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F i a b e d a l m o n d o con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Asti

con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Asti

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Fiab

e dal mondo

con il contributo dellaFondazione Cassa di Risparmio di Asti

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Indice

Introduzione pag. 3

Ocima pag. 4

Una voce fuori dal coro pag. 8

Una storia d’ amicizia pag. 18

Cuori uguali pag. 26

Il pane della fratellanza pag. 38

La zuppa di corteccia pag. 41

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IntroduzioneIl progetto “Fiabe dal Mondo”, promosso dal Consiglio Territoriale per l’Immigrazione di Asti, ha chiesto ai bambini ed alle insegnanti della scuola dell’infanzia e della scuola primaria della provincia di Asti di raccogliere e rielaborare tradizioni ed usanze di tutto il mondo attraverso lo schema tradi-zionale della fiaba, intesa come tappa obbligata dello sviluppo del bambino e come possibilità di an-corare affettivamente ed emotivamente l’immaginario del bambino a culture, ambienti e protagonisti lontani.La fiaba inoltre è un genere letterario universale, caratterizzato da una struttura narrativa costante che può essere smontata, modificata e ricostruita e che si presta a numerosissimi itinerari didattici e percorsi immaginativi.La sua struttura, costante e facilmente riconoscibile, risulta rassicurante, familiare, e dà stabilità e si-curezza, elementi importanti nell’età evolutiva. Ogni favola costituisce un mezzo di comunicazione tra adulti e bambini, un modo per dire e sentirsi dire, “ti voglio bene” e, se si ha la possibilità di creare relazioni e punti d’incontro con ragazzi e bambi-ni di altre culture, la fiaba ci aiuta a costruire orizzonti comuni partendo da storie diverse, ad afferma-re i valori della socialità e della tolleranza, poiché crea le condizioni affinché individui diversi per cul-tura ed esperienza collaborino concretamente e scoprano di condividere i medesimi valori profondi.I ragazzi di oggi sono alle prese con una società multiculturale, una realtà nuova in cui devono impa-rare ad orientarsi, dove si trovano mescolati popoli e tradizioni diverse da esplorare per arricchire il proprio bagaglio culturale e da guardare con occhi sensibili e curiosi, indirizzati verso la conoscenza. Le fiabe raccontate ed illustrate dai bambini che hanno collaborato al progetto hanno evidenziato le difficoltà che accompagnano i processi di integrazione ma, soprattutto, i valori che devono accompa-gnare chi arriva e chi accoglie.Per alcune è stata scelta la tecnica di elaborazione e produzione di libro animato, cioè rappresentando in immagini tridimensionali gli eventi, i personaggi, gli aiuti magici ed è questo il caso di “La zuppa di corteccia”, “Una voce fuori dal coro”, “Il pane della fratellanza”.Nella fiaba “Una voce fuori dal coro” viene evidenziata l’importanza della lingua per comprendere e farsi comprendere, ma anche per essere accettati od emarginati da una comunità; i valori della soli-darietà e della condivisione ci vengono trasmessi attraverso le fiabe “Una storia di amicizia”, “Cuori uguali” ed “Il pane della fratellanza” mentre la fiaba “Ocima” esalta questi valori come strumento per vincere i pregiudizi, affrontare gli ostacoli e vivere pacificamente nel rispetto reciproco.“La zuppa di corteccia”, infine, raccontata dai bambini più piccoli, potrebbe essere adottata dal Con-siglio Territoriale per l’Immigrazione come metafora perfetta per esplicitare la metodologia di lavoro seguita dalle commissioni e dal consiglio stesso nell’attività progettuale. Ringraziamo di cuore i bambini e gli insegnanti che ci hanno permesso, con le loro favole ed i loro disegni, di viaggiare con la fantasia in mondi lontani, di sorridere con personaggi buffi e simpatici, di capire che il mondo è complesso e variegato ma, proprio per questo, affascinante e che comunità e popoli diversi dal proprio sono fonti di ricchezza cui attingere a piene mani.Al progetto, sviluppatosi negli anni scolastici 2008/2009 e 2009/2010, hanno partecipato le seguenti scuole:Scuola dell’Infanzia “XXV Aprile” - V Circolo AstiScuola Primaria “Rio Crosio” - V Circolo AstiScuola Primaria “Anna Frank” - VI Circolo AstiScuola Primaria “M. Buonarroti” - V Circolo AstiGli elaborati raccolti hanno già visto una prima presentazione pubblica in occasione dell’incontro che si è tenuto il 30 novembre 2010 in sala Pastrone, per la presentazione del CD “10 Anni di impegno per l’integrazione” a cura del Consiglio Territoriale per l’Immigrazione.La presente pubblicazione vuole dare ampia diffusione alle fiabe elaborate e raccolte dai bambini e offrire uno strumento a quanti, insegnanti e operatori sociali, lavorano nell’ambito dell’intercultura e dell’educazione.

Consiglio Territoriale per l’ Immigrazione di Asti

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Scuola Primaria “Anna Frank” - VI CircoloAutori: Classi 5 A e 5 B - Anno Scolastico 2008/2009

Insegnante: Silvana Grasso

OcimaC’ erano una volta, in un paese lontano, due popoli che si distingue-vano per le loro caratteristiche somatiche così diverse le une dalle altre.Gli uomini del primo popolo, quello degli Ecap, erano alti, di carna-gione scura e di corporatura robusta e forte.Tuttavia, malgra-do queste virtù fisi-che, erano tranquilli: amavano coltivare la terra e allevava-no animali, ma non per cibarsene perché non praticavano neppure la pesca. Le donne tessevano e raccoglievano frutti e fiori anche per farne me-dicinali.L’ altro popolo, quello degli Arreug, era formato da persone con car-nagione molto chiara, erano bassi di statura e mingherlini.Erano però uomini bellicosi ed arroganti che si sentivano superiori agli altri popoli perché fabbricavano armi ed erano valenti cacciatori.Spesso i due popoli erano in conflitto fra loro, soprattutto per causa degli Arreug che, prepotenti, sconfinavano facendo razzia di prodotti agricoli degli Ecap e cacciavano anche i loro animali.Ora, accadde che il fiume che attraversava i due villaggi iniziò ad avere l’ acqua di un colore grigiastro: sembrava vi avessero versato dentro un liquido misterioso e letale.In poco tempo sia gli uomini che gli animali che bevevano quell’ ac-

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qua accusarono forti dolori in tutto il corpo e morirono.Così i re dei due popoli iniziarono ad indagare ed ispezionare le rive del fiume, ma senza alcun risultato. Allora i due re affidarono il compito di trovare una soluzione ai loro stregoni che analizzarono insieme l’ acqua del fiume.Durante i loro sortilegi, nel fiume apparve una scritta:

Insieme è facile fare ciò che da soli è impossibile!

I saggi dei due popoli consigliarono un’ alleanza. I due re furono costretti, per il bene comune, ad accettare. Misero insieme gli uomini migliori: il popolo degli Ecap quelli più robusti e saggi, il popolo degli Arreug i più valorosi ed ingegnosi, e partirono.La spedizione viaggio per giorni e giorni lungo le rive del fiume dall’ acqua imbevibile.Gli uomini erano costretti a dissetarsi con la poca acqua che aveva-no portato di scorta e con la frutta degli alberi, ma non avrebbero potuto resistere a lungo.Intanto iniziarono a convivere, a condividere le cose, a conoscersi meglio ed a lasciare alle spalle la primitiva diffidenza.Passarono molte lune quando finalmente arrivarono alla sorgente del fiume e con stupore e gioia poterono constatare che là l’ acqua sgor-gava limpida e pura.

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Si accamparono nei pressi della fonte per riuscire a capire cosa succe-desse. Intanto trascorse altro tempo durante il quale i rappresentanti dei due popoli divennero sempre più rispettosi e solidali fra loro.Finalmente, quando ormai erano sul punto di perdere le speranze di trovare la causa dell’ inquinamento dell’ acqua, videro apparire uno strano animale: era un grande uccello con le ali di un’ aquila, ma al posto del becco aveva la proboscide di un elefante.

L’ animale si avvicinò al fiume, aspirò con la proboscide una gran-de quantità di acqua e poi lasciò fuoriuscire, sempre dalla proboscide, un’ abbondante quantità di muco grigio che andò a sporcare l’ acqua chiara.Quindi, zampettando faticosamente, l’ animale cercò di raggiungere un nido nella grossa cavità di un baobab.La vista di questa creatura provocò nella spedizione un immenso peso: era chiaro che l’ uccello soffriva atrocemente e non era più in grado di provvedere a se stesso.Gli uomini del popolo degli Arreug intrecciarono abilmente una grossa

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rete con la quale catturarono l’ animale mentre riposava stremato e gli uomini degli Ecap si diedero da fare con le loro erbe medicinali per curarlo.Gli fecero bere un portentoso decotto di bacche che non tardò a dare risultati.Ben preso l’ uccello, che avevano chiamato Ocima (amico) fu in gra-do di riprendere il volo e, soprattutto, andò a bere nella fresca acqua della sorgente senza contaminarla.Con grande gioia tutti gli uomini della spedizione si apprestarono a ritornare vittoriosi nei propri villaggi. In cuor loro però tutti erano tristi di lasciare Ocima al suo destino.La carovana partì. A metà percorso si accorsero che un animale li aveva seguiti in volo: era Ocima che non aveva voluto separarsi da loro.La spedizione fu accolta trionfalmente dai re dei villaggi e Ocima fu adottato da entrambi i popoli.L’ alleanza per trovare una soluzione comune intanto aveva affievo-lito i contrasti tra le popolazioni che vissero, come in tutte le favole che si rispettano, in pace e prosperità, difese da una sentinella comune, il fedele Ocima.

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Scuola Primaria “ Rio Crosio” - V Circolo AstiAutori: Classi 4 C e 5 C - Anno Scolastico 2009/2010

Insegnante: Rita Mansone

Una voce fuori dal coroFIABA INEDITA ELABORATA NEL LABORATORIO INTERCULTURALE “BICS”

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C’ era una volta, lontano lontano, in mezzo al mare blu, un’ isola grande e bel-lissima circondata da una spiaggia di sabbia fine, bian-ca e pulita.Oltre la spiaggia si innal-zavano splendide colline ri-coperte di alberi da frutta e di prati rigogliosi e tra le colline si stendevano le valli profumate di fiori.

In una di quelle valli, sulle rive di un ruscello, si trovava una pic-cola città bella e ordinata, con tante casette rotonde o ovali, ad un solo piano, colorate e allegre, con tanti fiori nei giardini.La città si chiamava Felinia e i suoi abitanti erano molto speciali perché non erano persone, ma erano...... gatti!Erano gatti di tutti i colori: bianchi, rossi, marroni o neri; grandi, grossi, magri o piccoli, pelosi o pelati, arruffati o lisci e giravano sempre indaffarati per la città.Ognuno svolgeva il proprio lavoro tranquillamente: c’ erano muratori, artigiani, ortolani e maestri, parrucchieri, giardinieri e panettieri, dottori e spazzini.I vigili giravano per la città a controllare, ma poche volte facevano le multe perché gli abitanti di solito si comportavano bene.Solo qualche volta bisticciava-no, e allora si sentivano miagolii improvvisi o soffi sonori e irrita-ti, ma per lo più la città era pie-na di suoni melodiosi, rumoretti di fusa, versetti e voci allegre di micini e micioni.

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In quella città non esistevano le macchine, tutti andavano a piedi e ne erano soddisfatti perché bastava non avere fretta e si riusciva a fare con calma ogni cosa.Così il tempo passava sereno a Felinia e nei giorni di festa venivano organizzate grandi gare di arrampicata sull’ albero della “cuccagna”.Si trattava di un lungo palo piantato in mezzo alla piazza, a cui erano appese salsicce e salami, formaggi e pesciolini freschi, sacchetti di crocchette e bocconcini di carne. Chi si arrampicava velocemente poteva scegliere il cibo preferito, poi tutto finiva con grandi mangiate, canti e danze.Un altro divertimento di Felinia era fare le serenate alla luna: quando c’ era la luna piena i cantanti più bravi salivano sui tetti e, rivolti alla luna, si sfidavano a suon di miagolii melodiosi.Tutti erano felici a Felinia......tutti, tranne uno.Era un bel gattone dal pelo lungo e gonfio, di colore rossiccio. Aveva una coda folta e lunga e dei baffi maestosi degni di un re.Sapeva correre, saltare, arrampicarsi sugli alberi e scendere, sape-va camminare a quattro e a due zampe ed era molto intelligente. Si chiamava Blitz. Eppure se ne stava sempre da solo con l’ aria triste, perché in lui c’ era qualcosa di... terribile!

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Purtroppo Blitz non sapeva miagolare e, quando voleva comunicare con gli altri gatti, gli usciva una voce strana, tremenda, spaventosa, a volte acuta, a volte grossa, rauca e profonda che faceva paura a tutti. Insomma, Blitz non miagolava, ma abbaiava! Ululava, uggiolava, ringhiava, latrava ma, se si sforzava di fare un piccolo miagolio, la sua voce diventava ancora più spaventosa.Quando gli altri gatti sentivano quel vocione terribile, si spaventa-vano tanto che scappavano via. Nessuno gli parlava, nessuno lo invitava a giocare e tutti incominciavano a dire che con quel vocione brutto certamente era cattivo e anche pericoloso.Così le mamme trattenevano i loro micini perché non si avvicinassero a lui e, quando qualcuno lo incontrava, cambiava direzione perché aveva paura.Alcuni gatti un po’ più grandi e dispet-tosi gli facevano i versi e gli tiravano pietre da lontano, ma erano sempre pronti a scappare quando Blitz si av-vicinava.Povero Blitz! Si sentiva solo e triste per-ché non aveva amici, perciò un giorno decise di andarsene a vivere da solo nel bosco, in una capanna abbandonata.

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Per vivere andava a pescare in riva al mare ma, mentre gli altri gatti si aiutavano a vicenda, lui se ne stava sempre da solo lontano da tutti, dall’ altra parte dell’ isola.Quando Blitz voleva vendere il suo pesce, non trovava mai nessu-no che lo comprasse, così era sempre più povero e si disperava ogni giorno di più.Un giorno Blitz se ne stava in un punto isolato in riva al mare, quando vide una barca malandata avvicinarsi alla spiaggia.Durante la notte c’ era stata una tempesta sul mare e certamente la nave era stata danneggiata dagli scogli.Blitz, rimanendo nascosto, osservò attentamente e, quando vide i ma-rinai sul ponte della nave, si spaventò tantissimo: erano dei mostri enormi, con orribili zanne affilate, neri, con grandi occhi rossi di fuoco, orecchie lunghe e appuntite, unghie aguzze e corpo muscoloso.

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Ma la cosa che sorprese di più Blitz fu la loro voce perché era ugua-le alla sua: parlavano, anzi... abbaiavano come lui!!Blitz sentiva quello che dicevano ed ebbe pau-ra: erano ringhi violenti, latrati rabbiosi, ululati feroci.Dopo un po’, due di quei mostri si avviarono verso la città mentre gli altri sparivano all’ interno della nave.Blitz li seguì fino a Felinia e vide che piombavano nella piazza a grandi balzi. I gatti, riuniti lì per il mercato, rimasero a bocca aperta, poi iniziarono a scappare con miagolii disperati. I mostri saccheggiarono la merce e azzannarono ferocemente tutti quelli che erano rimasti nella piazza, poi tornarono alla loro nave portando con sé il bottino; agli abitanti di Felinia non rimase che curare i feriti

e ripulire la piazza. Questa scena si ripeté an-che il giorno successivo e quello dopo ancora. Ormai gli abitanti di Fe-linia vivevano nel terrore: avevano messo delle guar-die in cima alla collina per essere avvertiti del pericolo e l’ allarme veniva dato con un fischietto.

A quel punto tutti i gatti scappavano, mentre i mostri distruggevano le case e rubavano il cibo.Ormai i cittadini non avevano più voglia di curare le proprie cose 10

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e alcuni avevano deciso di abbandonare la cit-tà, ma questo li rendeva molto tristi. In mezzo a questa confusione Blitz se ne stava nascosto dietro un albero e avrebbe vo-luto salvare i suoi amici, anche a costo della pro-pria vita, ma non sape-va come fare.

Alla fine Blitz ebbe un’ idea e un giorno, mentre tutti scappavano, si nascose nella casa del Sindaco, affacciata alla piazza, per aspettare i mostri. Con sé aveva un microfono e delle caramelle per schiarirsi la gola, era spaventato, ma era anche sicuro di voler combattere per Felinia. I nemici apparvero nella piazza: camminavano con il petto in fuori, sicuri di sé e ringhiavano, scoprendo le lunghe zanne.Ma all’ improvviso si fermarono stupiti: da una delle case era scop-piata una vociona spaventosa e orribile, che latrava nella loro lingua, minacciandoli così:- Andatevene o sarete uccisi tutti!

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I mostri si girarono per andare via, ma la voce di Blitz - perché era lui che parlava - li fermò di nuovo:- Perché avete provocato tanti danni? Chi siete? - rispondete!Il capo dei mostri, strisciando a terra, rispose:- Siamo dei cani mastini e la nostra nave è stata danneggiata dalla tempesta, così non possiamo più tornare nel nostro paese. Abbiamo bisogno di cibo e per questo siamo venuti a rubare.- Non potevate chiedere il permesso ?Risposero che nel loro Paese nessuno aiutava gli altri, ma tutti si facevano la guerra e perciò l’ avevano fatta anche loro. Ci fu un momento di silenzio, perché Blitz stava riflettendo e aveva capito che quei cagnoni erano solo affamati e bisognosi di aiuto.Blitz, visto che parlava la loro lingua, fece una proposta: i cani do-vevano rimettere in ordine tutta la città e in cambio i gatti di Felinia li avrebbero aiutati a riparare la loro nave.

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Ai mostri questa proposta pareva una meraviglia, perciò accettarono subito e andarono a chiamare i loro compagni rimasti sulla nave. Quando i gatti videro che i mostri stavano riparando la città guidati da Blitz, si avvicinarono pian piano e, dopo un po’, capirono che i nemici erano diventati amici.Allora circondarono Blitz e gli fecero una grande festa perché aveva salvato la città; gli chiesero perdono di averlo trattato male, lo chia-marono eroe e lo elessero presidente. Blitz li perdonò perché era buono e generoso e ordinò che tutti insieme, cani e gatti, lavorassero per riparare la città e la nave. Tutti ubbidirono e, al momento della partenza, i gatti colorati e i cagnoni neri si abbracciarono commossi.

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I cagnoni dissero che non avrebbero più fatto la guerra, ma avreb-bero insegnato la Pace a tutti i loro conoscenti.Blitz aveva fatto capire a tutti che non è importante il colore o la lingua che si parla, ma ciò che conta è essere amici e aiutarsi l’ un l’ altro.

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La primavera era arrivata.

Gli uccellini del bosco, cinguettan-do, salutavano i grandi alberi dalle foglioline appena nate.

A terra si stava formando un bel tappeto verde e profumato.

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Gli uccellini si davano un gran da fare a riparare il nido che, durante l’ inverno, la neve e il gelo avevano rovinato.Portavano foglioline, fili d’ erba, stecchi per rendere il loro riparo più bello e più comodo.

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Un giorno di marzo, un vento improv-viso e una pioggia forte, anzi fortissima, distrussero un piccolo nido appena rifatto, abitato da una mamma e un figlio che non cantava più perchè aveva un’ ala ferita.

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I due sfortunati si rifugiarono tra i rami sempreverdi di un pino, ma la notte era lunga e fredda.Aggrappati ad un ramo, senza una casa, si sentivano tristi e non sapevano nemme-no a chi chiedere aiuto e ospitalitá.

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Un merlo vide i due uccellini senza casa e sparse la notizia nel bosco.A poco a poco si radunò un piccolo stor-mo di uccelli con fili d’ erba, foglie verdi e bastoncini piccoli nel becco.

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Con tanti voli il generoso gruppetto co-struì un nuovo nido.Alla sera mamma e figlio trovarono la casa nuova e anche tanti amici.

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Da allora la piccola famiglia si ritrova con tutti gli uccellini nel bosco per im-provvisare nuovi concerti.

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Nella stalla di una fattoria vivevano quat-tro caprette di tanti colori.

Una era nera, selvaggia, aggressiva.Un’ altra era bianca, vanitosa, superba e schizzinosa.

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Un’ altra ancora era marrone, Vivace, peperina e giocherellona, saltava da tutte le parti.

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L’ ultima era pezzata, scodinzolava velo-cemente di qua e di là. Era proprio dolce!

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Le quattro caprette non erano amiche fra di loro. Trascorrevano le giornate da sole, nei recinti.

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Una sera, mentre mamma e papà erano ancora al lavoro, il cielo si coprì di nu-volacce nere e il fulmine lo illuminò di una luce fredda e cattiva.

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Potete immaginare cosa capitò nei quattro box!

La capretta bianca s’ impaurì e iniziò a piangere.La capretta nera si agitò e iniziò a correre lungo il recinto e la staccionata.

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La capretta marrone si acciambellò tre-mante in un angolo

La capretta pezzata proteggeva le sue mac-chie con due occhi impietriti.

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Per darsi coraggio, la capretta marrone gridò alle altre:Presto, correte, andiamo al centro della stalla!

E là si abbracciarono come fratelli e so-relle.Finalmente! Che bello! Si volevano bene!Il pastore che le allevava unì i quattro recinti, formandone uno solo.

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Il temporale cessò. Spuntò la luna che, per premiarle della loro amicizia, con la sua luce dipinse il cielo di puntini splen-denti, fosforescenti: le stelle.

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Con tante stelle anche la notte più buia non faceva più paura.

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Ancora oggi la luna e le stelle brillano nella notte fonda per tutti gli esseri viventi e li invita alla festa dell’ amicizia che ha solo una regola:

Volersi bene

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Scuola Primaria “ Rio Crosio” - V Circolo AstiAutori: Classe 2 C - Anno Scolastico 2009/2010

Insegnante: Maria Grazia Audenino

Il pane della fratellanzaC’ era una volta un paese chiamato “Paese delle ricchezze”.Vi abitava una signora che si chiama Meryrich, era la più ricca del paese, aveva diamanti, flotte, case ecc………ma era sempre insoddisfatta poiché non le bastava mai ciò che aveva.Un giorno disse al comandante di una delle sue flotte: ”Senti, io vorrei la cosa più ricca di questo mondo, che mi facesse ancora più ricca.Il comandante partì alla ricerca di una super ricchezza. Visitò due o tre venditori, infine l’ ultimo disse: ”Io ho quello che fa per te: un carico di grano con chicchi splendenti pronto per essere lavorato e sai che ricchezza”Il comandante aveva capito, quindi deci-se di ripartire per il paese delle ricchezze.Arrivato al porto, disse: ”Oh, mia si-gnora, ho trovato ciò che fa per lei, ho un carico di grano con chicchi splendenti pronti per essere lavorati, vi farà diventare ricca ancora di più se lei li userà bene.“Ma siete matto? Cosa me ne faccio di questo grano, buttatelo a mare”. Intanto, un signore povero apparso magicamente si fece avanti disse: ”Ma,signora lei non vede la ricchezza in questo prodotto della terra così semplice?”

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Scuola Primaria “ Rio Crosio” – V Circolo Asti

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“No, non me ne importa niente, buttatelo!” Gridò la signora.“Signora, lei potrebbe sfamare migliaia di poveri e non sa quante fa-miglie di poveri sarebbero contente di avere un grande dono così: il pane!!!!!!” Fino a quel momento, non c’ erano estranei, si sentì la voce di un bambino indiano, la voce di una mamma africana, la voce di una mamma cinese, la voce di una mamma peruviana, la voce di genitori asiatici, la voce di una nonna siciliana e, piano piano, di tutto il mondo. Tutti la supplicavano di cambiare idea.“Dateci i chicchi, li macineremo, faremo la farina, la impasteremo e faremo il pane e lo mangeremo insieme perché sarà bello condividerlo con tutta la gente di questo mondo!!!!! Sarebbe una gran festa”.La donna era infuriata: ”NO,NO,NO, poi nooooooo, buttatelo subito! Piuttosto di darlo a gente così, preferisco buttarlo”.Il vecchio allora disse: “Per la tua cattiveria sarai punita: entro pochi giorni sarai povera, anzi poverissima. Io lo so, Perché non avvenga questo, tu butterai quel grosso anello che hai al dito. Ma attenta, potrebbe succederti qualcosa di inaspettato. Tu farai l’ elemosina per strada, ma nessuno ti darà nulla.”

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La donna sentì dentro di sé che il vecchio le aveva mandato una maledizione, così buttò il suo anello in mare e disse: ”Speriamo che non venga più ritrovato, così sarò libera…….” Ma, dopo due giorni, l’ anello fu ritrovato nel pesce che la governante stava pulendo. La donna disse a Meryrich che aveva pulito un pesce che parlava e che il pover’ uomo aveva detto la verità.Meryrich diventò poverissima: non aveva più niente. Nessuno la guardava più. Questo le diede modo di riflettere.Il grano non fu buttato ma usato per farlo diventare pane, un gros-so e lungo pane che fu diviso tra tutte le persone del mondo e tutti furono contenti perché tutti stavano diventando fratelli.Ci fu tanta gioia, anche se non c’ erano grandi ricchezze.La ricchezza si stava compiendo: la gente capì le parole del vecchio e la cattiveria della signora ma loro………….invitarono la Si-gnora Meryrich al ban-chetto e la trattarono come una di loro.Lei mangiò quel pane con gli indiani, con i cinesi, con gli africani, con i pe-ruviani e conobbe così la fratellanza, condivise quel pane e capì finalmente qual è la vera ricchezza: La vera ricchezza è quel-la di vivere semplicemente, amare i prodotti della ter-ra e condividere tutto con i nostri fratelli di tutto il mondo.

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Scuola dell’Infanzia “XXV Aprile” - V Circolo AstiAnno Scolastico 2009/2010

Insegnante: Maria Bugnano

Un uomo avanzava a fatica in un campo pieno di neve quando vide, tra gli alberi coperti di brina, i tetti di un piccolo villaggio.Bussò alla porta di ogni casa, sperando di ottenere un po’di cibo, ma l’ accoglienza fu gelida: tutti gli dicevano che non avevano niente da mangiare.L’ uomo si avvicinò all’ ultima casa: una giovane donna gli aprì la porta.“Buongiorno,” disse lo straniero, “sto tornando a casa dopo una lunga assenza; non potreste essere così gentile da lasciarmi entrare?”“Ma cosa volete?” esclamò la giovane donna, “Questa casa non è mica una locanda!”“Me ne sono accorto”, sospirò lo straniero.Poi, come colpito da un’ idea improvvisa, disse:

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Scuola dell’Infanzia “XXV Aprile” – V Circolo Asti

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“Permettete che almeno vi proponga un patto: se mi lasciate entrare e portate una pentola di acqua bollente, io mi impegno a prepararvi la zuppa più buona del mondo”.“Ah si? E con cosa la farete?” chiese incuriosita la donna.“Con un semplice pezzo di corteccia”, rispose lo straniero.La donna, che era molto curiosa, fece entrare l’ uomo e, ancora prima che l’ acqua cominciasse a bollire, corse a chiamare i vicini.Tutti sarebbero stati contenti di conoscere quella nuova ricetta.Lo straniero tirò fuori dalla tasca un pezzetto di corteccia e con molta cautela lo posò nell’ acqua. Poi prese un mestolo di legno e cominciò a mescolare spiegando ai presenti:“Questa corteccia ha delle virtù magiche: è capace di trasformare l’ acqua in una zuppa deliziosa. Purtroppo l’ ho usata così tante volte che ora ha perduto un po’del suo sapore. Peccato che qui nessuno di voi abbia un pizzico di sale…”Dal fondo della stanza una voce disse:“Si dà il caso che io a casa ne abbia un po’. Vado subito a prenderlo”.Alcuni minuti dopo, lo straniero mise il sale nella pentola ed assaggiò una cucchiaiata di minestra.

“Ottima!”, esclamò, “ma sarebbe ancora più buona con qualche patata. Purtroppo so che nessuno di voi ne ha …”

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“Ah, ora che ci penso, a casa mia devo averne ancora qualcuna”, lo interruppe una donna.“Anche a casa mia ce ne sono!” esclamò un’ altra.Quando le due donne furono di ritorno, lo straniero aggiunse le patate ed assaggiò di nuovo la zuppa:“Davvero squisita! Ah, se solo avessi un po’ di verdure, sarebbe buona come la zuppa del re!”“Buona come la zuppa che mangia il re!” esclamarono i vicini im-pressionati.E improvvisamente ciascuno si ricordò di avere qualche verdura nella dispensa. Uno corse a prendere due rape, un altro una manciata di spinaci, un terzo una bella zucca … Si ripresentarono dopo un po’, con le braccia cariche di verdure belle e fresche.Dopo aver messo tutto nella pentola, lo straniero assaggiò ancora una volta la minestra: “Perfetta, assolutamente perfetta!”Poi, con aria di rammarico, soggiunse:“So che nelle vostre case non avete neanche un pezzo di pane. È un vero peccato, perché il pane in questa zuppa ci starebbe a meraviglia!”Alcuni vicini uscirono di casa con discrezione, per tornare subito dopo con una pagnotta di pane fresco. Ora nella stanza si sentivaun profumo delizioso. Lo straniero aggiunse con aria pensierosa:

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“Il re in persona sarebbe felice di dividere con noi questa minestra. Però dovremmo avere dei bei piatti ed una tovaglia. Pazienza, ne fa-remo a meno!”Tutti si precipitarono a cercare le scodelle e stavolta nessuno si dimen-ticò di portarsi dietro anche una sedia. La padrona di casa tirò fuori dall’ armadio una bella tovaglia rossa e con l’ aiuto di un vicino la stese sulla tavola.I commensali si sedettero uno accanto all’ altro e lo straniero versò nelle scodelle una generosa porzione di zuppa.Che bontà! Era da tanto che non si mangiava una minestra così saporita! E riuniti per la prima volta intorno alla stessa tavola, tut-ti ridevano, chiacchieravano, si complimentavano, godendo il piacere della compagnia.“Possiamo tenerci il pezzo di corteccia?” chiesero i commensali quando ebbero finito.“Ma si, certo”, rispose lo straniero. E sorrise, perché la corteccia non aveva nessuna magica virtù.“Non è difficile preparare questa zuppa” aggiunse poi, “basta che cia-scuno abbia qualcosa di buono da metterci dentro”.E mentre gli abitanti del villaggio chiacchieravano allegramente, lo straniero lasciò la tavolata senza farsi notare e riprese la sua strada.

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