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www.murlocultura.com QUADERNO TRIMESTRALE DELL’ASSOCIAZIONE CULTURALE DI MURLO Anno 18 - n° 1 (83/85-Sc) Reg. Tribunale di Siena n° 665-21/4/98 Direttore responsabile: Annalisa Coppolaro Redazione: Piazza delle Carceri 10 53016 – Murlo Gennaio-Febbraio-Marzo 2015 Considerazioni sopra “annotazioni” anonime sul sentiero didattico della ferrovia delle Miniere di Luciano Scali N ell’editoriale di questo numero vorrei soffermarmi su alcune considerazioni che mi sono venute spontanee alla vista di due note. La prima, incollata sul disco di divieto di transito all’inizio del percorso didattico della ferrovia delle Miniere e la seconda sulla spalletta destra del Ponte Nero. Su quest’ultima però non voglio spendere parole e tempo perché non li merita. Mi soffermerò pertanto sulla prima per sottolineare appunto, il concetto di spontanee considerazioni, sui segni lasciati lungo il tracciato dall’azione degli agenti atmosferici e da coloro che in questi anni vi sono transitati con in- tenti diversi. Il progetto originario del sentiero didattico si riprometteva il recupero del percorso sul quale, nei primi anni dell’Unità d’Italia, personaggi lungimiranti avevano immaginato e realizzato una delle prime ferrovie private della novella na- zione. Un progetto ambizioso e d’indubbio fascino, precursore di risvolti culturali di grande rilievo per la sua collocazione in un contesto dove si succedono formazioni rocciose risalenti al giurassico ed al cretaceo tali da fargli assumere il connotato di autentico museo a cielo aperto. Alle realtà naturalistiche presenti venivano a sommarsi i segni dell’uomo, riscontrabili non solo nei resti dei manufatti riconducibili al periodo dell’attività mineraria, ma anche a quelli dei mestieri perduti legati all’attività boschiva, alla preparazione dei leganti attraverso cave e fornaci abbandonate e ai mulini con ancora le strutture annesse chiaramente leggibili. Una zona incredibile ed unica, ai bordi di un torrente capriccioso con la facoltà di scomparire durante i periodi di grandi siccità ma capace di trasformarsi d’improvviso in autentico castigo di Dio con le sue piene devastan- ti. A tutto questo poi, la congiunzione con l’altro torrente che fino ad un secolo fa portava lo stesso nome, in un punto ove sui poggi circostanti un antico borgo con castello e un monastero si fronteggiavano a poca distanza da dove Alarico con i suoi cosiddetti barbari procurò grossi dispiaceri alle ville romane lungo l’Ombrone. Tutto questo in un contesto che, grazie al sentiero didattico della vecchia ferrovia è divenuto alla portata di tutti. Proprio così: di tutti. Degli amanti della natura per quanto essa offre, di coloro che nel silenzio immaginano di rivivere l’atmosfera di antiche storie oppure di recepire l’ispirazione per creazioni artistiche e letterarie o chi invece, approfitta del luogo ideale per smaltire nella corsa le incipienti rotondità. Tutte cose positive supportate, almeno nelle primitive intenzioni degli incaricati a realizzarle, da una didattica sotto forma di cartelli illustrativi con spiegazioni bilingue. Ma come tutti sanno, ogni moneta ha il suo rovescio e alla luce del gior- no si alterna il buio della notte, proprio così: il buio dell’ignoranza e della cattiva educazione sinonimi d’inciviltà, di disprezzo o incuria per la Res Publica come l’ignoto acculturato estensore della nota menzionata giustamente cita. La “Cosa Pubblica” ovvero quella cosa della quale è stato smarrito il senso, di cui ognuno di noi dovrebbe avere cura senza bisogno di apporre cartelli per rammentarlo o mettervi un cerbero a fungere da dissuasore o scaccino. Strano a dirsi ma tra la gente civile le cose incustodite si custodiscono da sole perché a mettervi accanto qualcuno di guardia equivale a offendere l’educazione e l’onestà di coloro che a quelle cose si avvicinano sapendo che non si tratta di proprietà privata ma di tutti. Così il sentiero didattico, nato come percorso culturale naturalistico è divenuto, come l’esempio della moneta insegna, il mezzo da usare per interessi personali. La storia, che l’anonima nota sottolinea, ebbe inizio con una serie d’interventi clandestini, come: la rimozione della sbarra d’accesso per l’introdursi con vetture in zona pedonale o con mezzi meccanici per il taglio del bosco; fecero seguito poi la distruzione del monolite sul fosso dei Castagni, l’allargamento con mezzi meccanici del sentiero, con conseguente fra- na, per permettere la rimozione del legname ricavato da piante abbattute anche in proprietà comunale e quindi: “Res Publi- ca”. Ma poiché non esistono limiti alle trasgressioni, è di questi giorni il taglio di piante lungo il sentiero dopo il ponte sul Crevole e così la storia si innesca di nuovo senza apparente possibilità di soluzione a meno che non si riesca a convincere le persone a non appropriarsi o danneggiare i beni comuni. Più facile a dire che a fare a meno che, visto che si sta parlando di cosa pubblica e quindi di proprietà di ognuno di noi, non si decida di improvvisarci tutti guardiani impegnandosi in prima persona, a custodirla e difenderla, senza pretendere che siano sempre gli altri a doverlo fare. Vorrei concludere con un’ultima considerazione sull’avviso affisso dall’ignoto moralizzatore all’inizio del sentiero didattico. Come sopra accennato non do- vrebbe esserci bisogno di cartelli per indicare alle persone ciò che si possa o non si debba fare per due semplici motivi: A chi non sa leggere il cartello non serve come, del resto non serve a chi non vuol sapere. Servirebbe solo un po’ d’educazione e il rispetto per la “Cosa Pub- blica”. Tutto il resto è niente!

Considerazioni sopra “annotazioni ... · Mi soffermerò pertanto sulla prima per sottolineare appunto, il concetto di spontanee considerazioni, sui segni lasciati lungo il tracciato

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www.murlocultura.com

QUADERNO TRIMESTRALE DELL’ASSOCIAZIONE CULTURALE DI MURLO

Anno 18 - n° 1 (83/85-Sc) Reg. Tribunale di Siena n° 665-21/4/98

Direttore responsabile: Annalisa Coppolaro

Redazione: Piazza delle Carceri 10 53016 – Murlo

Gennaio-Febbraio-Marzo 2015

Considerazioni sopra “annotazioni” anonime sul sentiero didattico della ferrovia delle Miniere

di Luciano Scali

N ell’editoriale di questo numero vorrei soffermarmi su alcune considerazioni che mi sono venute spontanee alla vista di due note. La prima, incollata sul disco di divieto di transito all’inizio del percorso didattico della ferrovia delle Miniere e la seconda sulla spalletta destra del Ponte Nero. Su quest’ultima però non voglio spendere parole e tempo

perché non li merita. Mi soffermerò pertanto sulla prima per sottolineare appunto, il concetto di spontanee considerazioni, sui segni lasciati lungo il tracciato dall’azione degli agenti atmosferici e da coloro che in questi anni vi sono transitati con in-tenti diversi. Il progetto originario del sentiero didattico si riprometteva il recupero del percorso sul quale, nei primi anni dell’Unità d’Italia, personaggi lungimiranti avevano immaginato e realizzato una delle prime ferrovie private della novella na-zione. Un progetto ambizioso e d’indubbio fascino, precursore di risvolti culturali di grande rilievo per la sua collocazione in un contesto dove si succedono formazioni rocciose risalenti al giurassico ed al cretaceo tali da fargli assumere il connotato di autentico museo a cielo aperto. Alle realtà naturalistiche presenti venivano a sommarsi i segni dell’uomo, riscontrabili non solo nei resti dei manufatti riconducibili al periodo dell’attività mineraria, ma anche a quelli dei mestieri perduti legati all’attività boschiva, alla preparazione dei leganti attraverso cave e fornaci abbandonate e ai mulini con ancora le strutture annesse chiaramente leggibili. Una zona incredibile ed unica, ai bordi di un torrente capriccioso con la facoltà di scomparire durante i periodi di grandi siccità ma capace di trasformarsi d’improvviso in autentico castigo di Dio con le sue piene devastan-ti. A tutto questo poi, la congiunzione con l’altro torrente che fino ad un secolo fa portava lo stesso nome, in un punto ove sui poggi circostanti un antico borgo con castello e un monastero si fronteggiavano a poca distanza da dove Alarico con i suoi cosiddetti barbari procurò grossi dispiaceri alle ville romane lungo l’Ombrone. Tutto questo in un contesto che, grazie al sentiero didattico della vecchia ferrovia è divenuto alla portata di tutti. Proprio così: di tutti. Degli amanti della natura per quanto essa offre, di coloro che nel silenzio immaginano di rivivere l’atmosfera di antiche storie oppure di recepire l’ispirazione per creazioni artistiche e letterarie o chi invece, approfitta del luogo ideale per smaltire nella corsa le incipienti rotondità. Tutte cose positive supportate, almeno nelle primitive intenzioni degli incaricati a realizzarle, da una didattica sotto forma di cartelli illustrativi con spiegazioni bilingue. Ma come tutti sanno, ogni moneta ha il suo rovescio e alla luce del gior-no si alterna il buio della notte, proprio così: il buio dell’ignoranza e della cattiva educazione sinonimi d’inciviltà, di disprezzo o incuria per la Res Publica come l’ignoto acculturato estensore della nota menzionata giustamente cita. La “Cosa Pubblica” ovvero quella cosa della quale è stato smarrito il senso, di cui ognuno di noi dovrebbe avere cura senza bisogno di apporre cartelli per rammentarlo o mettervi un cerbero a fungere da dissuasore o scaccino. Strano a dirsi ma tra la gente civile le cose incustodite si custodiscono da sole perché a mettervi accanto qualcuno di guardia equivale a offendere l’educazione e l’onestà di coloro che a quelle cose si avvicinano sapendo che non si tratta di proprietà privata ma di tutti. Così il sentiero didattico, nato come percorso culturale naturalistico è divenuto, come l’esempio della moneta insegna, il mezzo da usare per interessi personali. La storia, che l’anonima nota sottolinea, ebbe inizio con una serie d’interventi clandestini, come: la rimozione della sbarra d’accesso per l’introdursi con vetture in zona pedonale o con mezzi meccanici per il taglio del bosco; fecero seguito poi la distruzione del monolite sul fosso dei Castagni, l’allargamento con mezzi meccanici del sentiero, con conseguente fra-na, per permettere la rimozione del legname ricavato da piante abbattute anche in proprietà comunale e quindi: “Res Publi-ca”. Ma poiché non esistono limiti alle trasgressioni, è di questi giorni il taglio di piante lungo il sentiero dopo il ponte sul Crevole e così la storia si innesca di nuovo senza apparente possibilità di soluzione a meno che non si riesca a convincere le persone a non appropriarsi o danneggiare i beni comuni. Più facile a dire che a fare a meno che, visto che si sta parlando di cosa pubblica e quindi di proprietà di ognuno di noi, non si decida di improvvisarci tutti guardiani impegnandosi in prima persona, a custodirla e difenderla, senza pretendere che siano sempre gli altri a doverlo fare. Vorrei concludere con un’ultima considerazione sull’avviso affisso dall’ignoto moralizzatore all’inizio del sentiero didattico. Come sopra accennato non do-vrebbe esserci bisogno di cartelli per indicare alle persone ciò che si possa o non si debba fare per due semplici motivi: A chi non sa leggere il cartello non serve come, del resto non serve a chi non vuol sapere. Servirebbe solo un po’ d’educazione e il rispetto per la “Cosa Pub-blica”. Tutto il resto è niente!

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2 Murlo Cultura

LETTERE AL DIRETTORE

I n paese non è solo una istituzione, ma un luogo di ritrovo, un posto dove la gente sa di poter trovare sempre, oltre all’articolo che cerca, anche un sorriso e

due parole amichevoli. La famiglia Muzzi la possiede dal 1952, ed è nota anche per la scelta incredibile di oggetti anche inaspettati che “se non ce li ha te li porta mercoledì”. E ora la mitica Tabaccheria Paolo Muzzi può vantare anche il titolo di “Premiata”, in quanto la Federazione Italiana Tabaccai ha appena conferito al titolare Paolo Muzzi il Diploma d’onore e l’ambita T d’Oro con rubino, ossia la T d’onore di primo grado. La motivazione della FIT è stata la seguente: “Con spirito di attaccamento al lavoro si è pro-digato per lungo tempo nella gestione della rivendita, dando prova di una attività apprezzata e meritoria”. La Tabaccheria Muzzi esiste in Via Rimembranze da lon-tano 1952, e Paolo Muzzi vi lavorava già allora insieme alla madre Emilia, divenendone titolare alla sua scomparsa nel 1970. Generazioni di bambini e ragazzi hanno com-

ATTUALITA’

IL MITICO TABACCAIO PAOLO MUZZI VINCE LA ''T'' D'ORO DELLA FEDERAZIONE ITALIANA TABACCAI

''SPIRITO DI ATTACCAMENTO AL LAVORO E MERITI''

di Annalisa Coppolaro

prato e comprano qui quaderni e penne e righelli e squa-drette, conquistati dall’odore della carta e dal fascino di un negozio che non è mai cambiato davvero, conservando l’atmosfera della classica bottega toscana ma aggiornando continuamente il suo magazzino e i suoi ripiani per offrire una scelta competitiva. Ma il centro di tutto questo è sicu-ramente la personalità di Paolo, o “Paolino”, come spesso lo chiamano amichevolmente i vescovini, che accoglie tutti con uno charme indiscutibile facendo sentire subito a casa anche il turista o il nuovo arrivato in paese. Compe-tenza, simpatia, gentilezza e attenzione ai dettagli, insom-ma, le carte vincenti di una attività basata sul rapporto personale, come ce ne vorrebbero ovunque in Italia e al-trove. Un premio meritato, insomma, anche per l’affetto e l’orgoglio con cui il paese considera da sempre questo negozio-istituzione e il suo team, composto oggi anche dalla moglie di Paolo, Iride, e dalle figlie Claudia ed Emi-lia. Complimenti!

Gentile Camillo Zangrandi, innanzitutto mi scuso per il ritardo nel rispondere non a una, bensì addirittura a due stimolanti lettere che Murlo Cultura ha pubblicato nel numero 1 dell'anno 2014 e nel numero 1 del 2015. L'annosa questione dell'Unione dei Comuni che viene sollevata nella prima lettera non è comunque ancora sta-ta risolta, e si trascina ormai da diverso tempo, forse anche a causa della questione-Radicondoli, ma ovvia-mente il problema è altrove. Si tratta di una nota resi-stenza al cambiamento, una tendenza per niente nuova non solo, ovviamente, a livello comunale, ma nazionale direi. Come accorpare i comuni in grandi unità sovrater-ritoriali, quando siamo tutti così legati al nostro piccolo comune raggiungibile in pochi minuti per qualsiasi ne-cessità? Perché doversi spostare per molti chilometri quando l'ufficio è proprio dietro l'angolo? Questo si chiedono diversi cittadini, non pensando che l'accorpa-mento di vari territori sarebbe un enorme vantaggio.

Ma per quanto riguarda la seconda lettera, relativa alla gestione del Museo Etrusco, possiamo finalmente ri-spondere con una nota positiva. Infatti , recentissimamente, la gestione di questa impor-tante realtà di Murlo è passata all'Associazione Pro Loco di Murlo, che ha oggi quindi la possibilità di gestire le entrate ed assumere personale, promuovendo di conse-guenza quello che rimane il fulcro dell'attività culturale del territorio di Murlo. Per tutto il mese di luglio 2015, peraltro, lo svolgimento di Blu Etrusco (vedi articolo su questo numero) potrebbe rilanciare definitivamente il Museo stesso, apparso tra l'altro di recente nella stampa nazionale di nuovo, e quindi , con la gestione della Po Loco di Murlo, ritrovare una sua precisa dimensione non solo a livello regionale ma nazionale e internazionale. Proprio come merita, data l'altissima qualità dei reperti e dell'allestimento, che lo rende uno dei migliori proprio a livello europeo. Quindi direi che la sua lettera è stata di buon auspicio...Grazie. E scriveteci ancora.

Il Direttore

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3 Murlo Cultura

M aggio a Casciano. Si inaugura il giorno 9 mag-gio presso i locali della ex pizzeria La Terraz-za, una mostra d’arte di opere di artisti del

Gruppo ALI Artisti LIberi Indipendenti della Val di Merse. Ma non sarà una mostra come le altre: aperta per la durata della Festa in Collina, la Mostra d’arte includerà anche un’iniziativa senza precedenti in collaborazione con il Gruppo Scrittori Senesi che si è costituito in que-sti recenti mesi, presentandosi alla stampa il giorno 8 aprile nella Sala delle Lupe del Comune di Siena. L'ini-ziativa-concorso si chiama Adotta un pittore, ed è sem-plice nella sua unicità: per ogni quadro o foto messa in mostra, uno scrittore del Gruppo sta creando un com-ponimento poetico o di narrativa ispirato all’opera

EVENTI A MURLO

ADOTTA UN PITTORE ALI artisti Liberi Indipendenti incontra Gruppo Scrittori Senesi

Alla Festa in Collina un evento di arte senza precedenti

di Annalisa Coppolaro

EVENTI A MURLO

PREMIO LETTERARIO ''SULLE COLLINE DELLA POESIA'' di Annalisa Coppolaro

Ebbene sì, il nostro premio di poesia torna con la bella stagione! E stavolta aperto ai residenti e a tutti i soci dell’Associazione culturale! La prima edizione di “Sulle colline della poesia” è stato un modo per lanciare una nuova idea, quella della scrit-tura basata nel territorio, un concorso a cui potevano partecipare gli abitanti di Murlo. Con un vincitore (Moira Velvet), un premio speciale (Ivan Nannini), tre finalisti (Giorgio Boletti, Rolando Amato e Lorenzo An-selmi), l’idea è stata premiata e adesso ritorna con immu-tato interesse, ma con una novità. L’Associazione vanta un numero di soci residenti fuori dal territorio di Murlo, e alcuni di loro lo scorso anno ci hanno chiesto: ma come mai non estendete il concorso anche a noi soci “oltre confine”? Ed è quello che fare-mo. A partire da questa edizione, il premio “Sulle Colli-ne della poesia” è aperto a tutti coloro (grandi e piccoli, murlesi e non) che amano la poesia, sia residenti a Mur-lo, sia associati all’Associazione Culturale di Murlo. Prendete quindi carta, penna e calamaio! BANDO 2015 Chi non ha mai dedicato un componimento poetico alla natura, a un amore, un amico, un figlio, un animale do-mestico, un momento, un’emozione? Bene, ecco il vo-

stro momento: da ora fino al 31 luglio avete tempo per inviare la vostra poesia PER POSTA in busta chiusa, in qualsiasi forma (rima baciata, rima libera, sonetto, ottava rima, haiku, canzone, filastrocca..), al seguente indirizzo:

Associazione Culturale di Murlo Piazza delle Carceri 53016 MURLO - Siena

La poesia dattiloscritta NON deve riportare il nome dell’autore, ma nella busta chiusa va inserita una busta più piccola con il NOME o lo PSEUDONIMO dell’autore, la dicitura “residente a Murlo” o “socio dell’Associazione Culturale di Murlo” e due righe che autorizzano alla pubblicazione (es. “autorizzo alla pub-blicazione della mia poesia”, firmato....). In alternativa, la poesia può essere inviata PER POSTA ELETTRONICA all’indirizzo email:

[email protected] in allegato senza firma, specificando nel testo della mail il nome dell’autore o lo pseudonimo e l’autorizzazione alla pubblicazione come sopra. I diritti della poesia ri-mangono all’autore. Tutte le poesie pervenute saranno pubblicate sul sito www.murlocultura.com. Le poesie sono a tema libero.

d’arte. Le accoppiate, in parte pubblicate già sulla pagina dell’evento su Facebook, verranno quindi esposte insie-me, fianco a fianco, nella mostra di Casciano, e i visitato-ri avranno la possibilità di votare la coppia quadro-scritto che preferiscono, in modo anonimo. Alla fine della mostra, con una serata-aperitivo, verranno premia-te le tre “accoppiate” che hanno ricevuto più voti. Si tratta già di una trentina di opere a cui gli scrittori si so-no ispirati ma l’iniziativa è ancora in corso e solo la sera dell’inaugurazione, sabato 9 maggio, sarà certo il numero dei partecipanti. Al vernissage e alla mostra sono invitati tutti i lettori di Murlo Cultura! E votate, ovviamente, le opere che preferite! Una iniziativa sicuramente diversa e originale, da premiare in sé.

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4 Murlo Cultura

S velto svelto contadino non vorrai restar digiuno cava il pane dal cuscino

non aspetto più nessuno. Sono il cucco tanto atteso prima o poi devo tornare e se a letto t’ho sorpreso vedrai che si mette male. O cucco, cucco dalle penne d’oro dimmi quant’anni sto a prender tesoro! Conta conta contadino conta il canto mio indovino O graziosa fanciulletta che mi ascolti da lontano tu mi pare hai troppa fretta di concedere la mano. Affacciata al davanzale guarda bene chi t’invita che se poi lo scegli male ci starai tutta la vita. O cucco, cucco dal becco fiorito dimmi quant’anni sto a prender marito! Conta conta fanciulletta conta gli anni e poi aspetta Tutti gli anni c’è chi attende il mio nuovo vaticinio mai nessuno mi difende dalle accuse di quel Plinio che diceva sono un vile a fuggire luglio e agosto e che solo un incivile può far l’uovo di nascosto. O cucco, cucco dall’occhio cattivo dimmi perché sei così tanto schivo! Senti senti grande etologo sta’ a sentire il mio monologo! Quando vidi il primo giorno poi che il guscio si fu aperto mi guardai perplesso intorno: perché il nido era deserto? C’eran forme intorno astruse guardai meglio ed eran uova tutte quante ancora chiuse: strano che nulla si muova. Ero proprio tutto solo

quasi stavo a farne un dramma quando invece arriva in volo un grande uccello: è la mamma!?! Notai che fu ben sorpresa della nascita precoce ma ben presto si fu arresa alla mia possente voce. Mi riempiva di delizia ai richiami prolungati accorrendo con dovizia con insetti prelibati. Poi, come natura vuole da quei gusci stenterelli nacque il resto della prole: ora avevo dei fratelli! Come accade facilmente a chi è più grande e grosso io mi feci prepotente e beccate a più non posso. Non bastaron le premure della mamma poveretta: quelli sotto le torture prepararono vendetta. E mi vollero umiliare a imitare il loro verso poi facendomi notare che il piumaggio era diverso. Ero triste più che mai allorché mi alzai in aria: fu così che cominciai la mia vita solitaria. Ho capito dopo un po’ che la mamma, quella vera il mio uovo lo lasciò presso una capinera. Il cuculo parassita delegando un altro uccello si semplifica la vita: fa covare questo o quello. È una lunga tradizione: sceglie un nido e poi aspetta l’attimo di distrazione per lasciarvi l’uovo in fretta. E affinché all’ingannata non risulti un uovo in più preso un della covata lo fa rotolare giù. È per questi miei attributi — te lo dico per inciso — che a gran parte dei pennuti io risulto un poco inviso. Ma voi umani siete amici: me l’ha detto anche il cantore delle umil tamerici che gli porto il buonumore. E per farvi cortesia quando arriva Primavera per chi ama la Poesia canterò mattina e sera. Murlorenz

POESIA

Ode al Cuculo a cura della Redazione

Per rimanere in tema di poesia e invitare a partecipare numerosi anche al concorso di quest’anno, proponiamo una poesia a tema primaverile, arrivata qualche tempo fa alla Redazione e dedicata al cuculo (Cuculus canorus), che come forse non tutti sanno è un parassita di nidi altrui: la femmina cioè depone le uova nel nido di altre specie di uccelli, che covano e allevano loro malgrado l’intruso.

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5 Murlo Cultura

EVENTI A MURLO

BLU ETRUSCO Il grande festival di Murlo Appuntamento dal 3 luglio al 2 agosto 2015, nel castello

di Simone Marrucci

C i saranno Moni Ovadia e Da-vid Riondino, grandi musicisti jazz, grandi studiosi e archeo-

logi per Bluetrusco, l’unico grande festival dedicato all’antico popolo. L’appuntamento è al castello di Murlo, dal 3 luglio al 2 agosto 2015. Si tratta di un “viaggio con gli Etruschi di ieri e di oggi” nell’ambito delle “Notti dell’archeologia” della Regione Tosca-na, nel periodo in cui è in corso la campagna di scavi nella vicina Poggio Civitate da parte di University of Mas-sachusetts Amherst. Ma i veri prota-gonisti di questo evento, che vede la direzione scientifica di Giuseppe M. Della Fina, saranno gli abitanti, studia-ti per il loro Dna correlato con l’antica popolazione di queste zone. La propo-sta è così innovativa e stimolante che si annuncia la pre-senza, all’inaugurazione, del sottosegretario Borletti Buito-ni, dell’ambasciatore della Repubblica di Turchia in Italia Sezgin, del Soprintendente Pessina oltre a illustri accade-mici, rappresentanti di enti e istituzioni. Sono previsti convegni, concerti, incontri, degustazioni, mostre, una fiera dei libri di archeologia, l’esposizione e la vendita di prodotti locali, escursioni e visite guidate. Da non perdere le “veglie” con i residenti e serate di jazz& wine. Bluetrusco è l’omaggio a un popolo che amava la musica, attraverso un colore che richiama il mistero, la

notte, e che dà il nome alla nota “magica” di blues e jazz, generi caratterizzati dall’improvvisazione, esattamente come la musica antica. Fin dalla sua prima edizione, Bluetrusco ha l’intento di trasformare il castello di Murlo (antica sede di un feudo del Vescovo di Siena), in un laboratorio permanente di arte e cultura, da aggiungere al meraviglioso Antiquarium di Poggio Civitate. Il museo di Murlo è unico nel suo genere: presenta resti d’importanti edifici etruschi, con il loro fantastico sistema decorativo. Segno, anche questo, delle potenzialità di un luogo rimasto isolato per secoli e

quindi molto più legato di altri a tradizioni, stili di vita (oltre al patrimonio genetico) di una civiltà nata tremila anni fa ed aperta, sin dalla sua fase di formazione, ad apporti venuti da lontano e, in particolare, da aree dell’odierna Turchia. Una civiltà interessata da continue contaminazioni e trasforma-zioni che riesce ad essere ancora viva. Per questo, solo a Murlo, un “viaggio con gli Etruschi di ieri e di oggi” diventa assoluta-mente veritiero, per non dire inevitabile. Bluetrusco è organizzato da: Comune di Murlo, Fondazione Musei senesi, Soprin-tendenza per i Beni archeologici della To-scana, Archeo e vede il coinvolgimento di Università e importanti istituzioni interna-zionali, della Provincia di Siena e della Re-gione Toscana.

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SEGNI DELL’UOMO

Girovagando di Luciano Scali

I l titolo può non dire granché ma dà l’impressione che sia stato messo lì da qualcuno che, non avendo me-glio da fare, se ne sta andando in giro senza una meta

precisa, lasciandosi trasportare più dai piedi che non da inesistenti pensieri. Talvolta accade nel camminare (allorché si cerca uno spunto per riempire la testa vuota), un qualcosa che inviti a fermarsi, per poter osservare gli oggetti da vicino, con maggiore attenzione. Quante volte sarò passato dal villaggio della Miniera? Non lo so, penso proprio di averne perso il conto ma non l’interesse per quanto ancora nasconde e che potrebbe rivelare. Ogni volta che ci passo si rinnova l’impressione della sua pro-gressiva perdita d’identità quasi che il tempo, simile ad un impietoso scalpello, ne sgretolasse le strutture. Sono pas-sati quasi tre lustri da quando la nostra Associazione, an-cora euforica per la realizzazione del percorso didattico, cullava l’idea di recuperare la “Fortezza”, il vecchio “manufatto per calce” situato in fondo al villaggio, per adattarlo a museo della miniera e delle attività che si erano svolte nel comprensorio. Un’idea ambiziosa forse, ma che avrebbe rappresentato il naturale completamento di un progetto più vasto capace di far rivivere quella zona che più di ogni altra aveva contribuito allo sviluppo dell’intera comunità di Murlo. Un sogno utopico forse e proprio per questo pieno di fascino che per alcuni mesi ci fece sognare ad occhi aperti

nella speranza che alcune importanti vestigia del passato venissero sottratte al naturale degrado e recuperate per fini didattici a complemento del già realizzato percorso. Ma, come tutti sanno, i desideri sono fatti dello stesso materiale dei sogni che svaniscono all’alba e, di quanto lungamente vagheggiato, rimane oggi un opuscoletto con testi, disegni e proposte a testimonianza dell’impegno profuso nel tentativo di concretizzare un’idea. Oggi mi sono soffermato più a lungo del solito ai piedi della Fortezza, scattando qualche foto che andrà ad im-pinguare la corposa cartellina ad essa dedicata nel dossier del villaggio minerario. Un sistema come un altro per te-nere sotto controllo l’evoluzione del degrado in una im-portante testimonianza del passato, ma soprattutto per tutelare, seppur virtualmente, un raro esempio ancora in essere che ricordasse come la produzione di grandi quan-tità di legante venisse ottenuta con metodi piuttosto sem-plici. L’interesse suscitato dalle vista di quelle strutture che consentivano di tenere assieme l’intero edificio e che oggi mostrano la loro precarietà, suscitano nel riguardante due sentimenti contrastanti: di tristezza per il loro prossimo collasso e di insperata opportunità di poter visionare an-cora il segreto di particolari metodi costruttivi ormai supe-rati. L’osservazione di quanto resta dell’originale struttura ci dice che il manufatto fu realizzato in due tempi, forse a seguito di un improvviso ripensamento in corso d’opera

Fig. 1. Una delle fornaci da calce di Miniere di Murlo, conosciuta come “La Fortezza”, vista da due angolazioni differenti. Sono visibili le chiavi realizzate con gli spezzoni di binario.

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7 Murlo Cultura

allorché venne acquisita la certezza di poter disporre di illimitate quantità di materia prima, e in secondo luogo di come questi facesse parte di un più ampio progetto fina-lizzato a modificare la primitiva politica mineraria limitata alla sola escavazione della lignite. In altri termini: la lignite non più reperita come bene da porre sul mercato in quali-tà di combustibile, bensì da usarsi in loco come mezzo di trasformazione di risorse esistenti in prodotti più pregiati e di maggior valore aggiunto, quali calci, cementi e laterizi. La Fortezza era uno di questi “manufatti di trasformazio-ne”; un’autentica meraviglia costruttiva della quale avem-mo modo di parlare su questa nostra rivista qualche anno fa. Anzitutto l’imbocco dei fornelli realizzato con volta tronco-conica “a strombo” in mattoni terzini e poi il rive-stimento interno dei forni verticali a blocchi di “gabbro” reperiti nelle vicine cave assieme alla terra refrattaria per tenerli uniti. Ma quello che ancora oggi meraviglia e che alcuni dettagli rivelano, consiste nella conoscenza da parte del costruttore dei fenomeni in atto durante l’esercizio della fornace, ovvero della dilatazione delle sue strutture per apporto di calore e del conseguente restringimento durante le fasi “di riposo”. Fenomeni naturali importanti da non sottovalutare, responsabili “dell’allentamento” delle strutture stesse e quindi forieri del loro possibile de-grado. Un vero libro scritto in quanto resta della Fortezza, sul quale leggerne la storia, che non si sofferma al periodo della sua operatività e a quello dell’abbandono ma che la dice lunga sul mestiere e l’esperienza dell’ingegner Pir-ckher che ne fu l’artefice. All’osservatore attento non

sfuggiranno le catene, alcune delle quali ancora in opera sulle pareti con il compito di assecondare i movimenti di dilatazione e restringimento accennati, ma anche, e so-prattutto, di contenerli. Subendo esse stesse i movimenti relativi alle variazioni delle temperature, tenevano sempre le strutture murarie in tensione impedendo loro di scolle-garsi e di conseguenza di limitare le infiltrazioni di umidità nelle fessure venutesi a creare con tali movimenti. E infi-ne le chiavi di dette catene delle quali parlammo nella pri-ma puntata dei “Segni dell’uomo” e riferite al recupero di spezzoni di binari Vignoles con i quali venne armata la prima strada ferrata dal villaggio della Miniera all’innesto con la ferrovia di Asciano-Monte Antico, nei pressi della Volta al Salcio. Della loro presenza è utile fare un breve accenno che dà la quasi certezza che non si tratti delle chiavi originali ma di successive messe in opera più tardi con la gestione della miniera da parte della SAI Ansaldo. Infatti con la chiusura per fallimento nel 1893, ogni attivi-tà venne a cessare e riprese, appunto con tale gestione la quale dimostrò di voler dare nuovo impulso alle attività collaterali della miniera, ripristinando l’uso delle antiche fornaci. Proprio a quel periodo debbono riferirsi le chiavi che vediamo oggi ancora in opera sulle pareti della For-tezza ricavate da spezzoni della primitiva ferrovia, disar-mata all’epoca del fallimento. Infatti quella ripristinata dalla SAI Ansaldo aveva caratteristiche diverse, a scarta-mento intermedio e quindi ridotto rispetto all’originale. Girando ad occhi aperti durante una giornata triste d’inverno è possibile fare incontri con qualche loquace fantasma del passato il quale, in modo insolito, riesce a raccontare un po’ della sua storia che, a rifletterci bene, è anche la storia del luogo in cui attualmente viviamo.

Fig. 2. Particolare della catena di contenimento delle dilatazioni realizzata con un binario Vignoles.

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8 Murlo Cultura SEGNI DELL’UOMO

Le giunte sul traliccio del Cerrone

di Luciano Scali

sesta puntata

A chi si aggira per la prima volta nel territorio di Murlo in cerca di scoperte, non sarà sfuggita la vista di una freccia indicatrice con sopra scritto:

“Miniera”, oppure “Le Miniere” a seconda dell’umore del grafico che l’ha realizzata. Ebbene: nessun errore in ambo i casi perché nel posto indicato dalla freccia, di miniere e cave ce ne sono più di una e tutte di una certa importan-za. Ad ogni buon conto il plurale Miniere dovrebbe rife-rirsi a tutto il comprensorio anche se questo nome oggi sta a indicare un villaggio dove di minerario c’è rimasto solo il ricordo. Gli abitanti però vanno giustamente orgo-gliosi della storia di questa frazione, sapendola intima-mente legata all’evoluzione dell’intero territorio di Murlo e di buona parte di quelli limitrofi. Una storia purtroppo in via di dissolvimento per la scomparsa di gran parte dei depositari delle ultime memorie, e soprattutto delle ricor-renti disavventure nelle quali incorse la travagliata odissea di questa straordinaria comunità. Da sempre sotto il pote-re del Vescovo di Siena e spesso coinvolta in guai non certo dipendenti dalla propria volontà, ebbe con la minie-ra l’occasione attesa da secoli per affrancarsi da una con-dizione di immobilità assoluta. La miniera rappresentò una cesura col passato, l’opportunità di apprendere altre

arti, mutare un aspetto cristallizzatosi nei secoli e di av-viarsi così a pieno titolo in un’era di progresso mai imma-ginata prima. L’intento di questo breve articolo vorrebbe focalizzare l’attenzione sull’interessante sviluppo che ebbe questo angolo selvaggio conosciuto fin dai tempi più re-moti col nome di “Bosco della Mensa” o con quello più inquietante delle “ Macchie di Murlo”. C’erano due soli luoghi abitati attorno all’attuale villaggio circa centocinquant’anni fa e, guarda caso, ambedue mulini: il Mulinaccio, oggi Casaccia, e il Mulino di Giorgio. Solo cinque anni dopo lungo il torrente Crevole era sorto un intero villaggio, giusto dal lato opposto della via da Murlo per Resi, assieme ad una delle prime strade ferrate private italiane, lunga 23 km e costruita dalla Società mineraria per poter commercializzare i propri prodotti. La lignite veniva estratta da cave a cielo aperto e dal sottosuolo ma, data la natura del luogo, l’inclinazione del giacimento fa-ceva intuire che la maggior parte del carbone dovesse tro-varsi in profondità e quindi da doversi estrarre attraverso la perforazione di un pozzo e con l’ausilio di gallerie che ne seguissero l’andamento. Così avvenne infatti e nella successione dei tempi l’aspetto esterno subì variazioni e aggiornamenti che, partendo da una struttura muraria, giunse al traliccio in ferro che ancora oggi si vede e che fa apparire quella del “Pozzo Cerrone” come una cosa mai vista nei dintorni. Simile ad un pozzo petrolifero, suppor-ta sulla sua sommità due ruote che allorquando erano in movimento traevano dal sottosuolo uomini e carbone spedendovi ancora uomini e materiali per armare le galle-rie. Fantastico vero? E tutto in mezzo alle famose mac-chie di Murlo, ricovero da sempre di fauna selvatica ed anche di superstizioni e paure. Ma i segni dell’uomo? Di quelli ce ne sono a iosa, biso-gnerebbe essere ciechi per non vederli, a partire dalla per-forazione del pozzo, a tutte le strutture gravitanti attorno, oltre al lavoro frenetico presso i cantieri sorti a margine di quest’opera che da uno studio più profondo e mirato si rivelerà come un autentico capolavoro realizzato con mezzi che farebbero sorridere i tecnici di oggigiorno. Tut-to senza il supporto di energia elettrica, né l’ausilio di tri-velle o ricorso ai moderni ritrovati di perforazione, fatto a mano e con una incredibile conoscenza del mestiere. I segni ai quali mi riferisco sono quelli derivati da un e-vento bellico accaduto durante l’ultimo conflitto mondiale che ancora oggi si possono riscontrare andando a ficcare il naso nella macchia alla base del traliccio del pozzo. Uno stralcio del rapporto sulla visita eseguita alla miniera di lignite in ambito del Comune di Murlo il 19-20 novem-bre 1945 da funzionari del Corpo Reale delle Miniere del Distretto di Grosseto, recita così: Le truppe tedesche in ritirata operarono le seguenti distruzioni: agli im-

Fig. 1. La struttura originale (1918) del Pozzo del Cerrone, prima del suo rifacimento in ferro.

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9 Murlo Cultura pianti e al macchinario installato (mentre quello non installato era quasi tutto nascosto e salvato nei boschi vicini). Veniva danneggiato il locale della cabina elettrica e 2 trasformatori da 100 Kw erano perforati con proiettili e poi incendiati. Pure distrutti i quadri di manovra e un tratto della linea elettrica ad alta tensione. Il castello del pozzo Cerrone minato alla base fu rovesciato. La gabbia fatta precipitare in fondo al pozzo insieme con dei vagonetti e il contrappe-so. Una pompa verticale da 9 cavalli piazzata alla sommità del pozzo era pure distrutta. Nel locale delle macchine fu fatto saltare l’argano di estra-zione da 30 cav. Squarciata la caldaia di una locomobile e bruciato un alternatore da 70 Kw per l’energia di riserva. Rimanevano pure distrutti gli interruttori, gli strumenti di misura e un elettro compressore su carrello da 30 cav. Tutto il locale veniva demolito dalle esplosioni. Dell’impianto di vagliatura subiva danno solo il motore da 5 cav. Dal magazzino furono asportati attrezzi e materiali vari: nonché due automobili e un camioncino Fiat. Da queste poche frasi risulta chiaro che l’operatività del pozzo era stata completamente messa fuori uso dalla “visita dei pionieri tedeschi”, notoriamente esperti in ope-re di distruzione per ritardare l’avanzata delle forze alleate. Il pozzo del Cerrone, nato nel triennio 1886-1889 con un diverso aspetto durante la direzione dell’Ing. Julius Pir-chker, si presentava in origine come una solida costruzio-ne in muratura (Fig. 1) a supporto degli organi meccanici preposti per il sollevamento della gabbia di accesso al sot-tosuolo. Con la successiva gestione da parte della S.A.I. Ansaldo (1917-1922) il pozzo assunse un aspetto più con-sono alla sua funzione, sovrastato da un traliccio metallico a supporto di due molette per la guida dei cavi collegati all’ascensore ed al suo relativo contrappeso. Alla base di questa struttura rimasta inattiva per quasi un ventennio, furono poste quattro cariche esplosive fissandole ad al-trettante travi a C con funzione di gambe del traliccio mettendolo, con tal sistema, fuori uso. Per riprendere l’attività mineraria venne fatto ricorso a soluzioni di emergenza utilizzando materiali di recupero sparsi nei vari cantieri o accantonati tra i rottami. A questi venne rivolta l’attenzione dei carpentieri e proprio tramite

spezzoni messi da parte da chissà quanto tempo venne fuori la soluzione per ricollocare il traliccio “in posizione operativa”. I “segni dell’uomo” di questa puntata consistono in quat-tro spezzoni di profilato a C di tipo N.P.12 ancorati alla bocca del pozzo dalla quale sporgono di circa 17 centime-tri, che stanno a indicare la base del traliccio originale ma non l’esatta posizione delle cariche esplosive che i pionieri tedeschi vi piazzarono (Fig. 2). Infatti quest’ultimi non stettero certamente a porsi il problema di disporre le cari-che alla stessa altezza per facilitare il compito a chi avreb-be rimesse le cose a posto in seguito, e pertanto i risultati dal punto di vista pratico dovettero apparire diversi dopo le esplosioni. Gli operai di quel tempo, nel riattare il tralic-cio del pozzo, pensarono bene di ancorarsi a quegli spez-zoni portandoli tutti alla stessa misura, ovvero all’altezza che garantisse la necessaria stabilità, aggiungendovi profi-lati di altro tipo e dimensione, ovvero doppio T di N.P. 16, adatti anche alla restante parte superiore della struttura (Fig. 3). Forse oggi saremmo tentati a sottovalutare una operazione del genere ritenendola di grossolana carpente-ria non avendo ben chiare le implicazioni che questa com-portava. La parte di struttura recuperata alla sua funzione originale, dovette essere “rimessa in linea” con un manu-fatto profondo circa 70 metri, facendo muovere più sog-getti meccanici di forma e dimensione diversi, in spazi talmente angusti dove lo scostamento di pochi centimetri poteva causare incidenti di gravi proporzioni. Infatti du-rante il recupero effettuato con mezzi di fortuna delle attrezzature precipitate nel pozzo, accadde un banale inci-dente in cui perse la vita un incauto e sfortunato operaio. Ogni attenzione prestata durante le complesse opere di recupero, proprio nel momento in cui sembravano ormai coronate da successo, una svista per non aver valutata l’anormale lunghezza di un bullone di fissaggio della guida dell’ascensore, e la leggerezza nell’aggancio del cavo del contrappeso resero vani tutti gli sforzi fino a quel mo-mento fatti. Ma di questo argomento e della dinamica di quanto avvenne, parleremo più diffusamente un’altra vol-ta, aiutati dai documenti che a tale fatto si riferiscono.

Fig. 3. Uno degli spezzoni di profilato NP12 appartenenti al traliccio originale, e il profilato a doppia T NP16 utilizzato per ricostruire il traliccio dopo la distruzione tedesca. La lunghezza dello spezzone indica la prossimità del punto dove i pionieri tedeschi piazzarono le cariche esplosive per mettere fuori uso il pozzo nel giugno 1944.

Fig. 2. Lo spezzone del traliccio originale (profilato a C di tipo NP12, cioè di larghezza 12 cm) e, riadattato su di esso, il profilato del tralic-cio ricostruito (a doppio T di tipo NP16, largo cioè 16 cm).

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10 Murlo Cultura

NOTE DAL TERRITORIO

Sui 100 anni dall’entrata nella Grande Guerra di Filippo Lambardi

I l 2015 sarà un anno molto ricco di iniziative in ricor-do della Grande guerra, tenendo conto che il Regno d’Italia dichiarò guerra all’Impero Austro-ungarico il

24 maggio del 1915, 6 mesi dopo l’effettivo avvio del con-flitto. Avvicinandosi a grandi passi verso il centenario dell’ingresso italiano nel Primo conflitto mondiale è op-portuno fare una piccola riflessione sul contributo dato dal territorio murlese a quella pagina drammatica della nostra Storia nazional-contemporanea. Cento anni fa quindi migliaia di italiani combatterono per la prima volta sotto un’unica bandiera contro un nemico comune. Vero è che pochi anni prima c’era stata l’ “impresa” in Libia, ma questa ebbe un peso davvero modesto rispetto alla Prima guerra mondiale. Nelle trincee vivevano, gomito a gomito, ragazzi che a stento riuscivano a capirsi mentre parlavano, segno di un’unità nazionale ancora giovane e di una forbice che stava già allargando il suo taglio di disuguaglianze fra un centro-nord in grado di iniziare una timida affermazione industriale e un sud che era rientrato, dopo l’entusiasmo garibaldino, in un guazzabuglio di contraddizioni. Un dua-lismo che, 100 anni dopo, ancora è arduo affrontare e cercare di risolvere. Non è il caso qui di ripercorrere le dinamiche italiane du-rante quei tristi anni [1], né ricordare che gli esiti di quella guerra furono fra le cause di anni difficilissimi per l’Italia a causa della nascita del Fascismo e dello scoppio della Se-conda guerra mondiale. Quello che ci preme è un piccolo ricordo dei murlesi che partirono per i fronti (in particola-re sui tre più importanti aperti contro gli Imperi centrali: Trentino, Cadore e Carnia). Tanti giovani strappati alle loro famiglie dalla coscrizione militare che combatterono e morirono per difendere i “sacri confini”, soffrendo le assurdità della guerra di logoramento nelle trincee e l’inettitudine dello Stato maggiore italiano fino all’avvicendamento del generale Luigi Cadorna col genera-le Armando Diaz. Il fronte era lontano dalla nostra realtà ma la situazione era difficile per tutti pure a Murlo. L’economia di guerra rendeva difficile le condizioni per le classi sociali meno abbienti. Non accaddero eventi tragici nelle nostre terre, come purtroppo 30 anni dopo, ma i padri, i mariti e i figli erano a combattere e l’angoscia serpeggiava fra le famiglie. Ricostruire con fonti certe queste vicende ormai lontanis-sime non è affatto semplice, così come nella semplice tra-smissione orale dei nostri compaesani le vicende sono ormai molto sbiadite. Chissà se qualcuno dei “nostri” fan-ti, in quegli orribili 3 anni e 5 mesi, perì durante la tragedia di Caporetto? Chissà quanti entrarono festanti a Vittorio Veneto, a Trento e a Trieste ai primi di novembre del 1918? A testimoniare quell’assurdo sacrificio sono testi-moni oggi due lapidi nel nostro comune, una sul muro

della chiesa di Casciano, l’altra sul muro di quella di Ve-scovado (realizzata per la consacrazione della nuova Par-rocchiale di San Pellegrino). La prima richiama i caduti della pievania di Casciano, la seconda aggiunge ai nominativi presenti sulla prima anche quelli di Vescovado e delle altre frazioni [2]. Leggendo i nomi di quei ragazzi, morti sulle pietraie del Carso, nel Cadore, sul Piave, nella Carnia o nel Trentino, arriviamo alla cifra di 73 persone morte per una guerra che fu sì vinta ma a prezzo carissimo e con conseguenze deleterie visto che la Prima guerra mondiale e le condizio-ni di pace che ne scaturirono furono di fatto una delle cause stesse della Seconda guerra mondiale. A Vescovado poi fu realizzato il Viale delle Rimembranze, come in tanti altri centri italiani, con due file di cipressi lungo la strada che immette al centro del paese e che all’epoca non presentava nessuna costruzione lungo il percorso. Gli stessi cipressi avevano una targhetta a se-gnalare i caduti della Grande guerra, cosa che pure diversi cittadini oggi ricordano. La Grande guerra mondiale non portò purtroppo all’Italia i benefici che il governo liberale sperava. In pochi anni gli spiriti di libertà e democrazia, che spinsero anche settori importanti della sinistra massimalista italiana a schierarsi a favore della guerra contro gli Imperi centrali, furono sopi-ti dalla dittatura fascista che piegò, con un uso politico della storia distorto e col mito della vittoria mutilata, la memoria della Prima guerra mondiale a mero orpello re-torico e pseudo-patriottico svuotato di ogni valore. Essa fu per molti un evento distruttivo, anche per chi dalle trincee poté tornare a casa, ma permise a molti italiani di “conoscersi” di vivere una sorta di battesimo di fuoco dopo le vicende risorgimentali vincendo una definitiva Guerra d’indipendenza dopo quelle del XIX secolo. Oggi è difficile fare commemorazioni di eventi tanto lon-tani come 100 anni fa, i testimoni diretti non ci sono più e la memoria di quei momenti, come detto sopra, sta sva-nendo di famiglia in famiglia. Ciò però non toglie che il ricordo, commosso, per i nostri concittadini che all’epoca servirono la patria, debba essere alimentato e rispettato. Note [1] Una bibliografia esaustiva sulla Grande guerra sarebbe enorme, così come sul solo ruolo giocato dall'Italia in quel conflitto. Ci pare giusto però segnalare che proprio in questi mesi sta uscendo una saggistica veramente notevole, fra questa suggeriamo due volumi curati da storici italiani, la ristampa aggiornata di un classico: M. Isneghi, G. Rochat, La Grande Guerra 1914-1918, Il Mulino, Bologna, 2014 e N. Labanca, Di-zionario storico della prima guerra mondiale, Laterza, Roma, 2014. [2] Osservando la foto si può leggere che la lapide fu voluta da don Niccolò Legaluppi ma ultimata nel 1929 da don Vittorio Giannelli che fu parroco a Murlo fino al 1956.

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NOVITA’ A MURLO

UNA NUOVA GESTIONE PER LA BIBLIOTECA COMUNALE DI MURLO

di Martina Anselmi e Giulia Boscagli

D al 16 marzo s c o r s o l’Associazione

Culturale di Murlo ha il piacere di gestire la Bi-blioteca Comunale. E’ con la volontà e l’impegno che cerchere-mo di regalare alla Bi-blioteca una nuova “veste”, quella di un luogo aperto e fruibile, dove ogni cittadino po-

trà portare il proprio contributo e partecipare attivamente alla vita della biblioteca e a tutte quelle iniziative che nel tempo tenteremo di portare avanti. Oltre alle canoniche attività di prestito e consultazione dei libri, le cui potenzialità saranno ampliate presto grazie all’adesione alla RETE REDOS, è nostro obiettivo pro-porre attività di promozione alla lettura, alla conoscenza del territorio, alla memoria dei nostri luoghi e della storia patria con una serie di servizi e iniziative intenti a coinvol-gere un più ampio spettro di cittadinanza. Dallo studente che verrà a fare ricerca, al bimbo che potrà ascoltare una lettura, passando dal turista che vuole ap-profondire la storia o la natura di Murlo, fino a chi non più giovanissimo ha bisogno di una piccola guida per con-sultare i servizi Internet, qui troverà un servizio a lui dedi-cato. Insomma, cercheremo di inserire una serie di attività e iniziative rivolte proprio a tutti, grandi e piccini. Tra i vari servizi troverete: Circoli di lettura: appuntamenti in biblioteca per il commen-to e la discussione di un libro scelto dagli utenti, tenden-zialmente tra quelli che rivestono interesse per il territo-rio, anche in occasione di presentazioni e/o recensioni di pubblicazioni di autori locali. “Prestito a domicilio”: servizio su richiesta dedicato a tutti gli utenti che non hanno la possibilità di recarsi di persona in biblioteca perché disabili fisici, anche temporanei, o altri-menti costretti nel proprio domicilio. “Readings”: letture in inglese con l’Associazione Mondo Lingue Murlo. PC over 60: nozioni di base per l’uso del computer (dall’accensione fino all’uso di Word, Internet, E-mail,

social network e servizi on-line). Servizio dedicato a tutti coloro che per età o altro non hanno dimestichezza con il computer. Il Saggio risponde: servizio di risposta a domande e curiosità sul territorio e l’ambiente. Scrivete i vostri quesiti alla e-mail [email protected] oppure sulla pagi-na facebook. Di primaria importanza saranno gli appuntamenti dedicati agli approfondimenti sul territorio e sulla storia di Murlo come: Le Miniere a puntate: lo sviluppo delle Miniere di lignite a Murlo, dal 1860 agli anni ‘50. “Celebrità, artisti e personaggi di Murlo”: serie di appuntamen-ti (mostre, incontri, letture, illustrazioni delle opere ecc.) dedicati a personaggi di ieri o di oggi, veri o leggendari, nati o passati da Murlo, che per fama, velleità o altro han-no lasciato o lasceranno un segno importante nella nostra cultura. “I racconti della veglia”: storie vere e di fantasia della tradi-zione orale del territorio. “Fondi Culturali”: costituzione di archivi cartacei e digitali riguardanti materie locali come gli etruschi, la natura, l’arte, etc. Coinvolgere i bambini e i ragazzi avvicinandoli alla biblio-teca è un altro passo fondamentale del nostro lavoro e ciò potrà essere realizzato a partire dalla stretta collaborazione con la scuola e la realizzazione di laboratori creativi (sul riciclo creativo e sulla ceramica ad esempio) e la lettura animata per bambini. La Biblioteca non è solo una stanza piena di libri ma è un luogo di tutti, dove incontrarsi significa racco-gliere e scambiare conoscenza e cultura. Vi aspettiamo numerosi ricordandovi che siamo aperti nel seguente orario: Lunedì 15,30-18,30 Martedì 10,00-12,00 Mercoledì 15,30-18,30 Giovedì 10,00-12,00 oppure contattateci su facebook o twitter.

… buona lettura a tutti!!

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IL FUTURO NEL PASSATO

Trappole per lumache di Nicola Ulivieri - www.nicolaulivieri.com

Continuiamo la rubrica Il Futuro nel Passato, uno spazio nato per documentare quanti, giovani e meno giovani, stanno rinnovando la loro passione per la coltivazione della terra nel nostro territorio e vogliono condividerla con il nostro giornale. La rubrica non ha la pretesa di insegnare nulla di nuovo, ma di dare valore a queste nuo-ve realtà. In questo numero vedremo una semplice ed economica solu-zione per controllare la proliferazione di lumache, una vera calamità in annate come quella passata. A parlarcene è Nicola Ulivieri, ingegnere in Telecomunicazioni e Dottore di Ricerca in Ingegneria dell’Informazione, uno dei tanti del nostro Comune che ritaglia un po’ del suo tempo libero per lavorare la terra.

S ono sempre di più le persone che, come me, inizia-no a coltivare un piccolo orto, non solo per il piace-re di avere degli ortaggi buoni, freschi e salutari, ma

anche per il semplice bisogno di tenere un contatto con la terra. In molti, infatti, nonostante il vantaggio di abitare in campagna, abbiamo occupazioni e professioni che ci han-no allontanato da una delle più antiche attività umane, la più importante, quella che, migliaia di anni fa, ha permes-so il progresso dell’umanità: l’agricoltura [1][2]. Questo allontanamento, insieme all’industrializzazione e globaliz-zazione della produzione agricola, ha portato molti di noi a dimenticare anche la stagionalità dei prodotti, tanto da trovare normale la possibilità di acquistare, ad esempio, pomodori in ogni stagione. Se assaggiamo, però, un po-modoro o una carota della grande distribuzione e li con-frontiamo con quelli del nostro orto, ecco che capiamo subito che qualcosa non va: i nostri ortaggi sono netta-mente più buoni e saporiti. E se andiamo ad indagare, scopriamo che i prodotti casalinghi sono anche più nu-trienti [3]. Uno dei primi problemi che un “neofita dell’orto” si trova ad affrontare è quello degli infestanti e parassiti che mi-nacciano la coltivazione; tra questi, le lumache sono tra i peggiori nemici per chi vuole portare a termine il suo pic-colo raccolto. Nel 2014, in particolare, nel mio orto è e-sploso il numero delle lumache nere, le Milax nigricans [4], delle limacce prive di guscio che si nutrono di tutto e si riparano anche sotto terra; un piccolo flagello che distrug-geva tutto quello che nasceva (Figura 1). Nel mio orto ne potevo trovare e uccidere dalle 30 alle 100 al giorno. Se almeno fossero state buone da mangiare… Jared Mason Diamond, biologo, fisiologo e ornitologo statunitense, vincitore del Premio Pulitzer per la saggisti-ca, nel capitolo dedicato all’Isola di Pasqua del suo libro “Collasso”, ci fa sapere che: “[…] Anche i molluschi soffriro-no di eccessivo sfruttamento, al punto che la popolazione finì con il mangiare sempre meno la pregiata ciprea di grandi dimensioni, e a consumare sempre più le piccole lumache nere, considerate cibo

di seconda scelta.[…]” [5]. Sembra però che il riferimento alle lumache nere, sia un errore di traduzione della versio-ne italiana del libro e Diamonds si riferisse invece ad un tipo di mollusco marino. Le limacce, infatti, non avendo il guscio, hanno sviluppato diversi metodi di difesa come il muco appiccicoso e carni repellenti. Un amico naturalista mi scrive: “Anche in natura, diversi animali predano chiocciole ma non lumache... una volta ho visto una ghiandaia giovane che aveva assaggiato un lumacone e gli era rimasto appiccicato al becco; lei si strofinava contro un tronco ma non riusciva a togliere la palla di muco e sembrava quasi soffocare”. Ho voluto verificare con i polli di mia nonna, dando loro da mangiare alcune di que-ste lumache vive e, come ipotizzato, nessuna gallina si è provata neppure ad avvicinare quei repellenti molluschi neri. E’ chiaro insomma che va trovato un altro modo per eliminarle dal nostro orto o, perlomeno, ridurre drastica-mente il loro numero. Un metodo, di cui molti abusano, è quello di utilizzare il veleno antilumaca a base di metaldei-de [6]. Per capire quanto questi prodotti siano pericolosi, basti pensare a quanto successo ad una mia amica, il cui cane (di 47kg!) ha scoperto una confezione di antilumaca nascosta nel capannino, l’ha assaggiata ed è morto nel giro di un’ora! Anche se non ingeriti direttamente, questi pro-dotti, si disfanno nel terreno inquinando il nostro orto. Vogliamo quindi rischiare ed utilizzarli dove vogliamo far nascere i nostri ortaggi “salutari” con cui nutrire noi stessi e magari i nostri figli? Meglio di no. Ovviamente, se cer-chiamo in internet, non mancano i consigli per soluzioni biologiche: birra, sostanze disidratanti (come la cenere), caffè, rame, ecc. ecc. [7]. Il problema che si incontra, quando si leggono soluzioni alternative e biologiche, è la frequente inesperienza di chi scrive, il quale riporta spesso

Figura 1 - Milax nigricans all’attacco dei miei porri.

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cose sentite dire o effettua il classico copia/incolla da altri articoli o da wikipedia, senza però aver mai sperimentato “sul campo” quanto afferma. Io voglio invece riportare qui la mia esperienza, funzionante ed efficace, che mi ha portato a scegliere, tra varie soluzioni più o meno falli-mentari, quella che mi ha dato i migliori risultati: barattoli con acqua, zucchero e lievito di birra, coperti con un cop-po di coccio. La cenere sparsa sul terreno è senz’altro un modo per tenere lontane le lumache - dalla lattuga, per esempio - perché crea una barriera che non riescono ad attraversare; diventa però inefficace nei periodi umidi e piovosi, quan-do la cenere non può mantenersi asciutta a lungo. Questa soluzione non è poi adeguata per le lumache nere perché stanno spesso sotto la terra ed è molto probabile che non debbano attraversare la barriera di cenere per arrivare agli ortaggi che vogliamo proteggere. Lo stesso discorso vale per la rete, che non può difendere le verdure da questi nemici che si rifugiano nel terreno. Un buon metodo è

quello di mettere un po’ di birra in un barattolo interrato fin quasi al bordo. Le lumache vengono attirate dall’odore, entrano nel barattolo e ci affogano. Il proble-ma è che… sembra che non tutte le birre siano gradite alle lumache. Con la Moretti sono riuscito a catturarne qualcuna ma con la Heineken, per esempio, neppure una. Inoltre le trappole con la birra non sono proprio una so-luzione economica. Dopo alcuni giorni vanno rinnovate e, con diversi barattoli distribuiti nell’orto, potremmo arriva-re a spendere svariati euro a settimana (e non ho usato la birra artigianale, probabilmente la migliore… ma quegli ottimi 5€ li bevo io, eh!). Però, poiché l’importante è ri-produrre un odore che riesca ad attirare questi parassiti affamati, è possibile sostituire la birra con il più economi-co lievito di birra. Come si può osservare nelle foto (Figura 2), quello che dobbiamo fare è procurarsi dei ba-rattoli, come quelli del caffè, oppure farli da noi ritaglian-do il fondo di bottiglie di plastica; è possibile sfruttare anche la parte alta della bottiglia, mantenendo il tappo e

Figura 2. Il necessario per la trappola, barattolo o fondo di bottiglia di plastica, lievito di birra, zucchero, acqua e una tegola per coprire.

Figura 3. Le lumache rimaste nella trappola e alcune che si rifugiano sotto il coppo.

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14 Murlo Cultura girandola, così da ottenere due recipienti con una sola bottiglia. Il recipiente deve essere poi interrato lasciando un bordo di circa un centimetro fuori per impedire alle piogge di riempirlo d’acqua. A questo punto, metteremo in ogni trappola l’acqua fino a 2 centimetri dal bordo, un quarto di panetto di lievito di birra e uno o due cucchiai di zuc-chero. Si può usare anche il miele, ma lo zucchero è più economico. Ora basta mescolare tutto con un bastonci-no e coprire la trappola con un coppo di coccio che per-mette di diminuire l’evaporazione dell’acqua quando c’è il sole, proteggere la trappola dalla pioggia (che diluireb-be la soluzione rendendola inefficace) e che, infine, offre un riparo alle lumache che la useranno come protezione dai raggi solari attirandole così verso l’esca.

Come si può verificare nelle foto di Figura 3, questo tipo di trappola funziona benissimo tanto che la mattina suc-cessiva possiamo trovare diverse lumache affogate nel liquido, mentre altre si sono nascoste sotto il coppo e potranno essere eliminate facilmente a mano. Rinnovan-do la soluzione di lievito e zucchero dopo alcuni giorni, con una decina di queste trappole in giro per l’orto, rie-sco ad eliminare con facilità un sacco di questi voraci molluschi, spendendo una sciocchezza, senza inquinare né rischiare di avvelenarmi con l’antilumaca al metaldei-de. Se proprio non riuscite a fare a meno di qualche prodot-to industriale perché, magari, la popolazione di lumache del vostro orto è da guinness dei primati, esiste anche un prodotto ammesso nella coltura biologica (in accordo al Reg. CE 2092/91): il fosfato di ferro, da non confonde-re con il solfato di ferro che è invece un fertilizzante rinverdente. Il fosfato ferrico (o ortofosfato di ferro [8][9]) è un prodotto di origine inorganica, presente nel suolo e in diversi minerali, che è commercializzato come lumachicida in forma di piccoli pellet, resistenti all’umidità (non dannoso per ricci, lombrichi, insetti utili, cani, gatti, volatili, nel caso d’ingestione accidentale), che agisce sull’epatopancreas delle lumache, inibendo la nu-trizione. Le lumache smettono quindi di mangiare, con immediata protezione delle piante coltivate, e moriranno nei giorni successivi l’ingestione, generalmente interran-dosi. La scarsa solubilità in acqua impedisce inoltre la dispersione di questa sostanza nell’ambiente, che quindi permane a lungo nel terreno dove, grazie ai microrgani-smi del suolo, si degrada con il tempo in composti assi-milabili dalle piante, fungendo quindi da fertilizzante [10]. Naturalmente, come sempre, è necessario rispettare le dosi indicate. Questa è la una delle mie esperienze; scrivete ora le vo-stre con le vostre colture! Fonti citate o consultate [1] La svolta dell’agricoltura, http://www.focus.it/cultura/storia/la-svolta-dell-agricoltura [2] “Armi, acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni”, Diamond Jared, Editore Einaudi, 1997. [3] “Cnr, pomodoro bio più nutriente”, http://www.ansa.it/web/notizie/specializzati/saluteebenessere/2012/04/05/visualizza_new.html_162353814.html [4] Milax nigricans (Philippi, 1836), http://www.animalbase.uni-goettingen.de/zooweb/servlet/AnimalBase/home/species?id=2618 [5] “Collasso, Come le società scelgono di morire o vivere” di Jared Diamond, editore Einaudi, 2005. [6] Sostanze pericolose in ambiente domestico: la metaldeide detta "lumachina", http://www.ospedaleveterinario.it/index.php?id=3819&tx_ttnews%5Bpointer%5D=1&tx_ttnews%5Btt_news%5D=37969&tx_ttnews%5BbackPid%5D=3807&cHash=007f2955dc [7] Lumache nell’orto: come riuscire a liberarsene, http://www.inorto.org/2011/03/lumache-nellorto-come-riuscire-a-liberarsene/ [8] Il Fosfato Ferrico in commercio: http://www.lagrotecnico.it/ita/fosfatoferrico.aspx [9] Fosfato Ferrico, http://en.wikipedia.org/wiki/Iron(III)_phosphate [10] Fosfato ferrico in Agricoltura biologica, http://www.cra-pav.it/bancadatibiologica/scheda_dettaglio.asp?id_principioattivo=23&id_categoria=4

L’APPROFONDIMENTO NATURALISTICO

Le lumache, ovvero chiocciole senza casa Le lumache sono molluschi appartenenti alla classe dei Gasteropodi. Il loro corpo è formato nella parte ven-trale dal “piede”, la superficie piatta e muscolosa con le cui contrazioni l’animale si muove, strisciando sulla traccia di muco che produce. Sul dorso è presente un “mantello”, sotto al quale c’è la cavità respiratoria, in cui l’aria entra attraverso l’apertura ben visibile nel mantello stesso (“pneumostoma”). Sul capo le lumache si caratterizzano per avere due paia di tentacoli: il paio superiore porta in cima gli occhi mentre nel paio infe-riore si trovano organi di senso come recettori chimici e tattili. Le lumache sono parenti delle “chiocciole”, ma al con-trario di queste non hanno più la conchiglia, probabil-mente per l’adattamento a terreni poveri di calcio (dove costruirsi la conchiglia è difficile) e a vivere sottoterra o comunque fra interstizi vari, dove conviene avere un corpo da lumaca piuttosto che un’ingombrante “casina” da portarsi dietro. Già lo scienziato toscano del Seicento Francesco Redi descriveva i due gruppi animali chiamandoli rispettivamente lumaconi ignudi terre-stri e chiocciole terrestri col guscio. In molte lumache (es. genere Limax) il guscio in realtà non è proprio scom-parso, ma è presente in forma ridotta dentro al mantel-lo. Le lumache più frequenti negli orti sono oltre alla lumaca nera già vista (Milax nigricans), la Lehmannia meli-tensis e varie specie dei generi Limax, Arion e Deroceras. Di solito sono evitate dagli uccelli, ma sono predate (con preferenze diverse a seconda della specie di luma-ca) da ricci, rospi e lucertole.

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ARTE DEL RECUPERO

L’angolo di Dosolina di Martina Anselmi

P ersonalmente non ho molta simpatia per le nuove macchine da caffè, per le quali risulta necessario l’utilizzo delle ormai celebri capsule, le quali (è

inutile nasconderlo) spesso costituiscono un ulteriore massa di rifiuti a mio avviso evitabile. Detto ciò, chi è pratico dell’argomento saprà certamente che ne esistono di varie forme, materiali e colori a seconda della casa produttrice e tra queste ce n’è una che più di altre si pre-sta ad essere riutilizzata, anziché gettata. La capsula in questione è in alluminio, quindi riciclabile per fortuna, ma tale materiale fa sì che sia anche facil-mente lavorabile; solitamente con queste capsule vengo-no realizzati orecchini, collane o anelli, io vi propongo una spilla. Oltre alla cialda ecco cosa occorre: • Una spilla per coccarda • Perline, bottoni, nastrino • Colla a caldo • Batticarne 1-2) Il primo passo è naturalmente quello di svuotare la capsula, basterà infatti togliere la pellicola di stagnola sulla parte superiore per poi, logicamente, lavarla. La capsula vuota va quindi schiacciata aiutandosi con un batticarne. 3) La capsula a questo punto può essere decorata appli-candovi sopra con la colla caldo delle perline, dei vecchi bottoni e un nastrino. 4) Dopo che è stata decorata va quindi attaccata alla spil-la sul retro. 5) La spilla è pronta.

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In questo numero:

NOTIZIE BREVI

Il periodico Murlo Cultura è stampato in proprio dall’Associazione Culturale che si avvale del contributo volontario dei soci per l’impaginazione e le spese di stampa e distribuzione. Invitiamo tutti a collaborare inviando articoli e comunicazioni relativi ai temi del territorio alla redazione del giornale [email protected]. Per informazioni, contributi e iscrizioni, scrivete a [email protected] oppure consultate www.murlocultura.com

Considerazioni sopra “annotazioni” anonime sul sentiero didattico della ferrovia delle Miniere ........................... pag. 1 Lettere al Direttore ....................................... pag. 2 Il mitico tabaccaio Paolo Muzzi .................. pag. 2 Adotta un pittore .......................................... pag. 3 Premio Letterario “Sulle colline della Poesia” .......................... pag. 3 Ode al cuculo ................................................ pag. 4 Blu Etrusco ................................................... pag. 5 Girovagando ................................................. pag. 6 Le giunte sul traliccio del Cerrone ............... pag. 8 Sui 100 anni dall’entrata nella Grande Guerra .................................... pag. 10 Una nuova gestione per la Biblioteca Comunale di Murlo ..................... pag. 11 Il futuro nel passato ...................................... pag. 12 L’Angolo di Dosolina ................................... pag. 15 Notizie brevi ................................................. pag. 16

L’Ora della Terra a Crevole Sabato 28 marzo anche la Rocca di Crevole, insieme a migliaia di monumenti ed edifici in tutto il mondo, si è spenta per un’ora (dalle 20.30 alle 21.30) in occasione di Earth Hour (l’Ora della Terra), un grande evento globale promosso dal WWF Internaziona-le per chiedere l’attenzione dei politici sui cambiamenti climatici, in particolare quest’anno, in cui si dovrà chiudere il negoziato dell’ONU per un accordo globale sul clima. In provincia di Siena i Comuni aderenti, compreso Murlo, sono stati quest’anno 17. Insieme al Comune di Murlo, che ha spento la Rocca di Crevole, hanno aderito i Comuni di: Siena dove è stata spenta l’illuminazione monumentale di Piazza del Campo, Colle Val d'Elsa che ha spento le luci di Piazza Arnolfo e della Fontana Cen-trale, Poggibonsi con l’Edificio storico del Palazzetto Pretorio in via Marmocchi, Monteriggioni con le mura del Castello, Monte-roni d'Arbia che ha spento via Roma e le sue traverse, Pienza con il Loggiato Comunale e la facciata del Duomo, Asciano con via San Francesco, Montalcino con i Loggiati del Sansovino, i loggiati e la facciata dell'antico palazzo comunale, la torre civica e la Chiesa della Madonna del Soccorso, San Quirico d’Orcia con Palazzo Chigi, Gaiole in Chianti con i giardini pubblici di Via Roma, Castellina in Chianti con il Tumulo etrusco del Monte Calvario, Radda in Chianti con la Lanterna sotto le logge del Palazzo Co-munale, Sovicille con la Pieve Romanica di Ponte allo Spino, Casole d’Elsa con la Rocca Senese, Monticiano con il palazzo comu-nale e la Chiesa in Piazza S.Agostino e infine Radicondoli con il Palazzo Municipale. Le adesioni sono state molte di più dell’anno scorso, segnale di una crescente attenzione al problema che riguarda tutti indistintamente e che è sempre più pressante, come di-mostrano i dati scientifici. Il 2014 è stato infatti registrato come l’anno più caldo sulla Terra a partire dal 1880, secondo quanto hanno rilevato alcuni tra i più importanti centri di ricerca, che registrano le temperature globali del pianeta, come il GISS della NASA, il NOAA, la Japan Metereological Agency e il Met Office britannico. Da allora, infatti, la temperatura media della superfi-cie terrestre è aumentata di 0,8 gradi. Sono quindi superati i record precedenti, sia quello del 2005 che del 2010. I dieci anni più caldi, con l’eccezione del 1998, sono tutti nel periodo che va dal 2000 ad oggi. Forni solari L’Associazione Culturale presenterà anche quest’anno l’ormai consueto appuntamento con i Forni Solari, organizzato grazie a Nicola Ulivieri e a Simone Bazzotti, entrambi appassionati di questo modo alternativo di cucinare con il sole. La giornata di cottu-ra si terrà domenica 14 giugno presso un agriturismo del territorio di Murlo. I dettagli dell’iniziativa saranno inviati come di consu-eto a tutti coloro che sono iscritti alla mailing list e saranno inseriti anche sul sito dell’Associazione. Prossimi eventi a Murlo Come tutti gli anni, anche quest’anno a maggio (7-8-9-10 e 14-15-16-17) Casciano di Murlo ospiterà la Festa in collina, nella sua 43° edizione. Sul sito dell’Associazione Culturale sono disponibili il programma della Festa e il numero speciale di Murlo Cultura realizzato come tutti gli anni per l’occasione. Per il primo fine settimana di giugno Vescovado si prepara per il MILF (Murlo in Live Fest), manifestazione musicale (e non solo) che ha avuto un grande successo alla sua prima edizione l’anno scorso. Sulla pagi-na Facebook del MILF trovate le prime anticipazioni del programma.