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PONTIFICIA UNIVERSITA' LATERANENSE ACCADEMIA ALFONSIANA Istituto Superiore di Teologia Morale Isidor Chinez I L P E C C A T O N E I R O M A N Z I D I G E O R G E S B E R N A N O S (Tesi di masterat) Esercitazione per la Licenza presentata alla prof.ssa Nella Filippi dallo studente Isidor CHINEZ Copyright © Roma, 1994

Chinez Isidor - Il peccato nei romanzi di Georges Bernanos ... · BERNANOS - L'UOMO, IL CRISTIANO, LO SCRITTORE 2. REMESSA STORICO-ANTROPOLOGICA 1. ... "l'indicibile misfatto" di

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PONTIFICIA UNIVERSITA' LATERANENSE ACCADEMIA ALFONSIANA Istituto Superiore di Teologia Morale

Isidor Chinez

I L P E C C A T O

N E I R O M A N Z I

D I

G E O R G E S B E R N A N O S

(Tesi di masterat)

Esercitazione per la Licenza presentata alla prof.ssa Nella Filippi

dallo studente Isidor CHINEZ

Copyright ©

Roma, 1994

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INDICE GENERALE

INTRODUZIONE 1. BERNANOS - L'UOMO, IL CRISTIANO, LO SCRITTORE 2. REMESSA STORICO-ANTROPOLOGICA

1. Nella società del tempo 2. L'uomo nella realtà totale: il soprannaturale

I. IL CONCETTO DEL PECCATO IN BERNANOS 1. CHE COSA E' IL PECCATO? 1. Il peccato: un deicidio

a) un concetto religioso b) un concetto relazionale c) "l'enorme aspirazione del vuoto"

2. Il peccato: misfatto di Satana a) l'azione deleteria di Satana b) "l'indicibile misfatto" di Satana nelle anime

2. I PECCATI DELLO SPIRITO 1. La menzogna 2. L'orgoglio e l'odio

3. Altri peccati a) La curiosità b) La lussuria

II. L'UOMO DI FRONTE AL PECCATO 1. L'UOMO E' LIBERO? 1. Tra libertà e determinazioni

2. Il peccato originale e la libertà dell'uomo 3. Libero è l'uomo che ama

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2. LA POTENZA DEL PECCATO

1. La potenza del peccato: l'ambiguità e la confusione 2. Una potenza che induce ad altri peccati

3. GLI EFFETTI DEL PECCATO

1. Il peccato disumanizza e devasta tutto 2. Un mondo triste - ideogramma della realtà dell'uomo peccatore.

a) Gusto misterioso di avvilimento b) Un mondo divorato dalla noia c) La solitudine senza comunione

III. NELLA DIALETTICA DI PECCATO E GRAZIA 1. UN BINOMIO INSCINDIBILE: PECCATO - GRAZIA 2. NELLA LOTTA CONTRO IL PECCATO 1. Innazi tutto c'è una lotta 2. L'irruzione della grazia 3. La santità 4. Diverse forme di riflesso della santità

a) Lo spirito di fanciullezza b) La preghiera c) La gioia

3. LA COMUNIONE NELLA GRAZIA 1. La grazia come comunione 2. La dimensione espiatoria del dolore

a) Il prete - icona del Cristo Redentore b) Il laico - trasparenza del Cristo agonizzante

CONCLUSIONE

BIBLIOGRAFIA INDICE

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INTRODUZIONE

1. BERNANOS - L'UOMO, IL CRISTIANO, LO SCRITTORE

Georges Bernanos nasce a Parigi il 20 febbraio 1888 in famiglia di un piccolo

tappezziere decoratore e trascorse gran parte dell'infanzia e della giovinezza in una

casa di campagna nella regione dell'Artois, dove più tardi egli avrebbe ambientato

quasi tutti i suoi romanzi. Non c'è protagonista in tutta l'opera di Bernanos che non

rifletta qualche dato autobiografico e particolarmente quelli della sua infanzia. Il

ricordo della propria fanciullezza, infatti, non è stato soltanto un elemento fondamen-

tale della sua vocazione di narratore ma soprattutto una condizione morale: "Che

importa la mia vita! Voglio soltanto che resti sino alla fine fedele al fanciullo che sono

stato"1. Per questo la biografia resta la migliore introduzione all'opera del grande

narratore e moralista francese.

Ribelle all'educazione gesuita, fu educato sino alla preparazione del bac-

calaureato in diversi collegi e seminari2. Dopo i diciotto anni è a Parigi, dove si laurea

alla Sorbona in lettere e diritto.

1 BERNANOS G., I grandi cimiteri sotto la luna, Mondadori, Milano 1980, 85. In un altra parte aggiunge: "Io ignoro per chi scrivo, ma io so perché scrivo. Scrivo per giustificarmi. Agli occhi di chi? Ve l'ho già detto, mi espongo al ridicolo di ripetervelo. Agli occhi del bambino che sono stato" (BERNANOS G. Verrà il vendicatore, Logos, Roma 1980, 150). 2 Nella preadolescenza Bernanos sembra volersi avviare alla vita sacerdotale: "Io ho pensato a farmi missionario - scrive ricordandosi il 11 maggio 1899 quando riceve la prima comunione - e nel ringraziamento, alla fine della santa Messa della prima comunione, ho chiesto ci è come unico regalo" (BERNANOS G., Combat pour la verité. Correspondance, vol. I, Plon, Paris 1971, 75), però, poi, sceglie di servire la causa di Dio in una vocazione di laico.

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Alla vigilia della prima guerra mondiale dirige a Rouen un piccolo giornale

monarchico. Allo scoppio delle ostilità parte volontario per il fronte dove è ferito tre

volte; qui matura la conoscenza degli uomini e delle loro sofferenze. Dal 1918 lavora

per una società di assicurazioni. Nel 1926, quando pubblica il primo romanzo Sous le

soleil de Satan e l'immediato successo lo rende famoso e gli apre la speranza di

poter vivere solo per la sua vocazione di scrittore, Bernanos lascia l'ingrato lavoro di

assicuratore per dedicarsi completamente alla letteratura, costretto tuttavia, fino alla

morte, ad assillanti impegni giornalistici ed editoriali per sostentare la numerosa

famiglia (sposato nel 1917 sino al 1933 diviene padre di sei figli).

Nel 1934 si trasferisce con la famiglia nelle isole Baleari, a Palma di Maiorca,

dove in meditazione, rimane fino al 1937, per ragioni economiche, ma anche per

maturare in solitudine quella che si può chiamare la sua evoluzione politica3. In

questi tre anni di attività intensa, pubblica Un crime (1935) e attende alla

composizione del Journal d'un curé de campagne (1936) e alla Nouvelle histoire de

Mouchette (1937), si tormenta sugli ultimi capitoli del Monsieur Ouine (pubblicato

postumo).

Ritornato in patria, l'esperienza spagnola gli fa chiudere praticamente la sua

attività di romanziere, per dedicarsi ai saggi politici: egli sente il bisogno di portare

sull'evento la sua testimonianza di uomo libero e di cristiano.

Nel 1938 riprende volontariamente la via dell'esilio, sgomento per il progredire

del nazismo; parte per il Brasile da dove moltiplicherà i suoi messaggi e i suoi articoli

negli organi di informazione dell'America del Sud e della Francia libera, per incitare i

francesi alla riscossa.

Terminata la guerra, richiamato in Francia da De Gaulle, non può sopportare il

clima politico della sua patria e di nuovo prende la via dell'esilio. In Tunisia, questa 3 Nel periodo dell'adolescenza si impegna a fondo nelle file di un movimento monarchico, vicino all'Action Française: partecipa a tumulti e a scontri nel quartiere latino, tanto che per due volte, per brevi periodi, conoscerà gli arresti. Riceve elogi dalla stampa dell'Action Française che nel 1913 gli offre la direzione del settimanale monarchico di Rouen: L'Avant-Guarde de Normandie. Un anno dopo prende le distanze, essendo contrario alla politica di Maurras. Nel dopo guerra non rinnova la sua adesione all'Action Française, essendo contrario alla strategia parlamentare di Maurras. Rimasto vicino a Maurras nel momento della condanna dell'Action Française da parte del Vaticano (1926), improvisamente nel 1932, per motivi che possono sembrare futili, avviene la rottura fra Bernanos e Maurras, culminata nella famosa espressione di Bernanos: "A Dieu Maurras, à la douce pitié de Dieu". La rottura si farà sempre più profonda al tempo della guerra civile spagnola e durante la seconda guerra mondiale per l'adesione data da Maurras al governo di Vichy.

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volta, al limite del deserto, combatte l'ultima battaglia, lancia l'ultimo grido disperato

per gli incombenti mali della nostra civiltà disumana. Straziato, ma non vinto, redige il

suo testamento spirituale, componendo i Dialogues des Carmelites. Conta di

affrontare un tema cui ha pensato a lungo: una vita di Cristo della quale porta a

termine solo una scarsa pagina sulla povertà.

E' malato: ricoverato dapprima nell'ospedale di Tunisi, per un aggravarsi del

male viene condotto d'urgenza al ospedale militare americano di Neuilly (Parigi) dove

muore il 5 luglio 1948.

* * *

Ciò che più colpisce nella figura di Bernanos è l'unità fra l'uomo, il cristiano e lo

scrittore. Esiste un solo Bernanos. Non c'è separazione fra l'uomo e lo scrittore. Non

c'è in Bernanos frattura alcuna tra la spiritualità dei suoi libri e quella della sua vita:

sono una sola, inscindibile realtà che si esplica nel senso del soprannaturale, che per

Bernanos era qualcosa d'indiscutibile ed evidente. Con il linguaggio, il romanziere fa

vivere nella immaginazione ciò che il santo, il sacerdote, il fedele vivono nella loro

vita. Bernanos vuole essere questo romanziere che dona come senso al suo

linguaggio quello dell'esistenza sacerdotale. Le circostanze parlano in favore

dell'eterno, in quanto questo mondo rimette a un altro mondo, il tempo presente parla

dell'eternità. La storia tocca l'uomo di Dio come lo tocca anche il peccato.

"Scrivo nei caffè come prima scrivevo nelle vetture ferroviarie, per non cader vittima di creazioni immaginarie, e per riacquistare, con uno sguardo gettato sullo sconosciuto che passa, la giusta misura della gioia e del dolore"

4. Con queste espressioni definisce Bernanos i termini della propria letteratura. Lo

scrivere è la costante partecipazione ai significati della fede e della vita, di Dio e del

prossimo. Come nota H. U. von Balthasar: la sua vocazione è una vocazione

sacerdotale; sacerdozio che deve rispondere a Dio non per i risultati umanamente

tangibili, ma per le intenzioni: testimoniare Dio perché lo stato attuale del mondo "è

una vergogna per i cristiani". "Bernanos è il cristiano nel mondo. Ciò che accade

4 BERNANOS G., I grandi cimiteri sotto la luna, Mondadori 1992, 10-11.

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intorno a lui: le decisioni del suo popolo, dei popoli dell'Europa e del mondo, sia che

si tratti di decisioni in profondità inaccessibili che poi producono le più imprevedibili

conseguenze concrete, oppure di decisioni di oggi per l'oggi: il poeta vi partecipa con

passione; laddove altri vedono soltanto politica di vasta portata, egli scorge il

compimento dell'eterno destino dell'uomo, anzi del Regno di Dio"5.

In tutte le sue opere, Bernanos si dimostra sempre impegnato per un

cristianesimo incarnato nello spazio e nel tempo. Siccome la sua concezione del

mondo ha come fondamento il Vangelo, accusa coloro i quali, invece di vivere

secondo il Vangelo, vorrebbero addomesticarlo. Come regola e norma per dare un

giudizio sullo spirito dei tempi, egli si serve dello Spirito di Dio ed il suo criterio per

distinguere ciò che è cristiano da ciò che non lo è, è costituito da Gesù Cristo. Egli

spera che il vero rinnovamento dell'Europa venga realizzato ad opera del vangelo,

non solo appreso nella sua integrità, ma anche vissuto senza riserve. Bernanos fa

chiaramente vedere il contrasto tra la richiesta del vangelo e la vita di quanti si

dicono cristiani. Di fronte alla società del suo tempo, Bernanos riccorda (anche nei

momenti meno opportuni) che "le verità del vangelo non fanno mai l'occhiolino"6.

Scrive perché vuole liberare i cristiani dalle convenzioni della stessa fede abitudinaria

e formale. E' pieno di tempesta e di furore profetico - un profetismo che non è

prescienza del futuro, ma affermazione dei valori cristiani di fronte all'avvenimento - è

veramente un "figlio del tuono" che non sa frenare le terribili collere e gli insulti

brucianti senza temere di essere eccessivo. Incalza e scompiglia; temerario e

spregiudicato; generoso, non calcola mai se per convincere deve usare la pazienza

piuttosto che il grido: la sua impazienza non è che la pienezza del cuore. Ha la forza

di suscitare reazioni coninvolgenti perché parla di quel che sente e di quel che soffre

e perché l'artificio letterario, se pure esiste, è assorbito dalla sua certezza di fede.

Scrittore difficile e straordinario, intellettuale "scomodo", Bernanos ci ha lasciato

un insieme complesso di opere. Lo scrivere - una storia o una pagina polemica, un

richiamo o una biografia - costituisce un esigente richiamo ai valori coi quali è

totalmente legato e per i quali patisce. Soni i valori radicati nella propria fede

5 BALTHASAR H.U. von, Gelebte Kirche: Bernanos, Einsideln 19712, 477. 6 BERNANOS G., Journal d'un curé de campagne, in BERNANOS G., Oeuvres romanesques suivies de Dialogues des carmélites, Paris, Bibliothèque de la Pléiade, Gallimard, 1961, 1067. Questa è l'edizione che sto citando in questo lavoro sempre in lingua francese.

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cristiana, impaziente e generosa, accettata con una pienezza allergica al

compromesso e alla mediocrità e raccolta da un temperamento irruente. La sua

continua ricerca dell'espressione diventa l'immagine o il simbolo della sua continua

ricerca dell'essere. "Racine, ad esempio, avrebbe forse raggiunto il suo punto di

perfezione, se un giorno, con una mossa sublime, non avesse superato l'uomo

morale e ritrovato l'uomo peccatore?" si domanda nella "Lettera a Frédéric Lefèvre"7.

Egli stesso, a suo turno, ritrova l'uomo nella sua drammatica condizione storica di

peccatore.

Scrittore cattolico, egli ha riproposto con forza la dimensione religiosa

dell'esistenza. Il mondo è il teatro dello scontro incessante fra bene e male, fra Dio e

Satana, e ogni istante della "nostra povera vita" è segnato dalla "spaventevole

presenza del divino". La sua è una religiosità intransigente, appassionata,

dostojevskiana, che si accosta - in uno slancio di redenzione - all'assassino, al

suicida, e disdegna l'indifferenza, la freddezza del benpensante: l'inferno, come

ripete tante volte, è il gelo. Bernanos è convinto che "il romanzo cattolico non è

quello che si nutre solo di buoni sentimenti, è quello in cui la vita di fede si fronteggia

con le passioni"8 ed "il romanziere ha tutto da perdere escludendo dalla sua opera il

diavolo e Dio: sono dei personaggi indispensabili"9.

Ecco perché Bernanos resta costantemente uno scrittore proiettato verso il

futuro, uno scrittore di sollecitazioni provocatorie per la ricorrente inquietudine umana

con la sua robustezza e la limpidità delle sue diagnosi spirituali, la lucidità del suo

richiamo morale, il rigore di quella che si potrebbe chiamare la sua vivacità teologica.

I pericoli contro cui metteva in guardia mezzo secolo fa, la passione stessa per i

problemi religiosi, affrontati poi dal Concilio Vaticano II, rendono merito allo scrittore

ed oggi, alla distanza di quarant'anni dalla morte, si può dire che pochi come lui

hanno visto giusto nella crisi delle ideologie e nella triste superstizione della forza che

si sollevava in quei anni. Lui prende tutto sul serio, il suo paese, la sua fede, gli

uomini; la sua salvezza si guadagna giorno dopo giorno, e lui è cosciente che non ci

si salva mai soli.

7 BERNANOS G., "Lettera a Frédéric Lefèvre", in BERNANOS G. Nuova visione cattolica del reale. Satana e noi, Logos 1991, 10 (ormai NVCR). 8 BERNANOS G., "Interviste" in NVCR, 56. 9 BERNANOS G., "Interviste" in NVCR, 53.

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Riprendendo il messaggio evangelico, Bernanos l'attualizza: sotto la sua penna il

messaggio riappare come l'eco di una realtà inseparabile dall'ordine della vita e dalle

sue dimensioni spirituali.

2.PREMESSA STORICO-ANTROPOLOGICA

Per poter parlare in modo adeguato del peccato, mi sembra che occorra tener

presente l'immagine odierna dell'uomo e del mondo. Ecco perché affrontiamo subito,

succintamente, prima di entrare nella parte fondamentale di questo lavoro, il contesto

storico-sociale, in quanto precisamente da qui comincia l'analisi di Bernanos

sull'uomo che sta proprio al centro di tutta la sua opera, ed, in un secondo momento,

il problema del soprannaturale che viene introdotto come unica risposta possibile alla

situazione drammatica dell'esistenza umana nella storia. Facciamo questo anzitutto

come un approccio al tema del peccato e poi perché la lettura di Bernanos

presuppone un certo grado di complicità nel sentire i temi cristiani ed i termini civili e

morali del tempo.

L'uomo - questo "immagine di Dio" - ed il suo mondo, visto in profondità della

sua "realtà totale" è ciò che ha voluto presentare il grande scrittore. Con la sua fede

cristiana, Bernanos va all'incontro dell'uomo. Lui non è estraneo di fronte alla vita e di

fronte agli uomini. Il bisogno di essere immerso nell'umanità e nel contempo

l'intransigenza e la sofferenza per la mediocrità dei cristiani lo sconvolgono.

Bernanos vede l'uomo nella sua situazione esistenziale che è diversa da quella dove

l'aveva posto il suo Creatore. L'uomo non è piò quello che egli è realmente: si è

stabilita una divergenza tra la sua verità profonda e la sua realtà storica. L'autore

continuamente riflette sulla condizione umana che si è creato. Al centro della

problematica, infatti, sta l'uomo. I suoi romanzi descrivono la situazione

fondamentale dell'uomo nel rapporto con la salvezza. Bernanos è un autore che

mostra l'uomo nel suo abbassamento e nella sua umiliazione. Per lui l'uomo è

l'immagine di Dio, è la sua verità, ma egli è caduto sotto l'impero del peccato: questa

è la sua realtà esistenziale. E' buono secondo la creazione, è cattivo secondo la sua

situazione storica. La sua essenza è buona, invece la sua esistenza, la sua

situazione storica è terribilmente colpita dal male. L'essenza dell'uomo è in

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contraddizione con la sua esistenza. L'uomo non è quello che egli è: "può certo

contraddirsi, ma non può rinnegare completamente se stesso" (L'imposture, 328);

rimane sempre: "un fanciullone pieno di vizi e di tedio" (Sous le soleil de Satan, 235).

In questa drammatica condizione existenziale nella quale si trova, si pone la

domanda: che cosa fa l'uomo? cerca con alcun sforzo di uscire dal disordine verso

un ordine ineffabile? Cosè come lo vede al suo presente, Bernanos dice no. "L'uomo

è per sua natura un rassegnato - si può leggere nei Les grands cimetières sous la

lune - l'uomo moderno più degli altri, a causa dell'estrema solitudine in cui lo lascia

una società che tra gli individui non conosce quasi pi� che rapporti di danaro". In

questo contesto, si profila giù all'orizzonte l'aspetto generale di ciò che significa il

peccato per il nostro autore: essere e rimanere prigioniero dell'esistenza umana

terrena in contrasto con la sua verità creaturale; limitarsi alla vita quotidiana o a

vedere le piccole ovvietà dell'esistenza umana come il tutto; un incapsulamento che

lo rinchiude all'interno dei propri limiti; una contentezza di poco. Ma, come profeta,

Bernanos fa sentire il suo grido: soltanto "i santi non si rassegnano". "Cosa avrei

dovuto gettare contro questa gioia oscena - si domanda durante l'intervista del 1926 -

se non un santo? A cosa costringere le parole ribelli, se non a definire, per

penitenza, la più sublime realtà che possa conoscere l'uomo aiutato dalla grazia, la

Santità?"10. In questo senso richiama l'attenzione del mondo sulla figura dei suoi

"santi" mai rassegnati, pure tentati nel loro cuore dalla disperazione e dall'angoscia

che stanno lacerando l'uomo, il loro fratello11; vuole così spingere l'uomo, assorbito

dalle preoccupazioni temporali a indirizzare il suo sguardo ed i suoi pensieri verso un

altro ordine di realtà, quello del soprannaturale.

10 BERNANOS G., "Interviste" in NVCR, 46. 11 "Non chiedevo al mio santo delle emozioni estatiche, ma delle lezioni. Sognavo di vedere in lui, sublimati dalla grazia, il nostro amore deluso, la pericolosa disperazione dove giù ringhiava l'odio. E ancora questa stessa lezione, avrei voluto anche trasmetterla, tradurla ai miei fratelli più infelici. Come avrei potuto proporre loro, di punto in bianco, uno di quei santi con tanto di miracoli, poggiati a malapena per terra, sempre pronti a scapparci, a sfuggirci verso l'alto, come un raggio o come un angelo?" (BERNANOS G., "Interviste" in NVCR, 49).

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1. Nella società del tempo

E' utile, a questo punto, tracciare il quadro della società contemporanea di

Bernanos, le sue caratteristiche e quale ne è stato l'impatto con il pensiero dello

scrittore.

C'è il tempo dopo il XIX secolo che ha alimentato l'equivoco, l'anarchia, la

detestabile confusione dei valori morali, c'è il tempo in cui la febbre del godimento e

gli incantesimi di Gide ricacciavano nell'ombra la morale cristiana e svuotavano di

significato le verità della fede12. Una borghesia avida e affaristica ha sostituito l'antica

aristocrazia, e il suo potere sui deboli è ancora più duro: la competizione violenta, il

possesso del denaro, la produzione in vista di guerre sempre più micidiali; ecco le

caratteristiche della società in cui vive l'autore. L'uomo è lasciato nella più completa

solitudine, che è tanto più profonda perché egli si è contemporaneamente allontanato

dal cristianesimo. La società attuale è per Bernanos l'inferno descritto in Monsieur

Ouine, un inferno di diffidenza e di odio, in cui gli uomini si aggirano impazziti senza

sapere dove andare. In questo mondo i più deboli sono più che mai oppressi: i poveri

sono sempre più spogliati e degradati, i bambini umiliati. Né il liberalismo né il

marxismo hanno alcuna risposta da offrire: rappresentano due facce della stessa

medaglia, perché hanno contribuito entrambi ad allontanare l'uomo della religiosità,

riducendolo entro i limiti angusti di una dimensione puramente economica e

materialistica.

Si tratta infatti di un mondo senza Dio, svalorizzato per la mancanza dei valori

spirituali: qui, dentro questo mondo, l'autore fa un'esplorazione delle dimensioni

metafisiche e teologiche del peccato. I romanzi di Bernanos costituiscono infatti

l'espressione di un combattimento metafisico inscritto in questa storia complessa

della realtà umana. Nell'epoca quando i problemi religiosi erano considerati prima di

tutto come "antiartistici", l'introduzione di un soggetto profondamente religioso e

metafisico nel quadro romanzesco, la volontà di abbordare la realtà misterica della

santità nelle pagine di un romanzo doveva necessariamente sorprendere. Trattando

di Satana, di male e di santità, il suo primo romanzo, Sous le soleil de Satan era, nel

12 "Il romanzo moderno mancava di Dio, ma gli manca pure il diavolo" (BERNANOS G., "Interviste" in NVCR, 55) e "il naturalismo aveva aggirato la difficoltà: cambiava l'uomo in bestia" (ibidem,. 53).

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1926, una sfida per l'ideologia razionalista dominante in quanto al centro stava una

visione cristiana del mondo, l'amore per la santità, la ricerca di Dio e del Cristo sulla

croce, il senso del sacrificio che sbocca necessariamente nella redenzione delle

anime. In realtà, fu un atto di coraggio e soprattutto d'amore. "L'anima di Bernanos -

ci dice il suo figlio, Jean-Loup - bruciava come una torcia nella notte e tutta la

decadenza spirituale di un'epoca gli infliggeva invisibili, ma crudeli ferite. L'odore

delle nostre terre bruciate gli sollevava il cuore. La morte lo accerchiava da tutte le

parti; lo avviluppava di silenzio ed era la più terribile delle morti: quella delle anime.

Come non urlare che essa era il prezzo della menzogna, dell'impostura, e che essa

calpesta l'uomo alle sorgenti della vita, nel cuore stesso della storia? In una parola,

sempre la medesima, metteva alla gogna le ideologie che strumentalizzano l'uomo,

le sclerosi intellettuali che uccidono la vita"13. Bernanos rifiuta i limiti di un mondo

condannato alla sterilità. (...) Più che un romanziere abile a tratteggiare nelle sue

creature la caricatura di una realtà inaccettabile, egli è una voce. "Io conosco -

afferma sempre suo figlio - poche personalità che si siano innalzate in mezzo a noi

con una tale potenza di voce per testimoniare un così grande amore. Solo in Péguy e

in Bloy troviamo il medesimo realismo implacabile di fronte alle miserie dell'anima, la

medesima durezza"14.

La sua visione tragica di un mondo da riscattare non gli lascia nessuna tregua:

"Viene l'ora in cui - scrive Monsieur Ouine - sulle rovine di ciò che esiste ancora

dell'ordine cristiano, sta per nascere il nuovo ordine, che sarà realmente l'ordine del

Principe del mondo, del Principe il cui reame è di questo mondo".

Come afferma H.U. von Balthasar, Bernanos è la risposta cristiana al concetto di

angoscia di Heidegger e di Sartre: se per questi autori l'angoscia � un concetto-

chiave per chiarire l'essere, per Bernanos diventa mezzo per trascendere l'essere

attraverso l'immersione di tutto questo essere denudato davanti a Dio nella passione

del Figlio di Dio, che lo comprende e lo coinvolge con la grazia. Il dramma che

assume spesso le forme più violente, fino all'assassinio e al suicidio, è il luogo e

l'incarnazione sensibile della lotta fra il bene e il male. Bernanos presenta personaggi

divorati dal peccato dello spirito - rifiuto dell'essere, opzione per il nulla, decisione 13 BERNANOS J.-L., Postfazione: "L'impatto con Bernanos", in FASOLI G., La sfida del povero: Georges Bernanos, Paoline, Milano 1989, 119. 14 BERNANOS J.-L., Postfazione: "L'impatto con Bernanos", 117.

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contro Dio - un mondo tenebroso in cui si avviluppano le forme più diverse della

paura della morte, quale, inestricabilmente aggrovigliate alle loro fatali conseguenze,

conferiscono ai suoi libri un ritmo infernale e colori di tempesta. Questa infatti è

l'immagine che la diagnosi bernanosiana della società può presentare. In questo

contesto, l'apparizione di Sous le soleil de Satan, La joie, Journal d'un curé de

campagne, Monsieur Ouine, rappresenta uno scandalo e una provocazione: come la

comparsa di uno scheletro in una folla danzante.

Quindi, quale è la proposta di Bernanos?

"Egli si è prefisso il compito di preparare le vie allo Spirito e di aprire una breccia

nelle confortevoli certezze del mondo moderno"; "non esita ad affermare che il

pericolo consiste più 'nella corruzione delle forze del bene' che 'nella sovversione

indotta dalle forze del male' e che 'il carattere sacro della persona umana è una tesi

più difficile a sostenersi della tesi contraria: la dipendenza assoluta dell'individuo

dalla comunità'"15; "l'opzione che egli ci propone non è semplice; essa esige che (...)

noi accettiamo di vivere il dramma della condizione umana nella prospettiva di una

volontà di salvezza. Bernanos ci chiede, insomma, di ritrovare un aldilà misterioso e

patetico, capace di illuminare il nostro cammino. Ma egli non intende sedurrci (...)

lungi dal blandirci con delle vane e gratuite promesse, scuote brutalmente l'anima e

pone senza precauzioni l'uomo davanti al suo destino"16. Egli volle ricordare agli

uomini il senso drammatico dell'esistenza e nello stesso tempo la sacralità della

sofferenza, nello sfondo del Crocifisso17."Di anno in anno, Bernanos avvertiva

sempre di più lo spavento di un mondo senza Dio. Egli diventerà il solitario per

eccellenza, l'uomo che prende a suo carico la miseria del mondo 'miseria così

profonda - scriverà nel 1948 - che finisce per assorbirci tutti in essa'. (...) Le sue

15 BERNANOS J.-L., Postfazione: "L'impatto con Bernanos", 120. 16 BERNANOS J.-L., Postfazione: "L'impatto con Bernanos", 121. In questo senso Bernanos non è disperato, è tutto il contrario di un disperato perché ha compreso che il dolore e la miseria dell'uomo non sono inutili. Bernanos è più vicino al cristianesimo pascaliano che a quello dei suoi contemporanei: Pascal ha richiamato l'attenzione sul fatto che la grandezza dell'uomo è così meravigliosa perché egli conosce la propria miseria. Misero è solamente chi conosce la propria miseria; ma perciò proprio questa conoscenza è grandezza. 17 Cf. CASTELLI F., Volti di Gesù nella letteratura moderna, I, Paoline, Milano 19913, 150. Infatti Bernanos ha compreso che l'uomo deve, nel limite dei suoi mezzi e con le debolezze della sua anima, rinnovare fino alla consumazione dei secoli il sacrificio di colui che fu più uomo di tutti gli altri uomini, perché egli era giù Dio. E proprio perché ha compreso questo Dio egli si è cosi furiosamente lanciato all'assalto delle preoccupazioni artificiali, delle innumerevoli menzogne e degli eccessi di orgoglio dell'uomo moderno, per rimetterlo in presenza della sua eterna verità.

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contestazioni, le sue requisitorie hanno lo scopo preciso di spingere l'uomo, assorbito

dalle preoccupazioni temporali a indirizzare i suoi pensieri verso un altro ordine di

realtà"18.

Su questo "altro ordine di realtà" ci soffermiamo adesso.

2. L'uomo nella realtà totale: il soprannaturale

Il mondo di Bernanos è un universo tragico; spesso egli si lamenta che non si

tenga nella giusta valutazione la presenza del male, e questa esigenza si esprime

meglio quando si rivendica il ruolo del soprannaturale. "Il mondo è drammatico,

perché è lui solo che esiste. Non c'è un mondo sommerso che concili le opposizioni

del nostro mondo, non esiste un mondo rovesciato nel quale regnerebbe il Principe

delle tenebre. Prima di essere tenebra, Satana è figlio della luce ed è in questo

mondo che egli stabilisce il suo impero; è dalla luce e nella luce che egli è notte. La

contraddizione, situata nel cuore di questo mondo, non permette di fare dell'altro

mondo un duplicato inoffensivo; è questa contraddizione che porge al più piccolo

soffio di questo universo il suo sussulto soprannaturale"19.

Il soprannaturale è, per l'opera romanzesca di Bernanos ciò che il destino, la

storia o la libertà sono per gli altri scrittori. E' sempre la medesima dimensione che

incontriamo: il soprannaturale, di fronte al quale vanno commisurati la nostra

esistenza e gli eventi del mondo. La luce del soprannaturale brilla al di sopra delle

ombre fuligginose del dramma terrestre, dando loro una sorprendente grandezza.

Per Bernanos il soprannaturale è la realtà totale, come si esprime Castelli F.: "il vero

realismo è da ricercare soltanto nella prospettiva cattolica poiché questa è la sola

totale, dal momento che abbraccia il reale nella sua integrità"20. Nella vita umana il

soprannaturale non è una realtè passaggera, ma il terreno su cui cammina. Per lui

non esistono due mondi, il reale e il soprannaturale: ne esiste uno solo, conteso da

Cristo e da Satana. Infatti "nemmeno la vita soprannaturale, la vita delle anime, delle

povere anime è del tutto priva di sozzure... - scrive in Monsieur Ouine - C'è il vizio,

c'è il peccato. Se Dio aprisse i nostri sensi al mondo invisibile, chi di noi non sarebbe 18 BERNANOS J.-L., Postfazione: "L'impatto con Bernanos", 120. 19 BERNANOS J.-L., Postfazione: "L'impatto con Bernanos", 118. 20 CASTELLI F., Volti di Gesù nella letteratura moderna, I, 151.

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morto - sì, morto - dinanzi... solo dinanzi alle orrende... alle abominevoli proliferazioni

del male?" (p. 1488). Nei suoi romanzi, l'autore ci vuol suggerire che la vita spesso ci

sembra praticamente assurda perché ci ostiniamo a escludere da essa Cristo e il suo

Antagonista21.

In questo ambito del soprannaturale ritrova l'uomo la sua verità22: peccatore, sì,

ma sempre chiamato dalla grazia per sorpassare la sua condizione ed arrivare alla

comunione con Dio. Bernanos pone l'uomo che non d� al soprannaturale la debita

importanza sulla pista del Maligno. Il male, il peccato alla sua radice è il rifiuto del

soprannaturale; mentre il bene è la completa adesione a esso, perché solo in Dio è

possibile l'amore di sé e degli altri. A coloro che credono ancora che l'uomo sia

davvero capace di autorealizzazione e di costruire un mondo nuovo soltanto con le

sue proprie forze (per esempio, agitando per bene le urne del suffragio universale

per farne uscire il migliore dei governi...), Bernanos gli porge davanti l'atroce lotta tra

il bene ed il male, tra il peccato e la grazia in quale ogni uomo è coninvolto, la

"tragica solitudine" dell'essere umano per capire alla fin fine la necessità della

grazia23.

21 Cf. BLANCHET A., Le prêtre dans le roman d'aujourd'hui, Desclée de Brouwer, Bruges 1954, 31. 22 "On ne propose pas la Vérité aux hommes comme une police d'assurances ou un dépuratif. La Vie est la Vie. La Vérité du bon Dieu, c'est la Vie. Nous avons l'air de l'apporter, c'est elle qui nous porte, mon garçon" (Journal d'un curé de campagne, 1101s). 23 "Bernanos afferra il lettore di colpo, il solito lettore ozioso che va ai concerti, alle conferenze e ai cinematografi, forse anche alla messa della domenica, ma che dei novissima non vuol sentire troppo parlare e rifugge dai misteri che danno il brivido; e lo mette di fronte a Satana in lotta con la santità, oggi, nel nostro tempo, sotto i nostri occhi, con quella stessa volontà di richiamo con cui in piena estate, nel Lazzaretto di Milano, un grande frate cappuccino lanciava il cadavere di una vecchia tra le coppie danzanti che su l'orlo della morte, tra le rovine della morte, tentavano dimenticare la presenza della invisibile ospite. In una società che, come osservava Gladstone, ha 'perso il senso del peccato', che lo riduce a una attività dello spirito, e sorride dell'inferno come di una fiaba buona per far paura ai bambini o agli sciocchi, in mezzo a questa fiera delle vanità che è la letteratura, egli fa sorgere la paurosa ombra dell'arcangelo ribelle, del nemico di Dio, a cui egli crede appunto perché crede in Dio, come vi hanno creduto quanti sono giunti, attraverso a una dolorosa esperienza del mondo delle anime, a scoprire la grandiosa lotta a cui partecipano cielo e inferno intorno a ogni uomo; come vi hanno creduto i grandi poeti e pensatori cattolici a cominciare da Dante..." (TOMMASO G.-S., Introduzione a Sotto il sole di Satana, Dall'Oglio, Milano 1989, 7-8). "Anche per il romanziere moderno c'è qualcuno tra Dio e l'uomo, che non è un personaggio secondario, che non è un mito; c'è un essere incomparabilmente sottile, a cui nulla potrebbe essere comparato se non l'atroce ironia e il riso crudele. A lui è stato concesso per un tempo di essere l'oppositore di Dio, il Principe del mondo, di vincere, anche in questa terribile monotonia del peccato, l'uomo: questo grande fanciullo pieno di vizi e di noia. Ma di fronte al 'nemico che mai non dorme' (...), contro l'arcangelo ribelle, in questo dramma terrestre e celeste, l'autore ha sentito con pari intensità il sacerdozio mosso dalla volontà eroica e disperata di salvare anime. Nella luce fredda e terribile che diffonde dal suo cielo, Lucifero ha visto un piccolo uomo nero, un povero prete di campagna, un rozzo vicario alquanto goffo, ignorante, e anche ridicolo, che non osa attribuirsi delle grazie speciali pur possedendole, ma che sa di avere una

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Testimone del soprannaturale, Bernanos non vive nell'oltretomba, ma testimonia

in favore di un soprannaturale incarnato nelle strutture storiche. Con l'audacia tipica

dei profeti, trasferisce nella vita concreta e nel linguaggio comune temi teologici che

sconfinano nella mistica. L'abate Donissan, questo "santo" di Dio, deve trasmettere

con la parola una testimonianza profonda e sincera della realtà del soprannaturale,

dell'esistenza del divino. E lo fa prima di tutto con il suo linguaggio: da testimonianza

sulla verità di Dio. Lui restituisce alle parole la loro verità propria24, così come

Bernanos cerca, con fede e passione, di rendere al linguaggio romanzesco la sua

purità ed autenticità sottomettendolo alla ricerca della verità: la verità dell'uomo,

dell'avventura della salvezza, dell'esperienza del soprannaturale. Tentando di

trascrivere la realtà misteriosa dell'universo soprannaturale, Bernanos utilizza parole

usuali che, per la loro definizione, non corrispondono precisamente a ciò che lui

vorrebbe suggerire: fanno riferimento imperfettamente alla realtà significata: il

soprannaturale. Di qui, il fatto che lo scrittore propone al lettore prima espressioni

che poi subito rigetta considerandole improprie ad esprimere una realtà poco

percepibile attraverso il linguaggio ordinario. Di qui lo schema: "ce n'est pas...

mais...", "non pas... mais...", "c'était moins... que..." Ma l'urgenza della testimonianza

lo chiede. E lo fa. Infatti, lui stesso confessa in Sous le soleil de Satan: "Niente è

meglio che esprimere il soprannaturale col linguaggio più banale, più comune, più

cotidiano: rimane abolita ogni illusione possibile" (p. 223). E' proprio il suo credo!

E' per questo, per rendere sensibile la presenza del soprannaturale, che lui

aveva, fin dal 1926, pensato di scrivere "quel lamento orribile del Peccato"25 e con

ciò di "rendere quanto più sensibile si può il tragico mistero della salvezza"26.

In poche parole questa è la visione antropologica di Bernanos. "Il suo occhio

guarda al di dentro e dal di dentro, ed è troppo preoccupato del problema centrale

dell'anima, per perdersi in curiosità laterali. Il verismo, che si distendeva in superficie,

missione: quella di perseguitare il Demonio nelle anime, e che per questa missione sublime compromette il suo riposo quasi anche il suo onore sacerdotale" (ibidem, 8-9). 24 "Non sono così temerario da proporrmi di scrivere mai, di ricomporre dal di dentro la vita di un santo. (...) Desideravo soltanto (...) di fissare il mio pensiero, come quando si alzano gli occhi verso una cima nel cielo, su di un uomo soprannaturale il cui sacrificio esemplare totale, ci restituisse, una dopo l'altra, ognuna di quelle parole sacre di cui ci lamentiamo di aver perduto il senso" (BERNANOS G., "Interviste" in NVCR, 49). 25 BERNANOS G., "Interviste", in NVCR, 55. 26 BERNANOS G., "Interviste", in NVCR, 56.

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qui discende in profondità"27. E' la profondità della realtà totale: il mondo

soprannaturale dove si consuma il vero dramma interessante: quello che si combatte

dentro il cuore umano tra Dio e Satana, e dove si arriva a sapere che le uniche cose

che valgano si chiamano salvezza e dannazione o grazia e peccato.

In quanto riguarda il contributo che il romanziere possa offrire al teologo,

Bernanos considera che: "il casuista può cedere alla tentazione di ragionare nel

vuoto. L'uomo che ha ricevuto il dono d'immaginare, di creare, che possiede quella

che chiamerò la visione interiore del reale, apporta al teologo una forza personale di

penetrazione, d'intuizione, di grandissimo interesse. Il romanziere ha un ruolo

apologetico. (...) In questa discesa negli abissi, mi domando perché il romanziere

cattolico dovrebbe farsi precedere da qualcuno. Tocca a lui di andare avanti. Ha una

fiaccola in mano"28.

* * *

Intendo impostare il mio lavoro in tre parti. Nella ricerca del tema del peccato

sull'itinerario di Bernanos come romanziere, mi soffermo nel primo capitolo ad

analizzare il concetto di peccato; segue la parte seconda con una visuale

esperienziale del peccato: l'uomo nel confronto con il peccato, e nel ultimo capitolo,

partendo dal binomio peccato-grazia, arrivo a vedere le possibilità che ne ha l'uomo

nella sua lotta con il peccato, sorpassando con l'aiuto della grazia la sua drammatica

condizione storica.

27 TOMMASO G.-S., Introduzione a Sotto il sole di Satana, 7. 28 BERNANOS G., "Interviste", in NVCR, 54.

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Capitolo I

IL CONCETTO DI PECCATO IN BERNANOS

Parlare oggi del peccato o dei peccati con un linguaggio teologico può essere

impopolare? Si può rischiare di essere fraintesi? Eppure il momento presente impone

questo dovere come esigenza nuova e urgente. Adoperarsi per far sì che

l'insegnamento costante della Chiesa diventi sempre più comprensibile e vicino

all'uomo contemporaneo e al suo modo di esprimersi, è certamente un'impresa non

facile. Sul mistero del peccato "l'intelligenza dell'uomo non ha mai cessato di

meditare"29. In questo campo la letteratura viene all'incontro di questa necessità

attuale. Infatti, si parla oggi di un caso particolare: il "romanzo del peccato". Lo

scrittore e critico letterario tedesco Curt Hohoff30 ha coniato il concetto di "romanzo

del peccato" per quel tipo di "letteratura cristiana" che ha scelto come oggetto della

sua descrizione prevalentemente i sentieri sbagliati del pensiero e dell'agire umano.

Indubbiamente il romanzo del peccato prende corpo nel modo più pregnante in

François Mauriac. Bernanos - ed insieme con lui altri: Langgässer, Graham Greene,

ed anche la svedese premio Nobel Sigrid Undset - si muove sulla stessa linea. E'

vero poi che nella letteratura moderna François Mauriac è riconosciuto come il

romanziere del peccato, mentre Bernanos è il romanziere della santità31, sebbene i

suoi romanzi descrivono gli errori del cuore umano, scendendo fin nel più profondo

della loro abiezione, e presagiscono tutta la portata del peccato. Ma è sul sfondo

29 GIOVANNI PAOLO II, Reconciliatio et poenitentia, n. 17. 30 HOHOFF C., Was ist christliche Literatur?, Friburgo 1966, 47. 31 Cf. FASOLI G., La sfida del povero: Georges Bernanos, 64; cf. IMBACH J., Dio nella letteratura contemporanea, Città Nuova, Roma 19813, 18.

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della santità e della grazia che Bernanos parla sul peccato, come di una macchia

tenebrosa in contro la luce splendente. Infatti, come afferma H.U. von Balthasar:

"Solo lì dove l'amore di Dio è 'giunto fino in fondo', la colpa umana si rivela come

peccato e i sentimenti umani si rivelano come derivanti da uno spirito positivamente

anti-divino"32.

1. CHE COSA E' IL PECCATO?

"Che cosa sappiamo del peccato? I geologi ci insegnano che il suolo, il quale a noi sembra così fero, così stabile, non è realmente che una sottile pellicola sopra un oceano di fuoco liquido, ed è sempre fremente, come quella che si forma sul latte che sta per bollire... Quale spessore ha il peccato? A quale profondità bisognerebbe scavare, per ritrovare il golfo azzurro?" (Journal d'un curé de campagne, 1090).

Va ora intrapreso un primo passo nella presente tematica. Un discorso molto

frequente oggi consiste nel descrivere un profondo mutamento nella concezione, nel

senso del peccato. Senza dubbio, lì dove manca il senso di Dio, viene gravemente

compromesso il senso del peccato. Bernanos, invece, nei suoi romanzi non cerca

una sistematizzazione del tema del peccato, lui pensa in primo luogo alle singole

azioni - atteggiamenti - peccaminose, che possono essere compiute nelle maniere

concrete più varie. Lui ha una capacità descrittiva della natura del peccato come

raramente si è potuto riscontrare. Alla società del suo tempo, Bernanos vuol

ricordare, anche nei momenti meno opportuni, che il grande problema con il quale si

confronta il mondo - quello della paura, dell'inquietudine, dell'angoscia, della noia... -

non può trovare la sua risoluzione se non accetta una vera gerarchia dei valori, se

non cerca la verità profonda dell'essere umano. Questa è la testimonianza di una

coscienza di fronte allo sconvolgimento dei valori del ventesimo secolo, o meglio

della lotta spirituale di questa coscienza.

Il concetto di peccato non appare "incidentale" nella sua opera, ma per l'azione

lascia cadere proprio lo sfondo teologico, o con le parole di Hohoff: la concezione

teologica dell'autore33; appare come "un clima spirituale"34, uno stato di quale spesso

il mondo non si accorge:

32 BALTHASAR H.U von, "Nove tesi sull'etica cristiana" in AA.VV. Prospettive di morale cristiana. Sul problema del contenuto e del fondamento dell'Ethos cristiano, Città Nuova, Roma 1986, 66. 33 HOHOFF C., Was ist christliche Literatur?, 41.

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"Da qualche giorno ho molto riflettuto sul peccato. A forza di definirlo una mancanza alla legge divina mi sembra che si rischi di darne un'idea troppo sommaria. La gente, in proposito, dice tante bestialità! E, come sempre, non si dà mai la pena di riflettere. Sono giù secoli e secoli che i medici discutono fra loro sulla malattia. Se si fossero contentati di definirla una mancanza alle regole della buona salute, sarebbero d'accordo da un pezzo. E invece la studiano sul malato, con l'intenzione di guarirlo. E' proprio quello che cerchiamo di fare noialtri. Perciò, le facezie sul peccato, le ironie, i sorrisi, non c'impressionano molto. Naturalmente, non si guarda più in là della colpa. E i sintomi più impressionanti, per i profani, non sono sempre i più inquietanti né i più gravi. Credo, anzi sono certo, che molti uomini non impegnano mai il proprio essere, la propria sincerità profonda. Vivono alla superficie di se stessi. (...) Fatti così, che cosa possono dire del peccato? Che cosa ne sanno? Il cancro che li rode è simile a molti tumori: è indolore. O perlomeno non ne hanno risentito, nella maggior parte, in un certo periodo della loro vita, che un'impressione fuggitiva, presto cancellata"

35.

Per questo, nei suoi romanzi, vuole ricordare agli uomini, suoi fratelli, cosa è il

peccato. Cerchiamo di seguire il suo pensiero nelle pagine seguenti. Per facilitare un

po' la nostra indagine, mi sembra che possiamo guardare questo concetto da due

punti di vista: primo, il peccato nella prospettiva della relazione Dio - uomo, definito

come un "deicidio"; secondo, dalla prospettiva dell'azione deleteria del Maligno,

definito come l'"indicibile misfatto di Satana" nelle anime.

1. Il peccato è un deicidio

Prima di entrare all'analisi dei testi riguardanti il peccato nell'opera romanzesca,

voglio accennare un brano dalla Lettera a Frédéric Lefèvre36; qui Bernanos ci dà la

chiave di lettura del peccato e ci fa vedere quale era giù nel 1926 - l'anno dell'uscita 34 HOHOFF C., Was ist christliche Literatur?, 47-48: il peccato vero e proprio si riferisce "alla vita del nostro tempo nella sua forma sociale. La società staccatasi da Cristo esiste, dal punto di vista religioso, nello spazio del nulla negativo, nell'irrigidimento, nella freddezza, nel vuoto, nel disamore, nell'anonimato e nell'autoalienazione. Se questo stato lo si assume per il 'mondo', la grazia può allora penetrare solo in tracce microscopiche, e questo è il posto della santità. Il peccato, dunque, non è una caduta dalla quale ci si possa rialzare, ma il peccato è lo stato del mondo". Una definizione, quindi, che non esclude necessariamente una decisione personale del singolo e un atteggiamento fondamentale su cui essa si basa. 35 Journal d'un curé de campagne, 1114-1115. "Je ne suis qu'un pauvre prêtre très indigne et très malheureux. Mais je sais ce que c'est que le péché. Vous ne le savez pas. Tous les péchés se ressemblent, il n'est qu'un seul péché. Je ne vous parle pas un langage obscur. Ces vérités sont à la portée du plus humble chrétien, pourvu qu'il veuille bien les recueillir de nous. Le monde du péché fait face au monde de la grâce ainsi que l'image reflétée d'un paysage, au bord d'une eau noire et profonde" (Journal d'un curé de campagne, 1138). Lo stesso pensiero in altra parte: "Gli uomini, persino fra quelli che lo negano, hanno, se non la conoscenza, almeno il presentimento del Divino. Se ne chiedete loro la definizione, ed essi si degnano di fare qualcos'altro che ripetere stupidamente qualche frase appresa in un libro, non si sbaglieranno sempre. Ma interrogateli sul Male, e loro vi parleranno di qualunque cosa, della legalità, dell'igiene, e novantanove volte su cento non otterrete da loro nient'altro che dei vaniloqui che vi faranno andare in collera" (BERNANOS G., "Una visione cattolica del reale" in NVCR, 20). 36 BERNANOS G., Lettera a Frédéric Lefèvre, in NVCR, 7-14.

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del suo primo romanzo Sous le soleil de Satan - il suo concetto sul peccato: prima di

tutto un deicidio.

"Il problema della Vita, dicevo, è il problema del Dolore. Per dire ancora meglio, tutto il problema della Vita è compreso interamente in quello del Peccato. Che cos'è allora il Peccato? Una trasgressione alla legge? Certamente, ma che misera astrazione questa! Invece avreste detto tutto di esso, se l'aveste chiamato con il suo nome: un deicidio. So che è una parola dura. Un Creatore che sorrida della sventuratezza della sua creatura, o aggrotti un po' le sopracciglia, è tanto più comodo! Ma se trascurate qualunque aspetto della definizione capitale, la redenzione non ha più senso, e l'infamante agonia del Giusto non è

altro che una storia spaventosa e demenziale"37.

Partendo da questo testo, possiamo dire che per Bernanos il peccato è:

a) Un concetto religioso. Anzitutto è un concetto religioso. Per capire cosa è il

peccato non possiamo rimanere nel campo sociale, neanche in quello giuridico,

filosofico o morale. Il peccato non è la trasgressione di una qualche esigenza sociale,

fosse pure un'esigenza tradotta in legge; non consiste nel non seguire un imperativo

categorico; non è direttamente il mancato rispetto di una regola, di un valore o di un

ideale. Per arrivare al senso autentico e completo del peccato, dobbiamo spostarci

nel campo religioso, e capire quello che significa la relazione interpersonale. Il

peccato c'entra qui. Esso presuppone una relazione personale con Dio. E' l'offesa di

questa relazione personale. E' infedeltà nei confronti di Dio. Solo nella misura in cui

la trasgressione delle regole e delle prescrizioni implica il disprezzo della santa

volontà di Dio, che si manifesta in tali comandamenti, la trasgressione è peccato. Ma

la trasgressione esterna della norma non esaurisce l'essenza del peccato che rimane

"dal principio alla fine una grandezza religiosa e non morale", come si esprime P.

Ricoeur. Il peccato esiste solo lì dove esiste Dio e si vive la relazione con lui. Orbene,

in seguito al lungo e ramificato processo di secolarizzazione, Dio e il divino sono

scomparsi sempre più dalla presenza e dalla coscienza dell'uomo. Si vive di fatto

come se Dio non esistesse. Ma dove l'uomo non sta più in relazione viva con Dio, lì

pure il peccato scompare.

E' chiaro dunque che il peccato è un concetto strettamente religioso. Per chiarire

quel che esso è bisogna porsi sul piano della relazione personale con Dio e non

soltanto sul piano della moralitàin generale.

37 BERNANOS G., Lettera a Frédéric Lefèvre, in NVCR, 11.

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b) Un concetto relazionale. Per il nostro autore, il peccato si definisce partendo

dalla relazione di Dio verso l'uomo e viceversa. Dove Dio non appare chiaramente

come il partner dell'uomo, diventa anche difficile concepire il peccato come

allontanamento da Dio, come infedeltà, ecc. La paura di vedere chiaramente Dio

come l'interlocutore dell'uomo contribuisce a far scomparire la coscienza del peccato.

Se Dio e l'uomo in quanto persone passano in secondo piano, allora scompare la

coscienza del peccato, l'interesse si incentra in maniera esclusiva sull'atto

peccaminoso, che viene esaminato e descritto oggettivamente nella maniera più

possibile precisa sotto punti di vista puramente giuridici. Infatti, siamo sul piano

concreto della vita38. Il peccato non esiste indipendentemente dall'uomo. Al contrario:

punto di partenza deve essere l'uomo concreto nel suo orientamento verso Dio.

L'uomo è infatti il soggetto del peccato. Il peccato non può costituire un tema a se

stante. In se stesso esso è pura negazione e oscurità. Si può parlare nel modo giusto

del peccato solo nel contesto dell'amore misericordioso di Dio. Quanto più il senso

del peccato svanisce, tanto più difficile diventa parlare all'uomo dell'amore immeritato

di Dio, rivelato nell'opera salvifica e redentrice di Gesù Cristo - "la redenzione non ha

più senso, e l'infamante agonia del Giusto non è altro che una storia spaventosa e

demenziale" - tanto più difficile diventa anche prospettare l'uomo nella sua situazione

reale.

Soltanto al cospetto di Dio il peccato rivela tutta la sua essenza negatrice e

distruttrice. Soltanto nella luce della santità e misericordia di Dio diventa chiaro che

cos'è il peccato; esso non è semplicemente un piccolo guasto nel meccanismo del

mondo, non è semplicemente il mancato rispetto di una qualche prescrizione, ma il

rifiuto di quel Dio che si fa incontro all'uomo con un amore infinito. "Il materialista non

ha detto gran che quando ha risposto che il Male è un'offesa al proprietario, al

giudice, all'ufficiale giudiziario e al gendarme! Invece il teologo viene in aiuto al

moralista e al romanziere (...) quando dichiara che il Male è il Peccato, e che il

38 Cf. BERNANOS G., Lettera a Frédéric Lefèvre, in NVCR, 11: "Il problema della Vita è compreso interamente in quello del Peccato". Bernanos è cosciente che le azioni fanno vedere la realtà di quello che gli compie: "Car parfois le plus vulgaire des hommes, égaré dans une salle de jeu, est pris au rytme de tous ces coeurs rapides, jette un louis sur le tableau, et découvre un peu de soi-même" (Sous le soleil de Satan, 254).

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Peccato non è per l'appunto quest'offesa al proprietario, al giudice, all'ufficiale

giudiziario e al gendarme, ma a Dio"39. Ancora di più:

"Il peccato è un deicidio, mio caro Leroux, e riconosco che un simile mistero sia difficile da decifrare: non ci si chiede tanto. (...) Se il peccato fosse solo una trasgressione alla legge, una sua repressione così severa sarebbe incomprensibile, ma è anzitutto un delitto contro l'Amore"

40. Per Bernanos "lo spessore" del peccato non consta solo in un'alterazione di una

relazione, ma di più, è un attentato a una persona, è un delitto contro "l'Amore".

Insomma, è un deicidio: "tutto il problema della Vita è compreso interamente in quello

del Peccato".

In quale senso? Nei suoi romanzi, l'autore vede l'uomo peccatore nel suo

tentativo di rivolgersi contro il Dio - che è "pienezza" - con il suo "vuoto". E questo

vuoto - l'espressione del nulla - diventa per Bernanos l'immagine significativa nel

definire il peccato.

c) "L'enorme aspirazione del vuoto" . Il peccato e in genere il male, appare

spesso nei romanzi di Bernanos come un principio di negazione - che fa sorgere

sempre immagini di vuoto, di silenzio, di notte - qualcosa che lascia la sua impronta:

il "segno di meno". La vita di Pernichon, mediocre e piena di peccati41 "porta il segno

di meno"42; essendo soltanto una illusione della vita, sta indirizzandosi come

"naturalmente" verso il nulla43. "Abissus abissum invocat". E' proprio quello che si

verifica nella fine di Mouchette: "allora s'è aperto in lei quel tremendo vuoto", quando

si ricorda "una certa strana rivelazione che l'ha talmente turbata" dove c'era "tutto il

segreto" della sua vita di menzogna (Sous le soleil de Satan, 210). "La sua delusione

fu totale, assoluta", "sentiva che qualche cosa mancava alla sua vita. Ma che cosa?

39 BERNANOS G., "Una visione cattolica del reale" in NVCR, 21. 40 BERNANOS G., "Una visione cattolica del reale" in NVCR, 12. 41 L'abate Cénabre svela a Pernichon la miseria della sua vita: "A vous prendre simplement (si vous voulez bien), j'estime, je tiens pour avéré que, loin d'opposer une résistance aux tentations extérieures, vous entretenez, avec beaucoup de peine et d'application, une concupiscence dont chaque jour affadit le venin. (...) il vous plaît de vivre dans ce mensonge d'un nom prodigué à des séductions imaginaires, lorsque votre sensualité suffit à peine à exercer utilement votre malice. (...) Je vois trop clairement les pensées suspectes, les désirs refroidis, l'acte avorté" (L'imposture, 319s). 42 "Mais vous!... Mais vous... Votre vie intérieure, mon enfant, porte le signe moins" (L'imposture, 320). 43 "Votre médiocrité tend naturellement vers le néant, l'état d'indifférence entre le mal et le bien. Le pénible entretien de quelques vices vous donne seul l'illusion de la vie" (L'imposture, 320).

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Quale? (...) Le mancava qualcosa che aveva posseduto: ma dove? ma quando? ma

in quale guisa? (...) (Eppure, Iddio ci chiama talvolta con voce così insistente e

soave! Ma quando, di colpo, ci abbandona, il grido che si leva dalla nostra realtà

carnale delusa deve stupire l'inferno!). E allora ella invocà (dal più profondo, dalla più

intima sostanza del suo essere), invocà Satana" (Sous le soleil de Satan, 212).

Questa negazione in se stessa, questo niente in sé - un "niente, insipido,

incolore, senza freschezza né calore"? (L'imposture, 342) - è visto da Bernanos nella

sua dimensione dinamica: "l'enorme aspirazione del vuoto".

"Il mondo del Male sfugge talmente, insomma, alla presa del nostro spirito! Non riesco, d'altronde, a immaginarlo sempre come un mondo, come un universo. E', e sarà sempre, soltanto un abbozzo, l'abbozzo d'una creazione odiosa, abortita, all'estremo limite dell'essere. Penso a quelle sacche flaccide e traslucide del mare. Che importa, al mostro, un criminale di più o di meno? Divora immediatamente il suo delitto, lo incorpora nella sua spaventevole sostanza, lo digerisce senza uscire un istante dalla sua orrenda, dalla sua eterna immobilità. Ma lo storico, il moralista, lo stesso filosofo, non vogliono vedere che il criminale: rifanno il male a immagine e somiglianza dell'uomo. Non si fanno nessun'idea del male stesso, di quell'enorme aspirazione del vuoto, del nulla" (Journal d'un curé de campagne, 1143).

Tutti coloro che ci sono sotto il dominio del peccato, "incorporati nella sua

spaventevole sostanza", lo sentono come tale: il signor Ouine44, il signor di

Clergerie45, l'abate Cénabre46. Infatti questo "annientamento" è la conseguenza del

peccato - su questo parleremo nel secondo capitolo - ma anche guardando agli

effetti possiamo arrivare a conoscere quello che sta in fondo, la radice, la "realtà"

44 "J'ai perdu tout sentiment de la mienne (de l'âme), alors qu'il ya a une heure seulement, je l'éprouvais ainsi qu'un vide, une attente, une aspiration intérieure. Sans doute a-t-elle achevé de m'engloutir? Je suis tombé en elle, jeune homme, de la manière dont les élus tombent en Dieu. Nul ne se soucie de me demander compte d'elle, elle ne peut rendre compte de moi, elle m'ignore, elle ne sait m�me plus mon nome. De n'importe quelle autre geôle, je pourrais m'échapper, ne fût-ce que par le désir. Je suis précisément tombé là où aucun jugement ne peut m'atteindre. Je rentre en moi-même pour toujours" (Monsieur Ouine, 1560). 45 "Serviteur d'une ambition minuscule, en apparence inoffensive, il a fait pour elle le vide dans sa vie, et voilà que ce vide l'aspire: il s'y sent glisser comme au néant" (La joie, 627s). "Ce qui descend lentement sur le pauvre homme ainsi qu'un brouillard du glacial novembre, ainsi que l'oubli sur un mort, c'est l'ennui. Il ennuie. Malgré tous ses soins, la grande épargne qu'il a faite de lui-même, une merveilleuse adresse, il n'aura pu prolonger jusqu'à la fin, jusqu'aux obsèques, le laborieux mensonge de sa renommée. Mais sa vie a un autre secret, un autre principe de mort. Ce vide étrange, où achève de se perdre un labeur de tant d'années, gagne sans cesse, et voilà que le sol même manque sous ses pieds" (La joie, 630s). 46 "Mais l'abbé Cénabre ne doutait point, et il n'était pas tenté. De ces épreuves à la morne évidence exprimée par son dernier cri, il y avait justement ce qui distingue l'absence du néant. La place n'est pas vide, il n'y a pas de place du tout; il n'y a rien" (L'imposture, 333-334).

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("nullità") del peccato, che rimane sempre lo stesso47: il rivolgersi contro Dio.

Partendo da qui si capisce cosa vuol dire "deicidio". Se "per l'amore, niente è

mediocre, tutto è grande" e se "la più piccola parte di ciò che ama, non gli è meno

preziosa, urgente, necessaria"48, allora, solo partendo da "questo prodigioso

richiamo che ha fecondato il caos"49, partendo dall'"Amore assoluto" si può capire

cosa vuol dire "deicidio": Bernanos descrive il peccato come dinamismo a ritroso: è

uno dei "tentativi assurdi, spaventosi" di Satana "per rifare tutto lo sforzo della

Creazione in senso contrario" (Journal d'un curé de campagne, p. 1087). In questo

caso appare la domanda: l'uomo, accettando il "misfatto di Satana", nel suo tentativo

di "annientamento" - giù nel dinamismo dell'"enorme aspirazione del vuoto" - non

compie in sé un "delitto contro l'Amore", "un deicidio"? "C'est en nous qu'Il (Dieu) est

saisi, dévoré. C'est de nous qu'Il est arraché" (Sous le soleil de Satan, 257).

2. Il peccato: misfatto di Satana

In questo secondo punto vogliamo considerare il concetto di peccato dalla

prospettiva dell'azione di Satana, sottolineando insieme con l'autore l'influsso

diabolico sull'uomo che compie il peccato. Bernanos ha descritto spesso nei suoi

romanzi i misfatti di Satana fra le anime. Vediamo prima di tutto la causa

dell'introduzione di questo tema nella sua opera.

"Eliminare in certo modo, razionalmente parlando, la presenza del demonio...

sarebbe concedergli la più grande vittoria, che lui desidera: poiché egli trionfa sia

provocando una esagerata credenza nella sua potenza, sia provocando la negazione

di questa stessa potenza... Il demonio trionfa sfuggendo sempre alla conoscenza

immediata dell'uomo. E' l'ambiguità incarnata... O lo si cerca nel sensibile: e lì

sfugge, facendo credere ai razionalisti che si tratta solo di patologia; o lo si cerca nel

'male teologico' e qui ancora sfugge, facendo credere che non agisce affatto, o

facendo credere che fa tutto lui"50. Queste parole, scritte da un teologo

47 "Il y a des morales toutes neuves, mais on ne renouvellera pas le péché" (Sous le soleil de Satan, 235). 48 BERNANOS G., "Lettera a Frédéric Lefèvre", 12s. 49 BERNANOS G., "Lettera a Frédéric Lefèvre", 13. 50 MOELLER Ch. Réflexions en marge du "Satan" des Etudes Carmélitains, CM 34 (1949), 199-200.

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contemporaneo al nostro autore, ci danno il punto di partenza: sembra che nel

mondo si è dimenticato qualcosa importante. E Bernanos aggiunge: "Ci sono dei

preti che non osano neanche pronunciare il nome del diavolo. Che ne fanno della

loro vita interiore? Un campo di battaglia degli istinti. Della morale? Un insieme dei

sensi: e della grazia un giusto raziocinio che eccita l'intelligenza; della tentazione un

appetito carnale che questa intelligenza tende a fuorviare. E così danno appena

conto dei più banali episodi del grande combattimento che in noi è impegnato"51

a) L'azione deleteria di Satana . Riproponendo "la condizione umana sotto la

sua vera luce soprannaturale, Bernanos si è impegnato a ricordare che il male esiste;

meglio ancora: che il Maligno, da cui nascono le opere del male, esiste; e che egli è

per ogni uomo quell'avversario, quel leone ruggente che cerca di divorarlo, di cui

parla San Pietro. Il mondo, ciò che Cristo, rifiutandosi di pregare per lui, intende per

mondo, e che non è altro se non l'impero del Maligno, serve ai disegni del suo

signore facendolo passare inosservato, dando a credere che non esiste. Lo stesso

combattimento spirituale che devono affrontare come individui i personaggi di

Bernanos, a questo combattimento tutta quanta la citt� terrena prende parte, lo

voglia o meno. Perciò il nome del Maligno è Legione. Bernanos ce lo ricorda"52. La

sua convinzione è che c'è "qualcuno" che "si sforzi di rassomigliare a Dio" (Sous le

soleil de Satan, 213) e si interpone nella più intima relazione dell'uomo con Dio,

qualcuno "che non è poi neanche un personaggio tanto secondario! C'è... c'è... una

torbida creatura, incomparabilmente sottile e cocciuta, che non è paragonabile a

nulla, se non forse ad un atroce sarcasmo, a un tremendo riso. (...); il tremendo

carnefice che ride", qualcuno che "gli fischiano come un cane", e loro, gli uomini

51 Sous le soleil de Satan, 221. "Tolto di mezzo il diavolo, il moralista non esercita più la sua magistratura. L'igienista lo ha presto rimpiazzato. Niente più diavolo, ma ancora più morale... Un'igiene" (BERNANOS G., "Interviste" in NVCR, 48). 52 ESTANG L., Geroges Bernanos, Brescia 1952, 47. Castelli insiste sul dovere dello scrittore "realista" di fare dal Maligno "una presenza e, se gli riesce, un personaggio. Altrimenti la sua psicologia resterebbe miope; descriverebbe episodi senza conoscerne le cause" (CASTELLI F., Volti di Gesù nella letteratura moderna, I, 151). Infatti, in Sous le soleil de Satan Bernanos ci suggerisce quasi fisicamente la presenza del Maligno e la sua indiavolata impazienza di piantarsi nel cuore dei figli di Dio. Sottolinea fortemente che senza accettare questa presenza anche la vita interiore dei preti diviene "le morne champ de bataille des instincts. De la morale? Une hygiène des sens. La grâce n'est plus qu'un raisonnement jus-te qui sollicite l'intelligence, la tentation un appétit charnel qui tend à la subordoner" (Sous le soleil de Satan, 221).

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"credono di averlo addomesticato" (Sous le soleil de Satan, 256s). E' una presenza

terribile, come anche la sua azione:

"Il Nemico vi guarda è ride; non è su voi che appunta l'artiglio. Nei vostri libri vaniloquenti; e anche meno, nei vostri blasfemi o nelle vostre imprecazioni risibili, Satana non c'è. E neppure nelle vostre mani perfide; nei vostri sguardi avidi, nelle vostre orecchie piene di vento: non c'è. Invano voi lo cercate nella carne più segreta che la vostra spregevole foia attraversa insaziata; quando la bocca che voi mordete non istilla che un sangue insipido e sbiadito: non c'è. Nell'orazione del solitario, nel suo digiuno, nella penitenza, in fondo al calice dell'estasi totale, lì, sì, c'è: e nel silenzio del cuore. Ammorbia l'acqua lustrale, arde nel cero sacro, respira nell'alito delle vergini, avvelena il morso del flagello e del cilicio, guasta tutte le vie. Mentisce sulle labbra dischiuse a dispensare la parola della verità; lo si è visto perseguitare il giusto tra i tuoni e le folgori dell'estasi beatificatrice, fin nelle braccia di Dio. (...) L'odio di Nemico è privilegio dei santi" (Sous le soleil de Satan, 153-154).

Infatti, sono dapertutto "queste creature mutilate", con la loro "curiosità feroce" e

la loro "spaventevole sollecitudine per l'uomo" (Journal d'un curé de campagne,

1105), "in tutte le case, anche cristiane, ci sono delle bestie invisibili, dei demòni", ma

"la più feroce" bestie o presenza si trova dentro, nel cuore dell'uomo: "era nel vostro

cuore da molto tempo, e voi non lo sapevate" come dice il curato di campagna alla

signorina Chantal (Journal d'un curé de campagne, 1136). E dalla seconda persona,

che sempre è un'"altro" nel Journal d'un curé de campagne, l'autore ci porta nel Sous

le soleil de Satan alla prima persona per riconoscere insieme con M. Menou-Segrais,

il decano di Campagne, una presenza "che ogni giorno incontriamo, e non,

purtroppo, sul crocicchio, alla svolta, ma proprio in noi"53. "Ci possiamo sollevare

quanto vogliamo con la preghiera e la carità, noi lo porteremo pur sempre con noi,

attaccato al nostro fianco, lo spaventoso compagno, tutto scosso da un immane

riso!" (Sous le soleil de Satan, 256). Così lo sente l'abate Donissan anche quando "è

ai piedi della croce", "perché egli la porta in sé la cosa innominabile, abbarbicata nel

suo cuore: larga e pesante la sua angoscia: Satana. (...) Un altro respira con lui. (...)

Egli porta in sé questa zavorra e non ha il coraggio di scaricarsene: dove gettarla? In

un altro cuore?" (Sous le soleil de Satan, 239). No. "Voi mi portate nella vostre carne

torbida, me, luce-essenza!, nel triplice strato della vostra ventraia, me, Lucifero..."

(Sous le soleil de Satan, 174). E' nel cuore che lui diventa un "altro se stesso". Allora

il cuore si trasforma in campo di lotta tra questi due "io". Quello che "cerca

d'impadronirsi del pensiero di Dio"(Journal d'un curé de campagne, 1087), non

53 Sous le soleil de Satan, 223; "le péché sortait d'elle" (Journal d'un curé de campagne, 1139).

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rinuncia mai alla sua tentazione54 - perché: "ecco la verità. Le mie delizie sono di

essere con voi, piccoli uomini-dei, singolari, singolari, così singolari creature!" (Sous

le soleil de Satan, 174) - che va dall'adulare fino alla minaccia: e lui, "il vuoto e

l'oscurità", con un ultimo tentativo, costringeva il vicario di piegar le ginocchia (Sous

le soleil de Satan, 184). Per quell'"assassino delle anime" (Sous le soleil de Satan,

176), per quel "Nemico che ruba tutto" (Sous le soleil de Satan, 261), "l'intrepida

disperazione" (...) rimane "l'arma che così spesso il nemico gli rivolgerà contro,

proprio in mezzo al cuore" (Sous le soleil de Satan, 148), accanto a un altra: "il suo

riso! E' la sua arma; l'arma del principe del mondo!" (Sous le soleil de Satan, 261). La

sua potenza è grande. L'abate Donissan deve riconoscere: "Ah, Satana ci tiene i

piedi sul collo" (Sous le soleil de Satan, 260). "Egli è il principe di questo mondo: l'ha

nelle sue mani, può farsene re... Noi siamo sotto i piedi di Satana" (Sous le soleil de

Satan, 261). Ed esclama con stupore lo stesso Donissan: "Ah, Signore, siamo noi

dunque così trasparenti per il Nemico che ci spia?" (Sous le soleil de Satan, 180).

Tutte queste sono espressioni forti che utilizza Bernanos per smascherare il

"Nemico infernale". Bensì ci porta nel campo del peccato, tuttavia presentano solo

l'azione deleteria di Satana, quale che sia violenta, non si può parlare di peccato.

Dobbiamo sottolineare quest'aspetto: nella visione di Bernanos c'è un legame molto

stretto tra l'azione diabolica e l'atto dell'uomo che chiamiamo peccato.

b) "L'indicibile misfatto" di Satana nelle anime. Per poter parlare di peccato,

invece, c'è bisogno di una metamorfosi nel senso che l'azione satanica deve entrare

dentro, nel cuore e diventare la risposta dell'uomo. Soltanto allora possiamo

nominare quest'opera del Male e dell'uomo, cioè il peccato come "l'indicibile misfatto

che è consumato nella povera sostanza umana"55. E il peccato - ci dice l'autore -

"raramente entra in noi di violenza; più spesso di astuzia. Si insinua come l'aria. Non

ha una forma propria, né colore, né sapore; ma può prenderli tutti" (Sous le soleil de

Satan, 261).

In questa prospettiva, per Bernanos il peccato consiste essenzialmente nel

rinunciare alla lotta, stancarsi o semplicemente lasciarsi portato avanti 54 "Il n'attend jamais, il ne fait ferme nulle part" (Sous le soleil de Satan, 261). 55 Sous le soleil de Satan, 256: "c'est dans la pauvre chair humaine que l'ineffable meurtre est consommé".

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dall'atteggiamento diabolico di distacco ontologico da Dio per sprofondare in nulla. "Il

peccato contro la speranza - il più mortale di tutti - è forse il meglio accolto, il più

accarezzato. (...) E' il più ricco degli elisiri del demonio" (Journal d'un curé de

campagne, 1116s). "Sotto il sole di Satana", cioè sotto l'influsso del Maligno, l'uomo

può decidere di chiudersi in sé, rifiutando ogni fede e speranza; satanico è il rifiuto

d'ogni forma di solidarietà col Creatore e le creature, e il scegliere di essere solidale

con "l'angelo nero" che diventa "il padrone della volontà" (L'imposture, 348).

L'opera romanzesca bernanosiana presenta diversi volti del peccato dell'uomo,

volti che nascono dall'unico vero male, il Satana e che trovano nella libertà umana

quell'egoismo mortale che bracca l'uomo su tutte le sue strade e non gli dà pace,

sempre "vincolando l'anima pericolosamente" (Monsieur Ouine, 1509). Sotto il sole di

Satana e sotto il suo influsso, il peccato rimane "un atto misterioso di cui il demonio

non possiede forse tutto il segreto"56: è "ribellione, sacrilegio, blasfema, tutto di una

certa qual grandezza feroce, che si dovrà domare" (Sous le soleil de Satan, 262), ma

è anzitutto orgoglio, menzogna,... E quello che è più orribile è che il peccato viene

amato e servito per se stesso. Bernanos insiste sul piacere satanico, ad esempio,

quando s'impadronisce dell'abate Cénabre quando questo ha rifiutato Dio57

donandosi al nulla, cioè a Satana che irrompe nella sua anima. Come anche

Mouchette, Cénabre è "posseduto"58, ma l'autore non s'interessa di questa

possessione che nella prospettiva metafisica e spirituale59. A quella indiavolata

impazienza di piantarsi nel cuore dei figli di Dio corrisponde l'atto dell'uomo che rifiuta

il Dio e si dà al Maligno. Solo allora, veramente l'azione di Satana si trasforma

nell'uomo in un "indicibile misfatto" che comporta quella gratuità della dannazione

che "è l'immagine inversa della gratuità dell'amore e che fa sì che il peccatore si

comporti con Satana come un servitore o un amante"60. Nel capitolo secondo

analizzeremo le conseguenze. Adesso seguiamo alcuni peccati sui loro sentieri

particolari.

56 Journal d'un curé de campagne, 1509. 57 L'imposture, 443: "La vie de l'abbé Cénabre est (...) un des rares, et peut-être le seul exemple d'un refus absolut". 58 L'imposture, 349: "la première et définitive possession". 59 Nel senso che questo dono di sé al Maligno lascia tuttavia alla grazia - vuol dire, il doppio sacrificio di Chevance e di Chantal de Clergerie - la possibilità di rompere il circolo della disperazione. 60 MILNER M., Georges Bernanos, Séguier, 1989, 100.

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2. I PECCATI DELLO SPIRITO

E' vero che Bernanos non si preoccupa di una definizione sistematica del

peccato, tuttavia descrivendo le azioni umane nel suo modo poetico, lascia

intravedere diversi atteggiamenti peccaminosi, i quali infatti mettono in chiaro la sua

concezione di peccato. La verità del peccato si incarna continuamente in certi atti

particolari, in certe forme personali, attuali del male.

Attento osservatore del comportamento degli esseri, Bernanos esaminando le

passioni dello spirito alla luce della debolezza della carne - lui sa che le passioni

dello spirito trovano un'eco immediata e una complicità nella debolezza della carne,

poiché sono le febbri dei sensi a fomentare i deliri dello spirito - privilegia i peccati

dello spirito, perché il vero male terribilmente dannoso è un male spirituale,

fecondato dallo spirito che si chiama Satana. Infatti, non tanto i peccati della carne,

quanto l'orgoglio, la menzogna, l'odio, la malvagità - insomma, i peccati dello spirito -

spingono i suoi personaggi verso i più profondi abissi della miseria. Per Bernanos si

à un solo peccato, quello della mancanza d'amore. Tutti gli altri peccati sono

solamente la conseguenza di quest'unico. Ecco perché in questa seconda parte del

primo capitolo vogliamo mettere in risalto i principali peccati presentati nei suoi

romanzi come atteggiamenti fondamentali dell'uomo, per arrivare alla fine di definire

la vera natura del peccato.

1. La menzogna

Bernanos scopre nell'anima dell'uomo, sotto la tepida corazza della mediocrità, il

temibile travaglio dell'ipocrisia e della menzogna. Nella sua opera, Bernanos parla

più volte di menzogna passando sempre dal registro della psicologia a quello della

metafisica, mettendo in rilievo la dimensione metafisica di ciò che spesso viene

studiato soltanto dal punto di vista della psicologia. La menzogna appare come la

sola rivincita sulla noia o la disperazione di un essere insoddisfatto nella sua ricerca,

nell'impossibilità di rispondere all'appello di Dio: si aggrappa spontaneamente a

questo unico mezzo di cui dispone per dominare gli altri a sua volta o per superare

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l'esistenza reale mediante la creazione di un mondo immaginario, dai colori

evidentemente tragici e crudeli, poiché sono quelli delle sue amarezze represse, del

suo orgoglio ferito.

Per la Mouchette, la menzogna - legata alla voluttà, all'immenso giubilo del

piacere, al sogno, al peccato, al piacere sessuale - diventa una tecnica che lo fa

sperare di sorpassare la condizione umana ordinaria. Mouchette vi si rifugia - nella

"meticolosità del mentire - davanti al dottore Gallet, chi "dans ce mensonge le

malheureux se délectait" (Sous le soleil de Satan, 100), e davanti al marchese di

Cadignan.

Simone Alfieri di Un mauvais rêve di fronte alla prospettiva di una vita mediocre,

foggia il proprio destino, scegliendo la sua parte: "una parte che ci permetta di

mentire agli altri senza perdere del tutto il contatto con noi stessi" (Un mauvais rêve,

957). Così la menzogna diventa per lei una "meravigliosa evasione, la distensione

sempre efficace, il riposo, l'oblio" (Un mauvais rêve, 988).

La menzogna non è più solo mezzo di difesa, protezione del tutto negativa, ma

viene innalzata al livello di ideale funesto, di realtà amata solo per se stessa, come in

Sous le soleil de Satan: "su questo assai povero tema, alla perfida ragazza bastava

l'animo di inventare bugie fino all'alba. Ogni bugia era un nuovo refrigerio che le

lisciava la gola come una carezza; ed ella avrebbe mentito, in quella notte, sotto

l'insulto, sotto i colpi anche a costo della vita: avrebbe mentito, così, per mentire"

(Sous le soleil de Satan, 89), o come in altre opere dove Bernanos conferisce alla

menzogna tutta la profondità di un mistero soprannaturale, vera e propria

espressione del male in un mondo di tragica indifferenza e di misera parodia della

grazia: questa "ipocrisia fondamentale (...) che fa della vita di molti uomini un

dramma orrido di cui essi stessi hanno perduto la chiave, un prodigio di artificio, una

morte vivente" (La joie, 562).

Qui entra il caso dell'impostore lucido e cosciente, l'abate Cénabre, la cui

menzogna è prima di tutto rifiuto, un rinnegamento della verità, che ha incominciato

dalla prima infanzia quando "il piccolo contadino, roso dall'orgoglio, recitava quasi

innocentemente, per istinto, nella casa paterna, la lugubre commedia della

vocazione" e ha trasformato la sua vita in "un'ipocrisia quasi assoluta" nel senso che

"l'inclinazione, l'ardore, la frenesia della bugia e la sua perpetua attuazione, porta a

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un vero sdoppiamento, a uno sdoppiamento realmente mostruoso, dell'essere"

(L'imposture, 362) che "raggiunge il suo punto di perfezione, la sua orribile maturità"

quando "capisce che non c'è più posto per lui sulla terra, e si dissolve nell'odio

soprannaturale dal quale è nato" (L'imposture, 365). "Sarebbe vano sostenere -

sottolinea l'autore - che l'antica, faticosa menzogna della sua vita fosse stata

inconscia" in quanto "se può ancora ingannare gli altri, non ingannerà più se stesso"

(L'imposture, 370), e "per mentire proficuamente, efficacemente e sicuramente,

bisogna conoscere la propria bugia e allenarsi per farsela piacere" (L'imposture,

459). Infatti erano radunati "trent'anni di menzogna, tanto perfettamente consumata

che era diventata come la sua stessa sostanza, la sua natura profonda e fatale"

(L'imposture, 381). Cénabre vive ogni istante per perseguire quest'unificazione con la

menzogna che gli fa gustare un'indefinibile, satanica libertà: spogliatosi di tutto, fino

al più sofisticato odio di sé, puù affermare di non dovere nulla a quel Dio, in cui non

crede. Ripete "a se stesso cento volte: 'Ho perso soltanto Dio'" e arriva alla

conclusione: "quindi non ho perso nulla" (L'imposture, 457). Proprio qui sta la

tragicità di questo "personaggio artificiale e ingannevole". Nell'impostura c'è insomma

un riflesso di Satana61, ed è per questo che Cénabre svolge la sua azione in favore

del male, la sua missione per il male con la stessa sollecitudine che un bravo

sacerdote applica al bene. Però la menzogna porta le sue vittime verso il nulla, dopo

aver loro concesso, per un attimo, l'illusione del trionfo62. Prima di scoprirne, l'orribile

effetto nella sua stessa persona lo farà sprofondare nella follia.

Poi, è il caso dell'ambiguo signor Ouine. Questa "specie di prete di Satana e la

figura inversa dei preti di Dio", che attraverso le pagine del romanzo che gli porta il

nome "disvela un mondo inverso del mondo salvato dalla grazia divina"63, oltrepassa

le dimensioni umane di Cénabre e di Simone Alfieri, per incarnare temporaneamente

l'ambiguità e il nulla, e scopre, al momento di morire o meglio al momento di

"sparire", che il mentire a se stesso ha costituito l'elemento fondamentale della sua

61 Sous le soleil de Satan, 307: "Ah! le diable, l'autre, est sans doute un adroit, un merveilleux menteur". 62 "Mais les misérable que j'ai vus devant moi - e qui discutent, sourient, se débattent, mentent, mentent, mentent - jusqu'à ce qu'une dernière angoisse les jette à nos pieds comme des sacs vides!" (Sous le soleil de Satan, 257). 63 BEGUIN A., "Storia d'un romanzo", nota a BERNANOS G., Il Signor Ouine, Logos, Roma 1982, 293.

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esistenza: "ho parlato per evitare di udirmi, dicevo a me stesso qualsiasi cosa, e ciò

mi era diventato naturale come è naturale per il ruminante il rigurgitamento del bolo

alimentare" (Monsieur Ouine, 1547). C'è ancora il signor de Clergerie: "piccolo uomo

nero e tragico", mediocre che "non desidera che di mascherare il suo nulla",

rappresentando "la sua parte di gentiluomo erudito", "va istintivamente verso i

mediocri" entrando "nella loro menzogna", senza mai intraprendere "la ricerca della

propria verità"64, è giù "morto da lungo tempo" (La joie, 624); c'è la sua servitù -

Fiodoro, Fernanda, Francesca - tutti come lui, capaci "a divorarsi a vicenda. Tale è il

potere della menzogna" e che "non conoscono che le loro menzogne e non sappiano

che cosa c'è dietro di esse" come riconosce lo stesso Fiodoro (cf. La joie, 543); c'è la

nonna di Chantal che "ha costruito la sua storia così, pagliuzza a pagliuzza come un

uccello fa per il suo nido, menzogna su menzogna" di quelle "più temibili che si

sostengono contro se stessi" (La joie, 663); c'è Mitonnet - personaggio incidentale -

nel suo sguardo, il curato di campagna legge "la menzogna, non questo o quella

menzogna, ma la volontà della menzogna", "come un'acqua torbida, un fango"

(Journal d'un curé de campagne, 112s).

Descrivendo tanti atteggiamenti di bugiardi, Bernanos vuole mettere in rilievo

l'orribilità di questo stare dell'uomo. Ecco finalmente la sintesi della sua concezione

sulla menzogna e ipocrisia: "l'ipocrisia non è che un vizio simile agli altri: debolezza e

forza, istinto e calcolo vi hanno entrambi parte; ma una menzogna così totale da

informare ciascuno dei nostri atti, per essere sopportata fino alla fine deve

abbracciare strettamente la vita, sposarne il ritmo" (La joie, 718). Sprofondare nella

menzogna: è questo il peccato che conduce alla morte. E la sua conclusione: "non

c'è nulla che Dio detesti di più" (La joie, 548).

2. L'orgoglio e l'odio

Per Bernanos tutti i peccati sono forme dell'orgoglio: l'odio, la disperazione, la

curiosità, tutti appartengono all'orgoglio. Infatti i grandi peccatori bernanosiani sono

animati da un immenso orgoglio e astuzia, identificati con "gli antichi demòni familiari

64 Cf. La joie, 536s; "Chaque être, si misérable qu'on le suppose, a néanmois sa vérité. Mais qu'importe la vérité des êtres à qui n'a jamais entrepris de rechercher sa propre vérité?" (La joie, 536).

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dell'uomo, padroni e servitori tutti insieme, i terribili patriarchi che hanno guidato i

primi passi d'Adamo alla soglia del mondo maledetto" (Journal d'un curé de

campagne, 1133).

La contessa di Journal d'un curé de campagne, per la quale "basterebbe

l'orgoglio soltanto, a tenerci in piedi" (ibidem, 1151) dall'orgoglio, in ultima analisi, si

rivolta contro Dio (cf. ibidem, 1155s).

Nella prima Mouchette "il solo sforzo della sua vita" è stato un tragico orgoglio:

"un orgoglio animalesco le spirava chiaro nella voce"; "un fuoco di orgoglio deluso

finì di consumare i resti della sua folle e cruda adolescenza" (Sous le soleil de Satan,

110s).

Questo peccato che "come l'avarizia è un vizio solitario" (Monsieur Ouine, 1506)

e "non ha età" (Journal d'un curé de campagne, 1139), "l'orgoglio sacerdotale,

spoglio d'ogni carattere soprannaturale" con il suo "certo accento di stupidità"

(ibidem, 1089), porta in Cénabre ad un "incredibile degradazione tutta la sua vita che

si reggeva sull'orgoglio" mentre lui "si lusingava di averle procurato in quel modo un

fondamento forte e sicuro"; era lo "strano errore di un uomo che non sapeva ancora

che l'orgoglio non è nulla in sé, non è altro che il nome dato all'anima che divora se

stessa". Ed ecco l'apice di questo peccato: "quando questa disgustuosa perversione

dell'amore ha dato il suo frutto, viene designata con un altro nome, più ricco di senso,

sostanziale: l'odio" (L'imposture, 446). L'odio diventa uno stato assoluto, il nulla che

gli farà tentare il suicidio e sfiorare la follia. L'odio è rivolto anche contro se stesso:

"Si disprezzava, si odiava, nella sua disperazione e nella sua vergogna, ma non

poteva, no mai! non poteva aver pietà di sé". La superbia, l'orgoglio di Cénabre è

prima di tutto l'inganno contro se stesso, ed è per questo che Cénabre si odia.

Cénabre diventa così incapace di carità65 perché l'orgoglio lo divora, anche se

65 L'orgoglio tende all'odio e degli altri e di sé. Bernanos osserva questo processo in Cénabre mettendo in risalto come i due tipi di odio si manifestano contemporaneamente. Quando Cénabre riceve nel confessionale il giornalista Pernichou, un "mediocre", un "vile", vede quest'uomo come un piccolo buon uomo che ha "le goût sournois de l'atteindre par un biais, avec le moindre risque" (L'imposture, 315) e gli rivolge uno sguardo che "exprimait une sorte d'attention (...) celle qu'on porte sur les choses dont la bassesse purement matérielle reste au-dessous d'un jugement particulier" (ibidem, 316). E' un odio terribilmente umiliante, un odio freddo, espresso nella "voce gelida" (ibidem, 317) del prete, che avvilisce l'uomo, fa di lui un oggetto, e nello stesso tempo quest'odio dell'altro à l'altro viso dell'odio di sé: "...à quoi donc l'abbé Cénabre comparait-il intérieurement le petit homme? Car on ne considère ainsi que la part déshonorée de soi-meme" (ibidem, 317). La miseria di Pernichon non gli rimane estranea: quasi inavvertitamente si vede proiettato nel suo penitente e gli

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esternamente non sembra diverso da altri preti. Però "in quell'anima predestinata tra

tutte, l'orgoglio e l'ambizione avevano instaurato troppo presto il loro impero"

(L'imposture, 463). Infatti vive con austerità; un'austerità che però usa per nutrire il

suo orgoglio, così come la regolarità esterna della sua vita sacerdotale. L'orgoglio lo

porta a perdere la sua fede: "'Non credo più' gridò con voce tragica", e il vuoto della

fede sarà riempito dall'odio: "L'odio esplodendo nel suo cuore, prima di tutto l'aveva

investito di un fuoco così doloroso che non aveva potuto pensare che a quello; ma

esso non si riferiva a nulla: era un odio impersonale, una colata d'odio puro,

essenziale" (ibidem, 375).

E' lo stesso peccato, "l'orgoglio demoniaco", che perderà Simone Alfieri di Un

mauvais rêve, perché per orgoglio rifiuterà quel movimento della grazia che l'avrebbe

fatta rinunciare al delitto e per orgoglio ucciderà.

Il signor Ouine, l'uomo senza Dio in un mondo senza Dio, ha una fede in se

stesso "dura ed inalterabile come il diamante" e tuttavia "nessuna pietà per se

stesso, nessun rimpianto. L'orgoglio fomentato per tanti anni, nell'intimo del suo

animo, quell'orgoglio così perfettamente unito alla sua vita, alla sua sostanza, alla

sostanza della sua vita, cui non avrebbe forse saputo ancora dar il vero nome,

l'orgoglio aveva appena consumato in lui persino il rimorso" (Monsieur Ouine, 1481s)

e alla fine "gli chiudeva ancora la bocca" e lui "chiedeva grazia solo a se stesso"

(Monsieur Ouine, 1557). Era la chiusura totale in se stesso. Se ad ognuno dei

personaggi di Bernanos sarà data una possibilità di salvezza, il signor Ouine è l'unico

realmente perduto. Sono le parole del moribondo: "sentivo (l'anima) come un vuoto,

un'attesa, un'aspirazione interiore. (...). Sono caduto in essa, (...) come gli eletti

cadono in Dio. (...) Da qualsiasi altra prigione, potrei fuggire, pur col solo desiderio. Io

son precisamente caduto dove nessun giudizio può raggiungermi. Rientro in me

stesso per sempre" (Monsieur Ouine, 1560), ciò che vuol dire "rientro in nulla". Infatti

"nessun odio potrebbe essere appagato in questo o nell'altro mondo, e l'odio che

abbiamo per noi stessi è forse quello fra tutti per il quale non c'è perdono!" (Monsieur

Ouine, 1521).

pone la domanda alla quale lui stesso deve dare una risposta: "Vous croyez-vous donc vivant?" (ibidem, 319).

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Si può, dunque, dire che il peccato di orgoglio, che non risparmia con la sua

tentazione perfino il santo di Lumbres66, appare in Bernanos come l'amore o il

desiderio, l'attenzione o l'interesse centrato su se stesso, rivolto solo verso il proprio

io, un amore che ama nell'uomo solo l'uomo; è l'amore perciò della parte caduta,

avvilita dell'uomo, capace di trasformarsi in odio e di sprofondare la sua vittima in

nulla. In ultima analisi è il rifiuto di Dio, rifiuto che si può cogliere solo nel fondale di

questo atteggiamento di "disgustuosa perversione dell'amore".

3. Altri peccati

a) La curiosità. L'orgoglio, secondo Bernanos, non solo divora l'essere

orgoglioso, ma tende ad inghiottire anche gli altri attraverso la curiosità che è una

forma di orgoglio di penetrare nella "parte riservata" dell'uomo. Infatti, nel fondo di

ogni peccato accanto a quel rischio giocato sul nulla, a quella gratuità della

dannazione c'è anche la curiosità morbosa che sfocia nel vuoto.

L'abate Cénabre è un "curioso" per eccellenza perché lui, prete senza

vocazione, vuole scoprire il segreto dei santi, vuole sorprendere "l'inaccessibile

santità"67: "s'accosta alle grandi anime solo spinto da un sentimento di venerazione,

e persino la sua curiosità è mossa da un tale slancio che si potrebbe scambiarla per

amore", ma - commenta il nostro autore - "gli è stato soltanto concesso di

immaginare un ordine spirituale scoronato della carità" (L'imposture, 329). "La

curiosità dell'abate Cénabre non è saziata infatti neanche nell'angoscia, sopravvive a

tutto" (La joie, 703).

Per Bernanos la grazia è un mezzo di conoscere - si può dire la lucidità

soprannaturale - provvisto di un amore intenso che è giù partecipazione all'Amore di

Dio, che permette ai "santi" bernanosiani di penetrare nell'anima degli uomini e

66 "Il ne désire rien; il est vaincu. Par la brèche ouverte, l'orgueil rentre à flots dans son coeur..." (Journal d'un curé de campagne, 236) e poi il masochismo con cui s'infligge le penitenze corporali fino a commettere una sorta di "suicidio morale la cui crudeltà ragionata, raffinata, segreta dà il brivido" (cf. ibidem, 149-151). 67 "'J'ai toujours été attiré par la sainteté, disait-il un jour à M. de Colombières, et curieux de ses formes les plus singulières, les plus réservées". Le vrai est que sa rude nature concevait difficilement cet état exceptionnel de l'âme dont sont intelligence cherchait à pénétrer les causes" (L'imposture, 366).

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discernere la loro scelta per il Bene o per il Male68. La conoscenza attraverso

l'amore è una comunione nella carità, nella "comprensione", perché "comprendere è

un modo di amare" (Journal d'un curé de campagne, 1157). Da questo contesto, la

curiosità appare prima di tutto come un peccato contro l'amore: distrugge anche la

persona che lo compie: "lentamente disgregata dal fascino del dubbio volontario, dal

sacrilegio d'una curiosità senza amore, la fede era svanita totalmente (nell'abate

Cénabre), come una funzione che non può sopravvivere all'organo distrutto, e di cui

non sussiste più neppure il bisogno" (L'imposture, 334). Poi è un peccato

dell'"intelligenza": è il "delirio della conoscenza" che diventa "la migliore arma contro

la grazia"69. Infatti, ha qualcosa comune con "la curiosità feroce dei demoni" (Journal

d'un curé de campagne, 1105).

"L'illustre Maestro", Antoine Saint-Marin, accademico di Francia, sempre alla

ricerca di novità, forse con l'intento di scrivere un nuovo libro, si reca a Lumbres per

conoscerne il parroco e sperimentare con "curiosità" "la sorpresa di un po' di

soprannaturale e di miracoloso". Durante l'attesa dell'incontro comincia a curiosare

nella canonica: scruta con occhio indagatore ogni angolo e analizza cinicamente tutti

gli spazi in cui si svolge l'esistenza del "santo", per poter gustare l'ebbrezza di

impossessarsi del suo segreto. Ma guardando attraverso una porta semiaperta,

68 "'Que voyez-vous? demandait-on au saint homme. Quand voyez-vous? Quel avertissement? Quel signe?' Et il répétait, d'une voix d'enfant studieux auquel échappe le mot du rudiment: 'J'ai pitié... J'ai seulement pitié!...' Quand il avait rencontré Mlle Malorthy sur le bord du chemin, ne voyant devant lui qu'une ombre presque indiscernable, une violente pitié était déja dans son coeur. N'est-ce point ainsi qu'une mère s'éveille en sursaut, sachant de toute certitude que son enfant est en péril? La charité des grandes âmes, leur surnaturelle compassion semblent les porter d'un coup au plus intime des êtres. La charité, comme la raison, est un des éléments de notre connaissance. Mais si elle a ses lois, ses déductions sont foudroyantes, et l'esprit qui les veut suivre n'en aperçoit que l'éclair" (Sous le soleil de Satan, 198s). "Ne vous étonnez pas de ce que je vais dire (...) quand l'esprit de révolte était en vous, j'ai vu le nom de Dieu écrit dans votre coeur" dice l'abate Donissan a Mouchette (ibidem, 197), e poi lo fa sentire "sa propre histoire, l'histoire de Mouchette non point dramatisée (...) résumée (...), réduite à rien, vue du dedans" (ibidem, 200). E quella voce "puis de plus en plus confondue avec témoignage intérieur, le murmure déchirant de la coscience troublée dans sa source profonde, tellement que les deux voix ne faisaient plus qu'une plainte unique, comme un seul jet de sang vermeil" (ibidem, 201). "Je t'ai vue! (...) Je t'ai vue comme peut-être aucune créature telle que toi ne fut vue ici-bas! J'ai vue de telle manière que tu ne peux m'échapper, avec toute ta ruse" insiste la stessa voce dell'abate (ibidem, 203). 69 "Mais sourtout son intelligence extraordinairement volontaire fut toujours contre la grâce sa meilleure arme. Animée par une espèce de curiosité dont une certaine cruauté semble le ressort, elle s'enivra vite de ses mystérieuses conquêtes, si adroitement celées" (L'imposture, 366). "Comme lui paraissent claires désormais, explicables certaines attitutdes involontaires, par exemple la sourde colère sentie tant de fois, la défiance amère, la curiosité passionée, doloureuse, insatiable qui l'animait contre les héros de ses livres!" (ibidem, 170-171).

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l'abate Donissan si presenta al suo sguardo: è stramazzato a terra, ormai morto. Alla

morbosa curiosità di Saint-Marin, il santo di Lumbres si offre nella sua povertà totale,

ma insieme con un silenzio così inteso che è quasi un'ultima parola di sfida alla

insaziabile curiosità dell'uomo: "Volevi la mia pace, vieni a prenderla!..." (Sous le

soleil de Satan, 308).

Infatti, lui stesso, l'abate Donissan ha sentito tante volte il peso della tentazione

della curiosità. Eccolo durante l'incontro con Satana: "quello che ormai denotava il

suo viso, non era neanche più la paura, ma una illimitata curiosità". Lui vuole perché

"bisogna", "strappar qualcuno dei segreti (di Satana)" (Sous le soleil de Satan, 176).

Però il pericolo esiste, è lo stesso sempre: "Nella tua lotta contro di noi, è molto facile

fare un passo falso. Ecco che per un momento la tua curiosità ti mette in mia balìa"

gli dice (Sous le soleil de Satan, 183). Più tardi il santo de Lumbres ha "un'altra

concupiscenza che si è accesa nel suo cuore candido e tenace: quel delirio del voler

sapere che perdette la prima madre degli uomini, dritta e raccolta, alle soglie del

Bene e del Male. Conoscere per distruggere e nella distruzione rinnovare

conoscenza e desiderio - o sole di Satana! - desiderio del nulla per se stesso,

abominevole effusione del cuore!" (Sous le soleil de Satan, 237). E' la tentazione che

scopre "un po' della sua realtà" umana: "così dissimulava a se stesso la debolezza

d'un moto di curiosità appena consapevole, inconfessato" (Sous le soleil de Satan,

254).

I grandi peccatori di Bernanos sono segnati con questo odio dell'altro sotto la

forma di disprezzo che si chiama curiosità: Mouchette "covava in se stessa, come un

frutto in maturazione, la curiosità del piacere e del rischio" (Sous le soleil de Satan,

68), "tutta fremente del piacere della scoperta" (Sous le soleil de Satan, 76), benché

"profondamente stanca come'era, la sua curiosità indomabile già la traeva a una

nuova avventura", "mentre l'altro (l'abate Donissan) la contemplava con un senso di

pietà" (Sous le soleil de Satan, 202). Fiodoro, "una vera volpe", ha come tratto

caratteristico una curiosità che si manifesta "crudele" per Chantal che spia "senza

tregua con malizia infernale" (La joie, 547); nei suoi "occhi freddi" ella legge "la

stessa curiosità che si scorge nello sguardo delle bestie ammaestrate o corrotte da

padroni troppo indulgenti, quando annusano da lontano sulle strade i loro congeneri

liberi e felici" (La joie, 567). Il medio La Pérouse osserva Chantal "con una curiosità"

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di cui lei si è accorta e lo considera non altro "che volgarità" (La joie, 665). Il signor

Ouine descrive il dinamismo del peccato, rivelandone tutta la potenza materializzante

e mortifera della sua "eccessiva curiosità, alla quale ha troppo spesso sacrificato il

suo riposo", curiosità che non è "che sregolatezza dello spirito" (Monsieur Ouine,

1465s), che lo "divora", "scava e rode" come una "fame" insaziabile70 e fa delle

anime umane un oggetto di un'"ineffabile cattura", "prigioniero" del suo potere

(Monsieur Ouine, 1559). Infatti, se l'omosessualità del signor Ouine, simbolo del suo

amore egoistico, è il segno più visibile del peccato, questo non è altro che la curiosità

senza amore, la curiosità satanica, che H.U.von Balthasar nel suo Le Chrétien

Bernanos lo definisce così: "un savoir sans amour, celui qu'on n'a payé ni garanti du

prix de son existence et de sa peine, cette impatience de celui qui brûle de posséder

dès è présent, comme un fruit défendu, une vision que seule peut accorder la grâce

divine"71. In altre parole: l'imitazione sacrilega dell'Amore di Dio per le sue creature.

b) La lussuria. Scrutando nelle anime Bernanos le vede inaridite ed avvelenate,

perché la lussuria - "demonio muto" (Journal d'un curé de campagne, 1088) - non

solo annulla il bisogno di quella conoscenza soprannaturale di se stessi in Dio che si

chiama fede, ma anche "minaccia incessantemente di soffocare sotto le sue

vegetazioni parassitarie, sotto le sue odiose proliferazioni, tanto la virilità che

l'intelligenza. Incapace di creare, essa non può che insudiciare, sin dal germe, la

fragile promessa di umanità; probabilmente è all'origine, al principio di tutte le tare

della nostra razza, e non appena, oltre la svolta della grande foresta selvaggia di cui

70 "La curiosité me dévore (...) A ce moment elle creuse et ronge le peu qui me reste. Telle est ma faim. Que n'ai-je été curieux de choses! Mais je n'ai eu faim que des âmes. Que dire, faim? Je les ai convoitées d'un autre désir, qui ne mérite pas le nom de faim. Sinon une seule d'entre elles m'eût suffi, la plus misérable, je l'eusse possédée seul, dans la solitude la plus profonde. Je ne souhaitais pas faire d'elles ma proie. Je les regardais jouir et souffrir ainsi que Celui qui les a créées eût pu les regarder lui-même, je ne faisais ni leur jouissance ni leur douleur, je me flattais de donner seulement l'imperceptible impulsion comme on oriente un tableau vers la lumière ou l'ombre, je me sentais leur providence, une providence presque aussi inviolable dans ses desseins, aussi insoupçonnable que l'autre. (...) Avec quelle jubilation j'entrais dans ces modestes consciences, si peu différentes d'aspect, si communes - de petites maisons de brique sans éclat, noircies par l'habitude, les préjugés, la sottise, comme les autres par la suie des villes - ces âmes pareilles aux corons des cités minières. Je m'ynstallais avec dignité, je les remplissais de ma bienveillance, et de ma discrète sollicitude, elles me donnaient d'un coup leur secret, mais je ne me hâtais pas de le prendre. Je couvais du regard tout ce que ces sortes de maisons offrent innocemment à l'étranger, au passant - maisons sans âme, âme sans nom" (Monsieur Ouine, 1557-1558). 71 Cf. ESTÈVE M., "Notes et variantes" in BERNANOS G., Oeuvres romanesques, 1918, nota 2 per 1557.

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non conosciamo i sentieri, la sorprendiamo faccia a faccia, così com'è, tale e quale è

uscita dalle mani del Signore dei Prodigi, il grido che ci esce dalle viscere non è

soltanto di spavento ma è un'imprecazione: 'Sei tu, sei tu sola che hai scatenato la

morte nel mondo!'" (Journal d'un curé de campagne, 1128-1129). L'opera di

Bernanos testimonia l'abiezione di questa morte. "Supponiamo che un giorno si

compia quella specie di rivoluzione che gli ingegneri ed i biologi invocano con tutte le

loro forze, che venga abolita tutta la gerarchia dei bisogni, che la lussuria appaia di

conseguenza come un appetito viscerale analogo agli altri ed il cui appagamento è

regolato soltanto da una rigorosa igiene, lei vedrà! - sì, vedrà! - sorgere da ogni parte

sindaci di Fenouille che volgeranno contro se stessi, contro la loro propria carne, un

odio ormai cieco, perché le cause ne rimarranno celate nel più oscuro, nel più

profondo della memoria ereditaria" (Monsieur Ouine, 1525). In quanto non può

dimenticare, allora il mondo moderno si preoccupa di camuffare - perché "la lussuria

non si capisce, si vede" (Journal d'un curé de campagne, 1127) - sotto infiniti nomi la

miseria della lussuria72, che resta il peggiore compromesso dello spirito.

Inoltre, l'autore sottolinea il rapporto stretto che esiste tra l'impurità e la

conoscenza della verità: "La purezza non ci è prescritta come un castigo, è invece

una delle condizioni misteriose ma evidenti - l'esperienza lo attesta - di quella

conoscenza soprannaturale di se stessi, di se stessi in Dio, che si chiama la fede.

L'impurità non distrugge questa conoscenza, ma ne annulla il bisogno. Non si crede

più, perché non si desidera più credere, non desiderate più conoscervi. Questa verità

profonda, la vostra, non vi interessa più" (Journal d'un curé de campagne, 1129).

* * *

Nello sforzo di incarnare nella scrittura il soprannaturale, renderlo presente,

suggerirne la presenza, nonché l'assenza, come una testimonianza e una sfida per la

società moderna, nella sua fedeltà assoluta al Vangelo dell'Amore, Bernanos

72 Journal d'un curé de campagne, 1126: "Que sait-on de la luxure? (...) La luxure est une plaie mystérieuse au flanc de l'espèce. Que dire, à son flanc? A la source même de la vie. Confondre la luxure propre à l'homme, et le désir qui rapproche les sexes, autant donner le même nom à la tumeur et à l'organe qu'elle dévore, dont il arrive que sa difformité reproduise effroyablement l'aspect. Le monde se donne beaucoup de mal, aidé de tous les prestiges de l'art, pour cacher cette plaie honteuse".

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presenta la sua intuizione sul mistero dell'uomo e della sua verità. Nella dialettica di

bene e male, nel quale si trova l'uomo nella sua realtà storica, e sul piano della sua

relazione con Dio, si sviluppa il tema del peccato. Con tutte le variazione su questo

tema, riscontrabili nei diversi scritti romanzeschi di Bernanos, il concetto di peccato

appare complesso. Anzitutto viene presentato, attraverso la descrizione delle azioni

umane, come un atto di avversione contro Dio che arriva fino al vertice del "deicidio",

un atto che sta sempre "sotto il sole di Satana" e che si consuma piuttosto al livello

dello spirito umano in atteggiamenti - come menzogna, orgoglio, odio, curiosità,

lussuria,... - che portano l'uomo alla degradazione e al fallimento totale.

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Capitolo II

L'UOMO DI FRONTE AL PECCATO

In questo capitolo ci proponiamo di analizzare la situazione dell'uomo di fronte al

peccato. Abbiamo scelto questo titolo per il secondo capitolo poiché il peccato sta

davanti e contro l'uomo in quanto egli non coincide con il proprio peccato: esso lo

tiene prigioniero e lo porta alla morte. Deriva di qui che la questione del peccato ha

sempre a che fare con la questione della libertà. Il peccato presuppone la

responsabilità e quindi la libertà. Perciò nel primo punto di questo capitolo viene

messo in discussione proprio il problema se nei romanzi di Bernanos l'uomo appare

ed à veramente libero o no nelle sue decisioni e azioni. Nel secondo momento

vogliamo vedere - sempre con l'aiuto dei testi dell'autore - quale à la potenza del

peccato nei confronti della libertà. Ed nell'ultima parte: quali sono gli effetti del

peccato sulla persona umana, considerata come singolo e in società.

1. L'UOMO E' LIBERO?

Cominciamo la nostra indagine con questa domanda in quanto la lettura dei testi

bernanosiani - dove l'uomo, rappresentato dai personaggi in contrasto, cioè il santo e

il peccatore, vive la sua esistenza terrena "sotto il sole di Satana" sempre tentato

dalla disperazione - può proporre con tanta facilità il "problema" della libertà

dell'uomo.

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La nostra analisi su questo tema della libertà dell'uomo suppone evidentemente

la convinzione, che non già le buone o cattive tendenze come tali, neanche una

buona misura di libertà di scelta realizzata in esse, costituiscano l'uomo santo o

peccatore. La questione decisiva à piuttosto se in che grado in queste tendenze ed

azioni buone o cattive, realizzate con libertà di scelta, la persona disponga di se

stessa come un tutto, cioè in libertà fondamentale, e determini così se stessa come

buona o cattiva ed entri come tale nelle singole azioni. Si tratta della libera decisione

per cui l'uomo è responsabile. Ciò che rende l'uomo buono e cattivo davanti a Dio è,

in verità, non tanto le qualità che possono essere notate o misurate, o le

conseguenze delle sue azioni, ma la responsabilità della persona libera che prende

forma in tali azioni. Con essa la persona esprime se stessa qual è. Senza di essa,

l'uomo agisce come i corpi puramente materiali di questo mondo con gli elementi

esterni della sua attività e con la sua attività riflessa. E' proprio quello che affermava

il dottore La Pérouse quando manifestava la sua convinzione: "si ha la morale delle

proprie ghiandole" (La joie, 640).

La libertà - secondo Bernanos - è profondamente radicata nella struttura della

persona umana, è il tratto più specifico: se l'uomo è stato creato ad "immagine e

somiglianza di Dio" e "Dio è Amore", l'uomo vero, quello pensato e voluto da Dio, è

l'uomo libero, perché, afferma il nostro autore, "solo l'uomo libero può amare". Il

valore della libertà è una virtù che la Redenzione ha esaltato offrendo all'uomo una

nuova grandezza. Perciò una delle colpe del nostro mondo secolarizzato è - ci fa

sapere Bernanos - quella di aver tolto alla coscienza della libertà la sua sostanza

spirituale, la tensione della carità verso se stessi e verso gli altri. Da questo

discendono così le tante riserve, se non una vera avversione, per la civiltà

tecnologica del mondo moderno che distrae l'uomo, con la sua indifferenza e

l'incapacità di amare a causa del benessere, dai valori veri e quindi anche dal gusto

della libertà. Lo scrittore è convinto che la libertà della persona è non solo il

fondamento essenziale della sua crescita e pienezza, ma anche il valore necessario

di ogni vera civilizzazione e di ogni autentica esperienza religiosa.

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1. Tra libertà e determinazioni

Abbiamo accennato che l'uomo è posto in gioco in una lotta incessante tra Dio e

Satana. E' risucchiato da due esseri voracissimi: Dio e Satana. "Siamo così infelici...

- dice l'abate Chevance a Cénabre - e così a volte succede che la nostra vita tutta

quanto, senza che lo sappiamo, vada come alla deriva... per così dire da Dio verso il

diavolo. Non so esprimermi: è meglio immaginare una sorgente persa in una terra

arida e sporca" (L'imposture, 352). L'uomo di fronte al mistero del male prova un

senso di smarrimento, una specie di vertigine. Nel medesimo tempo si sente attratto

dal mistero del male. L'uomo vuol fare l'esperienza del male; vuol provare l'ebbrezza

della discesa agli inferi; una stagione all'inferno diventa per lui una avventura

entusiasmante. E' la tentazione dell'albero della scienza del bene e del male: il sole

di Satana. E' infatti la tentazione di scegliere una strada, la quale, una volta che

l'uomo vi si è pienamente impegnato, diventa un "itinerario inflessibile". Partendo da

questo "itinerario inflessibile" si può parlare in Bernanos di peccato del mondo o dei

peccati collettivi, paragonabili con il peccato originale, che possono "determinare"

l'uomo nelle sue decisioni? Ci sono parecchi testi per concludere negativamente

questo approccio. Ma vediamo in dettaglio. Cominciamo con l'analisi di un

personaggio.

La prima Mouchette, nata da un matrimonio senza amore, matrimonio "solo

affare di notaio" (Sous le soleil de Satan, 68), da un padre anticlericale e da una

madre debole, cresce senza amore, senza religione, senza amiche, quasi

"claustrata" (cf. ibidem, 69s), e conoscerà Dio solo alla fine della sua vita. In questo

ambiente sa che l'aspettano la solitudine ed una vita senza gioia, solitudine e noia

peggiori della morte. La rivolta contro questa solitudine getta Mouchette sulla strada

della libertà e della speranza verso l'amore e la gioia, ma troverà invece una

solitudine ancora più dura, la "vera solitudine" di colui che non cerca il regno di Dio.

Mouchette si trova su un "chemin étroit" dove "la sua vita ripete la storia di altre vite,

tutte uguali" e "ciascuno dei suoi atti porta il segno che l'ha impresso uno di quelli da

cui lei discende, brutti avari, lascivi e bugiardi" come afferma lo stesso abate

Donissan durante la sua visione interna (cf. ibidem, 204). Lei stessa, sente il peso

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degli "antenati": tutta la sua famiglia, con tutto quello che si chiama peccato73. Ed alla

fine l'autore arriva a definire "la sua vita" come "un segreto tra lei e il suo dominatore,

anzi, è il segreto del suo dominatore" (Sous le soleil de Satan, 213). Appare allora la

stessa domanda come quella dello scrittore: "Come?! Nemmeno un'azione della sua

vita che non avesse altrove il suo duplicato? E dunque? Neanche un pensiero che

fosse tutto suo, nemmeno un gesto che non fosse stato preordinato da tempo? Non

simili: ma gli stessi; non ripetuti, ma unici. (...) I suoi ironici antenati (...) s'erano

impadroniti di tutto il suo senso di ribellione" (Sous le soleil de Satan, 206s).

In questo contesto, si può dire che Mouchette è libera? O si potrebbe parlare di

un determinismo - diciamo da parte della famiglia - quasi ceco sul suo

comportamento?74 Possiamo dire dunque che l'uomo è "determinato" nella propria

libertà a causa dei peccati dagli "antenati"? L'uomo si trova "situato" nel mondo, cioè

immerso in un insieme di situazioni. Questo essere "situato nel mondo" è 'ipso facto'

anche un "essere situato nel peccato" per Bernanos? Quale è l'influsso di questa

situazione "conflittuale" e della "pressione sociale" sulla libertà dell'uomo? 73 Sous le soleil de Satan, 205-206: Mouchette vede nella "interna visione": "Ces noms, que prononçait l'un après l'autre la voix redevenue souveraine, elle les reconnaissait au passage, mais pas tous. C'étaient ceux des Malorthy, des Brissaut, des Paully, des Pichon, aïeules, négociants sans reproche, bonnes ménagères, aimant leur bien, jamais décédés intestat, honneur des chambres de commerce et des études de notaire. (Ta tante Suzanne, ton oncle Henri, tes grand-mères Adèle et Malvina ou Cécile...) Mais ce que la voix racontait, d'un accent tout uni, peu d'oreilles l'entendirent jamais - l'histoire saisie du dedans - la plus cachée, la mieux défendue, et non point telle quelle, dans l'enchevêtrement des effets et des causes, des actes et des intentions, mais rapportée à quelques faits principaux, aux fautes mères. (...) Mensonges calomnieux, haines longuement nourries, amours honteuses, crimes calculés de l'avarice et de la haine, tout se reformait en elle à mesure, comme se reforme, à l'état de veille, une cruelle image du rêve. (...) A un mot, à un nom soudain prononcé, ainsi qu'à la surface une bulle de boue, quelque chose remontait du passé au present - acte, désir, ou parfois, plus profonde et plus intime, une seule pensée (car elle n'était pas morte avec le mort), mais si intime, si profonde, si sauvagement arrachée que Mouchette la recevait avec un gémissement de honte. (...) La foule, un instant plus tôt si grouillante, où elle avait reconnu tous les siens, se rétrécissait à mesure. Des visages se superposaient entre eux, ne faisaient plus qu'un visage, qui était celui même d'un vice. Des gestes confus se fixaient dans une attitude unique, qui était le geste du crime. Plus encore: parfois le mal ne laissait de sa proie qu'un amas informe, en pleine dissolution, gonflé de son venin, digéré. Les avares faisaient une masse d'or vivant, les luxurieux un tas d'entrailles. (...) Que dire de ce fléchissement de la conscience même! Elle s'était reconnue dans les siens, et au paroxysme du délire, ne se distinguait plus du troupeau". 74 Nello stesso caso si trova la seconda Mouchette: vive in un mondo, dal quale Dio è assente. Ha conosciuto una sola volta la compassione e la tenerezza, ma questa rivelazione ha lasciato in lei un sentimento ancora più acuto della solitudine, una rivolta più cosciente contro la sua miseria, un odio più forte contro tutto ciò che le richiama questa grazia perduta, questa assenza. E se la prima Mouchette è entrata volontariamente nel mondo del peccato, la seconda, vittima di una violenza, ugualmente e profondamente ha perso coscienza della sua "macchia incancellabile" (Nouvelle histoire de Mouchette, 1285) e ha seguito la strada "fino al limite della sua infelicità" (ibidem, 1339), fino al piccolo stagno dove si suicida. C'è poi l'abate Cénabre che va "su un'altra strada, terribile da seguire, sconosciuta" (L'imposture, 336).

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Il mondo per noi sperimentabile è pur sempre pieno di oscurità, tribolazioni,

dolori e lotte, e questo ha delle conseguenze per la vita e l'impegno del cristiano,

situato in questo mondo e coinvolto da esso. E' vero poi che l'uomo non ha mai avuto

maggior potere sul mondo e sul proprio destino; ma non è mai stato sottoposto

nemmeno ad altrettante coazioni. La libertà umana però sta al di sopra della realtà in

cui è posta. Tuttavia questa realtà viene spesso esperita come più potente; essa

coarta a sua volta la libertà dell'uomo. In tal modo sono segnate sia le sue possibilità

sia i suoi limiti.

Tornando all'esempio di Mouchette, senza pretendere di esaurire il mistero di

questo "scandalo dell'universo" che è la libertà, si può vedere che con tutto il peso

sulle sue spalle, Mouchette rimane libera. Lei non fa il male per l'errore o per

l'ignoranza; la sua andata verso il nulla non è un azzardo, non è un incidente

riparabile ogni tanto, "perché essa lo amava" (Sous le soleil de Satan, 213). Dunque

la sua decisione alla fin fine le appartiene; lei sola decide, benché lo spazio della sua

libertà sia molto stretto. "Ti credi libera? - gli dice l'abate Donissan - Libera saresti

stata, ma in Dio solamente!" (ibidem, 203). Lei invece ha preferito alla relazione con

Dio il patto con Satana75, il quale, restringendo la libertà76, fa pendolare la bilancia

verso la scelta del male. Ma d'altra parte, la grazia di Dio non le manca: quello che

l'abate Donissan ha cercato di fare per lei non è un'illusione, ma una realtà - è la

realtà drammatica della lotta dell'uomo di Dio in favore di lei, perché lei divenga

cosciente della sua possibilità di scelta per il bene - che lei invece ha rifiutato77. Dopo

75 Il patto è definito come un "connubio consumato in segreto" tra di loro. Nella virtù di questo à lei che "c'est ainsi, mais d'une force multipliée, que Mouchette souhaite dans son âme, sans le nommer, la présence du cruel Seigneur" (Sous le soleil de Satan, 213). Ma qui dobbiamo tener conto del suo atteggiamento fondamentale: "(elle) avait épuisé tout le mal dont elle etait capable (...) car elle l'aimait" (idem). 76 "Laissez cette pensée, dit-il (l'abbé Donissan). Vous n'êtes point devant Dieu coupable de ce meurtre. Pas plus qu'en ce moment-ci votre volonté n'était libre. Vous êtes comme un jouet, vous êtes comme la petite balle d'un enfant, entre les mains de Satan" (Sous le soleil de Satan, 200). Qui è il pensiero di Bernanos che segue la teologia cattolica: attraverso il peccato Satana s'impadronisce delle anime e gli fa prigioniere. "Il vedere tante anime possedute dal peccato" dice l'abate Donissan (idem, 227). 77 "Il respira profondément, pareil à un lutteur qui va donner son effort. Et déjà montait dans ses yeux la même lueur de lucidité surhumaine, cette fois dépouillée de toute pitié. Le don périlleux, il l'avait donc conquis de nouveau, par force, dans un élan désespéré, capable de faire violence, même au ciel. La grâce de Dieu s'était faite visible è ses yeux mortels: ils ne découvraient plus maintenant que l'ennemi, vautré dans sa proie" (Sous le soleil de Satan, 204). "Comment s'élèverait-elle par ses propres forces à la hauteur où l'a portée tout à coup l'homme de Dieu, et d'ou elle est présentement retombée" (ibidem, 211). "Criminelle ou non, cette petite fille a-t-elle été l'objet d'une grâce

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il fallimento del tentativo di strappare questa "figlia di Satana" dalle mani del "suo

dominatore", Mouchette rifiuta un'altra volta l'appello di Dio che adesso non le viene

attraverso la voce dell'abate, ma dal di dentro dove: "sentiva che qualche cosa

mancava alla sua vita. Ma che cosa? Quale? (...) Le mancava qualcosa che aveva

posseduto: ma dove? ma quando? ma in quale guisa?" Era la voce di Dio che "ci

chiama talvolta con voce così insistente e soave!" (Sous le soleil de Satan, 212).

Allora, tra la grazia e il male lei decide - e questa decisione è una prova

inconfondibile per la sua libertà - per il male: il suicidio.

L'autore lascia trasparire la sua convinzione che l'uomo non è lasciato in balia

dei determinismi. Questo è messo in rilievo dal fatto che Chantal in La joie, anche se

immersa in un'atmosfera di menzogna, rimane incontaminata, anzi con l'instancabile

disponibilità al servizio e lo spirito d'infanzia vive autenticamente la più vera

dimensione della persona umana caratterizzata dalla libertà del cuore; vive la sua

vita in un modo del tutto diverso dalla sua famiglia. E' capace di seguire il bene, di

sceglierlo sempre benché sia circondata e non solo circondata ma sempre tentata da

suo padre, da dottore, da Fiodoro per altre scelte. "Sono libera, libera, assolutamente

libera" (La joie, 677), riconosce Chantal, sebbene "ha l'aria di un topo preso in

trappola e morde le sbarre della sua gabbia" (idem). Ma guadagna ogni giorno di più

la sua libertà attraverso tutte le determinazioni. Così lei riesce a definire se stessa. Il

fatto che Chantal è capace di riconoscere le situazioni di costrizione come tali e di

distanziarsi da esse, dimostra che è libera, e il fatto che le padroneggi dimostra che

mette in atto la sua libertè. Però, questo spazio di libertà deve essere sempre

conquistato. E' la libertà verso la quale aspira infatti anche Mouchette nella sua

"mezzanotte", quando: "tutto dorme, nessun legame più... 'Libera!' diss'ella d'un tratto

con quella voce rauca e grave che il suo amante non conosceva, e con un gemito di

piacere. Difatti era libera, adesso. 'Libera! Libera!' si ripeteva, con certezza sempre

più vasta". Ma il commento dell'autore ci fa sapere quale era veramente la sua

libertà. "Certo non avrebbe saputo dire che cosa la facesse libera né quali catene

fossero cadute"78. Invece Mouchette rinuncia alla lotta, soccombendo nel suicidio,

exceptionnelle? Avez-vous été l'instrument de cette grâce?" domanda Monsignor Menou-Ségrais (ibidem, 223). 78 Sous le soleil de Satan, 75. "'Demain' se disait-elle, 'le coeur dévoré, demain l'oubli sera fait, je serai libre'. Mais demain ne venait jamais. Lentement, les liens autrefois brisé resserraient autour

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dimostrando così non il fatto che non era libera, ma al contrario che ha deciso di

rinunciare anche alla sua libertà, bensì molto ridota.

Per Bernanos la vittoria sul Male si ha con la libertà, e se "Satana abbraccia la

terra con le sue braccia immense non lasciando nulla sfuggire, la libertà si sottrae a

questa morsa, soprattutto la libertà crocifissa con Gesù Cristo"79 perché "Gesù,

avendo liberamente scelto di incarnarsi nel corpo dell'uomo libero e di morire per sua

propria decisione, salva la libertà della creatura con la sua morte"80. Questa è la

libertà di Chantal che può dire:

"Macché! sono libera io, libera, assolutamente libera. Tutti i figli di Dio sono liberi" (La joie, 677).

E' la libertà del "santo", che nella visione di Bernanos81 è una libertà mai donata,

ma sempre conquistata. E nessuno mai la può infrangere. Neanche Satana: "I tuoi

esorcismi non valgono un fico. E' la tua volontà che non ho potuto forzare. Che

strane bestie siete voi mai!"(Sous le soleil de Satan, 177). E nello stesso tempo, è

l'antidoto all'alienazione del "mediocre" (Pernichon o il signor di Clergerie) e del

"posseduto" (Cénabre). E' veramente la dimensione fondamentale che fa dalla

persona umana non una vittima in balia dei determinismi, ma un soggetto

responsabile, capace di esprimere nella decisione se stesso, determinando così lui il

proprio futuro nei riguardi della grazia e del peccato.

2. Il peccato originale e la libertà dell'uomo

d'elle leurs noeufs" (ibidem, 94). Ed in una conferenza del 1927 l'autore si domanda: "Ma libera di quale libertà? Vedete, per quanto facessi: man mano che si spezzavano di lei, uno dopo l'altro, quei legami familiari o sociali che fanno di ognuno di noi, anche al penultimo scalino della degradazione, delle specie di animali disciplinati, sentivo che la mia pietosa eroina sprofondava a poco a poco in una menzogna mille volte più feroce e più vincolante di qualunque disciplina. Intorno alla sciagurata bambina ribelle, nessuna strada aperta, nessuna via d'uscita. Nessun traguardo possibile per quello slancio frenetico verso un'illusoria liberazione, all'infuori della morte o del nulla" (BERNANOS G., "Satana e noi", in NVCR, 39). 79 BEGUIN A., Chaiers du Rhône. Essais et témoignages, Neuchatel, Paris 1949, 49. 80 BEGUIN A., Chaiers du Rhône, 52. 81 Con questa riflessione di Chantal è introdotto il tema molto caro a Bernanos della conquista della libertà interiore dell'uomo, che diventa un tema dominante nell'opera "polemica" dell'autore.

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Abbiamo visto il rapporto tra la libertà ed i determinismi tra i quali entra "il

peccato del mondo" considerato da Bernanos nell'immagine del peccato degli

antenati. Vogliamo vedere adesso se esiste un legame tra la libertà e il peccato

originale ed in conseguenza se l'uomo appare come condannato al peccato oppure è

veramente libero davanti al peccato?

Alla base di tutto, "al nucleo centrale del mostro" - come si esprime nel suo

linguaggio poetico il nostro autore - sta il peccato originale.

"Dappertutto il peccato rompeva il suo involucro e mostrava il mistero della sua genesi; uomini e donne, a decine, imprigionati nei tentacoli di uno stesso strazio, contorcendosi in tremendi vincoli, come le ventose recise d'un polpo, fino proprio al nucleo centrale del mostro, il peccato originale, che nessuno sospetterebbe in un cuore di fanciullo" (Sous le soleil de Satan, 206).

Il tema del peccato originale occupa una posizione chiave nell'opera di

Bernanos: gli permette di comprendere meglio l'uomo. E se non si sofferma

sull'avvenimento della caduta d'Adamo, anche se talvolta vi fa allusione (cf. Journal

d'un curé de campagne, 1133), continuamente riflette sulla condizione umana che si

è creato e si riferisce al peccato originale. Tutte le forme di angoscia, sia quella di

Mouchette che quella del mondo moderno hanno come causa ultima il peccato

originale che ha ottenebrato lo specchio dell'anima82. Sono pochi quelli che hanno

concepito come Bernanos, in modo così tetro, le conseguenze del peccato originale,

senza sconfinare nell'eresia. "E sicuramente più grave o per lo meno più dannoso

per l'uomo negare il peccato originale che negare Dio"83 e la convinzione di

Bernanos.

Sul suo "stretto cammino" Mouchette, come abbiamo visto, potrà ancora

assumere la sua parte di responsabilità, diventare colpevole, e lo sarà, ma il peccato

originale ha come ristretto la sua misura di peccato così come ha ottenebrato anche

la sua conoscenza poiché lei non si rende conto della grandezza del tesoro della sua

libertà. Le espressioni utilizzate mettono in risalto quest'aspetto84. Tuttavia Bernanos

82 "Sarei ormai tenuto, per non essere sospetto, a scrivere dei libri dove ogni personaggio opporrà alle tentazioni la stessa resistenza vittoriosa? Allora mi si accuserà, senza dubbio, di negare il peccato originale" (BERNANOS G., "Interviste" in NVCR, 48). 83 Confessa a Luc Estang (cf. la prefazione al libro di ESTANG L., Présence de Bernanos, Plon, Paris 1947). 84 "La coscience engourdie prend peu à peu connaissance et possession de son hôte sinistre. Le jugement touche le condamné comme la pierre d'une fronde, et le chiourme qui le reconduit à sa cellule ne jette sur le lit qu'une espèce de cadavre. Mais, quand il ouvre les yeux, dans la nuit

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sottolinea che la decisione che porta al scioglimento finale non è qualcosa di

superficiale anzi viene "du plus profond, du plus intime" (Sous le soleil de Satan,

212).

"Una pietra cade, ma l'uomo subisce il suo destino" (La joie, 676). Con

quest'espressione simile ad un proverbio, mi sembra che l'autore voglia mostrare la

distanza che esiste tra le cose e l'uomo. Entrambi sono in movimento verso una

meta. Mentre la pietra semplicemente "cade" seguendo automaticamente ed

incoscientemente la traiettoria imposta dalla legge gravitazionale, l'uomo invece

"subisce" - non "cade" - ciò che vuol dire che dentro c'è un altro dinamismo, quello

della libertà, che si oppone alla "caduta" e non può essere infranto dalla "caduta", al

massimo solo ristretto nella sua attuazione. In questa situazione drammatica di

libertà, l'uomo "subisce il suo destino", cioè la sua vita segnata dall'inizio dal primo

peccato. A causa di questo limite - secondo Bernanos - non è facile prendere

coscienza "del proprio tragico destino" che per Mouchette sarà la morte. Ma se

qualcuno riconosce la ristrettezza del proprio cammino, può riprendere coraggio. Da

questo punto di vista per il nostro autore la conoscenza del peccato originale

protegge l'uomo, precisamente umiliandolo e abbattendo il suo orgoglio. Caro a

Bernanos è questo carattere protettore del peccato originale, perché colui che lo

accetta come la tragica verità della sua vita, accetta in un primo momento i propri

limiti, anche nei riguardi della sua libertà, per poter aprirsi poi alla grazia che gli

schiude la via verso la libertà piena: in Dio (cf. Sous le soleil de Satan, 203).

Anche se la sua libertà si trova in un dominio limitato, tuttavia l'uomo sceglie in

libertà. Se è vero che l'uomo non può fare il bene che vorrebbe, può peccare solo

nella misura che sceglie. Bisogna che l'uomo si accorga che la sua libertà è

minacciata, è limitata dall'inizio della sua esistenza terrena dal peccato originale.

3. Libero è l'uomo che ama

profonde et douce, le misérable connaît tout à coup qu'il est étranger parmis les hommes" (Sous le soleil de Satan, 208); "elle n'a connu des scruplules et des remords que cette gêne vague (...) la conscience obscure d'être pour un moment hors la loi" (idem). "Aussi n'eût-elle su dire, à demi consciente, quelle offrande elle faisait d'elle-même, et à qui" (ibidem, 212).

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L'uomo riflette la sua vera natura, quella voluta da Dio, provandosi "uomo libero"

poiché Dio è libertà e amore. Allo stesso modo, l'uomo libero e l'uomo che ama non

fanno che uno. Amore e libertà sono legati indissolubilmente. L'uomo veramente

libero prova la sua libertà attraverso slanci d'amore. L'amore conosce tutti i rischi

della libertà85, "si impegna", si apre interamente al prossimo, a Dio. C'è una "razza",

quella che "Dio stesso ha posto in cammino, e che non si fermerà più, finché tutto

non sia consumato" (Journal d'un curé de campagne, 1227). Ed il paradosso sta nel

"fatto che il più miserabile degli uomini viventi, anche se non crede più di amare,

conserva ancora la possibilità d'amare" (ibidem, 1157).

Il giovane curato di Ambricourt appartiene a questa "razza": all'inizio del libro,

constata che la parrocchia affidata a lui "è divorata dalla noia come tutte le altre" (cf.

Journal d'un curé de campagne, 1031), ma nonostante tale amara constatazione si

impegna ad amare concretamente, facendosi attento alla vita intima di ciascuno dei

suoi parrocchiani e penetrando nel loro cuore con quella lucidità soprannaturale di

cui taluni personaggi di Bernanos sono dotati. In questo servizio d'amore c'è una

continua crescita di libertà interiore che lo porta sempre a sormontare la disperazione

non a parole, ma con la semplicità confidente di un'esistenza vissuta per gli altri, nel

tentativo di strappare "le pelli morte"86, di liberare ogni cuore della morte spirituale.

L'impegno di questo sacerdote si può sintetizzare in "questa frase consolante" -

come si esprime lui stesso - "soffrire a causa delle anime" (Journal d'un curé de

campagne, 1054). Ormai il suo accettarsi umilmente è percorso di liberazione per lui

e per la sua parrocchia. In poche parole, la sua vita è amore, libertà, liberazione.

In Donissan, la libertà diventa apertura, l'amore diventa rischio, donandosi per

Mouchette. Chevance vive la sua atroce agonia per salvare Cénabre. Chantal

accetta la sua vita di ogni giorno, sapendo di non poter ricevere da chi la circonda se

non il peso e la tenebra del peccato, che lei prende su di sé; accetta il rischio della

sua libertà87, sempre capace di trovare la forza del perdono, perché questa

85 Per Bernanos infatti le differenze tra gli uomini si riducono alla misura del rischio accettato o no nella vita: "Il faut être fou pour ne pas comprendre que la seule justification de l'inégalité des conditions surnaturelles, c'est le risque" (Journal d'un curé de campagne, 1122). 86 CLEMENT O., Il volto interiore, Jaca Book, Milano 1978, 141. 87 "Alors que le faible ou l'imposteur est toujours plus compliqué que le problème qu'il veut résoudre, et, croyant encercler l'adversaire, rôde interminablement autour de sa propre personne, la volonté héroïque se jette au coeur du péril et l'utilise, comme on retourne l'artillerie conquise pour frapper dans le dos une troupe vaincue. Elle s'approcha brusquement, posa les deux mains sur les

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scaturisce dalla sua libertà88. Si tratta infatti dell'amore libero di cui Gesù ha dato

l'esempio.

Tuttavia questa libertà non esclude l'angoscia. Molte azioni che appaiono come

atti della libertà affondano in realtà le loro radici nell'angoscia. E quest'angoscia non

scompare con l'acquisizione della libertà. Il curato di campagna, l'abate Donissan,

Chantal, Chevance, tutti sono pieni d'angoscia in diversi momenti della loro vita. La

libertà attiva a modo suo l'angoscia esistenziale: la libertà mette l'uomo in grado di

riflettere sulla sua finitudine, sulla precarietà radicale della sua esistenza, sul suo

essere sempre in riferimento ai valori della salvezza e di prenderne coscienza. Per

Bernanos "alle frontiere del mondo invisibile, l'angoscia è un sesto senso" il quale

insieme con "dolore e percezione sono lì una cosa sola" (Sous le soleil de Satan,

205). Di qui possono scaturire nuove paure, vissute nell'opera dello scrittore francese

dai peccatori come dai santi. Invece, l'uomo può essere buono in senso morale solo

se è in armonia con se stesso, e che egli può essere in armonia con se stesso se

riesce a placare l'angoscia nel profondo dell'esistenza umana con la forza

antagonista della fede. Soltanto allora l'angoscia acquisisce la sua vera dimensione -

quella di comunione89 - nell'opera della salvezza. E' quello che riescono a fare i santi

bernanosiani. L'abate Chevance vede l'angoscia come una "proposta" da parte di Dio

per la salvezza degli uomini. Queste sono le parole che indirizza a Cénabre: "Non si

può far nulla dell'angoscia di cui lei parla: viene troppo tardi, e a suo malgrado. Non

la utilizzerà. E' più facile che lei venga distrutto. La precipiterà nell'odio. Non accusi

Dio, reverendo! Quest'angoscia, egli gliel'ha per così dire proposta, come si fa bere a

sorso a sorso una medicina a un bambino. Lei si è rifiutato anche solo di assaggiarla,

ora le tocca berla fino in fondo. La beva, svelto! In fondo al bicchiere non troverà altro

che un ultimo sorso più aspro e più ardente..." (L'imposture, 353). E se dall'angoscia

scaturisce la paura, per quest'uomo libero anche "la paura è, malgrado tutto, la figlia

di Dio, riscattata la notte del Venerdì Santo. Non è bella a vedersi, no, e c'è chi se ne

fa beffe, chi la maledice e tutti la ripudiano... Però non lasciatevi ingannare da

épaules de Mme de Clergerie, saisit dans le sien l'affreux regard vide, traversé d'ombres, et dit..." (La joie, 611s). 88 "Vous me ferez inutilement du mal, vous ne me réduirez pas au désespoir, même aujourd'hui, même à cette heure, parce que je trouverai toujours la force de vous pardonner" dice Chantal alla sua nonna (La joie, 612). 89 Su quest'aspetto torneremo nell'ultimo capitolo.

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questo: essa è al capezzale di ogni agonia e intercede per l'uomo" (La joie, 675).

Chantal de Clergerie ed il parroco di Ambricourt provano anche loro quest'angoscia

"ausiliatrice", quale, riscattata da Cristo, diventa "apportatrice di redenzione".

Invece, l'uomo che si abbandona alle suggestioni del peccato ne costituisce il

contrario: non sa cogliere né il senso spirituale e soprannaturale dell'angoscia, né il

suo aspetto metafisico; la mancanza di fede, la sollecitudine del maligno lo portano

ad atteggiamenti errati nel risolvere questo problema; la sua vita non è autentica:

all'amore sempre vivo oppone l'odio "glaciale" (Monsieur Ouine, 1423), alla scelta

libera dell'amore "la fatalità", dei costumi, delle abitudini, dei peccati sedentari: le

differenze tra gli uomini si riducono alla misura del rischio accettato o no nella vita90.

"Tu non sarai mai pronta. Tu non ritogli a Dio che il peggio: il fango di cui sei

impastata, Satana!" (Sous le soleil de Satan, 203). E se si parla di una libertà, quella

non è autentica, è una libertà che uccide: "Oh! naturalmente, il nome del comune

figura sempre nei registri dell'arcivescovado, eppure la parrocchia non c'è più affatto,

è finita, siete liberi. Siete liberi, amici miei. Cento volte più liberi dei selvaggi e dei

pagani, completamente liberi, liberi come bestie. Tutto ciò non è certo cominciato ieri,

ciò viene da lontano, ci vuole molto tempo per uccidere una parrocchia! Ha certo

resistito fino all'ultimo. Ora, è morta" (Monsieur Ouine, 1487).

Abbiamo espresso sinteticamente, in questa prima parte del capitolo,

l'angosciante preoccupazione che lacera intimamente Bernanos constatando che

l'uomo va sempre più smarrendo "la passione della verità, che va di pari passo con la

passione della libertà", che nella rete di rapporti che va costruendo, l'uomo perde il

gusto della gratuità, dimentica la sua più profonda dignità di creatura chiamata ad

essere libera per poter scegliere di amare diventando così incapace di dialogo

costruttivo con la sua stessa realtà ontologica e quindi è anche incapace di

comunicare con gli altri, col mondo, col Dio. L'uomo che non vive la sua libertà

appare come un isolato, incapace di rischio e di speranza, nutrendosi di mediocrità e

compromessi e, privo della sua libertà, neppure la desidera: "La peggiore minaccia

90 "Il faut être fou pour ne pas comprendre que la seule justification de l'inégalité des conditions surnaturelles c'est le risque. Notre risque" (Journal d'un curé de campagne, 1122).

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per la libertà non è di lasciarsela prendere, ma che si disimpari ad amarla, o che non

la si comprenda più".

In poche parole: la libertà appare nei romanzi di Bernanos come la dimensione

fondamentale della persona umana e come superamento della stessa natura

umana91. Anche il più diretto indurimento contro Dio e il proprio prossimo, rimane

un'autoaffermazione, un affermare la propria libertà.

2. LA POTENZA DEL PECCATO

Un altro problema con il quale si confronta l'uomo dinanzi al peccato, e sempre

in collegamento con quello della libertà, è la potenza del peccato. Una volta

commesso, il peccato compromette l'orientamento dell'uomo al bene, agendo su di

lui in maniera molteplice. Cerchiamo adesso di cogliere nei romanzi di Bernanos

alcuni aspetti della manifestazione di questa forza del peccato.

1. La potenza del peccato: ambiguità e confusione

Se il peccato significa infine una perdita di libertà, come l'abbiamo giù visto

sopra, tale perdita può estrinsecarsi nella forma di una tensione altissima in una

direzione completamente sbagliata. Ciò avviene ogni volta quando l'uomo rifiuta Dio,

perché non vuol accettarsi come creatura con la sua libertà limitata, ma perverte la

propria libertà nel fare di sé la misura di tutto: allora non è costretto a rifiutare solo

Dio, bensì pure il prossimo e le altre creature. L'abate Cénabre sta in questo senso

come un esempio: lui è l'uomo che rifiutando Dio si trova inesorabilmente posto a

confronto con la propria finitudine e il proprio nulla, che lui non vuole riconoscere.

Dato però che in lui continua ad operare la dinamica della libertà, egli non riesce mai

ad accordarsi con la propria misera finitudine, perciò la tendenza di riempire il posto

del nulla mediante un ingrandimento. D'ora in poi, Cénabre, ad esempio, fa di se

91 Tutta l'opera di Bernanos può essere considerata il canto di un uomo libero per la libertà dell'uomo. Così scriveva, sintetizzando la sua concezione di libertà: "La libertà non è solo un bene di cui si gode, un capitale di cui si riscuotono gli interessi, ma una realtà vivente che noi nutriamo nella nostra sostanza e che, animata da un principio spirituale la cui sorgente è la nostra anima, rischia ad ogni istante, come noi e con noi, la sua salvezza o la sua dannazione" (BERNANOS G., Le chemin de la Croix-des-Ames, Gallimard, Paris 1948, 141).

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stesso un mostro solo per non dover ammettere la debolezza e la carenza, da cui ha

tuttavia coscienza di essere afflitto. Ma Cénabre non riesce a fermarsi a se stesso.

Conosce troppo bene la propria finitudine: è costretto a far troppo dolorosamente i

conti con essa nell'esperienza quotidiana. Ciò lo induce pian piano a perdersi nelle

cose più svariate del mondo, che ora idolatra nella folle aspirazione a trovare in esse

quella consistenza assoluta, che cerca senza posa. E' in questa tensione

paradossale neanche lui come neanche Mouchette, la nonna di Chantal, il signor de

Clergerie, il sindaco di Fenouille, non può resistere: diviene "pazzo"92. Qui sta la

potenza del peccato: nel distruggere l'uomo con la sua confusione, con la sua

ambiguità.

Di questo regno dell'ambiguità, Monsieur Ouine è il più rappresentativo esempio.

Si tratta di un delitto? Sì (oui) o no (non)? L'assassinio del piccolo vaccaro, che

sembra essere il cuore dell'intreccio, resterà come sospeso: il colpevole non verrà

indicato dall'autore. Infatti, ciò che conta non è di sapere se il ragazzo è stato ucciso,

né di conoscere il nome dell'eventuale assassino: l'interesse è portato sulle

risonanze determinate dal ritrovamento del cadavere sugli abitanti di Fenouille e dal

"vuoto" che tale situazione scava nel cuore della parrocchia morta. Qui tutto cade

nell'incertitudine, nell'equivoco. C'è un'ambiguità con cui vengono descritti gli stati di

coscienza e le relazioni fra i personaggi. Pure il racconto acquista un carattere

"lacunare": viene spesso interrotto da ellissi o punti interrogativi, da spazi bianchi e

92 L'apostolo Paolo direbbe "stolti" (cf. Rom 1,22-23). I testi riguardando gli atteggiamenti di questi personaggi sono stati citati abbondantemente nel primo capitolo. Vogliamo fermarci su un solo caso rappresentativo: quello del sindaco di Fenouille. Il rimorso della dissolutezza passata, che si materializza in una mostruosa potenza olfattiva, porta il sindaco della parrocchia morta, prima alla disperazione, poi, vista l'incapacità altrui di liberarlo da quell'immagine, alla follia. Tutti i suoi tentativi di confessione sono riusciti solo a fare di lui un oggetto di scherno; la moglie gli nega il suo aiuto: "Voilà deux mois que tu me rabâches tes sales histoires, tu ne m'en épargnes pas une. Et que veux-tu que j'y fasse, moi, à tes histoires? Je peux-t-y les reprendre à mon compte, non? Alors?" (Monsieur Ouine, 1436). Tuttavia egli prova infine la gioia della ricuperata purezza e dell'innocenza nel momento in cui, invece di pronunciare l'atteso discorso ufficiale, da vero eroe dostoiewskiano, confessa le proprie colpe ai suoi concittadini. Ma questa luce brilla solo per lui e la demenza lo estrania per sempre dagli altri: "Dans le tumulte devenu effroyable il explique que c'en est fini de cette chose fade et fétide qui colle à l'âme comme à la peau, de cette crasse; il trépigne, se pince le nez, tire dessus, regarde tout à coup avec stupeur sa main trempée de larmes, tombe enfin sur les genoux au milieu des rires et des huées" (ibidem, 1496s). Egli precipita nella follia per colpa di una farragine di sentimenti come la paura, la collera, "l'astuzia e lo sgomento" donde nasce la fatale opposizione fra l'istinto di vita e l'odio di sé; ha paura di se steso poiché sente confusamente quanta parte di responsabilità ha nel suo annientamento. E la responsabilità, l'annientamento, l'angoscia, cioè questa lotta disperata, ci portano di nuovo alla considerazione dell'atteggiamento davanti alla libertà che consente di spiegare in parte questa tragica visione.

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da brevi frasi, da puntini di sospensione o da bruschi cambiamenti di prospettiva e di

situazione. Viene descritto così il mondo del nulla, un mondo senza consistenza, in

cui tutto è capovolto: ragioni e relazioni. Perché il piccolo vaccaro è stato ucciso?

Perché Jambe-de-Laine ha voluto uccidere Steeny? Perché M. Ouine vive nel

castello putrefatto della signora di Néréis? Quali sono i rapporti tra la madre di

Steeny e Miss, i sentimenti di Miss per Steeny? Quali sono i rapporti affettivi fra M.

Ouine e Philippe? Sono ambigui, invertiti. Perfino il famoso sermone del parroco di

Fenouille, pur suggerito dal desiderio del bene e della salvezza dei suoi parrocchiani,

si conclude col rifiuto della benedizione (cf. Monsieur Ouine, 1490).

2. Una potenza che induce ad altri peccati

Il peccato è uno stato e una potenza che domina su ogni singolo uomo e

sull'umanità nel suo complesso, e induce a commettere sempre nuovi singoli peccati,

i quali cementano a loro volta il dominio del peccato. In primo luogo si riscontra

nell'uomo peccatore una propensione verso il male, nel senso che la scelta del male,

una volta compiuta, tende a ripetersi e a stabilizzarsi. Il peccato apre una strada

verso il male, perché con la scelta di esso la volontà viene indebolita nella sua

inclinazione naturale verso il bene.

Da una parte, sembra alcune volte nei romanzi che il tempo dei personaggi stia

sotto il dominio di un orientamento fatale che li trascina verso la salvezza o la

perdizione. L'autore presenta questo pendio anche nel momento della loro

apparizione come l'avrebbero presente in essi. Da una parte è "una specie di forza

soprannaturale per il bene" che "c'era davvero in quella figliola" che si chiama

Chantal (La joie, 631) e d'altra parte è il pendio di cui parla Steeny a M. Ouine che

l'ascolta "impassibile"93.

93 "Non, je ne suis pas libre, hurla Philippe. Je-ne-veux-pas l'être. Cela me plaît de jouer un rôle, n'importe quel rôle, un vrai rôle. Et gardez-vous d'imaginer que je ne l'aurais pas accepté d'un autre que vous! Bien malin qui saurait si je vous aime ou si je vous déteste, monsieur Ouine! Je suis ma pente, voilà tout. Il n'y pas de pente dans la vie d'un gosse. Avec nos petites joies, nos petites peines, nos petites révoltes, nette et rase comme une pelouse, un chemin de velours" (Monsieur Ouine, 1372s). E un poco dopo: "Une glissade, une chute, que dire?... A la rigueur on se contenterait bien d'un faux pas" (ibidem, 1373).

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"Ognuno di noi (...) è a volta, in certo modo, un santo e un delinquente; portato talvolta al bene, non per un giudizio calcolo approssimativo delle utilità, ma chiaramente e singolarmente, di uno slancio totale dell'essere, per una effusione di amore che fa della sofferenza e della rinuncia l'oggetto stesso del desiderio; talaltra volta tormentato dalla smania misteriosa di avvilirsi, dalla compiacenza di assaporare il gusto della cenere, dalla vertigine dell'animalesco, incomprensibile nostalgia. Eh! che importa l'esperienza della vita morale accumulata da secoli! Che importa l'esempio di tanti peccatori disgraziati e della loro mala sorte? Sì, figliolo, se ne ricordi. Il male, come il bene, lo si ama per se stesso, e lo si serve" (Sous le soleil de Satan, 221).

Le ultime parole ci dicono che non siamo sul pendio della fatalità perché l'amore

e la sua manifestazione nel "servizio" non ci sono: se il cammino verso la santità si

mostra essere un rischio non una fatalità, allora anche la strada del male è un

grande rischio. Vediamo perché. Su questo pendio si scivola andando da peccato in

peccato, ed allora - dice la stessa Chantal de Clergerie a sua nonna - l'anima non ha

più la forza di sopportarlo: "alla vostra età, quando ormai si è cosi vicini a Dio, anche

una piccola menzogna è proprio di troppo. L'anima non ha più la forza di sopportarla.

E ci sono in più tutte le altre, quelle di tutta la vita, pensate un po'... Qualche traccia

di esse rimane sempre e basta ad avvelenare i vecchi" (La joie, 662).

Vogliamo adesso vedere come si manifesta, nel suo dinamismo, la potenza del

peccato nella prima Mouchette. Capace di mentire tutta la notte dinanzi al marchese

di Cadignan, "così, per mentire" (cf. Sous le soleil de Satan, 89), arriva in "un gemito

di terrore e di rabbia", a sparare contro il suo amante (ibidem, 92); poi un'altra serie

di menzogne nella casa del dottore Gallet (cf. ibidem, 92s). "Il bel fiore pieno di

tossici" del "vizio che ha messo nel cuore la sua lenta e profonda radice" fiorisce "a

un dato giorno" (cf. ibidem, 89) quando in "questa mistica rozza creatura piccola

officiante di Satana" (ibidem, 213) "un sangue generoso e ogni battito del cuore (lo)

spingono a sacrificare tutto all'ignoto" (ibidem, 69), quando "con più forza, Mouchette

evoca dal profondo dell'anima, senza nominarlo, la presenza del Maligno-Signore"

(ibidem, 213), quando "comprese che era suonata l'ora del suicidio; ma subito, senza

dilazione, proprio all'istante" (ibidem, 213s).

Il peccato riduce l'uomo in una triste schiavitù: il simbolo è il cuore indurito (di

questa "Santa Brigida del Nulla", come anche di Cénabre, di M. Ouine) e il fatto che

l'uomo peccatore cade talmente in balia del male da non riuscire più a districarsene.

E poi il dominio del peccato non è così forte che Mouchette (prima come la seconda,

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Cénabre...) non riescono più a fare il bene ma il male?94. Attuandosi verso il male, e

nella misura in cui tale attuazione è frequente e decisa,l'inclinazione naturale verso il

bene rimane affievolita. Non può però essere distrutta, per quanto si moltiplichi il

peccato, allo stesso modo che non può essere distrutta la naturale disposizione a

gustare e a ricercare il bene, perché per giungere a ciò bisognerebbe distruggere la

persona stessa nella sua struttura conoscitiva e volitiva. L'uomo, anche immerso nel

peccato, conserva dentro di sé un resto di cristianesimo che lo tormenta, qualunque

sia il grado della sua indifferenza religiosa, un'ultima impronta del soprannaturale che

tortura i più scettici con un inesplicabile senso dell'obbedienza e i più deboli col

timore dell'inferno. Per questo gli uomini non sono capaci di trovare nel male un

piacere duraturo, poiché "la più grande disgrazia dell'uomo è che persino il male

l'annoi" (Monsieur Ouine, 1469). A proposito il parroco di Ambricourt scrive nel suo

diario: "Il più indifferente al soprannaturale conserva persino nel piacere l'oscura

coscienza dello spaventoso miracolo costituito dallo sbocciar d'una sola gioia in un

essere capace di concepire il proprio annullamento e costretto a giustificare con

grande fatica, attraverso i suoi ragionamenti sempre precari la furiosa rivolta della

propria carne contro quell'ipotesi assurda, odiosa" (Journal d'un curé de campagne,

1183s).

D'altra parte, "se il romanzo - di Bernanos in genere - spinge all'estremo limite

l'immagine della potenza e dell'onnipresenza del male, evidenzia, in modo

categorico, che la potenza fittiziamente assoluta di Satana è illusoria, quando la si

mette a confronto con la dolce pietà di Dio"95. Solo M. Ouine appare nell'apertura del

libro con il suo destino sigillato: egli è perso irrimediabilmente. "Non pas absous, ni

condamné, notez bien: perdu, oui, perdu, égaré, hors d'atteinte, hors de cause" dice

lui stesso a Steeny. Però questa conoscenza dell'autore come la conoscenza umana

è esteriore, revocabile. Solo Dio conosce la verità come morrà ognuno. Cénabre

muore invocando il nome del Padre, e l'abate Donissan, la cui vita rende manifesto il

dogma della redenzione, nonostante le proteste del padre di Mouchette, assisterà la

ragazza nelle ultime ore di vita e, rispettando un desiderio da lei espresso

pubblicamente, contro il parere di tutti, la condurrà agonizzante e insanguinata nella

94 Parzialmente è quello che dice San Paolo in Rom 7,15-24. 95 FASOLI G., Sfida del povero: Georges Bernanos, 26.

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chiesa vicina. E se è vero che l'uomo rimane solo nel suo peccato - "da oggi alla fine

del mondo, il peccatore dovrà peccare da solo, sempre da solo; noi peccheremo da

soli, come si muore soli. Il diavolo vedete, è l'amico che non resta mai fino

all'ultimo..." (Monsieur Ouine, 1490) - tuttavia su di lui risplende sempre la grazia.

3. GLI EFFETTI DEL PECCATO

La potenza del peccato non si esaurisce una volta commesso il peccato: si

manifesta anche nelle sue conseguenze. Colui che pecca, compie un'azione

essenzialmente ambivalente. Egli tende verso qualche bene e cerca di realizzare un

valore, ma lo fa contro Dio, operando così in una maniera negativa e distruttiva. Il

"segno di meno" (L'imposture, 320) non ritarda manifestarsi nella vita del peccatore e

attraverso lui nella società umana.

Se è vero che per cogliere "l'orrore spaventoso del peccato, lo stato miserevole

dei peccatori e la potenza del demonio" c'è bisogno della grazia attraverso la quale

ne è stato "rivelato una volta, in modo così efficace" all'abate Donissan (Sous le

soleil de Satan, 225), nella concezione di Bernanos, le conseguenze spaventose e

terribili del male nella vita dell'uomo offrono a tutti la possibilità di intravedere l'oscura

natura del peccato96. C'è una relazione tra questo punto e il primo capitolo dove

abbiamo visto il concetto del peccato. Invece abbiamo deciso di analizzare gli effetti

del peccato qui poiché mi sembra che può chiudere una serie di problemi dell'uomo

di fronte al peccato.

Analizzeremo nelle pagine seguenti le conseguenze del peccato che

disumanizza e devasta tutto ed arriva a "ri-creare" un mondo avvilito, triste che

diventa così il segno indicativo della realtà dell'uomo peccatore.

1. Il peccato disumanizza e devasta tutto

96 Chantal dice al dottore La Pérouse che "ha capito che cosa è il peccato" allora quando assisteva l'abate Chevance nei suoi ultimi momenti segnati dalle conseguenze del peccato: "Hé bien, nous en savons parfois plus long sur le mal que bien des gens qui n'ont appris qu'à offenser Dieu. J'ai vu mourir un saint, moi qui vous parle, et ce n'est pas ce qu'on imagine, cela ne ressemble pas à ce qu'on lit dans les livres; il faut tenir ferme là-devant: on sent craquer l'armure de l'âme. Alors, j'ai compris ce qu'était le péché..." (La joie, 671).

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"Quanto poca sostanza lascia alla nostra vita il peccato che la divora!" (Sous le soleil de Satan, 200).

Il tema della disumanizzazione coincide con la perdita dello spirituale e

dell'amore che le ideologie e il consumismo emarginano ogni giorno di più. In questo

Bernanos ha dettato la sua più realistica profezia, drammatica ed appassionata.

Perciò ricorda ai cristiani che essere uomini significa, prima di tutto, resistere alla

potenza del male, a Satana, "principe di questo mondo". "Lo stato attuale del mondo

è una vergogna per i cristiani" perché vede "costruirsi un mondo, ahimè, non è

esagerazione affermare che l'uomo non può vivere, e vi potrà vivere a condizione

che sia sempre meno uomo". Per lui essere meno uomo significa in primo luogo non

avere il senso soprannaturale dello spirituale, dell'amore. A questo stato di

insensibilità porta il peccato che si insinua in noi come l'aria, senza forma, né colore,

né sapore, e "ci consuma dal di dentro. Per qualche disgraziato che esso divora vivo,

e di cui ci spaventano i latrati, quanti ce n'è, giù freddi, e che non più neanche dei

cadaveri, ma dei vacui sepolcri? Il Nostro Signore l'ha pur detto: che parola, questa,

Sabiroux! Il Nemico ruba tutto, anche la morte, e poi fugge ridendo" constata

dolorosamente l'abate Donissan (Sous le soleil de Satan, 261).

"Ruba tutto". Di qui la sensazione del "vuoto" che potrebbe giustificare la furiosa

ostinazione delle creature di Satana nel distruggere gli altri, fino ad annientare poi, in

se stessi, allo stremo delle forze, il riflesso di quel richiamo (della grazia) respinto,

come fanno Mouchette, Cénabre, Fiodoro, Simone Alfieri.

Un ruolo significativo nello smascherare "lo stato miserevole dei peccatori"

assumono le immagini e, fra queste, le immagini legate alla simbologia del male, alla

presenza del nulla: silenzio, fango, morte, putrefazione, decomposizione e,

soprattutto, il vuoto.

Le immagini del vuoto abbondano in particolare nel romanzo Monsieur Ouine,

dove lo scrittore vuole descrivere il vuoto di un villaggio in "decomposizione", in cui

sia assente ogni vera vita97: si moltiplicano nel corso dell'ultimo capitolo, fino

all'affermazione rivolta da M. Ouine a Steeny: "Anch'io sono vuoto. (...) Mi vedo ora

97 Tutto si mostra essere vuoto: "Et ce ridicule ôté, ils n'intéressent plus, ils sont vides. La vie aussi est vide. Une grande maison vide, où chacun entre à son tour", dice Philippe. La levatrice gli risponde: "C'est malhereux, dit-elle enfin, d'entendre un garçon de votre âge qui ne devrait penser qu'au plaisir comparer la... la vie à... à une maison vide" (Monsieur Ouine, 1534).

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fino in fondo, nulla ferma la mia vista, nessun ostacolo. Non c'è nulla. Nulla"

(Monsieur Ouine, 1550). Nel momento della morte, M. Ouine si rende conto che lui si

è identificato col nulla. La sua anima la sente "come un vuoto, un'attesa,

un'aspirazione interiore" (ibidem, 1560). La sua morte evoca l'irruzione nella sua vita

del nulla assoluto. Bernanos vuol suggerire la violenza del nulla che s'impadronisce

del vecchio professore di lingue con una serie d'immagini, legate tra di loro in una

logica profonda: fame, orifizio senza fondo, otre vuoto, armadio vuoto98,

inconsistenza di una sostanza capace di avere un secreto99, sete impossibile di

dissetare con un'acqua inutile100. Il travaglio più forte del moribondo è causato dalla

fame che macina tutto il suo essere: "Ho fame, dice il signor Ouine, ma questa volta

con una specie di stupida sorpresa. (...) Ho fame, ripete il signor Ouine. Ho una fame

da lupi, crepo di fame". Una fame insaziabile. "Non mi riempiranno più d'ora in poi,

continua il signor Ouine con gravità. Sarebbe un gran lavoro riempirmi, e questo

lavoro non è ancora stato nemmeno cominciato. Invano mi sono aperto, dilatato, non

ero che orifizio, aspirazione, deglutizione, corpo e anima, spalancato da ogni parte.

(...) Desideravo, mi gonfiavo di desiderio invece di saziare la mia fame, non

assimilavo nessuna sostanza, né bene né male, la mia anima è solo un otre pieno di

vento. Ed ecco ora, giovane mio, ch'essa a sua volta mi risucchia, mi sento liquefare

e scomparire in questa gola vorace, essa rammollisce persino le mie ossa". E la sua

98 Proprio all'inizio del libro, l'immagine della "bottiglia vuota" (cf. Monsieur Ouine, 1373) preannuncia questo scioglimento finale, quando tutto à vuoto. "Vainement me suis-je ouvert" (Monsieur Ouine, 1551); "Justement... précisément..., balbutia M. Ouine (...) cette clef ne saurait plus me servir à rien, la porte est béante, les flacons vides, les poisons répandus dans l'air, dilués à l'extrême, inoffensifs. Il faudrait les concentrer des siécles pour en obtenir de quoi tuer seulement une souris" (ibidem, 1556). 99 Poiché la sua dissoluzione è tale che non può avere neanche la sostanza di un secreto. "Je n'ai ps des secrets, disait M. Ouine. (...) Je n'ai plus de secrets, supposé que j'en aie jamais eu. Dieu me joue ce tour" (Monsieur Ouine, 1554). "J'ai besoin d'un secret, reprit M. Ouine, j'ai le plus pressant besoin d'un seul secret, fût-il aussi frivole que vous pouvez l'imaginer, ou plus répugnant et hideux que tous les diables de l'enfer. Oui, n'e�t-il que le volume d'un petit grain de plomb, je sens que je me reformerais autour, je reprendrais poids et consistence... Un secret, comprenez-moi bien, mon enfant, je veux dire une chose cachée qui vaille la peine d'un aveu - d'un aveu, d'un échange, une chose dont je puisse me décharger sur autrui" (ibidem, 1555). In questo senso, Claude-Edmonde Magny scirve: "Il sent qu'il se dissout et retourne au néant; il redevient ce qu'il est, ce qu'il n'a jamais cessé d'�tre, une fois privé du support charnel qui lui conférait un semblant d'existence" (MAGNY C.-E., La part du Diable dans la littérature contemporaine, Paris, Desclée de Brouwer, 1948). 100 "De l'eau... (...) Non pas pure - insipide, incolore, sans fraîcheur ni chaleur... Aucun froid ne saurait la tenir, elle ne saurait éteindre aucun feu. Qui voudrait boire avec moi de cette eau? L'acier est moins dur, le plomb moins dense, nul métal n'y pourrait mordre. Elle n'est pas pure, au sens exact du mot, mais intacte, inaltérable, polie comme un miroir de diamant. Et ma soif aussi lui ressemble, ma soif et cette eau ne font qu'un" (Monsieur Ouine, 1556).

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conclusione: "In fondo, non mi son mai preoccupato della mia fame, ho goduto della

mia fame, oggi la fame gode di me" (Monsieur Ouine, 1551-1552). Per M. Ouine

questa è "l'infelicità che non s'è mai vista morire" (ibidem, 1547), e se lui "rientra in se

stesso per sempre" (ibidem, 1560), lo fa per trovare la prigione del nulla da dove non

può fuggire "pur col solo desiderio" (idem) e dalla quale non può ricevere nessuna

risposta perché - dice Bernanos facendo riferimento a quelle "vane cadute, grida

destinate a non essere intese da alcun vivente, freddi messaggi della notte senza

riva!" - "se l'inferno non risponde nulla al dannato, non è perché rifiuti di rispondere -

più stretta, ahimè, è l'osservanza del fuoco incorruttibile - ma perché non ha nulla da

dire e non dirà mai nulla, eternamente" (La joie, 561). Infatti, questa descrizione della

disumanizzazione dell'essere in Monsieur Ouine è la trasposizione romanzesca di

quello che diceva l'abate di Ambricourt: "Il mondo del Male sfugge talmente,

insomma, alla presa del nostro spirito! Non riesco, d'altronde, a immaginarlo sempre

come un mondo, come un universo. E', e sarà sempre, soltanto un abbozzo,

l'abbozzo d'una creazione odiosa, abortita, all'estremo limite dell'essere. Penso a

quelle sacche flaccide e traslucide del mare" (Journal d'un curé de campagne, 1143).

"Il peccato è crudele" rivela l'abate Chevance senza "metafore sublimi" ma "col

tono di un contadino che difenda il proprio grano dai roditori: 'Vedete, i peccati sono

avidi e crudeli come topi. Chi li ama è crudele come loro, o lo diventa a lungo andare"

(La joie, 602s). E questa crudeltà è il "pane orribile" che "l'uomo acconsente a

dividere con l'inferno" (ibidem, 603). Infatti, la degradazione che si esprime nella

crudeltà è così terribile che gli uomini arrivano a "stringere tra le loro braccia e sopra

il loro petto dilaniato una bestia così armata" (ibidem, 603); è un stato d'inferno

presente anche durante la vita: "Quello che ha di buono il vizio - dice M. Guérou a

Pernichon - è che ci insegna a odiare l'uomo. Tutto va bene fino al giorno in cui si

comincia a odiare se stessi. Perché in fin dei conti, amico mio, le chiedo: odiare se

stessi, la propria specie, non è l'inferno? Crede all'inferno lei, Pernichon? (...) Io ci

credo. Non c'è bisogno di andare tanto lontano, guardi: la mia casa è un inferno"

(L'imposture, 437).

Per poter penetrare "nello spessore dell'antica menzogna", ed intendere "il

gemito, il rantolo del desiderio estenuato, che fa scoppiare i petti più duri" - ci fa

attenti Bernanos - c'è bisogno di "una certa purezza, una certa semplicità, la divina

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ignoranza dei Santi, sfuggendo al male" come il santo curato d'Ars (La joie, 561) o

"bisogna essere un semplice povero prete per conoscere la spaventosa monotonia

del peccato..." (Sous le soleil de Satan, 234) come constata il curato di Lumbres101,

che passa "spesso tutto quel tempo al confessionale", senza aver "più la forza di dir

nulla...", se non "piangere e pregare..." (ibidem, 234) dinanzi a queste "anime nude"

(ibidem, 276) che hanno toccato il più basso livello di degradazione con il loro

"ricercare, ricercare con le labbra la schifosa mammella che Satana si comprime per

abbeverarli del suo tanto amato veleno!" (ibidem, 275). "Poveri peccatori, come sono

vuoti!" diceva l'abate Chevance (La joie, 602).

"E' vero che il piacere deve essere cercato per se stesso, lui solo. L'amante non

ha importanza. Il luogo e l'ora non hanno importanza" (Sous le soleil de Satan, 98).

Per Mouchette, questa ricerca sistematica del piacere è l'ultima fase di un processo

di degradazione spirituale: rivolta, peccato, menzogna, disperazione, odio di se

stessa.

2. Un mondo triste - ideogramma della realtà dell'uomo peccatore

"Con Satana la tristezza è entrata nel mondo" (La joie, 594). "Ma questa terra non era meno potente, avida, conformata ai desideri dell'uomo, impastata e rimpastata dal peccato, terra di peccato" (ibidem, 604). "Che dire? Non è entrata, era giù in noi. Credo sempre più che quello che chiamiamo tristezza, angoscia, disperazione, come per persuaderci che si tratta di certi moti dell'anima, sia codesta anima stessa e che, dopo la caduta, la condizione dell'uomo è tale ch'egli non potrebbe percepire più nulla, in sé e fuori di sé, che sotto la forma dell'angoscia" (Journal d'un curé de campagne, 1183).

A causa del peccato, la tristezza è entrata nel mondo. La situazione dell'uomo

caduto sotto l'impero del peccato si manifesta in modo chiaro nel mondo dove vive e

che egli cerca di costruire. Le forme di manifestazione sono molteplici. Cerchiamo di

vedere alcuni aspetti essenziali.

a) Gusto misterioso di avvilimento

"Giunto al massimo dell'avvilimento, un uomo perde la propria verità per sempre" (Monsieur Ouine, 1364).

101 Perché "ce coeur humain, il le connaît bien, lui... (Il y est entré avec sa pauvre soutane et ses gros souliers). Ce coeur! Ce vieux coeur, qu'habite l'incompréhensible ennemi des âmes, l'ennemi puissant et vil, magnifique et vil. L'étoile renié du matin: Lucifer, ou la fausse Aurore..." (Sous le soleil de Satan, 234s).

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Tutto ciò che è restato del Regno di Dio nel mondo rende l'uomo più umano: il

bene umanizza. Il male disumanizza; disumanizza, nel senso che l'uomo non si

comporta come dovrebbe, secondo il suo essere che è un essere davanti a Dio. Il

peccato consiste nella sicurezza di sé: essere preoccupati di se stessi, ritenere

importanti i propri progetti e nel farlo si sentono così sicuri da diventare ciechi e sordi

di fronte al fatto che la cosa decisiva viene loro offerta tramite la grazia. Il peccato

appare ancora una volta non come una trasgressione o un comportamento errato nei

confronti di una norma concreta. Sembra che per Bernanos, il peccato è prima di

tutto una condizione di cecità, sordità, mutismo, paralisi, che trattiene l'uomo dalla

ricerca di Dio, non gli fa individuare i segni della sua presenza nella storia. L'uomo

non vede. Il peccato è quell'atteggiamento fondamentale fatto di miopia, che non

ritiene necessario guardare al di là del proprio orizzonte, che considera la realtà più

vicina già come il tutto, così come Eva prese per il tutto la mela che le pendeva

davanti agli occhi. Il peccato è quella pigrizia che considera in maniera ovvia come la

cosa più importante quel che uno possiede. Tale sicurezza di sé e tale chiusura in se

stesso rende poi necessariamente ciechi e sordi di fronte all'avvento del Regno di

Dio in Gesù Cristo. Ci sono tante cose necessarie e utili. Tuttavia, proprio in tutto ciò

può verificarsi il peccato, quando cioè gli uomini si perdono nelle loro "ovvietà" fino al

punto di non tener più conto dell'altro e di qualcosa di più grande. E questo è un

avvilimento dell'essere che si esprime nella vita dell'uomo in diversi modi.

Nei romanzi di Bernanos si trovano molti esempi di questo "gusto misterioso di

avvilimento" nell'uomo (Sous le soleil de Satan, 221). Possiamo cominciare

seguendo l'evoluzione dello stato di Cénabre dal primo momento della sua

degradazione quando "lentamente disgregata dal fascino del dubbio volontario, dal

sacrilegio d'una curiosità senza amore, la fede era svanita totalmente, come una

funzione che non può sopravvivere all'organo distrutto, e di cui non sussiste più

neppure il bisogno" (L'imposture, 334). Che cosa rimane dalla sua attività di prete?

Un "strano fenomeno" di quale lui è "al tempo stesso attore e testimonio" "nella più

assoluta indifferenza, attento soltanto ai gesti, alle parole", "pronunciava la formula

della consacrazione" ma "perché gli pareva indegno di lui l'ingannare, sia con

un'innocua omissione, le vecchie che, qualche minuto dopo, sarebbero venute a

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inginocchiarsi alla Sacra Mensa" (L'imposture, 448). Bernanos, per sottolineare lo

stato di Cénabre, dice che in quei momenti della celebrazione "usciva di sé come si

esce da un sogno, si guardava agire, non con terrore ma con un'immensa curiosità"

e "nella sospensione di una straordinaria attesa, si sentiva impietrito" (idem). Lui, "il

prete ribelle, davanti al proprio Dio tradito" non aveva bisogno della rivelazione che

poteva venire "da quell'immagine di bronzo, fredda e muta, o dal piccolo disco bianco

tanto fragile", ma "con lo sguardo immobile attendeva una nuova e imminente

rivelazione, proveniente da lui stesso" (idem). La celebrazione eucaristica e tutto il

suo lavoro rimane per lui una sorgente di crisi che suscitava un profondo travaglio

interiore (cf. L'imposture, 448-449). "Cosa non avrebbe dato per provare una

resistenza, uno strazio, pure dolorosissimo, qualsiasi cosa che non fosse quella

silenziosa dissipazione dell'essere che aveva creduto reale, ora svanito, e non

sostituito da nulla! Ma il silenzio soprannaturale si sarebbe detto si fosse richiuso su

di lui, per sempre" (ibidem, 335). E questo perché "il senso metafisico - confessò un

giorno - in me è come soppresso" (ibidem, 443). Rinnegato Dio, l'abate Cénabre

ritrova a poco a poco al fondo di se stesso il bisogno di distruggere tutto ciò che altre

volte aveva amato. Il peccatore, non essendo orientato a Dio, non volendo essere

figlio di Dio, ma lui stesso la misura di tutto, non riesce a riconoscere nel prossimo il

suo fratello, ma è costretto a vedere in lui il nemico, che deve fronteggiare in un

atteggiamento di difesa o di autoaffermazione. E' l'atteggiamento dell'abate Cénabre

di fronte al suo confratello l'abate Chevance (cf. L'imposture, 336-369). Finisce

dunque per far intristire anche la propria capacità di amare. "L'inferno è non amare",

ripete tante volte Bernanos nei suoi romanzi. E questo è un mondo triste. Qui sta la

miseria umana del peccatore, il suo vero avvilimento. Se l'abate Cénabre arriva

all'odio di sé ed una sete di vergogna e di disprezzo di se stesso lo macina ogni

momento, questa mi sembra la via normale da seguire da parte di quello che, persa

la fede, incapace di amare, guarda e scopre stupido qual'è l'avvilimento del suo

essere: lo disgusta e non può che odiarlo fino alla distruzione totale.

La forza disumanizzante del peccato si manifesta di fatto in diversi modi concreti,

tra i quali i più frequenti sono quelli che distruggono la persona stessa, come il

delitto, il suicidio, la follia, perché porta le sue vittime verso il nulla, dopo aver loro

concesso, per un attimo, l'illusione del trionfo. E' la via che ha scelto Cénabre.

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Evangelina, la protagonista di Un crime, dopo che ha mantenuto una relazione

snaturata con un'altra donna e calcolato, nella quotidiana esecuzione, la menzogna,

dopo il delitto di cui si macchia102, può sintetizzare la professione della sua esistenza

in una lettera, che lascia prima di porsi sulle rotaie per farsi dilaniare, in queste

parole: "io ho amato la menzogna ed essa mi ha contraccambiato degnamente. Mi

ha dato la sola libertà di cui potevo godere senza ristrettezza, perché se la verità

rende liberi, essa mette però alla nostra libertà delle condizioni troppo dure per il mio

orgoglio, mentre la menzogna non me ne impone nessuna. Solamente finisce per

uccidere. Mi uccide" (Un crime, 863). La disumanisazione infatti non sta proprio

nell'arrivare a questo capovolgere dei valori? "La vita per noi non deve essere una

meta, è una preda. E non una sola, migliaia e migliaia di prede, tante quante sono le

ore. Si tratta di non perderne alcuna, prima dell'ultima, l'ultima delle ultime, quella che

ci sfugge sempre" (Monsieur Ouine, 1386). Bernanos vede l'uomo "avvilito" nella sua

tentazione di distruggere penetrando nei più sublimi valori: "L'uomo ha insozzato

persino la sostanza del cuore divino: il dolore" (L'imposture, 353). Ed ancora: "Quale

potenza aveva dunque mai la menzogna per giungere ad alterare fino a questo

punto, davanti al miserabile sguardo degli uomini, il volto stesso dei santi?" (La joie,

562). E forse anche della santità. Infatti, il curato di Ambricourt non è dispensato da

questa conseguenza del peccato poiché neanche lui non ignora il disgusto di se

stesso e nello stesso tempo il piacere impuro di sentirsi vittima degli altri. Lo stesso

fa il santo di Lumbres.

L'azione disumanizzante del peccato non si esaurisce nel mondo spirituale: se il

peccato come il male è senza una propria esistenza, allora esso si manifesta nei suoi

effetti che prendono esistenza incarnandosi nella persona intera: nella carne e nello

spirito dell'uomo e, a partire dall'uomo, nell'intera società. Vive e prolifera mentre

divora, corrompe e uccide. Per questo Bernanos rappresenta con l'immagine della

malattia l'azione del male: la tubercolosi che rode M. Ouine, la malattia della

Contessa del Journal d'un curé de campagne e soprattutto il cancro - immagine

molto diffusa nella sua opera perché gli sembra tradurre chiaramente le

conseguenze del peccato, del male sull'essere umano.

102 "La meurtre de la vieille dame n'était pour elle, à ce moment, qu'une sorte d'accident presque négligeable, une péripétie sans grand intérêt au regard de ce qui l'avait suivi" (Un crime, 689).

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b) Un mondo divorato dalla noia

"Mi dicevo dunque che il mondo è divorato dalla noia. Naturalmente, bisogna riflettervi un po' sopra, per rendersene conto; la cosa non si sente subito. E' una specie di polvere. Andate e venite senza vederla, la respirate, la mangiate, la bevete: è così sottile, così tenue che sotto i denti non scricchiola nemmeno. Ma basta che vi fermiate un secondo, ecco che vi copre il viso, le mani. Dovete agitarvi continuamente, per scuotere questa pioggia di ceneri. Perciò, il mondo s'agita molto" (Journal d'un curé de campagne, 1032).

Il curato di campagna si ferma per riflettere e scopre che "la noia è la vera

condizione dell'uomo", che "è possibile che il suo seme sia stato sparso dappertutto

e che essa sia germinata qua e là, sul terreno favorevole" poiché "il mondo con la

noia ha familiarità da molto tempo". Non riesce a capire invece "il contagio della noia"

sul cristianesimo. All'inizio del suo ministero, che comincia in un novembre piovoso in

un piccolo villaggio del Nord della Francia, un Ambricourt immaginario, eppure

perfettamente vero, il giovane sacerdote constata che la parrocchia che gli è stata

affidata "è divorata dalla noia come tutte le altre". Egli cerca di capire "benissimo"

"per la sua quiete" una cosa che, almeno in quel momento, era incomprensibile: non

la relazione mondo - noia (perché nella sua semplicità di fede ha capito il dinamismo

che porta il mondo verso la noia103), ma il legame che appariva molto stretto tra il

discepolo di Cristo e "questa lebbra" che si manifestava "come la fermentazione d'un

cristianesimo decomposto". Come mai il cristiano può arrivare a "una disperazione

abortita" a una tale "forma turpe della disperazione"? (Journal d'un curé de

campagne, 1031-1032), poiché - per lui come anche per il suo confratello da Torcy -

soltanto "il contrario d'un popolo cristiano è un popolo triste104, un popolo di vecchi"

(Journal d'un curé de campagne, 1044). Poco a poco arriva a capire che la noia è

sotto il segno del peccato, è il segno umano della maledizione, la manifestazione

dell'impero terreno di Satana, che è un mondo di distruzione, di disgusto, di

vergogna, di egoismo e di diffidenza e soprattutto di solitudine. "La mia tristezza era

troppo grande, probabilmente. Non domandavo Dio che per me. Non è venuto"

(ibidem, 1112). "Il peccato contro la speranza, il più mortale di tutti, è forse il meglio

103 Infatti, il curato di Torcy gli dirà in alcuni giorni che "notre pauvre monde ressemble au vieux père Job sur son fumier, plein de plaies et d'ulcères" (Journal d'un curé de campagne, 1039). 104 In La joie Chantal dice: "si malheureuse que je puisse être un jour, la tristesse n'aura pas le part en moi, jamais..." (La joie, 671).

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accolto, il più accarezzato. Ci vuole molto tempo per riconoscerlo, e la tristezza che

lo annunzia e lo precede è così dolce! E' il più ricco degli elisir del demonio, la sua

ambrosia" (ibidem, 1116s). "Dietro di me non c'era nulla. E davanti un muro, un muro

nero" (ibidem, 1111). Solo alla fine del libro riesce a dare un senso alla sua tristezza.

Lo confessa alla piccola Séraphita: "Io sono triste perché Dio non è amato". E cerca

di esplicare: "Anch'io sono triste. E' bello, essere tristi. Ciò riscatta i peccati" (ibidem,

1206).

La tristezza diventa infinitamente pesante e acuta per il peccatore. Nella

"parrocchia morta", la sindachessa di Fenouille constata che tutti sono tristi e, nel

loro animalesco esprimersi, mettono in rilievo una vera depersonalizzazione: "I ricchi

hanno il loro (modo) - s'annoiano qua e là, noie da ricchi, noie da burla, con i loro

libri, a teatro, ai concerti - insomma, Dio sa dove! I nostri scimuniti, sì, i nostri

scimuniti sono costretti a trovarle in loro stessi, si rodono, si divorano. (...) si prova

vergogna soltanto a guardarli, con i loro sporchi grugni taciturni e gli occhi lucidi. Non

posso fare a meno di paragonarli a bestie, bestie che non hanno la parola. Proprio

così: sono tristi come bestie" (Monsieur Ouine, 1512), Lei vede come "gli uomini

diventano idioti" e pensa che la causa è "qualcosa nell'aria, un veleno", perché la

realtà - secondo lei - è che "il mondo sta imputridendo" (ibidem, 1511).

Il peccato rende il mondo triste. E' triste anche a causa dell'isolamento.

c) La solitudine senza comunione

"L'uomo non è fatto per vivere da solo o in coppia, come le tigri o i serpenti" (Monsieur Ouine, 1487).

E' importante notare che il peccato porta all'isolamento sempre e

necessariamente in quanto il peccato è rifiuto di amare e di comunicare. Dal peccato

proviene quell'isolamento che è basato su di un rifiuto. Ma si può anche dire il

contrario: tutto il peso di tale rifiuto, tutta la forza del peccato può essere riassunta

nell'isolamento. Oramai la solitudine della condizione umana si presenta sotto la

forma di una separazione, di una alienazione, la separazione dell'uomo, dopo il

peccato originale, sia da Dio sia dal resto della creazione. Il sentimento della

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solitudine è entrato nel cuore di Adamo e noi l'abbiamo strappato di là (cf. Journal

d'un curé de campagne, 1045).

Esiste una solitudine buona e una solitudine cattiva. Se la solitudine buona è il

ritorno in noi stessi che è richiesto per essere autentici nella nostra comunione con il

mondo, con il prossimo e con il Dio, la cattiva solitudine può consistere

nell'incapacità di stabilire contatti a causa delle circostanze interne o esterne; cioè

poiché siamo tagliati fuori o disturbati dagli altri. Questa è la solitudine senza

comunione. E' la solitudine o l'isolamento come incapacità di uscire da se stesso con

atteggiamenti di carità. Questa è la solitudine prodotta dal peccato che vogliamo

considerare nei romanzi del nostro autore.

Ma prima di entrare nell'analisi di questo tema voglio accennare un altro che

soltanto sembra di essere agli antipodi della solitudine. C'è una "solidarietà nel male"

che "spaventa" il curato di campagna, ma che non fa cambiare di niente la natura del

male105.

"La semenza del male e del bene vola dappertutto. La grande disgrazia è che la giustizia degli uomini interviene sempre troppo tardi: reprime o marchia certi atti, senza poter risalire più in alto né più lontano di colui che li ha commessi. Ma le nostre colpe nascoste avvelenano l'aria che altri respirano; e un dato crimine, di cui un miserabile portava il germe a propria insaputa, non avrebbe mai maturato il suo frutto, senza quel principio di corruzione. (...) 'Sono pazzie, vere pazzie, sogni malsani'. Era livida la contessa. 'Credo, signora. Credo che se Dio ci desse una chiara idea della solidarietà che ci lega gli uni con gli altri, nel bene e nel male, non potremmo più vivere, infatti" (Journal d'un curé de campagne, 1159).

"Non si tratta tanto del peccato singolo, quanto del peccato nel quale si nasce, e

si cresce, che domina l'umanità, che ci rende partecipi del regno del male e ci fa

cadere sotto il dominio del 'potere delle tenebre'. I peccati commessi dai singoli si

fondono per formare un unico immenso fiume che scorre lungo tutta la storia umana.

E' la solidarietà nel peccato". Ed il piccolo curato, che conosce questa solidarietà, ha

difficoltà a vivere "normalmente", spiega F. Castelli106.

In questa solidarietà entra "M. Ouine che rende morta la parrocchia di Fenouille,

che è divenuta uno spazio in cui sussistono solo i vizi, l'egoismo, la disperazione, il

105 "La solidarité dans le mal, voilà ce qui épouvante! Car les crimes, si atroces qu'ils puissent être, ne renseignent guère mieux sur la nature du mal que les plus hautes oeuvres des saints sur la spelndeur de Dieu" (Journal d'un curé de campagne, 1142s). 106 CASTELLI F., Volti di Gesù nella letteratura moderna, I, 174-175.

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suicidio e da dove Dio sembra essersi ritirato"107. C'è poi un'altra creatura diabolica,

Evangelina di Un crime, che vive una fedeltà al male e alla finzione con tutta la

propria volontà: appartiene al mondo che sta diametralmente opposto a quello della

santità, nella solidarietà dei dannati che è l'antitesi della comunione dei santi ove lo

scrittore ha approfondito la propria indagine letteraria. Sì, esiste una solidarietà, ma

questa si riduce solo a una convivenza con un influsso distruttivo sull'altro. Infatti, se

l'autore utilizza il termine di "solidarietà", mi sembra che lo fa in senso improprio, in

quanto questa "solidarietà" è un atteggiamento che non ha niente da fare con la

comunione, anzi sprofonda l'uomo nella più disgustosa solitudine. E' una "solidarietà"

che rende estranei coloro che l'hanno instaurata con il loro peccato; essa è

concretamente alla radice della vera solitudine, quella senza comunione, dove

l'abbandono è totale, poiché è l'opera di Satana, quello che non vuole conoscere

questa relazione di comunione e perciò non può mai mettere veramente insieme: "Ed

ecco che persino il diavolo s'è allontanato da voi. Ah! come siamo soli nel male,

fratelli miei! I poveri uomini, di secolo in secolo, sognano di spezzare questa

solitudine - fatica sprecata! Il diavolo, che può tante cose non riuscirà mai a fondare

la sua Chiesa, una Chiesa che metta insieme i meriti dell'inferno, che metta insieme il

peccato. Da oggi alla fine del mondo, il peccatore dovrà peccare da solo, sempre da

solo - noi peccheremo da soli, come si muore. Il diavolo, vedete, è l'amico che non

resta mai tale fino all'ultimo..." (Monsieur Ouine, 1490).

Il soprannaturale isolamento nel male che si impadronisce dei parrocchiani di

Lumbres o di quelli di Ambricourt, raggiunge l'apice nella "parrocchia morta". Gli

abitanti di Fenouille, la parrocchia morta, afferrati dalla paura di questa solitudine di

cui sono divenuti consapevoli al momento del crimine misterioso, hanno tentato di

raggrupparsi intorno al sacerdote, ma sono ormai incapaci di comunicare fra loro per

mancanza di fiducia e di sincerità, in quanto una curiosità perfida e beffarda ha

sostituito l'amore e il peccato li ha immersi nell'universo del gelo. "Ora la solitudine mi

fa ancor più paura della pietà. La solitudine mi ha logorato molto prima che avessi

l'età di sopportarla" (Monsieur Ouine, 1468). Sono le parole del povero parroco, che

la sente come sorgente di paura. E' mescolata qui con un'altra solitudine, quella dei

preti, che è "la solitudine totale" (Monsieur Ouine, 1469). Ma nello sfondo, la 107 LA BARBERA M.A., Invito alla lettura di Bernanos, Mursia, 1993, 96.

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sorgente dell'isolamento non sembra essere la condizione del sacerdote che è

sempre "solo"108, quanto il peso insormontabile generato dalla sua parrocchia che ha

perso il "gran significato" dell'atteggiamento fondamentale del cristiano che è l'amore:

"amore, amici mei, un amore di cui temo che voi abbiate perso persino l'idea, un

amore che veglia giorno e notte, un amore che duole dentro" (Monsieur Ouine,

1486). Per questo, dice il parroco che vuol smascherare il loro stato d'animo: "Vi

siete sospettati, calunniati, denunciati, odiati l'un l'altro, ed ora avete sentito il bisogno

d'avvicinarvi per lottare insieme contro il freddo, per starvene al caldo" in quanto "il

male non vi tiene più al caldo" (Monsieur Ouine, 1490). In questa situazione il clima

rimane sempre il freddo che suggerisce nella prospettiva bernanosiana l'atmosfera

dell'inferno109. E nella sua predica, il parroco lo ricorda: "Vi sentite tutti intirizziti,

freddi. Si parla sempre del fuoco dell'inferno, ma nessuno l'ha mai visto, amici mei.

L'inferno, è il freddo" (Monsieur Ouine, 1490).

Ecco come descrive questa solitudine il curato di Torcy insegnando al suo

giovane confratello di Ambricourt: "Tra i poveri, come tra i ricchi, un piccolo

miserabile è solo, solo quanto un figlio di re. Da noi, perlomeno, in questo paese, la

miseria non si condivide, ogni miserabile è solo nella sua miseria, una miseria che è

soltanto sua, come il suo viso, le sue membra. Non credo d'aver avuto un'idea chiara

di questa solitudine, o forse non me ne facevo nessuna idea. (...) Non v'è nulla di più

duro dell'orgoglio dei miserabili" (Journal d'un curé de campagne, 1070).

Per Bernanos è una "solitudine tragica" in quanto ha visto vivere e morire le sue

due Mouchette. Prima Mouchette, quella di Sous le soleil de Satan, nell'ambiente

della sua famiglia non trova che la solitudine ed una vita senza gioia, solitudine e

noia peggiori della morte. La rivolta contro questa solitudine getta Mouchette sulla

strada della ricerca dell'amore e della gioia, ma troverà invece una solitudine ancora

più dura, la "vera solitudine". Davanti a se troverà solo la menzogna, proverà d'un

108 "Me voilà non moins seul que jadis, plus seul... Vous me direz: il y a les supérieurs, les confrères... Ah! monsieur, rien ne diffère plus d'un prêtre qu'un autre prêtre; notre solitude est parfaite" (Monsieur Ouine, 1469). Il parroco di Fenouille non ha paura di questa solitudine, fa parte della sua condizione, e consciente l'accetta, come Dio la ha accettato nel suo amore: "on doit en prendre son parti (...) je prends mon parti de la farouche bêtise des hommes. Je ne me révolte pas contre le mal. Dieu ne s'est pas révolté contre lui, monsieur, il l'assume" (idem). 109 In Monsieur Ouine, Bernanos lo afferma chiaramente: "L'enfer, c'est le froid" (Monsieur Ouine, 1490) ed e sempre in riferimento con la mancanza dell'amore: "l'enfer, c'est de ne plus aimer" (Journal d'un curé de campagne, 1157).

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colpo il piacere, ma non troverà che il niente. Il suo amante, il meschino dottor Gallet

è incapace di comprenderla in particolare durante il travaglio dopo l'assassinio del

marchese, e lei in conseguenza non può condividere con nessuno il segreto del suo

delitto110. Questa solitudine ottenebra in lei i valori e la loro chiamata e la porterà al

suicidio (cf. Sous le soleil de Satan, 208-214). La seconda Mouchette, quella di

Nouvelle histoire de Mouchette, sperimenta nella famiglia e nella società una

"solitudine selvaggia". Non è mai stata conosciuta nel suo cuore, nessuna carezza

l'ha mai sfiorata, mai nessun ha pronunciato il suo nome con amore. E' stata

un'illusione quando ha creduto di vedere realizzarsi la sua speranza di trovare

compassione e tenerezza nel bracconiere Arsenio; anche quel "sogno", che per

qualche ora le aveva dato l'illusione di essere in un certo senso complice di Arsenio e

aveva dunque infranto per poco tempo la sua solitudine, svanisce nel nulla. Non le

rimane niente di suo alla fine, poiché la vecchia sacrestana, Philomène -

personaggio che ripropone, al femminile, lo specifico di M. Ouine, ossia quella

diabolica capacità di "svuotare" chi sta intorno di ogni briciola di vita - le strappa il suo

segreto. "Sorpresa tra cielo e terra" Mouchette nella sua "solitudine completa" ha

accanto solo la tenerezza di Bernanos111. Tutte e due conoscono questa solitudine:

nessuno vorrà dividere con loro il fardello di miseria. E' la tragica solitudine senza

comunione, una terribile conseguenza del peccato sull'uomo e sul suo mondo: tutti

due tristi.

* * *

Possiamo concludere questo capitolo affermando che il confronto tra l'uomo e il

peccato appare nei romanzi di Bernanos drammatico, pieno di un drammatismo che

si rende visibile in particolare a due livelli:

- della libertà: in quanto dall'inizio della sua esistenza nella storia l'uomo gode di

una libertà, ma una libertà finita, e di più limitata a causa del peccato originale; la sua

libertà deve essere conquistata sempre tra tante determinazioni, accettando i rischi 110 Cf. Histoire de Mouchette - prima parte del romanzo Sous le soleil de Satan. 111 "Da un punto all'altro del racconto, Bernanos parla di Mouchette con una tale tenerezza che non è possibile non immaginare ad ogni istante, posato sulla ragazza abbandonata, uno sguardo di compassione totale, del tutto simile allo sguardo dei preti bernanosiani; questo sguardo è quello del romanziere" (BEGUIN A., Bernanos par lui-même, Paris, Seuil, 1954, 80).

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dell'amore. Pure il peccato ottenebra con l'ambiguità e confusione le facoltà dello

spirito dell'uomo e lo induce ad altri peccati, la sua responsabilità rimane;

- delle conseguenze: in quanto il dinamismo del peccato non si ferma al

momento della decisione e della commissione, ma sbocca negli effetti disastrosi,

disumanizzanti che rendono il mondo triste, chiuso nel suo avvilimento, divorato di

noia e solitudine. Sono delle componenti essenziali della tragicità bernanosiana

queste conseguenze spaventose di fronte alle quali anche "l'angelo che ci ha in

custodia volge stupito il viso da un'altra parte" (Sous le soleil de Satan, 213). Il

mondo appare come l'ideograma della realtà dell'uomo peccatore.

C'è alcuna possibilità di uscire? Quale è la proposta di Bernanos a proposito del

superamento dello stato di peccato? Lo vediamo nel terzo capitolo.

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Capitolo III

NELLA DIALETTICA DI PECCATO E GRAZIA

Bernanos non può fare a meno di ricordare che l'umanità - e di fatto l'uomo come

persona - resta sempre, nonostante tutte le distrazioni d'ogni tipo, il terreno di lotta

fra la grazia ed il peccato, fra Dio e il Maligno.

E' la fiacchezza dei cristiani stessi che apre gli spazi al male e tradisce la

redenzione. L'opera romanzesca dello scrittore francese è in sostanza la descrizione

di questo scontro violento fra il peccato e la grazia, fra la "dolce speranza" che

conduce a Dio e la cupa disperazione che schiude al nulla. I suoi personaggi sono

protagonisti e partecipi di questa lotta: talvolta violentissima, altre volte ambigua e

ambivalente e sottratta alla possibilità di un nostro definitivo giudizio. Sono preti di

ogni natura e carattere: trasandati e incolti, fedeli o tiepidi, ardenti o buoni furieri della

Chiesa, preti intellettuali che l'orgoglio ha impoverito e la superbia ha condotto

all'incredulità. Ci sono uomini di ogni ceto ed età: donne e uomini rosi dall'invidia o

dall'avarizia, anime che non sanno amare e che anzi sembrano vivere solo per

esprimere il loro odio cupo e glaciale; ci sono adolescenti ossessionati dalla lussuria

o giù spenti dall'abitudine del peccato. E ci sono i santi che partecipano con la loro

offerta e dolore all'opera della redenzione dei loro fratelli.

In questo capitolo ci fermiamo su questi ultimi, in quanto sono presentati da

Bernanos come modelli di uomini che si sono realizzati con l'aiuto della grazia

nonostante tutta la potenza del peccato. Vogliamo dunque vedere qual è la proposta

di Bernanos nei confronti delle possibilità che ha l'uomo, in particolare il cristiano, di

superare lo stato del peccato.

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1. UN BINOMIO INSCINDIBILE: PECCATO - GRAZIA

"Il mondo del peccato sta di fronte al mondo della grazia come l'immagine riflessa d'un paesaggio, al margine d'un'acqua nera e profonda" (Journal d'un curé de campagne, 1139).

Bernanos ha conosciuto il ghigno del male almeno quanto il volto della grazia, se

pure la grazia ha un volto riconoscibile nella grande mascherata del mondo. Nella

sua opera, lascia trasparire la sua fede nel trionfo di Dio. Per lui la vittoria sul male,

illustrata dal comportamento dei personaggi preferiti, non consiste nel rifiutarsi di

denunciarlo, ma nel negargli la vittoria definitiva, affermando la sola esistenza di Dio.

Il compito dello scrittore non è quello di giustificare il peccatore neanche di dire

soltanto che il vero peccato si ha quando l'uomo cerca il male non più per debolezza

ma per se stesso, bensì di riconoscere che non v'è abisso che la misericordia di Dio

non sia in grado di colmare. La natura dell'uomo è ferita, corrotta. Egli non puù

sottrarsi al mistero del male. Però chi è preso dal male, lo è anche dalla grazia, ci

dice Bernanos. L'abate Cénabre vive nel buio del peccato, nella chiusura davanti

all'appello di Dio, tuttavia la grazia rimane sempre sopra di sé aspettando il momento

di una "breccia". E Cénabre muore mentre "invocava con voce sovrumana" Pater

noster (La joie, 724)112. Infatti, Bernanos completa la descrizione dell'umana

commedia balzachiana aggiungendo la realtà soprannaturale o, come si esprime

Béguin, "l'agonia soprannaturale". E' l'agonia generata dall'atroce, tremenda e

continua lotta dentro di noi tra il bene ed il male, tra la grazia e il peccato, poiché

"ognuno di noi (...) è a volta a volta, in certo modo, un santo e un delinquente - dice

Monsignor Menou Ségrais all'abate Donissan - portato talvolta al bene, non per

giudizioso calcolo approssimativo delle utilità, ma chiaramente e singolarmente, di

uno slancio totale dell'essere, per una effusione di amore (...) talaltra volta tormentato

dalla smania misteriosa di avvilirsi, dalla compiacenza di assaporare il gusto delle

cenere, dalla vertigine dell'animalesco" (Sous le soleil de Satan, 221). Anche i

personaggi in contrasto dei suoi romanzi hanno qualcosa in comune, un medesimo

pericolo, una medesima prova: la tentazione della disperazione. La speranza e la

112 In dicembre 1928 scrive a un amico: "Mon bien cher ami, j'ai fait de mon mieux; je crois qu'il faut s'en tenir là. N'y changez plus rien, je vous en prie. A' la grâce de Dieu. Décidément, je rétablis la note de la fin. Sinon, on croirait Cénabre mort. Il est meilleur que Dieu frappe sa raison, après une éclair de la grâce..." (BEGUIN A., Bernanos, Editions du Seuil 1954, 162).

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disperazione, la verità e la menzogna, il divino e il satanico, rendono il santo e il

peccatore stranamente simili: tutti e due sono sotto il segno del "sole di Satana". "La

semenza del male e del bene vola dappertutto" (Journal d'un curé de campagne,

1159). C'è una co-presenza di bene e di male nel mondo e nel cuore dell'uomo che è

un elemento fondante della spiritualità di Bernanos dove si cerca "un equilibrio"113.

"Una volta introdotto il diavolo, è difficile prescindere dalla Grazia per spiegare

l'uomo... (...) il mio curato di Lumbres è senza dubbio una specie di santo, ma è con

le sue tentazioni, con la sua disperazione che può esserci reso accessibile.

L'esperienza vissuta dell'amore divino non appartiene alla sfera del romanzo. Ma se

io costringo il lettore a scendere al fondo della propria coscienza, se gli dimostro, con

la massima evidenza, che la debolezza umana non spiega tutto, che essa è

alimentata, gestita da una sorta di genio feroce e tetro, cos'altro gli resta da fare che

gettarsi in ginocchio, se non per amore almeno per terrore, ed invocare Dio"114. In

questa prospettiva si può parlare nell'opera bernanosiana di un binomio inscindibile:

peccato - grazia. Fedele alla verità del Vangelo, l'autore si è preoccupato di riflettere

sempre nella scrittura quello che si può dire era la convinzione dell'apostolo Paolo

quando scriveva ai Romani: "laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la

grazia, perché come il peccato aveva regnato con la morte, così regni anche la

grazia con la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore"

(Rom 5,20b-21). Come abbiamo accennato anche dall'inizio del lavoro, il peccato è

visto e se ne parla in tutta l'opera romanzesca del nostro autore solo di contro

all'orizzonte della redenzione, alla luce della grazia che sana e libera. E' la grazia e la

benignità sovrabbondante di Dio che ci dice molto di più sulla malizia o sulla miseria

del peccato che ogni altra visione legalistica, perché, come afferma Karl Rahner "se

Dio non ci avesse parlato del peccato proprio nella rivelazione della sua grazia, noi o

negheremmo la colpa o dispereremmo"115.

Bernanos combatte quell'angusto cattolicesimo che fa della vita interiore "il tetro

campo di battaglia degli istinti" e tradendo i valori più alti, riduce la morale a "un

113 "Je le disais hier (...) le bien et le mal doivent s'y faire équilibre, seulement le centre de gravité est placé bas, très bas. Ou, si vous aimez mieux, l'un et l'autre s'y superposent sans se meler, comme deux liquides de densité différente" (Journal d'un curé de campagne, 1031). 114 BERNANOS G., "Interviste" in NVCR, 55. 115 RAHNER K., Betrachtungen zum Ignazianischen Exerzitienbuch, Kösel, München 1965, 43.

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igiene dei sensi"116. In Monsieur Ouine, egli ha voluto esprimere più chiaramente la

propria visione teologica del mondo moderno, ponendo in rilievo la soggezione

sociale e la solitudine degli uomini che hanno ripristinato "la nozione di peccato

senza la grazia", poiché per lui il delitto - e nella società senza Dio, il cui prototipo è

la parrocchia morta, tutto è per la morte - è il sintomo più appariscente dello scontro

tragico fra grazia e il peccato.

In altre parole, tutto ciò che può dire sul peccato, Bernanos lo comunica sulla

lunghezza d'onda della grazia. La conclusione per me è che possiamo parlare

veramente nei suoi romanzi di un binomio inscindibile peccato - grazia, sempre

considerato in dialettica.

2. NELLA LOTTA CONTRO IL PECCATO

1. Innanzi tutto c'è una lotta

L'immagine della battaglia ricorre più volte nei romanzi di Bernanos e si riferisce

al combattimento continuo in campo morale nella vita dell'uomo: è l'eterna e

drammatica "querelle" del bene e del male, della carità e dell'odio, della grazia e del

peccato. La sua visione del mondo minacciato dal "principe di questo mondo" (cf.

Sous le soleil de Satan, 261), la paura di Satana e dei demoni sembra fare

riferimento al combattimento spirituale del quale parla l'apostolo Paolo nella lettera

agli Efesini (6,10-20). In tal modo l'autore vuol mettere in luce il potere del male e

l'esigenza della lotta alla quale è costretto ogni uomo che si propone il bene e alla

quale neppure il cristiano è esentato, poiché anche lui è angustiato dal male. Tutti

devono fare fronte. Nel loro combattimento incontrano "contraddizioni feroci",

"incompatibilità essenziali" (L'imposture, 512), è perpetuamente esposti al

paradosso, all'equivoco, all'ambiguità, a tutta "la feroce ironia del vero" (Sous le soleil

de Satan, 276).

Comunque, prima di tutto c'è una lotta. Basterebbe fermarsi a quella tra l'abate

Donissan e Satana, descritta in Sous le soleil de Satan: "umile anche nel suo trionfo,

che si faceva ad ogni istante più completo e sicuro, il vicario di Campagne non si 116 Cf. Sous le soleil de Satan, 221; cf. BERNANOS G., "Interviste" in NVCR, 48.

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faceva illusioni, ben sapendo che una vittoria su tale avversario è sempre precaria,

fragile, effimera. Vedere il nemico in sua balìa, ai suoi piedi per un momento, non

conta. Perché quello lì è l'assassino delle anime, al quale bisogna strappar qualcuno

dei suoi segreti" (Sous le soleil de Satan, 176). E' una lotta continua. L'abate

Donissan riconosce il suo nemico presente più tardi accanto al letto del fanciullo

morto: "una ironia subito riconosciuta, in un lampo... La sfida del signore della

morte... del ladro di anime... lui. 'Si tu. Ti riconosco!' esclamo il povero vecchio con

voce grave e martellando le parole" (Sous le soleil de Satan, 246). E non si finirà

"fino a quando la notte non se lo prenda, e non lo ricopra a sua volta, il tenace

tribolatore d'uomini, che si diverte coll'umanità come con una preda sua, lo circonda

dei suoi incantesimi, lo incita, lo svia ora con una imposizione ora con una carezza,

gli toglie e gli ridá la speranza, prende tutte le voci, angelo o demonio, multiforme,

efficace, potente, come un Dio. Come un Dio!" (Sous le soleil de Satan, 267). Per

Bernanos, il combattimento spirituale è così atroce come la battaglia degli uomini, e

non manca il sangue della Croce (cf. La joie, 671). In Sous le soleil de Satan, l'autore

suggerisce proprio che l'uomo è "come son dernier rempart" utilizzato da Dio nella

strategia di lotta: "Tra Satana e Lui - esclama Donissan - Dio ci getta come la sua

ultima difesa. E' attraverso noi che da secoli e secoli lo stesso odio cerca di

raggiungerlo, è nella povera carne umana che il delitto senza nome viene

consumato" (Sous le soleil de Satan, 256). E' drammatica questa battaglia: "Non ti

bastano le anime che hai tratto a perdizione? Ti bisognano altre prede? Sei nelle mie

mani. Tutto quello che Dio mi ispirerà io lo tenterò. Pronuncerò le parole di cui tu

inorridisci. Ti inchioderò al centro delle mie preghiere come un barbagianni alla

parete, se non smetterai di tentare le anime che sono affidate a me" dice l'abate

Donissan a Satana (Sous le soleil de Satan, 181s). E la replica è della stessa

maniera: "Tu m'hai stretto, ma io ti sfuggo. Impedire la mia opera di tentazione. Ma tu

sei matto! Non ho ancora finito di empirmi di sangue cristiano, io!" (Sous le soleil de

Satan, 182). Alla fine della sua lotta, un altro prete, il curato di Ambricourt,

constatava: "Questa lotta è giunta al suo termine. Non la capisco più" (Journal d'un

curé de campagne, 1258).

Se la vita umana è descritta come luogo dell'atroce lotta contro il peccato,

dobbiamo domandarci in questo senso sulle possibilità alla portata dell'uomo per

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sbaragliare il nemico. Nella prospettiva della grazia c'è qualcosa di più offerto a lui?

Al cristiano, che rimane uomo e con tutta la caducità e fragilità connessa al suo

essere uomo, gli è donata una forza, nella quale può superare questa lotta? Qual' è il

ruolo della grazia? Quali sono i rapporti che legano tra loro la grazia divina e questa

vita autentica che è una possibilità per l'uomo? La grazia nel pensiero di Bernanos è

un'azione puramente divina o si compie e si concretizza nelle azioni dell'uomo in

relazione col prossimo? Come si manifesta?

2. L'irruzione della grazia

Bernanos non fu un teologo ed è importante dare alla sua parola

l'interpretazione giusta. Per lui, nel tragico conflitto dell'uomo, quello che importa più

è solo la vittoria del bene sul male, della vita sulla morte, del divino sull'uomo, sulla

parte decaduta. Per questo c'è bisogno invece dell'intervento della grazia. Mi sembra

che si può vedere attraverso i romanzi dello scrittore francese una certa relazione tra

la grazia e la vita autentica. Innanzitutto la grazia fa irruzione in questo mondo,

rompe le barriere che le si frappongono, entra con forza e brutalità; perciò l'autore,

quando parla della la grazia, si serve di immagini che fanno riferimento al

"combattimento": "trarre il suo colpo"117; lavora "come un colpo portato dal di fuori",

"un flutto di luce" che penetra tutta la persona, la quale "satura interiormente" lo

"lascia straripare da sé"118; è come "un'aquila che piomba dall'alto dei cieli"119, ma

117 "Mais toujours, dans la foule, la grâce divine frappera son coup; toujours elle marquera quelqu'un de ces hommes, vers qui monte la justice, à travers le temps, comme un astre. L'astre docile accourt à leur voix" (Sous le soleil de Satan, 236). 118 Durante l'ultimo momento di crisi dell'abate Cénabre, la grazia si fa presente. "'Que s'est-il donc passé? bégayait-il. Rien. Je n'ai rien vu, rien entendu, je ne pensais même à rien. Cela m'a comme frappé dans le dos'. Et, en effet, il avait dû réprimer le geste de se retourner, de faire face. Si désireux qu'il fût de ne voir dans cette crise subite qu'une rechute peut-être atténuée de la première, il ne pouvait néanmois s'y tromper plus longtemps. L'angoise n'était pas, cette fois, montée lentement de lui-même, au terme d'une interminable rumination, d'un examen périlleux poussé jusqu'à la partie vive de l'âme: le coup avait été porté du dehors... Oui, hors de lui, hors de son pouvoir, un événement venait de naître - qu'il ne connaissait point, qu'il ne connaître peut-être jamais - aussi réel pourtant, aussi sûr qu'aucun de ceux qu'il avait vus de ses yeux. Lequel? (...) un flot de lumière était entré en lui, et il serrait les paupières pur n'en pas voir le rayonnement sur ses mains pâles" (La joie, 715-716); "a cet moment, c'était bien contre un tel obstacle qu'il marchait, les yeux mi-clos pour tâcher d'oublier l'espèce de lueur vague qu'il avait cru sortir un moment plus tôt de ses mains tremblantes, comme s'il en eût été intérieurement saturé, au point qu'elle débordât de lui. D'où venait-elle? Comment était-elle entrée dans sa poitrine? Par quelle brèche?" (La joie, 719).

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anche come "un sorriso" (Journal d'un curé de campagne, 1208). Gli altri termini

equivalenti hanno in sé sempre l'idea della forza del combattimento: è "una mano

misteriosa" che apre "una breccia, non si sa in quale muraglia invisibile" (ibidem,

1162); è "una mano terribile e dolce" che "stringe" (La joie, 981) o è immaginata

come un mostro che "ruggisce" (L'imposture, 347). Tutte queste espressioni ci

indicano che ci troviamo in presenza di una grazia che viene dall'altro mondo, che

non ha niente di comune con i mortali, ma entra in questo mondo, "dominio di

Satana" come per effrazione, capovolgendo i calcoli umani. Alla fine di La joie,

l'abate Cénabre confessa: "Non ho visto né inteso niente e anzi non pensavo

neppure a nulla. Sono stato colpito nella schiena" (La joie, 715)120. Infatti,

l'inadeguatezza umana non vanifica il potere di Dio sul peccato. C'è una visione

dell'universo soprannaturale dove sempre esiste la possibilità per la grazia di

irrompere e manifestarsi all'improvviso. C'è "un travaglio della grazia nel cuore"

(Sous le soleil de Satan, 138), il quale è "il lavoro che Dio compie in noi" e

"raramente è quale noi ce lo aspettiamo. Quasi sempre ci sembra che lo Spirito

Santo agisca a rovescio, a perditempo" (ibidem, 222). Se lo scrittore è riuscito a

descrivere la tragica decadenza dell'uomo, non pronuncia tuttavia la sentenza

definitiva - come sempre accade nei suoi romanzi - perché sa che in ogni condizione,

al di là della nostra stessa considerazione, c'è la grazia. L'ultima parola del parroco di

Ambricourt, sorprendente coronamento di una lunga sequenza di sofferenze, è: "tutto

è grazia" - espressione ripresa dalla santa di Lisieux121. Rileviamo che il "tutto è

grazia" è preceduto da "Qu'est-ce que cela fait?" (Journal d'un curé de campagne,

1259), espressione che suggerisce la relatività di tutto nei confronti della grazia: che

importanza possono avere tutte le nostre bazzecole? Dio si serve di tutto per

compiere la sua opera salvifica. La luce viene dall'alto - questo è importante - e di cui

l'esigenza stringente è di aprire il cuore122. Alla fine di Sous le soleil de Satan, appare

119 "...il suffit d'un regard, d'un signe, d'un muet appel pour que le pardon fonce dessus, du haut des cieux, comme un aigle" (Journal d'un curé de campagne, 1157). 120 In Nous autres Français, Bernanos infatti scrive: "La grâce est une inconnue, par quoi le calcul des réalistes est toujours faussé. (...) la grâce frappe, dans leur dos, qui lui plaît, doublant ainsi ce qu'on appelle le hasard d'un autre Hasard immense qui défie toutes les mathématiques" (BERNANOS G., Essais et écrits de combat, Paris, Gallimard, Bibliothèque de la Pléiade, vol. II, 1971, 714). 121 S. THERESE DE LISIEUX, Novissima Verba, 28. 122 MAURIAC F., Nouveaux Mémoires intérieurs, Flammarion 1965, 302: "C'est à partir de là que le "Tout est grâce" de Bernanos et de la petite soeur Thérèse prend sa signification humaine: tout se

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lo stesso "Qu'importe! un autre encor l'entend, que les cieux ne cèleront pas

toujours!" (Sous le soleil de Satan, 307). E' di fatto quella ultima "cosa che gli rimane

da dire" "perché è vero - ci dice Bernanos della morte del Santo di Lumbres - la sua

ultima parola non l'ha detta ancora..." (idem). E' la sfida della grazia di fronte alla

"tempesta di grida e di risa" dell'inferno che "ilare, acclama" alla povera parola

dell'uomo di Dio "appena intelligibile, confusa difesa senza né garbo né arte!" (idem).

Si esprime così una delle più importanti idee di Bernanos, un'idea che ricorre in molte

delle sue opere: il peccatore viene salvato dalla grazia, che si apre la strada

direttamente nell'abiezione degli umani pensieri ed azioni, capace di fare "del più

incallito un fanciullo" (Monsieur Ouine, 1520).

3. La santità

C'è una via del tutto particolare questa dell'irruzione della grazia nella vita

dell'uomo. Però, c'è ancora un'altra, direi ordinaria. Dio ha bisogno di un "strumento"

per donare la sua grazia. E l'abate Donissan, ad esempio, è questo "strumento":

"Ai nostri occhi il problema sta in altro modo. Delinquente o meno, quella ragazzina è stata o no l'oggetto di una grazia eccezionale? E lei, abate, è stato lo strumento di questa grazia? Mi comprenda... Mi comprenda! A ogni momento ci può essere ispirata la parola necessaria, unica insostituibile per quell'intervento infallibile. E allora noi assistiamo a vere resurrezioni della coscienza. Una parola, uno sguardo, una pressione della mano, e vediamo cadere d'un tratto protervie che sembravano invincibili" (Sous le soleil de Satan, 223).

"Inchiodato contro la grata sonora del confessionale, con le reni dolorosamente

compresse contro lo stallo dove non osa mettersi a sedere, a bocca aperta per

aspirare l'aria grassa, tutto in sudore, non sente che quel mormorio indistinto, la voce

dei suoi figlioli in ginocchio, in umiltà" (Sous le soleil de Satan, 276), egli è "l'uomo

della Croce presente non per vincere, ma per essere testimone fino alla morte"

(idem) della grazia del Redentore. Sembra che Bernanos insista molto per una

testimonianza che non si esaurisce nelle parole, ma che si colloca nella linea del

"memoriale" e del "segno efficace". Così, Donissan appare come strumento,

passe come si Quelqu'un avait utilisé les éléments fournis par une hérédité et par un milieu, pour dessiner avec amour un certain être différent de tous les êtres qui ont jamais existé ou qui existeront. Tout est grâce: ce qui signifie que Dieu se sert de tout, et même du médiocre, et même du vulgaire, et même du pire - peut-être surtout du pire comme il apparaît dans l'histoire de Madeleine qui aime le Seigneur plus que les autre parce qu'il lui a été pardonné plus qu'aux autres".

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testimone e supplica: "Pater, dimitte illis, non enim sciunt quid facient!" (Sous le soleil

de Satan, 276). In altre parole: è la santità - un'altra via sulla quale la grazia entra nel

mondo.

"La santità - la più sublime realtà che possa conoscere l'uomo aiutato dalla

grazia"123 - è la testimonianza del santo "strappata col ferro" (Sous le soleil de Satan,

308). La sua azione, qualunque ne sia la potenza, si conclude necessariamente con

un smacco di fronte alla realtà dell'amore e della libertà interiore, le due

manifestazioni umane dell'esistenza divina.

Fedele alla spiritualità di santa Teresa di Lisieux, Bernanos sa che la santità è un

dono di Dio, anche se il santo può passare attraverso l'esperienza negativa del

peccato. Egli è ben lontano dall'essere manicheo. La santità è un'avventura, infatti è

la sola avventura124. Donissan come Chevance, Chantal de Clergerie, il curato di

Ambricourt rispondono con umiltà e passione all'appello della santità poiché non

sanno trovare un altro senso della loro vita; essi assumano la condizione umana e

prendono la strada di quest'avventura della salvezza. Bernanos non esita di

chiamare Donissan "il santo di Lumbres" e i suoi eroi privilegiati sono per lui i santi.

Ma lui non ha cercato di dare a questa parola il suo senso teologico comune. I suoi

santi sono esseri divorati dell'amore di Dio e del prossimo, abitati dallo spirito di

fanciullezza nel senso evangelico della parola. Bernanos ha inteso di indagare

l'affascinante segreto della santità per concludere che benché "certe vite di santi

appaiono d'una monotonia spaventosa: un vero deserto!" (Sous le soleil de Satan,

222), tra gli increduli - che negano i santi e i troppo creduli che ritengono la santità

come un'erba che cresce nei campi, estremamente facile a cogliersi, e per i quali i

santi sono delle sorridenti immagini con un colpo di pennello in tondo intorno al capo,

buoni per ottener grazia - pochi sanno che la santità è simile a un albero "tanto più

fragile quanto è di essenza più rara" (Sous le soleil de Satan, 229), battuto da tutti i

venti, minacciato da tutte le tempeste; che essa è un dono pauroso, una elezione

piena di mistero a portare la croce di tutte le miserie, a sopportare in sé la guerra tra

il cielo e l'inferno, nella quale nessuno può mai dire di essere riuscito vincitore fino al

123 BERNANOS G., "Interviste" in NVCR, 46. 124 "La santité est une aventure, elle est même la seule aventure. Qui l'a une fois compris est entré au coeur de la foi catholique, a senti tressaillir dans sa chair mortelle une autre terreur que celle de la mort, une espérance surhumaine" (BERNANOS G., Essais et écrits de combat, 40).

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superamento dell'ultimo pensiero e dell'ultima immagine; una fatica in cui non è lecito

all'uomo di dir "basta", una sempre ostinata "non-rassegnazione". Secondo

Bernanos, la maggior parte degli uomini non impegnano che una piccola parte del

loro essere: solo i santi impegnano totalmente la loro persona. La loro vita non si

caratterizza pertanto per le "gesta" eroiche, ma per il fatto di avere un unico centro,

un centro semplice, un centro d'amore che è proprio di chi si lascia condurre da Dio: i

santi - come abbiamo accennato tante volte fino adesso - sono coloro che corrono il

rischio del dono totale. Infatti soltanto essi possono dire chi sono e quale è la loro

testimonianza "strappata col ferro":

"Noi non siamo affatto i santi rubicondi, con biondissime barbe, che la buona gente ammira nelle pitture, e dei quali perfino i filosofi potrebbero invidiare l'eloquenza e la santità. La nostra parte non è quale se la figura la gente. In paragone al nostro, lo sforzo del genio è un gioco da fanciulli. Ogni vita bella, o Signore, attesta di Voi; ma la attestazione del Santo è come strappata col ferro" (Sous le soleil de Satan, 308).

E Bernanos ha scrutato nei suoi romanzi il mistero della grazia operante in

questi uomini di modesta levatura, la trasformazione luminosa di una natura grigia e

non interessante, sotto l'influsso dell'azione divina, poiché la grazia - vuol dire

l'autore - si incarna per diventare parte degli uomini.

Per i "santi" bernanosiani non esistono tentazioni frivole in questo mondo

illuminato sinistramente da Satana. Il frutto proibito gli dà nausea, l'amore dei sensi

non può attrarre chi dal confessionale ode salire la monotona litania della colpa, il

cattivo odore di questa umanità corrotta, il gemito di infinita noia lasciato dal piacere

(cf. Sous le soleil de Satan, 257). Niente amore in questo dramma di preti, perché

altre sono le passioni, altre le tentazioni più sottili e terribili del confessore: tentazioni

di orgoglio spirituale, tentazioni di sfiducia in questo oscuro branco cieco e sordo che

è trascinato sulla terra dietro piccole cose disgustose e immonde dal "nemico potente

e vile, magnifico e vile"; tentazioni su Dio che tace, su Dio che permette; tentazioni

contro la luce che pare vinta dalle tenebre; senso di smarrimento, di angoscia

mortale, di apparente abbandono al potere avverso; preghiera che rasenta la

bestemmia, fede che tocca la disperazione. Tanti paradossi che mettono in risalto la

dimensione drammatica anche della santità. Di fatto, non dimentichiamo: è la

testimonianza "strappata col ferro".

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4. Diverse forme di riflesso della santità

La grazia - il dono di Dio - s'incarna, cioè si concretizza in un atto che appartiene

al mondo sensibile e si estende a tutte le dimensioni dell'esistenza umana. La grazia

trova in ciascun atto la sua espressione sensibile nel tempo e nello spazio e quindi,

in un certo senso, nella storia presente, così come l'anima si manifesta e attua

attraverso il corpo. Ogni grazia, quando è ricevuta dall'uomo, assume un aspetto

concreto e storico, si rende presente e si manifesta. Perciò, in questo punto,

vogliamo vedere quali sono le diverse forme della manifestazione della grazia -

sempre sulla via della santità - negli atti umani, proposte da Bernanos come

possibilità esistenziali dell'uomo per sconfiggere il Maligno ed il peccato. Riteniamo

tra tutte quelle che sono messe di più in risalto dall'autore, benché ci sono ancor altre

come la pietà, la povertà, la fede, sempre in rapporti interscambiabili tra loro.

a) Lo spirito di fanciullezza - mi sembra - è proprio ciò che riflette di più nel

mondo la santità, in quanto è intimamente legato con essa. "La Chiesa è stata

incaricata dal buon Dio - afferma Bernanos - di mantenere nel mondo questo spirito

d'infanzia, questa ingenuità, questa freschezza" (Journal d'un curé de campagne,

1046). Lo scrittore cerca nella memore purezza del ragazzo che è stato125 l'immagine

emblematica dell'esistenza stessa. Si sente nella sua opera la nostalgia dopo

l'infanzia. Tutta la sua vita è un costante impegno a rientrare nella semplicità e nella

libertà dell'infanzia. Però egli deve questa intuizione a santa Teresa di Lisieux - è la

spiritualità delle piccole cose: "Le cose piccole hanno l'aria di nulla, ma danno la

pace. Sono come i fiori dei campi, vedi. Li crediamo senza profumo e tutti insieme

imbalsamano l'aria. La preghiera delle piccole cose è innocente. In ogni piccola cosa

c'è un Angelo. (...) Il mondo è pieno di Angeli" (Journal d'un curé de campagne,

1192) - e a tutti i santi che sono vissuti nella linea dello spirito d'infanzia: san

Francesco d'Assisi (nel quale lo spirito d'infanzia si identifica con lo spirito di

povertà), santa Giovanna d'Arco126, il curato d'Ars - "il vecchio fanciullo sublime"127 è

125 Vedasi all'inizio del lavoro, nota 1. 126 Parlando dell'entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme, Bernanos si fa sentire tramite la bocca del curato di Torcy: "au lieu que son triomphe, c'est un triomphe pour enfants (...) Notre Seigneur a l'air de sorire. - Notre Seigneur sourit souvent - il nous dit: 'Ne prenez pas ces sortes de choses trop

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una presenza singolarmente significativa nella spiritualità di Bernanos - e soprattutto

la Vergine, Maria bambina, "la piccola fanciulla meravigliosa", "la fanciulletta regina

degli Angeli" (Journal d'un curé de campagne, 1192) poiché "lo sguardo della

Vergine è il solo sguardo veramente infantile, il solo vero sguardo di bambino che si

sia mai levato sulla nostra vergogna e sulla nostra disgrazia" (ibidem, 1194).

La tensione spirituale di Bernanos di fronte al soprannaturale si struttura in una

scelta di vita interiore che ha una caratterizzazione ben precisa: lo spirito d'infanzia.

Nelle sue opere egli non divide gli uomini in buoni e cattivi, ma tra santi - che hanno

conservato la fedeltà all'infanzia - e infelici - che l'hanno perduta. Da un lato le

potenze dell'amore espresse nello "spirito d'infanzia", proposto come stile di

autenticità e trasparenza e come possibilità unica di contrastare lo "spirito di

vecchiaia" ossia l'abitudine al compromesso, alla menzogna, alla mediocrità,

insomma, al peccato, che sta dall'altro lato come incapacità ad amare (non

dimentichiamo che l'inferno è non amare, come ci ripete tante volte l'autore).

L'infanzia è un'esigenza della vita soprannaturale e l'abate Donissan - come gli

altri santi bernanosiani - possiede le principale caratteristiche dello spirito di

fanciullezza: la semplicità, la purezza, l'intransigenza, la fiducia, la generosità (cf.

Sous le soleil de Satan, 156).

Il segreto della spiritualità del curato di Ambricourt è lo spirito d'infanzia: la grazia

che da esso emana è più forte dell'angoscia propria e degli altri, come quella della

contessa: una "donna imperiosa", che si mostra nella sua compostezza incrollabile,

che nasconde l'incapacità ad accettare la morte del figlioletto, i tradimenti del marito

e la rivolta della figlia, Chantal. Dilaniata nell'intimo da un orgoglio mortale, è ormai

incapace di amare. Il dialogo che si svolge fra lei e il curato è davvero straordinario

per intensità spirituale e psicologica e rende visibile il movimento della grazia che si

au sérieux, mais enfin il y a des triomphes légitimes, ça n'est pas défendu de triompher, quand Jeanne d'Arc rentrera dans Orléans, sous les fleurs et les oriflammes, avec sa belle huque de drap d'or, je ne veux pas qu'elle puisse croire mal faire. Puisque vous y tenez tant, mes pauvres enfants, je l'ai santifié, votre triomphe, je l'ai béni, comme j'ai béni le vin de vos vignes'" (Journal d'un curé de campagne, 1193). 127 "Seule une certaine pureté, une certaine simplicité, la divine ignorance des saints, prenant le mal en défaut, pénètre dans son épaisseur, dans l'épaisseur du vieux mensonge. Qui cerche la vérité de l'homme doit s'emparer de sa douleur, par un prodige de compassion, et qu'importe d'en connaître ou non la source impure? 'Ce que je sais du péché, disait le saint d'Ars, je l'ai appris de la bouche même des pécheurs'. Et qu'avait-il entendu, le vieil enfant sublime, entre tant de confidences honteuses (...)?" (La joie, 561).

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manifesta nell'assoluta semplicità del curato, che non ha programmato nulla di

quell'incontro e che tuttavia sente agire in lui una forza e una lucidità di visione che

gli consentono di toccare il cuore della contessa, di aprirvi una "breccia" attraverso la

quale su di lei scenderà la pace di Dio. La docilità del curato a rendersi disponibile,

senza sapere in qual modo, per abbattere quella muraglia di orgoglio e scoperchiare

quel cuore chiuso in un sepolcro di ipocrisia e di durezza, non è stato vano: "Ho

pronunciato queste parole, ma avrei potuto pronunciarne altre; in quel momento ciò

aveva così poca importanza! Mi sembrava che una mano misteriosa avesse aperto

una breccia in un muro invisibile. La pace tornava da tutte le parti, risaliva

maestosamente al proprio livello: una pace sconosciuta dalla terra, la dolce pace dei

morti, come un'acqua profonda" (Journal d'un curé de campagne, 1161s). Lo spirito

d'infanzia si mostra essere più forte nei confronti del peccato e porta alla pace128. Di

fatto, il santo prete riceve la gioia al termine di lunghe prove di purificazione.

Bernanos, sotto certi aspetti così violento, ha pagine di una tenerezza profonda

quando descrive il passaggio dagli stati di angoscia alla gioia pura tramite lo spirito di

fanciullezza129.

"Di fronte al mondo moderno che respinge Dio, senza tergiversazioni egli

pronuncia la sua condanna: 'Il mondo sarà giudicato dai fanciulli'"130. Lo scrittore si

rivolge volentieri allo spirito di fanciullezza, perché i bambini non hanno nella loro

borsa i mezzi per occultare la loro dura realtà con effimeri artifici, né nel loro cuore

l'orgoglio che distrugge l'amore.

"Le purificazioni delle 'rivoluzioni del XX secolo' esigono la collaborazione del

carnefice; quelle per cui Bernanos ha combattuto richiedono l'adesione delle anime,

una risalita dell'uomo verso le sue origini, uno stato di grazia. La sola rivoluzione che

egli riconosca è quella che permetterebbe ai migliori di noi di ritrovare l'universo

meraviglioso dell'infanzia, la sua trasparenza e il suo incantesimo: 'Noi tutti abbiamo

peccato contro l'infanzia, noi abbiamo fatto un mondo avido e feroce, secco e freddo,

dove il genio del fanciullo non può dare né il suo fiore, né il suo frutto, un mondo

dove l'infanzia è sterile e la vecchiaia mostruosamente attiva e feconda... La nostra

128 "Mais c'est du sentiment de sa propre impuissance que l'enfant tire humblement le principe même de sa joie" (Journal d'un curé de campagne, 1045). 129 Vedasi in particolare le ultime pagine di Journal d'un curé de campagne. 130 BERNANOS J.-L., Postfazione: "L'impatto con Bernanos", 119.

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razza invecchia male, proprio perché Dio l'ha segnata con il segno della giovinezza,

perché essa non può invecchiare senza rinnegarsi'"131.

Il richiamo allo spirito dell'infanzia, che è poi lo spirito evangelico, è il punto di

riferimento per orientarsi verso il mistero della salvezza offerto dalla Redenzione: lo

spirito dell'infanzia è la gioia stessa della Redenzione, la primavera del mondo in

ogni generazione di credenti.

Poi, l'infanzia, generalmente è il segno di purezza, della "semplicità", "mentre il

debole e l'impostore sono sempre più complicati" (La joie, 611): "L'unica astuzia di

Chantal è precisamente quella di un Chevance, una fulminante semplicità" (idem). E

Chantal riesce di conservare questo spirito malgrado tutta la tentazione del male che

lo circondava. "Una volta, lo sapete bene nevvero, vi ricordate? ero talmente più

semplice, ero una bambina semplice. Il Signore allora non mi avrebbe abbandonata

così. Nevvero? Nevvero che sono molto mutata?" "'No, fece lui (l'abate Cénabre) con

la sua voce sempre rauca, 'eravate semplice e lo siete rimasta. Ci sono pochi esseri

semplici. Si dovrebbe dire della semplicità quello che gli Ebrei dicevano di Jahwé: chi

ne ha contemplato la faccia può morire'" (La joie, 696). In un altra pagina confessa:

"In fondo io non pensavo che a Dio, non ero semplice e gaia che per Lui... una

bambina, una bambinetta... Ma soltanto i santi sono dei bambini!" (ibidem, 670). La

sua semplicità come quella del "santo sacerdote" "rimane invece una così grande

lezione per noi" (ibidem, 631). E questa è sempre il riflesso della "semplicità di Dio, la

spaventosa semplicità di Dio che ha dannato l'orgoglio degli Angeli!" (Journal d'un

curé de campagne, 1192).

b) La preghiera. Realtà divino-umana, la preghiera occupa un posto rilevante

nell'esperienza personale di Bernanos e la sua produzione ne è testimonianza: in

particolare il Journal d'un curé de campagne e La joie sono strutturati sulla preghiera

nelle sue svariate forme e sulle risonanze che tale esperienza comporta

nell'esistenza di chi la vive132. Ciò che viene offerto non è un insieme di riflessioni

sulla preghiera, né di concetti più o meno sofisticati o di insegnamenti

preconfezionati. Le diverse situazioni descritte da Bernanos sono unificate dalla

131 BERNANOS J.-L., Postfazione: "L'impatto con Bernanos", 122. 132 Cf. LA BARBERA M. A., Invito alla lettura di Bernanos, 160-162.

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realtà della preghiera, sempre presentata come criterio unico di verità. Lo scrittore è

convinto che una conoscenza puramente razionale non raggiunga mai il cuore del

reale e che per avere un'intuizione della verità nella sua interezza occorra procedere

oltre la razionalità: questo può avvenire nell'esperienza della preghiera, quando ci si

rende disponibili a vivere nell'amore e per l'amore di Dio. Così la preghiera diventa

momento concreto della grazia. Nel Journal d'un curé de campagne, il curato di

Torcy rivela all'abate di Ambricourt: "Quando mi capita di avere un'idea (...) cerco di

portarla davanti al buon Dio, la faccio subito passare nella mia preghiera. E'

stupefacente come cambia d'aspetto. Non la si riconosce più, a volte..." (Journal d'un

curé de campagne, 1067). E così l'amore, alimentato dalla preghiera, appare a

Bernanos come l'unico percorso sicuro di conoscenza133 e la fonte di ogni vera

possibile comunione, perché è alla preghiera che è legato il dono di penetrare nel

cuore dell'altro e quindi di vederlo nella sua veritè. Perciò "la preghiera - confessa il

curato di campagna nel suo diario - in quel momento, m'era indispensabile quanto

l'aria ai polmoni, e l'ossigeno al sangue" (Journal d'un curé de campagne, 1111). "Ho

pregato bene, stamane, per la mia parrocchia, la mia povera parrocchia - la mia

prima ed ultima parrocchia forse" scrive il curato di campagna non "senza uno

slancio d'amore" (Journal d'un curé de campagne, 1052).

La preghiera è inoltre presentata come l'unica rivolta valida contro la collera e la

rassegnazione, contro il giudizio frettoloso e maliziosamente interessato. "Mai la sua

orazione - ci dice l'autore sulla preghiera di Chantal de Clergerie - era così dolce, la

sua unione con Dio così stretta, come dopo queste resistenze vane in cui si

esercitavano a sua insaputa tutte le potenze del suo essere. Oh, preghiera che non è

più se non uno scioglimento ineffabile, gemito della natura tratta fuori di sé, esaurita

dalla grazia" (La joie, 564). Chantal vive nel suo contesto un silenzioso e fedele

servizio d'amore nei confronti di tutti gli abitanti della casa e si prende carico delle

loro sofferenze e debolezze. E' proprio dal suo "colare a picco" nella preghiera che

riceve la forza della fedeltà alla sua fede. Lei "scivolava nell'orazione come in un

sonno incantato" che per lei era "una strana sospensione del dolore e della gioia o il

lento svanire dell'uno e dell'altra in un sentimento unico, indefinibile, in cui

133 "Tu ne sais pas ce que c'est que 'injustice, tu le sauras. (...) Ne la regarde que juste ce qu'il faut, et ne la regarde jamais sans prier" (Journal d'un curé de campagne, 1077).

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sembravano fondersi la tenerezza, la fiducia, una ricerca inquieta e pur soave e

qualcos'altro che assomigliava alla pietà sublime che aveva vista risplendere tante

volte nelle pupille del suo maestro" (La joie, 559). Il suo atteggiamento di preghiera

dà fastidio al dottore La Pérouse che "credette di vedere le sue labbra muoversi.

L'idea che pregasse gli fu ad un tratto insopportabile" (La joie, 663): E' la stessa

reazione come quella di Satana134 che ne ha paura perché la preghiera dà forza

all'uomo135.

Olivier, nel Journal d'un curé de campagne, paragona il volto dell'abate di

campagna ad un "vecchissimo messale"; gli sembra un viso segnato, "logorato

dall'abitudine, dalla preoccupazione costante della preghiera" - "l'abitudine della

preghiera" - per quanto il curato protesti di "pregare malissimo" (Journal d'un curé de

campagne, 1216).

Non si tratta pertanto solo di recitare delle preghiere. Per chi "una volta per tutte,

ha accolto la tremenda presenza del divino in ogni istante della sua povera vita"

pregare equivale a fare di ogni cosa "una conversazione fra sé e Dio", ad essere

costantemente centrati su di Lui in modo che "tutto da Dio parta e tutto a Lui ritorni".

"Quale uomo di preghiera - si domanda l'abate di Ambricourt - tuttavia, ha mai

confessato che la preghiera l'abbia deluso?" (Journal d'un curé de campagne, 1112).

E una preghiera autentica può liberarsi solo in un cuore povero, semplice, l'unico

spazio nel quale Dio può profondere i suoi doni, può alitare lo "spirito di preghiera". E

solo quando le maschere vengono abbandonate è possibile accogliersi

gioiosamente, nello stupore di un mistero che uno sguardo cinicamente razionale

ridurrebbe a squallide somme di dati troppo facilmente criticabili: "Strano sogno,

singolare oppio che, invece di ripiegare l'individuo su se stesso e isolarlo dai suoi

simili, lo rende solidale con tutti nello spirito della carità universale" (Journal d'un curé

de campagne, 1112). In questo spirito l'abate Donissan fa l'invito: "Preghiamo 134 "Ne bredouille pas tes prières. Tais-toi. (...) C'est ta volonté que je n'ai pu forcer. O singulières b�tes que vous êtes!" (Sous le soleil de Satan, 177). 135 "C'est de Dieu que je reçois à cette heure la force que tu ne peux briser" (Sous le soleil de Satan, 180). Questa forza avviene dopo la preghiera per la quale Satana ha chiesto: "Je te répondrai. Mais relâche un peu ta prière" (ibidem, 179). Infatti "tout le temps que dura l'oraison, l'autre continua de gémir et de grincer, mais avec une force décroissante. Lorsque le vicaire de Campagne se releva, il se tut tout à fait. Il gisait, pareil à une dépouille" (idem). E un po' dopo: "Tu es entre mes mains. J'essaierai ce que Dieu m'inspirera. Je prononcerai des paroles dont tu as horreur. Je te clouerai au centre de ma prière comme une chouette. Ou tu renonceras à tes entreprises contre les âmes qui me sont confiées" (ibidem, 181-182).

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insieme, Sabiroux, affinché non duri ancora molto la terribile prova e che alla fine si

salvi il misero branco umano. Il misero branco..." (Sous le soleil de Satan, 256).

c) La gioia . C'è anche un romanzo che si chiama La joie. E' forse ancor più che

altri testi bernanosiani, un romanzo pervaso di una tragicità rivestita di luce -la luce

della grazia136. Non si tratta infatti né di luce né di gioia secondo una logica

materialista, ma del frutto misterioso del più incomprensibile paradosso umano-

divino, quello della Croce di Gesù Cristo:

"C'è la gioia di Dio, la gioia in senso assoluto - ciascuno di noi se ne fa un'idea. Ma soltanto i grandi, i veramente grandi hanno il segreto di lasciarla apparire, senza danno per il prossimo. (...) Voi altri avete vissuto, sofferto, offeso Dio, che so io? Avete i vostri rimpianti, i vostri rimorsi, siete come vecchi militari con le loro cicatrici... Nostro Signore non si stanca di perdonarvi; il sangue della Croce cola su di voi" (La joie, 670s).

La gioia, quella che nessuno può scalfire, è il segreto di Chantal. E questa gioia

è sinonimo di libertà interiore, di vera povertà evangelica: è la "vita nuova", la vita dei

veri figli di Dio, la vita dei risorti che irradia sempre per gli altri: "'Allora', gli rispondeva

la fanciulla, sfidandolo con i suoi quieti occhi, 'se pazienza e dolcezza non possono

nulla, basta la gioia, la gioia di Dio di cui siamo tanto avari. Chi la riceve è troppo

tentato di tenersela, di esaurirne per sé le consolazioni, mentre essa dovrebbe, man

mano che gli è data, irradiare da lui" (La joie, 603).

Questa gioia, spesso come sentimento ma anche di più che sentimento,

appartiene all'ordine soprannaturale. "L'abate Donissan conosceva la gioia. Non

quella furtiva, instabile, ora profusa ed ora negata; ma un'altra gioia più sicura,

profonda, uguale, perenne, per così dire inesorabile; simile alla dilatazione di un'altra

vita nella vita" (Sous le soleil de Satan, 141). "E, con assoluta certezza, l'abate

Donissan conobbe che quell'inafferrabile gioia derivava da una presenza" (ibidem,

145). "Il sentimento di quella presenza arcana fu così vivo, che egli volse il capo, d'un

tratto, come a cercare lo sguardo di un amico. E tuttavia, nel pieno fuoco della gioia,

una scoria permane, che l'estasi non giunge a fondere. (...) La dilatazione della gioia 136 "(...) que lui resterait-il donc en propre? Rien. Pas même sa prière, pas un seul battement de son coeur. Cette pensée la traversa d'outre en outre, elle en sentit littéralment le trait éblouissant. Il n'était rien d'elle qu'elle pût désormais offrir à Dieu sans crainte, sans réserves, ou même sans honte. La perfection, l'excellence de ce dénuement, la toute-puissance de dieu sur une pauvreté si lamentable, la certitude de dépendre presque entièrement de ce que les hommes ont nommé hasard, et qui n'est que l'une des formes plus secrètes de la divine pitié, tout cela lui apparut ensemble pour l'accabler d'une tristesse pleine d'amour, où éclata tout à coup la joie splendide..." (La joie, 574).

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è giunta, secondo l'espressione mirabile dell'Apostolo, fino alla divisione dell'anima

dall'intelletto. Andare più avanti, senza morire, non è più possibile"( Sous le soleil de

Satan, 146).

Questa gioia che scaturisce dal mistero di Cristo rimane sempre presente nel

mondo. Il tesoro lo ha la Chiesa: "Io porto la gioia - confessa il parroco di campagna -

ve la darei per niente, se me la domandaste. La Chiesa dispone della gioia, di tutta la

parte di gioia riservata a questo triste mondo" (Journal d'un curé de campagne,

1046).

3. LA COMUNIONE NELLA GRAZIA

"Nostro Signore si è degnato assaggiare il trionfo come tutto il resto, come la morte, non ha rifiutato nulla delle nostre gioie, non ha rifiutato che il peccato" (Journal d'un curé de campagne, 1193).

Il Dio cristiano è il Dio-Comunione, perché è Dio-Trinità. Gesù è colui - ci ricorda

Bernanos rifacendosi alla Scrittura - che ha condiviso tutto, fuorché nel peccato, la

condizione umana. La disponibilità alla vera e plenaria condivisione è la forma più

tangibile dell'amore cristiano. Non si vive pertanto la fede cristiana se non si vive la

comunione. Secondo il nostro autore è proprio la possibilità della condivisione che

rende l'umano l'uomo: "coloro che non hanno più nulla da condividere non sono più

esseri viventi". E' la dimensione della comunione vissuta sempre più intensamente,

che rende la creatura sempre più a somiglianza del suo Creatore. Il santo è pertanto

colui che vive la comunione in modo singolarmente intenso. E se l'inferno è "non

amare più", allora la vera felicità consiste nell'essere-per gli altri, nell'amare con lo

spirito di Gesù. "Cercare di comprendere" è per Bernanos già una significativa forma

di amore, che vissuta fino in fondo comporta la condivisione, segno concreto della

realtà della comunione dei santi, così presente in tutti i suoi scritti. I personaggi

bernanosiani non esistono di fatto se nella comunione con un altro chi è importante

per la loro liberazione dal peccato (cf. La joie, 616). Il curato di campagna dirà

all'altra Chantal: "rispondo di voi, (...) anima per anima" (Journal d'un curé de

campagne, 1226).

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1. La grazia come comunione

La grazia è essenzialmente azione di Dio sull'uomo e non si può pensare

distaccata dall'amore personale e libero, con cui Dio dona se stesso all'uomo. Perciò

la sua concretezza nel tempo e nello spazio non è soltanto la manifestazione dell'atto

spirituale ed esistenziale dell'uomo ed il superamento del peccato, ma anche

"manifestazione" dell'azione salvifica e dell'amore redentivo di Dio per gli altri uomini.

Ciò si verifica nella vita di ciascun "santo" bernanosiano. Nella sua comunione con

Dio in Cristo mediante la grazia, egli è in qualche modo un mediatore per il prossimo.

Per Bernanos non ha grande importanza in quale modo tale compito di mediazione

debba essere inteso più precisamente nei suoi rapporti con la grazia, che sia

strumentale o puramente condizionale. Quello che l'interessa è dimostrare che ad

ogni uomo mai è stata negata la grazia, che non gli manca la possibilità di superare il

peccato indifferentemente quanto sarebbe la sua potenza, che se è vero che "siamo

tutti dentro nel peccato, alcuni per goderne, altri per soffrirne, ma a conti fatti, è lo

stesso pane che spezziamo tutti sul margine della fontana, è lo stesso disgusto che

inghiottiamo trattenendo la saliva" - come si esprime Chantal in La joie (p. 671) - allo

stesso modo è vero - e qui sta il nodo della questione - che esiste una comunione dei

santi che fa da una comunità dei fedeli, constituita dai "peccatori" e dagli "altri", "un

grande corpo, in cui la pietà, se non la grazia di Dio, circola come la linfa in un

albero" (Monsieur Ouine, 1487), che la grazia divina è connessa spesso nella storia

salvifica con la mediazione umana. Ogni contatto con cui una persona comunica la

propria vita interiore ad un'altra è, esplicitamente o no, una testimonianza nei

confronti della propria relazione con la grazia.

"Se Dio ci desse una chiara idea della solidarietà che ci lega gli uni con gli altri,

nel bene e nel male, non potremmo più vivere, infatti" (Journal d'un curé de

campagne, 1159). In questo testo, che l'autore l'ha messo nella bocca dell'abate di

Ambricourt, appare la sua convinzione che qui, nella storia del nostro essere umano,

non possiamo avere un'idea del tutto chiara su quello che si è definito comunione.

Forse perciò lo scrittore ha approfondito la propria indagine letteraria nel tema della

comunione dei santi. Sarà sempre una confusione nel cogliere il suo significato,

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tuttavia l'azione e tutta la vita del santo bernanosiano offrirà la sua testimonianza nei

confronti di questa verità della fede cristiana, per non essere negata da nessuno.

Il mondo romanzesco di Bernanos è stato mai quello della solitudine jansenista.

Anche se Sous le soleil de Satan scivola spesso verso una concezione eroica della

santità dove l'uomo di Dio lascia molto indietro il gregge dei peccatori (cf. Sous le

soleil de Satan, 246), vediamo piuttosto qui un tentativo di comunione che una

risoluzione di solitudine. E' smarrimento senza dubbio lo slancio che porta l'abate

Donissan a offrire la sua propria salvezza come pegno per la salvezza comune,

almeno è questa salvezza di tutti la meta di questo atto nel quale s'insinua il demone

dell'orgoglio. E il segno della santitè non è la preghiera personale, ma la visione delle

anime per il loro riscatto.

Adesso scegliamo un esempio dalla proposta fatta da Maritain a Bernanos,

riguardante la necessità di cambiare in alcuni punti il testo originale, che mette in

risalto e fa trasparire, oltre il dissenso tra i due, l'insistenza dell'autore di Sous le

soleil de Satan per la comunione della grazia. Quando nel 1925 Bernanos consegnò

all'editore Plon il romanzo perché venisse pubblicato nella collana "Roseau d'or"

diretta da J. Maritain, questo prese in considerazione i contenuti filosofico-teologici

del romanzo. Temeva che il romanziere venisse sospettato da un lato di

manicheismo, per un altro versante di una certa confusione, ossia di una inquietante

connotazione di ambivalenza fra Cristo e Satana, Satana assimilato a Cristo in croce.

Inoltre non gradiva certi episodi del romanzo: come l'incontro del protagonista, l'abate

Donissan, con il diavolo, che gli appare sotto l'immagine di un mediatore di cavalli,

nel cui volto il prete ritrova la propria somiglianza. Non accettava l'immagine della

santità elaborata da Bernanos; non poteva ammettere che un "santo" potesse essere

affascinato dalla tentazione della disperazione e che potesse peccare contro la virtù

della speranza. In conseguenza, ha deciso di fare alcuni interventi sul manoscritto

dell'autore. Ecco un esempio. Nella Histoire de Mouchette, il prologo del romanzo,

Bernanos scriveva: "Ma un altro cammino può essere tentato, diritto, inflessibile che

si allontana sempre più da cui non si ritorna da soli". Maritain corregge: "da cui

nessuno ritorna", travisando il progetto di Bernanos, per il quale l'adolescente non

può tornare da sola, con le sole sue forze, da quell'esperienza disperata, ma per

salvarsi deve coinvolgere un'altra anima, che deve condividere la sua

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disperazione137. Infatti Bernanos esplica in una conferenza la relazione al livello

soprannaturale tra Donissan e Mouchette in questi termini: "Al limite di un certo

avvilimento, d'una certa dissipazione sacrilega dell'anima umana - afferma l'autore -

s'impone allo spirito l'idea del riscatto, non di una riforma né di un ritorno indietro, ma

del riscatto. Così l'abate Donissan non è apparso per caso: il grido di disperazione di

Mouchette l'invocava, lo rendeva indispensabile"138. Di fatto, l'abate Donissan per

salvare Mouchette deve passare attraverso la seduzione della disperazione; per

redimere Mouchette deve rischiare di perdere la propria anima. "Mouchette, (...) che

certi pii critici, in gran numero, mi hanno pregato di sopprimerlo, non è

semplicemente necessaria all'equilibrio interno del romanzo, ma è lei stessa

quest'equilibrio. (...) è indispensabile che sia vera, altrimenti l'opera non ha più

senso, e la terribile espiazione del curato di Lumbres non è niente di più che una

storia atroce e demenziale"139. Se si può dire che è un modo un po' troppo

paradossale di concepire la comunione dei santi, tuttavia dobbiamo osservare che

rimane un modo sempre in sintonia con lo stile della "parola forte" dello scrittore

francese.

Se l'eroismo sorpassa l'umano, la santità lo assume e lo porta alla sua

realizzazione. E' proprio questa corsa verso una redenzione comune che vuol

mostrare nei suoi romanzi Bernanos. Il santo mai è colui che lotta da solo all'ultima

frontiera: lui è il luogo di passaggio della grazia universale, lui appartiene a una

comunità. Sacerdote o laico, egli rivela la Chiesa - quella della comunione dei santi e

dei peccatori. Ed il male come anche il peccato (invece non il peccatore che può

essere toccato dall'amore) sta fuori della comunione - può entrare al massimo nel

campo della solidarietà nel senso di convivenza - sotto la fatalità della solitudine che

diventa segno che qualcuno è sdrucciolato dalla comunità140. E se l'uomo moderno è

137 Cf. FASOLI G., Sfida del povero: Georges Bernanos, 23-24. 138 BERNANOS G., "Satana e noi" in NVCR, 39. 139 BERNANOS G., "Satana e noi" in NVCR, 39. 140 In Journal d'un curé de campagne Bernanos utilizza direttamente l'espressione "comunione dei peccatori": "Il y a une communion des saints, il y a aussi une communion des pécheurs" (p. 1139). Tuttavia fa subito un'esplicazione in che consta questa ultima comunione: "Dans la haine que les pécheurs se portent les uns aux autres, dans le mépris, ils s'unissent, ils s'embrassent, ils s'agrègent, ils se confondent, ils ne seront plus un jour, aux yeux de l'Eternel, que ce lac de bue toujours gluant sur quoi passe et repasse vainement l'immense marée de l'amour divin, la mer de flammes vivantes et rugissantes qui a fécondé le chaos" (Journal d'un curé de campagne, 1139). A me sembra che l'espressione benché utilizzata - forse per un equilibrio linguistico - purtroppo non ha la stessa

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solo fra gli altri uomini ed accusa sempre la solitudine, l'angoscia, la noia che lo

disturbano, è perché la povertà crescente della sua vita interiore gli impedisce di

entrare in comunione con gli altri: ha perso il senso dell'amore. Perciò Bernanos

ricorda: Dio "non è il padrone dell'amore, è l'amore stesso. Se volete amare, non

mettetevi fuori dell'amore" (Journal d'un curé de campagne, 1158), cioè inseriti nella

sua comunione. In questo senso, il santo, al contrario del peccatore, vuol condividere

tutto nel suo slancio di amore:

"L'inferno, signora, è di non amare più. Non amare più (...) Non amare più, non comprendere più e vivere lo stesso, o prodigio! L'errore come a tutti è di attribuire a codeste creature abbandonate ancora qualcosa di noi, della nostra perpetua mobilità, mentre esse sono fuori del tempo, fuori del movimento, fisse per sempre. Ahimè! Se Dio ci conducesse per mano verso una di queste cose dolorose, anche se un tempo fosse stata l'amico più caro, quale linguaggio le parleremmo? Certo, se un uomo vivo, un nostro simile, l'ultimo di tutti, il più vile tra i vili, venisse gettato tale quale in codesti limbi ardenti, vorrei condividere la sua sorte, andrei a disputarlo al suo boia. Condividere la sua sorte!... La disgrazia, l'inconcepibile disgrazia di quelle pietre roventi che furono degli uomini, è che non hanno più nulla da condividere" (Journal d'un curé de campagne, 1157).

In conclusione: se da una parte è vero che il peccato esercita pure un'influenza

sul proprio prossimo, privandolo della grazia e portandolo in qualche maniera a una

situazione di mancanza di grazia, d'altra parte invece c'è una comunione dei santi

nella quale è stata offerta al cristiano la possibilità di sorpassare il peccato. Nel dono

di se, nell'essere-per, cioè nell'apertura verso gli altri, che è in totale opposizione con

il stato di egoismo, l'uomo, in particolare il cristiano, qualsiasi sia, sacerdote o laico,

arriva a realisarsi pienamente. E questa è una chiamata pressante ad agire in

comunione come segno credibile della nostra fede nel Redentore del mondo.

ponderazione come nel caso del gruppo dei santi: manca il legame che è l'amore; può rimanere al livello di convivenza, coesistenza non gradita, sotto il peso dell'odio, del disprezzo. Non può essere una vera comunione come non c'è tra Gesù e il peccato del mondo benché lo assume. Inoltre non dobbiamo dimenticare che il suo linguaggio è quello del poeta e non del teologo.

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2. La dimensione espiatoria del dolore

"Un vero dolore che esce dall'uomo, appartiene anzitutto a Dio, mi sembra. Cerco d'accoglierlo umilmente nel mio cuore, così com'è; mi sforzo di farlo diventare mio, d'amarlo. E capisco tutto il senso nascosto dell'espressione, divenuta triviale, 'comunicare'; giacché è vero che con quel dolore io comunico"(Journal d'un curé de campagne, 1096).

Il vertice del dono di sé l'uomo - il santo - l'attinge nella sofferenza e la morte per

gli altri: si arriva così alla più alta forma di comunione con Dio, in Cristo sofferente, e

con l'altro, il suo fratello. E' come un "grande fiume invisibile che ci porta tutti"

(Journal d'un curé de campagne, 1152). Qui c'è la sofferenza che è sicuramente "la

sostanza del cuore divino" (La joie, 352) ma è anche ciò "che Dio richiede ai suoi

amici privilegiati quello che lui stesso ha offerto"141. Il dolore per Bernanos è un

segno della vita autentica: il sofferente riflette precisamente nel suo stato d'uomo che

soffre, la vera natura, l'essenza stessa dell'uomo: "Colui che cerca la verità dell'uomo

- scrive Bernanos - deve impadronirsi del suo dolore per un prodigio di compassione

e poco importa che ne conosca o no la sorgente impura" (La joie, 561). Però se tutti

"hanno in qualche parte, in un angolo segreto della loro vita, un altare dedicato alla

sofferenza", come dice lo psichiatra Lipotte in Un mauvais rêve (p. 941), soltanto i

santi sono coloro che propongono la giusta misura della persona umana, loro che

non sono degli esseri superiori che per i loro meriti salgono in cielo, ma dei veri servi

di Dio che accompagnano il Cristo nella sua discesa nel mondo e che sono pertanto

portatori di una parola di salvezza: questa parola è la loro stessa vita, in quanto

offerta sotto la Croce. Veramente il loro dolore "appartiene anzitutto a Dio", perciò

"incomprensibile": è di più che "la giusta ricompensa della colpa"; secondo Bernanos

è "il pane che Dio condivide con l'uomo; e l'immagine temporale del possesso divino

al quale siamo chiamati"142. In ogni agonia si riflette il volto di quel Cristo che stende

sulla storia la sua ombra vivente e vivificate per assumere il volto dei poveri, dei

paurosi, dei sofferenti, dei martiri. Perciò, come i grandi mistici restano affascinati

dalla contemplazione del Crocifisso, così a Bernanos riesce impossibile distogliere lo

141 BERNANOS G., "Lettera a Frédéric Lefèvre" in NVCR, 13. 142 BERNANOS G., "Lettera a Frédéric Lefèvre" in NVCR, 13. "Ainsi qu'un enfant répète sans le comprendre, avec une docilité sacrée, les mots qu'il reçoit, un par un, des lèvres maternelles, elle (Chantal) avancerait pas à pas parmi les ténèbres d'une Agonie dont le seuil n'a encore été franchi par aucun ange; elle recueillerait chaque miette, à tâtons, de ce pain terrible..." (La joie, 686).

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sguardo dal Cristo agonizzante, soprattutto quando la sofferenza preme sulla vita e si

avvertono i passi della morte143.

Siamo qui nel cuore di una verità teologica molto cara a Bernanos: la comunione

dei santi che comporta la reversibilità dei beni, cioè quello scambio mistico per cui la

sofferenza dell'uomo è offerta come riscatto dell'altro. Cristo ha sofferto l'agonia per

riscattare le nostre paure e miserie. La sua missione però non è ancora finita. Essa si

prolunga, nel tempo e nello spazio, cioè nella Chiesa, misteriosamente associata

all'opera del Salvatore sino alla fine dei tempi. Lo sguardo di Bernanos è fisso anche

su questo Cristo che continua ad agonizzare in noi per estendere l'opera della

redenzione: se siamo ancora alla sofferenza, ciò avviene in un contesto non di

castigo ma di salvezza, in quanto assumendone le agonie, le ha trasformate in

strumento di salvezza. Il dolore acquisisce una dimensione nuova: quella

soprannaturale di espiazione - riflesso di luce della grazia in un mondo triste, avvilito

dal peccato.

"Come si fanno trasparenti i santi!" esclama Chantal de Clergerie144. I "santi"

bernanosiani sono solidali non nel male, ma con il peccatore; prendono su di loro i

peccati del mondo, come il Cristo, e portano il peso del peccato. Vediamo questo

tratto della santità e della grazia incarnato in alcuni atteggiamenti dei più famosi

personaggi dei romanzi di Bernanos.

143 C'è il rischio, leggendo i scritti di Bernanos, di considerarlo un autore di spiritualità doloristica, di una "mistica del dolore". Ma lui non ha corteggiato la morte e la sofferenza. Sapeva molto bene che neanche il Signore le ha amate e ricercate. Specialmente di fronte alla morte. Ciò che l'interessa - mi sembra - è di poter offrire all'uomo di oggi, almeno al inizio a livello di meditazione, la possibilità di superare il suo stato di crisi provocato dal peccato per diventare veramente libero, realizzato pienamente nell'apertura alla grazia. La sua lunga meditazione sotto la croce del Cristo sembra essere una sfida, lo stesso "che importa?" Mediante questo "spogliamento" di sé l'uomo è stato redento, il peccato espiato, la sofferenza trasformata in redenzione. 144 "Combien des saints se font transparents! Et moi, je suis opaque, voilà le mal. Je réfléchis un peu de clarté, quelquefois, chichement, pauvrement (...) Il faudrait n'être que du cristal, une eau pure. Il faudrait qu'on vit Dieu à travers" (La joie, 603).

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a) Il prete - icona del Cristo Redentore

"Noi siamo le avanguardie di una lotta a morte, e abbiamo, dietro di noi, il nostro popolo" (Sous le soleil de Satan, 257).

Non poteva mancare, pertanto, nell'opera di Bernanos, il riflesso del Cristo

crocifisso e agonizzante in coloro che sono alter Christus: i preti. Li ha amati, studiati

e scelti come protagonisti dei suoi romanzi più noti, perché in essi, incarnandosi al

maximum il Verbo, si concentra il maximum dell'agonia. Schiere di anime sono legate

al prete da fili misteriosi e spesso decisivi. Di fatto egli è "l'avanguardia". Se

soccombe lui, tutto crolla; se resiste, nulla è perduto. Tutti i drammi - passionali e

spirituali - si riallacciano al suo dramma, alimentandosi e illuminandosi a vicenda.

Sospeso tra la terra e il cielo, assurge a grandezza epica: come quelli eroi mitologici

dai quali dipende la salvezza o la rovina di tutto un popolo e che affrontano, in

singolari combattimenti, nemici sovrumani145.

Di tali santi bernanosiani accostiamone due, i più famosi.

1. L'abate Donissan - il protagonista di Sous le soleil de Satan - un giovane

che non ha conosciuto il male: "ha odiato il peccato" (ibidem, 263), ha "imparato a

conoscerlo dalla bocca dei peccatori" (ibidem, 140). Quando ha la rivelazione del

peccato, intuisce che la sua missione è combatterlo, a qualsiasi costo, ed allora il

giovane vicario taciturno, si è offerto, nel silenzio e nell'ombra, al peccatore suo

despota - "un fanciullone pieno di vizi e di tedio" (ibidem, 235) - che per tutta la vita

non gli avrebbe dovuto dare mai più tregua. Le ore trascorse ad ascoltare le

confessioni sono affiancate da digiuni, penitenze, privazioni d'ogni genere. Per

stanare e scacciare Satana dalle anime, rinunzia a tutto: riposo, pace interiore,

onore, consolazioni umane; d'altra parte, quando guarda il Crocifisso avverte tale

un'attrazione che crede di dover maledire e scacciare da sé anche la gioia e la

speranza (cf. Sous le soleil de Satan, 154 s). Convinto che ai servi del Signore altro

non resta che la sofferenza unita a quella di Gesù, si trasforma in un'agonia vivente:

è "il segreto della sofferenza feconda, del dolore che purifica" (Sous le soleil de

145 Cf. CASTELLI F., Volti di Gesù nella letteratura moderna, I, 149-182, che seguo in parte in questo punto.

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Satan, 308). Essa è infatti il risultato di terribili esperienze: la paurosa certezza di

essere dei vinti, anche prima della lotta; l'"insopportabile sensazione di essere preso

in trappola"; lo "svuotamento della speranza" (Sous le soleil de Satan, 228); il

"bisogno di morire, simile al desiderio delle lagrime", una "stanchezza disperata", il

richiamo del baratro e delle tenebre (cf. Sous le soleil de Satan, 237-238); le

convulsioni della disperazione (ibidem, 252-253: "soffocato d'angoscia" arriva a

"dubitare della sua stessa salvezza"). L'anima di Donissan è sotto il peso del peccato

che egli, come Cristo, si è addossato. Sa di "portare in sé questa zavorra e non ha il

coraggio di scaricarsene: dove gettarla? In un altro cuore?" (ibidem, 239). Bisogna

che resti "ai piedi della croce, senza amici, sempre solo" (idem), esposto a tutti i venti

della tentazione che gli appare come "il concepimento di un altro in sé" (idem). In

tanto può dare agli altri consolazione in quanto egli ne resta privo146; in tanto può

essere strumento di salvezza (soprattutto per Mouchette) in quanto è disposto a

subire - se a Dio così piace - la dannazione della sua anima:

"Non voglio la gloria! Non voglio la gioia! Non voglio più saperne della speranza! Che ho più da soffrire? Che più mi resta? Questa sola speranza? Ritogliti anche questa! Riprenditela! Se potessi farlo senza odiarti, io ti sacrificherei la mia salute spirituale, mi dannerei per la salvezza delle anime di coloro che per derisione tu affidasti a me, che sono uno straccione!" (Sous le soleil de Satan, 154s). "Il vedere tante anime possedute dal peccato... m'ha, talvolta, dato impeti d'odio contro il Nemico... Per la loro salute ho offerto quanto possedevo o mai possiederò... la mia vita, prima di tutto... - che ha mai da essere? - le consolazioni dello Spirito Santo... La salute dell'anima, se così piace a Dio" (Sous le soleil de Satan, 227).

Una "temeraria offerta", "accettata fino a un certo punto" (Sous le soleil de

Satan, 228), una volta fatta, lo porta su una via del tutto singolare: "Sulla via che ella

ha scelto: no, sulla quale ella si è precipitata: lei sarà solo, assolutamente solo e da

solo dovrà procedere. Chi la seguisse si perderebbe senza poterla soccorrere"

(idem). Però "dalla sua sorte è senza dubbio legata la sorte di tanti altri" (Sous le

soleil de Satan, 229). Se riesce a stanare Satana dalle anime è perché il Maligno può

accovacciarsi nella sua. Vive, insomma "sotto il sole di Satana". L'abbandono è

totale: "La grazia divina gi li è nascosta sotto un velo che gli si è steso sugli occhi,

ancora pieni, poco fa, del divino mistero" (ibidem, 237).

146 "Je ne suis qu'un malhereux. Depuis des années, je ne sais plus ce que c'est qu'une heure de paix. (...) Mot à mot, je ne m'appartiens plus... J'étais dans le convulsions du désespoir..." (Sous le soleil de Satan, 252-253).

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Alcuni tratti del suo volto riflettono, ed eloquentemente, quel Cristo che la Lettera

agli Ebrei dice partecipe della condizione umana "per ridurre all'impotenza mediante

la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo (...). Perciò doveva rendersi

in tutto simile ai fratelli" (2,14-17). Anche il vocabolario del curato di Lumbres fa

riferimento alla parola del Gesù e all'evento di Getsemani:

"Ah padre, padre mio! Ho desiderato, sì, di allontanare da me questa croce! Possibile? Sempre ero costretto a riprendermela: senza di essa la nostra vita non ha senso: il migliore di noi diventa uno di quei tiepidetti che il Signore sputa fuori. Nella nostra profonda miseria, umiliati, oppressi, calpestati dal primo straccione che passa, che saremmo noi se non avessimo almeno il senso dell'oltraggio patito? Padrone del mondo non riuscirà mai ad essere, finché ci gonfi il cuore la collera divina; finché una creatura umana saprà, a sua volta, gettagli sul muso il suo 'non serviam'" (Sous le soleil de Satan, 225).

Come Cristo, Donissan ha la passione delle anime e perciò affronta il Maligno

con risolutezza, rifiuta ogni compromesso col male, fa della sua esistenza un dono

incondizionato a Dio per la salvezza delle anime, muore in una solitudine lambita di

amarezza e di abbandono. L'ultima pagina del romanzo presenta il Santo di Lumbres

stecchito nel confessionale, rigido nell'immobilità della morte, ma con "una tremenda

sfida" - quella della grazia - sulla sua bocca, ripresa dall'autore in queste parole:

"Che importa? Un altro l'ascolta, che i cieli non terranno nascosto per sempre" (Sous le soleil de Satan, 307).

Sono parole che richiamano a Lettera agli Ebrei che parla su Gesù, "sommo

sacerdote in grado di compatire" e di quale si dice: "nei giorni della sua vita terrena

egli offri preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da

morte e fu esaudito per la sua pietà" (5,7). "Fu esaudito": non nel senso che egli sia

stato sottratto alla morte, che era lo scopo della sua vita (cf. Gv 12,27), ma è stato

sottratto al suo potere (At 2,24s) e Dio ha trasformato la sua morte in una esaltazione

di gloria. Questa vittoria della grazia suggerisce alla sua fine la povera morte del

santo di Lumbres. Che importa l'"immobilità grottesca" del suo corpo, che importa

l'"avvenimento impreveduto" di quale è "stato sorpreso", che importa la "tempesta di

grida e di risa" dell'inferno che "ilare" ed "acclama alla sua povera parola appena

intelligibile, confusa difesa senza né garbo né arte" (Sous le soleil de Satan, 306-

307)? "Qualche cosa da dire gli resta. Perché, è vero, la sua ultima parola non l'ha

detta ancora..." (idem). Sì. "Il momento decisivo, unico nella sua vita straordinaria,

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non era stato più che un povero animale umano, non d'altro capace che di soffrire e

di gridare" (ibidem, 263). Però, il suo soffrire è "il buon dolore (...) che è la nostra

parte comune con voi (Signore)", "il segno d'elezione", "più attivo che il fuoco

incorruttibile e casto" (ibidem, 307). Questa è la risposta della grazia nel santo che

"soffre". Ma il dialogo non finirà più, poiché c'è ancora un'altra risposta al santo nella

sua "esplosione del grido supremo" (ibidem, 308)147. E' quella dell'"altro" chi

"l'ascolta": "ascolta il grido dei figli suoi" (idem). E' quell'"altro", "che i cieli non

terranno nascosto per sempre". E' "il miracolo che noi tutti aspettiamo, (...) e tutto

l'universo, nella sua tristezza, lo invoca con noi" (Sous le soleil de Satan, 285). E' il

miracolo della grazia che vince la morte ed il peccato bensì attraverso la sofferenza e

la Croce.

2. Il curato di campagna - il protagonista di Journal d'un curé de campagne, di

cui esistenza si snoda nello stesso sfondo della Santa Agonia - è un povero malato

di cancro, timido e maldestro nel tratto, l'aspetto esterno un po' funereo, ma anche

profondamente umile, mite, puro, abbandonato alla divina volontà, dedito all'esercizio

della carità fino alla dimenticanza di sé, ancorato a una fede profonda e sofferta,

assetato di preghiera e di penitenza. Quando ha la rivelazione che la sua vita sarà

contrassegnata dalla sofferenza, avverte che nulla potrà strapparlo dal posto per lui

scelto da tutta l'eternità: "prigioniero della Santa Agonia": "la verità è che, da sempre,

è nel giardino degli Ulivi ch'io mi ritrovo" (Journal d'un curé de campagne, 1187). Qui

c'è il silenzio di Dio, cioè la solitudine, l'angoscia, il vuoto:

"Un'altra notte spaventosa: sonno interrotto da incubi. Pioveva così forte che non ho osato andare fino in chiesa. Non mi sono mai tanto sforzato di pregare, dapprima posatamente, con calma, poi con una specie di violenza concentrata, feroce, e infine - dopo aver ritrovato a gran fatica il sangue freddo - con una volontà quasi disperata (quest'ultima parola mi fa orrore), con uno slancio di volontà per il quale tutto il mio cuore tremava d'angoscia. Nulla" (Journal d'un curé de campagne, 1111).

Se il peso della tristezza è troppo pesante da portare, invoca l'aiuto divino. Ma

Dio tace, lontano: "Dio non è venuto" (Journal d'un curé de campagne, 1112). Qui

Bernanos introduce un tema molto caro a lui: quello dell silenzio di Dio. Dio si rivela

ai santi bernanosiani attraverso il suo silenzio, la sua assenza, o piuttosto, per

147 "Après moi un autre, et puis un autre encore, d'âge en âge, élevant le même cri, tenant embrassée la Croix..." (Sous le soleil de Satan, 308).

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Bernanos, colui che desidera Dio è colui al quale Dio manca di più. Se il cammino

umano di Gesù è un cammino culminante nella croce, quello del curato è segnato dal

silenzio e dalla notte: "Dalla testa ai piedi, non ero più che silenzio. Silenzio e notte".

"L'anima tace. Dio tace. Silenzio" (Journal d'un curé de campagne, 1129). Secondo

Bernanos, la redenzione sta proprio in questo silenzio: "Nostro Signore ha pregato

sulla croce ed ha gridato, pianto come fanno i moribondi. Ma là c'è qualcosa di più

prezioso: il minuto, il lungo minuto di silenzio, dopo il quale tutto fu consumato" (La

joie, 675). Nella vita del curato di campagna, questo qualcosa di più prezioso che è

la redenzione si manifesta come la "notte spaventosa", l'esperienza del vuoto, della

sofferenza dell'anima lasciata da Dio alle sole sue forze, la quale sentendosi staccata

dalla sua sorgente vitale sperimenta il silenzio di Dio, ma insieme ne percepisce la

presenza con una evidenza misteriosissima148. Tuttavia il paradosso che vive tra

l'assenza di Dio e la misteriosa presenza lo lascia in quello stato di angoscia che

annunzia e precede il peccato contro la speranza. E' uno stato così dolce che

occorre molto tempo prima che si possa in esso scorgere "il più ricco degli elisiri del

demonio, la sua ambrosia" (Journal d'un curé de campagne, 1116s). E' l'esperienza

della notte, il richiamo dell'abisso, la percezione del vuoto e del nulla. "Dietro di me

non c'era nulla. E davanti un muro, un muro nero" (ibidem, 1111).

Superata questa prova, la notte spaventosa si apre sulla luce divina: il curato

assume tutti i limiti della sua umanità, compresa la diagnosi del cancro che ha ormai

logorato il suo organismo, e accetta una "morte piccola", a sua misura.

La sua agonia è alimentata dalla presenza del peccato che spadroneggia le

anime, mascherata e camuffata, ma che egli riesce a scorgere, per un particolare

dono di Dio. Non si tratta tanto del peccato singolo, quanto del peccato che domina

l'umanità. Come Cristo nel Getsemani, si sente addosso i peccati dei suoi

parrocchiani e trema di paura, di nausea e di angoscia. "Dio ha voluto mettere sulle

mie spalle il fardello di cui avevo liberata la sua creatura esaurita" (Journal d'un curé

de campagne, 1184). Il fardello cui allude è l'odio e l'orgoglio della contessa (cf.

Journal d'un curé de campagne, 1145s), ma c'è anche il fardello degli altri 148 "J'entends bien que Notre-Seigneur prend sa part de nos peines, même futiles, et qu'il ne méprise rien"; "j'ai le sentiment d'une présence invisible qui n'est sûrement pas celle de Dieu - plutôt d'un ami fait à mon image, bien que distinct de moi, d'une autre essence... Hier soir, cette présence m'est devenue tout à coup si sensible que je me suis surpris à pencher la tête vers je ne sais quel auditeur imaginaire" (Journal d'un curé de campagne, 1149).

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parrocchiani, non meno pesante. La lussuria, per esempio, che dilaga sulle anime e

si sbriciola in torrentelli quali l'angoscia, la voracità, l'ottusità dello spirito,

l'ipocrisia149; e poi, la dissacrazione dell'anima dei bambini col cattivo esempio,

ammantato d'ipocrisia150; la povertà disprezzata e umiliata151; la noia che corrode e

corrompe la società, trasformandola in un piccolo regno di morti (cf. Journal d'un curé

de campagne, 1031).

Se ogni vero cristiano deve portare, secondo le sue capacità, questo fardello, il

prete soprattutto deve portarlo, con amore e pazienza. Ciò significa votarsi a un

martirio tanto più straziante quanto più ispirato dall'Amore. Straziante, ma anche

esaltante. Quando il piccolo parroco scorge l'irruzione della pace nell'anima della

contessa, dopo tanta tempesta, scopre: "la tristezza s'impadroniva di me, una

tristezza indefinibile, contro la quale ero totalmente impotente. Forse, fu la più grande

tentazione della mia vita" (Journal d'un curé de campagne, 1157s) e si rende conto di

essere - lui, "distraziato mendicante di vita, di porta in porta, senza nemmeno osare

battervi" -strumento di grazia e uno stupore rasserenante gl'inonda l'anima (cf.

ibidem, 1162; 1176): "E' bello, essere tristi. Ciò riscatta i peccati, mi dico, alle volte"

dice Serafita (ibidem, 1206). Aveva detto alla contessa che le nostre pene non ci

appartengono perché Cristo "le assume, sono nel suo cuore. Non abbiamo il diritto di

andarvele a cercare per sfidare, per oltraggiare" (Journal d'un curé de campagne,

1164). Egli le porta nel suo cuore, dietro il suo Signore sulla via della croce, così

dura, tuttavia rivelatrice di tante meraviglie:

"O meraviglia, che si possa così donare ciò che per se stessi non si possiede, o dolce miracolo delle nostre mani vuote! La speranza, che nel mio cuore moriva, è rifiorita nel suo; lo spirito di preghiera che avevo creduto perso senza scampo, Dio lo ha reso a lei e, chi sa?, in mio nome forse... Possa conservare anche questo, conservi tutto! Eccomi spogliato,

149 "Et le démon de l'angoisse est essentiellement, je crois, un démon impur" (Journal d'un curé de campagne, 1107); "Comment ne s'avise-t-on pas plus souvent que le masque du plaisir, dépouillé de toute hypocrisie, est justement celui de l'angoisse? Oh! ces visages voraces qui m'apparaissent encore en rêve - une nuit sur dix, peut-être - ces faces douloureuses!" (ibidem, 1127); "La luxure me fait peur. L'impureté des enfants, surtout" (ibidem, 1106). 150 "Tu entends l'hypocrite, le luxurieux, l'avare, le mauvais riche - avec leurs grosses lippes et leurs yeux luisants - roucouler le Sinite parvulos sans avoir l'air de prendre garde à la parole qui suit - une des plus terribles peut-être que l'oreille de l'homme ait entendue: 'Si vous n'êtes pas comme l'un de ces petits, vous n'entrerez pas dans le royaume de Dieu'" (Journal d'un curé de campagne, 1073). 151 "(...) il s'agit toujours d'exterminer le pauvre - le pauvre est le témoin de Jésus-Christ, l'héritier du peuple juif, quoi! - mais au lieu de le réduire en bétail, ou de le tuer, ils ont imaginé d'en faire un petit rentier ou même - supposé que les choses aillent de mieux en mieux - un petit fonctionnaire" (Journal d'un curé de campagne, 1069).

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Signore, come solo voi sapete spogliare, poiché nulla sfugge alla vostra sollecitudine spaventosa, al vostro spaventoso amore" (Journal d'un curé de campagne, 1170).

Sono "spaventosi" il Getsemani e il Golgota? Qui però Cristo, sulla Croce

compie "la perfezione della sua Santa Umanità" (Journal d'un curé de campagne,

1255) perché realizza quel miracolo di amore che è la transmutazione della

sofferenza. Il piccolo parroco accetta che anche in lui si compia tale perfezione, con

abbandono d'amore e con l'umiltà del mendicante dall'anima di fanciullo. Di fatto,

come scrive nel suo diario, lui si abbandona al "movimento di quella dolce pietà di

Dio" (ibidem, 1230).

"Orribilmente impressionabile" com'è, comprende bene che non saprà morire,

che la sua non sarà un'agonia perfetta e compiuta, come quella di un uomo sicuro di

sé e del proprio coraggio. Però, se "l'agonia umana è anzitutto un atto d'amore" e

non di coraggio, lui, di amore ce ne metterà quanto potrà, tanto da poter dire col

Maestro: Consummatum est! E' la sua offerta totale. E allora ben vengano la nudità,

la paura, le lacrime, l'abbandono, purché ci sia l'amore.

"Non morrò senza lacrime. Giacché nulla m'è piò estraneo d'una morte stoica, perché mi dovrei augurare la morte degli impassibili? Gli eroi di Plutarco m'ispirano paura e insieme noia. Se entrassi in Paradiso sotto questo travestimento, mi sembra che farei sorridere il mio Angelo custode. Perché dovrei inquietarmi? Perché prevedere? Se avrò paura, dirò: 'Ho paura' senza vergogna. Il primo sguardo del signore, quando mi apparirà la sua Santa Faccia, sia dunque uno sguardo che rassicura!" (Journal d'un curé de campagne, 1256).

Morrà "spogliato", in casa di un amico ex-prete, gocciolando sudore dalla fronte

e dalla guance, lo stomaco divorato dal cancro e una grande angoscia - così

sembrerà - nello sguardo, tra le palpebre semiaperte. Riuscirà a pronunciare queste

parole - riprese dall'autore dalla santa Teresa di Lisieux152 - subito prima di morire:

"Che importa? Tutto è grazia". Un'altra sfida della grazia. In altre parole: che importa

morire così "spogliato", sporco di sangue, senza il sacramento degli infermi, lontano

dai suoi, assistito da due poveri infelici, l'ex-prete e la sua compagna? Tutto è grazia,

cioè tutto è disegno d'amore. E' l'amore che si estende a tutti, anche alla propria

persona. Nell'ultima pagina del suo diario aveva scritto:

152 Questa espressione non appartiene a Bernanos, ma alla santa Teresa di Lisieux. In merito, Michel Estève scrive nella nota su questo "tout est grâce": "L'ecrivain a été surpris et s'est amusé de la méprise des lecteurs du Journal. Quelques jours avant de mourir, il demandait à l'abbé Pezeril: 'Vous aussi vous croyez que 'tout est grâce' est de moi?'" (ESTÈVE M., Notes et variantes, 1885).

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"Odiarsi è più facile di quanto si creda. La grazia consiste nel dimenticarsi. Ma se in noi fosse morto ogni orgoglio, la grazia delle grazie sarebbe di amare umilmente se stessi, allo stesso modo di qualunque altro membro sofferente di Gesù Cristo" (Journal d'un curé de campagne, 1258).

Finché i nostri occhi si ostinano a vedere in noi la nostra persona, la nostra vita,

la nostra sofferenza, è difficile amarci. Se ci riesce di oltrepassarci e salire fino

all'altezza della Croce ad avere "lo sguardo che Dio ha visto dall'alto della Croce"

(Journal d'un curé de campagne, 1152) per vedere Cristo in noi, agonizzante in noi,

ci è possibile guardarci con amore. Come dev'essersi visto lui, il piccolo parroco di

Ambricourt, negli ultimi istanti di vita. "Il suo viso era più calmo, ha persino sorriso",

dopo aver chiesto allo spretato di assolverlo.

Questa è l'opera della grazia che dà sempre agli uomini la possibilità di

sconfiggere il peccato e di attingere di una comunione e di un perfezionamento

indicibile: di diventare icona di Cristo.

b) Il laico - trasparenza del Cristo agonizzante

Chantal de Clergerie - protagonista de La joie - rappresenta per il nostro autore

la giovane ed il laico cristiano nella ricerca della santità. E' una Teresa di Lisieux al

secolo, miracolo di bellezza e di purezza, eroina della grazia, dispensatrice di gioia.

Sbocciata in un ambiente tarato psichicamente, tanto che la sua santità è

considerata un caso clinico, lei assume la mediocrità del suo padre, la sicurezza

noiosa del dottore La Pérouse e l'amore del Male di Feodoro, porta alla liberazione di

menzogna la sua nonna e, insieme con l'abate Chevance, strappa dal nulla l'abate

Cénabre tramite la sua vita e la sua morte.

In realtà, Chantal è anche lei l'icona di Cristo. Suo compito è - come tutti gli altri

santi di Bernanos - far vedere Cristo in trasparenza; il suo personale destino non ha

molta importanza, ma rivela qualche cosa dell'unico necessario: l'amore di Gesù

sofferente. La sua vocazione è portare con Cristo il peso delle anime, "per compiere

l'opera unica per la quale era nata: la salvezza di quei deboli di cui si sentiva

responsabile davanti a Dio" (La joie, 680). La sua vocazione ha dunque la

dimensione espiatoria153. In un episodio del romanzo rivela questa verità. Ciò

153 Cf. BALTHASAR H.U von, Le chrétien Bernanos, 155-156.

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avviene quando deve portare sulle spalle la nonna pazza della quale ha assunto il

peccato di assassinio e il compito di espiarlo:

"'Nonna, disse Chantal, dopo un lungo silenzio, dobbiamo rientrare laggiù, voi ed io. Dobbiamo rientrare nel Signore (...). Non abbiate paura, aggiunse. Ora sono abbastanza forte per portarvi e vorrei che voi foste pesante, molto più pesante, pesante quanto tutti i peccati del mondo. Perché, vedete, nonna, ho scoperto or ora una cosa che pur sapevo da tanto tempo: non ci è possibile sfuggire gli uni agli altri più di quanto ci sia possibile sfuggire a Dio. Abbiamo in comune una sola cosa, il peccato'. Avvicinò la bocca alla fronte sudata della vecchia e vi impresse bruscamente le labbra. La testa docile scivolà mollemente e s'abbandonò ad occhi chiusi. Già Chantal portava via, stretta al petto come una cosa preziosa, la miserevole preda. Il sole atroce le bruciava la nuca e le mani, aspirava l'aria dai suoi polmoni, assorbiva perfino i suoi pensieri, ma ella sentiva che nessun sole al mondo ormai avrebbe potuto prosciugare la sua gioia.'Nonna, mormorà ansante, arrestandosi per riprendere fiato, ho l'aria di portarti, ma sei tu che mi porti... Non lasciarmi più andare'. Il suo sguardo ebbro di fatica e di luce era pieno di una tranquilla sfida" (La joie, 616).

Non solo questa vecchia pazza è il fardello di Chantal: c'è anche da portare la

tristezza dell'abate Chevance, il suo padre spirituale, "confessore delle servette",

umile e semplice, morto misteriosamente, privo degli ultimi sacramenti, "dagli occhi

incupiti, quasi svuotati di lacrime, la piega della bocca, l'enorme stanchezza delle

braccia abbandonate sopra la coperta rossa di sangue"(La joie, 559). "La morte

dell'abate Chevance segnava irreparabilmente, - ci fa sapere l'autore - segnava per

sempre, il passo decisivo" (ibidem, 553). Chevance era un'anima piena di Dio. Come

spiegare quella morte atroce? Chantal arriva a sapere in seguito che, per salvare

Cénabre, l'uomo di Dio aveva rinunciato anche alla sua morte: aveva voluto entrare

in essa "veramente nudo"154 e solo simile a Cristo sulla croce, abbandonato dal

Padre155. Dinanzi a tale nudità umiliante156, Chantal non può restarsene inerte. Gli ha

dato la sua gioia ricevendo in cambio un'altra misteriosa e profonda157, quella che

resta dopo il dono totale di sé158. La gioia di Cristo in croce.

Nella notte e nell'ora in cui Chantal cade sotto le colpi di rivoltella di Feodoro,

avviene in Cénabre qualcosa d'inatteso e di misterioso. La grazia, pagata a cosìcaro

154 "Je dois entrer dans la mort comme un homme, un homme vraiment nu. Je ne suis même plus un pécheur, je ne suis rien qu'un homme, un homme nu" (L'imposture, 528). 155 "Arrachez'moi de votre coeur, ma fille, jetez-moi ainsi qu'Il m'a jeté lui-même, sans daigner se retourner encore une fois vers son serviteur humilié" (L'imposture, 528). 156 "Je n'ai rien, aimait à dire l'abbé Chevance. J'ai mis trente ans à reconnaître que je n'avais rien, absolument rien. Ce qui pèse dans l'homme, c'est le rêve..." (La joie, 615); "L'amour se montre tel qu'il est, nu comme la main, nu comme un ver" (ibidem, 618). 157 "'Je vous donne ma joie!' Elle lui avait en effet donné sa joie, et elle en avait reçu une autre, aussitôt, des vieilles mains liées par la mort" (La joie, 553). 158 "Qui peut décevoir la joyeuse humilité? L'agonie du vieux prêtre avait pourtant fait ce miracle" (La joie, 562).

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prezzo, agirà nel buio della sua anima col bagliore di una folgore. Prima di perdere

l'uso della ragione, con voce sovrumana, invocherà il Pater noster (cf. La joie, 724).

Era il compimento della sua "attesa straordinaria" (ibidem, 448); era la breccia alla

quale "Cénabre pensava spesso": "il pallido riflesso del giorno" entrava adesso "nella

tomba in cui aveva sepolto la sua vita" (ibidem, 690).

Come il suo Signore, Chantal è un dono crocifisso: anche lei è spogliata159 come

nessun'altra creatura ("Più che a chiunque è proprio a me che Dio manca" La joie,

704), perde tutto - è il momento decisivo della penetrazione della forza divina nel più

profondo del suo cuore160; come Cristo, è dono totale di sé agli altri, nella volontà di

abbandonarsi completamente al Signore161. "No! non voglio essere risparmiata!" (La

joie, 699) ripete a Cénabre. Solitudine, paura, impotenza, svuotamento di sé: tutto

accetta, con abbandono d'amore.

"La sua stessa sofferenza non le apparteneva già più (...). 'Non possiedo più nulla', pensava con una gioia ancora ingenua e pur grave, augusta, che avrebbe voluto serrare fervorosamente sul suo petto, frutto sublime della sua straordinaria unione... 'Se Lui volesse, potrei morire'" (La joie, 682).

Morrà, infatti, di una morte "nuda"162, come quella di Chevance, preoccupata

solo di seguire il Signore, e fiduciosa che Dio avrebbe tratto da lei a forza ciò che lei

159 "Et néanmoins sa propre souffrance ne lui appartenait déjà plus, elle n'eût su la retenir en elle: c'était comme l'effusion hors de sa chair brisée, anéantie, du sang précieux d'un autre coeur. 'Je ne possède plus rien?, pensait-elle avec une joie encore naïve et pourtant grave, auguste, qu'elle aurait voulu serrer farouchement sur sa poitrine, ainsi que le fruit sublime de son extraordinaire union..."(La joie, 682). 160 "Ce moribond avait été son espérance, son honneur, sa fierté, la chère sécurité de sa vie, et elle les perdait à la fois. (...) Elle se tenait devant Dieu, aussi dépouillée qu'aucune créature, mais inébranlable dans sa volonté d'accepter sans réserves, de subir sans se plaindre. A cet instant décisif, son grand effort n'allait qu'à se placer humblement pour que le coup divin fût porté à fond, commodément, jusqu'au coeur. (...) elle épousa pour l'éternitè la mystérieuse humiliation d'une telle mort" (L'imposture, 529-530). 161 "Mon Dieu! j'avancerais quand même, je m'enliserais jusqu'aux yeux pourvu que ce fût réellement utile à quelqu'un. Mais, j'ai beau faire, il me semble que la souffrance est maintenant vide, vide, vide comme un rêve; ma mort elle-même ne pèserait rien. Je suis une chose creuse dont Dieu ne se soucie plus" (La joie, 696). "Etait-il donc si difficile de me remettre entre Ses mains? M'y voici" (ibidem, 681); "s'il plaisait à Dieu de détruire une misérable petite créature si parfaitement dépossédée, il devrait partager avec elle sa propre agonie, laisser prendre le dernier battement exténué de son coeur, le dernier souffle de sa bouche. Oui, elle recevrait la mort de cette Main, qui ne peut plus se refermer sur rien, tenue ouverte par les clous, à jamais" (ibidem, 682). 162 Chantal dona tutto, anche la sua sofferenza: "sa propre souffrance ne lui appartenait déjà plus, elle n'eût su la retenir en elle c'était comme l'effusion hors de sa chair brisée, anéantie, du sang précieux d'un autre coeur" (La joie, 682). Ha rinunciato anche alla sua morte, come si esprime Fernanda davanti al cadavere sfigurato di Chantal uccisa: "Monsieur, on ne m'ôtera pas de l'idée qu'elle a voulu cette mort-là - pas une autre - celle-là. Elle n'était jamais assez humiliée, elle ne désirait que le mépris, elle aurait vécu dans la poussière. (...) Et maintenant les gens vont hocher la

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non avrebbe avuto il coraggio di offrire (cf. La joie, 700). Poco prima di cadere sotto i

colpi di Feodoro diceva a Cénabre:

"Vi dirò che se pur dovessi morire fra dieci minuti, vorrei, col permesso di Nostro Signore, che fosse a modo di un bambino, anzi neppure, a modo di una bestiolina innocente che prende l'ultima boccata d'aria fresca, d'acqua fresca e cammina verso la sua povera fine alle calcagna del suo padrone. Il padrone tiene la corda, non c'è che da seguire... E allora che cosa m'importa d'essere savia o folle, santa o visionaria, e perfino circondata di angeli o di demoni, incapaci gli uni quanto gli altri di distogliermi dal mio cammino, se non per la lunghezza di una corda?" (La joie, 700).

Chantal è immersa nel mistero della redenzione e totalmente avvolta nella Santa

Agonia e questa la porta via tra i suoi artigli (cf. La joie, 683). Le riesce in tal modo di

vivere momenti di alta tensione mistica, accanto al suo "Dio solitario, rifugiatosi nella

notte come un padre umiliato tra le braccia della sua ultima figlia, a consumare

lentamente la sua angoscia umana nell'effusione del sangue e delle lagrime, sotto i

neri olivi" (ibidem, 683).

Un giorno le capita di accostarsi al grande avvenimento di Cristo in agonia: Egli

piange e suda per il tradimento di Giuda, simbolo dell'uomo che lo rifiuta e lo vende,

bensì nella sera del tradimento aveva benedetto "le primizie della sua prossima

agonia, come aveva benedetto quel giorno stesso la vigna e il frumento" e offerto il

suo Corpo a tutti gli uomini. Allora, come Gesù nel Getsemani, Chantal riconosce "la

fedele compagna, l'amica umile e sincera della sua vita, la sofferenza umana, in

quello scintillio prodigioso, insostenibile che era la sofferenza stessa di Dio" (La joie,

685). Allora:

"Semplicemente, come si era tante volte offerta per i peccatori, andò con uguale moto dell'anima verso questo peccatore dei peccatori, aprendo le braccia. Si offrì a questa impenetrabile disperazione con un sentimento misterioso che non era del tutto né orrore né compassione, ma una specie di sacra curiosità" (La joie, 689).

Il dono del Redentore, offerto nel Cenacolo e consumato sul Golgota, si prolunga

nel tempo. Cénabre ritroverà la presenza che salva, ma Chantal sarà immolata,

come Cristo, in quanto è la sua trasparenza.

* * *

tête, faire des cancans, on dira qu'elle était folle ou pis... Elle aura tout renoncé, monsieur, je vous dis, même sa mort" (La joie, 723).

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Da quanto abbiamo esposto in questo capitolo possiamo concludere che nella

dialettica tra peccato e grazia, dove è collocato l'uomo nella sua prima fase

esistenziale, il flusso drammatico del tempo è sempre "minacciato" dalla grazia

soprannaturale con un riflusso sempre possibile - manifestato come "irruzione" o

"irradiazione" nella santità - capace di realizzare una vera "metamorfosi" dell'essere

umano. L'ultima prova è la sofferenza che resta una delle tracce più significative

dell'impronta di Dio nella cera di questo mondo. "L'agonia umana è anzitutto un atto

d'amore" (Journal d'un curé de campagne, 1256). Quasi tutti i protagonisti dei

romanzi di Bernanos finiscono così: miserabilmente, nella più completa desolazione.

E' lo spogliamento completo della creatura, ma il paradigma di questo spogliamento

l'ha offerto Cristo. Tutti ripercorrono nell'angoscia prima e nella pace poi, l'agonia del

Cristo. Comunque: nella sua sofferenza, il cristiano arriva ad imitare Cristo che si è

offerto per gli altri; in questa offerta di se stesso - cioè nell'essere per gli altri - l'uomo

non soltanto supera lo stato del proprio peccato, ma si lascia portato dalla grazia al

suo perfezionamento che consta proprio nella comunione con Dio e con gli uomini;

egli si apre al disegno dell'amore di Dio dove "tutto è grazia".

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CONCLUSIONE

Tra le varie questioni poste dal romanzo bernanosiano, abbiamo voluto

esaminare soltanto una: quella del peccato, perché la redenzione non si può

comprendere pienamente, se non si tiene conto dello sfondo oscuro su cui essa

risalta, cioè del peccato. L'attualità del tema ci ha portato a questa scelta: oggi la vita

del cristiano richiede, si potrebbe dire urgentemente, una nuova formulazione delle

verità perenni in questo settore, di fronte a tante difficoltà e ad un'etica laicista.

Bernanos sembra che sia riuscito nel suo tentativo: su uno schema classico del

concetto del peccato, su tutte le apparenze quello agostiniano, che si può indovinare

facilmente oltre le parole ed immagini dei romanzi, rileva il peccato in senso vero e

proprio come un atto della persona.

Senza essere un teologo, Bernanos partecipa in un modo proprio, nel linguaggio

del poeta, col suo scrivere, a rendere efficace il mistero della redenzione che si

compie nella dialettica tra peccato e grazia. I grandi temi del dogma cattolico -

peccato, grazia, libertà, comunione dei santi, "scientia crucis", infanzia spirituale -

sono affrontati ed espressi in maniera da sedurre e coinvolgere il lettore; l'artista si

fonde col credente sì che le sue pagine s'illuminano di una luce che è insieme

poesia, preghiera e teologia. Bernanos non impone mai una verità, ma dà forma ad

immagini che suggeriscono un al di là della scrittura, perché sa bene che occorre

sempre andare oltre la materialità, oltre l'immediatamente percepibile, per poter

intuire qualcosa del mistero dell'uomo e della sua verità. "Non si dà il giusto posto al

soprannaturale" afferma il curato di Fenouille. Queste poche parole sintetizzano

quella preoccupazione profonda che ha costantemente alimentato la vita di Bernanos

e il suo impegno di uomo e di scrittore. In un contesto di crisi e di conflittualità dei

valori religiosi e morali, in una società pluralista segnata da un relativismo etico

esacerbante, l'autore si prefigge di indagare, da una parte, sulla realtà ("nullità") del

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peccato e sulle sue conseguenze nella vita di questa società e, dall'altra, sulla

necessità di superare lo stato del peccato e sulle possibilità offerte all'uomo a

sconfiggerlo per poter realizzarsi poi in un sistema relazionale. L'accento è messo

sempre sul peccato che corrode il tessuto delle relazioni dell'uomo, incuneandosi,

con la forza dirompente dell'egoismo, tra l''uomo e l'altro.

Infatti il punto di partenza nell'indagine bernanosiana è l'uomo, considerato come

persona nella sua realtà relazionale nella società, ma non tanto qui, perché

Bernanos non concepisce una vera relazione inter-umana senza l'esperienza

profonda nell'ambito soprannaturale della relazione con Dio. L'uomo è collocato così

nella sua "realtà totale": il soprannaturale. Privo di questo spessore interiore della

sua relazionalità col divino, l'uomo non è più uomo e lo scrittore, attento osservatore

del suo tempo, è tristemente consapevole della mediocrità dilagante, della

superficialità assunta a stile di vita; afferma di fatto che è "il peccato che fa vivere alla

superficie di se stessi" e accusa la civiltà materialistica di svilire la persona umana,

spegnendone il dinamismo interiore. Contro gli eccessi d'orgoglio e le pretese

razionalistiche dell'epoca moderna, contro le false mistiche ed ideologie che

strumentalizzano la persona umana, contro lo stile ignavo del giusto mezzo e la

sterile saggezza borghese, Bernanos rende visibile la dimensione del

soprannaturale. "Il romanzo cattolico non è quello che ci intrattiene con dei buoni

sentimenti, ma èquello in cui la vita della fede si scontra con le passioni. Bisogna

rendere quanto più sensibilmente possibile il tragico mistero della salvezza"

(BERNANOS G., Essais et écrits de combat, 1047). Insieme con altri grandi scrittori

contemporanei come Léon Bloy, Charles Péguy, Bernanos, sentendo l'urgenza di

restituire alla parola il vero senso, la sua originaria forza comunicativa, s'impegna

attraverso lo scrivere a comunicare l'Indicibile. Nella scrittura vuole incarnare il

soprannaturale, renderlo presente, suggerirne la presenza, come l'assenza non per

esercizio letterario, ma per essere presente nella storia con la sua testimonianza in

una fedeltà assoluta al vangelo. Pertanto, praticando la letteratura del paradossale,

dell'antitetico, "del non-detto" - la sua parola dice molto di più di ciò che dice -

sospingendo incessantemente il lettore ad "andare oltre", lo scrittore s'impegna a

porre l'uomo di oggi dinanzi alla presenza della verità eterna per avere l'esperienza

soprannaturale della fede, che rivela lo "spessore" del peccato ed insegna che il

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peccato come realtà, una volta liberamente commesso, non può essere più superato

senza l'intervento della grazia di Dio.

Senza preoccuparsi di dare un concetto sistematico di peccato, Bernanos lo

presenta quasi sempre come il vero male che può colpire in realtà l'uomo nella sua

integralità. Ci sembra che la distinzione fra bene e male nei suoi romanzi è molto

facile poiché l'autore non cerca un criterio nel campo dell'ideologia, nel senso di una

definizione. Il bene è da lui percepito semplicemente come una forza, come qualcosa

che determina interamente la vita, come un'esperienza quotidiana, efficace, una

realtà presente su cui non vi è da discutere, come non si discute sulla luce o

sull'oscurità. Sullo sfondo, nella controluce della grazia si distingue chiaramente la

macchia del peccato. Il piano è quello dell'azione, dell'esperienza e non quello

ideologico.

In ultima analisi la realtà del peccato (e perciò anche il concetto) si può definire

in rapporto al soprannaturale, cioè alla situazione della salvezza recuperata per

l'uomo peccatore mediante la redenzione di Cristo. L'uomo redento torna ad essere

partecipe della santità e dell'amicizia di Dio. Il peccato, in questo contesto, è il rifiuto

dell'"Amore assoluto". Pertanto il peccato non è comprensibile se non in rapporto alla

grazia come l'espressione dell'amore divino. Con questi accenni si vuole richiamare

l'attenzione sul contesto particolare in cui l'autore colloca il tema del peccato: il

contesto è quello della grazia; il che costituisce il peccato e lo definisce in rapporto

ad essa come una scelta dell'uomo che la rifiuta e vi si oppone - una vera avversione

contro Dio - nel dinamismo dell'"enorme aspirazione del vuoto" fino a compiere in sé,

tramite il suo tentativo di "annientamento", un "delitto contro l'Amore", cioè "un

deicidio" secondo l'affermazione di Bernanos. Sempre sulla scia del concetto

agostiniano di peccato, l'autore considera l'altra dimensione dell'atto peccaminoso: la

conversione verso la creatura. In questa creaturalità è collocata l'azione di Satana,

cioè il suo "indicibile misfatto", alla quale il peccatore aderisce perché questo sia

"consumato nella povera sostanza umana" che nella prospettiva bernanosiana è

considerata piuttosto al livello dello spirito dove si manifesta in diversi atteggiamenti

particolari come menzogna, orgoglio, odio, curiosità, lussuria... che portano, infine,

l'uomo alla degradazione e al fallimento totale. E' il distacco ontologico da Dio per

sprofondare nel nulla.

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Nella visione di Bernanos c'è un legame molto stretto tra l'azione diabolica, come

influsso sull'atto morale dell'uomo, ed il peccato, in tale misura che una lettura

superficiale dei testi può sollevare problemi. Poi, il rifiuto della grazia da parte di un

uomo, da un lato ed il suo orientamento verso l'opera del Male, dall'altro lato,

esercitano pure un'influenza sul proprio prossimo, privandolo della grazia e

portandolo in qualche maniera a una situazione di mancanza di grazia. Colui che dà

cattivo esempio o toglie un incoraggiamento per il bene (e qui entra tutta la pressione

sociale, familiare... presente nei romanzi di Bernanos), priva l'altro della grazia della

propria testimonianza per il bene. Se egli oscura le norme o i valori - abbiamo

accennato nell'ultimo capitolo che la grazia è accompagnata dalla testimonianza e

dalla intercessione - in uguale proporzione egli rende il richiamo dell'amore di Dio

meno percepibile. E non in ultimo posto, c'è la potenza del peccato - vista nel

dinamismo del peccato originale - che si manifesta come ambiguità, confusione e

soprattutto come propensione dell'uomo verso il male, nel senso che la scelta del

male, una volta compiuta, tende a ripetersi e a stabilizzarsi, portando l'uomo a

imboccare un "itinerario inflessibile". Di qui la questione della libertà dell'uomo di

fronte al peccato come precisazione necessaria da cui dipende la comprensione e lo

sviluppo del tema del peccato nell'opera bernanosiana. Parecchi testi ci fanno

concludere negativamente il discorso sui diversi determinismi che possono eliminare

la libertà dell'uomo nelle sue decisioni nei confronti del peccato, anzi affermare una

vera libertà - bensì limitata - come dimensione fondamentale che fa dalla persona

umana non una vittima in balia dei determinismi ma un soggetto responsabile,

capace di esprimersi tale di determinare lui stesso il proprio futuro nei riguardi della

grazia e del peccato. E' una libertà che deve essere sempre conquistata tra tanti

determinazioni, accettando i rischi dell'amore. La lettura dell'opera romanzesca

bernanosiana esige infatti una conversione radicale che consiste essenzialmente nel

fatto che l'uomo non può e non deve rinchiudersi nell'orizzonte della propria libertà

finita - questo incapsulamento ("incurvatio in se ipsum") - che induce l'uomo alle

attività limitate della vita quotidiana o a vedere le piccole ovvietà dell'esistenza

umana come il tutto, ma deve aprirsi alla grazia e, in questa luce, scoprire la sua

verità.

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Il discorso che abbiamo condotto in questo studio ha cercato di lasciar parlare

l'autore. Nella prosa bernanosiana è certamente presente una struttura costruita su

un ritmo alternante angoscia e gioia, ombra e luce, che sono segno dell'esperienza di

un mondo che sprofonda nel vuoto, ma insieme della possibilità di una via mistica da

percorrere per sfuggire al nulla e ritrovare la consistenza dell'essere.

L'insondabile mistero della grazia e del peccato - un binomio inscindibile - non

viene certo esaurito dai romanzi di Bernanos, ma è innegabile che esso viene

presentato con una forza e una vitalità straordinarie. In tutti i suoi testi, l'autore riesce

mirabilmente a rendere visibile lo scontro violento fra la "dolce speranza" che

conduce a Dio e la cupa disperazione che schiude al nulla, penetrando in quegli

spazi intimi del cuore umano dove si gioca l'esistenza dell'uomo, spazi immateriali

che lo scrittore riesce a rendere fisicamente palpabili e, in certa misura,

"comprensibili" dalla stessa ragione che, procedendo in modo discorsivo-logico, non

può da sola penetrare negli interstizi dell'interiorità, la quale "appartiene ad un altro

registro", secondo la sua espressione. Bernanos sfrutta pertanto tutte le possibili

tecniche di scrittura per incarnare nell'umanità dei suoi personaggi la dialettica di

peccato e grazia. Di qui un'insistenza sulle conseguenze del peccato di una parte,

come la disumanizzazione e la devastazione di un mondo triste, divorato dalla noia

nella sua solitudine senza comunione - un mondo che diventa l'ideogramma

dell'uomo peccatore - dal gusto misterioso di avvilimento, e d'altra parte sugli effetti

della grazia che si rivelano nella comunione e nel dono totale di sé come serenità,

gioia, nonostante la comune sofferenza. Nei suoi romanzi, egli va oltre la dimensione

sociologica o psicologica per aprire il racconto al metafisico, per fare della sua

scrittura lo spazio in cui possa rivelarsi l'atroce lotta contro il peccato e le autentiche

possibilità alla portata di ogni uomo per sconfiggerlo, perché, nella sua fase

esistenziale presente, così come è, preso tra Dio e Satana, egli (l'uomo) possa

lottare con tutte le sue forze contro il fascino del male.

La proposta di Bernanos al mondo di oggi è: se il peccato esiste e noi siamo

coscienti della nostra situazione drammatica di essere "sotto il sole di Satana",

tuttavia all'uomo di tutti i tempi, compreso qui anche l'uomo contemporaneo - qui sta

la risoluzione del problema - gli è stata offerta la possibilità di sconfiggere lo stato del

peccato con tutte le sue conseguenze. Questa possibilità si chiama: grazia. Realtà

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misterica, non è rifiutata a nessuno, anzi si manifesta come "irruzione" o

"irradiazione" nella santità. E chi si schiude all'intervento di Dio nella sua vita, in un

modo o altro, realizza in sé una vera metamorfosi. E' ciò che vogliono mostrare come

possibile tutti i "santi" bernanosiani. L'autore ha sottolineato con forza questa

possibilità. Infatti, egli non si ferma all'aspetto negativo della condizione umana,

segnata dal peccato. L'uomo è chiamato a realizzare pienamente la propria umanità

ad immagine del Cristo, a riconciliare la propria grandezza e la propria miseria

nell'amore e nella carità di Cristo attraverso un cammino di sofferenza e di amore,

alla luce del mistero di Cristo. La visione dell'uomo bernanosiano affonda "le radici

nel mistero dell'Agonia del Signore" - qui vede Bernanos realizzandosi il destino

umano - ed il nostro autore inquadra perciò ogni morte ed ogni vita nel mistero del

Cristo. In realtà lui ha voluto nei suoi romanzi porre in luce come la sofferenza

acquista attraverso lo scandalo della Croce un valore umanamente sconcertante: è

come una grazia che Dio fa all'uomo per purificarne l'anima. Dalla misura in cui

l'uomo accetta coraggiosamente nel suo slancio di amore la sofferenza, dipende la

sua e la salvezza degli altri. La sofferenza pertanto non va vista in prospettiva di

punizione, ma di redenzione e d'amore. Quando un uomo - il cristiano - soffre, in lui

Cristo continua la sua agonia; continuando Egli la sua vita nei cristiani, continua in

essi la sua opera redentrice. Il santo rappresenta l'uomo che ha superato nella grazia

lo stato del peccato rimanendo pur sempre tentato - non è un peccatore punito, ma

un perdonato - che condivide la passione di Cristo nella stessa opera di redenzione

universale. Dopo l'Agonia del Verbo incarnato, chi soffre non è solo, ma in

comunione con Lui. Poiché non esistono due sofferenze: quella di Cristo e la nostra,

ma una sola. Il frutto della grazia: la comunione - bidimensionale: verticale e

orizzontale - che salva.

Certo, Bernanos non è privo di ambiguità, in particolare quando descrive il santo

come un eroe che soffre al modo stoico con il rischio di mettere in rilievo le capacità

umane di portare al sopravvivere nelle difficoltà e sorpassare i pericoli. Al riguardo, ci

sembra che quest'ambiguità è stata voluta dall'autore, se dobbiamo prendere sul

serio la sua esclamazione piena di stupefacente: "Quale potenza aveva dunque mai

la menzogna per giungere ad alterare fino a questo punto, davanti al miserabile

sguardo degli uomini, il volto stesso dei santi?" (La joie, 562). Tuttavia per lui il santo

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è l'uomo autentico che si realizza nel dinamismo della grazia: anima illuminata dalla

fede, compie la vera avventura lasciandosi portato nel mistero della sofferenza; nel

suo dolore di espiazione, partecipa a un dialogo interiore che non finirà più; fanciullo,

s'abbandona di giorno in giorno nelle braccia dell'amore; uomo libero, prova la sua

libertà attraverso slanci d'amore, poiché egli, il santo, è della "razza" di coloro che

sempre avanzano, per sacrificarsi, con la gioia e la speranza della sua e della

realizzazione piena degli altri.

La validità dello scrittore Bernanos, quindi, non si può misurare nell'ordine di una

stagione storica, di un gusto o di un indirizzo letterario, ma in una prospettiva di

carattere spirituale per talune illuminazioni profetiche sulla sorte dell'uomo nella

società secolarizzata, ma anche per il drammatico ed eterno combattimento del bene

e del male, della carità e dell'odio, della grazia e del peccato. Proietta nelle opere il

peso di un'obbedienza al Vangelo che pone il cristiano al centro di uno spirituale

"campo di battaglia". Si sente in prima linea e sa che i cristiani debbono "far fronte".

Cerca nella memore purezza del ragazzo che è stato l'immagine emblematica

dell'esistenza stessa. I pericoli contro cui metteva in guardia mezzo secolo fa, la

passione stessa per i problemi religiosi, affrontati poi dal Concilio Vaticano II,

rendono merito allo scrittore francese ed oggi lo fanno molto attuale. La nostra

società con la sua visione angusta della realtà - frutto dell'opera del peccato oggi - ha

bisogno di testimonianza dell'opera romanzesca di Bernanos che ci invita a fare un

passaggio - una vera pascha - per poter vedere con occhi e cuore pieni di speranza

la realtà totale dove "tutto è grazia".

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BIBLIOGRAFIA

1. Fonti:

BERNANOS G., Oeuvres romanesques, suivies de Dialogues des carmélites, Paris,

Gallimard, Bibliothèque de la Pléiade, 1961. Edizione a cura di Albert Béguin;

biografia, note, varianti e bibliografia di Michel Estève; prefazione di Gaëtan Picon. Il

testo comprende tutti i romanzi:

- Sous le soleil de Satan, 54-308.

- L'imposture, 309-530.

- La joie, 531-724.

- Un crime, 725-871.

- Un mauvais rêve, 873-1027.

- Journal d'un curé de campagne, 1029-1259.

- Nouvelle histoire de Mouchette, 1261-1345.

- Monsieur Ouine, 1347-1562.

BERNANOS G., I grandi cimiteri sotto la luna, Mondadori 1992.

BERNANOS G., Les enfants humiliès, Gallimard 1949.

Le traduzioni italiane utilizzate:

BERNANOS G., Sotto il sole di Satana, Ed. Dall'Oglio, Milano 1989, 377.

BERNANOS G., L'impostura, Mondadori, Milano 1989, 308.

BERNANOS G., La gioia, Logos, Roma 1985, 241.

BERNANOS G., Un delitto, Mondadori, Milano 1988, 263.

BERNANOS G., Diario di un curato di campagna, Mondadori, Milano 1991, 244.

BERNANOS G., Il signor Ouine, Logos, Roma 1982, 294.

BERNANOS G., Nuova visione cattolica del reale. Satana e noi, Logos, Roma 1991.

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2. Bibliografia selettiva riguardante Bernanos: BEGUIN A., Bernanos, Editions du Seuil, Paris 1954. CASTELLI F., Volti di Gesù nella letteratura moderna, I, Paoline, Milano 19913.

FASOLI G., Sfida del povero: Georges Bernanos, Paoline, Milano 1989. FILIPPI N., L'esperienza cristiana nella letteratura del XX secolo. Il destino dell'uomo

e il mistero del male, Roma 1974 (pro manuscripto), Ad uso degli studenti.

FILIPPI N., L'incontro dell'uomo con Cristo nella letteratura contemporanea,

Accademia Alfonsiana 1992-1993, Ad uso degli studenti. IMBACH J., (a cura di) Dio nella letteratura contemporanea, Città Nuova, Roma

19813. IMBACH J., (a cura di) Gesù nella letteratura contemporanea, Città Nuova, Roma 1983. LA BARBERA M. A., Invito alla lettura di Bernanos, Mursia, Milano 1993.

MAURIAC F., Nouveaux Mémoires intérieurs, Flammarion 1965.

PIFANO P., Tra teologia e letteratura. Inquietudine e ricerca del sacro negli scrittori

contemporanei, Paoline, Milano 1990. SOMMAVILLA G., Uomo, diavolo e Dio nella letteratura contemporanea, Paoline,

Milano 1993. 3. Bibliografia selettiva sul tema del peccato: BRO B., Le pouvoir du mal, Editions du Cerf, Paris 1976. BUSSINI F., L'homme pecheur devant Dieu. Theologie et antropologie. Université de

Lille III, 1979.

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FUCEK I., Il peccato oggi. Riflessione teologico-morale, PUG, Roma 1991.

GRELOT P.,Riflessioni sul problema del peccato originale, Paideia, Brescia 1994. HARING B., Teologia morale verso il terzo millennio, Morcelliana, Brescia 1990.

HIDBER B., Il peccato, un tradimento della libertà. Prolegomeni di una teologia del

peccato., Accademia Alfonsiana, 1993-1994, Appunti per gli studenti.

LAFRANCONI D., "Peccato" in COMPAGNONI F., PIANA G., PRIVITERA S., (a cura di) Nuovo dizionario di teologia morale, Paoline, Milano 1990.

MARTELET G., Libera risposta ad uno scandalo. La colpa originale, la sofferenza e

la morte, Queriniana, Brescia 1987. MONDIN B., L'uomo secondo il disegno di Dio. Trattato di antropologia teologica,

Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1992. QUARELLO E., L'amore e il peccato. Affermazione e negazione dell'uomo,

Dehoniane, Bologna 1971. RAHNER K., La penitenza della Chiesa. Saggi teologici e storici, Edizione Paoline, Milano 1992. SCHOONENBERG P., La potenza del peccato, Queriniana, Brescia 19713.

VIDAL M., L'atteggiamento morale. Morale fondamentale, I, Cittadella Editrice, Assisi

19902.

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I N D I C E

INTRODUZIONE ........................................................................................................... 1

1. BERNANOS - L'UOMO, IL CRISTIANO, LO SCRITTORE........................... 1 2. PREMESSA STORICO-ANTROPOLOGICA................................................ 6

1. Nella società del tempo ......................................................................... 7 2. L'uomo nella realtà totale: il soprannaturale ........................................ 11

Capitolo I:

IL CONCETTO DI PECCATO IN BERNANOS ........................................................... 15 1. CHE COSA E' IL PECCATO? .................................................................... 16

1. Il peccato è un deicidio ........................................................................ 18

a) Un concetto religioso. ................................................................... 18 b) Un concetto relazionale ................................................................ 19 c) "L'enorme aspirazione del vuoto".................................................. 20

2. Il peccato: misfatto di Satana............................................................... 22 a) L'azione deleteria di Satana ......................................................... 23 b) "L'indicibile misfatto" di Satana nelle anime.................................. 25

2. I PECCATI DELLO SPIRITO...................................................................... 27 1. La menzogna....................................................................................... 28 2. L'orgoglio e l'odio................................................................................. 31 3. Altri peccati .......................................................................................... 33

a) La curiosità ................................................................................... 33 b) La lussuria .................................................................................... 36

Capitolo II:

L'UOMO DI FRONTE AL PECCATO.......................................................................... 39 1. L'UOMO E' LIBERO? ................................................................................. 39

1. Tra libertà e determinazioni ................................................................. 41 2. Il peccato originale e la libertà dell'uomo ............................................. 46 3. Libero è l'uomo che ama ..................................................................... 48

2. LA POTENZA DEL PECCATO................................................................... 51 1. La potenza del peccato: ambiguità e confusione................................. 51 2. Una potenza che induce ad altri peccati .............................................. 53

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3. GLI EFFETTI DEL PECCATO.................................................................... 56 1. Il peccato disumanizza e devasta tutto ................................................ 57 2. Un mondo triste - ideogramma della realtà dell'uomo

peccatore.......................................................................................... 60 a) Gusto misterioso di avvilimento .................................................... 61 b) Un mondo divorato dalla noia ....................................................... 64 c) La solitudine senza comunione..................................................... 66

Capitolo III:

NELLA DIALETTICA DI PECCATO E GRAZIA ......................................................... 71 1. UN BINOMIO INSCINDIBILE: PECCATO - GRAZIA.................................. 72 2. NELLA LOTTA CONTRO IL PECCATO..................................................... 74

1. Innanzi tutto c'è una lotta..................................................................... 74 2. L'irruzione della grazia......................................................................... 76 3. La santità ............................................................................................. 78 4. Diverse forme di riflesso della santità .................................................. 81

a) Lo spirito di fanciullezza ............................................................... 81 b) La preghiera ................................................................................. 84 c) La gioia ......................................................................................... 87

3. LA COMUNIONE NELLA GRAZIA ............................................................. 88 1. La grazia come comunione.................................................................. 89 2. La dimensione espiatoria del dolore .................................................... 93

a) Il prete - icona del Cristo Redentore ............................................. 95 b) Il laico - trasparenza del Cristo agonizzante ............................... 102

CONCLUSIONE ........................................................................................................ 107 BIBLIOGRAFIA ........................................................................................................ 114 I N D I C E ................................................................................................................. 117