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Ricordati che eri straniero teologia della migrazione dossier Missione Oggi | ottobre 2005 17 Lungo tutta la storia della Chiesa il tema del cammino, del pellegrinag- gio è stato preso come paradigma dell'esperienza spirituale dell'uomo di fede. Nel medioevo l'immagine del labirinto, rappresentato sul pavi- mento all'ingresso delle cattedrali, oltre che avere la funzione di depi- stare le forze del male, rappresentava il percorso tortuoso dell' esperienza di fede, che dopo diverse prove, andate e ritorni, portava al centro, al compimento del viaggio. Lo stesso dicasi di tutti i luoghi di pellegrinaggio: il pellegrino, il forestiero procede verso il santuario, verso il compi- mento a cui anela. Nei tempi moderni, pur non essendo diminuito il significato delle esperienze di ricerca spirituale attraverso il pellegrinaggio, la mobilità umana si è sempre più connotata con migrazioni conseguenti alla rivoluzione industriale. La Chiesa universale si è fatta carico delle problematiche di una popolazione di circa 200 milioni di persone nel solo 2004 ed è sempre più al- la ricerca di percorsi interpretativi di questo segno dei tempi, per scoprirvi il disegno di Dio e mettere in risalto la propria dimensione "cattoli- ca". La ricerca teologica spazia dall'interpretazione biblica dell'evento migratorio, facendo riferimento a molti episodi biblici (da Abramo alla fuga in Egitto) alla ricerca di una pastorale interculturale in grado di coniugare le diverse anime culturali della Chiesa universale e nel contem- po curare il dialogo con le altre religioni. È indubbio che l'evento delle migrazioni contemporanee rappresenta un segno dei tempi da assume- re e da interpretare. La ricerca teologica deve dare agli uomini e donne di buona volontà elementi di lettura e di interpretazione che li aiutino ad obbedire all'esortazione: "Ero straniero e mi avete accolto", un'accoglienza che non indietreggia di fronte alle difficoltà, ai pregiudizi e agli opportunismi della politica. a cura di NICOLA COLASUONNO, FRANCO VALENTI E LYDIA KEKLIKIAN

che eri straniero Ricordati teologia della migrazione migrazioni.pdf · Il Dio della tenda riappare nel ... La quarta dimensione considera la missio- ... sociale e religiosa del Paese

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Ricordatiche eri straniero

teologiadella migrazione

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Missione Oggi | ottobre 2005 17

Lungo tutta la storia della Chiesa il tema del cammino, del pellegrinag-gio è stato preso come paradigma dell'esperienza spirituale dell'uomodi fede. Nel medioevo l'immagine del labirinto, rappresentato sul pavi-mento all'ingresso delle cattedrali, oltre che avere la funzione di depi-stare le forze del male, rappresentava il percorso tortuoso dell' esperienza di fede, che dopo diverse prove, andate e ritorni, portava al centro, alcompimento del viaggio. Lo stesso dicasi di tutti i luoghi di pellegrinaggio: il pellegrino, il forestiero procede verso il santuario, verso il compi-mento a cui anela. Nei tempi moderni, pur non essendo diminuito il significato delle esperienze di ricerca spirituale attraverso il pellegrinaggio,la mobilità umana si è sempre più connotata con migrazioni conseguenti alla rivoluzione industriale. La Chiesa universale si è fatta carico delle problematiche di una popolazione di circa 200 milioni di persone nel solo 2004 ed è sempre più al-la ricerca di percorsi interpretativi di questo segno dei tempi, per scoprirvi il disegno di Dio e mettere in risalto la propria dimensione "cattoli-ca". La ricerca teologica spazia dall'interpretazione biblica dell'evento migratorio, facendo riferimento a molti episodi biblici (da Abramo allafuga in Egitto) alla ricerca di una pastorale interculturale in grado di coniugare le diverse anime culturali della Chiesa universale e nel contem-po curare il dialogo con le altre religioni. È indubbio che l'evento delle migrazioni contemporanee rappresenta un segno dei tempi da assume-re e da interpretare. La ricerca teologica deve dare agli uomini e donne di buona volontà elementi di lettura e di interpretazione che li aiutinoad obbedire all'esortazione: "Ero straniero e mi avete accolto", un'accoglienza che non indietreggia di fronte alle difficoltà, ai pregiudizi e agliopportunismi della politica.

a cura di NICOLA COLASUONNO,

FRANCO VALENTI E LYDIA KEKLIKIAN

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IL DIO DELLA TENDA

La metafora che descrive questo Dio mis-sionario è comune specialmente nella Torah,ma non usata sufficientemente dai teologi:Dio come il “Dio della tenda”. La tenda è illuogo dove Dio incontra Mosè (Es 37, 7-11),il posto dove Dio dimora mentre camminacon il suo popolo (2Sam 7, 6; 1Cr 17,5) versoil compimento della promessa. Il Dio giudai-

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Dio e popoloin cammino

DIO È MISSIONARIO

Vorrei cominciare con una metafora biblicadi Dio che trovo molto significativa in un

contesto caratterizzato da movimento di gen-te, ma prima è importante elaborare il concet-to della missione cristiana come missio Dei.Questa espressione, che sta diventando fon-damentale nella comprensione della missio-ne, afferma che Dio è responsabile della mis-sione, che Dio è missionario, - come affermaAnthony Gittins - che la missione fa parte deirequisiti di Dio. La missione di Dio è realiz-zare il Regno e la Chiesa è al servizio di que-sto Regno, propriamente al servizio dellamissio Dei. Non è più la Chiesa che definiscela missione, ma la missione, il Regno di Dio,che definisce la Chiesa, la quale diventa sa-cramento del Regno.

La metafora biblica del Dio dellatenda diventa la chiave di letturaper capire la missio Dei: lamissione di un Dio migrante checammina con un popolomigrante verso il compimentodel Regno di Dio

“Non dimenticatel’ospitalità; alcuni,

praticandola, hanno accolto

degli angeli senza saperlo”

(Eb 13,2).Nella foto: sbarco

di immigratia Lampedusa.

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co cristiano non è statico o sedentario; non èlegato a un tempio, città o montagna. È unDio pellegrino che accompagna un popolopellegrinante. Il Dio della tenda riappare nelprologo del Vangelo di Giovanni (1,14) comeil Verbo che si fa carne e dimora in mezzo anoi. Il termine “dimorare” in greco è eskeno-

sen, che ha la sua radice in skene, che signifi-ca ‘tenda’: il Verbo diventa carne, Gesù vienea piantare la sua tenda in mezzo a noi e cosìcontinua ad accompagnare il pellegrinaggiodel popolo di Dio.

La metafora biblica del Dio della tenda di-venta la chiave di lettura per capire la missio

Dei: la missione di un Dio migrante che cam-mina con un popolo migrante verso il compi-mento del Regno di Dio, la terra dove “scorrelatte e miele”, dell’armonia e della vita in ab-bondanza. Di conseguenza anche la missionedella Chiesa diventa “una missione in cam-mino”, un viaggio con Dio e l’umanità sullestrade del mondo.

LE DIMENSIONI MISSIONARIE DELLA MIGRAZIONE

Come ci può aiutare questa metafora asviluppare una teologia della missione checontribuirà a sanare le divisioni presenti nellanostra società e nelle comunità cristiane, epoi a realizzare il sogno del Regno?

Le seguenti sono riflessioni su cinque di-mensioni missiologiche che emergono daquesta icona.

La prima considera la missione come unpellegrinaggio, un cammino. Radicata nelleScritture, questa dimensione esprime unacondizione antropologica fondamentale del-l’umanità, l’essere in cammino verso una me-ta è una condizione che è trasmessa dal clas-sico homo viator. La diversità profonda checaratterizza l’umanità non deve farci dimen-ticare che siamo in viaggio insieme, che sia-mo una umanità pellegrinante e, come tale,essa è chiamata a partecipare del progetto diDio, la missio Dei. I documenti del VaticanoII Lumen Gentium e Ad Gentes completanoquesta visione con l’affermazione che laChiesa stessa è pellegrina.

La seconda dimensione considera la mis-sione come ospitalità. Nell’Antico Medio

Oriente, nella Bibbia e nelle prime comunitàcristiane, l’ospitalità era un’importante cate-goria morale. Oggi siamo chiamati ancora unavolta a rivivere questo valore nella nostra mis-sione non solo come un dovere morale dacompiere per lo straniero, ma come un eventoteologico che cambia la nostra vita: “Non di-menticate l’ospitalità; alcuni, praticandola,hanno accolto degli angeli senza saperlo” (Eb13,2). Ecco il commento di Johann Metz aquesto testo: “È possibile estrarre da questafrase biblica un’importante precisazione: glistranieri non sono nemici, ma angeli; non so-no manodopera a buon mercato, ma - e in que-sto sono simili agli angeli - messaggeri e con-siglieri. Quindi dovremmo prestare attenzionealla profezia di esseri umani che arrivano daaltri mondi culturali”. La più grande sorpresadell’ospitalità è che Dio stesso entra nella no-stra vita attraverso “stranieri” e ci riempie condoni sorprendenti quali la conversione, il per-dono, la riconciliazione. È qui che ci accorgia-mo che gli immigrati non sono solo “oggetti”della missione della Chiesa, ma protagonistiattivi della missione di Dio all’umanità.

DIALOGO INTERRELIGIOSO

La terza considera la missione come dialo-go interculturale e interreligioso. Le divisionisono spesso il risultato di conflitti quotidianidi gente di culture e religioni diverse. È im-portante guardare a questi incontri da una pro-spettiva dialogica. I cristiani, soprattutto nelmondo occidentale, sono abituati a imporre laloro voce perché sono convinti di possedere laverità, ma siamo ora consapevoli che Dio è ilmistero e possiamo scoprire i suoi moltepliciaspetti ascoltando la sua voce polifonica nellacreazione, nelle culture e nelle tradizioni reli-giose. Siamo chiamati a rispettare culture e re-ligioni, cioè la gente che si identifica con esse.Dobbiamo anche aver fiducia nella presenzadello Spirito Santo, “che soffia dove vuole”(Gv 3,8). È arrivato il momento di romperel’egemonia monoculturale che esiste in molteChiese cristiane e cominciare ad arricchircigli uni gli altri con la saggezza che risiede inogni cultura e religione.

La quarta dimensione considera la missio-ne come promozione della giustizia e dell’u-

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P. GioacchinoCampese, italiano diorigine, è unmissionario di SanCarlo (scalabriniano).Ha studiato a Manilae a Chicago, e halavorato a Tijuana, alconfine tra gli StatiUniti e il Messico.

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guaglianza. Siamo chiamati da Dio a guarda-re in faccia onestamente la realtà della migra-zione e rompere i pregiudizi che trasformanogli immigrati in minacce per le nostre societàe Chiese. Realizzare la giustizia in un conte-sto di immigrazione significa anche promuo-vere leggi che trattano gli immigrati e le lorofamiglie come esseri umani e non solo comeforza di lavoro. Gli immigrati meritano salarigiusti, condizioni di lavoro e di vita decenti el’apprezzamento della società per il loro im-portante contributo alla crescita economica,sociale e religiosa del Paese.

La quinta dimensione considera la mis-sione come comunità o casa in costruzione.È un aspetto importante per gli immigratiche, come popoli in cammino, cercano unluogo da poter chiamare casa e una comunitànella quale sentirsi accettati e apprezzati perciò che essi sono. Una parte importante diquesto processo del costruire casa è l’amici-zia. Gustavo Gutierrez ci ricorda che nondobbiamo preoccuparci dell’aspetto econo-mico, politico e sociale del povero, ma fareamicizia con loro: costruire relazioni è ilcuore della missione.

L’ultima dimensione considera la missio-ne come riconciliazione. Questo è un puntoimportante in un mondo dilaniato da conflittie tensioni. Sfortunatamente il cristianesimo èstato spesso usato per giustificare e promuo-vere la violenza, ma è giunto il momento diusare le sue risorse per la riconciliazione digruppi etnici, razziali e religiosi. Vorrei sotto-lineare che la riconciliazione è prima di tuttoopera di Gesù: “Egli infatti è la nostra pace,colui che ha fatto dei due un popolo solo, ab-battendo il muro di separazione che era fram-mezzo, cioè l’inimicizia, annullando, permezzo della sua carne la legge fatta di pre-scrizioni e di decreti, per creare in se stesso,dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pa-ce e per riconciliare tutti e due con Dio in unsolo corpo per mezzo della croce, distruggen-do in se stesso l’inimicizia.” (Ef 2,14-16).Impegnarci nella riconciliazione è, in altreparole, un modo per continuare l’opera di Ge-sù nell’abbattere i muri, alcuni fatti di acciaioe cemento (come quelli del confine tra StatiUniti e Messico, Palestina e Israele) e altrirappresentati da ideologie inumane.

Questi muri che costruiamo per proteg-gerci dagli immigrati “invasori” sono in real-tà provocatori di morte: la morte fisica di mi-gliaia di immigranti sulle frontiere tra StatiUniti e Messico, e quella spirituale di milionidi persone negli Stati Uniti o in Europa, checredono di essere migliori quando si separanoda quanti vengono considerati diversi etnica-mente, culturalmente e religiosamente. Dan-do fiducia a quell’Uno che distrugge i muridell’ostilità, parteciperemo alla creazione diuna nuova umanità che è in cammino verso ilRegno di Dio. GIOACCHINO CAMPESE

20 Missione Oggi | ottobre 2005

Contemplando ora la Chiesa, vediamoche nasce dalla Pentecoste,compimento del mistero pasquale edevento efficace, anche simbolico,d’incontro di popoli. Paolo può cosìesclamare: “Qui non c’è più Greco oGiudeo, circoncisione oincirconcisione, barbaro o Scita,schiavo o libero” (Col 3,11)…. D’altra parte, seguire Cristo significaandare dietro a Lui ed essere dipassaggio nel mondo, poiché “nonabbiamo quaggiù una città stabile”(Eb 13,14). Il credente è sempre unpároikos, un residente temporaneo,un ospite, ovunque si trovi (cfr. 1Pt1,1; 2,11 e Gv 17,14-16). Per questola propria collocazione geografica nelmondo non è poi così importante peri cristiani e il senso dell’ospitalità èloro connaturale. …Gli stranieri sono altresì segno visibilee richiamo efficace di

quell’universalismo che è elementocostitutivo della Chiesa cattolica. Una“visione” di Isaia l’annunciava: “Allafine dei giorni il monte del tempio delSignore sarà elevato sulla cima deimonti ... ad esso affluiranno tutte legenti” (Is 2,2). Nel Vangelo Gesùstesso lo predice: “Verranno daoriente e da occidente, da settentrionee da mezzogiorno e siederanno amensa nel regno di Dio” (Lc 13,29) enell’Apocalisse si contempla “unamoltitudine immensa ... di ogninazione, razza, popolo e lingua” (Ap7,9). La Chiesa è ora in faticosocammino verso tale meta finale, e diquesta moltitudine le migrazionipossono essere come un richiamo euna prefigurazione dell’incontro ultimodi tutta l’umanità con Dio e in Dio.(Pontificio consiglio della pastoraleper i migranti e gli itineranti: Ergamigrantes caritas Christi)

LA CHIESA DELLA PENTECOSTE

Come si può parlare diDio in un contesto dove

l’alienazione e ladiscriminazione

costituiscono il tessutodella vita di ognuno?

Controllo di immigrati aKuala Lumpur in Malesia.

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Negli ultimi 15 anni ho parlato con quelliche sono coinvolti nel dramma dell’immi-

grazione messicana. Ho parlato con i ranger,ho ascoltato le storie degli agenti di poliziapresi di mira dal fuoco dei trafficanti di droga,ho parlato con le guide, chiamate “coyote”,che conducono la gente attraverso il terrenodifficile del confine. Ma soprattutto ho parla-to con gli immigranti e ho ascoltato centinaiadi storie su ciò che significa lasciare la propriacasa, passare le frontiere ed entrare negli StatiUniti come immigrato illegale.

Nel contattare questi gruppi di ambedue leparti del confine, ho imparato che ciascunacrede di avere diritti: alcuni parlano del dirittoalla proprietà privata, all’impiego americano,alla sicurezza nazionale, alla legge, all’ordinecivile e a una vita più dignitosa. Ma non tutti idiritti sono uguali. Da una prospettiva di fede,ho appreso che quanti soffrono di più merita-

no un maggiore ascolto, anche se spesso le lo-

ro voci sono le ultime ad essere ascoltate. Leloro storie mi hanno aiutato a capire che ilviaggio di un immigrato illegale è una discesaagli inferi; essi viaggiano verso una “terrapromessa” percorrendo ciò che Luis AlbertoUrrea chiama “l’autostrada del diavolo”.

L’EVOLUZIONE DEL CONFINE MESSICANO-STATUNITENSE

Fino alla fine della guerra messicano-americana del 1848, quando il Messico ce-dette ciò che ora è il sud ovest degli Stati Uni-ti, la gente si muoveva liberamente nella zonache oggi forma gli Stati di California, Arizo-na, New Messico, Texas e Messico. Quell’a-rea di confine rimase relativamente permea-bile e il controllo leggero nel XIX e XX seco-lo. Nel 1924 fu fondata la polizia di frontierastatunitense, che cominciò ad applicare leleggi di controllo. Col tempo, emersero poli-

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NEL NOVEMBRE DEL 2003 HO CELEBRATO MESSA A EL PASO, NELLO STATO DEL TEXAS, AL CONFINE COL MES-

SICO. ABBIAMO RICORDATO GLI IMMIGRANTI MESSICANI MORTI PASSANDO IL CONFINE NEGLI ULTIMI 10 ANNI.

DIVERSAMENTE DALLE ALTRE LITURGIE, AVEVAMO UNA BARRIERA DI RETE METALLICA ALTA CINQUE METRI CHE

DIVIDEVA LA COMUNITÀ DEI FEDELI A METÀ, DA UNA PARTE IL MESSI-

CO E DALL’ALTRA GLI STATI UNITI.

RICORDO IN PARTICOLARE IL SEGNO DELLA PACE: NON POTENDO TOC-

CARE IL MIO VICINO MESSICANO, SE NON ATTRAVERSO I PICCOLI BUCHI

DELLA RETE, LÌ SONO DIVENTATO TRISTEMENTE CONSAPEVOLE DELL’U-

NITÀ CHE ABBIAMO CELEBRATO, MA ANCHE DELLE DIVISIONI PRESENTI.

Dal Messicoverso laterra promessa

di DANIEL GROODY

Padre Groody è unmissionario dellaSanta Croce. Insegnateologia alla NotreDame University nelloStato dell’Indiana(Usa) ed è direttore diThe Institute for LatinoStudies. Ha scrittoBorder of Death,

Valley of Life: An

Immigrant Journey of

Heart and Spirit.

Rowman & LittlefieldPublishers, Inc.Lanham 2003.

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Dal 1995 sono stati trovati più di tremila

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tiche più rigide, specialmente negli anni ’80,quando il presidente Reagan dichiarò guerraalla droga. Questa “guerra” fece del confine

una zona militarizzata.La svalutazione del peso messicano nel

1983 portò molte ditte straniere lungo la par-te messicana del confine. Le aziende ameri-cane trassero vantaggio dal cambio della mo-neta portando le loro fabbriche di assemblag-gio dagli Stati Uniti al Messico, inseguendouna manodopera più economica. Centinaia dimigliaia di cittadini messicani, molti dei qua-li avevano perduto la loro terra per le politi-che agricole, andarono al nord a lavorare nel-le maquiladoras (letteralmente: laboratori delsudore, fabbriche semiclandestine dove si la-vora in regime di totale sfruttamento). Negliultimi anni, tuttavia, più di un quarto di que-ste fabbriche ha chiuso, spostandosi in Asiadove la forza lavoro è ancora più economica.Centinaia di migliaia di posti di lavoro lungoil confine sono scomparsi facendo sprofonda-

re l’economia messicana; la disoccupazione ela sottoccupazione sono diventate la normapiù che l’eccezione.

Negli anni ’90 l’amministrazione Clinton,nutrita da un sentimento anti-migratorio dellaCalifornia, intensificò ulteriormente il con-trollo del confine con politiche come “Opera-

tion Hold the Line” nel Paso, Texas, e “Ope-

ration Gatekeeper” a San Diego. Dopo aver

costruito muri e barriere e impiantato centri

di polizia ogni quarto di miglio lungo il con-

fine delle aree urbane, l’impiego di piccoliaeroplani e la tecnologia infrarossa, hanno re-so ancora più difficile attraversare le frontie-re fuori dai punti normali di ingresso.

Le politiche di “Operation Gatekeeper”dovevano frenare gli immigranti dall’entrareillegalmente, invece non hanno interrotto,spostandolo solo in un territorio più minac-cioso attraverso montagne e deserti dove letemperature possono arrivare ai 50 gradi al-l’ombra. Molti immigranti camminano 50

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Mariadal Guatemala

Molti immigrati offrono un‘impres-sionante testimonianza di fede. Ri-

cordo di avere incontrato Maria, che ve-niva dal Guatemala e voleva lavorarenegli Stati Uniti, ma solo due anni, perpoi ritornare a casa, dalla sua famiglia.L’ho incontrata nella parte messicana delconfine poco prima del suo terzo tentati-vo. Nei 10 giorni precedenti essa avevacercato due volte di passare le frontiereattraverso una strada lontana nel suddell’Arizona. Nel primo tentativo era sta-ta derubata da banditi. Sebbene maltrat-tata e bastonata, aveva continuato il suoviaggio nel deserto senza cibo. Poco pri-ma di raggiungere la strada, era statafermata dalla polizia del confine statuni-tense e messa in un centro di detenzioneper immigrati. Pochi giorni più tardi

aveva riprovato, questa volta il suo “co-yote” (guida), aveva cercato di violentar-la, ma lei era riuscita a liberarsi e ad at-traversare il deserto di nuovo. Dopoquattro giorni di cammino, non avevapiù cibo né acqua ed era sfinita: la poli-zia di confine l’aveva trovata e aiutata erimandata in Messico.

Ero curioso di sapere come Maria ve-desse tutti questi tentativi, queste provedavanti a Dio. “Se tu avessi 15 minuti perparlare con Dio”, le domandai, “che cosadiresti?” Pensavo che mi avrebbe rispo-sto con una lunga litania di lamenti e in-vece mi disse: “Non ho 15 minuti per par-lare con Dio. Parlo costantemente con Luie sento la sua presenza con me, sempre.Tuttavia, se vedessi Dio faccia a faccia,prima di tutto Lo ringrazierei perché èstato così buono con me e mi ha benedet-ta così abbondantemente”. Maria e mol-ti altri come lei ci ricordano che la verafede si rivela non nella prosperità,manell’avversità.

Le loro storie mi hanno

aiutato a capire che ilviaggio di un

immigratoillegale è una

discesa agliinferi; essi

viaggiano versouna “terrapromessa”

percorrendo“l’autostrada del diavolo”.

Una volontaria (NicolettaWells) de La Casa del

Migrante di Tijuanasistema 70 croci:

le persone morte nel mesedi luglio 2002 nel tentativo

di passare il confine fra San Diego (Usa) e Tijuana, Messico.

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miglia o ancora di più in condizioni disastro-se. Poiché è fisicamente impossibile traspor-tare il cibo e l’acqua necessari per questo tipodi traversata, parecchi non ce la fanno.

IL DIFFICILE VIAGGIO OLTRE LA FRONTIERA

Mi sono accorto come è difficile questoviaggio quando una di queste guide “coyote”mi offrì “una borsa di studio”, un dono. Inve-ce di pagare la spesa normale di 1.800 dollariper portarmi al di là confine, mi avrebbe inse-gnato tutto questo gratuitamente, e mi disse:“Cammineremo tre o quattro giorni, e tuttoquello che avrai con te saranno poche tortil-

las, qualche sardina e un po’ di acqua. Il ciboè così cattivo che tu non lo vorrai mangiare, eti stancherai molto e credo che non te la cave-rai. Se proprio insisti forse ce la farai, ma secadi a terra, ti lasceremo indietro. Devi porta-re stivali di pelle con i tacchi alti, perché noipasseremo nel deserto dove ci sono i serpentia sonagli, di notte, e se avrai gli stivali giusti,i denti dei serpenti non potranno penetrarenella tua pelle e tu sarai ok”.

Insomma i decessi sono aumentati di1.000 volte di più in alcuni posti. Un immi-grato di nome Mario mi disse: “Certo chepenso ai pericoli, ci penso sempre, ma non hoscelta se devo andare avanti con la mia vita. Il

fatto è che a causa della povertà del Messi-

co, sono già morto. Attraversare il deserto midà la speranza di vita, anche se muoio.”

Se riesce ad attraversare il deserto, lamaggior parte degli immigrati troverà lavoricon una paga da fame che nessuno, eccetto ipiù disperati, cerca. Dovranno disossare pollinelle fabbriche, raccogliere verdure nei cam-pi e costruire case nelle città. Disposti a lavo-rare nei posti più pericolosi, gli immigrati ungiorno potranno morire sul lavoro, tagliandotabacco nella Carolina del nord e il manzo nelNebraska, abbattendo alberi nel Colorado,saldando un balcone nella Florida, tagliandoerba nei campi di golf di Las Vegas oppurecadendo dalle impalcature nella Georgia. Gliimmigrati sono spinti dalla povertà economi-ca, attirati dalla speranza di una vita migliore

negli Stati Uniti e bloccati poi da un muro diferro alle frontiere. Gli statunitensi hanno sa-lutato con gioia la caduta del muro di Berlinonel ’89 e pianto per la morte di oltre 250 per-sone morte durante i 28 anni della sua esi-stenza, ma non hanno protestato quando ilgoverno ha costruito un muro tra il Messico e

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migranti morti nel deserto dell’Arizona

gli Stati Uniti e 3mila immigrati sono morti

cercando di passare il confine.

ATTRAVERSARE I CONFINI DELLA NOSTRA MENTE

Nonostante le fatiche a cui gli immigrati sisottopongono, forse i confini più difficili daattraversare oggi sono quelli della nostramente, specialmente quelli che custodisconoi pregiudizi profondi e che emergono quandoincontriamo qualcuno diverso. Gli immigratimessicani si trovano appiccicati addosso al-cuni dei peggiori stereotipi della societàodierna. Spesso sono guardati come illegali,che non pagano tasse e succhiano i soldi del-le comunità locali, vendono droghe, commet-tono crimini e tolgono lavoro agli statuniten-si. Alcuni li considerano terroristi, mentre

quelli dell’11 settembre sono entrati negli

Usa legalmente e certamente non dal sud. Molti immigrati cominciano a interioriz-

zare alcuni stereotipi della società contempo-

Negli ultimianni, tuttavia,più di unquarto diquestefabbriche hachiuso,spostandosi inAsia dove laforza lavoro èancora piùeconomica.

Tijuana, Messico, 2004:“L’operazione Gatekeepercominciò qui. Dopo diecianni, 3mila morti”. La manifestazione lungo il muro del confine tra il Messico e gli Stati Uniti.

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ranea. “Ci ricordano spesso che noi siamomeno di tutti gli altri”, diceva Lidia, “che sia-mo poveri, che non siamo istruiti, che nonparliamo correttamente, che siamo meno es-seri umani in un modo o in un altro. Qualchevolta noi cominciamo a domandarci se Diopensa la stessa cosa di noi”.

La strada più difficile per molti cittadinistatunitensi sta nel liberarsi dagli stereotipinegativi e osservare i contributi che gli immi-grati portano al Paese.

IL RAPPORTO DELL’IMMIGRAZIONE ALLA RIVELAZIONE

Secondo le scritture giudaico cristiane,l’immigrazione non è soltanto un fatto socio-logico, ma anche un evento teologico. Dio ri-velò la sua alleanza al suo popolo quando es-so era nel processo di migrazione. Questa al-leanza era un dono e una responsabilità; ri-fletteva la bontà di Dio e chiamava gli ebrei arispondere ai nuovi venuti nello stesso modoin cui YHVH aveva risposto a loro durante laschiavitù: “Così anche tu devi essere amicodello straniero, perché voi una volta eravatestranieri nella terra d’Egitto” (Deut. 10,19).

Costruendo sulle stesse fondamenta, ladottrina sociale cattolica ha spiegato che la di-gnità morale di ogni società si rivela nel modoin cui tratta i membri più deboli. GiovanniPaolo II ha sempre sottolineato la responsabi-lità morale delle nazioni più ricche di aiutarequelle povere, soprattutto per quanto riguardale politiche di immigrazione. Mentre negliStati Uniti alcuni sostengono che gli immigra-ti legali non abbiano nessun diritto di esserequi, la Chiesa afferma che la patria vera di

una persona è là dove c’è pane per nutrirsi.

Ricordo che parlavo con Moises a Tijuana.Voleva venire negli Stati Uniti perché riuscivaappena a comperare un po’ di cibo con quelloche guadagnava. La sua ambizione era solonutrire la sua famiglia. A poche miglia, dall’al-tra parte del confine, vicino a un hotel sull’i-sola Coronado, lì incontrai una donna che di-ceva di essere venuta lì perché stava cercandoun pane speciale introvabile altrove. La con-traddizione del momento era impressionante.

La Chiesa cattolica riconosce il diritto diuna nazione a controllare le proprie frontiere,

ma non lo considera assoluto, che ha prioritàsui diritti umani fondamentali. Al contempo,mentre riconosce l’ideale del popolo che cercalavoro nella sua patria, insegna che se il Paesedi nascita non può provvedere a una vita pie-namente umana, la gente ha diritto a migrare.

Ciò non significa aprire i confini a tutti,come se non ci fosse bisogno di tenere a men-te altri fattori politici e socio-economici, mala Chiesa mette la vita umana al primo posto.I confini del mercato stanno diventando sem-

pre più aperti, mentre quelli del lavoro sem-

pre più chiusi. Abbiamo creato una societàche valuta la merce e i soldi più delle personee dei diritti umani: questo contraddice gli in-segnamenti biblici.

La visione evangelica è una sfida alla men-talità consumistica che sta prevalendo nellacultura statunitense la quale vede la vita comeun accumulo infinito di beni, anche quando ilresto del mondo soffre. Gesù nella sua vita enel suo ministero andò al di là dei confini diogni specie – mondo/immondo, puro/peccato-re, ricco/povero – inclusi quelli imposti dalleautorità del suo tempo. Così facendo, ci hachiamati a diventare una comunità magnani-ma e generosa, un riflesso dell’amore infinitodi Dio per tutti i popoli. Egli ha chiamatoIsraele “popolo benedetto” non quando ha ri-

24 Missione Oggi | ottobre 2005

ALCUNE CIFRESULLA FRONTIERA

MESSICO-USA

1.600.000:gli immigrati illegali

arrestati l’annoscorso nel tentativo

di oltrepassare ilconfine.

3.000.000:la cifra stimata degli

immigranti illegaliche tentano di

entrare negli Usa ognianno.

65.814:gli immigrati OTM

(other than Mexicans– non messicani)arrestati lungo il

confine nel 2004.

11.000:gli agenti della polizia

che sorvegliano il confine

(2500 in Arizona).

3.769:gli immigrati

rimandati nel paesedi origine da gennaio

a luglio 2005.

MO

cevuto di più, ma quando ha condiviso mag-

giormente pur avendo bisogno del minimo. Icristiani, come tali, si distinguono non per laquantità dei loro beni, ma per la qualità delcuore che si esprime nel servizio.

LE BRICIOLE DI LAZZARO

Molti immigrati siedono alla porta dell’A-merica come Lazzaro, sperando nelle briciole

che cadono dalla tavola americana della pro-

sperità. Essi non chiedono soltanto carità, magiustizia. In Matteo, Gesù dice: “Ero affamatoe voi mi avete dato da mangiare, ero assetato emi avete dato da bere, straniero e mi avete ac-colto, nudo e mi avete vestito, malato e miavete curato, in prigione e mi avete visitato”. Icollegamenti con l’esperienza migratoria sonoimpressionanti. Affamati nei loro paesi, asse-tati nei loro deserti che passano, ignudi dopoessere stati derubati dai banditi, malati negliospedali per le infermità causate dal caldo, im-prigionati nei centri di detenzione per immi-grati e, finalmente, se ce la fanno, emarginatiin una terra nuova, essi portano molti segni delCristo crocifisso nel nostro mondo d’oggi.

In parte a causa della mancanza dell’im-pegno della Chiesa cattolica con gli immigra-ti ispanici, uno su cinque di loro l’ha lasciata

negli ultimi 30 anni. Recentemente i vescovi statunitensi han-

no scritto un documento in cui cercano di“svegliare la gente alla presenza misteriosadel Signore crocifisso e risorto nella personadell’immigrato e rinnovare in loro i valori delregno di Dio che lui ha proclamato”. È aimargini, dove vivono gli immigrati, che laChiesa nasce. La Chiesa cattolica stessa af-ferma che siamo un solo corpo in Cristo. Nel-l’eucaristia la Chiesa protesta contro i muri ele barriere che costruiamo tra noi. Davanti aDio viviamo in uno stesso Paese, viviamo tut-ti dalla stessa parte, di qua dalla rete. In real-tà la morte è l’ultimo confine, il cammino difede è l’ultima migrazione e Dio è l’ultimaterra promessa. Cristo insegna che noi sare-mo capaci di attraversare questa frontiera fi-nale, nella maniera in cui saremo capaci di ol-trepassare i piccoli confini di questa vita e ac-corgerci che siamo tutti legati gli uni agli al-tri. DANIEL GROODY

Missione Oggi | ottobre 2005 25

Un giorno negli Usa senza un messicano

“L a nostra nazione virtualmente ha due avvisi sul confine sud:‘Cercasi operai e ‘Non oltrepassare’, dice il Pastore Robin Hoo-

ver di Humane Borders. Senza il lavoro degli immigrati, l’economiastatunitense sarebbe al collasso. Noi vogliamo, e abbiamo bisognodel lavoro a buon mercato degli immigrati, ma non vogliamo gli im-migrati. Che cosa sarebbe stata l’economia americana se non ci fosse-ro i messicani? Non ci sarebbero cameriere negli hotel, giovani a lava-re i piatti nei ristoranti, giardinieri per tagliare l’erba. Non ci sarebberooperai a buon mercato per le costruzioni. Nessuno a raccogliere verdu-ra nei campi. E come risultato, la lattuga costerebbe più di 8 dollari alcespo, le industrie chiuderebbero e vari settori dell’economia sarebberoparalizzati. E invece al posto dell’ospitalità, molti immigrati trovanorifiuto, ostilità e paura.

Oggi, gli immigrati potrebbero essere salutati da gruppi di vigi-lantes, agenti di polizia civile che danno loro la caccia e li trattano co-me animali minacciando di ucciderli. In alcune parti del sud ovest, laviolenza razzista scorre profonda tra i gruppi come Civil HomelandDefense, Ranch Rescue e American Border Patron (da non confonder-si con la polizia di frontiera). “Se comandassi io,” diceva un ranger aun raduno di ufficiali di polizia, “sparerei a tutti, uno a uno”. La mag-gior parte degli immigrati non stanno rubando posti di lavoro agli sta-tunitensi; accettano i lavori che questi ultimi rifiutano. Inoltre, non so-lo gli immigrati non sono un freno all’economia statunitense, ma con-tribuiscono con oltre 90 miliardi di dollari di tasse, e molti hanno pau-ra di usare i servizi sociali per timore di presentarsi senza documenti.Nondimeno, come gli altri precedenti immigrati che venivano da Ir-landa, Germania, Europa dell’est, Cina e Giappone, questi messicanisono spesso valutati per il loro impiego a buon mercato e non hannoi diritti umani dovuti loro come membri contribuenti della società.Diventano una merce che si può gettar via quando non è più utile.

Sono 2500 gli agenti di polizia che controllano il muro del confine nello Stato dell’Arizona

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Quasi il 10% della popolazione filippina(circa 80 milioni) è fuori dal Paese, ma il

70% ha avuto a che fare con la migrazione.Ancora, i lavoratori immigrati filippini sonoin 193 paesi dei 224 registrati all’Onu. Ladensità, la velocità e la multidirezionalità del-la migrazione sono tali che si è cominciato aparlare di comunità della diaspora. Oggi que-sta manodopera si sta concentrando nei Paesiasiatici e sta sperimentando un’intensa fem-minilizzazione. Da Hong Kong a Singapore,dall’Arabia Saudita alla Malesia, da Taiwanal Giappone le immigrate filippine lavoratricistanno cambiando direzione, dall’Ovest al-l’Est e in decine di migliaia lavorano soprat-tutto nel settore dei servizi.

Come si può, allora, parlare di Dio in un

contesto dove l’alienazione e la discrimina-

zione costituiscono il tessuto della vita di

ognuno? Come si può parlare del divino inuna situazione dove la fede è messa a duraprova, in Paesi dove c’è repressione religiosacome l’Arabia Saudita e gli immigrati sono

emarginati? Come si può servire un popolo lacui fede viene sfidata da una società secola-rizzata e culturalmente pluralista? Mentre neiPaesi del Medio Oriente islamico la praticareligiosa viene fortemente limitata, le cele-brazioni liturgiche nelle chiese dell’Europa, onei saloni di Singapore e di Hong Kong sonopieni di filippini che pregano: è evidente chequesto fenomeno sta creando una nuova si-tuazione di missione. La teologia della mi-grazione dovrà porre attenzione ai concetti difrontiera, emarginazione e straniero.

LA FRONTIERA: UNA FERITA APERTA

Emigrare significa attraversare i confini.Per i migranti di oggi, tuttavia, passare lefrontiere non è la fine delle difficoltà affron-tate per entrare in un nuovo mondo. Qui co-mincia il vero dramma. Oggi i confini non so-no più membrane politiche attraverso le qua-li i beni e i popoli devono passare per diven-tare accettabili o inaccettabili. Attraversare il

26 Missione Oggi | ottobre 2005

Al di làdella frontiera

Come trasformareil confine in spazio

DI GEMMA TULUD CRUZ

“DH” (DOMESTIC HELPER) A HONG KONG È LA DOMESTICA FILIPPINA, ”JAPAYUKI” IN GIAPPONE È

LA DONNA CHE “INTRATTIENE” GLI OSPITI, “KATAS NG SAUDI” SONO I GUADAGNI DEI LAVORATORI

NELL’ARABIA SAUDITA: È IL NUOVO VOCABOLARIO USATO PER DESCRIVERE IL FILIPPINO “GLOBALE”

DI OGGI. DALL’AFRICA ALL’OCEANIA, DALLA RUSSIA ALL’AUSTRALIA, DALLA GIORDANIA A SAIPAN

(MICRONESIA), DALL’AMERICA ALL’ASIA, MILIONI DI FILIPPINI SONO OGGI PARTE DI UN FENOMENO

GLOBALE MIGRATORIO DI MANODOPERA.

Gemma Tulud Cruz,nativa delle Filippine,ora insegna teologia

all’Università diNijmegen, nei Paesi

Bassi.

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confine è vivere sulla frontiera intesa come

“una ferita aperta”, che testimonia la violen-za della differenza e dello scarto sempre piùgrande tra quelli che hanno e quelli che nonhanno nulla. È una ferita che sanguina, inflit-ta dalla discriminazione e infettata da un sen-so di perdita e di isolamento.

La teologa cubana-americana Ada MariaIsasi-Diaz apre questa ferita quando attesta:”Mi sento tra due mondi e nessuno di questi èpienamente mio, ambedue sono miei in parte”.Le frontiere spesso indicano i limiti dell’esi-stenza, dell’identità e dell’appartenenza. Pas-sando il confine, si attraversa quell’enormevarco che esiste tra l’essere cittadino e l’esserestraniero, ospite, cioè uno che viene dall’ester-no. In verità, attraversare il confine è vivere aimargini ed essere straniero. La xenofobia è la

maledizione del migrante perché il migrante

di oggi è lo straniero, “l’immagine dell’odio e

dell’altro”.Come si fa a fare teologia in questanuova realtà? A parlare del comandamentocristiano di amare il prossimo, quando questi

è un migrante, un forestiero? Queste sono ledomande fondamentali che le scienze teologi-che devono prendere in considerazione datoche l’alienazione è inerente all’immigrazione.

IL CONFINE COME LA PELLE

In realtà i confini sono punti di incontro.Esistono non per separare o allontanare lagente, ma per farla incontrare, perché sonoposti dove ci si trova a metà strada. JustoGonzales afferma: ”Un vero confine è un luo-go di incontro e, quindi, permeabile. Non as-somiglia a un’armatura medioevale, ma piut-tosto alla nostra pelle, che non mette limiti adove il nostro corpo comincia e finisce. Sechiudessimo la nostra pelle, moriremmo. Unconfine vero, allora, è uno spazio dove pos-siamo scegliere di mettere a nudo i nostri cor-pi, di dire la verità della nostra vita”. Lo spa-zio crea presenza. Porta alla luce il potere in-teriore di una presenza. Se uno è presente, havalore e il corpo ne è il mediatore fondamen-

Missione Oggi | ottobre 2005 27

Emigrati: una manna di 100 miliardi di dollariAlmeno 100 miliardi di dollari, forse 300 miliardi, po-trebbe essere il totale dei soldi mandati dagli emigrativerso i loro Paesi di origine nel 2004.L’Ufficio delle migrazioni internazionali (Omi), che haavanzato la prima cifra che si può considerare ufficia-le, stima che il doppio di quella cifra transita ogni an-no attraverso i circuiti informali. Il Messico è il primoPaese beneficiario della manna dei suoi espatriati conuna somma valutata intorno agli 11 miliardi di dolla-ri, poi l’India (8,4 miliardi) e le Filippine (7,4 miliardi).L’Omi ha stimato a 190 milioni il numero totale degliemigrati nel mondo, di cui 63% sono installati nei Pae-si ricchi. La Francia, terza destinazione nel 1970, è pas-sata in quinta posizione con 6,5 milioni di immigratidopo gli Stati Uniti (35 milioni), la Russia (13,5 milioni),la Germania (7,5 milioni) e l’Ucraina (7,3 milioni). È laCina che con 35 milioni di immigrati, possiede la piùimportante diaspora al mondo, poi l’India (20 milioni)e le Filippine (7 milioni). Gli immigrati in Italia sonodue milioni e 600mila (2004).

Attraversare ilconfine è viveresulla frontieraintesa come“una feritaaperta”, chetestimonia laviolenza delladifferenza edello scartosempre piùgrande traquelli chehanno e quelliche non hannonulla.

Immigrati indonesianiillegali vengono imbarcatida Port Klang vicino KualaLumpur in Malesia.

AP/TEH

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L’ospitalità è un modo di vivere che è

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tale. Quando una persona viene considerataun qualcuno e non un niente (come vengonoreputate le domestiche di Hong Kong), allorac’è una presenza che suscita vita. Questa no-

zione dello spazio come presenza è significa-

tiva per la teologia, perché “rivelatrice”.Le donne filippine a Hong Kong, sebbene

spinte a vivere ai margini della società, rifiu-tano di rimanere là e si sono creato uno spa-zio dove sopravvivere. Questa ri-configura-zione dei confini in “spazi”, fatta da migranticome loro, porta una nuova dimensione nellateologia. E non ci dà solo una visione su co-me un’esistenza di confine o di marginalitàpuò essere trasformata in spazi di presenza.Quei riti domenicali, come l’occupazionesimbolica di Charter Road a Honk Kong e lecomunità transnazionali di famiglie, spingo-no la riflessione telogica a definire la casanon come luogo, “ma come movimento, qua-

lità di relazioni, uno stato dove i popoli cer-cano di essere se stessi e quindi diventanosempre più responsabili del mondo”. Quindil’esperienza delle domestiche di Hong Konginduce la teologia non solo a recuperare lanozione biblica dello straniero, ma anche a ri-appropriarsi e integrare le esperienze specifi-che degli immigrati di oggi come nuovi stra-nieri. Ciò significa anche valutare l’adegua-tezza del concetto di “terra” come categoriadi riflessione teologica sull’identità. Il termi-ne “terra” non può più essere sufficiente perfare teologia su “casa” e “identità”. Ma la do-manda fondamentale rimane: che significaguardare all’“altro” in un contesto di rivela-zione? Come può la ricerca teologica impe-gnarsi nel rovesciare il processo dell’alterità?

LA CHIAMATA ALL’OSPITALITÀ, SOLIDARIETÀ E CATTOLICITÀ

Se si considera il migrante come uno deipoveri e degli oppressi di oggi, la chiamataall’ospitalità, alla solidarietà e alla cattolicitàè implicita. La solitudine e la nostalgia sonogià i problemi di coloro che emigrano. E allo-ra che cosa si può fare quando la discrimina-zione e l’emarginazione delle domestiche diHong Kong fa peggiorare la situazione? Cosa

può dire la teologia cristiana nel vedere que-sta miseria umana? Quali chiavi di lettura

può usare per dare senso alla migrazione da

una prospettiva di liberazione? Certamente l’ospitalità è una categoria si-

gnificativa. È un modo di vivere fondamenta-le nell’identità cristiana. Mentre spesso è vi-sta nella dimensione piacevole e domesticadell’accogliere amici e familiari, l’ospitalità,nel contesto della migrazione, spinge la teo-logia a recuperare la sua dimensione contro-culturale, cioè, accogliere persone che sonosocialmente sottovalutate e emarginate, i mi-granti. L’ospitalità radicale è l’opposto della

crudeltà. È equivalente alla resistenza o piùvicina all’umanizzazione che ha le sue radicinel saper riconoscere il volto dell’”altro”, lostraniero e/o lo ridefinisce come prossimo.La teologia deve spiegare che l’ospitalità è unvalore del Regno e si attualizza nel ricono-scere il prossimo nello straniero o nel vedereGesù in ogni straniero.

DIO COLUI CHE ACCOGLIE TUTTI

L’ospitalità è creare uno spazio sicuro e ac-cogliente affinché trovino il senso di umanità edi dignità sia chi accoglie sia chi è accolto, ar-ricchendosi l’un l’altro attraverso l’incontro.L’ospitalità, intesa come “partnership con glistranieri” - così viene descritta da John Koenig- implica anche pluralità, perché è aperta alladiversità. Tuttavia questo riimmaginare Diocome uno che accoglie da parte della domesti-ca filippina di Hong Kong, si arricchisce diun’altra dimensione. Destabilizza i soliti ruoli- il migrante come ospite, accolto, e il cittadi-no come colui che accoglie - e l’ordine disar-monico di relazioni che questi ruoli rivelano.Dio è visto come colui che accoglie comeospiti e conseguentemente come stranieri: siail migrante sia il cittadino. Ciò significa che

ogni volta che pratichiamo l’ospitalità stiamo

condividendo l’ospitalità di Dio. Questo pro-voca la teologia cristiana ad andare al di là del-le nozioni dell’ospitalità come “partnership

con stranieri” per arrivare al “partnership distranieri”, e dall’ospitalità agli stranieri a quel-la di stranieri. Inoltre, stimola ad andare al di là

28 Missione Oggi | ottobre 2005

Come si può parlare diDio in un contesto dove

l’alienazione e ladiscriminazione

costituiscono il tessutodella vita di ognuno?

Controllo di immigrati aKuala Lumpur in Malesia.

Un vero confineè un luogo di

incontro,permeabile.

Non assomigliaa un’armatura

medioevale, mapiuttosto allanostra pelle,

che non mettelimiti a dove il

nostro corpocomincia e

finisce.

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della koinonia o comunione tra cristiani, versouna comunità più democratica e inclusiva cheElisabeth Schussler-Fiorenza chiama ekklesia

o discepolato di uguali. Tale ospitalità, che ol-trepassa il riconoscimento della dignità umanafino a quello dell’umanità condivisa, può esse-re resa possibile solo dalla solidarietà. Questaè radicata in ciò che genera la corresponsabili-tà umana. È il portare gli uni i pesi degli altri,l’aiutarsi nella fede che scaturisce dall’identi-

tivismo indifferente. Non solo afferma l’alteri-tà come diversità, ma la cerca per arricchirsi.

Solo recentemente la migrazione è arriva-ta all’attenzione della teologia e ne ha biso-gno. Infatti non sta solo dando forme nuovealla geografia umana e ridefinendo culture ereligioni. Ma dà anche identità e soggettività.La migrazione non sta solo provocando nuo-ve forme di oppressione. Sta anche creandoaltri percorsi per la sopravvivenza umana e la

Missione Oggi | ottobre 2005 29

fondamentale all’identità cristiana.

ficazione con un altro essere umano. Nel mez-zo dell’emarginalizzazione e dell’esclusionenel contesto della migrazione, nel XXI° secolola solidarietà è il nome nuovo dell’amore delprossimo. La teologia, tuttavia, deve liberarel’idea della solidarietà dalla sua forma esclusi-vista e corrotta come viene vista nell’etnocen-trismo e nelle politiche ultranazionaliste di de-stra. La solidarietà cristiana ci chiama non so-

lo all’apertura, ma anche ad abbracciare la

diversità sociale. Scaturisce da un senso diuguaglianza e corresponsabilità fra essereumani, senza riguardo per le loro origini reli-giose, razziali e sessuali. Insieme con l’ospita-lità, la solidarietà crea ciò che Miroslav Volfchiama “la personalità cattolica”: una persona-lità arricchita dalla diversità, che evita l’esclu-sivismo e nello stesso tempo trascende il rela-

liberazione. L’alienazione, ovviamente, è il

peccato fondamentale nella migrazione: l’a-

lienazione personale, che separa il migrantedalle sue radici come persona, e quella strut-turale attraverso la discriminazione dei popo-li, le politiche anti-migratorie dei Paesi cheospitano e il capitalismo globale. Questa si-tuazione oppressiva sfida la teologia a pensa-re una nuova cattolicità: una teologia tra il lo-cale e il globale, dove l’ospitalità così legataalla solidarietà diventa la chiave di letturafondamentale. La solidarietà ci renderà capa-ci di abbracciare povertà e diversità sociale.Diventerà possibile riconoscere il fratellostraniero e trasformare l’esistenza del confinein spazio di presenza. E allora, la cattolicità,che realmente significa universalità radicale,è a portata di mano. GEMMA TULUD CRUZ

La teologiadeve spiegareche l’ospitalitàè un valore del Regno e si attualizza nel riconoscere il prossimonello stranieroo nel vedereGesù in ognistraniero.

30 Missione Oggi | ottobre 2005

L a vita dei lavoratori migranti è pie-na di difficoltà e di problemi. Essi

passano le frontiere, entrano in altriPaesi sospinti dai bisogni delle loro fa-miglie, come la donna Cananea la cui fi-glia era malata, ma rimanendo ai mar-gini, perché non era stata pienamenteammessa nella comunità giudaica.

Gli emigrati, da lavoratori, sonoospitati in dormitori o capannoni; sesono domestiche, sono spesso mante-nute nelle case dei loro stessi padroni.Tenuti a distanza, con un’integrazionelimitata, spesso sono oggetto di pregiu-dizi razziali (i “cani” del Vangelo). Lon-tani dalla casa e dalla famiglia, stra-nieri in un Paese la cui lingua e culturaignorano, qualche volta sfruttati e abu-sati da padroni senza scrupoli, cercanola Chiesa a cui presentare i loro bisognie richieste di aiuto. Desiderano sentirsia loro agio nella comunità e più di tut-to continuare a vivere la loro fede, an-che se in terra straniera.

La Chiesa locale ha risposto con dif-ficoltà. Non abbastanza equipaggiata,per quanto riguarda la lingua e la cul-tura, ha in qualche caso sperimentatoinadeguatezza e altre volte paura. Ina-deguatezza nel servire situazioni di ne-

cessità estrema e nell’accogliere immi-grati stranieri nella comunità. Paura diessere obbligata a prendere posizionecon i migranti contro le autorità locali,paura di essere obbligata a crescere co-me comunità, sperimentando novità ecomplicazioni. Le risposte sono statetentativi e gli approcci incompleti.Qualche volta il desiderio implicito è si-mile a quello manifestato dai discepolinel Vangelo chiedendo che andasserovia. In situazioni di inadeguatezza, leChiese hanno spesso risposto doman-dando ai missionari, già presenti nellacomunità, di farsi carico di questo nuo-vo compito, conoscendo già la loro lin-

gua e cultura. Tuttavia i missionaripossono solo dedicare agli emigrati unaparte del loro tempo, ciò che rimane dailoro doveri principali. Insomma, non-ostante i molteplici esempi di acco-glienza, gli emigrati hanno spesso rice-vuto solo briciole dalla Chiesa locale.

Nondimeno gli emigrati voglionovivere la loro fede e partecipare alla vi-ta della comunità. Ci sono bellissimiesempi di emigrati che hanno scopertola partecipazione attiva nella Chiesaproprio mentre erano all’estero, stra-nieri tra stranieri. Le donne, soprattut-to quelle senza “casa”, sono state spes-so strumenti di fede nelle abitazioni deiloro datori di lavoro.

MISSIONE AL CONTRARIO

Come Gesù nel Vangelo, la Chiesaha bisogno di scoprire la dimensioneuniversale della sua missione. Gesù siera ritirato al confine e lì, dove dimora-vano gli emarginati, aveva scoperto unaspetto fondamentale della sua missio-ne. Nell’accogliere gli emigrati, la Chie-sa può sperimentare le frontiere, là do-ve accadono eventi imprevedibili, e, ol-trepassando il confine di una comunitàchiusa, può rispondere alla gente in ne-cessità con un linguaggio di compas-sione e un invito alla mensa. È comeiniziare una “missione al contrario”,“per permettere al colui che dà di rice-vere, a colui che parla di ascoltare, a co-lui che accoglie di essere ospite” (An-thony Gittins).

Molti emigrati che passano le fron-tiere oggi non sono cristiani, ma i lorobisogni e le loro aspirazioni sono simili.Non solo la Chiesa è invitata a cercaregli stranieri alla frontiera, ma deve an-che imparare ad ascoltare con pazienzae spirito ecumenico il loro grido, rispon-dendo attraverso l’angelo della carità.Infatti come la donna cananea paganapotè manifestare la sua grande fedenon tanto nei titoli messianici rivolti aGesù quanto nell’insistente richiestaper la guarigione della figlia, così ilviaggio coraggioso degli emigranti permigliorare la loro vita rivela la ricercadella vita piena del Regno.

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Come la Cananea del Vangelodi Matteo (15, 21-28)

Partito di là, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidone. Ed ecco una donnaCananea, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore,figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio».Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i discepoli gli si accostaronoimplorando: «Esaudiscila, vedi come ci grida dietro». Ma egli rispose: «Non sonostato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele».Ma quella venne e si prostrò dinanzi a lui dicendo: «Signore, aiutami!». Ed eglirispose: «Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini». «È vero,Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadonodalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le replicò: «Donna, davvero grande èla tua fede! Ti sia fatto come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

di RENATO GRAZIANO BATTISTELLA

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L’Unione Europea è un polo d’attrazione di

correnti migratorie sempre più consistenti.

Si tratta di un fenomeno strutturale irreversi-

bile. Attualmente le presenze in Europa supe-

rano i 20 milioni e aumenteranno in modo

esponenziale. L’Europa si dibatte tra la rego-

lamentazione dei flussi (controllo delle fron-

tiere “esterne”, espulsione degli irregolari e

dei clandestini, legislazioni restrittive sul di-

ritto di asilo, ecc.) e la “integrazione” dei mi-

granti. Le politiche migratorie si scontrano

con una cultura xenofoba, determinata dalla

situazione economica e da concrete difficoltà

di convivenza (sicurezza), ma che si fonda su

un’arretratezza culturale “nazionalista”. Le

migrazioni odierne presentano problematiche

di inserimento complesse, in quanto proven-

gono da Paesi “lontani” dalla realtà e dalla

cultura europea, come quelle africane, asia-

tiche e, soprattutto, quella islamica. Esse,

inoltre, riproducono su scala locale (naziona-

le, regionale e cittadina) le problematiche che

l’Europa vive a livello continentale. Sono, in-

fatti, la cartina di tornasole del progresso o

del regresso dell’integrazione europea. Le

chiusure giuridiche ed amministrative verso

gli stranieri, le paure, anche razziste, nei loro

confronti, gli sfruttamenti economici e le

emarginazioni sociali non sono solo un “affa-

re privato” che coinvolge questi “diversi” per

pelle, etnia, religione e cultura, ma anche un

“affare collettivo” dell’Europa.

LE SFIDE DELLA CHIESA IN EUROPA

La Chiesa di Dio che è in Europa ha di fron-

te la sfida di una società post atea e post cristia-

na, nella quale la societas christiana si è lenta-

mente esaurita, il discorso religioso è relegato

nella sfera del privato e le istituzioni sono lai-

che. Se, ad una lettura sapienziale, si possono

individuare le radici cristiane della cultura euro-

pea, nello stesso tempo si riscontra un’assenza

di riferimenti alla terminologia cristiana. La

Chiesa si ritrova nella inedita situazione di

“minoranza” e di marginalità. I tentativi di una

nuova evangelizzazione, nel periodo post con-

ciliare, non hanno, di fatto, frenato la scristia-

nizzazione, ed hanno rivelato, a volte, ambigui-

tà o il radicalizzarsi di una specie di “integrali-

smo” in alcuni movimenti religiosi. Di fronte a

tutto questo, la Chiesa è sottoposta a un grande

Missione Oggi | ottobre 2005 31

Europala sfida

della cattolicitàdi BENIAMINO ROSSI

Padre Beniamino

Rossi è responsabile

dei Missionari

Scalabriniani

in Europa e Africa.

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Nella foto:

Processione offertoriale

nel duomo di Brescia

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sforzo di riorganizzazione interna, molto di-versa da quella entusiasta e quasi trionfalistadel dopo Concilio. Oggi siamo di fronte a unariorganizzazione “povera” di mezzi e che pun-ta sui fideles laici; il Concilio li aveva definitinon più oggetto, ma soggetti di pastorale, pe-rò essi sono rimasti “consumatori del sacro”più che evangelizzatori. Ci troviamo di frontea una Chiesa che si scopre donata allo Spiritoe, quindi, rimessa in cammino, pellegrina.

Una seconda sfida per la Chiesa di Europa èposta proprio dalle migrazioni. Anche la Chie-sa deve sentirle come “strutturali” per la sua vi-ta: dare loro cittadinanza al suo interno, cometestimonianza profetica e stimolo del posto chei migranti devono avere nelle società civili.Questo comporta che i migranti cattolici abbia-mo una collocazione all’interno delle strutturepastorali. Le Chiese locali sono chiamate a spe-rimentare e verificare la loro capacità di realiz-zare, nel proprio interno, la “cattolicità”: la ca-pacità di promuovere la “comunione” tra le va-rie culture religiose dei “figli di Dio” che vivo-no nel loro territorio. Le migrazioni possonoaiutare la Chiesa a vivere la “cattolicità”, libe-randola dalle tentazioni del “localismo”, dell’i-dentificazione con una cultura o con una etnia.Si inseriscono come elemento dirompente inuna visione di Chiesa che ha come centro la“unità - univocità”: esse portano i popoli, le et-nie, le culture, e perfino le religioni, le une ac-canto alle altre e mettono in crisi una visionedell’unità considerata come uniformità, intro-ducendo la provocazione della “diversità”.

La tentazione della “unità – univocità -unicità” è il peccato originale delle societàcostruite dagli uomini: l’ubris (superbia) del-l’uomo che vuole costruire la “città forte e

compatta con la torre che si eleva fino al cie-

lo”. Le migrazioni rendono visibile la “distin-zione – diversità” delle donne e degli uomini.La “messa in moto” dei meccanismi di comu-nicazione e di comunione, provocata dalle mi-grazioni, può aiutare la Chiesa a superare unavisione “univoca” della “cattolicità”. La Chie-sa si è spesso sentita “cattolica” per la sua“espansione geografica”; il superamento dellavisione “univoca” della cattolicità sotto l’a-spetto “geografico” comporta anche il supera-mento di quella sotto l’aspetto “culturale”.

Appare molto difficile che le parrocchieaccettino lo straniero in modo “collettivo”,come nucleo comunitario autonomo con esi-

genze particolari di culto, di formazione e diespressione culturale e che, in quanto tale,abbia cittadinanza, con le sue diversità, al-l’interno della struttura pastorale locale. La“comunione delle diversità”, la pastorale in-tercomunitaria come “pastorale normale”delle Chiese locali in Europa ha davanti a séun cammino ancora molto lungo.

SUPERARE IL LOCALISMO

Una terza sfida per la Chiesa di Dio che è inEuropa è quella di partecipare al processo diunificazione europea. Papa Giovanni Paolo II°ha spesso parlato della necessità che l’Europacristiana respiri con i due polmoni: quello lati-no - germanico e quello slavo. A questi due sene aggiunge un terzo: il polmone mediterraneo.

Ma in un’Europa che elude un linguaggiotematicamente cristiano, la presenza dellaChiesa deve porsi nella dimensione evangelicadel “lievito”, piuttosto che in quella storica egiuridica di “società perfetta”. Sembra che leChiese locali registrino un forte ritardo nel“pensare europeo”. Il processo di integrazioneed unificazione ecclesiale in Europa è ancoraai primi passi, nonostante i Sinodi dei vescovieuropei dell’ultimo decennio ed gli sforzi neldialogo ecumenico. Infatti, prevale un approc-cio locale, in netto ritardo ed in contraddizionecon il clima e lo stile di comunicazioni, di rap-porti e di interscambi che caratterizzano la so-cietà moderna. Ogni Chiesa locale sembra

preoccupata e racchiusa nei suoi problemi; leConferenze episcopali hanno difficoltà di co-municazioni, di collegamenti e di coordina-mento degli interventi e delle iniziative; il tra-vaso di idee risulta molto limitato e circoscrit-to ad alcuni settori, senza organicità e conti-nuità; è quasi inesistente lo scambio di perso-nale, che sembra peccare di provincialismo.

Le Chiese locali che sono in Europa do-vranno compiere un profondo movimento dicomunicazione e di comunione tra di loro,per rimanere dentro l’Europa, per non tradir-la ma per “servirla”, cioè, per svolgere la lorofunzione profetica di “lievito” e per annun-ciare (evangelizzare) all’Europa le “meravi-glie che Dio Padre sta compiendo nella suastoria”. BENIAMINO ROSSI

32 Missione Oggi | ottobre 2005

Il processo diintegrazione ed

unificazioneecclesiale in

Europa èancora ai primi

passi,nonostante i

Sinodi europeidei Vescovidell’ultimo

decennio ed glisforzi nel

dialogoecumenico.