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50 A. JOOS (edizione 2011) (TICCP1FA) TEOLOGIE OGGI, PANORAMICA DELLE CORRENTI A DIALOGO. CHIAVE DI LETTURA DEI CONFRONTI E DELLE CONVERGENZE NEL XX-XXI SECOLO VOLUME II - LE TEOLOGIE INTERMEDIE DI CONVERGENZA TRA LE CORRENTI PARTE I LA PRIMA CONVERGENZA DIALOGALE: DIO E L’UMANITÀ. L’ANTROPOLOGIA TRASCENDENTALE DI KARL RAHNER ▉▉▉▉▉▉▉▉▉▉▉▉▉ PART I – THE FIRST DIALOGICAL CONVERGENCY: GOD AND MANKIND. THE TRANSCENDENTAL ANTHROPOLOGY OF KARL RAHNER INTRODUZIONE: L’INTENTO DI CONVERGENZA TRA DIO E L’UMANITÀ ◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉ INTRODUCTION: THE CONVERGENTIONAL INTENT LOOKING AT GOD AND MANKIND Parallelamente a K. Barth la via alla ‘teologia del XX secolo’ include un altro ‘padre della

CONFRONTI E DELLE CONVERGENZE NEL XX-XXI SECOLO … · differenza nello ĭstileĮ ... comincia con una riflessione ermeneutica capace di superare la divergenza ... L'intento rahneriano

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A. JOOS (edizione 2011) (TICCP1FA) TEOLOGIE OGGI, PANORAMICA DELLE CORRENTI A DIALOGO. CHIAVE DI LETTURA DEI

CONFRONTI E DELLE CONVERGENZE NEL XX-XXI SECOLO

VOLUME II - LE TEOLOGIE INTERMEDIE DI CONVERGENZA TRA LE CORRENTI

PARTE I LA PRIMA CONVERGENZA

DIALOGALE: DIO E

L’UMANITÀ.

L’ANTROPOLOGIA TRASCENDENTALE DI

KARL RAHNER ▉▉▉▉▉▉▉▉▉▉▉▉▉

PART I – THE FIRST DIALOGICAL CONVERGENCY: GOD AND MANKIND. THE TRANSCENDENTAL

ANTHROPOLOGY OF KARL RAHNER

INTRODUZIONE: L’INTENTO DI CONVERGENZA

TRA DIO E L’UMANITÀ

◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉◉

INTRODUCTION: THE CONVERGENTIONAL INTENT LOOKING AT GOD AND MANKIND

Parallelamente a K. Barth la via alla ‘teologia del XX secolo’ include un altro ‘padre della

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teologia odierna’: Karl Rahner 1. Se ricopre una posizione unica nella co-paternità del XX secolo, si

possono però più facilmente individuare delle personalità e degli ingegni teologici vicini al suo

intento anche se non dichiaratamente e formalmente parte di una ‘corrente’ (cfr infra). Il nome

dato a quest’orientamento intermedio è “antropologia trascendentale” come convergenza tra

priorità di Dio e priorità dell’emancipazione umana. Così si apre il primo la prima convergenza

teologica della nostra panoramica. La scommessa sarà di non derubare niente della priorità umana

senza privare il mistero di Dio della Sua propria priorità, e ciò in un pensiero complessivo proprio.

Nella cos’ detta ‘antropologia’, si coglie la ‘trascendentalità’ nel loro congiunto riferimento. A

differenza della lirica barthiana, avremo qui uno stile più ‘didattico’, talvolta complesso e

travagliato nelle sue formulazioni. Questa prima ‘convergenza-madre’ costituisce anche una

sponda ricapitolativa nel percorso odierno di teologia. Inevitabilmente, i momenti successivi si

riferiranno in qualche modo a questa prima convergenza, e ne valorizzeranno o criticheranno sia

l’uno, sia l’altro aspetto o dimensione. Questa iniziale convergenza vuol farsi incontrare sia la

riscoperta di Dio nella sua raffermazione odierna sia la severa verifica sulla teologia. Se vi è

differenza nello ‘stile’ espressivo ve ne sarà anche una di ‘statuto’. A Barth sarà riconosciuta come

una autorità quasi gerarchica nell’ambito ‘protestante’, al contrario Rahner affronterà delle

insofferenze crescenti da parte dell’autorità ecclesiastica di vertice. D’altra parte Barth e Rahner si

trovano legati ed opposti in certi silenzi e certe prese di posizioni palesi nel contesto politico-

storico della loro generazione. Le posizioni anti naziste di Barth durante il secondo conflitto

mondiale del 1939-1945 contrastano con il suo silenzio al momento dell’invasione di truppe

sovietiche in Ungheria nel 1956. Questa ‘discrezione’ barthiana converge con quella di un’altro

‘Padre’ della teologia del XX secolo: o cioè il silenzio di K. Rahner a proposito dell’evento

nazional-socialista.

Tra la scelta radicale ed il confronto di priorità per Dio o per l’umanità (cfr supra, volume I,

parte I), una via di convergenza è stata pertanto tracciata in seno alle teologie del XX secolo con

l’antropologia trascendentale. Karl Rahner tenta di riavvicinare i due poli dell’intuito teologico del

XX secolo su quello verso il quale lui si sente profondamente attratto e riguardo al quale un

consenso bilanciato non ha potuto ancora esprimersi tra le correnti teologiche tipiche del secolo:

la priorità indiscussa di Dio o l’evacuazione completa di Dio, o cioè l’umanità assorbita nella sfera

divina o Dio scomparso di fronte al compimento umano fino all’estremo. Si dirà che egli ha voluto

‘ridare l’uomo a Dio e Dio all’uomo’ (via intermedia tra antropocentrismo e teocentrismo) 2. Per

1

Karl Rahner (Friburgo in Brisgovia 5 marzo 1904 – Innsbruck, 30 marzo 1984

2 I. Sanna, La dimensione fondamentale della teologia di Karl Rahner, (Giornata di Studio 4 dicembre 2004. A. Il percorso della teologia

fondamentale in Karl Rahner), in «Internet» 2011, http://www.unigre.it/struttura_didattica/teologia/documenti/fondamentale/

Sanna%20Rahner.pdf (pdf page 3): «2. Relativamente all'ambito teologico-trinitario, si può senz'altro affermare, in estrema sintesi, che

l'intento della teologia rahneriana sia stato quello di ridare Dio all'uomo e l'uomo a Dio, di riconciliare, cioè, l'antropocentrismo con il

teocentrismo. 1 La questione antropologica è per lui, propriamente, la questione di Dio, nella stessa misura in cui la questione di Dio è la

questione antropologica. La cultura del secolo XX aveva smarrito il senso dell'uomo, cadendo negli assolutismi e totalitarismi del cosiddetto

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quanto la nostra indagine ci ha fatto cogliere, però, non sarebbe tanto lo stare in mezzo con da

una parte il teocentrismo e dall’altra l’antropocentrismo, quanto l’aver intrecciato le due chiavi in

una convergenza originale propria che può essere compresa dalla stessa dinamica della teologia

del XX-XXI secolo. Rahner si muove –poi- all'incrocio tra il la riscoperta iniziale di Dio nel

ventesimo secolo e la sponda teologica opposta (cfr volume I, parte I, sezione A e B), ma anche tra

la ulteriore problematica di salvaguardia della 'Gloria' divina e la re-articolazione di pluralismo

inter-religioso (tra von Balthasar e il teologi di pluralismo fondamentale: Panikkar, Knitter, Hick,

Samartha, Griffith…, cfr volume III, parte I, sezioni A e B). Rimandiamo alla nostra introduzione

generale del volume I per riambientarsi nella ‘chiave di lettura’ come risultato della nostra

indagine complessiva. Il primo passo dell'itinerario teologico di questo secolo (cfr volume I) ci

rivelò la nascita di un specifico 'ritmo' teologico come il quale prende nascita della 'Teologia della

Parola' (veda Parte I, sezione A). Esso prese la forma di un confronto tra ‘sponde lontane’, i. e.

sotto forma di punti di partenza abbastanza distanti negli orientamenti teologici esistenti. La

‘Parola’ guida e anima questo itinerario teologico. Ma esso non è –forse- piuttosto fragile, o anzi

molto incerto? Varie teologie tenteranno di investigare 'dietro alla Parola' per trovare un

fondamento più rilevante per la loro proposta di riflessione.

Similmente a Barth, Rahner non mise su una vera 'scuola' o un seguito articolato. Ma egli

rimane saldamente ancorato nella sorgente specifica della teologia del XX secolo, la teologia della

Parola, o anche della crisi, o anche dialettica (cfr supra). Da questo passo iniziale si possono

trovare delle somiglianze e degli elementi di corrispondenza o parallelismo di riflessione,

sviluppatisi nel prospetto rahneriano. Dalle ‘sponde lontane’ tra l’affermazione di Dio e

l’emancipazione dell’umanità, alcune ‘chiavi di riavvicinamento’ saranno proposte da autori che

fanno parte del ‘primo gettito’ teologico del XX secolo. Come chiave di convergenza tra il divino e

l’umano, Brunner, specialmente nel suo "Anknüpfungspunkt" (che provocò reazioni austere dal

padre di teologia dialettica) ha delle preoccupazioni che incontrano quelle di Rahner. Brunner

comincia con una riflessione ermeneutica capace di superare la divergenza integrale del divino di

fronte alla creatura umana. Appare subito –qui- la rilevanza della piattaforma ermeneutica di cui si

accennava nella nostra introduzione generale del volume II (cfr supra). Dalle considerazioni

brunneriane iniziali sul pensiero anti-intellettualista di Bergson che attribuisce all’intuizione il

ruolo di fonte originale della conoscenza (Barvourstück des Verstandes) 1, egli potrà affermare

l’unità della fonte ("Einheit"), la 'totalità' che sta dietro alle singole espressioni di pensiero: il

"secolo breve", proprio perché aveva smarrito il senso di Dio. E non poteva essere diversamente, atteso il fatto che l'uomo, per la fede

cristiana, è creato ad immagine di Dio, e, quindi, dipende direttamente da Dio nella sua origine e nel suo destino. Qualora si oscuri

l'archetipo divino, se ne oscura anche l'immagine umana».

((1) Cf Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, 1: "quanto più la missione della Chiesa si incentra sull'uomo, quanto più è, per così dire,

antropocentrica, tanto più essa deve confermarsi e realizzarsi teocentricamente, cioè orientarsi in Gesù Cristo verso il Padre. Mentre le varie

correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e perfino a contrapporre il

teocentrismo e l'antropocentrismo, la Chiesa invece, seguendo il Cristo, cerca di congiungerli nella storia dell'uomo in maniera organica e

profonda. E questo è anche uno dei principi fondamentali, e forse il più importante, del Magistero dell'ultimo concilio". Il Card. Ruini,

commentando questo passo, osserva che se l'assunzione, pur libera e critica, della svolta antropologica da parte del Vaticano II

rappresentava una cesura rispetto agli atteggiamenti di condanna della modernità e alla visione negativa della storia degli ultimi secoli, in

precedenza prevalenti in ambito ecclesiastico, questa presa di posizione di Giovanni Paolo II, mentre impiega senza timori in senso positivo

lo stesso concetto di "antropocentrismo", spesso indicato come l'origine dei mali del mondo moderno, mette in luce con forza che proprio in

virtù della fede in Gesù Cristo, Dio come il Padre e al contempo nostro fratello, antropocentrismo e teocentrismo non possono affatto

considerarsi alternativi, ma vanno al contrario realizzati congiuntamente nella storia della Chiesa e dell'umanità (Card. Camillo Ruini,

Prolusione al VI Forum del Progetto Culturale, Roma 3-4 dicembre 2004).)

1 E. Brunner, Erlebnis, Erkenntnis und Glaube, München 1921, S. 63: «Die ganze scharfsinnige Begriffsanalytik Bergson ist ja nichts anderes,

als ein Bravourstück des Verstandes».

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"pensiero" ("Gedanke"), il "senso" ("Sinn"), il "Logos" ("Logos") 1, "oltre qualsiasi logica pura" ("il

jenseits alles bloß Logischen") 2. Il pensiero vivente (“das lebendige Denken”) è il compito dello

spirito pensante (“das denkende Geist”) 3, il pensiero cosmico (“kosmische Gedanke”), il Logos

(“der Logos”) 4. Brunner intende così di dimostrare l'origine trascendentale di ogni pensare e di

ogni essere (“Denken und Sein”) 5, e di tutte le presupposizioni e le regole delle attività umane e

intellettuali fondate su un ultimo principio originale 6, ("die Jenseitigkeit der Begründung" ) 7, di

tutta la vita intellettuale e perciò anche lo spirito pensante dipende da una superiore autorità 8,

nella relazione tra lo spirito pensante e lo spirito universale, tra il soggetto intelligente e l'origine

oggettiva connessi tra di loro 9. Stranamente, la visione del Brunner apre alla convergenza finale

'delle correnti intermedie' nel il percorso teologico di secolo di XX: la teologia sofianica (cfr la parte

V di questo volume II). L'intento rahneriano di convergenza tra Dio e l’umanità va incontro

all’interesse teologico del secolo XX anche senza dichiarare le reciproche affinità. Uno di loro è B.

Lonergan – meno prolifico dell’ispiratore e dei ‘grandi’ del XX secolo 10 - colla sua 'Transcendental

Theology' 11. Egli svilupperà 'metodo' trascendentale come centrale per fare teologia 12.

1 E. Brunner, Erlebnis, Erkenntnis und Glaube, München 1921, S. 63: «Was ist denn diese Einheit anderes als der ‘Gedanke’, oder ‘Sinn’,

griechisch ‘Logos’, also doch wohl das, worauf die ‘Logik’ und das ‘logische’ Denken in erster Linie gerichtet ist». 2 E. Brunner, Erlebnis, Erkenntnis und Glaube, München 1921, S. 114ff. 3 E. Brunner, Erlebnis, Erkenntnis und Glaube, München 1921, S. 74. 4 E. Brunner, Erlebnis, Erkenntnis und Glaube, München 1921, S. 73: «Alles lebendige Denken ist an sich schon ein Bekenntnis zum Geist. Es

behandelt die Wirklichkeit als ein zu Interpretierendes, als etwas, ‘hinter’ dem etwas ist, nämlich Sinn, Geist». 5 Cfr H. Barth, (conferenza tenuta nel 1919 alla “Aarauer Studentenkonferenz“), Gotteserkenntnis, 1919, in J. Moltmann, Anfänge der

dialektischen Theologie. 1. Karl Barth, Heinrich Barth, Emil Brunner, („Systematische Theologie“, n° 17, Neudrucke und Berichte aus dem 20.

Jahrhundert), München 1962; K. Barth, Biblische Frage..., Aarauer Vortrag 1920; etiam P. Natorp, Selbstdarstellung, in R. Schmidt (Hrsg.), Die

Deutsche Philosophie der Gegenwart, Bd. I, Berlin 1921, S.151-176: «… letzen Prinzipium begründet, das zu ihnen und zu allen Inhalten

überhaupt sich verhält wie das Zentrum zu den endlich vielen Punkten der Peripherie... Die Aufhebung gerade dieser Sachlage, das Ziehen

der unendlich vielen möglichen Radien, von der Peripherie zum Zentrum, die ‘Beziehung’ aller Gegenstände der Erkenntnis auf d iese

‘Ursprung’ alles Erkennens und Erkannten, das und nichts anderes ist die Aufgabe einer ‘Philosophie’ die sich selbst versteht».

6 E. Brunner, Erlebnis, Erkenntnis und Glaube, München 1921, S. 80: «All diese Voraussetzungen aber sind wieder in einem noch

fundamentaleren, einem letzten Prinzipium begründet, das zu ihnen und zu allen Inhalten überhaupt sich verhält wie das Zentrum zu den

endlich vielen Punkten der Peripherie... Die Aufhebung gerade dieser Sachlage, das Ziehen der unendlich vielen möglichen Radien, von der

Peripherie zum Zentrum, die ‘Beziehung’ aller Gegenstände der Erkenntnis auf diese ‘Ursprung’ alles Erkennens und Erkannten, das und

nichts anderes ist die Aufgabe einer ‘Philosophie’ die sich selbst versteht».

7 E. Brunner, Erlebnis, Erkenntnis und Glaube, München 1921, S. 84.

8 E. Brunner, Erlebnis, Erkenntnis und Glaube, München 1921, S. 83: «Philosophie der Ursprungs ist darum auch die Philosophie der Freiheit,

der Tat und Verantwortung, weil sie allein einen Zugang gibt zu jenem fundamentalen Paradox des ‘Autonomos’, des Ich, das doch zugleich

unendlich mehr ist als das Ich, einer Autorität, unter der alles Geistesleben steht».

9 Y. Salakka, Person und Offenbarung in der Theologie Emil Brunners während der Jahre 1914-1937, (Schriften der Luther-Agricola-

Gesellschaft“, n°12), Helsinki 1960, S. 75: «Brunner unterscheidet diese Ich, indem er das einen unendlich vergrößert und daraus dann, vom

endlichen Ich aus gesehen, ein wollendes “Du” macht, dessen Befehl lautet: ‘So sollst du denken, so gehören die Dinge zusammen’. Erst nach

Verwirklichung dieses Befehls ist das Denken des endlichen Ich ‘dem Logos’ entsprechend’ gewesen. Der universale Geist, der Logos, das

Über-Ich, ist reines autonomes Denken; paradox ‘autonom’ ist das begrenzte Denken des endlichen Ich».

10 B. Mondin, Il linguaggio teologico, Alba 1977, p. 172: «Bernard Lonergan non è uno scrittore molto prolifico lo è assai meno, per es., di

von Balthasar, Rahner, o Congar, Moltmann e di altri famosi teologi cattolici e protestanti. Le sue opere si contano con le dita delle mani. Ma

son opere dense di pensiero e, in qualche caso, anche assai erudite, frutto di un'indagine storica vasta, assidua e approfondita. Le opere

maggiori di B. Lonergan sono due: Insight 1, uno studio filosofico originale dei procedimenti conoscitivi (o strutture euristiche, secondo il

linguaggio dell'Autore) in particolare del procedimento del senso comune, della scienza e della metafisica e Method in Theology 2».

((1) Tr. it.: L'intelligenza, Edizioni Paoline, Roma 1961. / (2) Tr. it.: Il metodo in teologia, Brescia 1975, Inoltre: Il pluralismo teologico (coll.

"Teologia in divenire"), Edizioni Paoline, Catkinia 1977.)

11 B. Mondin, La nuova teologia cattolica, Roma 1978, p. 98: «A buon diritto Lonergan denomina la sua teologia non teologia sistematica, ma

teologia metodica (p. 307) e avrebbe potuto chiamarla ancora meglio teologia trascendentale, perché il suo obiettivo non è di approfondire e

sistemare i contenuti della fede (come fa la teologia sistematica) bensì di determinare le condizioni essenziali per fare teologia, ossia le

operazioni del teologo. Mentre la teologia sistematica riflette sulla rivelazione e sulle dottrine della Chiesa, la teologia trascendentale riflette

sulla teologia e sulle teologie. "Poiché riflette sulla teologia e sulle teologie, deve far menzione sia della rivelazione che delle dottrine della

Chiesa sulle quali le teologie riflettono. Ma benché faccia menzione di esse, non cerca di determinarne il contenuto. Questo compito lo lascia

alle autorità ecclesiastiche e ai teologi. Il suo intento è di determinare i risultati specifici cui tutte le generazioni future dovranno giungere"

(p. 315)».

12 B. Mondin, La nuova teologia cattolica, Roma 1978, pp. 92-93: «Le opere maggiori di B. Lonergan sono due: lnsight (tr. it.. L'intelligenza,

Ed. Paoline, Roma 1961), uno studio filosofico originale dei procedimenti conoscitivi (o strutture euristiche, secondo il linguaggio dell'Autore)

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Dall’ermeneutica al metodo teologico, le prospettive intermedie focalizzeranno la loro attenzione

su questo aspetto e taglio vitale. Nel gruppo di affinità implicita con ‘l’antropologia

trascendentale’ si può includere l'autore russo esistenziale-dialettico, Nicola Berdjaev 1, con

caratteristiche teologico-filosofiche personali e sfumature culturali proprie 2. Egli propone nelle

sue opere un tipo 'dogmatica ecclesiale omni-inclusiva' 3 e non un genere di ‘pan-messianismo’ 4.

La chiave antropologica è fondamentale in questa visuale e rimane un perno cristiano di base

nell’apertura del XX secolo 5. Alcuni pensano che Berdjaev non capì fino in fondo il taglio

in particolare del procedimento del senso comune, della scienza e della metafisica e Method in Theology, (tr. it Il metodo in teologia,

Queriniana, Brescia 1975). Come indica esplicitamente il titolo, quest’ultima opera è volta allo studio del metodo teologico. Ma Lonergan si

affretta a chiarire sin dalle prime pagine del suo saggio che il metodo di cui egli si occupa e che vuole sviluppare non è il metodo di cui

trattano normalmente gli studiosi del metodo teologico, per i quali è sempre un metodo particolare che stabilisce un determinato gruppo di

regole per condurre con profitto la ricerca teologica; ma è un metodo nuovo, che egli chiama trascendentale in quanto è teso a stabilire le

condizioni generali presupposte allo studio approfondito e sistematico della storia della salvezza». 1 G. Guariglia, Il messianismo russo, Roma 1956, p. 169: «Nikolaj Berdjaev (1874-1948), deportato in gioventù per ragioni politiche, dopo

aver tenuto la cattedra di filosofia all'Università di Mosca dal 1917 nel 1922, fu nuovamente esiliato. Da allora è vissuto sempre in Francia

dove ha scritto le sue molte opere, note a un vasto pubblico. Anch'egli, come l'amico Bulgakov, partito da un marxismo iniziale è giunto al

cristianesimo ortodosso sulla linea dello spiritualismo di Chomjakov e di Solov'ëv. Dopo la grandiosa sintesi messianica di Solov'ëv, la sua,

che ne vuole essere una prosecuzione, è una nuova visione sintetica del messianismo in luce più profetica dell'altra. A intendere la quale, fra

le moltissime opere sue, gioverà leggere L'Oriente e l'Occidente (1930), Il senso e le premesse del comunismo russo (1937), L'idea russa

(1946) e Saggio di metafisica escatologica (1946)».

2 N. Zernov, La rinascita religiosa russa del XX secolo, Milano l978, pp. 161-162: «Là egli (Berdjaev) preparò e scrisse il suo primo lavoro

Sub'ektivizm i individualizm v doščestvennoj filosofii (Soggettivismo e individualismo nella filosofia sociale), che venne pubblicato nel 1901 a

Pietroburgo. Il suo autore si trovava allora sotto l'influsso del marxismo. Al ritorno da Vologda egli trascorse un certo periodo di tempo in

Germania, occupandosi di filosofia. Nel 1904 Berdjaev si stabilì a Pietroburgo e, insieme con Bulgakov, redasse la rivista “Voprosy žizni”

(Questioni di vita). Nonostante la sua breve esistenza (un anno in tutto) la rivista riuscì a raccogliere un gruppo di poeti, filosofi e letterati tra

i più interessanti: V. Rozanov, G. Čulkov, V Briusov, Vjačeslav Ivanov, Fedor Sologub, Andrei Belyj, A. Blok, L. Šestov, M. Geršenzon, P.

Novgorodcev, E. Trubeckoj, F. Zelinskij, B. Kistjakovskij, V. Ern, e altri... Nel 1907 Berdjaev lascia la Russia e si reca a Parigi, dove avviene il

suo incontro con il modernismo, e con altri movimenti filosofici e religiosi. Fino all'età di settanta anni; egli rimase un filosofo e pubblicista

libero, originale e radicale e, ma fermamente in cammino verso l'Ortodossia. I passaggi filosofici che riflettono la sua evoluzione sono i libri

scritti in questo periodo: Duchovnyj krizis intelligencii (La crisi spirituale dell'intelligencija, 1910), Filosofija svobody (Filosofia della libertà,

1911), Smysl tvorčestva (Il significato della creatività, 1916). Dopo la rivoluzione egli fu per un certo tempo professore di filosofia

all'Università di Mosca e diresse la Libera Accademia di cultura spirituale. Esiliato dalla Russia nel 1922, continuò a insegnare e a pubblicare a

Berlino, poi a Parigi, dove si trasferì nel 1925. Nello stesso anno Berdjaev fu a capo della già ricordata rivista «Put'» (1925-1940), che

divenne in pratica portavoce della sue concezioni filosofiche e religiose. Berdjaev morì nel 1948 a Clamart vicino a Parigi, dove passò gli

ultimi anni della sua vita con la moglie, Lidja Judifotna, nata Rapp, e la di lei sorella Evgenja. Non ebbe figli».

3 B. Schultze, Russische Denker, Wien 1951, S. 379: «Berdjaev versucht ein großartiges, kosmisch-universales Bild von Christus und der

heiligen Kirche vor den staunenden Blicken seiner Leser erstehen zu lassen. Doch geht er zu weit im Bestreben, auch jene Grenzen der

kirchlichen Allgemeinheit aufzuheben, die durch die freie Entscheidung des Menschen wider Gott gezogen sind. Ja er bietet in Wirklichkeit

nur ein unvollständiges Bild der Kirche, da er sie ihrer sichtbaren Einheit und Universalität und ihres sichtbaren Oberhauptes beraubt.

Berdjaev wollte es nicht für wahr haben, daß die Existenz der Kirche auf der Autorität des sich offenbarenden Gottes ruht, insbesondere auf

der gottmenschlichen Autorität Jesu Christi. Dem Prinzip der Autorität in der Kirche galt sein Kampf. Er suchte die äußere Autorität zu

verinnerlichen, hob sie dabei aber auf. Richtig hat er jedoch gesehen, daß nur ein einziger Weg zum Heile und zur Verklärung führt: "Christus

hat das Leiden zum Wege des Heiles gemacht. Die Wahrheit ist in der Welt gekreuzigt. Der einzige Gerechte ist am Kreuze gestorben." Das

war ihm Trost beim Anblick des tragischen Menschenschicksals: "Der Mensch fühlt sich im eigenen Leiden erleichtert, wenn er Mitleid mit

dem Leiden anderer zu spüren beginnt. Was wohl vor allem hilft, das Leiden zu überwinden, ist die Betrachtung des Kreuzes"». 4 Cfr la strana interpretazione messianista, con totale incomprensione di ciò che significhi l’intento ecumenico del XX_ secolo , estesa a tutti

gli autori russi o quasi, di G. Guariglia, Il messianismo russo, Roma 1956, pp. 172-173: «Quanto alla posizione di Berdjaev nei riguardi della

Chiesa russa di fronte alla Chiesa universale, le idee del filosofo possono essere sintetizzate in questa frase: «L'ecumenicità si deve intendere

decisamente come interiorità, spiritualmente e in connessione con la libertà. I1 penetrare nella pienezza ecumenica della verità di Cristo è un

processo organico, interno, celato e non si può pensare senza la libertà dello spirito». Egli quindi sostiene un super-confessionalismo

spirituale senza speciali unioni esterne di Chiese. «Non possiamo pretendere di costruire nel secolo XX la Chiesa ecumenica con le forze

umane -egli afferma al proposito». «La Chiesa ecumenica non è mai esistita e non esisterà; unioni interconfessionali possono valere come

simboli del nascere di un nuovo spirito ecumenico fra l'umanità cristiana, ma non possono pretendere di edificare la Chiesa che, alla fine,

sarà anzitutto genuinamente ecumenica». Con Berdjaev dunque il messianismo è diventato sempre di più un vago misticismo e la vocazione

della Russia sarebbe di entrare nell'ecumenicità del cattolicesimo, ma in una maniera soltanto interiore».

5 D. H. Kelder, Nicolai Berdyaev, 1874 - 1948, in «Internet» 1999, http://members.xoom.com/dirkk/berdyaev/quotes.htm: «Christianity has

always taught of the weakness and fall of man, of the sinfulness and weakness of human nature. At the same time, Christian anthropology

recognizes the absolute and royal significance of man, since it teaches the incarnation of God and the divine possibilities in man, the mutual

inter-penetration of divine and human natures. But for some deep reason, hidden in the secret of times and seasons, Christianity never

revealed in its fullest what one might venture to call a Christology of man, that is the secret of man's divine nature, a dogma of man,

analogous to the dogma of Christ. Christianity has revealed the nature of the Holy Trinity and the nature of Christ, but very little of the

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‘tragicamente esistenzialista’ 1 al quale è legato Rahner (cfr infra) e riafferma il significato di Parola

al di là della angosciante 'storia'. Questo giudizio avventato è rovesciato dalla coscienza di

Berdjaev sulla fine senza via d’uscita (tragica) della libertà umana di fronte al prospetto divino 2.

Siamo comunque sempre in presenza della ‘Parola’ nella sua dinamica trascendentale e

congiuntamente antropologica. Si può scorgere in lui una qualche indicazione nascosta (anonima),

o non ancora circoscritta, che si sta preparando come presenza cristiana futura 3. Il

'concentramento' cristologico che Barth svilupperebbe poi, dove il Tutto-Diverso diventa

nature of man. ... And yet in Christian revelation the truth about man's divine nature is really only the reverse of the medal of truth about

Christ's human nature. The Christology of man is inseparable from that of the Son of God: Christ's self-consciousness is inseparable from

that of man. The Christological revelation is also an anthropological revelation. And the task of humanity's religious consciousness is to

reveal the Christological consciousness of man. (MCA, 80) God wisely concealed from man His will that man should be called to be a free and

daring creator and concealed from Himself what man would create in his free courageous action.... The world has not yet seen a religious

epoch of creativeness. The world knows only the religious epochs of the Old Testament law and New Testament redemption. (MCA, 100)».

1 B. Schultze, Russische Denker, Wien 1951, S. 371: «Berdjaev wollte Existenzialist sein; aber er hat im Grunde die tragische Situation des

Menschen nicht begriffen, wie sie der heilige Ignatius von Loyola im Exerzitienbüchlein so meisterhaft mit wenigen Strichen zeichnet, da er

am Schluß der Sündenbetrachtungen den Sünder zu Füßen des Gekreuzigten niederknien läßt. Berdjaev entfaltet in seinem letzten Buch die

"existentielle Dialektik des Göttlichen und Menschlichen'' und äußert dabei viele schöne und tiefe Gedanken; aber er hat doch den tiefsten

Inhalt jenes "existentiellen gott-menschlichen Zwiegesprächs" nicht verstanden, das der arme sündige und reuige Mensch in der Stille der

Exerzitien mit seinem gekreuzigten Herrn und Schöpfer führt, "wie ein Diener mit seinem Herrn" oder "wie ein Freund mit seinem Freunde".

Mit diesem tragischen Mißverstehen hängt es zusammen, wenn vor Berdjaev auch das tiefere Geheimnis der Kirche verborgen blieb. Denn

Christus und Kirche werden durch dieselbe Glaubenserkenntnis erfaßt. Zwar hat er die Zusammengehörigkeit Christi und seiner Kirche sehr

wohl gesehen und manchen Aspekt der Ekklesiologie außerordentlich vertieft; doch wurde seine Stellung zur Kirche notwendigerweise vom

Subjektivismus seiner Christusintuition beeinflußt».

2 U. Hedinger, Der Freiheitsbegriff in der Kirchliche Dogmatik Karl Barths, Stuttgart 1962, S. 172: «Berdiajew warnt von einer

Gegenüberstellung von Freiheit und Gnade, von menschlicher Freiheit und göttlicher Freiheit für den Menschen. Eine Gegenüberstellung

bedeutet Objektivierung der Gnade 1". Faktisch kommt bei Barth die Einheit von Gnade und Freiheit noch mehr zur Geltung als bei Berdiajew;

denn Barth kennt keinen Begriff der Freiheit, der auch Freiheit gegen Gott bedeutet 2. Schon die geschöpfliche Freiheit ist ja Geschenk Jesu

Christi 2. Die Gnade, das heisst der Freiheitszuspruch des versöhnenden Gottes, kann darum nicht in Konkurrenz treten mit der geschöpf

lichen Freiheit. Gnade und (geschöpfliche) Freiheit müssen von Barth nicht als polare oder „paradoxe Spannung“ aufgefasst werden, wie das

etwa L. Ragaz tut 3».

((1) N. Berdiajew, Das Reich des Geistes und das Reich des Cäsar, 1952, S. 116: «Das, was man Gnade nennt, wirkt innerhalb der

menschlichen Freiheit als ihre Erhellung_ (ibidem). Es wäre interessant, zu untersuchen inwiefern Feuerbachs Wort, die Gnade sei in Luthers

Schrift „De servo arbitrio“ der „Vergegenständlichung freie Wille“ eine gewisse Berechtigung hat (s. L. Feuerbach, Das Wesen des

Christentums, Leipzig 1901. S. 350; vgl. auch S. 287); sollte gerade eine einseitige Gegenüberstellung von göttlicher und menschlicher

Freiheit Feuerbach zu diesem Urteil veranlasst haben? Barths Freiheitslehre zeichnet sich dadurch aus, dass sie, unter Wahrung der

Souveränität der göttlichen Freiheit, im wesentlichen gerade nicht auf einer Gegenüberstellung göttlicher und menschlicher Freiheit beruht».

/ (2) S. N. Berdiajew, Von der Philosophie des freien Geistes, 1930, S. 151: Freiheit gründet bei Berdiajew im Menschen, im „Ungrund“ (s. N.

Berdiajew. Von der Bestimmung des Menschen, 1935, S. 174 n. 44); vgl. jedoch auch N. Berdiajew, Philosophie des freien Geistes, 1930, S.

163, wo Freiheit von Gott als Freiheit, sich an Gott zu wenden und Gottes Liebesbedürfnis zu erwidern, verstanden ist_. / (3) Auch Ragaz

bemüht sich energisch, die Gegenüberstellung von Gnade und Freiheit zu überwinden. Ragaz hält daran fest, dass das Reich Gottes Gabe

und nicht Verdienst ist. Dieser primären und wesentlichen Bestimmung tritt bei ihm sofar die andere entgegen: _Das Reich ist ebenso, wie es

die Sache Gottes ist, die Sache des Menschen. Die Gabe ist ebenso Aufgabe, das Geschenk ebenso Verdienst –man darf sich so zugespitzt

ausdrücken_ (L. Ragaz, Die Bibel eine Deutung V, Jesus, 1949), S. 139). _Das Evangelium ist eine lebendige, eine existenzielle Wahrheit; es ist

nicht ein System, es ist nicht eine Theologie oder ein Dogma, sondern eine Botschaft. Es ist vor ihm bald Augustinus, bald Pelagius, bald

Luther, bald Erasmus, bald dialektische Theologie, bald religiös-soziale Botschaft wahr, alles in lebendiger Bewegung, alles in fliessender

Wirklichkeit, alles in paradoxer Spannung_ (L. Ragaz, a. a . O., S. 139f.). Barth würde sicher nicht leugnen, dass die Botschaft der freien

Gnade die Freiheit hat, auch durch Pelagius und Erasmus zu sprechen. Trotzdem könnte er die Botschaft des Reiches Gottes nicht im Sinne

solcher polarer Spannung auffassen. Sie ist nach ihm gerade als Gnade auch Freiheit, gerade als Gabe auch Aufgabe (wobei das Verdienst

allerdings radikal auszuschliessen, wäre).) 3 D. H. Kelder, Nicolai Berdyaev, 1874 - 1948, in «Internet» 1999, http://members.xoom.com/dirkk/berdyaev/quotes.htm: «We are

entering an epoch of a new spirituality, that will correspond to the new form of mysticism. It will no longer be possible to argue

against a heightened spiritual and mystical life that human nature is sinful and that sin must first be overcome. A heightened

spiritual and mystical life is the road to the victory over sin. And the world is entering a catastrophic period of choice and division,

when these will be required of all Christians, an uplifting and intensification of their inner lives. The external, every day, moderate

Christianity is breaking up. But eternal, inward, mystical Christianity is becoming stronger and better established. And within

mysticism itself a 'paraclete' type is beginning to predominate. The epoch of new spirituality in Christianity, can only be an epoch of

a great and hitherto unheard of manifestation of the Holy Spirit. (FS, II,111) We are standing on the threshold of a world-epoch of

religious creativeness, on a cosmic divide. (MCA, 103) We must have the virtue of living dangerously. The third creative revelation in

the Spirit will have no holy scripture; it will be no voice from on high; it will be accomplished in man and in humanity - it is an

anthropological revelation, an unveiling of the Christology of man. (MCA, 107)».

56

immanente 1, anima anche l'intuizione di Berdjaev. Ma l'intenzione più significativa che Berdjaev

propone nella sua visuale antropologico-trascendentale è quella di una rivelatività più alta che si

disegna di fronte a noi: una compenetrazione più effettiva del divino e dell’umano 2. L’intento

riassuntivo sui 'tre momenti fondamentali nel percorso umano’ 3 ci ricorda il tentativo di Panikkar

(cfr il volume III, parte I, sezione B). Il 'Nuovo' si prospetta come un'attesa insistente, come una

mossa dello 'Spirito' che deve rompere le croste della vecchia 'Cristianità' pressoché disintegrata 4.

Qui si possono anche identificare certi parallelismi di orientamento con altri autori come D.

Stanilaoe dell’Accademia teologica e Ortodossa di Bucarest. J. Macquarrie –da parte sua-

accompagnerebbe l’idea rahneriana a modo suo, andando fuori dall'esclusivismo severo che

l’intento barthiano cristallizza nella sua ostinatezza verso ogni 'religione' 5.

1 B. Schultze, Russische Denker, Wien 1951, S. 367: «In immer neuen, tiefen und geistreichen Formen wandelt Berdjaev das

trinitarische und christologische Thema ab, zeigt es in seiner inneren Verschlungenheit und Fülle: "Das göttliche Mysterium ist nicht

in einer Zweiheit beschlossen, es setzt die Dreifaltigkeit voraus. Die Beziehung Gottes zu seinem Andern wird in einem Dritten

verwirklicht. Der Liebende und der Geliebte finden Lebensfülle im Reiche der Liebe, welches das Dritte ist. Das Reich Gottes, das

Reich des erleuchteten Menschen und des erleuchteten Kosmos wird nur durch einen Dritten verwirklicht, durch den Heiligen Geist,

in dem sich das Drama vollzieht und der Kreis sich schließt." 1 Oder auch: "Das ewige Antlitz des Menschen ruht im Schoße der

Göttlichen Dreifaltigkeit. Die zweite Hypostase der Gottheit ist die göttliche Menschheit. Das Christentum überwindet das Anders-

Sein, die Fremdheit, stellt eine absolute Verwandtschaft her zwischen Gott und Mensch. Das Transzendente wird immanent. In

Christus als dem Gottmenschen wird die freie Tätigkeit nicht nur Gottes, sondern auch des Menschen offenbar" 2».

(1 Philosophie des freien Geistes, II, S. 19. / 2 Ebd., S. 29.) 2 D. H. Kelder, Nicolai Berdyaev, 1874 - 1948, in «Internet» 1999, http://members.xoom.com/dirkk/berdyaev/quotes.htm: «The Third

Epoch or "Eighth Day of Creation". Religious discussion centers upon the possibility of new revelation and a new spiritual epoch. All

other questions are secondary. The new revelation is not at all a new religion, distinct from Christianity, but rather the fulfillment

and completion of the Christian revelation, bringing it to a true universality. This we do not have as yet. But we cannot simply wait

for the revelation of the spirit. It depends upon man's creative activity as well. It is not to be understood as only a new revelation of

God to man: it is also the revelation of man to God. This means that it will be a divine-human revelation. In the Spirit, the divisions

and contradictions of the divine and the human will be overcome, while the distinction between them will be maintained. This will

be the crowning of the mystical dialectic of the divine and the human. (DH, 221) The opening of a new epoch of the Spirit, which

will include higher achievements of spirituality, presupposes a radical change and a new orientation in human consciousness. This

will be a revolution of consciousness which hitherto has been considered as something static. The religion of the Spirit will be the

religion of man's maturity, leaving behind him his childhood and adolescence.... (DH, 222) In the religion of the Spirit, the religion

of freedom, everything will appear in a new light: there will be authority nor reward: the nightmare of a legalistic conception of

Christianity and of eternal punishment will finally disappear. It will be founded, not upon judgment and recompense, but on

creative development and transfiguration, on likeness to God. (DH, 223)». 3 D. H. Kelder, Nicolai Berdyaev, 1874 - 1948, in «Internet» 1999, http://members.xoom.com/dirkk/berdyaev/quotes.htm: «The

religion of the Spirit is the expectation that a new human and humane sociality will be revealed, radiating love and charity. It is also

the expectation of the revelation of a new relationship between man and the cosmos, of cosmic transfiguration. The process of the

decomposition of the cosmos ... is nearing its end. {but} least of all does this mean an optimistic concept of the destiny of history.

The discovery of light does not mean a denial of darkness. On the contrary: before the advent of the epoch of Spirit man will have

to pass through deepened shadow, through the epoch of night. We are living through the tragic experience of the de-

spiritualization and devastation of nature, as it were, the disappearance of the cosmos (the discoveries of physics), the de-

spiritualization and devastation of history (Marx and historical materialism), the de-spiritualization and devastation of the mind

(Freud and psycho-analysis). The end of the war and revolution has disclosed terrible cruelty: humaneness is vanishing. It is as

though the Creator has withdrawn from creation. He is present only incognito (a favorite expression of Kierkegaard). But all this

may be understood as a dialectic moment in the revelation of the Spirit, and a new spiritual life. One must die, in order to live

again. Man and the world are being crucified. But the final word will belong to the Resurrection. (DH, 224)». 4 D. H. Kelder, Nicolai Berdyaev, 1874 - 1948, in «Internet» 1999, http://members.xoom.com/dirkk/berdyaev/quotes.htm: «The dawn

of the creative religious epoch also means a most profound crisis in man's creativity. The creative act will create new being rather

than values of differentiated culture; in the creative act life will not be quenched. Creativity will continue creation; it will reveal the

resemblance of human nature to the Creator. In creativity the way will be found for subject to pass into object, the identity of

subject with object will be restored. All the great creators have foreseen this turning-point. Today, in the depths of culture itself

and in all its separate spheres, this crisis of creativity is ripening. (MCA, 120)». 5 J. Macquarrie, Twentieth-Century Religious Thought, London 1971, p. 144: «One suspects that Barth here is influenced in his

understanding of religion by his prejudice that the revelation of God in Christ is the one exclusive revelation, and that the ideas of

God in the non-Christian religions are simply man-made projections. Such exclusivism will be strongly opposed in my own account

of these matters. But the fact that Barth is able to hold that the Christian religion too comes under the judgment of the revelation

57

Rahner avrà anche da tenere conto della stretta ‘verifica’ teologica del XX secolo, la teologia

radicale o la ‘process theology’ (cfr supra, volume I, parte I, sezione B) come premessa della

convergenza che propone. Dopo la ' Morte di Dio' –cioè lo svuotarsi dei contenuti religiosi della

parola 'Dio'– c’è bisogno di trovare un modo per entrare in dialogo con l'umanità che divenne

estranea (dalla nostra parte –clericale, ecclesiastica o ecclesiale- ovvero che ci siamo estraniati

dall'umanità di oggi). La difficoltà sembra consistere soprattutto nel fatto che il 'sistema' religioso

non corrisponde più alla capacità di capire e di spiegare l'esperienza delle persone

contemporanee. Il concetto esiste in funzione del sistema mentale che integra. Se il concetto-

chiave significa ‘morire’ vuol dire che il sistema si irrigidisce e potrebbe crollare. La domanda sulla

'morte di Dio' non è tanto quella della Parola stessa che non serve più ma quella del sistema che

sta dietro la Parola. Se non si riesce a sostituire la Parola c’è bisogno di mettere in questione il

sistema stesso? Vi potrebbe essere –forse, qui- una analoga imboscata a riguardo: cioè sostituire

prontamente il 'sistema' con 'un altro sistema'? La corrente radicale rischia così di sostituire il

sistema metafisico con il sistema storico universale 1. Ma perché tale operazione non avrà

successo? La risposta sarebbe: "perché il tempo non è maturo" o "perché esso rischia che

adottando un altro sistema esistente esso sia già pure assai esausto e antiquato".

Si dovrà dunque prendere in conto un altro intralcio previo per una convergenza creativa: la

'teologia della storia' (cfr infra, parte IV). Infatti, essa avrebbe questo svantaggio principale:

presumerebbe un sistema del secolo passato (l’assoluto della storia) già ‘fossilizzato’ nel

momento in cui sorgono impulsi nuovi nella relazionalità umana. L’unico modo, pertanto, sarebbe

di entrare in un dialogo 'non-strutturato' con la genialità del tempo (si veda le note precedenti).

Praticamente bisogna fare -per quanto riguarda la presenza cristiana oggi- come fa l’artista che

'inventa' un pezzo nuovo d’arte: egli ‘sente’ quello che vuole esprimere, dovendo tradurre in una

espressione quello che 'non ha come modello chiaro e preciso, i. e. strutturato 2, o cioè creare

lasciando da parte un 'sistema' già degradato rendendo l'espressione assimilabile senza cambiare

(o prendendo in considerazione il cambio eventuale delle leggi del gioco) le regole stabilizzate.

"Avere qualche cosa per dire e non sapendo come dirlo" richiama l'altra eventualità: quella di

"procedere con sicurezza", quello che non è strutturato non è necessariamente "fonte profonda dal

indicates that once again we have to do with something more than just an arbitrary definition of religion. There is indeed a

tendency for religion to become autonomous so that it subordinates and adapts to human use the God-given revelation, thus

usurping the divine initiative». 1 J. M. Robinson - J. B. Cobb, New Frontiers in Theology, London 1967, p. 210: «Fundamental among the questions posed by

Hamilton's paper is that of the nature of modernity. Pannenberg presents his thought as completely open to all that the modern

world has to teach him and as a means of persuading open-minded modern men of the superior truth of Christianity- Yet to

Hamilton the whole enterprise seems strangely out of keeping with the modern temper. To him it seems that the course of

secularization has proceeded to such a point that there is little place any longer for theological system building. The theologian

must enter the world and express his solidarity with it rather than work out the implications of his traditional faith and offer the

results for acceptance. He can engage in unstructured conversation with secular man, can learn from him, and in unexpected ways

make his own witness». 2 U. Eco, Trattato di semiotica generale, Milano 1975, p. 253: «Quando il pittore ha incominciato a lavorare, il contenuto che voleva

esprimere (nella sua natura di nebulosa), non era ancora sufficientemente segmentato. Così egli ha dovuto INVENTARE. Ma anche

l’espressione ha dovuto essere inventata: come si è detto in 2.14.6. si dispone dell'espressione adatta solo quando un sistema del

contenuto si è differenziato al giusto grado. Così abbiamo una situazione paradossale in cui una espressione deve essere stabilita

sulla base di un modello di contenuto che non esiste ancora sino a che non sia stato in qualche modo espresso. Il produttore di

segni ha una idea abbastanza chiara di cosa vorrebbe dire ma non sa come dirlo; e non può sapere come sino a che non avrà

scoperto esattamente cosa. L'assenza di un tipo di contenuto definito rende difficile elaborare un tipo espressivo; l'assenza di tipo

espressivo rende il contenuto vago e inarticolato. Per cui, tra il veicolare un contenuto nuovo ma prevedibile e il veicolare una

nebulosa di contenuto, c’è la stessa differenza che intercorre tra creatività retta dalle regole e creatività che cambia le regole».

58

passato" (forse preumana), ma la possibilità di modi nuovi di espressioni e di comunicazione. Per

essere 'non strutturalmente presente' non vuole dire ‘essere incoerentemente presente' (e -dopo

tutto- assente) sulla scena degli eventi. Il modo di essere 'persona umana nella sua propria

configurazione' forse conterrà un modo di esistere fuori in una sfera predeterminata e in un

inserimento non strutturato e "tutto da scoprire"? Potrà questo itinerario che si muove oltre a

quello che è risaputo come sistematizzato aprirsi su prospettive più insospettate? La 'storia', sarà

forse troppo sistematicamente articolata per servire di base per una sintesi più ampia, al servizio

del nostro secolo e dei tempi che vengono? Questo sembra essere la paura degli autori integrali

(cfr i vari momenti della discussione ‘sulla storia’ o ‘sulle storie’).

Occorre però, prima di cominciare la nostra riflessione più dettagliata sulla teologia di K.

Rahner, menzionare l’altro parallelo della grande figura di Barth (e Rahner): Hans Urs von Balthasar

(si veda volume III, “Salvaguardare o riarticolare”, parte I, sezione A). È stato detto che questi tre

autori hanno un genere di 'paternità' della teologia del nostro tempo. Ma quale che potrebbe

essere questa paternità? Barth, prima di tutti è il 'Padre' della teologia di secolo di XX perché è il

protagonista iniziale della riscoperta della 'Parola' e perché unisce la 'Parola' a una sorgente più

profonda. Questo fondamento potrebbe essere l'intenzionalità della Parola come 'predestinazione'

1. La mente predestinata porta la 'Parola' vivente in un linguaggio che non è più relativa ma

incondizionata. È la predestinazione che dà quello la sua assolutezza alla Parola? Barth

preannuncerebbero in questo caso l’«intento amplificato» di Rahner (cfr infra, sezione B). O la

chiave della teologia barthiana si trova nella salvaguardia della fede integralizzata perché così

bilancia "l'obiettività e la passione" 2? In questo caso, Barth permette di cogliere l'intenzione di

strategia globale della salvaguardia di von Balthasar (cfr volume III, parte I, sezione A). Pertanto, si

indicherà che l’obiettività dell'essere prende finalmente radice nella soggettività di Dio. In tale

senso la 'passione' di Barth per la 'purezza immaculata' della Parola suprema' potrebbe rivelarsi

troppo superficiale. Questa 'perfezione di purezza immacolata' sembra accomunare i due autori: la

“Parola non contaminata” e la “Bellezza non ambiguizzata”. Barth e Balthasar si incontrerebbero in

una piattaforma di 'bellezza' delle loro teologie mutue, propriamente nell'abilità comune di

combinare obiettività (di Dio) e passione di coinvolgimento teologico. La bellezza –qui- non

sarebbe la piena saggezza ma l'abilità di preservare con equilibrio gli elementi che spesso

appaiono contrapposti ('passione opprimente e oggettività' neutrale). La bellezza della

predestinazione è una bellezza stabile nel suo equilibrio per garantire con l'equidistanza fra i poli

opposti. Non sarebbe forse questa la ragione per la quale il von Balthasar si è distaccato (anche

1 G. Cristaldi, Ritorno di K. Barth, in «Vita e pensiero», 1985 n° 11, p. 63: «Il metodo seguito da Balthasar è scandito nelle due sezioni che

costituiscono la parte seconda: “presentazione” (Darstellung) e “illustrazione” (Deutung). Nella presentazione si ascolta Barth. Potrebbe

essere chiamato il momento fenomenologico. Un momento fenomenologico però in cui non può essere assente un'intenzionalità

interpretativa, come si dice già all'inizio di questa prima sezione (pp. 73-77). L' “intenzione” è ripresa all'inizio della seconda sezione:

“illustrazione”. È il momento esplicitamente ermeneutico, nel quale si cerca di individuare “la chiave di lettura dell'intera teologia di Barth” (p.

192): è la dottrina -- abissale, accecante, coinvolgente, ma in fondo consolante, -- della predestinazione. Tutto il cammino viene ripreso e

focalizzato nel suo punto culminante».

2 G. Cristaldi, Ritorno di K. Barth, in «Vita e pensiero», 1985 n° 11, p. 64: «Balthasar ha potuto scrivere con così felice pertinenza su Barth,

perché gli è vicino come genialità teologica. “La teologia di Barth e bella”, asserisce Balthasar. E prosegue: “E non soltanto nel senso

esteriore, nel senso cioè che Barth scrive bene. Egli scrive bene perché unisce due cose: la passione e l'obiettività. E precisamente la passione

per la causa teologica, e l'obiettività, quale si addice a una cosa così eccitante com'è la teologia. Obiettività (Sachlichkeit) significa

immersione nell'oggetto. E l'oggetto di Barth è Dio, quale si è rivelato al mondo in Gesù Cristo, e del quale dà testimonianza la Scrittura... La

cosa si edifica da sé. È però talmente affascinante e coinvolgente l'intero uomo che qui la vera obiettività deve coincidere con una

commozione, che tutto pervade ed è perciò propriamente inesprimibile... Questa unità di passione e obiettività è la ragione della bellezza

della teologia barthiana” (p. 41). Ora anche la teologia di Balthasar, che ora si esprime nella sinfonia della grande trilogia, è bella. E per le

stesse ragioni, per cui è bella la teologia di Barth».

59

emotivamente) da Rahner, che avrebbe messo questa bellezza 'a nudo' nel suo tentativo di liberare

il vortice del processo del transcendentalizzante dell'avventura umana, allentando così ambedue la

'salvaguardia' e la 'predestinazione'? Nel suo binomio “passione e obiettività”, von Balthasar ha già

anticipato il tipo di sostanzialità estetica! Questa estetica certamente non si aprirà e non

convergerà nel percorso di compimento della Saggezza nella Sofia (cfr infra, la base di incontro tra

Dio e l'umanità nel pensiero di P. Florenskij, in questo volume la parte V). L'ansia prevalente della

salvaguardia integralizzante sembra così auto-contemplativa che von che von Balthasar non

esiterà a dire: "Barth è iper-cristiano, perciò non è cristiano" 1. Caratteristicamente, questa

dichiarazione sarà riciclata per attaccare H. Küng come "neanche cristiano", certo anche per altri

motivi ma sempre muovendosi dal perno della salvaguardia bilanciata e nutrita dalla sua propria e

corretta articulazione 2. Ma rimane, comunque, da osservare che la chiave della 'bellezza' perfetta

sarà meno segregante che la 'Parola' nella nozione barthiana.

I

LE PREMESSE DI UNA RICERCA. DA UNA VITA A UNA

VISIONE

In ambito romano, il rigetto di K. Rahner nel dibattito sul suo pensiero, sorge in gran pane

da motivazioni o focalizzazioni ecclesiologiche presentate come prioritarie di fronte alle

prospettive teologiche fondamentali che egli tentava di prospettare. Con tali priorità ristrette

svaniscono delle aperture ecumeniche specifiche del dialogo tra i principali teologi e le più tipiche

correnti teologiche del XX secolo. Se si reinserisce, invece, l’ecclesiologia nella più ampia gerarchia

delle verità, Rahner acquista tutta la sua rilevanza ‘a monte’ delle suddette accentuazioni.

Parallelamente alla discussione romana su Rahner, il movimento ecumenico ‘di vertice’ si è

progressivamente centrato –anch’esso- sulle delle priorità ecclesiologiche 3 che approdavano ai

noti confronti riguardo alla intricata problematica gerarchico-ministeriale, da sempre nodo

scorsoio di confessionalizzazione ad oltranza. Seguendo le valutazioni negative, occorrerebbe

situare Rahner nella tematica ecclesiologica (cfr parte III, dei tre volumi). Considerandolo invece

come teologo di convergenza a livello fondamentale della fede (cfr parte I, dei tre volumi), le sue

digressioni ecclesiologiche si ricontestualizzano senza difficoltà. Il nodo relazionale potrà essere

trovato in una angolatura costitutiva del suo intento: la priorità dell’esperienza di fede del

soggetto, al seguito del criterio dell’esperienzialità come perno teologico (dall’oriente cristiano alla

Riforma d’occidente) 4.

TUTTA UNA VITA IN TENSIONE

La vita stessa del nostro autore mostra la sua continua inclinazione a disincunearsi dagli

assestamenti -pratici o teorici- ecclesiastici o ecclesiologici 5. Rahner rappresenta -allo stesso

1 H. U. von Balthasar, la teologia di K. Barth, Milano 1985, p. 86.

2 Interview di V. Messori a H. U. von Balthasar, in «Avvenire», 1985, 15 ott., p. 9 (vedere anche le imbarazzate rettifiche posteriori).

3 Cfr lo studio di A. Joos sui criteri ecumenici della teologia, e-monografia in rete in: http://www.webalice.it/joos.a/

CRITERI_ECUMENICI_NELLA_TEOLOGIA_CRISTIANA_-_ECUMENICAL_CRITERIA_IN_CHRISTIAN_THEOLOGY.html.

4 Cfr R. Haight, Lessons from an Extraordinary Era. Catholic Theology since Vatican II, (Stage 1, Karl Rahner: the Turn to experience), in

«American Magazine», March 17, 2008, etiam in «Internet» 2011, http://www.elephantsinthelivingroom.com/

Catholic_Theology_Since_Vatican_II.Doc.

5 WIKIPEDIA L’ENCICLOPEDIA LIBERA, Karl Rahner, in «Internet» 2011, http://it.wikipedia.org/wiki/Karl_Rahner: «Karl Rahner crebbe in una

famiglia cattolica medio-borghese; suo padre insegnava presso un istituto magistrale. In gioventù frequentò il movimento cattolico del

60

tempo- una illustrazione viva della capacità di abbinare due ‘modi’ fondamentali di esistere:

dinamismo e serenità 1, tensione tipica dell’intento ignaziano 2, la sua vita sembra tesa tra questa

‘mobilità’ dei terreni da percorrere e questa ‘immobilità’ di uno statuto individuale senza cercare

conferme ecclesiali di tipo gerarchico. Per lui l’impresa teologica nell’ambito della

fede non si restringerà -neanche- ad una operazione concettuale o dottrinale 3. Rahner non ha

prodotto una Dogmatica ecclesiale (come K. Barth) ma -coinvolto negli eventi storici- non si

chiude nella tranquillità del suo studio 4. La profondità ‘serena’ del suo ‘lento pensare’, nella

sincerità impegnativa e nella disponibilità dimessa, porterà questo ispiratore cristiano a valutare

anche severamente la polarizzazione intra-ecclesiale 5: quella di non volere più ‘essere Chiesa

Quickborn dove conobbe Romano Guardini. Dopo aver conseguito la licenza liceale, entrò nell'ordine dei gesuiti nel 1922 (già suo fratello

maggiore Hugo vi era entrato nel 1919; altri due fratelli diventarono medici).[1] Studiò in seguito filosofia e teologia a Feldkirch, Pullach,

Valkenburg, Freiburg i. Br. e Innsbruck. Decisiva si rivelò, per la formazione di Rahner, la partecipazione ai seminari di Martin Heidegger

negli anni 1934 – 1936. Nel 1939 Rahner ottenne la prima docenza a Vienna. Negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale svolse pure

attività pastorale nella Bassa Baviera. Dopo il conflitto proseguì l'attività di docente, dapprima quale insegnante di dogmatica alla scuola

superiore dell'ordine a Pullach. Dal 1948 e Docente e dall'anno successivo professore ordinario di dogmatica presso l'Università di Innsbruck.

Nel 1963 Papa Giovanni XXIII lo chiamò fra i teologi del Concilio Vaticano II, alla cui preparazione egli aveva già peraltro contribuito. Nel

1964 Rahner successe a Romano Guardini nella cattedra presso la Ludwig-Maximilians-Universität München. Le sue lezioni presso questa

università sul tema “introduzione al cristianesimo” fungeranno da base per la sua opera fondamentale apparsa nel 1975 con il titolo

Grundkurs des Glaubens. In questi anni si accese anche il suo impegno, sotto forma di saggi ed articoli, in favore del pacifismo, del disarmo

nucleare, dell'aiuto ai paesi del Terzo Mondo e della lotta contro lo sfruttamento dei popoli oppressi (con particolare attenzione ai movimenti

della teologia della liberazione).[2] Dal 1967 al pensionamento, nel 1971, fu professore ordinario di dogmatica e storia del dogma presso la

Westfälischen Wilhelms-Universität di Münster. Nel 1971 fu nominato dalla Hochschule für Philosophie München professore onorario per le

questioni filosofiche e teologiche "di frontiera". Nel 1981 si trasferì a Innsbruck, dove morì nel 1984 e dove è sepolto nella cripta della Chiesa

dei Gesuiti».

((1) Cfr. Karl Rahner a colloquio con Meinold Krauss, La fatica di credere, Edizioni Paoline, 1986, pp. 15-36. / (2) Cfr. Karl Rahner,

Dimensioni politiche del cristianesimo. Testi scelti e commentati da Herbert Vorgrimler, Città Nuova Editrice, Roma 1992, pp. 115-145 e

170-187.)

1 K. Lehmann, Karl Rahner, in R. Van Der Gucht e H. Vorgrimler, Bilancio della teologia del XX secolo, vol. IV, Roma 1965, p. 158: «Tutti

conoscono il singolare itinerario di questo spirito che interroga e cerca. II suo pensiero si forma con lentezza e muove i suoi primi passi con

fare che sembra impacciato e timido. È per questa ragione che molti suoi articoli con le loro lunghe “osservazioni preliminari”, riescono un

po’ duri e faticosi al lettore. L’autore offre una preliminare visione di tutto il settore da discutere, poi puntualizza il nodo della questione e

infine ripropone il problema. Egli esamina le categorie e gli schemi di riflessione tradizionali e misura se sono in grado di offrire delle

spiegazioni e di dare una risposta alle questioni attuali. Nel contempo, mediante un discreto “insegnamento complementare” presenta al

lettore la dottrina classica. In tal modo il pensiero traduce in atto lo stile sperimentale che gli è proprio»; H. Vorgrimler, Understanding Karl

Rahner An Introduction to his Life and Thought, New York 1986, pp. 21-26.

2 P. Imhof – H. Biallowons, Karl Rahner in Dialogue. Conversations and Interviews, London 1986, p. 191: «But I think that the spirituality of

Ignatius himself, which one learned, through the practice of prayer and religious formation was more fortificant for me than all learned

philosophy and theology inside and outside the order».

3 J. Macquarrie, Twentieth-Century religious Thought, London 1971, pp. 293-294: «That faith is more than mere doctrinal belief is explicitly

stated by Karl Rahner (Lecturer from 1949 at Innsbruck. Some of his principal writings have been translated in a volume entitled Theological

Investigations) (1904- ), who describes faith as ‘the assent of the whole man to the message of God’ (Modern Catholic Thinkers, p. 138).

Theology, which cannot proceed without faith, is the methodical effort to achieve a reflective understanding of what faith accepts. The

Catholic theologian, says Rahner, will always set out from the solid ground of Church doctrine as it is proposed to the faithful by the

magisterium of the Church. But from this basis the theologian will go on to elaborate the concepts which he has taken over, to compare

them among themselves and with other concepts, and to seek a more precise understanding of what is already accepted on faith. In doing

this, he will, explicitly or implicitly, make use of philosophical ideas that are extrinsic to theology itself».

4 K. Lehmann, Karl Rahner, in R. Van Der Gucht e H. Vorgrimler, Bilancio della teologia del XX secolo, vol. IV, Roma 1965, p. 151: «Furono

anni d’un lavoro estremamente fecondo. Se Karl Rahner avesse scelto, a questo punto, di tenersi in disparte dalla vita concreta e dai bisogni

della Chiesa, avrebbe potuto senza alcun dubbio scrivere, nel segreto del suo studio, una monumentale «Dogmatica cattolica». Ma prese

tutt’altra decisione accettando, come più tardi si poté vedere, la grossa responsabilità di curare l’edizione del Lexikon für Theologie und

Kirche in collaborazione con J. Höfer: le nuove vie della teologia non dovevano restare, a suo giudizio, ii segreto d’una ristretta élite di

addetti ai lavori, ma diffondersi a vantaggio di tutti quelli che, nella Chiesa, avevano delle responsabilità. Non c’è in questi anni grande citta

o ateneo dell’Europa centrale, dov’egli non sia stato invitato a tenere una conferenza o a parlare. I suoi libri -ivi compresi i poco accessibili

Schriften Zur Theologie - furono tradotti in tutte le principali lingue. Il successo che ebbe la sua opera smentì tutte le menzognere previsioni

di coloro che parlavano di nebulosità teutonica e di difficoltà a comprendere un simile teologo»; cfr l’idea ripresa in B. Mondin, Dizionario dei

Teologi, Bologna 1992, p. 476.

5 KRO (Katholieke radio omroep), Visies op kommunikatie, Bildhoven 1975, p. 31: «De polarisatie heeft zich verplaatst van de interkerkelijke

naar de binnenkerkelijke verhoudingen. Je zou bijna denken dat er in de samenleving een soort wetmatigheid heersi die je ‘de wet van het

behoud van de konfliktueuze spanning’ zou kunnen noemen. In zijn boek Strukturwandel der Kirche beschrijft Karl Rahner het polarisatie-

verschijnsel in de Kerk in zijn extreme vorm. Hij doet dit in termen die geen misverstand laten bestaan over zijn negatieve beoordeling van

61

insieme’ o “ecclesificare” (o «chiesificare») insieme (quasi che ciò non ‘valesse ecclesiologicamente

la pena’). Egli intendeva affrontare le tematiche che il concilio Vaticano II richiama senza averle

potuto trattare prospetticamente 1, e cioè la piena presenza ecclesiale in seno al pluralismo

sinceramente preso in conto 2. Sarà proprio il pluralismo nella “teologia pluralista” della fine del XX

secolo ad accelerare la ri-prospezione teologica (cfr volume III, parte I, sezione B). Là dove questo

concilio si fermò prevalentemente sulle impostazioni ed implicazioni ecclesiologiche, si torna -con

Rahner- alle sorgenti stesse che hanno reso possibile l’esplorazione del mistero della Chiesa. La

polarizzazione, poi, se prima veniva individuata come pericolo causato da gruppi particolarmente

sensibili all’inserimento in seno all’umanità travagliata, ulteriormente, si è indurita in gruppi di

‘ripiegamento’ della Chiesa su se stessa fino a preconizzare veementi configurazioni

‘garantistiche’ presentandole come concretizzazione della ‘vera fedeltà alla Chiesa’... Sarà

probabilmente stata una delle grandi tristezze del nostro autore il sembrare ‘troppo a destra’ per

la prima ‘radicalizzazione’ 3, e ‘troppo a sinistra’ (all’inizio del suo ministero e poi - di nuovo -

alla fine della sua vita) per la più recente polarizzazione involutiva. La seconda integralizzazione

comincia - si sa - col denunciare la perdita della dimensione trascendentale, continua col mettere

in luce il tradimento del ‘tomismo puro’ e finisce con la conclusione che Rahner è colpevole di

“marxizzazione” della teologia cattolica 4!!... Tale denigrazione ci fa ‘misurare la temperatura’

de polarisatie. Van polarisatie, aldus Rahner, is dan sprake wanneer er niet alleen meningsverschillen bestaan - in de theologie, in de

kerkelijke praktijk, over de verhouding van kerk en wereld, enz. -, maar de aanhangers van die meningen zich zo in groepen aaneensluiten

dat dezen niet meer met elkaar samen leven, samen werken en samen kerken; dat ze iedereen voor het dilemma plaatsen zich ofwel bij hen

aan te sluiten ofwel door hen als vijand of minstens als verdacht element beschouwd te worden».

1 A. Geffré, Le nouvel âge de la théologie, Paris 1978, p. 11: «Il serait sûrement téméraire de parler d’un kairos ou “temps favorable“» de la

théologie à la manière dont Hegel croyait pouvoir saluer un kairos de la philosophie. Mais il y a des «âges» de la théologie, et nous sommes

dans une situation favorable pour commencer à préciser les contours de cet âge théologique qu’est «l’après-Vatican II». A l’issue du dernier

Concile, Karl Rahner écrivait que «des thèmes que le Concile impose à la théologie de demain ne sont pas ceux que le Concile lui-même

traite»... II voyait certainement juste. Mais il ne faudrait pas que cette fameuse «théologie de demain» demeure toujours une belle utopie qui

nous masque les modestes réalisations d’aujourd’hui».

2 B. Lambert, ”Gaudium et Spes” and the Travail of Today’s Ecclesial Concept, in J. Gremillion, The Church and Culture since Vatican II,

Indiana (USA) 1985, pp. 53-58: «Discussion Report One *. A dozen themes flowed swiftly through the discussion. Most converged with

nearby currently a couple diverged sharply to preserve inherited cultural concepts against the threats of post-conciliar modernization.

Resulting discord, however polite, showed that doubts still run strong among some Catholic intellectuals over Vatican II’s open embrace of

the modern world - as “world,” and especially as “modern.” Carrier’s substantive survey, in follow up to Braganza’s perceived danger “of

homogenizing all culture” and Goulet’s view on “cultural plurality” as constitutive of today’s global reality, prompted Gremi llion to introduce

Karl Rahner’s ideas about inculturation by the Church in the several regions of the world. He suggests that “a basic theological interpretation”

of Vatican II is the Church’s approach “to the discovery and realization of itself as world-Church” (Weltkirche), with plural ecclesial

incarnations in the several religio-cultural regions of the globe. (Rahner, Concern for the Church [Crossroad, 1981], pp. 77-186). Carrier

expresses thanks that Rahner’s “seminal work” has entered the discussion. He is familiar with these stimulating views, with Rahner’s “whole

project” that Vatican II has opened toward the realization of the Church becoming universal in a new way. The Church, Carrier summarizes, is

now “working as a living organism to become the best servant of this world of ours, which is itself still in construction.” Evangelizing culture

includes therefore promotion of world structures which render true service to the humanum and to all humankind».

* Editor’s footnote: This and other discussion accounts are taken from tape recordings of the proceedings. Discussants are identified by last

name only, usually without titles. I have ordered each account according to themes, so speakers are not always reported in chronological

succession. Comment and response from the principals, Carrier and Lambert here, are interposed also at logical points. In brief, these are

not recorded minutes. Rather, this is my report of my Understanding of the more significant thrusts of the exchanges. The accounts are

interlarded with editorial comment and opinion, which is clear from the context and for which I alone am responsible. Finally, it must be

remembered that direct quotes have not been reviewed by the speakers; by no means are their remarks to be taken as definitive views. They

are, again, merely what I heard them say in this particular discussion - Gremillion. 3 K. Lehmann, Karl Rahner, in R. Van Der Gucht e H. Vorgrimler, Bilancio della teologia del XX secolo, vol. IV, Roma 1965, p. 180: «Nella

teologia cattolica e nella Chiesa, l’evoluzione di questi ultimi anni è venuta acquistando un ritmo insolitamente rapido, dando luogo a un

mutamento di situazione estremamente complesso. Da qualche tempo, Karl Rahner deve sentirsi rivolgere il rimprovero d’esser passato nel

campo dei «conservatori». Ora, egli stesso ha dichiarato apertamente a più riprese (cf. Die Antwort der Theologen [la risposta dei teologi],

Düsseldorf 1968, pp. 13 ss.) che, se la situazione è mutata, se il posto da lui occupato nel campo della teologia ha subito modificazioni, la

sua posizione è rimasta la medesima. «Malgrado ciò, io mi presento ora come uno che, di punto in bianco, deve difendere le opinioni

specifiche della Chiesa, le sue posizioni centrali, di natura tradizionale... In tal modo, può avvenire che uno cessi di essere “a sinistra” per

passare “a destra”, senza nulla mutare di se stesso, ma solo per il fatto che sono gli altri a cambiare la loro posizione». Karl Rahner

medesimo ha ripreso l’espressione “guerra su due fronti» per definire la situazione in cui si trova (cf. «Publik», n0 22 del 30 maggio 1969)».

4 M. Podarowski, El Marxismo en la Teologia, Madrid 1976, p. 153: «Hemos mencionado que Karl Rahner considera como misión suya Ia

62

della “ipnosi” ecclesiologica. Ciò conferma anche il malinteso di valutazione contestuale su Rahner:

considerare cioè la priorità di prospetto come ‘ecclesiologica’ e non quella fondamentale, come la

nostra chiave di lettura ha potuto costatare dall’indagine inter-teologica.

L’AMPLIAMENTO DELL‘ORIZZONTE TEOLOGICO “AL DI QUA” DELL’ECCLESIOLOGIA

Rahner non ha avuto difficoltà a conformarsi alle usanze ecclesiali, ma si è interessato e si

impegnò prioritariamente nella indagine più complessiva, senza lasciarsi “appiccicare una etichetta

filosofica” 1 neanche da ‘tomista accademico’, riprospettando la coerenza dei contenuti tomistici 2

(col rischio di non essere riconosciuto come seguace affidabile)! Sembra che la sua fondamentale

preoccupazione sia stata di far incontrare il ‘dinamismo’ della storia e la ‘serenità’ di Dio: la

convergenza -cioè- tra storia e trascendenza’ 3, evitando di rinchiudersi sia nello studio della

‘serena trascendenza’, sia nell’impegno della tracollante ‘dinamicità storica’. L’estensione del

‘terreno teologico’ e la continua ‘tensione riflessiva’ del suo pensiero, non facilita una sua

presentazione articolata e completa, che tuttora non esiste 4. Con l’ambizione e lo zelo di non

limitare in nessun modo l’incidenza della presenza operativa di Dio’ 5, il nostro teologo supera

elaboración de una sintesis del tomismo y kantismo-hegelianismo-heideggerianismo, o, al menos, un acercamiento, que podría resultar no

solamente una conciliación de estas filosofías opuestas y antagónicas, sino una verdadera incorporación de ellas al pensamiento cristiano

por la via de un tomismo adaptado al kantismo y sus seguidores. Esta parece constituir una verdadera obsesión en Ia vida intelectual de Karl

Rahner, que ya se notó durante sus estudios en Innsbruck y en Friburgo, empezando por Ia tentativa de «redescubrir al verdadero Santo

Tomás a través de un estudio que adoptará La sonoridad kantiana, kantisch kIingend», anota F. Gaborian... Directamente. pues, Karl Rahner

nada tiene que ver con el actual proceso de marxistización de la teología; pero, indirectamente, es uno de los mayores responsables de este

proceso. pues sin su anthropologische Wende y, más todavía, sin su pretendido acercamiento al tomismo del pensamiento heideggeriano-

hegeliano-kantiano, el proceso de Ia marxistización de la teología, al menos en el ambiente católico, no sería posible».

1 A. Marranzini, La “svolta antropologica” in teologia secondo Karl Rahner, in idem, Dimensione antropologica della teologia, Milano 1971, p.

485: «A questa «svoIta» il Rahner è giunto dopo una formazione filosofica, ispirata, oltre che a S. Tommaso, a J. Maréchal (Cfr. soprattutto J.

Maréchal, Le Point de départ de Ia Métaphysique, 5 voll., Paris, 1944-1949.), a P. Rousselot (Cfr. P. Rousselot, L’Intellectualisme de saint

Thomas, Paris 1908.), a M. Heidegger e ad alti filosofi (Cfr. L. Roberts, Karl Rahner sa pensée, son oeuvre, sa méthode (trad. dall’ingl.),

Tours, Maine, 1969, spec. cap. I: Prolégomènes philosophiques, pp. 13-45.). Egli, come confessa in una sua lettera (del 10 ott. 1969, edita

«Zum Geleith al volume di P. Etcher, Die anthropologische Wende, Karl Rahners philosophischer Weg vom Wesen des Menschen zur

personaler Existenz, Freiburg, Schweiz, 1970, pp. IX-XVI.) non è un filosofo né s’immagina di poterlo essere, però non disprezza la filosofia,

anzi ne ha il massimo rispetto. Da giovane aveva frequentato per un biennio i corsi e i seminari di Heidegger per prepararsi ad essere

professore di storia della filosofia alla Facoltà di Pullach (Monaco di Baviera), ma dovette andare ad insegnare teologia alla Facoltà di

lnnsbruck non perché la sua tesi sulla metafisica tomistica della conoscenza non era stata accettata a Friburgo da M. Honecker, ma per il

semplice motivo che «occorreva ad Innsbruck un professore di filosofia e i superiori del suo ordine pensavano che egli non avrebbe fatto

peggio di molti altri» (Vedere come B. Mondin cerca di utilizzare Rahner per riaffermare la ‘necessità della filosofia rispetto alla teologia’: in

B. Mondin, I grandi teologi del secolo ventesimo. I teologi cattolici, Torino 1969, p. 192).

2 A. Marranzini, La “svolta antropologica” in teologia secondo Karl Rahner, in idem, Dimensione antropologica della teologia, Milano 1971, p.

486: «Il prof. Honecker non ritenne di ritrovare nello studio di Rahner esattamente ii pensiero dell’Aquinate e perciò non l’accettò per il

dottorato. Il Rahner però, nel pubblicare la sua dissertazione, ci tenne a precisare che aveva intrapreso il suo lavoro per interpretare il

pensiero di S. Tommaso alla luce dei problemi che assillano la filosofia moderna (K. Rahner, Geist in Welt, 2’ ed. riveduta e ampliata da J. B.

Metz Monaco 1957, p. 407 I p. 13 ss.)».

3 J. Sobrino, Christology at the Crossroads, New York 1978, p. 25: «The basic metaphysical quandary presented by Rahner is the relationship

between transcendence and history. How can God in himself become a God for us? Rahner seeks to answer this question with the concept of

a “real-life symbol.” Every “spiritual” reality comes to be insofar as it is expressed in the historical realm. In his more systematic writings

Rahner ignores the quandary of theodicy. This means that in his Christology he has tended to concentrate on Jesus’ incarnation and

resurrection rather than on his cross. At times, however, he does consider the omnipotence of God in terms of Jesus’ impotence; and in his

more existential writings Rahner does stress the role of Christ’s cross in Christian existence».

4 K. Lehmann, Karl Rahner, in R. Van Der Gucht e H. Vorgrimler, Bilancio della teologia del XX secolo, vol. IV, Roma 1965, p. 181: «Nella

realtà, comunque, fino ad oggi manca un’esposizione adeguata, solida e completa del pensiero teologico basilare di Rahner, in grado di

servire come punto di partenza per una discussione sui capisaldi dei suoi teologumeni».

5 P. Vanzan, Approccio alla fede della “nuova generazione”, in «La civiltà cattolica» 1982 n0 3166, pp. 370-371: «Costatata l’insufficienza

delle concezioni tradizionali delta storia della salvezza e delta rivelazione secondo To schema di un intervento spazio-temporale di Dio in

una storia che rimarrebbe profana, Rahner opta per uno schema «universa1istico, secondo il quale Dio, nella sua libertà, fin dall’inizio,

sempre e ovunque. Si è comunicato alla propria creazione come sua intima entelecheia e dove opera nel mondo dall’interno verso l’esterno»

(p. 99). Alla memoria e all’attesa, che segnano la tonalità temporale caratteristica della parola di Dio, Rahner sostituisce il sempre e ovunque

dei sistemi scientifici e filosofici classici, ribadendo che ciò «demitizza soltanto. e legittimamente, certi modi di raffigurarsi la storia della

63

l’abbinamento di “due storie”: una profana e l’altra della salvezza (diventando agevolmente ‘storia

ecclesiologica’ o anzi ‘storia sacra’). Le due deviazioni (profanizzare Dio o clericalizzare il mondo)

sono sempre in agguato. La prima implicazione di questa tensione interna del pensiero sarà -si

capisce- il rifiuto di inquadrare l’iniziativa di Dio in un ‘sistema speculativo unico’ 1, e ciò

significherà che la fede non sacralizza nessuna costruzione filosofica - o, che, viceversa, nessuna

filosofia dovrà arrogarsi l’esclusiva di ‘filosofizzare la fede’. La questione è di non rinchiudere

l’esperienza cristiana in un unico sistema razionale già pre-concluso e completo. Da questa chiave

si può avvertire, nel pensiero di convergenza di Rahner, ciò che sarà presa in considerazione del

‘tutto’ divino-umano nella Sofia-Saggezza che però non arriva ad una sua esplicita impostazione,

ma che sembra sorgere dalle radici stesse della ‘teologia del simbolo’ 2. Torneremo su questa

prospettiva sofianica complessiva nella quinta corrente intermedia di questo volume (cfr infra,

parte V). Questo taglio di ‘andare dalla teologia al di là di essa’ e di andare ‘dalla filosofia al di là

di essa’ nella pienezza del ‘tutto’ raggiunge –nel suo intento- gli intuiti maggiori di ingegni come

A. Rosmini, i sofianici russi Vl. Solov’ëv, N. Berdjaev, S. Bulgakov, fino alle meditazioni di J. Böhme

nelle loro reciproche ricerche 3. Dai suoi contributi nel prospettare la “Gaudium et spes” per una

‘teologia non a due piani (naturale e sovrannaturale)’ ci si aspettava ad una sensibilità più

articolata (anche dalle conoscenze di suo fratello Hugo Rahner e dei loro scambi di vedute) nel

considerare la ‘complessività del tutto’, proprio in riferimento al ‘Logos’ della tradizione cristiana

che Congar mette in avanti senza trarne le implicazioni sapienziali e sofianiche, in una

interpretazione teologica non spezzettata. Stranamente, certi commentatori vedono nel

riferimento di Rahner a Solov’ëv un suo slittamento cristologico e soteriologico, con una così detta

cristologia ‘evolutiva’ che lo stesso von Balthasar avrebbe individuato dalla sua conoscenza molto

condizionata della prospettiva sofianica e della teologia russa (lasciando da parte la stessa

cristologia di Teilhard de Chardin che Rahner ha apprezzato e sostenuto) 4. Sorprende la

mancanza di approfondimento di questi esponenti occidentali riguardo al pensiero orientale e

salvezza (p. 101), mentre “la vera e propria storia di questa rivelazione di grazia si svolge fondamentalmente sempre e ovunque» (p. 103). A

ben guardare. Si renderebbe scarso onore a Dio “limitando il suo operare a qualche punto dello spazio e del tempo nel mondo e nella storia»

(p. 105)»; Rahner esprime la sua soddisfazione di aver contribuito personalmente al n0 48 della Lumen gentium sull’effettivo inizio della fine

dei tempi’, e cioè il compimento inderogabile ed illimitato della iniziativa di Dio: in P. Imhof - H. Biallowons, Karl Rahner Faith in a Wintry

Season. Conversations and Interviews with Karl Rahner in the Last Years of his Life, New York 1990, p. 75.

1 L. Roberts, The Achievement of Karl Rahner, New York 1967, p. 43: «Secondly, Rahner admits that there is no need to propagate any

particular system of philosophy developed in Western Europe as the only possible vehicle for theology. This statement concerns not only

wholly alien cultures but also the more modem contexts of thought which emphasize pragmatic models and scientific constructs. It is quite

true that any unit of symbolic thought can to some extent be transposed into the conceptual mode and its components partially broken

down into concepts. Yet such translation can never be exhaustive: it must always leave behind, unanalyzed and unthematic, a certain living

residue, an existential attitude which must be lived within the culture in order to be understood adequately. It can perhaps best be

understood by what Max Scheler called “empathy” but cannot be expressed in abstract, analytic language»; cfr etiam: H. Vorgrimler,

Understanding Karl Rahner An Introduction to his Life and Thought, New York 1986, p. 24.

2 Cfr N. Clasby, Dancing Sophia, Karl Rahner’s Theology of Symbols, in «Religion & Literature», Spring 1993, n° 25.1, p. 51; etiam in

«Internet» 2011, http://www.jstor.org/pss/40059544.

3 Vedere le nostre ricerche ed insegnamento sulla Sofia, Wisdom, Saggezza, Weisheit: in A. Joos, “Teologia sofianica”, in «Internet» 2011,

http://www.webalice.it/joos.a/SOPHIANIC_THEOLOGY_-_TEOLOGIA_SOFIANICA.html.

4 I. Sanna, La dimensione fondamentale della teologia di Karl Rahner, (Giornata di Studio 4 dicembre 2004. A. Il percorso della teologia

fondamentale in Karl Rahner), in «Internet» 2011, http://www.unigre.it/struttura_didattica/teologia/documenti/fondamentale/

Sanna%20Rahner.pdf (pdf page 24): «A ben guardare, la cristologia rahneriana non sarebbe nè più nè meno che la cristologia evoluzionistica

che Soloviev, fondandosi su Schelling, Hegel e Darwin, ha presentato nel secolo scorso come il cristianesimo più moderno. Secondo il

filosofo russo, "l'Incarnazione personale del Logos in un individuo umano non è che l'ultimo membro d'una lunga serie di altre incarnazioni

fisiche e storiche; l'apparizione di Dio in un uomo fisico è che una teofania più completa, più perfetta, in una serie di teofanie incomplete e

preparatorie"(1). Il Cristo non è una realtà estranea o originale rispetto alla legge comune dell'evoluzione, ma la legge dell'evoluzione

divenuta cosciente».

((1) W. Soloviev, Vorlesungen über das Gottmenschentum, cit. da von Balthasar, in Cordula ovverossia il caso serio, Queriniana, Brescia 1968,

100.)

64

russo in particolare 1. Ben più positivo sarebbe stato di cogliere il legame non del tutto sviluppato

tra Solov’ëv e Rahner nell’ambito fondamentale del ‘Tutto’ (все-единство – tutta unità) divino-

umano dal Logos e dal ‘mondo divino’ della Sofia…

Potrebbe essere nel senso della pienezza del mondo divino dal Logos di espressione e di

attuazione che si potrà superare le perplessità di Zizioulas e Congar sulla ‘reciprocità 2 della iden-

tità tra “Trinità immanente e Trinità economica” (con la valenza specifica del ‘e viceversa’ tra il

mondo ‘dall’alto’ ed il mondo ‘dal basso’). Le terminologie di cristologia dall’alto e cristologia dal

basso, tra tante altre applicazioni ai vari livelli teologici è ormai nota (rimandiamo anche alla parte

II sulla cristologia, in questo volume). Applicare alla convergenza rahneriana una schematizzazione

tra il ‘dall’alto’ e ‘dal basso’, data la sua scelta che eviti una ‘teologia a due piani’ (naturale –

sovrannaturale), non sembra l’indirizzo migliore. Non ci pare pertanto che si voglia dire che nel

‘dal basso’ si possa rivelare esaurientemente il ‘dall’alto’, ma che lo stesso ‘dal basso’ della fede

non è una espressione risciacquata o attenuata della fede ‘dall’alto’. Anzi, La scelta sarebbe

piuttosto tra una teologia dalle sorgenti della fede di fronte a una teologia dall’ecclesiologia

(spesso ancorata a preoccupazioni ‘dal basso’, anche se rivestite da principi dall’alto’ per

assolutizzare gli intenti gerarchici). È vero che il mistero ultimo ‘ci sfugge’ ma può essere

altrettanto importante non presentare questa ‘indicibilità’ come una separazione conflittualmente

invalicabile. Riappare qui la chiave sapienziale nella teologia dove si possono incontrare l’intento

trascendentale e quello immanente (volendo riprendere questi termini). Si capisce –in tale

convergenza- che la ‘reciprocità’ non significa corrispondenza formale dell’ambito trascendentale

e di quello immanente, avendo ognuno la sua specificità di ‘divino’ e di ‘umano’, che può essere

sofianicamente compresa nello stesso riferimento che Congar fa al Logos (cfr appena supra).

II

L’ANTROPOLOGIA TRASCENDENTALE E LA

DINAMICA TEOLOGICA DEL XX SECOLO: UNA

PODEROSA ASSIMILAZIONE DI ALTRI

ORIENTAMENTI TEOLOGICI

1 Vedere alcune prospettive solov’ëviane in A. Joos, Antropologia ed ascetica in Rosmini e Solov'ëv, in G. Beschin (ed.), Filosofia e ascesi nel

pensiero di Antonio Rosmini (atti del convegno internazionale, Trento 1989), Brescia 1991, pp. 279-355; idem, Vladimir Solov'ëv. Cristo e

anticristo, in AA. VV., La figura di Cristo nella filosofia contemporanea (a cura di S. Zucal), Torino 1993, pp. 298-332; idem, E-LIBRO

Teologia orientale, una introduzione oggi, corso aggiornato per il 2006-2011, Pontificia Università Urbaniana, pubblicato in «Internet»

2008-2011, www.webalice.it/joos.a: cfr pagine interne in http://www.webalice.it/joos.a/EASTERN_THEOLOGY_-_AN_INTRODUCTION_-

_TODAY, 1.058 pp. (edizione cartacea presso la Pontificia Università Urbaniana – sezione fotocopie – copia rilegata presso il Centro di

spiritualità e di ritiro “Santa Maria del silenzio” delle “Figlie della Chiesa”, via della Magliana 1240, Roma 2008).

2 J. P. Zizioulas, The Teaching of the 20 Ecumenical Council on the Holy Spirit in Historical and Ecumenical Perspective, in AA. VV. Credo in

Spiritum Sanctum, Roma 1982, vol. I. pp. 50-51: «In dealing with K. Rahner’s views on this question Father Y. Congar discusses this problem

in such a brilliant way that we regard it as sufficient to repeat here what he writes in criticism of K. Rahner’s position. Father Congar agrees

fully with the axiom proposed by Rahner that «the Economic Trinity is the Immanent Trinity», but finds it difficult to accept without further

qualifications the idea which Rahner adds to this axiom, namely that this thesis is also true “reciprocably» (umgekehrt), i.e. that the

immanent Trinity is also the economic Trinity. Fr. Congar offers a detailed analysis of the reasons why he disagrees with Rahner on this point

and concludes with the following words: «La Trinité économique révèle la Trinité immanente. Mais la révèle-t-elle toute? Il existe tout de

même une limite à cela: l’Incarnation a ses conditions propres, relevant de sa nature d’œuvre créée. Si l’on en transposait toutes les données

dans l’éternité du Logos, il faudrait dire que le Fils procède ‘a Patre Spirituque’... De plus, si la forma servi appartient à ce qu’est Dieu, la

forma Dei lui appartient aussi? Or elle nous échappe ici-bas dans une indicible mesure. Le mode infini divin, dont sont réalisées les

perfections que nous affirmons, nous échappe! Cela doit nous rendre discrets quand nous disons ‘et réciproquement’» (Y. Congar, Je crois…,

III, p. 43).

65

L’opera di Rahner, ‘germoglia’ nella sua capacità di ascoltare o farsi eco di molti

orientamenti odierni. Leggere Rahner isolatamente vuol dire perdere il meglio dei suoi

suggerimenti spesso indiretti o incertamente formulati. Tentando di percorrere il prospetto

organico delle correnti teologiche in dialogo, appare un quadro già commentato altrove 1. Si

delinea il collegamento tra la problematica religiosa di fondo e l’approccio trascendentale o

‘ultimo’ riguardo alla stessa persona umana 2. Come molti altri, Rahner ha avuto i suoi limiti. Le

sue conoscenze della teologia più recente fanno meglio vedere alcune incertezze sulla sua

interpretazione di posizioni cristiane meno familiari per lui. Tra queste si nota il suo genuino

intuito sulla consistenza della ‘giustificazione’ in senso luterano, ma che diventa un rifiuto del

‘simul justus et peccator’, fraintendendo -stranamente ed ‘ecclesiologicamente’- il senso di

questa formulazione luterica 3.

1 Cfr la chiave di lettura in A. Joos, Teologie a confronto, vol. I, Vicenza 1982, panoramica del 1° volume (riassunto inglese della chiave di

lettura):

THEOLOGY OF THE XX CENTURY

REDISCOVERING THE CHRISTIAN MYSTERY TAKING INTO ACCOUNT THE HUMAN EMANCIPATION

BROADER CONVERGENCIES

WHICH GOD? WHICH MANKIND?

Theology of the Word Theology of the Death of God

(K. Barth) (radical Theologians)

Trascendental Anthropology (K. Rahner)

WHICH RELATIONSHIP BETWEEN GOD AND MANKIND? WHICH CHRIST? WHICH UNIVERSE

Existential Theology Theology of Pan-Cristification

(R. Bultmann) (P. Teilhard de Chardin)

Realistic Christology (0. Cullmann)

WHICH MEDIATION BETWEEN CHRIST AND THE UNIVERSE? WHICH CHURCH? WHICH SOCIETY?

Ecclesiology of Conciliarity Theology of secularisation

(S. Bulgakov) (D. Bonhoeffer)

Ecumenical-dialogal Ecclesiology (V. Congar...)

WHICH CO-PRESENCE OF CHURCH AND SOCIAL COMMUNITY? WHICH GENUINE PROCESS? WHICH FINAL OUTCOME?

Eucharistic Ecclesiology Theology of Hope

(N. Afanas’ev) (Moltmann)

Theology of History (W. Pannenberg)

WHICH PROJECT OF THE CHURCH IN HISTORY? WHICH CREDIBLE INVOLVEMENT? WHICH COMPLEMENTARIETY?

Theology of Liberation Neo-cultural Thelogy

(Theologians of Liberation) (P. Tillich)

Theology of Godmanhood (P Florenskij)

WHICH COMPENETRATION BETWEEN CHURCH AND HUMAN EXPREIENCE?

2 F. Sebastian Aguilar, Antropologia y teologia de Ia fe cristiana, Salamanca 1975, pp. 206-207: «Quien toma la exigencia de su conciencia

como absolutamente válida para él y se atiene a ella libremente, aun sin reflexionar sobre ello, está afirmando, lo sepa o no, lo conceptualice

o no, que el ser absoluto de Dios es el fundamento para que pueda haber una exigencia ética absoluta (K. Rahner, En torno a la doctrina del

Vaticano II sobre el ateismo, en «Concilium» 23 (1967) 377-399). Sería curioso saber si en esta doctrina de Rahner, afirmada ya antes a

propósito de las religiones no cristianas (K. Rahner, El cristianismo y las religiones no cristianas, en Escritos de teología, V. Madrid 1964,

135-156), hay alguna influencia de Tillich. Porque las ideas y hasta algunas expresiones recuerdan sus nociones de referencia absoluta al

absoluto, su «estar captado por una preocupación última y absoluta». No importa tanto saber si a esos hombres se los puede llamar

cristianos anónimos o no. Puede ser que no sea exacto ni conveniente. Pero no se puede poner en duda que son hombres de buena voluntad

que viven dentro de la gracia de salvación y marchan, mis penosamente que muchos de nosotros, hacia la salvación (Mysterium fidei, 957).

También aquí puede cumplirse la paradoja de Cristo: los últimos serán los primeros; el hijo pródigo resulta mejor que el que habia estado

siempre con su padre, y el samaritano mejor que el levita. Porque la fe que no conduce hasta la caridad más puede ser una acusación que un

privilegio» (VATICANO II, Lumen gentium, 14; J. FEINER, Kirche und Heilsgeschichte, en Gott in Welt II, 3 17-345. En la situación actual de Ia

teología ante este problema, y en las mismas enseñanzas del Vaticano II, ha tenido especial influjo la obra de H. De Lubac, Sur les chemins

de Dieu, Paris 1956).

3 O. H. Pesch, La stato attuale di comprensione e di linea su Lutero, in «Concilium». 1976 n0 8, p. 200: «Il che significa nella teologia del

presente - anche e proprio nella teologia cattolica - Lutero è più presente di quanto si creda. L’esempio più vistoso appare ancor oggi quello

di Karl Rahner nel saggio Gerecht und Sünder Zugleich [Giusto e peccatore a un tempo] (K. Rahner, Gerecht und Sünder zugleich [Giusto e

peccatore a un tempo] Schriften zur Theologie VI (Einsiedeln 1965), 262-276). Rahner, fraintendendo ii senso luterano della formula, rifiuta

di accettarla come una possibile formula dogmatica. Ma alcuni anni prima, nel suo Libretto Von der Not und dem Segen des Gebetes

[Difficolti e benedizione della preghiera], (Id. Von der Not und dem Segen des Gebetes (Herderbücherei - 28j, Freiburg i. Br. 1958 [trad. it.

Necessità e benedizione della preghiera, Morcelliana, Brescia]) sotto il titolo «La preghiera della colpa» egli aveva interpretato con precisione

66

A.

QUALI FONTI ISPIRATIVE NELLA ‘SVOLTA

ANTROPOLOGICA’ E QUALE SEGUITO TEOLOGICO?

Rahner ha voluto essere anche ‘teologo” 1, ed è a questo titolo che entra nel grande dialogo

del confronto teologico del XX secolo. Si è sottolineato il fatto che Rahner abbia voluto - con la sua

‘antropologia trascendentale’ -stabilire le ‘condizioni a priori della “démarche” conoscitiva’ 2 c’è

chi vede, nella ‘antropologia trascendentale’ una “metafisica trascendentale” nella quale si

precisano gli ‘a priori’ della fede in modo analogo a ciò che Kant compì riguardo ad altri elementi

predeterminati della ‘conoscenza” 3. Il proposito di vedere Rahner più come ‘filosofo’ che come

‘teologo’ potrebbe apparentarsi al tentativo di disinnescare una possibile disapprovazione

dottrinale, facendolo uscire dai stretti binari della così detta ‘ortodossia’ formale romana. Si sono

fatti passi simili per altri autori particolarmente multiformi. La figura di A. Rosmini è senz’altro un

caso recente (speranzosamente in via di riabilitazione completa, come lo è stato per Teilhard de

Chardin). Ovviamente, l’articolazione ‘a vasi stagni’ tra le discipline sa di conformismo che lo

stesso pensiero sofianico non recepirà e che le teologie del XX-XXI secolo supereranno nella

interculturalità ed interdisciplinarietà progressivamente affermatasi. E non si tratta -qui- di una

operazione di rafforzamento e di difesa delle proprie ‘muraglie’ o dei propri ‘baluardi’ in seno

all’impresa della conoscenza di fede.

Rahner, si è detto, cambia -con altri teologi del XX secolo- il rapporto tra filosofia e

la formula luterana simul iustus et peccator, ignorando ancora il suo grande predecessore. Anche in altri casi affiorano liberamente nella

teologia cattolica temi genuinamente luterani, sotto una etichetta diversa. Quando oggi parliamo della ferma fiducia della speranza cristiana,

sotto questo tema si nasconde la predicazione luterana della certezza della salvezza. Quando i predicatori cattolici oggi preferiscono parlare

del Dio pieno di bontà e di sollecitudine per noi invece che della «veste della grazia santificante», si verifica qui il passaggio dalla concezione

scolastica (volgarizzata) della grazia al concetto di grazia personalistico, relazionale, di Lutero. Quando sentiamo e leggiamo che Dio ci

«accoglie come siamo, anche con la nostra colpa», in questa formula si esprime la dottrina luterana dell’imputazione».

1 E. Coreth, Presupposti filosofici della teologia di Karl Rahner, in «La civiltà cattolica», 1995 n0 3469, p. 27: «Per commemorare il decimo

anniversario della scomparsa del p. Karl Rahner (avvenuta il 30 marzo 1984), vogliamo interrogarci circa presupposti filosofici della sua

teologia. Alla sua base stanno, più ampiamente rispetto ad altri teologi del nostro tempo, visioni e convinzioni di indole filosofica assai

chiare e decisive. Taluni fraintendimenti critici delle sue affermazioni teologiche sono riconducibili a ignoranza o incomprensione dei suoi

presupposti filosofici. Ma Karl Rahner, questo va rilevato subito, fin dall’inizio non era filosofo, bensì teologo. Tutta la sua opera, tanto

penetrante quanto sorprendentemente vasta, era sorretta e sollecitata da un unico desiderio: approfondire nuovamente la verità cristiana

della salvezza, renderla viva e comprensibile in modo attuale, perché potesse divenire efficace e feconda per l’uomo di oggi. Nella

comprensione che Karl Rahner ebbe della propria attività, egli voleva essere teologo, non solo filosofo. Ebbe persino - vorrei quasi dire

«compassione», una compassione non in senso sprezzante, bensì piena di comprensione, poiché i filosofi non arrivano alla realtà integrale».

2 A. Geffré, Le nouvel âge de la théologie, Paris 1978, p. 30: «Par «transcendantal», il faut entendre ce qui est la condition à priori de la vie de

l’esprit, ce qui rend possible un objet quelconque de pensée, de vouloir ou d’amour. Et pour Rahner, c’est Dieu qui est la condition à priori

de toutes nos démarches spirituelles. Adopter une problématique transcendantale ou traiter la dogmatique tout entière comme

anthropologie transcendantale, ce sera «à propos de tout objet dogmatique, s’enquérir des conditions de sa connaissance dans le sujet, dans

le théologien; elle montrera qu’il y a en effet des conditions A priori pour la connaissance de cet objet; que déjà ces conditions impliquent

quelque chose de cet objet, du mode, de la méthode et des limites de sa connaissance» (K. RAHNER, Théologie et anthropologie, in idem,

Théologie d’aujourd’hui et de demain (The Word in History, New York), Paris 1967, 100-101)».

3 B. Mondin, Nuovi teologi contemporanei, Roma 1978, p. 110: «Questo è il nucleo della metafisica antropocentrica elaborata dal Rahner per

dare una base critica alla teologia. Esso basta a farci vedere ch’egli ha fatto per la teologia ciò che Kant ha fatto per la matematica, la

geometria, la fisica, 1’etica: ha stabilito le condizioni a priori che la rendono possibile. Per questo il suo pensiero filosofico merita il nome

che Rahner stesso gli dà di “metafisica trascendentale” o “antropologia trascendentale”. Ed è giusto chiamarlo ‘metafisica trascendentale”

anziché “teologia trascendentale” perché fino a questo punto, Si tratta solo delle condizioni della possibilità della Rivelazione in generate, e

questa è per l’appunto una questione filosofica. Per entrare nel terreno specificatamente teologico occorre prendere in considerazione verità

di fatto rivelate. cioè la Rivelazione effettivamente avvenuta. Però per accettare la Rivelazione occorre una disposizione speciale: La fede»:

vedere poi l’identità ‘esistenzialista’ data a Rahner dallo stesso autore: idem, I grandi teologi del secolo ventesimo. I teologi cattolici, Torino

1972, pp. 122-123.

67

teologia: non più dal fondamento alla verità rivelata ma cooperazione dentro l’apertura

trascendentale 1. Si è detto, poi, che l’approccio della antropologia trascendentale era soprattutto

“intellettualistico”, nel suo riferimento alle radici del tomismo 2: dare un fondamento ‘razionale’

alla teologia 3. Così Rahner esce dalle ristrettezze della ‘concettualità’ (tante volte bollate come

‘astrazione’). Egli si mantiene - però - nell’ambito della ‘intellettualità’. Tra le varie sfumature di

‘intellettualismo’ e ‘concettualismo’, si può forse notare l’incidenza della sua attenzione mentale

alla razionalità dell’intento teologico nella sua espressione, che certo non lo induceva a riprendere

appieno la chiave sofianica per quanto vari ispiratori di quella convergenza sapienziale

1 G. Ferretti, La teologia di fronte alla svolta ermeneutica, in «Firmana. Quaderni di teologia e pastorale», 1993 n0 2, pp. 21-22: «A questa

che ho chiamato stagione esistenzialista appartiene anche, fondamentalmente, l’impostazione teologica del grande teologo cattolico Karl

Rahner, che va sotto il nome di “teologia trascendentale” o anche di “svolta antropologica” (Per una sintetica presentazione, con relativa

bibliografia, cfr. la nostra presentazione in Introduzione alla teologia contemporanea, Torino 1980, pp. 416-453). La teologia trascendentale

è quella teologia che si propone di essere “critica” in quanto si interroga sulle condizioni trascendentali di senso del proprio oggetto. Per

Rahner, tali condizioni trascendentali vanno individuate nelle strutture formali generali dell’esistenza umana, che si costituisce come tale

perché è originaria “anticipazione” dell’essere assoluto e perché può porsi all’ascolto di una eventuale rivelazione di Dio che le venga

incontro nella storia (Cfr., in particolare, la notissima opera di K. Rahner, Uditori della parola, (orig. ted. 1941), tr. it. Borla, Torino 1967). Una

teologia che non tenesse conto di tali condizioni trascendentali del proprio oggetto, non potrebbe essere una teologia “critica”. E poiché, di

fatto, con l’epoca moderna, tali condizioni trascendentali sono state individuate nella struttura stessa dell’esistenza umana, anche in teologia

s’impone una “svolta antropologica”, ovvero una considerazione delle verità rivelate non come riguardanti degli oggetti in se stessi, avulsi da

ogni riferimento all’uomo, bensì come verità che hanno senso solo in riferimento a ciò che possono significare per l’esistenza umana. Anche

per Rahner, la teologia Si distingue dalla filosofia per il fatto che questa si deve occupare delle condizioni trascendentali di possibilità di ogni

possibile conoscenza storico-positiva, mentre quella deve impegnarsi ad esibire i contenuti storico-fattuali in cui si attua la rivelazione di

Dio. Ma Rahner è particolarmente cosciente che la teologia non può delegare ad altri (ovvero ai filosofi) l’analisi delle condizioni

trascendentali di possibilità del senso delle proprie affermazioni. Filosofare all’interno della teologia d quindi - a suo avviso un compito

ineludibile (Cfr. ad es., K. Rahner, Filosofa e procedimento filosofico in teologia, in Nuovi Saggi, III, tr. it. Paoline, Roma l969,pp.73-97). Il

che concretamente significa, per il nostro problema della coscienza epistemologica della teologia dopo la svolta ermeneutica, che tra

filosofia e teologia il rapporto non è tra due “poli” in qualche modo estranei l’uno all’altro, bensì tra due orizzonti che incontrandosi ine-

vitabilmente si “fondono”, come ha opportunamente detto Gadamer parlando di quella “funzione di orizzonti” che si attua ogni qualvolta si

verifica un processo di interpretazione (Cfr. H-C. Gadamer, Verità e metodo, tr. it. Bompiani, Milano 1983, pp. 340-357). Il che significa,

propriamente, che incontrandosi tra di loro filosofia e teologia crescono ciascuna nel proprio orizzonte, elaborando autonomamente, a

partire da tale orizzonte, più stimoli che loro provengono dall’incontro con 1’altro da sé. Lungi dal perdere se stessa, la teologia che Si

incontra con la filosofia, e in generale la teologia che sa reagire attivamente a tutti gli stimoli culturali che le vengono dalla storia, rinnova se

stessa continuamente, procedendo, alla luce dei propri criteri, a sempre nuove interpretazioni della rivelazione di Dio, che le è affidata

perché essa sappia renderla accessibile agli uomini di tutti i tempi e di tutte le culture».

2 L. Roberts, The Achievement of Karl Rahner, New York 1967, pp. 9-10: «George A. Lindbeck has stated that a rather Heideggerian

interpretation of Aquinas’s metaphysics of knowledge and an ontological anthropology constitute the philosophical prolegomenon to

Rahner\ systematic theology (George A. Lindbeck, The Thought of Karl Rahner 5.1.. in “Christianity and Crisis», 25 (October 18, 1965), pp.

211-215. Lindbeck’s article is a sound and fair appraisal and coming from a non-Catholic theologian and observer en at the Vatican Council

is doubly valuable. He calls Rahner a “man who in comprehensiveness and sheen intellectual quality can, alone among contemporary

Catholics. be ranged alongside of Barth and Tillich, and who in terms of balance is perhaps the createst of the three”). Lindbeck summarizes

quite correctly but his summary suffers from understatement. Ratner does indeed draw heavily on traditional interpretations of St. Thomas,

but his reading of the text has been filtered by a transcendental approach. In this Rahner admits his heavy debt to the work of Joseph

Maréchal (As opposed to the traditional approach to being, which Kant rejected and which is usually labelled conceptualist,” the Rahner-

Maréchal school can be called “intellectualist”. This school distrusts the concept as such, especially in the matter of knowing being and will

have nothing to do with the concept as a representation or with the idea as an image of reality. It tries to describe the dynamic process of the

intellect’s activity and find therein the factors needed for its act, the conditions of its possibility») and Pierre Rousselot (Pierre Rousselot,

L’intellectualisme de Saint Thomas, Paris, 1908. The English translation, The Intellectualism of Saint Thomas, done by J. E. O’Mahony,

London, 1935, is still useful. For a complete bibliography and some stimulating articles see the dedicatory issue of «Recherches de Science

Religieuse», LIII, July-September, 1965, no. 3. For Maréchal, see Joseph Maréchal, SI. Le Point de départ de la métaphysique, 5 vols. 3rd ed.,

Paris, 1941 49; esp. vol. 5, Le Thomisme devant la philosophie critique. Also valuable is Abstraction ou intuition, in AA. VV., Mélanges Joseph

Maréchal, vol. 1, Paris, 1950, pp. 102-180. A good brief presentation of Maréchal’s position is presented by G. Van Riet, L’épistémologie

thomiste, Institut Supérieur de Philosophie, Louvain, 1946, pp. 263-301. Vedere anche il rimprovero di ‘speculazionismo’ fatto a Rahner, in

B. Mondin, Dizionario dci Teologi, Bologna 1992, p. 487). Above and beyond this influence of Mar6cbalian Thomism, German transcendental

philosophy as such has left its distinct mark on Rahner’s method. Because transcendental philosophy is so little known in Anglo-Saxon

countries, it may be worth digressing for a moment or two on its nature and development -particularly since this way of “doing” philosophy

orders most of Rahner’s system».

3 S. Zucal, La teologia della morte in Karl Rahner, Bologna 1982, p. 46: «Dovendo riflettere un momento sulle premesse filosofiche della

teologia di Karl Rahner, dovremmo dire per 1’appunto che è una filosofia tomistica di questo tipo, non chiusa in se stessa ma aperta a

un’intima comprensione delle istanze più significative del pensiero moderno, quella che Rahner elabora nelle prime due opere che

rimangono le più significative sul piano filosofico: Geist in Welt e Hörer des Wortes. Il problema fondamentale sotteso ad entrambe è uno

solo: dare un fondamento razionale alla teologia».

68

poggeranno la loro prospettiva dalla esperienzialità stessa della fede al di là della razionalità

concettuale (fino alla chiave apofatica ed alla via dell’antinomia e del paradosso in teologia). Invece

Rahner spinge la sua ricerca nel senso di una universalità razionale non ‘monca’: cioè una

razionalità che va al di là dell’ambito ristrettamente umano e raggiunge nella sua ispirazione la

chiave kantiana 1. Si ritrovano così sia la volontà di non cadere in una teologia ‘a due piani’ sia

l’ancoraggio deciso nell’ambito razionale esteso al massimo della sua apertura. Ciò spiega anche

perché una prospettiva sapienziale-sofianica non abbia potuto facilmente svilupparsi con questa

priorità mentale incanalata sulla razionalità come criterio-guida. Si dirà che questo sia stato un

primo passo nella riflessione del nostro autore 2.

B.

QUALE CONVERGENZA DALLA “TEOLOGIA DELLA

PAROLA”. L’INEVITABILE RIFERIMENTO ALLA

SVOLTA FONDAMENTALE DELLA TEOLOGIA DEL XX

SECOLO CON K. BARTH

La piattaforma specifica che situa il nostro teologo tra la “Parola” ed il “concetto” gli

permette di cercare una via di uscita tra la “Parola”, prima relativizzata ed ora re-assolutizzata (con

Barth) ed il concetto prima assolutizzato ed ora relativizzato (con la morte del concetto Dio). Il suo

‘intellettualismo’ avvia - peraltro - la capacità di ricollegare ‘Parola’ e ‘concetto’. Egli capovolge

l’operazione teologica: cioè non situa Dio nel suo sistema ‘umano’, ma situa l’intento umano nella

sua sintesi teologica. Non è tanto ‘studiando l’evento umano che si trova Dio’, quanto -invece-

‘studiando Dio si trova la persona umana’ 3. Questo dialogo divino-umano risitua l’articolazione

1 R. Gibellini, La teologia di Karl Rahner per un alleanza tra missione e ragione. Nel centenario della nascita del teologo tedesco, in «Archivio

post», in «Internet» 2011, http://www.queriniana.it/blog/la-teologia-di-karl-rahner-per-un-alleanza-tra-missione-e-ragione/29:

«L’impostazione antropologica della teologia rahneriana ha suscitato, invece, perplessità e riserve in un teologo come von Balthasar, che

fiuta e teme il pericolo di una ‘antropologizzazione’ del cristianesimo, obiezione che viene ripresa nelle teologie dell’identità degli ultimi

anni. Ma uno dei più grandi teologi protestanti della seconda metà del XX secolo, Wolfhart Pannenberg riconosce nella teologia rahneriana, al

di là dei limiti di una insistita impostazione sull’apriori di ascendenza kantiana, uno dei tentativi più consistenti del XX secolo di tener aperta

la razionalità ridotta della cultura secolare al più vasto orizzonte di una razionalità che riconosce anche il mistero di Dio, «in quanto egli ha

insegnato a vedere in ogni tema teologico ciò che è universalmente umano», inserendosi così nel vasto solco della più autentica teologia

cristiana: «L’alleanza con la ragione appartiene fin dall’inizio alla dinamica missionaria del Vangelo».

2 I. Sanna, La dimensione fondamentale della teologia di Karl Rahner, (Giornata di Studio 4 dicembre 2004. A. Il percorso della teologia

fondamentale in Karl Rahner), in «Internet» 2011, http://www.unigre.it/struttura_didattica/teologia/documenti/fondamentale/

Sanna%20Rahner.pdf: «La prima tappa (della riflessione di Rahner) è costituita dalla cosiddetta teologia fondamentale "ideale" di Uditori della

parola, (1941), così definita perché la sua riflessione filosofica con finalità teologica avrebbe dovuto essere esemplare sia nel suo approccio

antropologico, che nella sua struttura discorsiva, nel suo metodo razionale e nel suo intento probatorio. La versione di quest'opera

rielaborata da J. B. Metz nel 1963, contiene una integrazione degli sviluppi del suo pensiero nel campo dell'antropologia e della dottrina della

grazia, realizzatisi lungo i 20 anni dalla pubblicazione della prima edizione. Nella struttura argomentativa della prima edizione, infatti, non

veniva attribuita alcuna importanza costruttiva all'azione della grazia e alle sue basi antropologiche. Rahner, con il suo metodo di riflessione,

voleva mostrare che è la natura dello spirito in quanto tale a fare degli uomini dei potenziali uditori della parola. In altri termini, è la struttura

naturale e filosoficamente descrivibile dello spirito a permettere agli uomini di aprirsi strutturalmente e sostanzialmente all'ascolto naturale

della parola di Dio, quando questa si renda loro percepibile nella storia. L'esistenziale soprannaturale, come tale, fa parte delle doti degli

esseri umani storicamente chiamati, ovvero dell'essenza storica degli esseri umani, ma non della natura del loro spirito in quanto tale.

Uditori della parola, quindi, affronta solo la questione della potentia oboedientialis dell'uomo, che potrebbe essere definita, con allusione

all'esistenziale soprannaturale, come un suo "esistenziale naturale"»; cfr A Doutrina trinitaria de Karl Rahner, Sao Paulo 1975.

3 A. Marranzini, La “svolta antropologica” in teologia secondo Karl Rahner, in idem, Dimensione antropologica della teologia, Milano 1971,

pp. 483-484: «Ora, da chi dobbiamo partire per attuare questa unificazione, da Dio o dall’uomo? La teologia tradizionale è sempre partita da

Dio per spiegare all’uomo il suo mistero ed ha riservato allo studio dell’uomo una trattazione ben distinta, l’antropologia teologica. Lo stesso

Rahner ha scritto che «potremmo dire che cosa è l’uomo solo parlando di qualcos’altro, di Dio, quale egli non è. L’uomo è il puro relazionato

a Dio: perciò per avere un’antropologia bisogna fare teologia. L’uomo è a se stesso un mistero, che si trascende sempre verso il mistero di

Dio. Questa è la sua natura: egli è definito dall’indefinibile, quale egli non è. Senza di questo l’uomo non sarà mai se stesso e non

69

ecclesiologica in una dimensione ben più ampia. E, come spesso accade, il correttivo a questa

assolutezza ecclesiologica permette alla polemica di insinuare che vi sia una indebita scorciatoia

tra Dio e l’umanità. Così come per altri ‘grandi’, anche Rahner viene trascinato tra coloro che

hanno favorito il ‘panteismo’ 1. Da Teilhard de Chardin fino allo stesso Rosmini, una tale tattica

accusatoria funziona sempre 2… Quest’ultimo accenno ci fa però capire il modo discreto di

considerare la chiave sapienziale che permette subito ad alcuni di mettere in avanti sospetti di sui

si sono avuti altri echi. Tra un mondo sotto il giudizio di “Dio solo” -barthiano- e un mondo

presentato come “umanità per conto suo” -dall’orizzonte radicale della ‘morte di Dio’- Rahner

propone una via di convergenza: non lasciare da parte l’eredità umana tipica dell’occidente e non

escludere con un tratto di pennello la rilevanza divina che essa comprendeva. L’attenzione

all’incidenza ‘storica’ effettiva (e concreta) precisa l’obiettivo sia di mettere sotto ‘giudizio’ le

ristrettezze, sia di prendere alto della autonomia umana che ‘riordina’ le urgenze cristiane 3. K.

Barth apre l’iter della teologia del XX secolo 4. La sua impresa – di de-relativizzare l’approccio di

Dio si specifica nel prospetto rahneriano di ‘de-positivizzare’ la dinamica teologica, considerando

l’estraneità contemporanea da Dio come ‘normale’, (anormale sarebbe considerare il ‘sistema

cristiano’ come ‘positivamente’ rivelativo) 5 indicando il ‘punto debole’ della sistematica del

vecchio continente: un certo positivismo razionale da superare. Ed è proprio lì che Rahner riesce a

comprenderà mai quello che è. Quest’assoluto richiamo a Dio è del tutto precluso al mondo infra-umano, appunto perché non è spirito.

L’uomo invece entra nell’ambito di questa relazione, quando si occupa di sé. In tal caso egli intende fissare se stesso e perciò scruta inevita-

bilmente il mistero ch’egli non è» (K. Rahner, Zur Theologie der Weinachtsfeier, in idem, Schriften zur Theologie, III, Einsiedeln, Benzinger

19593, trad. it.: Teologia della festa di Natale. in Saggi di cristologia e di mariologia, Roma, ed Paoline, 1965, p. 238); cfr etiam: H.

Vorgrimler, Understanding Karl Rahner. An Introduction to his Life and Thought. New York 1986, p. 22.

1 P. C. Landucci, La teologia di Karl Rahner. La teologia di Karl Rahner Alle spalle del magistero, in «Studi teologici», 1978 (settembre) n0 213,

p. 678: «Perciò elogia esplicitamente il panteismo, quando sia inteso come “esperienza trascendentale dell’essere Dio la realtà assoluta, il

fondamento originario, 1’ultimo orizzonte della trascendenza” (94). Ma tale “fondamento originario”, quando sia svuotato della trascendenza

‘metafisica’ (Essere necessario, Causa suprema efficiente), si identifica. di fatto, in modo immanente, con tutta la realtà, pur distinguendovisi

come l’’indeterminato’ rispetto ai ‘determinati’ concreti. Si delinea quindi, in definitiva -benché dietro le nebulosità più o meno ermetiche di

certe espressioni la nozione di Dio condannata dal Vaticano I: «L’ente universale cioè indefinito che, determinandosi, costituisce la università

delle cose, distinta in generi, specie e individui» (DS 3024)».

2 Per P. Teilhard de Chardin, cfr il mio vol. I di Teologie a confronto Vicenza 1982; per A. Rosmini, cfr. A. Joos, La priorità escatologica come

anticipazione ecumenica nel pensiero di Rosmini: tra oriente, occidente e Riforma, negli Atti del convegno internazionale, AA. Vv., Il pensiero

di A. Rosmini a due secoli della nascita, Rovereto 17-2 1/3/1997 (La priorità escatologica come anticipazione ecumenica nel pensiero di

Rosmini: tra Oriente, Occidente e Riforma, (conferenza al Convegno per il 200° della nascita di A. Rosmini, Rovereto il 5 febbraio 1997), (pro

manuscripto), Roma 1997, in «Nicolaus» nº 1-2, pp. 27-120).

3 R. P. Mcbrien, Catholicism, Minneapolis 1980, p. 319: «Ninthly, there is Transcendental Thomism, most notably represented by Karl Rahner,

which understands God as the Transcendent, above, beyond, and over everything else. God is the one to whom all reality is oriented, by a

principle which is itself interior to all of reality. That principle is God. God the “supernatural existential” which makes possible the knowledge

of, and the movement toward, the Absolute. In the completion of that movement, both individually and corporately, we find our human

perfection. God, therefore, is not “a” Being separate from the human person, but is Being itself, at once permeating and transcending the

person. Because God permeates as well as transcends us, there is no standpoint from which we can get a “look at” God objectively. God is so

fully constitutive of our human existence that almost everything we say about God can be translated into declaration about our own

existence as well. This is not to reduce all God-talk to philosophy, but simply to highlight the intimate connection between theology and

anthropology in Transcendental Thomism. God is present to history in Jesus Christ and in a special way in the Church, where the human

community has become explicitly conscious of itself in its ultimate relationship with God. The similarities with the Hegelian scheme are

apparent, but so, too, are the differences».

4 H. Zahrnt, Die Sache mit Gott, München 1968, S. 44: «Wer Bericht geben will von der protestantischen Theologie im 20. Jahrhundert,

braucht nach dem Einsatzpunkt nicht lange zu suchen. Der ist gegeben mit dem Namen Karl Barth. Barth steht in der Theologiegeschichte

ähnlich beherrschend am Anfang des 20. wie Schleiermacher am Beginn des 19. Jahrhunderts. Seit ihm datieren wir eine neue Epoche in der

Geschichte der protestantisehen Theologie: Mit Karl Barth hat die Theologie des 20. Jahrhunderts begonnen».

5 L. Roberts, The Achievement of Karl Rahner, New York 1967, p. 271: «Basically, Rahner is as serenely unimpressed by this kind of modern

unbelief as is Karl Barth, and for much the same reasons. For theology, as we have seen, is primarily dogmatics, a science built on the data of

revelation and not on problems springing from the human predicament. the sort of things which trouble the Uncatholic. From the viewpoint

of revelation the present crisis of faith is, so to speak, normal. Faith is always a miracle of election and grace. “Anyone who seriously believes

in our Lord’s second coming must by the very fact of his belief take into account the possibility ... that we now see the signs of the end of

time given us so that we shall not go astray even when the elect are in danger” (“The Prospect of Christianity,” Free Speech in the Church,

New York 1964, p. 65). All things considered, it is not the increasingly diasporic situation of the church that is abnormal, but the 1500 years

when Christianity was the majority religion of a whole culture».

70

non de-dogmatizzare l’impresa del pensiero cristiano attuale 1. Con ciò, ci troviamo ancora una

volta riportati alla questione metodologica basilare del percorso teologico tipico del nostro secolo:

purificare la via teologica, permettendo una nuova partenza senza compromessi facili ma pur

accogliendo le scommesse del tempo nostro (senza escluderle come se non fossero mai state

poste). Vari teologi avranno in mente di andare a cercare ‘dietro la parola’ per trovare un

fondamento più rilevante come, per esempio, la storia più sostanziale di essa, ma.... esiste una

storia senza un “dire” -o che sia per così dire- “trasversale” 2? L’intento barthiano rimane una

anticipazione più che una bilanciata conciliazione di prospettive e di dimensioni teologiche. La

trans-ecclesialità dei teologi del nostro secolo permette ad ognuno dei maggiori ispiratori della

teologia del XX secolo di superare i limiti della propria impostazione confessionale. Così H. Küng

lo ha mostrato per l’ampliamento della problematica nella riflessione di K. Barth sulla

‘giustificazione’ 3. La priorità cristologica permette di riconsiderare certe opposizioni tra alcune

tradizioni ecclesiali, troppo strettamente recintate nei loro intenti ecclesiologici 4.

Emblematicamente, Rahner coglie bene l’intento di giustificazione quando lascia libero corso al

riferimento spirituale, cristologico e pneumatologico (nei testi di ispirazione spirituale, cfr supra)

ma slitta nel malinteso quando cerca di ‘ecclesiologizzare’ la giustificazione (cfr etiam supra). Una

differenza specifica rimane, comunque, tra le due ‘patemità’ teologiche del nostro secolo XX: Barth

segue una ‘grammatica’ profetica, Rahner si lascia guidare da una ‘grammatica’ mistica 5.

L’intransigenza della ‘Parola’ de-relativizzata viene ridimensionata dalla ‘mistica’ trascendentale

nella quale l’umano riacquista tutta la sua rilevanza. La ‘mistica’ riceve - dunque - un suo carico

densamente umano, di fronte ad una profezia austeramente spogliata nel suo riferimento a ‘Dio

soltanto’. Questa ‘mistica’ fa capire anche come una priorità ecclesiocentrica abbia poco appiglio

in un tale intuito. Ma essa non è -poi- troppo lontana dalla recezione barthiana delle valenze

antropologiche: antropologia non ‘trascendentale’ ma ‘cristologica’ 6. Barth fa, finalmente, ciò che

1 J. Sobrino, Christology at the Crossroads, New York 1978, pp. 23-24: «Rahner clearly was very conscious of the challenge of the

Enlightenment. This is all the more noteworthy insofar as the theology of the time sounded very much like superstition and myth, arguing its

case in positivist and authoritative terms on the basis of traditional dogma. Rahner accepted Kant’s challenge and sought to de-positivize

theology, though not to de-dogmatize it. By the same token, however, Rahner has not shown as much interest in dealing with the second

phase of the Enlightenment, that of such people as Marx. He does not deal with that issue explicitly, although he does affirm in principle that

theology must have social relevance and he has explored the notion that love for God is one with love for neighbor».

2 C. Klein, Theologie des Wortes und die Hypothese der Universalgeschichte, München 1964, S. 12 (citato supra).

3 R. Curtis, Hans Küng on Karl Barth. A noted Catholic theologian believes that Barth has abandoned the Reformation position, (most

recently modified Monday, 23-Sep-96. It was published by «Jubilee: A Magazine of the Church and Her People», p. 1 (screen page), July

1965, pp. 39 et seq., in «Internet» 1997, http://villagc.ios.comf—rkc1/kung.shtml (citato supra).

4 R. Curtis, Hans Küng on Karl Barth. A noted Catholic theologian believes that Barth has abandoned the Reformation position, (most

recently modified Monday, 23-Sep-96. It was published by «Jubilee: A Magazine of the Church and Her People», p. 1 (screen page), July

1965, pp. 39 et seq., in «Internet» 1997, http://villagc.ios.com f—rkc1/kung.shtml, p. 2 (screen page) (citato supra).

5 L. Malcolm, Theological Freedom and the Therapy of Faith: Thinking with and beyond Karl Barth and Karl Rahner, in ((Internet» 1997,

http://apu.eduPCTRF/papers/1996-papers/malcolm.html, p. 12 (screen page): «Especially interesting to note, in this regard, is that the very

contrast between Barth and Rahner (as prophetic and mystical forms of criticism) can also be found in corollary philosophical contrasts. For

example, Emmanuel Levinas’ prophetic call to responsibility has formal - if not material - affinities with Barth’s concept of divine command.

in turn, Martin Heidegger’s depiction of Dasein as an ecstatic structure that transcends its finitude -even as it cannot escape it - has formal

affinities with the self who enacts Rahner’s “fundamental option.” And, points of contact need not only be drawn with philosophy. An even

more fruitful task may be the comparison of different religious traditions and the ways they develop meta-languages or grammars for

enacting normative criticism. If it can be demonstrated that certain religious practices entails an “unconditional” element - however that

element might be defined - then, some rationale might be given for making normative statements across these different religious or faith

communities. One task might be to see whether there are points of similarity and difference between the ways Christians, Jews, and Muslims

think and enact the presence of God in the moral life. At what points are their treatments of creatureliness or divine presence similar or

different? Moreover, comparisons might even be made with Buddhism or Taoism. Two themes, in particular, have bearing on the kinds of

grammars we have compared in this paper: comparing practices for enacting moral self-transcendence and comparing ways these very

practices instantiate the limits of human morality» (See. e.g.. Frank Reynolds and Robin Lovin, Cosmology and Ethical Order (University of

Chicago Press, 1985) and Francis X. Clooney, “Finding One’s Place in the Text: A Look at the Theological Treatment of Caste in Traditional

India,” Journal of Religious Ethics 17:1(1989) pp. 1-29).

6 Cfr. S. Ruggiero, L’antropologia teologica di Karl Barth, in A. Marranzini, Dimensione antropologica della teologia (ASSOCIAZIONE

71

fa Teilhard de Chardin: una cristologizzazione invece di una ‘trascendentalizzazione’. Rahner

richiama l’uno e l’altro all’inevitabile riferimento verso il ‘Deus abseonditus’. La ‘de-

ecclesiologizzazione’ rahneriana si delinea partendo dal percorso cristologico. Tutto si giocherà

sul ribaltamento della sorgente di ‘libertà’ 1. Se per Barth la libertà di Dio indica La sua ‘diversità e

se per i teologi radicali l’emancipazione della libera umanità significa la ‘morte’ di Dio (vedere il

vol. 1, Teologie a confronto, parte I, cap. 1), per Rahner la libertà umana indica la trascendentalità

della persona. La libertà barthiana di Dio implica La radicale ubbidienza nella fede della persona

umana alla Parola. Il travisamento di questa ubbidienza è la ‘religione’... Per i radicali,

l’emancipazione umana include la fine della ‘religiosità’, con l’affermarsi della centralità

dell’evento umano. La trascendentalità è l’oggetto stesso della libertà umana. La libertà sarà il

modo in cui la persona assume e realizza La sua trascendentalità. Attentare alla libertà significa

attentare alla trascendentalità della persona. L’essere liberamente indirizzati verso gli altri (non le

cose) nella propria autocoscienza introduce alla incondizionata dimensione della persona. La libera

umanità sarà la piattaforma di impostazione complessiva di una ecclesiologia non fine a se stessa.

C.

RAHNER E LA PERSONA UMANA AL CENTRO DELLA

SCOMMESSA TEOLOGICA: QUALE UMANITÀ IN ECO

AI TEOLOGI RADICALI

Dal “Chi parla” (Dio) di Barth, Rahner non dimentica -ovviamente- “a chi si parla oggi” (la

persona umana oggi) 2. Dopo gli anni di discussione e messe in questione più accese, gli anni ‘80

TEOLOGICA ITALIANA), Milano 1971, pp. 409, 407, 405-406, 403: «L’uomo occupa un posto centrale nella teologia di K. Barth. Tale

importanza gli deriva - secondo il teologo di Basilea - dal fatto che l’idea stessa di creazione include non soltanto l’azione del Creatore ma

anche il termine di tale azione. cioè la creatura».... (Barth ha consacrato un intero volume della sua immensa opera teologica Die kirchliche

Dogmatik, alla questione antropologica. ~Sintetizzando quanto detto finora si pub dire che Barth, con chiarezza ed insistenza, insegna che la

natura umana, distinta dal peccato e dalla grazia, sussiste nonostante l’uno e l’altra’; che il peccato, pervertendo la natura a causa di un

cattivo uso, non distrugge la sua bontà iniziale o originale e che la grazia eleva la natura senza sopprimerla. Come si vede, fin qui la

posizione di Barth non differisce sostanzialmente da quella cattolica. Le cose cambiano completamente quando egli tenta di determinare il

rapporto esistente tra la natura umana dell’uomo e quella del Cristo».... «Per chi ha una certa familiarità con il pensiero barthiano è facile

constatare come Barth stabilisca, tra antropologia e cristologia, un rapporto che corrisponde a quello posto da lui tra la creazione e

l’alleanza: un rapporto cioè di distinzione e di unità. Dio ha creato l’uomo per essere compagno della sua alleanza: ecco ciò che costituisce

veramente l’uomo e lo distingue da tutte le altre creature. Ma l’uomo è un essere del mondo, distinto da Dio: egli ha una sua propria natura

che tuttavia può essere conosciuta solo alla luce della Parola che stabilisce l’alleanza. Nonostante questo riferimento all’a lleanza, essa deve

essere considerata in se stessa, come una realtà che l’alleanza presuppone ma che è sempre distinta dall’alleanza».... «Concretamente

l’essere dell’uomo è fondato su due fatti: I) sull’elezione divina, in quanto è volontà di Dio salvare l’uomo non solo dal peccato ma anche

dall’abisso del nulla che lo minaccia. 2) sull’ascolto della Parola di Dio. L’uomo Gesù è la parola di Dio al mondo creato. I l logos eterno, nella

sua identità con l’uomo Gesù, è la Parola nella quale Dio pensa il mondo, parla con esso e gli dà conoscenza del suo Dio. La persona Gesù è

l’appello di Dio indirizzato all’uomo. Essere uomo perciò significa trovarsi nel dominio in cui la Parola di Dio è pronuncia ta. In questo senso

l’essere dell’uomo è una storia (che si oppone a stato), una storia che si realizza in primo luogo nell’esistenza dell’uomo Gesù».

1 Cfr K. Rahner, Theologie aus Erfahrung des Geistes, in idem, Schriften zur Theologie, B. XII, Einsiedeln 1969, S. 42; K. Rahner, in idem,

Schriften zur Theologie, B. II, Einsiedeln 1957, S. 258, 261.

2 A. Beni, La nuova metodologia teologica, in AA. VV., Correnti teologiche postconciliari, Roma 1974, p. 81: «Teologia Antropologica. Karl

Rahner (Théologie et anthropologie, in AA. VV., Théologie d’aujourd’hui et de demain, vol. in collab., Parigi 1967, pp. 99-130, Introduzione

a J.-B. METZ, in Christliche Anthropozentrik, Monaco 1962, pp. 9-23 (trad. italiana: Antropocentrismo cristiano, Torino 1968);

Anthropozentrik, in LThK; Schemi di una dogmatica, in Saggi teologici, Ed. Paoline. Roma 1965. pp. 82-111; Osservazioni sul trattato De

Trinitate, ib., pp. 587-634; La cristologia nel quadro di una concezione evolutiva del mondo, in Saggi di cristologia e di mariologia, Ed.

Paoline, Roma 1967, pp. 123-197; L’avenir de la Théologie, in NRTh, 1971, pp. 13-28; Considerazioni fondamentali sul metodo teologica, in

Mysterium salutis, Queriniana, Brescia 1970, 1114, pp. 11-30; Sulla storicità della teologia, in Nuovi Saggi III, Ed. Paoline, Roma 1969, pp.

72

hanno visto esprimersi qualche riscontro ed apprezzamento per elementi della teologia radicale.

Veniva, tra l’altro da dove non si aspettava: l’oriente ortodosso. Notevole sembra l’incontro intorno

alla “Process Theology” 1. Le ‘similarità’ tra levante e ponente, in quanto a questa teologia, sono

tanto più caratteristiche in quanto esse riguardano alcune chiavi che hanno dato particolare

fastidio all’occidente romano: uno tra tutta la piattaforma di ‘relazionalità’ per intuire il mistero di

Dio. Ad essa si collega la similarità sul ‘non dualismo’ tra divino ed umano. Vedremo che questa

chiave viene poi esplicitata in quella della ‘non conflittualità’ soteriologico-cristologica 2.

Conflittualità, dualismo o priorità razionale, l’oriente ritrova nella impostazione della ‘Process

Theology’ una similarità -si potrebbe dire- tipicamente occidentale nella prevalenza della

‘concettualità’ su ciò che sia stato tramandato dalla esperienza di fede 3. In questa chiave si trova

99-126; Riflessioni sul metodo della teologia. in Nuovi Saggi, IV Ed. Paoline, Roma 1973, pp. 99-160) non si preoccupa soltanto dell’aspetto

oggettivo, ma anche del soggetto che fa teologia. Per questo egli pone a fondamento critico della scienza teologica la cosiddetta «teologia

trascendentale», o «antropologia teologica trascendentale», per la quale ogni questione sull’oggetto rivelato importa necessariamente la

questione sull’essere del soggetto, sulla sua recettività e quindi sul significato e valore che quell’oggetto concreto ha per la sua salvezza.

Perché la fede sia accettata, bisogna dimostrare il suo riferimento all’uomo; l’antropologia dovrebbe diventare perciò la dimensione di tutti

trattati teologici (Théologie et anthropologie, op. cit., p. 108. Cfr AA. VV., Dimensione antropologica della Teologia. Atti dell’A.T.L, Ancora,

Milano 1971). Ad un secondo problema, quello dell’intelligibilità del linguaggio teologico, Rahner risponde con la «teologia antropocentrica»,

o «teologia antropologica», affermando che la credibilità del cristianesimo oggi è in crisi perché si annunzia secondo uno schema mentale

superato, mediante un’autocomprensione ed una visione cosmica di altri tempi. II messaggio cristiano è tuttora racchiuso in forme

cosmocentriche, mentre invece l’autocomprensione e la prospettiva, dalla quali oggi l’uomo guarda alle cose. sono antropocentriche

(L’importanza del linguaggio per la metodologia teologica viene attualmente illustrata sotto van aspetti: dal punto di vista dell’esegesi (cf, ad

esempio, L. Alonso-Schökel, La Parola ispirata. La Bibbia alla luce delle scienze del linguaggio, Roma 1967), da quello della filosofia (cf D.

Antiseri, Filosofia analitica e semantica del linguaggio religioso, Brescia 1969), della storia della teologia (cf. B. Mondin, II problema del

linguaggio teologico dalle origini ad oggi, Brescia 1971) e della teologia (Cf AA. VV., Il linguaggio teologico oggi. Atti dell‘A. T. I., Ancora,

Milano 1970; AA. VY., Révélation de Dieu et langage des hommes, Du Cerf, Parigi 1972; H. Bouillard, Nouveau langage de la foi, in Lum.,

1971, pp. 369-380; ID., Un nouveau langage de la foi?, in Etudes, giugno 1971, pp. 911-923)). Pertanto, conclude Rahner, Se si vuol

superare la Crisi tremenda di intelligibilità e di credibilità che l’investe, bisogna ritradurre il kerygma nello schema mentale antropocentrico.

Ripetutamente egli nei suoi saggi ha fatto anche vedere come i tre misteri principali del cristianesimo (Trinità, incarnazione e grazia) sono

comprensibili partendo dall’uomo, senza che per questo perdano il loro carattere misterico e che l’incarnazione e la grazia non siano più

libere».

1 L. E. Lorenzen - D. R. Griffin, Eastern Orthodox and Process Theology, (participants: N. Nissiotis, Tb. J. Hopko, A. Golitzyin), in «Internet»

1996, http://www.ctr4process.org/conferen/coflf99.html, (Reprinted from CPS Newsletter vol. 10, issue 3 [Summer 1986]) p. 2 (screen

page): «The ideas on which a sense of affinity was felt on both sides included the following: 1. Human salvation involves as process, called

“deification” by Orthodoxy, in which God really enters into and transforms us. 2. This process necessarily involves synergy or co-operation

between God and human freedom, albeit a co-operation which is asymmetrical, since the human activity presupposes the presence of prior

divine energies. 3. The more God is present in us, the more (not the less) free and human we are. 4. Humans and the rest of creation are

regarded non-dualistically, as a unified creation, in which all aspects are internally related to all others, and God is present in all. Hence, the

divine transfiguring process involves the whole cosmos. 5. Since nature without grace cannot exist, grace is not to be thought of as

something added to an otherwise autonomously existing nature. Every natural thing is a symbol or icon which is a window to God, thereby

bringing God and other things together. 6. Likewise, theology is to be thought of as a unified activity based on revelation throughout. not as

a two-story enterprise, with revealed truths added to a purely natural theology. 7. In parallel with the non-dualistic view of creation, God is

to be conceived as transcending the physical-spiritual distinction, not as being more like the mental or spiritual pole of creatures than their

physical or material aspect. 8. One of the most striking similarities is the idea that there are two modes to the divine existence - called the

“subjective” and “superjective” by process theology and called the ‘divine essence” and the “divine energies” by Orthodoxy. The latter mode

follows from the former, but is equally necessary, equally divine. 9. God is not static. Deity in and for itself is dynamic but non-temporal;

deity as manifest to the world is creative and temporal. 10. God, being loving and creative, cannot exist alone, but only in relation».

2 Vedere le dispense sulla cristologia orientale e sofianica, o sulla cristologia russa (A. Joos). della p. Università Urbaniana o del p. Istituto

orientale.

3 L. E. Lorenzen - D. R. Griffin, Eastern Orthodox and Process Theology, (participants: N. Nissiotis, Tb. J. Hopko, A. Golitzyin), in «Internet»

1996, http://www.ctr4process.org/conferen/coflf99.html, (Reprinted from CPS Newsletter vol. 10, issue 3 [Summer 1986]) p. 3 (screen

page): ((The major differences between the two theological approaches turned out to be the ones suspected the outset to be crucial.

Substantively, the correlative issues of trinity and Christology were at the center of the discussion. Orthodoxy considers it essential to think

in terms of three divine hypostases who can interact with each other, whereas most process theologians find the union of this affirmation

with that of God’s unity to be inconceivable. Orthodoxy affirms that Jesus was one of these centers of consciousness and agency in its

subjectivity become human, whereas process theologians can conceive of the divine as incarnate in its superjective mode of existence.

Closely related to Orthodoxy’s trinity is its affirmation of creatio ex nihilo: to say that God cannot exist alone does not mean that a realm

finite actualities exists necessarily, since God is internally social. Finally, Orthodoxy combines the assertion of human freedom with that of

divine foreknowledge, whereas process theologians find this compatibility inconceivable. The major difference between the two approaches

formally is the weight put on tradition as opposed to conceivability. Process theologians are inclined to reform traditional formulations if

they do not seem genuinely conceivable, whereas Orthodox theologians consider the formulations worked out in the patristic period as

73

anche -per l’oriente- la radice dell’intento della ‘Riforma’: riformare in funzione di ciò che rimane

concepibile, modificando in tal senso la ‘tradizione’. Ciò non ostante, l’oriente ortodosso

riconosce una dimensione ‘apofatica’ in questa corrente teologica: ovviamente come ‘antinomia’ o

non corrispondenza del mistero di fede con gli imperativi delta logica concettuale 1. Si purificherà

-pertanto- ogni superficiale ‘sinergia’ di accomodamento 2. La ‘de-concettualizzazione’ (vedere

Teologie a confronto, Vicenza 1982, vol. I, Sponde lontane, parte I, cap. 2) della teologia radicale

(della ‘morte di Dio’) verrebbe confermata dalla valutazione orientale stessa 3. Riallacciandosi alla

riaffermazione intransigente di Dio e alla verifica sull’emancipazione umana, Rahner si confronta

con le premesse stesse della teologia del XX secolo, dalla Parola tutt’altra all’apofatismo sui

concetti. Nella stessa disputa sull’intento della Riforma d’occidente, il legame tra antinomia (ed

apofatismo) e visuale moralistica (sul peccato ed ii male) era incisivamente presente (partendo

dalla chiave del ‘paradosso’) 4. La radicale diversità di Dio nella Riforma e la pienezza del mistero

inesprimibile con i criteri della ragione dell’oriente cristiano si incontrano in una comune

piattaforma di intuito cristiano di fronte all’occidente della contro-riforma romana che indurirà

ulteriormente i suoi sospetti sulla via apofatica ed antinomica. K. Rahner esce ovviamente da

questa preoccupazione direttamente ecclesiologica (non lasciare che la gente faccia quello che gli

pare riguardo al precetti ecclesiastici, sulla base di un’idea ‘debole’ del peccato). Egli ‘de-

positivizza’ nel senso di una ‘antinomizzazione’ del linguaggio teologico nel quale l’ecclesiologia

non sarà il punto fisso e fermo di ogni parametro. Nella visuale barthiana la totale inabbordabilità

di Dio per le capacità umane mette in forse l’itinerario di esplorazione del mistero. Per i radicali la

de-concettualizzazione rimanda alla storia che svela momenti e prospettive di coinvolgimento

ultimo. Si ‘risitua’ la fede o nello svuotare le ambiguità umane su Dio o uscendo dai sistemi

conoscitivi per impegnarsi nel concreto della vita. Non esiste né progressione, né trasformazione

dell’approccio di fede (maturazione... e via dicendo). Per Rahner, nella fede c’è cambiamento da

ciò che è ‘lo stesso’ 5. La storia non è soltanto processo di purificazione drastica del ‘superfluo’

generally normative and do not consider human inability to understand them to be a sufficient reason for reforming the traditional doc-

trines».

1 L. E. Lorenzen - D. R. Griffin, Eastern Orthodox and Process Theology, (participants: N. Nissiotis, Tb. J. Hopko, A. Golitzyin), in «Internet»

1996, http://www.ctr4process.org/conferen/coflf99.html, (Reprinted from CPS Newsletter vol. 10, issue 3 [Summer 1986]) p. 4 (screen

page): <(At the same time, the sharpness of these differences is greatly softened by the apophatic sensibilities of the two traditions, the

Orthodox theologians do not consider their doctrines to be adequate to the truth in any literal, fundamentalist sense, but as at best the least

inadequate attempts to formulate mysteries which exceed the human grasp. Process theologians refer often to Whitehead’s view that

language is necessarily metaphorical and elliptical, appealing for an imaginative leap. Also, Orthodox theologians agree that doctrines

cannot involve outright contradictions, as in round squares. So, they agree that conceivability is a desideratum, while process theologians

agree that deciding upon genuine inconceivability is no simple matter».

2 L.-M. Chauvet, Du symbolique au symbole, Paris 1979, pp. 200-201: «Karl Barth, partant de la transcendance absolue de Dieu et de

l’efficacité souveraine de sa Parole éprouve une véritable hantise - et en cela, il est un fidèle héritier de Calvin - l’égard de tout ce qui a un

relent de «synergisme», c’est-à-dire de toute théologie du «et» où s’affirme une collusion, un mélange entre l’action de Dieu et celle de

l’homme. S’il y a bien dans le baptême un rapport entre l’action de Dieu - ce qu’il appelle «le baptême d’Esprit» - et celle de l’Eglise, et par

conséquent de l’homme - le «baptême d’eau» -, rapport nécessaire sous peine de réduire le rite h une pieuse comédie, il faut surtout se

garder d’amalgamer les deux».

3 Cfr. A. Joos, il testo Teologie a confronto, vol. 1, Sponde lontane, Vicenza 1982, parte I, cap. 2, per la teologia radicale e la de-

concettualizzazione.

4 LUTHERAN - ROMAN CATHOLIC INTERNATIONAL COMMISSION IN THE UNITED STATES, Justification by Faith, in «Origins», 1983 n0 17, p.

293 n0 284: «(40) Melanchthon’s detailed argumentation constituted an attack on what he considered to be the Scholastic doctrine, namely,

that faith is saving because it is animated by love (fides caritate formata). Rather, faith is saving because it clings to its object, God’s promise

of forgiveness in the death and resurrection of Jesus Christ. Saving or justifying faith, to be sure, is never alone, never without good works;

but it does not justify for that reason. Melanchthon, in contrast to much Scholastic teaching, held that love is a work, indeed “the highest

work of the law” (Ap 4:229; BS 204 (“summum opus legis”); BC 1.39). Thus the Reformers maintained that love and good works are the

necessary fruits of faith, though not its perfecting form, and are the inevitable consequences of forgiveness rather than prior conditions for

it. Such assertions were a reply to the accusation that justification by faith alone is an antinomian doctrine which undermines morality».

5 K. Rahner, in idem, Schriften zur Theologie, B. I, Einsiedeln 1955, 5. 55-56, 172, 114, 58-59; K. Rahner, Zur Theologie des geistlichen

Lebens, in idem, Schriften zur Theologie, Band III, Einsiedeln 1960, 350-351, 354-355, 353-354, , 357, 356.

74

ma anche una storia del ‘dimenticare’. Per i testimoni della fede vissuta, non primeggia il

‘concetto’ su Dio ma le concrete iniziative che ha preso nella storia: particolarmente nella

esperienza d’incontro col Cristo fatta dai testimoni apostolici. Da ciò pub essere intuita la

prospettiva di una rivelazione non ‘chiusa’ con la morte dell’ultimo apostolo. Per Barth la Parola è

‘luogo’ della teologia, per i radicali la teologia deve essere liberata dalle sue impostazioni

concettuali. Rahner sembra, per conto suo, fermarsi sulla dinamica della parola, individuando delle

‘parole’ capaci di caricarsi di un riferimento specifico, al di là dei concetti ‘definibili’ in una

‘semplicità’ fondamentale che non va relativizzata senza rischiare di ‘uccidere’ quelle parole: le

‘parole matrici’. Queste parole o “Urworten” non dicono qualcosa ‘a proposito’ del quale trattano,

ma sono una ‘presenza’ (cfr infra). Con gli ‘Urworten’ entriamo nella ‘teologia del simbolo’ della

prospettiva rahneriana, che però non si implementerà fino alla soglia esplicitamente sofianica. I

‘Urworten’ o parole matrici non entrano a far parte della sinergia del Logos nella Sofia (cfr etiam,

infra). In queste parole –comunque- si apre il riferimento che parte dalle cose singole verso la

trascendentalità stessa. La ‘semplicità’ de-concettualizzata di queste parole va incontro alla

preoccupazione dell’intento radicale, ma ‘l’uccisione della parola-matrice’ non risolve l’apertura

trascendentale. La ‘morte della parola Dio’, per essere stata eccessivamente sovraccaricata, ha -

forse- perso la sua ‘semplicità di parola originaria? Come uscire dalla difficoltà? Senz’altro una via

d’uscita si traccia se le parole originarie offrono ii paradosso di dimensioni apparentemente

inconciliabili. Dal ‘contrario’ dell’unità come ‘molteplicità’ sorge un orizzonte antinomico (non

logicamente risolvibile). La ‘chiarezza’ delle parole in genere, la loro debolezza ‘di misteribilità’ ne

fanno parole utilitarie, senza presa sull’umanità. Le parole consuete sanno classificare e isolare, le

parole-matrici uniscono in una trasparenza ‘parolizzata’. In essa si esprime la bellezza, quale

espressione che viene data dalla genialità dei poeti (bellezza di trasparenza di quello che c’è,

attraverso la parola, anzi attraverso le parole originarie). Le parole originarie, con questa

potenzialità poetica, diventano ‘salvatrici’ nell’esperienza umana. Si apre l’orizzonte ‘liberante’

della parola originaria, senza appropriazione credibile da parte di portavoce vari della

trascendentalità nella vita della comunità umana. La ‘bellezza’ sorgerà dalla ‘parola’ –magari

parola matrice- e non si affermerà come una ‘bellezza in se’ nella quale collocare anche le

‘parole’. Rahner rimane così fedele alla priorità della parola nella ‘Parola’ situando teologicamente

ogni estetismo nel prospetto della riflessione cristiana.

D.

L’ANTROPOLOGIA TRASCENDENTALE E LA

SALVAGUARDIA TEOLOGICA QUALE PROSPETTIVA

DELLA FEDE IN H. U. VON BAITHASAR

Tra le teologie ‘tipiche’ del nostro secolo e gli orientamenti di convergenza (cfr supra) si è

sviluppato anche un confronto più accentuato tra le correnti di salvaguardia e quelle di ri-

articolazione nell’ intento teologico attuale. Si potrebbe evocare il paesaggio seguente, nel quale

Rahner si afferma come punto di riferimento intermedio 1. Le riserve apparentemente sbilanciate

1 Cfr. La chiave di lettura del volume (in rete, qui sotto sul sito, cfr infra) di A. Joos

75

sulla prospettiva ‘antropologica’ rahneriana vengono mosse dallo stesso von Balthasar 1.

L’argomentazione è banale: l’antropologia riduce il divino all’umano! Considerando un ‘pericolo

per Dio’ ciò che viene articolato come multidimensionalità umana, tale timore ricorda stranamente

la posizione di chi avverte come ‘pericolo per l’uomo’ tutto ciò che viene riferito a Dio. La

‘trascendenza partendo dal mistero dell’uomo’ cerca di superare l’atteggiamento -ancora Un po’

‘adolescente’- del no a Dio, in favore dell’umano’ o ‘no all’umano, in favore di Dio’: gare infuocate

che rievocano giostre del passato... Si sa che Rahner non ha avuto verso von Balthasar la

meschinità che quest’ultimo si è permesso verso di lui. L’odio balthasariano si concentra sugli ‘atei

anonimi’: formula con la quale vuol fare impietosamente a pezzi quella dei ‘cristiani anonimi’ 2. Ma

TEOLOGIA DEL XX SECOLO

◎◎◎◎◎◎◎◎◎◎◎◎◎◎◎◎

SALVAGUARDARE O RIARTICOLARE

SALVAGUARDARE █ RIPROSPETTARE

PASSAGGI TEOLOGICI?

L’EREDITÀ SU DIO---------------------------------------------------------LINTERPENETRAZIONE UMANA

Teologia della gloria Teologia pluralistica

(H. Urs von Balthasar) (R. Pannikar, Knitter, Hick, Gr iffith, Samartha…)

QUALE RIFERIMENTO A DIO?

LA TOTALITÀ CRISTOLOGICA----------------------------------------------LA RI-IMPOSTAZIONE SU CRISTO

Cristocentrismo pan-religioso Cristologia esperienziale

(H. De Lubac) (E. Schillebeeckx)

QUALE CENTRALITÀ DI CRISTO?

L’INTEGRITÀ ECCLESIALE----------------------------------------------------IL DE-CENTRISMO ECCLESIALE

Teologia pan-ecclesiale Teologia trans-ecclesiale

(J. Maritain) (H. Küng)

QUALE RIARTICOLAZIONE DELLA CHIESA?

IL RICUPERO STORICO--------------------------------------------------------------LA RI-PROSPEZIONE ETICA

Teologia storiografica Teologie apocalittiche

(J. Daniélou) (Nuovi movimenti religiosi, Rozanov)

QUALE CONCRETIZZAZIONE CRISTIANA?

LA TRADIZIONALITÀ------------------------------------------------------------------L’ESPLORABILITÀ UMANA

Teologia dalla memoria Teologia dal profondo

(Teol. Ortodosse, (P. Ricoeur, tomismo (neo), Mascall) Drewermann, teol. fem.)

QUALE RIDISTRIBUZIONE DELL’ESPERIENZA UMANA?

1 F. Ardusso - C. Ferretti - A. Perone Pastore - U. Perone, Introduzione alla teologia contemporanea, Torino 1972, pp. 322: «La «svolta

antropologica», che Rahner ha proposto alla teologia, ha suscitato forti riserve da un late e appassionati consensi dall’altro. Oltre alle critiche

sopra accennate, ricordiamo ad esempio ii forte attacco mosso a Rahner da H. U. von Balthasar nell’opera Cordula. Con La sua svolta

antropologica Rahner non solo ridurrebbe l’amore di Die all’amore del prossimo, ma svuoterebbe lo scandalo della croce di Cristo e con esso

tutto il Cristianesimo (si veda H. U. VON BALTHASAR, Cordula, ovverosia il caso serio, Queriniana, Brescia 1968, pp. 91-103; 136-139). Non

ci sembra che Rahner meriti una tale accusa. Il vero e autentico amore per l’uomo non si può infatti opporre o distinguere adeguatamente,

secondo lui, dall’autentico amore per Dio. E ciò anche se Dio noi lo troviamo e lo possiamo amare solo nell’uomo, e in ultima analisi

nell’uomo Gesù, crocifisso per noi. A Rahner resta quindi l’indubbio merito di aver tentato di far vedere in concreto, coordinando La fedeltà

alle istanze fondamentali del tomismo con gli appetti di una filosofia di stile e linguaggio moderni, come sia possibile non contrapporre mai,

nel Cristianesimo, Dio all’uomo e l’uomo a Dio, La gloria di Dio e La salvezza dell’uomo, pur mantenendo l’assoluta trascendenza di Dio e la

radicale dipendenza dell’uomo. Per questo la sua teologia è ritenuta da molti come una delle più adatte a sorreggere il concreto incontro del

Cristianesimo con i problemi che assillano l’uomo moderno».

2 E. Grasso, Il pensiero di K. Rahner sul valore delle religioni non cristiane, in “Riflessioni Rh» 1984 n0 1, pp. 7-9: «In questi contesti

dell’ascolto della domanda profonda dell’altro e nella ricerca del dove il desiderio segrete del suo cuore lo porta, Mons. Rossano, in una

conferenza tenuta alla Pontificia Università Urbaniana, ricordava l’opera di M. Buber, citando dal romanze Gog e Magog La seguente frase: “Si

deve perdonare agli uomini se essi si scolpiscono delle figure dal viso sublime e bonario e se le pongono al posto di Dio ... Se noi vogliamo

condurli verso Dio non possiamo semplicemente scaraventare a terra i loro idoli, ma in ognuno di essi dobbiamo cercare di riconoscere quale

attributo divino aveva voluto raffigurare lo scultore; e poi, con arte e precauzione, dobbiamo trovare la via verso tale attr ibuto” (P. Rossano,

Acculturazione del Vangelo, Congresso Internazionale Scientifico di Missiologia, Pontificia Università Urbaniana, 5-12 ottobre 1975. Cito dal

testo distribuito in sala, pag. 8). La via verso tale attributo non d una scorciatoia o una rinunzia alla testimonianza o al martirio, se

necessario. Se fosse questo avrebbe ben ragione il Balthasar quando nel suo ‘Cordula” irride, nel suo sarcastico e tremendo capitoletto

“Quand le sel s’affadit”, sui cristiani anonimi ed alla teologia che vi è sottintesa (H. U. VON BALTHASAR, Cordula, Parigi 1967, 103-105). Una

pagina ingenerosa e forse superficiale in un teologo della grandezza e profondità del Balthasar, se non fosse che egli. in un impeto forse

profetico, polemizzava duramente non col Rahner ma con certi epigoni, assertori non d’un incontro con le culture ma forse, più

semplicemente, capaci solo di ridurre ii cristianesimo a quello che il Maritain chiamava, nello stesso periodo “inginocchiamento davanti al

76

sarà proprio anche dall’«anonimato» rahneriano che si coglierà –poi- l’apertura verso le altre

religioni dell’umanità (cfr infra, il paragrafo seguente, Rahner e la teologia pluralista) Da più parti

si è fatto sentire quanto poteva dispiacere l’operazione di denigrazione sleale del von Balthasar.

Ma la scorciatoia tra valorizzazione dell’umano e ‘anonimato’ ecclesiale fa vedere come il rigetto

prenda piena incisività con ‘l’anonimo-centrismo’ sul quale si fa pesare ogni sospetto. Il terrore di

una affiliazione ecclesiale meno drastica si percepisce in pieno. La riscoperta barthiana della

‘Parola’ e l’intenzione della Parola come “predestinazione” 1 permette di cogliere l’intento della

strategia globale di salvaguardia di von Balthasar: ‘passione’ di Barth per la purezza ‘immacolata’

della ‘sovrana Parola’ e ‘purezza immacolata’ di Bellezza non ‘ambiguizzata’... Barth e Balthasar si

incontrerebbero così da una piattaforma di ‘bellezza’ 2 delle loro mutue teologie, proprio nella

comune capacità di congiungere oggettività (di Dio) e passione di coinvolgimento teologico (certo,

‘oggettività’ assai assente nella sua aggressività contro Rahner). La ‘bellezza della predestinazio-

ne’ è una bellezza stabile net suo equilibrio da garantire con le equidistanze tra poli opposti... Non

sarà -forse- questa la ragione per la quale von Balthasar si è staccato (anche emotivamente) da

Rahner, il quale avrebbe messo questa bellezza “a nudo” net suo tentativo di liberare il vortice del

processo ‘trascendentalizzante’ dell’avventura umana, sciogliendo in questo modo sia la

‘salvaguardia’ sia la ‘predestinazione’? Ma anche von Balthasar deve poggiare, se non su una

predestinazione, almeno su una ‘precomprensione’ della bellezza ‘in me’ 3. Nel suo binomio, von

Balthasar ha già anticipato ii tenore della sostanzialità estetica: passione e obiettività! Ma rimane -

però- da vedere se la chiave della ‘perfetta bellezza’ sia meno segregante della ‘Parola’ nel senso

barthiano... Il momento di bellezza del von Balthasar troverà il suo momento di paragone

maggiore nel picco della 'cultura' estetica: l’Apocalisse 4. In essa sono manifestati e sono riportati

mondo” (J. MARITAIN, II contadino della Garonna, Brescia 1973, 86). Nella sopracitata conferenza Mons. Rossano non diceva dove deve

approdare la “ricerca del punto d’incontro”, ma indicava dove avrebbe dovuto inoltrarsi: “Nel terreno profondo dell’esperienza religiosa

fondamentale, là dove sorgono i supremi interrogativi esistenziali e metafisici, quella ricerca suprema di Assoluto che nell’ottica cristiana

appare come l’epifania della creaturalità dell’uomo e della sua esistenziale destinazione a Cristo” (P. Rossano, op. cit.). Parlare di

“esistenziale destinazione a Cristo” è già parlare il linguaggio di Rahner ed introdurci cosi nel concetto di “esistenziale soprannaturale”,

chiave di volta del pensiero del Rahner. E chiaro che ci muoviamo in campo teologico e non fenomenologico e che quindi ci avviamo verso

una etero-interpretazione e non verso una auto-interpretazione. In un dialogo leale dobbiamo sempre distinguere chiaramente i due

momenti e non possiamo gettare in faccia all’altro la nostra etero-interpretazione. Su questo piano non ci inoltreremo nel dialogo ma

arriveremo quanto prima allo scontro frontale, muro a muro, e se saremo riusciti a contare dci cristiani anonimi in più, saremo anche stati

contati tra gli “atei anonimi”, come il dialogo tra il cristiano ed ii commissario, nel citato capitolo del Cordula di Balthasar, sarcasticamente

sottolinea».

1 G. Cristaldi, Ritorno di K. Barth, in, «Vita e pensiero», 1985 n0 11, p. 63 (citato supra).

2 G. Cristaldi, Ritorno di K. Barth, in, «Vita e pensiero», 1985 n0 11, p. 64 (citato supra).

3 S. Zucal, La teologia della morte in K. Rahner, Bologna 1982, p. 73: «Von Balthasar si assume nell’ambito della teologia cattolica quel ruolo

di censore contro ogni intrusione indebita della filosofia nella teologia che già fu di Karl Barth per il protestantesimo (pur senza la radicalità

di quest’ultimo) (Cf Marranzini A., Presentazione, in Uditori del/a Parola, o. c., p. 15: «Karl Barth e con lui non pochi teologi protestanti

sostengono che la teologia deve partire sempre e solo dalla parola di Dio, mentre ii voler risolvere problemi teologici usando categorie

filosofiche sarebbe un’arbitraria imposizione di categorie umane a realtà divine»). All’opposto di ogni tendenza antropocentrica von

Balthasar, in una prospettiva contemplativa, preferisce evidenziare lo splendore della figura del Cristo (quelli che lui definisce gli aspetti

estetici della rivelazione), come la manifestazione e la celebrazione di un amore assoluto, cioè dell’amore intra-trinitario e dell’amore di Dio

per gli uomini fino alla mode. II Cristo come figura concreta dell’amore assoluto non ha bisogno n6 di mediazione né di strutture

aprioristiche nell’uomo; egli si giustifica di per sé «La figura che incontriamo nella storia d da se stessa convincente, perch6 Ia luce in cui si

manifesta brilla di luce propria e prova con evidenza di essere tale, irradiante dalla cosa stessa». (Balthasar H. U. VON, Herrlichkeit, vol. 1,

Einsiedeln 1961, p. 446, cit. da Geffré C., o.c., p. 49). In conclusione von Balthasar vuol ricordare ai teologi che è meglio lasciare che la

rivelazione parli da se stessa nella figura splendida del Verbo incarnato, piuttosto che cercare faticosamente e tortuosamente delle

condizioni preliminari di essa nella ragione umana» (a questo proposito Geffré (o.c., p. 50) propone una giusta considerazione che attenua la

drasticità dell’affermazione di von Balthasar: lo stesso von Balthasar non può fare a meno di una certa pre-comprensione: «Io colgo la

bellezza del mistero di Cristo solo rifacendomi a una norma della bellezza insita in me! ed è a motivo di questa affinità che ne percepisco la

credibilità»).

4 M. Cacciari, Chronos apocalypseos, in «Hermeneutica» 1983 n° 3, pp. 45-46 «L'apocalisse e il momento in cui il colmo dell'insecuritas si

rovescia in perfetta securitas, è consumazione di ogni insecuritas. Ma, più essenzialmente, questo simbolo dice il momento della completa

disperazione nei confronti della “cultura estetica”: cultura dell'Erkennen storicistico, cultura del sapere-dominio, comprehendere-begreifen,

tecnico-scientifico. Non si dà apocalisse che al culmine di questa cultura, allorché essa è percepita nel completo dispiegarsi delle sue

77

la radicale vanità della 'cultura' estetica. Rahner ‘de-positivizza’ La auto-contemplazione cosi

tipica dell’ecclesio-centrismo. Il rancore potrà essere anche tenace per una tale evacuazione di

autocompiacimento.

E.

DALL’«ESISTENZIALE TRASCENDENTALE» ALLA

TEOLOGIA PLURALISTA

Proseguendo dalla nostra chiave di lettura, la riarticolazione fondamentale della teologia

del XX-XXI secolo si imposta nella “teologia pluralista”, nel passaggio di secolo (vedere volume III,

“Salvaguardare o riarticolare”, parte I, sezione B). Si riprospetta il paesaggio teologico dalla chiave

comparativa tra le fedi religiose in una visione relazionale complessiva. La scommessa d’intuito

partirà dall’esame sulla relazionalità tra tutte le sorgenti religiose con Hick, P. Knitter, Griffiths,

Samartha, Dupuis, e Panikkar (cfr introduzione generale). Si proporrà un 'capovolgimento

copernicano' con l'approccio interculturale che vede in ogni religione una espressione diversificata

di apertura al divino. Non si tratta di una relativizzazione della fede ma una non assolutizzazione

della nostra conoscenza del 'mistero' 1. L’abbandono della antiquata unicità esclusivistica

universale cristiana in un mondo pluralista vede ogni assoluto come assoluto relazionale e non

assoluto di esclusione o di inclusione che farà ritrovare la visione incarnazionalista estesa

teocentricamente ad ogni espressività religiosa.

Quale è stato il ruolo ed il rapporto della ‘antropologia trascendentale’ con questa nascente

corrente? Non di rado si rimanda alla chiave del ‘cristiano anonimo’ per evidenziare l’apporto di

Rahner al prospetto ‘pluralista’ 2.

possibilità, della sua volontà di potenza. Volontà vana non perché fallimentare nelle sue intenzioni o naufragante, ma esattamente per il

motivo opposto: che essa è volontà di render-vano, infondare, sradicare. La confusione ovunque regnante tra apocalisse e catastrofe spiega

questa condizione con drammatica, immediata evidenza. L'apocalisse, in se disperazione per la scomparsa di ogni religio, scomparsa che

vanifica l'ente, è assunta a figura della vanitas, a impresa, quasi, della Melanchonia. Il pensiero chronolatrico del nihilismo fagocita il suo

opposto - nocciolo della negazione dialettica... Il “Ma” apocalittico - che rompe il continuum di Chronos - può risuonare soltanto in questa

disperazione. Non può inventare altre parole. Non può manifestarsi come stabile Festa, ex-statica rispetto alla vanitas della “cultura

estetica”». 1 R. Panikkar, Myth, Faith and Hermeneutics, New York 1979 pp. 4, 232, 242-243; R. Panikkar, Metatheology or Diacritical Theology, in

«Concilium», 1969 nº 46, p. 54; I quattro principi di Heschel del 1966 sono citati nel contesto del 25º anniversario di Nostra Aetate, in E. I.

Cassidy, Address for the Commemoration in São Paolo, in «Information Service», 1990 nº 77, p. 74; cfr M. Eliade - J. Kitagawa, The History of

Religions: essays in methodology, Chicago 1959; vedere anche R. Panikkar, The Interreligious Dialogue, New York 1978, p. 26; R. Panikkar,

The Unknown Christ of Hinduism (Completely revised and enlarged Edition), New York 1981, pp. 34, 69; R. Panikkar, The Invisible Harmony:

A Universal Theory of Religion or a Cosmic Confidence in Reality?, in L. Swildler, Towards a Universal Theology of Religion, New York 1987, p.

143; R. Panikkar, Action and Contemplation as Categories of Religious Understanding, in Y. Ibish - I. Marculescu, Contemplation and Action

in World Religions, London 1978, p. 102; Vedere i commenti sulle dichiarazioni superficiali del von Balthasar in proposito nella sua opera: H.

Urs von Balthasar, Cordula, Paris 1967, (cap. Quand le sel s’affadit ), di fronte all apertura di P. Rossano in Acculturazione del Vangelo,

(congresso di missiologia, Roma 1975), collegate a quelle di J. Maritain, Il contadino della Garonna, Brescia 1973, p. 86, in E. Grasso, Il

pensiero di K. Rahner sul valore delle religioni non cristiane, in «Riflessioni Rh» 1984 nº 1, pp. 8-9; cfr e. g. l’editto del re Asoka della Nubia,

in E. Hulzsch, Inscriptions of Asoka, Oxford 1925, vol. XIII; A. Soggin, Israele e le nazioni, in «Vita monastica», 1989 nº 51, pp. 59-62; P.

Stefani, Israele e le genti nella prospettiva cristiana contemporanea, ibidem, pp. 73-92; Cfr COLLOQUIO DI CAMALDOLI, Il nostro essere -

ebrei e cristiani sulla terra di tutti "Cercate lo shalom del paese" (Ger 29, 7), in «Vita monastica», 1990 nº 55; E. Toaff - M. Cunz - D.

Garrone, "Cercate lo shalom del paese" (Ger 29, 7). Meditazione a tre voci, ibidem, pp. 11-32; J.-P. Dassonville, Dossier, les religions

orientales: rencontre et dialogue. Point de vue d'un protestant évangélique, in «Unité des chrétiens», 1993 nº 91, pp. 8-9.

2 J. H. Wong, ANONYMOUS CHRISTIANS: KARL RAHNER'S PNEUMA-CHRISTOCENTRISM AND AN EAST-WEST DIALOGUE, in «Theological

Studies» 1994, n° 55, pp. 609-639, etiam in «Internet» 2011, www.ts.mu.edu/content/55/55.4/55.4.1.pdf (pdf page 609-610): «Rahner's

treatment of human beings' transcendental experience of the mystery shows special affinity to the nondual experience of the ultimate reality

common to Eastern thought. Although Rahner himself did not engage in the East-West dialogue, he fully acknowledged the mutually

enriching character of the dialogue and its important role in present-day theology. 1

In order that we may better appreciate Rahner's theory

of anonymous Christians, it would be helpful to situate his teaching in the context of different approaches in the debate. There have been

78

F.

RAHNER ED IL “CRISTO SOLO” BULTMANNIANO

CON LA SUA METODOLOGIA DI PURIFICAZIONE

CRISTOLOGICA

Dopo il livello fondamentale di dialogo tra le teologie tipiche del XX-XXI secolo, passiamo

all’ambito cristologico dei confronti, convergenze e riarticolazioni (vedere parte II, sezione A e B,

volume II, parte II, e volume III, parte II, sezione A e B). Con la dicitura “Cristo solo” si intende

evocare il prospetto di riscoperta cristiana del XX secolo, nello specifico intuito di R. Bultmann e

coloro che gli stanno attorno. In ambito cristologico vi sarà anche la corrente intermedia di

convergenza di cui O. Cullmann è un ispiratore (cfr volume II, parte II). Il cristocentrismo di

salvaguardia nella scia di H. De Lubac contrasterà con gli orientamenti di riarticolazione di sui E.

Schillebeeckx è un portavoce (cfr volume III, parte II, sezione A e B).

Si dice che Rahner è artefice di una certa ‘ristrutturazione della teologia’ senza perdere

niente della densità cristologica e superando schemi restrittivi, seguendo l’esempio stesso di

Rudolf Bultmamn 1. La possibile ristrutturazione del progetto teologico, partendo da un

rinnovamento cristologico sostanziale, costituisce la promessa più attraente di questa proposta. In

questo senso, egli non si limita a riprendere una ‘filosofia’, ma assimila fondamentalmente

l’operazione bultmanniana di “smembrare gli involucri che sovraccaricano il messaggio”, inse-

rendosi nel movimento della ‘riaffermazione incondizionata del mistero cristiano’. Peraltro, il

“concentramento cristologico” di Karl Barth rilancia trascendentalmente ciò che l’intuito

several attempts to classify the various positions according to some basic models. Peter Schineller, for example, distinguishes the different

views as ecclesiocentric, Christocentric, and theocentric. 2

Some theologians have made use of other paradigms for their classification, i. e.

exclu-sivism, inclusivism, and pluralism. 3 I find it useful to combine the two classifications by proposing the following paradigms with a

particular type of Christology attached to each: ecclesiocentric-exclusivist view with an exclusive Christology, Christocentric-inclusivist view

with a constitutive or a normative Christology, and theocentric-pluralist view with a nonnormative Christology. 4 Moreover, I shall present

one or two theologians as representatives of each paradigm».

((1) See Karl Rahner, "Aspects of European Theology," in Theological Investigations 21 (New York: Crossroad, 1988) 78-98, at 96-98. Rahner

states: "By taking foreign cultures into account along with the problematic areas they give rise to, European theology would not only do a

little advance thinking for those who are going to come later but it could also learn for itself and be enriched in the process" (96-97). / (2)

See Schineller, "Christ and Church," TS 37 (1976) 550. / (3) See Dupuis, Jesus Christ 105-10. / (4) Whereas Schineller classifies both

normative and nonnormative Christology under the theocentric view, I prefer to join normative Christology to a Christocentric view.) 1 B. Mondin, Il linguaggio teologico, Alba 1977, pp. 49-50: «All’esempio di Bultmann si richiamarono i primi teologi cattolici che si accinsero

a rinnovare la teologia e senza cadere nella soppressione di qualsiasi contenuto oggettivo e storico della figura di Cristo, hanno fatto ricorso

all’esistenzialismo per evidenziare più chiaramente il significato che la persona di Cristo e la sua opera hanno per la vita del cristiano. Il

tentativo più importante compiuto in campo cattolico per ristrutturare la teologia facendo uso della filosofia esistenzialista è quello del

gesuita tedesco Karl Rahner. Questi per un verso cerca di salvaguardare la densità ontologica del Cristo accogliendo pienamente la

definizione Calcedonense; per l’altro verso, propone un’interpretazione dell’atto di fede in Cristo secondo lo schema esistenzialista della

provocazione e della risposta» (Per il pensiero cristologico del Rahner si veda Saggi di cristologia e di mariologia, Edizioni Paoline, Roma

1965; Nuovi Saggi III, Edizioni Paoline. Roma 1969 e spec. “Gesù Cristo”, in Corso fondamentale della fede, Edizioni Paoline, Alba 1977 (Coll.

“L’Abside”), 237-412).

79

bultmanniano aveva voluto purificare fino all’estremo (Teologie a confronto, vol. 1, Sponde

lontane, pane I, I e parte II, 1). Nella ‘de-simbolizzazione’ (più che de-mitizzazione) di Bultmann si

ritrova qualche sorgente della ‘de-positivizzazione’ di Rahner: non prendere un ‘simbolo’ come un

assoluto mitico, ma re-immergere la simbolica nell’antropologia. Con questa sua capacità di

assimilazione, Rahner non ‘assorbe’ (diluisce prendendo quello che gli conviene) e non ‘addiziona’

(agglomerandovi) tutti gli elementi del pensiero bultmanniano. Anzi, egli ne vede chiaramente la

debolezza: la perdita di ogni appiglio e di ogni intensità antropologica viva. Non è da meravigliarsi

che l’interesse di Rahner si orienti verso intuiti che abbiano offerto delle proposte alternative a

quella del “Cristo solo” (vedere Teologie a confronto, vol. I, Sponde lontane, parte II, cap. 1) verso

quella della “cristificazione universale” (vedere ibidem, parte II, cap. 2). Se Rahner evita ciò che in

Bultmann potrebbe sembrare riduttivo, e non rifiuta - però - di adoperare una metodologia

convergente con quella bultmanniana, egli la trasformerà in “demitizzazione costruttiva” 1. La

demitizzazione costruttiva intenderebbe non soltanto indicare le analogie sbilanciate di un dato

contesto culturale odierno (ciò che non funziona più come ‘analogia’ nel nostro tempo), ma

tenterebbe -ulteriormente- di trovare ii punto di appoggio meno inadatto per pensare Dio nelle

prospettive interculturali di oggi.

G.

LA PAN-CRISTIFICAZIONE DI TEILHARD DE

CHARDIN E LA TRASCENDENTALITÀ NELL’UMANO

Con la teologia teilhardiana entriamo nel merito della verifica cristiana di credibilità per le

teologie del XX-XXI secolo. Questa chiave cristologica non si limita a riscoprire le radici profonde

del messaggio storico, essa vuole inoltre prospettarlo in una apertura cosmica con la “teologia

della pan-cristificazione” di Teilhard de Chardin 2. Anche qui, i terrori accusatori partono da una

ecclesiologizzazione della prospettiva: ‘la fede storicamente presente’ che si perde in favore di

una visione alla Gioacchino da Fiore (riciclata in Hegel) 3. La prospettiva della ‘evoluzione’ non è -

1 G. B. Sala, Una Summa di Karl Rahner: il “corso fondamentale sulla fede”, l’Introduzione al concetto di cristianesimo, in «Rivista del clero

italiano», 1977 n0 7-8, pp. 647-648: «Il merito principale della summa di Rahner sta senza dubbio nello sforzo di pensare a fondo la verità

del cristianesimo. Vorrei chiamare questo lavoro una demitizzazione costruttiva. Si può parlare di pensiero mitico in due sensi (i cui confini

evidentemente si compenetrano). Secondo il senso più abituale, pensiero mitico è il pensiero prerazionale nel quale l’immagine prevale sul

concetto, l’intuizione vissuta nell’autocomprensione dell’esistenza sul ragionamento oggettivato e articolato. Il programma contemporaneo

di demitizzazione degli esegeti e degli studiosi del fenomeno religioso ha di mira anzitutto questo primo senso di pensiero mitico. In un

senso più comprensivo si ha pensiero mitico per ii fatto stesso di usare rappresentazioni finite allo scopo di pensare Dio e, rispettivamente, i

misteri della fede. In questo senso parlare di pensiero mitico è dire che il pensiero umano su Dio è analogico. Riconosciuto questo statuto

epistemologico di ogni discorso teologico, resta ancora da eseguire il lavoro di individuare la base dell’analogia, di elaborare il processo di

affermazione, negazione, sublimazione, di trovare nel nostro contesto culturale il punto di appoggio meno inadatto per pensare Dio. È

abbastanza facile scoprire immagini e forme di pensiero che la tradizione ha usato per concepire i misteri cristiani, e che in diversa misura

non corrispondono più al contesto culturale di oggi. Ma se ci si ferma qui, si è fatta una demitizzazione solo negativa la quale non di rado

finisce per «interpretar via» la cosa stessa intesa dal pensiero mitico assunto al servizio della Rivelazione».

2 J. Sobrino, Christology at the Crossroads, op. cit., p. 23: «At a second stage of his thinking, Rahner was influenced by Teilhard de Chardin.

He asserted that humanity is waiting and hoping for some Omega Point that will take all history into itself and that even now gives it

meaning and direction. This Omega Point is the incarnation of Christ, which recapitulates all history. The reality of Christ is given a new

formulation, and Christ himself is seen as “the absolute bearer of salvation”».

3 Cfr M. Borghesi, Gioacchino e i suoi figli, in «30 Giorni», n0 3, marzo 1994, ripubblicato in AA. VV., Il cristianesimo invisibile. Attualità di

antiche eresie, Torino - Roma 1997, pp. 57-67: «De Lubac, per il quale «Teilhard non ha niente di gioachimita», non è qui di alcuno aiuto...

in una lettera del 1936 (Teilhard) osserva: «...si tratta non già di sovrapporre il Cristo al mondo, ma di “pancristificare” l’universo» ... Come in

Gioacchino... siamo qui di fronte... a una trans-interpretazione del cristianesimo. Da questa trans-interpretazione, che doveva portare tanta

parte del pensiero cattolico nell’orbita di Hegel.... troveranno la loro sistemazione le varie teologie della speranza, della prassi, della

rivoluzione, ecc... Dilaniata tra il futuro e il presente eterno, senza tempo... la fede perde in tal modo l’unico tempo reale, quello

80

per Rahner- un ‘fatto’ da integrare, ma una ipotesi nella sua ricerca teologica 1. Non mancherà la

denigrazione simile a quella che si usò nei momenti di infelice malinteso su Teilhard stesso 2 con

accuse di essere contraria alla ‘verità’, grazie ad alcune forzature critiche sul pensiero teilhardiano

3... Ma il legame con Teilhard si radica anche fino alla sua madre nel suo rapporto di correlazione

con il fratello Hugo 4. Sarà soprattutto nel modo di considerare la dinamica storica come un

storicamente presente. In questa perdita si manifesta oggi l’influenza di Gioacchino e, in parallelo, la dimenticanza di Agostino e della sua

visione realistica della storia»; vedere la strana affermazione di I. Sanna (cfr supra), in idem I. Sanna, La dimensione fondamentale della

teologia di Karl Rahner, (Giornata di Studio 4 dicembre 2004. A. Il percorso della teologia fondamentale in Karl Rahner), in «Internet» 2011,

http://www.unigre.it/struttura_didattica/teologia/documenti/fondamentale/ Sanna%20Rahner.pdf (pdf pages 24-25): «A ben guardare, la

cristologia rahneriana non sarebbe né più né meno che la cristologia evoluzionistica che Soloviev, fondandosi su Schelling, Hegel e Darwin,

ha presentato nel secolo scorso come il cristianesimo più moderno».

1 D. L. Gelpy, Ljfe and Light. A Guide to the Theology of Karl Rahner, New York 1965, pp. 39-40: «One would suspect that when Rahner

speaks of the incarnation as the ultimate goal of the creative act he is echoing not only the Christology of Duns Scotus but the evolutionary

theories of his fellow Jesuit Pierre Teilhard de Chardin as well. As a matter of fact, Rahner has taken pains to distinguish his own approach to

the problem of evolution from that of Teilhard even though there remains a certain kinship of spirit between them. For Teilhard evolution is a

fact to be integrated into the salvific scheme of things. For Rahner evolution is no more than a scientific hypothesis which is of interest to the

theologian insofar as it is not in contradiction with revealed truth. There is no question, of course, of attempting to show that the incarnation

is a strict product of natural evolution. To do so would be to fall victim to a false theological rationalism. But Rahner himself feels that the

theologian must not merely demonstrate the absence of any contradiction between evolutionary theory and revelation. He must also explore

their similarities and show possible points of contact between them».

2 P. C. Landucci, La teologia di Karl Rahner. La teologia di Karl Rahner Alle spalle del magistero, in «Studi teologici», 1978 (settembre) n0 213,

p. 679: «La concezione del Rahner è strettamente mutuata da Teilhard de Chardin, che postula Cristo come vertice ‘Omega’ della evoluzione

monistica cosmica e umana. (Rahner ha ignorato evidentemente che le affermazioni di Teilhard sono scientificamente fondate nel vuoto: tra i

due autori comunque si nota una notevole affinità nel procedimento discorsivo calzato da intuizioni astratte, nebulose, fantasiose e alquanto

gratuite.) Questa divino-umanità è il ‘vertice’ [l’Omega di Teilhard] più radicale della essenza umana»; in essa la storia dell’umanità “perviene

alla sua meta”; e insieme all’uomo vi perviene il mondo: «L’unione ipostatica non va vista, in primo luogo, come qualcosa che distingue Gesù

da noi, bensì qualcosa che deve verificarsi solo una volta, quando il mondo ‘comincia a entrare nella sua ultima fase, in cui deve essere

attuata la sua concentrazione’ definitiva [tipica concezione teilhardiana circa l’immanente principio cosmico della evolutiva, progressiva

‘concentrazione’ della materia verso successivi stadi della vita e del pensiero], deve raggiungere il suo ‘vertice’ definitivo e la vicinanza

radicale al ‘mistero assoluto’, detto Dio... inizio della divinizzazione del mondo, nel suo complesso».

3 P. C. Landucci, La teologia di Karl Rahner. La teologia di Karl Rahner Alle spalle del magistero, in «Studi teologici», 1978 (settembre) n0 213,

p. 680: «Quanto all”evoluzionismo, sorprende come, acriticamente Rahner si sia buttato nella linea di Teilhard de Chardin, di cui sono ben

noti la superficialità e gli apriorismi della sintesi filosofico-scientifica; sorprende come e gli lo creda veramente fondato nella scienza, cioè lo

ritenga veramente “confermato dai dati di fatto che le scienze naturali osservano sempre meglio e in maniera sempre più completa, tanto che

esse non possono fare altro che concepire un mondo in divenire in cui anche l’uomo compare un prodotto di tale mondo”: sorprende perché

ciò non corrisponde per niente alla verità. Crea disagio vedere con quale logica si sostengono affermazioni assiomatiche senza appello: a un

divenire ‘in genere’ è anche un ‘assioma’ fondamentale della teologia, per dare on qualche senso alla ‘libertà e responsabilità e al

compimento dell’uomo, ad opera delle sue attività: mentre l’evoluzione prodotta dalla libertà umana ha on proprio chiaro, specifico

significato che non implica per niente il “divenire in genere”».

4 F. Rizzi, Hugo Rahner Sacerdote gesuita. Testimoni («Avvenire»), in «Internet» 2011, http://www.santiebeati.it/dettaglio/95337: «Tornano

alla mente del professor Neufeld, un gesuita dai tratti gentili, già docente di Teologia a Innsbruck, la stessa università che formò e in cui

mossero i primi passi accademici i fratelli Rahner, e oggi direttore spirituale del seminario vescovile di Osnabrück, in Bassa Sassonia,

l’infanzia dei due fratelli. «Per uno strano caso della vita nell’autunno del 1921 ospite di casa Rahner fu Pier Giorgio Frassati – racconta padre

Neufeld –. Conobbe i due fratelli e prese lezioni di tedesco dal padre di Karl e Hugo. So che Karl Rahner rimase edificato dalla devozione e

attenzione alla preghiera in particolare alla recita del rosario di Frassati». Ma nell’album dei ricordi di Karl Neufeld affiora anche la figura

della madre dei fratelli Rahner, Luisa Trescher. «Una donna molto pia – annota – che ha influito enormemente sulla spiritualità dei due

fratelli. Morirà ultracentenaria, anni dopo la scomparsa nel ’ 68 di Hugo, su cui veglierà fino all’ultimo». E aggiunge: «Dopo il suo decesso i

suoi figli trovarono, tra le sue carte, un foglietto su cui ella aveva copiato a mano la preghiera di Pierre Teilhard de Chardin per ottenere una

buona morte. Karl, da sempre affascinato da questa figura di studioso, rimase commosso da questo fatto». Ma ad impressionare e a

sorprendere oggi, a quarant’anni della morte di Hugo Rahner, è certamente la sana competizione accademica che esisteva tra i due fratelli. A

questo proposito vengono alla mente di padre Neufeld alcuni aneddoti che descrivono la grande autoironia di Hugo Rahner nei riguardi del

fratello. «I due si misuravano ' sportivamente' sul numero di pubblicazioni realizzate nel corso degli anni. Una volta Hugo raccontò a un

gruppo di studenti di teologia: ' Quando nacque il piccolo Karl, nostro padre mi condusse presso la culla. Guardai a lungo quel brutto es-

serino. Poi mi alzai di scatto e dissi: Papà questo lo teniamo. Provate a pensare se non lo avessi detto! Il danno per la teologia e per voi

sarebbe stato incommensurabile!'». E prosegue divertito padre Neufeld: « Nel 1956 durante il Katholikentag di Colonia, a conclusione del suo

intervento sul tema ' La Chiesa forza di Dio nella nostra debolezza', Hugo fu avvicinato dall’allora arcivescovo di quella città, il cardinale

Joseph Frings, che gli disse: 'Lei è il fratello del famoso teologo Rahner' e lui ribatté divertito: 'No sono io il più famoso dei due fratelli' ».

Stelle polari della formazione di Hugo Rahner furono, nel corso di questi anni, studiosi di rango come Ludovico Von Pastor, Erich Przywara e

Romano Guardini. Anni in cui vennero alla luce i libri più famosi e riusciti del teologo e storico della Chiesa tedesco, conosciuti e apprezzati

anche dal ristretto pubblico di studiosi italiani, come Una teologia dell’Annuncio, Simboli della Chiesa. L’ecclesiologia dei padri, Ignazio e le

donne del suo tempo e Miti greci nell’interpretazione cristiana. Nel 1956 Hugo Rahner assieme al fratello Karl, sotto la sapiente direzione di

81

continuo divenire che si caratterizzerà la consonanza tra la prospettiva rahneriana e la proposta

teilhardiana 1. Non ci si limita a una sovrapposizione tattica del mondo “materiale” e “spirituale”

ma si guarda alla complessità del divenire. La complementarietà e l’ulteriore interdisciplinarietà

confermerà antropologicamente questo primo intuito. In questo senso, Rahner si situa realmente a

un ‘primo livello complessivo’ (in quanto teologia fondamentale) della ‘teologia del XX secolo’.

H.

RAHNER E LE CONVERGENZE CRISTOLOGICHE

NELLA CRISTOLOGIA SORICO-SALVIFICA ATTORNO

A CULLMANN

Come si vedrà in questo secondo volume, vi è anche a livello cristologico un orientamento

intermedio di convergenza, con diversi autori tra cui spicca O. Cullmann. La convergenza tra il

‘Cristo solo’ di Bultmann e la pancristificazione di Teilhard de Chardin si situa anche tra la

salvaguardia cristocentrica di H. De Lubac e la riarticolazione cristologica di E. Schillebeeckx (cfr

volume III, parte II, sezione A e B). Per Rahner, la possibilità rivelativa si trova nella ‘incarnazione’

di Cristo come ‘parola’ 2. La ‘fondamentale importanza’ di Cristo nasce dalla Sua ‘parola’ nella

‘storia’. Si capovolge l’approccio tante volte ripetuto sulla ‘unicità’ di Cristo partendo dalle

preoccupazioni sulla ‘erosione della Chiesa’: un altro accenno di ipnosi ecclesiologica (da parte di

prelati versatili nelle loro convinzioni e scelte, sempre pronti a tornare a schemi passati) 3. Rahner

esce certo da questi tipi di cristomonismi proprio nell’uscire dal tenore sulla perdita di superiorità

de-relazionata da ogni altro intuito ‘ultimo’. Tale relazionalità ci viene talvolta suggerita in modo

meno traumatico da altri prelati più accorti, che seppero riconoscere –al di là della ‘non

Agostino Bea, collaborò alla stesura e al successivo commento dell’enciclica di Pio XII, dedicata al Sacro Cuore di Gesù, la Haurietis Aquas.

Vero punto di svolta per la vita di Hugo fu l’incontro in Francia con i maggiori rappresentanti della Nouvelle théologie».

1 R. P. McBrien, Catholicism, Minneapolis 1980, p. 474: «On the other hand there is an essential difference between matter and spirit.

Influenced also by Teilhard de Chardin, Rahner argues that the whole historical process involves a movement from lower to higher, from the

simple to the complex, from unconsciousness to consciousness, and from consciousness to self-consciousness. Everything is in a state of

becoming, and becoming is a process of self-transcendence, and self-transcendence is possible because God is present to life as the

principle of growth and development».

2 E. Coreth, Presupposti filosofici della teologia di Karl Rahner, in «La civiltà cattolica», 1995 n0 3469, p.36: «Un primo problema di questo

tipo si trova in Hörer des Wortes. Si tratta della domanda: a partire dalla costituzione a priori dello spirito finito che è lo “spirito nel mondo

umano”, quindi spirito nella storia, pub esser mostrato ed esigito il poter-udire una parola da Dio, lo stare teso all’ascolto di una possibile

parola della sua rivelazione nella storia umana? La questione circa la possibilità di una rivelazione di Dio e del l’ascolto da parte nostra di una

sua parola nella storia non precede già la realtà della rivelazione storico-salvificamente emanata? Posso io anche solo porre la questione

sulla possibilità di una libera auto-notifica di Dio prima che essa sia realmente emanata nella storia? La questione presuppone già che Dio si

sia rivolto a noi mediante la sua Parola nella storia e ci abbia resi atti all’ascolto della sua Parola. Innanzitutto, a seguito di questo, noi

potremmo interrogarci sulle condizioni di possibilità dell’essere «uditori della parola», problema di cui Rahner stesso, del resto, era

assolutamente cosciente. Questo conduce a un’ulteriore domanda che concerne ancor più profondamente ciò che è in senso proprio

teologico. A partire dalla sua istanza filosofico-trascendentale, Rahner si era sforzato di trovare un a priori teologico anche per la fede e la

sua esplicazione. Egli lo ravvisa in Gesù Cristo, nell’incarnazione della Parola divina in forma umana. In Lui Dio stesso ci incontra come uomo

nella storia e opera la nostra salvezza mediante la sua opera redentrice. Rahner riprende questi pensieri ancora nel Corso fondamentale sulla

fede sotto il titolo “Cristologia trascendentale”. Che Cristo abbia questa fondamentale ed eccezionale importanza per la nostra fede è fuori

discussione».

3 Cfr l’argomentazione e. g. In L. Brunelli, II nemico? La religione?. Intervista al cardinale G. Danneels, in «Il Sabato», 21 dicembre 1991

(ripubblicato in AA. VV., II cristianesimo invisibile. Attualità di antiche eresie, Torino-Roma 1997, pp. 13-15): «Negli anni sessanta anch’io

pensavo che la nostra strategia pastorale dovesse affrontare un uomo totalmente secolarizzato, senza motivazioni religiose... Trent’anni

dopo quest’uomo non è venuto... Io sono profondamente convinto che siamo davanti a una erosione, interna alle Chiese, dello specifico

cristiano. Ho presente tre gravi riduzioni... La prima è il dubbio sull’unicità di Cristo... Terza grave erosione interna: il teismo... Si, Dio

separato da Cristo...».

82

apparizione dell’essere umano radicalmente secolarizzato l’avvento della sensibilità interreligiosa

nel pluralismo 1.

La via intermedia di O. Cullmann, che torna al Cristo della storia e con Käsemann che re-

focalizza tutta la storia: ‘Historie e Geschichte’, dopo la cristologia implicita, indiretta

(Conzelmann), o in nuce (Schlier) della continuità tra il Gesù storico e la Chiesa (E. Fuchs), pure se

storia e interpretazione sono ancora separate (con Ebeling superato in Gadamer), inclusi i non

bultmanniani come J. Jeremias e P. Althaus insieme a Buss, che professano la radicale separazione

della storia della salvezza e della storia profana (cfr supra, la nostra chiave di lettura nella

introduzione generale).

I.

UN ALTRO MODO DI IMPOSTARE IL RIFERIMENTO

ECCLESIALE. IL LIVELLO ECCLESIOLOGICO DEL

DIALOGO INTER-TEOLOGICO CON LA

RIAFFERMAZIONE SOBORNOSTICA DEL MISTERO

ECCLESIALE DI FRONTE A RAHNER

Il terzo livello di dialogo tra le teologie del XX-XXI secolo –dopo la riscoperta di Dio e di

Cristo- raccoglie la notevole riflessione ecclesiologica odierna, tanto che potrebbe sembrare

difficile individuare in essa delle linee maggiori di originalità specifica che si affermano come

orientamenti-guida. La ricerca rahneriana ha indubbiamente un suo prospetto ed intuito

ecclesiologico 2. Dalla chiave di lettura del pensiero teologico recente, la riaffermazione della

Chiesa come mistero è senz’altro una chiave riconosciuta (cfr l’introduzione generale). Per

l’antropologia trascendentale, il mistero presente nell’umano ha di certo una priorità di richiamo,

ma non nel senso strettamente ‘ecclesiologico’ (cfr supra). L’interrogativo su ‘chi sono e debbano

essere i cristiani’ (anche in senso ecumenico ed inter-religioso) si è spostato verso quello che era

la questione vitale degli autori ‘di sorgente’ della teologia del XX secolo: mettendosi in presenza

della questione più ampia ‘quale è il richiamo che troviamo, da cristiani, sulla nostra strada’ 3.

1 R. Etchegaray, Intervention à la Conférence internationale sur la paix et la tolérance, in «La documentation catholique», 1994 n0 2090, pp.

279-280: «Pour être croyant à l’âge du pluralisme religieux, il faut apprendre à penser 1’absolu dont un croyant se réclame légit imement

comme un absolu relationnel et non comme un absolu d’exclusion ou d’inclusion. L’apprentissage le plus dur et le plus urgent qui nous est

demandé est de concilier l’engagement absolu qu’implique toute vraie démarche religieuse et l’attitude de dialogue et d’ouverture à la vérité

des autres. Le vrai dialogue avec autrui doit renvoyer chacun à sa propre identité!».

2 Cfr e. g., R. Lennan, The Ecclesiology of Karl Rahner, Oxford 1997, 304 pp.

3 L. Malcolm, Theological Freedom and the Therapy of Faith: Thinking with and beyond Karl Barth and Karl Rahner, in «Internet»1997,

http://apu.eduPCTRF/papers/1996-papers/malcolm.html, p. 1 (screen page): «An important trend in recent theology and ethics has been a

tendency to avoid universalizing categories and instead focus on culturally specific and historically local descriptions of experience. Indeed,

in a recent survey of trends in Christian ethics, Ronald Green has noted three emphases: a focus on what is distinctive or unique to Christian

ethics, the importance of non-rational or affective and volitional elements in the moral life, and the centrality of having these elements

shaped by one’s participation in local Christian communities (Ronald Green discusses these three trends in “The Journal of Re ligious Ethics,

1973-1994,” Religious Studies Review 21:3 (July 1995), pp. 180-185). Stanley Hauerwas’ work is an exemplar of this trend (See, among

others, Stanley Hauerwas, Vision and Virtue: Essays in Christian Ethical Reflection (University of Notre Dame Press, 1974); A Community of

Character: Toward a Constructive Christian Social Ethic (University of Notre Dame, 1981); and Christian Existence Today: Essays on Church,

World, and Living In Between (Durham: Labyrinth Press, 1988)). Concerned not so much with the question of what Christians should do, he

focuses on the question of what kind of people Christians should be. In his view, the truth that constitutes Christian identity is intrinsically

83

Sarebbe una conferma della necessità per l’intento teologico di contestualizzare bene le priorità

rahneriane, tra coloro che intraprendono vie parallele o convergenti di ricerca o meglio di

focalizzazione nella ricerca. Sarà forse a questo livello che troviamo meno spazio rahneriano, dalla

riscoperta della Chiesa come «sobornost’» alla conciliarità accolta come dinamica riconciliativa dal

Consiglio ecumenico delle Chiese nel 1975 (cfr Teologie a confronto, vol. I, pane III, cap. 1)?

Visibile o invisibile, il nucleo vivo dell’umanità -che dà senso a tutto- è la conciliarità ecclesiale, la

quale anima l’intera dinamica umana. Questa qualità ecclesiale esiste aldilà di ogni ambiguità delle

comunità cristiane o delle tracce cristiane lasciate nel corso dei secoli. In qualche modo, la storia

segue un cammino di ecclesificazione mistica nel profondo del suo proprio itinerario. Ci siamo

fermati più particolarmente all’intento bulgakoviano (come corrente di riscoperta ecclesiologica

tipica del XX-XXI secolo). Più che J. Meyendorff, o A. Schmemann, o più specificatamente che O.

Clément, S. Bulgakov ha saputo riassumere la densità di questo orientamento. La linea di

conciliarità tracciata da S. Bulgakov, ulteriormente sarà seguita da Y. Congar alla conciliazione del

‘noi’ in H. Mühlen. Certo, la carica mistica del prospetto ecclesiale slavofilo potrebbe confermare la

non priorità della focalizzazione ecclesiologica nel prospetto teologico di Rahner. Eppure, il taglio

prettamente pneumatologico dell’intento rahneriano permette di recepire questa riscoperta della

Chiesa come ‘insiemità’ come partecipe della ‘insiemità’ dell’umano e dello trascendentale

nell’intento intermedio tra teologia fondamentale ed ecclesiologia dal mistero 1. La riaffermazione

della priorità ecclesiale non sarà un intento di stampo meramente istituzionale.

J.

L’ANTROPOLOGIA TRASCENDENTALE, CHIAVE DI

SECOLARIZZAZIONE?

La corrente di verifica sulla Chiesa nel mondo di oggi sarà ampiamente presente nella

riflessione teologica del XX-XXI secolo. Abbiamo individuato nella chiave di approfondimento di D.

Bonhoeffer la soglia della ‘teologia della secolarizzazione’ che si distingue dalla ‘teologia radicale’

in quanto al livello teologico di dialogo –non più ‘fondamentale’ ma nell’interrogativo tra Chiesa e

società (cfr l’introduzione generale). Essa ha suscitato più che ogni altra le reazioni

‘ecclesiologiche’ per lo sfaldamento che si pensava potesse determinare riguardo alla compattezza

ecclesiale ed ecclesiastica. Rahner rinvierà l’intento ‘a monte’ di questa polemica e, nel senso

bound to the practices - the skills and “knowing how” -that are cultivated within Christian communities. Hence, he focuses on how Christian

identity is shaped and constituted by the narrative of God’s action in Christ, as that story is remembered and interpreted within the church.

These emphases stand in sharp contrast to those of a previous generation of theologians (e.g., Paul Tillich, the Niebuhr brothers, Karl Barth,

Karl Rahner, and Bernard Lonergan) (See, e.g., James Gustafson, Protestant and Roman Catholic Ethics: Prospects for Rapprochement

(University of Chicago Press, 1978)). Appropriating existentialist or personalist frameworks, these theologians tended to work with categories

that stressed the tension between such polarities as individuation/participation, the absolute/conditioned, and freedom/destiny (For a

discussion of these categories, see Paul Tillich, Systematic Theology. vol. 1 (University of Chicago Press, 1967)). Although they recognized

the reality of historical consciousness, these thinkers were primarily concerned with the grounds for making normative criticisms. Indeed,

much of the contemporary shift to particularity and Christian uniqueness can be seen as a reaction against the more abstract and

universalizing tendencies of this previous generation. In light of the contrast between these approaches, the question can be raised: Is it

possible to deal with the unconditioned, and therefore the normative, universal, and absolute dimensions of Christian ethics, while still

recognizing both the distinctive claims of Christian faith and the important role practices and communities play in shaping moral identity?

This question has profound implications for thinking through the rationale for any immanent critique of Christian ethical judgment. It also

has implications regarding the possibility of making ethical arguments, on theological grounds, for publics larger than one’s own Christian

community - for example, other Christian communities, other faith communities, and even other approaches to the study of ethics than the

theological (e.g., the philosophical or social scientific)».

1 F. LeRon Shults - A. Hollingsworth, The Holy Spirit, Grand Rapids – USA 2008, pp. 83-84, etiam in «Internet» 2011,

http://books.google.it/books?id=Byt7D1Tl0ZYC&pg=PA83&lpg=PA83&dq=Rahner+and+Bulgakov&source=bl&ots=9hNvBLps4y&sig=dCXv

Ny1QoJ2IigfJIKK4q_4i9SM&hl=it&ei=8paRTbeGPI3dsgbBxZXQBg&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=2&ved=0CBsQ6AEwAQ#v=onepa

ge&q=Rahner%20and%20Bulgakov&f=false.

84

gogartiano (alla Gogarten), vedrà nella Incarnazione il senso pienamente ‘umano’ della storia,

aprendosi ad una storia autenticamente universale nella quale l’umanità prende in mano il suo

destino 1. Non si tratta di un’altra ‘epoca’ complessiva che comincia accanto alla storia per conto

suo, ma di una pienezza trascendentalizzante offerta in modo “secolarizzato” all’umanità stessa.

K.

L’ECCLESIOLOGIA ECUMENICA E LA VIA

INTERMEDIA DELL’«ESISTENZIALE

TRASCENDENTALE»

Congar stesso afferma il fascino che ha esercitato la prospettiva ecclesiologica su di lui 2. II

suo ispiratore sarà J. A. Möhler 3. Tra i teologi di chiaro orientamento ecclesiologico ecumenico, si

cita ovviamente Visser t Hooft, L. Vischer, Le Guillou, E. Lanne, O. Clément e D. Popescu, L. Sartori,

Y. Congar che rappresenta la svolta ecclesiologica più significativa perché maggiormente urgente

nell’ambito cattolico (dalla prospettiva di J. A. Möhler) ispiratore decisivo della centralità dell

impegno ecumenico, chiudendo anticipativamente i 'dubbi' su Lutero (con J. Lortz, J. Hessen, H.

Jedin, J. Weijenborg…)… Con Rahner, egli condivide i primi passi (ed oltre) del lavorio conciliare

nel Vaticano II, con la consapevolezza di tutte le incertezze da affrontare 4. Che cosa si propone

Congar a livello delta sua ricerca di convergenza nella linea della visione dell’intreccio

trascendentale ed umano alla Rahner? Anche qui, la convergenza sorge da una comune priorità

1 L. Roberts, The Achievement of Karl Rahner, New York 1967, pp. 97-98: «On the other hand, in the light of the eschatological

understanding of salvation history, the Incarnation should be seen as founding an inner-worldly epoch. This means that we can look at

Western history after Christ and the coming of interplanetary history whose beginning we are just now experiencing as something which will

add to our control of nature (and need not fall into a communistic utopianism), as something moving toward the proper destiny of man,

wherein man and his life achieve actively, not just contemplatively, self-presence, allowing the world to become present to itself really and

aesthetically. Rahner says that we can view this new space epoch as wholly grounded in Christianity, because only through Christ can the

ultimate transcendence of spirit in grace be formed into an absolute difference. Rahner and Friedrich Gogarten come to identical conclusions

regarding the matter of the secularization of history. From such a viewpoint it is perfectly reasonable to consider the Incarnation as the real

start of the wholly human epoch».

2 Y. Congar, Sainte Eglise, Paris 1964, p. 552: «Bien des fois déjà...j’ai eu l’occasion de noter que le mouvement actuel de l’ecclésiologie

représentait, comme tout le mouvement de la pensée catholique contemporaine, un mouvement d’intégration, sur la base d’un retour aux

grandes sources de la pensée chrétienne. Il s’applique à retrouver, au-delà d’une considération trop exclusive de la réalité humaine et du

mode terrestre de l’Eglise, une vérité plus profonde et plus totale. Sans rien nier du rôle de la méditation hiérarchique, sur laquelle notre

époque a vu paraître le grand livre de l’abbé Journet... on cherche à rendre au mystère de l’Eglise toute sa dimension divine et humaine.

Toute sa dimension divine par 1’affirmation et la mise en lumière de son rapport intime au Christ, du rôle déterminant et sans cesse actuel

du Saint-Esprit, de la primauté de grâce; toute sa dimension humaine par la mise en valeur de 1’activité du corps total des fidèles, du rôle

cultuel et apostolique de ceux-ci, de leur réalité pleinement ecclésiale«; cfr idem, Chrétiens en dialogue. Contribution catholique à

l’œcuménisme, Paris 1964, p. XLII.

3 Y. Congar, Johann Adam Möhler: 1796-183 7, in “Theologische Quartalschrift», 1970, s. 50-51: cfr. T. I. MACDONALD, The Ecclesiology of

Yves Congar Foundational Themes. London 1984, p. 27: “Möhler can even today be an animator. That is what he was for me for more than

forty years”; cit Ch. Macdonald, Church and World in the Plan of God. Aspects of History and Eschatology in the Thought of Père Yves Congar

o. p.. Frankfurt 1982, p. 10; cfr. etiam Y. Congar, La pensée de Möhler et l’ecclésiologie orthodoxe, in «Irénikon», 1935 n0 3, pp. 32 1-329;

idem, L’Eglise de Saint Augustin à l’époque moderne, Paris, 1970, pp. 4 19-423; idem, Lumen gentium n0 7 L’Eglise Corps mystique du

Christ vu au terme de huit siècles d’histoire de la Théologie da Corps mystique, in, AA. VV., Au service de la Parole de Dieu. Mélanges offerts

à Mgr André Marie Charue, Gembloux-Paris 1969, p. 9; idem, Note sur l’évolution de la pensée de Möhler dans: «Revue de Spiritualité et de

Tédologie», 1938 n0 28, pp. 205-212; idem, Préface, in A. Gratieux, Le mouvement slavophile à la veille de la Révolution, Paris 1953, p. 15:

«...Möhler est tout le contraire d’un modernisme avant la lettre»; idem, Rapprochements entre Chrétiens: redécouverte catholique, in, «Vers

l’unité chrétienne», 1951 n0 29, pp. 2-5.

4 INTER MULTIPLICES UNA VOX, DOCUMENTI, Il Concilio giorno per giorno. Terza sessione: 14 settembre 1964 - 21 novembre 1964, IN

«Internet» 2011, http://www.unavox.it/doc89b.htm: «20 aprile 1964 Dei vescovi e degli esperti facenti parte della commissione teologica si

riuniscono a Roma allo scopo di rivedere lo schema sulla Rivelazione. Fra di essi vi sono: mons. Charue (Namur), il rev.mo dom Butler, i Padri

Grillmeier, Semmelroth, Rahner e Congar. Fu una fortuna per i liberali, poiché il padre Rahner e mons. Schröffer (Eichstatt) pensavano che

non vi fosse alcuna speranza di modificare lo schema iniziale. Le cose erano cambiate di molto, poiché l’Alleanza Europea era riuscita a far

eleggere 4 membri supplementari nella comissione teologica, all’inizio della seconda sessione (cf. 21 novembre 1963)».

85

data alla pneumatologia 1. Egli ci offre un esame ‘storico’ della vita ecclesiale nelle sue peripezie

ecumeniche per vedere in quale misura esiste nell’itinerario ecclesiale ‘una storia sola’ o ‘«due»

storie’. In quale senso? Si potrebbe -chissà- rispondere così se Rahner ‘discerne’ delle potenzialità

cristiane, dentro la storia unica, e se la cristologia realista insiste sulla ‘storia della salvezza’ qui si

esamina pacatamente, tra i fatti della storia, quali siano state le ‘scelte’ delle Chiese: scelte di

‘pura salvezza’ o scelte ‘secondo criteri umani’? La chiave della ecclesiologia ecumenica presenta

proprio questa particolarità di aver potuto sottolineare come i passi ecclesiali sono stati in parte

percorsi a modo di storia umana ed in parte a modo di attuazione della salvezza divina.

L.

LA SALVAGUARDIA ECCLESIOCENTRICA E

L’ANTROPOLOGIA TRASCENDENTALE

Le radicalizzazioni teologiche hanno accompagnato il percorso teologico del XX-XXI secolo

dal suo inizio, pur integrandosi nel paesaggio delle teologie tipiche del nostro tempo. Apparirà

anche l’indurimento dell’ecclesiocentrismo. Diversi autori si iscrivono in questo intento, da R.

Guardini (docente predecessore di Rahner) nella preoccupazione specifica di non perdere niente

dell’eredità ecclesiale, a G. Marcel, all’articolazione di M. Schmaus, o di Giussani, cominciando

dalla figura di Maritain -inizialmente discepolo di Bergson- che appare come l’antimoderno a tutto

campo. Le varie ecclesiologie autocentrate contano molti altri affiliati più o meno espliciti (cfr

infra, volume III, parte III, sezione A). Maritain e Rahner si ritrovano nella loro mutua conoscenza di

S. Tommaso d’Aquino e nella loro specifica visione e valutazione del neotomismo 2. Si riuscirà, da

parte di certi prelati oltransisti di criticare parallelamente Maritain e Rahner per il loro interesse

verso la modernità 3.

1 W. Knoch, Dio alla ricerca dell'uomo: rivelazione, scrittura, tradizione, Milano 1999, 260 pp., etiam in «Internet» 2011,

http://books.google.it/books?id=9fYxkRcGA2sC&pg=PA250&lpg=PA250&dq=Rahner+and+Congar&source=bl&ots=h_JMDngZCK&sig=XGC

x-RConRC88ApXwKifA2dlIBQ&hl=it&ei=1veSTZnFK4rAswaHzZDQBg&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=6&ved=0CDcQ6AEwBTgK#v

=onepage&q=Rahner%20and%20Congar&f=false (screen pages, pp. 247-252).

2 D. A. Ollivant, Jacques Maritain and the many ways of knowing, Washington 2002, 330 pp. (cfr pp. 67-68); etiam in «Internet» 2011,

http://books.google.it/books?id=edXRIxIyc3wC&pg=PA67&lpg=PA67&dq=Rahner+Maritain&source=bl&ots=jeo_CvSRTX&sig=HhbsVV3T9W

_MRkavita7Dmf_PPU&hl=it&ei=8kWUTa7oKsPBswbc3ZjHCA&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=1&ved=0CBgQ6AEwAA#v=onepage&

q=Rahner%20Maritain&f=false.

3 G. Cavalcoli, Maritain e il Cardinale Siri, in «Riscossa cristiana. Sito cattolico di attualità, cultura, ecc…», in «Internet» 2011,

http://www.riscossacristiana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=654:maritain-e-il-cardinale-siri-di-p-giovanni-

cavalcoli&catid=61:vita-della-chiesa&Itemid=123: «Siri, dal canto suo, più attento del Maritain al valore della tradizione, vedeva non senza

qualche ragione nel progressimo cattolico, e in particolare nel Maritain, un coinvolgimento eccessivo nel dialogo con la modernità, col rischio

di sottolineare talmente l’autonomia del temporale, da farne quasi un polo per conto proprio separato dalla sfera superiore dei valori

soprannaturali ed ultimi della vita del cristiano. Il Cardinale esprime questa sua preoccupazione nel suo famoso libro Gethsemani del 1980,

dedicato alla denuncia della tendenza modernista verificatasi dopo il Concilio, libro nel quale egli accompagna ad una giusta critica a Rahner

e de Lubac, anche una critica al Maritain, dove viceversa a mio giudizio Siri non mostra di aver veramente compreso il filosofo francese

accusandolo del suddetto dualismo, quando invece, per la mia lunga conoscenza del pensiero maritainiano, non avrei alcuna difficoltà a

dimostrare (cosa impossibile nella brevità di questo articolo) che il Maritain, alla luce del pensiero tomista e degli insegnamenti sociali della

Chiesa, sui quali si fondava, ci insegna proprio il modo per evitare quel nefasto dualismo e realizzare un “umanismo integrale”, nel quale

l’impegno cattolico per il bene comune temporale è perfettamente ordinato al conseguimento delle finalità soprannaturali della vita

cristiana».

86

M.

RAHNER E L’ECCLESIOLOGIA RIARTICOLATA DA

CAPO A FONDO DALL’AZZARDO DI H. KUNG

Una opinione abbastanza consueta ascrive ad H. Küng una dipendenza da K. Rahner, con

l’intento di rendere più estrema la posizione della antropologia trascendentale a livello inter-

religioso 1. L’atteggiamento critico di re-prospezione ecclesiologica ad opera di H. Küng spingono

sempre più in là le aperture ed i validissimi contributi degli esponenti del movimento ecumenico.

Da A. Bühlmann a tanti altri autori, un ricchissimo approfondimento si sta sviluppando.

N.

LA RISCOPERTA DELLA GENUINITÀ ORIGINARIA

CRISTIANA NELLA STORIA DALL’ECCLESIOLOGIA

EUCARISTICA E LA VISIONE ANTROPOLOGICA

TRASCENDENTALE

Il quarto livello di dialogo inter-teologico ci porta alla tanto trattata ‘storia’ nel prospetto

cristiano del 2° millennio, particolarmente in occidente. La purificazione dell’intento storico si

delineerà nella rigenerazione della ecclesiologica eucaristica. La discussione si muove sulla

genuina espressività cristiana dall'eucaristia: N. Afanas’ev, con J. Zizioulas, J. Meyendorff, A.

Schmemann, e meno direttamente J.-M. Tillard o J. Rigal (con la dicitura di ecclesiologia di

comunione) o anche H. Mühlen, chiariscono il confronto tra 'oriente eucaristico' e 'occidente

1 E. Grasso, Il pensiero di K. Rahner sul valore delle religioni non cristiane, in «Riflessioni Rh» 1984 n0 1, pp. 18-19: «Alcuni teologi

(soprattutto H. Küng) diedero espressione radicale alle tesi di Rahner, ad esempio sostenendo che il cristianesimo è via straordinaria di

salvezza rispetto alle altre religioni che costituirebbero delle vie ordinarie” (L. Sartori, Teologia delle religioni non cristiane, in AA. VV.,

Dizionario teologico interdisciplinare, III, Torino 1877, 409). Adesso ogni giudizio di tal fatto, al di là del suo valore teologico, pecca di

astrattezza ed applica una tesi ad una realtà che di per se non Si presta ad un giudizio univoco. Se il rapporto non con “la religione non

cristiana” ma con le religioni non cristiane, espressioni non univoche e non facilmente riconducibili ad unità (e qui va sottolineata tutta

l’importanza d’un esame storico e della conoscenza dell’auto-interpretazione ad evitare giudizi “falsi ed offensivi” riduttivi del fenomeno

non-cristiano esaminato, come dello stesso fenomeno cristiano) (P. Rossano, Il problema teologico delle religioni, Catania 1975, 33-34),

dobbiamo allora ben guardarci da giudizi che vedono “semplicemente le religioni non cristiane come vie di salvezza e sacramenti di

redenzione per i loro seguaci. Una affermazione cosi globale e totalizzante non si addice neppure al cristianesimo considerato come forma-

zione storico-culturale. Parrebbe quindi doveroso limitarsi ad affermare che le religioni non cristiane dove e nella misura in cui obiettivano

ed esprimono storicamente qualcosa della luce del Verbo, si possono ritenere depositarie di una certa illuminazione divina e come tali guide

a Dio e strumenti provvidenziali di salvezza. Quando invece e nella misura in cui esprimono la chiusura dell’uomo a Dio, esse si sottraggono

alla offerta dell’economia della salvezza e vengono giudicate e rimosse da Cristo e dal suo Vangelo”».

87

universalistico', dall'esperienza della diaspora ortodossa (cfr infra). Ovviamente, a parte la

specificità dell’ecclesiologia eucaristica, sia la teologia della «sobornost’» sia quella intermedia o

‘ecclesiologia ecumenica’ avranno legami di sintonia al di là della dialogica che si intreccia tra tutti

gli orientamenti. Quasi come per la prospettiva di conciliarità, anche quella ecclesiale-eucaristica,

dalla diaspora stessa sembra subentrare meno nella dinamica di dialogo ove Rahner si è

maggiormente dedicato ad aprire e liberare l’intuito, eppure il riferimento alla “diasporizzazione”

cristiana entra implicitamente nell’orizzonte rahneriano. (cfr. Teologie a confronto, vol. 1, parte IV,

cap. 1). La questione complessiva della storia odierna rimane però al primo piano della sua

attenzione. La specificità eucaristica della Chiesa locale nella priorità di Afanas’ev e Meyendorff (la

Chiesa universale è cattolica nella misura in cui ‘sussiste’ nella Chiesa locale, che si ribalta

nell’approccio di Rahner e Ratzinger nei tempi del concilio Vaticano II (la Chiesa locale è cattolica

nella misura in cui la Chiesa universale ‘sussiste’ in essa) 1. La prospettiva della ecclesiologia

eucaristica non può non entrare nelle problematiche dell’antropologia trascendentale 2.

O.

ANTROPOLOGIA TRASCENDENTALE O

ESCATOLOGIA TRASCENDENTALE?

Come accennato nella chiave di lettura, la ‘teologia’ della speranza’ ci appare come un

orientamento di verifica nella teologia del XX secolo, partendo dalla riflessione stessa in ambito

umano per trarne insegnamenti sulla riflessione cristiana odierna. J. Moltmann partirà anche dalla

sua esperienza personale traumatica nel momento storico contemporaneo e nella ‘debâcle’

tedesca del 1945. La chiave escatologica si impone da quell’esperienza stessa. La teologia della

speranza di Moltmann, preparata dalla teologia politica di Metz che chiederà alla Chiesa di essere

l’istanza critica delle società, e che fa eco al diverso trasformante di E. Bloch (re-esaminatore del

marxismo). La fine ipnotizza nel capovolgimento della fiducia occidentale in se, l’escatologia

affronta il futuro come destino minaccioso, la novità del futuro rilancia la teologia come attesa e

totale disponibilità. Dalla risurrezione tutto diventa speranza, passione del possibile nell'attuare

l'avvenire del Signore nella sua dimensione pubblica: dall’Eschaton al Proton la dialettica della

croce nella contraddizione diventa l'espressione della speranza per il mondo. Per poter prospettare

1 Cfr E. Palese, Il concilio di Bari del 1208, Bari 1999, p. 281 (vedere però il correttivo e la sfumatura nella citazione di St Paulau, nella nota

qui sotto); etiam in «Internet» 2011, http://books.google.it/books?id=Oae750UxafEC&pg=PA281&lpg=PA281&dq=Rahner+and

+Meyendorff&source=bl&ots=C7gpxM09DO&sig=tsxJllkhzh8D8syEHPnBy3iwcX0&hl=it&ei=z5iVTZKRI4zFswbXmJihDg&sa=X&oi=book_resul

t&ct=result&resnum=6&ved=0CC0Q6AEwBQ#v=onepage&q=Rahner%20and%20Meyendorff&f=false.

2 St. Paulau, Anthropology of Karl Rahner and its appreciation in contemporary Orthodox theology, in «Internet» 2011,

http://www.standrews.ru/private/standrews/prices/Pavlov.pdf (screen page 8): «Speaking about ecclesiology, it is also worth noticing a

correlation between the Eucharistic ecclesiology of Father Nikolai Afanasiev (1893-1966) and Rahner’s words: “It is not only true that the

Eucharist exists because the Church exists; it is also true, if rightly understood, that the Church exists because the Eucharist exists” 1.

Rahner’s triadological ideas find support also from Father John Meyendorff: “Karl Rahner arrives at challenging the Latin idea that the

persons of the Trinity are internal relations in the divine essence, for, indeed, if such were the case, the divine hypostasis of the Logos could

neither be the subject of change and passion, nor be seen as the existential center of his human nature. A sound Christology implies, for

Rahner, the return to a pre-Augustinian concept of God, where the three hypostases were seen first of all in their personal, irreducible

functions, as Father-God, Son-Logos, and the Spirit of God, and not only as expressions of the unique immutable essence” 2. But what is

more significant, is that Meyendorff suppose Rahner’s approach “from below” to the mystery of Christ to be the point where the post-

Chalcedonian Byzantine thought meets the modern Christological concerns. “Human being”, writes Karl Rahner, “is a reality absolutely open

upwards; a reality which reaches its highest (though indeed “unexacted”) perfection, the realization of the highest possibility of man’s being,

when in it the Logos himself becomes existent in the world” 3».

((1) Karl Rahner und Joseph Ratzinger. Episkopat und Primat. - Freiburg im Br., 1961. - S. 27. / (2) John Meyendorff. Christ in Eastern

Christian Thought. – New York: St. Vladimir’s Seminary Press, 1987. – p. 213. / (3) Karl Rahner. Current Problems in Christology //

Theological Investigations I, - Baltimore, 1963, p. 183.)

88

l’intento di speranza, occorre dare priorità radicale alla storia. Ecco il dubbio su Rahner che ci

viene dalla storia nella quale è stato coinvolto: sia nel vivo della sua esperienza personale con il

silenzio sulla questione dell’olocausto in rapporto col nazismo, sia il suo approccio trascendentale

non danno pieno spazio alla storia 1. Gli esponenti legati alla chiave escatologica della teologia

della speranza si chiederanno se non occorrerà vedere ‘l’antropologia’ rahneriana in una

prospettiva dinamica, tanto da ritradurre’ l’intento dell’antropologia trascendentale in termini

escatologici 2. Il tema della ‘centralità escatologica’ della teologia è assai ben documentato. Le

implicazioni vengono progressivamente formulate: si dirà che occorre passare dalla ‘fides

quaerens intellectum’ alla ‘spes quaerens intellectum’ 3: si tratterebbe -cioè- di fare una

apologetica della speranza. Il dubbio espresso da coloro che gravitano intorno alla scommessa

della ‘speranza’, o che la preparano, sarà di vedere l’intento antropologico indirizzarsi così

radicalmente sulla dialogica personale al punto di ‘privatizzare’ la piattaforma della salvezza. Per

loro, sarà la ‘storia’ ad esorcizzare il ‘soggettivismo 4. Se i teologi della speranza hanno

focalizzato le loro critiche sulle ‘globalizzazioni’, vi è chi vede nella loro stessa prospettiva una

‘totalizzazione’ non più rilevante dopo gli anni ’90 5.

1 L. Malcolm, Theological Freedom and the Therapy of Faith: Thinking with and beyond Karl Barth and Karl Rahner, in ((Internet» 1997,

http://apu.eduPCTRF/papers/1996-papers/malcolm.html, p. 9 (screen page): «By contrast, Rabner’s theology has been criticized both for its

silence on the Nazi holocaust of Jews and for its individualistic focus. Johann Baptist Metz questions whether Rahner’s theology takes into

account the real exigencies of history, its contradictions and sufferings (See. e.g., Johannes Baptist Metz’s critique in Faith in History and

Society: Toward a Practical Fundamental Theology (New York: Seabury, 1980)). His major difficulty is with the “triumphalism” inherent in

Rahner’s optimistic confidence in the “always-already” presence of grace within human existence, a presence that often seems contradicted

by the suffering that occurs within that history. But it is interesting to note that Rahner’s very stress on the human “yes” to existence - the

human capacity for the eternal, and hence the capacity to determine one’s own existence - has had a very fruitful impact on Roman Catholic

feminist theologies in its attempt to rethink new images of God and God’s relationship to human beings that go beyond sheer obedience to a

monarchical God» (See, e.g., Anne Carr, Transforming Grace: Tradition and Women’s Experience (San Francisco: Harper & Row, 1988);

Elizabeth Johnson, She Who is: The Mystery of God in Feminist Theology (New York: Crossroad, 1992)).

2 J. B. Metz, Karl Rahner, in H. J. Schultz (Hrsg), Tendenzen der Theologie in der 200 Jahrhundert, München 1966, S. 517-518: «Wird dutch

einen solchen transzendental-anthropologischen Ansatz, der den Menschen vorweg als das Wesen absoluter Transzendenz auf Gott

bestimmt, das geschichtlich zu realisierende Heil der Menschheit nicht zu sehr auf die Frage konzentriert, oh der einzelne diese seine

Wesensverfassung frei annehme oder ablehne? Entsteht damit aber nicht die Gefahr, daß die Heilsfrage zu sehr privatisiert wird, die

Heilsgeschichte, zu weltlos konzipiert und dem universalen geschichtlichen Streit um den Menschen zu rasch die Spitze abgebrochen wird?

Die anthropologisch gewendete Theologie bringt zwar mit vollem Recht den Glauben in eine fundamentale und unaufhebbare Relation zur

freien Subjektivität des Menschen. Sind darin aber Welt und Geschichtsbezug dieses Glaubens hinreichend >aufgehoben<? Gewiß kann

dieser Weitbezug des Glaubens nicht im klassischen Stil der Kosmologie erneuert werden. Denn der Glaube ist nicht in einem

kosmologischen Sinne welthaft. Aber et ist und bleibt . . . einem gesellschaftlich-politischen Sinne welthaft. Müßte darum nicht die

transzendentale Theologie der Person und Existenz in eine Art //>politische Theologie<// umgesetzt werden? Wird schließlich in einer

radikal anthropologisch gewendeten Theologie der Stellenwert der Eschatologie nicht doch unterschützt? Kann die Eschatologie wirklich aus

dem anthropologischen Ansatz der Theologie extrapoliert werden? Oder gründet nicht vielmehr jede anthropologisch gewendete Theologie,

die Welt und Geschichte nicht aus den Augen einer operativen Glaubensverantwortung verlieren will, in einer eschatologisch gewendeten

Theologie? Ist nämlich nicht erst der eschatologische Horizont umfassend genug, daß in ihm Glaube und geschichtlich entstehende Welt

unverkürzt vetmittelt werden können?». 3 A. Dulles, The Survival of Dogma, New York 1973, pp. 63-64: «In terms of the recent emphasis on hope, the nature of theology is being

redefined. For the traditional concept of theology as “faith seeking understanding” (fides quaerens intellectum), Jürgen Moltmann proposes

to substitute the definition, “hope seeking understanding” (spes quaerens intellectum) A question must therefore be raised about

apologetics. Traditionally it has been viewed as the effort to set forth in a systematic and convincing way the reasons that tell in favor of the

truth of the Christian religion considered as a set of speculative statements about what God is and what God has done. Would it not be better

today to think of apologetics as the discipline that seeks to exhibit the reasons for Christian hope? The centrality of hope to apologetics is

indicated by the one text from the Bible that deals most explicitly with apologetics. 1 Peter 3:15 exhorts its readers: “Always be prepared to

make a defense (apologian) to anyone who calls you to account for the hope that is in you.” Without denying the necessity of an apologetics

of faith, as traditionally understood, I should personally accept the desirability -and urgency- of an apologetics of hope».

4 A. Geffré, Le nouvel âge de la théologie, Paris 1978, p. 105: «Tout au long de son livre, Moltmann va s’efforcer de manifester le lien radical

entre l’eschatologie et 1’histoire. L’histoire est eschatologique et l’eschatologie est historique. Sinon, on aboutit au divorce entre la foi

identifiée de plus en plus avec la sphère du privé et un monde abandonné à son propre mouvement, ainsi qu’à l’emprise du pouvoir

technique de l’homme. Le subjectivisme religieux et le positivisme scientifique ont la même origine: une eschatologisation de la foi qui a

perdu son enracinement dans le monde et dans l’histoire».

5 G. Ferretti, La teologia di fronte alla svolta ermeneutica, in «Firmana. Quaderni di teologia e pastorale», 1993 n0 2, pp. 22-23: «La teologia

della speranza, Si pensi ad esempio a Jürgen Moltmann e, in parte almeno, a Wolfhart Pannenberg (Per una sintetica presentazione del loro

pensiero vedi, ad es. Introduzione alla teologia contemporanea, Torino 1980, pp. 233- 284), ha tentato di ripensare il senso della fede

89

P.

LA ‘TEOLOGIA DELLA STORIA’ COME

CONVERGENZA NEL XX SECOLO E L’INTENTO

RAHNERIANO

Il quarto livello dialogale tra le teologie odierne si muove dalla ‘genuinità’ originaria della

storia ecclesiale alla verifica sul compimento escatologico ultimo nell’esito della storia. La

confluenza di mezzo si traccia nella discussione tra inizio e fine come parametro storico: la

'teologia della storia' che affronta la questione di «una» storia sola o «due» storie'; entra in scena

W. Pannenberg (e compagni, R. e T. Rendtorff, U. Wilckens, T. Rendtorff -il circolo di Heidelberg-

sotto l influenza di G. Von Rad e H. Von Campenhausen) professando l'unicità 'storica' (di fronte all

'ambito anglosassone e le 'diverse storie') e due 'rivelazioni' (una nella storia e una nella Scrittura),

Gadamer prepara la via facendo della comprensione ermeneutica un evento di linguaggio dialogale

con le fonti storiche, che estende l’impostazione bultmanniana a quella storica. La rivelazione

sorge nella storia, non la storia che sia di per se rivelativa (alla Hegel), non è la salvezza che sorge

nella storia (alla Cullmann) ma la rivelazione nella Universalgeschichte (non Heilsgeschichte), storia

non più antropocentrica (alla Troeltsch). Dalla storia la cristologia non è né dall’alto, né dal basso

ma ‘from ahead’ o ‘da avanti’ –dalla Risurrezione, rivelazione non più analogica ma assoluta- con

Cristo rivelazione della fine (assumendo tutta l’apocalittica come traiettoria dalla creazione alla

risurrezione universale), autorivelazione di Dio (soggetto e oggetto, alla Barth) diretta nel senso

verbale e indiretta come intervento nella storia, tra linguaggio universale dei fatti e linguaggio

della parola nella storia: è una rivelazione non autoritaria. La ‘teologia della storia’ raccoglierà a

modo di convergenza intermedia tutti questi accenni in una problematica complessiva e

fondamentale, tentando di uscire dal dilemma storico cristiano convenzionale: esistono due storie

(quella cristiana e quella ‘profana’) o esiste una storia sola? Se esiste una storia sola, sarà una

storia profana ‘in via di cristianizzazione’ o sarà una storia cristiana ‘in via di umanizzazione’?

Ecco, in poche parole, come si potrebbe evocare la maturazione storica della prospettiva che si

presenta come ‘seme di sintesi’. Per Rahner e l’antropologia trascendentale, la mente umana totale

raggiunge le sue piene dimensioni e potenzialità di esistenza come ‘storia’ - storia umana nella

quale si discernono momenti di apertura (anche uniche come quella di Cristo) ma non separati dal

cammino complessivo dell’umanità. Per Cullmann e la cristologia storico-soteriologica, sarà la

persona di Cristo che ‘fa storia’, attuando un itinerario di ‘storia della salvezza’ capace di mettere

in questione l’altra storia -quella che vuol ignorare quest’evento insostituibile. II rischio sarebbe,

in una tale visuale, di tracciare una ‘doppia storia’... Rahner non poteva lasciare inesplorate le

premesse della problematica. Per lui, tutta la storia viene coinvolta nel processo della grazia 1.

cristiana alla luce dell’orizzonte della storia come totalità. In verità, come ha mostrato, contrapponendosi a Hegel, il filosofo marxista Ernst

Bloch nella famosa opera Il principio speranza (Cfr E. Bloch, Das Prinzip Hoffnung, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1959, 22), si tratta di una

totalità non ancora attuale, perché la storia è ancora in fieri, non si è ancora compiuta. La totalità della storia, come orizzonte in cui

acquistano senso i suoi vari momenti, pub essere solo anticipata come utopia futura in quella sperata e attuata concretamente nella prassi. I

“teologi della speranza” hanno tentato una nuova ermeneutica del cristianesimo in riferimento a questo modulo di pensiero. La figura di

Cristo risorto è stata quindi presentata come quell’orizzonte utopico futuro alla cui luce si svela e si chiarisce il senso di tutta la storia

umana».

1 L. Roberts, The Achievement of Karl Rahner, New York 1967, p. 86: «Saving history in general means that God on account of his universal

salvific will includes the history of mankind as a whole in his grace, and in this all men are offered salvation. It means further that some men

have actually received grace and justification and that the history of this experience happens within the historical world. It implies that the

experience of salvation prior to and outside of formal Christianity is ordered dynamically to the kairos (The word connotes more than just a

90

Tutta la storia sembra implicitamente presa nel vortice della grazia, in funzione di Cristo. La

preoccupazione primaria dell’intento rahneriano si condensa sul tentativo di superamento del

rapporto ‘sospeso in aria’ tra Dio e l’umanità, relazione astorica che renderebbe la prospettiva

della antropologia trascendentale poco credibile 1. La ‘storicità’ sorge dalla trascendentalità che

prende la sua statura di salvezza storica 2. La spirale appare unica, ma dal lato trascendentale.

Essa potrà manifestarsi come unità o rimanere una apertura ‘anonima’. Eppure la storia non sarà

mai recintata come ‘destino dell’essere’ 3. Si pone, in tutta chiarezza, il quesito ‘ineludibile’:

finalmente ci sono ‘due storie’ o “veramente c’è una storia sola”?... Qui entra in scena Pannenberg

con la sua scommessa: salvare l’unità della storia ed indicare l’unicità ‘storica’ della proposta

cristiana. Eppure non per tutti gli specialisti sembra ovvia questa chiave unitaria della storia.

Specialmente nell’ambito anglosassone, c’è la convinzione che esistano ‘diverse storie’ (non

soltanto due storie ma di più) 4. Pannenberg poggia su Hegel e si riferisce ai fondamenti biblici per

prospettare l’unità della storia, mentre Rahner include Heidegger (Maréchal) e sviluppa la sua

chiave dalla teologia della grazia con l’unità della libertà vissuta nel tempo – tra intento ‘verticale’

ed intento ‘horizzontale’ 5. I due articolano un pensiero ed un approfondimento intermedio di

convergenza al loro livello di dialogo inter-teologico.

temporal notion, it highlights the aspect of the proper, fitting, or critical time, that moment most apt for the insertion into the world of God’s

Son. Rahner likes to select words from classical civilization when he thinks they illustrate better what he is trying to say), the time of

salvation in Jesus Christ. This comes in epochal ways which the history of theology tries to illustrate and clarify. The epochal ways we will see

more clearly when we take up Rahner’s view of the theological virtues (Following his method, Rahner finds the theological preconditions for

this concept by arguing that it must be in the fact that man has to expect and accept grace not only within history but that grace itself is

historical and history itself is grace are that all the data given (unity of mankind, revelation, and so on) are grace)».

1 K. Lehmann, Karl Rahner, in R. Van Der Gucht e H. Vorgrimler, Bilancio della teologia del XX secolo, vol. IV, Roma 1965, p. 170: «Il fatto

però che ogni umana trascendenza si viene attuando nella storia ed è storicamente mediata, l’interpretazione storica e categoriale della

rivelazione appartiene per se stessa sempre al momento ora considerato. In questa interpretazione si realizza la manifestazione oggettiva

d’una siffatta esperienza soprannaturalmente trascendentale. L’apertura trascendentale ed a priori dell’uomo al Dio-Trinità e al Dio della

grazia non si consegue, dunque, in un’introspezione individuale e astorica. «Essa si compie necessariamente nella storia dell’azione e del

pensiero dell’umanità e vi si può realizzare in forma saliente, od anche nel più assoluto anonimato. Pertanto non si dà mai una storia

trascendentale della rivelazione unicamente per sé; è la storia in concreto che individualmente e collettivamente è la storia della

trascendentale rivelazione di Dio» (Offenbarung und Überlieferung, p. 18). La comunicazione che Dio fa di se stesso nella grazia è

certamente un esistenziale «trascendentale» dell’uomo, ma essa non è se medesima né gli si comunica se non nella storia della salvezza e

della rivelazione, che è il suo veicolo di trasmissione. Il momento trascendentale e quello storico categoriale non si affiancano così semplice-

mente, ma si fondono in unità e sono definiti da un rapporto di condizionamento vero e proprio, nonché reciproco».

2 L. Roberts, The Achievement of Karl Rahner, New York 1967, p. 85: «For Rahner, then, the concept of man’s historicity is a refinement of

and a conclusion from theological anthropology using the transcendental method. As a theological concept, man’s historicity states that man

is so open to the sovereign action of God that he may expect a historical-personal event which saves himself, his world, and history. Further,

the anamnesis of this saving event can have the power of actual re-presentation (for example, Eucharist, tradition). Included in historicity is

the matter of preserving historically the saving event as communicative».

3 E. Coreth, Presupposti filosofici della teologia di Karl Rahner, in «La civiltà cattolica», 1995 n0 3469, p. 35: «L’uomo però - più ampiamente

- come «spirito nel mondo» è relazionato e indirizzato alla storia. Rahner non si è mai lasciato intrappolare nella “storia dell’essere» come

«destino dell’essere» - secondo Heidegger l’ultimo orizzonte della comprensione dell’essere - neppure in una radicale storicità (come Max

Müller e altri). Ma la storia ha per lui grande importanza, soprattutto teologicamente in considerazione dell’evento storico-salvifico. L’uomo

è condizionato (di sua natura) sicuramente a priori dalla sua storia e ad essa indirizzato, ma è orientato pure a priori verso un evento

storicamente singolare e contingente, concretamente posto dalla libertà».

4 J. Macquarrie, Twentieth-Century Religious Thought, London 1971, pp. 132-133: «At first glance, Arnold Joseph Toynbee (Professor at

London, 1919-1955) (1889-) seems to offer us a view of history very like Spengler’s. In Toynbee, we come again upon the view that there is

no unitary history of mankind, but a series of histories each of which fulfills its course within a particular society. The h istorian’s interest is

particularly directed to those societies which have passed the primitive stage and become civilizations. In his monumental work, A Study of

History, Toynbee recognizes twenty-six of these civilizations, most of which have already run their course and belong to the past. Like

Sprengler, Toynbee is interested in the comparative study of these civilizations».

5 J. T. Bridges, Human Destiny and Resurrection in Pannenberg and Rahner (Anthropology, Transcendental, Hegel, Thomism, Marechal), in

«Internet» 2011, http://scholarship.rice.edu/handle/1911/15958: «Wolfhart Pannenberg and Karl Rahner argue for an "opening" of theology

to broader intellectual input. The similarity of their positions derives from the foundational status accorded anthropology and from common

opposition to literal, supernatural and positivist interpretations of Christianity. The critique of Neo-orthodoxy and Neo-Thomism that they

reduce theology to anthropology is unjustified. Their anthropologies show a marked difference which derives from two sources. Pannenberg

and Rahner have different conceptions of theology's task: Pannenberg writes apologetics for a non-Christian academic audience; Rahner

writes philosophical dogmatics for Christians. Pannenberg interrogates secular anthropology for its Biblical foundation. Rahner embraces a

91

Q.

LA ‘STORIA SACRA’ OLTRE LA STORIA DELLA

SALVEZZA E L’OTTICA RAHNERIANA

La salvaguardia rimane una preoccupazione preferenziale attraverso il XX secolo, anche per

quanto riguarda la questione storica di fronte alla fede. Certi richiami sulla storia susciteranno dei

ripiegamenti nella salvaguardia teologica col ricupero ‘sacro’ della storia incentrata sul proprio

percorso: J. Danielou (letterariamente vicino a Péguy tra Bernanos [o L. Bloy] e Claudel), dalla sua

amicizia con p. Monchanin, legato a Madre Maria dell’Assunzione (parallelamente a von Balthasar

con A. Speyr), poggia in parte su O. Cullmann e si distanzia da Barth, H. Kraemer o anche da

Teilhard de Chardin. J. Daniélou riabilita l’esegesi cattolica scientifica ambientale ma si ripiega

sulla ‘histoire sainte’, senza equiparazione per le varie storie religiose (religioni dell’umanità

opposte alla rivelazione biblico-cristiana, alla Guardini, o sulla base della missione non completata

della Chiesa, alla de Lubac), dove l’ateismo appare come una specie di paganesimo in attesa di una

cultura cristiana. Religione e sacralità vengono esaltate in una mistagogia a tutto campo nella

storia della salvezza con la tipologia ecclesiale-liturgica: la storia cristiana introduce la novità dell

evento prospettandosi come escatologia iniziata (né conseguente alla Schweitzer, né realizzata alla

Dodd, né anticipata alla Cullmann, tra escatologismo della discontinuità in Bouyer ed

incarnazionalismo della continuità in Thils). Il paradosso di questa attenzione al ‘religioso’ che

riappare nella teologia pluralista interreligiosa torna però verso una rivendicazione di autenticità

sacrale assomigliante all’esclusiva di qualità romana. Sembra che si vada oltre la questione

convenzionale della ‘salvezza’ in quanto alle religioni per cercare una consistenza in se, in quanto

religioni e definire così la superiorità romana (cattolica) dalla radicale distinzione tra gli ordini

naturale-sovrannaturale 1.

Christian anthropology founded upon the experience of grace. Secondly, their doctrines of eternal life evidence their philosophical heritage.

Rahner applies the conception of transcendental subjectivity found in Marechal's and Heidegger's reinterpretations of Kant to basic Thomistic

commitments. Pannenberg accepts Hegel's understanding of reality as historical expression. This difference in orientation accounts for the

underlying structural differences which surface in the individual components of their doctrines of eternal life. Rahner focuses on the

hiddenness of transcendental subjectivity; Pannenberg on the unity and expressiveness of history. Rahner links eternity to an analytic of

human freedom: eternity is the fruit of time. For Rahner, the surplus of meaning which supports the Christian hope lies hidden in the depths

of the experience of grace. Pannenberg begins with time and builds a doctrine of eternity as the unity of history with Hegel's temporalized

interpretation of the part/whole distinction. The modern concept of reason implicitly anticipates the whole of eternity. For Rahner, the real is

the creative ground behind appearance, an impenetrable mystery which manifests itself in categorical determinations. Truth is disclosure of

the transcendental conditions which underlie experience. For Pannenberg, the appearance of the entire temporal span provides the content

of eternity. Truth is the coherence and coordination of historical appearances. For Pannenberg, the surplus of meaning upon which the

Christian hope is dependent lies in the future. Reality is incomplete and truth provisional until the end of history. Rahner focuses on the

vertical dimension of reality; Pannenberg on the horizontal».

1 J. A. Coleman, Inter-Religious Dialogue: Urgent Challenge and Theological Land-Mine, III. Vatican II: Danielou Versus Rahner and Its Aftermath in the

Post-Vatican Church, in «ACU. Australian Catholic University. Faculty of Theology and Philosophy. School of Theology», in «Internet» 2011,

http://www.acu.edu.au/about_acu/faculties_schools_institutes_centres/faculties/theology_and_philosophy/schools/theology/ejournal/past_issues/aejt

_11/inter-religious_dialogue/4/: «Already at the Council, these different emphases found their theological source in the very divergent views on non-

Christian religions of two important Jesuit periti , the French Jean Cardinal Danielou and the German Karl Rahner. Danielou had published widely in the

1950's and 1960's on the meaning and theological role of other religions. He saw history as a progressive manifestation of the divine to humankind.

Danielou sharply distinguishes between the natural and supernatural orders. In the natural order, the other religions are human expressions of a desire

for God but do not reach their true finality in Christ. As Danielou put it in his book, The Salvation of the Nations, "The essential difference between

Catholicism and all other religions is that the others start from man. They are touching and often very beautiful attempts, rising very high in their search

for God. But in Catholicism, there is a contrary movement, the descent of God towards the world, in order to communicate his life to it"[1]. The other

religions remained steeped in the natural order and have no salvific power as such .They represent a kind of natural human longing, an aspiration

merely. Danielou's influence can be seen in Ad Gentes which speaks of the other religious paths as endeavors in which people "search for God, groping

for Him that they may by chance find him" and as human initiatives which "need to be enlightened and purified (in another place Ad Gentes refers to

their being 'purged of evil associations, healed, ennobled and perfected' by conversion to the Gospel) (# 3, 9 ) In Danielou's theology, the grace of Christ

92

R.

LA RIARTICOLAZIONE DEL PROSPETTO STORICO DI

TONALITÀ APOCALITTICA ATTUALIZZATA E LA

TRASCENDENTALITÀ

Per chiudere questo quarto livello di dialogica teologica odierna, dalla genuinità cristiana

originaria al prospetto escatologico di attuazione, il volume III considera la tensione tra

salvaguardia e riarticolazione del percorso cristiano (cfr infra). Ricordiamo il taglio di questo

orientamento: la riarticolazione della impostazione di fede: dopo la teologia pluralista, la

cristologia riarticolata, l’ecclesiologia rivisitata. La scommessa sarebbe di avere già una via di

sostituzione nella espressività teologica per i tempi che vengono. Dalla verifica escatologica del

volume I, si guarda verso un tentativo di ‘nuova partenza’ già in via di impostazione. Riappare la

tonalità apocalittica (non come catastrofe della fine ma come partenza ormai in via di

manifestazione lasciando il ‘vecchio’ dietro le spalle con un pesante giudizio su di esso). Si

potrebbe parlare di riarticolazione dell’esperienza religiosa vissuta verso il domani. Questa chiave

non si ritrova nell’ambito delle religioni ma –se vogliamo osservare il paesaggio del XX-XXI

secolo- nella moltiplicazione dei nuovi movimenti religiosi che hanno anch’essi una ‘teologia’ (e

delle teologie) e che va considerata per l’impatto che ha avuto di recente e che avrà nel prossimo

futuro (senza voler demonizzare ogni cosa…). Da questi movimenti potrà essere individuata un

canovaccio ‘teologico’. A differenza del ripiegamento della tradizionalità fino al fondamentalismo

(cfr infra) vi sarà una caratteristica relazionale dei movimenti a ‘molla apocalittica’ (nel loro intento

‘profetico’? Ci si chiederà qual è il perno di questo evento che dal mondo cristiano si estende al di

là di esso in questo fenomeno specifico del nostro tempo 1. Rahner è stato animato –in questo

senso- di un suo interesse specifico per la carica spirituale della sua appartenenza di vita

evangelica (spiritualità ignaziana rimeditata). Certi criteri convergenti possono tracciarsi da questa

attenzione, nei quali l’esperienza interiore e ‘mistagogica’ coglie l’intento di riarticolazione

avvertibile oltre la formale appartenenza di tipologia ecclesiale 2. Ma la riprospezione ‘apocalittica’

may mysteriously touch individuals outside Christianity but the other religions, their scriptures and rituals, remain purely human customs. Karl Rahner

did not make such a strict distinction between the natural and the supernatural orders. He argued that the so-called ' natural order' was a kind of

thought experiment, a' remainder' concept. Human beings everywhere are never utter strangers to divine grace. God's grace, for Rahner, is always

already at work in human beings in concrete ways and in their real history. Consequently, his assessment of the meaning of the different religions

diverges from Danielou's: "In view of the social nature of man... however, it is quite unthinkable that man, being what he is, could actually achieve this

relationship to God in an absolutely private interior reality and outside of the actual religious bodies which offer themselves to him in the environment in

which he lives"[19]. For Rahner, the Holy Mystery in which we find the human and divine already incomprehensibly and profoundly always inter-related

does not allow excluding the religions from the supernatural working of grace. Danielou saw the other religions as merely, at best, a kind of '

preparation' for hearing the gospel, Rahner argued that God saves human beings through their religions, not merely despite them. The other religions

represent, in some obscure but real sense, a participatory mediation in the grace of Christ».

([1] Jean Danielou, The Salvation of the Nations (South Bend, Ind.: University of Notre Dame Press, 1962) p. 8. / [2] Rahner, " Christianity and

the Non-Christian Religions", p. 128.) 1 Vedere gli studi e l’insegnamento sul fenomeno delle Chiese e nuovi movimenti religiosi, nella pagina interna del sito di documentazione:

http://www.webalice.it/joos.a/CHRISTIAN_CHURCHES_AND_MOVEMENTS_TODAY_-_CHIESE_CRISTIANE_E_MOVIMENTI_RELIGIOSI_OGGI.html. 2 RAHNER & ST IGNATIUS, From an article “Ignatian dimensions of Rahner’s theology” (Karl Rahner, “Ignatius of Loyola Speaks to a Modern

Jesuit,” Ignatius of Loyola, ed. Paul Imhof (London: Collins, 1979)), published in «Louvain Studies» 29 (2004), pp. 77-91, etiam in «Internet»

2011, http://www.plaything.co.uk/gallagher/academic/rahner_ignatius.html: «In Harvey Egan’s words Rahner “attempts to evoke [and] to

awaken” the ever-present experience of God “which haunts the core of every person.” [1] Elsewhere Egan has argued that the much-quoted

prophecy that only a mystic could survive as a believer in the future can also be linked with Ignatius. [2] Rahner’s mystagogical theology

develops the Ignatian emphasis on God’s presence-in-mystery as discernible within the lived experiences of each individual. It fitted his

pastoral hunch that in today’s fragmented lifestyle we have to move from external belonging to an interiorised faith that he characterises as

mystic. He is not of course asking that all believers should enjoy intensely high mystical graces. Rather he wants them to learn to recognise

93

(o cioè che vedono la ‘fine’ già compiuta e l’inizio avviato del ‘nuovo’) si individua anche in certi

teologi ‘apocalittici’ come Rozanov, il quale ha già chiuso ogni riconoscimento alla legittimità

cristiana –ormai esaurita- per considerare la nuova partenza dall’Apocalisse del nostro tempo (cfr

infra). Riprendiamo la chiave rozanoviana sullo svuotamento di ogni genuinità cristiana e sulla

necessità di una ‘nuova partenza’ che si coglie implicitamente nella soglia del ‘cristiano anonimo’

di Rahner 1. Sarà una delle scommesse di questa indagine di tentare un discernimento su ciò che i

movimenti religiosi (non quelli fondamentalisti ma quelli di impostazione ‘apocalittica’) possano

prospettare in termini teologici.

S.

LA PIATTAFORMA DELLA ATTUALE CREDIBILITÀ

CRISTIANA. ANTROPOLOGIA TRASCENDENTALE E

TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE

the ordinary presence of grace in their lives and that spiritual sensibility or skill is what he terms mystic. It really means an alertness to God’s

guiding calls in daily experience. In this sense he is close to the Ignatian practice of examination of conscience, an exercise interpreted now

as reflection on daily consciousness, a situated prayer designed to read the movement of the Spirit in the moods and responses of each day’s

small drama. The everyday “mystic”. What does all this mean for today’s postmodern scene? Did Rahner limit himself too much to his own

context, responding only to the challenges of modernity? If so, will his work date more quickly than was imagined? Whatever about the future

evaluation of some of his transcendental method, his more Ignatian and pastoral insights will probably have lasting relevance. If, in the years

since his death, the cultural landscape has changed drastically, it has opened new religious horizons. “Spirituality” has returned to centre

stage in ways that might both delight and alarm Rahner. The contemporary focus on spiritual experience could initially seem in tune with

what he proposed and with what has been explored in these pages. But it can easily fall into both the “despotism of the sacred” and the

“narcissism of the self”, whereas what is needed is a genuinely personalised religion that unites affectivity, intelligence and social

responsibility in the light of faith [3]. Rahner was surely accurate in his diagnosis that the crisis of faith lay more in the spiritual and

existential preambles than in the world of philosophy or doctrine. The main blockage to faith in the postmodern situation comes from

fragmented life-styles than from ideas. The rhythms of our hyperactivity can keep us adrift on the surfaces of ourselves and unable to reach

deeper levels of desire. If so, our culture encounters difficulty mainly with the antechambers or spiritual dispositions that can open onto the

possibility of faith. And it was to remedy such a blockage that Rahner gave so much emphasis to the formation of ordinary mystics [4]. His

everyday mystic is someone whom we can imaging saying: “In the adventure of my humanity, I have sensed the guidance of God’s mystery,

close to me and creative in me. I have come to discover God as an artist’s presence in the adventure of my life. In the flow of my daily

choices, I have recognised the healing spur of Christ, eroding my ego into generosity in hidden ways. In the silence of my heart I know

something of the artistry of the Spirit, shaping my life towards a love beyond my imagining. And all this conscious experience of grace, in

the theatre of the ordinary, is a pull towards newness that my words can never capture. Or at least tired unambitious words”».

(1 Harvey Egan, “Mysticism and Karl Rahner’s Theology,” Theology and Discovery: Essays in Honor of Karl Rahner, S. J., ed. William J. Kelly

(Milwaukee: Marquette University Press, 1980) 142. / 2 Egan, “Karl Rahner: Theologian of the Spiritual Exercises,” 261. One version

concerning the “mystic” of the future as needing to ground faith in spiritual experience can be found in “Christian Living Formerly and

Today”, Theological Investigations (London: Darton, Longman & Todd, 1971) 15. / 3 Pierangelo Sequeri, “Il sentimento del sacro: una nuova

sapienza psicoreligiosa,” in La religione postmoderna (Milan: Glossa, 2003) 55-97. Quotation from 95. / 4 In this paragraph I echo some

sentences in the opening section of my book Dive Deeper (London: Darton, Longman & Todd, 2001).)

1 E. Von Kuehnelt – Leddihn, The Years of Godlessness, in «Internet» 2011, http://www.mmisi.org/ma/16_01/kuehnelt.pdf (pdf pages pp.

59, 65:«ONE OF THE LAST great Russian symbolist writers was Vassili Rozanov who died miserably in the Revolution. In a magnificent, if

somewhat incoherent essay he wrote these terrifying words: “The deeper reason for everything that is now happening lies in the

circumstance that vast, cavernous hollows were formed in the European part of mankind by the vanishing Christian belief, and into these

everything is tumbling down” l….. The decrease of belief in a personal God had, needless to say, disastrous results for our civilization in

general-remember the guillotines and noyades, the concentration camps and gas chambers, “carpet bombing” and other forms of mass

murder, all infinitely worse than the calamities caused by the deformations and deviations of the Christian faith. 2 The disappearance of

religious convictions specially affects the younger generation which no longer UIII respect their parents who live, morally, only from ‘‘the

whiff of an empty bottle,” 3 repeating the basic tenets and patterns of a Christian way of life without believing in their divine origin. There are

among us a host, perhaps even a majority of perfectly decent, honorable people-“anonymous Christians” as Karl Rahner would call them-

who live good, sometimes even admirable lives without a Christian faith but in the Christian tradition. However, mere traditions have the

tendency to wear thin, to become obsolete, to fizzle out, to collapse if challenged. We have seen this in Germany, and we can see it

elsewhere if we watch the selfsame hysteric women demonstrating for legalized abortion and against the war in Vietnam, for a Childermass

with only innocents as chosen victims and a war in which merely some innocents will suffer».

((1) Cf. Vassili Rozanow, “Apokalipsis nashego vremeny,” in Vyersty, No. 2, Paris 1927, p. 289 sq./ (2) We have no exact data about the

victims of the Inquisition, but one does not go far wrong in saying that infinitely more people were (indiscriminately) burned alive during a

few hours in Dresden than during centuries of (pin-pointed) religious persecution. (3) Vide my sketch “The Whiff From an Empty Bottle”

(under the pseudonym F. S. Campbell) in The Catholic World, August 1945.)

94

L’indagine complessiva sulla teologia del XX-XXI secolo si conclude con l’ultimo ambito di

dialogo inter-teologico: dopo il ‘percorso’ (qui appena sopra) osserviamo l’interesse il

‘coinvolgimento cristiano attuale’ nelle sue priorità. La riaffermazione esemplare dell’impegno di

coinvolgimento spicca, nel XX secolo con la corrente liberazionista (cfr supra). Si propone la re-

invenzione dell’impegno ecclesiale nella teologia della liberazione, confronto tra teologia europea

e latino-americana, grido di denuncia che sorge dalla dottrina sociale (e la praxis già presente in

Blondel e la gratuità della grazia in R. Guardini), con l’attenzione all’impegno pastorale (di stampo

cattolico francese o statunitense nel Social Gospel), anticipato da R. Schaull e J. Comblin nella

teologia della rivoluzione di sapore messianistico. G. Gutierrez (plasmatore linguistico), accanto ai

non violenti Helder Passoa Câmara, Pironio tradizionalista, J. Miguez Bonino o R. Alves, L. Boff, A.

Alonso, J. L. Secundo, H. Assmann ed altri prospettano una praxis del Regno di Dio superando la

divisione tra le categorie teoriche e pratiche, preparando orientamenti liberativi asiatici o africani.

Sorge la Black Theology (dal dolore dell’oppressione) e la liberazione africana con V. Mayatula e le

Chiese africane indipendenti (nella gioia dell’esperienza cristiana per renderla africanamente

specifica), da J. Mbiti ai tentativi moderati di V. Mulago nella teologia di indigenizzazione. La

teologia della liberazione ha trovato in Rahner un punto di riferimento ben più esplicito che nella

prospettiva barthiana, proprio dalla antropologia trascendentale nella quale ogni elemento

liberativo umano si carica di potenzialità divina 1. Nella ‘praxis’ liberativa cogliamo -forse-

l’aggancio migliore con l’intuito anticipatore di Rahner: l’indicazione di un campo di esplorazione

umana quale diventerà l’antropologia dopo la metà del secolo XX e che la teologia della liberazione

sembrava assumere come coinvolgimento partecipativo 2. Davvero la teologia della liberazione

porta la teologia del nostro secolo verso un suo traguardo dove le impostazioni previe sono

chiamate ad essere riprospettate nel secolo che si va ‘apparecchiando’. Si sa della testimonianza

data da Rahner alla teologia della liberazione non molto tempo prima di morire. La sua capacità di

comprendere il fenomeno ‘liberativo’ è stato riconosciuto, distinguendo il suo ingegno da quelli di

1 L. Malcolm, Theological Freedom and the Therapy of Faith: Thinking with and beyond Karl Barth and Karl Rahner, in ((Internet» 1997,

http://apu.eduPCTRF/papers/1996-papers/malcolm.html, p. 11 (screen page): «It is also interesting to note Rahner’s influence on Latin

American liberation theology. His very identification of the divine-human encounter with the human experience of salvation provided

liberation theology with the means for speaking about divine presence in all human practices that bring liberation (See, e.g., Leonardo Boff,

Liberating Grace (Maryknoll, N.Y.: Orbis Books, 1979)). In turn, Barth’s theology has been strongly criticized by feminists for his stress on

divine “lordship” and the hierarchical ladder of relations his analogy of the divine-human encounter, with its stress on the Father’s command

the Son’s obedience, might be seen as presupposing. The hierarchy implicit in the Father-Son relationship is minored in the hierarchy

implied in his conception of the male-female relation in which the male always precedes and the female follows (See, e.g., Barth’s discussion

of the male-female relationship in his doctrine of creation). We have identified the central contrasts between these positions and the ways

that they articulate normative criticisms of each other’s positions, even though those criticisms are articulated from a distinctive standpoint.

We are now ready to return to the question raised at the beginning of paper: Is it possible to establish a rationale for normative criticism

when one attends to the distinctive practices and pieties of particular Christian communities? This reading of Barth and Rahner suggests one

way this might be done - that at least the Reformed and Ignatian pieties that Barth and Rahner represent entail theological criteria that

require them to think, speak, and enacts God’s presence in the moral life as an unconditioned reality. The very existential encounter with the

name God, and the reality to which it refers, implies certain conditions for how ‘God’ should be thought and experienced - for example, that

God is both transcendent to and immanent within human experience (See, e. g., Kathryn Tanner, God and Creation in Christian Theology:

Tyranny or Empowerment (New York: Blackwell, 1988); see also the ethical implications of these theological rules in The Politics of God:

Christian Theologies and Social Justice (Minneapolis: Fortress, 1992)). If, indeed, God is the object of these practices, then the conditions

entailed in the very act of thinking and speaking God cannot merely be distinctive to the particular traditions being enacted, but indeed must

reflect more general ontological conditions; “ontology” here is used simply to refer to basic structures within reality. Although Barth’s

prophetic criticism and Rahner’s mystical criticism provide radically different types of critique - indeed, as we have seen, they criticize each

other’s positions - they both work with similar presumptions regarding the nature of God - for example, the presumption that God must not

to be objectified».

2 Cfr la prospettiva dello scritto, A. Joos, A libertaçao: uma aposta na historia? uma aposta no Evangelho?, in «Igreja e missâo», nº 127, pp.

5-100 / La liberazione: una scommessa sulla storia? una scommessa dal Vangelo?, Roma, (pro manuscripto), [96pp.]; idem, A criatividade

antropologica na teologia da libertaçao, in «Igreja e missâo», 1986 n0 133, pp. 226-308 / La creatività antropologica nella teologia della

liberazione, Roma (pro manuscripto), [96 pp.].

95

Maritain, De Lubac o von Balthasar ed altri 1.

S.

L’ESISTENZIALE TRASCENDENTALE RAHNERIANO E

LA TEOLOGIA NEOCULTURALE DI TILLICH

Una prima affinità si nota proprio con La corrente “neo-culturale” di Paul Tillich 2. Non a

caso, si tratta proprio del teologo che ha tentato una rivalorizzazione antropologica del fenomeno

religioso dentro ii contesto culturale (vedere vol. I, Sponde lontane, dello studio, Teologie a

confronto, cfr l’ultima ‘sponda’ esaminata). L’impossibilità di escludere la persona umana

dall’intuito teologico fondamentale abbozza già la capacità di sintesi che il pensiero rahneriano

proverà a sviluppare. Al di là di una diretta e puntuale relazione tra i due autori, ci interessa il

collegamento tra la problematica religiosa di fondo e l’approccio trascendentale o ‘ultimo’

riguardo alla stessa persona umana 3. Ma la capacità di assimilazione di K. Rahner non si trova

principalmente nell’accogliere la visione tillichiana, integrandola nella sua prospettiva. Ciò che fa

del nostro autore una specie di “padre” dell’apertura cattolica alla teologia del XX secolo è la sua

abilità di riallacciare K. Barth con P. Tillich 4, in tutto il nostro primo volume (Sponde lontane) viene

raccolta quella panoramica che trova una sua conferma in questa ‘corrente intermedia’: ma non

intermedia nel senso che prende un po’ dell’uno e un po’ dell’altro. Qui si situa il valore di

convergenza in Rahner: non affermare una ‘discontinuità radicale e (quasi) insanabile tra il ‘Dio-

tutt’altro’ e l’insieme del ”al di fuori”, e non rimanere chiuso in una visione lineare di continuità in

1 J. Sobrino, KARL RAHNER AND LIBERATION THEOLOGY, in «Internet» 2011, http://www.theway.org.uk/Back/434Sobrino.pdf (pdf page p.

55): «An important part of the new reality emerging from Latin America was its theology: liberation theology. I do not think that Rahner had

any detailed knowledge of it, but he was certainly aware intuitively of the fundamental issues at stake and he supported it. This was by no

means something to be taken for granted; other great figures of his generation, such as Jacques Maritain, Henri de Lubac and Hans Urs von

Balthasar had no idea of how to respond to this emergent reality. Liberation theology was stammering out its insights without much

conceptual profundity. It was coming from distant, unknown places, and its future was uncertain. It nevertheless represented a searchingly

critical question to European theology, including its more enlightened, post-Conciliar versions».

2 G. Crespy, Essai sur la situation actuelle de la foi, Paris 1970, p. 120: «Certaines des formulations du P. Rahner ont une résonance

tillichienne. Par exemple: «Il est essentiel à toute connaissance spirituelle et donc aussi à la connaissance théologique, que toute question

sur son objet soit également une question sur l’être du sujet connaissant». L’accent «existentiel» est plus discret, mais la démarche est du

même ordre. Quoi qu’il en soit des affinités entre ces deux théologiens, il apparaîtra sans doute qu’ils prennent acte, l’un et l’autre, de

l’impossibilité d’exclure l’être de l’homme ou le sujet connaissant de la démarche théologique prise à sa racine. C’est en cela qu’ils

accordent ensemble une certaine priorité à l’anthropologie».

3 F. S. Aguilar, Antropología y teología de la fe cristiana, Salamanca 1975, pp. 206-207: «Quien toma la exigencia de su conciencia como

absolutamente válida para él y se atiene a ella libremente, aun sin reflexionar sobre ello, está afirmando, lo sepa o no, lo conceptualice o no,

que el ser absoluto de Dios es el fundamento para que pueda haber una exigencia ética absoluta (K. Rahner, Entorno a la doctrina del

Vaticano II sobre el ateismo, en «Concilium» 23 (1967) 377-399). Sería curioso saber si en esta doctrina de Rahner, afirmada ya antes a

propósito de las religiones no cristianas (K. Rahner, El cristianismo y las religiones no cristianas, en Escritos de teologia, V, Madrid 1964,

135-156), hay alguna influencia de Tillich. Porque las ideas y hasta algunas expresiones recuerdan sus nociones de referenda absoluta al

absoluto, su «estar captado por una preocupacidn ditima y absoluta». No importa tanto saber si a esos hombres se los puede llamar

cristianos anónimos o no. Puede ser que no sea exacto ni conveniente. Pero no se puede poner en duda que son hombres de buena voluntad

que viven dentro de la gracia de salvación y marchan, más penosamente que muchos de nosotros, hacia la salvación (Mysterium fidei, 957).

También aquí puede cumplirse la paradoja de Cristo: los ultimos serán los primeros; el hijo pródigo resulta mejor que el que había estado

siempre con su padre, y el samaritano mejor que el levita. Porque Ia fe que no conduce hasta la caridad más puede ser una acusación que un

privilegio» (VATICANO II, Lumen gentium, 14; J. Feiner, Kirche und Heilsgeschichte, en Gott in Welt II, 3 17-345. En la situación actual de la

teología ante este problema, y en las mismas ensegnanzas del Vaticano II, ha tenido especial influjo la obra de H. De Lubac, Sur les chemins

de Dieu, Paris 1956).

4 L. Roberts, The Achievement of Karl Rahner, New York 1967, pp. 9-10: «Theologians such as the late Paul Tillich who do not see this

discontinuity within finite being itself are forced to treat the finite-infinite difference as one in kind, one that is wholly unique and un-

interpretable in terms of other instances of ontological discontinuity. Although Rahner emphasizes the traditional understanding of the

analogy of being, he is ready to admit that even within thought -itself analogical- there is a way of speaking about God as the “wholly other.”

So Rahner would stand somewhere half way between Karl Barth, who rejects the analogy of being, and Tillich, who argued that the finite can

become the basis for an assertion about the infinite».

96

tutti i dati della realtà ‘finita’ o ‘creata’ o ‘non-divina’. La ‘discontinuità integrale ed unica’ non

può che “allontanare le sponde” nella riflessione cristiana (discontinuità partendo da Dio e

discontinuità partendo dall’umano). E se ciò che rende Dio effettivamente “Dio” non è una chiave

di discontinuità (assenza più che presenza, o negativa più che propositiva), si può intuire la

trascendenza non come totalmente ‘distaccata’ e ‘tagliata fuori’ dall’umano e dal creato. Vi può

essere, allora, una via analogica che permetta di parlare del “Tutto Diverso” senza rinnegare la sua

unica trascendenza e senza doverla ‘situare’ nell’ambito di una ‘non-interpretabilità’ secondo i

profili della conoscenza lineare e collegata in una rete di ‘globale continuità’ della realtà non

divina. Così nascerà “l’antropologia trascendentale”, che non si lascerà rinchiudere nella “impasse”

dell’antropologia del ”uomo solo”: coronamento di una ‘continuità da dove “Dio” viene escluso

come ‘inutile discontinuità…

T.

LA VIA SOFIANICA DELLA DIVINO-UMANITÀ E

L’INTUITO TRASCENDENTALE COMPLESSIVO

Non può mancare, nell’ultimo livello dialogale delle teologie odierne, quello che richiama a

modo suo il primo protagonista della via intermedia sull’incontro tra il divino e l’umano, K. Rahner

e la sua antropologia trascendentale. Siamo nella vena intermedia di convergenza dell’ultimo

livello teologico odierno o recente. Sarà la chiave sofianica (più che ‘sofiologica’) ad aprire questo

terreno di compenetrazione divino-umano. Questa via di convergenza è notevolmente presente

nell’intento teologico dei nostri giorni, sia in modo esplicito sia in modo implicito. Diversi

movimenti religiosi si fanno eco di questo taglio, a differenza delle impostazioni ‘apocalittiche’

che cominciano già un altro mondo religioso ‘tutto nuovo’ (vedere il volume III, parte IV, sezione

B). In quanto alla ricapitolazione sofianica -tra l’altro- di P. Florenskij, Rahner sembra assai

distante da questa prospettiva. Ma è poi tanto lontano da essa? C’è chi vede nella ‘svolta

antropologica’ la traccia di un intento slavo orientale iniziato già il secolo scorso e colto dal

predecessore di Rahner, R. Guardini. È stato Dostoevskij ad aprire la via di questo intuito 1. Si sa

che la valorizzazione ‘sofianica’ del mistero umano complessivo non è estranea alla meditazione

1 S. Zucal, Romano Guardini e la metamorfosi del “religioso” tra moderno e postmoderno (Un approccio ermeneutico a Höderlin, Dostoevskij

e Nietzsche), Urbino 1990, p. 287: «L’UMANO COME CIFRA DELL’OLTRE-UMANO: L’ANGELO, IL DIAVOLO E CRISTO DOPO LA «SVOLTA

ANTROPOLOGLCA» DELL’ETÀ MODERNA». La grande cesura che si dà con l’epoca moderna con Dio che in certo modo non è più al centro

della scena e con l’uomo che prende il suo posto come attore-protagonista, misura di se stesso, legislatore della natura, interprete e datore

di senso, determina quel radicale mutamento di paradigma culturale che si è soliti definire «svolta antropologica» (sulla «svolta

antropologica» e i suoi effetti sul pensiero teologico cfr. S. ZUCAL, La teologia della morte in Karl Rahner, cit., pp. 45-78), La svolta antropo-

logica vede in primo luogo interessate le sfere della politica, della scienza e della filosofia e solo successivamente investirà anche la sfera del

religioso e delle corrispondenti mediazioni teologiche. Martin Heidegger ha sintetizzato in modo emblematico il senso di questa svolta:

«L’antropologia, oggi e già da qualche tempo, non è il nome di una disciplina speciale; la parola designa piuttosto la tendenza fondamentale

della situazione attuale dell’uomo in rapporto a se stesso e all’essere in generale. Secondo questo atteggiamento fondamentale, si conosce e

si comprende qualcosa quando si è trovata una spiegazione antropologica. L’antropologia non cerca solo la verità intorno all’uomo, ma si

arroga anche il diritto di decidere ciò che può significare, in assoluto, la verità» (la citazione di Heidegger è tratta da Heidegger und die

Theologie, München 1967, p. 290). Questa svolta antropologica ha investito progressivamente anche la teologia e i suoi asserti dommatici. E

questa una prospettiva propria delle correnti teologiche contemporanee, dello stesso Guardini e in particolare di Karl Rahner, ma ciò che è

interessante in Dostoevskij è che egli ben prima dei teologi si sia preoccupato di offrire sul piano letterario un analogo tentativo. E indubbio

che il moderno problematizza radicalmente l’angelologia, la demonologia, la stessa cristologia, quando la loro fondazione antropologica

appare sfuggente o addirittura evanescente. La tentazione che insorge a quel punto è di definirle verità «mitiche», nel senso deteriore del

termine. La grande scommessa dostoevskijana è invece quella di proporre l’umano come cifra dell’oltre-umano, dell’angelo, del diavolo, di

Cristo, senza però smarrire da questa angolatura antropologica verità e significato dell’angelo, del diavolo e di Cristo».

97

dostoevskijana, con il suo maestro-amico Solov’ëv come guida nella presa di coscienza cristiana.

Si tenta di compenetrare autenticità cristiana radicale e pieno riconoscimento delle culture e delle

religioni: l’approccio sofianico con il teologo russo P. Florenskij, ed accanto a lui S. Bulgakov e A.

Zander. Tra impegno e penetrazione interculturale, un intuito di sintesi si rintraccia coi precursori

come J. Boehme o Vl. Solov’ëv, passando per S. Bulgakov, Zander, Berdjaev 1. Non è né un

'massimalismo filosofico' né la riduzione all’«esperienza» religiosa, né una esplorazione 'quasi

occultista', ma si 'vede' inter-disciplinariamente tutta la ricerca cristiana: una specie di

'radioattività profetica', sinergia tra il divino e l’umano fino all’intento cosmo-teandrico pluralista;

si ricorda il legame tra Sofia e Cristo per evitare il panteismo o politeismo. Dal riferimento

precolombiano alla terra madre (la liberazione), la Saggezza si manifesterà come teonomia della

teologia neo-culturale. L’intuito rahneriano –come è stato più volte sottolineato (cfr infra)- entra

nella prospettiva sapienziale o sofianica dalla sua chiave ‘anonima’ che accomuna le profondità

umane fino alla trascendentalità più palese. Più che da uno sviluppo proprio dei una teologia del

Logos, si arriverà alla Saggezza dalla prospettiva della teologia rahneriana della grazia versus il

‘cristiano anonimo’ 2.

U.

RAHNER DI FRONTE ALLA SALVAGUARDIA

TEOLOGICA DELLA TRADIZIONALITÀ

L’ultimo ambito dialogale delle teologie, come le abbiamo potuto osservare e per quanto la

nostra indagine ci ha permesso di cogliere, passa dal percorso storico di genuinità cristiana

all’attuale interrogativo sull’autenticità di coinvolgimento cristiano in seno alla comunità umana in

cammino. Dall’impegno liberativo alla penetrazione interculturale, dalla convergenza intermedia

dell’intento sofianico, si può cogliere nel corso della fine millennio dei ripiegamenti di

salvaguardia sul coinvolgimento ecclesiale stesso, che vorrà richiamare la priorità delle ‘radici’ per

ogni impegno legittimo da parte cristiana. In modo caratteristico, saranno meno i ‘nuovi

movimenti religiosi’ che invece certi ‘nuovi movimenti ecclesiali’, presenti nelle varie tradizioni e

nelle Chiese cristiane, a voler rivitalizzare la vita della Chiesa. Sia nella teologia della tradizionalità

di A. Mascall e di Ch. Journet, o dei movimenti di Zoè e di quelli ecclesiali dell’ambito romano,

peraltro anche della ultima maturazione d’intento di J. Ratzinger, o persino nei tradizionalismi

1 Vedere il corso e lo studio sulla Sofia, A. Joos, in «Internet» 2011, http://www.webalice.it/joos.a/SOPHIANIC_THEOLOGY_-

_TEOLOGIA_SOFIANICA.html.

2 J. Webster, Karl Rahner's Theology of Grace (What's Happening in Continental Theology? - 2), in «EVANGEL», April 1983, n° 9, etiam in

«Internet» 2011, http://www.theologicalstudies.org.uk/pdf/evangel/1-2_webster.pdf (pdf page p. 11) : «Anonymous Christianity. Many of

the same theological principles are at work in Rahner's approach to non-Christians religions. Since grace is implicit within nature, there can

be no 'pure' nature, no nature from which God is entirely absent. 'Our actual nature is never 'pure' nature. It is nature installed in a

supernatural order which man can never leave, even as a sinner and unbeliever' (Theological Investigations 4 (London, 1966) 183). If this is

true, Rahner urges, there can be no absolutely godless man: all men have an experience of God as the infinite goal and horizon towards

which their being strives. This experience may not be explicitly identified or conceived of as an experience of God, although within the great

religions of the world it is so identified. Accordingly, all man's religions are spheres within which grace is already operative: 'Until the

moment when the gospel really enters into the historical situation of an individual, a non-Christian religion ... does not merely contain

elements of a natural knowledge of God ... It contains also supernatural elements arising out of the grace which is given to men as a

gratuitous gift on account of Christ' (Theological Investigations 5 (London, 1966) 121). It is on this basis that Rahner develops his idea of

'anonymous Christianity'. Since all religions are the sphere of the grace whose focus and culmination is God's presence in the person of

Christ, then all religious believers may be claimed as 'implicit' or 'anonymous' Christians - 'implicit' or 'anonymous' in the sense that their

experience of grace is not explicitly identified with the name of Christ. This, quite naturally, conditions Rahner's understanding of the nature

of the church's missionary activity. 'Christianity does not simply confront the member of an extra-Christian religion as a mere non-Christian

but as someone who can and must be regarded as' an anonymous Christian' (ibid., 131)».

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riaffermati. Nel percorso del XX secolo, si osserva un continuo ritorno all’integralismo di

salvaguardia sulla effettiva presenza cristiana in seno all’umanità odierna: le teologie della

tradizionalità nell’ambito della riflessione ortodossa greca per contrastare il tradizionalismo

grezzo, includendo da sempre l’eschaton dello Spirito nella 'finalità ultima della storia', con A.

Alivisatos, Androutsos, P. Trembelas, P. Bratsiotis e altri: si vuole -con il movimento “Zoì” della

tradizionalità- evitare la deriva dell’«athosamento» oltransista (alla Monte Athos). In ambito

romano, di fronte al modernismo alla Loisy, Tyrell, Buonaiuti, Murri (o i liberalismi protestanti alla

Ritschl, von Harnack, Troeltsch) si vorrà ristaurare l’intento corretto tramite il neo-tomismo con

Mercier, Gilson (Maritain), o il tomismo formale con Sertillanges, Maréchal, Parente, Colombo, o

l’ecclesiologia tomista con M. Grabmann e Ch. Journet, o ancora il tomismo fondamentale con R.

Garrigou-Lagrange, magari per neutralizzare l’ecônizzazione delle frange nostalgiche. Sarà una

distanza massima che si disegna con la chiave rahneriana, non smentita dalle vicende e

risentimenti personali riguardo a lui.

V.

LA RIARTICOLAZIONE DELL’ESPERIENZA UMANA

DAL ‘PROFONDO’ E LA TRASCENDENTALITÀ

RAHNERIANA

Dai vari diagrammi e schematizzazioni, approdiamo all’ultima riarticolazione nel progetto

inter-teologico che risulta dalla nostra indagine sulle teologie del XX-XXI secolo. Da quale chiave

riarticolativa complessiva si può –in qualche modo- tirare le somme dei passi compiuti? La messa

in questione decisiva delle varie globalità o ‘totalità’ sembra essere portata a maturazione da P.

Ricoeur, con l’interrogativo di fondo posto alla ‘totalità della storia della salvezza’ 1. L’esplorabilità

complessiva delle profondità umane come chiave teologica, che dall’intento della ricerca etica, con

B. Häring, M. Oraison, P. De Locht ed altri, entra nella tematica dell’esperienza profonda della

persona umana, ponendo la questione sulla teologia della femminilità come configurazione

fondamentale della persona, invito a superare le strettoie del passato col rinnovamento della

impostazione ecclesiale non in termini ecclesiologici, ma in riferimento maggiormente

pneumatologico. Dalle incertezze passate nei rapporti tra maschile e femminile, dal cammino

riguardo alla donna nelle ermeneutiche femministe, la dimensione materna di Dio fino a Cristo

sulla croce ('partorendo' la Chiesa), con la 'presbitera' bizantina o le diaconesse o l'impegno

femminile come 'doulè', il profilo femminile e la 'vocazionalità' delle donne va valorizzata come

diritti costitutivi nella Chiesa. La riarticolazione include e spinge oltre l’intuito intermedio della

corrente sofianica (cfr supra). Rahner e Ricoeur si intrecciano nella prospettiva di approfondimento

1 G. Ferretti, La teologia di fronte alla svolta ermeneutica, in «Firmana. Quaderni di teologia e pastorale», 1993 n0 2, p. 25: «Le conseguenze

di questa “crisi della totalità” ci paiono già avvertibili in più modi anche in campo teologico, ove si assiste all’emergere di una nuova

problematica ermeneutica. Vorrei spiegarmi con due esempi, che traggo da recenti interventi, fatti rispettivamente da Ricoeur e da Metz,

all’Università di Macerata in occasione dei Colloqui su “Filosofia e religione”. Nella relazione Miti della salvezza e ragione contemporanea (cfr.

P. Ricoeur, Miti della salvezza e ragione contemporanea, in G. Ferretti (a cura di), La ragione e simboli della salvezza oggi, Atti del Quarto

Colloquio su Filosofia e Religione (Macerata, 12-14 maggio 1988), Marietti, Genova 1990, pp.15-37), Paul Ricoeur mette addirittura in

discussione il concetto teologico di “storia della salvezza”, nel senso di grande racconto unitario al cui interno ogni evento della storia

dovrebbe avere il suo senso. Un concetto teologico che ha avuto grande diffusione in teologia, ma che, a suo avviso, è forse entrato in

teologia proprio per influsso delle visioni totalizzanti della storia proprie della filosofia moderna e dello storicismo oggi in crisi. In effetti,

egli osserva, i racconti biblici sono una somma di narrazioni slegate tra di loro, che propongono dei sensi parziali non facilmente riportabili

ad una visione totale unitaria. Non sarebbe quindi corretto vedervi la delineazione di un orizzonte storico totalizzante, sia pure di carattere

utopico, alla cui luce sia possibile individuare teologicamente il senso di ogni avvenimento storico».

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trascendentale 1. Ricoeur si interesserà alle profondità umane tramite il simbolismo e la mitologia

in relazione alla colpa e al male, nuova ermeneutica di ispirazione freudiana e con Drewermann, si

ridà la parola all’intento umano profondo, da una esegesi psicologica o storico-psicologica, dando

all’intento cristiano la sua capacità di guarire dall’angoscia che produce il peccato, seguendo la via

della esperienzialità al di là del logocentrismo, e riaprendo le promesse del sogno ma anche

dell’interiore esistenziale come approccio complementare. La chiave ‘apocalittica’ non è poi

lontana dalle riflessioni sulle ‘profondità’ 2. È nella ‘profondità’ che l’incontro tra il divino e

l’umano potrà essere considerato 3. Dall’ultimo livello dialogale si risale al primo sia nelle

convergenze, sia nelle riarticolazioni…

1 Cfr D. Simon, Rahner and Ricoeur on religious experience and language: A reflection on the mutuality between experience and language in

the transcendental and hermeneutical tradition, in «Église et théologie», 1997 n° 28, pp. 77-99.

2 Cfr M. Kehl, Aktualisierte Apokalyptik: K. Rahner, J. B. Metz, E. Drewermann, in «Theologie und Philosophie», 1989 N° 64, S. 1-22.

3 F. W. Jansen, Von der Menschlichkeit Gottes und der Göttlichkeit des Menschen: Offenbarung und Erfahrung bei Edward Schillebeeckx und

Eugen Drewermann; Ansätze zu einer befreienden Theologie, Münster 2004, (231 S.), (cfr S. 180 ff.).