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8/18/2019 Castelfranchi Transcrizione Sulla Forza Delle Credenze http://slidepdf.com/reader/full/castelfranchi-transcrizione-sulla-forza-delle-credenze 1/7  1 LEZIONE LUISS Esiste una parte di conoscenza generalizzata che è molto importante, non solo perché introduce la straordinaria economia del pensiero ma perché ci consente di sapere tantissime cose su ciò che non abbiamo visto, di fare un sacco di previsioni e inferenze. Questo tipo di organizzazione del nostro sapere non è però assolutamente sufficiente: c'è un altro tipo di organizzazione che è quasi più importante: noi abbiamo bisogno di integrare tra loro i pezzi di conoscenze che abbiamo, in una struttura giustificativa. Ecco perché questo è questo: le conoscenze si mettono in una rete tra loro di giustificazione e supporto . Il fatto che una credenza supporti e sorregga l'altra, ha delle conseguenze molto serie tra cui il fatto di rendere alcune conoscenze più centrali di altre. Alcune diventano dettagli, marginali mantre altre sono centrali. Che vuol dire centrali? Sono centrali quelle conoscenze che spiegano il tutto, che spiegano un sacco di altri fatti. Sono marginali informazioni che non spiegano quasi niente, che non sono molto rilevanti per capire il tutto. Ma non c'è solo la conseguenza di rendere alcune informazioni più importanti di altre informazioni nello stesso contesto. Un'altra conseguenza consiste nel fatto che- dato che c'è questo sorreggersi a vicenda- io non posso levare una conoscenza, mettere una conoscenza dentro questa struttura,  perché devo sistemare i pezzi in coerenza. Se levo una conoscenza che ne ricevo un'altra, devo impedire che tutto caschi: devo abolire tutto, cancello tutto? Non è vero che hanno assassinato Giovanni, quindi non è morto? O all'indietro: non è morto? Quindi non possono averlo assassinato? Se io avevo un pezzo, cancello un pezzo, devo risistemarle se no mi cascano all'indietro. Si richiede un lavoro di integrazione cognitiva molto rilevante, dati e nessi inferenziali e giustificativi tra i pezzi di conoscenza. Su questa base quindi, Aristotele ha ragione a dire che noi non possiamo mantenere conoscenze contraddittorie nella nostra mente. Anche se questo vale solo per le conoscenze esplicite, veramente scritte da qualche parte, nello stesso contesto, nello stesso momento e soprattutto con forza incompatibile, mentre non c'è nessuna contraddizione a credere che forse Luigi è vivo ma, ahimè, probabilmente è morto. Non c'è contraddizione: "forse" avrà un 20%, ma "probabilmente" avrà un 80%, e quindi non esiste una contraddizione; ma non  posso credere che certamente Luigi è vivo ma di sicuro è morto (qui c’è una contraddizione). Adesso andiamo a spiegare meglio questa forza del credere , il grado della mia convinzione, da dove deriva. È un fattore importante perché, come è ben noto, anche nelle mie decisioni il grado di certezza entra in ballo. Lo affronteremo in modo un po' psicologico. Negli approcci matematici ed economici viene usata naturalmente la teoria della probabilità dell'evento. Non è esattamente la stessa cosa: io posso vedere che mettono delle palline in un'urna, vedo che mettono 10 palline in tutto, e ne vedo sette rosse e tre  bianche. Qual è la probabilità di pescare una pallina bianca? 3/10. Ma quanto sono sicuro che sia questa la  probabilità? Beh, sono sicuro perché ho visto tut to. Ma se io ho visto incertamente, o se me l'ha detto Luigi, quanto mi fido? Quindi, come vedete, quanto io sono sicuro non coincide con la probabilità dell'evento, sono due dimensioni diverse. Ora esaminiamo l'aspetto più naive e psicologico. Abbiamo rappresentato una specie di indice di percentuale, sulla mia credenza a proposito di un certo fatto "P". Questa è la credenza; questo è il contenuto della credenza e per esprimerlo usiamo una proposizione, un  predicato linguistico. Ma la forza? Quanto sono sicuro, 99%? 50%? Testa o croce? Oppure 20%: mah,  po trebbe essere. Da cosa dipende questa forza del credo? Ma intanto possiamo introdurre, introducendo il grado della credenza, un altro principio abbastanza ovvio di resistenza a cambiare. Vi ricordate che l'altra volta abbiamo detto: "non è che puoi cambiarmi le mie credenze così come ti pare. Non è che mi apri la testa e mi sfili una credenza”. No. Perché sono integrate. Né io credo a “qualsiasi cosa tu mi dica, perché deve essere credibile, accettabile, verificabile e deve andare ad integrarsi con quello che già so." Quindi abbiamo spiegato che esiste una resistenza a cambiare ciò che credo, che si può formulare così: più una credenza è per me importante, nel senso che abbiamo definito, centrale, che spiega più cose, più io resisterò a cambiarla. È ovvio. Possiamo formularla anche in termini economici: dato che levare una credenza che me ne sorregge molte altre mi richiede un grande lavoro di sistemazione, più mi costa rivedere quelle credenze, più io resisterò cambiarla. Se non mi costa niente... Adesso introduciamo un altro principio di resistenza , di stabilità delle nostre credenze: più sono sicuro,  più sono convinto, più per me quella credenza è certa, e più sarà difficile cambiarla. Più la credenza è dubbia, più sarà facile smontarla. Abbiamo detto che stiamo studiando solo i principi di integrazione interni al mondo del credere. Per adesso mettiamo da parte i principi dinamici, affettivi. Abbiamo già fatto l'esempio che io resisto a cambiare una cosa in cui credo, anche per altri motivi, puramente emozionali, cioè "mi fa male, mi duole, mi fa soffrire, mi angoscia". E quindi resisto a credere che. Oppure: " mi fa tanto piacere, mi dà gioia a credere che" e c'è una naturale propensione a credere in ciò che dà gioia. Ma questo è un principio diverso, un principio dinamico. Noi stiamo parlando di principi nel mondo puro del conoscere. Allora un principio aggiuntivo è: "più sono sicuro, più sarà difficile smontare questa mia credenza". Da cosa dipende quanto sono sicuro? dipende dalle fonti, dalle basi su cui sono venuto a credere

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LEZIONE LUISS

Esiste una parte di conoscenza generalizzata che è molto importante, non solo perché introduce lastraordinaria economia del pensiero ma perché ci consente di sapere tantissime cose su ciò che nonabbiamo visto, di fare un sacco di previsioni e inferenze. Questo tipo di organizzazione del nostro saperenon è però assolutamente sufficiente: c'è un altro tipo di organizzazione che è quasi più importante: noiabbiamo bisogno di integrare tra loro i pezzi di conoscenze che abbiamo, in una struttura giustificativa.Ecco perché questo è questo: le conoscenze si mettono in una rete tra loro di giustificazione esupporto. Il fatto che una credenza supporti e sorregga l'altra, ha delle conseguenze molto serie tra cui ilfatto di rendere alcune conoscenze più centrali di altre. Alcune diventano dettagli, marginali mantre altresono centrali. Che vuol dire centrali? Sono centrali quelle conoscenze che spiegano il tutto, che spieganoun sacco di altri fatti. Sono marginali informazioni che non spiegano quasi niente, che non sono moltorilevanti per capire il tutto. Ma non c'è solo la conseguenza di rendere alcune informazioni più importantidi altre informazioni nello stesso contesto. Un'altra conseguenza consiste nel fatto che- dato che c'è questosorreggersi a vicenda- io non posso levare una conoscenza, mettere una conoscenza dentro questa struttura,

 perché devo sistemare i pezzi in coerenza. Se levo una conoscenza che ne ricevo un'al tra, devo impedireche tutto caschi: devo abolire tutto, cancello tutto? Non è vero che hanno assassinato Giovanni, quindinon è morto? O all'indietro: non è morto? Quindi non possono averlo assassinato? Se io avevo un pezzo,cancello un pezzo, devo risistemarle se no mi cascano all'indietro. Si richiede un lavoro di integrazionecognitiva molto rilevante, dati e nessi inferenziali e giustificativi tra i pezzi di conoscenza. Su questa base

quindi, Aristotele ha ragione a dire che noi non possiamo mantenere conoscenze contraddittorie nellanostra mente. Anche se questo vale solo per le conoscenze esplicite, veramente scritte da qualche parte,nello stesso contesto, nello stesso momento e soprattutto con forza incompatibile, mentre non c'è nessunacont raddizione a credere che forse Luigi è vivo ma, ahimè, probabilmente è mor to. Non c'è con traddizione:"forse" avrà un 20%, ma "probabilmente" avrà un 80%, e quindi non esiste una contraddizione; ma non

 posso credere che cer tamente Luigi è vivo ma di sicuro è morto (qui c’è una con traddizione).Adesso andiamo a spiegare meglio questa forza del credere , il grado della mia convinzione, da dovederiva. È un fattore importante perché, come è ben noto, anche nelle mie decisioni il grado di certezzaentra in ballo. Lo affronteremo in modo un po' psicologico. Negli approcci matematici ed economici vieneusata naturalmente la teoria della probabilità dell'evento. Non è esattamente la stessa cosa: io posso vedereche mettono delle palline in un'urna, vedo che mettono 10 palline in tutto, e ne vedo sette rosse e tre

 bianche. Qual è la probabilità di pescare una pallina bianca? 3/10. Ma quanto sono sicuro che sia questa la

 probabilità? Beh, sono sicuro perché ho visto tut to . Ma se io ho visto incertamente, o se me l'ha det toLuigi, quanto mi fido? Quindi, come vedete, quanto io sono sicuro non coincide con la probabilitàdell'evento, sono due dimensioni diverse. Ora esaminiamo l'aspetto più naive e psicologico. Abbiamorappresentato una specie di indice di percentuale, sulla mia credenza a proposito di un certo fatto "P".Questa è la credenza; questo è il contenuto della credenza e per esprimerlo usiamo una proposizione, un

 predicato linguistico. Ma la forza? Quanto sono sicuro, 99%? 50%? Testa o croce? Oppure 20%: mah, po trebbe essere. Da cosa dipende questa forza del credo? Ma intanto possiamo introdurre, introducendo ilgrado della credenza, un altro principio abbastanza ovvio di resistenza a cambiare. Vi ricordate che l'altravolta abbiamo detto: "non è che puoi cambiarmi le mie credenze così come ti pare. Non è che mi apri latesta e mi sfili una credenza”. No. Perché sono integrate. Né io credo a “qualsiasi cosa tu mi dica, perchédeve essere credibile, accettabile, verificabile e deve andare ad integrarsi con quello che già so." Quindiabbiamo spiegato che esiste una resistenza a cambiare ciò che credo, che si può formulare così: più unacredenza è per me importante, nel senso che abbiamo definito, centrale, che spiega più cose, più io

resisterò a cambiarla. È ovvio. Possiamo formularla anche in termini economici: dato che levare unacredenza che me ne sorregge molte altre mi richiede un grande lavoro di sistemazione, più mi costarivedere quelle credenze, più io resisterò cambiarla. Se non mi costa niente...Adesso introduciamo un altro principio di resistenza , di stabilità delle nostre credenze: più sono sicuro,

 più sono convinto , più per me quella credenza è cer ta, e più sarà difficile cambiarla. Più la credenza èdubbia, più sarà facile smontarla. Abbiamo detto che s tiamo studiando solo i principi di integrazione internial mondo del credere. Per adesso mettiamo da parte i principi dinamici, affettivi. Abbiamo già fattol'esempio che io resisto a cambiare una cosa in cui credo, anche per altri motivi, puramente emozionali,cioè "mi fa male, mi duole, mi fa soffrire, mi angoscia". E quindi resisto a credere che. Oppure: " mi fatanto piacere, mi dà gioia a credere che" e c'è una naturale propensione a credere in ciò che dà gioia. Maquesto è un principio diverso, un principio dinamico. Noi stiamo parlando di principi nel mondo puro delconoscere. Allora un principio aggiuntivo è: "più sono sicuro, più sarà difficile smontare questa mia

credenza". Da cosa dipende quanto sono sicuro? dipende dalle fon ti, dalle basi su cui sono venuto a credere

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questo. Questa credenza, quindi, avrà delle origini, da dove mi viene? Queste origini, queste basi del miovenire a credere, della mia decisione di credere...che, attenzione, non è una vera decisione, perché io non

 posso deliberatamente decidere di credere qualcosa, è piuttosto un meccanismo, non dipende dalla miavolontà, non posso decidere di credere in una cosa, consciamente e deliberatamente- è una scoperta diPascal. Però esiste un meccanismo che valutando una serie di pesi, una serie di elementi, arriva a credere.Ma su che base lo fa? Sulla base da cui gli deriva questa conoscenza, questa informazione, questo dato. Cisono tre fonti fondamentali: una prima fonte è la percezione del mondo. Ovviamente. L'ho visto con imiei occhi. Una seconda fonte, sempre percettiva ma di tipo molto particolare, è la comunicazione umana,la comunicazione sociale, "l'ha detto il telegiornale, l'ha detto Giovanni". La terza fonte già la conosciamo:sono le inferenze: "ci sono arrivato da solo, ho concluso che, ci sono arrivato io pensando". Con questi trecanali possa arrivare a credere una cosa. "L'ho visto con i miei occhi", "me l'hanno detto, l'ho letto", "cisono arrivato". Ci sarebbero in realtà altre fonti, ad esempio la memoria, che è una fonte strana, una fonteche ricorda altre fonti: "mi ricordo di averlo letto, mi ricordo di averlo visto". E' come se lei, la miamemoria, mi dicesse che ho visto."quanto mi fido dei miei occhi?", "quanto mi fido della mia memoria?" E'una fonte indiretta. Poi ci sarebbe un'altra fon te che è l'introspezione: "guardo nella mia mente e so ciò chevoglio, ho credenze sul mio stato mentale ". Ma anche questo è un po' sofisticato. Mettiamola da parte.Vediamo le fonti di base: la percezione, la comunicazione, l'inferenza. Ci sono due principi chedeterminano la forza della mia convinzione: il primo principio molto semplice ed è che più la fonte è perme credibile, attendibile, affidabile, più ci credo, io sono convinto. Normalmente, la mente umana, da piùcredito alla percezione, ai sensi, preferisce credere di più ai sensi che al resto; crediamo alla vista, noi siamo

animali vivi. Un cane crede di più all'olfatto che a quello che vede, ma noi crediamo ciò che vediamo, prevalentemen te. E diciamo: "ma io l'ho visto con i miei occhi, che mi racconti?". Ma non ènecessariamente così: talvolta la percezione viene battuta delle altre fonti, o viene rigettata in baseall'autorità delle altre fonti. Non so se avete letto mai i dialoghi di Galileo: vale la pena, è un bel libro.Simplicio, che sarebbe l'aristotelico, praticamente rifiuta di guardare nel cannocchiale per vedere com'èfatta la Luna, perché che rilevanza ha? Dal momento che: "Aristotele ha detto che... la verità già lasappiamo". L'autorità di Aristotele, di questa fonte, non può essere messa in discussione, perciò èirrilevante ciò che mi dicono i sensi, cosa vedrei con il cannocchiale. È un paradosso della mente, dellacultura umana. Ma, come dicevamo l'altra volta, io stesso posso non credere ai miei occhi: facevamol'esempio della canzone "non è Francesca". Non credo ai miei occhi, non ci credo. Il punto importante dacapire è che per non credere a una cosa, necessariamente devo aver motivi. Per non credere devo avermotivo di dubitare: c'è disturbo, c'è rumore, la fonte non è attendibile, non è onesta, non è competente.

Ogni volta che il rigetto quello che mi dice una fonte, sto dubitando di quanto questa sia attendibile. Faccioun esempio: cosa fa l'avvocato della difesa nei film americani, quando c'è il testimone oculare? Gli chiede:"Scusi, di che colore ha la cravatta il signore in fondo all'aula?", oppure: "Non era buio quella sera? Haguardato attentamente? Aveva gli occhiali? Aveva bevuto?" Cosa sta facendo l'avvocato? Sta demolendola credibilità della fonte, in questo caso del testimone "oculare". Sta mettendo in dubbio che ciò che havisto sia veramente ciò che ha visto, o che se lo ricordi bene, o che era in grado di capire, sta demolendo iltestimone oculare in modo che non sia credibile. Ma non posso pensare che ha visto perfettamente, era

 perfettamente sobrio, ha capi to perfettamente, è onesto, sincero e non è vero. In che senso? La stessacosa facciamo noi: possiamo rigettare una fonte ma dobbiamo avere un qualche motivo di dubbio, stiamoscreditandola, mettendola in dubbio. Possiamo farlo con tutte le fonti: posso dire "magari ho ragionatomale", oppure "sì, va bene, tu stai a sentire quello che dice Giovanni, lo sai che non capisce niente di questoargomento" oppure "lo sai che è in malafede. È invidioso. Ma che stai a sentire lui?". Cosa stiamofacendo? Stiamo demolendo la credibilità di una fonte, onde tu possa non credere in ciò che da essa ti

arriva. Il principio è semplice: credo tanto più in un certo dato quanto più la fonte e attendibile. Lamamma è difficile metterla in dubbio, ci possono essere motivi di attaccamento, motivi che rendono lafonte intoccabile per aspetti emozionali o per aspetti ideologici, cioè anche affettivi o è un fatto

 puramen te razionale.Secondo principio molto importante, che da luogo a tanto sono convinto che.. è una convergenza di fontidiverse, più fonti convergono, più sono convinto. Questo è un argomento molto interessante che ha ancheconseguenze sul piano sociale, è un principio fondamentalmente sano e giusto della mente umana, anche lascienza si basa su questo principio, perché la scienza esige una ripetibilità degli esperimenti, esige lacondivisione, perché se lei per conto suo, con le sue fonti, oggettive, sociali ecc. con i suoi controlli dicoerenza cognitiva, è convinta che, ha concluso che, con le sue informazioni, le sue indagini, ha conclusoche e lui ha concluso che, indipendentemente se è più vero…..perché ci sono più dati, più controlli, piùragionamenti, più conclusioni, è più vero. Già, ma per essere più vero, perché questa euristica sia valida, c'è

un piccolo dettaglio fondamentale che noi ci scordiamo ed è che queste fonti devono essere indipendenti:

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orientata a raggiungere uno scopo. Rappresentiamo l’azione con una freccetta; questa azione è volta a,questo è un mezzo per raggiungere un certo scopo, questa azione è strumentale a questo fine, ma in realtànon è un rapporto così banale, azione-fine. In realtà, sopra una certa azione, c'è una catena di fini, io peresempio, ho preso il pennarello e sto facendo questi movimenti sulla lavagna per scrivere, cioè lasciaretraccia sulla lavagna, ok, ma perchè voi leggiate, per fare lezione. Esiste una catena di scopi che spieganola mia azione, il mio comportamento: questo affinché questo, affinché questo, questo che è un mezzo perquesto, che è un mezzo per questo, che è un mezzo per questo. Primo interrogativo: dove ci si ferma?Sacrosanta domanda, adesso ci arriviamo. Secondo interrogativo: ma mica facciamo un'azione sola, lanostra condotta è un po’ più complicata di così, il nostro comportamento è fatto di tante azioni tra lorocoordinate, ma che significa coordinate? Qual è l'organizzazione nella struttura comportamentale?Apparentemente, ma solo apparentemente il nostro comportamento è una sequenza di azioni, a1, a2, a3,a4, aN, nel tempo, in sequenza, ma questa è solo la struttura superficiale, la nostra condotta sembra unasequenza di azioni, ma non è la vera organizzazione della condotta. La vera organizzazione della condottaè basata sulla struttura profonda degli scopi: questa azione prevede questo scopo e questa azione puòconvergere su questo scopo; sono due azioni dello stesso scopo, questa può avere questo scopo checonverge, mentre questa altra magari non c'entra nulla, l'ho eseguita io con unità di luogo e di tempo, manon c'entra nulla. Per esempio, io adesso sto facendo lezione, per fare lezione sto facendo tantissimeazioni, parlo, guardo, rispondo, scrivo e questo è fare lezione, però ho fatto anche così (rumore) oppure hofatto così (tossisce), questa azione non fa parte della stessa struttura, che si chiama piano. Cos'è un piano?Un insieme di azioni che hanno lo stesso fine, che convergono sullo stesso fine, che cooperano tra di loro

 per raggiungere lo stesso fine. Un piano è fatto sempre di molte azioni, ma nell'eseguire un piano, ci possono essere degli incisi, io sto facendo una cosa e poi rispondo a uno, è un inciso, non c'en tra nient e,non fa parte dello stesso piano, perché il suo scopo va fuori, non sta cooperando con gli scopi che dannounità alla mia condotta. Ciò che tiene assieme le nostre azioni è il fatto che cooperano su certi scopi eformano dei piani. Nello stesso luogo, nello stesso tempo, posso fare un'altra cosa che non fa parte del

 piano, quindi la strut tura vera non è quella superficiale- la sequenza- ma la strut tura profonda. Infatti è possibile che io faccia, mol ti anni dopo, in tut t'alt ro posto, un'azione di quel piano, perché è un piano chedura 25 anni, richiede azioni in 12 paesi; perché no? Mentre azioni che faccio adesso e adesso nonc'entrano niente l'una con l'altra, è possibile che siano collegate tra loro solo spazio-temporalmente, maquelle altre sono collegate tra loro in una struttura più importante che è quella degli scopi (cioè di cosa èmeglio per che cosa, di cosa serve a che cosa). Allora, la struttura del comportamento consiste di piani,cioè un insieme di azioni, cooperanti per un certo fine, con degli scopi intermedi, dei pianetti intermedi.

Supponiamo che io debba preparare una cena per gli amici, questo è il mio scopo. Allora: fare la spesa, 25azioni; cucinare, 200 azioni; servire in tavola, etc - sono tutti sottopiani; ogni piano è fatto di sottopiani.Quindi il piano cena con gli amici è un piano molto complesso che contiene altri tre, quattro sottopiani(cucinare, fare la spesa, servire ecc). Questa è la struttura normale del nostro comportamento, è gerarchicain quanto uno scopo si scompone in sottoscopi, un piano si scompone in sottopiani e questo integra lenostre azioni in unità vere, diciamo quelle appunto della gerarchia degli scopi.Secondo aspetto. Quelli che abbiamo esaminato sono scopi più o meno coerenti tra loro, ma noi possiamoavere scopi attivi contemporaneamente, non cooperanti, ma in conflitto. Per capire cosa succede in questicasi dobbiamo chiarire primo che cosa è il conflitto, secondo che facciamo quando c'è un conflitto;dobbiamo scegliere e come facciamo a scegliere. Cos'è il conflitto? Il conflitto  è il fatto che nello stessomomento io abbia attivi dentro di me due scopi tra loro incompatibili: S1 ed S2 fanno a pugni, sonoincompatibili, o l'uno o l'altro. C'è un conflitto di base molto banale ma raro che è il conflitto tra due scopicontraddittori, io voglio A e voglio non A, nello stesso momento, sono concettualmente, intrinsecamente

incompatibili, voglio nello stesso momento sposarmi ed essere single, non si può fare o l'una o l'altra, bisogna che ti decidi. Quindi posso avere scopi contraddittori, così come posso avere credenzecontraddittorie, la stessa struttura di prima, credo A, credo non A, non si può fare, quindi voglio A, voglionon A, bisogna che ti decidi, però questo non è il caso normale, cioè il conflitto tra due scopi oppostilogicamente, A e non A. Abbiamo anche il conflitto tra lo scopo che è A e lo scopo che è B, che di per sénon sono contraddittori, da cosa dipende questo t ipo di conflit ti che è il più comune? Molto semplice, dallerisorse scarse, per raggiungere un certo scopo devo impiegare una certa risorsa R, ma capita che la risorsache mi serve per raggiungere S1 è la stessa risorsa che mi serve per S2, che purtroppo non basta, quindivanno in contraddizione o in conflitto, o l'una o l'altra, faccio un esempio: perché stasera non andiamo amangiare una pizza o al cinema? 10 euro, pizza o cinema, pizza o cinema? 10 euro, la risorsa che serve perandare a mangiare la pizza è la stessa che serve per andare al cinema, non è sufficiente per tutti e due, limette in conflitto, devo scegliere o l'uno o l'altro, la maggior parte dei nostri conflitti è un conflitto

dovuto alla risorsa comune, scarsa, ma non dovuto ad una incompatibilità di principio.

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(...) Potrebbero esserci dei casi in cui per esempio io ho due mezzi incompatibili. Normalmente un piano èarmonico, nel senso che se io l'ho risolto, se io ho fatto il mio problem solving e ho trovato il giusto

 piano, non ci sono conflit ti, a monte devo dare una scelta per poi fare un piano; c'è poi il caso in cuiinvece mi si attivano due scopi e poi scopro che non posso fare un piano unitario, perché io posso anchefare un piano per più scopi, per più mezzi, per più fini. Ad esempio: “quasi quasi vado lì, così passo sia dalfotografo, sia vedo Giovanni”. Ma certe volte i miei scopi attivi vanno in contraddizione, la risorsa non èsolo il denaro, la risorsa scarsa, può essere per esempio lo spazio di cui dispongo. Ad esempio io potrei dire:“quanto mi piacerebbe mettere il comò di mamma nella camera da letto”, no o letto o comò se la camerada letto è piccola, non c'entra, è la risorsa spazio che crea conflitto. Oppure la risorsa tempo: “mi

 piacerebbe tanto fare questo viaggio con te, ma ho l'esame, che faccio? L'esame o il viaggio?” Perché iltempo non basta per tutte e due le cose che devo fare, quindi tempo, spazio, denaro e quant'altro, se larisorsa non basta subentra il conflitto: questi scopi sono incompatibili tra loro e devo scegliere. La stessacosa nel conflitto interpersonale: due persone sono in conflitto quando il signor 1 ha questo scopo e ilsignor 2 ha questo scopo, incompatibili; oppure quando il signor 1 ha questo scopo, il signor 2 ha questoscopo, ma competono per una risorsa che serve sia all'uno che all'altro (questo non lo trattiamo, sarebbeinteressante, ma l'aspetto mentale è identico, devo scegliere o mi paralizzo).Come faccio a scegliere tra due scopi? Risposta: evidentemente gli scopi hanno un valore diverso, ci sonoscopi per me molto di valore, molto importanti, a cui tengo molto, scopi meno importanti, per fortuna,questo mi consente di scegliere. Allora, quando facciamo una teoria degli scopi, dobbiamo rappresentare

anche quanto un certo scopo vale per me, quanto è importante per me? C'è lo scopo 1, ma quanto vale?Quello che conta è il valore, soggettivo, quanto è importante? Quanto ci tengo? Quanto vale? E' ovvio chelo scopo che vale di più prevarrà nella mia decisione. Quindi gli scopi, come le credenze hanno una forza diconvinzione e di credibilità, anche gli scopi hanno una forza, che è il loro valore: “quanto è importante perme? Quanto ci tengo?” Questo ci impone una domanda evidentemente: da cosa deriva, da cosa dipende ilvalore degli scopi? Sulla forza del credere ci siamo fatti una piccola teoria, da cosa deriva quanto sonoconvinto che? Ma da cosa deriva, da cosa dipende quanto è importante per me una cosa, quanto ci tengo?(...) Dipende, quanti scopi positivi, quanti sovrascopi raggiungo? E quanti ne comprometto? Ad esempiocose che consumo, costi o cose a cui rinuncio, ci sono anche dei danni che faccio ad altri scopi, questi sonoi pro e questi sono i pro e i contro: se faccio questo raggiungo questo e raggiungo questo, però se faccioquesto comprometto questo, disturbo questo, rinuncio a questo, quanto vale questo scopo per me? Dipende,quanti sovrascopi importanti raggiungo e quanto valgono, questo è quanto è benefico per me, meno

evidentemente la somma di tutti quelli cui devo rinunciare o distruggere, i costi che pago per esempio equanto valgono, se mi costa moltissimo, più di quanto ci guadagno, evidentemente, il suo valore è.. iorinuncio.

Domanda: Volevo chiedere, a volte può essere difficile scegliere tra due scopi, che per noi hanno moltovalore perché non ci rendiamo conto di quanti sottoscopi favorevoli o negativi andiamo poi a realizzare evediamo solo gli scopi macro e non ci rendiamo cont o dei pro e dei cont ro che avremo...

A livello psicologico ci sono molti fenomeni di questi tipo, ad esempio un fenomeno ovvio e ben studiato èche noi non possiamo in linea di principio considerare tutti i possibili effetti positivi di o tutti i possibilieffetti negativi di, perché potrebbe essere una ricerca infinita, (...) quindi ci focalizziamo su quelli che piùfacilmente vengono in mente oppure in base all'esperienza o basati sul contesto.Quando io dico rinunciare non vuol dire abbandonare, po trei procrastinare per esempio: adesso la decisione

tra due scopi at tivi ora, quale faccio? Quale perseguo? In alcuni casi posso solo sospendere, rinviare, perchéadesso qui non rappresento un'alt ra cosa che sarebbe impor tan te, che è la dimensione di urgenza, che non èla stessa cosa del valore. Ci può essere uno scopo molto importante e uno scopo meno importante ma piùurgente, che scade prima, se quello più importante non lo perdo, do la priorità a quella meno importantema che scade, abbiamo solo rinviato il problema, perché ho detto praticamente che il valore di questoscopo, che infatti è solo un mezzo, deriva dal valore dei sovrascopi che raggiungo. Ma da dove derivaquesto? Riapplichiamo ricorsivamente: questo deriva dal valore degli scopi che raggiungono e di quelli checompromettono e questo lo stesso e da cosa deriva uno di questi, dagli scopi che raggiungo. Dove cifermiamo? Risposta: evidentemente c'è un livello psicologico di scopi ultimi, le nostre motivazioni ultime,i quali hanno dei valori dati, le motivazioni, che hanno un certo valore, in un certo momento per noi. Ésolo grazie al fatto che le nostre motivazioni ultime, i nostri scopi ultimi hanno un certo valore, che i varimezzi prendono valore e io posso decidere, queste motivazioni ultime. Spero che vi scandalizzi: la

 psicologia mica le ha studiate tanto le motivazioni umane, ci sono ancora teorie di quarant'anni,

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cinquant'anni fa... non è che voi aprite un manuale di psicologia generale che inizi con un capitolo sui bisogni umani. (.. .) Voi avreste il dirit to di pre tendere che aprendo un manuale di psicologia generale, ci siaun capitolo, non dico il primo, ma abbastanza presto, che dice, i bisogni umani, queste sono le motivazionidegli esseri umani, non c'è, ci sono teorie, aspetti importanti, scoperte importanti, per esempio la teoriadell'attaccamento di Bowlby, che ha contribuito grandemente a conoscere alcune delle motivazionifondamentali della specie umana, teorie sulle gerarchie dei bisogni, che sostengono che prima ci sono i

 bisogni più fisiologici di base e poi ci sono gli altri e poi neanche è tanto vero, però dobbiamo assumere chein un dato momento, per un dato individuo, ci sono motivazioni che per lui attive ed importanti. Questevariano con l'età, con il momento, per esempio è chiaro che i bisogni più importanti per un bambino di treanni non sono gli stessi di un adolescente di quattordici, non sono gli stessi di uno di trent'anni, non sonogli stessi di uno di ottant'anni. Nell'arco della vita alcuni scopi non resistono oppure sono poco importanti,

 poi diven tano molto importan ti e poi poco impor tanti, a secondo dell'andamen to della vit a, ma anche asecondo del contesto e delle circostanze, anche a secondo del genere: sembra che ci siano motivazioni piùimportanti per i maschi, per esempio la gerarchia, mai visto le femmine fare i galletti come i maschi….Mentre altri aspetti possono essere più importanti per il genere femminile, che sono meno sensibiligerarchicamente. Ci sono differenze culturali: una cultura ci forma e ci educa a dare grande importanza acerte motivazioni, per esempio al giudizio degli altri- le culture variano molto in questo- oppure peresempio al denaro e al successo. Quindi essendo stato educato in una certa cultura, ho imparato a daregrande valore ad una certa motivazione, per esempio all'approvazione degli altri, in un'altra cultura invecemi hanno detto “fregatene”. Inoltre, non c'è solo la cultura generale...(...) nella cultura giapponese danno

tanta impor tanza all'onore, cioè cosa pensano di te (...)Ci sono anche le culture familiari: la mia famiglia può avere un certo tipo di valori, per cui mi educa aldisprezzo delle cose materiali, all'impor tanza dei valori spirituali oppure un'altra famiglia insiste moltissimosull'enorme valore della cultura e dell'istruzione, un'altra famiglia invece, appena il ragazzo ha finito lascuola butta i libri e la prima famiglia disprezza le attività fisiche, lo sport, il ballo. Quindi anche la famigliaci forma. Allora dato un momento della nostra vita, una certa età, un certo sesso, una certa culturagenerale, una certa cultura familiare, un certo contesto, abbiamo certi valori sulle nostre motivazioniultime, grazie a questo possiamo scegliere se facciamo una cosa piuttosto che un'altra, adesso mi fermo qui,a questa idea, che nella nostra mente ci sono delle motivazioni ultime, più di una, che ne so, successo,essere amati, avere potere, sesso, etc e che sono indipendenti faremo successivamente il discorso delladifferenza tra questa visione che è una visione pluralistica delle motivazioni umane e una visione che

 po trebbe dire, no , è tut to falso c'è un unico vero scopo nella vit a umana che è il piacere, la tesi filosofica

che ha molti secoli. La versione moderna di questa tesi è no, non è vero che c'è un'unica motivazioneumana che è massimizzare l'utilità come nella concezione economica classica. Voglio chiarirvi la differenzafra queste due visioni (...)

(Per indurti ad agire in un certo modo) Io posso contare e di solito conto sulla tua convenienza, sul tuointeresse, prospettando vantaggi e svantaggi o addirittura facendoti promesse e minacce, ti spiego qual è ladifferenza, promesse e minacce, sono vantaggi e svantaggi che io metto nella partita: “se fai i compiti ti

 porto al cinema, se non fai i compiti non ti do la paghetta”. Dipende da me portarti al cinema o no , dar ti isoldi o no, ma ci sono vantaggi e svantaggi che io ti prospetto, che non sono promesse e minacce, perchénon dipendono da me, ti faccio vedere le conseguenze che potresti avere, per esempio ti dico, ma se nonfai i compi ti che dirà domani la maestra? Ti obbligo a considerare questa conseguenza negativa, che magaritu non avevi preso in considerazione nella tua decisione, ma io ti induco a far qualcosa, ti persuado a farla,

 prevalentemen te facendo appello al tuo interesse, cioè quello che ti conviene o non ti conviene, quello che

ti piace o che non ti piace, ti faccio vedere che ci sono degli scopi che tu raggiungi se fai quello che io dicoo degli scopi che comprometti se fai l'altra cosa, contando che avevo azzeccato il valore degli scopi,

 perché se ho sbagliato il valore degli scopi, non ti convinco. Ad esempio se io ti dico “se finisci i compi ti ti porto al cinema” e tu mi rispondi “ma guarda io ho già il biglietto!”, allora ho calcolato male il valore diandare al cinema per te, quindi non ti ho persuaso perché per te il valore di andare al cinema è inferiore, ilcosto di fare i compi ti era superiore e quindi non ti ho convin to. Quindi riesco a persuaderti se ho calcolato

 bene che il valore di ciò che ti prospet to è maggiore di quello che stai facendo, allora lasci perdere e scegli,che in sostanza diventa un filtro dentro di te, scommettendo sul fatto che lo scopo nuovo sia più valido,

 più for te di quello che stavi facendo, se ho azzeccato vince, tu lasci perdere l'idea che avevi per sceglierneun'altra, insomma, conto sulla tua convenienza, prospettandoti vantaggi e svantaggi e creando io col mio

 po tere, cioè facendo minacce e promesse, ci metto io il premio o la punizione. La cosa straordinaria è che per credere a una cosa non posso ricorrere a questo mezzo, non posso ricorrere al tuo interesse, perché tu

in realtà non puoi decidere perché ti conviene, è impossibile, non posso dire se credi questo ti do 200 euro,

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8/18/2019 Castelfranchi Transcrizione Sulla Forza Delle Credenze

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tu dici “ci credo, ci credo”, ma io non posso credere che tu ci credi, perchè non puoi decidere di credere peravere 200 euro, tecnicamente è possibile, mentalmente è impossibile, decido di credere, quindi ci credo?Perché ho deciso? Perché mi conveniva? Oppure dico: “se credi questo ti meno!”, “non ci credo, non cicredo, ti assicuro che non ci credo”, ma in realtà non puoi decidere di non credere a una cosa per timoredelle botte! Questo principio fondamentale della mente umana è stato scoperto da Pascal, nessuno se loricorda, non sta scritto su un manuale di psicologia sociale o di psicologia cognitiva, ma è un principio inrealtà fondamentale, perché? Primo, perché è un principio che ci da autonomia, se ci si potesse pagare omenare per credere qualcosa, saremmo pochissimo autonomi, in realtà noi crediamo in base ai nostrimeccanismi cognitivi, alle evidenze che abbiamo, ai dati che raccogliamo, alle diverse fonti, al controllodella coerenza cognitiva. Noi crediamo o non crediamo, ma non mi puoi picchiare o pagare per crederequalche cosa; questo mi garantisce una grande autonomia dell'influenzamento sociale, anche perché in uncerto senso le due forme di persuasione sono legate l'una all'altra, nel senso che per indurmi a fare una cosa,in realtà devi indurmi a credere qualcosa. Se uno potesse farmi credere qualsiasi cosa, potrebbe farmi farequalsiasi cosa, a volte è possibile col plagio, quando tu elimini tutte le mie fonti, tu diventi l'unica fonte,sono isolato dal mondo, non ho altri riferimenti, non ho altra esperienza e quindi credo qualsiasi cosa edato che credo qualsiasi cosa posso fare qualsiasi cosa. In che senso l'ha scoperto Pascal? Perché Pascal, nelgenio che era, si occupava di teologia, è anche uno dei fondatori della teoria della probabilità… grandematematico, da bambino aveva scoperto cos'era la geometria euclidea, insomma una testa di un certo

 peso... c'era questo problema, diciamo così, come tutti i teologi doveva convincere, dimos trare, spiegarel'esistenza di Dio e così scelse questo argomento della scommessa, che io semplifico, l'argomento della

scommessa è il seguente: credere in Dio è una scommessa razionale, è razionale, è conveniente, perché perquanto bassa possa essere la probabilità di questa scommessa, cioè che Dio esiste, il premio è talmenteelevato che la scommessa è razionale. Anche sul piano proprio banale, credo che convenga credere in Dio,

 penso che sia conveniente nella vita credere in Dio, ma la vera scoperta di Pascal non è tanto questa, malo shock che lui ha dopo questo argomento, di accorgersi che non basta credere che la scommessa siarazionale per credere, io devo essere convinto che è razionale e conveniente credere in Dio, ma questo nonmi fa credere in Dio, cosa voglio dire, appunto, anche se mi converrebbe credere e io penso che miconverrebbe credere, non è sufficiente questo perché io creda, cioè, non si decide di credere, non si partedal fatto che sia conveniente e razionale, non è così che funziona la mente umana, non possiamo credereuna cosa come decisione consapevole, semplicemente perché ci conviene credere, non si può fare, adessochiudo su Pascal. (...) Un’altra sua scoperta di una genialità sconvolgente, un meccanismo vero

 psicologicamente, ancora non del tut to chiaro: se io agisco come se, automaticamente e inconsciamente

mi convinco che... Chiusa la parentesi su Pascal, ma ci tenevo a sottolineare l'impossibilità di credereuna cosa perché mi conviene; l'inconscio invece se ne frega, i meccanismi inconsci riescono a credereciò che gli piace e gli fa comodo perché gli fa comodo, ma non possiamo farlo deliberatamente, io non

 posso dirti “ti meno se credi questo!”, che significa? “Ti pago se credi questo”, che significa? È inefficace,chiusura di una piccola conseguenza politica che nessuno nota, questo principio cognitivo della menteumana è uno dei principi della democrazia, che consiste non semplicemente nel fare i sondaggi, anzi, onell'andare a votare sostanzialmente, consiste nel fatto che ci sia libertà, di comizi, discussione,convincimento, persuasione, scontro, confronto e poi votare. Cioè, fondamento della democrazia è lalibertà di cercare di cambiare le tue idee per cambiarle per loro, se questo non si verifica non sei indemocrazia, ma come mai in qualsiasi regime democratico è proibito pagare la gente per votare o ilmanganello che induca a votare in un certo modo? Come mai in un qualsiasi regime democratico è proibitol'uso della minaccia o della violenza o l'uso della corruzione? Perché? Dal momento che è lecito, anzi, nonlecito, fondativo, la mia libertà di cercare di convincerti? Se io posso cercare di convincerti perché non ti

 posso pagare? Per il principio di Pascal che ho già enunciato: perché se io ti pago o ti meno colmanganello, io induco la tua condotta di voto, ma non la tua idea, perché la tua convinzione non la possocambiare con i soldi o con le botte, il principio caro alla democrazia è che tu possa esprimere il voto comelo credi, conformemente a come lo credi, questa è la base reale e siccome non posso cambiare ciò che credicon le botte o con i soldi, non si può fare, posso cambiare quello che credi con le discussioni e gliargomenti? Si, allora questo è un fondamento della democrazia, ma la differenza tra i discorsi, i litigi, lediscussioni, i comizi, ecc. e i soldi sta solo qua, che con i soldi non posso cambiare ciò che credi e il

 principio della democrazia è che tu possa votare secondo ciò che credi, mentre se ti pago, vo ti quello chedico io, ma non secondo ciò che credi, dietro c'è questo principio cognitivo di base, non si può decidere dicredere una cosa consapevolmente in base al proprio interesse (...).