dopo un anno e sono stata costrettaa ritornare in Italia. Con molta fatica ho do-vuto accettare la situazione ma dentro di meviveva il ricordo di questa esperienza.Circa 10 anni fa, nell’88, ho avuto l’occasio-ne di poter comprare l’appartamento sotto il

mio, perché era in vendita. La trattativa èstata piuttosto lunga perché la casa era oc-cupata da un inquilino e così ho avuto tempocirca sei anni per mettere da parte i soldi perl’acquisto della casa e per realizzare il miosogno di trasferirmi per sempre, o fino aquando sarebbe durato, in un isola.Le idee erano molto chiare: tenevo il mio ap-partamento in affitto per mantenermi e se ungiorno avessi voluto tornare, avrei sempreavuto un tetto sulle spalle senza disturbaregli inquilini, perché, prima di trovare un po-sto di lavoro, l’affitto mi avrebbe aiutato a ti-rare avanti.

Sono stata sola per sei anni. Nella mia vita,a quel tempo, c’erano solo il lavoro, nientediversivi e molte rinunce. Ma una sera hoaccettato, dopo tanta insistenza da parte diun’amica, di cambiare un po’la routine e so-no uscita con un gruppo di persone. In quella occasione ho conosciuto il papà dimia figlia e ci siamo messi insieme. La situazione funzionava bene, ma non ave-vo capito che lui, dopo la tranquillità che glioffrivo – casa pulita, camicia pronta, pranzie cene sempre doc… – aveva altri progetti.Questo uomo era divorziato da un anno eaveva avuto una figlia con la prima moglie.Economicamente stava bene e aveva unabella casa. Dopo un anno che viveva a casa mia, mi so-no trasferita da lui, ma, poiché era un conti-nuo litigio con la sorella che abitava al pia-no sotto, gli ho proposto di andare a viverenel mio appartamento che in quel momentoera sfitto, fino a quando non si sistemavanole cose.Ogni tanto gli dicevo che, un giorno, quandofossi riuscita a sistemare l’acquisto della ca-sa, me ne sarei andata. A lui davano fastidio

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Nel mese di dicembre del 2004 mi ha bussa-to alla porta una bella signora, ben vestita.Faceva parte di una famosa associazione divolontariato di Como. Aveva saputo che labimba aveva avuto dei problemi… Era finitain ospedale perché era denutrita… Ho avutotroppe spese da pagare nella ristrutturazio-ne, troppe cose a cui pensare, i soldi eranotroppo pochi per pensare a fare anche la spe-sa, per tutti e due non bastavano… O mangioio o mangia lei! Ma poi pensavo: “Al matti-no gli do il mio latte, all’asilo mangiano lospuntino alle 10, poi il pranzo, poi la meren-da… e se alla sera c’è anche poco…”.All’inizio mi davano 200 euro al mese pernon far mancare i bisogni per la piccola, poi,per evitare di venire ogni mese, mi è stato da-to il permesso di andare alla farmacia delnostro paese per comperare medicine, omo-geneizzati… e alla spesa del mese ci pensavaquesto volontariato. Ora mi danno un aiutoper pagare l’asilo.Sono state tutte queste cose che mi hanno da-to la forza di dire: “Ce la devo fare an-ch’io… Devo dirmi fortunata se il Signoremolto spesso mi ha guardata e mi ha dato ungioiello di cui dovrò avere cura: una bimbabella e sana!”.Devo dire che le mie preghiere sono semprestate accolte. Avere vicino tutte queste perso-ne mi ha aiutato nelle difficoltà.

I miei fratelli? Li vedo solo quando ci sono lefeste, a casa dei genitori… I miei mi hannoaiutato a pagare l’asilo solo per poco, oramio papà è molto malato, ha 82 anni, e miamadre ha lasciato il lavoro… Ora pago metàdella retta dell’asilo con l’aiuto del volonta-riato, l’altra metà la mettono sul conto delpapà essendo a conoscenza della situazionetramite l’assistente sociale, per non far trau-

matizzare la piccola per un cambio di asilo. Uno dei miei fratelli abita un po’ lontano,l’altro è vicino ma con lui non c’è un buonrapporto perché aspetta ancora da me deisoldi che mi aveva prestato.Tanto aiuto mi vengono anche da un cane eun gatto che abitano con noi che, giocando edistraendo la bambina, la fanno sentire im-portante perché si occupa di loro…

Come trascorro la mia giornata? Mi alzo al-le 7, do da mangiare agli animali, poi svegliola bambina, la preparo, le faccio la colazio-ne - non sempre riesco a farla anch’io – e an-diamo via di corsa all’asilo. Dopo vado allavoro che, per fortuna, è vicino. Quando fi-nisco, vado a fare la spesa, oppure a casa perfare qualche pulizia che non riesco a finirequando c’è la piccola, o altre commissionida sbrigare tra uffici e così via…Ritorno a prendere la bambina e qualchevolta andiamo a trovare i nonni.Sono sempre di corsa. Ho sempre tante coseda fare… Domattina non potrò andare al lavoro, hogià avvisato, perché la bambina non sta be-ne… Non ho nessuno che mi aiuta quando labambina è ammalata. Per fortuna le personedove lavoro sono comprensive, e se, a causadella bimba, arrivo 15 minuti dopo, non midicono nulla. Io vedo di dare del mio meglioe non urlo con la piccola perchè è sempretardi…Come può capire una bambina, anche se glifaccio molti discorsi a questo riguardo, che,se dobbiamo vivere, dobbiamo per forza la-vorare? Altrimenti come possiamo comprareil mangiare, i vestitini, andare sui pullman,mettere la benzina alla macchina?Lei mi risponde sempre con convinzione:“Va bene”.

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Ora sopravvivo con il mio lavoro anche se hoavuto la macchina ferma per un mese e mez-zo. C’è chi mi ha aspettato (ma una personano) e ho avuto un mancato guadagno. Facciopulizie ed assistenza ad un ammalato. Per fortuna ricevo comprensione sui tempi,perché con la bambina, al mattino, non è fa-cile. Per questi lavori ricevo circa 350 euroal mese, poi incasso altri 400 euro di affitto.Con un totale di 750 euro al mese non ce lafaccio…Di invalidità non prendo niente perché nonarrivo al punteggio, mi aspetta solo il postodi lavoro ma non riesco ad ottenerlo per iltempo che ho a disposizione, e allora mi ac-contento di quello che ho. L’asilo del mio paese non mi ha aiutato soloper motivi burocratici, perché la bimba non èstata riconosciuta dal padre. Da parte del co-mune non posso contare su aiuti economici.

Credo sempre più al Signore Gesù Cristo.Nei miei affanni e fatiche ho spesso trovatouna porta che si è aperta proprio a secondadei miei bisogni. L’asilo dove viene accuditamia figlia è vicino a casa e al lavoro, e mivengono incontro capendo le difficoltà cheabbiamo riguardo il costo della retta. La pic-cola ci sta così bene che tutti i giorni facciofatica a portarla via. Lei cresce bene, non posso lamentarmi,però penso che senta i miei problemi. Qual-che volta chiede del papà. Non lo conoscedi persona, solo in foto, ma si fida di quan-to io le dico. Una volta mi ha chiesto:“Dov’è il papà?”. Io non sapevo cosa dirlee lei, a sua insaputa, mi ha aiutato dicendo-mi: “Dorme?”.“Sì, amore, dorme a casa sua perché lavoralontano…” – le ho risposto e lei è stata tran-quilla.

Mi sta seguendo una psicologa del consulto-rio. È stato chiesto al papà se almeno il gior-no di Natale la bambina poteva telefonargli,ma lui non ha voluto sentirla…

I miei genitori? Loro non volevano che por-tassi avanti la gravidanza. Mi dicevano: “Tunon ti rendi conto cosa vuol dire un figlio! Icosti, l’amore, le attenzioni!”. Ma io sonostata decisa e ho risposto: “Non mi aveteaiutato quando ho avuto bisogno, di certonon lo farete adesso…”.L’unico insegnamento che ho avuto dai mieigenitori è questo: “Se metti via, trovi; se nonmetti via niente, non trovi niente”.Dal mio grave incidente mi sono attaccatamolto alla vita, a questa vita che era in me eche non potevo buttare via. Era qualcosa digrande, pulito e sincero, costi quel che costi…La mia fortuna è stata questo numero verdeattraverso il quale ho avuto sostegno e chenon mi ha fatto sentire sola, dandomi indiriz-zi ai quali rivolgermi. Non solo… Mi è statoanche detto che se mi trovassi in un momen-to di disagio o di sconforto, se volessi parla-re con qualcuno, questo numero è in funzio-ne 24 ore su 24.Ho incominciato a darmi da fare: il Centrodi Aiuto alla Vita che mi ha passato pannoli-ni per un anno, ricevo vestitini e giocattoli, eun ostetrica mi ha seguito per tutta la gravi-danza, il parto, e per il successivo anno emezzo. Ora ci sentiamo ogni tanto… La “ca-tena” di aiuti va avanti, così ho conosciuto laCaritas che per 7 mesi mi ha passato gli ali-menti e mi hanno dato un supporto morale…

Stava finendo l’anno e… – (incomincia apiangere) – Mi creda, alla porta ha bussatoGesù Bambino! – (si interrompe per l’emo-zione del ricordo).

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funzionare meglio le cose. Chiedevo solo ri-spetto, non sono né una serva, né un passa-tempo! In più ci mettevo la casa senza pren-dere l’affitto…Insomma, ci sono state cose non chiarite.Il futuro? Vorrei saper dare più ascolto aquello che mi dice la psicologa, di conside-rare definitivamente chiusa la storia, diguardare avanti, di cercare un altro compa-gno che accetti la bambina…Ma, forse, sono così abituata a stare sola!E poi, durante la settimana non ho tempo,corro sempre: l’asilo, il lavoro, le molte coseda sbrigare e alla sera sono stanca…Nel fine settimana, però, visto che spesso la-scio la piccola dai nonni, mi piacerebbe ave-re un amico con cui parlare, ma non è unacosa facile. Ho sofferto troppo. Sono statadavvero bastonata dalla vita e ora non hopiù vent’anni. Questa sensazione di esserestata abbandonata mi ha tolto la forza di ri-cominciare…La mia pargoletta avrà sempre bisogno diuna mamma sicura che le dia un buon inse-gnamento: non fare agli altri ciò che nonvuoi che gli altri facciano a te…

Raccogliere una storia è un invito al silenziorispettoso, ma anche all’interrogazione.Ci domandiamo: quali gli elementi che han-no contribuito all’innescarsi di queste spiralein discesa?Cosa, invece, avrebbe potuto evitare, o, al-meno, rallentare, l’ingigantirsi e l’intrecciar-si delle difficoltà?Con quali strategie sarebbe possibile preve-nire o almeno ammortizzare questi percorsi?

Sicuramente non esiste una sola risposta, ma,insieme, è sicuramente più facile leggere tra lerighe di una vita ed ipotizzare percorsi futuri…

Per concludere…almeno per ora

In questi giorni sto leggendo l’ultimo libro diDavide Van de Sfroos. Ironico, intenso, scorrevolissimo. Ogni tanto mi imbatto in una frase che sem-bra incisa su una corteccia d’albero, una diquelle frasi che ti si conficcano in testa comeun chiodo e non se ne vanno più. Forse perché stavi proprio aspettando lei. Forse perché riesce a sintetizzare con luciditàciò che ti si rimescola dentro al petto, senzache possa trovare sfogo e pace…La frase è questa: “C’è un mondo che seiabituato a vedere come sfondo e che, invece,possiede il profilo del protagonista: per ve-derlo, sarebbe sufficiente smettere per un at-timo di correre dentro se stessi”.Queste parole mi aiutano a trovare un oriz-zonte su cui adagiare questo breve percorso.Ve lo “adagio”, come se fosse addormentato,in attesa di riprenderlo ancora in futuro.Quello degli italiani che si recano ai CdA nonè un capitolo che si possa chiudere, semmai,è come un volume che lasci sul comodino,magari con un segnalibro dentro, per ricorda-re pagine importanti, cose su cui continuare ariflettere, progetti da avviare…

Facendo passare le schede raccolte dai vo-lontari della Caritas cercavo di immaginarevolti, profili, timbri di voce, lavorii nervosidelle mani, mentre si confessano quei “pec-cati” che si chiamano disoccupazione, disa-gio mentale, insufficienza reddituale, separa-zione, alcolismo, solitudine…

“C’è un mondo che sei abituato a vedere co-me sfondo…”.È quello che noi siamo soliti fare, collocaresullo sfondo queste persone in una strategia

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Durante la gravidanza mi sono iscritta alleliste dell’Ufficio del Lavoro del mio paese.Ho spiegato la mia situazione e così sono in-tervenuti i servizi sociali. Anche se non hoavuto un aiuto economico da parte del Co-mune, la prima assistente sociale mi ha aiu-tato moralmente e, avendo capito che la bim-ba era troppo attaccata a me, mi ha indicatouno “Spazio gioco” dove mi hanno accoltobene e non mi hanno fatto pagare niente. So-lo negli ultimi tempi ho pagato un’assicura-zione, anche se ho frequentato il centro per 8mesi, tre giorni la settimana… In più le da-vano da mangiare e qualche vestitino. Checostanza…L’assistente è riuscita a trovarmi un contri-buto della Provincia. La nuova assistente so-ciale, invece, mi ha dato molto fastidio. Nonsolo non ha fatto nessuna relazione da pre-sentare a chi di dovere, ma ha creduto aquanto scrive l’avvocato del papà di mia fi-glia e ha preso iniziative a mia insaputa, fa-cendo sapere al presidente del volontariatoche io possiedo cinque case! Per fortuna al-l’associazione non le hanno creduto. Elimi-nata l’assistente!

Vendere la casa? Se vendo la casa mi man-gio l’unico guadagno fatto di sacrifici, e poi?

Cosa mi manca di più? Da quando sono in gravidanza, non vado piùa fare una passeggiata, a guardare i nego-zi… Io prendo i vestiti che mi danno le suo-re… Ogni tanto, quando posso, faccio un gi-ro al mercatino dell’usato, lì ho compratoquasi tutto l’occorrente per la bambina, il fa-sciatolo, la carrozzina… Non faccio più ipranzi che facevo prima, niente invitati. Amia figlia cerco di non farle mancare almenoper Natale e il suo compleanno un vestitino

nuovo, perché porta l’usato tutto l’anno…Non seguo più niente di cosa succede nelmondo. Non ho tempo. Ho sempre la piccolache mi sta addosso e a volte sembra che mitolga il fiato. Lei si mette sul divano, mentreguarda i cartoni animati, ma mi deve sentire,toccare…Non ho più nemmeno delle amiche. Quandomi ero messa insieme al papà di mia figlia, leamicizie le abbiamo avute insieme e, finita lastoria, ho perso anche loro. L’unica amicache pensavo di avere era la madrina di mia fi-glia, ma lei ora è molto distante, essendo piùamica del papà… Ci poteva pensare prima…Amici di infanzia o di scuola non ne ho maiavuti. Al Sud ho ancora dei parenti, ma cisentiamo raramente. Ci sono andata l’annoscorso, l’ultima settimana di agosto, a pren-dere mia figlia che ha trascorso tre mesi esti-vi con i miei genitori. Su questo aspetto, al-meno, sono disponibili, altrimenti si annoia-no, la bambina gli fa compagnia…Mi piacerebbe avere qualche mamma concui parlare, magari mentre i bimbi giocanoinsieme. Sarebbe uno stacco dalla solita vita,dai soliti problemi – le bollette, la macchina,il cibo, la bambina che mangia poco perchéassorbe i miei problemi e “ce la devo fare!”e “tutto deve andare avanti!”…Ripensando alla mia vita, devo ammettereche non sempre siamo “svegli”, o forse èquel bisogno d’amore che ci strega…Per me il papà di mia figlia era l’uomo idea-le, lo amavo e non riuscivo a capire alcunisuoi atteggiamenti, soprattutto verso la suaprima figlia. All’inizio la rimproverava facil-mente perché notava i suoi errori, ma poi misgridava davanti a lei…Come è possibile che lei avesse rispetto perme, avendo l’esempio di suo padre!Io ci restavo male, ma facevo di tutto per far

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PremessaIl percorso di maturazione e di crescita deiCentri di Ascolto in questi anni ha richiesto lapresa di coscienza di individuare momenti,spazi e motivazioni dell’essere Centro diAscolto di un determinato territorio.Una grande opportunità che ciascun Centrodi Ascolto si è dato è la Relazione SocialeAnnuale, intesa come momento di verifica,di valutazione e di riprogettazione comuneche consente ai numerosi operatori di condi-videre un percorso, di esprimere la dimen-sione comunitaria del proprio servizio, diconfrontarsi con il resto della Comunità Cri-stiana (parrocchie, zone ecc.) in merito agliobiettivi, alle motivazioni, agli strumenti eall’evoluzione del contesto in cui i Centri diAscolto operano.A volte, infatti, la tentazione di dover a tutti icosti rispondere a qualsiasi bisogno e di do-ver arricchire l’attività con ogni tipo di servi-zio, porta alla deriva di diventare autorefe-renziali, limitando a se stessi il senso di quel-lo che si sta facendo. La stesura della rela-zione sociale diviene un’occasione aperta diconfronto e di presa di coscienza di ciò cheun territorio vive e produce in termini di bi-sogni e di risorse.La relazione sociale non ha solamente e sem-plicemente una funzione “interna” – legatacioè alla vita e all’organizzazione del servi-zio – ma acquista senso e significato nellasua funzione “esterna”, come piccolo contri-buto a creare e diffondere la cultura dell’at-

tenzione e della solidarietà, attraverso il coin-volgimento della comunità cristiana, anzitut-to, ma anche della società civile. L’obiettivoè che siano conosciuti i problemi e le risorsee possano nascere atteggiamenti e momentidi corresponsabilità, soprattutto verso coloroche sono definiti gli “ultimi”.Si capisce che la relazione sociale è un ulterioreservizio che i Centri di Ascolto Caritas offrono al-le persone che incontrano, perché hanno loro co-me destinatari finali privilegiati.La relazione sociale serve a far prendere co-scienza alla comunità cristiana che i Centri diAscolto non esauriscono l’attenzione carita-tiva della comunità stessa, e soprattutto nonesauriscono la funzione di “ascolto”, perchéad esso non giungono tutti i bisogni e i pro-blemi di una comunità. I Centri di Ascolto,infatti, non vogliono e non devono diventareil luogo della delega della carità e dell’ascol-to; piuttosto è un’espressione della comunitàcristiana che ascolta coloro che si trovano indifficoltà: dalla comunità ricevono il manda-to e ad essa “restituiscono” le richieste di chiascolta. La relazione sociale diventa, allora, uno stru-mento nella mani della parrocchie perché ilCentro di Ascolto non sia solamente delegatoall’ascolto, ma nella concretezza del suo esse-re “sentinella attenta”, divenga vigile e solle-cito ai bisogni degli ultimi ma allo stessotempo li accompagni e accompagni la comu-nità ad un incontro e ad un comune percorso.Perché inserire in questo lavoro una “sin-tesi” delle relazioni sociali?

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che prevede il distanziamento, la separazionefisica e psicologica fino alla spersonalizza-zione, alla disumanizzazione… Processi inconsci, automatici, difensivi, ep-pure non meno tragici nelle loro conseguen-ze: la spirale dell’allontanamento, della presadi distanza comporta l’abbattimento dellanostra responsabilità morale.Cosa significa tutto ciò?Che il collocare gli altri sullo sfondo legitti-ma il nostro non coinvolgimento nelle lorovite, nei loro bisogni, nelle loro solitudini.Così la persona che si fa “scheda” per i vo-lontari del CdA, ma anche per ciascuno dinoi, deve assolutamente ritornare “persona”attraverso un processo di riavvicinamento edi messa a fuoco che implica una conoscen-za approfondita delle problematiche sociali,di riflessione sui percorsi di povertà e fragi-lità, di investigazione delle cause del disagio,di progettazione di alternative possibili. Ciò significa, innanzitutto, che abbiamo tuttibisogno di occhi nuovi per vedere e per com-prendere: abbiamo tutti bisogno di forma-zione, di condivisione, di riflessione.Ciò significa, ancora, che non possiamo piùpermetterci di lavorare da soli, che di fronteall’aumento della complessità, dobbiamo ne-cessariamente imparare ad apprendere

una logica di rete, colloquiando e collabo-rando con tutti.Ma ciò significa, soprattutto, che, attraversoil nostro impegno, il nostro interessamento,ciò che era lontano riacquista il suo legitti-mo ed inalienabile essere “protagonista”.

“Per vederlo,” – ci ricorda Davide Van deSfroos – “sarebbe sufficiente smettere per unattimo di correre dentro se stessi”.Esatto. Basterebbe un attimo, per incominciare. Un attimo per scentrarsi e vedere un “fuorida sé” che, come abbiamo intuito, da questobreve viaggio nei CdA, non è così lontano,così diverso da noi.

Sapere che esistono da qualche parte nel no-stro territorio dei luoghi dove persone “in af-fanno” vengono accolte, ascoltate e, dovepossibile, aiutate, è sicuramente motivo disoddisfazione, ma non può essere un alibi. Nessuno può delegare la propria responsabi-lità ad un volontario. Invece, possiamo imparare a renderci sensi-bili, insomma a “farci prossimo”. Quel “farci prossimo” evangelico che accor-cia le distanze e rimescola i copioni renden-doci tutti ugualmente protagonisti.

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Le relazioni sociali dei CdA della Diocesi di Comodi Luigi Nalesso

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Alcuni dati complessiviAvere a disposizione le relazioni dei Centri diAscolto di tutta la Diocesi permette innanzi-tutto di farsi un’idea più precisa del lavoroche in essi si svolge. I dati richiesti sono piùprecisi da un anno a questa parte. Tutti i CdAhanno specificato quanti colloqui hannosvolto mese per mese. Sono più di 5.000 imomenti prolungati di ascolto che operatori evolontari hanno offerto nelle undici sedisparse sul territorio diocesano. Questo signi-fica almeno 400 colloqui al mese e un lavorosettimanale di circa 100 colloqui, in cui sonodi solito coinvolte due persone (la metodolo-gia utilizzata è quella di entrare in due vo-lontari per ogni colloquio). È un’opera nonindifferente.L’altro dato ormai completo che è riportatonelle relazioni riguarda i nuovi arrivi, la pre-sa in carico di persone che non si erano maipresentate in precedenza. Le cifre ci diconoche i Centri di Ascolto della Diocesi accol-gono ogni anno per la prima volta 800 perso-ne. Su queste circa 300 sono stati i nuovi cit-tadini italiani. Se anche in questo 2006 annofosse confermata una cifra di questa entità,dato che alcuni centri di ascolto hanno supe-

rato il decennio di vita e che quasi tutti ope-rano da ormai 6 - 7 anni, potremo affermarecon una certa sicurezza che l’un per centodella popolazione della Diocesi (che contapoco più di mezzo milione di abitanti) avràavuto contatto con un servizio della Caritas.I Centri di Ascolto si confermano come ap-prodo “naturale” per i bisogni degli stranieriresidenti o appena giunti in Italia, cioè perquella categoria di persone che è maggior-mente carente di una rete di sostegno socialee che non può o non sa ancora rivolgersi allestrutture sociali di assistenza o inserimento.Con questo il CdA ribadisce la sua vocazio-ne di realtà di accoglienza a bassa soglia diaccesso e la sua potenzialità di punto di sno-do per l’integrazione.

Una veloce lettura dei dati sull’accesso di ita-liani e stranieri (vedi tabelle sotto) mostra no-tevoli differenze di percentuale su questopunto. È probabile che in alcune zone dellaDiocesi il passaparola tra stranieri abbiaidentificato in quel CdA un punto significati-vo di aiuto oppure che la carenza di altri ser-vizi induca a convogliarsi sul CdA. Può an-che essere che la percezione degli italiani diquel CdA come uno sportello per immigrati

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Il Centro di Ascolto vive in stretto contattocon il territorio in cui è inserito. Questa sin-tesi aiuta a fare propria la storia del locale(territorio e comunità), interpretandone lesofferenze, i bisogni, le problematiche, maanche evidenziandone le risorse, i punti diforza, le peculiarità.Anche la Caritas di Como ha aderito al“PROGETTO RETE” proposto da CaritasItaliana che prevedeva una raccolta standar-dizzata e uniforme dei dati dei singoli Centridi Ascolto e un’attività di lettura comune fi-nalizzata alla realizzazione di un “prodotto”di utile lettura secondo tre passi fondamenta-li: l’ascolto che ,nei singoli Centri di Ascol-to, diviene attento e sensibile all’ ”umano co-mune” della persona che si incontra. Ma ciònon basta: è necessario saper osservare e pro-durre osservazioni: è a questo livello che sicolloca l’Osservatorio delle povertà e dellerisorse che si è posto in stretta collaborazio-ne con tutti i Centri di Ascolto nella lettura diquanto viene qui descritto. Quindi segue ildiscernimento: capire ciò che è accadutoper comunicarlo agli altri, attraverso una re-stituzione attiva ed intelligente al territorio.Ecco l’importanza di una sintesi delle rela-zioni sociali che, così come è stata costruita,diviene uno strumento di conoscenza, di ri-

flessione, di denuncia, e di promozione uma-na e sociale (delle singole persone e della so-cietà intera attraverso un piccolo contributoalla partecipazione alla vita del territorio edalle sue scelte).Un primo capitolo presenta i “dati” dei centridi ascolto ragionando su alcune caratteristi-che comuni delle persone che si sono presen-tate durante l’anno 2005 evidenziandone iproblemi principali emersi.Una seconda parte riprende le relazioni so-ciali dei centri di ascolto mettendone in lucealcuni passaggi significativi.Un capitolo a parte è dedicato all’esperienzadi Porta Aperta in Como e al lavoro che svol-ge a contatto con persone a rischio di graveemarginazione e con gli stranieri.È chiaro che i Centri di Ascolto non incon-trano tutti i bisogni, tutte le povertà, pertantoè necessario tener presente questa parzialitàdi visione. Eppure, ne accolgono una fettaimportante. Soprattutto, i Centri di Ascolto”vedono la dinamica della povertà, cioè ve-dono in tempo reale cosa succede; lo fannoin modo capillare sul territorio avendo unaqualità elevata dell’informazione, poichécon le persone – in affanno – i Centro diAscolto ci parlano”. (Magatti, atti del conve-gno “Riconciliazione e giustizia”).

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immagine che la Caritas potrebbe subire percui ci si occupa di tutto e di niente, o se ci sioccupa di dieci problematiche, si può chie-derle anche un’undicesima e così via: il ri-schio insomma è quello di essere intesi comeun servizio sociale fac-totum e autoreferen-ziale. A questo proposito sono salutari le pa-role che il Papa ha dedicato nella sua encicli-ca sullo specifico della carità cristiana, per-ché non sia confusa con assistenza sociale.In particolare sul bisogno “casa” la Caritas ela sua Fondazione hanno dedicato parecchieenergie per attivare risorse e si può dire cheormai in ogni zona della Diocesi c’è almenouna possibilità di accoglienza abitativa. Me-no fortunato si è rivelato finora l’esperimen-to della Fondazione Scalabrini per l’acco-glienza abitativa in Provincia di Como, ma lostrumento è valido e perciò bisognerà insiste-re. Detto questo, i servizi Caritas si rivelanoeffettivamente impari di fronte al compito di

soccorrere per emergenze o inserimenti lega-ti alla casa. È un tema che va con prontezzariaffidato agli enti pubblici e alle categorieproduttive, specie per ciò che riguarda il fat-to che gli immigrati, secondo la legge, do-vrebbero giungere in Italia provvisti di abita-zione, cosa che è completamente disattesa edi cui ben pochi sembrano preoccuparsi.Sulla richiesta di lavoro invece la Caritas nonpuò che farsi tramite di un ulteriore allarmesociale per il fatto che ormai vengono a chie-dere lavoro da noi molte più persone che nonhanno alle spalle condizioni di indigenza o diemarginazione, ma solo una famiglia damantenere e dunque rischiano di cadere nel-l’indigenza per mancanza di lavoro. Sulle iniziative che la Caritas intende mette-re in atto, la riflessione è ormai matura e sitratta solo di trovare gli strumenti e le perso-ne adatte per dare qualche segnale concretoche è possibile “far lavorare” persone che vi-

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riduca la loro propensione a rivolgersi ad es-so. Sarebbe comunque utile continuare la ri-flessione su questo punto.All’opposto, alcuni operatori di Centri diAscolto hanno l’impressione, e qualche cifralo confermerebbe, di un “ritorno” degli ita-liani, caratterizzato tra l’altro da nuove pro-blematiche rispetto al passato. Le successivetabelle danno qualche elemento in più daquesto punto di vista, ma comunque è unaspetto da tenere sott’occhio perché esige diessere confermato, magari con l’incrocio tradato numerico degli italiani e bisogni e ri-chieste che essi portano con sé.

Casa e lavoro sono, come già segnalava ilrapporto della Caritas regionale sui Centri diAscolto, il bisogno e la richiesta principaleche giungono ai nostri servizi.È significativo il fatto che vengano riversati

sui Centri di Ascolto bisogni e richieste dinotevole entità, probabilmente sapendo giàche non saranno soddisfatte, ma spinti co-munque dalla necessità di chiedere a qualcu-no, di poter manifestare a qualcuno il proprioproblema. Si conferma inoltre il fatto che laCaritas non è vista come “specialista” nel ri-solvere un problema piuttosto che un altro,ma essa è considerata come destinataria diuna vasta gamma di problematiche, nella si-cura convinzione che le persone che incontria quello sportello se potranno fare qualcosaper te, lo faranno. Se questo da una parte po-trebbe essere motivo di orgoglio, deve peròanche mettere in guardia da due pericoli: latentazione di onnipotenza dell’operatore odel volontario, che sentono di doversi co-munque dare da fare per affrontare proble-matiche in cui non sono esperti o che nonhanno i mezzi per risolvere; la genericità di

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Obiettivi comuniVi sono obiettivi di ampio respiro che per-mettono a ciascun Centro di Ascolto di guar-dare avanti con atteggiamento di speranza econ la convinzione di poter raggiungere tra-guardi realizzabili e condivisibili secondo leproprie possibilità e forze. Il fatto che cia-scun Centro di Ascolto riporti nella relazionesociale alcuni obiettivi che servono da sfon-do all’opera quotidiana è un risultato impor-tante perché è segno che l’opera che si starealizzando, pur in mano a persone volonta-rie, ha assunto una consapevolezza e unaprassi “competente” anche nella fase di pro-gettazione e di sviluppo del servizio, in ter-mini di risorse e di esigenze.Vi sono, poi, obiettivi comuni a tutti i Centriche ridicono ancora una volta lo sforzo gene-rale di vivere una dimensione di Ascolto e diAccoglienza che sia a misura d’uomo perchéda spazio alla persona e al suo racconto.

Un obiettivo importante è stato quello dioffrire, a chi si è rivolto al punto di Ascol-to parrocchiale, la massima disponibilità,in modo che ciascuno si sentisse veramen-te amato, accettato, valorizzato e nei limi-ti delle nostre capacità aiutato. A questoproposito va detto che incontrare le perso-ne dove vivono ci ha aiutato ad instaurarerapporti più profondi e quindi più proficuicon gli utenti. (Olgiate Comasco)

All’inizio dell’anno sociale, abbiamoesplicitato le finalità proprie del Centro diAscolto e di Aiuto:– Essere una porta aperta, un luogo d’in-

contro, una mano tesa ad ogni personache si presenta;

– Offrire ascolto e sostegno morale;– Donare aiuto concreto, in risposta alle

richieste e ai bisogni;– Offrire un contributo fattivo, tramite la

testimonianza e l’impegno, per far cre-scere una cultura di solidarietà all’in-terno della realtà ecclesiale e civile lo-cale. (Tirano)

Chi siamo e cosa facciamoNormalmente ciascun centro di Ascolto èaperto almeno due giorni la settimana e ha alsuo interno una media di 12 volontari che nelcorso degli anni hanno sviluppato competen-ze specifiche e si sono dati differenti incari-chi e responsabilità, a partire dalla figura delCoordinatore, che svolge un ruolo di riferi-mento e di sintesi.

Gli operatori del CDA si adoperano peraccogliere, ascoltare e accompagnare lepersone che si rivolgono al centro cercan-do di dare una risposta al bisogno, siamorale che materiale, che esprimono.(Sondrio)

Il metodo di lavoro adottato è il lavorod’equipe, che permette una presa in caricoda parte del Centro piuttosto che dal sin-golo volontario, favorendo un’analisi piùoggettiva dei bisogni, al riparo dai forti in-vestimenti emotivi in cui facilmente vengo-no coinvolti i singoli operatori. Questa im-postazione aiuta a superare l’ottica del-l’intervento immediato – perlopiù assi-stenziale – con l’intento di arrivare ad unprogetto con la persona in difficoltà, per-ché sia lei stessa ad attivarsi sia pure conil supporto del Centro di Ascolto. (Como)

Le persone sono accolte e ascoltate in am-bienti il più possibile riservati e adatti allosvolgimento di colloqui di conoscenza, di so-

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vono una loro emarginazione o che stannotentando un reinserimento. Qualche piccoloprogetto, che partirà dalla zona di Como, saràcomunque ben delineato fin dall’inizio suquesta finalità: il lavoro per persone già svan-taggiate in altri campi. Per le persone “nor-mali” la Caritas non può fare altro che augu-rarsi che qualcun altro provveda: non avrem-mo né il mandato né le capacità per affronta-re un compito di tale ampiezza.La parte seguente di questo capitolo vuoledare la parola direttamente ai Centri diAscolto, dando spazio a una silloge di braniprovenienti direttamente dalle loro relazionisociali, perché cogliere la voce di chi ha ope-rato fino ad oggi sul campo è particolarmen-te istruttivo e provoca alla riflessione.

La voce dei Centri di Ascolto

Le motivazioni di una relazione socialeArrivare a produrre una relazione sociale co-me sintesi del proprio operato parte dal do-mandarsi il “perché” di tale lavoro, soprattut-to nell’ottica di saper rileggere il percorso diun anno attraverso le motivazioni che spin-gono ad essere Centro di Ascolto Caritas.Per tutti i Centri di Ascolto il “prodotto” fi-nale ha rappresentato un momento di con-fronto comune, di discussione in equipe, diinvestimento in termini di tempo e di risorseper elaborare uno scritto che fosse qualcosadi strettamente legato all’attività quotidianaperché ricco di quei significati che giornal-mente si ripropongono nell’incontro con lepersone “in affanno”.

Domandarsi il perché e darsi tempo per ri-spondere è il primo passo di una relazione:

Anche quest’anno il dover stendere questarelazione sociale ci ha richiesto di soffer-marci, non solo a livello personale ma so-prattutto di gruppo, a riflettere sull’opera-to svolto. Insieme abbiamo cercato di evi-denziare quanto di positivo è stato rag-giunto e quanto ancora occorre fare percolmare le inevitabili lacune emerse. (Ol-giate Comasco)

Ciascun Centro di Ascolto è arrivato, in que-sti anni, con gradi e step differenti, grazie an-che al lavoro condotto dal Coordinamentodei Centri di Ascolto, a raggiungere alcune“buone prassi” e un discreto livello di consa-pevolezza dell’essere Centro di Ascolto Cari-tas che non è auto-centrato e auto-referenzia-le, ma è inserito in un contesto più ampio.Questo significa che l’opera svolta in unCentro di Ascolto – grazie anche allo stru-mento della relazione sociale – può essere:

• Verificata per comprendere se si è staticoerenti con le linee guida che si erano po-ste nel Progetto Operativo condiviso almomento della nascita del Centro diAscolto e che conteneva gli obiettivi e lemodalità del nostro lavoro.

• Valutata per cercare di mettere in luce ipropri limiti, le proprie impreparazioni, maanche ciò che di positivo si è compiuto.

• Riprogettata in base alle esperienze cheman mano si acquisiscono, per poter sem-pre meglio rispondere alle necessità che civengono presentate. (Lomazzo)

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glio le difficoltà delle persone, anche quel-le non espresse in modo esplicito. (Como)

Incontrare le persone, incontrare ilbisogno: alcune riflessioniDalle relazioni sociali emerge che, sebbenela richiesta primaria resta in generale una ri-chiesta materiale, attraverso il colloquio, l’a-scolto, sono espressi dalle persone richiestedi aiuto, di sostegno per sofferenze e disaginon solo economici, ma anche spirituali emorali.È doveroso segnalare anche in questa sede lasituazione di diverse famiglie che si vanno adinserire sempre di più in quella che oggi vie-ne definita come nuova povertà e che va sot-to il nome di ”fragilità strutturale della fa-miglia” data da diversi fattori che crediamosi possano riassumere in quella che è la fati-ca di vivere e di stare a galla oggi in una so-cietà fondata sulla competizione, sull’indivi-dualismo, sull’apparire.

La scelta che il Centro di Ascolto ha fattofin dal suo sorgere per quanto riguardal’aiuto economico è quella di inserirlo inun contesto di progetto e non come fattooccasionale.Un ulteriore aspetto che cerchiamo sem-pre di portare avanti è quello di richiederela restituzione della somma prestata, inmodalità fortemente diluite nel tempo econ somme anche simboliche che però so-no significative dell’impegno che la perso-na vuole assumersi.Questo atteggiamento è motivato dallaconvinzione che la troppa facilità nel con-cedere denaro, la non responsabilizzazio-ne della persona fa sì che si crei una di-pendenza che non giova a nessuno.Attualmente il Centro di Ascolto è l’unico

strumento di osservazione sul territorio ri-guardo le povertà e le difficoltà della gen-te e per ora l’osservazione è ancora ridot-ta e parziale.Dietro le persone che chiedono un collo-quio ci sono intere famiglie portatrici difragilità sia tra coniugi che con i figli.(Valli Varesine)

Lavorare inseme: la logica di reteCon il territorioLe relazioni sociali dei Centri di Ascolto fan-no emergere, chi più chi meno, una strategiapedagogica nei confronti della società civilepoiché sostengono e sponsorizzano la cultu-ra della solidarietà e, prima ancora, la culturadell’attenzione, l’etica dell’attenzione neirapporti con gli altri soggetti di un territorio.Emerge dalle relazioni il timore che la sinte-si presentata trasformi le persone in meri da-ti statistici, in numeri, in problemi sociali. Inrealtà è solo grazie a questa sintesi che si rie-sce ad aggregare un bisogno individuale,frammentato, isolato e perciò impotente espesso muto in una domanda collettiva ed èproprio attraverso questa rielaborazione chele storie private diventano “pubbliche”. Pub-bliche, non nel senso deformato in cui abbia-mo distorto la cosa pubblica, bensì nel sensopiù alto e più vero: le relazioni sociali libera-no le voci dalla sfera del privato e le pongo-no nella “casa di tutti” perché si instauri an-che attraverso questo strumento un percorsoproficuo di collaborazione con coloro che sulterritorio “sono a servizio” delle persone edei cittadini. Le relazioni ci dicono che i rap-porti di “rete” con il territorio sono da raffor-zare e migliorare, ma giocano un ruolo im-portante nella prassi operativa dei Centri diAscolto.

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stegno e di accompagnamento. Le dinamichedi conduzione del colloquio non sempre ri-sultano semplici tuttavia vi è la consapevo-lezza che il tempo e lo spazio a disposizionepermettono una reciproca conoscenza e un“raccontarsi” rispettoso di tutti coloro chechiedono un incontro.

A nostro avviso il primo colloquio è senzadubbio il più “freddo” e difficile, a faticasi riesce a instaurare un rapporto di fidu-cia, ma se la persona si ripresenta a collo-qui successivi indubbiamente si crea unclima più disteso e fiducioso. Per questo motivo e soprattutto durante ilprimo colloquio, pensiamo sia importanteriuscire a cogliere l’occasione e il momen-to giusto per stuzzicare il dialogo e “rom-pere il ghiaccio”.Abbiamo inoltre riscontrato la difficoltà diimmedesimarci nell’altro e abbiamo colto l’insoddisfazione di alcuni utenti dovutaalla turnazione delle volontarie. (Mandel-lo del Lario)

Vivere l’ascolto all’interno del centroDare tempo all’ascolto, fare in modo che leparole risuonino nella testa e nel cuore di chile ha ascoltate non è un’operazione facile esoprattutto non è un passaggio così immedia-to come lo si possa pensare. La pratica quo-tidiana dell’ascolto ha portato con se alcunirischi che, se non presidiati, trascinano glioperatori in una deriva operativistica che an-che nelle più buone intenzioni non permettedi instaurare una solida relazione di aiuto.

I momenti di verifica e di riflessione hannoportato gli operatori del Centro di Ascoltoa chiedersi se questo compito primario ecostitutivo di un Centro di Ascolto sia vis-

suto come un dono o venga espletato comeuna pratica burocratica più o meno im-portante. Le considerazioni più importanti da faresulla qualità dell’ascolto sono due:1) spesso la fretta, o il desiderio, di trova-

re soluzioni rapide ai problemi che ven-gono presentati va a scapito della qua-lità dell’ascolto con il rischio di nonandare a fondo de problemi e attuareinterventi tampone, e di non coinvolge-re nella realizzazione del progetto lapersona in stato di bisogno e attivarnele energie;

2) la difficoltà di far capire agli utenti chein molte occasioni l’intervento econo-mico immediato non è risolutivo di unasituazione difficile e che loro stessi, purattraverso un sostegno, devono farsicarico dei loro problemi e cercare lavia per risolverli e non attendere passi-vamente che altri vi provvedano. (Chia-venna)

Al Centro di Ascolto si utilizza l’ascolto co-me strumento per “rendere” il proprio servi-zio. Recuperare la qualità dell’ascolto richie-de autocontrollo, tempo, pazienza, fiducia,accettazione dell’altro, ecc. Il centro di Ascol-to di Sondrio – e non è l’unico – mette in evi-denza l’impegno profuso in tal senso dai vo-lontari addetti agli ascolti, i quali sottolineanola necessità di essere formati ancora di piùnella relazione con le persone e di essere,quando è possibile, in due a sostenere i collo-qui, per evidenziare anche quelle parti dellacomunicazione che non passano dal semplicedialogo (Atteggiamenti non verbali).

L’ascolto delle persone viene sempre fattoda due operatori, proprio per cogliere me-

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munità. Essere autosufficienti nell’affian-care le persone in bisogno non è il fine delCentro. Lo scopo per cui è sorto il Centrodi Ascolto è quello di “permettere alla co-munità di testimoniare il valore evangelicodella carità” (Progetto Operativo).Rileggendo il Progetto Operativo, colpisceun’affermazione: “Il Centro di Ascolto èdiretta espressione della Comunità Cristia-na”. Sin dalla sua nascita, dobbiamo rico-noscere che questa espressione, più cheuna realtà, rappresentava un auspicio e ta-le è rimasto. (Lomazzo)

La promozione della caritàLa proposta di una Carità che si faccia caricodel fratello “in affanno” nella quotidianità enon solo con interventi occasionali, che lo af-fianchi instaurando con lui relazioni signifi-cative, mettendo a disposizione il propriotempo, il proprio ascolto più che “cose”, puòsembrare una richiesta impegnativa, chesenz’altro richiede un cambio di mentalità.I Centri di Ascolto sono consapevoli, però,che soprattutto attraverso questo tipo di rap-porto con l’altro la comunità cristiana può,oggi, testimoniare l’amore di Dio. Questa ri-flessione trova ulteriore conferma nell’enci-clica, appena pubblicata, “Deus Caritas est”di papa Benedetto XVI in cui il pontefice sot-tolinea che la Chiesa vive l’amore di Dio inun triplice compito: annuncio della Parola diDio, celebrazione dei Sacramenti, serviziodella carità. Sono compiti che si presuppon-gono a vicenda e non possono essere separa-ti l’uno dall’altro. I Centri di Ascolto, qualestrumento pastorale, espressione della comu-nità cristiana, sono l’opera segno che ha co-me carisma quello di vivere questo tipo diproposta. (Lomazzo)

Ottimi risultati si sono ottenuti anche nelrapporto con i parroci e con le parrocchie,e questo è dovuto, crediamo , al lavoro fat-to in questi anni , nel quale si è sempre cer-cato il dialogo. Alcuni rappresentanti delCentro di Ascolto sono stati presenti agliincontri mensili del clero della zona, rela-zionando l’andamento del centro e le sueproblematiche, oltre a dare anche la di-sponibilità ad andare nelle singole parroc-chie a presentare la Caritas e il Centro diAscolto. (Gravedona)

Obiettivi specifici: terminare il lavoro diindagine (Indagine conoscitiva dei bisognie delle risorse) e presentarlo agli intervi-stati in un incontro pubblico. Sulla base diquesta indagine è stato redatto un docu-mento di restituzione e analisi dei dati rac-colti, fatto poi pervenire a tutti i comuni,parrocchie e servizi della zona.L’incontro di restituzione dei risultati dell’indagine è stato anche un tentativo di con-divisione della cultura della carità che ca-ratterizza l’agire del Cda. È stata organiz-zata una Giornata della Carità per la rac-colta degli alimenti e per informare i par-rocchiani sue servizi offerti dalla Caritaszonale. (Uggiate Trevano)

Risulta ancora scarsa l’attenzione delleParrocchie, sia nell’indicare i referenti lo-cali cui il Centro possa rivolgersi, sia nelsegnalare i bisogni e nel cercare insieme ri-sposte significative ad esigenze emergentinel proprio ambito comunitario. (Tirano)

Organizzare e programmareI Centri di Ascolto Caritas vivono continua-mente a contatto con il bisogno, con quellepersone in affanno che nella quotidianità

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Durante l’anno 2005 c’è stato un progres-sivo incremento del lavoro di rete con unrapporto positivo con le Istituzioni che haportato a condividere con Enti pubblici edorganismi di volontariato dei progetti per-sonalizzati per utenti che si sono rivolti alCentro di Ascolto.Intenso è stato il rapporto con le Assisten-ti Sociali del Comune di Sondrio e dei Pia-ni di Zona con le quali si è instaurata unacollaborazione proficua ed una sistemati-cità di incontro. (Sondrio)

Dall’attività svolta durante quest’anno si èavuta la sensazione che il Centro di Ascol-to sia considerato interlocutore affidabiledagli Enti e dalle Istituzioni con cui haavuto rapporti di collaborazione. (Chia-venna)

Con la ChiesaLe relazioni sociali sottolineano che, tra lerealtà da mettere in comunicazione, troviamoproprio la comunità cristiana. Ogni Centro diAscolto intravede il rischio di aiutare la gen-te, di cercare di risolvere i loro problemi invece della comunità tutta: insomma, è facileche il Centro di Ascolto divenga il bracciooperativo deputato alla “carità”. E spessoquesta azione si svolge nell’isolamento co-municativo. Emerge da più parti che ciò cheviene riflettuto, progettato, agito, verificatorimane tesoro del Centro e dei suoi volontarima non è partecipato, condiviso, non divieneazione pedagogica, pastorale.Emerge in modo evidente dai Centri di ascol-to che si affrontano molti, differenti bisogni,ma non si può rispondere a tutti. Anzi, forsenon si dovrebbe neppure. Poiché – lo sappia-mo bene – la Carità non è delegabile. La Ca-rità, ci dicono le relazioni sociali, non è sca-

ricabile solo sul Centro di Ascolto. La Caritànon è un titolo trasferibile, alienabile. Le re-lazioni sociali sottolineano proprio questo: cisono queste persone con problemi, con do-mande… Questo interpella tutti! Questo ri-guarda tutti. Le relazioni sociali invitano aprender parte e a condividere una tensionecaritativa che è di ogni cristiano. Essa divie-ne strategia pedagogica, pastorale per l’inte-ra comunità cristiana e non solo.

Anche per l’anno sociale 2005 si deve ri-marcare come affiori spesso la tendenzaad ascoltare e ad aiutare il bisogno più chel’intervento presso le comunità parroc-chiali per formare un nuovo modo di esse-re solidali nella carità. È stato più facile,ad esempio, provvedere ai bisogni primarimateriali (alimenti, vestiario), anche at-traverso la disponibilità di una volontariaspecifica, esterna all’equipe, piuttosto cheformare una “rete” di persone, competen-ze, interventi ben coordinati con le realtàcaritative delle parrocchie. (Tremezzo)

La scelta fatta due anni fa che ci vede nonsolo dispensatori di beni materiali ma an-che e soprattutto protagonisti, insieme aiservizi sociali, alle parrocchie e ad altrerealtà zonali, nel costruire con l’utente unprogetto che lo porti a vivere in autonomiae dignità; tale scelta ci obbliga ad usciredal nostro “ufficio”, e ad operare anche“sul campo”. (Gravedona)

Oggettivamente il Centro di Ascolto stasvolgendo un servizio alla persona che sipuò definire valido, anche i dati statisticilo confermano. Ciò, però, dal punto di vi-sta cristiano, non è sufficiente se non è ac-compagnato dal coinvolgimento della Co-

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sono fondate su relazioni: esse sono il fruttodi un confronto comune, frutto di una cresci-ta comune. Vi è la consapevolezza che lavo-rare insieme non è facile. Spesso, lavorare in-sieme stanca, poiché occorre aspettare il pro-prio turno per dire la propria, e, magari, lapropria opinione non è neppure condivisa. Èmaturata la convinzione che solo attraversouna strategia comune la relazione sociale puòessere uno prodotto non solo utile, ma indi-spensabile nella vita di un Centro di Ascolto,quasi una pietra miliare che in-segna (nelsenso vero di lasciare una traccia nel profon-do), un sestante che indica la rotta intrapresa.E questo servizio – narrare, fare memoria,domandarsi – le relazioni sociali lo conse-gnano prima di tutto agli stessi Centri diAscolto, che – oltre ad ascoltare gli altri – sidanno il tempo e lo spazio per ascoltare an-che sé stessi.

Constatiamo che le persone che “passa-no” attraverso il Centro di Ascolto sonoportatrici di un carico di sofferenza spessoinascoltata a livello sociale… Per questovorremmo che il Centro di Ascolto, comeanche gli altri Centri della nostra diocesi,divengano un segno e uno stimolo per unacultura di attenzione, di ascolto, di relazio-ne tra le persone, che sembra perdersi

sempre più nella realtà sociale odierna.Nella speranza che ciò che viene riflettuto,progettato, agito, verificato nell’esperien-za intensa e quotidiana di un Centro diAscolto possa essere partecipato e condi-viso da tutti.In una società complessa come l’attuale,in cui i problemi sono molti e diversi, sono purtroppo molte le domande d’aiuto chenon trovano una risposta adeguata. Biso-gna chiedersi come affrontare una situa-zione che appare in continuo, seppur per ilmomento lento, peggioramento. Da parte nostra rimane forte la convinzio-ne che il Centro di Ascolto può e deve ave-re ruolo significativo, ruolo che deve esse-re sempre più riconosciuto dalla comu-nità; questo comunque non significa che ilCentro di Ascolto possa sostituirsi alle Isti-tuzioni. Il Centro di Ascolto, pur continuando ov-viamente la sua opera di aiuto nei con-fronti delle persone in difficoltà, consideraanche fondamentale far emergere i proble-mi, farli conoscere, far riflettere e coinvol-gere la comunità cristiana e la società ci-vile: per questo motivo realizziamo tutti glianni questo strumento della Relazione So-ciale. (Como)

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“raccontano” al Centro di Ascolto i loro “de-sideri” più disparati. Per questo la prassi el’esperienza ha portato tutti i Centri a darsiun’organizzazione interna (ciascuno con uncompito preciso) e soprattutto con questa or-ganizzazione hanno iniziato a “programma-re” le attività e gli obiettivi specifici, per farein modo di non lasciarsi schiacciare dell’e-mergenza: l’urgenza se vissuta, con un’orga-nizzazione ben ordinata, nella quotidianitàdiventa un modo di operare che possiedeobiettivi specifici e strumenti in grado di “da-re riposte” dignitose e con un senso precisoper un percorso di autonomia delle persone.

I punti deboli individuati riguardano ladifficoltà di armonizzare tra loro la dimen-sione dell’ascolto e quella dell’aiuto con-creto, in risposta alle richieste espressedalle persone che si rivolgono al Centro.(Tirano)

Questo Centro di Ascolto sente, inoltre, ilbisogno della figura del supervisore nonsolo per gli aspetti tecnici, ma anche e so-prattutto per il modo di condurre gli in-contri e di relazionarsi con gli utenti; au-spica che la stessa persona ricopra questacarica in più Centri di Ascolto, così daraggiungere un modo d’agire il più omo-geneo possibile. (Chiavenna)

Ciò che siamo riusciti a fare all’internodell’organizzazione del Centro di Ascolto– è stato dato maggior attenzione al servi-

zio dell’“ascolto”;– sono stati rivisti i criteri per l’assegna-

zione dei “pacchi viveri” e sono stateverificate tutte le situazioni di coloro chericevono il pacco viveri;

– sono stati inseriti con maggior accura-tezza i dati nel programma informaticodiocesano;

– è stato organizzato un breve corso perpotenziali nuovi operatori;

– è stato predisposto un indirizzario ag-giornato di tutti i servizi pubblici e pri-vati presenti sul territorio;

– è stata mantenuta l’apertura in tutti imesi dell’anno (nel mese di agosto conun’apertura settimanale) (Morbegno).

Il lavoro nei Centri di Ascolto Caritas si basasulla disponibilità e sulle forze del volonta-riato formato e disponibile alla relazione diaiuto con le persone. Tra queste vi sono alcu-ne che hanno “dedicato” molto tempo dellaloro vita a coordinare ed essere punto di rife-rimento per il Centro ma anche per la Comu-nità ecclesiale e civile. In una relazione so-ciale in particolare emerge anche questa rico-noscenza per il tempo “evangelicamente per-duto” a favore delle persone con uno stile diCarità.

Ci piace dedicare questa relazione a Ma-riapia Bottà, coordinatrice del Centro diAscolto dalla sua apertura a tutto l’anno2005, per la sua instancabile attività, lasua sensibilità che ha messo nei molti“ascolti” delle persone incontrate in tuttiquesti anni, convinti che il cammino con-diviso nel servizio agli altri, con i bei mo-menti e magari anche nelle difficoltà, la-scia sempre in ciascuno il buon sapore diciò che nel bene abbiamo seminato. (Mor-begno)

Conclusione (scontata ma non troppo)La stesura di una Relazione Sociale è un la-voro né immediato né rapido. Le relazionisociali poiché sono, appunto, “relazioni” si

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Tab. 1 Utenti di Porta Aperta

Nazionalità 2005 % Tendenze rispetto al 2004

UCRAINA 93 18,83 ��

ROMANIA 86 17,41 ��

ITALIA 58 11,74 ��

MOLDAVIA 49 9,92 ��

MAROCCO 24 4,86 ��

TUNISIA 20 4,05 ��

PER٠15 3,04 ��

SRI LANKA 9 1,82 ��

ECUADOR 9 1,82 ��

Europa dell’Est 31 6,28Africa Sub-sahariana 42 8,50America Centro Merid. 24 4,86Nord-Africa/Medioriente 19 3,85Asia 10 2,02Altro 5 1,01TOTALE 494

Gli italiani sono al terzo posto per numero dinuove presenze, in aumento comunque ri-spetto al 2004, passando dal 9,67%all’11,74%.Rispetto al 2004 pur variando nell’ordine leprime 6 nazioni si confermano essere semprele stesse.In modo particolare sono in aumento le don-ne straniere mentre, per quanto riguarda gliitaliani, per la stragrande maggioranza si trat-ta di uomini.

Tab. 2 Tipologia utenti (sesso e nazionalità)

2005 %

Uomini 256 51,82Donne 238 48,18Totale 494

Italiani 58 11,74Stranieri 436 88,26Totale 494

Italia uomini 51 10,32Italia donne 7 1,42Stranieri uomini 205 41,50Stranieri donne 231 46,76Totale 494

Esiste una notevole differenza tra i nuovi arri-vi nel 2005 e le persone già conosciute dal Ser-vizio. Si nota, infatti, che le persone seguitecon continuità da alcuni anni provengono dal-l’Ecuador, soprattutto donne, le quali si rivol-gono per l’accesso all’ambulatorio medico. Quasi il 50% dei nuovi arrivi è rappresentatoda persone la cui età è compresa tra i 35 e i55 anni, rispetto allo scorso anno l’età mediasi è alzata. Tra gli italiani quasi il 19% haun’età superiore ai 55 anni, percentuale chenon arriva al 4% degli stranieri.

Permesso di Soggiorno SI NO

Donne 36 195 Uomini 63 142 Totale 99 337 Totale 436 22,71% 77,29%

Senza permesso di soggiorno

ROMANIA 83UCRAINA 71MOLDAVIA 46

Senza nessun documento 48

Il numero di persone arrivate a Porta Apertasenza Permesso di Soggiorno è rimasto pres-soché invariato rispetto all’anno precedente:nel 2003 avevamo assistito ad un sostanzialeequilibrio tra persone nuove prive di P.d.S. equelle in possesso di un Permesso; nel 2005le persone prive di permesso hanno raggiun-to il 77% del totale delle nuove presenze stra-niere e di queste la parte preponderante è rap-presentata da persone arrivate dall’est Euro-

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Evoluzione di “Porta Aperta”nel 2005

Gli obiettiviGli obiettivi generali, che “Porta Aperta” si èdato nel corso di questi anni, sono nati e sisono rafforzati con il tempo, riconosciuti eformalizzati tramite una convenzione tra ilServizio e gli Enti Locali (Comune di Comoe Provincia di Como) rinnovata a dicembre2005 per la durata di un solo anno:Offrire una “prima” risposta all’emergenza ealle situazioni di bisogno legate a personesenza fissa dimora e a persone immigratepresenti sul territorio di Como e dintorni.Coordinare e accompagnare i Servizi cari-tativo-assistenziali presenti in città per unamigliore organizzazione e ripartizione dirisorse.Accompagnare le persone in grado di attivar-si in un percorso di integrazione e reinseri-mento sociale.Inviare e accompagnare ai servizi territorialicompetenti, là dove le persone possono farvalere i loro diritti.Monitorare l’arrivo e la presenza di donnestraniere all’interno dell’ufficio.Mantenere un contatto costante con la Chie-sa locale (Caritas Cittadina).Nel presentare la relazione sociale 2005 an-che quest’anno occorre ribadire che l’impe-gno più gravoso, tuttavia con parziali risulta-ti positivi, è stato quello di accompagnare inun percorso di graduale autonomia alcunepersone: nonostante il numero elevato di ac-cessi, il servizio si è strutturato in modo taleda poter accompagnare quelle situazioni incui non era sufficiente un percorso di primaaccoglienza: oltre la conoscenza, il progettoindividualizzato con queste persone, suppor-

tato dal lavoro di equipe degli operatori diPorta Aperta, ha permesso l’inserimento il ri-torno di alcune persone (4) ad una vita auto-noma e indipendente, grazie anche alla retedi persone e di servizi pubblici e del privatosociale che stanno ancora adesso facendo dasupporto marginale e non più da sostegno atali persone.Il lavoro di Porta Aperta nei confronti dellaChiesa di Como, negli anni scorsi, è stato,per una parte, poco incisivo: si è corso il ri-schio di un certo isolamento comunicativo,perché ciò che veniva progettato, agito e ve-rificato, rimaneva solamente un tesoro delServizio ma non un patrimonio condiviso,partecipato e quindi costruito in vista di unareale azione pedagogica di tutta la comunità.Il 2005 ha visto la presenza e il mantenimen-to di contatti costanti sopratutto con alcunipreti della Città, referenti Caritas, e poi conaltri laici volontari impegnati per un confron-to e un accompagnamento delle persone sulterritorio.

I dati 2005Nel 2005 sono state 864 le persone che si so-no rivolte a Porta Aperta, a fronte dei 1000del 2004 e dei 935 del 2003. Di queste – co-me si può notare dalla seguente tabella(tab.1) – le persone che sono venute a PortaAperta per la prima volta sono state 494 ehanno avuto accesso ai servizi. Il Consulentelegale ha incontrato invece 219 persone, ri-spetto alle 175 del 2004. I colloqui sostenutinel 2004 sono stati 2092, di cui 878 con per-sone nuove.

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sa più soldi possibile, tuttavia ci si chiede qua-li conseguenze possa avere questo fenomenosulla crescita dei figli e sull’equilibrio fami-gliare, soprattutto quando ad arrivare in Italianon è la singola persona ma sono entrambi iconiugi che affidano i figli ai nonni o ad altrepersone. (assistiamo infatti a nuclei famigliariin cui arrivano crisi dei coniugi, fino a separa-zioni o divorzi legati soprattutto alla lontanan-za e alla difficoltà di comunicazione).Non mancano le richieste per una possibilitàdi lavoro – almeno per chi è regolare – chenon sia saltuario e precario ma per un perio-do sufficientemente lungo. In questo senso leagenzie interinali e le cooperative del territo-rio, che pure offrono un servizio prezioso permolti di loro, non sono in grado di soddisfa-re completamente tali esigenze: infatti, le ri-chieste sono, nella maggior parte dei casi, dimanodopera specializzata.Vi è un problema di ricerca di una casa perchi sta passando dalla fase di emergenza aquella di un inserimento stabile sul territorio,per i problemi legati ormai a questa tendenzaad aumenti spropositati del valore delle caseda acquistare e del mercato degli affitti, percui molte persone coabitano con connaziona-li in appartamenti sicuramente inospitali peril numero elevato di inquilini.

Problemi abitativi

Senza Fissa Dimora 37,4%Nessun problema riscontrato 22,4%Coabitazione 18,8%Residenza provvisoria 10,5%Abitazione precaria 4,2%Sfratto 0,6%Altro 5,8%

Nel 2005 sono state notevoli gli accessi e lerelative spese per l’ambulatorio medico di

via Rezia a Como. Soprattutto per la funzio-ne educativa di cui la Caritas è investita, èimportante sottolineare come sia urgente farcapire alle persone straniere stabili sul no-stro territorio che essere straniero non vuoldire avere diritto a cure sanitarie “gratuite” esempre dovute, soprattutto nella situazionein cui la presenza sul nostro territorio si è re-golarizzata ovvero è consolidata ormai dadiversi anni.

Rispetto al rapporto con i servizi territoriali siè visto un graduale miglioramento nella col-laborazione e nello scambio di informazionicon le mense cittadine, ma anche con altrerealtà che hanno messo a disposizione alcunerisorse: una fra tutte la Casa della Giovane aPonte Chiasso.Il 2005 è stato anche l’anno di implementa-zione del Progetto “Se tuo figlio ti chiedeun pane” finanziato con il bando del 2004sui fondi del Piano di Zona di Como per larazionalizzazione e il coordinamento dellemense caritatevoli di Como. Il progetto, ar-rivato già oltre la metà del suo percorso è ri-sultato essere di vitale importanza per il la-voro che Porta aperta offre alle mense cari-tatevoli coordinate per il raggiungimento dicriteri unici di accoglienza e di accompa-gnamento.Vi sono poi una serie di servizi, legati sia al-le Parrocchie di Como sia a enti religiosi, chesono costanti, costruttivi e non privi di con-fronti per migliorare le risposte ai bisognidelle persone che si incontrano, e che moltospesso sono le stesse. (come il piccolo dor-mitorio nella Parrocchia di San Giuliano inComo gestito dalla Caritas Parrocchiale edall’associazione Volontari Caritas “DonRenzo Beretta”.

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pa con un visto turistico e poi rimaste sul ter-ritorio irregolarmente. È da notare che la to-talità delle persone incontrate provenientidalla Romania e dalla Moldavia è priva diPermesso di Soggiorno.

Tipo di esigenza %

Mensa/vestiario/buono doccia 390 43,00Ambulatorio 295 32,52Biglietti per viaggio 42 4,63Consulenza legale 40 4,41Dormitori 29 3,20Documenti 20 2,21Invio ai servizi 19 2,09Lavoro 18 1,98Altre richieste 54 5,95Totale 907

Utenti passati quest’anno ma già conosciuti %

Ambulatorio 369 31,14Consulenza legale 176 14,85Mensa/vestiario/buono doccia 153 12,91Biglietti per viaggio 82 6,92Documenti 74 6,24Medicinali 46 3,88Invio ai servizi 37 3,12Dormitori 32 2,70Lavoro 21 1,77Acquisto viveri 7 0,59Altre richieste 188 15,86Totale 1185

Le principali richieste pervenute a Porta Aper-ta dalle persone nuove sono legate ai servizi diprima necessità: accesso alle mense, accessoal vestiario, distribuzione di buoni doccia, ac-cesso all’ambulatorio della Caritas Parroc-chiale di San Bartolomeo (la mensa delle Suo-re Vincenziane di via Tatti 7, in Como, ha of-ferto 16.600 pasti, con una media di 53 pastiper giorno di apertura; non solo, sono stati di-stribuiti nel 2005 1014 buoni doccia).

Quali riflessioni da questi datiSenza considerare le persone incontrate suappuntamento negli orari diversi da quelli diapertura è importante sottolineare che sonomolte le persone “incontrate” da Porta Aper-ta nel 2005: vi sono stati in tutto 4637 acces-si all’ufficio, in media 32 per ogni giorno diapertura. La prima riflessione importante èquella che costantemente accompagna l’ope-rato dell’ufficio: dare a tutti uno “spazio” di-gnitoso e necessario per essere ascoltati, ac-colti e conosciuti per cominciare un percorsodi sostegno, di conoscenza, di accompagna-mento ecc. Non sempre è stato possibile at-tuarlo per diverse circostanze, legate al tem-po a disposizione, ma soprattutto alla diffi-coltà che alcune di queste persone hanno nelvoler intraprendere un vero percorso di aiuto.Dall’inizio del 2005 è iniziata una raccolta si-stematica di brevi informazioni legate ad al-cune problematiche: sono dati significativiche richiedono alcune sottolineature.Sta aumentando la presenza di donne deipaesi dell’est europeo e questo richiede unariflessione sulle possibilità di accoglienza edi inserimento di queste persone, che rischia-no di entrare in un percorso di lavoro preca-rio perché in nero e senza alcuna tutela, avolte legata ad una scarsa conoscenza dellalingua italiana. Si vede inoltre che questepersone arrivano a Como dalle stesse zone diprovenienza per un evidente passaggio diinformazioni tra concittadini. Il tentativomesso in atto dalla legge Bossi-Fini, con lasuccessiva sanatoria, per dare ordine alla pre-senza di cittadini extracomunitari ha portatovantaggi per chi era già presente sul territorioma sicuramente non ha interrotto l’afflussodi persone straniere dai paesi extra-Europei.Molte persone lasciano le loro famiglie, maritie figli nella speranza di poter mandar loro a ca-

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tivando lo sfruttamento legato al subaffitto oal lavoro nero e generando aspettative chenon avremmo potuto garantire. Ci rendiamoperò conto che il bisogno che spinge questedonne a venire in Italia alla ricerca di un la-voro, seppure precario e privo di tutele, met-tendo a rischio la propria salute e i propri ri-sparmi per affrontare il “viaggio della spe-ranza”, è realmente pressante, e anche un la-voro di poche settimane, magari sottopagato,può costituire un contributo importante a unbudget in crisi come quello di troppe fami-glie dell’Est europeo. Queste, reduci da un si-stema assistenzialistico di economia pianifi-cata in cui un salario, benchè minimo, venivagarantito a tutti, sono state in pochi anniproiettate in un sistema di economia di mer-cato che le ha poste davanti a un aumentospropositato del costo della vita e alla preca-rietà dell’impiego, poco e mal retribuito, non-ché precluso a quella categoria di cittadini or-mai considerati troppo “anziani” per poter es-sere reinseriti nel nuovo mercato del lavoro.

In conclusione Il 2005 è stato un anno importante per l’uffi-cio di Porta Aperta: in un’ottica di monito-raggio e miglioramento continuo sono au-mentate e si sono differenziate le offertedei servizi di “Porta Aperta”. Il 2005 ha visto l’inserimento di nuovi vo-lontari e tra questi una religiosa della Casadella Giovane di Via Borgovico in Como:questo ha permesso di mantenere un raccor-do anche con le strutture di accoglienza fem-minili di Como città e dintorni. Oltre la reli-giosa è stata inserita un’altra suora volontariadi nazionalità Rumena che aiutato nel per-corso non solo di facilitazione linguistica deisuoi connazionali, ma anche di accompagna-mento e di indirizzo sul territorio. La Dioce-

si ha messo anche a disposizione un giorno lasettimana un Diacono per una esperienza diservizio all’interno di Porta Aperta.Vi sono stati rapporto cordiali e di collabora-zione costante con i Servizi Sociali comuna-li, con i servizi dell’A.S.L. (in particolareSer.T. e N.O.A.) e dell’Azienda Ospedalieraper la collaborazione nell’accompagnamentodi alcune persone di Como con problematichedi tossicodipendenza, di disagio mentale ecc.In alcuni casi il nostro intervento si è limitatoad un erogazione di contributi economicitemporanei sottoforma di biglietti di viaggio,ticket e altri tipi di interventi, mai sottoformadi un contributo in denaro diretto, poiché iservizi alle volte non avevano a disposizioneimmediatamente le risorse economiche ne-cessarie. Con il servizio Anagrafe del comu-ne di Como si è rafforzato la collaborazioneper il rilascio della Carta d’Identità a personesenza fissa dimora seguite dal nostro ufficio.La garanzia di essere seguiti da “Porta Aper-ta” è stato il motivo e la garanzia per il rila-scio del documento: vi sono state, tra l’altro,molte più richieste rispetto alle carte d’iden-tità rilasciate. Il fatto di non aver accettato al-cune richieste era per il fatto che non vi eranole garanzie sufficienti perché queste personeaccettassero di essere seguite costantementedall’ufficio.Per questo motivo il rapporto con gli Entipubblici si è sempre dimostrato cordiale e co-struttivo a tutti i livelli e non privo di mo-menti di confronto e di discussione su temiimportanti e sulla loro possibile soluzione. Resta, tuttavia, il rammarico in alcune occa-sioni per aver scambiato Porta Aperta comeun esecutore di soluzioni pensate da altri sen-za essere concordate e costruite insieme co-me nel caso di una ragazza minorenne rume-na rimasta nel carcere del Bassone per diver-

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L’utenza femminile di “Porta Aperta”Mediante l’inserimento del terzo operatore(donna), durante l’anno 2005 l’attività diPorta Aperta si è rivolta, con uno sguardo piùattento, alle esigenze specifiche dell’utenzafemminile e alle tematiche connesse a que-st’ultima.L’impatto con le prime difficoltà è spesso di-sarmante per donne straniere presenti tra noi,che hanno sì molta esperienza di vita allespalle, ma non si sarebbero mai aspettate dirischiare seriamente di dormire per strada odi dover sottostare a regole estremamente ri-gide da parte di datori di lavoro - senza mol-ti scrupoli – che le considerano facilmente ri-cattabili in quanto, se appena arrivate, sprov-viste di permesso di soggiorno. Un problemastrettamente legato all’età “avanzata” dellenuove arrivate è che, una volta in Italia, sen-za permesso di soggiorno e quindi senza di-ritto all’assistenza sanitaria nazionale, si tro-vano a dover affrontare malesseri dovuti allamenopausa o, nei casi più gravi, alla scoper-ta di forme tumorali tipicamente femminili,che generano dei veri e propri traumi psico-logici. Infatti, all’incertezza relativa alle pro-prie condizioni di salute, si somma la preoc-cupazione di essere lontane da casa, dagli af-fetti, dalle proprie certezze. Inevitabilmentesopravviene in queste donne anche la pauradi non farcela a realizzare il proprio “proget-to migratorio”, e quindi a soddisfare le aspet-tative “economiche” che la famiglia ha ripo-sto in loro. Il grosso ostacolo che le donne straniere neo-arrivate devono affrontare è che, senza per-messo di soggiorno, l’unico “canale” a lorodisposizione è il “passaparola”, poiché non èpossibile rivolgersi alle agenzie preposte allaricerca di questo tipo di lavoro se non si è in

regola con i documenti. Ha inizio dunque,per queste donne, un lungo iter di ricerca“sommersa” di un “lavoro nell’ombra”, giàdi per sé precario per via delle incerte condi-zioni di salute delle persone anziane di cuidovranno occuparsi. Quando la persona ac-cudita viene improvvisamente a mancare oviene trasferita in una casa di cura, la signo-ra che l’ha curata si trova a dover comincia-re tutto daccapo. Per le donne che invecehanno già un permesso di soggiorno, la si-tuazione è più “rosea”, poiché possono per-lomeno essere accolte dalle strutture tipo“dormitorio” o “casa della giovane” senzaproblemi di tipo legale e possono anchesfruttare, nel caso di interruzione brusca delrapporto di lavoro, la ricerca di occupazioneeffettuata da uffici come ACLIcolf, APIcolf esimili. Anche le condizioni di lavoro di unadonna con permesso di soggiorno, che giu-stamente pretende di essere “messa in rego-la”, sono migliori di quelle di chi è senza per-messo, perché il potere contrattuale della la-voratrice e del datore di lavoro è più simile, enon totalmente sbilanciato a favore di que-st’ultimo, lasciando spazio a forme di ricattodel tipo “o accetti che io non possa conce-derti le ore di riposo/il giorno libero, oppuredo il lavoro a un’altra persona”, come invecespesso capita a chi è “irregolare”.Nel corso del 2005 si è cercato di offrireascolto a tutte le donne che si sono presenta-te a Porta Aperta, e sostegno nei limiti dellalegge sull’immigrazione attualmente in vigo-re. Davanti alle esigenze di accoglienza e la-vorative di donne sprovviste di permesso disoggiorno (cioè la stragrande maggioranza diquelle che si sono rivolte a noi) ci siamospesso scoperti privi di mezzi, non potendosfruttare gli strumenti istituzionali disponibi-li, né spingerci nella “zona d’ombra”, incen-

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si mesi (nonostante minorenne) e rimpatriatain fretta e furia grazie al contributo dell’uffi-cio appena uscita dal carcere in collaborazio-ne con il Volontariato Carcere.In un’ottica progettuale e di prospettiva si èriusciti ad ottenere tramite i finanziamentisulle “leggi di settore” dell’ASL un contribu-to per la prosecuzione del progetto sanita-rio per l’Ambulatorio per persone senza fis-sa dimora e in stato di grave emarginazione,che rischiava di essere ridimensionato dopoil 15 ottobre 2005 per la conclusione dellasperimentazione con la Regione Lombardia.

La rete di servizi che si è creata attorno a Por-ta Aperta, sia di matrice cattolica, sia di ser-vizi pubblici e di rappresentanza è in costan-te rafforzamento e ampliamento: lo dimostrail fatto che sono molti ormai i contatti con as-sistenti sociali e operatori di servizi non lega-ti solamente alla città di Como ma all’interaProvincia e a volte vanno anche oltre, per lapossibilità, che Porta Aperta offre, di dare ri-sposte il più possibile immediate nelle situa-zioni di emergenza, senza il venire meno al-la progettualità e all’accompagnamento dellepersone che incontra.

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