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1 Nelle pagine che seguono è riportato un dibattito sulla famiglia, se si possa considerare famiglia anche quella in cui i genitori sono omosessuali, e che si è svolto sulle pagine del Corriere della Sera, aperto il 30 Dicembre 2012 da Ernesto Galli della Loggia. L’articolo di Galli della Loggia, in perfetta malafede, richiamandosi ai concetti, per lui scontati di natura e di divisione dei ruoli fra maschile e femminile, in un certo senso benediceva gli interventi e i richiami della Chiesa contro le famiglie di omosessuali, e addirittura Galli della Loggia ricordava il Gran rabbino di Francia Gilles Bernheim intervenuto contro il matrimonio omosessuale, chiaramente nel contesto della legge francese sul matrimonio “per tutti”, che dovrebbe arrivare a giorni alla discussione in parlamento, ma Galli della Loggia omette questo fondamentale riferimento, e si rivolge poi ai rappresentanti di quella che lui reputa un’altra Chiesa, quella degli psicoanalisti perché si facciano sentire, a suon di dogmi, che cosa insegna la psicoanalisi. E’ intervenuta Silvia Vegetti Finzi e ci fa proprio una magra figura…… Per fortuna è seguita poi la voce di Fulvio Scaparro. L’articolo che chiude di Bernard - Henri Levy non appartiene al dibattito italiano, anche se il Corriere l’ha pubblicato come tale: è una riflessione su quanto sta accadendo ora in Francia. EBREI E CATTOLICI EBREI E CATTOLICI le Religioni che sfidano il Conformismo sui Gay Quando le religioni sfidano il conformismo sui gay - 30 Dicembre 2012 Ernesto Galli Della Loggia Nel XVIII secolo, nella sua battaglia contro le religioni ufficiali, equiparate senza tanti complimenti ad altrettante superstizioni, l'illuminismo francese, destinato a far scuola in tutta l'Europa continentale, non se la prese certo solo con il cattolicesimo. Anzi. L'ebraismo, per esempio, fu un suo bersaglio forse ancora più consueto: basti pensare alle tante pagine di Voltaire piene zeppe di contumelie contro la religione mosaica.

"Che cos'è una famiglia"

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Page 1: "Che cos'è una famiglia"

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Nelle pagine che seguono è riportato un dibattito sulla famiglia, se si possa

considerare famiglia anche quella in cui i genitori sono omosessuali, e che

si è svolto sulle pagine del Corriere della Sera, aperto il 30 Dicembre 2012

da Ernesto Galli della Loggia. L’articolo di Galli della Loggia, in perfetta

malafede, richiamandosi ai concetti, per lui scontati di natura e di

divisione dei ruoli fra maschile e femminile, in un certo senso benediceva

gli interventi e i richiami della Chiesa contro le famiglie di omosessuali, e

addirittura Galli della Loggia ricordava il Gran rabbino di Francia Gilles

Bernheim intervenuto contro il matrimonio omosessuale, chiaramente nel

contesto della legge francese sul matrimonio “per tutti”, che dovrebbe

arrivare a giorni alla discussione in parlamento, ma Galli della Loggia

omette questo fondamentale riferimento, e si rivolge poi ai rappresentanti

di quella che lui reputa un’altra Chiesa, quella degli psicoanalisti perché si

facciano sentire, a suon di dogmi, che cosa insegna la psicoanalisi. E’

intervenuta Silvia Vegetti Finzi e ci fa proprio una magra figura…… Per

fortuna è seguita poi la voce di Fulvio Scaparro.

L’articolo che chiude di Bernard - Henri Levy non appartiene al dibattito

italiano, anche se il Corriere l’ha pubblicato come tale: è una riflessione su

quanto sta accadendo ora in Francia.

EBREI E CATTOLICI EBREI E CATTOLICI

le Religioni che sfidano il Conformismo sui Gay Quando le religioni

sfidano il conformismo sui gay - 30 Dicembre 2012

Ernesto Galli Della Loggia

Nel XVIII secolo, nella sua battaglia contro le religioni ufficiali, equiparate

senza tanti complimenti ad altrettante superstizioni, l'illuminismo francese,

destinato a far scuola in tutta l'Europa continentale, non se la prese certo

solo con il cattolicesimo. Anzi. L'ebraismo, per esempio, fu un suo bersaglio

forse ancora più consueto: basti pensare alle tante pagine di Voltaire piene

zeppe di contumelie contro la religione mosaica.

Page 2: "Che cos'è una famiglia"

2

Poi però tra '700 e '800 le cose cambiarono rapidamente. Soprattutto

perché cambiò l'ebraismo. Accadde infatti che nell'Europa (soprattutto

occidentale) un gran numero di ebrei cominciasse a inoltrarsi su un

percorso di radicale emancipazione-secolarizzazione che li portò ad

integrarsi in pieno con le élites laico-liberali sulla via di prendere dovunque

il potere: della religione dei padri conservando al massimo qualche vestigia

rituale. Da allora la critica antireligiosa d'ascendenza illuministica cominciò

a prendere di mira, in ambito occidentale, pressoché esclusivamente il

cattolicesimo, quasi che esso fosse la sola religione rimasta sulla faccia

della terra. Una tendenza andata sempre più affermandosi, specie in Italia,

e molto spesso ? bisogna dirlo ? con il tacito assenso di molta intellighenzia

d'origine ebraica, più o meno concorde nell'avvalorare implicitamente l'idea

? bizzarrissima ma molto «politicamente corretta» ? che in fin dei conti

l'ebraismo non sia neppure una religione. Ovvero lo sia, ma così diversa da

tutte le altre, così diversa, alla fine da non esserlo! Specie in Italia, ho

scritto. E infatti quando da noi si parla di temi che in qualche modo

coinvolgono la fede religiosa l'ebraismo tenda a non avervi e/o prendervi

alcuna parte. E quindi a non essere mai menzionato. Basta porre mente a

tutta la discussione sulla liceità dell'ingegneria genetica, dell'eutanasia o

del matrimonio tra omosessuali. Dibattendosi di queste cose è come se

l'ebraismo fosse disceso nelle catacombe tanto la sua voce è tenue o

assente. Con il risultato che la voce della Chiesa cattolica, invece, è

facilmente presentata come la sola che in nome di una visione religiosa

arcaica sia impegnata a difendere posizioni che la vulgata democratica

qualifica come «reazionarie».A ricordarci che le cose invece non stanno

affatto così, e che proprio sui temi che citavo prima sono viceversa assai

profondi i legami teologici e dottrinari tra l'ebraismo e il cattolicesimo (e il

cristianesimo in generale, direi) soccorre un recente importante documento

di un'autorità dell'ebraismo europeo quale il Gran Rabbino di Francia

Gilles Bernheim, dal titolo «Matrimonio omosessuale, omoparentalità e

adozione». Bernheim inizia con il punto decisivo, e cioè contestando che tali

Page 3: "Che cos'è una famiglia"

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temi abbiano come vera posta in gioco un problema di eguaglianza dei

diritti. In gioco invece, scrive, è «il rischio irreversibile di una confusione

delle genealogie, degli statuti e delle identità, a scapito dell'interesse

generale e a vantaggio di quello di un'infima minoranza». In un modo che a

me sembra condivisibile anche dal punto di vista di un non credente egli

smonta uno ad uno gli argomenti abitualmente usati a favore del

matrimonio omosessuale: dall'esigenza della protezione giuridica del

potenziale congiunto, all'importanza del volersi bene («non si può

riconoscere il diritto al matrimonio a tutti coloro che si amano per il solo

fatto che si amano»: per esempio a una donna che ami due uomini); alle

ragioni affettive che giustificherebbero l'adozione di un bambino da parte di

una coppia omosessuale. «Tutto l'affetto del mondo non basta a produrre le

strutture psichiche basilari che rispondono al bisogno del bambino di

sapere da dove egli viene. Il bambino non si costruisce che differenziandosi,

e ciò suppone innanzi tutto che sappia a chi rassomiglia. Egli ha bisogno di

sapere di essere il frutto dell'amore e dell'unione di un uomo, suo padre, e

di una donna, sua madre, in virtù della differenza sessuale dei suoi

genitori». Ancora: «il padre e la madre indicano al bambino la sua

genealogia. Il bambino ha bisogno di una genealogia chiara e coerente per

posizionarsi come individuo. Da sempre, e per sempre, ciò che costituisce

l'umano è una parola in un corpo sessuato e in una genealogia». Bernheim

non solo prende di petto il proposito caro a molti militanti omosessuali di

sostituire al concetto sessuato di «genitori» quello asessuato e vacuo di

«genitorialità» e di «omoparentalità», ma sostiene che non può parlarsi in

alcun modo di un diritto ad avere un figlio: «la sofferenza di una coppia

infertile non è una ragione sufficiente per ottenere il diritto all'adozione. Il

bambino, sottolinea, non è un oggetto ma un soggetto di diritto. Parlare di

diritto a un figlio implica una strumentalizzazione

inaccettabile».Naturalmente le pagine più dense del documento sono quelle

in cui opponendosi all'idea sempre più diffusa che il sesso, lungi dall'essere

un dato naturale, rappresenti una costruzione culturale, il Gran Rabbino,

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forte del racconto della Genesi, afferma viceversa «la complementarietà

uomo-donna come un principio strutturante del giudaismo»

corrispondendo essa al piano più intimo della creazione. «La dualità dei

sessi ? egli scrive ? appartiene alla costruzione antropologica dell'umanità»

ed è voluta da Dio anche come «un segno della nostra finitezza». Nessun

individuo può pretendere di essere autosufficiente, di rappresentare tutto

l'umano, dal momento che con ogni evidenza «un essere sessuato non è la

totalità della specie».Il lettore avrà notato la forte somiglianza di molte delle

cose dette da Bernheim con quelle sostenute dal magistero cattolico ( non a

caso di recente Benedetto XVI ha citato calorosamente il documento del

Gran Rabbino francese). In realtà le voci congiunte dell'ebraismo e del

cattolicesimo, nel momento in cui evocano ciò che è effettivamente in gioco

in questo caso ? vale a dire le basi stesse della società in cui vogliamo

vivere, l'esistenza ontologica di due sessi distinti, l'alleanza dell'uomo e

della donna nell'istituzione chiamata a regolare la successione delle

generazioni, nonché il rischio di cancellare in modo irreversibile tale

successione ? nel momento in cui fanno ciò, sembrano confermare quanto

sostenuto a suo tempo da Jurgen Habermas circa l'importanza che ha e

deve avere il punto di vista della religione nel discorso pubblico delle nostre

società. Tale punto di vista, infatti, è spesso prezioso per comprendere ? da

parte di tutti, credenti e non credenti, di ogni persona libera ? ciò che

queste società hanno oggi il potere di fare. E dunque, per misurare la

rottura che le loro decisioni possono rappresentare rispetto alle radici più

profonde e vitali della nostra antropologia e della nostra cultura. Ma dal

Gran Rabbino Bernheim viene anche un'altra lezione. E cioè quanto è

importante che la discussione pubblica sia condotta con coraggio, sfidando

il conformismo che spesso anima l'intellettualità convenzionale e il mondo

dei media. Quanto è importante che personalità autorevoli (per esempio gli

psicanalisti) non abbiano paura di far sentire la loro opinione: anche

quando questa non è conforme a quello che appare il mainstream delle idee

dominanti. È una lezione particolarmente essenziale per l'Italia. Dove è

Page 5: "Che cos'è una famiglia"

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sempre così raro ascoltare voci fuori dal coro e provenienti da bocche

insospettate, dove è sempre così forte la tentazione di aver ragione

appiccicando etichette a chi dissente invece di discuterne gli argomenti,

dove sono sempre pronti a scattare spietatamente i riflessi condizionati

delle appartenenze. Dove ? in specie quando si tratta di certe questioni ?

non manca di farsi puntualmente sentire il pregiudizio che tende a fare del

cattolicesimo la testa di turco più adatta per essere additato alla pubblica

esecrazione dalle vestali dell'illuminismo e per vedersi piovere addosso tutti

i colpi ( e tutte le presunte colpe ) del caso.

RIPRODUZIONE RISERVATA - Galli Della Loggia Ernesto

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(30 dicembre 2012) - Corriere della Sera

http://27esimaora.corriere.it/articolo/freud-e-i-figli-di-coppie-gay-il-dibattitotra-il-papa-

arcobaleno-e-la-psicoanalista/

LE RAGIONI A FAVORE DEI GAY

«Mia figlia sta bene con i suoi due papà»

di Tommaso Giartosio, Famiglie Arcobaleno 1

1 o Associazione genitori omosessuali http://www.famigliearcobaleno.org/Default.asp

Caro direttore,

mia figlia vorrebbe che i suoi due papà potessero sposarsi. Di questo sono

certo. Ma so anche che mia figlia ha solo sette anni, e certe cose ancora

non le capisce. Non capisce, per esempio, che il suo desiderio è

«conformista», come scrive Ernesto Galli della Loggia sul Corriere del 30

dicembre. In effetti per lei è difficile cogliere questo conformismo, visto che

vive nell’unico Paese occidentale completamente privo di leggi a tutela dei

gay.

Privo in primo luogo del matrimonio egalitario, cioè aperto anche alle

coppie dello stesso sesso. Ma il matrimonio egalitario porterebbe secondo

Page 6: "Che cos'è una famiglia"

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Galli della Loggia (che cita in parte Gilles Bernheim) a una «confusione

delle genealogie, degli statuti e delle identità», a un tracollo della

«complementarietà uomo-donna», all’azzeramento dell’«esistenza ontologica

di due sessi distinti», alla devastazione delle «radici più profonde e vitali

della nostra antropologia e della nostra cultura». Anche questo è difficile da

capire… E sì che abbiamo già sentito frasi simili.

Circolavano a voce e a stampa, per esempio, nel dibattito sul voto alle

donne. L’esclusione delle donne dalla politica non aveva anch’essa radici

millenarie? Non esprimeva una profonda complementarietà uomo-donna,

ricca di tanti significati preziosi e fragili, e anche molto ontologica? Non era,

perbacco, parte della nostra antropologia?

La retorica del discorso discriminatorio è sempre la stessa. Questo

minacciare apocalissi vaghe o sommamente improbabili ricorda i discorsi di

chi, nel 1946, profetizzava che le donne ora non avrebbero voluto più

occuparsi dei figli. Mia figlia, per inciso, intende averne sei. Un altro vizio

logico di questa retorica è la fallacia della «brutta china»: Galli della Loggia

pensa che il matrimonio egalitario apra la porta alla poligamia, così come

un tempo si temeva che dopo il voto alle donne anche bambini, pazzi e

scimmie avrebbero rivendicato l’elettorato attivo e passivo.

La forma stessa di queste analogie manifesta il retropensiero

discriminatorio, l’idea che la donna sia inferiore all’uomo, o che un amore

gay sia inferiore a un amore etero. Terzo (e ultimo, per non eccedere) tic di

queste argomentazioni: ignorano del tutto il dato di realtà. Così diventa

possibile argomentare che i figli delle coppie dello stesso sesso mancano

delle «strutture psichiche basilari», nonostante decenni di ricerca scientifica

mostrino il contrario. Certo, esiste un folkloristico drappello di studiosi che

non si rassegna all’evidenza. C’è il professor Regnerus, che a posteriori

confessa che mamme lesbiche e papà gay da lui esaminati forse non erano

davvero gay e lesbiche; c’è il professor Cameron, autore di una ventina di

dotti studi, espulso dalle associazioni professionali e condannato dai

tribunali per distorsione dei dati. Un giorno mia figlia riderà di storie simili.

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Nell’attesa, però, avrebbe bisogno di godere degli stessi diritti di cui già

godono i suoi coetanei cresciuti in famiglie antropologicamente corrette.

Degli stessi diritti, e – altrettanto importante – della stessa dignità.

IN NESSUNO DEI TRE CASI che prende in considerazione il signor Giartosio

confuta nella sostanza – ripeto: nella sostanza, cioè con argomenti inerenti alla

natura delle cose in questione – le affermazioni che intende contrastare. Si limita a

stigmatizzare le opinioni che non condivide mediante analogie improprie e

definizioni negative: entrambe prive di qualunque reale valore argomentativo.

Egualmente deplorevole, a mio avviso, è il vezzo di considerare ciarlatani o

delinquenti tutti gli studiosi che non condividono il pensiero gay in base al

semplice fatto (peraltro da accertare) che un paio di costoro sono stati colpiti da

sanzioni o scoperti a mentire. Come dire che siccome sono stati scoperti due

dentisti che imbrogliavano le carte sostenendo l’esistenza di carie dove non c’erano,

allora l’intera odontotecnica è priva di fondamenta. Se mi è permesso, consiglierei

l’associazione delle Famiglie Arcobaleno di discutere in modo più adeguato

all’importanza dei problemi in questione.

Ernesto Galli della Loggia

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FREUD E IL SENSO DELLA DIVISIONE DEI RUOLI

«Ai bambini servono entrambe le figure» di Silvia Vegetti Finzi

Da tempo la psicoanalisi ha perso la capacità di sollecitare la riflessione

collettiva sulle strutture profonde che reggono l’identità individuale e

sociale e ciò proprio nel momento in cui si delineano radicali

trasformazioni. A rompere questo silenzio giunge quanto mai opportuno

l’invito che Ernesto Galli della Loggia rivolge agli psicoanalisti perché non

temano di far sentire la loro opinione, anche quando non è conforme al «

mainstream delle idee dominanti».

Ormai le psicoanalisi sono tante e non parlano «con voce sola» ma, come

storica e teorica del campo psicoanalitico, farò riferimento a Freud, che non

credo abbia esaurito il suo compito di fondatore e di maestro. Poiché da

oltre un secolo i suoi eredi raccolgono e interpretano, attraverso la pratica

dell’ascolto e della cura, i vissuti consapevoli e inconsapevoli della nostra

società, mi sembra doveroso interrogare un sapere che si fonda sull’Edipo,

così come è stato tramandato dalla tragedia di Sofocle. L’Edipo, che Freud

definisce «architrave dell’inconscio», è il triangolo che connette padre,

madre e figlio.

Entro le sue coordinate si svolgono i rapporti inconsci erotici e aggressivi,

animati dall’onnipotenza Principio di piacere, «voglio tutto subito», che

coinvolgono i suoi vertici. Per ogni nuovo nato il primo oggetto d’amore è la

madre ma si tratta di un possesso sbarrato dal divieto dell’incesto, la Legge

non scritta di ogni società. Questa impossibilità è strutturante in quanto

mette ognuno di fronte alla sua insufficienza (si desidera solo ciò che non si

ha) e alla correlata impossibilità di colmare la mancanza originaria.

Il figlio che vuole la madre tutta per sé innesca automaticamente una

rivalità nei confronti del padre, che pure ama e dal quale desidera essere

amato. La contesa, che si svolge nell’immaginario, termina per due motivi:

per il timore della castrazione, la minaccia di perdere il simbolo dell’Io, e

per l’obiettivo riconoscimento della insuperabile superiorità paterna. Non

Page 9: "Che cos'è una famiglia"

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potendo competere col padre, il bambino s’identifica con lui e sceglie come

oggetto d’amore, non già la madre, ma la donna che le succederà.

Attraverso questo gioco delle parti, il figlio rinuncia all’onnipotenza

infantile, prende il posto che gli compete nella geometria della famiglia,

assume una identità maschile e si orienta ad amare, a suo tempo, una

partner femminile. Tralascio qui il percorso delle bambine, troppo

complesso per ridurlo a mera specularità. Ma già quello maschile è

sufficiente a mostrare come l’identità sessuale si affermi, non in astratto,

ma attraverso una «messa in situazione» dei ruoli e delle funzioni che

impegna tanto la psiche quanto il corpo dei suoi attori. Se, come sostiene

Merleau Ponty, «noi non abbiamo un corpo ma siamo il nostro corpo», non

è irrilevante che esso sia maschile o femminile e che il figlio di una coppia

omosessuale non possa confrontarsi, nella definizione di sé, con il

problema della differenza sessuale.

La psicoanalisi non è una morale e non formula né comandamenti né

anatemi ma, in quanto assume una logica non individuale ma relazionale,

mi sembra particolarmente idonea a dar voce a chi, non essendo ancora

nato, potrà fruire soltanto dei diritti che noi vorremo concedergli.

Tra questi, credo, quello di crescere per quanto le circostanze della vita lo

consentiranno, con una mamma e un papà.

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tratto da Corriere della sera del 03/01/2013

intervista a Fulvio Scaparro a cura di Luisa Pronzato

http://www.nicodemo.net/NN/giornali_pop.asp?ID=2089

Niente guerre sui bambini, niente fanatismi né da parte di chi sostiene le

famiglie omoparentali né da parte di chi non le accetta. Fulvio Scaparro,

psicoterapeuta e neuropsichiatra che sulla famiglia lavora da una decina

di lustri, non prende parte. «Concordo con Silvia Vegetti Finzi sul

Corriere di ieri: i bambini hanno diritto di crescere per quanto le

circostanze della vita lo consentiranno con una mamma e con un papà»,

dice. «Ma non seguo il discorso di Ernesto Galli della Loggia che nel suo

editoriale di domenica ha sostenuto che i genitori omosessuali non

possono creare buone famiglie». I genitori, sostiene Scaparro, non sono

buoni sulla base del loro orientamento sessuale. Due mamme, due

papà. Genitori dello stesso sesso. La società sta attrezzandosi a

considerarli al pari di ogni padre e ogni madre. La politica (le leggi) e

l'etica spesso non trovano accordo. Galli della Loggia nel suo editoriale

ha investito la psicanalisi perché legga, al di là delle morali, le dinamiche

che si creano crescendo con genitori dello stesso sesso.

Silvia Vegetti Finzi, seguendo le teorie freudiane, ha rimesso il punto

sulla necessità della figura maschile e femminile nella costruzione

dell'identità. «Per dirla con Freud, è costruttivo crescere con modelli nei

diversi generi», dice Scaparro. «Ma oggi l'identità non si costruisce solo

nel rapporto con i genitori. Si diventa grandi attraverso un'intensa rete

di persone di ogni sesso, dagli zii all'allenatore, agli amici dei genitori

che diventano affettuosi riferimenti al di là del grado di parentela».

Scaparro riporta al pensiero di Winnicott e alla definizione di «ambiente

sufficientemente buono». Necessario per uno sviluppo cognitivo e

psicologico equilibrato», dice Scaparro. L'elenco è lungo qualche

decennio di studio ma si sintetizza con il contenimento, la stimolazione

Page 11: "Che cos'è una famiglia"

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cognitiva e affettiva, l'attendibilità e coerenza degli adulti, l'empatia,

l'ascolto, la flessibilità.

In pratica la sicurezza e guida della famiglia. «Un clima attento anche a

dire no quando è il momento. Un ambiente non dico privo di tensioni ma

dove si imparano le regole della convivenza tra diversi e la difficile arte di

non trasformare i conflitti in guerra né il confronto in opposizione muro

a muro. Non c'è una di questevoci che genitori dello stesso sesso non

possano garantire». È una questione di diritto alla famiglia più che di

genere dei genitori... «Si parla delle nuove famiglie ma la discussione è al

calor bianco quando si tocca il tema, ormai la realtà, delle famiglie

omoparentali», insiste lo psicoanalista. «Di fronte ad attacchi forsennati

come quelli di chi sostiene che crescere con genitori omosessuali è

un'aberrazione che produrrà psicotici e psicotiche, ci sono studi che lo

smentiscono. Come quello del francese Boris Cyrulnik che mostra come i

bambini cresciuti con genitori omosessuali non abbiano più difficoltà

psicologiche degli altri. Forse il problema è che i loro genitori devono

dimostrare di essere migliori degli altri. Devono essere perfetti. E perfetto

non è nessun genitore». E allora, continua lo psicoanalista «non

gridiamo allo scandalo, non fa bene ai bambini. Ascoltiamo piuttosto chi

queste esperienze le vive, i genitori gay e i loro figli. Loro sono in grado di

dirci come si cresce con due mamme o due papà. Forse non sempre

bene. Esattamente come con una madre e un padre che non riescano a

essere genitori sufficientemente buoni». Mi ha colpito, conclude Scaparro

la testimonianza di un bambino. «Sto bene in questa casa con i mie due

papà, peccato che non possa parlarne. Mi prendono in giro». Luisa

Pronzato

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4 gennaio 2013

Ora il filosofo Adriano Pessina, cattolico, ordinario di Filosofia Morale presso

la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di

Milano, Direttore del Centro di Ateneo di Bioetica dal 2007, anno della sua

istituzione a seguito della trasformazione del precedente centro di Bioetica., che

ritiene l’omosessualità :

«una scelta libera, un certo modo di essere e di esistere che va rispettato»

lasciando però aperta la questione, «che vale per qualsiasi altra scelta di

vita», di come debba essere valutata e di come, e se, debba essere

socialmente e giuridicamente tutelata.

«Nel dibattito sull’omosessualità si tende a negare che esista una

differenza fra maschile e femminile, sostenendo che sia indifferente

essere maschio o femmina e che sia dunque indifferente che una coppia

sia formata da un uomo e una donna oppure da due donne o da due

uomini — premette —. Tanto l’importante sarebbe amarsi…». Ma il

maschile e il femminile, continua, sono necessari per la definizione

stessa della condizione umana,

«e non si può certo sostenere che la differenza fra uomo e donna sia una

teoria cattolica: è invece fondamentale persino per l’evoluzionismo».

Dove ci porta tutto questo? «All’idea che la complementarietà fra i due

sessi è decisiva per tutti: una società matura deve valorizzare la

differenza, non mortificarla. Gli omosessuali negano l’importanza di una

relazione con un partner di sesso differente. Scelta libera, che va

accettata. Dobbiamo però convenire che, come qualsiasi altra scelta,

l’omosessualità deve poter essere valutata e giudicata». E la valutazione

che Pessina ne dà è in chiaro scuro. «Ogni libera scelta comporta delle

conseguenze. I figli nascono da relazioni eterosessuali, non omosessuali.

Quando si sceglie il proprio comportamento sessuale bisogna tenerne

Page 13: "Che cos'è una famiglia"

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conto e assumerne le conseguenze con serena responsabilità. È forse

una banalità, ma va detta».

La scienza ci consente di raggiungere risultati un volta difficili da

immaginare: questo ha cambiato notevolmente le cose. «La scienza e la

tecnologia hanno trasformato in modo profondo la nostra esperienza —

concorda Pessina —. Ma dobbiamo essere noi a gestire la tecnica, non il

contrario». Le tecniche di procreazione assistita, per esempio: erano nate

all’interno di un disegno che voleva agevolare la relazione di coppia,

continua il bioeticista, «ora però siamo passati da un’idea di aiuto a

quella di un indiscriminato diritto ad avere figli».

Se sono omosessuale devo dunque rassegnarmi a non avere figli: è così?

Quali scelte una società deve tutelare e quali lasciare aperte alla

discussione?

«È giusto che lo Stato tuteli con maggior vigore la famiglia eterosessuale

come luogo della nascita. Un conto è parlare del riconoscimento di

alcuni diritti giuridici degli omosessuali (che ritengo giusti), un conto è

sostenere il diritto ad avere figli (come se esistesse, poi, questo diritto:

nessuno ha diritto a un figlio, perché i diritti si hanno sulle cose, non

sulle persone)».

Il rischio e che si dica che una cosa «è buona solo perché è frutto di una

libera scelta. Ma la vera domanda è: qual è il “valore aggiunto” proprio

dell’omosessualità che lo Stato può tutelare?». Lei come risponde? «Non

credo che nell’omosessualità ci sia un “di più”, ma sono disposto ad

ascoltare dialogare. Vedo però qual è il “di più” dato dall’eterosessualità:

il difficile equilibrio di una relazione che comprende le differenze fra

maschile e femminile, che va anche al di là della questione dell’avere

figli».

Il primo studio sui figli di genitori omosessuali risale al 1972:

quarant’anni di lavori scientifici, in larghissima parte favorevoli a queste

Page 14: "Che cos'è una famiglia"

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coppie e alle famiglie che hanno creato, vorranno dire qualcosa. «Come

tutti i dati della scienza vanno verificati, ma il problema va posto

all’origine e non guardando i risultati. Di fatto ci sono bambini

equilibrati che sono stati allevati da famiglie poligamiche, o che sono

cresciuti in orfanatrofio. Il problema resta un altro: qual è il contesto

ideale nel quale pensare lo sviluppo della persona? Le differenze fra

maschile e femminile sono un aspetto decisivo dell’umano. Che non può

essere negato».

In Europa molti Paesi sono più avanti di noi in materia di diritti, per

tutti. «Questa è una valutazione di cui discutere. Le differenze non

possono essere viste sempre e solo come un problema, ma anche come

una possibilità. Perché invece di copiare dagli altri paesi non maturiamo

insieme una scelta argomentata, non ideologica, in cui contino i valori

umani e non solo la lotta per difendere i propri interessi più ancora dei

diritti condivisi?».

Il punto d’arrivo del discorso di Pessina è questo: discutiamone, impariamo dagli errori che sono stati fatti, «apriamo un tavolo, senza ideologia». Un tavolo dove? «Il luogo più adatto è quello della cultura alta: l’università, dove però oggi si rivendicano diritti più che affrontare, in modo serio, le discussioni (ma noi siamo il paese delle emergenze, le discussioni su gay e figli diventeranno materia da campagna elettorale, dunque sono già bruciate. E intanto non ci rendiamo conto che, in questo genere di cose, o vinciamo tutti o perdiamo tutti)».

Page 15: "Che cos'è una famiglia"

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Il dibattito, unioni omosessuali e figli

La filosofa Francesca Rigotti esplora e cerca la risposta a una domanda:

Avere figli è un diritto?

«Le coppie con due papà sono vissute come diverse, i miei figli non

capiscono» - 7 gennaio 2013

di Daniela Monti

Tags: dibattito, interrogativi, unioni omosessuali

L’impressione, discutendo di famiglie omogenitoriali e diritto delle coppie

gay e lesbiche ad avere figli, è di essere, prima ancora di partire, in

controtempo e superati dalla storia: nella realtà, queste famiglie ci sono

già e sono molte, i loro bambini crescono negli asili, nelle scuole, nelle

comunità accanto, ed uguali, a tutti gli altri.

Francesca Rigotti, filosofa e saggista, parte dai bambini: i suoi. Quattro

giovani adulti che, interrogati quando ancora erano adolescenti sullo

scandalo (se oggi si può ancora chiamare così) di avere due papà o due

mamme, restituivano lo stesso disagio sintetizzato da una piccola fan di

Barack Obama nella lettera inviata, un paio di mesi fa, al suo

presidente: a scuola mi prendono in giro perché ho due papà, che posso

fare?

«Mi colpirono molto le osservazioni dei miei figli, che mai avrebbero

voluto trovarsi in quella stessa situazione, con quel tipo di famiglia, per

paura di essere esclusi dal gruppo, canzonati, per il terrore del ridicolo,

della diversità. Mi colpì perché penso che, prima di ogni cosa, i bambini

debbano essere tutelati e protetti».

Page 16: "Che cos'è una famiglia"

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Poi a quelle riflessioni ne sono seguite altre. Oggi Rigotti torna ad

affrontare il tema delle coppie e delle famiglie omosessuali forte di molte

certezze, anche se restano nodi da sciogliere, grumi teorici da appianare.

«Ho superato le titubanze iniziali dicendomi che da qualche parte

bisogna pur iniziare, che le coppie più coraggiose devono aprire la strada

anche per le altre che verranno. Se ci si adegua sempre, non vedremo

mai reali progressi nel nostro vivere comune. Quando insegnavo

all’università di Göttingen, in Germania, nei primi anni mi capitò di

subire aggressioni verbali. Per strada parlavo in italiano ai miei bambini

e, immancabilmente, qualcuno mi richiamava: signora, siamo in

Germania, qui si parla tedesco. A quel tempo i miei figli avrebbero voluto

essere come tutti i loro compagni, senza complicazioni legate alle origini.

Ora sono ben felici di essere bilingui. Allo stesso modo fra vent’anni

nessuno si stupirà più di famiglie che oggi ci appaiono così “diverse”».

Se il bioetico Adriano Pessina, intervenendo nei giorni scorsi nel

dibattito aperto sul Corriere, aveva insistito a lungo sul termine

«differenza» — «Non è indifferente che una coppia sia formata da un

uomo e una donna oppure da due uomini o due donne, maschile e

femminile sono necessari per la definizione stessa della condizione

umana» — Rigotti ribalta la prospettiva.

«La mia parola d’ordine è eguaglianza. È la parola/concetto che sta alla

base della visione del mondo in cui parità e equità contano più di

diversità e differenza. Certo che il motto “tutti gli uomini sono uguali” è,

letteralmente preso, privo di senso. Certo che siamo tutti diversi, ma

anche, in quanto persone, tutti uguali in dignità e diritti. Diritti non su

cose e/o persone, bensì diritti a idee e ideali come la libertà, la vita e,

ancora, l’eguaglianza».

Ma c’è una diversità naturale fra i due generi, quella che i filosofi

chiamano essenzialismo. «Il linguaggio della differenza (magari

ontologica, per natura dunque, così da essere inchiodata

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inesorabilmente sulla pelle di ognuno) e le differenze di sesso o di

preferenze sessuali le vedo sempre in agguato a ribadire il ruolo

pertinente a ciascuno: alla donna l’accoglienza, la cura, l’accudimento e

l’affettività, all’uomo l’uscita all’esterno, la vita pubblica, l’azione».

È il problema dei ruoli. Per Rigotti riconoscere la differenza porta a

cristallizzare uomini e donne ciascuno dentro il proprio «destino»,

facendone una gabbia da cui è difficile evadere. È così?

«È proprio l’assegnazione dei ruoli — riprende la filosofa — a motivare le

posizioni di alcuni avversari della libertà per le coppie omosessuali di

formare famiglie e avere bambini: chi svolgerà il ruolo femminile, chi

quello maschile? A chi toccherà rendere il nido caldo e accogliente, a chi

invece accompagnare l’uccellino al pontile per insegnargli a volare, se

non, rispettivamente, alla madre/femmina e all’uomo/maschio? Non

prendo queste immagini a caso, le abbiamo introdotte, Duccio Demetrio

e io, nel nostro recente libro Senza figli. Una condizione umana, ma non

pensando che si tratti di ruoli connotati naturalmente e

ontologicamente, quanto di ruoli storicamente e socialmente creatisi e

che come tali possono anche essere mutati».

In quello stesso libro, però, affrontate anche un altro tema: l’ossessione

del figlio. Un assillo trasversale, che sembra coinvolgerci tutti,

omosessuali e no.

Avere figli è un diritto?

«Il figlio a tutti i costi, spesso da esibire come trofeo, è un’ossessione da

respingere, perché espressione di una società malata. Fa parte del

narcisismo per cui vanno soddisfatti tutti i nostri desideri, tutti i nostri

piaceri. Ma il diritto non è quello ad avere tutto. C‘è stata l’epoca dei

diritti politici e civili, poi quella dei diritti sociali. Ora la nuova

generazione è alle prese con i diritti virtuali, condensati attorno all’uso

della rete. Forse la prossima sarà la generazione che chiederà il diritto

Page 18: "Che cos'è una famiglia"

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alla soddisfazione di ciascuna esigenza per raggiungere la realizzazione e

pienezza umana».

La diversità naturale fra i generi, che le crea disagio in quanto, sostiene,

presenta un lato pericoloso per la parità, viene continuamente erosa. Le

giovani coppie sono distanti anni luce da quelle dei loro nonni anche su

un terreno che le è particolarmente caro: la vita domestica e

l’accudimento dei figli. Lei sostiene che il pensiero nasce ed è formato

dalle pratiche che le persone esercitano. La maternità — non biologica,

ma metaforica — può essere un’esperienza anche maschile? E in questo

caso: è una fertile condivisione o una espropriazione? «Insistere sulle

differenze fra i generi, come fa anche un certo femminismo, soprattutto

italiano, può portare a conseguenze gravi e spesso a scapito delle donne

stesse. Meglio dunque correre il rischio di venire espropriate di un ruolo

tradizionalmente legato alla femminilità che non rischiare di rimanerne

invischiate (e limitate) per l’intera vita. C’è una tendenza generale, da

parte maschile, all’espropriazione, cioè all’appropriarsi di ogni

incombenza e di ogni capacità delle donne. Se questo si riduce ad una

mera esibizione, tipo i tanti divi che si presentano in pubblico con i figli

appesi al collo, è ovviamente da condannare; è invece condivisione

fertile, fertilissima, se fatta in maniera sentita e partecipe, da parte del

padre, non soltanto nei pochi giorni di congedo parentale, ma in tutto il

percorso della crescita dei bambini, che tra l’altro sarebbe enormemente

favorito dalla possibilità di svolgere il tempo parziale al lavoro, tutti,

madri e padri, omo e etero che siano».

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La dignità necessaria alle unioni gay

Bernard-Henri Lévy - 11 gennaio 2013

Il dibattito sul matrimonio gay ha preso una piega strana e talvolta

inquietante. Sorvolo sugli ipocriti che fingono di rimpiangere i bei tempi

dell’omosessualità deviante, ribelle, e refrattaria a «entrare nella norma».

Sorvolo sulla condiscendenza delle anime belle secondo cui «il popolo», in

tempi di crisi, avrebbe altre gatte da pelare piuttosto che queste storie di

borghesi bohémien (non si osa dire di pederasti). Sorvolo infine sul comico

panico di chi ritiene che il matrimonio gay (ribattezzato a torto matrimonio

«per tutti» dai suoi sostenitori troppo prudenti, e privi del coraggio di dire

pane al pane, vino al vino) sia una porta aperta alla pedofilia, all’incesto,

alla poligamia.

Non si può invece sorvolare su quanto segue.

1) Sul modo in cui è percepito l’intervento delle religioni in tale baruffa. Che

le religioni debbano dire il loro parere su una vicenda che è sempre stata, e

lo è ancora, al centro della loro dottrina, è normale. Ma che questo parere

si faccia legge, che la voce del gran rabbino di Francia o quella

dell’arcivescovo di Parigi sia più di una voce fra tante altre, che ci si

nasconda dietro alla loro grande ed eminente autorità per chiudere la

discussione e mettere a tacere una legittima domanda di diritti, non è

compatibile con i principi di neutralità sui quali, da almeno un secolo, si

suppone sia edificata la nostra società. Il matrimonio, in Francia, non è un

sacramento, è un contratto. E se è sempre possibile aggiungere il secondo

al primo, e ciascuno può stringere, se lo desidera, un’unione

supplementare davanti al prete, non è di questo che tratta la legge sul

matrimonio gay. Nessuno chiede ai religiosi di cedere sulla loro dottrina.

Ma nessuno può esigere dal cittadino di regolare il proprio comportamento

sui dogmi della fede. Si crede di andare in guerra contro il comunitarismo

ed è la laicità ad essere discreditata: che cosa ridicola!

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2) Sulla mobilitazione degli psicoanalisti o, in ogni caso, di alcuni di loro,

che si ritiene dovrebbero fornire agli avversari della legge argomentazioni

scientifiche e, forti della loro autorità, provare che questo progetto

causerebbe un altro malessere, stavolta mortale, nella civiltà

contemporanea. Bisogna dirlo e ripeterlo: la scienza freudiana non è uno

scientismo; l’ordine simbolico che opera nell’inconscio non è un ordine

biologico; e fare del complesso di Edipo l’altro nome del triangolo ben noto

dei servizi familiaristi (papà, mamma ed io, la «piccola famiglia incestuosa»

dell’ordine eterosessuale di cui parlava Michel Foucault…) fu

probabilmente un peccato di gioventù della psicoanalisi: ma da tempo essa

lo ha scongiurato e non esiste ormai un analista serio che riduca filiazione

e trasmissione a questioni di pura «natura». Leggete la letteratura

sull’argomento. Non ci sono indicazioni, per esempio, che suggeriscano una

predisposizione all’omosessualità in caso di adozione da parte di una

coppia gay. Non ci sono effetti perversi particolari quando si strappa un

bambino da un sordido orfanotrofio e lo si trasferisce in una famiglia con

un solo genitore o con genitori omosessuali amorevoli. E se pure questo

dovesse provocare un turbamento, lo sguardo che la società impregnata di

omofobia porta sul bambino sembra sia infinitamente più sconvolgente

della apparente indistinzione dei ruoli nella famiglia così composta…

3) Sulla famiglia, appunto. La sacrosanta famiglia che ci viene presentata,

a scelta, come la base o il cemento delle società. Come se «la» famiglia non

avesse già tutta una sua storia! Come se ci fosse un solo modello, e non

invece molti modelli di famiglia, quasi omonimi, che si succedono

dall’antichità ai nostri giorni, dai secoli classici ai secoli borghesi, dall’età

delle grandi discipline (quando la cellula familiare funzionava, in effetti,

come ingranaggio del macchinario del controllo sociale) a quella del «diritto

alla ricerca della felicità» di cui parlava Hannah Arendt in un testo del 1959

sulle «unioni interrazziali» (in cui il matrimonio diventa un luogo di

pienezza e di libertà per il soggetto)! Come se la banalizzazione del divorzio,

la generalizzazione della contraccezione o dell’interruzione volontaria di

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gravidanza, la moltiplicazione delle adozioni e delle famiglie single, il fatto

che oggi siano più numerosi i bambini nati fuori dal matrimonio che da

coppie sposate, come se la disgiunzione, infine, del sessuale dal coniugale,

non avessero fatto vacillare il modello tradizionale ben al di là di quello che

mai farà una legge sul matrimonio gay che, per definizione, riguarderà solo

una minoranza della società!

La verità è che gli avversari della legge sempre più difficilmente riescono a

dissimulare il fondo di omofobia che governa i loro discorsi.

Preferiamo una posizione di dignità (perché fondata sul principio di

universalità della regola di diritto), di saggezza (talvolta il diritto serve a

prendere atto di una evoluzione che il Paese ha già voluto e compiuto) e di

fiducia nell’avvenire (chissà se non toccherà ai gay sposati, non di

impoverire, ma di arricchire le arti di amare e di vivere di una società alla

quale, da mezzo secolo, hanno già dato tanto?).

Possa il legislatore decidere serenamente e senza cedere alla pressione delle

piazze né all’intimidazione dei falsi sapienti: è in gioco, in effetti, ma non

nel senso che ci viene detto, l’avvenire di quella bella illusione che è la

convivenza democratica.

Bernard-Henry Lévy, Corriere della Sera, 11 gennaio 2013