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ESIMONEDIZIONI GIURIDICHE

Tavole sinottiche

Glossario

Domande più ricorrenti in seded’esame o di concorso

CRIMINOLOGIACOMPENDIO DI

AA.VV.Gr

uppo

Edi

tori

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Sim

one

VI EDIZIONE

2012Estratto della pubblicazione

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TUTTI I DIRITTI RISERVATI

Vietata la riproduzione anche parziale

Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Simone S.p.A.(art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)

Di particolare interesse per i lettori di questo volume segnaliamo:3 • Diritto penale (parte generale)3/1 • Diritto penale (parte speciale)3/2 • Compendio di diritto penale (parte generale e speciale)ST22 • Diritto penale (Parte generale)ST23 • Diritto penale (Parte speciale)ST24 • Diritto penale (Principali reati)ST32 • Criminologia502 • Codice penale e leggi complementariOP3 • Codice penale operativoC3 • Codice penale commentatoLX3 • Lexikon di diritto penaleE3 • Codice penale esplicatoE3/A • Codice penale esplicato (editio minor)

Il catalogo aggiornato è consultabile sul sito: www.simone.itove è anche possibile scaricare alcune pagine saggio dei testi pubblicati

Revisione e aggiornamento del testo a cura della dott. Mariarosaria Rumore

Hanno collaborato alle precedenti edizioni i dottoriCorrado Del Gaudio, Marco Del Gaudio, Annamaria Iaccarino,

Ubaldo Nazzaro e Mariarosaria Rumore

Finito di stampare nel mese di maggio 2012dalla «INK & PAPER» - Via Censi dell’Arco, n. 22 - Cercola (NA)

per conto della SIMONE S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 - Napoli

Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno

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PREMESSA

La criminologia è la scienza che studia i reati, gli autori, le vittime, i tipi di condotta criminale (e la conseguente reazione sociale) e le forme possibili di controllo e prevenzione. È una disciplina sia teorica che empirica, sia descrittiva che esplicativa, sia normativa che fattuale.Questo compendio, giunto alla VI edizione, tenuto conto della sempre maggiore importanza nella formazione universitaria e postuniversitaria, fa il punto sulla più nota manualistica del settore, offrendo una panoramica ampia e sistematica sullo studio della criminalità, soprattutto riguardo alla sua fenomenologia, non-ché ai sistemi di controllo sociale e agli interventi risocializzativi con particolare attenzione all’istituto della mediazione penale ed agli interventi di prevenzione giudiziaria ed extragiudiziaria. Poiché la connotazione multidisciplinare della materia rende alcuni testi di non facile apprendimento, il testo si giova di una stesura espositiva lineare per favorire l’approccio anche a chi si avvicina per la prima volta alla materia.Anche questa nuova edizione, pur rimanendo inalterata nella struttura, presenta una serie di questionari contenenti le domande più ricorrenti in sede di esame o di concorso. Il testo, si giova, inoltre, di tabelle riepilogative e di un utile glossario con le spiegazioni dei termini più specialistici nonché brevi note bibliografiche dei più significativi autori del settore.

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Capitolo 1�Introduzione

Sommario � 1. Le scienze criminali. - 2. Lo spettro d’indagine della criminologia. -3. La criminologia come scienza. - 4. Approccio sociologico e approc-cio antropologico.

1. Le scienze criminali

Tutte le discipline che hanno ad oggetto del proprio studio il problema della criminali-tà, la quale non è altro che uno dei tanti modi di agire e di comportarsi nella società,sono definite scienze criminali.Vi rientrano, tra le altre, oltre alla criminologia, la vittimologia, la politica criminale, ildiritto penale, il diritto penitenziario, la psicologia giudiziaria e giuridica, la crimina-listica.La vittimologia ha da poco acquistato dignità di scienza autonoma dalla criminologia,occupandosi dello studio delle relazioni che intercorrono o che vengono acrearsi tral’autore e la vittima del reato, ovvero l’individuazione di quei fattori che determinanoo facilitano la vittimizzazione di determinati soggetti o categorie di soggetti. Ma lostudio della vittima può rilevare anche sotto il profilo delle tecniche di individuazionedel reo, o meglio della elaborazione del cd. «profilo criminale» dell’autore di un reato.Quanto alla politica criminale, essa pone gli obiettivi che saranno successivamenteperseguiti dal diritto penale: obiettivi frutto delle attuali istanze sociali in materia diprevenzione della criminalità. Compito della politica criminale è, ad esempio, la depe-nalizzazione di alcune fattispecie desuete di reati e la conseguente creazione di fattis-pecie delittuose nuove, in conseguenza del mutato sentire sociale.Se la politica criminale è un aspetto della politica sociale ed attribuisce al diritto pe-nale il ruolo di extrema ratio, quest’ultimo è al tempo stesso suo strumento e limite.Mentre lo scopo della prima, infatti, consiste nella prevenzione della criminalità, ilsecondo, definendo di fatto i singoli crimini e le risposte che ad essi vanno date, diven-ta il mezzo di attuazione di tale politica.Il diritto penitenziario, dal canto suo, è costituito dall’insieme delle disposizioni legi-slative che regolano la fase esecutiva del procedimento giudiziario penale. Recente-mente questa disciplina ha allargato lo spettro del proprio intervento dalla semplicecarcerazione alle varie forme di misure sostitutive o alternative alla pena detentiva.

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Capitolo 16 �

Legittimità di scienze criminali hanno anche la psicologia giudiziaria, che studia leinterrelazioni psicologiche tra i vari protagonisti del procedimento giudiziario (dal-l’imputato al magistrato, dalla persona offesa al testimone, all’operatore amministrati-vo), e la psicologia giuridica, ramo della psicologia applicato al diritto.Infatti, proprio lo studio e la comprensione dell’atteggiamento psicologico assunto daivari soggetti che, direttamente o indirettamente, vengono in contatto con il procedi-mento giudiziario si fa sempre più importante anche dal punto di vista pratico, peresempio per l’avvocato nella scelta delle strategie difensive, per il perito che deveesaminare l’imputato, per l’equipe di osservazione e trattamento in ambito penitenzia-rio ecc. Uno dei settori in cui la ricerca è stata maggiormente approfondita è quelodella psicologia della testimonianza; ma pensiamo anche alle tecniche di conduzionedell’esame incrociato nel processo penale, ai rapporti tra le varie figure professionaliche vengono acontatto — e talvolta in collissione — nelle aule di giustizia, o addirittu-ra tra i componenti laici e togati di un medesimo collegio giudicante.La criminalistica, infine, non va confusa con le scienze criminali e con la criminolo-gia. Essa utilizza una serie di conoscenze, tra cui la medicina legale, per far fronte aproblemi di indagine di investigazione criminale.

2. Lo spettro d’indagine della criminologia

La criminologia (il cui significato è «discorso sul reato») ha per oggetto lo studio deifatti delittuosi, quello degli autori del reato e quello dell’indagine sulle diverse formedi reazione sociale alla criminalità. Lo studio della personalità della vittima e dei feno-meni di devianza, anche nelle sue manifestazioni non criminose, completa il quadrodelle sue ricerche (cd. ampiezza del campo d’indagine).Oltre alle scienze criminali, delle quali si è accennato, varie altre discipline, che chia-meremo scienze umane, si sono interessate al fenomeno della criminalità, ognuna,tuttavia, sotto l’angolazione delle proprie specifiche conoscenze e secondo propri me-todi di ricerca. Ci riferiamo principalmente alla sociologia, all’antropologia, alla me-dicina, alla psichiatria, alla pedagogia, alla statistica.Il campo d’azione del criminologo è, pertanto, vastissimo. Egli deve utilizzare e farlipropri metodi e conoscenze di tutte queste scienze, integrarne il contenuto, raffrontan-done gli approcci, le risultanze, le tecniche.La criminologia è, dunque, scienza interdisciplinare in quanto cura rapporti con altrediscipline impegnate nella ricerca criminologica; multidisciplinare nel senso che stu-dia il fenomeno criminale sotto vari aspetti e prospettive; è integrata perché tende acoordinare ed a sistemare approcci, metodi, conoscenze e tecniche provenienti da di-versi settori delle umane conoscenze.

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Introduzione � 7

3. La criminologia come scienza

Qualche autore (E. DE GREFF) ritiene la criminologia «scienza in sé inesistente» perla contingenza, l’incertezza e l’ipoteticità delle sue teorie.Ma che debba essere annoverata tra le scienze, invece, non vi è dubbio perché rispondeai criteri di sistematicità e di controllabilità che sono i criteri essenziali per definireuna scienza.Per sistematicità si intende la costruzione di un complesso di conoscenze acquisite suun determinato oggetto, organizzata in un sistema e per controllabilità la possibilità disottoporre tali conoscenze ad un controllo di validità, sia sotto il profilo logico-forma-le, sia sotto quello empirico.Per quanto attiene al metodo di ricerca, la criminologia si presenta, dunque, comescienza empirica fondata, cioè, sull’osservazione del reale.Sulla sua collocazione tra le scienze pure o tra quelle applicate, attualmente due sonole principali correnti di pensiero contrapposte, quella di chi la considera scienza pura-mente teorica (P. CUCHE - H. LEVY BRUHL) perché cerca di riassumere osserva-zioni complesse in teorie astratte e chi, come Ferri, la considera come teorica e praticainsieme nel senso che sui fatti oggetto di osservazione ricerca rapporti causali, correla-zioni e variabili. Sotto questo aspetto, pertanto, la criminologia è scienza eziologica.Questa opinione conciliativa ha trovato concorde L. ELLENBERGER (Recherche cli-nique et experimentale en criminologie, Montreal, 1965) il quale ha individuato, traquelle tradizionali, il gruppo delle scienze complesse (da lui così denominate) cui ap-parterrebbero la criminologia e la medicina.Entrambe le discipline, infatti, sarebbero inutili e prive di significato se si limitasseroalla pura attività speculativa e non anche alla pratica applicazione. A che serve studiareuna malattia se non si determinano, poi, gli strumenti per guarirla?Parimenti lo studio del crimine non può prescindere dallo studio dei mezzi migliori dilotta atti a prevenire o almeno limitare e controllare il manifestarsi dei fenomeni.Sotto questo profilo, pertanto la criminologia è scienza impegnata perché impone sceltedi valore che tengono conto anche degli orientamenti culturali di un dato momentostorico.Ulteriori caratteristiche della criminologia sono state ravvisate nel fatto di essere cu-mulativa nel senso che le sue teorie sono costruite in derivazione l’una dall’altra e lepiù recenti correggono, modificano, amplificano e perfezionano le precedenti, e sullasua capacità predittiva, cioè sulla capacità di formulare previsioni, ad esempio, circala pericolosità sociale di un soggetto, su quanti e quali delitti verranno commessi in undato momento storico ed in relazione ad un certo ambiente sociale (G. PONTI).Il fatto che queste previsioni non possano essere valutate secondi parametri di assolutacertezza, ma solo di probabilità, non toglie valore di scienza alla criminologia, se sipensa che persino quelle scienze considerate esatte, come la fisica, sono state messe indiscussione dalla meccanica quantistica. Queste hanno portato ad asserire che, in qual-siasi campo scientifico, è impossibile prevedere con precisione il risultato di ogni mi-

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Capitolo 18 �

sura, per cui anche le leggi della fisica di Newton devono considerarsi probabili e nonesatte.

4. Approccio sociologico e approccio antropologico

La criminologia, nel tentativo di spiegare il sorgere e le cause del crimine, si avvaledegli studi (approcci) antropologici e sociologici.L’approccio antropologico è rivolto all’uomo in quanto autore del reato per ricercarei fattori organici, psicologici, motivazionali, psicosociali che possono averne determi-nato la condotta, anche in relazione ai fattori microsociali nei quali la personalità si èformata.L’approccio sociologico, invece, rivolge il suo interesse ai fattori macrosociali cheinfluenzano notevolmente il sorgere del crimine, indipendentemente da come questihanno interferito nel caso singolo.Premessi questi concetti, può affermarsi che la ricerca della criminogenesi si attuasecondo tre indirizzi di pensiero: quello biologico-deterministico di marca lombro-siana che è rivolto al «corpo» dell’uomo per individuare al suo interno elementi che neabbiano determinato la condotta criminale; quello psicologico che cerca di penetrarenella «mente» dell’uomo per trovare i motivi del comportamento delittuoso; e quellosociologico/deterministico che considera la criminalità come fenomeno sociale dainterpretarsi attraverso molteplici aspetti.Dai primi studi criminologici fino a quelli più moderni, si sono delineati modelli teori-ci e metodi diversi di indagini: dalle teorie unifattoriali che del problema danno rilievoo a fattori individuali o a fattori sociali; alle teorie multifattoriali che esaminano tutti ipossibili fattori che possono condurre alla condotta criminosa; fino a quelle che riten-gono la criminalità un problema di potere politico ed economico.È importante non confondere il determinismo delle teorie criminologiche con la cau-sa del comportamento criminale.Le teorie unicausali sono quelle teorie che riconoscono una causa prevalente nel com-portamento deviante, le teorie multifattoriali ne individuano varie.Il collegamento tra la causa di un fenomeno criminale (o per meglio dire di un fattoreprevalente dell’agire criminale) e una teoria deterministica non è così diretto comesembra.Infatti, in criminologia ci sono esempi sia di teorie unicausali che di teorie multifatto-riali con le quali gli studiosi hanno spiegato il comportamento criminale in una chiavesquisitamente deterministica.

Es. di teoria unicausale deterministica:Il delinquente del Lombroso nasce criminale per la presenza di particolari tratti so-matici e di caratteristiche psico-fisiche (cfr. approccio antropologico).

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Introduzione � 9

Es. di teoria multifattoriale deterministica:La teoria dei coniugi Glueck spiega il fenomeno criminale con la presenza di partico-lari e diversi fattori fisici, ambientali e familiari.In funzione di questa teoria i Glueck elaborarono delle tabelle predittive in grado diprevenire futuri comportamenti criminali (cfr. teorie multifattoriali).

Allo stesso tempo ci sono molte teorie unicausali che pur riconoscendo la presenza diun fattore predisponente non sono teorie deterministiche perché non escludono la li-bertà di scelta dell’individuo.

Elencheremo per cenni le principali discipline che si sono occupate del fenomeno crimi-noso, tutte confluite nella criminologia, per parlarne poi più diffusamente in luogoopportuno.Dall’approccio antropologico è nata l’antropologia criminale che è lo studio biologi-co e deterministico dell’uomo delinquente per il quale si nega che sia responsabile elibero nella sua condotta, ma del quale si afferma la pericolosità sociale.Dallo stesso approccio è scaturita la criminologia clinica che mira ad applicare leconoscenze della criminologia generale al singolo delinquente per scoprire i fattoriambientali microsociali che hanno agito su di lui e ad evidenziare gli interventi riso-cializzanti da operare.La differenza sostanziale esistente tra antropologia criminale e criminologia clinicaconsiste nell’obiettivo da raggiungere: per l’antropologia criminale, la difesa sociale;per la criminologia clinica la possibilità del reinserimento sociale.Anche la psicologia criminale trae origine dall’approccio antropologico ed esaminasia l’autore del reato nel suo modo di essere, di sentire, di agire, sia il delitto stesso inrelazione ai motivi psichici che lo hanno determinato, sia l’ambiente esterno che hainfluenzato l’azione delittuosa.La psichiatria forense utilizza le conoscenze della psichiatria per accertare l’eventua-le presenza di condizioni morbose aventi rilevanza giuridica, come, ad esempio, perdeterminare l’imputabilità o la pericolosità dell’autore di un reato, per la definizione dicirconvenzione d’incapace, per l’interdizione o l’inabilitazione in diritto civile.Dall’approccio sociologico nasce la sociologia criminale che ritiene la criminalità unfenomeno sociale. Tende, pertanto, a dimostrare rapporti di causalità tra comporta-menti antigiuridici ed altre variabili della fenomenologia sociale ed a determinare l’in-fluenza che ha l’ambiente sulle diverse caratteristiche individuali, quali, ad esempio,l’età, il sesso, l’occupazione, la razza etc. (v. anche infra Cap. IV, §2).

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Capitolo 110 �

Tavola 1

Scienze criminali

� Vittimologia

(Discipline che

(studio dell’incidenza della vittima nel delitto)

hanno ad oggetto �

� Politica criminale

del proprio

pone gli obiettivi (scopi e modalità di prevenzione, punizione e trat-

studio il problema

tamento) perseguiti dal diritto penale

della criminalità)

� Diritto penale(mezzo di attuazione e limite della politica criminale)

� Diritto penitenziarioregola la fase esecutiva (contatti importanti con la criminologia intema di studi sul trattamento, recidiva, risocializzazione) del pro-cedimento giudiziario penale

� Psicologia giudiziaria(studio delle interrelazioni psicologiche tra i protagonisti del pro-cedimento giudiziario)

� Psicologia giuridica(ramo della psicologia applicata al diritto)

� Criminalistica(tecnica di investigazione criminale)

� Criminologia(scienza multidisciplinare avente ad oggetto lo studio del delitto,dei suoi autori e delle conseguenti reazioni sociali)

Tavola 2

Approcci alla �

� Indirizzo sociologico

criminologia

(studio finalizzato alla ricerca delle componenti sociali che sonoalla base del fenomeno criminale)

� Indirizzo antropologico

� antropologia criminale

(studio dell’autore del delitto)

(studio biologico e deterministico del-l’uomo delinquente)

� criminologia clinica(criminologia generale applicata alsingolo delinquente)

� psicologia criminale (studio dell’au-tore del reato, del delitto stesso e del-l’ambiente esterno)

� psichiatria forense (accertamento del-la sussistenza di infermità che esclu-dono o diminuiscono l’imputabilità)

� sociologia criminale (studio della cri-minalità come fenomeno sociale)

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Introduzione � 11

Questionario

1. Cosa s’intende per scienze criminali?(par. 1)

2. Qual è l’oggetto di studio della criminologia?(par. 2)

3. Secondo quali criteri la criminologia è annoverata tra le scienze?(par. 3)

4. Di quali studi si avvale la criminologia?(par. 4)

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Capitolo 2�La criminologiatra diritto ed evoluzionedel costume sociale

Sommario � 1. Definizione di delitto. - 2. Rapporti tra cultura, legge e potere. - 3. Rap-porti interdisciplinari tra diritto penale e criminologia.

1. Definizione di delitto

Si è detto che la criminologia ha per oggetto lo studio della condotta delittuosa.Per intraprendere tale studio è, pertanto, necessario capire che cosa deve intendersi perdelitto. Diciamo subito che nessuna definizione è possibile al di fuori di quello che è ildiritto positivo. Dobbiamo considerare delitti quei fatti che la legge penale ritiene tali,sia pure per convenzione o definizione sociale.Pur tuttavia, considerando come l’elencazione dei fatti proibiti che la legge penalefornisce sia mutevole nel tempo, oltre ad essere rigida e schematica, la criminologia hacercato di proporre una propria di definizione di reato.Si è partito, nel secolo scorso, dal concetto di delitto naturale, cioè dall’idea di unreato le cui caratteristiche siano immutabili nel tempo e nello spazio perché riferite avalori essenziali alla natura dell’uomo, quali la vita, l’integrità fisica, la salute etc.L’omicidio, ad esempio, è stato sempre riconosciuto come fatto illecito ed universal-mente deprecato.Si è opposto che tutti i valori umani scaturiscono non da principi permanenti, ma dallacultura e dalla socializzazione.Altri autori hanno affermato che oltre a presentare «variabili storiche» che fanno mu-tare nel tempo l’identificazione delle singole ipotesi di delitto, presentano anche delle«costanti», indipendenti dalle valutazioni mutevoli dei legislatori e dalle evoluzionidei valori esistenti nelle strutture sociali. Tali costanti sarebbero rappresentate dai de-litti naturali e da alcuni principi basilari, come il principio sanzionatorio e alcune cate-gorie del pensiero penalistico, quali soggetto attivo, condotta, causalità, dolo, colpa,capacità, soggetto passivo, conseguenze penali.

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Capitolo 214 �

Ancora altri autori per definire il delitto si sono riferiti al criterio dell’antisocialità maanche questo è un puro giudizio di valore e, pertanto, variabile con il mutare dellacultura e dei suoi contenuti.Si è tentato, allora, di differenziare i delitti secondo il criterio della maggiore o minoregravità; sarebbero oggetto della criminologia soltanto quelli di maggiore gravità. An-che questo criterio non può trovare seria considerazione se si pensa alle notevoli diffi-coltà che si incontrano dovendo stabilire ciò che è grave da ciò che non lo è. Un com-portamento particolare, quale, ad esempio, l’esportazione di capitali all’estero, puòessere considerato non censurabile in un determinato momento storico e da un datosistema sociale, ma essere considerato grave reato in altro momento o in altro Paese.Pur criticato il criterio della maggiore o minore gravità del delitto, si deve riconoscerealla criminologia l’impegno profuso per sottrarre dalle conseguenze penali quel grannumero di minori autori di reati di poco conto (i c.d. reati bagatellari). Oggi, infatti, aseguito della riforma della giustizia minorile, è previsto l’istituto della rinunzia al-l’azione penale per i reati di scarsa rilevanza sociale.Anche la classica distinzione tra azioni che sono illecite per la loro stessa natura (malain se) e quelle che sono tali perché proibite (mala quia prohibita) nemmeno può deli-mitare il campo della criminologia perché è convenzionale e mutevole col variare del-la società e dei valori da queste espressi.Vi sono stati, infine, alcuni autori i quali hanno affermato che devono escludersi dalleindagini criminologiche i delitti politici perché non commessi da criminali comuni mada chi lotta per la liberazione del proprio Paese dalla dominazione straniera o da ungoverno oppressivo. Vi si oppone la considerazione che alla luce delle leggi in vigore,i reati commessi non cessano di essere tali. Spetta, semmai, al criminologo il compitodi qualificare un delitto come politico indagando sulla ideologia che lo ha provocato.Deve, pertanto, concludersi che le condotte illecite sono esclusivamente quelle defini-te dalla legge e le indagini del criminologo devono partire da quelle definizioni.In quest’ottica, pertanto, il diritto positivo necessariamente si baserà sul diritto natura-le che sarà il suo canone valutativo.Secondo una prospettiva giusnaturalistica, esiste, infatti, un sistema legale non scrittocorrispondente a tutti quei valori non modificabili nel corso del tempo perché indispo-nibili ed imprescindibili per la tutela dell’individuo.L’uomo ha dinnanzi a sé due scelte: essere conforme o deviante.Il compito del criminologo è quello di comprendere ed analizzare i comportamenticriminali ed i motivi dell’agire delinquenziale.A questo proposito, dalla criminalità va distinta la devianza.Quest’ultima è un concetto di matrice sociologica più che giuridica e sempre più spes-so è foriera di equivoci perché confusa con la violazione delle norme giuridiche.La devianza è un concetto più ampio rispetto a quello di criminalità.In un rapporto di genere a specie, è deviante colui che devia dalle norme ed è criminalechi non rispetta la legge.È la stessa genericità del concetto di devianza ad aver creato confusione.

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La criminologia tra diritto ed evoluzione del costume sociale � 15

In realtà, se il criminale è colui che viola le norme giuridiche, il deviante è colui che sidiscosta dalle regole, che non rispetta le norme di tipo sociale o i costumi generalmen-te condivisi dalla collettività.

2. Rapporti tra cultura, legge e potere

L’insieme delle tradizioni, dei costumi, delle leggi, delle credenze, delle conoscenze,costituisce la cultura di una determinata società.L’insieme dei contenuti di valore, delle ideologie e delle conoscenze che caratterizza-no la cultura di una società rappresentano concetti modificabili con il decorrere deltempo e pertanto relativi all’epoca storica, all’ideologia politico economica e sociogiuridica di un paese.Con l’evolversi della cultura cambia anche il diritto positivo vigente, lasciando impre-giudicati i diritti inviolabili dell’uomo perché indisponibili.Infatti, i principi fondamentali tutelati dalla nostra Costituzione e disciplinati anche alivello internazionale non sono revisionabili.Altri principi, invece, sono stati declassati o del tutto eliminati dalla cultura come daldiritto, anche quello penale.

Es.: si pensi all’adulterio, a lungo contemplato tra i delitti contro il matrimonio all’ar-ticolo 559 c.p., dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte costituzionalecon sentenza del 19 dicembre 1968 n. 126 e con sentenza del 3 dicembre 1969 n. 147,poi definitivamente abrogato.Si pensi ancora all’aborto, le cui fattispecie criminose erano contemplate nel codicepenale tra i delitti contro la integrità e la sanità della stirpe.Dopo una lunga battaglia sociale e giuridica è intervenuto il Legislatore che con lalegge del 1978 n. 194 ha disposto quando, in che caso ed entro che limiti è ammessal’interruzione della gravidanza.

Alla luce di tutto ciò, se il diritto si adegua ai cambiamenti sociali e morali della comu-nità nazionale ed internazionale, anche la criminologia non può che adattarsi ed evol-versi al cambiamento.Tra l’altro v’è da dire che le stesse teorie criminologiche sono relative.La non dogmaticità delle teorie scientifiche, infatti, implica la loro confutabilità emodificabilità.In criminologia non si può parlare di verità assolute, ma di verità che si succedono e sialternano nel tempo alla luce dell’evoluzione della scienza giuridica e criminologica.Anche il diritto penale, pertanto, è una delle componenti della cultura e le sue norme,esprimendo il complesso dei valori in cui la società crede e sui quali si poggia, devonoservire ad assicurare uniformità di comportamento dei suoi membri nel rispettare eperseguire quei valori stessi.

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Capitolo 216 �

È all’interno delle società che si conviene quali debbano essere i comportamenti lecitie quali i censurabili.Le leggi, tuttavia, sono emanazioni di quei gruppi sociali dotati di maggior potere eche stabiliscono quali siano quei valori, quei beni, quei diritti meritevoli di quellaparticolare tutela privilegiata fornita dal diritto penale.Accanto al potere dominante, in ogni società, convivono culture e ideologie diverseche spesso sono in conflitto con quelle prevalenti ma che portano valori nuovi e che,col passare degli anni, possono sostituirsi alla stessa cultura dominante. Coesistono,cioè, contemporaneamente sia forme di consenso che di dissenso alla cultura domi-nante, entrambe socialmente utili, le prime perché impediscono il dissolversi dell’ag-gregato sociale, le seconde perché impediscono l’immobilismo ed il soffocamento dellevoci minoritarie.Esiste sempre, in ogni caso, un vincolo tra la società e la cultura da essa espressa. A talproposito possiamo parlare di struttura, che è il tipo di sistema economico imposto dachi detiene, nella società, i mezzi di produzione dei beni, e sovrastruttura, ossia l’insie-me dei valori della stessa società, elaborati in funzione del tipo di sistema economico.

3. Rapporti interdisciplinari tra diritto penale e criminologia

Nel campo applicativo il rapporto tra criminologia ed il sistema della giustizia penaleè assai frequente.Numerose norme del diritto penale e penitenziario si fondano sullo studio della perso-nalità del reo per determinare la specifica sanzione da infliggere ed il trattamentopenale cui sottoporlo.Lo studio della personalità del reo è, appunto, uno dei campi d’azione della crimino-logia alla quale si richiedono valutazioni circa l’imputabilità, la pericolosità sociale diun soggetto, l’opportunità di prolungare o revocare misure di sicurezza.Al criminologo è, pertanto, richiesta una partecipazione sempre più attiva e direttanelle attività giudiziarie penali.In alcuni paesi stranieri preventive perizie criminologiche o psicologiche vengono ri-chieste dai giudici nel corso del giudizio.In Italia indagini criminologiche sono richieste ad esperti di criminologia per l’adozio-ne e l’applicazione di misure alternative alla detenzione, ma solo dopo che sia interve-nuta sentenza di condanna.Numerose altre forme di collaborazione sono, inoltre, previste tra criminologo, perso-nale penitenziario, educatori, operatori sociali e magistrati di sorveglianza in ordine altrattamento carcerario o all’applicazione e revoca di misure di sicurezza o alternativealla pena detentiva.

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Capitolo 3�Evoluzionedella criminologia

Sommario � 1. Le ideologie e l’illuminismo. - 2. Segue: Concezione liberale del dirittopenale - Cesare Beccaria. - 3. La scuola classica. - 4. Primi studi sociolo-gici sul crimine. - 5. Lombroso. - 6. La scuola positiva. - 7. L’indirizzosociologico: dalla concezione marxista alla criminologia critica. - 8. L’indi-rizzo individualistico. - 9. Superamento dei determinismi. La nuova difesasociale.

1. Le ideologie e l’illuminismo

Il modo di interpretare e valutare i delitti ed i loro autori ed in che modo si è contrastatala criminalità sono variati nel corso del tempo con il succedersi dei momenti ideologicie culturali.Prima del sorgere del pensiero moderno, in materia penale, il diritto leso poteva consi-derarsi essenzialmente basato sui principi dell’intimidazione e della vendetta.Il delinquente era considerato un attentatore malvagio all’autorità del sovrano e sotto-posto ad un giudizio di colpa dal significato anche religioso perché il potere sovranoera inteso come promanazione della divinità.Bisognava vendicarsi del criminale infliggendogli una dura punizione che potevaanche consistere nella sua materiale soppressione nonché essere esemplare, cioè ese-guita in pubblico affinché ciascuno potesse constatare ciò che comportava sfidarel’autorità. Lo strumento di punizione era rappresentato dal supplizio ed anche lamorte doveva avvenire con sofferenze tanto più crudeli quanto più grave era stato ildelitto.Le infrazioni più lievi erano punite con pene corporali: la fustigazione, l’amputazione,la gogna, anch’esse per lo più pubbliche.La reclusione era poco utilizzata. Le carceri esistevano, ma previste soprattutto comeluogo di attesa del giudizio o come forma di eliminazione extragiudiziaria di avversario di individui pericolosi.L’esercizio dell’autorità penale dei giudici si estendeva a campi che ora riteniamo dicompetenza della coscienza privata. Erano considerati reati i delitti di opinione, leinfrazioni all’etica religiosa, l’eresia, la stregoneria.

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I giudici avevano grandissima discrezione che sfociava nell’arbitrio. Rientrava nellaloro competenza qualificare un fatto come delitto, stabilire quantità ed entità dellapena.Questo stato di cose durò fin quando il potere fu saldamente nelle mani dell’aristocra-zia e del clero, fin quando, cioè, nel secolo XVIII non sorse la corrente ideologicadell’illuminismo che dalla Francia si diffuse in tutta l’Europa.L’illuminismo si proponeva di riportare alla luce lo spirito dalle tenebre dell’oscuran-tismo medievale; contro l’arbitrio, la corruzione, la superstizione, contro il potere as-soluto delle classi fino ad allora dominanti proponeva la forza della ragione umana e lasua eternità e universalità. Affermava, inoltre, il principio della libertà e dell’ugua-glianza di tutti gli uomini, quale espressione di un diritto naturale primordiale che eraandato perduto per effetto di disfunzione delle strutture sociali. Occorreva poter rista-bilire questo diritto primitivo ed a VOLTAIRE e MONTESQUIEU parve che lo stru-mento idoneo fosse la parità di tutti i cittadini di fronte alla legge. Non più privilegi dinascita o di classe. La legge doveva sostituirsi all’autorità del sovrano e delle classi piùpotenti.D’altra parte si stava facendo largo una nuova realtà sociale, quella della borghesia edell’imprenditoria commerciale che prendeva coscienza di sé e del suo ruolo e miravaa sostituire la vecchia classe dirigente.

2. Segue: Concezione liberale del diritto penale - Cesare Beccaria

Espressione dei principi illuministici è la concezione liberale del diritto penale dellaquale si fece divulgatore ed anticipatore CESARE BONESANA, marchese di BEC-CARIA, quando nel 1764 pubblicò in forma anonima a Livorno il libro «Dei delitti edelle pene» che riscosse un immediato e clamoroso successo e si diffuse in breve intutta l’Europa. Alla sua diffusione contribuirono anche i favorevoli ed ammirati com-menti di VOLTAIRE e DIDEROT e l’opera influenzerà già nel secolo XVIII le rifor-me delle legislazioni penali di numerosi stati italiani ed europei.

Il movimento riformatore di BECCARIA si fondava su alcuni punti essenziali:

— dignità umana: la pena doveva essere ragionevolmente mite. Non si doveva farericorso alla tortura ed era necessario, invece, abolire la pena di morte, o almenolimitarla ai casi eccezionali;

— certezza del diritto: a tutti doveva essere assicurata parità di trattamento penale.Il diritto doveva risultare scritto nei codici, non lasciato all’arbitrio dei giudici.Non deve esistere reato se non espressamente previsto dal codice. La pena deveavere carattere retributivo ed essere proporzionata alla gravità del delitto com-messo. La sua funzione deve essere quella di rispondere alle esigenze della societàin cui si vive; deve essere espressione del diritto di autodifesa della società stessa enon rapportata a violazioni di principi morali che possono variare nel tempo.

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Oltre a Cesare Beccaria anche JEREMY BENTHAM viene classificato tra gli adeptidella scuola classica, in particolare, per il suo principio di utilità della pena.

La pena deve essere utile:

— deve punire il reo per il reato commesso (funzione retributiva).— deve dissuadere i consociati dal compiere il delitto (funzione di prevenzione gene-

rale).

Nell’ottica del reo, il compimento del reato deve procurare un vantaggio.L’individuo che compie un’azione criminale, in termini utilitaristici, svolge un’attivitànon molto diversa da un comune uomo d’affari (Bentham).Come il professionista, anche il criminale effettua un calcolo di bilancio tra il guada-gno ed il rischio che può derivare dal compimento del reato.Se il vantaggio supera il costo, sia quello diretto che indiretto, per dirla alla Becker,allora sarà indispensabile per il criminale delinquere (cfr. Becker).

La pena, infine, deve colpire il delinquente esclusivamente per quanto di illecito hacommesso, senza nessuna valutazione di ciò che egli è o può diventare.La figura del criminale è quella di un individuo dotato di assoluto libero arbitrio, capa-ce di autodeterminarsi, non condizionato da influenze socio-ambientali, né da propriemotivazioni psicologiche.

3. La scuola classica

Naturale approfondimento della concezione liberale ed ispirata ai principi dell’illumi-nismo fu la scuola classica del diritto penale che si sviluppò nel secolo XIX e che peroltre un secolo influenzò il pensiero penalistico.Suoi principali esponenti furono FRANCESCO CARRARA (1805-1888), GIOVAN-NI CARMIGNANI (1768-1847), PELLEGRINO ROSSI (1787-1848) ed ENRICOPESSINA (1828-1916).La dottrina della scuola classica pone a fondamento del diritto penale la concezioneetico-retributiva della pena.Il reato consiste in una violazione cosciente e volontaria della norma penale da partedi un soggetto dotato di libera volontà. Per essere imputabile basta che l’autore delreato abbia la capacità di intendere il valore etico-sociale delle proprie azioni antigiu-ridiche e che, liberamente determinato, ha voluto.La pena commisuratagli deve essere intesa dal reo come il corrispettivo necessario peril male compiuto. Essa deve, pertanto, essere afflittiva, precisamente commisurata allavariabile gravità del reato, determinata ed inderogabile (teoria della retribuzione).È questo il cosiddetto sistema tariffario che considera il reato come entità giuridica e nondi fatto ed il suo autore moralmente ed assolutamente responsabile dei suoi atti, senza tenerconto delle condizioni sociali ed individuali che hanno interferito sul suo volere.

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Il merito della scuola classica consiste nell’aver delineato alcuni principi-guida di unsistema fondato sulle garanzie delle libertà personali.Tali sono il principio di legalità, secondo cui può essere punita soltanto la condottaprevista dalla legge come reato; il principio di certezza del diritto, per il quale la san-zione per la condotta dalla legge definita illegale deve essere esattamente determinata;il principio garantistico, contenente norme a tutela del diritto di difesa e della presun-zione di innocenza; il divieto di analogia, secondo il quale, in mancanza di un’espres-sa disposizione legislativa, non è possibile ricavare la regolamentazione di un casonon regolato da quella prevista per un caso simile.

4. Primi studi sociologici sul crimine

Verso la metà del secolo XIX il belga A. J. QUETELET (1796-1874) ed il franceseA.M. GUERRY (1803-1868), promotori della scuola cartografica o geografica, ser-vendosi principalmente dei dati statistici riportati nel «Rendiconto generale dell’am-ministrazione della giustizia criminale in Francia», intrapresero lo studio sistematicodel reato in relazione all’età, al sesso, alla razza, all’istruzione, alle condizioni econo-miche, alle aggregazioni territoriali, al clima ed alle stagioni.Essi individuarono una certa uniformità nel tempo dei fatti delittuosi, individuarono«costanti» e regolarità statistiche nella distribuzione dei reati tra le varie classi dellapopolazione e ciò consentì di interpretare il reato anche come fenomeno sociale.Se, infatti, il comportamento criminoso manteneva nel tempo le sue caratteristiche(quali, ad esempio, quello di essere effettuato dalle classi più povere o di minoreistruzione) il totale di tutte le trasgressioni isolate doveva certamente avere un rap-porto significativo con le condizioni sociali. Doveva esserci nella società qualchedisfunzione che si rifletteva sul comportamento dei singoli e quindi sulla loro con-dotta criminosa.Tutto ciò metteva in crisi le teorie della scuola classica che considerava il reato comeun’astratta entità di diritto.Il reato non veniva più visto come fatto isolato, come espressione di una condizioneindividuale, ma come comportamento inserito in un contesto sociale e da questo inqualche modo condizionato.Inoltre, lo studio delle costanti e delle regolarità statistiche del reato comportava anchela possibilità di prevederli, almeno a livello di grandi numeri. Potrà prevedersi quantisaranno i soggetti che commetteranno un reato, le loro caratteristiche sociali, le in-fluenze che l’ambiente e la società avrà sul crimine.Tutto ciò porterà ad una visione deterministica del crimine.

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5. Lombroso

Con gli studi statistici (QUETELET, GUERRY) si giunse alla conclusione che il cri-mine non dipendeva solo dalla volontà del singolo, ma che su di lui agivano anchefattori legati alla società. Nasce così la visione deterministica della condotta crimino-sa, col mutamento dalla concezione liberale del delitto verso una percezione positivi-stica (XIX sec). Con tale visione vi era la convinzione che era all’interno della societàche dovevano ritrovarsi i fattori determinanti il crimine, dunque, si negava la respon-sabilità morale dell’individuo. Tale determinismo sociale si contrappose al determini-smo biologico di Lombroso.Carattere saliente del pensiero di LOMBROSO fu il determinismo biologico. Ildelitto per lui rappresentava un evento legato a qualcosa di patologico o di ance-strale (visione manichea e deresponsabilizzante del crimine); il reato è vistocome una malattia che va curata. Questo approccio è deresponsabilizzante nei con-fronti della società.

Egli esaminando nel dicembre del 1870 un reperto autoptico, il cranio del brigante Vilella, mortonel 1864, notò un’anomalia morfologica congenita, la presenza della fossetta cerebellare medianao fossetta vermiana che è propria degli stadi embrionali degli animali inferiori (lemuri).Fu per lui una folgorazione: gli sembrò di aver scoperto il segreto delle cause della criminalità edintraprese a lavorare sul concetto di atavismo, cioè sull’idea che l’ontogenesi, ossia lo sviluppo diciascun individuo della specie, ripercorra la filogenesi, ossia lo sviluppo della specie stessa. Ogniindividuo ripercorre nel proprio sviluppo individuale le tappe che sono state percorse dalla speciecui appartiene.Nella sua opera principale «L’uomo delinquente» espone la sua intuizione: nel criminale si è avutoun arresto dello sviluppo ontogenetico; egli è un individuo filogeneticamente arretrato, un atavicoe presenta gli istinti feroci degli uomini primitivi.

Egli applicò per primo i metodi di ricerca biologica per lo studio del singolo autoredel reato e diede il via ad un indirizzo organico e sistematico nello studio della delin-quenza (Scuola di antropologia criminale), cosicché la criminologia si impose comescienza. Tra le principali teorie:

— la teoria del delinquente nato, secondo la quale i criminali sarebbero indotti fatal-mente al delitto dalle loro malformazioni congenite, responsabili dell’arresto dellosviluppo ontogenetico.

Le principali malformazioni sarebbero riconoscibili, secondo Lombroso, da una serie di caratte-ristiche somatiche, quali la morfologia cranica alterata, la fronte sfuggente, la mascella inferioreprognata ecc. e da deformità mentali e comportamentali, quali la mancanza di sentimenti morali,in particolar modo della compassione e della pietà, l’assenza di scrupoli e rimorsi, la deficienteinibizione, la ridotta sensibilità al dolore, la vanità, il risveglio precoce dell’istinto sessuale, ilrifiuto del lavoro. Nella prospettiva lombrosiana si è dunque evidenziata, con forza dominante, lapresenza di un determinismo assoluto tale da privare l’uomo di ogni libertà di scelta.In un secondo momento, fu lo stesso Lombroso a modificare e sfumare le sue considerazioni,riconoscendo che il delitto poteva trovare origine in una molteplicità di cause.Il Lombroso, infatti, riconobbe la possibilità di affiancare al delinquente nato anche il delinquentefolle ed occasionale. Pertanto, le ragioni che influivano sul comportamento deviante potevano

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trovare sede nell’occasionalità delle circostanze o anche in motivi psicopatologici. Proseguendoi suoi studi sulla persona del delinquente e meditando sulla strage compiuta da un soldatoritenuto epilettico, tale Masdea di Girifalco, che uccise sette compagni e ne ferì altri sei nellacaserma di Pizzofalcone a Napoli, LOMBROSO corresse la teoria dell’atavismo.

— la teoria dell’atavismo, secondo la quale la condotta criminosa è data da una sortadi regressione o di fissazione a livelli primordiali, individuò nell’epilessia la forzascatenante l’azione criminosa. Il delinquente è un epilettico nel quale la malattiarisveglia gli istinti atavici.

LOMBROSO, ispirò così, i più recenti studi di «criminologia clinica».Alle teorie lombrosiane hanno fatto seguito quelle evolutive di Darwin.

— La selezione naturale. Secondo la teoria evoluzionistica di Darwin era l’ambienteche, subendo mutamenti, operava una selezione naturale graduale.Per Darwin, come per la maggiore parte dei biologi di oggi, la selezione naturale era laprincipale spiegazione dell’evoluzione. Le differenze tra due individui, se pur piccole,possono comunque determinare il successo nella sopravvivenza e nella riproduzione.

— La selezione sessuale. Poiché la differenza fra le diverse razze umane non sembra-va apportare vantaggi ad uno o ad un altro individuo, Darwin introdusse il concet-to di selezione sessuale.Quest’ultima non si verificava nella lotta per la sopravvivenza, ma nella lotta degliindividui di un sesso sull’altro.L’evoluzione dei corpi e dei comportamenti sessuali sono stati modellati nel tempodalla selezione sessuale.

La teoria dell’evoluzione intendeva fondamentalmente fornire una spiegazione deimutamenti progressivi del sistema biologico basandosi essenzialmente sulla selezionenaturale e sessuale.

6. La scuola positiva

Solo sull’esperienza, sul fenomeno, sulla induzione può costruirsi un sapere scientifi-co. È quanto affermano i cultori della scuola positiva i quali, partendo dall’osservazio-ne che è il principio di causalità a regolare ogni fatto, applicano tale principio alla vitasociale e quindi anche al fenomeno della delinquenza.In criminologia i principali formulatori e divulgatori di questa corrente, pur con ledifferenti forme di pensiero, furono LOMBROSO, FERRI, GAROFALO, GRISPI-GNI, il belga PRINS e l’austriaco VON LISZT.Il delitto non è una manifestazione libera e responsabile del soggetto, ma un fenomenodeterminato da cause specifiche.Nell’applicazione delle pene il diritto penale non deve considerare la responsabilitàmorale del delinquente, ma la sua pericolosità sociale, intesa come probabilità che pereffetto di certe cause possa commettere reati.

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In questo quadro la concezione retributiva della pena è sostituita dalla prevenzionespeciale, che viene attuata attraverso due metodi: il sistema del doppio binario (pre-sente nel codice penale italiano risalente al 1930), che dispone, al fianco delle penetradizionali fissate in relazione all’entità del reato, le misure di sicurezza indeterminatenel tempo per i delinquenti ritenuti socialmente pericolosi e la pena indeterminata,applicata fino a quando il delinquente non sia ritenuto socialmente reinserito.Nei paesi di cultura occidentale i principi della scuola positiva non furono mai com-pletamente applicati.Va, tuttavia, il merito a questa scuola di: a) aver evidenziato il problema della persona-lità del delinquente nei suoi condizionamenti bio-psico-sociologici; b) di aver visto ilreato dentro la realtà individuale e sociale; c) di aver intuito il problema della risocia-lizzazione sostituendo alla pena una sanzione più elastica e adeguabile alla personalitàdel soggetto.Le critiche che si rivolgono a questa scuola riflettono, soprattutto, la deresponsabi-lizzazione dell’individuo, la negazione del principio di legalità e certezza giuridicadella pena essendo rimessa al giudice l’irrogazione della sanzione, ed il concettostesso di pericolosità sociale, secondo il quale potrebbero essere sottoposti a misuredi sicurezza anche coloro che non hanno ancora commesso reati, ma sono social-mente pericolosi.

7. L’indirizzo sociologico: dalla concezione marxista alla criminologiacritica

Nella sua analisi della società ad economia capitalistica, MARX mise in luce, intornoalla metà del secolo XIX, come la disoccupazione fosse un fenomeno strutturale e noncongiunturale di tale tipo di società. Lo sviluppo del capitalismo, quindi, lungi dalgarantire la piena occupazione, necessita, per la propria affermazione, del costanteallontanamento dal sistema produttivo di un certo numero di appartenenti alla classeoperaia, che vanno ad alimentare le schiere del sottoproletariato.La criminalità è allora il frutto delle disfunzioni di tale sistema. Pertanto la maggiorparte dei delinquenti non proviene, secondo questa concezione, dal proletariato consa-pevole della propria capacità di rovesciare il sistema capitalistico attraverso la lotta diclasse, ma dal sottoproletariato più degradato, che, non avendo acquisito coscienza diclasse, sa reagire alle ingiustizie sociali solo attraverso una ribellione individuale, at-traverso, quindi, azioni delittuose.Il primo studioso che, prendendo le mosse dalla concezione marxista del fenomenocriminale, ha elaborato, agli inizi del novecento, teorie più marcatamente criminologi-che è stato W.A. BONGER. Egli, sottolineando come un sistema di produzione fonda-to sull’iniziativa privata e, quindi, sulla concorrenzialità accentuasse il conflitto e l’ag-gressività tra le persone, affermava che la maggior inclinazione alla commissione deireati riscontrabile nel proletariato fosse frutto delle peggiori condizioni di vita in cui

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versava quest’ultimo e da un suo desiderio di rivincita. Anche la visione di Bonger,pertanto, è permeata dal determinismo sociale.Nella prima metà del novecento, però, è da registrare anche un approccio sociologicoalla criminologia di stampo liberale. C.R. SHAW e H.D. McKAI, della Scuola di Chi-cago, parlano di una criminalità espressione della disorganizzazione sociale, conse-guente al rapido succedersi di regole di condotta in comunità prive di identità cultura-le, complice l’industrializzazione. Nelle aree socialmente ed economicamante più de-presse, osservano i due studiosi, la delinquenza è assunta a modello culturale ed ètrasmessa agli appartenenti alle aree stesse o ai gruppi che in esse transitano. Ci trovia-mo di fronte alle cosiddette sottoculture criminali.MERTON, dal canto suo, focalizzerà l’attenzione dei suoi studi sociologici sul concet-to di anomia (quando, cioè, vengono a mancare le norme che si pongono come riferi-mento per gli individui), il cui significato è stato da lui ampliato nel senso di spropor-zione tra le mete poste dalla cultura della società e i mezzi di fatto forniti dalla societàagli individui per conseguire le mete stesse.CLOWARD e OHLIN (1960) si soffermeranno sul ruolo esercitato, nel divenire cri-minali, dall’appartenenza all’uno o all’altro gruppo sociale (teorie delle bande gio-vanili).Questi indirizzi sociologici di stampo liberale, pur evidenziando le contraddizioni pre-senti nella società capitalistica, ne riaffermarono comunque l’indiscutibilità, definen-do devianti coloro che si discostavano dalle sue regole e ponendosi come obiettivo lareintegrazione di questi soggetti nell’ambito sociale. Per questi motivi tale criminolo-gia fu definita «del consenso».A questa si contrappose una «criminologia del conflitto», che, riappropriatasi delleanalisi sociali e politiche marxiste, ripropose in chiave rivoluzionaria la soluzione aproblemi generati da conflitti di classe insanabili. Questa nuova corrente di pensiero,denominata, in un primo momento, nuova criminologia e, successivamente, crimino-logia critica, aveva tra le proprie fila studiosi marxisti di tutta Europa facenti capo alla«National Deviance Conference», sorta in Inghilterra nel 1968. Tra questi studiosi vifu anche un nutrito gruppo italiano, che faceva riferimento alla rivista «La QuestioneCriminale».La criminologia critica, lungi dall’occuparsi delle caratteristiche di chi è dedito alcrimine, indaga sulle ragioni per cui una data società qualifica come devianti certecondotte. Frutto di tale indagine è che la devianza non è più l’inosservanza delle nor-me, ma la conseguenza dell’oppressione della società capitalistica, la quale si limita aperseguire soprattutto le condotte, da essa qualificate come illegittime, delle classisubalterne.In tale ambito di idee criminologia e politica si fondono, gettando le basi teoriche perquello che fu il movimento del «sessantotto».

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