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ASSICURAZIONI Il preventivo non basta RC Auto: come funzionano i confronti online pag. 18 REFERENDUM Cambia la Costituzione Senato e non solo: tutti gli elementi per decidere pag. 34 FINANZA Italiani mal-educati Il nostro piccolo manuale di educazione finanziaria pag. 44 MUSICA Storia di un cantautore Intervista a Diodato, tra Sanremo e Taranto pag. 62 Città che si adattano Da Rotterdam a Copenhagen, viaggio tra i centri che si preparano al cambiamento climatico Mensile di informazione indipendente Numero 181 / Aprile 2016 4,00 € Spedizione in a.p. - d.l. 353/2003 Art.1, Comma 1, DCB Milano - Contiene I.C.

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ASSICURAZIONIIl preventivo non bastaRC Auto: come funzionano i confronti onlinepag. 18

REFERENDUMCambia la Costituzione Senato e non solo: tutti gli elementi per deciderepag. 34

FINANZAItaliani mal-educati Il nostro piccolo manuale di educazione finanziariapag. 44

MUSICAStoria di un cantautore Intervista a Diodato, tra Sanremo e Tarantopag. 62

Città che si adattano Da Rotterdam a Copenhagen, viaggio tra i centri che si preparano al cambiamento climatico

Mensile di informazione indipendenteNumero 181 / Aprile 20164,00 €

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Nota bene! Se paghi con bollettino postale o bonifico, una volta effettuato il pagamento, inviaci la ricevuta via fax 02-53.97.404 o via mail ad [email protected]

altreconomia.it/abbonati

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Le società moderne dipenderanno sempre più dalla capacità di essere comunità creative, adattabili, piene di inventiva, ben informate e flessibili, in grado di rispondere generosamente le une alle altre e ai bisogni, ovunque essi sorgano.

Richard Wilkinson e Kate PickettRichard Wilkinson è professore emerito all’Università di Nottingham; Kate Picket è docente all’Università di York. La citazione è tratta da “La misura dell’anima. Perché le disuguaglianze rendono le società più infelici” (2009)

PAGINA UNO

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PER INFORMAZIONI:

Progetto Cambiamo registro!www.altreconomia.it/cambiamoregistro—[email protected]—tel. 02-89919890

“Cambiamo registro!” è il progetto di Altreconomia, sostenuto da Fondazione Cariplo, dedicato agli studenti delle classi IV e V delle scuole superiori di tutta la Lombardia: incontri formativi con i giornalisti della rivista sui temi dell’economia solidale e degli stili di vita sostenibili, direttamente a scuola. L’iniziativa non ha alcun costo per studenti e istituti, e al termine di ogni incontro ogni partecipante riceverà in omaggio un abbonamento annuale alla rivista, in formato cartaceo e digitale. Si va avanti per tutto il 2017!

Con il contributo di:

Altreconomia fa scuola: porta la redazione nella tua classe!

Cambiamo registro!

5 mesi

42 scuole

85 incontri

170 classi

3.500 studenti

Un grande successo (ed è solo l’inizio!)

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3 Aprile 2016www.altreconomia.it

Editoriale di Pietro Raitano

di 49 anni. Il ritaglio di giornale è appeso dietro le nostre scri-vanie dal settembre 2013. Poco più di un trafiletto, 360 parole in tutto. Il titolo: “Quei tre italiani che tornano a vivere grazie

alla siriana morta dopo lo sbarco”. Una storia minima: l’infermiera era sbarcata in Sicilia con il marito -un piccolo imprenditore- e i due figli adolescenti. La Sicilia sarebbe stata solo una tappa: i quattro erano diretti in Svezia, per raggiungere il terzo figlio, il maggio-re. Le condizioni della donna erano già gravi quando la Guardia costiera di Siracusa inter-cetta il barcone, dopo cinque giorni in mare. Poi l’arresto cardiaco. I medici dell’Umberto I chiedono al marito l’assenso all’espianto degli organi, il quale “non ha un attimo di esi-tazione”, si legge nel pezzo. Che riporta anche le parole del medico rianimatore che ha as-sistito la donna: “È stata un’esperienza toccante, che insegna che cosa è la vera solidarietà. Il marito e i due figli in un momento di grande disperazione ci hanno regalato tutto quello che avevano con una dignità davvero esemplare”. Il fegato e i reni sono stati trapiantati a due uomini calabresi e una donna di Catania. L’uomo che ha ricevuto il fegato era in attesa dal 2009. L’articolo riferisce anche le parole del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin: “Un gesto commovente. È l’esempio che anche in situazioni drammatiche di estremo bi-sogno come sono quelle dei profughi che arrivano sulle nostre coste, ci sono persone che riescono a compiere gesti d’amore verso il prossimo che vanno silenziosamente a beneficio di altri”. Non sappiamo altro di quella donna, e dei tre italiani la cui vita ha salvato. Fine della storia. Mentre si intravedono deboli segnali di pace -il 26 febbraio 2016 è entrato in vigore un accordo per una cessazione temporanea delle ostilità-, a marzo si è concluso il quinto anno di conflitto in Siria, “un conflitto che ha trasformato gli abitanti in ombre e le città in cumuli di rovine”, come hanno scritto 30 organizzazioni umanitarie -tra cui Oxfam, Save the Children, Norwegian Refugee Council, Care International e organizzazioni della società civile siriana come The Syrian-American Medical Society, Big Heart e Syria Relief and Development- nel rapporto “Siria: benzina sul fuoco”. “Il governo siriano e i suoi alle-ati, al pari delle opposizioni armate dei gruppi estremisti, hanno la responsabilità diret-ta e primaria dell’orribile realtà che i civili siriani sono costretti ad affrontare in questa cupa ricorrenza. Hanno preso di mira i civili, posto sotto assedio città e villaggi e negato l’accesso all’assistenza umanitaria, l’unica in grado di salvare vite”. I numeri sono sconcer-tanti: nell’ultimo anno ci sono state almeno 50mila vittime, gli attacchi contro strutture mediche sono aumentati del 44%, sono state distrutte 200mila abitazioni in più rispetto al 2014, le persone bisognose di aiuto umanitario sono aumentate di 1,5 milioni, gli sfollati sono un milione in più, oltre 4,5 milioni di persone vivono in località praticamente impos-sibili da raggiungere, 500mila persone vivono sotto assedio (il doppio rispetto al 2014). L’aspettativa di vita -che nel 2010 era di 80 anni- oggi è di 55, la disoccupazione al 53%, il tasso di povertà l’85%. Francia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti, Arabia Saudita, Iran, Qatar e Turchia hanno intensificato nel corso dell’ultimo anno -il più tragico dall’inizio del conflitto- il proprio impegno militare in Siria. In particolare, i bombardamenti russi hanno avuto “un impatto particolarmente negativo” sui civili.

“La guerra mi appare ignobile e spregevole -scrisse Albert Einstein, anch’egli profugo il cui genio celebriamo da un secolo-. Sarei piuttosto disposto a farmi tagliare a pezzi che partecipare a un’azione così miserabile. Eppure, nonostante tutto, io stimo tanto l’umanità da essere persuaso che questo fantasma malefico sarebbe da lungo tempo scomparso se il buon senso dei popoli non fosse sistematicamente corrotto, per mezzo della scuola e della stampa, dagli speculatori del mondo politico e del mondo degli affari”.

Una donna Fermare la guerra attraverso la guerra è il paradosso che sta cancellando un intero Paese. Nel 2015, il conflitto in Siria ha prodotto 50mila morti e distrutto altre 200mila abitazioni. Pace e solidarietà non sono utopie, come dimostra una drammatica vicenda accaduta quasi 3 anni fa

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4 AltreconomiaNumero 181

Direttore responsabile Pietro [email protected]

Redazione Duccio [email protected]

Luca [email protected]

GraficoLaura [email protected]

Hanno scritto in questo numero Piero PelizzaroMaurizio BongioanniAngelo MastrandreaLuigi MontagniniStefano CaseriniLorenzo GuadagnucciPaolo G. GrazianoPierpaolo RomaniPaolo PileriStefano ZojaTomaso MontanariCristina Di CanioRoberto Mancini

In copertina Una veduta della città di Rotterdam dalla torre Euromast: si vedono la zona centrale e commerciale della città, il parco Euromast, il fiume Mosa(Credito: ptnphoto, it.123rf.com)

Altreconomia, con parole tue

Altreconomia è un mensile d’informazione indipendente:

1. È di proprietà di una cooperativa composta soprattutto da lettori

2. Non riceve finanziamenti pubblici

3. Limita e seleziona con criteri etici le inserzioni pubblicitarie

Se lo acquisti su strada, 3 euro su 4 del prezzo di copertina vanno al rivenditore

Tutti i numeri dal 1999 a oggi sono sul nostro sito. Visita: www.altreconomia.it/archivio

Direzione e redazione tel. 02-89.91.98.90 fax [email protected]

Segreteria e abbonamentiSilvia [email protected]@altreconomia.it

AmministrazioneRoberto [email protected]

Per ogni esigenza, i soci possono scrivere a [email protected]

EditoreAltra Economia società cooperativa, via C. Cattaneo 6, 22063 CantùAltra Economia Soc. Coop. conta oggi 646 soci, 595 persone fisiche e 51 per-sone giuridiche. Il capitale sociale è di 192.950 euro. Le realtà del commercio equo e solidale sono 30.

Registrazione del tribunale di Milano, n. 791, 24.12.1999 Sped. abb. postale 45% art.2, comma 20/B, legge 662/96, Filiale di Milano

Progetto grafico Luca Pitoni e Tomo Tomo

Stampa New Press - ComoStampato su carta riciclata Imbustato in Mater Bi®

Pubblicità Lavinia De Ranieri [email protected]

Chiuso in redazione il 15 marzo 2016 alle 20.00

Colophon

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5 Aprile 2016www.altreconomia.it

In copertina

AMBIENTECittà che si adattanoReportage dalle capitali della resilienzadi Piero Pellizzaropag. 10

Primo tempo

CONSUMIAssicurazione auto online: chi sono e come operano i “comparatori”di Maurizio Bongioannipag. 18

FINANZAI “Big Three” della consulenza mondiale, sconosciuti e potentidi Duccio Facchinipag. 22

DIRITTIAgro pontino, tra i migranti sfruttati a tempo indeterminatodi Angelo Mastrandreapag. 26

FINANZALe banche e l’Euribor: gli effetti del cartello sul tasso dei mutuidi Luca Martinellipag. 31

INTERNINon solo Senato: ecco la “riforma” che stravolge la Costituzionedi Duccio Facchinipag. 34

ENTI LOCALIGaranzie svanite, la città di Pisa è in “seria sofferenza”di Luca Martinellipag. 39

Secondo tempo

FINANZAMercati, questi sconosciuti. Piccola guida all’educazione finanziariadi Luca Martinellipag. 44

ECONOMIE SOLIDALILa filiera biodiversa del grano nel Parco agricolo a Sud di Milanodi Duccio Facchinipag. 50

TERRITORIUn patrimonio nascosto sulle rive dell’Addadi Duccio Facchinipag. 54

Terzo tempo

MUSICAAntonio Diodato Storia di un cantautoredi Pietro Raitanopag. 62

EDITORIARigenerazioni: la riscossa delle librerie indipendenti di Stefano Zojapag. 65

LA PAGINA DEI LIBRAI a cura di Cristina Di Canio pag. 70

Rubriche

OBIETTIVOa cura della redazionepag. 6

MONITORa cura della redazionepag. 8

IL VOLO A PEDALIdi Luigi Montagninipag. 29

BUONE NOTIZIE SUL CLIMAdi Stefano Caserinipag. 30

DISTRATTI DALLA LIBERTÀdi Lorenzo Guadagnuccipag. 42

SOCIAL COHESION DAYSdi Paolo R. Grazianopag. 49

AVVISO PUBBLICOdi Pierpaolo Romanipag. 53

PIANO TERRAdi Paolo Pileripag. 59

UN VOLTO CHE CI SOMIGLIAdi Tomaso Montanaripag. 69

AGENDA a cura della redazione pag. 71

IDEE ERETICHEdi Roberto Mancinipag. 72

Sommario 181AltreconomiaAprile 2016

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TURCHIA138.977GRECIA

9.482ITALIA

ALBANIA

MONTENEGRO

BOSNIAHERZEGOVINA

SERBIA

BULGARIA

SLOVENIACROAZIA

AUSTRIA

GERMANIA

Arrivi

CHI MIGRA Un terzo sono bambini

Le principalirotte seguitedai migranti

148.917gli arrivi dal Mediterraneo

FEB. MAR. APR. MAG. GIU. LUG. AGO. SET. OTT. NOV. DIC.

200.000

150.000

100.000

50.000

0GEN.

Febbraio 20157.217

Febbraio 201660.880

LE PRINCIPALI NAZIONALITÀ Quasi la metà dei migranti sono siriani

44%uomini

20%donne

36%bambini

2015 2016

Fonte: UNHCR, marzo 2016

L’ANNO CHE VERRÀI primi due mesi del 2016 hanno misurato una pressione migratoria inedita

Siria

Afghanistan

Iraq

Pakistan

Iran

46%

25%

16%

3%

3%

In Italia, la nazionalità più rappresentata è quella nigeriana (17%) seguita dai cittadini del Gambia (11%) e Guinea (10%)

MACEDONIA

6 AltreconomiaNumero 181

OBIETTIVO

LE ROTTE DEI MIGRANTI NEL 2016Oltre il 93% degli sbarchi registrati nei primi due mesi dell’anno è avvenuto in Grecia

La frontiera della Fortezza EuropaFoto di Nicola Marfisi / Agenzia Fotogramma

Secondo i dati pubblicati dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (data.unhcr.org), quasi 150mila persone hanno attraversato il Mediterraneo nei primi 60 giorni del 2016. Il 1.000% in più rispetto al 2015, anno in cui sono giunti in Europa un milione di migranti. 440 i morti -accertati- durante il tragitto al primo marzo.

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7 Aprile 2016www.altreconomia.it

Al confine greco macedone, nel campo

profughi di Idomeni, dove alla metà

di marzo 2016 sono rimasti bloccati 16mila profughi

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8 AltreconomiaNumero 181

Monitor

I diritti dall’altra parte dell’OceanoNord America

Il premier canadese Justin Trudeau parteciperà al Toronto Pride, la sfilata per i diritti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender in programma a inizio luglio. Lo ha annunciato con un post sul social network Facebook, pubblicando la foto sotto. Nel 2005 in Canada è stato approvato un Civil Marriage Act, che ha garantito alle coppie omesessuali il diritto al ma-trimonio. Negli Stati Uniti, è stata una sentenza della Corte Suprema -dieci anni dopo, il 26 giugno 2015- ad introdurre lo stesso princi-pio nell’ordinamento federa-le, considerandolo fonda-mentale per garantire un equo trattamento di fronte alla legge. 37 dei 50 Stati riconoscevano comunque il matrimonio tra persone dello stesso sesso. In vista delle presidenziali del novembre 2016, il can-didato repubblicano Donald Trump ha annunciato di voler ribaltare la decisione.

Il lusso non frena: i conti di Porsche e LamborghiniEuropa

Nel 2015 sono state consegnate oltre 225mila Porsche, un quinto in più rispetto all’anno precedente. La casa automobilistica tedesca ha registrato un aumento del 25% del fatturato (a 21,5 miliardi di euro) e dell’utile opera-tivo (a 3,4 miliardi).

Anche per l’italiana Automobili Lamborghini spa il 2015 è stato un anno record: le vendite mondiali delle vetture supersportive prodotte a Sant’Agata Bolognese (BO) sono salite del 28%, passando da 2.530 a 3.245 unità. Il fatturato nello stesso periodo è passato da 629 a 872 milioni di euro.

Il 15 aprile 2016 si riunisce l’assemblea dei soci di Ferrari spa, per approvare il bilancio 2015 dell’azienda, che si è quo-tata in Borsa a Milano nel corso dell’an-no. Il fatturato è di 2,59 miliardi di euro, mentre gli utili sono pari a 284 milioni di euro. L’azienda che ha i propri sta-bilimenti a Maranello, nel modenese, è una società di diritto olandese, il cui primo azionista è -con il 23,5%- Exor spa, la holding della famiglia Agnelli.

Attivisti nel mirino: l’omicidio Cacéres non è un caso isolato America Latina

Nella notte tra il 2 e il 3 marzo scorso in Honduras è stata uccisa l’attivista indigena Berta Cacéres: nel 2015 aveva ricevuto il Goldman Prize, il più importante riconoscimento ambientale a livello globale. Cacéres, fondatrice e leader del COPINH, aveva guidato le comunità di etnia lenca del dipartimento di Intibucá contro una diga in costruzione. Tra il 2014 e il 2015, la donna era stata accusata di alcuni delitti, legati all’opposizione al progetto idroelettrico: il “caso Cacéres” è uno degli 8 “casi studio” censiti in un report della Federazione internazionale dei diritti umani, dedicato alla criminalizzazione dei difensori impegnati nell’opposizione a progetti industriali in 8 Paesi. In Brasile, ad esempio, c’è il caso di Rosivaldo Ferreira da Silva, leader della comunità Tupinambá Serra do Padeiro, Bahía. Tra il 2008 e il 2014 è stato più volte arrestato illegalmente. Nel 2014 sono stati 116 i difensori dei diritti umani uccisi nel mondo: 29 in Brasile, 25 in Colombia, 12 in Honduras, secondo i dati della Ong Global Witness.

Osservatorio sul mondo

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9 Aprile 2016www.altreconomia.it

Siria, alla ricerca di un rifugioMedio Oriente

A cinque anni dall’inizio del conflitto siriano, sono oltre 4,8 milioni i cittadini registrati come rifugiati, secondo dati dell’UNHCR aggiornati al marzo 2016. Il dato complessivo è più che raddoppiato rispetto al gennaio del 2014. Circa il 20 per cento del totale è rappresentato da bambini e bambine di meno di 11 anni. Sono 2,7 milioni le persone che hanno trovato asilo in Turchia; 1,06 milioni hanno riparato in Libano, e 639 mila in Giordania.

Costa d’Avorio, Kenya, Nigeria. I Paesi sotto attacco, feriti dal terrore

Africa Al Qaeda ha rivendicato l’attentato del 14 marzo a Grand-Bassam, in Costa d’Avorio, che ha visto i terroristi aprire il fuoco con armi automatiche in tre lussuosi hotel sulla spiaggia. Le vittime sono almeno 18. Nell’aprile del 2015, a Garissa, in Kenya, c’era stata invece una strage in un college, che aveva visto l’uccisione di circa 150 studenti. Secondo il Global Terrorism Index 2015, che è elaborato dall’Institute for Economics and Peace e pubblica dati riferiti al 2014, l’Africa è diventata uno dei continenti più “colpiti” dal fenomeno: 6 dei 10 peggiori attacchi del 2014 sono avvenuti lì, e tra i sei nuovi Paesi che figurano nell’elendo di quelli che hanno registrato oltre 500 vittime, ben 4 sono africani. Si tratta di Somalia, Repubblica Centrafricana, Sud Sudan e Camerun. In Nigeria, dov’è attivo il gruppo di Boko Haram, il numero di vittime registrate nel 2014, 7.512, è del 300% superiore rispetto al dato del 2013.

Dall’India al Vietnam. I numeri del continente armato Asia

L’India ha acquistato il 14 per cento di tutte le armi esportate nel mondo nel periodo compreso tra il 2011 e il 2015. Secondo i dati diffusi dallo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), il principale partner commerciale del Paese asiatico -che mantiene circa un milione di soldati lungo il confine con il Pakistan, vedi Ae 180- è la Russia, che ha venduto il 70 per cento dei sistemi d’arma acquistati dall’India nel periodo. Secondo il SIPRI, anche altri Paesi asiatici figurano nella classifica della top-ten dei maggiori importatori d’armi nel periodo considerato. Sono la Cina (4,7%), il Pakistan (3,3%), il Vietnam (2,9%) e la Corea del Sud (2,6%). L’Arms Transfers Database evidenzia nell’ultimo quinquennio un impressionante incremento del 699% nel volume di armi importante dal Vietnam, rispetto al periodo 2006-2010. Anche in questo caso, il 93% degli acquisti è di fabbricazione sovietica. Il Paese del Sud-est asiatico ha acquistato, tra gli altri, 4 sottomarini equipaggiati con missili per l’attacco a terra. Gli analisti del centro di ricerca svedese spiegano come il Vietnam stia preparando il proprio esercito ad affrontare un conflitto con la Cina per questioni legali alla supremazia su aree del Mar cinese meridionale. La Cina è anche il terzo esportatore mondiale, con il 5,9% del totale. Il suo primo cliente è il Pakistan, seguito da altri due Paesi asiatici, il Bangladesh e il Myanmar.

Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, 12,6 milioni di morti ogni anno sono attribuibili a fenomeni di inquinamento ambientale. Tra le 10 cause principali ci sono tumori, malattie respi-ratorie ma anche la malaria.

Su www.altreconomia.it/rassegna ogni lunedì alle 13 le notizie scelte per voi dalla redazione di Altreconomia

Rassegna

Sul sito sipri.org tutti i dati sui trasferi-menti di sistemi d’arma nel mondo. Stati Uniti e Russia sono i primi esportatori

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10 AltreconomiaNumero 181

IN COPERTINA Ambiente

Le città che resistono.Da Rotterdam

a Copenhagen, ecco le strategie per gestire

gli effetti del cambiamento climatico. Anche in Italia

REPORTAGE DALLE CAPITALI DELLA RESILIENZA, LE “100 RESILIENT CITIES”

di Piero Pelizzaro

L'Università Erasmus di Rotterdam vista dall'alto. Conta oltre 20mila iscritti ed è un punto di riferimento della rivoluzione verde della città olandese

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11 Aprile 2016www.altreconomia.it

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12 AltreconomiaNumero 181

IN COPERTINA Ambiente

rrivo a Rotterdam in treno dall’a-eroporto di Amsterdam Schipol. Appena esco mi imbatto nelle in-dicazioni del parcheggio sotterra-neo delle auto, non un un sempli-

ce posteggio ma un pezzo di futuro della città più sostenibile e resiliente d’Europa. La stazione dei treni è stata infatti progettata per essere essa stessa un’area adibita allo stoccaggio delle acque. Se i sette metri di dislivello rispetto al mare della città e l’essere delta erano già una sfida, le sempre più intense precipitazioni dovute al cambiamen-to climatico hanno portato nuovi rischi idraulici. Rotterdam ne soffre gli effetti, come altre grandi città del mondo. Quando l’uragano Sandy mette in ginocchio New York, isolando milioni di per-sone, la Rockefeller Foundation comprende l’ur-genza del problema, intravedendo una possibilità di business. In occasione del suo 100esimo anni-versario lancia il programma 100 Resilient Cities (100RC), 100 milioni di dollari da distribuire a 100 città. Il programma parte nel 2013 e in due anni vengono finanziate 67 città con un 1 milio-ne di dollari ciascuna. Le città che partecipano al programma -anche Roma e Milano- devono isti-tuire all’interno della propria struttura comunale la figura del CRO (Chief Resilience Officer - Direttore della resilienza), responsabile dello sviluppo di una

strategia per la resilienza (ovvero l'adattamento) territoriale a partire dai rischi che caratterizza-no il tessuto urbano. Anche Rotterdam entra a far parte della rete, ma la sua storia resiliente è più lunga. II nostro parcheggio alla stazione fa par-te infatti della Rotterdam Climate Initiative (RCI), un programma ambizioso promosso dall’ammi-nistrazione nel 2008. I risultati più evidenti oggi sono stati ottenuti grazie agli incentivi per i tet-ti verdi o coperture vegetalizzate (un concetto di copertura che utilizza terra o un altro tipo di sub-strato e dei vegetali al posto della classica tego-la). Storicamente, la costruzione di coperture ve-getali è una tradizione in molti Paesi scandinavi ed europei -i giardini pensili di Babilonia costru-iti dal re Nabucodonosor sono uno degli esempi più conosciuti di verde pensile-. Queste superfici hanno un triplo vantaggio: favoriscono il drenag-gio e il recupero delle acque piovane, migliorano l’isolamento dell’edificio con conseguente ridu-zione dei consumi energetici e contribuiscono a mitigare le isole di calore in città. Nel 2008, il Comune di Rotterdam ha reso obbli-gatorie le coperture per le proprietà pubbliche. In pochi mesi l’archivio comunale, la Biblioteca Centrale, il porto Delfshaven, le banchine di IJsselmonde/Feijenoord e l’ospedale per bambini Sophia diventano così simbolo della rivoluzione

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67le città finora finanziate dal programma “100 Resilient Cities”

Un giardino pubblico nel quartiere ZoHo di Rotterdam, dove lo studio di urbanisti STIPO si occupa della vulnerabilità della città ht

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13 Aprile 2016www.altreconomia.it

verde olandese. Negli anni successivi l’Erasmus University, la sede della ROTEB Kleinfelder, gli impianti comunali di pompaggio delle acque e il parcheggio Zoomstraat completano la “nuova” città. Dal pubblico si passa al privato. Per favo-rire l’installazione del verde sui tetti di proprietà privata, l’amministrazione promuove un regime di incentivi: per ogni metro quadro di copertura verde vengono riconosciuti 30 euro, quasi il costo sostenuto. In sette anni Rotterdam vede nasce-re così un “prato urbano” di circa 400mila me-tri quadrati, fatto anche di orti. Molti parcheggi oggi in disuso -il 75% della popolazione prefe-risce la bici all’auto, ma va ricordato come nel 1979 erano solo il 4%- diventano orti sociali nelle zone di edilizia popolare e punti di rifornimen-to per ristoranti e attività commerciali nel centro della città. La città è inoltre diventata un vero e proprio laboratorio a cielo aperto per la resilien-za climatica, come da obiettivi della Rotterdam Climate Initiative del 2008. Per tagliare il traguar-do entro il 2025 e quindi dimezzare le emissioni di CO2 rispetto ai livelli del 1990 e di diventare 100% Climate Proof, l’amministrazione si è dota-ta di una pianificazione economica importante. Con un partenariato pubblico privato utilizza una “leva” finanziaria di 26,5 milioni di euro che nel periodo 2010-2014 comporta investimenti

per la sostenibilità e la resilienza pari a 400 mi-lioni di euro.Visti i risultati, il Comune ha da poco promos-so il suo nuovo piano 2015-2018 con obiettivi su verde, qualità della vita, resilienza e sviluppo dell’energia pulita a costi inferiori. I piani di fi-nanziamento stanno favorendo l’innovazione dei processi e dei prodotti, aumentando la sicurezza e la continuità delle attività industriali e commer-ciali di uno dei cinque porti più grandi al mondo.Il distretto di Agniesebuurt è poco più a Nord-est della stazione ed è caratterizzato da una picco-la percentuale di residenti di fascia medio-alta ed una maggioranza di residenti con salari me-dio-bassi. Un terzo degli immobili sono uffici che fino agli anni Ottanta erano occupati da servizi del terziario e ora sono vuoti. Da due anni a questa parte uno studio di ur-banisti (STIPO) sta contrattando con la so-cietà̀ edile proprietaria degli uffici rimasti sfit-ti in Zomerhofkwartier (un’area del distretto). L’edificio, conosciuto con il nome het gele gebouw (l’edificio giallo) nel quartiere ribattezzato ZoHo, è pieno per due terzi e ospita studi di architettu-ra e piccoli artigiani/designer dedicati allo spazio pubblico (Studio Bas Sala), spazi-scrivanie flessi-bili affittati da freelancer e università̀, ed al piano terreno, un ostello, uno spazio d’arte, cultura

In basso, la piazza a inonda-zione controllata di Benthemplein (water plaza) a Rotterdam. Sicurezza e fruibilità degli spazi procedono insieme

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14 AltreconomiaNumero 181

IN COPERTINA Ambiente

e performance (RoodKapje) ed un cinema pop-up (Kriterion). STIPO non parte da zero, nell’area ci sono tante associazioni di quartiere, piccoli e medi maker (artigiani), con le quali l'organizza-zione collabora su progetti per la zona. Nell’ultimo anno, sotto la spinta del gruppo di ar-chitetti (De Urbanisten), che ha ideato e costruito la piazza a inondazione controllata Benthemplein (water plaza), il dipartimento di pianificazione ha deciso d’investire in attività̀ di micro-adattamen-to ai cambiamenti climatici in ZoHo. In base allo studio di vulnerabilità̀ della città, il quartiere è per il 75 % costituito di superfici non-permeabi-li e il 50% dei parcheggi non è in uso. In più̀, a seguito di livelli di marea più intensi, alcuni dei plinti delle case si stanno deteriorando. Dopo un percorso partecipativo, guidato dagli architetti ed esponenti del distretto, cittadini, piccoli ar-chitetti freelance e gruppi di quartiere si stanno mobilitando per realizzare micro progetti che mi-rano ad incrementare le aree permeabili, socializ-zare i parcheggi non in uso e recuperare le acque piovane per mezzo di cisterne intelligenti dise-gnate dallo Studio Bas Sala. È uno strumento per unire i più giovani, il gruppo sociale più̀ numero-so del quartiere, e i professionisti, sotto forma di occupazioni dopo-scuola che possano dare l’op-portunità̀ di acquisire competenze ed esperienze.

Una sfida più̀ grande è quella di creare opportu-nità̀ sia di guadagno sia di risparmio, per quella fascia di persone che sta perdendo i sussidi a cau-sa dei tagli sul bilancio del governo olandese. Una città resiliente, infatti, è un sistema urbano che non si limita ad adeguarsi ai cambiamenti in atto -in particolare quelli climatici di fronte ai quali le aree urbane si stanno dimostrando sempre più vulnerabili- ma è una comunità che si modifica progettando risposte sociali, economiche e am-bientali innovative che le permettano di resistere nel lungo periodo alle sollecitazioni dell’ambien-te e della storia. L’iniziativa della Rockefeller Foundation si propo-ne di sostenere le città di tutto il mondo nel diven-tare più̀ resilienti alle sfide economiche, sociali, e climatiche di un mondo sempre più̀ globalizza-to, turbolento e imprevedibile (le Nazioni Unite stimano che a causa del cambiamento climatico nel 2035 avremo 50 milioni di climate refugees). Della rete delle 100 Città Resilienti fa parte, oltre a Rotterdam, Roma e Milano, anche Copenhagen. Come ci racconta Lykke Leonardensen, responsa-bile del Piano della Resilienza Urbana del comune danese: “Il cambiamento climatico è una realtà e dobbiamo essere preparati alle inondazioni, alle tempeste e all’innalzamento del livello del mare. Il nubifragio del 2011 è stato un vero campanello

50milioni saranno i “migranti climatici” nel 2035 secondole Nazioni Unite

La nuova sede della SEB Bank, a Copenhagen. L'edificio è stato progettato secondo criteri di “clima-resilienza”

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15 Aprile 2016www.altreconomia.it

d’allarme”. Insieme alla più grande società di con-sulenza danese la RAMBOLL (che ha contribuito anche alla pianificazione resiliente di Singapore, Hong Kong e Kuala Lampur) definiscono un pia-no d’intervento urbano. La prima opera già por-tata a termine in appena 24 mesi (2013-2015) è la riqualificazione del quartiere di San Kjelds in una vera e propria  fortezza anti nubifragio. Un sistema di percorsi e passerelle tra aree verdi pe-donali per non ostacolare la fruizione degli spa-zi durante gli eventi meteo: “Quando ci colpirà il prossimo nubifragio ci sarà una grande quan-tità d’acqua da orientare verso il mare. Abbiamo esaminato Skt. Kjelds e pensato 'tutto questo asfalto non ha una funzione', e abbiamo deciso di usare lo spazio per dei bacini idrici”  ci rac-conta l’architetto Flemming Rafn Thomsen, uno dei progettisti. Se si percorre la strada che col-lega  Bryggervangen  a  Skt. Kjelds Plads, si vede un sistema di canali a cielo aperto che serve a far defluire naturalmente le acque, evitando perico-lose inondazioni in caso di emergenza. Dei  piccoli bacini di raccolta  di acqua piovana sono previsti anche nelle altre piazze del quar-tiere. Il disegno di percorsi nel verde caratteriz-za in modo molto affascinante il quartiere dane-se e favorisce il gioco, il contatto con la natura, la socializzazione e la nascita di piccoli servizi di

ristoro all’aperto. Oltre a questa iniziativa pilo-ta, la città affacciata sul Mare del Nord ha attua-to una serie di altre misure per migliorare la re-silienza in città. Durante la progettazione della nuova sede della SEB Bank si è tenuto in consi-derazione del clima del futuro e l’edificio è sta-to reso “clima resiliente” in vari modi. Il Climate Resilient Office Building utilizza cemento bianco per evitare un inutile riscaldamento della super-ficie, aree verdi per il riutilizzo e per un migliore drenaggio dell’acqua piovana. La maggior disper-sione dell’acqua piovana aiuta a prevenire effet-ti di isole di calore urbane e favorire la crescita di alberi e piante. Questo edificio privato è stato il primo costruito come modello ma soprattutto come effetto del nuovo regolamento edilizio resi-liente dell’amministrazione locale. Il Søpassagen, esempio di edilizia residenziale resiliente, situato nel centro di Copenhagen, è invece un blocco di edifici residenziali costruito come modello dell’e-dilizia abitativa. I pannelli solari sono stati in-stallati sul tetto e la pioggia viene raccolta e con-vogliata nelle cantine dove viene utilizzata dalle lavatrici comuni o per innaffiare le piante in stra-da. L’acqua residua finisce in due pozzi a secco. Il risultato è che l’acqua piovana da questi edifici non raggiunge i sistemi di trattamento, ma viene trattata a livello locale.

La priorità delle città resilienti del nord Europa è la gestione dell'ac-qua, in caso di nubifragi o forti precipitazioni

La falda ribas-sata del Sankt Jørgens Lake, nella capitale danese. Un ser-batoio intorno al quale sono stati sviluppati spazi funzionali per attività ricreative

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IN COPERTINA

AltreconomiaNumero 181

Ambiente

Spostandoci nelle vicinanze della stazione ferroviaria si raggiunge invece il Sankt Jørgens Lake, laghetto e serbatoio d’acqua. Lo spazio ha un ruolo importante per prevenire le inondazioni presenti e future. Come previsto nel piano adot-tato dal Comune nel 2012, la falda è stata abbas-sata in modo che il lago possa funzionare come un immenso serbatoio, nei momenti di critici-tà idraulica. Insieme alla falda più bassa si sono sviluppate delle aree ribassate funzionali per at-tività ricreative che all’occorrenza possono es-sere utilizzate per la gestione di eventi estremi. Allontanandoci dal lago per raggiungere il porto, ci si imbatte in Sankt Annæ Plads, uno spazio fu-turistico nella sua semplicità per la gestione dei nubifragi. Durante la sua ristrutturazione, Sankt Annæ Plads è stata migliorata per la gestione del-le piogge quotidiane e straordinarie. La soluzione identificata è semplice, l’integrazione nella piaz-za di un piccolo parco. Quest'ultimo è stato pro-gettato con un forma concava in grado di tratte-nere grandi quantità di acqua, che vengono poi canalizzate verso il porto. Altri interventi simili si stanno realizzando nel-la città danese grazie all'arrivo di capitali priva-ti interessati a ridurre i danni alle proprie infra-strutture. Tra questi c’è il grande parco urbano di Copenhagen, Enghaveparken, dove l’acqua è al centro della riprogettazione. Il confine del parco sarà caratterizzato da una diga che filtrerà l’ac-qua intorno al giardino e in 100 piccoli orti co-munitari. Tutte queste iniziative fanno parte di un piano che coinvolge tutta la città per creare “quartieri resilienti ai cambiamenti climatici”. La trasformazione socio-culturale della capitale da-nese si percepisce quando nelle gelide mattine di febbraio (-10°C) si trovano allegre famiglie -com-presa quella reale- andare a scuola in bicicletta. I cittadini sanno che per aumentare il verde ed i sistemi di canalizzazione c’è bisogno di spazio ed il primo modo è eliminare le macchine dalla città. Roma e Milano sono tra le città della rete 100 Resilient Cities, il percorso verso per la definizio-ne della Strategia della Resilienza è cominciato da poco per poter essere paragonate a Rotterdam o Copenhagen. Chi invece ha già uno strumento per migliorare la resilienza climatica è il Comune di Bologna. Il piano di adattamento ai cambia-menti climatici è stato finanziato con 1 milione di euro dall’Unione europea nell’ambito del pro-getto BLUE AP (Bologna Local Urban Environment Adaptation Plan for a Resilient City) avviato nel 2012 e nato con l’obiettivo di aumentare l'adattamento della città. Il piano è comprensivo di alcune misu-re concrete da attuare a livello locale, per rendere

la città meno vulnerabile e in grado di agire in caso di alluvioni, siccità e altre conseguenze del mutamento del clima. Le vulnerabilità indivi-duate per il territorio bolognese sono tre: siccità e carenza idrica, ondate di calore in area urbana ed eventi estremi di pioggia e rischio idrogeolo-gico. Relativamente alla prima vulnerabilità, le strategie del Comune riguardano la riduzione dei prelievi di risorse idriche naturali, l’eliminazione delle acque parassite e della commistione tra ac-que bianche e nere, la regolazione delle portate del fiume Reno e la tutela della produzione agri-cola locale. Sul secondo fronte l’impegno è per la tutela e valorizzazione delle aree verdi estensive alberate, l’incremento delle superfici verdi e del-le alberature all’interno del territorio struttura-to, il miglioramento dell’isolamento e il greening degli edifici pubblici e privati, la diminuzione della vulnerabilità della popolazione esposta a rischi sanitari collegati con l’aumento delle tem-perature. Le strategie relative alla terza vulnera-bilità riguardano il miglioramento della risposta idrologica della città, la maggiore “resistenza” del territorio alle precipitazioni intense, la riduzione del carico inquinante sulle acque veicolato dalle piogge, l’aumento della resilienza della popola-zione e dei beni a rischio. Tra le azioni pilota indicate troviamo: la riduzio-ne dei consumi idrici a F.I.CO (la cittadella del cibo che sorgerà a Bologna nel 2016), il risana-mento di due corpi idrici sotterranei della città (Torrente Aposa e Canaletta Fiaccacolli), la si-stemazione del Parco Lungo Navile, la realizza-zione del nuovo polo di ricerca CNR-Università e la riqualificazione urbana dell’area dell’ex mer-cato ortofrutticolo, un nuovo regolamento del verde, la realizzazione di parcheggi permeabi-li e la gestione sostenibile delle piogge nel com-plesso commerciale “Via Larga - Via dell’Indu-stria”, nuove linee guida per il drenaggio urbano sostenibile. Oggi Bologna, domani Milano, Roma e più avanti forse Genova e Venezia.

100gli orti comuni-tari che cin-gono il grande parco urbano di Copenhagen

“Il cambiamento climatico è una realtà e a Copenhagen dobbiamo essere preparati alle inondazioni, alle tempeste e all’innalzamento del livello del mare”

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Primo tempo17—42

Bilancio“Come fanno i terzi a relazionarsi o fidarsi di queste strutture estere senza sapere di che cosa si tratta? Com’è possibile cioè un rapporto di natura commerciale senza la minima cognizione economica e patrimoniale? È la base dell’economia, altrimenti che cosa ci stanno a fare i pubblici registri?”

Gian Gaetano Bellavia

a pag. 22

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PRIMO TEMPO

AltreconomiaNumero 181

Consumi

Assicurazione auto online: chi sono e come operano i “comparatori”IN ITALIA, IL MERCATO DELLA RCA IN RETE VALE OLTRE 820 MILIONI DI EURO

Da Facile.it a Segugio.it, cresce l'interesse dei consumatori per le piattaforme intermediarie. Ma un'indagine dell'Istituto di vigilanza sul settore ne contesta l'attendibilità. Il caso di Eticar, la polizza nata per i gruppi di acquisto solidali

di Maurizio Bongioanni

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19 Aprile 2016www.altreconomia.it

I numeri dei sei

“comparatori”

fatturato 20148.220.081 euroCercAssicura-

zioni.it Srl

fatturato 20143.264.203 euro

Facile.it Spa

fatturato 20141.496.547 euro

6sicuro Spa

fatturato 2014mancante

Chiarezza Sas

fatturato 2014mancante

Daina Finance LTD

fatturato 20140, neonata

Supermoney Srl

ei italiani su dieci nel 2015 si sono rivolti a un comparatore onli-ne per informarsi sui costi relativi all’assicurazione RC per la propria auto. L’ha rilevato l’Osservatorio

Assinext in un’analisi condotta da Nextplora, istituto specializzato in metodologie di ricerca. Secondo l’analisi, i comparatori online sono con-siderati veloci, affidabili ma soprattutto competi-tivi. Incrociando però i dati di Ania (Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici) sulle ven-dite di assicurazioni RCA, quest’ultimi sottoli-neano come solo il 5,4% del totale effettivamen-te stipuli la polizza dell’auto tramite internet. In ogni caso parliamo di una fetta di mercato, quella della RCA online, di 821 milioni di euro (per l’an-no 2014, contando che il totale di premi raccolti è stato di 15,2 miliardi).I comparatori sono motori di ricerca che compa-rano, appunto, i prezzi delle polizze assicurative. Sono sei quelli più popolari e su questi si è con-centrata nel 2015 un’indagine dell’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS). Di questi sei Facile.it è uno dei più noti. La Facile.it Broker di assicurazioni S.p.A, che possiede il portale di comparazione, nel 2013 fatturava 30 milioni di euro e fino al 2014 uno dei tre azio-nisti di riferimento (20%) era la holding italiana Quattordicesima dei tre figli di Silvio Berlusconi e Veronica Lario. Non mancava Silvio Berlusconi stesso, socio azionista con Fininvest al 21%. Il ter-zo socio era la Chiesi Farmaceutici, terzo grup-po farmaceutico italiano, gruppo con a capo Titti Chiesi, coniuge di Calisto Tanzi. A fine 2014 la fa-miglia Berlusconi ha ceduto Facile.it per 100 mi-lioni di euro al fondo inglese Oakley Capital e oggi Facile.it ha come unico socio la Facile.it Group LTD con sede a Londra (il 100% delle azioni è in pegno a Cassa di risparmio di Parma e Piacenza).Il secondo motore per importanza è Segugio.it dietro al quale c’è CercAssicurazioni Srl che fa capo a sua volta a Gruppo MutuiOnline S.p.A E poi Chiarezza.it (di Chiarezza Société par Actions Simplifiée, società di diritto france-se che non deposita il bilancio in Camera di Commercio), Comparameglio.it (della britanni-ca Daina Finance Ltd), 6Sicuro.it (del Gruppo Assiteca) e Supermoney.it (di proprietà di Do It Now Spa).L’indagine dell’IVASS ha evidenziato che i risul-tati restituiti dai comparatori online rispondono “esclusivamente al fattore prezzo mentre non si tiene conto dei contenuti contrattuali delle co-perture assicurative r.c. auto (massimali, fran-chigie, rivalse ed esclusioni)”. Inoltre i siti di

comparazione online mettono a confronto solo i prodotti delle compagnie con le quali hanno sti-pulato un contratto e da cui percepiscono provvi-gioni in relazione a ciascun contratto stipulato. Si tratta di motori di ricerca gestiti da broker del mon-do assicurativo che fanno da tramite tra le com-pagnie assicurative e i clienti, garantendosi una commissione, di solito compresa tra il 2,5 e il 14%. Raramente, però, il contraente ha chiare queste dinamiche tanto che nel 2015 l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha accertato vio-lazioni di pratiche commerciali concernenti la trasparenza e l’inserimento di elementi accessori non richiesti dal consumatore, rendendo disomo-genee le comparazione tra compagnie. Sul punto, peraltro, la legge annuale per la concorrenza in discussione al Senato ha previsto al terzo articolo degli obblighi in capo agli “intermediari”, “tenuti a informare il consumatore in modo corretto, tra-sparente ed esaustivo sui premi offerti da tutte le imprese di assicurazione di cui sono mandatari”.Abbiamo provato a compilare preventivi tramite i siti comparatori citati. I criteri di selezione sono tanti rispetto a quelli richiesti da una compagnia tradizionale: oltre al sesso, all’età e alla residenza, etc. contano il titolo di studio, la professione, il numero di figli, la distanza percorsa in un anno. Più condizioni vi sono in fase di stesura di una po-lizza, più condizioni ci sono sulle quali rivalersi in caso di sinistro. Ad esempio esistono rivalse fino a 5.000 euro per sinistri causati da guidatori

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Nel 2014, la famiglia Berlusconi ha ceduto il portale Facile.it al fondo inglese Oakley Capital per 100 milioni di euro

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20 AltreconomiaNumero 181

Consumi

minori di 23 anni o di franchigie sui danni da circolazione: se fai un incidente e hai torto, sem-plicemente l’assicurazione paga il danno a terzi dopodiché procede al recupero della franchigia e vi sono costi di riattivazione o di sostituzione di una polizza che vanno da 25 a 50 euro. Per non parlare del servizio post-vendite: Facile.it, ad esempio, ha affidato il suo “contact center” a una società con sede a Tirana. Le compagnie sottostanti ai comparatori “estre-mizzano” la valutazione di alcuni aspetti tecnici, tra cui principalmente la territorialità, evitando cioè determinati territori considerati maggior-mente a rischio mediante l’applicazione di tariffe molto più elevate. Per questo i vantaggi di prezzo delle compagnie (o dei comparatori) online sono calcolati e riservati a una clientela di nicchia, a clienti assicurati con un basso profilo di rischio: senza sinistri pregressi, residenza in territori “a minor rischio”, non neopatentati etc. Provando a compilare dei preventivi, la sola differenza tra es-sere un operaio diplomato separato invece di un impiegato, laureato e coniugato comporta una va-riazione che va dai 20 ai 90 euro a favore del se-condo caso. Oppure, come scrive la stessa Facile.it in una sua ricerca di mercato, dal momento che i medici sono la categoria con più sinistri e i vigili quella con meno sinistri, abbiamo provato a pari-tà di condizioni a fare due preventivi cambiando solo la professione: la differenza si aggira intorno ai 35 euro. Ma è la territorialità, ovvero la residenza, a mo-dificare in maniera più consistente il costo di una polizza: addirittura la differenza a parità di con-dizioni arriva a sfiorare i 1.500 euro. Questo è

dovuto al fatto che l’Italia è divisa in centinaia di aree e ogni anno le compagnie assicurative calco-lano la differenza tra quanto incassato e quanto pagato in sinistri in una determinata area: si chia-ma “andamento tecnico”. Se l'andamento tecnico supera determinate soglie critiche la compagnia ci perde e per questo alza il premio in maniera molto più incisiva solo nell’area “incriminata” in-vece di meglio redistribuire o spalmare la perdi-ta su tutto il territorio sulla falsariga di quanto si faceva un tempo, quando l’assicurazione non era altro che una tassa di circolazione: l’andamento tecnico veniva fatto una volta l’anno e si fissava un prezzo unico del premio assicurativo identi-co, da Nord a Sud. Insomma, l’assicurazione fun-geva davvero da strumento sociale di sostegno al disagio e in questo modo si impediva il formar-si di differenze di trattamento così disomogenee. Certo, alle perdite delle assicurazioni contribui-scono anche le truffe: Ania stima che il 16% circa dei sinistri denunciati siano a rischio frode.

In una direzione alternativa va Eticar, un prodot-to di Responsabilità Civile Auto dedicato al mon-do del consumo critico. È nata come polizza de-dicata ai Gas (Gruppi di acquisto solidale) ma si sta allargando anche ad altri soggetti che ne ri-conoscono la peculiarità, in particolare ai soci di

PRIMO TEMPO

In passato l'assicurazione fungeva da strumento sociale di sostegno al disagio e in questo modo contrastatava il formarsi di differenze di trattamento

16%la percentuale dei sinistri denuncia-ti a rischio frode secondo l'Asso-ciazione italiana dell'industria assicurativa

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21 Aprile 2016www.altreconomia.it

Banca Etica. Eticar si differenzia dalle altre po-lizze sul mercato: dal lato tecnico è un prodotto normativamente adeguato alle esigenze dell’auto-mobilista medio, mentre la novità sta nella pro-posta “politica”. Per due ragioni. La prima è che si basa ad oggi su una ridottissima diversifica-zione tariffaria legata al territorio mentre nel mondo assicurativo le diversificazioni tariffa-rie sono innumerevoli; CAES (www.consorzioca-es.org/) -il Consorzio Assicurativo Etico Solidale che ogni anno promuove un tavolo di confronto tra una rappresentanza di clienti e la compagnia Assimoco, con la quale il progetto Eticar è stato formulato- persegue l’applicazione del concetto di mutualità quanto più possibilmente senza dif-ferenze di premio (prezzo) a seconda della zona di residenza dell’assicurato: “Partendo dal prin-cipio che l’assicurazione è uno strumento socia-le di sostegno al disagio, la nostra polizza è già strutturata in modo tale che i premi pagati siano relativamente omogenei sul territorio naziona-le” spiega Gianni Fortunati, presidente di CAES. “Le tariffe devono essere il più possibile simili e questo per evitare discriminazioni: all’interno del circuito dell’economia solidale, formato da con-sumatori consapevoli, questa omogeneizzazione del premio appare possibile”.E qui sta la seconda ragione politica del proget-to Eticar, e cioè il sostegno economico rivolto alla rete dell’economia solidale: sulla base dell’en-tità dei premi raccolti e dell’andamento tecni-co (rapporto sinistri/premi) delle polizze Eticar, CAES eroga annualmente un contributo tanto maggiore quanto più alto è il numero di perso-ne che aderiscono al progetto e quanto più esse hanno comportamenti automobilistici virtuosi (cioè non sono responsabili di sinistri). Gli utili vengono reinvestiti e i contributi erogati ai singo-li Distretti di economia solidale di appartenenza (e che ne fanno richiesta). I gasisti hanno così la possibilità di alimentare concretamente il mondo dell’altra economia sul proprio territorio. Per garantire la trasparenza di questo vero e proprio fondo di solidarietà, il progetto pre-vede che annualmente si riunisca un’apposi-ta Commissione di valutazione formata dai rap-presentanti dei Gas, di CAES e di Assimoco. Nel 2013 tale contributo ammontava a 800 euro, nel 2014 ad 1.775 euro, parte dei quali sono stati ver-sati alla Rete di economia solidale nazionale, che sono serviti poi per l’organizzazione dell’Incon-tro Nazionale dell’Economia Solidale (INES). Per il 2015 il contributo è ancora in fase di definizio-ne ma CAES ritiene che possa essere più cospicuo degli anni precedenti.

IN DETTAGLIO

GLI IMPEGNI DI GENIALLOYD

La società Genialloyd S.p.A. del gruppo Allianz è uno dei colossi del settore delle polizze RC Auto online. Il bilancio della società chiuso al 31 dicembre 2014 presentava infatti un fatturato pari a circa 565 milioni di euro. Il gigante, come ricordato dall'Antitrust in un recente provvedimento del febbraio 2016, avrebbe però “fornito indicazioni ingannevoli e/o incomplete con riferimento [...] alla promozione sul proprio sito internet www.genialloyd.it”. Per questo è stato costretto a presentare degli “impegni” per sanare la pratica commerciale finita sotto la lente dell'Autorità dal luglio 2015 e chiudere il procedimento “senza accertare l’in-frazione”. L'Autorità guidata da Giovanni Pitruzzella ha accolto le proposte dell'azienda e chiuso l'iter, promuovendo -come emerge dal provvedimento finale- anche una rassicurazione sulle “ipotesi di default per le quali è attiva una preselezione” ritenuta però insufficiente da un parere di fine gennaio a cura dell'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS). (df)

Segugio.it è una delle sei più im-portanti piatta-forma di compa-razione online nel Paese, fa riferi-mento a Gruppo MutuiOnline S.p.A

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PRIMO TEMPO

AltreconomiaNumero 181

Finanza

I “Big Three” della consulenza mondiale, sconosciuti e potenti NEL MARZO 2013 IL RAPPRESENTANTE LEGALE DI MCKINSEY IN ITALIA ARRESTATO PER RICICLAGGIO

Stilano rapporti e affiancano le banche: Bain, McKinsey, Boston Consulting Group sono multinazionali che ricoprono ruoli strategici e poco noti in diverse operazioni finanziarie. Le prime due non depositano alcun bilancio in Italia

di Duccio Facchini

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23 Aprile 2016www.altreconomia.it

metà marzo di quest’anno, l’agen-zia di stampa Ansa ha dato conto di una ricerca commissionata da Utilitalia -“la Federazione che riu-nisce le aziende operanti nei servi-

zi pubblici dell’acqua, dell’ambiente, dell’energia elettrica e del gas”- presentata al fine di sminuire il valore della raccolta dei rifiuti porta a porta.Chi aveva curato lo studio su commissione era stata una società di consulenza di nome Bain & Company, una delle tre più importanti nel no-stro Paese insieme a McKinsey & Company e The Boston Consulting Group (BCG), le cosiddette “Big Three” del settore, nate negli Stati Uniti. Tutte e tre occupano oltre mille addetti. Due di queste, però, non depositano in Italia alcun bi-lancio fin dal 1994, rendendo di fatto impossibile qualsiasi approfondimento sulla loro natura, svi-luppo e operatività. Un paradosso, visto che pro-prio queste società sono sempre più al centro di importanti dinamiche economiche.

Quella della gestione dei rifiuti non è l’unica ma-teria trattata da società di questo tipo, ma è fre-quentemente al centro dei report commissionati da terzi e poi ripresi dalla stampa. Ne è la dimo-strazione un altro articolo, questa volta del Sole 24 Ore, risalente al novembre 2013: “Raccolta rifiuti: con la differenziata i costi su del 48%”. Autore della ricerca? Bain & Company. Che que-ste “ricerche” siano attendibili è un passaggio successivo che conosce purtroppo minor atten-zione mediatica (lo sa bene il professor Enzo Favoino, che lavora presso il centro di ricerca della Scuola Agraria del Parco di Monza, autore di una lunga confutazione della tesi “differenzia-re costa”). Rifiuti ma non solo. “Fashion&Finance” -cu-rato da repubblica.it- quando si è occupato del “settore lusso” nel maggio 2015 ha citato ancora Bain & Company (il committente era Fondazione Altagamma). Il Sole 24 Ore, titolando nell’apri-le 2015 sulle banche popolari e le “nozze” che avrebbero consentito “un miliardo” di “rispar-mi”, ha ripreso un “report” di BCG. Per non dimenticare McKinsey & Company, che spa-zia dall’occupazione giovanile -con la ricerca “Studio ergo Lavoro. Come facilitare la transizio-ne scuola-lavoro per ridurre in modo strutturale la disoccupazione giovanile in Italia” del 2014- all’“l’impatto economico potenziale dell’#IoT, l’internet delle cose”. L’attività di questi soggetti non si esaurisce nel-la redazione di report su commissione. Bain & Company e McKinsey & Company, in particolare,

hanno ricoperto incarichi strategici in rilevan-ti operazioni finanziarie. Per quanto riguarda la prima -che a livello mondiale ha chiuso lo scorso anno con 2,2 miliardi di dollari di fatturato ed è uno dei 100 partner del World Economic Forum di Davos- si tratta di un ruolo di cui poco si è scritto durante il cosiddetto commissariamento di Banca popolare dell’Etruria. È sufficiente re-cuperare il piano industriale stilato in vista del triennio 2009-2011: “Con il nuovo piano indu-striale, realizzato in collaborazione con Bain & Company Italy Inc -si legge nel documento an-cora pubblicato sul sito di Borsa Italiana- Banca Etruria punta a sviluppare maggiore redditività ed efficienza operativa”. Obiettivo: “maggiore at-tenzione alla qualità del credito”.Bain ha operato ad Arezzo, sede di Etruria, nel 2009 e nel 2014, ma anche a Vicenza, presso un altro istituto di credito rivelatosi in condizioni finanziarie estremamente delicate. Si tratta di Banca Popolare di Vicenza, il cui Consigliere de-legato e Direttore generale attualmente in carica, Francesco Iorio -colui che ha guidato il recente processo di quotazione in Borsa dell’istituto- ha lavorato in passato “con società di consulenza, quali Accenture e Bain & Company” (la fonte è la sua biografia pubblicata su www.popolarevi-cenza.it). Anche il settore assicurativo coglie l’in-teresse di queste società, tant’è vero che l’Asso-ciazione nazionale fra le imprese assicuratrici (Ania) ha lanciato a fine 2015 un “osservatorio” in collaborazione proprio con Bain.McKinsey & Company, invece, è stata scelta nel maggio 2015 come capofila degli “advisor

A

2,2miliardi di dol-lari, il fatturato consolidato della società Bain & Company

Bain ha operato ad Arezzo, sede di Etruria, nel 2009 e nel 2014, ma anche a Vicenza, presso un altro istituto di credito rivelatosi in condizioni finanziarie delicate

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24 AltreconomiaNumero 181

PRIMO TEMPO Finanza

Carta d’identità dei “tre grandi”

della consulenza

BAIN & COMPANY ITALY, INC.

in Italia dal 1988

dipendenti 375

sede secondaria Milano

MCKINSEY & COMPANY, INC.

ITALYin Italia dal 1968

dipendenti 360

sede secondaria Milano

THE BOSTON CONSULTING GROUP S.R.L.

in Italia dal 1985

dipendenti 305

sede legale a Milano

A fine settembre 2015 McKinsey, è stata chiamata a risarcire Alitalia in amministrazione straordinaria per circa 11,8 milioni di euro. Aveva ricevuto l’incarico durante la gestione di Giancarlo Cimoli condannato per il crac a otto anni e otto mesi.

industriali” per il processo di privatizzazione di Ferrovie dello Stato Italiane, nell’associazio-ne temporanea di imprese con Ernst & Young Financial Business Advisors Spa e The Brattle Group Limited Italiana Branch. Un incarico che ha preceduto di pochi mesi le nomine dei verti-ci di FSI: Renato Mazzoncini in qualità di ammi-nistratore delegato e Gioia Ghezzi nelle vesti di presidente del gruppo. La stessa Ghezzi che, da quanto emerge dal curriculum, ha lavorato per oltre dieci anni proprio in McKinsey. Una nota biografica che condivide -oltreché con l’ex ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera- anche con Gianni Vittorio Armani, dal maggio dello scorso anno presidente e ammini-stratore delegato di Anas Spa (il gestore della rete stradale ed autostradale italiana), che tra il 1998 e il 2003 ha operato a Roma per la stessa società di consulenza.Non tutte le consulenze sono fortunate: nel caso della compagnia aerea Alitalia, ad esempio, risa-le a fine settembre 2015 la sentenza emessa dal collegio arbitrale di Milano contro McKinsey, chiamata a risarcire la compagnia in ammini-strazione straordinaria per circa 11,8 milioni di euro. Aveva ricevuto l’incarico durante la gestio-ne dell’ex presidente e amministratore delegato di Alitalia Giancarlo Cimoli, condannato per il crac a otto anni e otto mesi.Una storia controversa, come quella dell’ex rap-presentante legale in Italia di McKinsey, Gabriele Bravi, indagato da diverse Procure e arrestato nel marzo 2013 con l’accusa di riciclaggio. Bravi ha cessato l’incarico nella società di consulenza solo nel dicembre 2013, a 30 anni dalla nomi-na. Dall’analisi della sua rete, nel maggio 2015 la Procura di Milano ha scoperchiato una presunta associazione a delinquere composta tra gli altri da Bravi e il suo socio svizzero Filippo Dollfuss (arrestato anch’egli) responsabile di “una serie indeterminata di delitti di riciclaggio” attraverso una “poderosa struttura organizzativa transna-zionale […] posizionata a Lugano”.

BCG ha puntato sulla didattica e sull’incontro con gli studenti universitari di Bologna, colla-borando entro corsi accademici ad hoc nell’am-bito di un neonato master presso la “Bologna Business School”, insieme a Yoox, Google e Ibm. Ma il rapporto tra le società di consulenza e l’U-niversità è consolidato da tempo. Il caso em-blematico è quello del Politecnico di Milano, che alla consulenza ha dedicato uno spazio im-portante della piattaforma “CareerService”. L’ultima “Fiera dei settori” rivolta a studenti o

laureati in Ingegneria fisica, gestionale, mate-matica o informatica si è tenuta il 7 marzo scor-so, al Campus Bovisa. “Il mondo della consulenza vede l’università come un bacino di assunzione di quelli che sono a suo avviso i talenti -spiega ad Ae Federico Colombo, responsabile dell’Area svi-luppo e rapporti con le imprese del Politecnico di Milano-. In base a questo viene strutturata una definizione dei target di riferimento, si identifi-cano le forme di corsi di laurea e la tipologia del-le persone che le aziende ritengono i candidati ideali”. La “Fiera” è l’ultimo tassello: “L’elemento caratterizzante del rapporto tra il Politecnico e l’impresa è la costruzione di un piano di comu-nicazione. Noi non facciamo semplice interme-diazione tra persone ma ci poniamo come agevo-latori del dialogo tra docenti, studenti e mondo delle imprese”.

Come? “Attraverso presentazioni delle singole aziende, comunicazione verso gli studenti con social e comunicazione ‘on campus’, con opzio-ni verticali di job-offert o momenti d’incontro an-che all’interno di singoli corsi, fino a momenti di fiera”. È una partnership. “L’azienda riconosce al Politecnico un contributo annuo che ammonta mediamente dai 5mila ai 10mila euro per servi-zi che hanno un forte valore aggiunto, dato che le consentono di trovare in tempo limitato le ri-sorse che cercano. Consideri che il CareerService è tra le pagine più visitate dell’ateneo. Inoltre, dall’ultima indagine occupazionale che abbia-mo realizzato è emerso che il 33% degli studenti di ingegneria sono entrati a lavorare nei settori consulenza e finanza, e che le società che hanno partecipato alla fiera del 7 marzo scorso hanno

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assunto almeno 200 laureati del Politecnico nei primi sei mesi del 2015”. Bain & Company, come recita la locandina dell’ultimo “Business Course” promosso nelle Università di Trento, Torino, Bologna, alla Bocconi, all’Università Cattolica di Milano e alla LUISS Guido Carli, “cerca i migliori studenti”.

A parte BCG e la Srl che opera in Italia, però, né Bain & Company (BAIN & COMPANY ITALY, INC.) né McKinsey (MCKINSEY & COMPANY, INC. ITALY) depositano alcun bilancio alla Camera di Commercio di Milano -dove han-no la sede secondaria- dal 31 dicembre 1994. Un’anomalia che Gian Gaetano Bellavia, esperto di diritto penale dell’economia e consulente della Procura di Milano in materia di riciclaggio, com-menta così: “Le stabili organizzazioni in Italia di società di diritto estero non hanno una autono-mia civilistica di bilancio italiano ma hanno solo l’obbligo di depositare un bilancio fiscale in al-legato alla dichiarazione dei redditi, o meglio i dati tributari per determinare il reddito prodotto in Italia. Debbono però, secondo le mie modeste conoscenze di obblighi camerali, depositare ogni anno il bilancio della casa madre che contiene

anche la stabile organizzazione italiana, france-se, tedesca, eccetera. Mi risulta strano che abbia-no depositato entrambe solo il 1994 e poi nulla più per i vent’anni successivi”. “Bain & Company è una società Inc. e i nostri global headquarters sono a basati a Boston”, si è limitata a rispondere ad Ae Bain, imitando di fat-to McKinsey, che invece il quartier generale l’ha domiciliato nello Stato USA del Delaware, “con tutte le implicazioni fiscali ma soprattutto dell’a-nonimato connesse a quella giurisdizione”, come spiega Bellavia.“Dobbiamo verificare la natura con cui queste società si sono iscritte al momento della crea-zione del registro imprese -hanno fatto sapere dall’ufficio stampa della Camera di Commercio milanese-. Sfortunatamente, essendo nate prima del 1996, il fascicolo è cartaceo e si trova fuori città”.Al dottor Bellavia resta un dubbio: “Come fanno i terzi a relazionarsi o fidarsi di queste strutture estere senza sapere di che cosa si tratta? Com’è possibile cioè un rapporto di natura commerciale senza la minima cognizione economica e patri-moniale? È la base dell’economia, altrimenti che cosa ci stanno a fare i pubblici registri?”.

200i laureati del Politecnico di Milano assunti nei primi sei mesi del 2015 dalle società di consulenza che partecipano al CareerService

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26 AltreconomiaNumero 181

PRIMO TEMPO Diritti

Agro pontino, tra i migranti sfruttati a tempo indeterminatoREPORTAGE DALLA CAMPAGNA LAZIALE, DOVE LAVORANO 25MILA BRACCIANTI STRANIERI

Gli escamotage formali nella “zona grigia” costruita per coprire condizioni di lavoro disumane. L’operato dell’associazione In Migrazione

di Angelo Mastrandreafoto di Andrea Sabbadini

busta paga è apparentemente in regola: quattro giorni di lavoro di-chiarati in un mese, retribuiti come da contratto. Ammontare netto del salario: duecento euro. Il padrone,

in queste campagne del Lazio che ancora porta-no i segni delle migrazioni venete e friulane dei tempi del Duce, è ironicamente magnanimo: ha riconosciuto al lavoratore immigrato, in regola con il permesso di soggiorno, un “premio presen-za” di venti euro e un compenso analogo per gli “straordinari”. Un “escamotage formale” che serve al datore di lavoro per dimostrarsi irreprensibile in caso di un controllo e che in realtà crea quella che l’associazione In Migrazione (www.inmigra-zione.it) definisce come “una zona grigia dello sfruttamento”. Allo sportello per i migranti, il primo in assoluto di questo genere in Italia, aperto dall’associazione e dalla Flai-Cgil in un residence low cost a un pas-so dalle dune di Sabaudia ideato per i vacanzieri e oggi subaffittato a migranti, in particolare sikh del Punjab, quando l’hanno vista sono sobbalzati. Era la prima volta che uno schiavo delle campa-gne, superando paure e diffidenze, si presentava da loro a denunciare il suo sfruttatore. Ad atten-derlo ha trovato l’avvocato Diego Maria Santoro,

che un paio di volte alla settimana viene qui per tentare di convincere chi si rivolge allo sportello che è necessario battersi per far valere i propri di-ritti. “Si è aperta una crepa nel muro di diffidenze nei confronti degli italiani e nella nostra giustizia, spesso troppo lenta”, spiega. Nel volgere di pochi mesi, grazie al passaparola le denunce sono aumentate. Allo sportello di In Migrazione e Flai-Cgil, solitario avamposto di le-galità in quella terra di nessuno che dalla prima campagna romana si estende fino al casertano, ci si rivolge per problemi di ogni genere. Mentre Santoro sciorina le diverse modalità che può as-sumere lo sfruttamento, arriva un indiano che ha seri problemi alla schiena, spaccata dalle 12 ore al giorno, a volte pure di più, trascorse piegato in una serra a raccogliere zucchine. Non riesce più a lavorare, non va nei campi da due settimane e non sa come fare perché in famiglia è l’unico che porta a casa un reddito. Alcuni, nelle sue condizioni, si riempiono di antidolorifici per non sentire la fa-tica. Lui avrebbe bisogno forse di cure più serie.Ho l’impressione che trascorrere una giornata da queste parti sia più istruttivo di un dossier di un istituto di ricerca. Ne è convinto pure il sociolo-go Marco Omizzolo, che con l’associazione In Migrazione ha raccolto le denunce dei migranti

La

“Io prendo 800 euro ma il padro-ne scrive sempre 1.200”. È il più classico dei modi per occultare il nero e lucrare sulla differenza

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27 Aprile 2016www.altreconomia.it

laziali in un dossier intitolato “Sfruttamento a tempo indeterminato” perché, se la precarietà è la condizione esistenziale degli almeno 25mila braccianti stranieri dell’agro pontino, le moda-lità del loro lavoro non lo sono affatto. Le testi-monianze raccolte sono numerose e concordanti: “Io devo avere 1.200 euro, ma il padrone me ne dà solo 600, ho il contratto ma decide lui. Lavoro dieci ore al giorno e lui ne segna solo due. Il mese scorso ho lavorato tutti i giorni, anche la domeni-ca mattina, e ha segnato solo sei giorni, mi dato 300 euro per otto ore di lavoro, ma io ne ho lavo-rato 80 e anche di più”, dice un migrante. “Io ho lavorato per cinque anni in cooperativa a Latina, sempre senza contratto. Solo qualche volta ne avevo uno di due o tre mesi. Poi ho chiesto più soldi: me ne dava 600 e ne volevo mille. E mi ha mandato via”, aggiunge un altro. Un terzo sostie-ne di aver accumulato un credito di 26mila euro in sette anni di lavoro.Santoro mi mostra un altro foglio. Ci sono dei nu-meri scritti a mano, quasi degli scarabocchi. È il conteggio fatto dal padrone, prevede un acconto e una rateizzazione dei pagamenti in cinque rate, al nero e senza busta paga. Chi si era indignato per il primo caso dovrà ricredersi: nella gerarchia dello

sfruttamento in agricoltura esiste di ben peggio. Anche perché, come si intuisce dal racconto del-la moglie di un lavoratore sikh, non sempre viene corrisposto quanto pattuito: “il padrone scrive su un foglio che deve dare a noi 2.600 euro e poi in-vece ce ne dà solo 200 perché dice che c’è la cri-si e guadagna di meno”. Addentrarsi nella giungla del lavoro migrante nei campi pontini, grazie ai Caronte di In Migrazione, è un po’ come scendere negli inferi della condizione umana. Santoro mi spiega un altro fenomeno emergente: molti immigrati vengono forzati dai datori di la-voro ad aprirsi una partita Iva. In questo modo il lavoro viene subappaltato a finti lavoratori auto-nomi e il committente esce pulito da ogni control-lo, mentre gli sfruttati sono costretti ad assumersi pure “il rischio d’impresa”. Ma, come abbiamo vi-sto, non è che un contratto regolare tuteli molto di più. Non c’è solo il fenomeno delle buste paga con un numero di giorni di lavoro dichiarato che non corrisponde al vero. K. Singh racconta che il compenso dichiarato dal datore di lavoro è supe-riore a quello reale: “Io prendo 800 euro ma il pa-drone scrive sempre 1.200”. È il più classico dei modi per occultare il nero: si dichiara una cifra falsa e si lucra sulla differenza.

Un fenomeno emergente è l’apertura di partite Iva in capo ai braccianti migranti

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28 AltreconomiaNumero 181

PRIMO TEMPO Diritti

Non mancano i paradossi, come quando sono i lavoratori stessi a chiedere una busta paga con un ammontare più elevato. Accade quando bisogna dimostrare allo Stato di poter mantenere la fa-miglia per ottenere il ricongiungimento. “Fanno registrare 800 euro quando ne guadagnano 500”, dice Santoro. L’effetto è doppiamente penalizzan-te per i lavoratori: non solo guadagnano meno di quanto dichiarato ma, aumentando formalmente il reddito oltre la soglia prevista per accedere ai servizi sociali, rimangono tagliati fuori dal welfa-re locale. I ricercatori di In Migrazione parlano di “un siste-ma rodato di illeciti fondati su arruolamenti del personale via cellulare, buste paga irregolari, ri-catti e intimidazioni che svelano il vero business del settore: evasione fiscale e contributiva a fare da cornice a una zona grigia di sfruttamento”. Un contesto che “favorisce la criminalità organizzata e una cricca di faccendieri (avvocati, commercia-listi, impiegati pubblici, imprenditori e consulen-ti del lavoro compiacenti) dedita al reclutamen-to e all’intermediazione illecita di manodopera e all’evasione, spesso anche attraverso metodi coer-citivi e violenti finalizzati a impedire la denuncia con percosse, aggressioni, spedizioni punitive”. È per questo che, quando è arrivata la prima “con-fidenza”, allo sportello di Sabaudia l’hanno con-siderata come una faglia in un muro fino a quel momento mai scalfito. Il fatto che le prime segna-lazioni siano sfociate in alcune vertenze sindacali

e perfino in un processo a carico di un datore di lavoro è una novità assoluta. Il problema, spiega Omizzolo, è che “da queste parti lo Stato non rie-sce ad arrivare”. Troppo pochi i controlli e i con-trollori, troppo oliate le vie di fuga (“davanti alla cooperativa c’è una persona che fa la guardia e quando arriva il controllo avverte il padrone che manda via gli indiani irregolari. Quando sono an-dati via li richiama”, dice un lavoratore), troppo forte il timore di rimanere disoccupati. “Il proble-ma è che non abbiamo molto da offrire: una cau-sa di lavoro dura mediamente tre anni e chi vie-ne da noi di solito ha un problema immediato da risolvere, uno stipendio non pagato, paghe trop-po basse. Quando arriva la risposta dei giudici è troppo tardi”, spiega Santoro. Il risultato è che gli schiavi delle campagne continuano a diffidare di chi vuole spingerli a denunciare e i datori di lavo-ro ormai non si spaventano più. Anche le denunce penali sono un’arma a doppio taglio: i “clandesti-ni” temono di essere espulsi e comunque sanno che se lo fanno non li impiegherà più nessuno. Sono le dure regole di un mercato sregolato in cui domanda e offerta di lavoro non hanno canali re-golari d’incontro e l’unica via è quella informale.Nel febbraio 1974, passeggiando tra le dune a po-chi metri da qui, lo scrittore Pier Paolo Pasolini alla Rai denunciò l’appiattimento culturale, la de-vastazione estetica e l’imbarbarimento civile della società dei consumi. Cosa avrebbe detto oggi nel vedere cosa sono diventati quegli stessi luoghi?

“Quando arriva il controllo la guardia avvisa il padrone che al-lontana gli indiani irregolari”

3anni, la durata media di una causa di lavoroin Italia

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Luigi Montagnini è un medico anestesista-rianimatore. Dopo aver vissuto a Varese e Londra, oggi è a Genova, dove lavora presso l’Istituto Gaslini. Da diversi anni collabora con Medici Senza Frontiere.

di Luigi Montagnini

Credo che sui vaccini ci siano due certezze. La prima è che sono uno strumento molto efficace per ridurre la mortalità.Il capostipite è stato quello contro il vaiolo, prodotto dal me-dico inglese Edward Jenner alla fine del 1700. Da allora ne sono stati sperimentati parecchi, alcuni dei quali hanno do-mato epidemie devastanti e le hanno relegate all’interno dei trattati di microbiologia: se oggi nessun ragazzo sa che cosa significhi vivere in un polmone d’acciaio, il merito è tutto del vaccino contro la poliomielite.Non mi addentrerò nel dibattito sull’attualità della vaccino-profilassi che ciclicamente si accende nel nostro Paese, mi limiterò a parlare di due malattie.Iniziamo dal morbillo, una delle febbri della nostra infanzia, una di quelle che forse, col senno di poi, ricordiamo anche abbastanza innocua. Il morbillo in realtà è un killer da cen-tomila bambini all’anno. Non esiste trattamento, solo il vac-cino. I morti furono quasi tre milioni nel 1980, prima della vaccinazione di massa, poi sono via via diminuiti. Davanti all’ingresso dell’ospedale di Jahun, Nord-Est della Nigeria, campeggia lo striscione rosa della campagna go-vernativa per promuovere la vaccinazione di tutti i bambini sotto i cinque anni di età: “Il vaccino per il morbillo è gra-tis, sicuro e salva vite!”. Una campagna che funziona e che, dal 2000 a oggi, è riuscita a ridurre il numero di bambini che muoiono nel Paese ogni anno per morbillo da 150.000 a 8.000 (dati 2015 dell’Organizzazione mondiale della Sanità).Sempre morbillo, altra nazione. In Siria nel 2010, prima dell’inizio della guerra, la copertura vaccinale per il morbillo era superiore al 90% sia nelle aree urbane sia in quelle rurali (nello stesso anno in Nigeria, nelle aree rurali, era al 34%). Ebbene, sono bastati solo due anni di guerra perché il crollo dell’efficiente sistema sanitario siriano e la conseguente so-spensione delle campagne vaccinali facessero esplodere epi-demie di morbillo nel Nord del Paese. Un altro esempio, la polmonite: pesa per il 15% tra le cause di morte dei bambini sotto i 5 anni di età ed è al primo posto tra le malattie infettive in questa triste classifica mondiale. Nel 2015 sono morti per polmonite più di 900.000 bimbi. Il principale responsabile della polmonite è lo streptococco

Sono i bambini che si stima abbiano vissuto in Paesi e aree interessate da conflitti armati nel corso del 2014 (Rapporto annuale Unicef 2014)

230 milioni

e anche per questo batterio abbiamo un vaccino molto effi-cace. Ha un solo problema: costa parecchio. Lo producono Pfizer e GlaxoSmithKline, che dalla sua vendita si stima ab-biano già guadagnato 28 miliardi di dollari. Non gli basta e così continuano a venderlo a 21 dollari: il prezzo del vaccino per la polmonite rappresenta da solo il 45% della spesa tota-le necessaria per vaccinare un bambino, spesa che è cresciu-ta dal 2001 al 2014 del 68% (da 0,67 a 45,59 dollari). Troppo per quei Paesi in cui le malattie infettive colpiscono più duro perché si avvantaggiano della malnutrizione.È questa la seconda certezza: tra un bambino esposto a una malattia infettiva e il vaccino che dovrebbe proteggerlo, vi sono molte insidie. La prima è la ricerca scientifica necessa-ria per fabbricarlo, poi vi sono la produzione in larga scala e il trasporto con metodi che ne preservino l’efficacia. Poi ser-vono un’informazione capace di abbattere gli ostacoli cultu-rali nella popolazione, un’organizzazione logistica capillare per somministrarlo e un’appropriata sorveglianza sanitaria per valutare efficacia e sicurezza clinica. Insomma ci vuole volontà politica.

29 Aprile 2016www.altreconomia.it

Il volo a pedali Vaccini, la volontà che manca. La guerra stravolge le campagne vaccinali, come dimostra il caso del conflitto siriano. Il nodo dei costi

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30 AltreconomiaNumero 181

Buone notizie sul climaEditorialisti sull’orlo di una crisi di nervi. Il cambiamento climatico è innegabile, ai negazionisti non resta che deligittimare chi presenta le notizie

Stefano Caserini è titolare del corso di Mitigazione dei cam-biamenti climatici al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Il clima è (già) cambiato” (Edizioni Ambiente)

di Stefano Caserini, Climalteranti.it

Quando, fra qualche decennio, qualche storico cercherà di capire i motivi per cui gli esseri umani hanno tardato così tanto ad agire contro il riscaldamento globale, un capitolo corposo dovrà dedicarlo al ruolo giocato dai mass media. L’informazione sul riscaldamento globale è spesso un misto di confusione e ambiguità, reticenze ed esagerazioni. Da una parte la negazione, il rifiuto di credere a quanto la comu-nità scientifica in modo sostanzialmente unanime sostiene da decenni. Una parte in ritirata, fortunatamente il nega-zionismo è quasi scomparso in televisione: sulla carta stam-pata gli articoli negazionisti sono ormai pubblicati solo su Il Giornale, Libero e Il Foglio. Dall’altra parte l’allarmismo come strategia editoriale, per vendere più copie o alzare l’audien-ce. Se i fatti non rispondono ai requisiti del catastrofismo giornalistico (e molti degli impatti del riscaldamento globale son così, sono lontani e spostati nel tempo) sono resi più sexy per colpire il cuore o la pancia. I toni allarmisti sono in gene-re abbandonati rapidamente, sostituiti con altre emergenze, anche questi eventi epocali, gravi pericoli o incubi che asse-diano milioni di persone. Alla fine si perde la differenza fra le notizie, perché il bombardamento delle breaking news nel mondo della comunicazione globalizzata rende più difficile l’approfondimento della notizia stessa, la verifica della sua fondatezza, della sua rilevanza effettiva, la sua corretta con-testualizzazione; l’ansiosa attesa delle novità che faccia im-pennare i contatti finisce con il richiedere strutturalmente notizie effimere, o fa apparire come effimere per contami-nazione anche comunicazioni epocali.In questo contesto disastrato, iniziano a vedersi degli spraz-zi di informazione di qualità: dal 2015 il meteorologo e cli-matologo Luca Mercalli, da sempre in prima linea nella di-vulgazione scientifica sui cambiamenti climatici, conduce una bella trasmissione televisiva, “Scala Mercalli”, sei punta-te in onda in prima serata il sabato, in cui il clima che cambia è il tema principale, con servizi approfonditi e interessanti. Finalmente si inizia a capire qualcosa del problema, le cause, gli impatti già in corso o attesi per il futuro, gli strumenti a disposizione per cambiare direzione.Ma le azioni per contrastare il cambiamento climatico hanno

Sono i mesi consecutivi in cui le temperature globali hanno stabilito dei record rispetto ai rispettivi mesi degli ultimi 125 anni, ossia da quando esistono le misurazioni delle tempera-ture globali.

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delle conseguenze. Ci sono delle scelte che dovranno esse-re fatte, degli interessi di business che dovranno essere fer-mati. Alcuni cambiamenti riguardano anche le nostre azioni quotidiane. È per questo che sta emergendo una nuova figura, quella dell’editorialista sull’orlo di una crisi di nervi. È un tipo di editorialista abituato a parlare del nulla, campione del cer-chiobottismo, un alfiere del “diamine, non preoccupiamoci troppo”. Davanti agli aumenti di temperature senza prece-denti, ai ghiacci che si fondono, agli impatti delle attività di fracking, agli incidenti a centrali nucleari, l’editorialista ha un problema: non è più possibile fare finta di niente, e non è neppure possibile negare la realtà. La soluzione è quella di prendersela con chi presenta le notizie. Aldo Grasso, critico televisivo del Corriere, è uno di questi. Ogni anno trova un modo per attaccare Luca Mercalli, de-scrivendolo come “incattivito”, “ideologico”, “profeta di sventura”, addirittura “sadico”, con frasi come: “addio allo stile rassicurante di Piero Angela. Qui si sceglie la strada del catastrofismo”. Chi disturba il manovratore va bastonato. Meglio dire che tutto va bene, con le splendide meteorine o la ventisettesima replica della storia dell’impero romano.

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31 Aprile 2016www.altreconomia.it

Le banche e l’Euribor: gli effetti del cartello sugli interessi dei mutuiNEL DICEMBRE 2013 LA COMMISSIONE EUROPEA HA SANZIONATO 4 COLOSSI PER 1,04 MILIARDI DI EURO

Dal settembre 2008, quando è fallita la banca d’affari Lehman Brothers, il tasso sarebbe stato manipolato grazie a un accordo tra importanti istituti di credito. Le ricadute sul sistema bancario italiano

di Luca Martinelli

Finanza

sono segni meno che fanno bene al portafoglio. Per molti italiani, tut-ti quelli che intorno alla metà degli anni Duemila hanno contratto un mutuo per l’acquisto di un immobi-

le, la discesa dell’Euribor rappresenta un “regalo”: questo tasso influenza infatti il calcolo dell’inte-resse variabile che pagano ogni mese alle banche che hanno erogato quel prestito. Il 10 marzo 2015 l’Euribor “a 3 mesi” (ovvero il tasso relativo a un prestito in scadenza dopo tre mesi) era negativo, fissato a -0,229%. Nell’ottobre del 2008, lo stesso valore era al 5,1%. A pagare il prezzo dell’Euribor sottozero sono le banche, ma c’è un paradosso: la scelta di portarlo così in basso l’hanno presa loro stesse, o meglio un loro gruppo seleziona-to, il “panel Euribor”. Accanto al nome avremmo infatti dovuto indicare la ®, perché Euribor è in realtà un marchio registrato, nato alla fine degli anni Novanta nell’ambito dell’European Banking Federation, dal 1960 “la voce del mondo bancario europeo”, www.ebf-fbe.eu. Il nome è un acronimo: l’Euro InterBank Offered Rate rappresenta il tasso a cui le banche sareb-bero disposte a prestarsi denaro tra loro. Viene comunicato ogni giorno, ma è un dato virtuale: rappresenta, infatti, solo un’intenzione, e non è

23Gli istituti di credito che par-tecipano al panel per l’elaborazione dell’EURIBOR sono 23. Nel 2013 erano 39

collegato a contratti reali di prestito interbanca-rio. Albino Zabbialini è un commercialista bre-sciano, e per un triennio (fino al 2014) ha guidato la Banca di credito cooperativo (BCC) di Bedizzole Turano Valvestino, dopo aver presieduto tra il 1993 e il 2011 gli organi di controllo dello stes-so istituto. Oltre duemila soci, 19 sportelli, circa 120 dipendenti, la BCC ha visto i proprio conti peggiorare nel periodo 2008-2011, quando l’utile d’esercizio s’è contratto da 4,8 milioni a 42mila euro. Secondo Zabbialini, ciò è dovuto -in larga parte- all’Euribor. Che a partire da una data “fa-tidica”, quel 15 settembre del 2008 che vede la banca d’affari statunitense Lehman Brothers di-chiarare fallimento, sarebbe stato manipolato al ribasso grazie a un accordo tra le banche che compongono il panel, cioè alcuni tra i più grandi istituti di credito della “zona Euro”: nel 2013 era-no 39; in precedenza, una quarantina; oggi sono appena 23, tre dei quali italiani -Intesa Sanpaolo, Unicredit e Monte dei Paschi di Siena-. In nove mesi, dopo l’ottobre del 2008, l’Euribor perde ol-tre 4 punti percentuali, e scende sotto l’1 per cen-to. “Ciò significa -spiega Zabbialini-, che è andato sotto il costo medio della raccolta”, che è il tas-so d’interesse che gli istituti di credito pagavano in quel momento ai depositanti, a coloro che

Ci

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32

SECONDO TEMPO

AltreconomiaNumero 181

Finanza

detenevano un conto corrente. È logica quella che muove il commercialista bresciano: per quale motivo, nell’economia reale, dovrei essere dispo-sto a prestare del denaro -offrendo prestiti veloci, e impiegando così la mia liquidità- a un altro isti-tuto di credito, chiedendo in cambio una remu-nerazione inferiore rispetto a quella che dovrò ri-conoscere a chi ha prestato quei soldi a me, e cioè il correntista? Tradotto significa che se qualcuno mi presta mille euro, sarei quanto meno incauto se scegliessi di “investirli” sapendo di guadagnare appena 10, quando a fine anno dovrò restituirne 1.015. Per capire qual è il motivo che porta alcune ban-che a comportarsi in modo apparentemente irra-zionale manca un elemento: “Tra le maggiori ban-che, che hanno il portafoglio ‘gonfio’ di strumenti finanziari, come i derivati, ce ne sono molte che sono ‘pagatrici nette’ dell’Euribor” spiega l’avvo-cato Marco Rossi, presidente del Comitato scien-tifico di Alma Iura (www.almaiura.it), un centro per la formazione e gli studi giuridici bancari e finanziari con sede a Verona, e co-autore con Maddalena Mandarà di un saggio sull’ipotesi di manipolazione al ribasso dell’Euribor. “Le banche piccole -continua- sono invece normalmente ‘ri-cevitrici nette’, perché vedono nell’erogazione di mutui, che in molti casi dipendono direttamente dalla quotazione dall’Euribor, una della loro prin-cipali attività”. Guardiamo alla BCC di Bedizzole, quella presieduta fino al 2014 da Zabbialini: nel periodo che va dal 2009 al primo trimestre del 2012 ha in essere mutui per circa 300 milioni di

euro, e il commercialista ha stimato un danno tra i 13 e i 20 milioni di euro. Lo ha fatto utilizzan-do alcune stime contenute nel saggio di Mandarà e Rossi, che evidenziano una differenza media dell’1% tra la quotazione dell’Euribor nel periodo considerato e quella che avrebbe dovuto essere. Lo studio è stato pubblicato nel 2013 da “Banca Impresa Società”, una rivista scientifica edita da Il Mulino. Il modello utilizzato nella ricerca di Mandarà e Rossi trae spunto da analisi già rea-lizzate -e pubblicate- negli Stati Uniti e relativi al tasso Libor, il London Interbank Offered Rate, “ge-mello” dell’Euribor. “È possibile scomporre il tas-so interbancario in una quota risk free e una che tiene conto del rischio implicito legato alla salute della banca -racconta l’avvocato Rossi-: se lei pre-sta del denaro a me, ed io sono ‘rischioso’, lei si farà pagare di più. Questo valore può essere misu-rato, guardando al differenziale relativo ai credit default swap di ogni singola banca del panel, che è ciò che abbiamo fatto. Scoprendo così che fino al 2008 l’evoluzione del tasso Euribor e la ‘curva di rischio’ è sovrapponibile, mentre le cose cambia-no diametralmente dopo il break strutturale a se-guito del fallimento di Lehman Brothers. Da lì in poi, l’Euribor effettivo è più basso, e le due curve si divaricano”. Per dirla con le parole dello studio, “[le banche] avrebbero scientemente comunicato

PAROLA CHIAVE

EURIBOR

L’Euribor è l’Euro Interbank Offered Rate, ovvero il tasso d’inte-resse a cui le banche sono disposte a prestarsi denaro tra loro. Viene pubblicato ogni giorno dall’European Money Markets Institute (www.emmi-benchmarks.eu), un’associazione con sede in Belgio di cui fanno parte le realtà che in ogni Paese dell’Euro-zona rappresentano gli interessi delle banche, e indicat un dato medio rispetto alle rilevazioni di un gruppo selezionato di banche, che sono 23 e hanno sede in 10 diversi Paesi europei. Si tratta di un tasso “virtuale”, nel senso che i soggetti che contribuiscono alla sua fissazione non devono effettivamente aver sottoscritto contratti sul mercato interbancario.

Cronologia

30 dicembre 1998

Viene pubblicato per la prima volta l’Euribor: è il tas-so di riferimento

interbancario europeo

1 gennaio 1999

L’euro diviene la moneta ufficiale

per 11 Paesi euro-pei (“area euro”)

15 settembre 2008

La banca USA Lehman Brothers annuncia il pro-prio fallimento: è l’inizio della

“crisi”

“Le banche avrebbero comunicato al mercato un tasso artificialmente più basso di quello che avrebbe dovuto essere, con l’intento di apparire in migliori condizioni”

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33 Aprile 2016www.altreconomia.it

al mercato un tasso artificialmente più basso di quello che avrebbe dovuto essere, con l’intento di apparire in migliori condizioni finanziarie rispet-to a quelle reali”. Rossi non nasconde che l’ipote-si iniziale di Alma Iura fosse quella di dimostra-re che l’Euribor fosse stato manipolato ma in su. Negli stessi mesi in cui veniva avviato lo studio, nell’ottobre del 2011, anche la Commissione eu-ropea, e in particolare la DG Competition, quella che si occupa di concorrenza, iniziava un’indagi-ne a partire dall’ipotesi di un cartello, un accordo illegale tra le banche in grado di modificare l’an-damento dell’Euribor. Il 4 dicembre 2013 è arrivata anche la decisione della Commissione, che evidenzia l’effettiva esi-stenza di un cartello e che questa ha coinvolto quattro istituti di credito tra quelli che fanno par-te del panel, e cioè Barclays, Deutsche Bank, Royal Bank of Scotland e Société Générale, quest’ul-tima oggi presieduta dall’italiano Lorenzo Bini Smaghi. Le ultime tre nell’elenco sono state mul-tate, per un cifra che complessivamente supera il miliardo di euro, mentre Barclays ha ricevuto uno sconto del 100% “per aver rivelato l’esisten-za del cartello”, spiega un comunicato stampa della Commissione europea. Joaquín Almunia, vi-ce-presidente della Commissione europea, com-menta così la sentenza: “È scioccante [...] aver

Dicembre 2008 - marzo 2012

Secondo la ricerca di Alma Iura, in questo

periodo le quota-zioni dell’Euribor sarebbero state inferiori rispetto a quelle attese

18 ottobre 2011

La Commissione europea annuncia

l’avvio di ispezioni nei

confronti di soggetti attivi nel settore dei

derivati finanziari connessi al tasso

Euribor

4 dicembre 2013

La Commissione stabilisce

l’esistenza di un “cartello”

che ha coinvol-to 4 istituti di

credito, Barclays, Deutsche Bank, RBS e Société Générale. Le

multe elevate am-montano a 1,04 miliardi di euro

Marzo 2016

Barclays e Deutsche Bank

continuano a far parte del “panel” per l’elaborazione

dell’EURIBOR

provato una collusione tra banche che dovrebbero competere l’una con l’altra”; contemporaneamen-te, si avviò -sempre in seno alla Commissione- un dibattito sulla modifica delle procedure di calco-lo dell’Euribor, ma è stato abbandonato. E dopo due anni, la sentenza in merito al “cartello” non è ancora stata resa pubblica. Una lettura inte-grale aiuterebbe a capire la bontà dell’ipotesi di Mandarà e Rossi, oggi che il “cartello” è accertato. Che la manipolazione possa essere avvenuta al ri-basso sarebbe provato anche da alcuni verbali del comitato di direzione per l’Euribor (l’Italia è rap-presentata da Alberto Covin, capo della divisione Short Term Funding di Unicredit, ndr). Tra le pro-tagoniste dell’accordo, due -Barclays e Deutsche Bank- fanno ancora parte del panel Euribor, e nel frattempo in Inghilterra è iniziato -a genna-io 2016- un procedimento giudiziario contro 11 impiegati dei due istituti di credito, a seguito di un’inchiesta del Serious Fraud Office. In Italia, invece, l’Associazione bancaria italiana (ABI), che rappresenta il nostro Paese all’interno dell’Euro-pean Banking Federation, non ha nemmeno av-viato una valutazione del possibile danno subito dalle associate. Secondo Zabbialini, potrebbe essere di 1,5 miliar-di di euro per le BCC, e di 19 miliardi per tutto il sistema bancario italiano.

L’assemblea annuale 2015 di Deutsche Bank

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PRIMO TEMPO

AltreconomiaNumero 181

Interni

ntro l’autunno del 2016, i cittadi-ni italiani saranno chiamati alle urne per votare al referendum “confermativo” sulla revisione del-la Costituzione messa a punto dal

Governo. Potranno cioè approvare (con il “sì”) o respingere (con il “no”) gli effetti di un disegno di legge costituzionale (Ddl) che non modifi-ca soltanto la natura e l’operato del Senato della Repubblica, ma cambia il volto a quasi 60 articoli della Carta (che complessivamente ne conta 139). Il disegno di legge -che a metà marzo si trova alla Camera dei Deputati per la seconda e fina-le lettura e approvazione- è di iniziativa gover-nativa. Non è un’eccezione -come vuole invece il pretesto che sta alla base della proposta, e cioè che l’esecutivo sia in qualche modo “frenato” dal Parlamento- ma è la regola: dalle statistiche par-lamentari emerge infatti che l’83% delle leggi ap-provate nella 17esima legislatura (Monti, Letta, Renzi) sono “nate” dall’esecutivo. Nella 16esima, 2008-2013, erano a quota 76%. L’interferenza parlamentare è un falso mito, così come la circo-stanza che una “riforma” sia attesa da “70 anni”. In realtà, sono state già 16 le leggi costituziona-li intervenute sulla Costituzione tra il 1963 e il 2012 (senza considerare quelle relative a statuti

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Non solo Senato: ecco la “riforma” che stravolge la CostituzioneENTRO L’AUTUNNO IL DISEGNO DI LEGGE PRESENTATO DEL GOVERNO AL VAGLIO DEL REFERENDUM

Camera alta non eletta, più poteri al Governo, più difficile l’iniziativa legislativa popolare: quasi 60 articoli (su 139) della Carta saranno modificati. “Una norma problematica sin dal titolo” secondo il costituzionalista Alessandro Pace

di Duccio Facchini

regionali, o quelle su introduzione o deroghe di norme costituzionali).

Secondo Alessandro Pace -professore emeri-to di Diritto costituzionale dell’Università “La Sapienza” di Roma e presidente del “Comitato per il NO” (coordinamentodemocraziacostitu-zionale.net) - il Ddl è “problematico” a partire dal titolo: “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del nume-ro dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressio-ne del CNEL e la revisione del titolo V della par-te II della Costituzione”. È una revisione, ampia, globale e che in quanto tale, secondo Pace, “non è prevista dall’articolo 138 della Carta, che inve-ce regola il processo di modifica attraverso ma-nutenzioni, puntuali”. Sul punto, l’avvocato Felice Besostri, promotore con gli avvocati Aldo Bozzi e Claudio Tani dei ricorsi che hanno portato alla di-chiarazione di incostituzionalità della legge elet-torale conosciuta come il “Porcellum”, suggerisce di guardare al caso di due Paesi europei, Spagna e Svezia. In quei contesti, quando interviene una revisione costituzionale, è previsto che tra la pri-ma deliberazione e quella definitiva si tengano nuove elezioni politiche. Una forma che per

Il testo della Costituzione italiana è lungo 9.369 parole. Il “vocabolario di base” ne copre il 92,13%. Per il linguista Tullio De Mauro, si può “scorgere uno straordinario impegno dei costituenti nella direzione dello scegliere parole di massima accessibilità”

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35 Aprile 2016www.altreconomia.it

L’aula del Senato, a Palazzo Madama.

La “Camera alta” oggi è composta

da 315 senatori eletti, cui vanno sommati i sena-

tori a vita

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36 AltreconomiaNumero 181

Interni

Besostri sarebbe più garantista di un referen-dum onnicomprensivo, esposto a strumentalizza-zioni personalistiche. “Nel titolo, inoltre, manca l’elemento più importante -spiega Pace- e cioè il mutamento profondo della forma di governo italiana, visto che la cosiddetta ‘riforma’ costi-tuzionale tende ad accentrare nel presidente del Consiglio tutti i poteri”. In che modo? “Non esi-stono più contro poteri esterni -afferma Pace- dato che il nuovo Senato è totalmente irrilevan-te. Inoltre, non sono stati previsti contro poteri interni, come il rafforzamento delle commissioni d’inchiesta o le inchieste di minoranza. Inoltre, il testo rivisto prevede che i diritti delle minoranze parlamentari e lo statuto delle opposizioni ven-gano disciplinati da un regolamento successivo”.La mutazione del Senato è sancita dal primo ar-ticolo del Ddl costituzionale, che interviene sul-le “Funzioni delle Camere” (l’articolo 55 della Carta). Il Senato (oggi composto da 315 membri più i senatori a vita) non scompare ma cambia natura. Non rappresenta più la Nazione -come da Costituzione vigente- ma più genericamente le “istituzioni territoriali”. Gli vengono sottrat-ti il rapporto di fiducia con l’esecutivo, il potere di controllo dell’operato del Governo, la funzio-ne legislativa (con limitate eccezioni) e l’indiriz-zo politico. I componenti diventano 100: 95 tra consiglieri regionali e sindaci eletti dai consi-gli regionali e 5 di nomina del presidente della Repubblica. E la durata del mandato dei nuovi senatori coincide con quella degli “organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti”. Tradotto: ogni volta che decade un Consiglio re-gionale o comunale -o si rinnova-, il Senato perde un pezzo dei propri appartenenti. Tra i nodi più significativi spicca la cancellazio-ne dell’elezione diretta da parte dei cittadini del-la camera alta (ad essere abrogato è l’articolo 58 della Costituzione): “Aver conservato la potestà di rivedere la Costituzione e far parte del pro-cesso legislativo ancorché gli si è negata l’eletti-vità diretta da parte dei cittadini è una bruciante sconfitta del costituzionalismo -commenta Pace-. Quando si attribuisce la potestà legislativa a un organo, la fonte, com’è scolpito all’Articolo 1 del-la nostra Costituzione -la sovranità appartiene al popolo- non può che derivare dai cittadini”.L’articolo 68 relativo all’immunità parlamenta-re, invece, è rimasto intatto. In questo modo, le maggiori garanzie in materia di arresto, indagini e intercettazioni interesseranno così sia i depu-tati (legittimamente) sia i “nuovi” senatori (con-siglieri regionali e sindaci). In prima lettura il te-sto aveva limitato l’immunità ai soli deputati, ma

PRIMO TEMPO

1. LA COMPOSIZIONE DEL NUOVO SENATOEcco chi sarebbero i nuovi ospiti di Palazzo Madama

Che cosa prevede la “riforma”

Un Ddl approvato dalla Camera viene

trasmessoal nuovo Senato

Entro 10 giornie su richiesta di 1/3 dei membri il nuovo Senato può disporre

di esaminarlo

Entro i 30 giornisuccessivi il nuovo

Senato può deliberare proposte, anche se

non vincolanti

Se il Ddl è relativo a materie di bilancio, l’iter deve

concludersi entro 15 giorni

FASE 1 FASE 2 FASE 3

3. IL GOVERNO POTRÀ DETTARE L’AGENDA DELLA CAMERAIl Governo potrà dichiarare un Disegno di legge come “essenziale per l’attuazione del programma”, chiedendo alla Camera di iscriverlo “con priorità” all’ordine del giorno

4. PIÙ DIFFICILI LE LEGGI DI INIZIATIVA POPOLARE La quantità di firme richiesta per poter depositare una proposta di legge di iniziativa popolare triplica, passando da 50mila a 150mila. Introdotto il referendum abrogativo senza quorum: 800mila le firme necessarie

5. MENO POTERI ALLE REGIONIIl Governo centrale si riappropria della potestà legislativa esclusiva in diverse materie, sottraendola alle amministrazioni regionali, riservandosi di intervenire in qualunque tematica nel nome della “tutela dell’interesse nazionale”

95tra consiglieri regionali e sindaci

5nominati dal Quirinale

2. IL NUOVO PROCEDIMENTO LEGISLATIVOLe tappe forzate della futura “produzione” normativa del Parlamento

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37 Aprile 2016www.altreconomia.it

con l’avanzare dell’iter la modifica è stata via via stralciata.

Il cuore delle modifiche costituzionali, ad ogni modo, sta nel “nuovo” articolo 70, quello sul “Procedimento legislativo”. Prima di entrare nel merito, l’avvocato Felice Besostri riflette su quel-la che definisce la “comprensibilità delle costi-tuzioni”. Pensa al linguaggio, all’accessibilità dei periodi. “Nel testo della revisione ci sono punti incomprensibili persino a conoscitori della ma-teria o docenti di diritto costituzionale -spie-ga-. L’articolo 70 della nostra Costituzione conta oggi nove parole e un solo comma: ‘La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere’. Il ‘nuovo’, invece, è fatto di sei commi, di cui solo il primo ha 195 parole”. Nel merito, la Camera dei Deputati accentra su di sé il potere legislativo, dettando al “nuovo” Senato tempi e modalità di partecipazione al processo. A segui-to dell’approvazione di una legge da parte della Camera il Senato avrà 10 giorni di tempo per de-cidere se esaminarlo (a patto che a richiederlo sia un terzo dei componenti) e 30 giorni per delibe-rare proposte di modifica. Dopodiché la Camera sarà chiamata a “pronunciarsi” sulle proposte, che comunque non sono vincolanti. Le scadenze si fanno ancora più stringenti per le leggi in ma-teria di bilancio (articolo 81 della Carta), rispet-to alle quali il Senato sarà chiamato a deliberare le proprie “proposte di modificazioni” -mai vin-colanti- entro 15 giorni. Al contrario, qualora il Senato -sempre che la maggioranza assoluta dei suoi componenti lo deliberi- volesse proporre alla Camera l’esame di un Ddl, questa avrà sei mesi di tempo per pronunciarsi. “Per garantire l’efficien-za del sistema bicamerale -commenta Besostri- sarebbe stata sufficiente una modifica del regola-mento. Nella Costituzione, infatti, non è scritto da nessuna parte che quando termina una legislatura tutti i progetti di legge debbano decadere”. Il peso del Governo cui si riferiva Pace è rappresentato dal nuovo articolo 72, all’interno del quale è stata aggiunta una sorta di “binario preferenziale” per i Ddl che il Governo dovesse dichiarare “essenziali per l’attuazione del programma”, chiedendo alla Camera di iscriverli “con priorità” all’ordine del giorno. È il rovesciamento di quel che la Carta in vigore stabilisce oggi: e cioè che non si possa de-legare all’esecutivo se non “per tempo limitato e per oggetti definiti”. Anche gli strumenti di par-tecipazione popolare cambiano, seguendo però quella che Besostri definisce una “procedura inu-tilmente aggravata”. La quantità di firme neces-sarie per poter depositare una proposta di legge

di iniziativa popolare, infatti, triplica, passando da 50mila a 150mila (nuovo articolo 71). E nello stesso tempo il referendum abrogativo (articolo 75) resta identico (500mila firme) ma comunque soggetto al nodo del quorum, eliminabile soltan-to tramite la raccolta di 800mila firme e annessi certificati elettorali.

Sia Pace sia Besostri concordano su un punto: la “pericolosità” della revisione costituzionale è data dalla sua combinazione con un altro provve-dimento, approvato nel maggio 2015 e prossimo alla sua applicabilità a partire dal 1 luglio 2016. Si tratta della nuova legge elettorale (52/2015, “Italicum”), che per l’avvocato Besostri rappre-senta il compiuto aggiramento della sentenza 1/2014 con la quale la Corte costituzionale aveva dichiarato illegittimo il cosiddetto “Porcellum”. In particolare per quel che riguarda il premio di maggioranza di 340 seggi alla Camera (su 630, il 54%), “attribuito sia a una lista che abbia ottenu-to il 40% dei seggi al primo turno sia a una lista che abbia vinto al ballottaggio, senz’alcuna soglia di partecipazione o di voti ottenuti al primo tur-no”. Un premio la cui entità “è inversamente pro-porzionale al consenso elettorale ottenuto”, come spiega Besostri, e che non consente all’elettore di avere un’idea precisa del destino del proprio voto, e che stride con il divieto di mandato imperativo per un parlamentare.

IN DETTAGLIO

COME SI RISCRIVE LA COSTITUZIONE

La revisione costituzionale è regolata dall’articolo 138 della nostra Carta. Questo stabilisce che le “leggi di revisione” e le “altre leggi costituzionali” debbano essere adottate da ciascuna Camera “con due successive deliberazioni ad intervallo non mi-nore di tre mesi”. E che siano approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Se, a tre mesi dalla pubblicazione, dovessero farne richiesta un quin-to dei membri di una Camera, cinque consigli regionali o 500mila elettori, allora si ricorrerebbe al referendum (che sarebbe invece escluso se la legge fosse stata approvata in seconda votazione da ciascuna Camera a maggioranza dei due terzi dei suoi compo-nenti). Nel caso del Ddl del Governo in discussione (descritto a partire da pag. 34), è già scontato il raggiungimento della soglia del quinto dei parlamentari per la richiesta del passaggio referen-dario. Non è detto che raccogliere comunque le firme sia inutile.

Quanto “costa”il Senato oggi

valori in €

Competenzedei senatori21.800.000,00

Rimborsi spesesostenute per losvolgimento del mandato

42.185.000,00

Altro (spese correnti e in contocapitale)

461.049.000,00

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39 Aprile 2016www.altreconomia.it

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Garanzie svanite, la città di Pisa è in “seria sofferenza”LE POLIZZE “TOSSICHE” IN MANO ALL’ENTE SAREBBERO ALMENO UNA TRENTINA, PER 15,8 MILIONI DI EURO

Alcuni costruttori hanno presentato fideiussioni prive di valore per il pagamento degli oneri. Bocciata la proposta di una commissione comunale d’indagine. La Banca d’Italia: “Il fenomeno è importante”

di Luca Martinelli

Enti locali

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PRIMO TEMPO

AltreconomiaNumero 181

Enti locali

via del Gargalone, a Pisa, c’era un centro di raccolta per i rifiuti in-gombranti. Serviva ai cittadini del quartiere di Porta a Mare. Costato circa 300mila euro, era stato inau-

gurato dal Comune nel 2013.Oggi non c’è più, ed è diventato un “caso”: la ri-chiesta di “smontarlo”, infatti, era arrivata da Ikea, che aveva acquistato l’area su cui costruire il proprio grande magazzino, inaugurato a mar-zo 2014, da una società privata di nome Sviluppo Navicelli. La stessa che avrebbe dovuto occuparsi della sua ricostruzione, ma non lo ha fatto. Così a fine novembre 2015 il consiglio comunale è sta-to costretto ad approvare una variazione di bilan-cio, per autorizzare una spesa di 240mila euro e farsene carico. A maggio dello scorso anno, infat-ti, la Sviluppo Navicelli è fallita, e il Comune s’è accorto che le “garanzie” prestate non valevano niente. Tecnicamente questo strumento si chia-ma fideiussione, ed è una sorta di assicurazione sul pagamento degli oneri legati a un intervento urbanistico o sulla realizzazione di eventuali ope-re pubbliche in carico al privato. Qualora il pri-vato non faccia quanto stabilito, il Comune può rivalersi sul soggetto che ha prestato la garan-zia, cioè “escutere” la fideiussione. Quelle delle Sviluppo Navicelli, due, per un valore complessi-vo di 4,7 milioni di euro, erano state rilasciate da Union Credit Finanziaria spa, un soggetto escluso a fine 2008 dall’elenco degli intermediari abilita-ti, che è disponibile sul sito della Banca d’Italia. Oggi questa società non esiste più. Le due fideius-sioni di Sviluppo Navicelli erano state deposita-te in Comune in una data successiva, nel febbraio 2009.Solo a novembre 2015 l’ente ha avviato un censi-mento delle “fideiussioni tossiche”, che sarebbe-ro almeno una trentina, per un valore complessi-vo di 15.854.675 euro. Come dimostra il caso del centro rifiuti di via del Gargalone, il bilancio co-munale può subire il colpo delle fideiussioni prive di valore. E per capire quanto potrebbero pesare 15,8 milioni di euro di investimenti non realizza-ti sul bilancio di una città che ha meno di 90mila

abitanti, basti pensare che il bilancio preventivo 2016 del Comune evidenzia entrate -da tributi, trasferimenti, alienazioni di beni- per circa 180 milioni di euro.Secondo il gruppo consiliare “Una città in co-mune-Rifondazione Comunista”, guidato dal consigliere Francesco Auletta, l’analisi avvia-ta dal Comune è tardiva: “Il Comune si era ac-corto dell’esistenza di un problema già a gen-naio 2015, quando aveva indirizzato ad Union Credit Finanziaria spa delle comunicazioni, che però tornavano indietro: all’indirizzo indicato, a Torino, in via Susa, quel soggetto era irrintraccia-bile. Non si era mosso, però”. A settembre 2015 i due esponenti la lista d’opposizione chiede di po-ter accedere a tutti gli atti relativi alle fideiussioni presentate da Sviluppo Navicelli spa: il Comune si era “insinuato” nella procedura fallimenta-re dell’azienda, chiedendo il riconoscimento di un credito di circa 3 milioni di euro. Le rispo-sta arrivano il 28 ottobre 2015: il nome di Union Credit Finanziaria spa è pubblico. È solo in quel momento che il Comune si muove, inviando una nota al Servizio supervisione intermediari finan-ziari della Banca d’Italia: la lettera è datata 29 ot-tobre 2015.

La vicenda Sviluppo Navicelli spa -una società che avrebbe dovuto sviluppare una nuova area dedicata alla cantieristica, lungo il Canale dei Navicelli che collega per 17 chilometri la darsena di Pisa a Livorno- non è isolata. A ottobre 2015 la città della Torre pendente è scossa da un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Firenze

InIn apertura, il porto turistico di Marina di Pisa costruito dalla Boccadarno Porto di Pisa Spa. L’impresa ha deli-berato il concor-dato preventivo nel gennaio 2016

“Ad alcuni imprenditori sono stati stesi tappeti rossi -spiega un consigliere comunale- in cambio di poche opere di urbanizzazione, nemmeno realizzate”

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41 Aprile 2016www.altreconomia.it

sull’imprenditore edile Andrea Bulgarella, che a Pisa sta costruendo -tra le altre cose- il Parco del-le torri a Cisanello e la Piazza del terzo millennio a Ospedaletto.La sua società si chiama Edilcentro, e risulta ga-rantita da una decina di fideiussioni per un im-porto di circa 5 milioni di euro. La più importan-te vale 2,9 milioni, e l’ha emessa Medusa Leasing, cancellata nel 2007 dagli elenchi di Banca d’Ita-lia (oggi è in fallimento, e risulta controllata da una società fiduciaria, che è un modo per “scher-mare” il nome dei veri proprietari). Un altro paio sono della Union Credit Finanziaria (UCF), e tre dalla United Consulting Finance, “cancellata” nel 2011, stessa sede torinese della prima. Il Comune di Pisa non si muove nemmeno quando il nome di quest’ultima società finisce sui giornali, nel giu-gno del 2014: l’inchiesta della Guardia di finan-za di Torino riguarda Antonio Castelli, assicura-tore cui le Fiamme gialle riconducono la UCF. La Repubblica Torino titola: “False fideiussioni, la truffa da mezzo miliardo del Madoff torinese: tra le vittime 200 Comuni”. L’ultimo tessera del mosaico a gennaio 2016, quando la Boccadarno Porto di Pisa Spa -società che ha costruito il nuovo porto turistico di Marina di Pisa- delibera il concordato preventivo, una mi-sura della legge fallimentare cui possono accedere le aziende in stato di crisi o di insolvenza. Solito accesso agli atti e nuova conferma: due le fideius-sioni, ed entrambe sono del Consorzio Garanzia Fidi Confidi Centrale, fallito nel corso del 2015. “A quel punto ci rendiamo conto che è un fatto sistemico -sottolinea Auletta-, e così avanziamo

formalmente richiesta di istituire una commis-sione d’indagine”. Il consigliere della lista “Una città in comune” spiega che questo è un norma-le strumento che il consiglio comunale può darsi: “L’accesso agli atti è facilitato, e serve ad indivi-duare eventuali responsabilità, che sono di carat-tere politico. Ha 30 giorni di tempo per comple-tare il lavoro, con una relazione poi consegnata in consiglio comunale”. Il 28 gennaio 2016 l’istituzione della Commissione viene bocciata in consiglio. Il giorno prima il sin-daco, Marco Filippeschi del Partito democratico, aveva protocollato una nuova lettera alla Banca d’Italia, nella quale chiede un rafforzamento del sistema d’informazioni e di vigilanza preventiva. Che però già esiste: un elenco di Bankitalia evi-denzia come siano 62 gli intermediari finanziari “cancellati” complessivamente tra il 2011 e il 2015 in seguito ad atti del ministero dell’Economia e delle finanze. “Sulla base del numero degli espo-sti che sono pervenuti, il fenomeno è importan-te” spiega Banca d’Italia ad Ae. Per questo, “dal 12 maggio 2016, gli intermediari finanziari che con-cedono finanziamenti al pubblico saranno sot-toposti al regime di vigilanza prudenziale equi-valente a quella bancaria. Gli intermediari che offrono garanzie al pubblico dovranno disporre di un patrimonio minimo più elevato e di requi-siti organizzativi più stringenti di quelli previsti per gli altri intermediari finanziari”.A fine novembre 2015 Laura Tanini, che lavora per la Direzione supporto giuridico gare e contrat-ti del Comune di Pisa, ha evidenziato come (al-meno) una delle polizze -nello specifico quella di Union Credit numero 595119, a favore di Sviluppo Navicelli spa- “non avrebbe dovuto essere accetta-ta da parte del Comune”. Ed è a questo livello che, secondo Auletta, “sono mancati i controlli”. “Ad alcuni imprenditori sono stati stesi tappeti rossi -sottolinea il consigliere d’opposizione- in cam-bio di poche opere di urbanizzazione, nemmeno realizzate”. A Sviluppo Navicelli spa, Boccadarno spa ed Edilcentro srl fanno capo -in termini di va-lore- il 67% delle false fideiussioni. Tra le persone coinvolte negli interventi della Sviluppo Navicelli e di Boccadarno ci sono Stefano Bottai e l’avvocato Paolo Carrozza, entrambi in passato vice-sindaco della città. Il secondo è fratello dell’ex ministro Maria Chiara, presente nel 2013 all’inaugurazio-ne del porto turistico di Marina di Pisa. La “Pisa dei miracoli” (il titolo di un libro del 2008 dall’al-lora sindaco Paolo Fontanelli, oggi Questore della Camera) non c’è più. E a Ignazio Visco il sindaco Filippeschi scrive che la città vive “un caso di seria sofferenza”.

62gli intermediari finanziari “can-cellati” tra il 2011 e il 2015 dall’ap-posito elenco di Banca d’Italia

A fine 2015, un funzionario del Comune di Pisa aveva segnalato al segretario generale che una polizza “non avrebbe dovuto essere accettata da parte del Comune”

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AltreconomiaNumero 18142

Il Rapporto annuale di Amnesty International svolge una funzione sociale e mediatica ben precisa: serve a scuote-re le coscienze assopite e a portare nell’agenda politica, al-meno per qualche giorno, lo stato reale (pessimo) dei diritti umani nel Pianeta. I volumi prodotti dalla Ong che nel 1977 fu insignita del Nobel per la Pace sono dunque testi tanto vitali per la conoscenza del mondo contemporaneo, quan-to politicamente scomodi. La loro sorte, mediaticamente parlando, è sempre incerta. In certe congiunture, anche il rassicurante confronto fra occidente democratico e Paesi e regioni del mondo più autoritarie o addirittura dittatoria-li non è più sufficiente a garantirne la divulgazione a mez-zo stampa. È successo anche quest’anno. L’introduzione al nuovo Rapporto, firmata dal segretario generale Salil Shetty, è dirompente. I diritti umani nell’anno 2015, scrive Shetty, hanno toccato “il punto più basso, proprio nell’anno che ce-lebrava il 70° anniversario della fondazione delle Nazioni Unite”. Esecuzioni capitali, tortura, repressione, esclusione delle minoranze culturali e di genere sono ancora pratiche diffuse e ben radicate; in aggiunta, e proprio in Europa, l’af-flusso di profughi in fuga da guerre e persecuzioni ha porta-to alla “negazione dell’accesso alle procedure di asilo”. Salil Shetty si pone così una domanda decisiva e drammatica, che lui stesso definisce sgradevole: “L’intero sistema delle norme e delle istituzioni internazionali è in grado di far fronte alla sfida urgente di proteggere i diritti umani?”Una traccia di risposta è nel silenzio mediatico e politico se-guito a quest’affermazione. E nelle diaboliche coincidenze di cronaca. Negli stessi giorni della pubblicazione del Rapporto 2016 di Amnesty, o poco dopo, l’Italia è stata condannata dalla Corte di Strasburgo per i diritti umani per il caso Abu Omar, l’imam rapito il 17 febbraio 2003 a Milano da dieci agenti della CIA e spedito in Egitto: un caso tipico di “de-localizzazione” della tortura. Una condanna, altra sinistra coincidenza, arrivata nel pieno del “caso Regeni”, il ricer-catore torturato e ucciso nello stesso Egitto, stretto alleato dell’occidente e guidato da un generale -il tetro Abd Al Sisi- a suo tempo definito “grande statista” dal nostro premier, che si è anche detto “proud”, orgoglioso, d’esserne amico.

Negli stessi giorni da Washington il presidente Obama ha espresso il (tardivo) desiderio di chiudere il carcere-mostro di Guantanamo sull’isola di Cuba, antica e dimenticata pro-messa elettorale (da leggere a tale riguardo il libro “12 anni a Guantanamo” di Mohamedou Ould Slahi, edito da PIEMME nel 2015). Proposito magari sincero, ma certo inapplica-to e inapplicabile, se pochi giorni dopo lo special rapporteur dell’Onu sulla tortura, Juan Mendez, ha rinunciato a visita-re Guantanamo, come lui stesso chiede da anni all’ammini-strazione Usa, di fronte alle troppe limitazioni che tale visi-ta avrebbe avuto: “Non posso accettare tanti vincoli, creerei un precedente pericoloso”, ha spiegato Mendez, un uomo che fu vittima di tortura negli anni del regime militare in Argentina. Infine, ulteriore, sgradevolissima coincidenza, l’Europa dei 28 si è trovata a trattare con la Turchia il “blocco dei profu-ghi” a suon di miliardi, senza alcun riguardo per i sacri prin-cìpi di protezione sanciti da Carte e Trattati e incurante dei progetti turchi di costruire una sorta di striscia di Gaza abi-tata da milioni di profughi nel sud-est del Paese. Facciamoci la vera domanda: resta ancora qualcosa della dottrina dei diritti umani?

Distratti dalla libertàLa notte dei diritti umani. Nel 2015, come racconta Amnesty International, hanno toccato il loro “punto più basso”. Dall’Egitto a Guantanamo

di Lorenzo Guadagnucci

Gli Stati (sui 205 esistenti) che nel corso del 2015 hanno praticato maltrattamenti inumani e degradanti o torture su persone private della libertà

Lorenzo Guadagnucci è un giornalista del “Quotidiano Nazionale”. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, “Noi della Diaz” e “Parole sporche”

122

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Secondo tempo43—60

Adda“Il sito è abbandonato dalla fine degli anni Novanta e i macchinari esistenti sono stati tutti ceduti. La nostra idea era di recuperare il più possibile. Purtroppo certe ‘vicissitudini amministrative’ ci hanno bloccato. È un male nazionale, ma non ho più voglia di parlarne. Quello che più dispiace è vedere l’avanzata del degrado. Se uno parte con l’idea di radere al suolo tutto e costruire 400mila metri cubi gli può anche andar bene il degrado, anzi lo vuole. Per noi non era così”

Fausto Crippa

a pag. 54

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44 AltreconomiaNumero 181

SECONDO TEMPO Finanza

Mercati, questi sconosciuti. Piccola guida all’educazione finanziariaNOVE PUNTI CHIAVE PER IMPARARE AD ORIENTARSI NELL’ECONOMIA E NELLA FINANZA GLOBALE

Al mondo, due adulti su tre sono considerati “analfabeti finanziari” e l’Italia è il Paese peggiore tra le sette economie più “sviluppate”. Da un report di un istituto di ricerche statunitense, i più penalizzati sono i giovani e gli anziani

di Luca Martinelli

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45 Aprile 2016www.altreconomia.it

01RISPARMIO

Tra “propensione”, depositi e impieghi

La propensione al risparmio delle fa-miglie consumatrici è -a fine 2015- del 9,5%. Ciò significa che, secondo le indicazioni dell’Istat, per ogni mil-le euro di reddito, il risparmio lordo è pari a 95 euro. Le famiglie italiane a fine 2014 (l’ultimo dato disponibile, della Banca d’Italia) avevano deposita-to complessivamente presso gli spor-telli di un istituto di credito o le Poste 1.071 miliardi di euro. Chi “deposita” riceve in cambio una remunerazione, sotto forma di interessi: il tasso medio, a gennaio 2016, è dello 0,53%. In cam-bio, chi raccoglie ha la disponibilità di quelle risorse, che può offrire sul mer-cato: il 51,8% del totale degli “impie-ghi” del sistema bancario italiano av-viene a favore delle imprese, mentre il 28,3% delle risorse vengono destinate alle famiglie (in larga parte sotto for-ma di un mutuo per l’acquisto di un’a-bitazione). Le statistiche aggregate in merito agli “impieghi”, le uniche di-sponibili, non spiegano però “come” vengano utilizzate quelle risorse.

mmagina di aver biso-gno di un prestito di 100 euro. Qual è l’ammonta-re più basso da restitui-re: 105 o 100 più il tre per

cento?”; “immagina che nei prossimi 10 anni il prezzo dei beni raddoppi. Se anche il tuo reddito raddoppia, sarai in grado di acquistare meno prodotti, gli stessi beni di oggi o più di quel che puoi comprare oggi?”. Se non sapete rispon-dere correttamente a queste domande, sappiate di non essere i soli: due adul-ti su tre, in tutto il mondo, sono con-siderati “analfabeti finanziari”, e non sono stati in grado di rispondere alle domande qui sopra, nell’ambito del-la prima indagine globale dedicata al fenomeno, e pubblicata da Standard & Poor’s (vedi a p. 48). Secondo la ri-cerca, l’Italia è il Paese peggiore del G7. Ce ne siamo resi conto verso la fine di novembre del 2015, quando si è fatto un gran parlare di “obbligazio-ni subordinate”. Tra i correntisti di 4 banche fallite (Etruria, Carife, Banca Marche, Cassa di risparmio di Chieti) molti avevano investito in questo tipo di strumento, senza essere al corrente del grado di rischio. Subordinato, in-fatti, identifica il diritto che il titola-re dell’obbligazione può esercitare in caso di difficoltà di chi l’ha emessa, che dipende dalla soddisfazione degli altri creditori. A dicembre 2015 il direttore della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, ha chiesto una norma che ne impedisca la vendita al dettaglio. Agli italiani, che non sono “campioni” di alfabetizza-zione finanziaria.

“I

02CREDITO AL CONSUMO

Chi si indebita, quanto e perché

Quando acquistiamo un bene a rate, che sia una lavatrice o un’auto, chie-dendo un finanziamento tra i 200 e i 75mila euro, stiamo fruendo di “credi-to al consumo”. Tra il 2000 e il 2014, questo tipo di esposizione per le fami-glie italiane è passata da 35,9 a 111,9 miliardi di euro. Nel periodo, l’inci-denza sul totale dei “prestiti” -che comprende anche i mutui- è passata dall’12,8% al 16,1%: questo significa che ci s’indebita di più per acquistare beni durevoli. Nei primi 9 mesi del 2015 le opera-zioni di finanziamento sono state, in totale, ben 124 milioni: due per ogni italiano. Tra le modalità di accesso al credito al consumo vi è la cosiddetta “cessione del quinto”: prevede una rata mensile che non supera il 20% del-lo stipendio o della pensione. Il rim-borso avviene in busta paga o sul ce-dolino della pensione. Dal gennaio del 2012 è in vigore in Italia una legge re-lativa alla “Composizione della crisi da sovraindebitamento”.

714,2Depositi bancari

357,4Risparmio postale

FAMIGLIE E CONSUMI “A CREDITO”

miliardi di euro

35,9

111,9

2000

2014

L’INCIDENZA SUL TOTALEDELLE PASSIVITÀ FINANZIARIE

8,3%

12,3%

2000

2014

miliardi di euro

L’AMMONTARE DEI DEPOSITIDELLE FAMIGLIE ITALIANE

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46

SECONDO TEMPO

05LA BORSA

Chi scommette sul listino di Piazza Affari

La misura del valore di una Borsa è dato dalla capitalizzazione comples-siva delle imprese quotate: a genna-io 2016, quella di Milano valeva 519 miliardi di euro. Le statistiche della Banca d’Italia evidenziano come alle famiglie italiane “non piaccia” investi-re sul listino di Piazza Affari -appena 64,7 miliardi di euro, a fine 2014-. Una delle caratteristiche della Borsa è, in-fatti, la volatilità: tra dicembre 2015 e gennaio 2016 ha perso il 6,6 per cen-to della capitalizzazione; sul sito www.borsaitaliana.it chiunque può verifica-re le performance a 6 mesi o a 1 anno del titolo prescelto, anche se le dinamiche che ne regolano l’andamento sono in-fluenzate da variabili difficili da preve-dere, e non necessariamente legate ad elementi di natura industriale -come il fatturato, un nuovo piano industriale o le evoluzioni attese nel settore di ri-ferimento-. Il 30% delle azioni scam-biate a Milano, dove sono quotate 356 società, nel 2015 fanno riferimento ad appena cinque gruppi, tutti bancari.

03CARTE DI CREDITO

La crescita dei pagamenti elettronici

Nel 2014 in Europa sono state effet-tuate oltre 47 miliardi di operazioni utilizzando come mezzo di pagamento una carta, per un valore complessivo di 2.400 miliardi di euro. Secondo le statistiche diffuse dalla Banca centrale europea, le carte -che possono essere di credito, bancomat (o di debito) e ricaricabili- in funzio-ne alla fine dell’anno erano 766 milio-ni, segnando un aumento dello 0,9% rispetto a quello precedente. In prati-ca, 1,5 per ogni europeo. Quando re-alizziamo un pagamento con carta di credito stiamo chiedendo alla banca di cui siamo correntisti di anticipare per noi una spesa. Il rimborso può avve-nire “a saldo” (ovvero a una scadenza prefissata), ma alcune opzioni offer-te dagli istituti di credito permettono -pagando un interesse- di rateizzare il rimborso di un singolo acquisto, di un gruppo di acquisti o di tutti gli acquisti effettuati nell’arco del mese. Le carte di credito diventano strumenti da ma-neggiare con cura, calcolando gli “in-teressi composti”.

AltreconomiaNumero 181

Finanza

04ATTIVITÀ FINANZIARIE DELLE FAMIGLIE

Le forme di investimento

La ricchezza maggiore delle famiglie italiane è rappresentata dalle abitazio-ni di proprietà, nelle quali sono “im-mobilizzati” oltre 5.500 miliardi di euro (Banca d’Italia, 2015). Valgono poco meno, invece, le attività finan-ziarie, pari a circa 4mila miliardi di euro (ABI, 2016): depurando il dato da biglietti e monete (la somma del con-tante in circolo) e dai depositi, capia-mo quali sono le forme d’investimen-to preferite dai nostri connazionali. Quella prevalente sono azioni e parte-cipazioni, con 954 miliardi di euro su un totale di 2.774. A seguire vengono le assicurazioni sul-la vita, i fondi pensione e il TFR (trat-tamento di fine rapporto), con 807 mi-liardi di euro: compagnie assicurative e fondi pensione sono soggetti che “in-vestono” i capitali a disposizione, per garantirne una remunerazione. I cit-tadini detengono buoni del tesoro per 124 miliardi di euro: i titoli emessi dal-lo Stato per finanziare il “debito pub-blico” sono considerati un investimen-to sicuro.

10,1%Obbligazioni

20,1%assicurazioni ramo vita, fondi pensionee TFR

45,3%Altro

23,8% azioni e parte-cipazioni

miliardi di euro

Capitalizzazione complessiva Borsa italiana (gennaio 2016)

519+ 32 miliardi di euro rispetto a gennaio2015

- 37 miliardi di euro rispetto

a dicembre 2015

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47 Aprile 2016www.altreconomia.it

06IL RISCHIO

I mercati e le regole di trasparenza

Markets in Financial Instruments Directive, MIFID, è il nome di una di-rettiva europea in vigore dal 2007, promossa dalla Commissione con l’o-biettivo di armonizzare la tutela de-gli investitori a livello europeo. Tra gli elementi chiave, la previsione che gli operatori professionali debbano for-nire al potenziale cliente informazioni appropriate, complete, corrette, chia-re e non fuorvianti, e offrire servizi che tengano conto della situazione in-dividuale, in particolare mediante l’a-nalisi del profilo di rischio. Il 3 gennaio 2017 avrebbe dovuto en-trare in vigore la direttiva MIFID 2, che è il frutto di una revisione del-la prima avviata nel 2010, ma con un comunicato nel mese di febbraio la Commissione europea ha annunciato che il termine è posticipato al 3 gen-naio 2018. MIFID 2 punta ad espande-re le regole di trasparenza e maggior controllo anche ai mercati non rego-lamentati (cosiddetti over-the-counter - OTC) ed ai derivati legati ai prezzi del-la materie prime.

08FINANZA GLOBALE

Il gigante finanziario dagli algoritmi d’argilla

Liquidità, efficienza informativa, sta-bilità e volatilità sono i principali pa-rametri dei mercati finanziari “intac-cati” dall’high frequency trading, “una modalità operativa basata sull’im-piego di algoritmi che consentono di acquisire, elaborare e reagire alle informazioni di mercato con una ve-locità elevata” come spiega la Consob, la Commissione nazionale di vigilanza sulle società quotate. Riguarda ormai circa il 40 per cento delle operazioni svolte in Europa, ed è la rappresenta-zione di un modello di scambio rapi-dissimo in cui la redditività è garantita da un volume gigantesco di scambi. È uno degli elementi che fanno dei mer-cati finanziari un “gigante” che vale almeno 8 volte l’economia reale.

552.909Il mercato globale dei derivati OTC(giugno 2015)

miliardi di euro

63.312Il mercato dei contratti derivati future e options (dicembre 2015)

77.845Pil globale (2014)

07LE OBBLIGAZIONI

“Bond”, questo sconosciuto

Le obbligazioni, o bond, rappresenta-no una forma d’investimento, capace di attrarre però poco più del 10% del-la ricchezza finanziaria degli italiani, 436 miliardi di euro, che diventano circa 300 al netto dei titoli del debito pubblico. In media, il tasso d’interes-se riconosciuto è del 2,93%. Se un’a-zienda o un istituto di credito decide un’emissione, significa che ha biso-gno di liquidità (per finanziare il pia-no industriale, ad esempio) e che pre-ferisce “cercarla” senza indebitarsi nei confronti del sistema bancario e senza prospettare agli azionisti un aumento di capitale. Non sempre le obbligazio-ni vengono offerte anche al correntista (il cliente retail): quando questo avvie-ne, devono essere corredate da un ade-guato profilo di rischio, che identifichi anche i potenziali conflitti d’interes-se dell’istituto di credito incaricato di collocare il bond. In molti casi, infat-ti, l’emissione serve a un’azienda per rimborsare un prestito in scadenza nei confronti proprio del soggetto incari-cato di “piazzare” l’obbligazione.

2014/65/EUIl numero della direttiva MIFID 2

Fornisce indicazionisu investimenti e rischio.Sarà in vigore dal gennaio 2018

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SECONDO TEMPO

AltreconomiaNumero 181

Finanza

IN DETTAGLIO

CINQUE DOMANDE PER IL PIANETA ANALFABETA

Quando si parla di “alfabetizzazione finanziaria”, il riferimento è alla capa-cità di identificare tre concetti base, cioè l’inflazione, il tasso d’interesse (semplice e composto) e la diversificazione del rischio. L’istituto di ricerche Gallup ha rivolto cinque domande in merito a questi temi a 150mila perso-ne, un campione rappresentativo di cittadini in 143 Paesi, nell’ambito della prima indagine globale sulla financial literacy, diffusa a novembre 2015 da Standard & Poor’s. La professoressa Annamaria Lusardi, un’italiana, è la direttrice del Global Financial Literacy Excellence Center (http://gflec.org) della George Washington University di Washington, e con Leora Klapper e Peter van Oudheusden della Banca mondiale ha curato il report “Financial Literacy Around the World”, che ne analizza i risultati: “Appena il 37% della popolazio-ne nel nostro Paese è stata in grado di rispondere correttamente a tre delle quattro domande poste nell’ambito dell’indagine -spiega ad Altreconomia-. Siamo i peggiori del G7 (Usa, Canada, Giappone, Germania, Francia, Gran Bretagna, oltre all’Italia, ndr), con una percentuale di alfabetizzazione finan-ziaria ben inferiore rispetto alla media delle nazioni più ricche del Pianeta, che è del 55%”. Alcuni indicatori non danno grandi speranze nemmeno per il futuro: “Per quanto riguarda le economie sviluppate -continua Lusardi- la suddivisione per classi di età dell’alfabetizzazione finanziaria presenta un andamento ad ‘U rovesciata’. Sono i giovani e gli anziani quelli che ne sanno meno; non sappiamo, al momento, se questo sia un fattore legato all’età o generazionale, perché i secondi sono cresciuti in un mondo molto meno finanziarizzato. Nelle economie emergenti, invece, i giovani sono coloro che presentano un dato migliore”. Dall’indagine emergono anche altri numeri significativi: la metà degli americani che usano quotidianamente una carta di credito non sa calcolare adeguatamente il tasso d’interesse; in Francia, il 70% degli adulti non risparmia pensando alla vecchiaia, e solo la metà di questi soggetti può essere considerata “alfabetizzata”; il 63% dei cinesi che possiedono una carta di credito non è in grado di riconoscere concetti come interesse o debito.

Appena il 37% della popolazione nel nostro Paese è stata in grado di rispondere correttamente a poche domande elementari poste nell’ambito dell’indagine “finanziaria” dell’istituto Gallup

09FINANZA ETICA

L’alternativa c’è: da Banca Etica alle MAG

Un emendamento alla legge di con-versione del decreto legge di riforma del credito cooperativo, in discussio-ne alla Camera a marzo 2016, elenca i principi della finanza etica: è quella che svolge una valutazione anche di carattere sociale e ambientale per i fi-nanziamenti erogati a persone giuridi-che; dedica a organizzazioni nonpro-fit o imprese sociali almeno il 30% del proprio portafoglio crediti; non distri-buisce profitti; è caratterizzata da go-vernance a forte orientamento demo-cratico e partecipativo. L’esempio più importante è quello di Banca popola-re etica (bancaetica.it): nata nel 1999, oggi conta oltre 38mila soci e una rac-colta complessiva di oltre 1,05 miliardi di euro. La finanza mutualistica e solidale nel nostro Paese è nata però alla fine de-gli anni Settanta, con l’esperienza -tutt’ora esistente- della MAG, Mutue AutoGestione. Segnaliamo, tra le altre, le esperienze di Mag2 a Milano, Mag4 a Torino e MagVenezia.

869 milioni di euro

GLI IMPIEGHI DI BANCA ETICA

8.128in essere al 31 gennaio 2016

I PROGETTI FINANZIATI

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Aprile 2016www.altreconomia.it

Insieme a “innovazione sociale”, negli ultimi anni il termi-ne aggettivato “coesione sociale” è diventato un riferimen-to d’obbligo nei discorsi pubblici di politici e operatori del mondo del non profit. Senza addentrarsi troppo in questio-ni definitorie -che cominciano ad occupare più di uno scaf-fale di librerie specializzate- possiamo definire la coesione sociale come una situazione in cui i legami tra le persone sono intensi, duraturi e solidali. In altri termini, legami che pongono al centro la fiducia interpersonale. A tal riguardo, i lettori di Altreconomia conoscono bene i gruppi di acquisto solidali (GAS), che sono collettivi di persone che socializza-no la spesa e che acquistano prodotti locali, possibilmente biologici. Spesso, però, si trascura un altro aspetto molto importan-te dei GAS: essi sono anche generatori di relazioni sociali e di fiducia. In altri termini, i GAS producono coesione so-ciale. E lo fanno senza saperlo. Rielaborazioni recenti di al-cuni dati provenienti dal CORES, l’Osservatorio sui consu-mi, reti e pratiche di economia sostenibili dell’Università di Bergamo (www.unibg.it/cores), dimostrano proprio questo: i GAS incentivano la collaborazione, creando maggiori lega-mi di fiducia. L’80% delle persone coinvolte nell’indagine del CORES, e che fanno parte dei gruppi d’acquisto lombardia, ritiene di sentirsi, grazie alla partecipazione al GAS, più ca-pace di collaborare con gli altri. E la capacità di collaborare, che presuppone la presenza di interazioni frequenti e basate sulla presenza di un altro grado di fiducia, è un indicatore di coesione sociale. La produzione di coesione sociale emerge anche da un altro dato: oltre l’80% degli intervistati ritiene che partecipare ai GAS abbia modificato il proprio agire so-ciale attraverso l’adozione di forme di consumo più respon-sabili, il sostegno a produttori locali e la creazione di mag-giori legami sociali. Tutti fenomeni che riguardano da vicino la sostenibilità ambientale e -ancora una volta- la coesione sociale. Attraverso la creazione e il rafforzamento di lega-mi di fiducia, i gruppi di acquisto generano coesione sociale dando vita a nuove forme di partecipazione sociale (ad esem-pio, in occasione degli incontri tra i membri che si tengono perlopiù una volta al mese o in occasione delle distribuzioni

Social Cohesion Days “Più Gas per tutti”. I gruppi d’acquisto solidali producono coesione sociale, alimentando legami intensi e duraturi tra le persone e ponendo al centro la fiducia interpersonale

Paolo R. Graziano insegna Scienza politica e Politica comparata presso l’Università di Padova. È membro dell’Osservatorio per la coesione sociale, www.socialcohesiondays.com

di Paolo R. Graziano

è la percentuale tra gi appartenenti ai gruppi di acquisto solidali lombardi che, grazie alla partecipazione ai GAS, hanno acquisito maggiore fiducia e capacità di collaborare con altre persone

80%

settimanali dei prodotti) e anche politica (ad esempio, attra-verso la promozione di liste civiche che partecipano alle ele-zioni municipali). Tanto la partecipazione sociale quanto la partecipazione po-litica richiedono fiducia negli altri membri della comunità, oltre che nelle istituzioni. I GAS, quindi, non solo sono im-portanti perché promuovono un’altra cultura dell’alimenta-zione (con l’attenzione alla stagionalità, ai prodotti genuini, ai prodotti locali) ma anche -e forse soprattutto- perché for-niscono l’occasione per creare o consolidare coesione sociale all’interno di comunità sempre più fragili. La critica più co-mune che viene rivolta ai GAS è che sono solo per “ricchi”, visti i prezzi (spesso presunti) dei prodotti. In realtà, i “ga-sisti” sono perlopiù donne e uomini dotati di redditi medi, non particolarmente elevati, come sa chiunque abbia fre-quentato i gruppi di acquisto. Insomma, non solo generano fiducia e coesione sociale, ma non hanno costi proibitivi: se lo slogan “più GAS per tutti” fosse realtà, la coesione sociale ne risentirebbe molto positivamente.

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SECONDO TEMPO

AltreconomiaNumero 181

Economie solidali

Testo e immagini di Duccio Facchini

cco, sono arrivate le colombe”. È quasi l’ora di pranzo a Trezzano sul Naviglio (MI), dentro la fabbrica re-cuperata “Ri-Maflow”, e Franco ha da poco finito di scaricare settan-

tasette dolci infiocchettati. Dietro le scaffalature, in un piccolo magazzino, Gina sistema gli scato-loni che li contengono, impilandoli con ordine. Luciana infila delle piccole etichette sotto i nastri colorati: “La farina degli 11 grani è il frutto di una sperimentazione in corso nel Parco agricolo Sud Milano -si legge-, a cura della Filiera del Grano DESR per recuperare vecchie varietà della tradi-zione contadina”. Il DESR è il Distretto di econo-mia solidale rurale attivo nell’area del Parco agri-colo Sud Milano (desrparcosudmilano.it), il cui obiettivo è “difendere la biodiversità e il territorio da asfalto e cemento, emancipando gli agricoltori dalle aziende sementiere multinazionali”. Restano da ritirare ancora 37 colombe, dopodi-ché si potrà partire con le consegne ai gruppi di acquisto solidale (Gas) che le hanno ordinate per Pasqua: questa forma di logistica è un pezzo della rinascita autogestita della Maflow, azienda che in passato produceva anche tubi per condizionato-ri d’auto. Il collettivo dei venti lavoratori anima-to anche da Franco Costa, Gina Iacovelli, Stefano

Quitadamo e Spartaco Codevilla, ne ha immagi-nato prima la resistenza -con l’occupazione e un presidio permanente a seguito del dissesto fi-nanziario lasciato dalla proprietà- e poi la rina-scita -ne abbiamo scritto nel marzo 2013, vedi Ae 147-. Oltre al recupero una parte dei 17mila me-tri quadrati dello stabilimento, destinati al ri-messaggio di camper, a un laboratorio dell’altra economia e a un grande spazio di lavoro condi-viso, da qualche mese Ri-Maflow è entrata a far parte di un “quadrilatero solidale” che affonda le radici nei campi. L’ha fatto con il “progetto col-lettivo” dello spazio “Fuori Mercato” (spaziofuo-rimercato.org/fuorimercato.com), già attivo nel-la distribuzione delle arance biologiche di S.O.S. Rosarno, e che si traduce in un mezzo (il furgone di Franco), un magazzino (da Ri-Maflow) e l’or-ganizzazione dei tre responsabili. È il polo della filiera solidale fondata anche sulla sperimenta-zione quinquennale della coltivazione di 11 gra-ni della tradizione antica (preesistenti cioè alla cosidetta “Rivoluzione verde” dell’agrochimica) indicati sul “petto” di ogni colomba: Mentana, Terminillo, Inallettabile, Frassineto, Gamba di ferro, Marzuolo, senatore Cappelli, Verna, Gentil rosso, Orso, Asita. Sono grani biologici e natu-rali, non trattati e perciò dal glutine “gentile”, in

“E

35I quintali di granella, riferibili a 11 famiglie di grani antichi: sono quelli confe-riti nel 2015 alla Filiera solidale

La filiera biodiversa del grano nel Parco agricolo a Sud di MilanoFARINE E TRASFORMATI -COME PANE E COLOMBE- DISTRIBUITE A UNA RETE DI CONSUMATORI CRITICI

Compie tre anni il progetto del Distretto di economia solidale rurale che coinvolge agricoltori biologici, panificatori, la “logistica” della fabbrica recuperata Ri-Maflow e i giovani reclusi all’interno del carcere minorile Beccaria

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51 Aprile 2016www.altreconomia.it

Le colombe capo-volte nel labora-torio di “Pezzi di pane”, il negozio di piazza Bettini, a Milano, colle-gato al laborato-rio dell’istituto penale minorile Beccaria

grado -come hanno dimostrato gli studi del pro-fessor Giovanni Dinelli dell’Università di Bologna e dell’agronoma Daniela Ponzini di Aiab, che af-fiancano il DESR- di prevenire le malattie dege-nerative dell’intestino.Il percorso è stato sviluppato negli ultimi anni da diversi soggetti, su iniziativa e col coordina-mento del Distretto di economia solidale. Luciana Maroni, del Gas Baggio (www.gasbaggio.it), è una delle due coordinatrici della Filiera del Grano del Distretto (abbiamo scritto dei primi passi nell’a-prile 2013, vedi Ae 149). Nella sala da pranzo di Ri-Maflow, accanto a Vincenzo Vasciaveo del DESR, ripercorre a voce alta le tappe del proget-to: “Il primo obiettivo che ci siamo posti -rac-conta Luciana- è stato quello della difesa del ter-ritorio del Parco agricolo, poi l’intervento ci ha visti difendere anche aziende limitrofe al Parco del Ticino e di un pezzo del lodigiano, sottopo-sti a continue pressioni edilizie e infrastruttu-rali”. I dati dell’Osservatorio del Centro di ricer-ca sul consumo di suolo (http://consumosuolo.org/) sottolineano l’importanza dell’iniziativa del Distretto: “tra il 1999 e il 2007/2009”, infatti, il Parco Agricolo Sud Milano, ha perduto 1.042 et-tari di suolo fertile. Tutela del territorio ma anche “conversione all’agricoltura biologica, sostegno a

una nuova economia fondata sulla cooperazione tra produttori e consumatori critici, costruzione ‘concertata’ del prezzo”. Nel 2015, la filiera del grano del Distretto, che comprende anche il progetto degli 11 grani, ma non si esaurisce in quello, ha assorbito circa un quarto della produzione degli agricoltori biologi-ci coinvolti, 250 quintali di granella su poco più di mille. Di questi 250 quintali, circa 35 sono ri-feribili alle coltivazioni degli 11 grani. È un’evo-luzione continua: “La sperimentazione prosegue -spiega Luciana, scorrendo l’ultimo rendiconto annuale del settore che coordina- e ha consenti-to agli agricoltori di imparare modalità colturali nuove, come la pulizia della granella in vista del-la risemina e dello stoccaggio, la concia biologica del seme per preservare la coltivazione dalla carie e garantire così un prodotto sano al consumo”.I “complici” del DESR, come li definisce bonaria-mente Luciana, sono cinque agricoltori biologici (Cinzia Rocca del Podere Monticelli, Lia Brambilla delle Tre Cascine, Anna Baroni dell’Agriturismo L’Aia, Mattia Zuffada di Cascina Lassi, Luca e Giorgio Sala di Cascina Selva), altrettanti pani-ficatori (Rinaldi a Corsico, Tornaghi a Bareggio, Manzoni a Milano, Bignanimi a Melegnano), “Fuori Mercato” -con il suo servizio di

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52 AltreconomiaNumero 181

SECONDO TEMPO Economie solidali

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logistica per farine, dolci e trasformati-, qua-si 60 gruppi di acquisto solidale e la cooperativa di commercio equo Chico Mendes, che all’ultimo Banco di Garabombo -a Milano durante il perio-do natalizio- ha distribuito 100 chilogrammi di farine degli 11 grani “antichi” e i panettoni fatti con il 25% di questa farina nei laboratori di Buoni Dentro. In occasione del suo primo ordine in ge-stione, nel novembre scorso, “Fuori Mercato” ha movimentato tra i 1.500 e 1.600 chilogram-mi di farine, riso, biscotti e panettoni (il secon-do è in preparazione quando andiamo in stampa). Costruendo quelli che Stefano di Ri-Maflow chia-ma “legami naturali”. Com’è stato quello intessu-to con il quinto dei panificatori coinvolti, un al-tro dei vertici del “quadrilatero”: il forno interno all’istituto penale minorile del Beccaria. Sulla car-ta che avvolge le colombe, infatti, si legge “Buoni Dentro”, il progetto sociale coordinato da Claudio Nizzetto che da quasi quattro anni coinvolge gio-vani ristretti, fornendo loro competenze e nuove professionalità. Al laboratorio interno al Beccaria si è aggiunto il negozio di piazza Bettini (“Pezzi di pane”), aperto a tutti (che distribuisce il pane a 4 Gas), dove Lorenzo Belverato e Giorgio Fumagalli insegnano il mestiere anche a giovani adulti di San Vittore, oltreché del Beccaria. Quando met-tiamo piede nel negozio le colombe sono ancora capovolte, infilate dentro corridoi che le sosten-gono e impediscono di afflosciarsi. È la sintesi di

“Buoni Dentro”, che “non si limita a far panetto-ni o colombe, ma aiuta ad appassionare i ragazzi mostrando loro un’alternativa al contesto delin-quenziale” dice Claudio Nizzetto. Percorrendo al contrario la filiera si giunge fino al Podere Monticelli di Cinzia Rocca (www.pode-remonticelli.it), a Villanova del Sillaro, in provin-cia di Lodi, uno degli agricoltori coinvolti. Prima di dedicarsi al “Podere” -differenziandosi dalla diffusa produzione di latte e carne suina, e dan-do vita tra le altre cose anche ad un’ottima bir-ra, la “Poderina”, con orzo biologico e farro mono cocco- Cinzia ha fatto l’infermiera in ospedale. Dei 40 ettari che compongono la sua tenuta, 3 e mezzo sono coltivati con la popolazione degli 11 grani del progetto coordinato dal DESR. Ai primi di marzo, dopo una pioggia torrenziale, quei ter-reni appaiono come una distesa verde con qual-che punta ingiallita. “Questi grani così vecchi, senza modifiche, o incroci da laboratorio, han-no individuato per loro natura degli strumenti di conservazione”, racconta Cinzia. Si era pensato all’acquisto collettivo di un mulino: 70mila euro d’investimento -con il supporto di Banca Etica-. La Ri-Maflow lo avrebbe accolto nei suoi spazi, garantendo un conferimento agevole agli agricol-tori. L’idea è stata “congelata”, dato che un mulino analogo è stato nel frattempo acquistato da una riseria, ad Albairate (MI). Che potrebbe entrare a far parte della Filiera del Grano DESR.

Cinzia Rocca, titolare dell’a-zienda agricola Podere Monticelli che si trova a Villanova del Sillaro (LO). È uno degli agri-coltori coinvolti nel progetto di Filiera del Grano

60I gruppi d’ac-quisto solidali coinvolti nel pro-getto di logistica “Fuori Mercato” di Ri-Maflow

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Pierpaolo Romani è coordinatore nazionale di “Avviso pub-blico, enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie”, www.avvisopubblico.it

di Pierpaolo Romani

Vent’anni fa, il Parlamento italiano approvava all’unanimi-tà la legge 109, che stabiliva la possibilità di utilizzare per finalità di carattere sociale i beni e le aziende confiscate alle mafie. A quattro anni dalle stragi di Capaci e di Via d’Amelio, grazie alla mobilitazione di un milione di cittadini che de-cisero di firmare la petizione lanciata da Libera, la politica italiana approvò un provvedimento spartiacque nella lotta alle mafie. Finalmente, si era data forma alla straordinaria intuizione di Pio La Torre, sindacalista, parlamentare e au-torevole membro della Commissione antimafia: per sconfig-gere le cosche non occorrono solo la magistratura e le forze dell’ordine. I mafiosi vanno impoveriti e le loro ricchezze il-lecitamente accumulate devono essere restituite alla colletti-vità. I beni confiscati devono diventare beni comuni. Parlare di lotta a Cosa nostra, alle camorre, alla ‘ndrangheta e alla Sacra corona unita, pertanto, significa non solo garantire la sicurezza sui territori, ma anche battersi per assicurare l’e-sistenza e il funzionamento di un sistema economico libero, sano ed efficiente.“I beni confiscati sono diventati palestre di cittadinanza ed occasioni di occupazione; luoghi di dignità e di lavoro” ha affermato don Luigi Ciotti. Essi, per restare nel solco delle parole del presidente di Libera, hanno permesso di porre a fondamento della lotta alle mafie sia lo sviluppo economico che il lavoro educativo-culturale. Sottrarre i beni e le aziende ai boss, trasformarli in occasioni concrete di lavoro, in centri di aggregazione e di formazione, ha dimostrato che le mafie non sono né invisibili né invincibili e che quando lo Stato ri-esce in questa impresa, dimostra concretamente la sua pre-senza, credibilità e autorevolezza. Sono più di 23mila i beni immobili e più di 3.500 le aziende definitivamente confiscate dal 1982 ad oggi, secondo quanto riferito dall’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e con-fiscati. Una dimensione rilevante dal punto di vista patri-moniale, economico e finanziario. Diversi di questi beni, so-prattutto immobili (e quindi terreni) sono utilizzati grazie all’azione portata avanti dagli enti locali insieme alle coo-perative sociali. Molti altri, purtroppo, o non vengono ado-perati o, peggio, sono ancora abitati e usati dai mafiosi. Nel

I beni immobili confiscati alle mafie dal 1982 ad oggi. Le aziende definitivamente sottratte alla criminalità organizzata, invece, sono 3.500. Di queste solo il 2% è in funzione

23.000

caso delle aziende, si registra la maggiore criticità: soltanto 70 sono attualmente in funzione. Serve un cambio di passo nella lotta alle mafie. E, in Italia, questa consapevolezza è partita dal basso, dal mondo delle associazioni e delle forze sindacali. Due anni fa è stata lan-ciata la campagna “Io riattivo il lavoro”, capeggiata dalla Cgil e sostenuta da Libera, Avviso Pubblico e da altre realtà della cosiddetta “antimafia sociale”. Sono state raccolte migliaia di firme a sostegno di una legge di iniziativa popolare che propone di modificare in punti specifici la normativa vigen-te in materia di beni e aziende confiscate. Il provvedimen-to, insieme a quello proposto dalla Commissione parlamen-tare antimafia, è stato discusso in seno alla Commissione giustizia della Camera dei deputati. Ne è scaturito un te-sto unificato che è già stato approvato nel primo ramo del Parlamento italiano. Nelle prossime settimane, forti anche del fatto che il Governo ha recentemente presentato il Piano di azione nazionale sui beni confiscati e le politiche di coesione, è prevista la calendariz-zazione della discussione al Senato. Bisogna vigilare. Le ma-fie sono ritornate ad alzare la testa e i mafiosi non accettano facilmente di essere impoveriti.

53 Aprile 2016www.altreconomia.it

Avviso Pubblico I beni confiscati e il cambio di passo. La legge popolare sul riutilizzo dei patrimoni mafiosi compie vent’anni. Una rivoluzione quasi riuscita

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SECONDO TEMPO Territori

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55 Aprile 2016www.altreconomia.it

Un patrimonionascosto sulle rive dell’Adda

REPORTAGE TRA EX CARTIERE E CANAPIFICI

Il villaggio operaio di Crespi d’Adda è riconosciuto dall’Unesco, ma lungo il corso del fiume -tra le province di Lecco, Bergamo e Milano- ci sono altri insediamenti industriali da recuperare e valorizzare

La navata centra-le della “catte-drale” all’interno della ex cartiera Binda di Vaprio d’Adda, in provin-cia di Milano. È in disuso da 100 anni. L’immobile è in stato di abbandono

Testo e immagini di Duccio Facchini

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56 AltreconomiaNumero 181

SECONDO TEMPO Territori

porte della cattedrale sono sbarrate da teli scuri e bancali. All’ingresso della navata centrale è appoggia-to un cartello con su scritto “Black site”. A terra, tutto intorno, ol-

tre ai calcinacci si calpestano migliaia di pallini di gomma sparati dai ragazzi che qui vengono a giocare alla guerra, a “soft air”. Marco Locatelli, il proprietario, non ha trovato un altro modo per presidiare i 35mila metri quadrati della ex cartie-ra Binda, una sorta di isola raccolta tra il Naviglio Martesana e l’Adda nel cuore di Vaprio d’Adda (MI), e tra i primi insediamenti industriali che si affacciano sul fiume che dà acqua al Serio, a Milano, al Ticino e al Po, che incontra nel lodigia-no. “Questa parte l’abbiamo chiamata cattedrale per le sue tre navate con volte in mattoni e pila-stri in ghisa -spiega Locatelli-. Le macchine erano collocate sotto al pian terreno, dove grandi rul-li muovevano le tre linee della produzione grazie all’acqua che entrava da nord e usciva dalle boc-che più a sud. È in disuso da 100 anni ma i soffitti sono perfettamente integri, nonostante mi abbia-no spaccato i vetri e rubato tutto. Tutto questo a Crespi d’Adda non c’è”. A due chilometri in linea d’aria dall’ex cartiera Binda, infatti, sorge il villaggio operaio di Crespi

d’Adda: è -dal dicembre 1995- nella lista Unesco del Patrimonio mondiale dell’umanità, ed è il più conosciuto tra gli insediamenti industriali che sorgono lungo tutto il corso fiume. Partendo da Nord, tra gli altri, s’incontrano la filanda Abegg a Garlate (Lecco, oggi Museo della seta), la filan-da Molinazzo di Brivio (LC) il setificio Monti di Abbadia Lariana (LC, oggi Museo Civico), il vel-lutificio Velvis di Vaprio, la filanda Fumagalli a Sotto il Monte (BG), la filanda della Rasica a Osio Sotto (BG).

Andrea Biffi, cooperatore sociale, è tra coloro che, nei primi anni 90, hanno contribuito a predispor-re la candidatura di Crespi tra i beni patrimonio dell’Umanità. “Il mio interesse per l’Adda e il suo Parco nasce da un’esperienza associativa dei pri-mi anni 90 che si chiamava Centro sociale Fratelli Marx, una piccola associazione di Capriate San Gervasio (BG) -racconta Biffi-. All’epoca ci scon-trammo con una proposta di piano regolatore per Crespi d’Adda dove si prevedevano nuove co-struzioni, villette, impianti sportivi. Decidemmo di contrastarla, in tutti i modi. Eravamo a co-noscenza dell’esistenza della lista del patrimo-nio mondiale dell’Unesco, e della possibilità di iscrivere nuovi siti. In due anni convincemmo

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Una veduta dell’Adda a Trezzo, in prossi-mità di una cen-trale idroelettrica in uso ad Enel. In alto, il tetto della filanda Rolla

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57 Aprile 2016www.altreconomia.it

l’amministrazione ad abbandonare l’idea edifica-toria, che avrebbe distrutto il genius loci del sito e a sposare quella di tutela e conservazione”.Oggi Biffi presiede la cooperativa Coclea, una “agenzia per lo sviluppo locale sostenibile, la pro-gettazione territoriale partecipata e il fund rai-sing”. Tramite un recente bando della Fondazione Cariplo ha coordinato un progetto di fruizione leggera del Parco, in acqua o in bicicletta, predi-sponendo guide e mappe interattive che illustra-no il patrimonio “sconosciuto” dell’Adda, provan-do a far conoscere quel che c’è al di là di Crespi. “È un itinerario sconosciuto perché quasi tutto non visitabile -spiega Biffi-, e in buona parte di pro-prietà di privati”. È il caso di Vaprio d’Adda e della cartiera acqui-stata da Locatelli, dove il degrado e l’abbandono han fatto sì che il bosco si riprendesse l’affaccio alla riva. Per godere la vista è necessario salire al secondo piano della cattedrale. Le scale in ceppo, però, non ci sono più, rubate pure quelle. Locatelli e la sua “GestEdil” hanno acquisito la cartiera dal gruppo finlandese “Munksjo”, tra il 2010 e il 2011, per un valore compreso tra i 7 e i 10 milioni di euro. Da allora, l’imprenditore edile ha atteso che il cambio di destinazione -da produttivo a resi-denziale- fosse inserito nel Piano di governo del

territorio. Il progetto definitivo, ancora, non c’è, tant’è vero che sul portone all’ingresso è ancora attaccato il pannello di un convegno organizzato nel 2012 dal Politecnico di Milano sulla mai nata “Isola della cultura”. A parole, Locatelli rassicu-ra sul fatto che i volumi esistenti -115mila metri cubi, che in buona parte verranno demoliti perché ritenuti “di nessun pregio”, salvo la cattedrale, de-stinata a eventi musicali o laboratori di artigiana-to- non verranno replicati. In ogni caso, Locatelli ha in testa un intervento che gli permetta quan-to meno di riequilibrare quelli che indica come “i costi finanziari sostenuti a fronte di un’area im-mobilizzata per anni”: almeno 60 milioni di euro.

Questa alternativa “privata” all’obsolescenza e all’abbandono di un patrimonio d’interesse pub-blico è molto simile a quella di Crespi d’Adda. Nell’ottobre del 2013, Antonio Percassi, l’uomo che porterà la multinazionale Starbucks in Italia (vedi Ae 179), ha acquistato, attraverso la holding “Odissea”, lo stabilimento industriale di Crespi d’Adda -90mila metri quadrati tra locali interra-ti e fuori terra e 35mila metri quadrati di bosco- per poco più di 5 milioni di euro. L’intenzione è quella di riunire all’interno dello stabilimento gli uffici delle diverse attività imprenditoriali

L’ingresso di uno degli edifici che compongono il gigantesco complesso dell’ex Linificio Canapificio Nazionale di Cassano d’Adda (MI). È pros-simo a una riqualificazione

1995Il villaggio opera-io di Crespi d’Ad-da, costruito nel 1877, entra nella World Heritage List Unesco

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SECONDO TEMPO Territori

del suo Gruppo, oggi distribuite tra Milano e Bergamo. Secondo una “ipotesi preliminare non formalizzata” (dal Piano di gestione 2014-2018 di Crespi), l’intervento di Percassi interesserebbe circa 36.400 metri quadrati, con “funzioni pub-bliche” non oltre il 15% della superficie.Andrea Biffi e Coclea dialogano con il Gruppo Percassi. “Stiamo cercando di accreditarci come partner locali più importanti per quanto riguar-da i pezzi di ‘economia della cultura’ da inserire all’interno degli spazi -racconta il cooperatore-. La fabbrica culturale di prossimità può rappre-sentare una risposta per il riuso e il riutilizzo di questi luoghi, ma non rappresenta l’intera solu-zione. È triste riconoscerlo ma non si scappa da dinamiche economiche che prevedono quote di residenziale e quote di commerciale. Anche per-ché molti di questi piccoli Comuni che ospitano sul proprio territorio strutture del genere non hanno le risorse per affrontare un problema così complesso”.

Talvolta non hanno le risorse, talvolta hanno in-teressi di altra natura. Per rendersene conto basta percorrere pochi chilometri a Sud di Vaprio lungo la “Cassanese”, fino al gigantesco ex stabilimen-to del Linificio Canapificio Nazionale (LCN) di Cassano d’Adda (MI). “Il complesso si trova accan-to al canale della Muzza, e in passato era destinato alla produzione di cordami e al riciclaggio dei sot-toprodotti della canapa”, racconta Biffi, poco pri-ma di raggiungere il portale d’ingresso. Ad atten-derci c’è Fausto Crippa, presidente dell’Alauda srl, la società edile che nel 2005 ha acquistato dalla famiglia Marzotto tutta l’area: 130mila metri qua-drati, 20 milioni di euro circa. Prima di fare stra-da tra ciò che è rimasto di un insediamento indu-striale in grado di occupare fino a 3mila persone, Crippa cita Alfredo Robledo, già procuratore ag-giunto della Procura di Milano. “La grande paro-la che attira tutti è l’avidità”, gli disse. Qualche anno fa, infatti, venne scoperta una rete d’inte-ressi fatta di tangenti e corruzione che dai palazzi dell’amministrazione comunale guardava (anche) allo sviluppo immobiliare dell’ex Linificio. Sono passati 11 anni dall’acquisto dell’area e Crippa sta ancora aspettando. “Il sito è abbandonato dalla fine degli anni Novanta e i macchinari esistenti sono stati tutti ceduti -racconta-. La nostra idea era di recuperare il più possibile, anche perché c’erano numerosi edifici meritevoli. Purtroppo certe ‘vicissitudini amministrative’ ci hanno un po’ bloccato. È un male nazionale, ma non ho più voglia di parlarne. Quello che più dispiace è vede-re l’avanzata del degrado. Se uno parte con l’idea

di radere al suolo tutto e costruire 400mila metri cubi gli può anche andar bene il degrado, anzi lo vuole. Per noi non era così, la distruzione c’è stata perché non ci è stata data la possibilità di interve-nire puntualmente. Così gli edifici sono crollati e le corderie praticamente sparite. Venivevano rea-lizzate corde destinate ovunque, anche sull’Ame-rigo Vespucci”. A differenza della cartiera Binda di Vaprio d’Adda, il cantiere dell’ex stabilimento in mano a Crippa dovrebbe sbloccarsi (il costo per il recupero dovrebbe aggirarsi intorno a 70 mi-lioni di euro, con 154mila metri cubi di interven-to), visto anche il cambio di amministrazione nel Comune di Cassano d’Adda. A Fara Gera d’Adda (BG), invece, è tutto fermo. I 90mila metri quadrati dei grandi spazi di un altro stabilimento del LCN nel centro del paese sono abbandonati e deserti. Giuseppe Petruzzo, funzionario del Parco Adda Nord a Fara, imma-gina un grande mercato coperto, recuperando lo stabile centrale che si innalza per quattro piani. La proprietà, però, è ancora del gruppo Marzotto -che ha delocalizzato la produzione in Tunisia e Lituania-. Una parte dello stabilimento è stata ri-convertita a funzione residenziale, senza grande fortuna, mentre la centrale idroelettrica funzio-nante è stata ceduta a Luca Gnali, presidente del-la società Adda Energi Srl che ha fatto lo stesso a Crespi d’Adda. Sfrutta l’acqua proveniente da un canale derivato dall’Adda nel 1870 per far funzio-nare la motrice dell’opificio. Dentro la centrale ci sono ancora i vecchi alternatori “Tecnomasio Italiano Brown Boveri” di Milano. È il patrimonio dell’Adda, oltre Crespi, oltre Percassi.

Gli enti che ospitano le strutture sono spesso molto piccoli, e non hanno le risorse per affrontare un problema di recupero così complesso. Così interviene il privato

130mila metri qua-drati: la superficie dell’ex Linificio Canapificio di Cassano d’Adda

15%La percentuale di funzioni pub-bliche secondo il progetto di trasformazione di Crespi elabora-to dal Gruppo Percassi

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Paolo Pileri è professore associato di Pianificazione territo-riale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Che cosa c’è sotto” (Altreconomia, sec. ed. 2016)

di Paolo Pileri

Una dopo l’altra, le Regioni stanno approvando leggi per ri-durre il consumo di suolo. Purtroppo lo stanno facendo senza regia, ognuna come le va. E non tutto va dritto. La Lombardia dal 28 novembre 2014 ha la legge n. 31: “Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per la riqualificazione del suo-lo degradato”. Il titolo è promettente, ma dobbiamo guarda-re dentro per comprenderlo. Occupiamoci delle definizioni (art. 2), perché da lì capiamo tante cose. Vediamone tre. Alla lettera a) si inizia con il definire la superficie agricola che è data dai terreni qualificati dagli strumenti di governo del terri-torio come agro-silvo-pastorali. Primo scossone. Chi conosce la combinazione tra minacce a cui è esposto il suolo e com-portamento ‘allegro’ di molti piani urbanistici, rabbrividi-sce perché qui si sta dicendo che quello che voi vedete come un campo, il piano può legalmente chiamarlo “non-campo”. Basta una linea e due frasi. La prosopopea del diritto (de iure) si impone sulla contingenza del reale, il de facto. Che bisogno c’è di alterare i concetti se non per alimentare il dubbio che mosse così siano più un lasciapassare per chi vuol mettere le mani sopra i suoli, che un atto per tutelarli? Passiamo alla lettera b) dove avviene una fusione a freddo: la superficie ur-banizzata e quella urbanizzabile diventano, di fatto, dei si-nonimi. Sarà una “semplificazione” per qualcuno. D’ora in poi, quando passeggerete fuori città accanto a un prato, sap-piate che se il piano urbanistico ha pensato di urbanizzarlo, solo voi lo vedete prato, perché in realtà è già urbanizzato. Una immobil-dream definition: la legge anticipa i tempi e tra-sforma i sogni immobiliari in solide realtà. Infine la lettera c), quella sul consumo di suolo: il terzo miracolo. Già perché il consumo di suolo è definito come la trasformazione, per la prima volta, di una superficie agricola da parte di uno strumento di governo del territorio. Detta così non sarebbe male, ma ri-cordiamoci che chi decide cos’è una superficie agricola è il piano (lettera a)) e non l’evidenza del reale. Allora potrebbe bastare, un attimo prima, un ritocco al piano per decidere che una certa area non è legalmente agricola e così quando ci si troverà a calcolare il consumo di suolo, il risultato po-trà addirittura essere zero. Capite? È il gioco delle tre carte, anzi dei tre nuovi significati: un attentato non solo ai suoli

In Italia tra il 2008 e il 2013 il suolo consumato ogni giorno è stato di 55 ettari, tra i 6 e i 7 metri quadrati al secondo. Persi per sempre. La superficie nazionale urbanizzata è circa l’11% (oltre 21.000 chilometri quadrati nel 2014), ma l’impatto ecologico e quello paesistico pesano molto di più: il 55% del nostro Paese è già compromesso (ISPRA 2015).

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ma anche al vocabolario. Una volta si diceva “fatta la legge trovato l’inganno”, ma ora neppure quella fatica dobbiamo fare. Tutto ciò è un esercizio di manomissione delle parole e delle azioni e decisioni che seguiranno, e getta tutti noi in confusione lasciando campo libero a chi vuole disfare senza scocciature paesaggi e suoli. Non è forse questa una vera e propria de-regolazione elegantemente vestita da regolazio-ne? Davanti a tutto ciò non basta stupirsi o preoccuparsi, ma occorre indignarsi. E non solo per la legge. Anche il fragoro-so silenzio che ne è seguito è una pugnalata. Troppi silenzi. E questo mi buca letteralmente il cervello. Esiste un principio, quello delle responsabilità differenziate, secondo il quale chi ha competenze e conoscenze e non agisce è più responsabi-le di chi non sa e non agisce. Non possiamo pretendere che i cittadini si rendano conto di come stanno le cose se chi sa smette di fare la propria parte. Se si spezzano le cinghie di trasmissione del sapere critico saranno guai e domani avre-mo novelli scrittori di leggi che si periteranno di dirci che il colore rosso è verde. E noi ci schianteremo al primo incrocio.

59 Aprile 2016www.altreconomia.it

Piano Terra Il suolo e il gioco delle tre carte. Ecco perché la legge regionale della Lombardia sul consumo di suolo non “tutela” -ma “trasforma”- i terreni liberi

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Quando seguiamo un bando noi

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Librerie“C’è sempre la possibilità di comprare un libro su Amazon, ti arriva in un giorno e mezzo e a prezzo scontato. Se scelgo il libraio è proprio per questa sua funzione insostituibile di selezione e proposta di qualità. E questa qualità è ciò che si percepisce anche nella relazione col libraio e fra i lettori: le librerie sono fra i pochi luoghi di una socialità ‘calda’ rimasti nelle nostre città”

Francesco Cataluccio

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INTERVISTA AL GIOVANE ARTISTA CHE SI È FORMATO ALLO SPAZIO “ANGELO MAI” DI ROMA

La trasformazione della produzione musicale vista da un “artigiano” che ha imparato il mestiere suonando dal vivo, lontano dai talent. Con il cuore a Taranto

di PietroRaitano

Antonio Diodato, (al centro): 34 anni, ha inciso due album in stu-dio (E forse sono pazzo, 2013; A ritrovar bellezza, 2014) con molte collaborazio-ni. Tra queste, quella con Roy Paci (accanto a lui nella foto)

Antonio DiodatoStoria di un cantautore

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63 Aprile 2016www.altreconomia.it

ntonio Diodato (o più semplice-mente Diodato) è un artista tra-sparente e solido come la sua voce. Trentaquattro anni, ha alle spal-le due dischi, la partecipazione a

Sanremo e in programmi televisivi, importanti collaborazioni e quasi 10 anni di esperienza. Da un palco all’altro. “Ho imparato la mia profes-sione suonando dal vivo. Oggi può sembrare una cosa di altri tempi, ma reputo sia ancora la stra-da migliore, specie considerando come si muove la musica oggi. Ho iniziato per gioco, come credo sia giusto fare. Poi mi sono trasferito a Roma a studiare e da lì le cose si sono fatte via via più se-rie. Salire sul palco, con una band, ti aiuta a im-parare a usare la voce, a dosarla, e a capire come si cura il rapporto con il pubblico. Tuttavia c’è an-che dell’altro. Quando ho cominciato a comporre ho capito che la musica dal vivo ti dice molto della ‘verità’ delle tue parole. In camera tua magari le cose che scrivi ti sembrano eccezionali, ma è solo sul palco che capisci se davvero ti ci puoi identi-ficare. La mia musica si è plasmata facendo mol-ti concerti, in situazioni anche piuttosto diverse. All’estero mi capita spesso di suonare da solo, chi-tarra e voce. Anche questa è una dimensione im-portante, una questione di sfumature”.

Come componi i tuoi pezzi?AD Il processo creativo parte soprattutto da

qualcosa di intimo e personale. Poi certo è capi-tato anche che in studio di registrazione, tra un pezzo e un altro, si improvvisi con gli altri musi-cisti. A quel punto lavoro sulla melodia, e poi sul testo. A volte può succedere invece di partire non dalla musica. Magari anche solo da una frase, o un pensiero, mentre passeggio per strada. Non c’è un metodo preciso, tutto dipende molto dallo stato d’animo del momento. Quel che conta è poi sapersi distaccare. È importante riascoltarsi e ca-pire se quella è la verità che rappresenta ciò che

volevi dire, se ti ci ritrovi. O se è solo parte di una veemenza che provavi in quell’istante. Ecco per-ché può accadere di non cantare più alcuni brani. Sono cresciuto ascoltando molto musica britan-nica, e solo dopo ho prestato maggiore attenzione alla musica italiana, che da ragazzino avevo stu-pidamente snobbato. Cerchi sempre di scoprire cose distanti ma crescendo ti rendi conto che per quanto tu possa andare lontano con i tuoi ascol-ti, le tue radici musicali apparterranno a sonorità e scrittura tipiche della tua lingua. Entro il 2016 dovrebbe uscire il mio nuovo album: scriverlo è un percorso bello ma molto doloroso. Vuol dire mettere le mani in una ferita. Ci sono un sacco di trappole nella nostra coscienza, quando vogliamo essere il più sinceri possibile.

Come è cambiato il mercato musicale?AD Credo in peggio. La produzione musicale

è ancora legata al supporto fisico, il compact disc, che però non ha più mercato. I big della musica italiana -che con le loro vendite permettevano alle case discografiche di investire su cose maggior-mente di nicchia, di sperimentare- vendono an-che un decimo rispetto a 15 anni fa. Si muovono altre economie: il passaggio a mo-delli di musica “liquida” -come Spotify e Deezer- non riesce a mantenere il sistema, a soppiantare quell’economia. Vedo un paesaggio desolante. Le case discografiche hanno un timore, che capisco: come investire. Si fa molto meno e non sempre in direzione della qualità. C’è chi ha detto che oggi forse Lucio Battisti o Lucio Dalla non sarebbero stati notati. Sappiamo che la Rete dà grandi pos-sibilità, e che il messaggio, se è forte, arriva. Ma Internet è anche piuttosto ingolfato da migliaia di progetti e l’attenzione è calata. Inoltre, i cosid-detti talent hanno creato un problema importan-te, perché è chiaro che una casa discografica -in crisi- preferisce scommettere su un artista la cui promozione te la fa già la tv. A livello artistico

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“Forse si è persa un po’ la forza nella scrittura che c’era negli anni 90. Nelle tematiche trattate leggo meno cattiveria. Peccato, perché questo è un momento in cui si potrebbero dire tante cose”

Il secondo album dell’artista, pub-blicato nell’otto-bre 2014. 10 brani reintrepretati

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64 AltreconomiaNumero 181

TERZO TEMPO Musica

però si tratta quasi sempre di ragazzi molto giovani che ancora si devono formare. Dall’altra parte conosco tanti artisti di livello che però han-no difficoltà ad andare avanti.

Cambia anche la professione?AD Siamo tornati un po’ artigiani. E forse va

anche bene, è ciò che cerco di fare. La dimensione è più familiare, l’attenzione maggiore. Sono con-sapevole che il periodo di magra economica non coincide con la perdita di qualità musicale. Solo, forse si è persa un po’ la forza nella scrittura che c’era negli anni 90. Nelle tematiche trattate leggo meno cattiveria. Peccato, perché questo in real-tà è un momento storico in cui si potrebbero dire tante cose. C’è un po’ di paura, e in parte è anche un’autocritica.

Ha ancora senso parlare di musica indipendente? AD Negli anni 90 essere indie era una scelta di

vita. Io non mi considero tale, anzi detesto le clas-sificazioni, che ghettizzano la musica. Tanti gio-cano su questo, per dare maggior forza alle cose che fanno. Io penso che la cosa migliore sia abbat-tere i confini. Con il mio percorso musicale, anche se molto limitato, cerco di dimostrarlo. L’incontro con Manuel (Agnelli, degli Afterhours, ndr) è sta-ta da questo punto di vista un’illuminazione: una persona umile, con un’apertura mentale sorpren-dente. Mi ha fatto capire che quelle barriere sono stupide, che la musica ti dice qualcosa o non ti dice nulla. Ieri, oggi, domani. Le possibilità sono talmente tante che è inutile chiudersi in steccati.

La musica si sta riprendendo gli spazi pubblici?AD Da anni collaboro con un progetto, che in

realtà è una famiglia: l’esperienza dell’Angelo Mai di Roma (www.angelomai.org). Lì mi sono for-mato come artista. Ho ricevuto tanto, in progetti molto belli. L’Angelo Mai è uno di quei luoghi im-portanti che danno spazio a iniziative che avreb-bero difficoltà a trovarlo altrove. Lotto perché uno spazio come quello sia tutelato: dovrebbe es-sere considerato una risorsa e non un problema. La cultura crea lavoro, muove l’economia, può es-sere un punto di forza in un Paese come il nostro. La cultura ha bisogno di progetti anche più com-plessi, più difficili, spazi dove creare e fare. Non solo musica, anche teatro. La politica degli ultimi anni ha soffocato questo spazi a Roma. Non sono nessuno per giudicare ma a volte provo un senso di frustrazione di fronte all’appiattimento cultu-rale che osserviamo: voluto, deciso, attuato.

Sei nato ad Aosta ma le tue origini sono a Taranto, città dove hai vissuto importanti anni delle tua vita. Sin dal 2013 hai par-tecipato al concerto del primo maggio di Taranto, alternativo a quello romano.AD Ho vissuto a Taranto anni fondamentali,

per i quali mi sento tarantino. Taranto è una cit-tà cui non è stata data una scelta. È stata impo-sta una soluzione col miraggio della risoluzione di tutti i problemi -non solo il polo siderurgico dell’Ilva, sono tante le industrie dell’area-, crean-done di ben peggiori. E non c’è solo l’inquinamen-to, ma un territorio distrutto. Ma l’Ilva è destina-ta a chiudere, non è al passo coi tempi. Possono fare tutti i decreti salva-Ilva del mondo -sono già 9!- e pagare tutte le multe che l’Unione europea erogherà perché l’impianto produce senza esse-re a norma. Ma alla fine non sarà più competiti-va. Si parla della possibilità di convertire le mul-te dell’Unione Europea in fondi per la bonifica a cui lavorerebbero gli stessi operai oggi impegna-ti nella produzione. Sarebbe un’ottima cosa e in questo modo si risolverebbe anche la questione occupazionale.Ma se il destino è questo allora è importante co-struire un’alternativa. Quello del primo maggio per noi non è un festival, ma una manifestazione che si serve del supporto dei musicisti per far ar-rivare un messaggio preciso. E il messaggio è che non è da Paese civile che si muoia per produrre acciaio. Fino ad oggi la manifestazione del primo maggio è stata un vero e proprio miracolo, frutto della determinazione di pochi, con 300mila per-sone ogni anno (questo sarà il quarto) e senza ap-poggi politici o di lobby, finanziata solo dalla gen-te con crowdfunding e donazioni. Tutti gli artisti vengono gratuitamente. Quest’anno la manifesta-zione durerà una settimana intera, dal 23 aprile, e si chiamerà “Riconversioni”: mostre, concerti, workshop, artisti. Un assaggio di come potrebbe essere il futuro sempre.

La prossima manifestazione dell’uno maggio a Taranto durerà una settimana, a partire dal 23 aprile. S’intitola “Riconversioni”

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65 Aprile 2016www.altreconomia.it

Editoria

Rigenerazioni: la riscossa delle librerie indipendentiSECONDO UNA STIMA, I “PICCOLI” LIBRAI ITALIANI SAREBBERO ALMENO 3MILA

Dalla cura sartoriale dell’ambiente al rapporto diretto con i propri lettori. Viaggio da Roma a Milano, da Venezia fino a Caltagirone: le innovazioni vincenti in un mercato asfittico dominato da grande distribuzione e vendita online

di Stefano Zoja

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TERZO TEMPO

AltreconomiaNumero 181

Editoria

libri, quasi tutti di faccia e non di costa, creano disomogenee macchie di colore lungo le pareti. Gli scaffali non hanno etichette e la disposizio-ne dei libri non segue i generi. Resta

spiazzato chi entra da Spazio BK, giovane libreria milanese consacrata alle pubblicazioni illustrate e al visivo. “Il pensiero funziona per associazioni di idee e questa è l’esperienza che abbiamo voluto ricreare: se osservi l’area sulla cucina, puoi trova-re un fumetto che parla di cibo accanto a un sag-gio di Agamben sul gusto e a un libro fotografi-co di ricette”, raccontano Chiara Bottani e Diletta Colombo, 34 e 35 anni, fondatrici di una “libre-ria della pazienza, quella che avremmo desiderato frequentare da clienti”. Dopo un anno di proget-tazione, hanno aperto a dicembre 2012 nel mezzo del rinnovato quartiere Isola. In 50 metri quadri ospitano in media 4mila volumi, a fronte di un as-sortimento di 3.500 titoli. Se un libro ha successo, come è stato il caso lo scorso anno delle 80 copie di Le cose inmisurabili, autoproduzione dell’illu-stratrice Ayumi Kudo, riassortiscono, ma la fles-sibilità è basilare. “Di tanti libri ordiniamo una copia sola”, spiegano, ed è la stessa cura sartoriale che mettono nella definizione dei corsi e dei labo-ratori di artigianato, l’altra attività portante della

libreria. Una doppia anima, una formula ancora in divenire, che ha fruttato una crescita di fattu-rato del 20% all’anno.Siamo alla frontiera del rinnovamento delle li-brerie indipendenti, un universo eterogeneo che l’anno scorso ha dato inattesi segni di ripresa. Secondo l’Associazione Editori (Aie) nel 2015 le li-brerie a conduzione familiare hanno recuperato lo 0,3% sugli altri canali di vendita del libro car-taceo rispetto al 2014. Lo stesso mercato del li-bro, da sempre asfittico, tanto più in questi anni di crisi, ha guadagnato nel 2015 lo 0,7% (vale 1,2 miliardi di euro) e segnato un leggero aumento dei livelli di lettura: 24 milioni di persone leggono almeno un libro all’anno, anche se i lettori forti (sopra i 10 titoli all’anno) sono solo 4 o 5 milioni. La ripresa per le librerie indipendenti è modesta (fatturato +1,8%), ma è molto significativa dopo anni di netto calo: oggi valgono il 31% del mer-cato, nel 2010 erano al 38,8%. Secondo Gianni Peresson, responsabile Ufficio studi Aie, “in re-altà nel 2015 le indipendenti sono andate anche meglio. Il fatto è che, dopo essere passate sotto il rullo compressore delle librerie di catena prima e di Amazon poi, le indipendenti che hanno saputo rinnovarsi oggi sono in buono stato”.Carlo Savarese di Pea Italia, società di promozione

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67 Aprile 2016www.altreconomia.it

libraria, si muove nel mercato dagli anni Settanta: “Per decenni è proseguita una desertificazione delle librerie a conduzione familiare: in un mer-cato povero, non reggevano i costi degli affitti e del personale. Oggi rinascono diverse nuove ini-ziative, anche se spesso molto piccole”. Quante siano le librerie indipendenti è difficile stimarlo, anche perchè aperture e chiusure sono continue. Messaggerie Libri, il più grande distributore ita-liano, e Fastbook, il principale grossista, entram-bi controllati dal gruppo Messaggerie, forniscono una stima ponderata di circa 3mila rapporti aper-ti con librerie indipendenti in Italia.

Carmelo Calì ha 35 anni e gestisce “Libri e bar Pallotta”, sorta a Roma nel 2012, fra i muri che per decenni aveva ospitato un bar sport presso ponte Milvio. Ancora oggi il locale integra la li-breria e un locale. Ma l’intuizione più spettacola-re di Carmelo e della sua collega Carla si chiama Libri a mollo. “Due estati fa ci è venuta l’idea di portare all’aperto alcuni degli incontri che aveva-mo pensato per la libreria”, racconta Carmelo. “Ci siamo accordati con i gestori dello storico chio-schetto del Ponte Milvio, detto anche ‘ponte mol-lo’, zona di movida. Il risultato è stato che persone che erano lì per l’aperitivo si trovavano un piccolo palco e qualcuno come lo scrittore (Premio Strega 2015) Nicola Lagioia che presentava il suo nuo-vo libro”. Visto il successo del 2014, si è struttu-rata la seconda edizione come una vera rassegna estiva: un appuntamento a settimana per tre mesi con scrittori e, talvolta, eventi musicali o poetici. “Tutto questo, insieme al rinnovo di alcune for-mule commerciali, ci ha portato a crescere fra il 5 e l’8% ogni anno”.Un’immagine di qualità e insieme di creatività “è necessaria per qualunque libreria”, dice Romano Montroni, presidente del Centro per il libro e do-cente alla Scuola Librai Uem. “Il mercato è troppo piccolo, i lettori forti sono una nicchia e i mecca-nismi di standardizzazione in questo business non funzionano”. Alla Marco Polo di Venezia la mi-scela di creatività e cultura l’hanno declinata con le serate di lettura su barche storiche. Racconta uno dei tre soci, Claudio Moretti: “Negli ultimi tre anni, assieme all’associazione Il Caicio, abbia-mo organizzato dei Freschi libreschi, che si sono svolti navigando per i canali di Venezia su imbar-cazioni in legno a remi. Gruppi da 4 a 10 persone leggevano ciascuno per conto proprio ciò che vo-levano, poi, in determinati luoghi, ciascuno ave-va l’opportunità di condividere a voce alta con gli altri qualcosa che trovava significativo”. Nata ne-gli anni Duemila come libreria di viaggio di una

trentina di metri quadri, la Marco Polo ha aperto lo scorso settembre un secondo e più grande ne-gozio in campo Santa Margherita, una zona del-la vita notturna. “Da un po’ di tempo crescevamo del 10% all’anno, il mercato c’è e ci vogliamo pro-vare, con le iniziative speciali e sopprattutto con la selezione dei libri. In fondo la parte principa-le del nostro mestiere resta comunque leggere e consigliare”.Francesco Cataluccio, scrittore con un importan-te passato nell’editoria, concorda e collega il ra-gionamento al contrasto fra virtuale e reale: “C’è sempre la possibilità di comprare un libro su Amazon, ti arriva in un giorno e mezzo e a prezzo scontato. Se scelgo il libraio è proprio per questa sua funzione insostituibile di selezione e propo-sta di qualità. E questa qualità è ciò che si percepi-sce anche nella relazione col libraio e fra i lettori: le librerie sono fra i pochi luoghi di una sociali-tà ‘calda’ rimasti nelle nostre città. Del resto, le librerie ben curate sono l’estensione naturale dei libri originali e confezionati bene, anch’essi di grande successo di questi tempi, con buona pace dei tablet”. È d’accordo Alberto Ottieri, ammini-stratore delegato di Messaggerie: “il punto fon-damentale dell’attività dei librai è il rapporto di fiducia con i clienti. Oggi il libraio è un soggetto imprenditoriale forte in grado di fare scelte auto-nome, anche controcorrente”. “Posso dire una parolaccia? La libreria è anche un’azienda, e prima lo capiamo e meglio stia-mo”. Danilo Dajelli, 35 anni, è il libraio di Gogol & Company, nel pieno dello storico quartiere mi-lanese del Giambellino. L’ha fondata nel 2010

Sopra, Carmelo e Carla che gestiscono Libri e bar Pallotta a Roma. A fianco, i tre soci della libreria Marco Polo di Venezia. In apertura, Chiara e Diletta dello Spazio BK di Milano

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TERZO TEMPO Editoria

e oggi la conduce con la compagna, Tosca, e ben nove dipendenti, molti dei quali part-time. Nei 200 metri quadri del locale trova posto un bistrot che porta circa metà del fatturato. Su cibo e bevande, del resto, i margini sono superiori ri-spetto al libro, dove si resta fra il 30 e il 45%: per questo, in tutta Italia, molti librai hanno scelto di integrare la loro offerta con la vendita di altri beni e servizi. “Anche se il nostro assetto si fon-da sul libro, il bistrot è una componente essenziale dell’attività. Libri e cibo cerchiamo di interpretar-li allo stesso modo, nella selezione e nella propo-sta, e di fare sintesi fra loro”. Del resto, tendenze comuni ad altri ambiti del commercio si stanno propagando anche nell’editoria: attenzione alla qualità, scelta diretta, accorciamento della filie-ra. Tra gli esiti spicca una rafforzata tendenza al dialogo fra librerie e case editrici indipendenti, piccole e medie. Un’attenzione reciproca che pas-sa dall’organizzazione di eventi e presentazioni, fino a sfociare talvolta nella fornitura di libri in conto deposito, qualora non sussistano contrat-ti di esclusiva con i distributori tradizionali. “Per il libraio questo significa migliori margini e so-prattutto nessuna esposizione, perché paga solo ciò che vende”, dice Danilo. Diverse case editrici trovano anch’esse convenienza nel dialogo diret-to: “Un rapporto virtuoso con i librai indipenden-ti permette a noi piccoli e medi editori di venire a galla e di essere valorizzati”, spiega Fabio Ferretti, direttore commerciale di Quodlibet. Conferma Alberto Ibba, suo omologo presso la neonata NN Editore: “La relazione diretta ci conduce a lavo-rare di più, ma ci porta visibilità e margini più ampi, aiutandoci a gestire i seri rischi impren-ditoriali che sopportano le piccole case editrici”. Non è sorpreso Alberto Ottieri di Messaggerie: “Il fenomeno in realtà esiste da tempo e non cam-bia il fatto che gli strumenti migliori per leggere l’andamento del mercato a librai ed editori li for-nisca ancora la grande distribuzione. Del resto le librerie sono il nostro primo riferimento e, consi-derando l’efficienza di una distribuzione che può contare su un magazzino di 130mila titoli circa, restiamo una ricchezza per questo mercato”.È un confronto di modelli, sullo sfondo della tra-sformazione delle librerie. Per dirla con la pluri-decennale esperienza di Savarese: “siamo in una di quelle cicliche fasi di caos, di entropia del mer-cato librario, nelle quali cambia tutto”. Rispetto al decennio precedente, il modello ideale della libre-ria di successo è mutato, come spiega Peresson: “si riducono di molto le superfici e soprattutto gli assortimenti presenti in negozio: nell’epoca di in-ternet e degli approvvigionamenti rapidi e mirati,

calano da 70-80mila volumi a meno di 10mila”, lasciando in certi negozi lo spazio per altro: i bi-strot, la vendita del no book, le poltrone e l’arre-do creativo, gli eventi.“In un mercato con queste caratteristiche di ristrettezza, i piccoli non pos-sono fare a meno di autorganizzarsi”, dice Paola Dubini, docente alla Bocconi di Milano ed esperta di economia del libro.

C’è il caso di Letti di notte, manifestazione nata nel 2012 come notte bianca della lettura diffusa, cui hanno aderito molte decine di librerie in tutta Italia. O quello recente dell’applicazione Libricity, imperniata su un motore di ricerca che mette in rete i cataloghi di tutte le librerie aderenti, “e che può rivelarsi in prospettiva una fonte di re-perimento libri più ricca di Amazon”, dice Marco Zapparoli. “L’Italian Book Challenge, invece è il primo caso di autorganizzazione collettiva dei li-brai”, racconta Daniela Alparone, proprietaria di Dovilio, piccola libreria nel centro di Caltagirone. Si tratta di una sfida di lettura patrocinata da una rete di 183 librerie italiane, cui stanno accostan-dosi migliaia di lettori. Lo scopo è leggere più libri possibile, facendosi ispirare da 50 tracce diverse. I librai certificano l’avanzamento di ciascun par-tecipante, nomineranno il loro lettore più forte, mentre a fine anno verrà premiato l’iperletto-re nazionale. “La sfida, che si ispira ad analoghe iniziative straniere, è un pretesto per leggere e divertirci. La particolarità è che l’abbiamo mes-sa in piedi a partire da un semplice gruppo su Facebook, dove, in una trentina di librai, avevamo già cominciato a scambiarci informazioni e consi-gli”. Daniela parla di questo gruppo con gratitudi-ne: “quando alcuni anni fa ha aperto una grande Mondadori qui a Caltagirone, il mio giro d’affari era molto calato. Avevo anche pensato di chiude-re, finchè l’anno scorso mi sono riorganizzata e in novembre ho rinnovato il locale e inaugurato una filosofia più dinamica, fatta di tanti eventi e pre-senza sui social. Nel definire tutto questo i consi-gli del nostro gruppo online sono stati davvero im-portanti”. Da Lecco, con la Libreria Volante, dove è stata ideata l’iniziativa, alla Sicilia di Dovilio e della storica Modusvivendi di Palermo, passando per Le notti bianche di Vigevano, Il mio libro di Milano, la Ghibellina di Pisa e tante altre, il giro si è allargato a quasi duecento librerie. “È la prima volta in assoluto che organizziamo qualcosa del genere”, dice Fabrizio Piazza della Modusvivendi, “e sono convinto che in prospetti-va, se sapremo continuare a coordinarci, potremo cominciare a esercitare anche un certo peso poli-tico e commerciale”.

183librerie indipen-denti si sfidano nell’ambito dell’Italian Book Challenge

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Tomaso Montanari è professore ordinario di Storia dell’arte moderna all’Università di Napoli. Il suo ultimo libro è “Privati del patrimonio” (Einaudi, 2015)

di Tomaso Montanari

Napoli: non c’è città al mondo in cui il rapporto tra le ec-cezionali qualità e importanza storica del patrimonio cul-turale e la sua conservazione e apertura ai cittadini sia così svantaggioso, anzi rovinoso. La cosa è tanto più paradossale se si pensa che il patrimonio, a Napoli, è diffuso capillar-mente: ogni strada del suo gigantesco centro storico, anche la più degradata, è in qualche modo monumentale. In par-ticolare, l’enorme “Napoli sacra”, la cittadella religiosa fat-ta di chiese, oratori, confraternite, conventi, monasteri, in-nerva altrettanto capillarmente il corpo della città: e ne è, in qualche modo, l’anima. Un’anima non solo religiosa, ma ci-vile: la Napoli religiosa di ieri offre alla Napoli civile di oggi un’enorme quantità di spazio pubblico di straordinaria qua-lità. Ma come è possibile rendere di nuovo accessibile que-sto straordinario patrimonio negato, questo cruciale bene comune? Ebbene, dopo anni di inerzia, di incuria, di abbandono, una via si è aperta. Quattro anni fa, nel 2012, un gruppo di la-voratori della conoscenza ha occupato una parte del com-plesso monumentale di San Gregorio Armeno, il monastero femminile benedettino noto in tutto il mondo per la via dei presepi che lo fiancheggia. Già nel Cinquecento quegli spa-zi erano stati destinati ad opificio, e dopo la Guerra Giulia Filangieri di Candida vi fondò un orfanotrofio: da allora, per tutti, quello è l’Asilo Filangieri. Come moltissime altre parti del centro storico, anche l’Asilo venne abbandonato dopo il disastroso terremoto del 1980: e quando, nel 2012, si pensò di destinarlo al Forum delle Culture (un carrozzone grottesco che si tradusse in una vera danza macabra giocata su una città in disfacimento), una co-munità di artisti e intellettuali ne occupò gli spazi. Da allora l’Asilo è resuscitato, diventando un luogo di in-contro, di cultura, di cittadinanza. Nel dicembre del 2015, la giunta De Magistris ha approvato una delibera che consente l’uso civico dell’Asilo, con un apposito regolamento, ispirato alla più eletta dottrina costituzionale. “Gli ‘usi civici’ -vi si legge- sono la più antica forma di uso collettivo di beni de-stinati al godimento e all’uso pubblico (sent. Cort. Cost. n. 142/1972); vi è una stretta connessione fra l’interesse della

collettività alla conservazione degli usi civici e il principio democratico di partecipazione alle decisioni in sede locale (sent. Cort. Cost. n. 345/1997)”. Il regolamento del Filangieri è un’innovazione giuridica, sociale e politica che viene già vista come un traguardo, in Italia e in Europa. In un Paese e in una città in cui la norma è l’esercizio pubblico di interessi privati, l’uso civico dell’Asilo è -diciamolo con le parole con cui Piero Calamandrei, nel 1956, difese Danilo Dolci, che per protestare si era messo a ricostruire una strada pubblica- un “esercizio privato di pubbliche funzioni volontariamente as-sunte dai cittadini a servizio della comunità”. La delibera sull’Asilo garantisce “l’uso consentito a tutti i cit-tadini che attraversano il territorio, e comunque all’intera collettività; il funzionamento in base a processi partecipa-tivi”. Così la Napoli sacra torna a vivere: con una sacralità nuova, quella dell’eguaglianza costituzionale.

69 Aprile 2016www.altreconomia.it

Un volto che ci somiglia Napoli, la rivoluzione dell’Asilo. Una parte del complesso monumentale di San Gregorio Armeno rinasce grazie ad un regolamento sugli “usi civici”

Il refettorio dell’Asilo Filangieri a Napoli

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Ritrovare Narciso 50 anni dopo

È l’estate del 1961, a Brondolo, vicino a Venezia. È la storia di un gruppo di ragazzini quasi adolescenti e delle loro scorribande. Il fratello minore di uno dei protagonisti cerca in ogni modo di farsi accettare dai grandi, seguendoli in ogni occasione, fino al giorno in cui, durante una partita di calcio, Narciso, così si chia-ma il più piccolo del gruppo, sparisce senza far più ritorno a casa. I ragazzini sono scossi dall’accaduto, il paese in un primo momento si mo-bilita per cercare il bambino, ma più passano i giorni e più i cittadini si rassegnano. A distanza di 50 anni, Vittorio -il narratore della storia- farà ritorno nel suo paese natale svelando al lettore il mistero del bambino scomparso. Una favola nera, un libro che spiazza, che parla di violenza, omertà e innocenza perduta.

Antipodi Raffaele NapoliCasasirio, 2015

L’inconfondibile tristezza della torta al limoneAmee Bender Minimum Fax, 2011

La casa della moscheaKader AbdolahIperborea, 2008

Nel regno degli amiciRaul MontanariEinaudi, 2015

La solitudine di un riportoDaniele ZitoHacca, 2013

La resaFernando CoratelliGaffi, 2013

Oceano PadanoMirko VolpiLaterza, 2015

Vangelo Yankee Nicolò Gianelli ‘round midnight edizioni – 235 pp. € 9,00

Nati per lasciar perdereVincenzo Costantino Marcos y Marcos160 pp€ 10,00

L’estate del cane bambinoMario Pistacchio Laura Toffanello 66TH A2ND 218 pp. € 16,00

ON THE ROAD

Quel che disse il cactus

Quattro amici e una strada, la Route 66, che li aspetta. Un libro che inizia dalla fine perché l’autore decide di rac-contarci la storia a ritroso: la storia della ricerca di Kristof Katrakowsky Kazachenko. Nicolò Gianelli riesce a tenere il lettore incollato dalla prima all’ultima pagina. Stringerete un patto con l’autore sin dalle prime righe, accetterete i suoi dialoghi surreali, anche quando sarà un cactus a raccontare cosa sia la solitudine, oppure quando leggerete che dalle acque dello Spring River dipende l’economia di un’in-tera cittadina (i postini vi pescano lettere, i birrai birre, gli spacciatori droga e le ostetriche neonati). Sarete così immersi nella storia e nel suo modo di raccontar-vela che tutto vi sembrerà plausibile. E come ogni viag-gio che si rispetti, non può mancare la colonna sonora che troverete a chiusura di ogni capitolo.

POESIA

Parole come gatti

Un poeta milanese e il suo secondo libro di poesie. Vincenzo Costantino è tornato in libreria dopo il successo di “Chi è senza peccato non ha un cazzo da raccontare” (2010). In questa raccolta, che inizia con due gatti che si contendono la stessa femmina sceglien-do tuttavia di non lottare perché non ne vale la pena, ritroviamo la sua capacità di giocare con le parole, di spogliarle per restituirne il vero senso, per dar loro nuova vita; riesce a trasmet-tere il profumo di ciò che sta descrivendo, il rumore della strada che sta percorrendo, il senso del viaggio.

“Mi interessa l’odore che sento. Mi interessa come quando provi a spacciare gentilezza, ma ormai è tardi la tua storia è arrivata. Mi in-teressa il vento che mi porta via ogni emozione / lascian-domi sepolto da una risata di gioia. / Mi interessa l’arrivo. / Mi interessa il ritorno. / Mi interessa il mentre”.

In breve, sette titoli da non perdereLa pagina dei librai

La libreria di Cristina (che lei chiama “la scatola lilla”) si trova in via Sannio 18. L’ha aperta nel novembre 2010, quando aveva solo 26 anni. “Un sogno che ho realizzato” www.lascatolalilla.it

di Cristina Di Canio, libreria “Il mio libro”, Milano

70 AltreconomiaNumero 181

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Agenda Aprile-Maggio 2016

REFERENDUM

17 aprileVota sì per dire no alle trivellein tutta Italiawww.notriv.com

Il governo ha indetto una consultazio-ne popolare: il quesito è relativo allo sfruttamento dei giacimenti di idrocar-buri in mare, al largo delle coste della Penisola. In particolare, l’unico quesito ammesso (dei 6 presentati) riguarda la durata delle autorizzazioni già rilascia-te per le esplorazioni e le trivellazioni. Nell’ambito del Testo unico dell’am-biente prevede l’abrogazione al comma 17 dell’articolo 6 delle parole “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”. Oggi, infatti, le trivellazioni possono proseguire fino a quando il giacimento lo consente. Al tema abbiamo dedicato il libro “Trivelle d’Italia” scritto da Pietro Dommarco.

NAZIONI UNITE

19-21 aprileAssemblea generale Onu sulle drogheNew York, USAwww.unodc.org/ungass2016

Secondo il World Drug Report 2015 dell’United Nations Office on Drugs and Crime, nel 2013, 246 milioni di persone hanno fatto uso di una droga illecita. Vent’anni fa le Nazioni Unite hanno

dichiarato guerra alle sostanza stupefa-centi, senza successo. A New York verrà discusso un nuovo approccio al fenomeno. Per approfondire, leggi l’articolo pubbli-cato sul numero 178 di Altreconomia, http://bit.ly/droghe-pena

CAMBIAMENTI CLIMATICI

22 aprileParis Agreement, le prime firmeNew York, USA www.unfccc.int

Il segretario generale delle Nazioni Unite ha convocato una cerimonia di alto livello per celebrare le prime firme in calce all’Accordo di Parigi sul clima, quello scaturito dalla Conferenza che si è tenuta tra fine novembre e dicembre nella capitale francese (COP21), e che chiede di contenere l’innalzamento delle temperature globali entro 1,5°C. La raccolta delle firme è aperta fino al 21 aprile 2017.

MOBILITÀ SOSTENIBILE

8 maggioBimbimbicia Napoli, e in tutta Italiawww.bimbimbici.it/

In occasione della Giornata nazionale della bicicletta, il capoluogo campano -nella cornice di piazza Plebiscito- ospi-ta la manifestazione nazionale promos-sa dalla Federazione italiana amici della bicicletta per promuovere l’uso della bicicletta tra i giovani e giovanissimi. Sul sito l’elenco di tutte le città aderenti.

COMMERCIO EQUO

14 maggioWorld Fair Trade Day 2016in tutto il mondowfto.com/events/world-fair-trade-day

“Il commercio equo è un agente di cam-biamento”. Dal 2001, la World Fair Trade Organization promuove -in occasione del secondo sabato di maggio- una Giornata mondiale per diffondere i valori del fair trade, “una soluzione al problema della povertà, uno strumento di sviluppo sostenibile”. In Italia informazioni sul sito internet di Equo Garantito (www.equogarantito.org), l’associazione di categoria delle organizzazioni di commercio equo e solidale italiane.

COMUNITÀ OSPITALI

22 maggioGiornata nazionale dei Borghi autenticiin tutta Italiawww.borghiautenticiditalia.it/

Una grande festa diffusa, promossa dall’associazione Borghi autentici d’Italia (BAI) coinvolgendo i Comuni che fanno parte della rete, in tutta Italia. In programma incontri, convegni, con-certi, degustazioni enogastronomiche, visite guidate. Nel 2015 Altreconomia ha pubbli-cato con BAI il libro “I racconti delle Comunità Ospitali”.

71 Aprile 2016www.altreconomia.it

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Idee eretiche di Roberto Mancini

Accoglienza, restituzione e cammino comune. Queste parole rappresentano l’orizzonte che si delinea agli occhi di chi sa vedere la contraddizione insostenibile costituita dalle migra-zioni forzate di massa del nostro tempo. Parole che indicano il giusto orientamento per il futuro e ridefiniscono l’asse del nostro (peraltro quasi spento) dibattito culturale, politico ed economico. L’accoglienza è il contrario di quel respingimento che considera gli altri, so-prattutto quelli che più sono in pericolo, come bestie, oggetti o entità da ignorare. La resti-tuzione dei diritti è il contrario della continua espropriazione che gli antichi colonizzatori europei fecero e continuano a fare in forme aggiornate. Il cammino comune è quello che si deve cominciare a svolgere quando comprendiamo finalmente che la risposta che sapremo dare al grido dei migranti è la base per la società futura. Il termine “migrazione” è ambivalen-te: da una parte si riferisce a una costrizione insopportabile, che obbliga allo sradicamen-to violento dalla propria terra, dalla casa, dagli affetti, dalla lingua materna, dalla propria identità. Questo fenomeno è il pervertimento orribile del significato autentico del migrare, che come tale è da sempre una dinamica essenziale della condizione umana. Infatti l’esi-stenza di tutti è un viaggio che tende alla sua vera destinazione, non è un esercizio di so-pravvivenza fine a se stessa. Il filosofo e giornalista della Guinea-Bissau Filomeno Lopes, nel suo libro Dalla mediocri-tà all’eccellenza. Riflessioni filosofiche di un immigrante africano (Edizioni SUI, 2015), sostiene che questo vero significato va liberato e realizzato, il che accade quando transitiamo dal paradigma della migrazione coattiva, funzionale agli interessi dei dittatori e degli specula-tori, al paradigma dell’ospitalità. Le migrazioni coattive sono una delle contraddizioni più gravi della società globale e derivano dall’intreccio tra il retaggio del vecchio colonialismo, la complicità di molti governi locali, più o meno dittatoriali e corrotti, e le dinamiche di conquista messe in atto da multinazionali e gruppi speculativi. Di fronte a questa contrad-dizione l’Unione europea e molti governi dell’area reagiscono con l’ottusa politica di chiu-sura delle frontiere e di delega della gestione del problema a singoli Paesi. La nostra politica manca di coscienza etica, di respiro culturale, di fondamenti costituzionali e di progettua-lità. Perciò è urgente la costruzione di una risposta completamente diversa, che preveda: un progetto europeo per l’accoglienza e per il transito sicuro dei migranti dalle loro terre; una politica internazionale, con respiro mondiale e non solo europeo, tendente a guarire le situazioni incancrenite che causano le migrazioni forzate; un progetto di sviluppo della democrazia che, ascoltando le istanze dei migranti, allestisca condizioni decenti di vita per tutti, Paese per Paese. Si dirà che è un’opera immensa e utopica. Provate però, quando vi viene questo scetticismo, a sostituire alla parola “utopia” la parola “scelta”: le cose migliori e giuste che molto facilmente etichettiamo come “impossibili” in realtà possono maturare e accadere purché ci siano persone e comunità che hanno il corag-gio di assumerle a riferimento delle loro scelte quotidiane. In questa prospettiva si capisce che l’altreconomia è una forma di autentica migrazione. Infatti chi vi si impegna deve saper so-stenere la pressione (emotiva e mentale, esistenziale ed economica) e le mortificazioni di chiunque sia in cammino verso la libertà e invece trova una frontiera sbarrata. Qui si tratta dell’esodo dalla trappola mortale dell’economia finanziarizzata verso un’orga-nizzazione economica democratica, mite, equa, rispettosa delle persone e della natura. I soggetti dell’altreconomia devono ascoltare i migranti e riunirsi con le comunità di lavora-tori stranieri residenti in Italia: nel dialogo con loro potremo com-prendere meglio come agire e anche guarire dalla tentazione di arrenderci.

“L’altreconomia è una forma di autentica migrazione: chi vi s’impegna deve saper sostenere la pressione e le mortificazioni di chiunque sia in cammino verso la libertà e trova una frontiera sbarrata”

Roberto Manciniinsegna Filosofia teoretica all’Università di Macerata

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AltreconomiaNumero 181

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Le altre uscite di Altreconomia

Una piccola guida pratica per passare dal dire al comprare, dai gruppi d’acquisto solidali alla finanza etica, dalle parole alle infograficheLe nostre scelte quotidiane possono cambiare il mondo: questo libro raccoglie, seleziona e illustra in modo chiaro le prassi quotidiane di consumo critico -dal cibo ai vestiti, dai cosmetici ai prodotti per l’igiene di casa- e spiega come adottare “stili di vita” responsabili. Una mappatura sintetica ed esaustiva, a partire dai criteri per stilare la nostra “lista della spesa” e ai luoghi dove attendere al rito: i Gruppi d’acquisto solidali, le botteghe del commercio equo e i nuovi mercati contadini. Ma anche le istruzioni per aprire un conto in una banca “etica”, per mantenere un’impronta ecologica leggera, per scegliere energie da fonti rinnovabili e una mobilità slow o per viaggiare in punta di piedi. Tutte le informazioni sulle “reti di economia solidale” per chi vuole impegnarsi in prima persona e 10 infografiche, che permettono al lettore di cogliere, in un solo sguardo, le principali prassi di consumo consapevole.

101 piccole rivoluzioniStorie di buone prassi dal basso e di economia solidale. Paolo Cacciari è il lucido testimone di oltre 100 scenari italiani di post-capitalismo e di cambiamento. Con un testo di Aldo Bonomi

Che cosa c’è sottoIl suolo, i suoi segreti, e le buone ragioni per difenderlo ed essere suoi “partigiani”. Perché il suolo è bello! Paolo Pileri scava nel profondo di questa risorsa così affascinante.

12,00euro

12,50euro

13,50euro

Il bio delle piccole cose

Il consumo critico, con il dono della sintesi

I libri di Altreconomia sono in vendita anche in formato e-pub nei principali store online. Info: altreconomia.it/epub

I libri di Altreconomia li trovi nelle botteghe del commercio equo, in libreria e su www.altreconomia.it Info: [email protected] - Tel. 02.89919890

altreconomia.it/libri

Pagine che profumano di terra e cibo autentico

Non apritequella pappa!Il cibo industriale non è roba per bambini.Un libro dedicato ai genitori attenti che spiega con chiarezza che cosa c’è in vasetti e confezioni e perché possiamo farne a meno.

9,00euro

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