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QUANDO LO SPORT È SOCIALE Progetto finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ai sensi dell’art. 12, c. 3, lett.f, legge n. 383/2000 – Direttiva 2009 Le attività inerenti al progetto sono a titolo gratuito 2 CITTADINI ATTRAVERSO LO SPORT Quando lo sport e sociale 2 CITTADINI LO SPORT ATTRAVERSO

Cittadini attraverso lo Sport 2

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sport con i cittadini

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Progetto finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Socialiai sensi dell’art. 12, c. 3, lett.f, legge n. 383/2000 – Direttiva 2009Le attività inerenti al progetto sono a titolo gratuito

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Via G.Marcora 18/20 • 00153 RomaTel. 06.5840650 • Fax 06.5840564

[email protected]

CITTADINI

LO SPORTATTRAVERSO

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CITTADINI ATTRAVERSO

LO SPORT

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Responsabile progettoAlessandro Galbusera

Responsabile scientifico progettoLaura Bernardini

Content editingMarinella Cucchi

Segreteria progettoAnnamaria Tufano, Elisabetta Salvatore

Responsabile amministrativo progettoDamiano Lembo

Segreteria amministrativa progettoMonica Baffa Pacini

Progettazione grafica e impaginazioneAesse Comunicazione - Roma

FotoUS Acli Agrigento, US Acli Benevento,US Acli Cuneo, US Acli Milano, US Acli PadovaUS Acli Roma, US Acli TrevisoArchivio fotografico US Acli, Flickr

EditoreAesse Comunicazione - Via Giuseppe Marcora 18 - 00153 [email protected]

Progetto finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Socialiai sensi dell’art. 12, c. 3, lett.f, legge n. 383/2000 – Direttiva 2009Le attività inerenti al progetto sono a titolo gratuito

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CITTADINI ATTRAVERSO

LO SPORT

Una scelta per “agganciare” il futuro 5Marco Galdiolo

Documentare è fare memoria 7Nino Scimone

La cosa più bella 9Alessandro Galbusera

Sport laboratorio di cittadinanza 11Elisabetta Mastrosimone

Cittadini attraverso lo sport 14Marinella Cucchi

La questione immigrazione 17Antonio Russo

Nuove culture:una lettura antropologica 28Giovanna Guerzoni

L’attenzione alla salute nei processi di integrazione 38Massimo De Girolamo

Il razzismo nello sport 41Mauro Valeri

Esperienze territoriali 50

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Una scelta editoriale per “agganciare” il futuro

Marco Galdiolo *

are un senso di continuità e cercare di rendere visibile, evidente eleggibile un “solco comune” in ogni cosa che facciamo, costituisce unaltro dei nostri impegni e un’altra nostra scommessa. Gli stessi territo-ri, in più occasioni, hanno esplicitamente richiesto strumenti che favo-riscano la messa a punto della nostra “rete di esperienze”: per viverea pieno uno spirito di condivisione e per riconoscere e realizzare le po-tenzialità di modelli replicabili. L’idea della collana “Quando lo sport èsociale” penso sia nata soprattutto da queste esigenze ma l’opportu-nità di inaugurarla in occasione dell’Assemblea nazionale, l’arricchiscedi ulteriori significati, collocandola a pieno titolo nel panorama più am-pio dei contenuti assembleari e permettendoci così di rifinire il quadrodei principi ispiratori.

I TEMI CHIAVEI temi della sfida educativa, della centralità del territorio, della proget-tualità sportiva e sociale, oltre ad essere i temi chiave della nostra pia-nificazione associativa e quindi ulteriori fonti da cui abbiamo tratto l’ideadelle pubblicazioni, risultano pienamente inquadrati nelle pagine di que-sta collana. Restituendo, tra l’altro, un segno tangibile di quanto emer-so nei diversi percorsi territoriali, di quanto realizzato, di quanto con-seguito e di come vorremmo che tutto ciò diventasse patrimonio comune,oggi e sempre, per uno sviluppo associativo capace di individuare quel-le “tracce di futuro” che concretamente aiutino e favoriscano un impe-gno sempre più appassionato, motivato e competente. Passione, mo-tivazione e competenza che vorremmo trasmettere anche ai tanti vol-ti nuovi e giovani che sistematicamente incontriamo nelle nostre espe-rienze quotidiane.

LE BUONE PRATICHENello specifico, il progetto “Cittadini Attraverso lo sport” introduce e svi-luppa un’ulteriore questione centrale del nostro vivere associativo: lamaturazione di buone pratiche di cittadinanza attiva. Una materia chein questo caso ne “trascina” con sé altre: la responsabilità e la re-sponsabilizzazione, la sussidiarietà, l’accoglienza, la tolleranza, l’inte-grazione, l’universalità del linguaggio e del messaggio sportivo e mol-to ancora. E con un po’ di temerarietà ma assolutamente con irrinun-ciabile tempismo, collega l’intero processo progettuale ad una prospettivadi protocollo informatico, per incidere in profondità là dove non arrivano

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i nostri consueti canali comunicativi; per preservare i “prodotti” realiz-zati e difenderli dalle rapide archiviazioni e per condividere dati e risultaticon l’intero sistema delle Acli. Evitando dispersioni e cominciando a “ca-pitalizzare”, in termini reciproci, le risorse progettuali, umane, elaborativee operative.

UN PASSO AVANTII primi due numeri della collana ci hanno così permesso di custodire lapreziosa avventura di questo biennio, che ci ha visti protagonisti in 27Comitati Provinciali, in 14 Comitati Regionali, con oltre 3000 ore di at-tività e oltre 500 persone coinvolte a più titoli. Le prossime edizioni cipermetteranno di agganciare a queste statistiche nuove analisi, nuoveesperienze, nuove conoscenze e nuove vicende: per vivere i prossimidue anni con l’entusiasmo e la tenacia di chi ha tutta l’intenzione di vo-ler rafforzare il proprio investimento progettuale.Un grazie particolare a chi ha creduto a questa scommessa e a chi ciha permesso di realizzarla. Con la collana editoriale Quando lo sport èsociale, siamo pienamente certi di non aver risolto tutti i nodi della co-municazione interna ed esterna dell’US Acli ma siamo altrettanto con-vinti di aver fatto un decisivo passo avanti.

*Presidente nazionale US Acli

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Documentare è fare memoria

Nino Scimone *

ocumentare è fare memoria, rendere partecipi i nostri associati del-le nostre esperienze, dei nostri progetti; è comunicare e quindi mettersiin relazione con il nostro sistema ma anche con il variegato mondo del-lo sport, con la scuola, con i cittadini. La documentazione diviene perciò risorsa e strumento di collegamen-to con queste realtà per far comprendere il perché di determinate scel-te e attività programmate dall’US Acli. L’idea che sta dietro alla sceltadi pubblicare una collana collegata all’attività formativa dell’US Acli, èquella di concretizzare il percorso più profondo della documentazione:quello del recupero, dell’ascolto, della rielaborazione e della comuni-cazione dell’esperienza.

UN’OFFICINA DI SCELTE E PERCORSILa “comunicazione” materia la cui importanza va di pari passo con lavolontà di cambiare, di avviare nuove forme di dialogo e di relazionecon il territorio, le comunità US Acli, i cittadini. Ogni volume rappresentaun progetto con caratteristiche molto precise. Non ci troviamo di fron-te a “libri” ma ad una “officina” di scelte e percorsi complessi compiu-ti con il rigore, le competenze e la passione di sportivi delle Acli.Senza una comunicazione che abbia al centro il cittadino non si riusci-rà a creare un “percorso di rinnovamento e apertura del mondo dellosport, per la valorizzazione e la promozione della persona e una migliorecomprensione dell’altro.” La prima cosa che si deve avere ben chiara èche se noi non crediamo nei nostri progetti, è molto difficile che lo fac-ciano gli altri. È importante quindi imparare a comunicare questa sicu-rezza, anche nel modo in cui esponiamo chi siamo e le nostre idee. Dare il giusto peso alla presentazione delle nostre esperienze, del no-stro essere aclisti impegnati nello sport, della nostra visione di uno sportche sia “diritto di cittadinanza”, che favorisca l’integrazione sociale an-che in una prospettiva interculturale, è il primo passo per comunicarela nostra professionalità e affidabilità.

*Presidenza Nazionale US Acli - Area Comunicazione

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La cosa più bellaAlessandro Galbusera *

on “Cittadini attraverso lo sport” all’interno di questo secondo vo-lume raccontiamo un’idea, poi diventata progetto ed infine un “fare”del territorio dove l’US Acli ha scelto di rimettere al centro e su sca-la nazionale un tema importante: quello della convivenza intercultu-rale, interetnica e interreligiosa. Ma “Cittadini attraverso lo sport” èanche e molto più di questo. Certamente perché per la nostra asso-ciazione questo è innanzitutto il cuore del mandato che il XIII Con-gresso nazionale di Roma ha consegnato ai dirigenti e alla base as-sociativa dell’US Acli, quale obiettivo programmatico per quattro an-ni di mandato. Certamente perché è un impegno fortemente radica-to nella storia dell’US Acli ma soprattutto perché il tema della citta-dinanza, del diritto ad una cittadinanza attiva, dell’opportunità che atutti deve essere data di essere costruttori della propria vita e dellasocietà che li accoglie, apre a temi e valori che vanno oltre la sola in-tegrazione interetnica e riguardano tutte le “fasce più deboli”: a par-tire dai giovani.

UNO STRUMENTO PER TUTTI“Dare corpo ai diritti di cittadinanza nello sport e attraverso lo sport”.Questo l’obiettivo. Ancora una volta quindi lo sport come mezzo che,grazie alla semplicità e all’immediatezza del suo linguaggio, arriva a tut-ti e si fa strumento per un’azione sociale di sussidiarietà rispetto ad una“ferita aperta” che sta segnando in profondità questi anni. Ancora unavolta quindi per rilanciare “uno sport dal sapore sociale”. Una cosa è sicura: la sola opportunità di poter utilizzare lo sport nonbasta per fare integrazione e il solo impegno dei molti dirigenti dell’USAcli che, con entusiasmo e convinzione credono in questo obiettivo, nonbasta per rendere quotidiana e reale la cittadinanza dei molti che og-gi ancora,rimangono ai margini.

COME “ARRIVARE”?Allora come “arrivare”? Il progetto ha scommesso su quella che è la ve-ra anima e l’ossatura portante della nostra associazione: le società spor-tive. Terminali e “sentinelle” sul territorio del sistema sportivo intero edella nostra US Acli. A loro con questo progetto abbiamo chiesto ungrande impegno e affidato una grande responsabilità: essere luoghi diaccoglienza e integrazione, facendo la stessa identica cosa che quoti-dianamente, da oltre 60 anni a questa parte, fanno tutti i giorni con iragazzi. È questa forse la cosa più bella. Lo sport, lo sport che l’US Aclipromuove, non ha bisogno di artificiosi innesti, di modificare il proprio

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quotidiano o di inventarsi esperti “di”, per diventare luogo di integra-zione: questo modo di vivere e di far praticare lo sport è già fare inte-grazione, con il linguaggio più antico e universale del mondo, quello delgesto e della corporeità.E infine è anche bello quando un progetto non inventa e non imponema cerca di dare corpo e valorizzare qualcosa che tutti i nostri comi-tati e le nostre società già fanno, valorizzare e raccontare il nostro im-pegno è importante e i progetti anche a questo devono contribuire. Mi auguro che “Cittadini attraverso lo sport” sia riuscito ad arrivare eabbia contribuito, magari anche in piccola parte e facendo un primo pic-colo passo, a “dare corpo ai diritti di cittadinanza nello sport e attraversolo sport”. Sono comunque convinto che questa sia la strada perché, ri-spetto a tutto, credetemi: lo sport è un bell’argomento!

*Responsabile nazionale progetti US Acli

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Sport laboratorio di cittadinanzaNELLO SPORT CI SONO ESPERIENZE CHE RAFFORZANO LA CITTADINANZA ATTIVA

MANIFESTANDOSI COME “PALESTRA” DI IMPEGNO SOCIALE PER I GIOVANI E COME

AIUTO AL LORO PROCESSO DI CRESCITA E DI FORMAZIONE DELLA PERSONALITÀ.

di Elisabetta Mastrosimone *

egli ultimi decenni, sempre più pedagogisti, operatori sociali ed edu-catori che si impegnano quotidianamente per la crescita e la formazionedelle nuove generazioni, hanno evidenziato la necessità di individuarepercorsi nuovi per favorire l’integrazione fra quelle diverse culture cheanimano i nostri territori, valorizzandone identità ed origine e contem-poraneamente promuovendo atteggiamenti di accoglienza e compar-tecipazione. In questo scenario, un ruolo decisivo può essere svolto daquelle azioni che mirano a promuovere lo sradicamento del pregiudi-zio sociale in tutte le sue forme.

ALLA SCOPERTA DELL’ALTRODa sempre la pratica sportiva in particolare e la cultura del movimen-to e dell’espressione corporea più in generale, sono strumenti efficaciper la promozione della cittadinanza attiva. L’universalità e l’immedia-tezza del linguaggio del corpo e dei gesti, la piacevolezza del gioco at-traverso il quale si sviluppa lo sport di squadra, la ricerca del confron-to che presuppone la necessità di accettare e rispettare le regole, so-no elementi fondamentali che spingono coloro che praticano lo sportall’incontro e alla conoscenza, alla “scoperta” dell’altro e delle sue pe-culiarità e fanno dell’attività sportiva un’esperienza privilegiata per lacrescita e la formazione individuale e comunitaria, partecipata e re-sponsabile. Oggi di fronte alla crisi generale dei valori e all’emergenzaeducativa del nostro tempo, questi elementi diventano importanti pun-ti di forza per una proposta sportiva che mette al centro la partecipa-zione e la persona anziché la performance, favorendo forme di inte-grazione e valorizzando le diversità.

UNA “PALESTRA” DI IMPEGNO SOCIALEPartecipare all’attività della squadra sportiva, vivere quotidianamente iprincipi della correttezza, del rispetto delle regole del gioco e degli al-tri, sperimentare la solidarietà e la disciplina, sono esperienze che raf-forzano e consolidano la cittadinanza attiva. Quest’esperienza sportivadiventa quindi “palestra” di impegno sociale, offre ai giovani possibili-tà interessanti di impegno e partecipazione alla società e può aiutarli

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in un percorso di crescita e di formazione della personalità in grado diopporsi a quelle sollecitazioni negative che arrivano da un contestoesterno difficile e con scarsi riferimenti di valore. Come emerge chia-ramente dal “Libro bianco sullo sport” della Commissione Europea(2007), lo sport può facilitare anche l’integrazione sociale dei migran-ti e delle persone d’origine straniera sostenendo il confronto interetni-co e interculturale. Le indicazioni esaltano per la prima volta l’impor-tanza dello sport nella vita quotidiana e la sua funzione strategica nel-le politiche di dialogo, di integrazione e di lotta contro ogni discrimi-nazione e razzismo.

L’INCONTRO CON LA DIVERSITÀL’esperienza della mobilità, così frequente nei nostri territori, ci pone insituazione di incontro continuo con il “nuovo”, con la diversità, solleci-tando una costante attenzione a fenomeni sociali come la multicultu-ralità. Lo sport che coinvolge i cittadini indipendentemente da genere,razza, età, disabilità, religione e convinzioni personali, orientamento ses-suale e provenienza sociale o economica; lo sport che promuove unsenso comune di appartenenza e di partecipazione, può essere alloraanche un importante strumento d’integrazione dei cittadini stranieri nelnostro paese. Per questo è importante mettere a disposizione spazi perlo sport e sostenere le attività di pratica sportiva affinché immigrati esocietà di accoglienza possano interagire positivamente.In una società sempre più complessa, multietnica e multiculturale, l’in-tegrazione è la vera grande sfida del nostro tempo; una sfida che ri-chiama la responsabilità di tutti, dalle istituzioni ai singoli cittadini, dal-le associazioni alle forze sociali, perché a tutti chiede di ripensare e ri-disegnare nuovi scenari di convivenza civile. Perché l’inclusione e la coe-sione sociale si traduce in un percorso di maturazione culturale, di su-peramento delle paure, delle incertezze e di riconoscimento della di-versità quale elemento e patrimonio comune da mettere in gioco a par-tire dai giovanissimi.

FAVORIRE L’ACCESSO ALLO SPORTOggi è più che mai indispensabile diffondere nel tessuto sociale un’im-magine positiva degli immigrati come soggetti propositivi, portatori dielementi culturali che non minacciano la nostra identità. Nel nostro ter-reno di iniziativa lo si può fare facilitando l’accesso allo sport ed ai luo-ghi dello sport soprattutto a chi generalmente ne viene escluso o an-che a chi oggi rischia di allontanarsene per le oggettive difficoltà eco-nomiche. Questo percorso di rinnovamento e apertura del mondosportivo si concretizza lavorando e impegnandosi a valorizzare e a pro-muovere ogni persona, a favorire una migliore comprensione dell’altroattraverso la personalizzazione delle proposte sui bisogni e la cono-

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scenza diretta delle pratiche sportive e del tempo libero in uso pressoi paesi di provenienza delle comunità di immigrati.Sostenere attraverso lo sport, l’integrazione sociale dei cittadini immi-grati, vuol dire oggi anche sperimentare la realizzazione di percorsi asupporto della crescita di associazioni sportive integrate capaci di pro-muovere e organizzare attività per e con immigrati e autoctoni. Da tut-to ciò deriva che è ormai inevitabile intersecare lo sport di cittadinan-za con le politiche sociali; ne deriva poi una comprensione più netta diquanto questo sport sia ormai elemento fondamentale di un nuovo si-stema di welfare pro-motore di sviluppo sociale.

PRESUPPOSTI DI CONVIVENZA CIVILE“Cittadini attraverso lo sport” è un progetto tutto interno al compito del-l’US Acli di promuovere uno sport come laboratorio di cittadinanza at-tiva, impegnato alla promozione di un sistema sociale integrato, in gra-do di creare i presupposti di una convivenza civile e costruttiva. In que-sto contesto l’azione educativa è veicolo fondamentale per la diffusio-ne dei valori di uguaglianza, di accoglienza, di partecipazione consa-pevole e di crescita comune. D’altra parte lo sport proprio perché fe-nomeno di massa, coinvolge, trascina, semina e stimola, mettendo inluce tutte le meravigliose potenzialità dell’uomo, favorendone la sua cre-scita globale.La proposta dell’US Acli attraverso la pratica ludico-motoria e sportiva,le manifestazioni, i progetti, le campagne, la formazione, promossi quo-tidianamente sul territorio, si concretizza nella sensibilizzazione e nel-la promozione di attività rivolte a soggetti di ogni età e di ogni condi-zione - immigrati inclusi -, con percorsi educativi,formativi e culturali chefavoriscono pari opportunità e prevengono ogni forma di esclusione. Da-re corpo ai diritti di cittadinanza nello sport e attraverso lo sport vuoldire far sì che questi diritti diventino realmente esigibili.

* Responsabile area welfare US Acli

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Cittadini attraverso lo sport

FINANZIATO DAL MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI

(EX LEGGE 383/2000), QUESTO PROGETTO PUNTA A FAVORIRE

ATTRAVERSO LO SPORT, LENTI MA PROGRESSIVI PROCESSI DI INCLUSIONE SOCIALE

DEI CITTADINI IMMIGRATI.

Marinella Cucchi

DIVERSITÀ E UGUAGLIANZAFinanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, questo pro-getto dell’Unione sportiva Acli incrocia la lunga esperienza dell’asso-ciazione quale soggetto promotore di sport per tutti e di tutti con la real-tà dell’immigrazione: fenomeno spesso ancora avvertito dai cittadini edalle istituzioni – soprattutto di fronte a situazioni ripetute e partico-larmente gravi - come una questione d’emergenza, circoscritta quindiunicamente ad un problema di costi e di ordine pubblico.Tuttavia è ormai un fatto che l’Italia si stia oggi sempre più trasfor-mando da antico paese di emigranti, in terra d’approdo per immigrati:persone che hanno scelto e scelgono di partire per avere l’opportuni-tà di migliorare la propria vita e persone obbligate a migrare per mo-tivi politici, per fuggire da guerre o da condizioni di forte rischio per-sonale. Nel primo caso c’è più propensione ad integrarsi; nel secondosi tende a rimanere più legati alle proprie tradizioni e al proprio paesedi origine. Nell’un caso o nell’altro, l’integrazione tra persone di etnie,culture, riferimenti valoriali e religiosi diversi, si pone attualmente a tut-ti come sfida aperta: la posta in gioco è quella di una società multiet-nica e multiculturale – i cui segnali sono già ampiamente evidenti in Ita-lia - che collochi “diversità” e “uguaglianza dei diritti” come binomio ine-ludibile alla base di nuove forme di convivenza civile.

LA SOSTENIBILE “LEGGEREZZA” DELLO SPORT Con “Cittadini attraverso lo sport” l’US Acli ha voluto rilanciare uno deisuoi obiettivi fondamentali: quello di esercitare nello sport l’accoglien-za e la cura delle persone, progettando e portando avanti iniziative checontrastino, là dove si presentano, l’esclusione, la discriminazione,l’emarginazione sociale di quanti vivono situazioni di difficoltà e di fra-gilità. Anche di chi sperimenta la condizione di immigrato sia tempo-raneo sia di prima o di seconda generazione. Nel caso dell’immigrazionesoprattutto, accogliere è diverso da tollerare, è molto di più che vive-re fianco a fianco ignorandosi senza cercare occasioni di incontro e direlazione; è diverso dal riconoscere pari dignità a chi è “straniero” nelnostro paese, restando in attesa che si assimili a noi, che diventi come

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noi siamo. Accogliere è la premessa di ogni processo di integrazione daintendere come grande occasione anche per noi, con la consapevolez-za di aver molto da imparare nell’incontro e nello scambio con l’altro.Di fatto, nel progetto dell’US Acli, “scambio” e “incontro” sono parolechiave sorrette dalla convinzione che lo sport sappia e possa essere unodegli strumenti per contribuire a costruire una società integrata, plu-rale e solidale; un mezzo leggero per intrecciare quella rete di rappor-ti tra territori, tra culture, tra genti diverse che, nel nome del gioco edi un corretto confronto sportivo, mobilitino un comune senso di ap-partenenza; un efficace canale di comunicazione e di visibilità di nuo-vi soggetti e di nuovi bisogni.

PERCORSI INTEGRATI, IN RETE CON LE ACLIFin dal suo avvio “Cittadini attraverso lo sport” coglie l’opportunità dimettersi in rete con diverse componenti delle Acli e in special modo conquelle più immediatamente di servizio (come ad esempio il Patronatocon i suoi sportelli immigrazione) che sul territorio promuovono e tu-telano diritti e dignità di quanti sono in situazioni di difficoltà e di bi-sogno. Con questa marcia in più che consente percorsi integrati, nonsettorializzati, il progetto - pensato e formulato per consolidare o apri-re nuovi spazi in grado di proporre l’attività sportiva come pratica spe-rimentata e affidabile di inclusione e come processo di educazione al-la differenza - si muove su più piani. Il punto di inizio è l’esperienza quo-tidiana dell’associazione che rileva situazioni dove per praticare sport igiovani immigrati si inseriscono in squadre locali o formano squadre pro-prie, qualche volta omogenee, qualche volta più eterogenee sul pianodella nazionalità di origine dei loro componenti. Sono gruppi coesi ma spesso isolati e con loro, in pressoché tutti i ca-si, la proposta dell’US Acli trova riscontri sorprendenti.

UN PROGETTO ARTICOLATOLe realtà territoriali dell’associazione che accettano di sperimentare ilprogetto, avviano una serie di incontri: per favorire dialogo e scambiodi conoscenze iniziando dalle pratiche sportive in uso nei paesi di pro-venienza; per approfondire i temi del gioco di squadra, del fair play, delrispetto delle regole e dell’avversario; per offrire le informazioni ne-cessarie alla costituzione di una propria associazione sportiva in formastabile e autonoma ed anche quelle per far “vivere” i propri diritti di cit-tadinanza nel nostro paese.Incontri che non si fermano qui ma che acquistano un significato pie-no nella apertura alla vita associativa dei comitati provinciali e delle as-sociazioni sportive dilettantistiche dove “conoscersi” passa anche at-traverso serate, stages, allenamenti. E naturalmente, grande privilegiatolo sport, con l’organizzazione congiunta (associazioni sportive italiane

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e di immigrati) di tornei e gare nelle discipline sportive praticate sul ter-ritorio italiano e in quelle tipiche dei paesi d’emigrazione. A questa fa-se è legato un concorso fotografico quale strumento utile a sostenerel’interesse verso il progetto e a restituire e divulgarne le attività. Ele-mento importante di “Cittadini attraverso lo sport” è quello relativo al-la tutela sanitaria e alla prevenzione dei possibili rischi di chi fa sport,attraverso una visita medico sportiva completa degli immigrati parte-cipanti per garantirne l’idoneità alla pratica. Al di là di questo aspettolegato alla sicurezza e previsto dalla legge, è un passaggio importan-te verso l’acquisizione di consapevolezza che la salute è un diritto e diconseguenza del proprio diritto alla salute.

VERSO LA CITTADINANZA SOCIALEPunto clou del progetto la promozione di gemellaggi tra le nuove as-sociazioni e quelle già esistenti con lo scopo principale di facilitare l’in-tegrazione dei gruppi sportivi delle comunità migranti. L’iniziativa del ge-mellaggio ha in sé l’elemento formale della sottoscrizione di un proto-collo di impegni e di collaborazioni e l’elemento simbolico della visibi-lità di un riconoscimento concreto nel contesto sociale e istituzionale:un piccolo passo anche verso la diffusione, a cominciare dal mondosportivo, di un immagine propositiva degli immigrati in contrasto conpersistenti stereotipi e pregiudizi. Il progetto, promuovendo un ap-prendimento delle pratiche di cittadinanza attraverso la condivisione diluoghi e di attività comuni, può sostenere * ed è uno dei suoi obietti-vi più qualificanti * l’avvio di un altro percorso: quello che partendo dal-l’acquisizione del diritto di cittadinanza nello sport dei cittadini stranie-ri, contribuisce ad un futuro riconoscimento del loro diritto ad una pie-na cittadinanza sociale.

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La questione immigrazione

LA CONSIDEREVOLE PRESENZA DI IMMIGRATI IN ITALIA CI RESTITUISCE L’IMMAGINE

DI UN PAESE PROFONDAMENTE CAMBIATO NEL QUALE GIÀ OGGI VIVONO POTENZIALI

“ NUOVI ITALIANI “IN ATTESA DI UN FORMALE RICONOSCIMENTO GIURIDICO CHE LI

RENDA CITTADINI A TUTTI GLI EFFETTI.

Antonio Russo *

a considerevole presenza di immigrati in Italia ci restituisce l’imma-gine di un Paese profondamente cambiato nel quale già oggi vivono po-tenziali “ nuovi Italiani “ in attesa di un formale riconoscimento giuri-dico che li renda cittadini a tutti gli effetti e non italiani dimezzati. Chisono? Quanti sono? Quanti saranno nel prossimo trentennio? Supere-ranno nel 2050 a Milano, come annunciato da una recente ricerca del-l’Ismu, i milanesi? Che domande pongono al nostro Paese? Come stacambiando l’Italia grazie alla loro presenza?

PREMESSA: QUALE DISCORSO POLITICO SULL’IMMIGRAZIONE OGGI?Quando si affronta il dibattito sull’immigrazione si ha sempre la nettasensazione di una cronica arretratezza. La dinamica di una società co-me la nostra che si rinnova e si apre lentamente alla ricchezza della di-versità, risente infatti di un colpevole ritardo della politica che continuaa rimandare le scelte strategiche o in talune circostanze a peggiorareun quadro legislativo già di suo anacronistico. Tutto questo mentre ilPaese è attraversato da grandi trasformazioni sociali e antropologiche.Un primo dato per tutti: oggi sono presenti in Italia 191 etnie e si par-lano 100 lingue diverse con tutto quanto ciò significa e comporta. Mabenché il nuovo scenario richiederebbe una più approfondita com-prensione del fenomeno, “gli addetti ai lavori” piuttosto che fare lo sfor-zo di capire per poter meglio accompagnare e governare questi processisociali, politici e culturali, reagiscono proponendo e riproponendo po-litiche che solo con un eufemismo qualifichiamo come “difensive”. Noi crediamo che, al contrario, l’Italia debba al più presto dotarsi di po-litiche strutturali e di una legislazione capace di guardare oltre il con-tingente liberandosi da quella che più volte in questi anni abbiamo de-finito “ la sindrome dell’assedio”. Circa cinque milioni di immigrati og-gi interrogano il Paese invitandolo ad accettare la sfida dell’immigra-zione come un’opportunità di incontro culturale e, perché no, come pos-sibilità di crescita economica.Per fare questo però bisogna liberare il dibattito da un pensiero sem-plificato che riduce il fenomeno migratorio ad un problema di sicurez-

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za, e puntare a tenere aperta, nella ordinarietà della vita politica e so-ciale del Paese, la discussione sul tema dell’immigrazione come temadi rilevante importanza nella discussione sul futuro delle nostre comu-nità e dell’Italia dei prossimi 150 anni. Occorre ribadire che vi è oggi in Europa e, soprattutto nel nostro Pae-se, l’urgenza di politiche lungimiranti capaci di guardare oltre il contin-gente e di modificare il quadro legislativo nazionale e quello delle Re-gioni per renderli più adeguati alla complessità del fenomeno. Per le Aclil’auspicio è che si apra una stagione di riforme rivolte prioritariamentealle grandi questioni che l’immigrazione ha aperto: - il riconoscimento giuridico- formale del diritto di cittadinanza, attraver-

so una modifica della legge 91 del 1992 e l’introduzione del principiodello jus soli o jus domicili. Questa riforma se accolta consentirebbe atutti i bambini nati da genitori stranieri in Italia ( ad oggi circa 1 milio-ne) di divenire cittadini italiani. Nel contempo dovrebbe agire sui tem-pi di attesa per l’ottenimento del diritto, restringendoli da 10 a 5 anni;

- il riconoscimento del diritto di voto attivo e passivo alle elezioni am-ministrative per chi risiede in Italia ininterrottamente da 5 anni;

- l’avvio di procedure trasparenti e veloci per il riconoscimento della cit-tadinanza italiana e per il rilascio dei permessi di soggiorno;

- l’introduzione del permesso di soggiorno per ricerca di lavoro;- la facilitazione di politiche familiari a favore degli immigrati attraver-so una promozione dei ricongiungimenti;

- il potenziamento delle politiche di integrazione culturale e scolastica,soprattutto a favore delle seconde generazioni, anche attraverso unPiano nazionale per l’apprendimento della lingua italiana, articolato neidiversi livelli territoriali (anche per scongiurare la possibilità che l’ac-cordo di integrazione diventi un ostacolo al riconoscimento del per-messo di soggiorno);

- la possibilità per i giovani immigrati di accedere all’anno di servizio ci-vile volontario;

- il ripristino del Fondo per l’inclusione degli immigrati;- la lotta alla tratta delle donne e dei bambini come priorità assoluta (so-no quasi mille nel nostro Paese i minori vittime di questa deplorevo-le pratica e tra questi i più colpiti sono i minori stranieri non accom-pagnati), attraverso la promozione di servizi di accoglienza per le don-ne vittime della tratta e il sostegno ad iniziative promosse dalle strut-ture pubbliche e del privato sociale atte ad intercettare le situazionidi sfruttamento;

- la lotta allo sfruttamento lavorativo attraverso l’intensificazione dei ser-vizi ispettivi e della modifica della normativa sui permessi di soggiorno.

Non meno importante per quel processo di cittadinanza sociale degli im-migrati sarà nei prossimi anni il ruolo degli Enti locali e l’orientamentodelle politiche di welfare. La riforma in senso federale dello Stato, av-

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viata nel Paese, può agire positivamente sul processo di incontro di cit-tadini e cittadinanze plurali se si consoliderà una volontà politica posi-tiva, se la scelta di tutte le politiche sarà orientata non più e non soloai cittadini italiani, ma a tutti i cittadini che vivono e contribuiscono al-la crescita del nostro Paese.Occorre soprattutto che si affronti in termini di giustizia, pari opportu-nità ed efficienza, il tema dell’accessibilità al sistema di welfare locale peri cittadini stranieri, l’accesso al diritto di residenza, agli asili nido dei bam-bini stranieri, alla scuola, alla casa, ai servizi socio sanitari, alla parteci-pazione alla vita pubblica e alla qualità di vita nella periferie urbane.

INTERCULTURA E IDENTITÀIl fallimento dei vari modelli di multiculturalismo sperimentati in Euro-pa, da quelli di stampo separatista a quelli di tipo assimilazionista o co-munitarista, spingono a pensare una via italiana alla convivenza tra leculture, le etnie e le religioni. L’Italia può trarre dalla sua grande sto-ria di emigrazione insegnamenti preziosi per non commettere errori cheavrebbero ricadute storiche sulla nostra società che è, già oggi, plura-le e interetnica e sta sperimentando, nella ricchezza del confronto e avolte persino nel conflitto, un nuovo modello di convivenza. Sebbene l’esasperazione dell’idea di identità nazionale abbia prodottotante negazioni della giustizia e della libertà nei rapporti storici tra i po-poli, questo non vuol dire che l’identità sia votata a sparire: nessunacollettività nel mondo potrebbe rinunciare a quelle che ritiene le sue vo-cazioni nazionali, ma ogni identità collettiva è aperta e non ha futuroche in questa apertura e nella relazione con l’altro.Non è accogliendo gli stranieri con le loro differenze e persino con leloro difficoltà che una comunità si snatura, al contrario si accresce e sicompleta.

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La sfida è un modello italiano di intercultura, un modello avanzato diintegrazione che arricchisca il concetto di cittadinanza legale, giuridicae sociale con la dimensione della cittadinanza simbolica, intesa comequel “vestito culturale e antropologico di cui è permeata ogni persona”che fa sentire a casa ovunque ci si trovi a vivere.L’Italia del futuro è un Paese in cui si incontrano civiltà e culture e, aldi là delle questioni più o meno semantiche, costruiscono una società“plurale e decente” la sola che può rispondere ad una vera sfida de-mocratica a partire da una diversa concezione del riconoscimento deldiritto di cittadinanza che oggi interroga alle radici la comunità mon-diale. Cos’è oggi il diritto di cittadinanza nel quale è riconosciuto il li-vello di appartenenza più alto ad una comunità? Ha ancora senso, og-gi, parlare di cittadinanza come di un monolite, inamovibile, rigido, chiu-so nelle regole di Paesi profondamente cambiati, o invece il terzo mil-lennio apre alla sfida della cittadinanza universale come cittadinanza pri-maria per la quale ogni donna e ogni uomo nascendo acquisisce glistessi diritti e doveri di ogni altra donna e di ogni altro uomo nel mon-do secondo quanto stabilito nei principi contenuti nella Convenzione deidiritti umani del ’48?Se immaginiamo di risolvere i problemi sociali, spesso prodotti dalla in-capacità della politica e dei governi di individuare scelte corrette ca-paci di agevolare reali processi di integrazione, o riteniamo di asse-condare le paure della gente a volte infondate, quanto non artata-mente costruite, per aumentare lo share di gradimento politico, stia-mo compiendo un’azione politicamente irresponsabile e umanamentedeplorevole.È necessario convincersi che l’immigrazione non è un inciampo dellastoria ma un processo di reciproco arricchimento e che nell’orizzon-te nuovo con il quale siamo chiamati a confrontarci, nel pluriverso dicui siamo parte, uno scompenso creato in termini di sottosviluppo edi povertà a Nairobi, ha le sue ricadute su New York. Che tutto il mon-

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do diventa sempre più casa di tutti e il suo equilibrio passa attraver-so l’equilibrio di tutti e la capacità delle comunità di sapere accoglie-re e ospitare. Forse basterebbe la narrazione di chi è emigrato, o di chi lo è stato, aspiegare che tutte le migrazioni hanno lo stesso volto che racconta dipovertà e di genio, di miseria e di dignità. Forse sarebbe più facile com-prendere che nell’accoglienza dell’altro e attorno a valori condivisi pos-sono nascere nuove città e consolidarsi nuove cittadinanze e una Pa-tria comune fondata sulla credibilità delle istituzioni, sulla legalità, sul-la giustizia e sull’accoglienza.

PARTENDO DALLA REALTÀPartire dai dati che caratterizzano il fenomeno migratorio nel nostro Pae-se è indispensabile per avere chiare le concrete dimensioni del feno-meno, altrimenti si rischia solo di soffiare sul fuoco di paure metropo-litane che poi qualche abile politico strumentalizza. Ma è doverosa una premessa: dietro queste cifre vivono le speranze,le sofferenze e il desiderio di un’esistenza più dignitosa di molte don-ne e uomini per i quali, in molte circostanze, l’emigrazione non è sta-ta un’opzione ma una scelta obbligata (soprattutto per chi scappa dal-le guerre o è perseguitato dai regimi). Le cifre raccontano un Paese profondamente cambiato negli ultimi de-cenni: l’immigrazione di oggi non è più - come quella della prim’ora -concentrata sul lavoro, prevalentemente maschile, e proiettata al ritornoin patria. Oggi, quell’immigrazione che ancora tendiamo a accettare so-lo in orario di lavoro, è invece presente costantemente nel tempo e nel-lo spazio e si manifesta a scuola, negli ospedali, sui mezzi pubblici, neltempo libero ecc. Le cifre che di seguito si riportano, aggiornate all’ultimo rapporto Istat,e quindi al netto delle presenze degli stranieri arrivati nel nostro Pae-se a seguito delle rivolte che hanno coinvolto i Paesi del Nord Africanell’ultimo periodo, aiutano a comprendere se effettivamente la pre-senza degli immigrati in Italia sia davvero un problema o, al contra-rio, una risorsa.L’Istat all’inizio del 2010 ha contato 4.235 mila residenti stranieri, cheperò secondo il Dossier Caritas Migrantes diventano 4.919 mila, se siconsiderano anche tutti i regolari non ancora registrati nelle anagrafi,in pratica ci sarebbe 1 immigrato ogni 12 residenti (nel 1990 la popo-lazione immigrata era di 500.000 persone, possiamo dire che nel girodi 10 anni è aumentata per 10 volte).Tra le collettività di stranieri residenti, i romeni continuano ad esserela comunità più numerosa, circa 890mila residenti, il 21% degli immi-grati, seguiti da albanesi (470mila, 11%), marocchini (430mila, 10,2%),cinesi (190mila, 4,4%), ucraini (170mila, 4,1%).

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Relativamente alla popolazione immigrata residente per regione, laLombardia accoglie un quinto dei residenti stranieri (982.225, 23,2%),il Lazio (497.940,11,8%) e a seguire il Veneto (480.616, 11,3%), l’Emi-lia Romagna (461.321, 10,9%), il Piemonte (377.241, 8,9%) e la To-scana 338.746, (8%). L’incidenza media sulla popolazione residente èdel 7%, ma in Lombardia, Emilia Romagna e Umbria si va oltre il 10%e a Brescia, Mantova, Piacenza, Reggio Emilia oltre il 12%.Le donne incidono per il 51% con la punta massima in Campania conil 58% e il 63% ad Oristano e quella più bassa in Lombardia (48,7%)e a Ragusa (41%).Ma la spia più chiara che l’immigrazione è sempre più stabile sono i mi-nori: in tutto quasi 1000.000 di cui oltre 500.000 nati in Italia. (932.675,dei quali 572.720 sono nati in Italia).I figli degli immigrati a scuola sono 670mila, il 7,5% della popolazionescolastica. Ogni giorno 70 italiani si sposano con un cittadino straniero, 163 stra-nieri diventano cittadini italiani, nascono 211 figli da genitori stranieried 1 abitante su 14 è straniero e su 10 disoccupati 1 è straniero. La to-talità degli stranieri divenuti cittadini italiani è di circa 500.000. È stra-niero circa il 10% dei lavoratori dipendenti, ha un titolare straniero il3,5% delle imprese, percentuale che sale al 7,2% se si considerano so-lo le imprese artigiane alle quali occorre aggiungere le cooperative dibeni e servizi.Gli stranieri incidono per il 3,5 sulle imprese, per il 7% sui residenti, peril 7,5% sugli iscritti a scuola, per il 13% sulle nascite (se si considera-no anche i nati da padre italiano e madre straniera si arriva al 16,5%si sale ancora di più se si considerano i nati da madre italiana e padrestraniero) e per il 15% sui matrimoni.E vale al pena ricordare che gli immigrati nel nostro Paese contribui-scono alla produzione del Pil per l’11,1%. I lavoratori dipendenti sonoil 10% degli occupati, le imprese con titolare straniero sono 213.267 al31 maggio 2010, 25.801 in più rispetto allo stesso periodo dell’anno pre-cedente, le imprese cooperative contano 69.439 soci. Sostanzialmente gli immigrati versano nelle casse pubbliche, tra con-tributi previdenziali e tasse, 11 miliardi di euro l’anno, più di quanto ri-cevono in prestazioni sociali e servizi. Pagano 7.5 miliardi di euro di con-tributi previdenziali e dichiarano al fisco circa 33miliardi di euro. Nel-l’ultimo decennio, a fronte di un aumento di 2 milioni degli ultrases-santacinquenni, le persone in età lavorativa sono cresciute di solo 1 mi-lione di unità e i minori fino a 14 anni solo di mezzo milione di unità.A metà secolo, secondo le previsioni di Istat e di Eurostat, con l’ipote-si di “immigrazione zero” l’Italia perderebbe un sesto della sua popo-lazione. Continuando i ritmi riscontrati in questo decennio, nel 2050 gliimmigrati supereranno i 12 milioni e incideranno per il 18%.

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STRANIERI DI NOME, ITALIANI DI FATTO: LE II GENERAZIONI Una questione nella questione che coinvolge quei potenziali “ Nuovi Ita-liani” che sono venuti in Italia da piccoli o addirittura sono nati qui enon hanno legami con i paesi d’origine dei loro genitori, è quella delleseconde generazioni. Esse costituiscono una parte consistente e ormainon ignorabile degli italiani di oggi e di domani. Non a caso un conve-gno promosso dalle Acli di Varese circa un anno fa titolava provocato-riamente : “Se da grande sarò italiano”. Un’espressione attraverso laquale gli organizzatori dell’iniziativa vollero cogliere al tempo stesso unasperanza e una preoccupazione. Questi ragazzi, nel raccontare la loroesperienza di “cittadini senza cittadinanza “ dichiarano di sentirsi so-stanzialmente sospesi tra due culture e giuridicamente condannati a vi-vere la loro adolescenza in un limbo giuridico. Sebbene il fenomeno delle seconde generazioni d’immigrati non siasufficientemente conosciuto, le osservazioni che possiamo trarre dal-le ricerche effettuate ci consegnano messaggi incoraggianti che sem-pre più configgono con l’atteggiamento che l’ordinamento e la politi-ca riserva loro. Ovviamente il primo ambiente sul quale ha avuto impatto questa pre-senza è la scuola. La presenza di alunni stranieri varia dal 9% al Nord,il 7 al Centro e l’1,5 al Sud. Purtroppo questi ragazzi abbandonano lascuola e vengono bocciati più frequentemente rispetto agli italiani. Le ri-cerche ci dicono che i giovani stranieri subiscono ovviamente (come i lo-ro omologhi italiani) forti pressioni dal mercato e dalla cultura correntee quindi rivelano atteggiamenti esteriori simili a quelli dei giovani italia-ni. Ciò significa che non rappresentano certo un freno al progresso a al-la modernizzazione del Paese. Li contraddistingue dai loro coetanei au-toctoni un forte desiderio di farsi strada nella vita. Nel bene e nel male,sulla pelle delle seconde generazioni di stranieri si scarica il peso princi-pale degli effetti delle nostre politiche migratorie. Se avessimo la pazienzae l’intelligenza di osservare i loro comportamenti e di ascoltare quello chepensano e sognano, potremmo comprendere meglio quale dovrebbe es-sere la direzione da imprimere alle politiche sull’immigrazione. La scuola non riesce ad affrancarli dai ruoli lavorativi dei genitori e agarantire loro mobilità sociale; un’ostinata rigidità sulla conservazionedella nostra “identità” finisce per misconoscere le risorse di cui sono por-tatori (es. ragazzi stranieri che parlano 3 lingue costretti a imparare ildialetto per assomigliare di più ai nostri ragazzi); le difficoltà di acces-so ai sostegni dello stato sociale gravano sulla famiglia immigrata e ren-dono più difficile l’accumulo di capitale sociale necessario per aiutare ifigli a decollare nella vita; uno strisciante razzismo ancora pervade am-pi settori della nostra società. Tutto questo mostra come il processo in-terculturale in Italia registri ostacoli e lentezze e come di conseguen-

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za la costruzione di una generazione aperta, forte, creativa, indispen-sabile al futuro dell’Italia, non sia sostenuta.Alla politica spetta il compito dunque di favorire per loro una proce-dura più semplice per l’acquisizione di una cittadinanza giuridico-for-male piena.

VALORI CONDIVISI SUI QUALI COSTRUIRE CITTADINANZA:IL PATTO ETICOA monte di tutto questo, dobbiamo identificare un punto di conver-genza accettabile da tutti, italiani e stranieri, che funga da base dipartenza per ogni riforma. E certamente non sbagliamo se identifi-chiamo questo principale fondamento giuridico a cui ancorare ognipolitica, ogni intervento normativo e ogni azione, nella nostra CartaCostituzionale. Spesso la Corte Costituzionale ha ribadito che gli stranieri sono titola-ri dei diritti fondamentali menzionati nella Carta in quanto “persone”(occorrerebbe ricordare più spesso che il personalismo regge l’interoimpianto della nostra Costituzione Repubblicana) e quindi anche a lo-ro vanno riconosciuti quei diritti che a una lettura formale del testosembrerebbero garantiti solamente ai cittadini italiani. Ciò si deve al-la filosofia che ispira il testo del ‘48 e che si radica in quella visione delmondo che vede al centro la persona umana e in essa accomuna tut-ti gli uomini e le donne senza distinzione. Anche l’art. 10 comma 3 del-la Carta invita a mantenere su questo punto una apertura. Qui si di-ce infatti che : “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’ef-fettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzio-ne italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo lecondizioni stabilite dalla legge”. La Costituzione dunque, con il suo sa-piente elencare e bilanciare i diritti fondamentali che lo Stato italianointende riconoscere e garantire a chiunque, costituisce valida base diincontro tra i diritti dei cittadini e dello Stato ospitante e gli stranieriche - per vari motivi (spesso indipendenti dalla loro volontà) - inten-dano stabilirsi sul nostro territorio. Anche a questi ultimi si può chie-dere di aderire e riconoscersi in questo testo. Da più parti si è invo-cata la necessità di un patto, un accordo che vincoli chi arriva da noial rispetto di determinati valori e al rispetto di specifici doveri. A que-sto scopo può funzionare egregiamente la nostra Costituzione senzache occorra inventarsi altri testi o altre liste di diritti e doveri (vedi ac-cordo di integrazione o permesso a punti). Se desideriamo che la no-stra società si conservi e prosperi secondo i suoi valori più propri, nonabbiamo che da chiedere il rispetto della Costituzione - prima di tuttoa noi stessi - e poi a tutti coloro che desiderano far parte della nostracomunità nazionale. Oltre al rispetto per la dignità della persona uma-na, riprenderebbe il giusto peso il ruolo di valori come la “legalità”, la

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“solidarietà”, la famiglia, il lavoro, la vita associativa, la partecipazio-ne democratica alla gestione della cosa pubblica e altri valori del no-stro patrimonio.

CHI SONO GLI ITALIANI A 150 ANNI DALL’UNITÀ In questa prospettiva immaginiamo gli italiani di oggi e di domani.Il 17 marzo del 2011 l’Italia ha compiuto 150 anni. È certamente unadata che rappresenta una tappa importante per l’Italia che deve por-tare ancora a compimento il processo unitario. Potrebbe essere utile inquesto periodo di celebrazioni, aprire un dibattito serio sull’identità delPaese, non mediato da sentimenti di parte. È l’occasione per gli italiani di interrogarsi sulla loro identità e magari peraccorgersi che essi stessi sono figli di un’identità meticcia (basti pensa-re alle tradizioni, ai dialetti e alle culture diverse presenti nei territori). Scavando nel nostro passato forse ci accorgeremo che l’Italia del 17marzo del 1861 coltivò innanzitutto il sogno di saper unire le ricchez-ze e persino le povertà di un Paese che solo più avanti nella storia sisarebbe riconosciuto in un patto sociale e in una Patria. Il 17 marzo del 1861 nasceva così un processo che avrebbe portato gliitaliani a identificarsi in comuni valori e in simboli nei quali, più o me-no tutti, ci riconosciamo. Fu il tentativo riuscito di un popolo, non di una élite, di pensare che nelcammino difficile della storia, nell’incontro di diversità e di culture, sa-rebbe cresciuta l’Italia che conosciamo. Nella Repubblica e nella Costi-tuzione scolpimmo poi le regole di un Paese democratico che ricono-sce il diritto universale di ogni donna, di ogni uomo, di ogni persona dipoter contribuire a migliorarlo.Se il centocinquantesimo è anche l’occasione per parlare di come è cre-sciuta l’Italia in un secolo e mezzo ma soprattutto di come vorremo cre-sca l’Italia del futuro, costruita attorno a diritti e a regole condivise, non

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ci possono essere perimetri esclusivi. Così lo spazio di definizione di unanuova patria comune si allarga e nasce da un nuovo patto etico chechiama a partecipare tutte le persone (italiane o straniere) che nel Pae-se lavorano, vivono e sognano di vederlo crescere.

ACLI/US ACLI PERCORSI INTEGRATI CON I CITTADINI IMMIGRATILe Acli hanno imparato a conoscere e concepire il mondo come unospazio in cui le persone e i lavoratori si muovono per trovare miglio-ri condizioni di vita. Quella scelta che 66 anni fa spinse l’Associazio-ne a seguire gli italiani in una terra che non gli apparteneva, oggi l’aiu-ta a capire meglio di altri le grandi trasformazioni che il Paese sta at-traversando e quando il fenomeno migratorio rappresenti una sfidaineludibile. Sebbene dall’eco delle cronache giunga più facilmente il racconto di si-tuazioni di degrado e di conflitto tra cittadini italiani e cittadini stranie-ri, nella quotidianità dell’incontro tra le persone, anche grazie alleesperienze promosse dalle Acli, si attenua la distanza culturale che spes-so rappresenta la prima barriera da superare nell’accoglienza dell’altro.Lentamente, nella ricchezza del confronto tra culture, etnie e religionidiverse, il Paese sta sperimentando una propria via alla convivenza sul-la quale si fonderà l’Italia del futuro. In un passaggio che qualcuno ha definito epocale per la società italia-na, a partire dalla loro vocazione educativa le Acli sono impegnate asvolgere i compiti che più le sono congeniali: rigenerare i legami socialinella comunità nazionale e nelle comunità locali, promuovere riformedi civiltà e di diritto che considerino prioritariamente la centralità dellapersona umana e tutelare la dignità sociale e del lavoro attraverso per-corsi inclusivi e di cittadinanza. Dentro questa ri-declinazione storica dell’impegno associativo, va orien-tata l’attenzione di tutte le componenti organizzative, da quelle più im-mediatamente di servizio, a quelle più specificatamente orientate aduna mission ludico-ricreativa e socio-culturale alla quale risponde il pro-getto dell’US Acli “Cittadini attraverso lo sport”. L’esperienza, che haavuto un esito inaspettato soprattutto per la sua capacità di avviare pro-cessi d’integrazione sportiva da nord a sud con gruppi etnici differen-ti, va segnalata tra le iniziative da riproporre in futuro come buona pras-si, dove l’interculturalità più che essere “predicata” è stata “praticata”. Attraverso lo sport e la promozione delle attività motorie si possono fa-cilitare i processi di socializzazione e di incontro che educano ad ac-cettare le differenze e ad apprezzarne la diversità. E per quanto valgala pena ricordare che gli effetti più cruenti della xenofobia e del razzi-smo si ripetono negli stadi di calcio, è altrettanto opportuno rivalutareil valore educativo degli spogliatoi, nei quali atleti sempre più spesso

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di diverse nazionalità condividono una strategia di squadra. È così cheil linguaggio dello sport rende più facile comunicazioni altrimenti im-probabili, avvicina mondi e ci aiuta ad insegnare e ad imparare con piùfacilità ciò che normalmente troviamo difficile apprendere in altre cir-costanze della vita sociale. Nel suo nome si condividono e si accetta-no regole comuni e ci si educa reciprocamente a comportamenti cheanche fuori dall’attività agonistica possono contribuire a far crescere so-cietà nelle quali l’appartenenza a valori etici condivisi, si rafforza. Perquesto credo che l’esperienza dell’US Acli che ha una sua specificitàeducativa, possa rappresentare un elemento di novità nel panorama de-gli enti di promozione sportiva che affollano il composito universo as-sociativo. Non una proposta di attività ludico-motoria qualunque maorientata a radicare soprattutto tra i giovani una domanda di cittadi-nanza consapevole e di rispetto verso ogni forma di diversità. Sconfiggere la propedeutica razzista che in questi anni si è fatta stra-da in Italia e la tendenza a colpevolizzare lo straniero a prescindere dalsuo status sociale o politico, è stato uno degli impegni più importantiche l’Associazione ha assunto. Si tratta ora, anche attraverso la nostraproposta di sport per tutti, di rilanciarla a partire dalle peculiarità di cuil’US Acli è portatrice. Se lo sport è un diritto universale di cui ogni bam-bino, ogni donna e ogni uomo non può essere privato, anche di qui sideve partire per riproporre il tema del diritto alla cittadinanza comecentrale nelle scelte politiche che il Paese è chiamato a fare. Come ab-biamo già rilevato, in Italia circa un milione di ragazzi, giuridicamen-te stranieri ma italiani di fatto, sono privati delle più elementari pos-sibilità di vivere, come i loro coetanei, una vita normale. A questi nonè riconosciuto neanche il diritto di svolgere regolarmente a livello ago-nistico attività sportive. Forse tra loro ci sono nuove stelle del calcio,della danza sportiva o del nuoto internazionale, ma per la legge ita-liana finché non avranno raggiunto la maggiore età, non potranno al-zare un trofeo o indossare la maglia di un club e della nazionale del-l’unico Paese che conoscono perché vi sono nati o nel quale sono cre-sciuti e hanno studiato. Per questi, per quelli che in queste ore stan-no nascendo in qualche ospedale italiano e per quelli che giungeran-no nelle prossime ore attraverso le strade impervie sulle quali da sem-pre l’umanità cammina alla ricerca di libertà e di vita, sarà importan-te l’impegno delle Acli e dell’US Acli.

*Responsabile Area Immigrazione Presidenza Nazionale Acli

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Nuove culture: una lettura antropologica

Giovanna Guerzoni*

AD UNO SGUARDO ANTROPOLOGICO, CONSIDERARE LO SPORT COME

“AZIONE PERFORMATIVA” SIGNIFICA CERCARE DI FOCALIZZARE L’ATTENZIONE

SUL PIANO DEI PROCESSI, CONSIDERARE IL MODO IN CUI LE CULTURE VANNO

MODIFICANDOSI E RIORGANIZZANDOSI, PARTENDO IN PRIMO LUOGO

DALL’AZIONE DEI SOGGETTI.

STORIE PLURALIL’importanza dello sport come spazio (e motore) di azioni performati-ve (Turner, 1993): il contesto sociale è evidente in grandi come in pic-cole situazioni, o dovremmo dire, è questo il contesto in cui si rende,forse, più evidente come siano le piccole azioni di dettaglio ad essereil cuore di importanti cambiamenti sociali. È quanto ci racconta un belfilm di Clint Eastwood (Invictus, uscito qualche anno fa), attraverso ilSudafrica e il rugby; ovvero, di come una giovane nazione sudafrica-na abbia potuto avviare, attraverso lo sport e l’allora neo PresidenteNelson Mandela, un processo di riconoscimento della uguale dignità digruppi ed etnie diverse in uno dei contesti multiculturali più dramma-ticamente lacerati del mondo, la nazione dell’apartheid e delle san-guinose rivolte dei neri contro l’oppressione di una delle comunità bian-che più razziste della storia. Un paese che vive quelle fasi cruciali del-la storia in cui una generazione si divide tra chi ha finalmente in ma-no la possibilità di voltare pagina e di riscrivere il destino della propriacomunità e chi rincorre il passato temendo di essere spazzata via dal-la storia. È la storia della nazionale di rugby da sempre considerata,da ambo le parti, come lo sport della classe dominante bianca rivoltaalla sua comunità - ricca bianca e colonizzatrice - che diventa lo sce-nario dove si gioca la possibilità di cambiamento di un’intera nazione;perché nello sport riconoscere la superiorità di chi esce vincitore nonha a che fare né con il potere politico né tanto meno con la razza macon la giustizia, con la tenacia; ma anche con il senso di giustizia, conil senso di solidarietà e di appartenenza a una nuova comunità e a unanuove epoca; ma anche con la capacità di saper guardare alla storiae agli errori - drammatici - per inventarne il loro superamento. Così,rifondare una nazione coincide con un processo di rinegoziazioneidentitaria che si gioca nell’azione sportiva dove ricostruire la squadradi rugby coincide con il ricostruire una nuova identità questa volta ne-cessariamente plurale. Ma anche con il ricostruire un nuovo tessutoidentitario della nazione.

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Ad uno sguardo antropologico, considerare lo sport come “azione per-formativa” significa cercare di focalizzare l’attenzione sul piano dei pro-cessi, guardando più le dimensioni di processualità e di dinamicità sulpiano sociale che quelle di “prodotto” o di autoaffermazione; conside-rare il modo in cui le culture vanno modificandosi e riorganizzandosi apartire dall’azione dei soggetti, dalle discrepanze interne, dall’emerge-re dei conflitti che vedono nello sport un contesto delimitato da rego-le precise e un suo radicamento sociale ma anche, soprattutto oggi,quello specchiarsi identitario che utilizza le narrazioni televisive e me-diatiche attraverso cui lo sport vive una sua continua rappresentazio-ne spettacolare. Turner afferma che la performance, quanto il rito, nonè specchio riproducente la società in cui è inserito; ovvero che la suaazione non è riflettente il sociale quanto piuttosto “riflessiva”: non ri-flette la società ma riflette sulla società. In questo senso non è forseun caso che Turner sembri utilizzare indistintamente ed in modo ap-parentemente “con-fuso” il termine performance sia come prodotto (perTuner uno spettacolo teatrale, una produzione artistica, nel nostro ca-so, un momento sportivo come “fatto sociale totale” direbbe M.Mauss)sia come processo, come quel particolare percorso caratterizzato da fa-si che porterà poi ad un qualche scopo di “finale” sul piano della per-formance individuale o di squadra, una sorta di sintesi entro cui diventautile considerare il processo riflessivo come “campo” necessariamentepiù ampio, sociale e culturale.

MONDI GLOBALI, COMUNITÀ LOCALIDescrivere il mondo plurale e globalizzato in cui abitiamo, la comples-sità dei processi sociali e culturali di cui siamo partecipi è compito as-sai difficile. E non è secondario considerare come, anche per l´Antro-pologia Culturale, l’analisi dei “mondi contemporanei” sia stata a lun-go considerata una sfida difficile, tanto da aprire, ai suoi inizi, un di-battito che taluni non hanno esitato a definire come “lacerante”. Ride-finire lo sguardo antropologico dai territori della lontananza a quelli del-la prossimità - dallo studio delle culture “altre” al “qui” delle migrazio-ni verso l’Occidente, alle tematiche della marginalità sociale, alle pra-tiche e alle rappresentazioni di quella pluralità di storie, identità, cul-ture differenti che popolano e trasformano i contesti urbani - ha obbli-gato a un profondo ripensamento del quadro teorico-metodologico del-l’Antropologia, alla necessità di individuare nuovi strumenti di indagi-ne, nuovi apparati concettuali (Callari Galli 2000; Kilani, 1996; Marcuse Clifford 1997; Matera, 2004; 2007). Questa difficoltà sembra na-scondere, in un certo senso, un paradosso: come mai una scienza cheha inteso elaborare e fondare il proprio sguardo sull´analisi delle dif-ferenze culturali, sullo studio dell´altro, si è trovata in difficoltà - a pa-rere di alcuni attraversando una vera e propria profonda crisi episte-

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mologica - proprio nel momento in cui andava affermandosi il “mondodelle differenze” a livello planetario? Il dibattito antropologico relativoa questa fase di ripensamento avviata dalle trasformazioni sociocultu-rali proprie alla contemporaneità sembra corrispondere alle criticità pro-prie al pensiero occidentale relative alla stessa pensabilità dell’ “altro”,descritto e definito più dal suo radicarsi in territori lontani, dal suo es-sere territorialmente - oltre che culturalmente - “esotico”, che colto nel-le relazioni tra differenze che compongono la contemporaneità.Oggi, la constatazione della trasformazione in senso multiculturale deicontesti occidentali si inserisce in uno scenario globale e complessoche coinvolge, seppur attraverso modalità differenti e al tempo stes-so specifiche, l’ “altrove” e il “qui”, e che induce a riflettere su una se-rie di implicazioni rilevanti in merito a diversi contesti, da quello edu-cativo ai diversi contesti sociali come quello sportivo. I “mondi plura-li” sono parte della nostra esperienza quotidiana, orientano gli stili divita che ci accomunano - noi e gli altri - sia che si realizzino negli spa-zi delle grandi città o nei quartieri delle piccole province. Ed è ormaiconsapevolezza diffusa - di molti, se non di tutti - di quanto pluralitàe multiculturalismo non costituiscano più lo scenario delle grandi cit-tà, o di quelle più cosmopolite, ma del nostro stesso “microcosmo” edelle relazioni complesse e difficili del mondo contemporaneo in cuisono intrinsecamente connessi processi globali dell´economia, deglistili di vita, della mobilità, dei mass media e il loro riverberarsi sul lo-cale, sul “qui”, facendo del “noi”, uno spazio necessariamente metic-cio. Abitiamo un’imperante globalizzazione dei mercati e del lavoro maabitiamo anche in un flusso di immagini che continuamente scrivonoe riscrivono eventi planetari che si succedono sempre più rapida-mente, in cui l’evento locale si dilata al pianeta e, al tempo stesso, im-plode nella velocità delle sovrapposizioni, dei racconti, delle rappre-sentazioni (Callari Galli, 2000; Augé, 2006). Ma questo risulta più evi-dente nello sport, uno sport che è esperienza individuale e collettiva,che abita gli spazi della città (“dentro e fuori” le mura degli impianti)ma che fa i conti con la sua rappresentazione: gli eventi ritualizzati (ladomenica sportiva), del calendario (es. il giro d’Italia), i grandi even-ti (basti pensare alle Olimpiadi, ecc.) e anche con la storia di sporti-vi che oggi sembrano, nelle narrazioni televisive e nell’immaginariocollettivo, vivere più simili a divi del cinema che per lo sport che fan-no (presenti dagli spot pubblicitari, al gossip, al cinema ecc.). Così, latestata di Zidane - ci spiega Sergio Manghi - non costituisce una sem-plice “reazione aggressiva” alle tensioni di una finale ma si ridefiniscecome evento simbolico della relazione tra cittadinanza e la stessa ideadi nazione: è la storia di una “seconda generazione” che vive con am-bivalenza la propria “cittadinanza”, quasi fosse centrata solo attraversouna biografia di successo.

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Anche nello sport - agito e narrato - l´altro non è più colui che vive ol-tre i confini del nostro territorio; che abita i territori “fuori dalle mura”,oltre i confini del nostro mondo e della nostra cultura; l´altro è qui, abi-ta con noi le città e i mondi contemporanei, è parte integrante di quelridefinirsi continuo di pratiche, rappresentazioni, valori e immaginari chequalificano il mondo in cui abitiamo come forma di vita globale e sin-golare al tempo stesso. Le trasformazioni in senso multiculturale dellasocietà italiana e globale incidono su piani e tematiche differenti: adesempio, sui diritti di cittadinanza, sui processi di precarizzazione dellavoro che incidono sulle opportunità di vita delle generazioni future esui tempi di vita quotidiana, attuando spesso una segmentarizzazionesempre più violenta della vita sociale urbana, che finisce per portare al-l’isolamento sociale e culturale di molte famiglie migranti (e non). Taliorientamenti nei processi socioculturali si declinano in modo specificose si considerano i diversi ambiti in cui si svolgono i processi di cresci-ta e di educazione nella contemporaneità; tra cui uno centrale per lesue potenzialità sia sul piano dell’ esperienza di incontro tra culture dif-ferenti che su quella di trasformazione (performativa) nel più ampiocontesto sociale e culturale, quale quello sportivo.E d’altra parte non possiamo evitare di fare anche considerazioni ne-cessariamente relative alle dinamiche conflitttuali, anch’esse globaliz-zate, che caratterizzano la nostra epoca, in particolare negli ultimi an-ni, da quando cioè la storia planetaria è stata travolta dalla tragedia del-le due torri (Callari Galli, Guerzoni, Riccio, 2006); la violenza dei con-flitti planetari in atto ha aggiunto alle tragedie umanitarie che quoti-dianamente avvengono, una “violenza strutturale” (Farmer, 2003) de-terminata dalla progressiva percezione di instabilità e insicurezza glo-bale: che si declina a dimensione locale e toccando gli spazi della quo-tidianità, in particolare sul piano delle relazioni interculturali, ai modi ealle forme di pensare e incontrare l’altro ma presente anche nelle nar-razioni dei media, nella retorica politica.

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Analizzare e descrivere questi scenari significa ammettere che tali pro-cessi socioculturali incidono sulla stessa idea di cultura e sulle politichee strategie di intervento di incontro con l’altro anche per quanto ri-guarda i contesti del tempo libero e dello sport che possono (forse deb-bono) essere considerati per le loro potenzialità di trasformazione so-ciale in senso inclusivo. Come ci ricorda Matilde Callari Galli (Callari Gal-li in Matera, 2004) va in crisi l’idea di cultura e di “alterità” che si ba-sava sull’esatta corrispondenza tra territorio, comunità, cultura (Calla-ri Galli 2000): “gli antropologi hanno tentato di combattere ogni ten-denza che essenzializzi la cultura, che consideri cioè le differenze co-me entità monolitiche e immutabili. (…) chiedendo di non evidenziaresolo le differenze ma di seguire anche gli andamenti delle uniformitàcosì come hanno sostenuto la necessità di individuare i caratteri che neidiversi gruppi assume la distribuzione dei modelli, degli stili, degliethos culturali. (…) opporsi alla tendenza comune - dominante neimass-media e nel dibattito politico - a deificare la realtà sociale met-tendo in ombra i suoi caratteri processuali, i suoi aspetti polifonici e lesue aperture alle commistioni, ai cambiamenti” (Callari Galli, 2007).In un mondo in cui merci, individui, intere comunità - ma anche im-magini, stili di vita, linguaggi - migrano continuamente da un puntoall´altro del pianeta, in cui strategie migratorie diversificate ridisegna-no forme plurali di appartenenza, di costruzione identitaria, modi diversidi restare in contatto tra paese di approdo e paese di origine, l’alteri-tà - le sue norme, i suoi valori, il suo gusto estetico - non è più riduci-bile dentro le maglie di un’appartenenza univoca alla cultura locale ori-ginaria; identità e relazioni con l’altro sono piuttosto il frutto di “cultu-re in movimento”, dislocanti in modo reale - talvolta virtuale - attraversoterritori differenti, messe in campo in quel tessuto di relazioni complessein cui ciascuno di noi con la sua identità, storia, lingua si inscrive. È nel-la processualità dei modi di agire e pensare l’altro - in quell’incrocio con-tinuo tra noi e gli altri - che si rielaborano continuamente forme diffe-renti di costruzione identitaria sia di chi migra sia di chi nasce e crescein un territorio ma che con il migrante condivide la velocità di cambia-menti globali e locali in cui siamo immersi.Questi processi assumono caratteristiche specifiche nello scenario del-la città: è la città il destino di vita ormai della maggior parte degli es-seri umani, a differenza del passato (Callari Galli, 2007). Eppure nien-te appare oggi oggetto di trasformazioni profonde e rapide quanto lacittà: le città si trasformano sotto diversi profili e in particolare si ride-finiscono come spazi multiculturali e di riterritorializzazione identitariaentro cui emergono nuovi soggetti sociali (talvolta nuovi soggetti poli-tici) costituendosi allo stesso tempo come “zone di confine “ e di at-traversamenti; è la stessa nozione di città, di polis come spazio comu-nitario ma anche come luogo delle politiche e dell’agire sociale quoti-

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diano proprio alla cultura occidentale, ad entrare in crisi e, con essa, aimmettere nuove forme di partecipazione della città; né appare suffi-ciente dilatare lo spazio della città con suoi “derivati” moderni metro-poli, megalopoli: alle porosità dei confini esterni corrisponde, al suo in-terno, il ridefinirsi della dicotomia di centro/periferie. Processi di ride-finizione urbana e del territorio evidenti sia dentro che fuori della città(in grado di riscrivere in un qualche modo gli stessi “confini” che se-gnano il dentro/fuori della città); è, ad esempio, la presenza delle piùnumerose comunità pakistane e bangladesi della regione Emilia-Ro-magna nelle campagne tra Correggio e Cremona o, su un altro fronte,nello spopolamento dei centri storici - “luoghi” culturali in cui si espri-me una comunità e la sua memoria culturale collettiva - verso nuovispazi abitati questa volta in modo fluido e discontinuo; quelli, ad esem-pio, dei “non luoghi” artificiali e continuamente “ri-editati” delle outletdelle periferie. Ed è negli spazi urbani che occorrerebbe ricollocare unabuona parte dell’esperienza sportiva alla luce di un processo necessa-riamente di tono multiculturale, da qualificare come occasione di in-contro tra culture e storie differenti in grado di riappropriarsi dello spa-zio urbano. Solo in questo senso lo sport può ambire a diventareun’occasione di empowerment, di conoscenza e di riappropriazione,specie da parte delle giovani generazioni, dei diritti di cittadinanza vis-suti nella tensione tra valori universali e visione culturalmente differentida “mettere in campo” in una situazione concreta come quella dellosport. Interessante a questo proposito la recente redazione di una Car-ta Europea delle donne nello sport.

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“SECONDE GENERAZIONI” E PRATICHE SPORTIVELe palestre sono oggi uno dei “territori della contemporaneità” nei qua-li si rendono visibili i cambiamenti del tessuto socioculturale della so-cietà italiana ma al tempo stesso in cui è possibile conoscersi e rico-noscere percorsi di vita dei giovani migranti attraverso cui si dà sensoalla vita in Italia e a nuove forme di coesione - e di conflitto - sociale.F. Antonelli e G. Scandurra (F. Antonelli, G. Scandurra, 2010), in una re-cente ricerca etnografica, svolta in una palestra di pugilato di Bologna,mostrano come dalle interviste condotte con gli attuali giovani fre-quentatori della Tranvieri, emerga la differenza tra la prima generazio-ne di boxer, i quali hanno rappresentato la palestra durante il periodod’“oro” del pugilato bolognese e nazionale, tra gli anni ’50 e gli anni ’80,e il gruppo di atleti che oggi si allena in palestra1. Oggi, alla Tranviericombattono altri pugili, per la maggior parte stranieri, che non hannovissuto questo periodo. Le storie degli attuali pugili della palestra fan-no emergere i problemi e le difficoltà reali che comporta una carrierada boxer e decostruiscono il mito del pugilato bolognese durato fino al-la fine degli anni Settanta. Confrontando le parole dei primi, con quelle dei boxer protagonisti del-la nostra ricerca, non sono affatto dissimili le ragioni che hanno spin-to questi ultimi a entrare in palestra. I giovani pugili della Tranvieri so-no adolescenti, dai 12 ai 25 anni, che in parte frequentano la scuola,gli istituti tecnici della Bolognina, in parte sono alle prese con le primeesperienze nel mondo del lavoro. Molti abitano nel quartiere e qui pas-sano buona parte del loro tempo libero. La squadra di pugili della Tran-vieri, fra novizi e ragazzi che hanno già qualche anno di esperienza diincontri agonistici alle spalle, è costituita da circa 30 ragazzi, dei qualimeno di un terzo sono di origine italiana - nella maggior parte dei ca-si spesso meridionali - mentre la maggioranza è costituita da giovanidi seconda generazione di origine magrebina. Ma ci sono anche rome-ni, albanesi, eritrei, camerunesi, greci, etc.. Nei loro racconti la volon-tà di praticare la boxe è risultata sempre rispondere a un bisogno di sfo-go, di autodisciplinamento corporeo o di socialità.

Ho 19 anni appena compiuti, ho iniziato circa un anno e mezzo fa. Hoiniziato perché avevo dei problemi in casa e l’unico posto dove mi tro-vavo a mio agio era questo. Fuori…Dove potevo sfogarmi, dove avevopiù respiro era la palestra. Ho fatto questa scelta perché al posto di an-dare in giro a fare il bullo ho deciso di venire in palestra inizialmentesenza nessuna intenzione di combattere. (Anuar)

Per quello ho iniziato ad andare in palestra, il motivo principale sonostate sempre le solite discussioni fra mia madre e mio padre…mi da-vano sui nervi e andavo fuori, e mi dovevo sfogare con qualcosa… fu-

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mare mi faceva schifo, bere lo odiavo, stare a ballare fuori sabato e do-menica e basta…altre cose non le avevo e allora…incontro Yassine chemi dice: “Vieni a dare due pugni al sacco in palestra che ti fa bene!”.Yassine l’ho conosciuto in discoteca, io ero andato a fare un giro, lui sta-va litigando con dei tipi e io gli diedi una mano… me lo ricordo che al-la fine mi ha detto “Merda, ma che mani c’hai?”. (Kalhed)

I racconti di giovani boxer come Anuar e Kalhed sono pieni di riferimentia tensioni che questi ragazzi vivono dentro la famiglia, in un ambientescolastico scoraggiante e vissuto in modo conflittuale, per via di espe-rienze lavorative fallimentari dove la maggior parte di loro ha capito ilsignificato della parola insuccesso. Le pratiche di vita quotidiane di Kal-hed e Anuar, due giovani atleti di origine magrebina, sono le stesse dialtri loro compagni di palestra nati in Italia ma senza cittadinanza, chevivono quotidianamente la Tranvieri una volta finito il tempo dellascuola, del lavoro, delle responsabilità famigliari. Il rispetto costituisceper questi giovani pugili un valore fondamentale. La Tranvieri, allora,anche se non sempre in modo consapevole, si configura come una scel-ta motivata perché permette a questi ragazzi di sentirsi rispettati, di pro-vare il proprio valore, di dimostrarsi forti senza il carico di autodistru-zione che lo sfogo e l’affermazione di sé in forme aggressive produr-rebbero in altri contesti, come emerge dall’intervista a un altro pugiledi origine marocchina.Il progetto “Cittadini attraverso lo sport”, di cui questo testo racconta,ha messo in campo in tutto il territorio nazionale importanti esperienzesportive locali (Agrigento, Padova, Imperia e molte altre) come occasioniper incontrare persone con storie, culture, identità, differenti speri-mentando azioni di inclusione sociale ma, soprattutto, la possibilità direalizzare inclusione attraverso il riconoscimento dei diritti di cittadi-nanza; è innegabile che la “questione dei diritti di cittadinanza” per glistranieri sia una questione ancora su troppi aspetti drammaticamenteaperta, specie per le cosìdette “seconde generazioni”; e nonostante que-sto, costruire situazioni in cui le persone si riconoscono per una passionecomune prima che per le loro origini è un passo importante. Lo sportcome la scuola si trova a fare i conti e ad agire in un ambiente semprepiù plurale, in cui il corpo diventa lo spazio per il riconoscimento delladifferenza. Praticare una disciplina sportiva costituisce un co-costruirerelazioni significative che fanno della differenza una risorsa, lo spazio persperimentare la possibilità reale di ospitalità e di innovazione, a condi-zione di riconoscere e sperimentare i forti legami tra esperienze sporti-ve e contesto sociale. Il piacere dell’incontro e della comunicazione nel-la differenza e attraverso la differenza, costituisce oggi per le donneun’esperienza centrale che vede come protagonista nuove visioni dellacorporeità. Il dibattito politico attraversa proprio sul piano del “genere”

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una fase importante che punta e mettere in discussione pratiche e rap-presentazioni del corpo femminile sempre più viste come strumentali auna posizione, inaccettabile, di interiorizzazione e spesso, di discrimi-nazione della donna nella società italiana. La multivocalità di danze e ditecniche del corpo che si diffondono dalle culture non occidentali neipaesi europei, dimostra l’attenzione per una nuova visione nel rappor-to tra corporeità e benessere che definisce di per sé uno “spazio di in-contro”. Condividere un destino multiculturale ha radici nel passato piùdi quanto pensiamo, ma necessita della capacità e della passione per lariscoperta di sé stessi nella relazione con l’alterità: lo spazio del gioco edello sport sono, da sempre, uno spazio di incontro a cui dare - proprioper la sua importanza - voce e occasione di riflessività.

* Antropologa Culturale, Università di Bologna

NOTE

1 Fino alla fine degli anni Settanta, quando il pugilato, anche a livello nazionale, era tra gli

sport più seguiti a Bologna, la società pugilistica della Bolognina riusciva ad organizzare riu-

nioni di boxe quasi ogni settimana contando, prima, su pugili che uscivano dall’esperien-

za della Seconda Guerra, poi su una seconda generazione di iscritti buona parte dei quali

riuscì a fare il salto da professionista. Oggi la palestra riesce ad organizzare tre manife-

stazioni annuali di boxe in città.

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L’attenzione alla salute nei processi di integrazionePER LE CONDIZIONI DI VITA E DI LAVORO IN CUI SPESSO SI TROVANO, LA SALUTE DEGLI IMMIGRATI CORRE PIÙ RISCHI. MA COME OGNI DIRITTO, LA SALUTE VA PROMOSSA. ANCHE ATTRAVERSO LO SPORT.

Massimo De Girolamo *

DALLA TUTELA ALLA PROMOZIONE“Cittadini attraverso lo sport” ha previsto nel suo percorso un passaggioimportante: quello della tutela sanitaria e della prevenzione dei parteci-panti al progetto. La ragione è evidente. Tutelare la salute, evitando cheun rischio si trasformi in un evento potenzialmente lesivo, è un diritto eun dovere per tutti coloro che praticano o si avviano a praticare attivitàsportive. Tutela e prevenzione sono aspetti essenziali del contesto spor-tivo perché hanno a che fare con la sicurezza delle persone e con la lo-ro salute. E su un piano più complessivo la questione “salute” è partico-larmente rilevante; una questione centrale che sta alla base e motiva leofferte più qualificate e più socialmente sensibili dello sport per tutti, amisura di ognuno. Ben sappiamo che in generale, lo sport non è auto-maticamente sinonimo di salute, di benessere psichico e fisico della per-sona che lo pratica perché tutto dipende dal “come” e dal “perché” si in-traprende un’attività sportiva, da quali obiettivi vengono posti e promossi.Per questo, così come riconosciamo le tante potenzialità dello sport, tracui quella di essere strumento positivo all’interno di processi di integra-zione sociale, nello stesso modo crediamo che sottoporre i destinatari delprogetto ad una visita medico sportiva completa per verificarne l’idonei-tà alla pratica, possa e debba essere anche il primo passo verso il so-stanziale irrinunciabile obiettivo di promozione della salute. Passare dal-la tutela (necessaria) alla promozione, significa da un lato rafforzare o ac-quisire consapevolezza che la salute è un diritto; dall’altro conseguire lacapacità di affrontare la propria salute in maniera autonoma e respon-sabile (stili di vita, prevenzione e diagnosi precoci …). Un obiettivo pertutti ma particolarmente importante per i cittadini immigrati, soprattut-to quelli il cui ingresso in Italia è più recente. Lo sradicamento dall’am-biente di origine e la necessità di una nuova organizzazione della vita,possono infatti generare diversi pericoli per la salute.

IL CONCETTO DI SALUTEPer molto tempo si è spiegato il concetto di “salute” con l’espressione“assenza di malattie”, “stare bene” o più semplicemente non esseremalati. Negli ultimi anni tuttavia si è compreso come questa definizione

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non possa bastare. Non è un caso che l’Organizzazione Mondiale del-la Sanità (OMS) abbia definito la salute come “la realizzazione per tut-te le donne e gli uomini di tutte le proprie potenzialità fisiche, psichi-che e culturali”. Ciò significa che possiamo parlare di persone “real-mente” sane soltanto quando queste persone riescono a realizzarsi nel-la loro interezza. Difficile ma potenzialmente non impossibile. È evidente che “essere insalute” indica un processo di adattamento, vale a dire la capacità diadattarsi alle modifiche dell’ambiente in cui si vive. Altrettanto chiaroche la salute non dipende solo da noi perché non viviamo isolati ma cicollochiamo in un sistema di relazioni: primo di tutto con noi stessi epoi con gli altri.

MIGRANTI E SALUTEL’impatto tra culture diverse porta da un lato nuove conoscenze edesperienze, dall’altro produce incertezze, disorientamento, conflitti. Lapersona che è nella condizione di migrante si trova ad affrontare pro-fondi cambiamenti che finiscono con l’incidere sulla sua identità cultu-rale. Sono quindi molti gli elementi che causano insicurezze, inquietu-dine, sfiducia e che contribuiscono non solo all’insorgere di malattie maanche a originare forme di resistenza alla cura con metodi non ricono-sciuti perché diversi da quelli della propria cultura di riferimento. Di que-ste dinamiche è necessario tener conto quando si parla e ci si muovesul fronte della “promozione” della salute di cittadini emigrati nel no-stro paese, soprattutto quelli provenienti da realtà culturalmente mol-to diverse dalla nostra. In effetti le statistiche - non solo italiane - mo-strano che all’ingresso, la grande maggioranza degli immigrati è so-stanzialmente sana e non presenta disturbi o affezioni di rilievo. Que-sto è evidente considerando il fatto che oltre il 70 % degli immigrati hameno di 30 anni ed è in grado di affrontare i rischi di viaggi non faciliquando non decisamente drammatici. Considerando gli immigrati pro-venienti dal Sud del mondo, anche l’incidenza delle principali malattietropicali d’importazione, risulta statisticamente irrilevante.È solo a distanza di qualche tempo che chi cerca una vita diversa in Ita-lia o comunque in Europa, incomincia ad ammalarsi per le condizioniin cui purtroppo spesso si trova a vivere: condizioni abitative, igieniche,alimentari e psicologiche disagiate. Lontano dalle proprie relazioni si-gnificative e dalle proprie speranze.

LA SALUTE È UN DIRITTOChe la salute sia un diritto di tutti è affermato dalla Costituzione italia-na: ”La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’indi-viduo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indi-genti” (Art. 32) mentre poco più avanti, l’art. 53 sottolinea che “tutti so-

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no tenuti a collaborare al mantenimento della salute” in rapporto alle lo-ro diverse capacità contributive ma anche osservando i comportamen-ti richiesti nell’interesse collettivo. Il diritto alla tutela della salute e la suainalienabilità trova riconoscimenti precisi nelle stesse norme giuridicheinternazionali la cui prima fonte autorevole è senza dubbio la Dichiara-zione universale dei diritti dell’uomo del 1948 che, dopo aver sottolineatonell’art. 1: ”Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e di-ritti […], precisa: “Ogni individuo ha diritto a un tenore di vita sufficientea garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con par-ticolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, alle curemediche e ai servizi sociali necessari […]” (Art. 25). L’esperienza ci dice che spesso questo diritto, affermato in maniera co-sì forte sulla carta, nella vita di ogni giorno non è realmente garantitoa tutti. Per esempio alle fasce più deboli della popolazione, ai “nuovi po-veri” (gruppi di pensionati, famiglie a monoreddito, disoccupati, precari,solo per citarne alcuni); ed oggi, con più evidenza che nel passato, aicittadini immigrati provenienti da paesi non europei o neo-europei.

CHE COSA PUÒ FARE LO SPORTFare movimento, ri-crearsi, stare bene con gli altri, “stare bene” con sestessi. Lo sport può fare molto sul piano della lotta all’emarginazionee all’esclusione anche contribuendo a produrre sentimenti soggettivi ap-paganti sia del nuovo (l’immigrato) sia del vecchio (l’autoctono) citta-dino. Movimento e sentimenti positivi lavorano a promuovere lo sbloc-co fisico e psicologico di quanti sono condizionati fortemente dalla pro-prie situazioni di vita anche se tutto questo non basta se mancano po-litiche oggettive di inclusione. Occorre che tutti si coinvolgano, istitu-zioni, forze sociali, singoli cittadini. Le stesse associazioni sportive so-no richiamate dall’Unione Europea a muoversi nel loro specifico per di-ventare strumenti di integrazione. E l’integrazione passa anche attra-verso la difesa del diritto alla salute. Per questo “Cittadini attraverso losport” riflette e incorpora in particolare, uno dei tre obiettivi del Pro-gramma biennale Sport&Salute dell’Unione sportiva Acli. L’obiettivodella sicurezza (accanto a quelli dell’educazione alla salute e dell’anti-cipazione diagnostica) che si realizza riscoprendo “la visita di idoneitàsportiva non come un obbligo di legge ma come uno strumento utileper conoscere lo stato psico-fisico del soggetto”. Per sostenerlo e permigliorarlo. Dunque ben venga questa esperienza se fa compiere unpasso avanti sul piano della conoscenza dei nuovi bisogni emergenti esu quello della difesa del diritto alla salute. Per tutti o come ci piace di-re, nessuno escluso.

* Medico, responsabile progetto “Sport & Salute” Presidenza nazionale US Acli

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Il razzismo nello sport

CI SONO MOLTI MODI DI RACCONTARE LO SPORT. IN GENERE, VIENE RIBADITO

IL RUOLO CHE SVOLGE PER GARANTIRE L’INTEGRAZIONE E LE UGUALI OPPORTUNITÀ.IN PARTE È VERO, SOPRATTUTTO NELLO SPORT DILETTANTISTICO. IN PARTE PERÒ NON LO È.

Mauro Valeri *

i sono molti modi di raccontare lo sport. In genere, viene ribadito ilruolo che svolge per garantire l’integrazione e le uguali opportunità. Inparte è vero, soprattutto nello sport dilettantistico. In parte però nonlo è. O meglio, rischia sempre di assumere il ruolo opposto, e cioè quel-lo di ribadire le discriminazioni già presenti nella società. Basta rileg-gere la storia dello sport moderno per capire che il ruolo positivo svol-to dallo sport, in realtà, sia stato e sia ancora oggi soltanto il frutto diuna conquista. Di fatto, lo sport moderno nasce razzista. A confermadi tale ipotesi c’è un dato anagrafico: lo sport moderno nasce alla finedell’Ottocento, quando nel mondo sono ancora diffusi lo schiavismo, ilcolonialismo, il razzismo. La partecipazione alle Olimpiadi, che dovreb-bero essere il momento più esaltante del ruolo positivo dello sport, haspesso riprodotto in maniera piuttosto rigida le medesime disegua-glianze presenti nei rispettivi paesi. Basta qui ricordare i tragici “an-thropological day” organizzati in occasione dei Giochi del 1904 a SaintLouis, che prevedevano gare riservate a minoranze etniche in sport et-nici. Una sorta di zoo umano, per allietare il pubblico sportivo. Ol’esclusione delle minoranze dalle formazioni che avrebbero partecipa-to ai Giochi. L’idea che lo sport debba essere finalizzato al miglioramentodella “razza” (quale?) è stata alla base del comitato olimpico fino a unaventina di anni fa!

LO SPORT FONTE DI PARTICOLARE RAZZISMOSarebbe però riduttivo pensare che il razzismo nello sport sia stato esia soltanto una trasposizione di ciò che accade nella società; in real-tà, lo sport diviene esso stesso fonte di un particolare razzismo che sidiffonde nella società, con il potere di presentarsi non come razzismoma come un fatto evidente e concreto. Una dimostrazione semplicequanto imbarazzante è porre a qualsiasi persona che si interessa mi-nimamente di sport una domanda che, immancabilmente, è ripropostain occasione di record mondiali o delle Olimpiadi: “Perché, negli ultimidecenni, a vincere le gare di velocità sono atleti neri?”. Anziché soste-nere che, in questo come in altri casi, il colore della pelle non dovreb-be contare più del colore degli occhi, chiunque si avventuri nella ricer-

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ca di una risposta finisce per avvalorare pregiudizi e stereotipi a baserazzista. La risposta più diffusa, sia tra gli addetti ai lavori che nel sen-so comune, è che se un nero vince la finale dei cento metri è perchéè facilitato geneticamente. In molti, ancora oggi sono convinti, in ot-temperanza ad una mai dimostrata selezione naturale darwiniana, chegli afroamericani vincono le gare di velocità di atletica perché sono i di-scendenti degli africani sopravvissuti alla tratta negriera e poi alla du-ra esistenza nelle piantagioni. Questa bizzarra teoria ha subito una re-cente incrinatura quando a vincere è stato il giamaicano Bolt. Ecco al-lora spuntare una nuova teoria razzista: i giamaicani vincono non sol-tanto perché discendenti degli africani sopravvissuti alla tratta negrie-ra e alle piantagioni ma anche perché la Giamaica era la prima sostadella tratta negriera e qui venivano “scaricati” gli africani ribelli. In-somma, i giamaicani vincono perché più “resistenti” ma anche perchépiù “arrabbiati” (chissà perché lo stesso non vale per i rasta come BobMarley!). A farsi portatori di simili teorie razziste non sono soltanto i po-litici apertamente razzisti ma anche diverse testate giornalistiche che,senza troppa attenzione, negli ultimi anni hanno ripreso ad utilizzare ilconcetto di “razza” per interpretare fenomeni che hanno all’origine mo-tivazioni essenzialmente sociali ed economiche. La falsità di queste teo-rie razziste nello sport è, per fortuna, spesso sconfessata da altri epi-sodi sportivi. È capitato quando il bianco e italiano Mennea ha battutoil record del mondo dei 200 metri, mantenendolo dal 1979 al 1996!Qualcosa di analogo si sta registrando nel pugilato. Per decenni in mol-ti hanno sostenuto che i neri vincevano nel pugilato perché erano “ge-neticamente” meno sensibili al dolore e più forti fisicamente. Poi, daquando i campioni del mondo dei pesi massimi sono bianchi ed euro-pei, queste teorie sono finite nel cassetto. E poi non è ben chiaro se tut-ti gli africani rientrano nella categoria della presunta “razza nera”, per-ché gli etiopi che hanno il colore della pelle scuro non vincono le garedi velocità o sul ring ma le maratone.

PREGIUDIZI GENERICI E IMBARAZZANTIOvviamente, così come esistono pregiudizi positivi, allo stesso temponello sport esistono pregiudizi negativi altrettanto generici e imbaraz-zanti. È facile sentire qualche “esperto di sport” sostenere che i neri nonottengono buoni risultati nel nuoto perché geneticamente “troppo pe-santi”! Uno dei temi ricorrenti utilizzato negli Stati Uniti fino alla metàdegli anni quaranta per impedire di far scendere in campo giocatori ne-ri nella Major League di baseball, era che questi avevano una natura-le quanto eccessiva paura delle palle tirate all’altezza della testa e so-prattutto di non riuscire a comprendere le regole del baseball. I neri sa-rebbero buoni per gli sport semplici, di forza, e non per quelli di squa-dra. Poi arrivarono i Globetrotters e anche questi pregiudizi finirono in

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un cassetto (ma sempre pronti ad essere riproposti appena giungeràl’occasione). Il problema è che questi pregiudizi hanno un effetto con-creto. Un ragazzo, nero o bianco, ascoltando queste teorie, finisce perscegliere quegli sport dove si immagina “razzialmente” più portato, tra-scurando gli altri. Nel rispetto di una sorta di profezia che si auto adem-pie, la selezione “etnica” trova origine proprio nella diffusione di que-sti pregiudizi.

IL RAZZISMO ISTITUZIONALEÈ però indubbio che esiste anche un razzismo istituzionale, messo in at-to proprio da chi gestisce lo sport. Almeno fino agli anni Venti, ad esem-pio, nessun nero o meticcio poteva giocare nella Nazionale brasiliana.Non che non ci fossero neri o meticci forti. Uno dei più quotati era Ar-tur Friedenreich, figlio di un emigrato tedesco e di una lavandaia ne-ra. Il problema era che i principali club brasiliani erano fortemente in-tenzionati a mantenere quella interdizione che aveva caratterizzato ilcalcio sin dal suo esordio, cioè fare del football un’attività solo per bian-chi. Addirittura, quando venne organizzata la prima Copa America erastato lo stesso presidente brasiliano a chiedere che non venisseroschierati in Nazionale neri o meticci. Una Nazionale solo di bianchi. Lasconfitta del Brasile obbligò tutti a dover dar retta alla voce popolareche impose, per l’edizione successiva del 1919, proprio il centravantimeticcio Fridenreich. La storia vuole che sia stato proprio lui a segna-re il gol che diede la vittoria al Brasile della prima Copa America, tan-to che il suo scarpino infangato, si racconta, finì in mostra in una gio-ielleria di Rio de Janeiro.

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DUE INDICAZIONI CHIARIFICATRICIDa questa storia possiamo trarre due indicazioni. La prima è che i sog-getti appartenenti a minoranze socialmente discriminate, riescono ademergere nello sport soltanto se dimostrano di avere doti “ecceziona-li”. Nella consapevolezza che la loro accettazione sarà mantenuta fin-ché vince, perché se perde torna ad essere “il diverso”. Un’atleta blackItalian mi raccontava amareggiata che quando vinceva i giornali tito-lavano “l’italiana ha vinto un importante oro”, mentre quando perdevatutti la definivano “la cubana ha nuovamente mostrato i suoi limiti”. La seconda indicazione è che l’accettazione nello sport di soggetti ap-partenenti a minoranze socialmente discriminate o emarginate, avvie-ne in genere in concomitanza con le rivendicazioni delle stesse mino-ranze sul piano sociale e politico. Non è un caso, che una delle primeiniziative intraprese dai paesi appena usciti dall’esperienza coloniale siastata l’adesione alle federazioni internazionali sportive. Così come nonè un caso che l’apartheid sudafricano sia stato bandito prima di tutti dal-la Confederazione di calcio africana già nel 1960.

ESISTE IN ITALIA IL RAZZISMO NELLO SPORT?A questo punto è interessante porsi la domanda: ma in Italia esisteun razzismo nello sport? Se prendiamo come esemplificativo l’esordiodi un calciatore nero in Nazionale, il caso italiano è davvero esemplare.Il primo meticcio italiano ad indossare la maglia della Nazionale mag-

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giore è stato Fabio Liverani il 25 aprile 2001, in fortissimo ritardo ri-spetto a tutti gli altri paesi europei, non soltanto Francia e Inghilter-ra ma anche paesi non coloniali e non meta di immigrazione comeGermania o Polonia. Eppure l’Italia è stato un paese con colonie afri-cane, o con una forte emigrazione in paesi dove la popolazione conil colore della pelle scuro era considerevole. Perché questo ritardo?Semplicemente per distrazione, oppure perché i meticci sono statiemarginati? C’entra qualcosa il fatto che l’Italia nell’esperienza colo-niale abbia organizzato tornei calcistici rigidamente divisi tra quelli ri-servati ai bianchi e quelli riservati ai neri e meticci? In realtà, qualcosadi diverso era stato registrato in altri sport. Il 24 giugno 1928, divie-ne campione italiano e europeo dei pesi medi Leone Jacovacci, natoin Congo nel 1902 da padre romano e madre congolese. Con quellavittoria, Jacovacci è diventato il quarto italiano in assoluto a vincereun titolo europeo e il secondo meticcio a vincerlo in Europa. Eppure,il giorno dopo la sua importante vittoria, La Gazzetta dello Sport scris-se in prima pagina che non poteva essere un nero a rappresentarel’Italia in Europa. Razzismo “estetico” che di fatto mise fine alla car-riera di Jacovacci, che sul ring dimostrava la non fondatezza delle teo-rie che volevano i meticci dei degenerati.

PIONIERI DELLO SPORT MULTIETNICODopo quarant’anni una nuova novità. Alle Olimpiadi 1968 nella Nazio-nale italiana è presente Giacomo Puosi che gareggia nella staffetta 4x 400. Puosi è il primo meticcio italiano a partecipare alle Olimpiadi,dato che è figlio di un soldato afro-americano e di donna italiana. Erauno di quei “mulattini di guerra” che qualcuno pensava fosse megliotenere separati dai coetanei bianchi perché “si sarebbero spaventati”.Non è forse un caso che Jacovacci e Puosi abbiano mostrato le loroqualità in sport individuali, dove è più “facile” mettersi alla prova, men-tre nel calcio, essendo lo “sport nazionale”, sia più difficile. Prima di Li-verani, era stato Joseph Dayo Oshadogan, pisano di padre nigeriano,ad indossare la maglia della Nazionale under 19 nel 1996, lo stesso an-no in cui ai Giochi di Atlanta gareggiano altri due black Italians in sportindividuali: Fiona May nel salto in lungo e Ashraf Saber nella 4 x 400.Eppure tutti questi pionieri dello sport multietnico hanno dovuto sop-portare insulti ed esami, non richiesti, di italianità. Oshadogan, inun’estate di prova con la Roma, è stato preso di mira dai tifosi razzi-sti giallorossi con cartelli del tipo “No al calcio multirazziale”, “Osha-dogan Raus”. Saber, che tra l’altro è stato in assoluto il primo atleta ita-liano a vincere il Mondiale juniores, venne attaccato da un suo com-pagno di staffetta e dal suo allenatore perché non volevano “neri” insquadra, rivendicando una Nazionale di atletica riservata ai soli ban-chi. Contro la May si scatenarono tutti coloro che l’accusarono di es-

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sere un’italiana solo sulla carta, perché lo era diventata sposando unitaliano e dopo aver già gareggiato alle Olimpiadi per l’Inghilterra. Ov-viamente la May aveva rispettato le regole della Federazione interna-zionale di atletica che prevede che trascorra un determinato tempo pri-ma che un atleta, una volta ottenuta una nuova cittadinanza, possa di-sputare gare internazionali con la nuova maglia nazionale. Ma i puri-sti sono sempre dietro l’angolo. Forse contava anche il fatto che la Mayha un colore della pelle scuro?

I PURISTI DIETRO L’ANGOLOGli stessi attacchi sono stati rivolti a Carlton Myers quando è stato pro-posto come alfiere per l’Olimpiade 2000. In molti, riecheggiando le fra-si che avevano di fatto stroncato la carriera a Jacovacci nel 1928, di-chiararono: non può un nero rappresentare l’Italia. Il razzismo emer-ge con maggiore evidenza quando si disputano gare molto importantio quando c’è di mezzo lo sport nazionale, per l’Italia il calcio (nessunosi è accorto, ad esempio, che la Nazionale italiana che ha partecipatoagli ultimi mondiali di cross era composta da sei italo-marocchini/e suundici atleti!). E proprio il calcio ci dà, a noi italiani, la prova di quan-to il razzismo sia ancora presente nelle manifestazioni sportive. In quel-la che è fino ad oggi l’unica ricerca a base scientifica sul razzismo nelcalcio italiano (e lo sottolineo non per vanagloria ma con preoccupa-zione), ho preso in esame gli ultimi dieci anni, tra campionato di serieA, serie B, Prima e Seconda Divisione, Coppa Italia. Gli episodi di raz-zismo, quasi tutti riconosciuti dal giudice sportivo, sono stati ben 530episodi, che hanno coinvolto 99 tifoserie. A rendere questi dati ancorpiù preoccupanti è il fatto che in quegli stessi anni sono state adotta-te diverse “leggi speciali” contro la violenza negli stadi che, di fatto, nonsembrano aver saputo colpire realmente i razzisti.

VARI TIPI DI RAZZISMOEntrando nel merito, si tratta essenzialmente di quattro tipi di razzismo.Il primo è quello che possiamo definire preventivo e che si basa su unasorta di volontà dei tifosi a mantenere la propria squadra in una con-dizione di “purezza” razziale, etnica e religiosa. Mettendo in atto com-portamenti oppositivi, i tifosi impongono alla società di non tesserarecalciatori “diversi” per colore della pelle, religione, origine, ecc. Anchei festeggiamenti per la vittoria della Nazionale di calcio sono state spes-so occasioni per un’esaltazione in chiave “razziale”, dove tifosi italianihanno impedito ai tifosi stranieri (a volte identificati solo per il diversocolore della pelle) di unirsi ai festeggiamenti perché considerati “non de-gni” di tifare per l’Italia. Il razzismo preventivo ha molto a che fare conun altro tipo di razzismo molto presente negli stadi di calcio (ma nonsolo): il razzismo di propaganda. Si va allo stadio di calcio non tanto per

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tifare la squadra ma per fare proseliti o per manifestare la propria ap-partenenza ad una ideologia razzista. Nonostante la diffusione di un si-mile comportamento, in Italia - che pure ha approvato una legge nel1993 proprio per evitare che le manifestazioni sportive si trasformas-sero in manifestazioni razziste - c’è ancora una sorta di zona grigia sucosa debba intendersi per “simboli” o “comportamenti” di propagandarazzista. Se sulla svastica sembrano non esservi problemi (ma in Italiaalcuni - tra cui anche qualche avvocato di squadre di serie A di calcio- sono convinti che sia da punire l’apologia del fascismo e non del na-zismo!), maggiore incertezza sembra esservi, anche da parte del giu-dice sportivo, sui simboli del Ventennio fascista o del neofascismo (co-me ad esempio la croce celtica). In un dibattito tutto italiano, spessosi finisce per evitare di affrontare seriamente questo tema, ricorrendoad una sorta di logica degli “opposti estremismi”: anziché contrastarecon determinazione il razzismo, si dichiara che bisogna cacciare “la po-litica” dagli stadi; tema sicuramente interessante ma non sovrapponi-bile al primo. Questa indeterminazione su cosa sia o no razzista, è an-cora più evidente quando si tratta di affrontare il tema degli epiteti raz-zisti. In particolare i tristemente diffusi buuu. L’esperienza ci insegna cheil razzismo nello sport (ma lo stesso vale anche nella vita quotidiana),al di là dell’intervento del giudice, è divenuto una sorta di “concetto mo-bile”: non è considerato tale fino a quando qualcuno non protesta per-ché considera quel gesto razzista. Per anni, negli stadi, è stata soprat-tutto la comunità ebraica a tenere alta l’attenzione sul razzismo dellecurve (e non solo), specie quando quel razzismo era di propaganda.

IL RAZZISMO DIRETTO CONTRO I CALCIATORIPiù debole appare oggi, complessivamente, la risposta di fronte aquella che è divenuto il razzismo più diffuso, ovvero il razzismo direttocontro i calciatori ed in particolare contro quelli dal colore scuro dellapelle. Se contro gli insulti ai calciatori romeni, si è assistito alla presadi posizione di consolati, ambasciate e rappresentanti politici e sporti-vi della Romania, meno forte è l’indignazione nel caso in cui l’insulto ri-guarda un calciatore nero. Ad oggi non risulta che ci sia stata una fer-ma presa di posizione da parte del paese d’origine della vittima, fattoche ha finito per abbassare di molto il livello di guardia, per cui in mol-ti considerano i buuu non un tentativo di animalizzare, de-umanizzarela vittima ma un modo come un altro per intimorirla. Come al solito, an-ziché riflettere sull’aspetto specifico, fiumi di inchiostro e di parole ven-gono utilizzate se non per giustificare quegli ululati, almeno per para-gonarli ad altre forme di spregio ma che del razzismo antineri non han-no né la pesantezza né la dimensione storica. Per arrivare al tradizio-nale assolvimento italiota del “tutti siamo razzisti e tutti siamo vittimedi razzismo, quindi nessuno è razzista!” Eppure il fatto che la frase ur-

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lata contro Balotelli (“non esistono negri italiani”) è la stessa pronun-ciata ottanta anni prima a Jacovacci, dovrebbe far riflettere! Con la sempre maggiore presenza in campo di calciatori black Italianssarà questo uno dei temi più ardui da affrontare, soprattutto se oltreche tra i calciatori, i neri o gli appartenenti a qualche altra minoranzaetnica o religiosa, scenderanno in campo come arbitri, guardialinee, al-lenatori, ecc..

UNA STRATEGIA DI TIPO PREVENTIVOEppure si potrebbe fare molto già da oggi. L’impressione è che, negliultimi dieci anni, ci si è illusi di combattere il razzismo da stadio sem-plicemente con norme repressive non specifiche, con il risultato che, no-nostante numerose “leggi speciali”, gli episodi di razzismo sono statipressoché costanti e permangono. Un fenomeno sociale non può es-sere affrontato soltanto nell’ottica dell’ordine pubblico. Ciò che mancaquasi del tutto è infatti una strategia di tipo preventivo e di sostegnoalle tifoserie antirazziste o ad iniziative pedagogiche. Perché, ad esem-pio, non fare dell’antirazzismo una materia di insegnamento nelle scuo-le calcio (dato che è un valore espresso nei vari codici di comporta-mento dei calciatori e che il razzismo è punito anche dal codice di giu-stizia sportiva)? Per i fondi si potrebbe accedere facilmente a quelli chele varie Leghe e la FIGC intascano a seguito delle ammende irrogatedal giudice alle società responsabili “oggettivamente” dei comporta-menti razzisti messi in atto dai propri tifosi. In un calcolo approssima-tivo, in dieci anni queste ammende hanno portato nelle casse delle isti-tuzioni calcistiche 3 milioni di euro. Invece, non è dato sapere se equanto è stato investito su iniziative antirazziste. E l’impressione è chesiano cifre assolutamente irrisorie.

UN RAZZISMO DIFFICILE DA INDIVIDUAREC’è poi l’ultimo tipo di razzismo nello sport. Quello più difficile da indi-viduare e contrastare: il razzismo istituzionale. È una discriminazioneche riguarda soprattutto il tesseramento nel calcio, le cui regole asto-riche, oltre che astruse, stanno compromettendo la possibilità di gio-care a calcio e di sperare in una carriera professionistica a decine di mi-gliaia di ragazzi e ragazze figli e figli di migranti. Questo dipende in granparte dal fatto che l’Italia continua ad essere uno dei pochissimi paesioccidentali a basare la concessione della cittadinanza alla nascita al co-siddetto “diritto di sangue”. È italiano chi ha almeno un genitore italia-no. Se si nasce e si cresce in Italia da genitori stranieri, si è stranieroalmeno fino al diciottesimo anno d’età. Questo ha gravi conseguenzeanche nello sport, soprattutto da quando, e sono ormai diversi anni, esi-stono delle quote che limitano il tesseramento di atleti extracomunita-ri. Chi ha scritto quelle norme non ha saputo e forse voluto distingue-

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re l’atleta professionista iper-pagato, l’atleta trafficato e semplicemen-te il figlio del migrante. Quindi se una società ha a disposizione soltantoun posto per un calciatore extracomunitario, è molto probabile che scel-ga “il fenomeno”. Solo se un figlio di migranti diventa un fenomeno puòsperare di farcela. Ma comunque sempre con molte difficoltà e fru-strazioni. Un caso per tutti: Mario Balotelli. Nato a Palermo nell’agosto1990 da genitori ghanesi. Quindi a tutti gli effetti straniero extraco-munitario. Per questo motivo, non soltanto ha avuto difficoltà a gioca-re per via delle quote, ma ha dovuto rinunciare a giocare con la Na-zionale Olimpica che è scesa in campo a Pechino nei Giochi del 2010perché disputati a luglio, mentre lui compiva diciotto anni ad agosto.Per poche settimane ha perso una opportunità irripetibile. E come lui,sono centinaia i ragazzi e le ragazze di seconda generazione, che sol-tanto per motivi burocratici, debbono rinunciare a quelle che sono spes-so importanti occasioni di crescita individuale e di poter dare il loro con-tribuito al paese al quale sentono di appartenere. È evidente che fin-ché esisteranno queste forme di discriminazione e di razzismo non po-trà essere chiamato sport.

* Sociologo delle relazioni etniche

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CITTADINI ATTRAVERSO

LO SPORT

Il linguaggio universale dello sport

AGRIGENTOComitato provinciale US Acli AGRIGENTOResponsabile locale Stefano Urso

Incaricata di progetto Esmeralda D’OroComunità migranti Senegalese - Marocchina

Realtà locale ASD Olimpia

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ABBATTERE LE BARRIEREL’idea progettuale messa in atto dall’Unione sportiva Acli Agrigento na-sce rifacendosi alla proposta complessiva dell’associazione che indivi-dua l’aggregazione sportiva come opportunità strategica per innestareprocessi educativi e di integrazione sociale e interetnica. Ben sapendo che “lo sport con il suo linguaggio universale, è uno stra-ordinario strumento per avvicinare tra loro persone di estrazione, et-nia, religione ed idee differenti”, l’US Acli di Agrigento da decenni con-tribuisce ad abbattere quelle barriere che in altri campi della società ci-vile e politica appaiono insormontabili.Da molti anni la provincia di Agrigento è meta di sbarchi di immigratiprovenienti da diverse località della costa africana e di fatto rappresentail primo approdo dove cercare alloggio e lavoro. Chi arriva dal mare èsoprattutto di origine senegalese, tunisina e marocchina. Dopo unbreve periodo di soggiorno nella nostra provincia, molti sono costrettia partire verso il nord Italia o verso altri stati europei; solo una picco-la parte rimane in Sicilia e nella provincia di Agrigento. Alcuni, i più for-tunati, riescono a trovare un lavoro e vengono messi in regola, moltis-simi invece vivono con permessi di soggiorno temporanei e praticanol’attività di venditore ambulante per le vie della città.

GIOCO E AMICIZIATradizionalmente, il lunedì mattina una buona parte dei giovani sene-galesi presenti in città, approfittando della chiusura dei negozi agrigen-tini, si riunisce al Villaggio dello Sport Bellavia, nei pressi della zona tu-ristica balneare di San Leone, per dedicarsi allo sport. Sono giovani chevivono in situazione disagiata ma di indole aperta e desiderosi di strin-gere amicizia. Amano anche molto lo sport che tentano di praticare inogni forma: sport e musica sono per loro una vera passione che fa vi-vere momenti di gioia, dimenticare temporaneamente i tanti problemiquotidiani e stringere nuovi rapporti. Approfittando della loro pazienzae dell’atteggiamento amichevole, l’Unione sportiva Acli ha contattato ilgruppo per spiegare i propri obiettivi nell’ambito dello sport per tutti esuccessivamente lo spirito del progetto “Cittadini attraverso lo sport”.

PASSIONE DI SQUADRAQuesti giovani, una trentina di età prevalente 17/25 anni più alcuni ado-lescenti quasi tutti maschi, dopo avere accettato volentieri la collabo-razione sportiva offerta dalla nostra associazione, hanno formato unasquadra e sono stati inseriti in un torneo di calcio a 5, appositamenteorganizzato con la collaborazione dell’ Associazione sportiva dilettanti-stica Olimpia: una società affiliata all’ US Acli da diversi anni, che ha col-laborato all’organizzazione logistica del torneo e si è fatta parte in cau-sa del gemellaggio sottoscritto con i gruppi degli immigrati.

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Anche alcuni ragazzi tunisini e marocchini si sono inseriti nella squadrasenegalese grazie all’azione dello sportello immigrati delle Acli di Agri-gento attraverso il quale abbiamo avuto l’opportunità di contattare al-cune famiglie che abitualmente usufruiscono dei sevizi messi a dispo-sizione dalle Acli proprio per i cittadini stranieri.

NON SOLO GIOCOOltre ad organizzare il torneo di calcio a 5 nei suoi vari aspetti, curan-done la fase organizzativa e logistica, abbiamo fatto in modo di far in-contrare le diverse persone coinvolte, favorendo così l’avvio di nuovipercorsi di convivenza. In molti incontri si è discusso dei vari problemiche i gruppi stranieri sono costretti ad affrontare durante la loro per-manenza in territorio italiano, fornendo informazioni sui diritti di cui pos-sono godere in quanto cittadini di diversa nazionalità. Il progetto è stato propagandato con manifesti e con brochure diffusein tutta la città di Agrigento. Presso l’Istituto IPIA “ E. Fermi” di Agri-gento, che aveva a suo tempo firmato un rapporto di collaborazione conl’US Acli, si è svolto un workshop dedicato al tema dell’ inclusione deicittadini stranieri anche attraverso lo sport. Iniziativa che ha coinvoltodiversi alunni della scuola, compresi i ragazzi immigrati che frequenta-no l’Istituto.

TUTTI IN FESTAQuesto coinvolgimento è proseguito nel mese di maggio, subito dopole feste pasquali, quando approfittando della festa che le Acli agrigen-tine abitualmente dedicano agli stranieri, i partecipanti al progetto han-no preso parte alla degustazione dei prodotti tipici delle diverse co-munità straniere.

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A giugno la chiusura del progetto è stata siglata da una manifestazio-ne sportiva unica per tutti: una maratona all’insegna della pace e del-l’accoglienza degli stranieri presenti sulla costa agrigentina e una garadi podismo che tradizionalmente si svolge già da alcuni anni.I risultati del progetto saranno diffusi in tutte le scuole, nelle associa-zioni di volontariato e in tutte le associazioni sportive affiliate all’US Aclidi Agrigento.

GLI ORIZZONTI DELL’ACCOGLIENZARipensando alla nostra esperienza, ricordiamo soprattutto l’energiagioiosa - sul campo e fuori - di quanti sono stati coinvolti nel progetto,la loro voglia di confrontarsi con gli altri immigrati e con il territorio cheli ha accolti e ospitati. Per questo, sarebbe necessario poter avere mag-giori risorse per organizzare una struttura organizzativa sportiva futu-ra in grado di far fronte alle esigenze delle diverse comunità straniere.Sarebbe inoltre funzionale ad un discorso più complessivo, coinvolge-re le amministrazioni locali e altre associazioni di volontariato.Noi ci auguriamo che tutto il lavoro svolto possa portare la gente co-mune e la classe politica a valutare bene il problema dell’accoglienzae dell’integrazione degli immigrati nel nostro Paese. La storia insegnache l’attenzione per questi cittadini stranieri non deve risvegliarsi soloin tempi di emergenza come quella che stiamo attraversando con la cri-si libica. L’accoglienza, la tutela, l’integrazione di chi cerca rifugio o op-portunità di una vita migliore devono poter avere orizzonti più ampi epercorrere strade diverse. Anche lo sport può giocare un ruolo impor-tante rispetto a questo problema che investe tutti i cittadini.

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Movimenti di danza: conoscersi per accettarsi

BARIComitato provinciale US Acli BARIResponsabile locale Nicola Mangialardi

Incaricata del progetto Giuseppina ScarolaComunità migrante Indiana

Realtà locale ASD Centro studi danza Modugno

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CITTADINI ATTRAVERSO

LO SPORT

Foto di repertorio

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DA TERRA D’EMIGRAZIONE A TERRA D’ACCOGLIENZANella storia del nostro paese, la Puglia si è a lungo caratterizzata co-me terra di emigrazione. Negli ultimi decenni invece, la regione è pro-gressivamente diventata non solo luogo di immigrazione “di transito”verso altri paesi europei ma anche terra di un fenomeno migratorio ditipo stanziale. Questo cambiamento è spiegabile in parte con la sem-pre maggior richiesta del mercato pugliese locale di manodopera im-migrata che, in particolare per quel che riguarda il settore agricolo equello domestico, si contraddistingue per i costi inferiori del lavoro. Manella regione si registrano anche diversi centri di accoglienza, numerosiimmigrati in condizioni disagiate e centri con sovraffollamento e spes-so in conflitto con la popolazione locale. Oltre 30.000 sono gli stranie-ri residenti nella provincia di Bari, il 43 % del totale delle presenze nel-la regione. Quasi la metà hanno un età compresa tra i 18 e i 39 annimentre il 20 % sono minori. (Dossier Caritas-Migrantes).

MODUGNO CITTÀ MULTIETNICAModugno che conta più di 38.000 abitanti, è situata nell’entroterra ba-rese e sebbene molto vicino all’abitato di Bari, ha sempre tenuto a man-tenere la sua autonomia anziché diventare quartiere del capoluogo co-me è avvenuto per altri centri abitati, anche più distanti.Dai dati Istat e dai registri degli uffici anagrafe dei Comuni, a Modugno(e in parte a Bitonto sia pure con numeri inferiori), risiede la maggiorparte degli stranieri immigrati della provincia. In questo centro - dovel’US Acli ha scelto di sperimentare il progetto - si calcolano 43 etnie di-verse e oltre mille immigrati regolari: quantitativamente, ai primi postisi collocano albanesi, cinesi e indiani. E proprio con la comunità india-na si è stretto un rapporto di collaborazione, di confronto e di scambio.

MUSICA E DANZA: CULTURE A CONFRONTOLe attività si sono svolte nella sede dell’ ASD Centro studi danza Mo-dugno con un gruppo di età compresa tra i 25 e i 50 anni. Musica e dan-za sono state gli elementi catalizzatori degli incontri. Un programmamolto articolato sulla cultura pugliese nel quadro di quella italiana e ilcollegamento con la cultura indiana, ha permesso di raggiungere al piùpresto un significativo punto di contatto con le persone. Il gruppo di im-migrati si è fatto spesso interprete attivo di momenti di ricerca laddo-ve si manifestava qualche difficoltà nel ricordare i particolari di una lo-ro tradizione o di un’usanza del passato. Un lavoro di memoria e di sca-vo che ha aiutato a far emergere i valori della loro cultura e le moltevicinanze con le nostre tradizioni. Quelle indiane sono molto numero-se e si rendono visibili nelle cerimonie celebrate in occasioni speciali.La cerimonia del nome, la cerimonia di inaugurazione di una nuova ca-sa e quella relativa al matrimonio, sono tradizioni che dalla nascita

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ognuno è predestinato a perpetuare. Digiuno e preghiere sono parteintegrante di cerimonie strettamente religiose.

DALLA MUSICA CLASSICA AI FESTIVAL POPOLARILa musica classica indiana affonda le sue radici in tradizioni antichissi-me e malgrado si sia amalgamata con altri sistemi musicali non si è maiesaurita. Il suo punto centrale è ancora lo studio dell’intonazione: in-tonare frasi e parole sacre come “OM” richiede una estrema precisio-ne poiché questi canti erano costitutivi di ciò che serviva a mantenerel’ordine dell’universo. E accanto a questo i festival che coinvolgono lapopolazione in riti gioiosi oltre che religiosi, ad esempio per onorare lavittoria del bene sul male con fuochi d’artificio (la festa di Dussehra) ola festa della promessa di protezione (Raksha Bandhan) in cui le sorellerecitano preghiere per augurare al fratello una lunga vita felice. Musi-ca e danza, movimento e ricerca hanno accompagnato questo percor-so dentro due culture e hanno permesso di considerare attraverso mo-menti più specificamente formativi, come lingua, arte e artigianato, cre-denze e tradizioni, festival e cibo e, appunto, musica e danza segninola differenza tra l’India e il nostro paese ma anche mettano in eviden-za le tante cose in comune: le feste locali in onore dei santi patroni, ladevozione religiosa verso i defunti, i fuochi d’artificio a conclusione del-le feste patronali, solo per citarne alcune. L’esperienza sviluppata con il progetto ha soprattutto confermato il si-gnificato più profondo dell’integrazione, la disponibilità a conoscere ve-ramente l’altro. Noi l’abbiamo fatto attraverso la condivisione di un’at-tività come il movimento e la danza, sottolineando quello che ci fa ugua-li e accantonando i giudizi. D’altra parte l’opinione degli altri su di noie di noi sugli altri dipende sempre dalla storia delle relazioni intercor-se, dal rispetto della dignità di ciascuno, dalla voglia di integrarsi purmantenendosi fedeli alla propria identità culturale originaria.

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Lo sport per una società aperta

BENEVENTOComitato provinciale US Acli BENEVENTOResponsabile locale Angelo Donisi

Incaricato del progetto Filiberto ParenteComunità migrante Etnie diverse

Realtà locale US Acli Benevento

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CITTADINI ATTRAVERSO

LO SPORT

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MIGRAZIONE A BENEVENTODati relativi alla popolazione sannita, tenendo conto dei flussi migratori,indicano che la provincia di Benevento, conta alla fine del 2009, un nu-mero di abitanti pari al 5 % di quelli campani. La distribuzione della po-polazione straniera sul territorio regionale, ha fatto registrare nell’ulti-mo anno un incremento del 30,7% con 4.008 immigrati a fronte dei114.792 presenti in Campania. Gli uomini sono 1.559 (38,9%), le don-ne 2.449 (61,1%). Il fenomeno migratorio è in crescita anche nelle zo-ne più interne, in particolare in Irpinia ed nel Sannio. La provincia di Be-nevento, benché ultima tra le campane (4.818 migranti regolarmenteresidenti, pari ad una percentuale del 3,7% del totale regionale) segnalaperò il migliore incremento rispetto al 2007 (+20,2%): il più alto tra leprovince campane anche se è la provincia della Campania che accoglieil minor numero di immigrati. Tenendo conto che negli ultimi cinque an-ni la popolazione totale residente sia nel comune capoluogo che neglialtri, è diminuita per il progressivo invecchiamento e per il bassissimotasso di natalità, l’arrivo degli stranieri può senza dubbio dare nuovo im-pulso all’economia provinciale. Di fronte a questa migrazione è neces-sario far crescere una consapevolezza individuale e collettiva di ciò chesta cambiando nei bisogni delle persone, delle famiglie, delle comuni-tà. L’integrazione e la coesione sociale diventano fattori primari per lacostruzione di una società “aperta” che sappia coniugare accoglienzae regolamentazione verso un fenomeno che diventa sempre più im-portante per dimensione e problematiche. Gli uomini e le donne chevengono da paesi fuori dalla UE, dal vicino Est o dal lontano Sud delmondo, sono entrati a far parte delle nostre comunità. È l’altra facciadi quella che oggi chiamiamo globalizzazione. Uno dei nostri obiettiviprincipali è stato quello di attivare un servizio gratuito per garantire siaassistenza linguistica sia inserimento socio-culturale e lavorativo, apersone straniere che frequentano le scuole primarie e secondarie.

PERSONA & GIOCO: UN BINOMIO IMPORTANTEL’US Acli ben sa che attraverso lo sport, si può contrastare l’emargi-nazione; che lo sport è una risorsa fondamentale nella lotta control’esclusione sociale grazie alle sue molteplici funzioni; che è una risorsaspeciale per favorire la comunicazione con un universo nuovo. Lo sportpuò essere un luogo sociale nel quale e attraverso il quale si rico-struisce l’identità dei migranti. E ancora: lo sport ha un valore parti-colarmente significativo se promosso privilegiandone la sua profondavalenza educativa. L’affermazione dell’US Acli “Educare allo sport edu-care attraverso lo sport” riassume uno specifico punto di vista: lo sport,soprattutto quello delle fasce deboli, deve essere sostenuto da un pro-getto educativo che metta al centro il binomio persona-gioco come di-ritto ad una vita buona.

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Dal monitoraggio dei bisogni curato dall’ associazione Simposio, han-no preso il via le diverse azioni progettuali: attività finalizzate ai mino-ri specie se soli, lo sviluppo dell’associazionismo, le relazioni intercul-turali e lo studio della lingua italiana; iniziative di educazione alla cit-tadinanza attiva per immigrati nelle scuo le, nei settori para-scolastici edextrascolastici, la formazione permanente degli operatori in generale ein parti colare dei docenti delle scuole di ogni ordine e grado, la speri-mentazione didattica anche con la realizzazione di percorsi didattici spe-cifici. I minori stranieri regolarmente iscritti alle scuole primarie e se-condarie della città, possono usufruire di un servizio di mediazione lin-guistica, costantemente seguiti da mediatori specializzati, in grado disostenerli e aiutarli nella comprensione della lingua italiana. Questo av-viene nel corso delle lezioni scolastiche quotidiane e facilita o miglioraanche il contatto e le relazioni con i propri coetanei e con gli insegnanti.

LA CHECK-LIST DELL’INTERVENTOPunti fondamentali che hanno caratterizzato la sperimentazione del pro-getto sono stati:- aggregazione e recupero di immigrati attraverso assistenza anche pri-maria, in special modo dei minori immigrati attraverso lo sport. So-cialità con balli e attività ludiche; ballo di gruppo social dance step eginnastica aerobica. Danza classica e canto;

- visite guidate ai monumenti della città di Benevento;- corso di alfabetizzazione avanzato, per innalzare il livello di autono-mia delle persone immigrate funzionale anche alla presentazione diistanze di cittadinanza;

- organizzazione di una festa multi-etnica le cui due unità di supportosono state:

- uno sportello di coordinamento e gestione del progetto; una unità mo-bile di monitoraggio, analisi e valutazione del progetto.

È stato partner dell’ Unione Sportiva Acli di Benevento, il Simposio Im-migrati Acli che è una delle prime esperienze di realtà associative con pre-senza qualificante di stranieri. Questa associazione, iscritta all’albo regio-nale delle associazioni di Immigrati, nasce dall’ intuizione di fare sintesitra la Caritas diocesana e le Acli Colf per determinare un’ azione sinergi-ca tra due grandi organizzazioni del territorio. “Simposio immigrati” cheper finalità statutarie non persegue scopi di lucro, lavora per sviluppareattività connesse alla tutela dei diritti civili. La necessità di una organiz-zazione come Simposio, deriva dal ricordo dell’ esperienza dei nostri con-nazionali quando vivevano sulla loro pelle la condizione di migranti, su-bendo la ghettizzazione, l’isolamento e la discriminazione tipica di chi sireca in altri paesi. Gli associati di Simposio sono i nuovi lavoratori di unWelfare inclusivo, i quali rivendicano da lavoratori e persone non solo bi-sogni materiali ma anche identità, cultura, esperienza, lingua, religione.

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C’È POSTA PER TEPiù che le nostre parole, per descrivere il tipo di rapporto con il grup-po dei partecipanti al progetto, servono quelle di una donna, Nina Ly-senko, che in modo molto semplice ha voluto scrivere impressioni edemozioni nella sua “Gita per la città di Benevento”, una delle attivitàpreviste dal progetto. “Il 3 maggio, è stato un giorno particolare. Ab-biamo deciso di trascorrere tre ore diversamente e fare una gita perla città di Benevento, la città dove viviamo, lavoriamo, in cui vogliamointegrarci e di cui non sappiamo quasi niente della cultura e storia. Connoi erano presenti il vice sindaco, l’Assessore Raffaele Del Vecchio, ilpresidente dell’Associazione Simposio Acli, Filiberto Parente e la me-diatrice culturale Maria. Il vice sindaco ha fatto un piccolo riassunto sto-rico. Abbiamo visitato l’antica chiesa di Santa Sofia. Siamo passati nelvicolo vicino alla chiesa dove si trova l’ Hortus Conclusus con tante co-se antiche e belle. Abbiamo fatto un giro per il giardino verde in cui sirespira bene e ci si può rilassare. Poi siamo passati davanti alla chie-sa di S.Bartolomeo e alla Biblioteca Provinciale. Abbiamo conosciutolo Sportello Informagiovani che è dedicato anche agli immigrati e in cuilavorano tante persone sempre pronte a venire incontro e ad aiutarechi ha bisogno. Nonostante abbiamo visitato pochi posti storici dellacittà, dopo la gita mi sento più avvicinata alla cultura e storia della cit-tà. Sono rimasta molto contenta per la esperienza che abbiamo fatto.Volevo da tanto frequentare il corso d’italiano, finalmente il mio desi-derio si è avverato. Sono molto grata per l’aiuto e per l’affetto da par-te dell’Associazione Acli e personalmente a Filiberto Parente e alla me-diatrice culturale Maria”.

COOPERAZIONE NELL’EDUCAZIONE INTERCULTURALEIn considerazione della prevalente presenza femminile tra gli immigra-ti, il progetto ha sviluppato una significativa attenzione alle donne.L’obiettivo di “Cittadini attraverso lo sport” era quello di diminuire lospaesamento dei minori stranieri nella scuola e di promuovere un’ospi-talità capace di rispondere ai loro bisogni; ma anche di sviluppare unprocesso di educazione interculturale attraverso la metodologia dellacooperazione. Un processo che rappresenta un importante fattore percontrastare fenomeni di razzismo e di xenofobia se è vero che “non ba-sta convivere assieme, ma occorre creare assieme, ogni giorno, il con-testo, la società, la classe in cui vivere assieme”. “Integrazione” richia-ma “istruzione” in quanto se molti sono gli ostacoli che l’immigrato sitrova ad affrontare, il primo tra tutti è quello della lingua. L’impatto conla lingua e la conoscenza del Paese di permanenza viene ulteriormen-te reso difficile dalla presenza di dialetti locali, di uso comune fra col-leghi, amici e parenti, che non consentono allo straniero rapporti o checomunque gli procurano un rallentamento in virtù anche di una scar-

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sa cultura di accoglienza. Da qui un programma di accoglienza del-l’immigrato che mira a fornirgli un bagaglio linguistico sufficiente al-meno per un suo facile inserimento nel tessuto sociale e lavorativo.

“CITTADINI COME NOI”A Benevento abbiamo lanciato feste tematiche multietniche durante fe-stività come Pasqua e Natale. Ma il vero collante dello “stare insieme”sono state le serate a tema con il ballo di gruppo, la social dance. Emo-zionante vedere nei volti delle persone le note delle canzoni che ani-mavano i loro balli, la musica e il suo messaggio universale. Certo nonbastano poche ore per “evadere” dallo stress di essere la badante di tur-no o la schiavetta che asseconda bisogni ed esigenze degli altri. È ne-cessaria una pedagogia del cambiamento, per un nuovo stile di vita daproporre, un investimento culturale per rendere efficace ed effettivo ildiritto universale alla persona, al di là del colore della pelle. La partitasi gioca sul fronte di una identità diversa dalla nostra e su quello dell’appartenenza alla comunità. Per questo deve essere declinata e co-niugata con lo slogan proposto dalle Acli “cittadini come Noi” senzaesclusioni e preclusioni, al di là della legge Bossi- Fini, per far vincerela fraternità universale come “politica della prossimità”.Nel team molto dinamico del progetto, le figure del presidente del Sim-posio Immigrati Acli, Filiberto Parente, di Antonio Meola vicepresiden-te nazionale US Acli, dei mediatori Gergeta Al Masri, Ezziene Mohamed,Irina Ramanenka, Maria Iudima, dell’ insegnante di educazione fisica,la professoressa Marilena Mastrocinque, della responsabile dei percor-si formativi/ integrazione Immigrati Simposio, Francesca Maria Intorcia,si sono rivelate insostituibili. 63

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Incontro e dialogo complice lo sport

BOLOGNAComitato provinciale US Acli BOLOGNAResponsabile locale Manuel Ottaviano

Incaricato del progetto Luigi PettiComunità migrante Marocchina

Realtà locale US Acli Bologna

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LO SPORT

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UNA REALTÀ GIOVANE ALL’OMBRA DELLE TORRIIl territorio bolognese è ormai da anni centro di un notevole afflusso di im-migrati provenienti da diversi paesi. Attualmente la quarta nazionalità piùrappresentata è quella marocchina con un peso pari al 7,5% del totale de-gli stranieri residenti in città. Come indicano le statistiche ufficiali, la mi-grazione dal Marocco è una delle più consolidate ed ha acquistato rilevanzaprogressivamente nel corso degli anni. A Bologna la comunità marocchi-na è piuttosto giovane. Ancora i dati forniti dal comune mettono in evidenzache coloro di età compresa tra 0 e 44 anni rappresentano ben il 78% deltotale. In particolare il 57% si colloca nella classe 15 - 44 anni e i bambi-ni in età scolare sono oltre un quinto dei marocchini residenti. Sono datisignificativi che segnalano come l’età media di questi immigrati sia deci-samente inferiore a quella di tutta la popolazione bolognese. La comunità marocchina ha raggiunto a Bologna un buon grado di inte-grazione: circa un marocchino su cinque è nato e vive nel nostro paese;una seconda generazione che non ha sperimentato di persona l’espe-rienza migratoria anche se ha mantenuto la cittadinanza straniera comei genitori. Un altro dato interessante è che invece una notevole quota dicittadini originari del Marocco, ha richiesto e ottenuto la cittadinanza ita-liana dopo aver trasferito la propria residenza nel capoluogo. Nonostan-te tutto ciò, spesso circolano ancora su di loro - come d’altra parte sugliimmigrati in generale - quegli stereotipi culturali che li associano a fe-nomeni negativi come criminalità e disagio sociale. Non a caso una ricercasulle notizie diffuse dalle emittenti televisive regionali, condotta nei me-si di agosto e settembre del 2010, rivela come gli stranieri appaiano so-prattutto nei servizi di cronaca nera e, in misura ridotta, nello sport.

UNA RETE DI RAPPORTI SIGNIFICATIVIAccettando di partecipare al progetto “Cittadini attraverso lo sport”, l’USAcli di Bologna ha scelto proprio la comunità marocchina per avviareun rapporto di confronto e di collaborazione, promuovendo un gemel-laggio e muovendosi su quel terreno coinvolgente che è lo sport. La for-te presenza di questa comunità su tutto il territorio provinciale ci haspinto a contattarla, facilitati dal fatto che non partivamo proprio da ze-ro visto che in altre piccole occasioni sportive avevamo avuto modo dilavorare insieme. Sul piano istituzionale ci è sembrato un ottimo inter-locutore il comune di San Lazzaro di Savena - che dista soli 6 chilometridal centro di Bologna - e più nello specifico l’assessorato alla qualità del-l’integrazione. Due gli ordini di motivi: il primo, quello di rimanere adun passo da Bologna evitando però le difficoltà, tipiche di un grandecentro urbano, di reperire spazi per l’attività sportiva; il secondo, quel-lo determinato dall’attenzione di San Lazzaro all’immigrazione (le co-munità di cittadini stranieri sono qui molto numerose) che ha spinto ilcomune, tra i primi in Italia, ad istituire un assessorato ad hoc.

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A partire da questi contatti, l’US Acli è arrivata anche a stabilire un rap-porto di collaborazione e di amicizia con il Consiglio dei cittadini stra-nieri e apolidi della provincia di Bologna.

TRA GIOCO E FORMAZIONE Disponibilità a raccontarsi e a confrontarsi, voglia di movimento e di gio-co in una amichevole sfida sportiva: questi gli atteggiamenti più visibi-li nel gruppo dei giovani marocchini, di età compresa tra i 20 e i 30 an-ni, che hanno partecipato al progetto. La nostra sede provinciale di Bo-logna è stata luogo e “testimone” privilegiato delle tante voci che si so-no intrecciate in incontri periodici; momenti in cui sono state fatte emer-gere le molte opportunità offerte dallo sport per contribuire ad avvici-nare culture diverse ma anche le discriminazioni che ancora sussisto-no quando a prevalere sono i pregiudizi e l’antica paura del “diverso”.Nessuna assenza e molta partecipazione a questi appuntamenti che abuona ragione abbiamo definito formativi perché hanno aiutato sia arielaborare esperienze e a stimolare approfondimenti su molti proble-mi sia a sviluppare un forte rapporto sinergico e d’amicizia tra i parte-cipanti marocchini e italiani.

TUTTI IN GIOCOIl comune di San Lazzaro e l’assessorato alla qualità dell’integrazione- e in particolare il suo assessore Raymon Dassy - sono da subito en-trati in gioco con l’US Acli, interessandosi concretamente alla realizza-zione di “Cittadini attraverso lo sport”. La loro fattiva collaborazione hapermesso tra l’altro, di giocare per un giorno in un campo di calcio nel-la piazza centrale del comune. Qui si sono incontrate, in un partecipa-tissimo triangolare di calcio a 5 che ha richiamato grande attenzione dipubblico locale, la squadra dei giovani marocchini, una formata da al-tri cittadini stranieri ed una squadra dell’US Acli bolognese.Facendo il punto sul progetto nel suo complesso, ci piace sottolineareche non abbiamo avuto grosse difficoltà né dal punto di vista della co-municazione e dei rapporti né sul piano organizzativo. Sicuramente ilrisultato più importante è stato soprattutto l’aver sostenuto e facilita-to la creazione di una rete amicale con i giovani marocchini che ci con-sentirà di proseguire, “complice” lo sport, nell’incontro e nel dialogo.

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Nel parcocricket per l’integrazione

COMOComitato provinciale US Acli COMOResponsabile locale Antonio Lessi

Incaricata del progetto Silvia CamporiniComunità migrante Gruppo di diverse etnie

Gruppo pakistanoRealtà locale US Acli Como

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Foto di repertorio

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ACCOGLIERE TRA LAGO E MONTIOltre 85.000 abitanti in questa città lombarda capoluogo di provincia icui cittadini stranieri residenti sono circa il 10% della popolazione lo-cale. Anche qui come altrove, la mappa dell’immigrazione è in costan-te cambiamento. Considerando tutta la provincia, si può dire in lineamolto generale che il fenomeno migratorio sia scandito da cicli: fino adalcuni anni fa il gruppo di stranieri più numeroso era quello albanese;oggi sembrano prevalere soprattutto pachistani ed emigranti provenientidall’Europa dell’est. È cambiata anche la tipologia dell’immigrazione: inquesti ultimi anni sono intere famiglie a muoversi a scopo di ricon-giungimento mentre un tempo prevaleva il singolo migrante, uomo nel-la maggior parte dei casi.

UN LAVORO IN RETEAll’avvio del progetto “Cittadini attraverso lo sport”, il direttivo del Co-mitato US Acli ha coinvolto i dirigenti delle sue società sportive cittadi-ne. Nel mese di settembre 2010 ci si è quindi trovati tutti insieme perragionare su quale potesse essere l’ambito più idoneo al coinvolgimen-to di giovani stranieri. Il primo obiettivo infatti era quello di arrivare acostituire una società sportiva composta prevalentemente da cittadini im-migrati. In quell’occasione i dirigenti delle varie società sottolinearonocome nelle loro realtà venissero a contatto sporadicamente con ragaz-zi stranieri che poi singolarmente si inserivano, senza particolari pro-blemi, all’interno dei diversi gruppi sportivi per praticare uno sport. Tut-ti si dicevano comunque disponibili a sostenere il progetto attraverso l’of-ferta di spazi, la collaborazione attiva e la disponibilità ad organizzareiniziative formative ed eventi. Per raggiungere gli obiettivi di “Cittadiniattraverso lo sport”, è stato importante l’incontro tra i dirigenti dell’USAcli ed i responsabili dello Sviluppo Associativo delle Acli provinciali, il

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giovane impegnato nel “Progetto Goals” e i dirigenti di due circoli Aclidella città di Como (Circoscrizione 3 e Como Centro), a grande presen-za di stranieri, che stavano realizzando progetti di integrazione socialesui propri territori. Infatti nel circolo Circoscrizione 3, costituitosi in Pun-to Famiglia, si erano avviati nel corso del 2010, un doposcuola e uno spa-zio di accoglienza e confronto. Nel circolo Como centro invece, già dadue anni viene gestito un doposcuola per ragazzi delle medie e delle su-periori. Esperienze, le une e le altre, che vedono il coinvolgimento di mol-ti ragazzi e famiglie straniere e che mostrano un’attenzione particolaread attivare processi di integrazione proprio a partire dai giovani.

BASKET E CRICKET IN CAMPOSono state così individuate due realtà interessanti per il progetto: sulterritorio di Como Centro esiste un gruppo di giovani in prevalenza stra-nieri che si ritrova a giocare a basket in un parcheggio, la sera e la do-menica; nel parco comunale dell’altro circolo poi, tutte le domeniche siriunisce per giocare a cricket, un gruppo di giovani pakistani. I dirigenti del Comitato impegnati nel progetto, in collaborazione coni rappresentanti delle Acli, hanno cercato la strada migliore per en-trare in contatto con questi ragazzi ed offrire loro la possibilità di en-trare in “Cittadini attraverso lo sport”. La cosa non è stata né facilené breve. Nei mesi di gennaio e febbraio tramite un avvocato, vo-lontario del Patronato Acli, si è potuto avvicinare un adulto pakista-no, il signor Masood, da trent’anni in Italia e a suo tempo membrodella nazionale di cricket italiana. La nostra proposta di sostenere iragazzi nella loro passione sportiva, di accompagnarli a costituire unaASD - una delle poche in Lombardia con il cricket come attività - loha visto molto entusiasta. Per suo tramite siamo venuti in contatto con una ventina di ragazzi, tut-ti lavoratori, che la domenica si dedicano a questo loro sport preferito.Da parte nostra abbiamo scoperto i rudimenti di questo gioco, moltocomplesso e impegnativo: una partita può durare anche 5 o 6 ore! Ad oggi la ASD Como Cricket Club si è costituita formalmente se-guendo tutti i passaggi necessari per la registrazione all’Ufficio del re-gistro, l’affiliazione all’US Acli e il tesseramento dei ragazzi.Le difficoltà che abbiamo incontrato, sono state soprattutto legate al-la diversa modalità di concepire gli impegni e specialmente le sca-denze da parte di questi ragazzi. Un esempio su tutti: qualche settimana fa abbiamo fissato le visitemediche per un determinato giorno e il giorno stesso il signor Maso-od si è presentato dal medico dicendo che i ragazzi non potevano es-sere lì perché stavano lavorando! Abbiamo sottolineato al signor Ma-sood come la data fosse stata fissata anche con il loro consenso manon abbiamo riscontrato nessun segno di sorpresa o di imbarazzo.

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PREMESSE DI FUTUROMolte sono state le cose da fare e prima fra tutte quella di trovare unospazio adatto nel quartiere, per permettere alla squadra di allenarsi. Airagazzi serviva un campo da calcio a 11 ma nella nostra realtà è mol-to difficile riuscire ad affittarne uno da una società di calcio, da un’am-ministrazione comunale o, ancora peggio, averne uno gratuitamente perle ore necessarie. Una ASD affiliata all’US Acli che gestisce alcuni cam-pi, si è dichiarata disponibilissima a collaborare. Unica difficoltà la lon-tananza dalla residenza dei ragazzi che non dispongono di automobi-li. Tuttavia si è stretto il gemellaggio proprio con questa società, no-nostante pratichi prevalentemente il calcio. Due poi gli obiettivi che han-no richiesto più lavoro e scadenze meno ravvicinate. Primo obiettivo:realizzare momenti di visibilità per il cricket, innanzitutto organizzandoun momento di festa in cui i ragazzi delle società sportive US Acli si so-no trovati e hanno intrapreso uno scambio e un confronto sulle diver-se discipline praticate, seguito poi da esibizioni e prove.Secondo obiettivo: proporre nelle scuole - fra le attività sportive op-zionali o all’interno delle ore di educazione motoria - alcune lezioni diintroduzione al cricket come si fa già per tanti altri sport. Questo perdar modo ai giovani immigrati di valorizzare le loro abilità sportive e difar conoscere la loro cultura proprio ed anche attraverso lo sport. Inconclusione possiamo dire che se la strada di attivazione del progettoè stata lunga, le premesse per poter proseguire appaiono sicuramen-te stimolanti.

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Integrarsi attraverso lo sport

COSENZAComitato provinciale US Acli COSENZAResponsabile locale Pier Francesco De Napoli

Incaricato del progetto Roberto GabrieliComunità migrante Filippina

Realtà locale ASD Settecolli Cosenza

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CITTADINI ATTRAVERSO

LO SPORT

Foto di repertorio

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TERRA D’IMMIGRAZIONE“Gli ultimi dati relativi alla presenza di stranieri sul territorio regionale”,presente nel “Dossier Statistico Immigrazione” Caritas-Migrantes, re-gistrano che in Calabria vivono 57.822 stranieri con un aumento con-sistente del 35,7% rispetto agli ultimi anni, anche per effetto delle quo-te di ingresso. Di questi, 20.750 risiedono nella provincia di Reggio Ca-labria; 13.950 in quella di Cosenza; 9.910 a Catanzaro, 8.512 a Croto-ne e 4.701 a Vibo Valentia. La maggioranza di loro lavorano nel setto-re agricolo, nella ristorazione e nell’edilizia. Una presenza rilevante an-che nella collaborazione familiare: le badanti rappresentano il 15,37%.Da anni le nostre città si attrezzano per ospitare chi fugge da guerre,fame, povertà. Tanti i problemi che si pongono, compreso quello diprovvedere a far frequentare la scuola a chi riesce a rimanere senza na-scondersi. Non solo aule scolastiche per i ragazzi stranieri, ma anchelaboratori teatrali, musicali e linguistici. In diverse città della provincia,a partire da Cosenza, sono in moto progetti per l’integrazione degli alun-ni immigrati nel nostro territorio.Sì, perché la presenza di ragazzi stranieri è aumentata. Nell’anno sco-lastico 2007/2008 gli alunni con cittadinanza non italiana hanno tocca-to quota 2.430. L’anno successivo (ultima rilevazione statistica del Miur)sono saliti a 2.735. Dividendo per fasce d’età, la maggior parte fino ametà anno scolastico 2009/2010 frequentava la scuola Elementare(980), 693 le Superiori, 642 le Medie, 420 la scuola dell’Infanzia. 486 ra-gazzi arrivano dall’Africa (444 nel 2007/2008); diminuiscono quelli chearrivano dall’America (da 133 a 126); i 180 dell’Asia registrati nel 2008sono saliti ai 202 nel 2009. Lo stato estero più rappresentato nella scuo-la cosentina è la Romania, che “fornisce” il 18,8% degli alunni con cit-tadinanza non italiana. In tutto sono 73 le cittadinanze presenti tra glialunni stranieri della provincia. Negli ultimi dieci anni la Calabria ha fat-to registrare un aumento di alunni stranieri, passando dallo 0,2% del-l’anno scolastico 1998/99 al 2,3% del 2007/08.

DESTINATARI & ATTORI DEL PROGETTOSi è pensato di lavorare, nella nostra città, con cittadini filippini le cui pre-senze pur non eccesive sono comunque significative. Di fatto si era crea-ta una forte relazione tra il comitato provinciale dell’US Acli, lo sportelloimmigrati della provincia, l’animatore di comunità del Progetto Policoro(progetto della Chiesa Cattolica Italiana sull’orientamento al lavoro deigiovani e non solo), gli uffici diocesani della Caritas e la parrocchia deiSS Pietro e Paolo che gravita su un quartiere dove risiede il maggior nu-mero di filippini. Questa attiva “rete” di territorio ci ha consentito di in-dividuare i destinatari di “Cittadini attraverso lo sport” e di stringere conloro solidi rapporti di conoscenza, amicizia e confronto: senza dubbio losport è stato il terreno favorevole su cui avviare proposte di attività e di

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impegno. Dopo un’attenta valutazione dei vantaggi legati alla costituzionein forma stabile e autonoma di un proprio gruppo sportivo, si è arrivatialla formalizzazione di una associazione sportiva dilettantistica, l’ASD Fi-lippine Brother’s. L’associazione è composta da circa ottanta persone, ma-schi e femmine, di età compresa tra i 6 e i 50 anni.

DAL QUARTIERE ALLA CITTÀI locali del comitato provinciale dell’US Acli e quelli messi a disposizio-ne dalla parrocchia dei SS Pietro e Paolo sono stati spazi ospitali per imomenti di incontro e di scambio - importanti parole chiave di “Citta-dini attraverso lo sport” - tra noi e i giovani della comunità filippina. Lapromozione del progetto, l’invito ad esserne non solo destinatari maprotagonisti, l’indicazione che attraverso lo sport si sarebbe potuto av-viare un processo di integrazione nel tessuto sociale del quartiere e suc-cessivamente della città, hanno acceso in tutti una grande attenzione;questo nonostante l’inevitabile difficoltà di comunicazione dovuta alleforti differenze linguistiche. Il richiamo poi alla possibilità di portareavanti per tutta la durata del progetto, piccoli tornei di basket e di pal-lavolo tra le famiglie (e non solo), ha permesso di dare il via ad uno sfor-zo comune per mettere in campo tutte le azioni organizzative neces-sarie. Basket e pallavolo: parole familiari per sport molto amati nelle Fi-lippine e giocati con bravura.

PER “NON” FINIREConsiderando gli obiettivi generali del progetto, possiamo dire di averlavorato con successo: gli incontri, le attività, il protagonismo dei par-tecipanti, l’accoglienza del quartiere dove risiede la comunità filippina,le relazioni che si sono instaurate, tutto ci conferma che lo sport puòcreare un ambiente aperto e costruttivo. Oggi la presenza filippina nelquartiere è molto apprezzata: vi sono continui gesti di solidarietà e vi-cinanza ed anche interesse a confrontarsi su diversi aspetti della cul-tura di cui questa comunità è portatrice. Vorremmo che la scadenza na-turale del progetto non conclu-desse questa esperienza; da par-te nostra lavoriamo per conti-nuarla ben sapendo che un annoè un periodo abbastanza breveper raggiungere pienamente i ri-sultati ambiziosi di “Cittadini at-traverso lo sport” e che sarebbenecessario un coinvolgimento apiù ampio spettro delle tante co-munità straniere presenti sul no-stro territorio.

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Catalizzare l’integrazione

CUNEOComitato provinciale US Acli CUNEOResponsabile locale Carlo Balatti

Incaricato del progetto Danilo PiccoComunità migrante Ivoriana

Realtà locale ASD Podistica BuscheseASD Sportinsieme

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SPORTIVA E OSPITALE CUNEOIl contesto territoriale in cui si esplica l’attività sportiva in provincia diCuneo è quanto mai frammentato e variegato. Accanto alle classicheattività legate alle diverse federazioni esiste una moltitudine di gruppisportivi diffusi in provincia caratterizzati da un forte legame territoria-le con il comune di appartenenza.Al di là delle 7 maggiori città, la provincia è composta da cittadine dipiccola media dimensione (con meno di 10 mila abitanti) dove l’ap-partenenza ad una società sportiva è praticamente comune a tutti i ra-gazzini in età scolastica. Anche presso gli adulti la pratica sportiva è am-piamente diffusa.La fanno da padroni in questi settori gli Enti di Promozione Sportiva.In particolare l’Unione Sportiva conta circa 17.000 soci e circa 150 cir-coli. Opera principalmente nel settore bocce ma, alcuni circoli, sono im-pegnati nella diffusione di altri sport quali il podismo, il tennis, il tai chi,il rafting, e la canoa fluviale, l’equitazione, il tiro con l’arco, il palloneelastico, l’escursionismo. Per quanto riguarda il contesto in cui sui è sviluppato questo progettonello specifico, si fa riferimento all’ultimo rapporto sull’immigrazione del-la Provincia di Cuneo: “L’immigrazione straniera in provincia di Cuneo:i risultati dell’indagine campionaria 2008” a cura della Regione Pie-monte, Direzione Formazione Professionale e Lavoro, Provincia di Cu-neo, Ires Piemonte.Non si tratta di dati attualissimi, ma a parte il numero di immigrati cheè passato a circa 52.000 alla fine del 2009, si può dire con ragionevo-le certezza che le dinamiche e le caratteristiche dei diversi gruppi so-no rimaste inalterate.

LA SITUAZIONE MIGRATORIANel quadro nazionale, la provincia di Cuneo si colloca sopra la medianazionale per incidenza percentuale della popolazione straniera, con lamaggioranza delle province centro-settentrionali. In Piemonte nel 2006 sono arrivati (o sono nati) 45.173 nuovi residentistranieri, ma 24.482 sono stati cancellati dall’anagrafe per diverse ra-gioni. La provincia di Cuneo ha fatto registrare una quota più alta del-la media regionale di cancellazioni per trasferimento della residenza,ma anche di nuovi iscritti. Tra le ragioni delle cancellazioni, oltre ai tra-sferimenti di residenza e ai decessi, si segnalano in provincia di Cuneoanche 510 casi di acquisizione della cittadinanza italiana (cancellazio-ne come stranieri e registrazione come italiani). Continuano ad au-mentare in numero e in percentuale i giovani stranieri, sia provenien-ti dall’estero sia nati in Italia da genitori stranieri. A Cuneo un mino-renne su 10 è straniero ma ad Asti e Alessandria questa quota è an-cora maggiore.

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Una prova della stabilizzazione della popolazione straniera in Italia èil fatto che a inizio 2007 il 13,5% degli stranieri (esclusi quindi i natu-ralizzati e i figli di coppie miste) residenti è nato in Italia. A Cuneo so-no il 15,2%. Osservando l’incidenza degli stranieri sulla popolazione residente per co-mune, rispetto alla media regionale, si nota che molti piccoli comuni col-linari e di pianura ma anche molti centri popolosi della provincia, han-no alte percentuali di residenti stranieri.Gli immigrati attualmente presenti in provincia di Cuneo sono arrivatiin Italia in un lungo arco temporale, con una particolare concentrazio-ne nel periodo 1996-1998, nel 2000 e nel 2007. Il 73% degli immigrati sono arrivati direttamente nel Cuneese dal-l’estero e il 90% vi è giunto entro tre anni. In Provincia di Cuneo vi èuna percentuale di disoccupati piuttosto alta, soprattutto tra le donne.La disoccupazione è maggiore rispetto alla Lombardia ma nel Cunee-se è meno diffusa l’occupazione irregolare che interessa in complessol’8,5% degli immigrati.Come in Lombardia, le donne hanno una quota di lavoro regolare e dilavoro autonomo molto minore dei maschi e fanno più spesso lavoroin nero. I marocchini sono il gruppo nazionale più colpito dalla disoc-cupazione, mentre il lavoro nero riguarda soprattutto i romeni.Il miglioramento della condizione lavorativa degli immigrati è molto le-gato all’anzianità migratoria. I neoarrivati sono frequentemente disoc-cupati o hanno un lavoro regolare ma a tempo determinato, mentre tracoloro che sono in Italia da più anni sale nettamente la percentuale dilavoratori regolari dipendenti a tempo indeterminato o autonomi. È inevitabile che gli irregolari rispetto al titolo di soggiorno svolgano la-vori in nero, ma comunque nel Cuneese oltre metà di costoro lavora,a testimonianza delle possibilità di trovare occupazione nell’economiasommersa presente anche in questa provincia.In provincia di Cuneo i lavoratori immigrati sono anzitutto operai indu-striali. Meno frequenti sono invece le occupazioni in edilizia, nel terziarioe come domestici, con l’eccezione delle assistenti domiciliari. Gli immi-grati che svolgono lavori di tipo impiegatizio o qualificato sono pochi aCuneo. Mentre solo i laureati o diplomati svolgono alcune attività qua-lificate non è vero il contrario: una percentuale non trascurabile di la-voratori che hanno conseguito un diploma o una laurea sono, per esem-pio, operai generici.

UNA SPECIALIZZAZIONE PER NAZIONALITÀSi conferma l’esistenza di una specializzazione per nazionalità con re-lative concentrazioni di marocchini nel lavoro operaio industriale e di al-banesi in edilizia, ma anche delle pulizie e nel lavoro impiegatizio. I ci-nesi invece sono più presenti nelle attività commerciali e i macedoni in

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agricoltura. Le rumene predominano nell’assistenza in casa e nel lavo-ro domestico. Meno scontato è il fatto che una donna marocchina sucinque sia operaia dell’industria.Un caso particolare è quello dei cinesi che lavorano nelle cave di Bar-ge e di Bagnolo, dove si osserva una delle concentrazioni etniche piùgrandi della provincia.È bene ricordare che queste specializzazioni talora definite “etniche” nonderivano da propensioni collettive o da abilità e specializzazioni acqui-site in patria ma soprattutto dalla articolazione più o meno casuale del-le catene migratorie di fronte alle diverse opportunità di lavoro.Operai edili, domestici a ore, addetti alle pulizie e addetti ai ristoran-ti sono i profili più presenti tra gli immigrati che lavorano irregolar-mente. Gli sportelli pubblici per immigrati e gli amici e conoscenti so-no le prime due fonti usate dagli immigrati per affrontare i problemi bu-rocratici e sociali.Gli immigrati in provincia di Cuneo appaiono in complesso stabilizzatisul territorio e inseriti nella società. Ma quali sono le intenzioni per il fu-turo immediato? si prevede un trasferimento altrove, il rientro in patriaoppure si pensa di restare? All’esplicita domanda una netta maggio-ranza risponde che intende restare nel cuneese.È in questo ambiente che le Acli cuneesi hanno maturato ormai da qual-che anno uno sportello di consulenza per gli immigrati con un opera-tore impegnato a tempo pieno.

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DI SINERGIA IN SINERGIALe Acli cuneesi da sempre sensibili ai problemi legati all’integrazionedei cittadini stranieri hanno voluto dare una mano all’AIRPC (Associa-zione Ivoriani Residenti in Provincia di Cuneo) offrendo loro consulenzaper la formazione dell’associazione e un ufficio presso la nostra sedeprovinciale.L’Unione sportiva Acli di Cuneo, da anni impegnata in un progetto diintegrazione di malati psichici attraverso la pratica sportiva, tra le di-verse attività organizza un torneo di calcio a 5 a cui partecipano diversesquadre del Centro Diurno dell’ASL, di diverse Comunità e dell’US AcliCuneo. La proposta fatta all’AIRPC è stata quella di partecipare al progetto svi-luppato con l’ASL inserendo a fianco della squadra dell’US Acli ancheuna squadra di ivoriani. Parte importante di questa proposta, è stataquella di inserire la comunità ivoriana non solo nella pratica sportiva maanche nelle attività collaterali (momenti formativi, serate culturali, fe-ste) al fine di favorire una più facile integrazione sul territorio cuneesedella comunità ivoriana. L’assessorato allo sport che ha creduto in que-sta collaborazione, ha dato il suo sostegno all’iniziativa e si è impegnatoanche in campo sportivo, organizzando una squadra di vigili urbani.

INTEGRAZIONE E INCLUSIONE SOCIALE“Cittadini attraverso lo sport” ci ha fatto pensare che l’obiettivo più im-portante da raggiungere fosse quello di catalizzare i processi di inte-grazione e di sensibilizzare i cuneesi sulla questione più generale del-le tante marginalità esistenti e sulla necessità di promuovere concre-ti percorsi di inclusione sociale. Per questo abbiamo deciso di allarga-re gli attori del progetto. Di fatto la prima delle attività sportive che ab-biamo messo in campo, il calcio a 5, ha coinvolto la sede provincialedell’US Acli - attraverso una sua associazione sportiva dilettantistica,l’ASD Sportinsieme - l’associazione degli immigrati ivoriani della pro-vincia di Cuneo, una serie di Comunità di disabili e il Dipartimento diPsichiatria dell’ASL Cuneo 1. Per la seconda attività, il podismo, ab-biamo puntato a favorire tra i ragazzi ivoriani, la pratica di questa di-sciplina attraverso un gemellaggio tra A.I.R.P.C.I. e l’ASD Circolo US AcliPodistica Buschese.

LA GRANDE FORZA DEL CALCIOIl calcio è lo sport più accessibile a chiunque nella nostra cultura; così puòdiventare una sorta di linguaggio universale, un insieme di codici, di se-gnali, capace di superare qualsiasi ostacolo, differenza e diffidenza.Il calcio è in grado di permettere la formazione di un gruppo facilmen-te accessibile a tutte le persone in difficoltà che trovano al suo internouna possibilità di funzionamento uguale a quello di ciascun compo-

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nente. Con questa “arma” è persino possibile coinvolgere quei giovanitanto diffidenti e difficilmente avvicinabili in programmi terapeutico-ria-bilitativi. Il Gruppo-Calcio, inoltre, invece di presentarsi come un de-terrente risulta un attivatore dell’interesse verso la realtà che c’è al-l’esterno del circuito psichiatrico e offre l’opportunità di prendere par-te alle partite anche a coloro che non giocherebbero mai da nessunaparte; o come altri, che essendo bravi ma non sentendosi abbastanzaprotetti e rassicurati nel cercare fuori dal centro diurno una squadra,non hanno neanche l’opportunità di sperimentare le proprie capacità,precludendosi la possibilità di ottenere una ricaduta positiva sulla pro-pria autostima e quindi sul proprio benessere.

SUPERARE DIFFERENZE E PREGIUDIZIPer il paziente tale sport potenzialmente potrebbe rappresentareun’esperienza di passaggio capace di favorire l’aumento della fiducia inse stesso e, indirettamente, lo svincolo dal Centro diurno, mediante l’in-cremento del proprio impegno nei contesti reali, esterni.Il Servizio di salute mentale può farsi riconoscere, attraverso il calcio,nella realtà sociale in cui si attiva riducendo in tal modo pregiudizi e ti-mori nei confronti sia degli utenti sia del servizio stesso.Il far nascere un campionato con una propria struttura organizzativa, ingrado di affermarsi e ripetersi nel tempo in modo da soddisfare anchel’aspetto agonistico, è stato l’obiettivo di tanti operatori sanitari che cre-dono nello sport e vedono in esso un moltiplicatore di energie positive euna leva potente per il superamento di qualsiasi differenza e pregiudi-zio. L’esistenza di una struttura autonoma (l’US Acli di Cuneo), esternaal circuito psichiatrico, garantiva la neutralità del messaggio: permette-re agli utenti più gravi di fare sport così come qualsiasi altro cittadino nel-l’ottica di un intervento orientato a promuovere la qualità della vita.

VERSO L’AUTONOMIA DEI GRUPPIIl progetto tradotto nella realtà locale, ha previsto in concreto l’orga-nizzazione e la gestione di incontri con gruppi sportivi composti di mi-granti per favorire l’integrazione e l’autonomia dei gruppi stessi. Que-sti momenti di incontro sono stati finalizzati allo scambio delle diverseconoscenze ed alle diverse pratiche in ambito sportivo: ciò ha consen-tito di focalizzare l’attenzione su alcuni temi legati allo sport quali il con-cetto di squadra e di sport di squadra, il rispetto delle regole, il fair play,il rispetto dell’avversario. Ma non di solo sport si è trattato: i gruppi in-fatti sono stati coinvolti in un percorso non meno importante mirato afacilitare lo stabilirsi e il consolidarsi di relazioni forti, attraverso l’invi-to a partecipare attivamente alla vita associativa dell’US Acli di Cuneo,ai suoi consigli provinciali, alle serate tematiche, al lavoro di definizio-ne e messa in campo di progetti.

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SPORT, SALUTE, CONVIVIALITÀUn passaggio essenziale ha riguardato l’aspetto della tutela sanitaria edella prevenzione che nello sport impatta tutti i cittadini; quelli che indiversa maniera praticano o si avviano a praticare attività sportiva. I par-tecipanti al progetto sono stati infatti sottoposti ad una visita medicosportiva completa eseguita da medici abilitati che hanno garantitol’idoneità di ognuno alla pratica.Tra calcio a 5, podismo, incontri, formalizzazione di una nuova ASD,numerose serate culturali, “Cittadini attraverso lo sport” ha toccato iltraguardo finale. E come tradizione, l’ultima sfida del torneo - al par-co del Centro diurno del quartiere Donatello - si è conclusa con la pre-miazione delle squadre ed un momento conviviale tra degenti, fami-liari e partecipanti.

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La grande sfida dello sport

IMPERIAComitato provinciale US Acli IMPERIAResponsabile locale Ornella Moraglia

Incaricato del progetto Luciano BrunengoComunità migrante Etnie diverse

Realtà locale Cooperativa tra le Alpi e il mare

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CITTADINI ATTRAVERSO

LO SPORT

Foto di repertorio

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LA SFIDA DELL’INTEGRAZIONELo sport è rispetto delle regole, rispetto dell’altro, è vivere insieme al-l’altro, è vivere la collettività, è un elemento di solidarietà. Tutti valoriil cui apprendimento è alimentato da una esperienza di vita condottain un gruppo o in una società sportiva, facendo pratica in un campet-to di periferia o in un impianto super attrezzato. Lo sport è anche unformidabile strumento per vincere una tra le sfide più impegnative deinostri tempi, quella dell’integrazione e dell’inclusione sociale: una sfi-da per contrastare mancanza di relazioni, isolamento, distacco dalcontesto sociale di quanti si trovano in situazioni di disagio e di margi-nalità. E non solo in Italia; basta dire che sulla pratica sportiva punta-no anche gli organismi europei per realizzare una migliore inclusionesociale a livello continentale. Una sfida che oggi è diventata incalzan-te di fronte al crescente fenomeno migratorio. “Cittadini attraverso losport” che il comitato provinciale US Acli di Imperia - il cui impegno èda sempre orientato al sociale - ha accettato di sperimentare, parte pro-prio da qui: dalla consapevolezza di poter indirizzare la passione spor-tiva sulla costruzione di canali di comunicazione aperti verso chi attra-versa, spesso con molta difficoltà, la condizione di migrante.

INSIEME “TRA LE ALPI E IL MARE”Situata sulla Riviera dei fiori e capoluogo dell’omonima provincia ligu-re, Imperia incorpora in sé la costa sino agli Aregai, il Golfo Dianese ela media valle Impero. Gli stranieri residenti sono pari all’8,89 % dellapopolazione totale del Comune; le prime 10 comunità straniere conmaggior numero di residenti a Imperia, sono di nazionalità albanese,turca, tunisina, romena, peruviana, marocchina, tedesca, ucraina, fran-cese e filippina. Questo territorio può essere dunque considerato un ve-ro e proprio incrocio di civiltà e di culture.Già dall’avvio di “Cittadini attraverso lo sport”, si è scelto di coinvolge-re la Cooperativa sociale “Tra le Alpi e il mare” di Pieve di Teco. Ope-rando in una piccola realtà dell’entroterra imperiese, la Cooperativa benconosce i disagi e le problematiche di quanti vivono in una comunitàcircoscritta, le cui caratteristiche ed esigenze non sono molto diverseda quelle di chi vive in città. Compresa la convivenza con persone di et-nia, religione e culture diverse.

COOPERARE È IMPORTANTEL’accoglienza del “diverso” si incomincia a coltivare da piccoli. Per que-sto abbiamo pensato di portare avanti il progetto puntando su ragazzigiovanissimi dell’Istituto comprensivo statale “G. Gabrielli” di Pieve diTeco e come sport sull’onnipresente calcio a 5. Una rete di relazioni isti-tuzionali ci ha consentito di facilitare l’organizzazione di un torneo: il co-mune di Ranzo ha messo a disposizione gli impianti sportivi; la Prolo-

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co dello stesso comune ha curato l’aspetto conviviale mentre la Co-munità montana Alta Valle Arroscia ha fornito il servizio di trasporto congli scuolabus permettendo la partecipazione dei ragazzi della Valle. Gra-zie anche alla professionalità del presidente della cooperativa, FlavioBellando, si sono potuti valorizzare i tempi del progetto sia rispetto al-la parte strettamente organizzativa del torneo sia rispetto alla parte piùformativa dei partecipanti.

LAVORARE IN SQUADRAPunto nodale della sperimentazione del progetto, non solo l’attività spor-tiva vera e propria durante la quale i giovani liguri si sono confrontatisul campo e negli spogliatoi con i ragazzi stranieri coinvolti - che ave-vano formato una loro squadra dal nome simbolico di “Internazionale”-ma anche tutta l’attività organizzativa e gli incontri formativi. Come nel gioco sportivo la squadra permette di valorizzare ruoli e capa-cità diverse, così lavorare in squadra consente di rendere la diversità op-portunità e risorsa, di mettere a frutto conoscenze e passione di tutti. Nelnostro caso, la produzione di volantini promozionali, la raccolta delle ade-sioni, la formazione delle squadre e gli abbinamenti degli incontri, han-no attivato quelle dialettiche nei rapporti che hanno fornito lo spunto persviluppare momenti educativi. Per esempio nel corso degli incontri te-matici che hanno approfondito alcuni temi importanti: il valore sociale del-lo sport, il concetto di squadra e di appartenenza ad essa, il rispetto del-le regole e dell’avversario, l’elaborazione della sconfitta.

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Sport e dialogo un aiuto all’integrazione

MILANOComitato provinciale US Acli MILANOResponsabile locale Domenico Lupatini

Incaricato del progetto Mauro MontalbettiComunità migrante Senegalese

Realtà locale ASD Pontelambro Hammers

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LO SPORT

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UNA CITTÀ MULTIETNICA E MULTIRELIGIOSAMilano vede ormai consolidata da oltre un decennio, una vasta presenzadi cittadini provenienti da paesi extraeuropei che costituiscono, secon-do gli ultimi dati statistici, il 16 % dei residenti nella città.La città multietnica e multireligiosa è una realtà di fatto; da tempo leAcli di Milano, attraverso le strutture di Ipsia e di US Acli, si stanno con-frontando e proponendo progetti e percorsi di educazione, di integra-zione, di sensibilizzazione. Percorsi che vedono protagonisti i soggettisingoli o associazioni di migranti di diverse confessioni religiose, pre-senti e operanti in città. Da qualche anno abbiamo scelto di centrare ildialogo su due filoni:- Il primo caratterizzato da un lavoro di incontro, confronto e propostacon gruppi giovanili musulmani ed ebrei; questo anche nell’ottica difavorire il dialogo tra comunità collegate dall’appartenenza o dal le-game storico, culturale e religioso, all’area mediorientale e alle radi-ci abramitiche ma divise da un conflitto che dura da almeno 60 anniin Israele e Palestina.

- Il secondo, frutto di relazioni consolidate negli anni (nello specifico at-traverso i progetti di cooperazione decentrata e di co-sviluppo) con leassociazioni di migranti senegalesi, una delle realtà immigrate più con-solidate e attive da tempo nell’area metropolitana milanese.

DUE GEMELLAGGI SIGNIFICATIVIComunità ebraica e gruppo giovanile musulmano - Il primo ge-mellaggio è stato siglato con una associazione giovanile della comuni-tà ebraica di Milano - Associazione Kidmà - e con il gruppo giovanile le-gato al GMI (giovani musulmani di Milano) con i quali negli ultimi an-ni si sono organizzati dei momenti comuni di incontro e di confronto siasulla lettura dei rispettivi stereotipi sia rispetto al ruolo di minoranza na-zionale e/o religiosa nel contesto metropolitano; sia anche sulla rifles-sione di come la cultura e la religione di appartenenza influiscano ecambino per un giovane, il modo di vivere la propria quotidianità a Mi-lano: la scuola, le relazioni interpersonali, l’approccio all’ autorità e al-le regole, lo specifico femminile.Ed è proprio a partire da queste suggestioni che un gruppo compostoda volontari italiani e delle altre due comunità, ha partecipato ad unaserie di incontri organizzati presso la sede Acli di Milano durante i qua-li si è voluto far emergere anche le immagini cristallizzate, gli stereoti-pi culturali e politici che riguardano se stessi, la propria identità e gli al-tri. In questo contesto lo sport, gli strumenti ricreativi e l’informalità deigruppi, sono apparsi come facilitatori di processi di integrazione socia-le e culturale.Fare insieme - Partendo da questi spazi di dialogo si sono poi avviatealtre esperienze e manifestazioni, in particolare con l’associazione gio-

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vanile Kidma. In occasione della Giornata della Memoria del 27 gennaio,l’US Acli, i ragazzi del progetto di volontariato internazionale di Ip-sia,Terre e Libertà, alcune ASD composte da ragazzi italiani, stranieri edi origine Rom, la squadra ALBIKS di ragazzi albanesi immigrati, han-no partecipato al Torneo Memorial in ricordo dell’allenatore dell’Inter edel Bologna, l’ungherese Arpad Weisz, morto con tutta la sua famiglianel campo di concentramento di Auschwitz.La manifestazione è stata realizzata allo Sporting club di Nove-gro/Opera, il 30 Gennaio 2011, con il patrocinio dell’Assessorato alloSport del Comune di Milano e della Fondazione CDEC (Centro docu-mentazione ebraica contemporanea). Un’iniziativa con la quale si è vo-luto da un lato favorire presso le giovani generazioni la cultura dellamemoria della Shoah, anche attraverso la diffusione di una sensibili-tà sportiva e civile di rispetto per le altre culture e religioni; dall’altro,fornire una risposta costruttiva agli episodi di razzismo e antisemiti-smo che si verificano con sempre maggior frequenza all’interno de-gli stadi italiani.

Comunità senegalese - Il secondo gemellaggio è legato alle comu-nità migranti, in particolar modo a quella senegalese. I senegalesi in Ita-lia costituiscono il nucleo più significativo di migranti provenienti dal-l’Africa Subsahariana. Infatti secondo i dati Istat, i senegalesi residenti sono cresciuti dai37.204 di fine 2002 ai 67.510 di fine 2008. Più di un terzo si concen-trano in Lombardia, con una significativa presenza nell’area metropo-litana milanese e nella provincia. Particolarmente sviluppato è l’asso-ciazionismo. all’interno del quale si possono individuare realtà con dif-ferenti funzioni. Vi sono associazioni di carattere provinciale con funzioni di solidarietà,mediazione e rappresentanza nei confronti delle istituzioni locali, per fa-

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vorire i percorsi di regolarizzazione, accesso al lavoro, alla cura e al-l’alloggio, per diffondere la conoscenza della cultura africana.Con una di esse - l’Associazione culturale Sunugal di Milano - l’US Acliha instaurato dialogo e collaborazione.

Un mondo in gara - In una serie di incontri e nel confronto con l’ASDHammers del quartiere milanese di Ponte Lambro, l’US Acli ha promossola nascita di un gruppo sportivo senegalese, facendosi contempora-neamente partner dell’iniziativa Un mondo in gara, promossa dall’ As-sociazione Sunugal e dalla Associazione culturale Maschere Nere. Untorneo calcistico presso l’Arena Civica di Milano, patrocinato dal Comunee dal Centro Servizi Volontariato, con l’obiettivo di promuovere un mo-dello di calcio come pratica socio-culturale e come veicolo di cambia-mento. Un torneo che ha offerto uno spazio espressivo ai cittadini delmondo la cui presenza attiva, la cui arte, musica e tradizione, arricchi-scono la società civile milanese. Attori dell’iniziativa, squadre di citta-dini immigrati provenienti da Capo Verde, Ecuador, Perù, Senegal,Egitto, Italia, Brasile: squadre da tutto il mondo che si sfidano inun’appassionante competizione sportiva e umana.

SI PUÒ FAREQuesti momenti di incontro e dialogo tra giovani attraverso la leva spor-tiva, potrebbero e essere un’occasione - se strutturata nel tempo - peraiutare i processi di integrazione nel contesto urbano, delle comunitàstraniere e delle minoranza religiose o culturali presenti. Il processo por-tato avanti con “Cittadini attraverso lo sport” ha presentato fatiche di-verse: un cammino più semplice con i giovani, più lungo e difficoltososia in termini di relazione che di disponibilità di tempo, con gli immigratiadulti, la cui esperienza lavorativa spesso usurante, rende il più dellevolte faticosa l’organizzazione e la partecipazione anche ai momenti ri-creativi e sportivi. In ogni caso, tutte le realtà coinvolte hanno vissuto occasioni di con-fronto che hanno consentito di cogliere e assumere la complessità qua-le paradigma in grado di individuare i vari livelli di identità; questo so-prattutto nell’incontro con i giovani immigrati di seconda generazioneappartenenti a gruppi culturali e religiosi comunque portatori di una lo-ro specifica lettura della società.Esperienze che sarebbe opportuno replicare, consolidando queste pro-gettualità in modo che si possano socializzare e diffondere a tutte lerealtà associative dell’area metropolitana milanese, individuando ma-gari nelle stesse associazioni migranti o nelle rappresentanze delle co-munità culturali e religiose presenti a Milano, i soggetti partner o at-tuatori del progetto.

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Sport per comunicare

PADOVAComitato provinciale US Acli PADOVAResponsabile locale Marco Di Silvestre

Incaricata del progetto Silvia ScarsatoComunità migranti Studenti stranieri Università

di PadovaAssistenti familiari straniere (Acli Colf)Gruppo brasiliano

Realtà locale ASD Free line - ASD New athleticand marthial school

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LO SPORT

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PADOVA, IMMIGRAZIONE IN CRESCITALe azioni sperimentali del progetto si sono svolte prevalentementenella città di Padova dove, come del resto in tutto il Veneto, la pre-senza di cittadini stranieri residenti è una realtà sempre più consoli-data e in continua espansione, più visibile nei quartieri delle città, nel-le zone più industrializzate, nelle scuole e nei posti di lavoro. I prin-cipali Paesi di provenienza degli stranieri sono Cina, Moldavia, Ro-mania, Marocco ed Albania, con un significativo aumento dei citta-dini Romeni. Il livello di istruzione è in continuo miglioramento; in cre-scita le persone che possiedono una laurea o almeno un diploma su-periore, così come è in aumento il tasso di scolarità, vale a dire la per-centuale di ragazzi in età 14-18 anni iscritti ad una scuola superioredi secondo grado.Anche il mondo della scuola in questi anni si sta adattando per poterfar fronte alla crescente presenza di stranieri, una realtà che compor-ta la necessità di creare nuove e sempre più efficienti modalità d’in-tervento. In particolare negli ultimi anni si è andato consolidando unprogetto migratorio più a lungo termine che per effetto dei ricongiun-gimenti familiari, prevede l’arrivo di parenti, la nascita di nuovi bambi-ni e la formazione di nuclei familiari.

IL RUOLO DELLE DONNEInoltre protagoniste di flussi migratori via via più consistenti sono ledonne, non solo in termini numerici: la loro presenza sul territorio siconfigura come una delle chiavi dell’integrazione sociale tra culture evalori sia per il peso nel mercato del lavoro sia per il loro ruolo nella vi-ta familiare. Donne impegnate come lavoratrici, come mogli e come ma-dri dei tanti minori di origine straniera che saranno in buona parte deinuovi veneti e che costituiranno il tessuto di una società futura sem-pre più multietnica. I quartieri padovani con una maggiore concentrazione di cittadini im-migrati e stranieri - come si evidenzia dai dati statistici del Comune diPadova - sono il Centro (1.456 immigrati su 26.624 residenti) e il quar-tiere Nord (2.133 immigrati su 38.582 residenti). Ed è in questi quar-tieri che si svolgono le azioni progettuali dell’US Acli di Padova legateal progetto “Cittadini attraverso lo sport”.

TUTTI IN MOVIMENTOIl comitato provinciale di Padova, attraverso la realizzazione delle azio-ni relative al progetto, ha lavorato su tre ambiti di intervento: attivitàdi tango con gli studenti stranieri iscritti all’Università di Padova; atti-vità di ginnastica e fitness con un gruppo colf delle Acli di Padova; at-tivazione di una nuova ASD con un gruppo di brasiliani, per la diffusionedella disciplina della Capoeira.

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Nella attività descritte sono intervenute come parte attiva, l’ASD Freeline e l’ASD New athletic and marthial school, l’una e l’altra società spor-tive affiliate all’US Acli.

TANGO: QUANDO LA COMUNICAZIONE È CORPOREA Nei mesi di ottobre-novembre e dicembre 2010 l’associazione sportivadilettantistica Free line, grazie alla collaborazione del prof. Alberto Mu-raro, vice presidente provinciale dell’US Acli, ha promosso un corso ditango argentino per studenti universitari, in collaborazione con il cen-tro Linguistico di Ateneo. Il corso, aperto a tutti gli studenti, ha postouna particolare attenzione a quelli provenienti da altri paesi, con l’in-tenzione di favorire il processo di accoglienza ed integrazione di quan-ti giungono a Padova per studiare nella nostra Università. Il gruppo, for-mato da una cinquantina di ragazzi, provenienti da ben 11 paesi euro-pei ed extraeuropei, si è sviluppato in 10 incontri svolti il venerdì po-meriggio in un clima sereno e ricco di collaborazione. L’insegnamentodella danza argentina ha permesso di superare con facilità la difficoltàdi comunicazione linguistica, dando spazio e valore alla comunicazio-ne corporea. L’ insegnamento del tango argentino si è ampliato anchein un percorso di ricerca e studio della danza, del contesto in cui vie-ne praticato, del valore simbolico che trasmette per la cultura di queipopoli. Tale percorso ha consentito agli studenti universitari di aprirsialla conoscenza e allo scambio di altre danze popolari, in un clima digrande integrazione. Al termine delle 10 lezioni, il folto gruppo di gio-vani provenienti da diverse culture ha presentato una piccola kermes-se di danza e teatro ripercorrendo la storia e le origini del tango, conbrani recitati dagli studenti stranieri in diverse lingue: italiano, inglese,tedesco, farsi e spagnolo.

PRENDERSI CURA DEGLI ALTRILe Acli-Colf di Padova hanno rappresentato in questi anni una realtà as-sociativa sempre più radicata nel territorio cittadino, diventando un pun-to di riferimento importante tanto per le famiglie datrici di lavoro do-mestico quanto per le lavoratrici e i lavoratori, stranieri e autoctoni, im-piegati in questo settore. L’attività dell’associazione può essere sinteti-camente suddivisa in due diverse aree di intervento. La prima ruota at-torno al patronato e si rivolge a famiglie e lavoratrici, fornendo un ser-vizio di informazione e orientamento per la corretta gestione dei rapportidi lavoro domestico. Agli sportelli del patronato nel corso dell’ultimo an-no si sono rivolte più di tremilacinquecento persone, mentre sono or-mai più di mille le famiglie padovane che hanno affidato alle nostre ope-ratrici la gestione dei rapporti di lavoro domestico e badantato; un ser-vizio che non si limita alla gestione delle problematiche amministrativee contrattuali ma che spesso porta avanti un’indispensabile opera di me-

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diazione dei conflitti e delle incomprensioni che possono insorgere al-l’interno di questo delicato comparto lavorativo. La seconda area di in-tervento riguarda più propriamente la condizione delle donne, ma an-che, sempre più spesso, degli uomini impiegati in questo settore.

BENESSERE E SOCIALIZZAZIONEGrazie al progetto “Cittadini attraverso lo sport” la proposta a favore deicittadini e delle cittadine straniere che lasciano le loro famiglie di ori-gine per migrare in Italia e prendersi cura di altre famiglie, si è arric-chita di una nuova esperienza: per tre mesi la società sportiva dilet-tantisitica New Atletich and Martial school, affiliata all’US Acli, ha aper-to le porte della propria palestra a queste nuove cittadine, offrendo lo-ro un percorso di 15 allenamenti di attività motoria e sportiva, fitnesse wellness. Il gruppo guidato da personale esperto e qualificato attra-verso un apposito corso di formazione promosso dall’ US Acli di Pado-va, per favorire il benessere psicofisico personale e la socializzazione,si è incontrato per oltre tre mesi con frequenza settimanale nel primopomeriggio, orario agevolato per coloro che sono quotidianamente im-pegnati nella cura e assistenza domiciliare delle persone anziane; spe-rimentando diverse modalità di attività, motoria e sportiva, tutte han-no riscoperto il gusto e la bellezza di dedicare del tempo anche alla cu-ra di se stesse e della propria corporeità. Muoversi al ritmo di musica,riconoscersi in un corpo sano e agile, dà carica ed entusiasmo per tor-nare più motivate e serene al lavoro e dedicarsi a persone che ormainon sono più autosufficienti. Il percorso di socializzazione inoltre è sta-to arricchito, in un’ottica di sistema, proponendo un ciclo di quattro in-contri, curato dagli psicologi del Punto Famiglia Acli e dedicato alla me-diazione culturale e alla risoluzione dei conflitti che possono insorgerequando il lavoro di badante viene svolto in regime di co-residenza. I ri-petuti incontri hanno stimolato in queste donne la voglia e l’interessedi ritagliare del tempo per se stesse, per meglio integrarsi e viverel’esperienza di cittadine migranti; alcune, al termine del percorso, han-no fatto la scelta di continuare a frequentare la palestra inserendosi eintegrandosi in un gruppo già attivo.

UNA NUOVA ASD CON IL GRUPPO MUZENZA DI CAPOEIRA Presso I’ASD New Athletic and Martial School, affiliata all’US Acli di Pa-dova, opera da alcuni anni l’insegnate Claudia Pires Santana, brasilia-na, a cui dopo aver vinto il 3º Campionato Mondiale di Capoeira Mu-zenza 2004 - Curitiba - PR, in Brasile, è stata offerta la possibilità di ini-ziare a sviluppare un lavoro con la pratica della Capoeira in Europa, inparticolare in Italia. Claudia, giunta nel nostro Paese nel 2005, ha ini-ziato ad operare presso strutture già attive attraverso la proposta sug-gestiva di attività motoria e sportiva e la pratica della Capoeira.

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CHE COS’È LA CAPOEIRALa Capoeira è una lotta brasiliana di origine africana, caratterizzata daelementi espressivi come la musica e l’armonia dei movimenti, oggi pra-ticata in molti paesi come disciplina sportiva. Nata circa 500 anni fa inBrasile nelle comunità di schiavi neri costretti a lavorare nelle pianta-gioni, è particolarmente incentrata sulla forze e sull’agilità delle gam-be; è una attività che comprende un misto di sport, cultura, arte, dan-za, lotta, folclore, musica e acrobazie. Il gruppo Muzenza è uno dei piùgrandi gruppi di Capoeira nel mondo; ad oggi conta più di 30.00 allie-vi ed è presente in 26 stati brasiliani e in 32 paesi del mondo. Obietti-vo principale del gruppo è la diffusione della Capoeira, attraverso la ri-cerca e lo sviluppo del livello tecnico, teorico, didattico e pedagogico,intendendo la disciplina non solo come forma di lotta ma anche comearte, cultura e filosofia di vita. Claudia quindi comincia a proporre a bambini e adulti i primi elementidi Capoeira e grazie alla proposta ludica e al lavoro di gruppo offre lapossibilità agli allievi di svolgere un esercizio divertente e diverso.

UN ABBINAMENTO FRUTTUOSOA luglio 2006, l’insegnate Jean Carlo Science è stato invitato a parte-cipare a spettacoli in Europa con il Gruppo di Danza Tedesca (Grupo25 de Julho) della città di Blumenau - SC (Brasile) e, passando attra-verso diverse tournèe in Germania e Austria, presentando la culturaafro - brasiliana, grazie ad un progetto sviluppato con l’appoggio delMinistero della Cultura del Brasile, è infine arrivato a Padova per un in-tercambio culturale.I due insegnati cominciano ad operare insieme e a promuovere la di-sciplina, oltre che con l’insegnamento nelle scuole, nelle palestre e neicentri estivi, anche organizzando annualmente stage internazionali epartecipando a diversi spettacoli con esibizioni all’aperto. Partecipanoalla festa dei Popoli promossa dell’omologo comitato in collaborazionecon il Comune di Padova, dove rappresentano la cultura brasiliana. Il gruppo cresce, cresce l’esigenza di nuovi spazi per gli allenamenti e,a mano a mano che il gruppo si relaziona con interlocutori istituziona-li, Enti locali, scuole, Coni, ecc. si fa avanti l’esigenza di dare forma giu-ridica al gruppo per i necessari riconoscimenti.

LA NASCITA DELL’ASDL’US Acli di Padova, grazie al progetto “Cittadini attraverso lo sport” met-te a disposizione del gruppo tutte le informazioni necessarie per costi-tuire un’associazione sportiva dilettantistica, invita i responsabili delgruppo agli incontri di formazione e informazione sulle tematiche civi-listiche e fiscali relative alle associazioni sportive dilettantistiche, insie-me scrivono l’atto costitutivo e lo statuto e provvedono alla regolare re-

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gistrazione e all’apertura del codice fiscale presso l’ufficio delle Entra-te. Per più di sei mesi vengono affiancati nella conoscenza della nor-mativa specifica e nella cura della gestione democratica attraverso laregolare convocazione degli organi, la stesura dei verbali e la tenuta del-la contabilità. Claudia Pires Santana è la prima presidente dell’ASD “Ca-sa du Brasil”, ora iscritta all’US Acli e al registro nazionale del CONI econta già oltre 30 iscritti.

UNO SGUARDO AI RISULTATIIl progetto ha offerto l’opportunità di creare relazioni significative sulterritorio tra società sportive strutturate e gruppi informali di cittadiniimmigrati che, per la difficoltà di raggiungere le adeguate informazio-ni, faticano a completare il reale processo di integrazione. In partico-lare il gruppo di brasiliani, da diverso tempo stava cercando di costituirsiin associazione ma c’era quasi paura di entrare in un processo di rico-noscimento troppo importante e “pericoloso”. Le risorse messe a di-sposizione dal progetto ci hanno permesso di approfondire il percorsodi accompagnamento alla costituzione dell’ASD. Allo stesso modo ilgruppo delle colf, che sentiva il bisogno di praticare attività fisica, hatrovato un “canale di accesso agevolato” per rapportarsi con le realtàsportive del territorio.

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Sport d’acqua per integrarsi

ROMAComitato provinciale US Acli ROMAResponsabile locale Luca Serangeli

Incaricato del progetto Marco MencagliaComunità migrante Romena

Realtà locale ASD Arvalia nuoto

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CITTADINI ATTRAVERSO

LO SPORT

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UNA COMUNITÀ NUMEROSAGli immigrati romeni costituiscono il primo gruppo delle comunità stra-niere residenti a Roma. Si tratta di persone - principalmente della fa-scia di età 19 /40 anni - arrivate in Italia da sole o seguendo la rete pa-renti e/o amici, alla ricerca di un lavoro e di condizioni di vita miglioridi quelle che si possono ottenere attualmente in Romania. La maggio-ranza degli uomini lavora nell’edilizia, le donne come collaboratrici do-mestiche ma non solo: lavorano anche nei negozi, negli alberghi, neiristoranti, nella sanità e nell’assistenza sociale. Di origine romena sono le persone che l’US Acli ha coinvolto nel progetto,presenti in quantità considerevole nel quartiere dove si sono svolte leattività. Proprio la nostra esperienza in questo territorio, ci fa dire cheprogetti come “Cittadini attraverso lo sport”, sono utili sempre ma so-prattutto là dove la percentuale di popolazione immigrata è elevata.

LA REALTÀ DEL “SERPENTONE”Il progetto si è sviluppato nel XV Municipio del Comune di Roma, zonaCorviale. Da sempre questo Municipio viene identificato attraverso unpalazzo lungo circa 1.200 metri chiamato “serpentone”, costruito neglianni ’70 per rispondere alle esigenze dell’edilizia popolare romana.Dopo 40 anni il quartiere presenta una densità di abitanti altissima: lepersone che vivono all’interno del “serpentone” sono più di 6.500. Molte sono le problematiche che nel corso degli anni si sono succedu-te nel territorio italiano e che hanno portato a quella mescolanza di re-ligioni, culture ed etnie diverse che oggi lo caratterizzano. Corviale nonfa eccezione: mentre è un quadrante della città inserito nel progetto dicandidatura di Roma alle Olimpiadi 2020, è allo stesso tempo un terri-torio difficile per le nuove generazioni; un tessuto sociale dove sono pre-senti numerose contraddizioni. Tuttavia l’intervento di amministratori lo-cali competenti ha fatto sì che la zona stia recuperando gli anni persi,al punto che famiglie giovani sempre più scelgono Corviale come quar-tiere per il domani. Qui “Cittadini attraverso lo sport” ha cercato di co-niugare il passato ed il presente del territorio attraverso l’attività spor-tiva e in particolare con le attività acquatiche.

LA SCELTA DELLA DIMENSIONE “FAMIGLIA”Di fatto, la proposta di attività sportiva è stata un valido approccio permettersi in relazione con la comunità romena di Corviale e in partico-lare una serie di eventi socio/sportivi in cui venivano coinvolti genitorie figli, ha permesso di far nascere interessanti sinergie.La dimensione familiare è stata molto importante: proprio perché si èpuntato a far muovere insieme genitori e figli, il gruppo che ha parte-cipato al progetto (20% maschi e 80% femmine) aveva un’età com-presa tra i 9 e i 43 anni. Questo mix di età è stato una carta vincente.

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Infatti negli incontri periodici per allenamenti e tornei, il fattore età nonveniva assolutamente preso in considerazione: grandi e piccoli, adultie ragazzi, hanno potuto realizzare e dimostrare di stare bene insiemein un gruppo intergenerazionale. Una “novità” che - nel corso dei me-si previsti dal progetto - ha portato ad una crescita dei singoli parteci-panti e del gruppo stesso. Soprattutto i più giovani hanno acquisito pro-gressivamente quel senso di responsabilità che ad oggi, li accompagnanella loro vita quotidiana. Un risultato conseguito proprio grazie alla par-ticolare composizione del gruppo ed agli adulti che hanno voluto e sa-puto mettersi in gioco avendo come primo obiettivo il bene loro e deipropri figli.

SPERIMENTARSI IN ACQUAA partire dalla seconda fase di “Cittadini attraverso lo sport”, la co-munità romena è stata invitata nella piscina comunale “Arvalia nuoto”per prendere parte ai primi allenamenti. Inizialmente i partecipanti alprogetto dimostravano poca dimestichezza con l’acqua ma gioco edesercizi mirati ad adulti e bambini, hanno fatto sì che presto si creas-se un clima allegro e sereno. Romeni e italiani: tutti in acqua con lostesso livello “tecnico” che era il solo fattore di divisione tra grandi epiccoli. Qui si è irrobustita, attraverso la conquista della sicurezza inacqua e la conseguente familiarità con questo elemento, la grande coe-sione del gruppo.A consolidare il rapporto istauratosi tra US Acli e comunità romena, lapartecipazione alla manifestazione sportiva di nuoto “XI edizione Me-morial Fabio Gori” che ha confermato come anche il sostegno ad unsano agonismo sportivo degli atleti in gara, possa rappresentare una 101

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buona opportunità di condivisione e vicinanza tra comunità diverse.Questo coinvolgimento ad un evento così amato e seguito nell’US Acliromana, ha permesso inoltre di diffondere una visione positiva degliimmigrati. Visione positiva sostenuta e confermata quando si sonomesse in campo alla fine delle gare, alcune attività tipiche dei paesidell’ est Europa, con una particolare attenzione alle attività sportivepraticate in Romania.

RILANCIARE L’ESPERIENZAAttraverso il progetto e tramite lo sport, è stato possibile favorire unbuon livello di interazione tra immigrati e associazioni sportive del ter-ritorio. Di fatto, proprio l’associazionismo è stato il primo contesto in cuisi sono attivate azioni a favore dei cittadini immigrati, in particolare at-traverso corsi informativi e formativi oltre a percorsi mirati a sostene-re concreti processi di integrazione. “Cittadini attraverso lo sport” è stato un momento importante. Sin dal-l’inizio non si sono riscontrate particolari problematiche: ottimo il livel-lo di accoglienza esercitato dagli italiani verso la comunità romena, ac-compagnato e sostenuto da una sincera curiosità nei confronti di usi,costumi, tradizioni di un paese entrato ufficialmente da pochi anni nel-la Unione Europea.Il progetto dunque, presenta tutte le potenzialità necessarie per esse-re rimesso in cantiere nel prossimo anno con l’obiettivo di coinvolgerepiù etnie e culture diverse. Lo sport infatti può essere uno strumentomolto efficace per avviare processi di integrazione soprattutto in queiterritori e in quelle situazioni dove l’immigrazione rischia di divenire undifficile problema sociale.102

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Se il progetto va in rete

TERNIComitato provinciale US Acli TERNIResponsabile locale Gianfranco Almadori

Incaricata del progetto Mariacristina IottiComunità migranti Ucraina - Russa - Albanese

CroataRealtà locale ASD Ternananuoto US Acli

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CITTADINI ATTRAVERSO

LO SPORT

Foto di repertorio

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UNA TERRA ACCOGLIENTEIl territorio del Comune di Terni, come il resto d’Italia e d’Europa, è or-mai da diversi anni meta di arrivo per molti migranti provenienti so-prattutto da alcuni paesi dell’est europeo, dall’Africa e dall’Asia e ancheda altri paesi comunitari.Le situazioni, le esperienze e le esigenze di questi cittadini stranierisono tra le più varie. Si passa da chi è in fuga da situazioni di guer-ra e di estrema povertà o investe nella migrazione come strumentoper raggiungere un futuro più accettabile, grazie a migliori opportu-nità di lavoro, a chi infine molto semplicemente spera di ricongiungersiai propri cari. Per alcuni l’Umbria rappresenta un punto di transito, at-traverso il quale migrare verso altre città d’Italia o addirittura altri Pae-si; per altri invece, il luogo di approdo in cui fermarsi ed iniziare co-sì una nuova vita.

NON SOLO EMERGENZAIn entrambi i casi, non si tratta più - o almeno non solamente - di si-tuazioni di contingenza e di emergenza ma di persone che intendonoavviare un progetto di vita e di lavoro nel nostro territorio. Di conse-guenza la strutturazione di un’autentica politica per i migranti è diven-tata necessaria per rendere possibile una reale integrazione dei nuovicittadini all’interno delle singole realtà locali in cui vivono, soprattuttoper due ordini di motivi: da un lato per prevenire situazioni e compor-tamenti a rischio di devianza, abbandono, degrado sociale. Situazioniche potrebbero incidere sul livello di coesione sociale, generando in-certezze e perdita di senso di sicurezza nei cittadini e soprattutto inquelli appartenenti alle fasce più deboli maggiormente esposti alle ten-sioni sociali. Da un altro lato per garantire ai cittadini migranti un ade-guato livello di servizi alla persona; per permettere un’autentica inte-grazione nel tessuto sociale, in un mondo di relazioni e di rapporti, didiritti e di doveri; per non farli sentire cittadini di serie b.

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I migranti presenti sul territorio sono di varia estrazione e svolgono di-verse occupazioni. Le donne svolgono principalmente il lavoro di colf obadanti, gli uomini lavorano specialmente nell’edilizia, nell’industria onel commercio. Spesso è uno dei due membri della coppia a partire perprimo, per essere poi raggiunto dal resto della famiglia, bambini com-presi. Sono anche molti i bambini nati sul territorio italiano - e di fattoitaliani a tutti gli effetti.Sul territorio di Terni non sono presenti grosse tensioni sociali ma que-sto è anche dovuto a una politica di integrazione che è durata negli an-ni, il cui peso ricade sempre di più sul privato sociale, sulle cooperati-ve e sulle associazioni.

L’IMPORTANZA DEL GEMELLAGGIO…Il Progetto “Cittadini attraverso lo sport” ha coinvolto i ragazzi e le ri-spettive famiglie di varie nazionalità dell’Europa orientale, soprattuttoUcraina, Russia, Albania e Croazia. La sinergia è stata avviata grazie aicontatti avvenuti tra la comunità ucraina residente a Terni e le Acli. Lacomunità ucraina aveva espresso la volontà di creare una propria as-sociazione che avesse un riconoscimento a livello provinciale. Tale as-sociazione ha visto la luce nell’ambito delle Acli di Terni. In questo mo-do si è venuto a creare uno stretto rapporto tra le famiglie ucraine e levarie associazioni interne alle Acli, tra cui anche l’US Acli. Capofila di que-sta associazione è Eva Mandzyuk che ha curato i rapporti tra i membridella comunità ucraina e i vari soggetti delle Acli. È così che l’US Acli hapotuto coinvolgere immediatamente le famiglie ucraine nel progetto “Cit-tadini attraverso lo sport”. A loro volta, le famiglie ucraine hanno atti-vato un passaparola attraverso i propri contatti e i propri amici, anchedi altre comunità, raggiungendo in questo modo famiglie di nazionalitàrussa, albanese e croata. Il gruppo interessato al progetto, era costituitoda circa trenta persone, più i membri delle rispettive famiglie. Si tratta-va di uomini e donne, dai trenta ai cinquant’anni circa. Il gruppo ha col-laborato con l’US Acli, in particolare con Mariacristina Iotti, per arrivaread un’intesa che coniugasse gli interessi, le esigenze e le aspettative ditutte le parti. L’accordo è stato raggiunto sulla realizzazione di un cor-so di nuoto per bambini e ragazzi, aperto sia ai membri delle comunitàmigranti sia ad italiani.

…E DEL PASSAPAROLALe famiglie coinvolte sono state da subito favorevoli, anche per propriacultura, all’attività sportiva rispetto alla quale hanno mostrato un vivointeresse. In particolare hanno apprezzato la proposta del nuoto comesport indicato per i loro figli: attività che è stata riconosciuta da tutti co-me sana e adatta ai giovani nella fase della crescita. La comunità ucrai-na che è stata direttamente coinvolta nel progetto, ha attivato il pas-

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saparola per promuoverlo e diffonderlo ancora di più. Sono stati rag-giunti colleghi di lavoro, di scuola, membri di altre associazioni di mi-granti, amici. Anche le Acli hanno attivato i loro canali, in particolare Pa-tronato, Caf, Acli Colf e Acli Punto famiglia, raggiungendo così nume-rose famiglie di migranti residenti sul territorio ternano.

IL DOPPIO VALORE DELLO SPORTL’US Acli di Terni organizza da anni numerose attività sportive sul suoterritorio e il nuoto è sempre stato uno degli sport più seguiti e prati-cati da generazioni di giovani. La nostra associazione si è costantementeconcentrata sull’aspetto sociale della sua intera iniziativa, cercando diavvicinare alla pratica sportiva soggetti svantaggiati da diversi punti divista e proponendo lo sport come momento di aggregazione e di so-cialità, non solo come pura attività fisica o agonistica. “Cittadini attra-verso lo sport” non si è allontanato da questa linea quando ha orga-nizzato un corso di nuoto rivolto a bambini e ragazzi sia stranieri cheitaliani, puntando a facilitare comunicazione, confronto, rispetto reci-proco, sentimenti di appartenenza al gruppo. Tutti i ragazzi partecipantihanno accolto il corso con grande favore ed entusiasmo, instaurandoda subito rapporti di scambio e di amicizia. Questo è stato il vero suc-cesso dell’iniziativa: la conferma che lo sport è un potente motore diaggregazione, di integrazione e di relazione tra le persone, a prescin-dere dai paesi di provenienza. Non a caso, la condivisione della stessapassione sportiva ha permesso di instaurare relazioni anche al di fuoridell’ambito sportivo.

UN PASSO VERSO IL FUTURO“Cittadini attraverso lo sport” è stato caratterizzato anche dalla gior-

nata del 27 maggio, quando si è svolto il “Trofeo dell’amicizia”. Un’oc-casione di incontro e di festa per tutti i partecipanti ai corsi di nuoto eper le loro famiglie. I ragazzi si sono esibiti in un saggio di nuoto nel-le varie specialità e poi premiati. Al termine - come nelle migliori tra-dizioni - uno spazio conviviale che ha visto insieme ragazzi e famiglie,istruttori e volontari dell’US Acli. Il “Trofeo dell’amicizia” è un momen-to importante al termine dei corsi perché pensato per rinsaldare rap-porti di amicizia e di conoscenza anche tra e con le famiglie, che pos-sono poi proseguire al di fuori del contesto sportivo. Di fatto crediamoche anche questo incontro possa aver segnato un piccolo passo in unpiù generale processo di integrazione sociale. Certamente il coinvolgi-mento di famiglie italiane e straniere in un momento ricreativo e di-stensivo, non solo ha ben concluso l’iniziativa ma ha posto le basi peruna sua futura riproposizione. Non a caso, le famiglie e i ragazzi han-no espresso la volontà di proseguire questa esperienza di vita e di sport,rivelatasi per tutti estremamente positiva.

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Lealtà e fair playil vincitore è lo sport

TORINOComitato provinciale US Acli TORINOResponsabile locale Piero Demetri

Incaricato del progetto Domenico RagoComunità migrante Etnie diverse

Realtà locale associazioni sportive dilettantistiche partecipanti al campionato provinciale calcio US Acli

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CITTADINI ATTRAVERSO

LO SPORT

Foto di repertorio

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UN MOSAICO DI ETNIERispetto alle altre città del Piemonte, Torino registra il record delle pre-senze di cittadini stranieri: non a caso nel capoluogo si possono con-tare circa cento comunità di diversa etnia. Nel contesto italiano, Tori-no si è segnalata per il suo impegno a favore della partecipazione a for-me e organizzazioni della società civile, ad esempio istituendo nel1995 la prima consulta degli stranieri in Italia. Questa “vocazione” a sperimentare interventi a favore dell’integrazio-ne degli stranieri ha consentito di affrontare spesso problemi specificidettati da ragioni di emergenza. Una storia speciale quella di Torino do-ve la relativamente recente immigrazione dal sud del mondo è statapreceduta da una imponente migrazione dal sud italiano. In questi ul-timi anni, mentre tra gli extracomunitari si sono stabilizzati soprattut-to marocchini e nigeriani, gli immigrati che più di altri segnano il pro-filo di accoglienza della città sono quelli romeni, fortemente concentratinella provincia e molto meno numerosi nel resto della Regione benchérisultino comunque fra le prime cinque nazionalità residenti. Il feno-meno migratorio è particolarmente visibile se si osservano le nuove ge-nerazioni all’interno del contesto scolastico piemontese dove il nume-ro degli allievi stranieri continua a crescere anno per anno, così comed’altra parte avviene in ogni città italiana.

VEICOLATI DALLO SPORTL’obiettivo verso il quale ci si è mossi per tradurre localmente “Cittadi-ni attraverso lo sport” è la valorizzazione della ricchezza che deriva dal-l’incontro di culture diverse - numerose sono quelle rintracciabili all’ in-terno del nostro campionato di calcio a undici - per sottolineare e raf-forzare bellezza e potenzialità della diversità culturale, usando come vei-colo lo sport.Il fatto che dentro molte delle nostre squadre ci siano parecchi gio-catori immigrati - i quali passano quasi inosservati a causa dei gran-di numeri caratterizzanti il campionato - ha fatto nascere l’idea di farformare ad alcuni di loro, simbolicamente e per una giornata, una “se-lezione” scelta per rappresentare l’unione di tutti i paesi ospitati dalcampionato. Nel gran finale è stato dunque giocato il “torneo del cuore” a cui han-no partecipato oltre alla selezione del “resto del mondo”, una selezio-ne italiana, una squadra composta interamente da giocatori di una co-munità peruviana e un squadra che gioca in una categoria superiore. Quattro squadre che al termine del campionato 2011 hanno visto pre-miare la bravura ma anche la lealtà e il fair play: una giornata in cui ilvero vincitore è stato lo sport e chi lo ha saputo vivere nella manierapiù autentica.

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GIOCARE INSIEME GIOCARE TUTTIA ottobre del 2010, una giornata formativa/informativa ha messo in-sieme le varie Ads presenti nel campionato. Qui ha preso corpo ed èstata lanciata l’idea della formazione rappresentativa di tanti Paesi; untorneo è una proposta un po’ estranea alle logiche, ai tempi e ai rit-mi di un campionato di calcio sia pure dilettantistico. Ma è piaciuta.In seguito siamo riusciti a coinvolgere un altra Asd di giocatori peru-viani - esterna al campionato - a cui abbiamo proposto la partecipa-zione al “torneo”.L’età del gruppo, tutto maschile, con cui formare la squadra “resto delmondo” era estremamente diversificata; dopo la scelta dei titolari del-le squadre che si sarebbero dovute affrontare nel torneo, avevamo ilproblema di non deludere gli altri, escludendoli. Abbiamo così lavora-to sulle “panchine”, scegliendo di aumentare il più possibile il numerodelle riserve, compatibilmente con la possibilità di cambi, per dare a tut-ti i partecipanti l’occasione di intervenire offrendo il proprio contribu-to. La condotta, l’impegno e la costanza durante il campionato sono sta-ti comunque i parametri principali su cui operare la scelta.

DA IDEA A IDEALungo il percorso di “Cittadini attraverso lo sport”, abbiamo molto pun-tato anche su incontri organizzativi e informativi, necessari per costruireil momento conclusivo e centrale del progetto, la manifestazione degliinizi di giugno. Ben sapendo che un’idea cammina su solide gambe esu una conoscenza precisa della meta da raggiungere, particolare è sta-ta la cura verso le comunità che si sono mostrate estremamente di-

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sponibili, entusiaste e propositive. Aggiungendo idea ad idea, nella co-struzione dell’evento finale hanno infatti ipotizzato e giocato ruoli diversiattivandosi per renderlo qualcosa di più di un incontro sportivo: unesempio fra tutti, la formazione del gruppo musicale che ha accompa-gnato il momento serale di festa. Oltre alla organizzazione dei vari incontri per proseguire il percorso sta-bilito, si è avviato un programma di allenamenti, al termine del cam-pionato e antecedente al torneo, per dare la possibilità ai giocatori pro-venienti da squadre diverse di sperimentare uno scambio “tecnico” eumano in vista del torneo.

LO SPORT CONTRO I PREGIUDIZIQuesta esperienza ci ha dato soprattutto modo di riflettere su quantolo sport possa essere davvero un mezzo efficace per abbattere i pre-giudizi. Proprio l’aver lavorato tutti insieme alla realizzazione di un even-to pubblico, ha consentito di condividere con pubblico e partecipantiquesta consapevolezza. Se pure qualche difficoltà si è presentata è sta-ta quella di organizzare e concretizzare le tantissime proposte portatein fase organizzativa; di ricercare quindi un comune accordo per sele-zionare le più significative e fattibili, avendo sempre presente l’obietti-vo di una giornata in cui manifestare visibilmente un processo di inte-grazione sportiva.

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Culture diverse stessa passione sportiva

TREVISOComitato provinciale US Acli TREVISOResponsabile locale Tarcisio Rigato

Incaricata del progetto Rita DrusianComunità migrante Gruppo multietnico Oderzo

Realtà locale US Acli Treviso

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CITTADINI ATTRAVERSO

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L’IMMIGRAZIONE A TREVISOIn base ai dati forniti dagli uffici anagrafe, a fine 2009 il numero tota-le dei residenti (italiani e stranieri) in provincia di Treviso, era di884.881 persone. Le donne risultano leggermente superiori agli uomi-ni (51% del totale). I minori sono circa 158.000 e rappresentano il 18%dei cittadini residenti.Rispetto al 2008 si nota che la popolazione è complessivamente au-mentata (di circa 5.500 unità), anche se la crescita è stata decisamentepiù contenuta di quanto era avvenuto l’anno precedente, quando l’in-cremento era stato di circa 10.000 persone.I dati mettono in luce molto chiaramente il fatto che gli immigrati stan-no aumentando in modo sempre più contenuto rispetto al passato: dif-ficoltà di trovare lavoro e crisi economica sono tra i motivi principali diquesta diminuzione. Gli ingressi per lavoro sono sempre più modesti maanche gli ingressi per famiglia (l’altro importante canale di entrata dinuovi cittadini stranieri) diventano più problematici perché la difficilecongiuntura economica rende complicata la dimostrazione dei requisi-ti previsti dalla normativa oltre a scoraggiare l’arrivo di familiari a cuiva garantito comunque vitto e alloggio.In provincia di Treviso, al 31 dicembre del 2009, erano presenti citta-dini stranieri appartenenti a 145 diverse nazionalità. In alcuni casi sitratta di paesi con un numero modestissimo di immigrati (82 stati so-no rappresentati da meno di 50 persone). In altri, al contrario, si trat-ta di paesi molto importanti, con valori assoluti superiori alle 10.000 uni-tà. Le prime tre nazionalità insieme superano il 40% del totale degli im-migrati della provincia e le prime 10 raggiungono il 70%, a dimostra-zione di come la distribuzione sia di fatto abbastanza concentrata.La prima nazionalità in assoluto risulta essere anche quest’anno la Ro-mania, con 18.057 presenze e un peso percentuale del 18.2%. Al se-condo posto, piuttosto staccato, il Marocco, con 12.250 cittadini (parial 12,4% del totale). Al terzo troviamo l’Albania (10.464, pari al 10,6%).Queste sono le tre principali nazionalità della provincia di Treviso, le uni-che con un peso percentuale superiore al 10%. Seguono, con valori viavia più modesti, Macedonia, Cina, Serbia, Senegal, Ucraina, Moldaviae Bangladesh. E poi tutte le altre.

COGLIERE LE OPPORTUNITÀ Le Acli provinciali di Treviso sono presenti da diversi anni presso il co-mune di Oderzo, con uno sportello “Servizi integrati per l’immigrazio-ne”, il che ha permesso di consolidare un rapporto di collaborazione conla Consulta locale per gli immigrati. Grazie a queste premesse, l’Unio-ne Sportiva Acli ha avuto l’opportunità di prendere contatti con il Grup-po multietnico di Oderzo, composto da giovani stranieri che, senza es-sere formalmente costituiti, organizzano tornei di calcio e attività spor-

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tive. Quelli con cui abbiamo realizzato l’attività sportiva legata a “Cit-tadini attraverso lo sport”, sono circa 40 maschi di etnia marocchina eromena, di età compresa tra i 21 e i 41 anni. All’inizio del 2011, un incontro a sei ha consentito di dare il via al no-stro progetto.

UN INCONTRO E UNA FESTAA gennaio 2011 presso la sede provinciale di Treviso, il presidente pro-vinciale dell’US Tarcisio Rigato, Rita Drusian della presidenza provincialee Laura Vacilotto, referente provinciale dell’area immigrazione Acli, in-contrano Sylla Babacar, vice presidente della Consulta per gli immigratidi Oderzo, Driss El Ail, referente della squadra di calcio marocchina eGabriella Catos, referente della squadra di calcio romena. È un incon-tro per conoscersi e per valutare la possibilità di un gemellaggio. I rap-presentanti delle comunità straniere da qualche anno organizzano in-fatti alcuni eventi sportivi informali, coinvolgendo squadre di calcio diragazzi stranieri. In quell’occasione l’US si racconta brevemente, spie-ga quali sono i propri fini e quali attività svolge, sottolinea come lo sportsia uno strumento efficace per aggregare ed avvicinare persone di et-nie e culture differenti; fornisce inoltre le prime indicazioni normativeper costituire una società sportiva dilettantistica. Il Gruppo multietni-co manifesta interesse per il gemellaggio e insieme viene individuatala data (16 aprile 2011) per la “1a Festa provinciale dello sport US Acli”da svolgersi a Roncade (TV), come primo passo importante di aggre-gazione e di integrazione. Tutti i presenti si rendono disponibili ad or-ganizzare un triangolare di calcio con la partecipazione di tre squadrerappresentative di tre culture diverse: Africa (squadra marocchina), Eu-ropa dell’est (squadra romena) ed Europa mediterranea (squadra ita-liana). Alla fine della riunione, i referenti delle comunità straniere pro-pongono ai rappresentanti dell’US Acli di partecipare al successivo in-contro della Consulta per gli immigrati a Oderzo.

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PASSO DOPO PASSO All’inizio di aprile Tarcisio Rigato e Laura Vacilotto partecipano alla pri-ma parte della riunione della Consulta per gli immigrati che si svolgealla presenza dell’assessore ai servizi sociali del comune di Oderzo. Du-rante questo incontro il presidente dell’US Acli richiama la storia e le at-tività dell’US Acli, rinnovando l’invito alla festa dello sport e ponendo sultappeto l’importante questione della tutela sanitaria e della prevenzio-ne. Da qui parte l’invito a tutti i partecipanti al torneo di calcio del 16aprile, ad esibire - prima dell’inizio della partita - il certificato medicoper attività non agonistica. Certificato che sarà interamente rimborsa-to dall’US Acli. Dopo qualche passaggio sull’organizzazione del torneo,si affrontano alcune difficoltà delle squadre rispetto al raggiungimen-to del campo di calcio. Ancora una volta è l’US a risolvere il problemadecidendo di mettere a disposizione un pullman gratuito per i parteci-panti e per eventuali familiari. Invito chiama invito: la Consulta chiedeall’US Acli di partecipare al torneo di calcio da loro organizzato a Oder-zo alla fine di aprile.

LO SPORT IN FESTA 16 aprile: scende il campo il triangolare di calcio non competitivo al-l’interno della “1a Festa provinciale dello sport US Acli”. Le squadre so-no riconoscibili dal colore delle magliette: l’Africa con la squadra dei ma-rocchini del Gruppo Multietnico di Oderzo sfoggia una luminosa magliabianca; in maglia arancione la squadra dei romeni dello stesso Gruppomultietnico, schierati per l’Europa dell’est; a giocare per l’Europa Me-diterranea è la squadra locale dell’A.C. San Cipriano ASD, in fiamman-te maglia rossa. I risultati sono facilmente sintetizzabili: 1 a 0 Europa

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Mediterranea/Africa; 3 a 1 Africa/Europa dell’Est; 0 a 2 Europa del-l’Est/Europa Mediterranea.Nel pieno rispetto delle regole e dello spirito di squadra, il gioco ha fa-vorito fair play in campo e fuori, dando il via ad un vero pomeriggio difesta e di aggregazione. A conferma del fatto che la stessa passionesportiva può accomunare persone di origini e culture diverse.

CONTINUARE A METTERSI IN GIOCORivedendo tutto il percorso compiuto per le realizzazione del progetto,crediamo sia importante continuare a coltivare le relazioni che hannoreso possibile questa esperienza. Intanto “accompagnando” la squadraromena nella valutazione della opportunità di costituirsi formalmente co-me ASD; ma anche continuando a mettersi in gioco, mantenendo con-tatti regolari con il Gruppo multietnico - coinvolgendolo in attività fu-ture - e con la Consulta per l’immigrazione del Comune. Certo rimaneda affrontare qualche difficoltà che abbiamo riscontrato nel periodo incui si è sviluppato “Cittadini attraverso lo sport”: in primo luogo quel-la di far capire soprattutto al gruppo marocchino, l’importanza del cer-tificato medico come strumento di tutela della salute dei giocatori equindi come prevenzione di eventuali rischi; ma anche difficoltà di ti-po organizzativo come reperire le persone telefonicamente - in quasitutti i casi il lavoro le occupa nell’arco dell’intera giornata - o difficoltàdi piena comprensione delle regole e della lingua italiana: problema dacui molto probabilmente deriva anche la fatica di capire l’importanza perun gruppo sportivo, di costituirsi come ASD.

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Progetto finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Socialiai sensi dell’art. 12, c. 3, lett.f, legge n. 383/2000 – Direttiva 2009Le attività inerenti al progetto sono a titolo gratuito

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