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XXVIII Convegno SISP Università di Perugia - Dipartimento di Scienze Politiche e Università per
Stranieri di Perugia - Dipartimento di Scienze Umane e Sociali 11 - 13 settembre 2014
Cittadini in crisi e “recessione” democratica: come la crisi economica agisce
sugli orientamenti politici?
Pasquale Colloca
Università degli Studi di Bologna
[Testo in forma di bozza, non citare] Sezione: Partecipazione e Movimenti Sociali Panel di discussione: Economie alternative e movimenti sociali. Tra resilienza, resistenza e innovazione in tempi di crisi
Introduzione La depressione economica che ha fatto seguito all’avvento della crisi finanziaria sta influenzando le
vite di milioni di italiani e sta acuendo l’incidenza della marginalità sociale, con la crescita di
fenomeni come la disoccupazione e la povertà tra persone già socialmente deboli e a rischio (Istat,
2014). Il peggioramento delle proprie condizioni di vita, unitamente al pessimismo e allo
scoraggiamento per un difficile miglioramento futuro, sta diffondendosi su una parte sempre più
ampia della popolazione. Le manifestazioni di protesta violenta in Grecia e Spagna mostrano che, a
seguito di un peggioramento delle condizioni di vita, la crescita di specifici orientamenti e
atteggiamenti tra i cittadini possono essere determinanti per minare l’ordine e l’equilibrio sociale, le
cui basi di tipo economico sono già a rischio in quanto fortemente sollecitate dalla crisi diffusasi a
partire dal 2008.
In questo lavoro si cercherà di fornire nuova prova empirica su come un peggioramento materiale
dello stile di vita quotidiano, generato dall’attuale crisi economica, può avere delle conseguenze
dirette anche sullo stesso modo in cui i cittadini vedono la società e si rapportano con essa. Del
resto, l’assunzione in base alla quale consistenti mutamenti economici hanno un impatto sugli
atteggiamenti sociali dei cittadini non è nuova, e le considerazioni che ne derivano hanno una
significativa base nella teoria sociologica e politologica.
Partendo da queste considerazioni, tramite l’utilizzo di dati di survey raccolti in piena crisi
economica, si cercherà di rispondere ad alcune domande. Innanzitutto: la crisi economica ha delle
conseguenze dirette sugli orientamenti civici alla base del benessere democratico? In che misura
queste potenziali conseguenze sono significative in aggiunta al ruolo svolto dalle tradizionali
variabili socio-demografiche e di status sociale? Inoltre, la crisi agisce in interazione con le variabili
socio-demografiche e di status sociale, con un conseguente impatto sugli atteggiamenti solo per
specifiche categorie sociali (ad es., coloro che occupano situazioni di maggiore marginalità sociale,
come i meno istruiti, i giovani, coloro che vivono nelle regioni del Sud, ecc...)?
Prima di presentare il modello empirico che verrà testato per rispondere a questi interrogativi, si
passeranno in rassegna i principali contributi che hanno indagato la relazione tra condizione
economico-materiale e atteggiamenti civici e politici. La seconda parte sarà invece dedicata alla
presentazione dei risultati empirici; nello specifico, si indagheranno tre principali atteggiamenti:
intolleranza e anticivismo, tendenza antidemocratica, orientamenti ideologici. Nell’ultimo paragrafo
si discuteranno i principali risultati emergenti dalle analisi.
1. Benessere economico e crescita civica e democratica Anche al di fuori di eventi eccezionali di natura macro-economica, gli scienziati sociali hanno
spesso evidenziato delle relazioni tra gli orientamenti sociali degli individui e le loro condizioni
materiali, siano esse il lavoro, il reddito, o condizioni materiali più in genere. Ad esempio, si pensi
al costante interesse di sociologi e politologi nell’indagare la relazione tra classe sociale e
orientamento di voto. Andando indietro nel tempo, già Weber, pur non sostenendo la natura causale
della relazione, fa riferimento ad un orientamento religioso, l’etica protestante, come pre-condizione
culturale utile per raggiungere il successo economico (1970). In maniera simile, anche nel lavoro
seminale di Banfield (1958), “Basi morali di una società arretrata”, viene sottolineato come una
mancanza di fiducia generalizzata e di apertura sociale erano in grado di generare e riprodurre il
sottosviluppo economico di una comunità: il cosiddetto “familismo amorale”.
In maniera simile, l’importanza della relazione tra crescita economica e progresso sociale e politico
è stata evidenziata. Gli stessi Putnam e colleghi (1993) nel loro studio sostengono che il capitale
sociale, che ha le sue origini nelle tradizioni civiche e sociali del territorio, si relaziona al benessere
materiale tanto da favorire lo stesso sviluppo economico.
In particolare, gli studi che hanno fornito indicazioni più evidenti su questa relazione hanno
utilizzato indicatori dinamici di variazione, più che statici, studiando in che misura un cambiamento
economico si relaziona con uno sociale e civico di un Paese. Da questo punto di vista, contributi
fondamentali provengono dalle ricerche di economisti.
Il lavoro di Friedman (2006) costituisce, tra quelli più recenti, quello in grado di suscitare maggiore
interesse sull’argomento. Dal suo punto di vista, la crescita economica, in termini di prodotto
interno lordo, ha conseguenze positive che travalicano l’economia e il benessere materiale; i suoi
effetti non si limiterebbero a migliorare gli standard di vita di una larga parte della popolazione ma
avrebbe su di essa delle ricadute positive anche dal punto di vista democratico e civico. A suo
parere, gli andamenti di questi ultimi fenomeni avvengono per molteplici motivi, anche se
indubbiamente la crescita economica esercita su di esse un ruolo importante e centrale (Friedman,
2006). Da questa prospettiva, una crescita economica rapida e profonda, e che non coinvolge solo
una minoranza di cittadini, costituisce un modo per poter invertire l’avanzata di fenomeni di
deterioramento del tessuto sociale e civile di un Paese.
Sulla scia di questa visione, esiste consistente prova empirica che evidenzia come la tolleranza, alla
base della natura e della formazione del capitale sociale, è un importante predittore di crescita
economica a livello nazionale (ad es., Bornschier, 2005): i paesi più tolleranti tendono ad avere
anche degli indici elevati di progresso economico. Grazie alla diffusione della tolleranza sociale,
aumenta la capacità di attivare nuovi network e flussi di informazione, e di sviluppare maggiore
inclusività sociale: si attivano le relazioni sociali “bridging”, e non soltanto quelle “bonding”
(Granovetter, 1985).
Allo stesso tempo, è stato inoltre mostrato che un’elevata presenza di civismo e di fiducia sociale in
una popolazione è rilevante per avere una crescita economica più consistente e forte (ad es., Knack
e Keefer, 1997), così come un aumento generalizzato dei redditi (Helliwell, 2006). In maniera
simile, un’altra ricerca ha studiato il ruolo della fiducia sociale, del civismo e di altre variabili
“culturali” sulla crescita economica: è stato visto che queste variabili si relazionano positivamente e
significativamente alla crescita economica, anche dopo aver “controllato” il ruolo svolto da variabili
di status, come il reddito e l’istruzione (Gratano, Inglehart e Leblang, 1996). Anche Hjerppe (1998)
arrivò a conclusioni simili: utilizzando i dati della World Values Survey, egli stimò che durante il
periodo 1980-92 un aumento di 10 punti percentuali sull’indice di fiducia era associato ad un
aumento di crescita economica di 0.46 punti. Più recentemente, anche i risultati di una importante
ricerca statunitense (CIRCLE, 2011) hanno sottolineato che gli stati americani con livelli maggiori
di civismo e di “salute” civica presentano anche tassi minori di aumento della disoccupazione.
Quindi, nel complesso, gli studi passati in rassegna evidenziano che le fasi di crescita economica di
un Paese, durante le quali molti cittadini hanno dei buoni motivi ad essere ottimisti, testimoniano la
presenza di una maggiore apertura, tolleranza e democrazia. Lo stesso Friedman ha evidenziato
come l’effetto civico-morale positivo di una crescita economica si verifica grazie a “greater
opportunity, tolerance of diversity, social mobility, commitment to fairness and dedication to
democracy” (Friedman, 2006, 4). Però, allo stesso tempo, egli ha sottolineato come quest’effetto
può verificarsi anche in termini negativi: “many countries with highly developed economies,
including America, have experienced alternating eras of economic growth and stagnation in which
their democratic values have strengthened or weakened accordingly”. Quindi, quando l’economia
stenta a crescere e gli standard di vita diminuiscono, anche il "moral character" dei cittadini
potrebbe contemporaneamente diminuire.
Nel prossimo paragrafo si passerà in rassegna un ambito di studi più specifico che ha indagato la
relazione in termini negativi, studiando le conseguenze civiche e politiche di peggioramenti
economici repentini e inaspettati, come quelli che possono seguire da una crisi economico-
finanziaria.
2. Crisi economica e conseguenze civiche e democratiche La crisi economica è uno dei principali eventi attualmente al centro delle agende politiche
internazionali. In tempi di recessione economica, la gran parte degli economisti e dei policy-makers
si preoccupa principalmente di indagare le caratteristiche del fenomeno a livello di sistema
economico e politico di una nazione, per poter adottare efficaci strategie di recupero. La principale
preoccupazione, quella relativa alle ricadute delle crisi sull’economia e le istituzioni politiche, ha
portato gli studiosi a investigare in misura minore le conseguenze dirette sugli orientamenti dei
singoli cittadini, fornendo poche informazioni su come le crisi economiche influenzano il modo in
cui gli individui vedono la società e si rapportano con gli altri.
Infatti, nonostante la ricerca psicologica e psicosociale non abbiano mancato di considerare le
conseguenze della crisi economica sul benessere individuale, risulta scarsa la prova empirica su
quello che può essere definito “il passaggio successivo”: dal livello personale a quello sociale, in
termini di conseguenze civiche e democratiche. Anche da una recente ricerca bibliografica sul
database Sociological Abstracts (compiuta a maggio 2014) emerge che i principali lavori che hanno
indagato gli effetti della recente crisi economica ad un livello individuale hanno evidenziato il suo
impatto significativo sul solo benessere individuale: auto-percezione di salute (Zavras et al., 2012),
infelicità e malessere (Gudmundsdottir, 2013), rabbia e depressione (Ragnarsdòttir et al., 2013),
nonché specifici disturbi mentali come l’ansia (Gili et al., 2012). Ma in che misura la perdita di
benessere individuale si manifesta poi anche a livello di orientamento civico e politico? Quali
conseguenze può avere il peggioramento materiale sulla salute della democrazia, in termini di
risorse civiche?
A conferma della rilevanza di questo interrogativo sono le indicazioni emergenti dalla rassegna di
studi meno recenti, che hanno indagato il fenomeno in occasione di precedenti crisi economiche.
Ad esempio, Friedman sostiene che la crescente intolleranza e l’erosione di generosità e di apertura
presenti nella società americana fino agli anni ’90 sono stati in parte una conseguenza della
stagnazione degli standard di vita che ha coinvolto la classe media americana durante gran parte
dell’ultimo quarto del ventesimo secolo (Friedman, 2006). Il contributo di Friedman, ricco di spunti
di riflessione, è tuttavia carente dal punto di vista dell’approccio empirico, che risulta totalmente
assente. A conferma della sua tesi, alcuni sociologi hanno però recentemente evidenziato che una
perdita di capitale sociale in una comunità potrebbe essere tanto maggiore quanto più grandi e più
frequenti sono gli shock economici che si vivono (ad es., Besser, Recker, Agnitsch, 2008). Nello
specifico, Besser e colleghi (2008) hanno condotto uno studio longitudinale su circa 100 piccole
comunità, mostrando che anche piccoli e frequenti shock economici sono significativamente
dannosi per la qualità della salute delle comunità, non solo in termini di capitale sociale ma anche di
partecipazione sociale.
Le stesse teorie che si concentrano sul legame tra declino di carattere economico e risposte dei
cittadini in termini di orientamenti socio-politici sottolineano che in tempi di crisi economica i
cittadini potrebbero girare le spalle al civismo e alla democrazia (Bermeo, 2003). C’è chi sostiene
che la crisi economica rappresenta uno dei pericoli più comuni per la stabilità democratica
(Diamond e Linz 1989, 17). A tal proposito, la letteratura ha sottolineato la potenza “deflagrante”
dello shock socio-politico che fece seguito alla depressione economica del ’29; allora si innescò a
livello globale un mutamento di orientamento e di consapevolezza collettiva dei cittadini, che favorì
il fascismo in Europa, il populismo nell’America latina e i movimenti di libertà nelle colonie
(Rothermund, 1996).
Nello specifico, è stato sottolineato il rischio che alcuni settori della popolazione si orientino verso
alternative politiche non democratiche. I più poveri sono coloro che rischiano di più di sviluppare
un atteggiamento antidemocratico, ed in un periodo di recessione economica il loro numero cresce:
poor people provide poor support for democracy (Krishna 2008). Lo stesso Lipset, nel suo lavoro
seminale “Political Man” (1961), sottolinea come la crescita di insicurezza economica tra gli
individui con basso status socio-economico, tipica dei periodi di recessione economica, possa dar
luogo a ostilità verso i principi democratici, inducendo i lavoratori a cercare soluzioni nel breve
periodo attraverso il sostegno a gruppi estremisti.
In anni più recenti sono stati consistenti gli studi che hanno evidenziato che questi eventi
macroeconomici contano nell’influenzare la fiducia dei cittadini (McAllister 1999; Mishler e Rose
2001). È stato visto come il vissuto personale di insicurezza economica influenza le stesse
percezioni che le persone hanno dell’impatto della crisi a livello sociale, influenzando anche i loro
orientamenti di fiducia nei confronti delle azioni dei governi nazionali. Di recente, è stato
sottolineato che proprio un evento straordinario come una crisi economica può condizionare la
fiducia dei cittadini nelle istituzioni politiche (Ross e Escobar-Lemmon 2009) e può generare delle
conseguenze antidemocratiche (Cordova e Seligson, 2009). Ad esempio, è stato visto che in tempi
di crisi la diminuzione del benessere percepito dà luogo alla crescita di un atteggiamento negativo
nei confronti delle politiche di mercato e ad un atteggiamento critico nei confronti del modo in cui
la democrazia, cioè la performance politica del proprio governo, sta funzionando (Graham e
Sukhtankar, 2004). E’ stato rilevato che un indicatore di salienza politica della disoccupazione a
livello nazionale è la soddisfazione nel modo in cui la democrazia funziona nel proprio Paese
(Anderson 2001; Baxandall 2001).
In ultimo, c’è da sottolineare l’importanza del ruolo svolto dal contesto politico di riferimento: in
alcuni contesti, l’arrivo di una crisi economica può dare luogo anche a processi di
democratizzazione. Nonostante l’analisi delle conseguenze di standard di vita che tendono a
diminuire repentinamente costituisca oramai interesse di studio anche nelle democrazie affermate
del mondo occidentale (ad es. Besser et al., 2008), la maggioranza degli studi che hanno analizzato
gli effetti delle crisi economiche sugli orientamenti politici hanno avuto per oggetto paesi del Sud
America (ad es. Remmer 1991; Davis e Langley 1995; Turner e Carballo 2005) e nazioni orientali,
come la Corea (ad es., Hayo 2005), che hanno vissuto in anni non troppo remoti delle significative
recessioni economiche. Proprio in alcuni di questi studi è stato visto che nei periodi di recessione
economica non necessariamente la maggiore instabilità elettorale si accompagna a derive politiche
estremiste e populiste (Remmer 1991). Ad esempio, è stato dimostrato che le crisi economiche che
hanno colpito molti paesi del Sud America hanno avuto come conseguenza anche quella di favorire
un atteggiamento positivo nei confronti della democrazia come forma di governo (si veda ad es.,
Graham e Sukhtankar 2004). Esistono anche risultati empirici che mettono in evidenza come una
crisi economica possa avere delle conseguenze positive sull’avvio di un processo di
democratizzazione in paesi fortemente conservatori e oligarchici (Kalinowsky 2007); in questi casi,
l’effetto è quello di delegittimare le vecchie élites politiche ed economiche e di rendere più
semplice la liberalizzazione economica.
3. Lo studio empirico
Abbiamo visto nei paragrafi precedenti che la ricerca sociale sottolinea che benessere economico e
benessere civico sono relazionati, e che in tempi di crisi economica ci si può attendere una sorta di
“recessione” anche in termini di orientamenti civici e democratici. Tuttavia, nel complesso, sono
pochi i contributi che hanno evidenziato la relazione ad un livello individuale, misurando il
cambiamento oggettivo materiale nelle vite delle persone. Inoltre, il più delle volte ci si è
concentrati sui “classici” atteggiamenti politici (interesse, efficacia, fiducia, auto-collocazione
ideologica), mancando di valutare le conseguenze sullo stesso modo di vedere la società e il suo
funzionamento, in termini di orientamento civico e di contenuti ideologici.
L’attuale crisi economica rappresenta l’occasione di uno studio in vitro di questa relazione nel suo
evolversi. La recessione economica conseguente alla crisi iniziata nel 2007, tramite un
peggioramento di stile di vita e di status sociale, potrebbe essere in grado potenzialmente di
“deprimere” non solo l’economia, ma anche le persone: a sua volta, la presa d’atto individuale di
un’erosione del proprio status sociale può avere delle ripercussioni sugli atteggiamenti. L’obiettivo
generale dello studio è indagare in che misura l’impatto reale esercitato dalla crisi, nella
quotidianità del proprio nucleo familiare, è in grado di avere delle conseguenze su alcuni
orientamenti civici e democratici delle persone. Quanto un cambiamento repentino del benessere
economico sta avendo un impatto sugli atteggiamenti alla base del vivere democratico, quali la
tolleranza e il civismo, la concezione stessa di democrazia e gli orientamenti ideologici?
Il modello empirico che verrà testato su differenti orientamenti politici è illustrato in figura 1. Sono
tre gli effetti che si cercherà di misurare empiricamente.
Primo, l’interrogativo centrale, dal carattere esplorativo, sarà valutare se il cambiamento delle
condizioni di vita individuali, a seguito della crisi economica, ha delle conseguenze dal punto di
vista degli orientamenti, in termini di erosione degli atteggiamenti civici e democratici (effetto A).
Secondo, si indagherà in che misura queste conseguenze sono dirette, ovvero se esse hanno una
propria forza esplicativa aggiuntiva rispetto ad alcune tradizionali caratteristiche socio-
demografiche e di status (effetto B). Infatti, c’è la possibilità che esse siano “spurie”. In molti casi,
la crisi potrebbe aver colpito soprattutto categorie sociali di basso status sociale, già deboli ed
emarginate (ad es., i poco istruiti, le casalinghe e i pensionati, ecc.), le quali potenzialmente sono
già “a monte” deficitarie in termini di risorse sociali e civiche, rispetto ad altre categorie sociali. Ad
esempio, il fatto che una maggiore intolleranza sia una conseguenza della crisi, può in realtà
dipendere a sua volta dal fatto che le conseguenze più aspre della crisi si siano manifestate in
famiglie che già vivevano condizioni di marginalità sociale e di scarso civismo. Quindi, è la crisi in
sé, tramite il cambiamento forzato dello stile di vita, a portare ad anticivismo ed intolleranza?
Oppure, sono le classiche caratteristiche socio-demografiche e di status sociale, antecedenti alla
crisi, ad avere un ruolo principale sugli orientamenti delle persone, tanto da “annullare” la
potenziale capacità esplicativa svolta dalla crisi?
Fig 1. Il modello empirico
Per poter rispondere a quest’interrogativo, l’effetto della crisi sarà valutato in concomitanza al ruolo
svolto dalle caratteristiche sociali degli individui sui loro orientamenti. Dal punto di vista empirico,
le conseguenze della crisi saranno testate tramite modelli multivariati, in cui verranno inserite, in
aggiunta ai livelli di peggioramento dello stile di vita, le principali variabili socio-demografiche e di
status sociale (effetto A+effetto B).
Terzo, c’è la possibilità le caratteristiche socio-demografiche e di status sociale interagiscano con il
ruolo svolto dalla crisi (cioè, l’effetto A), acuendone o mitigandone la sua forza (effetto C). In altre
parole, la crisi potrebbe influenzare gli orientamenti solo parzialmente, all’interno di alcune
specifiche categorie sociali, ovvero solo nei casi in cui si possiedono specifiche caratteristiche
socio-demografiche e di status sociale. Allo stesso tempo, è possibile che ci siano delle categorie
Cambiamento di stile di vita
Orientamenti politici e civici
Caratteristiche socio-demografiche e di status sociale
Crisi economica
sociali per le quali il peggioramento delle proprie condizioni di vita non abbia ripercussioni sugli
orientamenti civici. Ad esempio, l’avere un lavoro, l’essere più istruiti, oppure l’essere giovani,
sono condizioni sociali di per sé in grado di fornire strumenti e risorse per “contrastare” e rendere
inefficace il potenziale effetto anticivico che può scaturire dal peggioramento materiale suscitato
dalla crisi? Per rispondere a questi interrogativi si aggiungeranno al modello precedente, una alla
volta, le interazioni tra la crisi e le caratteristiche socio-demografiche e di status (effetto C).
Il test complessivo del modello empirico verrà replicato, nella stessa forma, per molteplici
orientamenti civici e politici: intolleranza e anticivismo, tendenza antidemocratica, orientamenti
ideologici.
Il database
Si analizzerà una base dati che non è stata mai utilizzata, a mia conoscenza, per investigare il
fenomeno. I dati fanno parte della “Life in Transition Survey II” (LITS II), una ricerca
internazionale che è stata condotta alla fine del 2010 dalla Banca Mondiale e dalla Banca Europea
per la ricostruzione e lo sviluppo.
Questa inchiesta campionaria indaga innumerevoli atteggiamenti sociali e civici, e permette di
valutare in che misura le vite delle persone sono state influenzate dalla crisi economica globale.
La rilevazione ha coinvolto nel complesso 39.000 famiglie di 34 paesi. Il campione rappresentativo
della popolazione italiana, su cui si concentreranno le analisi, comprende poco più di 1000
individui.
La variabile indipendente
Per costruire l’indice di presenza della crisi in termini di cambiamento di stile di vita, è stata
utilizzata la seguente domanda presente nella sezione del questionario dedicata alla crisi economica:
“Nell’arco degli ultimi due anni, a te o a qualcuno del tuo nucleo familiare è capitato di mettere in
pratica i seguenti comportamenti a causa di una diminuzione del reddito o per difficoltà di
carattere economico?”(sì/no). A questa domanda faceva seguito una batteria di 19 comportamenti
pensati per cogliere l’intensità di un peggioramento dello stile di vita, in termini di
rinuncia/riduzione d’uso (tab. 1).
Indubbiamente, alcune rinunce possono essere interpretate come oggettivamente più difficili da
mettere in atto rispetto ad altre (ad es., dover ridurre il consumo di alimenti di base, come pane e
frutta, è senza dubbio interpretabile come un cambiamento più deprivante e significativo rispetto al
ridurre il consumo di beni di lusso). Allo stesso tempo, altre rinunce possono avere un peso
soggettivo differente, e dipendere dall’importanza che il soggetto dà ad esse nel mantenimento del
suo stile di vita nella quotidianità (ad es., per qualcuno dover ridurre l’utilizzo della propria
macchina può avere un peso maggiore rispetto a ridurre le proprie vacanze, per qualcun’altro può
essere il contrario).
Tab 1. Le domande utilizzate per misurare la presenza della crisi.
Nell’arco degli ultimi due anni, a lei o a qualcuno del suo nucleo familiare le è capitato
di mettere in pratica i seguenti comportamenti a causa di una diminuzione del reddito o per difficoltà di carattere economico? (Risponda mettendo una crocetta se è capitato) Ridotto il consumo di cibi freschi, come latte/frutta/verdura/pane Ridotto il consumo di beni di lusso Ridotto il consumo di bevande alcoliche, come birra, vino, ecc.
Ridotto l’uso della propria automobile Ridotto le proprie vacanze
Ridotto il consumo di tabacco Abbandonato/rimandato l’università Abbandonato/rimandato la frequenza a corsi professionalizzanti (ad es. corsi di lingue)
Continuato/ricominciato a studiare proprio per la mancanza di lavoro Rimandato o saltato visite mediche dopo essermi ammalato Smesso di comprare medicine che prima utilizzavo regolarmente Smesso d’aiutare o aiutato meno amici o parenti, che prima aiutavo di più
Ritardato i pagamenti delle utenze domestiche (gas, acqua, elettricità) Ricevuto il taglio delle utenze domestiche a causa di ritardi nei pagamenti Ricevuto il taglio di servizi come TV/telefono/internet Ritardato/non pagato una rata di un prestito Rinunciato a un proprio bene perché costretto a venderlo Costretto a trasferirmi
Altra rinuncia: specificare (……………………………………………)
Questa informazione aggiuntiva (importanza percepita della rinuncia) non era stata rilevata nel
questionario; tuttavia, dal momento che l’obiettivo era di cogliere la portata quantitativa di un
cambiamento di stile di vita in termini di status materiale, indipendentemente dal tipo di rinuncia
messa in atto, è stato calcolato un indice complessivo tramite il conteggio del numero di
comportamenti selezionati dagli intervistati. Maggiori sono le rinunce cui far fronte nella
quotidianità e maggiore sarà considerata la presenza della crisi nella vita di una persona.
Le variabili socio-demografiche e di status sociale
Valutare la forza esplicativa della crisi in relazione e in interazione alle variabili socio-
demografiche e di status serve a comprendere se anche dal punto di vista di una “recessione” civica
la crisi sta colpendo i “soliti noti”, oppure se il suo “mordere” ha delle conseguenze civiche dirette e
indipendenti. Per ricostruire le caratteristiche socio-demografiche dei rispondenti sono state
utilizzate cinque variabili. Oltre al genere, nei modelli esplicativi si è preso in considerazione il
ruolo svolto da età, condizione professionale, livello d’istruzione e zona geo-politica.
L’età è stata distinta in tre classi: giovani (18-34 anni), adulti (35-54) e anziani (più di 54 anni).
La condizione professionale in 6 categorie: occupati, né occupati né in cerca di lavoro, casalinghe,
studenti, pensionati, disoccupati in cerca di lavoro.
Il livello d’istruzione è stato suddiviso in 4 categorie in base al titolo di studio conseguito: al più
scuola elementare, scuola media, scuola superiore, laurea o più.
La zona di residenza era stata accorpata in 5 classi, seguendo la seguente distinzione geo-politica:
Nord-ovest, Nord-est, Centro-nord, Centro-sud, Sud e Isole.
4. Risultati 4.1 Anticivismo
Una prima dimensione utile per indagare nell’opinione pubblica potenziali conseguenze
antidemocratiche generate dalla crisi economica è la tendenza all’anticivismo.
Il cambiamento forzato del proprio stile di vita ha delle ripercussioni anche sul modo in cui si
concepiscono e si seguono le regole e le norme civiche? Con il “mordere” della crisi cresce la
tendenza delle persone a giustificare il venir meno ad alcune regole sociali, che sono alla base del
vivere civile?
Per costruire l’indice di anticivismo sono stati utilizzati alcuni item che seguivano a questa
premessa: “Alcune persone pensano che determinati comportamenti siano sempre sbagliati, mentre
altri credono che ci siano situazioni in cui è giustificabile venir meno alle regole. Nel complesso,
quanto consideri sbagliato mettere in atto ognuno dei seguenti comportamenti?”. La batteria dei
comportamenti che faceva seguito era composta da 7 items (ad es., “Pagare in contanti senza
ricevuta, per evitare di pagare l’IVA o altre tasse”) sui quali i rispondenti erano chiamati ad
esprimere il loro grado di accordo in base ad una scala a 4 punti (da “per niente sbagliato” a
“profondamente sbagliato”). L’indice finale era composto dal conteggio del numero di risposte
anticiviche (numero di volte in cui si risponde “per niente sbagliato” o “un po’ sbagliato”).
Come illustrato nella tabella 2, il livello di crisi vissuta si relaziona positivamente con l’anticivismo:
più si è costretti a rinunciare al proprio stile di vita, vivendo una sorta di “declassamento” materiale
e sociale, e maggiore è la propensione ad adottare comportamenti che vanno contro l’interesse della
comunità. Dal modello B risulta inoltre che sono i giovani, i disoccupati e coloro che vivono nel
Nord-ovest a manifestare una maggiore tendenza all’anticivismo. Tuttavia, tenendo “sotto
controllo” le principali variabili socio-demografiche nel modello B, le privazioni vissute continuano
a orientare negativamente il senso civico delle persone. Infatti, la crisi rimane significativa anche
nel modello B, svolgendo quindi un ruolo negativo “aggiuntivo”: a parità di caratteristiche sociali,
quanto più le persone vivono la crisi tanto più tendono verso l’anticivismo.
Tuttavia, l’effetto diretto della crisi sull’anticivismo potrebbe essere in realtà parziale, cioè potrebbe
essere più significativamente presente solo all’interno di specifiche categorie sociali, ad esempio
quelle di basso status e più socialmente a rischio. Ad esempio, è possibile che l’età, oltre ad avere
un effetto diretto, svolga anche un ruolo interagente con il livello di crisi vissuta: l’effetto della crisi
potrebbe valere solo per i più giovani, e non essere significativo per gli adulti o gli anziani.
Per testare ciò sono state aggiunte al modello B, una alla volta, le singole interazioni tra il livello di
crisi e ognuna delle altre variabili presenti nel modello (l’effetto C nel modello rappresentato nel
grafico precedente). Come si può notare dalla tabella 2, nel modello C c’è un’interazione
significativa tra la crisi e l’istruzione. Scomponendo l’interazione, emerge un risultato in contrasto
con l’ipotesi in base alla quale i più istruiti avrebbero maggiori strumenti e risorse per poter far
fronte alle conseguenze civiche negative della crisi economica.
Tab 2. Modelli di regressione lineare per spiegare la tendenza verso l’anticivismo Anticivismo Modello A Modello B
(Mod A +sociodemo) Modello C
(Mod B + interazione) β sig. β sig. sig.
Livello di crisi vissuta .10** .07*
Genere (rif = Donne) -.01 Età (rif = Più di 55 anni) 18-34 35-55
.19***
.07
Zona geo-politica (rif. Sud+Isole) Nord-Ovest Nord-Est Centro-Nord Centro-Sud
.10* .02
-.01 .04
Livello d’istruzione (rif. Laurea) Scuola elementare o meno Diploma scuola media Diploma scuola superiore
.07 .05 .03
Condizione prof. (rif. Occupati) Disoccupato-non cerca Casalinga Studenti Pensionati Disoccupato-in cerca
.03 .02
-.04 .03
.10**
(Modello B +) Crisi*Genere ° (Modello B +) Crisi*Età Ns (Modello B +) Crisi*Zona Ns (Modello B +) Crisi*Istruzione ** (Modello B +) Crisi*Cond. Prof. Ns N 1048 1043 1043
*** = p<.0001, ** = p<.001, * = p<.01, ° = p<.10, Ns = non significativo
Infatti, sono proprio i più istruiti (minimo diploma superiore e minimo laurea) a subire l’effetto
civico della crisi (p = 0.001), che non risulta invece significativo (p = ns) tra i meno istruiti (al più
diploma di scuola media). Questo risultato potrebbe essere spiegato dalla presenza di una sorta di
“incoerenza di status” più presente tra gli istruiti: questi ultimi potrebbero percepire un’elevata
incoerenza tra la perdita materiale del proprio status e le loro maggiori aspettative, legittimate dal
raggiungimento di un elevato livello d’istruzione. A suscitare una loro maggiore tendenza verso
l’anticivismo è probabilmente un sentimento di “rabbia” sociale, che scaturisce da rinunce materiali
a cui sono meno “pronti” a rinunciare.
Inoltre, i dati mostrano (anche se solo marginalmente) che il genere presenta un ulteriore effetto di
interazione: la crisi porta ad anticivismo solo tra gli uomini, mentre non è significativa tra le donne.
4.2 Intolleranza sociale
Quello della tolleranza sociale è un ulteriore importante indicatore a livello individuale di benessere
democratico. Si tratta di un costrutto diventato sempre più oggetto di ricerca nelle scienze sociali,
che l’hanno indagato sotto vari aspetti e all’interno di differenti frames teorici; si pensi, ad esempio,
alla teoria della modernizzazione (Inglehart, 1998) o al concetto di capitale sociale (Putnam, 2004).
Del resto, il legame tra tolleranza e crescita economica è stato più volte sottolineato. Basti pensare
che essa svolge un ruolo importante nella formazione del capitale sociale, uno tra i costrutti sociali
più diffusi nello studio di quei fattori extra-economici che sono in grado di relazionarsi al progresso
economico di un Paese.
L’Italia è un Paese in cui il fenomeno dell’intolleranza negli ultimi anni si è caratterizzato di un
andamento particolarmente negativo. Dall’analisi di dati internazionali su oltre 40 nazioni (OECD,
2011), l’Italia risulta essere la nazione che ha conosciuto più di tutte una diminuzione dell’indice di
tolleranza (dal 2007 al 2010): -12 punti percentuali, a fronte di una media OECD di +1.
Mentre la relazione positiva tra tolleranza e progresso economico è stata evidenziata a livello
macro, comparando la forza della relazione in più nazioni, pochi studi hanno indagato se e come la
perdita di benessere favorisce l’intolleranza ad un livello individuale, e se alcune caratteristiche
individuali sono in grado di acuire o mitigare questo effetto. L’attuale crisi economica costituisce
l’occasione per poterlo valutare: in che misura una diminuzione relativamente rapida del benessere
materiale ha un ruolo significativo nel favorire la crescita dell’intolleranza in Italia? Come si
relaziona la sua capacità esplicativa con quella delle caratteristiche socio-demografiche e di status,
alcune delle quali hanno solitamente un effetto diretto sull’intolleranza? L’aumento
dell’intolleranza è un fenomeno generalizzabile a tutta la popolazione colpita dalla crisi, o riguarda
solo particolari fasce della popolazione?
Una misura di intolleranza sociale è stata calcolata tramite l’utilizzo del seguente item: “Sulla
seguente lista sono stati riportati differenti gruppi di persone. Selezioni quelli che non vorrebbe
avere come vicini di casa”. Ad esso seguiva una lista di 15 gruppi di persone dalla quale è stato
possibile calcolare un indice cumulativo di intolleranza.
I risultati in tabella 3 evidenziano che l’effetto della crisi, in termini di cambiamento forzato dello
stile di vita, ha un ruolo molto significativo sull’intolleranza nella direzione attesa: più le persone
sono state costrette a fare delle rinunce materiali, più esprimono intolleranza sociale. Come emerso
in precedenza sull’anticivismo, quest’effetto non cambia il suo potere esplicativo dopo
l’inserimento di variabili socio-demografiche e di status (modello B): ciò significa che sono le
rinunce portate dalla crisi ad avere un proprio ruolo nello spiegare l’intolleranza, e che il loro effetto
non si spiega per una loro concentrazione “a monte”, all’interno di categorie sociali “marginali”. In
più, nel modello B un ruolo rilevante è svolto dal livello d’istruzione: coloro che possiedono un
titolo di studio basso presentano livelli di intolleranza maggiori rispetto a coloro che sono laureati.
Tab 3. Modelli di regressione lineare per spiegare l’intolleranza sociale Intolleranza sociale Modello A Modello B
(Mod A +sociodemo) Modello C
(Mod B + interazione) β sig. β sig. sig.
Livello di crisi vissuta .18*** .18***
Genere (rif = Donne) .01 Età (rif = Più di 55 anni) 18-34 35-55
.01
-.08
Zona geo-politica (rif. Sud+Isole) Nord-Ovest Nord-Est Centro-Nord Centro-Sud
.04 .03 .03 .03
Livello d’istruzione (rif. Laurea) Scuola elementare o meno Diploma scuola media Diploma scuola superiore
.10* .11* .05
Condizione prof. (rif. Occupati) Disoccupato-non cerca Casalinga Studenti Pensionati Disoccupato-in cerca
.01 .04
-.03 -.04 -.03
(Modello B +) Crisi*Genere Ns (Modello B +) Crisi*Età Ns (Modello B +) Crisi*Zona *** (Modello B +) Crisi*Istruzione * (Modello B +) Crisi*Cond. Prof. Ns N 1048 1043 1043
*** = p<.0001, ** = p<.001, * = p<.01, ° = p<.10, Ns = non significativo Il modello C mostra che le variabili che interagiscono significativamente con il livello di crisi, cioè
con il cambiamento materiale provocato dalla crisi, sono la zona e l’istruzione. Scomponendo le due
interazioni, emergono delle indicazioni rilevanti. La significativa interazione con la zona geo-
politica indica che il vivere la crisi ha un forte effetto (p = 0.001) sull’intolleranza soltanto nelle
regioni del Sud (Cs + SI), mentre non è significativa (p = ns) nel resto del Paese. Inoltre, il ruolo
interagente svolto dall’istruzione nel “modificare” le conseguenze della crisi è simile a quello
emerso nel caso dell’anticivismo: nuovamente, la crisi risulta significativa soltanto tra i più istruiti
(coloro che sono in possesso di diploma di scuola superiore o laurea) mentre i suoi effetti sono
assenti tra i meno istruiti, i quali del resto risultano già più intolleranti indipendentemente dal ruolo
svolto dalla crisi (come mostra l’effetto significativo dell’istruzione nel modello B).
4.3 Tendenza antidemocratica
Abbiamo visto che molti studi sottolineano che l’avvento di una crisi economica può essere un
rischio per la democrazia. In che misura l’attuale crisi economica può avere anche delle
conseguenze antidemocratiche sul tessuto sociale, influenzando lo stesso atteggiamento dei cittadini
nei confronti della democrazia?
Il questionario presenta una domanda dalla quale è possibile rilevare un potenziale atteggiamento
antidemocratico. Dopo una premessa (“Con quale delle seguenti affermazioni lei è più d’accordo”),
il rispondente doveva scegliere uno tra tre item ben distinti: “la democrazia è preferibile ad ogni
altra forma di sistema politico”, “in alcuni casi, un governo autoritario è preferibile ad uno
democratico”, “per la gente come me, non importa se un governo è democratico o autoritario”.
L’obiettivo delle analisi è comprendere se coloro che hanno subìto maggiormente le conseguenze
della crisi economica tendono ad avere minori preferenze nei confronti di forme di governo
democratico, a parità di caratteristiche socio-demografiche e di status sociale. Per valutare ciò, è
stato testato un modello di regressione logistica multinomiale, ponendo come riferimento la
valutazione pienamente positiva nei confronti della democrazia, in modo da valutare se coloro che
hanno subìto di più la crisi si distinguono significativamente dagli altri nel preferire le altre due
posizioni meno favorevoli alla democrazia. Per semplicità espositiva, in tabella 4 non sono stati
riportati i risultati dei modelli A, in quanto i coefficienti dell’effetto della crisi risultano simili a
quelli dei modelli B.
I risultati evidenziano che la crisi economica ha delle conseguenze soprattutto in termini di
“indifferenza”. Chi subisce di più la crisi tende ad avere minori preferenze verso una forma
democratica di governo: ciò si spiega non per il fatto di preferire una forma autoritaria, bensì per
pensare di più che democrazia e autoritarismo siano la stessa cosa. Quindi, la crisi non ha un effetto
diretto nel far tendere le persone verso l’autoritarismo, ma sviluppa una sorta di apatia politica, che
si concretizza in termini di “indifferenza democratica”.
Tuttavia, l’analisi delle interazioni sottolinea che questo risultato è alterato da variabili terze, che
acuiscono/attenuano l’effetto della crisi; in particolare, come illustrato in tabella 4, la crisi
interagisce con il genere e, soprattutto, con la zona. Scomponendo l’interazione tra crisi e genere
emerge che l’effetto della crisi in termini di orientamenti autoritari c’è, ma è significativo solo tra
gli uomini: è solo tra di loro che la crisi porta a far credere che in alcuni casi un governo autoritario
è preferibile ad uno democratico. Per quel che riguarda il ruolo della Zona, emerge che l’effetto
della crisi è significativo sia al Nord che al Sud ma assume valenza opposta: al Nord il coefficiente
della regressione è negativo, mentre al Sud è positivo. Ciò significa che al Nord la crisi porta le
persone a preferire una visione democratica di governo rispetto ad una autoritaria, mentre al Sud
avviene l’esatto contrario: coloro che la subiscono di più manifestano maggiormente una deriva
autoritaria (sia una preferenza verso l’autoritarismo, sia un’indifferenza democratica).
Tab 4. Modelli di regressione per spiegare l’atteggiamento verso la democrazia
Rispetto all’affermazione “la democrazia
è preferibile ad ogni altra forma di sistema politico”, con quale delle seguenti
affermazioni è più d’accordo?
In alcuni casi, un governo
autoritario è preferibile ad uno democratico”
Per la gente come me, non
importa se un governo è democratico o autoritario”
Mod. B (Mod A+sociodemo)
Mod. C (Mod B+interaz)
Mod. B (Mod A+sociodemo)
Mod. C (Mod B+interaz)
B ES exp(B) sign. B ES exp(B) sign.
Livello di crisi vissuta .01 (.05) 1.01 .11 (.05)* 1.12
Genere (rif = Donne) -.11 (.18) .90 -.14 (.22) .87 Età (rif = Più di 55 anni) 18-34 35-55
.36 (.30) 1.44
-.09 (.26) .91
.38 (.37) 1.46 -.10 (.32) .90
Zona geo-politica (rif. Sud+Isole) Nord-Ovest Nord-Est Centro-Nord Centro-Sud
.28 (.25) 1.32 .13 (.31) 1.14 .84 (.27)* 2.32 .67 (.25)* 1.96
.53 (.32)° 1.70 .55 (.38) 1.73 .93 (.35)* 2.52
1.13 (.31)*** 3.10
Livello d’istruzione (rif. Laurea) Scuola elementare o meno Diploma scuola media Diploma scuola superiore
.56 (.38) 1.75 .52 (.29) 1.68 .15 (.27) 1.17
.84 (.53)° 2.31
1.17 (.42)* 3.21 .73 (.40)° 2.07
Condizione prof. (rif. Occupati) Disoccupato-non cerca Casalinga Studenti Pensionati Disoccupato-in cerca
-.19 (.34) .83 -.05 (.27) .95 -.34 (.44) .71 -.53 (.32) .59 -.66 (.31)* .52
-.04 (.39) .96 -.47 (.36) .62 -.56 (.55) .57 -.17 (.38) .84 -.12 (.31) .88
(Modello B +) Crisi*Genere * Ns (Modello B +) Crisi*Età Ns Ns (Modello B +) Crisi*Zona ** * (Modello B +) Crisi*Istruzione Ns Ns (Modello B +) Crisi*Cond. Prof. Ns Ns N 1043 1043 1043 1043
*** = p<.0001, ** = p<.001, * = p<.01, ° = p<.10, Ns = non significativo
Un secondo indicatore utilizzato per indagare se la crisi economica è in grado di influenzare la
tendenza dei cittadini a preferire visioni antidemocratiche è dato da una domanda che poneva gli
individui di fronte ad una scelta: vivere in un ipotetico Paese A, in cui bisogna rinunciare ad una
parte delle libertà politiche, alla base di una democrazia di diritto, per poter avere maggiore crescita
economica; oppure vivere in un Paese B, in cui il prezzo da pagare per non dover rinunciare a
nessuna libertà è quello di vivere una debole crescita economica.
Per capire se il livello di crisi vissuta è in grado di orientare significativamente di più le persone
verso una delle due scelte, è stata fatta una regressione logistica replicando il modello esplicativo
utilizzato fino ad ora.
Tab 5. Modelli di regressione per spiegare la tendenza alla rinuncia di libertà politiche Immagina di poter scegliere dove vivere tra 2 paesi:
A (poche libertà politiche-forte crescita economica)
B (piene libertà politiche-debole crescita economica)
Scelta
A��������B
Scelta
A��������B
Scelta
A��������B
Modello A Modello B (Mod A+sociodemo)
Modello C (Mod B+interaz)
B ES exp(B) B ES exp(B) sign.
Livello di crisi vissuta -.09 (.04)* .91 -.08 (.04)* .92
Genere (rif = Donne) .25 (.15)° 1.29 Età (rif = Più di 55 anni) 18-34 35-55
-.32 (.25) .73 -.29 (.21) .75
Zona geo-politica (rif. Sud+Isole) Nord-Ovest Nord-Est Centro-Nord Centro-Sud
.89 (.19)*** 2.44 .97 (.24)*** 2.65 .35 (.23) 1.42 .55 (.21)* 1.72
Livello d’istruzione (rif. Laurea) Scuola elementare o meno Diploma scuola media Diploma scuola superiore
-1.02 (.31)*** .36 -.63 (.23) * .54 -.48 (.21)* .62
Condizione prof. (rif. Occupati) Disoccupato-non cerca Casalinga Studenti Pensionati Disoccupato-in cerca
.07 (.28) 1.07 -.12 (.22) 0.89 .55 (.36) 1.73
-.08 (.26) 0.92 .14 (.22) 1.15
(Modello B +) Crisi*Genere Ns (Modello B +) Crisi*Età Ns (Modello B +) Crisi*Zona * (Modello B +) Crisi*Istruzione Ns (Modello B +) Crisi*Cond. Prof. * N 1048 1043 1043
*** = p<.0001, ** = p<.001, * = p<.01, ° = p<.10, Ns = non significativo
I risultati illustrati in tabella 5 mostrano che coloro che stanno subendo di più gli effetti della crisi
economica tendono ad avere una preferenza nei confronti del Paese A: sono dunque maggiormente
disposti a rinunciare ad alcune delle loro libertà politiche pur di vivere in un Paese dall’elevata
crescita economica. Quest’effetto continua ad essere significativo anche dopo l’introduzione delle
variabili socio-demografiche e di status (modello B)
Infine, le analisi delle interazioni (modello C) ci indicano che l’elevato livello di crisi vissuta porta
ad avere questa preferenza soprattutto all’interno di specifiche categorie professionali (disoccupati e
pensionati) e zone geo-politiche (al Sud e nelle Isole).
4.4 Orientamenti ideologici
Oltre al rischio di visioni antidemocratiche e totalitariste, l’aumento di deprivazione relativa e il
vivere momenti difficili dal punto di vista economico potrebbero favorire una specifica visione
ideologica, soprattutto in termini di organizzazione sociale, politiche redistributive e interventismo
statale.
Ad esempio, è plausibile che le preferenze individuali verso politiche sociali redistributive siano
determinate dal reddito e dall’esposizione al rischio economico. Infatti, le preferenze a favore della
redistribuzione si possono relazionare significativamente al proprio interesse economico: le persone
più indigenti potrebbero essere maggiormente a favore della redistribuzione, insieme a coloro che
rischiano di perdere l’occupazione o il reddito futuro. Proprio la stessa natura della crisi economica,
che ha messo in evidenza le dinamiche più pericolose di un mercato capitalista, dovrebbe spingere
coloro che l’hanno subita verso una visione di mercato più statalista, meno libero e competitivo. Del
resto, è stato visto che, in tempi di crisi, l’insicurezza economica è in grado di influenzare gli
orientamenti che le persone hanno nei confronti delle politiche sociali (Mughan, 2007). Lo studio di
Mughan (2007) evidenzia che questi stessi effetti non sono comunque generalizzabili, ma variano
da Paese a Paese: dalle sue analisi emerge che l’insicurezza percepita in tempi di crisi economica
diminuisce la propensione verso politiche di interventismo statale tra i cittadini americani, mentre la
accresce tra gli australiani.
Al riguardo, è stato visto che anche la stessa variabile occupato/disoccupato è molto esplicativa nel
riuscire a prevedere l’atteggiamento nei confronti della redistribuzione statale delle risorse, e può
diventare quindi “a good benchmark for assessing the effects of exposure to risks” (Cusack et al.,
2008). Nei prossimi paragrafi si cercherà quindi di valutare se il cambiamento suscitato dalla crisi è
in grado di influenzare alcuni orientamenti ideologici che le persone hanno riguardo al
funzionamento della società.
Disuguaglianza economica
Un primo indicatore faceva riferimento alle politiche di redistribuzione del reddito. I rispondenti
dovevano scegliere dove collocarsi tra il valore 1, che corrispondeva all’affermazione “I redditi
dovrebbero essere resi più uguali tra di loro”, e il valore 10, che riportava la frase “C’è bisogno di
maggiori differenze di reddito per incentivare l’impegno individuale”.
Come emerge dalla tabella 6, i risultati evidenziano che il subire la crisi porta ad avere un
orientamento più favorevole nei confronti dell’uguaglianza dei redditi.
Come era prevedibile, il fatto che i redditi debbano essere resi più uguali è una visione che risulta
essere influenzata fortemente dal peggioramento della propria condizione di vita materiale
provocato dalla crisi; le variabili socio-demografiche e di status non rendono “spurio” questo effetto
(modello B).
Tab 6. Modelli di regressione per spiegare l’atteggiamento verso la disuguaglianza
Le differenze dei redditi vanno
aumentate
Modello A Modello B (Mod A +sociodemo)
Modello C (Mod B + interazione)
Livello di crisi vissuta -.13*** -.12***
Genere (rif = Uomini) -.01 Età (rif = Più di 55 anni) 18-34 35-55
.04 .03
Zona geo-politica (rif. Sud+Isole) Nord-Ovest Nord-Est Centro-Nord Centro-Sud
.12*
.05 .07* .11*
Livello d’istruzione (rif. Laurea) Scuola elementare o meno Diploma scuola media Diploma scuola superiore
-.08° -.06 -.05
Condizione prof. (rif. Occupati) Disoccupato-non cerca Casalinga Studenti Pensionati Disoccupato-in cerca
.06° .05 -.03 -.03 -.04
(Modello B +) Crisi*Genere Ns (Modello B +) Crisi*Età Ns (Modello B +) Crisi*Zona * (Modello B +) Crisi*Istruzione Ns (Modello B +) Crisi*Cond. Prof. Ns N 1048 1043 1043
*** = p<.0001, ** = p<.001, * = p<.01, ° = p<.10, Ns = non significativo
La zona geo-politica risulta avere un effetto significativo: al Sud e nelle Isole, rispetto alle altre
zone, è maggiore l’atteggiamento favorevole nei confronti dell’uguaglianza dei redditi. Tuttavia, le
analisi di interazione (modello C) sottolineano che la probabilità che la crisi spinga le persone verso
una maggiore uguaglianza è significativamente più bassa al Sud rispetto al Nord.
Un item simile al precedente ma che rileva in maniera più diretta il grado di accordo nei confronti
dell’attuazione di politiche economiche orientate alla diminuzione della disuguaglianza è il
seguente: “la distanza tra ricchi e poveri nel nostro Paese andrebbe ridotta” (scala a 5 punti da 1 =
molto in disaccordo a 5 = molto d’accordo). Anche su questo item l’effetto della crisi è significativo
(tabella 7), in aggiunta alle tradizionali variabili socio-demografiche e di status, e va nella direzione
attesa: maggiore è il livello di crisi vissuta, maggiore la propensione a favore della riduzione della
disuguaglianza. Nel modello B emerge nuovamente l’effetto della zona: nel Sud e Isole c’è un
atteggiamento più favorevole nei confronti dell’uguaglianza economica.
Nel modello C emerge infine un’interazione significativa tra la crisi e l’istruzione: nello specifico,
scomponendo l’interazione, la crisi risulta avere un effetto significativo solo tra i meno istruiti,
mentre perde efficacia esplicativa tra i più istruiti.
Tab 7. Modelli di regressione per spiegare l’atteggiamento verso la disuguaglianza La distanza tra ricchi e poveri nel
nostro Paese andrebbe ridotta
Modello A Modello B (Mod A +sociodemo)
Modello C (Mod B + interazione)
Livello di crisi vissuta .16*** .14***
Genere (rif = Uomini) -.04 Età (rif = Più di 55 anni) 18-34 35-55
-.08 -.04
Zona geo-politica (rif. Sud+Isole) Nord-Ovest Nord-Est Centro-Nord Centro-Sud
-.15***
-.01 -.02 -.06
Livello d’istruzione (rif. Laurea) Scuola elementare o meno Diploma scuola media Diploma scuola superiore
-.01 -.01 -.01
Condizione prof. (rif. Occupati) Disoccupato-non cerca Casalinga Studenti Pensionati Disoccupato-in cerca
.08* .04 .06° .06 .10*
(Modello B +) Crisi*Genere Ns (Modello B +) Crisi*Età Ns (Modello B +) Crisi*Zona Ns (Modello B +) Crisi*Istruzione * (Modello B +) Crisi*Cond. Prof. Ns N 1048 1043 1043
*** = p<.0001, ** = p<.001, * = p<.01, ° = p<.10, Ns = non significativo
Rispetto della legge
La scala utilizzata per rilevare l’atteggiamento di rispetto nei confronti della legge andava da 1 “Le
persone dovrebbero rispettare la legge senza eccezione” a 10 “Alcune volte le persone hanno buoni
motivi per non rispettare la legge”. I risultati in tabella 8 mostrano che il livello di crisi vissuta non
è in grado di spiegare significativamente questo specifico atteggiamento. Il modello B ci mostra che
sono soprattutto i giovani e i meno istruiti a concepire in alcuni casi la possibilità di venir meno alla
legge, un atteggiamento che è inoltre meno diffuso al Sud e nelle Isole. In base ai risultati emergenti
dal modello C, tra le variabili socio-demografiche e il livello di crisi non emergono interazioni
significative su questo orientamento: questo significa che il peggioramento economico provocato
dalla crisi non influenza non solo direttamente ma neanche parzialmente (all’interno di specifiche
categorie sociali) l’atteggiamento nei confronti del rispetto della legge.
Tab 8. Modelli di regressione per spiegare l’atteggiamento verso il rispetto della legge Meno rispetto della legge Modello A Modello B
(Mod A +sociodemo) Modello C
(Mod B + interazione) Livello di crisi vissuta .02 .02
Genere (rif = Uomini) .02 Età (rif = Più di 55 anni) 18-34 35-55
.15**
.08
Zona geo-politica (rif. Sud+Isole) Nord-Ovest Nord-Est Centro-Nord Centro-Sud
.08* -.03
.11** .19***
Livello d’istruzione (rif. Laurea) Scuola elementare o meno Diploma scuola media Diploma scuola superiore
.09*
.10* .02
Condizione prof. (rif. Occupati) Disoccupato-non cerca Casalinga Studenti Pensionati Disoccupato-in cerca
-.02
.02 -.07* -.03 -.03
(Modello B +) Crisi*Genere Ns (Modello B +) Crisi*Età Ns (Modello B +) Crisi*Zona Ns (Modello B +) Crisi*Istruzione Ns (Modello B +) Crisi*Cond. Prof. Ns N 1048 1043 1043
*** = p<.0001, ** = p<.001, * = p<.01, ° = p<.10, Ns = non significativo
Rispetto delle autorità
Il rispetto della legge è una dimensione di civismo diversa dal rispetto delle autorità. Quest’ultima
richiama delle considerazioni di natura più contingente e meno astratta, legate al modo in cui
specifiche istituzioni stanno operando, e potrebbe quindi essere più influenzata dalle vicissitudini
economiche che le persone vivono.
La scala su cui gli individui dovevano collocarsi in base al proprio livello di accordo andava da 1
“Noi cittadini dovremmo essere più pronti a mettere in dubbio l’operato delle nostre autorità” a 10
“Nel nostro Paese oggi dovremmo mostrare più rispetto verso le nostre autorità”. Come illustrato in
tabella 9, dall’analisi emerge che il livello di crisi vissuta fa aumentare la visione critica delle
persone riguardo all’operato delle autorità. Si tratta di un effetto che permane anche dopo aver
inserito nel modello le variabili socio-demografiche (Modello B).
Infine, in base alle analisi delle interazioni tra crisi e variabili socio-demografiche (modello C)
emerge un ruolo moderante marginalmente significativo da parte dell’età: l’effetto della crisi si
verifica soltanto tra gli adulti e gli anziani, ma non tra i giovani, i quali del resto presentano già in
valore assoluto i livelli più bassi di rispetto per le autorità.
Tab 9. Modelli di regressione per spiegare l’atteggiamento verso il rispetto delle autorità
Più rispetto per le autorità Modello A Modello B (Mod A +sociodemo)
Modello C (Mod B + interazione)
Livello di crisi vissuta -.11*** -.09**
Genere (rif = Uomini) -.01 Età (rif = Più di 55 anni) 18-34 35-55
-.03 .01
Zona geo-politica (rif. Sud+Isole) Nord-Ovest Nord-Est Centro-Nord Centro-Sud
.01
-.06 .09*
-.09*
Livello d’istruzione (rif. Laurea) Scuola elementare o meno Diploma scuola media Diploma scuola superiore
.08 .08 .03
Condizione prof. (rif. Occupati) Disoccupato-non cerca Casalinga Studenti Pensionati Disoccupato-in cerca
-.04
-.01 -.03 -.01 -.03
(Modello B +) Crisi*Genere Ns (Modello B +) Crisi*Età ° (Modello B +) Crisi*Zona Ns (Modello B +) Crisi*Istruzione Ns (Modello B +) Crisi*Cond. Prof. Ns N 1048 1043 1043
*** = p<.0001, ** = p<.001, * = p<.01, ° = p<.10, Ns = non significativo
Statalismo
In questo caso, i rispondenti dovevano scegliere dove auto-collocarsi lungo un continuum che
andava dal valore 1 “La proprietà privata del commercio e dell’industria dovrebbe essere
aumentata” al valore 10 “La proprietà statale del commercio e dell’industria dovrebbe essere
aumentata”, ovvero il massimo dello statalismo. Anche la collocazione su questa scala può essere
interpretata dal punto di vista ideologico: ai valori più bassi corrisponde un orientamento più
liberista, mentre all’estremo opposto emerge una visione più statalista e interventista, tipica di un
orientamento di sinistra. I risultati riportati in tabella 10 mostrano che più è alto il livello di crisi
vissuta e maggiore è la disposizione verso lo statalismo. Anche se l’atteggiamento a favore di un
maggior statalismo è più diffuso al Sud e nelle Isole (modello B), dal modello C emerge che
l’effetto positivo della crisi su di esso (più crisi, più statalismo) risulta significativo soltanto nelle
regioni del Centro (soprattutto Centro Nord, ma anche Centro Sud), cui fanno parte i territori geo-
politici della cosiddetta “Zona rossa” (modello C). Proprio perché questa tendenza avviene
soprattutto laddove è già presente e diffusa da tempo una visione socialdemocratica della cosa
pubblica, si potrebbe sostenere che la crisi rinforzi e sviluppi un’estremizzazione di una visione
statalista del commercio e dell’industria.
Tab 10. Modelli di regressione per spiegare l’atteggiamento verso lo statalismo
Statalismo va aumentato Modello A Modello B (Mod A +sociodemo)
Modello C (Mod B + interazione)
Livello di crisi vissuta .11*** .10**
Genere (rif = Uomini) .02 Età (rif = Più di 55 anni) 18-34 35-55
.04 .03
Zona geo-politica (rif. Sud+Isole) Nord-Ovest Nord-Est Centro-Nord Centro-Sud
-.21***
-.04 -.09*
-.14***
Livello d’istruzione (rif. Laurea) Scuola elementare o meno Diploma scuola media Diploma scuola superiore
.01 -.03 -.03
Condizione prof. (rif. Occupati) Disoccupato-non cerca Casalinga Studenti Pensionati Disoccupato-in cerca
-.01 .01 -.01 .02 -.05
(Modello B +) Crisi*Genere Ns (Modello B +) Crisi*Età Ns (Modello B +) Crisi*Zona ° (Modello B +) Crisi*Istruzione Ns (Modello B +) Crisi*Cond. Prof. Ns N 1048 1043 1043
*** = p<.0001, ** = p<.001, * = p<.01, ° = p<.10, Ns = non significativo
Competizione
Per valutare l’effetto della crisi sull’atteggiamento nei confronti della competizione, è stata
utilizzata una variabile posta su una scala che andava dal valore 1 “La competizione è buona.
Stimola le persone a lavorare duro e ad essere più creativi” a 10 “La competizione è dannosa. Tira
fuori il peggio dalle persone”.
Anche in questo caso, la crisi contribuisce significativamente ad orientare il modo di pensare delle
persone. La tabella 11 ci mostra che maggiore è il livello di crisi vissuta e più negativo è il parere
nei confronti della competizione: quest’effetto non dipende dalle caratteristiche sociali e di status
dei rispondenti, in quanto continua ad essere significativo dopo aver inserito queste variabili nella
regressione (modello B). Inoltre, la forza di questo effetto è confermata dai risultati del modello C:
non emergono interazioni significative tra la crisi e le variabili socio-demografiche, a conferma del
fatto che l’effetto è generalizzabile a tutto il campione.
Tab 11. Modelli di regressione per spiegare l’atteggiamento verso la competizione Competizione è dannosa Modello A Modello B
(Mod A +sociodemo) Modello C
(Mod B + interazione) Livello di crisi vissuta .16*** .15***
Genere (rif = Uomini) .01 Età (rif = Più di 55 anni) 18-34 35-55
.07 .05
Zona geo-politica (rif. Sud+Isole) Nord-Ovest Nord-Est Centro-Nord Centro-Sud
.06 .05
.13***
.13***
Livello d’istruzione (rif. Laurea) Scuola elementare o meno Diploma scuola media Diploma scuola superiore
.08° .08 .04
Condizione prof. (rif. Occupati) Disoccupato-non cerca Casalinga Studenti Pensionati Disoccupato-in cerca
-.01 .03 -.09* -.08 -.08*
(Modello B +) Crisi*Genere Ns (Modello B +) Crisi*Età Ns (Modello B +) Crisi*Zona Ns (Modello B +) Crisi*Istruzione Ns (Modello B +) Crisi*Cond. Prof. Ns N 1048 1043 1043
*** = p<.0001, ** = p<.001, * = p<.01, ° = p<.10, Ns = non significativo 5. Alcune considerazioni conclusive
Gli studi che si concentrano sul legame tra declino di carattere economico e orientamenti politici
sottolineano che una crisi economica può rappresentare uno dei rischi più comuni per la stabilità
democratica di un Paese: in tempi di crisi, i cittadini potrebbero girare le spalle alla democrazia, con
importanti conseguenze sulla salute civica e democratica di un Paese.
Questo lavoro ha cercato di fornire nuove prove empiriche su questo specifico argomento nel
contesto dell’attuale crisi economica in Italia. I risultati evidenziano che la crisi, tramite un
cambiamento materiale negli stili di vita delle persone, può avere delle significative conseguenze
sullo stesso modo in cui i cittadini vedono la società e si rapportano con essa. I risultati emersi sono
sintetizzabili in tre punti, in base ai principali orientamenti che sono stati indagati.
Primo, dal punto di vista dell’orientamento civico, i dati sono coerenti con i risultati degli studi
precedenti e ci mostrano che quanto più una persona ha conosciuto la crisi, vivendo una sorta di
declassamento sociale, tanto più tenderà a manifestare un atteggiamento intollerante e una tendenza
all’anticivismo. Le conseguenze della crisi risultano estremamente rilevanti e non dipendono “a
monte” dalle caratteristiche socio-demografiche e dallo status sociale degli individui coinvolti:
tenendo queste ultime “sotto controllo”, la crisi mantiene la sua forza esplicativa.
In particolare, su entrambi gli indicatori, anticivismo e intolleranza, emerge un ruolo interveniente
da parte del livello d’istruzione: le conseguenze civiche negative della crisi si hanno soprattutto tra i
più istruiti. Sono proprio questi ultimi ad avere probabilmente maggiori aspettative di status, a cui la
crisi li costringe repentinamente a rinunciare. Quando la crisi “morde”, l’elevata istruzione si
dimostra essere un ulteriore fattore in grado di acuire la rabbia per un declassamento sociale, più
che una risorsa in grado di contrastare una possibile “recessione” civica.
Secondo, l’avvento della crisi può portare anche verso un orientamento più preoccupante: un
allontanamento da una visione democratica della società e della politica. I risultati sono meno
accentuati rispetto a quelli emergenti sull’anticivismo e sull’intolleranza, ma le indicazioni sono
coerenti. La tendenza antidemocratica si concretizza in quanto la crisi favorisce una sorta di apatia
politica, che sviluppa “indifferenza democratica”. La crisi non porta direttamente ad autoritarismo,
ma sviluppa negli individui la tendenza a considerare indifferente l’avere un governo democratico o
autoritario, ponendoli entrambi alla stessa stregua in termini di efficacia politica (“per la gente come
me non importa…”). L’indifferenza e alienazione dalla cosa pubblica suscitate dalla crisi si
confermano anche nella maggiore disponibilità a rinunciare potenzialmente a libertà politiche, in
cambio di crescita economica.
Mentre sul civismo un ruolo di prim’ordine nel modificare gli effetti della crisi era svolto
dall’istruzione, in questo caso emerge l’importanza della zona geo-politica. I rischi di una deriva
degli orientamenti democratici sono maggiori soprattutto al Sud. E’ probabile che al Sud, rispetto al
Nord, la crisi abbia avuto un maggiore effetto acceleratore, accentuando e cumulando problemi
sociali già presenti prima del suo avvento: ad esempio, i dati ufficiali dell’Istat e diverse inchieste
campionarie ci descrivono da decenni il Sud come un territorio in cui si registrano cronicamente
livelli di benessere e tassi di partecipazione politica e civica largamente inferiori rispetto al resto del
Paese.
Terzo, sugli orientamenti ideologici gli effetti della crisi sono evidenti e coerenti dal punto di vista
della valenza assunta. A grandi linee, emerge una tendenza verso posizioni socialdemocratiche e
progressiste da parte di coloro che sono stati più costretti a cambiare il proprio stile di vita a causa
della crisi. Quando la crisi “morde”, gli atteggiamenti delle persone sembrano orientarsi verso più
uguaglianza, meno competizione, più statalismo, e una visione più critica verso le autorità. Che la
crisi porti ideologicamente “a sinistra” sembra inoltre essere un risultato consistente e
generalizzabile: non emergono interazioni statistiche sistematiche con le principali variabili socio-
demografiche, tanto da dover circoscrivere e limitare gli effetti ideologici della crisi a specifiche
categorie sociali.
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