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CASA DEI CARRARESI TREVISO 2012

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CASA DEI CARRARESITREVISO 2012

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CASA dei CArrAreSi - treviSodall’11 al 24 novembre 2012

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Patrocinioregione del venetoProvincia di trevisoCittà di treviso

OrganizzazioneFranco rosso editore - trieste

PromozioneFondazione Cassamarca - treviso Casa dei Carraresi - treviso

Coordinamento Maurizio PrAdeLLA

Curatori enea CHerSiCoLA

Presentazioneenea CHerSiCoLAFranco CHerSiCoLAFranco roSSo

Testi criticienea CHerSiCoLA

Comunicazionericcardo triPodi

Responsabile luciPatrizio rAPoni

Servizio fotograficoFidia CHerSiCoLAvincenzo CiCCAreLLo

Servizio audio-videoFidia CHerSiCoLA

Progetto graficoFranco rosso editore - trieste

SegreteriaPaola BAzzoJanka CovAnCHovA

RingraziamentiChiara SegALA

Infocoscienzecreative.weebly.com [email protected]

La mostra viene realizzata nell’ambito del grande evento:

regione deL veneto

CASA DEI CARRARESI

EDITOREFrancoRo oss

tutto

qui.it

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BREVE PREMESSA di Franco CHerSiCoLA

il lavoro presentato in questa rassegna è il frutto delle attività svolte in un laboratorio che era iniziato con la volontà di diffondere la pratica del disegno, in modo specifico lo studio del nudo e del ritratto.L’esercizio del disegno insegna a vedere; in modo particolare nella misura in cui vedere significa interpretare. in questa maniera il disegno diventa quella disciplina che aiuta a prendere coscienza di essere un punto di vista. La figura viene trasfigurata nella misura in cui è trasfigurato lo sguardo sul mondo. La realtà oggettiva diventa, attraverso il disegno, man mano sempre più soggettiva. La sequenza di emozioni interpretate in gesti e codici prendono la forma di espressioni nuove che smuovono a loro volta nuove suggestioni.Questi sono meccanismi che si rinnovano quotidianamente nello studio di un artista e che non necessariamente devono svilupparsi in pittura. La potenza espressiva del disegno molto spesso è ben più forte della pittura che, in un certo senso, può illudere. Attraverso un buon disegno, diretto e rapido, riusciamo a catturare l’impulso creativo che spesso ci trapassa in modo fulmineo e che, senza un’adeguata padronanza della tecnica, rischia di sfuggirci.La pittura, soffrendo talvolta questo meccanismo, rischia di cadere nella compiacenza, nell’illusione; anche nell’opera dei grandi maestri il disegno risulta spesso più autentico e privo di artifici. riscoprire il disegno può equivalere ad un ritrovamento del legame autentico con l’opera: il disegno parla direttamente al cuore e carta e matita o carboncino possono facilmente trasformarsi in luce, colore, musica e armonia. non a caso esso rappresenta un minimo comune denominatore fra gli artisti, indipendentemente da quale sia il loro metodo finale di esecuzione.in questa specifica rassegna espositiva sono stati raccolti lavori di autori che in un arco di tempo più o meno lungo hanno condotto una ricerca fondata su basi solide di disegno, con un impianto armonioso e dalla grande forza introspettiva ed espressiva.Questo è un passo significativo in un percorso che deve portare ad un dialogo capace di superare le parole suggerendo emozioni e nuovi punti di vista. A questi risultati non si arriva necessariamente attraverso la pittura di quadri esteticamente compiacenti, ma attraverso il tentativo di produrre sempre opere autentiche.

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CA’ dEi CARRARESi: MoStRE-EVEnti di Pierduilio PizzoLon - Storico e critico d’arte

dopo il magistrale recupero edilizio con scrupoloso restauro dell’architetto Luciano gemin, allievo di Carlo Scarpa, intrapreso da Cassamarca nel 1987 e ultimato nel 1989, l’edificio di via Palestro denominato Ca’ dei Carraresi (sec. Xiii-Xiv, ca. 2670 mq di superficie!) assume una duplice funzione: Ca’dei Carraresi vera e propria viene destinata a Centro Convegni ed esposizioni per conferenze e mostre d’arte, mentre viene adibita a sede direzionale, giacché conserva affreschi di grande pregio, la contigua casa Brittoni (dimora di giovanni Berton – corrotto in Britton – gestore nel 1396 della medievale Locanda della Croce, domus vocata hospicium sive hostellum de la Cruce), antecedentemente probabile ‘fondaco’ o deposito cittadino di mercanzie per ‘incanipare’ le biade, sulle sponde del Cagnan grando o fiume Botteniga e successivamente base logistica di esponenti militari o sede istituzionale di maggiorenti dei Signori padovani da Carrara.nasce così l’intensa stagione dedicata a mostre di artisti, prevalentemente pittori, vivi o scomparsi nel secolo scorso, gloria della terra trevigiana e veneta, di consolidata fama. Si alternano personali a collettive, in media una ventina di autori l’anno per quasi un decennio. Apre la serie nell’autunno 1989 il celebrato ritrattista trevisano Benè (Cesare Benedetti 1920-2002) con i noti ritratti di Papa Wojtyła, dei Principi grimaldi e grace Kelly di Monaco.Con l’assegnazione nel 2000 del collaudato polo espositivo, eccellenza assoluta dell’intera Marca e non solo, alla Fondazione Cassamarca, la guida sicura e lungimirante dell’on.le dino de Poli, originale ideatore del rinato Umanesimo Latino, esportato anche oltreoceano, compie un autentico spicco d’ali superando l’orizzonte regionale e inaugurando così la felice stagione della pittura d’oltralpe con sei mostre (1999 – 2003) dedicate all’impressionismo e curate da Marco goldin, un giovane critico colto e geniale, con la sua “Linea d’ombra”:Da Van Gogh a Bacon - Da Cézanne a Mondrian

- La nascita dell’Impressionismo - Monet, i luoghi della pittura - L’Impressionismo e l’età di Van Gogh - L’oro e l’azzurro, i colori del Sud. Da Cezanne a Bonnard. treviso sembrava uscire dal ghetto di fiorente cittadina di provincia e lanciata nel turbine delle mostre kermesse da metropoli interregionale. Un battesimo coi fiocchi la cui fortunata impresa mediatica ebbe e mantiene ancor oggi echi di vera attrazione artistica, tale da meritare l’appellativo di “treviso città d’Arte”. dal 2004 la Presidenza della Fondazione Cassamarca e la direzione di Ca’ dei Carraresi, con l’intraprendente signora Patrizia verducci, acquisito un notevole know out con positivi riflessi sul mondo culturale cittadino e una forte risonanza nazionale specialmente per quanto attiene all’offerta turistica, danno vita principalmente a un progetto di mostre-evento a cadenza biennale sull’antica cultura e arte della Cina ‘La Via della Seta e la Civiltà Cinese’ (prestigioso esempio, pressoché unico in italia/europa), precedute e alternate a un ciclo di mostre d’Arte veneta, affidate alla famiglia di antiquari trevigiani Brunello, enrico padre, coadiuvato dal figlio dr. Andrea con la nuova società organizzativa “Artematica ‘diamo valore all’arte’”. il ciclo sulla Cina è stato affidato alla cura del giornalista e scrittore appassionato, uno dei massimi esperti della cultura del continente giallo, Adriano Màdaro, con il supporto organizzativo della società Sigillum treviso. in questo scenario si inseriscono nel 2009 alcune esposizioni monografiche a cura di Maurizio Pradella, curatore mostre di “Arteficiolinea”, nuova associazione promotrice e organizzatrice di eventi d’arte (pres. arch. v. Ciccarello), emanazione dell’Accademia Ponzanese Antonino Pizzolon (1986). ecco la sequenza: • L’Ottocento Veneto – Il trionfo del colore (coordinata da e. Brunello, curata da g. Pavanello e nico Stringa) • Cina - La nascita del Celeste Impero (curata da

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A. Madaro)• Venezia Novecento - Da Boccioni a Vedova (coordinata da A. Brunello, curata da g. Pavanello e nico Stringa) • Cina - Gengis Khan e il Tesoro dei Mongoli (curata da A. Madaro) • Canaletto - Venezia e i suoi splendori (coordinata da A. Brunello, curata da g. Pavanello e A. Craievich)• Paolo Baratella: costanti e variabili (curata da M. Pradella) • Cina - I Segreti della Città Proibita. Matteo Ricci alla corte dei Ming (curata da A. Madaro) • Il pittore e la modella. Da Canova a Picasso (Fondazione Cassamarca con la cura di nico Stringa)• Cina - Manciù, l’ultimo Imperatore (curata da A. Madaro).

A quest’ultima si affiancano:• Il Genio del Novecento - Eugenio Carmi. Il teorema di Pitagora (curata da M. Pradella)• Il Genio del Novecento - Celiberti. Affreschi Rivelati (curata da M. Pradella)

• Tibet - Tesori dal tetto del mondo (curata da A. Madaro)• Ciclo di 3 mostre sull’india affidate sempre a Madaro.

rimane rilevante la riuscita dell’ottima mostra di Baratella nel maggio 2009, autore di altissimo riconosciuto valore, che M. Pradella con felice intuito portò dalla cortese Lucca alla gioiosa Marca. Circa 150 opere dipinte su tela, alcune di grandi dimensioni, una lunga fino a 23 metri. grande risonanza sia per il pubblico normale e di collezionisti estimatori accorso numeroso a vedere un maestro formatosi nei tempestosi tempi dei fragorosi Anni Sessanta, sia per la meritata fama che Baratella si conquistò immergendosi tra le inquietudini del cuore dell’europa e tra le molteplici sperimentazioni d’America. Quattromila e più visitors! Mostra d’eccellenza, patrocinata dagli enti istituzionali, con prezioso catalogo (tre saggi critici di v. Fagone, F. gallo, P. Pizzolon e ricca galleria di foto a colori). Presentazione di elena gagno.

Casa dei Carraresi, veduta esterna ed interna

Casa dei Carraresi, Paolo Baratella: costanti e variabili, mostra antologica, maggio 2009

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MiSE-En-ABÎME di Franco roSSo - critico d’arte

i surrealisti lo chiamano “mise-en-abîme”, un gioco ottico in cui un’immagine contiene in un particolare la stessa immagine, la quale a sua volta contiene la sua immagine e così via all’infinito. Allo stesso tempo è una immagine che l’osservatore viene condotto a vedere con l’occhio dell’artista che vede se stesso operare. CoSCienze CreAtive è un mise-en-abîme rovesciato, perché ogni quadro esposto, ogni artista partecipante, permette di intuire il senso dell’insieme dell’esposizione, la quale è percorsa da un filo conduttore che coniuga creatività e coscienza; tale coscienza rappresenta quel valore soggettivo che caratterizza gli artisti che nell’esplicitazione creativa rifuggono la compiacenza per dar spazio all’autenticità. e’ un risultato importante per un laboratorio che l’artista triestino Franco Chersicola gestisce da molti anni aprendolo alla contaminazione di appassionati e giovani artisti, tutti accomunati dal convincimento che attraverso il disegno (e solo attraverso di esso) si possa imparare a vedere, soprattutto nel senso di interpretare. Attraverso la conoscenza del disegno assume valore l’eleganza del gesto pittorico, si riscopre la bellezza come via maestra dell’arte, ritornano importanti la tecnica e il saper fare, la figura e il corpo umano ridiventano attuali nella loro meravigliosa accezione di vero e di bello per eccellenza, canoni indiscutibili di armonia universale e principi del creato. Le opere esposte in questa rassegna ne sono una testimonianza e la mostra nel suo insieme rappresenta un’occasione importante per restituire alla pittura un ruolo decisivo nel modo di intendere l’arte come linguaggio umano e umanizzante, riaffermando nel contempo la capacità intellettiva, discorsiva e dialogica dell’uomo sul piano della comunicabilità e della verificabilità della visione e della conoscenza.Un’occasione significativa anche perché l’apprezzamento del bello, oggi, non è affatto

scontato, e questa rassegna contribuisce a fare chiarezza sul vecchio equivoco che vuol far credere che l’arte debba produrre per forza sorpresa, scandalo e novità. Un equivoco frutto di una pseudo-cultura che pretende di collocare il pubblico al centro di una messinscena dove all’arte viene affidato il ruolo di dare semplicemente spettacolo.ecco perché questa rassegna non celebra solamente un’esperienza di studio e di lavoro collettivo (con una sapiente e illuminata regia) ma dimostra (e ogni singolo artista ne dà prova) come il disegno e la pittura rimangano un grande motore dell’immaginazione, che si nutre della segretezza delle parole e che vive nel dialogo silenzioso e meditativo che sempre si sviluppa tra l’opera e il fruitore. CoSCienze CreAtive diventa quindi il titolo appropriato per una rassegna che sa riconsegnare l’arte all’estetica, ridando spazio al vigore dei sensi e alla fantasia della visione: un’estetica che prima di apparire una contorta riflessione sull’incerto statuto del bello, nasce come arte della percezione sensibile, che sa lavorare sulle coscienze e ciò facendo contribuisce anche a rafforzare il livello di sensibilità dell’uomo.dal canto loro, tutti gli artisti espositori dimostrano di operare nella convinzione che il senso dell’arte non stia nell’imporre un senso unico a molti uomini diversi, ma di suggerire -piuttosto- sensi diversi ad un unico uomo.

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diALoGHi, QUEStioni E CoSCiEnZE CREAtiVEdi enea CHerSiCoLA - curatore

il lavoro che ho condotto nei mesi che hanno preceduto la mostra ha avuto il potere di definirmi come curatore. tuttavia mi rendo conto solo ora di quanto sia inappropriata questa etichetta: mi riconosco senza ombra di dubbio come uno tra coloro che sono stati e saranno curati. Sarà opportuno, e sia chiaro non per malizia, determinare il campo linguistico in cui mi muovo in questo testo, al fine di non suscitare equivoci. Sarà più volte presa in considerazione l’arte che ha le sue radici etimologiche nella radice ariana –ar. tale radice ha in sé il significato del muoversi, dell’andare verso; in questo senso la domanda che rivolgo in maniera velatamente provocatoria è: una serie di opere appese a delle pareti, immobili per giorni, sono arte?La prima volta che ho vissuto l’esperienza di questo movimento fu attraverso le opere di Jean-Michel Basquiat nel 1999. ero giovane e non avevo mai provato prima l’impeto travolgente di un’opera d’arte. Appena entrato nel museo venni travolto da un vigore inaspettato; l’opera del graffitista americano mi rivelò che ciò che avevo visto fino a quel momento in numerosissime opere appese alle pareti di altrettante sale espositive non era ancora arte. non perché le opere in sé non lo fossero state, ma perché nel sottile meccanismo di reciproca responsabilità tra l’artista e l’osservatore, qualcosa era venuto meno.imparai in questo modo che se volevo adoperare le opere d’arte in maniera efficace, dovevo essere disposto a farmi travolgere da quel portentoso richiamo. Questo richiamo è l’inizio di un processo di cura che l’opera d’arte offre al suo fruitore. il processo di cura è, a mio avviso, costituito da un viaggio che l’osservatore può condurre nell’opera imparando a vedere il mondo con altri occhi.Sfuggendo l’esibizionismo che celebra la vanità o che consuma l’arte sui banchi di un mercato smoderato, l’osservatore può, essendo cosciente della sua posizione, innescare un movimento verso quell’opera che, se rispetta essa stessa i suoi oneri, conduce ad un viaggio verso mille universi.Conoscere i meccanismi dell’autore e sapere quali sono i punti salienti della sua ricerca può senza ombra di dubbio agevolare questo viaggio. Cercherò ora di

rendere questi strumenti comprensibili.nello studio di Franco Chersicola è ormai quotidiana la disquisizione su temi che riguardano la pittura tra diversi autori. nel corso degl’anni il confronto si è fatto sempre più vivo fino ad assumere dei caratteri ben delineabili. Uno dei primi problemi che un gruppo deve affrontare quando decide di dialogare al fine di aumentare le proprie competenze è quello di comprendere che l’unica via è la competizione. Un dialogo continuo e convergente che ha lo scopo di mettere in luce i lati fragili dell’esperienza che si sta formando.Una volta che si è concordi sul metodo, un altro problema da affrontare è quello del posizionamento: comprendere insomma in quale ambito si muove il lavoro che viene condotto. il modello dello studio è di impronta classica; il prolungato e talvolta estenuante esercizio del disegno costituisce una base fondamentale per poter accedere a qualsiasi strumento che la pittura metta a disposizione. Praticando però una via di questo genere, si incappa in un tipico problema di relazione alla contemporaneità. il problema che assilla da sempre

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molti artisti è infatti quello di essere in linea con i tempi, fino a diventare inesorabilmente storici. Ciò non significa che osservare con attenzione la storia dell’arte consegni l’autore al passato; se l’elemento centrale dell’operato creativo è la cura del gesto in sé, presto gli ormeggi con la storia si sciolgono, liberando anche dal dibattito sulla contemporaneità che è già di per sé storico.Un altro elemento da tenere sempre presente è che la collaborazione diviene complessa quando gli strumenti da utilizzare non sono chiari. va delineato quindi l’utilizzo di tali mezzi. L’esercizio creativo ha spesso l’effetto di modificare e talvolta di amplificare le abilità percettive; questo significa che esercitare le proprie capacità disegnative non porta necessariamente a diventare un pittore professionista, ma aiuta ad avere una prospettiva nuova sulla quotidianità. È, a mio avviso, difficilmente confutabile che un disegnatore o un pittore possiedano uno strumento analitico che permetta di osservare il mondo con altri occhi. Questo tipo di approccio, seppur indispensabile, può essere rischioso dal momento che, se questa abilità percettiva prescinde dal dibattito creativo (non necessariamente linguistico), essa può declinarsi in maniere inaspettate e incontrollabili. da un lato questo rappresenta non solo

un vantaggio, ma spesso una necessità, considerando che un artista vivendo da appassionato, fin talvolta da invasato, conosce il suo potere creativo in maniera incommensurabile. tuttavia l’artista va incontro ad un groviglio di responsabilità delle quali deve tener conto; il confine con l’atto di pura vanità è labile e pericolosamente in agguato. È necessario, a mio avviso, tenere sempre presente che la pittura, anche nelle sue declinazioni più mercantili, trova origine nella terapia. insomma concepire l’arte come cura assegna questo mondo equivoco ad un orizzonte di senso.vanno seguite con ardore le parole di William James: «Potategli la stravaganza, rendetelo sobrio, e lo distruggerete» facendo attenzione però a non confondere la stravaganza con la spettacolarizzazione dello strambo. Ciò di cui parla James è una stravaganza che si consuma nel silenzio della solitudine, dove si formulano delle domande che, proprio perché stravaganti, non hanno modo di trovare risposta nel dialogo pubblico quotidiano. Ma nella competizione cui facevo riferimento prima, lo straordinario viene sintetizzato in gesti pittorici e si rivela come l’unico strumento di discussione. il pittore spesso diventa tale per necessità; non riuscendo a dire ciò che può dipingere, spesso rifiuta il canale comunicativo della

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parola. Così la competizione in un gruppo di pittori è fatta di paradigmi e confutazioni che si esprimono in forme, colori e segni.in questo senso la coscienza creativa non è costituita dal prendere atto di un “saper fare”, ma è il comprendere che l’opera possiede un vivere proprio (prima e dopo la sua realizzazione); è il compimento di volontà dell’autore che lascia una eco di sé capace di curare. Alla luce di questa posizione va detto che un utilizzo efficace dell’opera deve tener presente di una doppia natura dell’artista: da un lato egli percepisce ciò che qualifica come reale (siamo nello studio dell’artista) e dall’altro finge di sapere ciò che è reale (siamo nel quotidiano). Assegnare alla simulazione dei fatti l’autorevolezza della rappresentazione è il lavoro che egli deve compiere per sopravvivere, ma mai nello studio può dimenticare che la coscienza creativa è indissolubile dalla rappresentazione del suo mondo e

dalla sua relatività. entrare in questo modo di vivere, almeno per il tempo della visita, può aiutare ad usufruire di quell’eco curativa che l’autore ci regala. Sempre tenendo presente che tutto, compreso questo, è rappresentazione.

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AUtoRi Ed oPERE PRESEnti nEL CAtALoGo

emanuela Campani Lapilli

valentina Coretti

Manuela de Stefani

rosella gallicchio

Sergio gerzel

roberto Micol

diego Milotti

deana Posru

Adriana rigonat

Alessandra rossi

rosalba ruzzier

Anna Savron

giulio Schizzi

riccardo tripodi

Loredana verni

Femi villardo

Ricordi nella notte; 2008; 50x40

Il principe ranocchio; 2012; 150x40

Sovraumani spazi e interminati silenzi; 2012; 80x100

L’eco del primo grido; 2012; 150x100

Paesaggio sospeso; 2011; 90x90

Moltiplicati e divisi in una moltitudine; 2011; 84x66

Senza titolo; 2005; 200x150

Caletón Blanco; 2011; 18x25

Un padre; 2012; 50x65

Solo un battito d’ali; 2012; 200x180

Ho incontrato un’ombra; 2012; 60x80

Aria di Podresca; tecnica mista; 50x70

Senza Titolo; 2012; 50x70

Manifesto; 2012;150x140

Acqua; 2012; 50x70

The Dead Life; 2012; 120x150

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L’opera di emanuela Campani Lapilli pone le proprie fondamenta sul disegno, esercizio al quale l’autrice triestina ha dedicato particolare attenzione. delicate campiture di colore si uniscono ad energici gesti disegnativi creando immagini oniriche e travolgenti. il tema del doppio è un tema ricorrente nell’opera della compianta emanuela: figure umane associate ad un doppio, la maggior parte delle volte anch’esso umano, si stagliano sulla superficie pittorica in contemplazione reciproca, come se il lungo viaggio che li ha portati a riunirsi si sia concluso. Questo è il momento che emanuela Campani coglie in queste sue opere. Scrivere di questa cara amica scomparsa pochi anni fa per me è motivo di grande

commozione; fin da giovanissimo ho seguito da vicino l’evolversi della sua opera fino al raggiungimento di quella coscienza creativa che ogni artista dovrebbe raggiungere per la propria maturità. nel momento di massima produzione emanuela se n’è andata e, come è accaduto per i grandi maestri scomparsi prematuramente, anche in questo caso resta l’amara curiosità di sapere dove questa delicata e intima ricerca avrebbe portato.La produzione di emanuela è stata ampia e in questa rassegna vengono presentate alcune delle opere prodotte negli ultimi anni di attività. Queste tecniche miste colpiscono per il tessuto pittorico raffinato e sapiente che l’autrice ha saputo armonizzare con la sua intima ricerca personale.

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valentina Coretti, giovane illustratrice, presenta a questa esposizione un progetto ambizioso e ricco di insidie: l’illustrazione della fiaba Il principe ranocchio nella versione trascritta dai fratelli grimm. La grandiosa opera dei due linguisti, essendo in lingua tedesca, diverge dalle versioni più antiche delle fiabe che da sempre sono state tramandate per via orale e in lingua volgare. Quindi la morfologia originale della fiaba risulta profondamente mitigata. Questo progetto tenta di ricondurre l’illustrazione della fiaba ad un contesto folcloristico, ridando quindi alla figura del ranocchio un carattere esecrabile, mantenendo però come primo impegno

quello di creare un’illustrazione adatta ai giovanissimi. Benché ripugnante, il ranocchio di Coretti suscita commozione. Molto efficace risulta l’idea di impaginare le illustrazioni con un formato esageratamente orizzontale, dando al lettore lo spazio di mondo proprio del ranocchio e non dei personaggi umani che compaiono sempre evasivi.Le scelte stilistiche operate in questo progetto conducono ad un risultato estremamente originale e di forte impatto emozionale che riconsegna la fiaba ad una tradizione orale antica attraverso una tecnica pittorica contemporanea.

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Manuela de Stefani presenta a questa mostra un gruppo di opere dedicate al paesaggio. Queste terre e pigmenti su carta ritraggono scenari che raccontano gli eventi che li hanno solcati. non vi è mai la presenza dell’uomo, eppure fra le trame delle sue colline l’autrice inserisce sovente degli elementi che hanno forme introvabili in natura. La presenza dell’uomo è dunque latente, eppure si sente che il paesaggio è stato abitato. Manuela de Stefani ritrae insomma un paesaggio che respira, che ha coscienza di sé, e che racconta di una storia impalpabile che esso stesso non ha compreso.

L’autrice, che è entrata in punta di piedi nel mondo dell’arte, ha dimostrato con impegno e umiltà che per produrre opere di grande suggestione non è necessario sfoggiare l’estro del creativo in maniera stravagante. Lo studio e la cura di ogni dettaglio nella stesura di queste potenti campiture conferisce all’opera il sapore dei grandi capolavori di Hieronymus Bosch che, anche se con un metodo pittorico completamente estraneo a Manuela de Stefani, narrano di scenari antropizzati che l’autrice triestina analizza dopo la scomparsa dell’uomo.

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rosella gallicchio presenta a questa rassegna una serie di opere di veemente impatto. il soggetto principale della sua ricerca è l’uomo rappresentato spesso nell’atto di un grido, o per meglio dire, di un richiamo. e in questo elemento si declina la poetica dell’autrice.Le figure ritratte, a mio avviso, sono colte nell’atto del chiamare o nominare un elemento che pare loro ancora sconosciuto. in un contesto pre-scientifico, e più specificamente cristiano, dare un nome ad un oggetto equivale a renderlo reale; in genesi 2,19 dio affida ad Adamo il compito di nominare

le cose «poiché il nome che egli avrebbe imposto a ogni vivente, quello sarebbe stato il suo vero nome». Adamo nomina le cose del mondo per portarle in un contesto umano e in questo modo le rende reali.Le figure di rosella gallicchio sembrano compiere lo stesso gesto richiamando dal caos, talvolta oscuro, ciò che esse nominano con un grido angosciato. L’apparire dell’elemento richiamato rende la fruizione dell’opera più confortante, dal momento che il soggetto non viene abbandonato al terrore della solitudine consumata negli abissi del sé.

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Le opere di Sergio gerzel sono lavori di grande fattura tecnica. il metodo messo a punto dall’autore consiste nella lenta sovrapposizione di strati pittorici che ad ogni livello delineano i tratti di una città sospesa. il minuzioso lavoro che segue la sovrapposizione dei piani pittorici consiste nel ripulire determinate zone del quadro riportando alla luce le superfici sottostanti. Come un archeologo gerzel restituisce alla luce strati precedenti che apparivano scomparsi. Questo metodo porta le città rappresentate da gerzel ad essere appunto sospese in un tempo non definito,

dato dall’imprevedibile mescolanza degli elementi architettonici. osservando una delle sue opere, ci si rende conto che l’autore non vuole rappresentare una città di per sé, ma offrire la possibilità di addentrarsi in un paesaggio che produce nello spettatore suggestioni forti. Pare, a tratti, di dialogare con il Marco Polo di italo Calvino: «Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura. d’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda».

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roberto Micol è un artista che interpreta il suo ruolo con grande autodisciplina. nel porsi al cospetto del foglio bianco, l’autore cura ogni aspetto dell’atto creativo, anche la postura, la respirazione, i movimenti corporei, i tempi di riflessione. tutto ciò che può essere influente nella realizzazione dell’opera per Micol è di fondamentale importanza. Ho assistito a riflessioni lunghe ore prima che l’artista ponesse sul proprio lavoro un piccolissimo segno rosso. L’esecuzione pittorica diventa in questo senso un esercizio che conduce ad un risultato di grande impatto emotivo.Le sue tecniche miste su carta sono spesso

evanescenti ed allusive. in queste opere i soggetti più comuni sono i paesaggi; che siano essi popolati da uomini o meno, questo non modifica affatto lo scenario dell’opera la quale assume sempre come protagonista un “evento”: talvolta delle gocce d’acqua, talvolta una folla o un nubifragio.L’armonia tra l’evento che si profila e il suo luogo di esistenza è la caratteristica della poetica di roberto Micol. nell’opera Moltiplicati e divisi in una moltitudine… la soggettività scompare all’apparire di una collettività che, perduta la coscienza, si vive come avvenimento.

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L’opera di diego Milotti è senza ombra di dubbio ispirata al graffitismo americano, più precisamente a Jean-Michel Basquiat: con un punto di vista estetico rude e sintetico, l’autore esplora i meccanismi creativi irrazionali propri di quella tendenza artistica. il passaggio attraverso lo sguardo incontaminato del bambino che aveva ispirato l’autore di origine haitiana scompare in queste grandi tele che sembrano essere state strappate da un muro metropolitano per essere allestite in estranei e raffinati contesti. L’autore triestino rivitalizza l’interesse

creativo dello spettatore attraverso il movente ludico del fare artistico. diventa palese in questa maniera il primato del colore espresso in forme nette che solleva il problema della convivenza armonica degli elementi nell’opera; l’esecuzione delle forme in maniera così totale e definitiva sembra non ammettere repliche sulla possibile interpretazione. L’impatto emotivo vissuto davanti ad un’opera di diego Milotti è il vero evento che unisce lo spettatore al quadro, rivelando una maniera diversa dall’abituale modo di accedere all’opera d’arte.

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deana Posru si presenta a questa rassegna con un’opera di grandi dimensioni su carta ed alcune piccole incisioni che costituiscono i progetti della prima. La scelta è curiosa dal momento che comunemente si realizza prima uno studio del progetto attraverso il disegno e poi eventualmente la realizzazione di esso con le tecniche dell’incisione calcografica. Qui avviene il contrario perché la giovane artista triestina, dopo una serie di studi sulle tecniche pittoriche e incisorie, percorre la strada del disegno come realizzazione finale dei suoi studi, usando la materia come se si

trattasse di pittura.Stregata dalle atmosfere selvagge dell’isola di Lanzarote nell’arcipelago delle Canarie, l’autrice si concentra sul singolo elemento che ha attirato la sua attenzione e attraverso il disegno cerca di scoprirne le caratteristiche che lo rendono così affascinante. il risultato non è una rappresentazione del paesaggio, ma la sua interpretazione in energici gesti disegnativi che si ispirano non tanto al luogo in sé ma all’impatto emotivo che esso suscita.

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Le opere di Adriana rigonat sono appunti di un viaggio attraverso i più misteriosi anfratti dell’universo umano; tali immagini ci vengono riconsegnate dopo essere passate attraverso il filtro poetico del suo sguardo: non edulcorate, ma decifrate e colme di un senso epico.il metodo pittorico adoperato dall’autrice triestina si consuma nell’immediatezza, in modo da cogliere l’attimo emotivo presente, descrivendolo in tutte le sue sfaccettature. L’utilizzo cosciente delle colature di colore narra di un luogo in cui le figure si dissolvono verso gli abissi lasciando l’elemento più originario della propria presenza. Figure che prescindono da ogni tipo di posa o di commedia.Le tecniche miste esposte alla mostra

colgono immagini di ispirazione platonica. La caverna, luogo dal quale l’artista tenta disperatamente di uscire, è lo scenario in cui si snodano le immagini dipinte da Adriana. Figure, profumi e suoni che appartengono alla memoria, stilizzata in questi appunti dalla caverna.Spesso i personaggi di Adriana rigonat sono in viaggio, forse addirittura in esilio, e la meta verso cui questi tendono pare sconosciuta. tuttavia se si considera questo viaggio come un percorso a ritroso nella propria storia, seguendo queste figure nei più cupi recessi del nostro passato, noi, spettatori delle opere, ritorniamo alla presenza del quadro meno abbagliati dalle spettacolarità dei contesti e più vicini alla nostra rappresentazione del mondo.

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il mio incontro profondo con l’opera di Alessandra rossi è paragonabile ad un incontro con un misterioso animale alato celato nella folta chioma di un bosco verde. ero nello studio e con me alcune opere tra le quali una di Alessandra. Assorto nelle più quotidiane faccende domestiche, d’un tratto mi è parso di sentire in maniera nitida il suono di un battito d’ali. impetuoso, estraneo, gelido. La conseguente curiosità mi ha portato a ricercare l’origine di quel rumore. Ma difficilmente avrei potuto immaginare che non c’era luogo nel quale quel suono avesse

avuto origine: nel mio orecchio giungevano onde propagate da nessun luogo. tale aporia nasce, e continua ad essere costituita, dai grandi carboncini di Alessandra. Come per le onde anomale che si fanno vivere nel mistero della loro origine, queste imponenti opere sono vibrazioni recondite. La soluzione nel confronto con le raffinate carte di Alessandra rossi non sta nella spiegazione, ma nella partecipazione a questo evento che ci offre per la sua fuggevolezza il palpitante tormento proprio dell’inconoscibile.

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Le opere di rosalba ruzzier odorano di vecchie soffitte dimenticate dove si possono trovare antiche fotografie o documenti bucati logorati dal tempo. L’affiorare di lettere, numeri e stralci di documenti su queste tele suggerisce l’immagine di fogli forati sovrapposti, in modo che attraverso i buchi del primo si possa leggere il testo del secondo. in questo mescolarsi casuale di numeri e parole emergono suggestioni che l’autrice trasforma in colore e forme. Seguendo la narrativa pittorica dell’opera ci troviamo spesso confusi dalla presenza di questi elementi apparentemente estranei ad un’esecuzione pittorica così curata. tali elementi sono simboli e non segni, poiché

essi non riconducono immediatamente a qualcos’altro in senso specifico, ma evocano la parte corrispondente del simbolo rinviando ad una determinata realtà che non è decisa dalla convenzione ma dalla ricomposizione di un intero (symbállein dunque). immagino allora queste opere come una presa di posizione contro l’azione propria dei demòni che, in senso cristiano (intendendo con “demonio” il diavolo), per natura etimologica dividono (diabàllein appunto).Le tecniche miste di rosalba ruzzier sono insomma un inno alla ricongiunzione tra i simboli sulla tela e ciò che essi evocano nella realtà che lo spettatore vive.

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Le opere presentate da Anna Savron sono delle tecniche miste realizzate pazientemente su una base ottenuta da un processo calcografico. il tema ricorrente che fa da fondo è il muro. Questo viene coperto da un groviglio di piante che vanno a nascondere quello che ogni muro racconta attraverso le

sue ferite. Queste opere lasciano un sapore di fiducia e buon auspicio poiché, anche intendendo il muro come lo poteva intendere Jean-Paul Sartre, la pianta supera questa immagine logorandola in un groviglio verde e rigoglioso.

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Ad un primo sguardo le opere di giulio Schizzi sembrano riferirsi ad una tipica dicotomia corpo-psiche dove il corpo è l’unico protagonista della scena. tuttavia, a mio avviso, esse sono molto più vicine al percepire il corpo come lo sfondo di tutti gli eventi psichici. C’è dunque sia anima che corpo. Ma che origine hanno gli sguardi afflitti di queste gracili figure? in queste immagini si scorgono dei corpi che si confrontano con una mancanza che destabilizza la loro presenza. L’assenza insita nei soggetti è costituita, secondo il mio punto di osservazione, dalla mitizzazione del senso di incompletezza: eros. Queste figure sono piene di erotismo, trovano

prossimità nel corpo che le avvicina, ma andando oltre la funzione biologica del corpo: si tratta di un’intenzionalità che accompagna l’esistenza e si declina con essa, è il tentativo di colmare le proprie mancanze.in tal modo più vicino è l’altro e più forti saranno le costruzioni del mondo circostante: toccare-sentire-vedere non sono atti del corpo ma segnali che costruiscono un mondo attorno al soggetto. tuttavia le figure di Schizzi sono isolate in un apparente vuoto: questo avviene poiché non vi è prossimità, non più o non ancora. Sono sole. Ma il senso di mancanza o il senso di eros non è scomparso, si sta sopendo. ecco perché i suoi soggetti paiono così vuoti: lentamente si assopisce anche il loro mondo.

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L’opera di riccardo tripodi è caratterizzata dalla sua origine: l’autore si fa spesso romanziere dell’attimo che egli stesso vive nel momento creativo. Come un sismografo egli traccia velocemente dei segni suggeriti da un evento ambientale che poi trasforma. Se tripodi fosse uno scrittore potremmo chiamarla “scrittura per libera associazione”. Questo meccanismo che pare così casuale e fortunoso, in realtà ha le sue radici saldamente piantate nella storia dell’arte. Se consideriamo questo un automatismo psichico finalizzato ad un

controllo in totale assenza della ragione, che sia capace di prescindere da qualsiasi normativa morale ed estetica, allora siamo pienamente nell’ambito del Surrealismo. il frammentario ricamo prodotto dal carboncino nelle mani del giovane autore calabrese produce, in particolar modo nelle opere di grande dimensione, scenari suggestivi che conducono ad un viaggio in uno specifico ma sconosciuto momento che ciascun osservatore ha la possibilità di ricreare.

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i carboncini di Loredana verni hanno il sapore dell’opera “in erba”: sono il risultato di un processo creativo in divenire e proprio questa patina acerba impreziosisce il gesto disegnativo eseguito in maniera sapiente. dopo diverse sperimentazioni con la natura morta, lo studio del nudo e del ritratto, spinta dall’effervescente clima che si respira nello studio, Loredana verni ha dato libero sfogo alla sua creatività. Abbandonati i soggetti precostituiti, l’autrice tesse un groviglio di segni che tenta di sbrogliare affidando al pubblico un gruppo di opere che hanno come soggetto d’ispirazione l’acqua.

La rifrazione dell’acqua spezza gli elementi accostandoli in un’apparente incongruenza. in questo senso tale elemento prende il sopravvento come atto costitutivo della vita e, attraverso di esso, la vita stessa emerge sotto differenti forme.Così, attraverso la mano dell’artista, il carboncino arriva a produrre luce, trasparenze e fluidità ritraendo mondi che sembrano piovere verso l’alto. in questi vaporosi carboncini l’osservatore ha la possibilità di sentirsi catturato in soavi abissi fatti di gesti, ritmi e musicalità.

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Femi vilardo utilizza come metodo creativo una commistione tra fotografia e pittura. Queste immagini che vengono portate al confine tra figurativo e trasfigurato trasformano i soggetti, i fiori, in effigi che richiamano parvenze di una memoria ancestrale. La forma prodotta da questo declino naturale della rosa rimanda a qualcos’altro che lo spettatore cerca nell’immagine per ritrovare un sé antico, originario, meno artificioso. Lo sfondo delle opere è costituito da un tessuto pittorico ricostruito in formato digitale che riesce però a mantenere le caratteristiche proprie del gesto pittorico

in sé. Femi vilardo, che si è formata come pittrice attraverso un percorso consueto, cerca in una forma espressiva ormai consolidata nell’arte contemporanea, quale il digitale, le peculiarità del gesto pittorico offrendoci queste immagini suggestive di carattere velatamente romantico.La rosa viene considerata non nella sua massima e amata fragranza, ma nel pieno del suo deperimento, accartocciata, con i petali che smettono di essere livree ornamentali e diventano profondi solchi che il tempo incide. non più gemme, ma antiche concrezioni che ormai alludono solo timidamente al fiore.

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finito di stampare il 4 novembre 2012

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