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Prof. Piero Scotto - Corso di Elettrotecnica pag. 1 Corso di Elettrotecnica Generale Capitolo 1 - I circuiti elettrici 1 - Costituzione della materia ed origine dei fenomeni elettrici pag. 3 2 - Interazioni tra cariche elettriche; Legge di Coulomb pag. 5 3 - Generatore elettrico pag. 6 4 - Tensione elettrica pag. 8 5 - Corrente elettrica pag. 9 6 - Convenzioni sulla corrente e sui potenziali elettrici pag. 12 7 - Resistenza elettrica; Legge di Ohm pag. 14 8 - Resistività dei materiali; Calcolo della resistenza dei conduttori pag. 18 9 - Influenza della temperatura sulla resistenza elettrica pag. 19 Capitolo 2 - Reti elettriche 1 - Generalizzazione della legge di Ohm pag. 20 2 - Principi di Kirchhoff pag. 23 3 - Raggruppamento in serie di più resistenze pag. 26 4 - Raggruppamento in parallelo di più resistenze pag. 27 5 - Reti serie-parallelo e reti stella-triangolo; Metodo passo-passo pag. 28 Capitolo 3 - Analisi delle reti in regime stazionario 1 - Reti elettriche come reti di bipoli pag. 29 2 - Analisi delle reti mediante i principi di Kirchhoff pag. 32 3 - Teorema di Millman pag. 33 4 - Metodo della sovrapposizione degli effetti pag. 34 5 - Principio del generatore equivalente pag. 36 6 - Teorema di Thévenin pag. 37 7 - Teorema di Norton pag. 39 Capitolo 4 - Potenza elettrica 1 - Potenza ed energia pag. 40 2 - Potenza elettrica pag. 41 3 - Legge di Joule pag. 42 4 - Bilancio delle potenze nei generatori pag. 43 5 - Potenza assorbita da una f.c.e.m. pag. 45 Capitolo 5 - Elettrostatica 1 - Il campo elettrico pag. 46 2 - Condensatori elettrici; Capacità elettrostatica pag. 51 3 - Capacità del condensatore piano pag. 53 4 - Transitori di carica e scarica pag. 57 6 - Energia accumulata nel campo elettrico pag. 59 Capitolo 6 - Elettromagnetismo 1 - I fenomeni magnetici pag. 60 2 - Campi magnetici prodotti da correnti elettriche pag. 61 3 - Fenomeno dell'induzione elettromagnetica; Il flusso magnetico pag. 65 4 - Densità di flusso o vettore induzione B pag. 67 5 - F.e.m. indotta nei conduttori in moto nel campo magnetico pag. 68 6 - Fenomeni d’autoinduzione; Energia del campo magnetico pag. 70 7 - Fenomeni di mutua induzione pag. 74

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Corso di Elettrotecnica Generale

Capitolo 1 - I circuiti elettrici

1 - Costituzione della materia ed origine dei fenomeni elettrici pag. 3 2 - Interazioni tra cariche elettriche; Legge di Coulomb pag. 5 3 - Generatore elettrico pag. 6 4 - Tensione elettrica pag. 8 5 - Corrente elettrica pag. 9 6 - Convenzioni sulla corrente e sui potenziali elettrici pag. 12 7 - Resistenza elettrica; Legge di Ohm pag. 14 8 - Resistività dei materiali; Calcolo della resistenza dei conduttori pag. 18 9 - Influenza della temperatura sulla resistenza elettrica pag. 19

Capitolo 2 - Reti elettriche

1 - Generalizzazione della legge di Ohm pag. 20 2 - Principi di Kirchhoff pag. 23 3 - Raggruppamento in serie di più resistenze pag. 26 4 - Raggruppamento in parallelo di più resistenze pag. 27 5 - Reti serie-parallelo e reti stella-triangolo; Metodo passo-passo pag. 28

Capitolo 3 - Analisi delle reti in regime stazionario

1 - Reti elettriche come reti di bipoli pag. 29 2 - Analisi delle reti mediante i principi di Kirchhoff pag. 32 3 - Teorema di Millman pag. 33 4 - Metodo della sovrapposizione degli effetti pag. 34 5 - Principio del generatore equivalente pag. 36 6 - Teorema di Thévenin pag. 37 7 - Teorema di Norton pag. 39

Capitolo 4 - Potenza elettrica

1 - Potenza ed energia pag. 40 2 - Potenza elettrica pag. 41 3 - Legge di Joule pag. 42 4 - Bilancio delle potenze nei generatori pag. 43 5 - Potenza assorbita da una f.c.e.m. pag. 45

Capitolo 5 - Elettrostatica

1 - Il campo elettrico pag. 46 2 - Condensatori elettrici; Capacità elettrostatica pag. 51 3 - Capacità del condensatore piano pag. 53 4 - Transitori di carica e scarica pag. 57 6 - Energia accumulata nel campo elettrico pag. 59

Capitolo 6 - Elettromagnetismo

1 - I fenomeni magnetici pag. 60 2 - Campi magnetici prodotti da correnti elettriche pag. 61 3 - Fenomeno dell'induzione elettromagnetica; Il flusso magnetico pag. 65 4 - Densità di flusso o vettore induzione B pag. 67 5 - F.e.m. indotta nei conduttori in moto nel campo magnetico pag. 68 6 - Fenomeni d’autoinduzione; Energia del campo magnetico pag. 70 7 - Fenomeni di mutua induzione pag. 74

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8 - Le forze elettromagnetiche pag. 76 9 - Forze elettrodinamiche pag. 78

Capitolo 7 - Proprietà magnetiche della materia - Circuiti magnetici

1 - Curve di magnetizzazione del ferro pag. 79 2 - Isteresi magnetica e perdite nel ferro pag. 80 3 - Nuclei magnetici per flussi alternativi pag. 81 4 - Circuiti magnetici; Forza magnetomotrice; Riluttanza pag. 82

Capitolo 8 - Grandezze alternate sinusoidali

1 - Generalità sulle correnti alternate e loro rappresentazione pag. 83 2 - Generazione delle correnti alternate pag. 86 3 - Relazioni di fase; Somma e differenza fra grandezze alternate pag. 87 4 - Valore efficace e valore medio di correnti e tensioni alternate pag. 90 5 - Rappresentazione simbolica di grandezze sinusoidali pag. 92

Capitolo 9 - Funzionamento dei circuiti a corrente alternata

1 - Circuiti ohmico-induttivi pag. 94 2 - Circuiti ohmico-capacitivi pag. 97 3 - Impedenze in serie pag. 100 4 - Impedenze in parallelo; Ammettenza pag. 102 5 - Circuiti con resistenza, induttanza e capacità; Risonanza pag. 103 6 - Fenomeni di mutua induzione fra circuiti a corrente alternata pag. 109

Capitolo 10 - Potenza nei circuiti a corrente alternata

1 - Potenza istantanea e potenza attiva pag. 110 2 - Potenza associata ad una corrente in fase con la tensione pag. 111 3 - Potenza associata ad una corrente in quadratura con la tensione;

Potenza reattiva pag. 112 4 - Potenza associata ad una corrente comunque sfasata rispetto alla tensione;

Potenza apparente; Fattore di potenza pag. 113 5 - Composizione delle potenze attive, reattive e apparenti; Metodo delle potenze pag. 115 6 – Rifasamento pag. 117

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Capitolo 1 - I circuiti elettrici Costituzione della materia ed origine dei fenomeni elettrici

Tutti i fenomeni elettrici derivano dalle forze che interagiscono fra alcune delle

particelle che sono presenti negli atomi della materia. Tali particelle sono i protoni e gli elettroni. Esse costituiscono le cariche elettriche elementari, denominate “positive” e “negative”.

Le cariche elettriche hanno la seguente proprietà:

"cariche d’eguale segno si respingono, di segno opposto si attraggono" Inoltre: tutte le azioni che sono emanate da una carica positiva, sono eguali ed

opposte a quelle che sarebbero prodotte da una carica negativa, considerate nelle stesse condizioni.

Ne segue che ogni corpo in cui siano compenetrate cariche elettriche positive e

negative in eguale numero non rilevano all'esterno alcuna delle proprietà specifiche delle cariche elementari che lo costituiscono, in pratica si presenta elettricamente neutro.

Quando invece si trovano raggruppate cariche elettriche positive e negative in numero diverso, il complesso presentano le proprietà delle cariche elementari di maggior numero, e si dice allora che il corpo è elettrizzato.

Un atomo può essere concepito come un minuscolo sistema solare (modello di Bohr, si veda il fisico danese in foto): nel centro dell'atomo, al posto del sole, si trova il nucleo; intorno allo stesso ruotano, a distanze diverse, come i pianeti intorno al sole, gli elettroni.

Oltre al protone e all'elettrone esiste una terza particella costitutiva

della materia, che è chiamata neutrone in quanto essa è elettricamente neutra.

La prima orbita elettronica è sempre occupata al massimo da due soli elettroni; la seconda orbita invece può raggiungere il numero massimo di otto elettroni; le eventuali altre orbite successive sono tali da contenere sempre un ben determinato numero d’elettroni, completato il quale si passa a un'altra orbita, fino all'ultima che potrà essere completa o incompleta secondo i casi.

Naturalmente, ogni corpo si presenta elettricamente neutro, poiché ciascuno dei suoi atomi è formato da tanti elettroni quanti sono i protoni del nucleo.

In condizioni opportune però ad un atomo elettricamente neutro può essere sottratto uno o più elettroni satelliti.

In tal caso l'atomo si presenterà elettrizzato positivamente poiché vengono a prevalere

in esso le cariche positive del nucleo rispetto alle cariche negative periferiche. Si dirà quindi che un corpo è elettrizzato positivamente quando ad esso sia stato

sottratto un certo numero di elettroni: è invece elettrizzato negativamente ogni corpo il quale poserà un certo numero di elettroni in eccesso.

La carica elettrica o quantità d’elettricità di un corpo è sempre data dall'eccesso Q di cariche elettriche positive o negative che esso contiene, rimanendo sottinteso il fatto che in ogni corpo allo stato neutro esiste sempre un eguale numero di cariche positive e

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negative.

Ai fini delle applicazioni pratiche è di grande importanza la possibilità di realizzare facilmente il trasferimento delle cariche dal punto in cui sono liberate ad un altro, oppure la possibilità opposta di impedire lo spostamento delle cariche stesse.

Entrambe queste possibilità sono sfruttate nella tecnica utilizzando, nel primo caso, i cosiddetti materiali conduttori, e nel secondo i materiali isolanti.

I materiali conduttori

Si denotano, con il nome di conduttori, quei corpi che si lasciano facilmente attraversare dalle cariche elettriche e sono capaci di guidarle secondo determinati percorsi utili.

I materiali conduttori, e in particolare i metalli, sono caratterizzati dalla presenza, al loro interno, di un certo numero d’elettroni liberi, in altre parole, totalmente svincolati dai rispettivi nuclei.

Ciò è reso possibile dal fatto che nei metalli alcuni elettroni periferici vengono a trovarsi in zone interatomiche in cui le azioni esercitate su di essi dai nuclei circostanti si elidono a vicenda: gli elettroni presenti in tali zone possono così muoversi liberamente e dare luogo al fenomeno della conduzione.

I materiali isolanti Si denotano con il nome d’isolanti quei corpi attraverso cui l'elettricità non può

trasmettersi e propagarsi, e perciò sono impiegati a sostenere i conduttori delle macchine elettriche, delle linee e degli apparecchi, affinché le stesse cariche che li attraversano non abbiano a disperdersi.

I materiali semiconduttori Oltre ai materiali conduttori e agli isolanti, nella tecnica sono ampiamente utilizzati

anche i materiali semiconduttori, così chiamati per le loro proprietà intermedie fra i conduttori e gli isolanti.

Interazioni tra cariche elettriche – La legge di Coulomb Come si è già osservato, la proprietà fondamentale dei corpi elettrizzati è quella di dar

luogo a reciproche azioni repulsive o attrattive a seconda che le cariche da essi portate siano dello stesso segno o di segno contrario: a questi tipi di interazione, data la loro particolare origine, viene dato il nome di forze elettriche.

Lo scienziato francese Charles-Augustin de Coulomb, adottando la bilancia di torsione, da lui stesso inventata per la misura delle forze, mise in luce che queste forze (chiamate anche forze coulombiane) sono tanto più intense quanto maggiori sono le quantità d’elettricità portate dall'uno o dall'altro dei corpi elettrizzati; variano notevolmente al variare della distanza che separa i corpi elettrizzati e sono influenzate dal mezzo fisico che circonda i corpi elettrizzati.

Egli arrivò all’enunciazione della seguente legge sperimentale (legge di Coulomb):

"Due cariche elettriche puntiformi Q1 e Q2 si

attraggono (se di segno contrario) o si respingono (se dello stesso segno) con una forza F che è proporzionale al prodotto dei loro valori ed

inversamente proporzionale al quadrato della distanza d che le separa"

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Questa legge trova la sua espressione matematica in una formula del tipo:

Il valore numerico della costante di proporzionalità K (costante di Coulomb) dipende

dalle unità di misura adottate per la forza, per la distanza e per le cariche. E' importante osservare, che in ogni caso la costante K dipende anche dalla natura del

mezzo fisico che circonda e separa le due cariche elettriche. Per quanto riguarda la misura delle quantità di elettricità Q, essendo in pratica molto

scomoda esprimersi per mezzo del numero, sempre straordinariamente grande, delle cariche elementari che partecipano ai fenomeni di elettrizzazione, si preferisce adottare come unità di misura non già la carica elementare, ma una quantità multipla di essa che viene denominata coulomb (C).

Generatore elettrico

Un generatore elettrico può essere considerato come un sistema capace di separare e

mettere in movimento, nei conduttori di cui è formato, un certo numero degli elettroni liberi presenti. Indipendentemente dalla loro struttura costruttiva reale i generatori elettrici possono essere schematizzati come in figura 1.

Lungo il circuito interno del generatore hanno sede e si sviluppano delle forze Fe le

quali tendono a dislocare gli elettroni liberi fra i due punti estremi A e B di tale circuito, chiamati poli o morsetti del generatore.

Sulla superficie esterna del polo B si realizza un addensamento d’elettroni in eccesso, mentre sulla superficie del polo A si rende libera un’eguale quantità di cariche elementari positive.

Il dislocamento degli elettroni cessa quando le azioni intrinseche Fe del generatore sono equilibrate dalle azioni attrattive F che vengono a manifestarsi nel verso opposto, secondo la legge di Coulomb, fra le cariche positive e negative separate.

L'aspetto più importante di questo processo è rappresentato dal fatto che ad ogni elettrone che viene spostato dal polo positivo al polo negativo viene conferita una certa energia potenziale: quest’energia equivale al lavoro sviluppato dalle forze Fe del generatore per dislocare tal elettrone vincendo le forze coulombiane di richiamo.

L'energia potenziale che si rende disponibile ai morsetti del generatore è tale da permettere, agli elettroni che vengono dislocati fra un morsetto e l'altro del circuito interno, di percorrere poi un circuito esterno che venga direttamente allacciato al generatore, come in figura 2.

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Nel circuito esterno che conterrà l'apparecchio utilizzatore U, potrà allora instaurarsi

una corrente elettrica, in altre parole uno scorrimento continuo di cariche sostenuto dalle forze interne del generatore Fe il quale sospinge con continuità gli elettroni di conduzione mano a mano che essi abbandonano il morsetto negativo B e rientrano nel morsetto positivo A.

Questo processo continuo di scorrimento delle cariche, è reso possibile dal fatto che

quando un certo numero d’elettroni lascia il morsetto B per attraversare il circuito esterno e rientrare nel morsetto A, si determina una riduzione delle forze coulombiane di reazione F (perché cala il numero delle cariche dislocate sui morsetti), con la conseguenza che le forze intrinseche del generatore Fe tornano a prelevare e a produrre lo spostamento d’altrettanti elettroni nel circuito interno dal morsetto A al morsetto B.

Il movimento delle cariche elettriche attraverso un circuito utilizzatore non può avvenire liberamente, ma soltanto a spese di una certa quantità d’energia, poiché in ogni apparecchio utilizzatore è sempre sottratta una certa energia agli elettroni che lo attraversano, per essere trasformata in quelle altre forme d’energia che caratterizzano lo specifico modo di funzionare dell'utilizzatore stesso.

Forza elettromotrice del generatore La grandezza che caratterizza l'attitudine di un generatore elettrico a fornire quantità

d’energia più o meno grandi alle cariche è denominata: "forza elettromotrice (f.e.m.) del generatore"

Con questa grandezza (indicata col simbolo E) si vuole rappresentare la quantità di energia che è fornita, dal generatore, alla carica di valore unitario.

Il numero che esprime il valore della f.e.m. altro non è, che il numero di joule che quel generatore è in grado di fornire ad ogni coulomb che è spostato da un morsetto all'altro.

La f.e.m. rappresenta con ciò anche la misura del lavoro che il generatore compie per dislocare, lungo il suo circuito interno, la carica unitaria da un polo all'altro.

L'unità di misura della f.e.m. è il joule/coulomb. Quest’unità è denominata volt in onore del fisico italiano

Alessandro Volta e indicata col simbolo V. Essa è definita dalla seguente relazione:

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Tensione elettrica [rivedere] Nel linguaggio scientifico è chiamato potenziale elettrico di un punto "il valore

dell'energia potenziale posseduta dalla carica unitaria dislocata in quel punto". Il simbolo del potenziale elettrico è V. La sua formula di definizione è espressa dal rapporto

Tra il valore dell'energia potenziale W posseduta dalla carica e il valore della carica

stessa. Secondo la definizione l'unità di misura del potenziale è ancora il joule/coulomb e cioè

il volt. Si dirà pertanto che: "il potenziale di un assegnato punto P, di un circuito elettrico ha il

valore Vp=120V quando l'energia posseduta dalla carica di 1C concentrata in tale punto P è di 120J"

Il significato di questa grandezza fisica è molto importante. Il potenziale elettrico esprime, infatti, una misura del contenuto energetico di una

carica che si trova dislocata in un determinato punto. Il contenuto d’energia sarà maggiore se la carica è dislocata in punti a potenziale più

alto, sarà invece minore se i punti in cui la medesima carica si trova a potenziale più basso.

Si può dire quindi che l'energia di una carica elettrica dipende sia dal valore Q di tale carica, che dal valore del potenziale V che si riscontra nel punto in cui la carica si trova.

La relazione per il calcolo di quest’energia si ricava dalla precedente formula ed ha la forma

Quando i potenziali elettrici VA e VB di due qualsiasi punti A e B sono fra loro diversi,

la differenza VAB = VA - VB

E’ chiamata differenza di potenziale (d.d.p.) fra i due punti, o tensione elettrica. La tensione fra due punti rappresenta in tal modo la quantità d’energia che è ceduta

dalla carica unitaria che passa dal primo al secondo punto, o anche il lavoro che è eseguito dalla carica unitaria. Per questo, l'energia ΔW che è ceduta da una carica di valore Q che si sposta fra i punti A e B sarà espressa dalla relazione

ΔW = VAB Q

In un generatore l'effetto ultimo delle azioni interne è quello di mantenere i due poli a

potenziale di valore diverso, creando fra essi una tensione che equivale al valore della f.e.m., e cioè al valore dell’energia che tali azioni interne forniscono alla carica unitaria.

Ne segue che: "la forza elettromotrice di un generatore è misurata dalla differenza di potenziale che essa determina e mantiene fra i due poli del generatore"

Corrente elettrica

Un movimento ordinato di cariche elettriche attraverso un dato mezzo fisico, è

chiamato corrente elettrica. Ogni complesso di conduttori comunque collegati a generatori e a utilizzatori

costituisce un circuito elettrico. Il circuito così definito è sede di una corrente ogni qualvolta esso è chiuso, e cioè ogni

qualvolta è realizzata in esso la continuità metallica fra tutti gli elementi che lo compongono.

Se tale continuità viene a mancare, il circuito si dice aperto e nessuna corrente può instaurarsi in esso.

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Il movimento di migrazione delle cariche elettriche lungo un circuito interessato da

corrente può presentarsi con caratteristiche d’uniformità e costanza nel tempo: in questo caso la corrente è definita come continua.

Si parla invece di corrente variabile quando la circolazione degli elettroni non si realizza in modo uniforme e costante.

In ogni caso, il movimento degli elettroni in seno ai conduttori metallici è sempre tale che da ogni elemento di volume esce da una parte tanti elettroni quanti n’entrano da un'altra (legge della continuità). Perciò ogni sezione dell'intero circuito chiuso percorso da corrente deve essere attraversato, nello stesso intervallo, da uno stesso numero d’elettroni, ossia dalla stessa quantità d’elettricità.

"La maggiore o minore intensità di corrente elettrica, può essere definita mediante la

quantità d’elettricità che attraversa una qualsiasi sezione del circuito nel tempo unitario" Poiché la quantità di elettricità si misura in coulomb, l'intensità di corrente risulta

allora definita dal numero di coulomb che attraversa ogni sezione del circuito nel tempo di un secondo, e la sua unità diventa il coulomb al secondo.

Quest’unità è stata denominata col nome ampere e indicata col simbolo A.

Se una sezione qualunque di un circuito elettrico è attraversata, in un certo tempo di

Δt secondi, da una quantità di carica di Q coulomb, si dirà che il circuito è percorso da una corrente elettrica la cui intensità I, espressa in ampere, è data dal rapporto

tQIΔ

=

Inversamente, se un circuito è percorso dall'intensità di I ampere, tutte le sezioni del

circuito vengono attraversate nel tempo di Δt secondi da un numero di coulomb espresso

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dal prodotto

Rappresentazione cartesiana della corrente continua i(t) in funzione del tempo

Le due relazioni sopra descritte implicano che l'intensità di I resti costante per tutto

l'intervallo Δt, che si tratti perciò di una corrente continua, come quella rappresentata in figura.

In questa figura è facile controllare che l'area delimitata dall'intervallo Δt fornisce una

rappresentazione della quantità d’elettricità Q. Rappresentazione cartesiana della corrente alternata i(t) in funzione del tempo

Qualora invece la corrente sia di tipo variabile, la sua intensità non assume più un

valore costante I, ma si presenta diversa da un istante all'altro, come nell'esempio riportato in figura.

Anche in questo caso l'area sottostante alla curva della corrente i(t) è delimitata

dall'intervallo di tempo Δt rappresenta la quantità di elettricità Q che fluisce durante questo intervallo entro il circuito.

Se si esegue il rapporto tra tale area e la base Δt si ottiene la corrente media I relativa all'intervallo Δt considerato: il significato che assume la intensità media è quello di una corrente continua e costante che nell'intervallo Δt è capace di trasportare la stessa quantità di elettricità Q che è effettivamente trasportata dalla corrente variabile i(t).

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Nella pratica applicativa, si presenta spesso la necessità di controllare come si distribuisce il flusso degli elettroni all'interno di un filo conduttore percorso da corrente.

A tal fine è presa in considerazione la densità di corrente, definita dal rapporto fra la corrente I che attraversa la sezione S del conduttore e la sezione stessa.

La densità di corrente rappresenta il numero di ampere che attraversa ogni unità di

sezione del conduttore: nelle normali applicazioni di calcolo essa è espressa usualmente in ampere al millimetro quadrato (A/mm2).

Negli ordinari circuiti, la densità di corrente deve essere mantenuta al disotto dei 3 A/mm2 per evitare forti riscaldamenti del conduttore.

Il fisico francese Ampere

Convenzioni sulla corrente e sui potenziali elettrici In tutti i fenomeni elettrici è facile riscontrare che le cariche elettriche negative

determinano sempre o subiscono effetti uguali ma di segno opposto a quelli determinati o subiti dalle cariche positive. Da questa proprietà discende che ogni movimento di cariche negative equivale, a tutti gli effetti esterni, ad un movimento in senso opposto di cariche positive. Per questo fatto, il verso di una corrente elettrica può essere indifferentemente riferito sia al movimento d’elettricità negativa, sia al movimento in senso opposto d’elettricità positiva.

Per consuetudine si considera come verso convenzionale della corrente elettrica il verso di scorrimento delle cariche positive rispetto alle cariche negative supposte fisse: tale verso è dunque opposto a quello secondo cui realmente avviene il movimento degli elettroni lungo il circuito.

Fig.1 Versi convenzionali della f.e.m. e della d.d.p. con inserzione del Voltmetro e

dell'Amperometro In relazione al verso convenzionale della corrente si fissa anche il verso convenzionale

della f.e.m. dei generatori, supponendo che le azioni interne agiscano nel senso di spostare le cariche positive dal polo negativo al polo positivo (mentre in effetti accade l'opposto, in quanto sono gli elettroni che vengono dislocati verso il polo negativo).

Si dirà pertanto che le f.e.m. dei generatori sono dirette convenzionalmente, lungo il

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circuito interno, dal polo negativo al polo positivo, come è indicato dal verso E in figura. Analogamente si dirà che la d.d.p. che esiste fra i poli di un generatore agisce dal polo

positivo al polo negativo. Si esprime questo fatto dicendo che il polo positivo di un generatore è mantenuto a un

potenziale elettrico maggiore di quello dell'altro polo e che quindi le cariche positive tendono a muoversi spontaneamente dai punti a potenziale maggiore verso i punti a potenziale minore; mentre gli elettroni tendono a spostarsi dai punti a potenziale minore verso quelli a potenziale maggiore.

Alla superficie della terra viene attribuito un potenziale zero: ne segue che il valore del potenziale di un dato punto potrà essere inteso come la d.d.p. fra questo punto e la terra: questo potenziale sarà positivo o negativo a seconda che esso sia maggiore o minore di quello della terra.

La presenza di una d.d.p. fra due punti di un circuito, o il passaggio della corrente in un conduttore, possono essere rilevati soltanto per via indiretta, sulla base degli effetti che si manifestano in presenza appunto di una tensione o di una corrente.

Utilizzando opportunamente taluni di questi effetti si rende possibile costruire degli strumenti che sono in grado, non solo di indicare, ma anche di fornire una misura della tensione o della corrente: tali strumenti sono i voltmetri e gli amperometri.

Voltmetri ed amperometri I voltmetri e gli amperometri sono sempre provvisti di due morsetti di collegamento,

opportunamente contrassegnati per consentire la corretta inserzione nel circuito rispettando i versi convenzionali della tensione e della corrente.

Per quanto riguarda gli amperometri, il collegamento al circuito deve essere realizzato

in modo che lo strumento venga direttamente attraversato dalla corrente I che si vuol misurare: questo richiede che l'amperometro venga inserito in serie nel circuito, come lo strumento A della figura, con l'avvertenza che la corrente entri nello strumento attraverso il morsetto contrassegnato con (+) affinché la deviazione possa avvenire nel verso progressivo della scala di lettura.

L'inserzione di un voltmetro si esegue invece collegando in derivazione (parallelo) lo

strumento fra il primo e il secondo punto tra il quale si vuol misurare la d.d.p.: così, nel circuito in figura, il voltmetro V è allacciato (per mezzo dei suoi cordoni voltmetrici e relativi puntali) fra i due punti M e N per la misura della tensione UMN esistente fra l'entrata e l'uscita dell'utilizzatore.

Resistenza elettrica - Legge di Ohm

Si consideri un filo metallico, di sezione e lunghezza opportune, e si applichi fra i suoi

estremi una tensione elettrica. Si faccia poi variare questa tensione al fine di determinare come varia corrispondentemente l'intensità I della corrente nel filo.

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Figura 1 - Circuito per la dimostrazione sperimentale della legge di Ohm. Per realizzare una tensione variabile ci si può servire di un certo numero di pile

collegate come in figura. Questa disposizione realizza il collegamento in serie dei generatori e consente di ottenere una tensione complessiva pari alla somma delle tensioni prodotte dalle singole pile. Con un amperometro si potrà misurare l'intensità della corrente che percorre il filo metallico, e mediante un voltmetro derivato fra i morsetti C e D potrà essere determinata la tensione fra gli estremi del filo. Per eseguire l'esperienza, si porti innanzitutto il commutatore M sul morsetto 0: in tal caso i due strumenti non daranno alcuna indicazione, non risultando inserito alcun generatore nel circuito: si potrà concludere che: "se è nulla la tensione che agisce ai capi di un filo conduttore, è nulla anche la corrente che lo percorre".

Notare le lancette degli strumenti di misura che in assenza di tensione e corrente

segnano 0. Se si sposta M sul contatto 1, inserendo nel circuito una sola pila, gli indici del

voltmetro e dell'amperometro subiranno una deviazione indicando sulla scala un certo valore V1 della tensione e un certo valore I1 della corrente.

Spostando successivamente il commutatore sui contatti 2, 3... ecc. si avranno nuovi e più elevati valori V2, V3 ecc. indicati dal voltmetro e nuovi corrispondenti valori I2, I3 ecc. indicati dall'amperometro.

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Notare le lancette degli strumenti di misura che in presenza di tensione e corrente

segnano dei valori. Si esegua ora il rapporto fra il valore della tensione e il corrispondente valore della

corrente per ogni posizione del commutatore: si potrà constatare che questo rapporto si mantiene costante e cioè

V1/I1 = V2/I2 = V3/I3 = ... = costante

L'esperienza dimostra quindi che crescendo la tensione agli estremi del filo, cresce

nella stessa proporzione la corrente che lo attraversa. Se la tensione diventa doppia, tripla ecc. si raddoppia, si triplica ecc. la corrente. Se l'esperienza viene ripetuta variando le dimensioni (lunghezza e sezione) del

conduttore C, D oppure variando la natura del conduttore (adottando successivamente fili di rame, alluminio, ferro ecc.) si trova ancora che il rapporto fra le diverse tensioni applicate e le rispettive correnti si conserva costante: ma questo rapporto ha un valore diverso da un caso all'altro e cioè sotto la stessa tensione, due o più conduttori diversi vengono attraversati da correnti diverse. Si esprime questo fatto sperimentale affermando che: "conduttori diversi offrono al passaggio della corrente diversa resistenza elettrica"

Intendendo, come resistenza elettrica di un conduttore, il rapporto fra il valore della tensione applicata ai capi del conduttore e il corrispondente valore dell'intensità della corrente che lo percorre.

Se pertanto, sotto l'azione della tensione V, un filo metallico è percorso da una corrente di intensità I, si dirà che esso possiede una resistenza R espressa dal rapporto

R = V/I

Se è nota la resistenza R del conduttore, si può dire che, ogni volta che fra i suoi

estremi si applica una tensione qualunque V, il conduttore sarà percorso da una corrente che ha l'intensità

I = V/R Inversamente, ogni qualvolta un conduttore di resistenza R è percorso da una corrente

d'intensità I, fra i suoi capi terminali si manifesta una differenza di potenziale (caduta di tensione o caduta ohmica) il cui valore è dato dal prodotto

V = R I

Questi fatti sperimentali e le relazioni corrispondenti costituiscono la legge di Ohm. Se il numero di volt che misura la tensione V applicata agli estremi del conduttore è in

particolare uguale al numero di ampere che misura la corrente I, il valore del rapporto fra tensione e corrente risulta uguale a 1: si dirà allora che: "il conduttore considerato ha la resistenza elettrica unitaria"

Ogni conduttore che soddisfa a questa condizione realizza in sé quella resistenza

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elettrica che è assunta come unità di misura della resistenza. Tale unità rappresenta la resistenza di quel conduttore che richiede ai suoi capi la

tensione di 1V per essere attraversato dalla corrente di 1A. In onore del fisico tedesco George Simon Ohm, l'unità di

resistenza elettrica è denominata ohm e indicata col simbolo Ω. Si pone quindi

Sostenendo che un filo ha la resistenza elettrica di 10Ω, si esprime che quel filo richiede ai capi una tensione di 10V per ogni ampere di corrente che lo attraversi.

Se quel filo deve essere percorso da 2A, esso richiede ai suoi capi estremi una tensione del valore di 20V.

Ad esempio: se il filamento di una lampada a incandescenza, alimentato alla tensione di 220V, è attraversato dalla corrente di 0,5A si dirà che il filamento in questione ha una resistenza elettrica

R = V/I = 220/0,5 = 440 Ω In pratica, oltre l'ohm, si usano spesso: il kiloohm (1kΩ=10

3Ω) e il megaohm (1MΩ=10

6Ω)

come unità di misura per le grandissime resistenze; il milliohm (1mΩ=10

-3Ω) oppure il microohm (1μΩ=10-6Ω)

per la misura delle resistenze piccole e piccolissime. Un materiale che presenti una resistenza elettrica dell'ordine dei megaohm sarà

naturalmente un cattivo conduttore, perché anche sotto una tensione relativamente elevata sarà attraversato da una corrente piccola: sotto la tensione di 1V, un conduttore di resistenza uguale a 1MΩ è attraversato da una corrente di 1 μA.

Talvolta si preferisce scrivere la legge di Ohm, anziché nella forma V=RI che esprime la proporzionalità fra tensione e corrente, nell'altra forma

I = G V

Ciò stabilisce la proporzionalità fra corrente e tensione. La grandezza G è chiamata conduttanza ed è legata alla resistenza R della relazione

G = I/V = 1/R La sua unità di misura è l'inverso dell'ohm ed è denominata

siemens (S), in onore dell’inventore tedesco Werner Von Siemens:

Conduttori con elevata resistenza presentano bassa

conduttanza e viceversa. Ad esempio, il filamento della lampada ad incandescenza

considerata in precedenza presenta una conduttanza del valore

G = I/V = 0,5/220 = 0,0023 S Il simbolo grafico della resistenza e della conduttanza è stato normalizzato come

indicato in figura

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Simboli grafici per resistenza R o conduttanza G I tratti a linea intera rappresentano collegamenti a resistenza nulla o a conduttanza

infinita.

Resistività dei materiali - Calcolo della resistenza dei conduttori Se si esegue l'esperienza esposta al paragrafo precedente, determinando la resistenza

di fili metallici di diversa lunghezza e diversa sezione, ma dello stesso materiale, si può constatare che la resistenza elettrica di un filo qualunque si raddoppia, si triplica ecc.. raddoppiandone, triplicandone ecc. la lunghezza e mantenendone invariata la sezione; mentre si riduce a metà a un terzo ecc. raddoppiandone, triplicandone ecc. la sezione e mantenendone invariata invece la lunghezza. Si deve quindi concludere che: "la resistenza di un filo di un dato metallo è proporzionale alla lunghezza e inversamente proporzionale alla sezione"

Pertanto la resistenza R di un conduttore metallico filiforme, avente lunghezza l e sezione S, potrà essere scritta nella seguente forma essendo ρ un’opportuna costante di proporzionalità.

Si osservi ora che, se si prende in considerazione un conduttore avente lunghezza

unitaria (l =1) e sezione unitaria (S=1), la costante ρ viene a coincidere con R: essa è quindi la resistenza di un conduttore di lunghezza e sezione unitarie (resistenza specifica), e come tale dipende esclusivamente dalla natura del materiale di cui è costituito il conduttore.

Alla costante ρ si attribuisce perciò il nome di resistività del materiale. Dalla precedente relazione si può ricavare la resistività ρ in funzione della resistenza R

e delle dimensioni (lunghezza l e sezione S) del conduttore

La resistività di un materiale può essere determinata misurando la resistenza elettrica

R di un conduttore di quel dato materiale, con lunghezza l e sezione S note, e applicando l'espressione precedente, se la resistenza R è data in Ω, la sezione S in m

2, e la

lunghezza l in m, la resistività ρ del materiale in esame è espressa in Ω x m2/m ossia più

brevemente in ohm metri (Ω m). Si ha con ciò, l'interpretazione del fatto fisico che la resistività ρ è la resistenza

elettrica misurata tra due facce opposte di un cubo di materiale avente la sezione e la lunghezza unitarie.

Nella pratica industriale torna comodo misurare la sezione dei conduttori in millimetri quadrati anziché in metri quadrati. Per applicare la seguente formula

Si dovrà esprimere la resistività in Ω mm2/m e si dovrà scrivere come segue

La seguente relazione

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La seguente relazione che esprime la resistenza R consente di ricavare anche

l'espressione della conduttanza G nella seguente forma

Il fattore

Prende il nome di conduttività del materiale. La sua unità di misura, è il

siemens/metro (S/m).

Influenza della temperatura sulla resistenza elettrica La resistenza elettrica varia in misura sensibile con la temperatura. I metalli offrono

una resistenza che cresce con l'aumentare della temperatura: gli aumenti di resistenza sono meno sensibili per le leghe metalliche che non per i metalli puri.

L'aumento di resistenza, può essere spiegato pensando che il crescere della temperatura del conduttore comporta l'incremento dello stato d’agitazione termica degli atomi, con corrispondente ed inevitabile aumento del numero degli urti fra gli atomi e gli elettroni di conduzione.

Entro i limiti di temperatura da -100 a +150 °C, i diagrammi di variazione della

resistività dei metalli più comuni sono sensibilmente lineari, in altre parole assumono la forma indicata in figura.

Indicando perciò con ρ la resistività di un metallo alla temperatura di riferimento a 20°C, si può esprimere il valore rt che essa assume alla generica temperatura t con la seguente relazione:

ρ t = ρ + Δρ Essendo

L'aumento subito dalla resistività per l'incremento Δt= (t-20) della temperatura. Si ha quindi che

In queste relazioni, il coefficiente

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Esprime la variazione di resistività che avviene per ogni grado di variazione della

temperatura a partire da 20°C e per ogni ohm metro della resistività. Il coefficiente a così definito prende il nome di coefficiente di temperatura del materiale considerato.

Capitolo 2 - Reti elettriche

Generalizzazione della legge di Ohm a) legge di ohm per un circuito chiuso Si consideri un circuito elettrico, costituito da una resistenza esterna R alimentata da

un generatore avente una f.e.m. E ed una resistenza interna R come in figura.

Fino a che il circuito è interrotto in K (circuito aperto), non circola alcuna corrente e fra

i due morsetti A e B del generatore si ha una d.d.p.

UAB = VAB = E Si immagini ora di chiudere il circuito in K. Si stabilisce immediatamente una certa corrente I, la quale circola (nel verso

convenzionale) dal morsetto positivo A verso il morsetto negativo B lungo il circuito esterno di resistenza R, per chiudersi da B verso A nel circuito interno del generatore di resistenza Ri.

E' evidente che quando il generatore eroga la corrente I la resistenza interna Ri provoca, per la legge di Ohm, una caduta di tensione Ri I, che si manifesta con una diminuzione della tensione disponibile fra i poli del generatore: in altri termini, se il generatore a circuito aperto presenta ai poli una d.d.p. VAB=E, quando il generatore eroga una corrente I la tensione ai morsetti assume il valore

VAB = E - Ri I

Applicando la legge di Ohm al circuito esterno, di resistenza R e soggetto alla tensione

VAB, si ha d'altra parte la relazione VAB = R I

Ne risulta l’uguaglianza E - Ri I = R I

dalla quale si ricava l'espressione I = E / (R+Ri)

La somma (R+ Ri) rappresenta la resistenza elettrica complessiva del circuito chiuso. La relazione sopra indicata esprime la legge di Ohm relativa a tale circuito, la quale

può essere così enunciata: "Un circuito chiuso in cui agisce una f.e.m. costante è sede di una corrente continua che ha il verso della f.e.m. e un’intensità eguale al rapporto tra la f.e.m. e la resistenza complessiva del circuito".

La relazione

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VAB = E - Ri I Mostra che la resistenza interna Ri del generatore determina una diminuzione della

tensione-corrente V(I). La caratteristica esterna interseca l'asse delle tensioni nel punto VAB=E che

corrisponde alla condizione I=0. All'aumentare della corrente erogata, in altre parole al diminuire della resistenza

esterna R, la caratteristica discende gradualmente fino al valore

VAB = 0 che sarebbe raggiunto se la corrente erogata assumesse il valore

ICC = E / Ri Questo particolare valore della corrente corrisponde a quello che si otterrebbe se si

immaginasse di collegare fra loro i due poli del generatore con un conduttore avente resistenza R=0.

Un simile stato di cose viene indicato in pratica con la denominazione di cortocircuito e

la corrente che è stata indicata con il simbolo ICC prende il nome di corrente di cortocircuito del generatore: tale corrente è limitata solo dalla resistenza interna Ri, per cui, se quest'ultima è piccola, essa può assumere dei valori tanto elevati da riuscire pericolosi per la buona conservazione del generatore.

Se sul grafico della caratteristica esterna del generatore si traccia anche la retta di equazione VAB=Ri (retta di carico) che rappresenta la caratteristica tensione-corrente V(I) della resistenza esterna R, si ottiene il punto di lavoro P del complesso generatore-carico individuato dalla intersezione delle due rette.

Nei casi in cui uno stesso circuito comprende più generatori aventi le f.e.m. E1, E2, ..., En e le resistenze interne Ri1, Ri2, ..., Rin, e comprende inoltre più resistenze utilizzatrici R1, R2, ..., Rn, la legge di Ohm per il circuito chiuso assume la forma

I=(E1+E2+...+En)/(R1+R2+...+Rn+Ri1+Ri2+...+Rin)

In altre parole l'intensità della corrente che percorre il circuito è uguale alla somma

delle f.e.m. di tutti i generatori agenti, divisa per la resistenza elettrica complessiva del circuito.

Può accadere che in uno stesso circuito siano incluse una o più f.e.m. agenti in un dato verso e una o più f.e.m. agenti in verso opposto, nel circuito non circola alcuna corrente.

Diversamente, nel circuito si stabilisce una corrente che circola nel verso delle f.e.m. prevalenti.

Se si considerano positive le f.e.m. agenti in un dato verso e negative le f.e.m. agenti

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in verso contrario, la legge di Ohm per il circuito chiuso è ancora espressa dalla relazione sopra indicata purché il numeratore venga inteso come la somma algebrica di tutte le f.e.m. presenti

b) legge di ohm per un tratto di circuito o legge di ohm generalizzata Se in luogo dell'intero circuito si considera un tratto di circuito nel quale siano

comprese più resistenze e più f.e.m. comunque dirette, la legge di Ohm assume una forma più generale poiché tiene conto anche della d.d.p. esistente fra i capi estremi del tratto di circuito considerato.

Si prenda in esame, per esempio, il tratto di circuito A-B come in figura, percorso dalla

corrente IAB e nel quale si trova inserito un generatore di f.e.m. E resistenza interna Ri. La f.e.m. E sia diretta nello stesso verso della corrente IAB. In base alla relazione

VAB = E - Ri I Si può scrivere

VBA = -E + Ri IAB Da questa si ricava (essendo VBA=-VAB):

VAB + E = Ri IAB Se nel tratto di circuito che si considera, la f.e.m. è diretta invece nel verso opposto

alla corrente, come in figura,

E’ da considerarsi come una forza-controelettromotrice (f.c.e.m.) e l'espressione

precedente diventa VAB - E = Ri IAB

In generale, quando nel tratto di circuito sono inserite più f.e.m. comunque dirette e

un numero qualsiasi di resistenze, la legge di Ohm può essere enunciata dicendo che: "la somma algebrica della tensione esistente fra la sezione di ingresso della corrente e quella di uscita, e di tutte le f.e.m. che sono inserite nel tratto di circuito, è uguale alla somma delle cadute ohmiche nel tratto considerato".

E' questa la legge di Ohm generalizzata la quale può essere scritta sinteticamente nella forma

VAB + Σa E = Σ R IAB

Principi di Kirchhoff

I circuiti di distribuzione dell'energia elettrica, come pure i

circuiti interni degli apparecchi elettrici, si presentano spesso come una vera e propria rete di conduttori costituita da un certo numero di circuiti poligonali chiusi formati da uno o più lati: ognuno di questi circuiti costituisce una maglia della

rete, e i punti di concorso di più lati ne costituiscono i nodi. La figura schematizza una rete elettrica: vi sono indicati i generatori che agiscono nei

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vari lati e le resistenze dei lati stessi.

Il problema principale connesso a simili circuiti si propone la determinazione, in valore

e verso, delle correnti che percorrono i singoli lati delle maglie. Per tale determinazione servono i due principi di Kirchhoff.

Si consideri una maglia qualsiasi, ad esempio la maglia ABCD, i cui lati hanno rispettivamente le resistenze R1, R2, R3, R4, comprese anche le resistenze interne dei generatori di f.e.m. E1, E2, E3, inseriti nei lati AB, BC e CD.

Siano I1 I2 I3, I4 le correnti nei quattro lati della maglia, e siano quelli indicati in figura i loro versi fissati ad arbitrio.

Nel nodo A della maglia concorrono quattro lati, due percorsi dalle correnti I1, e I4 appartenenti alla maglia ABCD e due percorsi delle correnti I5, I6, appartenenti a maglie adiacenti.

Dato che nel nodo A non può aversi né accumulo né sottrazione di cariche elettriche (condizione di continuità), ad ogni carica che arriva al nodo deve corrispondere, nello stesso intervallo, un’eguale carica che si allontana.

Ma la quantità di elettricità che nell'unità di tempo arriva al nodo A non è altro che la somma delle intensità di correnti dirette verso il nodo stesso, e la corrispondente quantità uscente non è altro che la somma delle correnti che si allontanano dallo stesso nodo.

Ne deriva che: "la somma delle correnti dirette verso un nodo di una rete è uguale in valore alla somma di tutte le correnti che se ne allontanano"

Quando si considerino positive le correnti dirette verso il nodo e negative quelle che partono dal nodo, si può dire che la somma algebrica delle correnti che convergono in un nodo è nulla.

E' questo il primo principio di Kirchhoff, che applicato al nodo A può essere scritto nelle forme

I5 + I6 - I1 - I4 = 0

I5 + I6 = I1 + I4

Per quanto riguarda il secondo principio, si consideri ancora la maglia precedente e si

supponga di percorrerla nel verso in cui si susseguono i punti A, B, C, D (verso di percorrenza orario).

Si applichi la legge di Ohm ai singoli tratti successivi AB, BC, CD, DA della maglia in

questione, tenendo presenti i versi delle f.e.m. e delle correnti indicate nella figura.

VAB - E1 = R1 I1

VBC + E2 = -R2 I2

VCD + E3 = R3 I3

VDA = - R4 I4

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Facendo la somma, a membro a membro, di queste espressioni si ottiene

- E1 + E2 + E3 = R1 I1 - R2 I2 + R3 I3 - R4 I4 Essendo nulla evidentemente la somma

VAB + VBC + VCD + VDA = 0 Eseguita lungo il percorso chiuso dalla maglia. Al primo membro della relazione si ha la somma algebrica delle f.e.m. agenti nella

maglia considerata (assumendo come positive le f.e.m. dirette secondo il verso di percorrenza, e negative quelle dirette in verso opposto); al secondo membro si ha la somma algebrica dei prodotti delle resistenze per le intensità delle correnti ossia delle cadute di tensione dei singoli lati della maglia (considerando positive quelle relative ai lati in cui le correnti hanno verso uguale a quello di percorrenza, e negative le cadute nei lati ove le correnti hanno verso opposto a quello di percorrenza).

La relazione sopra citata compendia il secondo principio di Kirchhoff, che può essere così enunciato: "La somma algebrica delle f.e.m. che agiscono in una maglia è uguale alla somma algebrica delle cadute di tensione (ohmiche) lungo i lati della stessa maglia"

Per l'applicazione dei principi di Kirchhoff nella risoluzione di una rete si procede nel modo seguente: si fissano ad arbitrio i versi delle correnti nei lati delle maglie e si applica il primo principio ai nodi della rete, escluso uno; si applica poi il secondo principio a un sufficiente numero di maglie, in modo da avere tante equazioni indipendenti quante sono le correnti incognite che bisogna determinare: la risoluzione, mediante le regole dell'algebra, del sistema d’equazioni così ottenuto, determina in valore e verso le correnti incognite. A titolo di esempio si consideri la rete riportata in figura 2.

Il problema è quello di determinare, in valore e verso, le correnti che percorrono i sei lati della rete.

A tal fine, prefissati ad arbitrio i versi delle correnti nei singoli lati, come indicato in figura, si applica il primo principio ai nodi A, B, C e il secondo principio alle maglie ABCA, ABDA e BCDB: si ottengono ordinatamente le sei equazioni seguenti:

I1 = I2 + I3 ; I2 + I4 = I5 ; I6 + I5 = I1

E1 - E2 = R1 I1 + R2 I2 + R5 I5

-E2 = R2 I2 - R4 I4 - R3 I3

0 = R5 I5 - R6 I6 + R4 I4

Figura 2

Si hanno dunque sei equazioni indipendenti, quante sono le correnti incognite, che

possono essere determinate, in grandezza e segno, risolvendo il sistema: le correnti che

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risulteranno positive avranno verso opposto a quello indicato.

Raggruppamento in serie di più resistenze Due o più resistenze si dicono collegate in serie fra loro quando sono connesse una di

seguito all'altra in modo da essere attraversate dalla stessa corrente come mostrato in figura.

Un tratto di circuito formato da tante resistenze collegate in serie presenta le proprietà

seguenti: 1) L'intensità di corrente I è la stessa in tutte le resistenze della serie; 2) Le tensioni V1, V2, ..., Vn misurate ai capi delle singole resistenze coincidono con le

cadute ohmiche rispettive e sono date dalle relazioni V1=R1I ; V2=R2I ; .......... ; Vn=RnI

3) La tensione totale V ai capi della serie è la somma delle cadute ohmiche provocate dalle singole resistenze:

V=V1+V2+...+Vn=R1I+R2I+...+RnI=(R1+R2+...+Rn)I 4) L'intera serie equivale a un'unica resistenza Req pari alla somma di tutte le

resistenze che la compongono: Req = V/I = R1 + R2 + ... + Rn

Nel caso particolare di n resistenze uguali di valore R connesse in serie, la resistenza equivalente risulta:

Req = n R In questo caso, la tensione esistente ai capi si ciascuna delle n resistenze è pari a V/n:

un dispositivo siffatto, costituito in modo da poter prelevare le varie tensioni parziali prende il nome di divisore ohmico di tensione.

Raggruppamento in parallelo di più resistenze Due o più resistenze si dicono collegate in parallelo quando sono connesse in modo da

essere sottoposte alla stessa tensione, e cioè quando sono riunite per i loro estremi a formare due nodi A e B come in figura. I gruppi di resistenze collegate in parallelo presentano le proprietà seguenti:

1) Tutte le resistenze sono sottoposte alla stessa tensione V; 2) Le correnti I1, I2, ..., In nei singoli rami risultano espresse dalle relazioni

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I1=V/R1 ; I2=V/R2 ; I3=V/R3 3) La corrente totale I del circuito è la somma delle correnti derivate

I=I1+I2+..+In=(V/R1)+(V/R2)+..+(V/Rn)=V(1/R1+1/R2+..+1/Rn) 4) Il gruppo corrispondente a una resistenza equivalente Req definita dalla relazione

Req=V/I=1/(1/R1+1/R2+...+1/Rn) Questa resistenza equivalente è sempre minore della più piccola fra tutte le resistenze

del gruppo. In particolare, collegando in parallelo n resistenze uguali di valore R, la resistenza equivalente del gruppo risulta:

Req=1/(1/R1+1/R2)=(R1R2)/(R1+R2)

In altre parole la resistenza di un arco doppio è data dal prodotto delle resistenze dei

due lati diviso la loro somma. Se I è la corrente totale la tensione fra i nodi A e B del parallelo è espressa dalla relazione:

VAB=ReqI=I((R1R2)/(R1+R2))

E le due correnti derivate (divisore di corrente) sono espresse dalle relazioni:

I1 = VAB/R1 = I ((R2/(R1+R2)) ; I2=VAB/R2=I((R1/(R1+R2)) Nel raggruppamento in parallelo si può anche porre:

Ne risulta che in questo tipo di collegamento "la conduttanza equivalente è data dalla

somma delle conduttanze componenti"

Reti serie-parallelo e reti stella-triangolo - Metodo passo-passo Vengono denominate reti serie-parallelo le reti elettriche di forma complessa le quali

rispetto ai morsetti di alimentazione, possono essere ridotte ad una unica resistenza, attraverso ripetute sostituzioni di resistenze equivalenti a gruppi di resistenze connesse fra loro in serie o in parallelo. Non tutte le reti ammettono un simile procedimento di riduzione. Esistono infatti reti che presentano forme di connessione di tipo diverso dai collegamenti serie-parallelo, e sono precisamente le connessioni dette a stella e le connessioni a triangolo.

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Collegamento a stella

In una rete elettrica, un gruppo di tre resistenze forma un collegamento a stella

quando, come raffigurato sopra, tre dei loro terminali sono uniti insieme a creare il centro stella 0 e i rimanenti terminali sono connessi a tre distinti nodi della rete.

Collegamento a triangolo

Un gruppo di tre resistenze si dice invece collegato a triangolo quando, come

raffigurato sopra, i loro terminali sono connessi uno di seguito all'altro in modo da formare un triangolo i cui vertici sono collegati a tre distinti nodi della rete. Per collegamenti di questo tipo sussiste il seguente principio d’equivalenza: "Un gruppo di resistenze collegate a stella è equivalente ad un corrispondente gruppo di resistenze collegate a triangolo allorché sostituendo un gruppo all'altro, il regime della rete cui sono connessi rimane invariato"

Le relazioni che forniscono le resistenze R12, R23, R31 del triangolo equivalente alla stella di resistenze R1, R2, R3, e le relazioni che danno le resistenze della stella equivalente al triangolo sono le seguenti:

R12=(R1R2+R2R3+R3R1)/R3 R1=(R31R12)/(R12+R23+R31)

R23=(R1R2+R2R3+R3R1)/R1 R2=(R12R23)/(R12+R23+R31)

R31=(R1R2+R2R3+R3R1)/R2 R3=(R23R31)/(R12+R23+R31)

Nel caso particolare, molto importante, di resistenze fra loro uguali, tutte le precedenti

relazioni si riassumono nella semplice formula RΔ=3RY la quale indica che una terna di resistenze a stella di valore RY corrisponde ad una terna di resistenze a triangolo di valore RΔ tre volte maggiore.

Reti elettriche come reti di bipoli

Nella loro conformazione più complessa i circuiti elettrici possono presentarsi sotto la

forma di una rete, costituita da un determinato insieme l di lati o rami connessi fra loro in n punti chiamati nodi della rete, per formare un certo numero m di circuiti chiusi chiamati maglie.

Così nella rete elettrica considerata nella figura i punti A, B, C, D rappresentano i nodi; i tratti di circuito, che uniscono un nodo all'altro, come il tratto AB, costituiscono i lati della rete; il circuito chiuso ABCDA formato da quattro lati fra loro consecutivi è invece una maglia.

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Almeno in uno, oppure anche in più rami di una rete elettrica, sono presenti

necessariamente dei generatori di alimentazione; in tutti i rami invece è sempre presente un resistore.

E’ definito, come bipolo elettrico ogni parte di circuito del quale emergono due terminali (o morsetti o poli) che ne consentono il collegamento con altre parti di circuito.

Analogamente sono definiti ad esempio come tripoli o quadripoli gli elementi di circuito rispettivamente a tre e a quattro terminali. Ogni singolo ramo di una rete elettrica viene pertanto a configurarsi come un bipolo che, attraverso i suoi due terminali, è connesso con le altre parti della rete. Ne segue che a tutti gli effetti, una qualsiasi rete elettrica potrà sempre essere riguardata come una vera e propria rete di bipoli.

Un bipolo elettrico si dice di tipo attivo quando in esso risultano inseriti dei generatori elettrici (che possono agire nell'uno o nell'altro verso).

E’ invece chiamato bipolo di tipo passivo quel bipolo che non contiene generatori ed è caratterizzato dalla sola presenza di resistenze.

Una delle configurazioni semplici, che può assumere un bipolo attivo è quella rappresentata dal generatore di tensione, nel cui schema elettrico (come in figura) si osserva la presenza della f.e.m. E posta in serie con la resistenza interna Ri. Come già è noto, la relazione V(I) che in questi tipi di generatori lega la tensione ai morsetti V con la corrente erogata I è espressa dalla seguente funzione lineare:

V = E - Ri I

Questa relazione esprime il fatto che: "La tensione disponibile ai morsetti del

generatore è data dalla differenza tra la f.e.m. E e la caduta ohmica interna Vi = Ri I" Affinché a parità di corrente erogata I tale caduta interna sia la più bassa possibile è

necessario che la resistenza interna Ri del generatore risulti sufficientemente piccola: si perviene così alla nozione di generatore di tensione ideale per il quale la resistenza interna è ritenuta di valore nullo.

La proprietà fondamentale del generatore ideale è allora quella di poter fornire una tensione costante V=E a qualsiasi valore di corrente erogata.

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In talune applicazioni può presentarsi la convenienza o la necessità di considerare le sorgenti d’alimentazione di una rete (in altre parole i generatori), anziché nella forma di generatori di tensione, nella forma di veri e propri generatori di corrente, in altre parole nella forma di dispositivi che sono in grado di assicurare il mantenimento di una data corrente nel circuito nel quale sono inseriti.

Il generatore di corrente viene rappresentato come un bipolo attivo costituito, da un generatore di corrente costante Ic che ha in derivazione una certa conduttanza interna Gi: in un dispositivo di questo genere la relazione I(V) che lega la corrente erogata I con la tensione ai morsetti V è espressa dalla seguente funzione lineare.

I = IC - Gi V

La quale indica che: "La corrente disponibile all'esterno del generatore è data dalla

differenza fra la corrente generata Ic e la corrente derivata interna Ii=GiV" Affinché a parità di tensione ai morsetti V tale componente interna della corrente sia la

più bassa possibile, è necessario che la conduttanza interna Gi risulti sufficientemente piccola: si giunge così alla nozione di generatore di corrente ideale per la quale la conduttanza interna Gi è di valore praticamente nullo, e che pertanto è in grado di fornire al circuito una corrente costante I=Ic a qualunque valore della tensione ai morsetti.

La caratteristica corrente-tensione del generatore di corrente reale è rappresentata

dalla retta discendente 1, (come in figura); la retta orizzontale 2 rappresenta la

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medesima caratteristica del generatore ideale. • Nei generatori di tensione si realizza la condizione di funzionamento a vuoto

quando il circuito utilizzatore esterno è aperto, perciò risulta Ru=∞, I=0, V=E. • Nei generatori di corrente si realizza la condizione di funzionamento a vuoto

quando il circuito utilizzatore esterno è chiuso in cortocircuito, per cui risulta Gu=∞, V=0, I=Ic.

In tutte le altre condizioni di carico, con i due tipi di generatori collegati rispettivamente a un circuito di resistenza Ru o di conduttanza Gu, le equazioni di funzionamento risultano:

• Per il generatore di tensione: I=E/(Ri+Ru) ; V=RuI • Per il generatore di corrente: V=IC/(Gi+Gu) ; I=GuV Un generatore di corrente può essere trasformato in un generatore di tensione ad esso

equivalente, e viceversa. "Due generatori sono fra loro equivalenti se a circuito aperto (I=0) essi presentano la

stessa tensione ai morsetti U0 e la stessa resistenza ai morsetti R0". La R0 rappresenta la resistenza vista fra i morsetti dei generatori di tensione o di

corrente: essa è definita ponendo E=0 (cortocircuito) e Ic=0 (interruzione) nei rispettivi circuiti equivalenti.

Ne segue che fra un generatore di tensione e un generatore di corrente, la condizione di equivalenza è assicurata se sono verificate le seguenti uguaglianze (queste relazioni permettono il passaggio diretto dall'uno all'altro tipo di generatore):

V0 = E = IC/Gi IC = E/Ri

R0 = R1 = 1/Gi Gi = 1/Ri

Il funzionamento a regime stazionario di una rete elettrica è caratterizzato da ben

determinati valori delle correnti nei vari lati, e dei potenziali dei vari nodi: analizzare o risolvere una rete significa determinare tali correnti e tali potenziali (o più spesso le tensioni fra le varie coppie di nodi).

Per le reti di tipo lineare (in pratica costituite da rami assimilabili a bipoli lineari) esistono metodi di studio per via algebrica del tutto generale, date che siano naturalmente le caratteristiche elettriche dei singoli bipoli oltre che lo schema delle loro connessioni, e cioè nota che sia l'intera struttura della rete.

Se lo studio è limitato alla determinazione delle correnti o delle tensioni di alcuni soltanto dei bipoli componenti, si parla d’analisi parziale della rete.

In ogni caso lo strumento basilare dello studio è costituito dall'impiego delle due leggi di Kirchhoff, sia per applicazione diretta, sia più spesso secondo forme e metodi particolari rivolti a semplificare e a snellire i calcoli.

Ai principi di Kirchhoff si affianca la legge specifica dei singoli bipoli rappresentata dalla legge di Ohm generalizzata.

Analisi delle reti mediante i principi di Kirchhoff Per una rete elettrica comunque conformata e comunque estesa valgono le note leggi

o principi di Kirchhoff che rappresentano le leggi fisiche cui obbediscono tensioni e correnti delle reti.

• Primo principio "In ciascun nodo la somma algebrica delle correnti è uguale a zero" Σa I = 0 Nella somma algebrica, le correnti che entrano nel nodo vanno considerate di segno opposto a quello delle correnti che n’agiscono. • Secondo principio "In ciascun nodo la somma algebrica delle correnti è uguale a zero" Σa V = 0 Prestabilito un verso di percorrenza della maglia, e assunte inoltre come positive le cadute ohmiche dovute a correnti concordi col verso di percorrenza e negative le altre, quest’enunciato può essere scritto anche nella seguente forma: Σa E = Σa RI la quale indica che: "In ciascuna maglia la somma algebrica delle f.e.m. è uguale alla somma algebrica delle cadute ohmiche"

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I due principi di Kirchhoff, nelle forme sopra enunciate, consentono di scrivere, per qualsiasi rete elettrica, un numero n d’equazioni fra loro indipendenti, tante quante sono i lati l della rete. Se le incognite, come normalmente avviene, sono rappresentate dalle correnti dei vari lati, il sistema d’equazioni che può essere impostato consente quindi di determinare unicamente, in valore e segno, tali correnti incognite.

Una volta determinate le correnti, si rende possibile il calcolo delle rimanenti incognite della rete che sono rappresentate, ancora in numero di l, dalle tensioni che si stabiliscono fra i due terminali di ciascun ramo: è chiaro, infatti, che una rete elettrica formata da l rami si presenta sempre, in generale, con un numero complessivo di incognite pari a 2l; incognite che sono costituite dall'insieme delle correnti e delle tensioni relative a ciascuno dei rami della rete.

Note le correnti, per il calcolo delle tensioni si fa ricorso alla legge di Ohm generalizzata, che fornisce per ciascuno dei bipoli costituenti i vari lati una relazione del tipo: V+ΣaE=ΣaRI ove come unica incognita sia ha precisamente la tensione V esistente fra gli estremi del lato. L'applicazione pratica del metodo di Kirchhoff richiede, come condizione essenziale, l'indipendenza delle equazioni che figurano nel sistema risolvente.

Tale indipendenza è assicurata se: nell'applicazione del primo principio si scelgono tutti e soli i nodi sui quali converge almeno uno dei lati non precedentemente considerato nell’applicazione del secondo principio si scelgono tutte e sole le maglie che contengono almeno un lato non precedentemente considerato.

In base a ciò nell'applicare il primo principio basterà prendere in considerazione (una sola volta) tutti gli n nodi della rete meno uno, per scrivere (n-1) equazioni ai nodi; nell'applicare invece il secondo principio per impostare le rimanenti l- (n-1) equazioni indipendenti, converrà di volta in volta contrassegnare i lati utilizzati così da rendere direttamente riconoscibili quelle maglie della rete che presentano almeno un lato non ancora utilizzato: il sistema di equazioni sarà completo quando tutti i lati, secondo tale procedimento, risulteranno contrassegnati.

Teorema di Millman

Il metodo dei potenziali di nodo trova un caso particolare d’applicazione molto

importante nelle reti binodali, vale a dire in tutte quelle reti che sono costituite da tanti rami derivanti tutti fra due soli nodi come A e B della figura. Per reti di questo tipo si ha una sola equazione di potenziale di nodo, che si presenta nella forma:

(G1 + G2 + ... + Gn) VA = IC1 + IC2 + ... ICn

Se si assume il nodo B come riferimento, e se ciascun ramo viene considerato sotto la

forma di generatore di corrente. I coefficienti G1, G2, ..., Gn sono quindi le conduttanze di ciascuno dei rami derivanti, mentre i termini a secondo membro rappresentano le correnti di generatore presenti in tali rami.

Poiché si ha VB=0 è possibile scrivere VAB=VA-VB=VA Dalla (G1+G2+...+Gn)VA=IC1+IC2+...ICn si ricava allora la importante relazione VAB=(IC1+IC2+...+ICn)/(G1+G2+...+Gn) Che consente di calcolare direttamente la tensione fra due nodi A e B della rete.

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Naturalmente se, come in figura, i rami derivati sono costituiti da generatori di tensione la relazione è ancora valida purché i termini a numeratore si scrivano nella forma:

IC1=G1E1=E1/R1 ; IC2=G2E2=E2/R2 ; ICn=GnEn=En/Rn

avendo indicato con E1, E2, ..., En le f.e.m. inserite nei vari lati, e con R1, R2, ..., Rn le

resistenze dei medesimi. In questo caso conviene quindi porre

VAB=(G1E1+G2E2+...+GnEn)/(G1+G2+...+Gn) Entrambe queste relazioni esprimono il teorema di Millman che può essere così

enunciato: "La tensione che si ha fra due nodi tra i quali sono derivati un numero qualsiasi di rami fra loro in parallelo è data dal rapporto fra la somma algebrica delle correnti di cortocircuito dei singoli rami e la somma delle conduttanze dei rami stessi"; e di fatti ciascuna dei termini a numeratore delle relazioni esprime precisamente la corrente che si stabilirebbe nel ramo in cui si riferisce qualora i due nodi A e B venissero collegati fra loro in cortocircuito.

Metodo della sovrapposizione degli effetti

Anche se i metodi d'analisi fin qui esaminati sono del tutto sufficiente per risolvere i

problemi relativi alle reti elettriche, il loro impiego pratico per lo studio di reti complesse potrebbe rivelarsi alquanto laborioso per l'elevato numero d’equazioni del sistema algebrico risolvente.

Si sono perciò sviluppati altri metodi di studio, che consentono di procedere speditamente, specie se si tiene conto che non sempre è richiesta l'analisi completa di una rete elettrica, ma in molti casi è sufficiente un’analisi parziale, finalizzata ad esempio al calcolo di una sola corrente. Uno di questi metodi è basato sul principio di sovrapposizione degli effetti.

Questo fondamentale principio afferma in generale che: "In un sistema fisico di caratteristiche lineari, l'effetto prodotto da più cause concomitanti è pari alla somma algebrica degli effetti prodotti singolarmente da ciascuna causa".

Applicato alle reti elettriche lineari, il principio di sovrapposizione può essere così enunciato: "In una rete elettrica lineare alimentata da più generatori, la corrente e la tensione che interessano ciascun lato sono date dalla somma algebrica delle correnti e delle tensioni che sono prodotte in quel lato da ogni singolo generatore agente da solo"

A titolo d’esempio si consideri la semplice rete, come in figura, dalla quale si vogliano determinare la corrente I e la tensione VAB del ramo centrale. In base al principio di sovrapposizione degli effetti, queste due grandezze sono esprimibili per mezzo delle seguenti relazioni:

I=I'+I"; VAB=V'AB+V"AB

Ove la corrente I' e la tensione V'AB sono la corrente e la tensione che si hanno nel

ramo considerato quando nella rete agisce soltanto il primo generatore (in pratica il generatore di corrente) conformemente allo schema in figura a; la corrente I" e la tensione V"AB sono invece la corrente e la tensione che interessano lo stesso ramo quando agisce soltanto il secondo generatore, conformemente allo schema della figura B.

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E' chiaro, naturalmente, che per consentire di volta in volta soltanto l'azione di un

singolo generatore occorrerà sopprimere contestualmente l'azione di tutti gli altri, ponendo per essi la condizione E=0 se si tratta di generatori di tensione e Ic=0 se si tratta di generatori di corrente: all'atto pratico bisognerà quindi sostituire con un cortocircuito le f.e.m. da sopprimere e con un’interruzione le correnti di generatore, lasciando invece presenti nella rete le resistenze interne e le conduttanze interne di ciascuno dei generatori soppressi.

Il principio di sovrapposizione degli effetti, può costituire in molti casi un prezioso ausilio nello studio e nell’interpretazione del funzionamento di una rete lineare.

E' del tutto evidente, infatti, la notevole semplificazione concettuale e pratica che si può conseguire dovendo valutare non l'effetto complessivo di tanti generatori che agiscono contemporaneamente, bensì l'effetto di un singolo generatore per volta.

Principio del generatore equivalente

Si consideri come in figura A una rete elettrica che fa capo a due morsetti A e B

(attraverso i quali la rete può essere connessa con un semplice bipolo passivo esterno, o più in generale con un'altra porzione di rete qualsiasi).

La rete considerata sia costituita da generatori di tensione, da generatori di corrente e da resistenze, comunque collegati fra loro: il principio del generatore equivalente stabilisce che la rete facente capo ai morsetti A e B può essere sostituita da un generatore di tensione (di caratteristiche opportune) o da un generatore di corrente, come schematizzato nelle figure B e C, senza con ciò alterare il funzionamento del circuito che è collegato in A e B esternamente ad essa.

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Teorema di Thévenin

Le caratteristiche del generatore equivalente di tensione sono stabilite dal seguente

teorema: "Una rete elettrica lineare si comporta, rispetto a due suoi punti A e B qualsiasi, come un generatore di tensione che presenta una f.e.m. di valore uguale alla tensione VAB0 esistente (a vuoto) fra quei due punti, e che ha una resistenza interna di valore uguale alla resistenza vista dagli stessi punti della rete"

Per determinare la f.e.m. del generatore equivalente Eeq si dovrà dunque considerare la rete nella sua condizione di funzionamento a vuoto, vale a dire nella condizione di circuito esterno aperto (o staccato) perciò sia I=0, come in figura: in questa condizione si calcola la tensione VAB0 e si pone Eeq=VAB0

Analogamente, per la resistenza interna del generatore equivalente si porrà Req=RAB0 e

si calcolerà cioè la resistenza che la rete offre tra i due punti A e B in assenza di circuito esterno, con le f.e.m. interne corto-circuitate e con le correnti di generatore interrotte, e cioè con la rete resa passiva, come schematizzato in figura.

La dimostrazione del teorema di Thévenin è basata sul concetto d’equivalenza fra reti

elettriche a due morsetti: "Due reti si dicono equivalenti, rispetto a due morsetti se l'una rete può essere sostituita all'altra senza che cambi il funzionamento di un qualunque circuito esterno collegato fra gli stessi morsetti".

In un sistema lineare, l'equivalenza di funzionamento così definita sussiste purché le due reti abbiano lo stesso comportamento in due sole condizioni di carico, quali ad esempio il funzionamento a vuoto (I=0; VAB=VAB0) e il funzionamento in cortocircuito (VAB0=0; I=ICC):

a) con riferimento alla prima condizione, poiché in un generatore di tensione la d.d.p. che si manifesta a vuoto fra i morsetti coincide col valore della sua f.e.m., per l'equivalenza fra rete e generatore basta che risulti: Eeq=VAB0

b) con riferimento alla seconda condizione, poiché nel generatore la corrente di cortocircuito incontra la sua resistenza interna Req, per l'equivalenza fra rete e generatore basta che tale resistenza risulti di valore uguale a quello che la stessa corrente di cortocircuito incontra per attraversare l'interno della rete dal morsetto A al morsetto B, e cioè di valore uguale alla resistenza RAB0 vista fra tali due morsetti guardando verso l'interno della rete.

Per verificare l'utilità di questo teorema nello studio parziale delle reti basterà il semplice esempio applicativo che segue. Sia data la rete in figura 1 e si voglia determinare la corrente I che percorre il ramo AB.

Si può immaginare di praticare le sezioni AC e BD, e di sostituire alle porzioni di rete

che si trovano alla sinistra di AC e alla destra di BD i rispettivi generatori equivalenti: così facendo, la rete di partenza si trasforma nello schema molto più semplice riportato in

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figura 2 il quale permette di scrivere immediatamente la seguente relazione:

La f.e.m. e la resistenza interna del generatore equivalente si calcolano considerando i

circuiti A e B precedentemente raffigurati che forniscono rispettivamente: • Per il circuito A:

• Per il circuito B:

Per il secondo generatore equivalente si dovrà invece considerare i circuiti C e D dai

quali si ricavano

Teorema di Norton Oltre che con un generatore di tensione, una rete elettrica facente capo a due punti

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può essere sostituita anche con un generatore di corrente. Le caratteristiche, che deve presentare questo tipo di generatore, sono indicate dal

Teorema di Norton che afferma: "Il generatore di corrente equivalente a una rete collegata a due morsetti A e B è caratterizzata da una corrente generata ICeq di valore pari alla corrente IABcc che si stabilisce in un collegamento di cortocircuito praticato fra A e B, e da una conduttanza interna Geq di valore pari alla conduttanza vista fra gli stessi morsetti"

Come esempio d’applicazione di questo teorema si consideri la rete indicata in figura A

e se ne determini il generatore equivalente di Norton rispetto ai punti A e B, come schematizzato in figura B: (si tratta in pratica di trasformare un generatore di tensione nel corrispondente generatore di corrente).

Il valore della corrente ICeq di questo generatore è quella che si stabilisce nel collegamento di cortocircuito tra A e B come in figura A. Essa è espressa dalla seguente relazione:

La conduttanza interna Geq è quella che appare fra i due morsetti A e B guardando

verso l'interno della rete (resa passiva). Nel caso in esame si ha (da figura B) la seguente relazione:

Dal punto di vista applicativo, presenta un rilevante interesse la determinazione

sperimentale dei generatori equivalenti (di tensione o di corrente) di un’assegnata rete a due morsetti. Per la determinazione del generatore equivalente di tensione (Thévenin) basta eseguire due prove a vuoto sulla rete, consistenti in due misure di tensione (tra i due punti cui la rete fa capo) per mezzo di due voltmetri con diversa resistenza interna RV1 ed RV2: se V1 e V2 sono le tensioni così misurate si potrà scrivere il sistema (nelle incognite Eeq ed Req)

Per determinare il generatore equivalente di Norton basta eseguire due prove di

cortocircuito, consistenti in due misure di corrente per mezzo di amperometri a conduttanza interna diversa GA1 e GA2: se I1 e I2 sono le correnti misurate si ha il sistema (nelle due incognite ICeq e Geq)

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Potenza ed energia

Sotto il nome d’energia di un sistema si denota la capacità che ha quel sistema di

trasformarsi compiendo un lavoro. In base al principio della conservazione dell'energia, l'energia non può mai aumentare

né diminuire ma solo trasformarsi o trasmettersi da un sistema ad un altro. Il lavoro compiuto serve a valutare la quantità d’energia trasformata o trasmessa. L'energia si misura nella stessa unità in cui si misura il lavoro. Nel sistema di misura SI tale unità è il joule. L'energia può presentarsi sotto due forme fondamentali: • Cinetica: connessa all'inerzia dei corpi in movimento (in essa è da includersi

l'energia termica, dovuta ai moti vibratori delle particelle costituenti la materia). • Potenziale: connessa ai sistemi che sono mantenuti in uno stato d’equilibrio

forzato e che pertanto hanno la tendenza a mettersi in movimento.

• Sono esempi d’energia potenziale l'energia posseduta dai corpi sospesi soggetti alla forza di gravità, l'energia dei corpi elastici deformati, e l'energia elettrica

In ogni fenomeno in cui avviene una trasmissione d’energia di una data forma, oppure

una trasformazione d’energia da una forma ad un'altra si chiama con il nome di potenza: "La quantità d’energia che si trasmette o si trasforma nell'unità di tempo"

Così se un sistema trasmette a un altro sistema, nell'intervallo di tempo Δt, una quantità di energia pari a ΔW, si dirà che: il primo sistema sviluppa e trasmette al secondo, che la assorbe, la potenza

In altri termini, se un sistema sviluppa e l'altro assorbe la potenza P, ciò significa che nell'intervallo Δt il primo eroga e il secondo assorbe l'energia

Per poter valutare le potenze, è necessario definire la potenza unitaria, ossia quella

che si assume per unità di misura della potenza. Se nella relazione

Si pone ΔW=1J e Δt=1s risulta P=1J/s, e cioè nel Sistema Internazionale (SI) l'unità di

potenza è il joule/secondo, unità che viene denominata watt e indicata col simbolo W; risulta quindi che

In pratica si usa spesso il multiplo kilowatt (kW) equivalente a 103 W.

Qualche volta si adotta pure, per misure di potenze rilevalnti, il megawatt (MW) che equivale a 10

6 W, e il gigawatt (GW) corrispondente a 10

9 W e perciò a mille megawatt.

Per misure di potenze piccolissime si usa invece il milliwatt (mW) pari a un millesimo di watt (10

-3 W), e il microwatt (mW), pari a un milionesimo di watt (10

-6 W).

Quindi si può dire che la potenza di 1 W compie nell'intervallo di tempo di 1 secondo (s) il lavoro di 1 Joule (J), il che equivale a dire che 1 J corrisponde al lavoro di 1 Ws (wattsecondo).

La stessa potenza di 1 W nel tempo di 1 ora (h) compie il lavoro di 3600 J, ossia 3600 Ws: questo lavoro si indica con il nome di wattora (Wh).

Analogamente si usa comunemente l'unità di energia kilowattora (kWh) prendendo come unità di potenza il kilowatt, e come unità di tempo l'ora (h).

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Potenza elettrica In ogni processo in cui l'energia elettrica (e cioè l'energia delle cariche elettriche) si

genera con spesa di energia di altra forma, o si trasmette per trasformarsi a sua volta in altra energia, si dovrà indicare con il nome di potenza elettrica (rispettivamente generata, trasmessa, assorbita) la quantità di energia elettrica che si mette in gioco nell'unità di tempo.

Il lavoro elettrico che si mette in gioco nel trasferimento dell'unità di carica tra due punti qualsiasi corrisponde, per definizione, alla tensione elettrica V che esiste fra questi due punti.

Dato che in un circuito percorso da corrente accade, in ogni intervallo Δt, un trasferimento di cariche ΔQ pari in valore al prodotto dell’intensità I di tale corrente per la durata Δt, si comprende che la potenza elettrica resterà determinata dalle relazioni:

Essendo ΔW = V ΔQ l'energia messa in gioco dalle cariche nell'intervallo Δt. In generale un circuito elettrico che presenta agli estremi una tensione costante V ed è

percorso da una corrente costante I, eroga oppure assorbe (a seconda dei casi) la potenza elettrica espressa, in watt, dal seguente prodotto:

IVP ⋅= Se il circuito rimane in funzione per un assegnato intervallo Δt, esso eroga oppure

assorbe un’energia che è espressa, in joule, dalle seguenti relazioni:

QVtIVtPW Δ⋅=Δ⋅⋅=Δ⋅=Δ Essendo ΔQ = I Δt la quantità d’elettricità che attraversa il circuito nell'intervallo di

tempo.

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Legge di Joule

Sia dato un conduttore, di resistenza elettrica R, percorso da una corrente d’intensità

I. La legge di Ohm, applicata a questo conduttore, è espressa dalla relazione V=RI, se

con V si indica la tensione fra gli estremi del conduttore considerato come in figura 1

P = RI2

Figura 1 - Resistenza elettrica R percorsa dalla corrente I

La potenza che il conduttore assorbe dalla rimanente parte del circuito cui appartiene

è data dal prodotto: P=V I Sostituendo a V il valore di RI fornito dalla legge di Ohm, la potenza assorbita rimane

espressa dalla seguente relazione: P = V I = R I I = R I

2

Si può osservare subito che questo risultato è indipendente dal verso che la corrente

ha nel tratto di conduttore considerato, perché il prodotto RI2 si mantiene in ogni caso

positivo. Inoltre, la potenza P è proporzionale alla resistenza R del conduttore e al quadrato della corrente I che lo percorre.

Come è noto, la resistenza elettrica deriva dall'attrito interno che si oppone allo spostamento degli elettroni nel filo metallico (cioè alla corrente): è perciò evidente che la potenza elettrica P altro non può essere se non la potenza che resta impegnata a produrre lo spostamento degli elettroni contro le resistenze passive che li frenano: tale potenza si trasforma in calore, ed è ciò che l'esperienza conferma (effetto joule).

Il fisico Joule (a sinistra), per primo determinò con accurate esperienze la quantità di calore che si sviluppa quando una corrente attraversa un conduttore di resistenza nota, e giunse così a enunciare la seguente legge, nota appunto sotto il nome di legge di joule: "In un tratto di circuito di resistenza elettrica R, percorso da una corrente di intensità costante I, si sviluppa, ad ogni secondo una quantità di calore equivalente alla potenza elettrica P= RI

2"

Talvolta conviene esprimere la potenza dissipata per effetto Joule in funzione della tensione V agente ai capi della resistenza R come in figura 2.

P = V2

/R

Figura 2 - Resistenza elettrica R alimentata alla tensione V (U nel disegno)

Avendosi in tal caso I=V/R l'espressione della potenza assume la forma:

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RVIVP

2

=⋅=

L'effetto Joule è utilizzato, in particolare, oltre che in taluni forni industriali, nelle lampade ad incandescenza e in tutti gli apparecchi elettrici di riscaldamento a resistenza (ferri da stiro, stufe, bollitori, scaldabagni ecc.).

In questi apparecchi interessa concentrare la resistenza riscaldante nel minor spazio compatibile con la potenza dell'apparecchio e con le esigenze relative alla massima temperatura di esercizio che si vuol realizzare; tali resistenze vengono costruite in fili o nastri di metalli o di leghe speciali ad alta resistività atte a sopportare, senza ossidarsi o corrodersi, la temperatura di regime che deve essere raggiunta: così nelle lampade a incandescenza si usano filamenti di tungsteno, sotto vuoto o in gas inerte; nei comuni apparecchi di riscaldamento sono invece usate leghe di nichelcromo.

In tutte queste applicazioni la quantità di calore ΔQc che viene prodotta per effetto

Joule in un tempo Δt prefissato si calcola immediatamente ricordando che in ogni trasformazione di energia in calore, la quantità di energia di 1 kWh produce una quantità di calore pari a 860 kcal: ne consegue che entro un apparecchio elettrotermico che assorbe una potenza elettrica P (kW), nel tempo di Δt ore viene generata una quantità di calore espressa dalla seguente relazione:

ΔQc (kcal) = 860 x P (kW) x Δt (h) Nei circuiti elettrici che hanno tutt'altro scopo che quello di produrre del calore,

l'effetto Joule rappresenta sempre una inevitabile perdita di potenza, che va a detrimento del rendimento dell'impianto.

Nei circuiti interni delle macchine elettriche, e lungo i fili delle linee di trasmissione dell'energia, si deve contenere questa perdita di potenza entro limiti tollerabili, proporzionando adeguatamente la sezione dei conduttori, anche al fine di contenere le sopraelevazioni di temperatura al disotto di quei valori oltre i quali sarebbe compromessa la buona conservazione degli isolamenti.

Bilancio delle potenze nei generatori Si consideri un generatore elettrico avente una f.e.m. costante E e resistenza interna

Ri, come in figura.

Se si ricorda che la f.e.m. è definita come il lavoro elettrico che corrisponde al

trasferimento dell'unità di carica dal polo negativo al polo positivo, si comprende che, se il generatore viene attraversato nel verso della f.e.m. da una corrente I vuol dire che esso imprime a tale corrente un’energia al secondo, e cioè una potenza, pari al prodotto E x I.

Ne segue che: "La potenza generata da un generatore elettrico è rappresentata dal prodotto della sua f.e.m. E per la corrente I che esso eroga".

Indicando questa potenza con Pg si avrà quindi (in watt) Pg=E I Se il circuito interno del generatore fosse privo di resistenza (e non provocasse quindi

alcuna dissipazione d’energia elettrica in calore) l'intera potenza generata Pg sarebbe

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assunta come energia delle cariche elettriche uscenti dal morsetto positivo del generatore.

D'altra parte, la presenza di una certa resistenza interna Ri provoca una caduta di tensione interna pari a Ri I e la tensione disponibile ai morsetti si riduce al valore

UAB = VAB = E - Ri I

Corrispondentemente la potenza elettrica P che esce effettivamente dal generatore e

che è assorbita dal circuito esterno è determinata dalla seguente relazione

P = VAB I = E I - Ri I2

Si può dunque affermare che la potenza erogata da un generatore è data dal prodotto

della tensione ai morsetti per la corrente, ed è uguale alla potenza elettrica che esso genera diminuita dalla perdita interna per effetto Joule

Pi = Ri I

2

Il rapporto fra la potenza erogata P e la potenza generata Pg definisce il rendimento η

del generatore. E’ in pratica

Il valore della corrente I che è erogata dal generatore dipende dal valore della

resistenza esterna R in base alla relazione

Per valori diversi della resistenza R, diverse risultano le condizioni di lavoro del

generatore e, in particolare, diverse sono le perdite interne e il rendimento: se la resistenza di carico è elevata, minore sarà la corrente erogata, minori risulteranno le perdite interne e maggiore sarà il rendimento; il contrario avviene se la resistenza R presenta valori ridotti.

La massima corrente che un generatore può erogare, senza che il rendimento scenda

al di sotto di un valore prefissato, dipende dalle sue dimensioni costruttive. Così ogni generatore è caratterizzato dalla sua f.e.m. e dalla massima

corrente che esso può erogare con un dato rendimento, la quale è designata come la corrente di pieno carico o corrente nominale In del generatore.

Se il generatore eroga una corrente maggiore, si dice che esso lavora in sovraccarico. In tali condizioni il rendimento diminuisce tanto più quanto maggiore è il sovraccarico,

e la buona conservazione del generatore può risultare compromessa in conseguenza della eccessiva sopraelevazione di temperatura provocata dalle maggiori perdite.

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Potenza assorbita da una f.c.e.m.

Si consideri un generatore AB avente f.e.m. E e resistenza interna Ri, che si trovi

collegato in opposizione a un altro generatore avente f.e.m. E1 maggiore di E, e resistenza interna Ri1.

In tal caso la corrente circola nel verso della f.e.m. prevalente, e perciò nel verso

opposto all'altra, la quale agisce pertanto come una forza controelettromotrice (f.c.e.m.). Posto quindi E1>E, nel circuito chiuso formato dai due generatori si costituisce una

corrente I espressa dalla seguente relazione

Essendo RT la somma di tutte le resistenze dell'intero circuito. Nel generatore AB la corrente entra dal morsetto a potenziale maggiore VA ed esce da

quello a potenziale minore VB: ciò significa che questo generatore assorbe la potenza

Pa = VAB I D'altra parte se la corrente I entra per il morsetto positivo di questo generatore vuol

dire che la tensione VAB vince la f.c.e.m. E che la contrasta e vince in più la caduta interna Ri I. Si ha così

VAB = E + Ri I Corrispondentemente anche la potenza elettrica assorbita Pa viene a suddividersi nei

due termini della somma: Pa = VAB I = E I +Ri I

2

Il secondo termine rappresenta la potenza:

Pi = Ri I2

Che è dissipata in calore per effetto joule nella resistenza interna Ri. Il primo termine PE=EI esprime invece la potenza elettrica che resta impegnata a

vincere la f.c.e.m. che contrasta la corrente, in altre parole rappresenta la potenza assorbita da questa f.c.e.m..

Questa potenza elettrica deve trasformarsi in energia d'altra forma, attraverso quello stesso processo fisico da cui prende origine la f.c.e.m.: ad esempio, nel circuito interno di un motore elettrico si origina una f.c.e.m. che si oppone alla corrente; l'energia elettrica che occorre spendere per vincere questa f.c.e.m si trasforma in energia meccanica che viene trasmessa all'asse del motore.

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Il campo elettrico

Sono chiamati fenomeni elettrostatici tutti quei fenomeni elettrici che sono prodotti

nello spazio (e nei corpi che vi sono immersi) dalle cariche elettriche libere, positive o negative, che si trovano in equilibrio statico (vale a dire ferme) sui corpi comunque elettrizzati. Se si ricorda che, in base alla legge di Coulomb, le cariche elettriche agiscono mutuamente le une sulle altre con delle attrazioni e repulsioni reciproche le quali si esercitano in tutte le direzioni che si irradiano da ciascuna di esse, si intuisce che le azioni elettriche non si manifestano solo in seno ai corpi nei quali sono contenute, ma si estendono invece e investono l'intero spazio circostante: l'esperienza prova infatti che tutte le azioni elettriche si esercitano a distanza anche attraverso lo spazio vuoto senza l'intervento di nessuna continuità materiale che debba trasmetterle.

Una carica elettrica puntiforme, positiva o negativa, agisce radialmente in tutte le direzioni su tutte le altre cariche che si trovano immerse nell'intero spazio circostante: essa respinge tutte le cariche d’eguale segno e attrae invece le cariche di segno opposto. Si esprime questo fatto dicendo che ogni carica positiva o negativa, considerata a sé produce, nell'intero spazio circostante in cui è immersa, un campo elettrico.

Inversamente ogni carica elettrica, positiva o negativa, si trova sempre soggetta ad una forza che è la risultante delle attrazioni e delle repulsioni che essa risente dalle singole cariche elementari circostanti. Questo fatto può essere espresso affermando che ogni carica elettrica subisce l'azione del campo elettrico risultante dall'azione dei campi propri di tutte le cariche rimanenti. Generalizzando i concetti esposti, si definisce come campo elettrico: "Ogni regione dello spazio in cui si manifestano delle forze elettriche, in pratica ogni regione dello spazio in cui ogni carica elettrica che vi è immersa si trova soggetta ad una forza che tende a muoverla secondo una direzione determinata".

• Intensità del campo L'esistenza o meno di un campo elettrico in una data regione dello spazio può essere

rivelata sperimentalmente per mezzo di una carica elettrica di prova che venga posta di seguito nei vari punti della regione considerata. Nei punti in cui tale carica di prova è soggetta ad una forza, qui esisterà un campo elettrico, il quale sarà considerato tanto più intenso quanto più intensa è la forza rilevata.

Per esprimere una misura dell’intensità del campo elettrico si fa riferimento alla forza che agisce sulla carica di prova unitario positivo. Quindi se F è il vettore che individua in ampiezza, direzione e verso la forza che agisce su una carica di prova di valore generico Q, si sosterrà che nel punto in cui tale carica è stata collocata esiste un campo la cui intensità è rappresentata dal vettore K definito dalla seguente relazione

L'intensità del campo elettrico è pertanto definita in valore e verso dal vettore K che

rappresenta la forza coulombiana che il campo esercita sull'unità di carica positiva idealmente concentrata nel punto considerato.

L'unità di misura dell'intensità di campo è il newton a coulomb (N/C). Ove sia noto il vettore K nei vari punti del campo elettrico, è possibile determinare in

valore e verso le forze meccaniche che agiscono su cariche elettriche di valore Q qualsiasi supposte concentrate in tali punti. Dette forze F sono date dalla seguente relazione

Gli effetti che sono prodotti dall'azione di queste forze dipendono naturalmente dal

grado di mobilità delle cariche che le risentono: in particolare se una carica positiva o negativa si trova immersa in un campo elettrico qualunque ed è perfettamente libera di muoversi, essa descrive una traiettoria ben definita rappresentata dalla linea che ha per tangente nei vari punti la direzione assunta in quei punti dalla forza che la trascina: questa linea prende il nome di linea di forza del campo.

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Per mezzo delle linee di forza è possibile dare una rappresentazione grafica della

conformazione del campo elettrico. In una siffatta rappresentazione si assume convenzionalmente come verso positivo delle linee di forza il verso in cui sono sollecitate a muoversi le cariche positive.

Figura A: le linee di forza convergono su una sfera elettrizzata negativamente

Figura B: le linee di forza divergono da una sfera elettrizzata positivamente

Ad esempio il campo elettrico prodotto da una sfera elettrizzata isolata nello spazio si

rappresenta rispettivamente come in figura A e B secondo che la sfera porti degli elettroni in eccesso oppure in difetto, e cioè secondo che la sfera sia elettrizzata negativamente o positivamente: nel primo caso il verso delle linee di forza converge sulla sfera perché tale è il verso in cui essa tende ad attrarre le cariche elementari positive situate in punti come P nello spazio circostante; nel secondo caso invece il verso delle linee di forza diverge dalla sfera elettrizzata positivamente perché le cariche elementari positive dello spazio circostante vengono respinte. In generale si può dire che le linee di forza elettriche divergono sempre dai corpi elettrizzati positivamente e convergono sui corpi elettrizzati negativamente.

• Il campo elettrico uniforme Ogni processo d’elettrizzazione dei corpi avviene sempre per separazione di un certo

numero di cariche elementari positive e negative inizialmente compenetrate fra loro a costituire lo stato elettricamente neutro.

Ne segue che per produrre nello spazio un campo elettrostatico è necessario disporre di almeno due corpi ad uno dei quali venga sottratto un certo numero di elettroni per comunicarli in eccesso all'altro.

In generale i corpi interessati a questo trasferimento di cariche sono costituiti da due (o più corpi metallici isolati ai quali si da comunemente il nome di armature del campo: dalla forma e posizione reciproca di tali armature dipende la distribuzione spaziale del vettore campo elettrico K e cioè l'andamento delle linee di forza del campo. Il caso più semplice è rappresentato dal campo elettrico a geometria piana che si può ottenere collegando ai due poli opposti di un generatore elettrico, di f.e.m. E, due armature piane A e B, d’estensione illimitata, disposte parallelamente l'una all'altra alla distanza d e separate fra loro da un qualunque mezzo fisico isolante come in figura.

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Nell'atto in cui si chiude l'interruttore S, il generatore sposta verso l'armatura B

connessa al polo negativo, un certo numero di elettroni i quali vanno a costituire su di essa una carica negativa -Q avente un certo potenziale VB; contemporaneamente sull'altra armatura A si scoprono altrettante cariche elementari positive che nel loro insieme costituiscono la corrispondente carica positiva +Q con potenziale VA.

Questo processo, si arresta, quando l'entità e la distribuzione delle cariche elettriche così disgiunte sono tali da produrre una d.d.p. VAB=VA-VB pari al valore della tensione E fornita dal generatore. Dopo di ciò il generatore può essere staccato dai due piani A e B, su ognuno dei quali permane fissa e in equilibrio la rispettiva carica ±Q, e quindi permane anche la d.d.p. VAB agente fra le due armature.

Data la mobilità delle cariche elettriche nei conduttori è facile intuire che a equilibrio raggiunto le due cariche +Q e -Q risultano uniformemente distribuite sulle superfici contrapposte delle due armature: in queste condizioni, se nello spazio interposto si colloca un corpuscolo elettrizzato con una piccola carica di prova +Qp, questo è respinto da tutte le cariche d’eguale segno distribuite sui singoli elementi superficiali del piano A ed è contemporaneamente attratto dalle corrispondenti cariche di segno opposto distribuite sul piano B. Il corpuscolo considerato è pertanto soggetto ad un sistema di forze coulombiane la cui risultante F è diretta ortogonalmente dall'armatura positiva A a quella negativa B.

Sotto l'azione di questa forza il corpuscolo, posto inizialmente a contatto dell'armatura positiva va senz'altro a cadere su quella negativa seguendo una traiettoria rettilinea.

Altrettanto accade se il corpuscolo di prova è posto in ogni altro punto del campo compreso fra i due piani: escluse solo le regioni prossime ai bordi, nel caso d’armature d’estensione finita, dove le traiettorie s’incurvano come in figura b).

Nel caso considerato, fra i due piani si costituisce dunque un campo elettrico a linee di forza rettilinee e parallele, e la forza che sollecita la carica Qp è costante in tutti i punti: si ha perciò un campo elettrico uniforme.

Se si ricorda che il vettore intensità di campo K rappresenta la forza che agisce sulla carica di valore unitario, si può concludere che la d.d.p. VAB che si stabilisce fra le due armature deve corrispondere al lavoro sviluppato dal vettore K quando sposta la carica unitaria da un'armatura all'altra, e deve perciò valere la relazione

VAB = k d

Ne risulta, inversamente, che in un campo elettrico uniforme prodotto fra due

armature A e B poste alla reciproca distanza d e fra le quali sia applicata una tensione VAB, il valore dell’intensità del campo è dato dal rapporto: K=VAB/d

Può essere espresso in volt al metro (V/m), oltre che in newton al coulomb. Infatti, risulta

Se in luogo di due piatti metallici, si pongono due sfere S1 e S2, le linee di forza del

campo elettrico assumono l'andamento indicato in figura, il quale è dalla sovrapposizione dei due campi radiali relativi ad ogni singola sfera. Un corpuscolo elettrizzato positivamente posto ad esempio in P, è soggetto ad una forza repulsiva F1 da parte della sfera positiva S1 e ad una forza attrattiva F2 da parte della sfera negativa S2: esso tende pertanto a muoversi per un piccolo intervallo nella direzione della forza risultante F. Ma non appena esso è giunto in un punto vicino P' le due forze che lo sollecitano mutano di direzione e di intensità perché è variata la distanza del corpuscolo dalle due sfere, e precisamente la forza F1 diminuisce e assume un nuovo valore F'1 e la F2 aumenta per assumere il valore F'2; la forza risultante assume così il valore e la direzione F'.

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Procedendo in tal modo punto per punto, si riconosce che se il corpuscolo considerato

è inizialmente accostato alla sfera positiva esso è condotto dal campo elettrico a cadere sulla sfera negativa, seguendo precisamente traiettorie del tipo rappresentato in figura dalle linee di forza del campo.

Da quanto accennato, discende la seguente importante conclusione: le linee di forza di un campo elettrico sono sempre delle linee limitate che congiungono con i loro estremi, senza mai intrecciarsi, le superfici dei corpi sui quali sono distribuite le cariche di segno opposto che producono il campo. Ogni linea di forza parte sempre da un corpo elettrizzato positivamente e termina su un altro corpo elettrizzato negativamente.

• Proprietà dei conduttori elettrizzati Se si ricorda che ogni campo elettrostatico è per definizione riferita a una distribuzione

di cariche elettriche in equilibrio, e cioè ferme, ne discende che in ogni conduttore comunque elettrizzato, il campo elettrico, deve essere necessariamente nullo in tutti i punti interni alla superficie che lo delimitano. Si supponga, infatti, per assurdo, che ciò non sia vero; in tal caso il campo elettrico agente nella massa del conduttore vi promuoverebbe senz'altro un certo movimento degli elettroni liberi; ma rimanendo invece ferme le cariche si deve concludere che nessun campo agisce su di esse.

Inoltre, le cariche di elettrizzazione possono distribuirsi soltanto sulla superficie del conduttore, e mai possono penetrare all'interno: una carica che potesse penetrare all'interno del conduttore dovrebbe produrre un campo elettrico nello spazio ad essa circostante; ma, come si è visto, nei punti interni alla superficie dei conduttori elettrizzati staticamente il campo deve risultare nullo.

Queste considerazioni permettono di affermare che la conformazione dei campi elettrostatici soddisfa in ogni caso alle quattro condizioni seguenti

1) Nei conduttori elettrizzati staticamente, le cariche elettriche Q sono distribuite e

affiorano tutta sulla superficie esterna mentre all'interno si ha Q=0; 2) All'interno di un conduttore elettrizzato staticamente si ha sempre K=0, in pratica

è nullo il campo d’ogni punto; 3) Il campo prodotto dal conduttore elettrizzato presenta linee di forza tutte orientate

verso l'esterno in direzione normale alla superficie: se così non fosse, il vettore K ammetterebbe la componente tangenziale Kt che farebbe spostare le cariche; il campo K deve quindi coincidere necessariamente con Kn;

4) Fra ogni coppia di punti di un conduttore elettrizzato, non può esistere mai alcuna differenza di potenziale perché diversamente, nel conduttore potrebbe manifestarsi un movimento delle cariche: la superficie del conduttore delimita un volume i cui punti hanno tutti lo stesso potenziale Vs ed è essa stessa una superficie equipotenziale.

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Dalle proprietà indicate è in particolare che l'equilibrio elettrico di un conduttore

elettrizzato non è alterato, se s’immagina di scavare internamente il conduttore fino a ridurlo ad un involucro anche sottilissimo: nell'interno di quest’involucro il campo elettrico rimane sempre nullo, qualunque sia la carica elettrica distribuita sulla superficie esterna, vale a dire qualunque sia l'intensità del campo elettrico nello spazio esterno all'involucro. Si può quindi affermare che un involucro metallico completamente chiuso costituisce un vero schermo elettrico, il quale protegge l'intera regione interna dalle azioni di tutti i campi elettrici esterni (schermo di Faraday).

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Condensatori elettrici

Ogni coppia di conduttori isolati, l'uno rispetto all'altro fra il quale esiste o si può

stabilire un campo elettrico costituisce un sistema il qual è denominato condensatore. I due corpi sui quali si distribuiscono le cariche elementari disgiunte che producono il campo prendono il nome d’armature del condensatore. Le due armature sono separate l'una dall'altra da un dielettrico che può essere il vuoto oppure, più comunemente, l'aria o un qualunque materiale isolante solido o liquido.

Figura 1 - Schemi simbolici della capacità o del condensatore

Un singolo conduttore isolato, come ad esempio una sfera A (Fig.2) può essere

considerato come l'armatura di un condensatore di cui l'altra armatura è rappresentata dal suolo e da tutti gli altri corpi circostanti come B appoggiati o connessi a terra. Se si collega il corpo isolato a uno dei poli del generatore, collegando l'altro polo a terra, si costituisce un campo elettrico le cui linee di forza si svolgono nello spazio fra il corpo isolato e tutti i conduttori circostanti connessi a terra: dopo che il campo si è costituito, esso permane anche togliendo i collegamenti col generatore perché le cariche elementari che affiorano libere sul corpo isolato senza poterlo abbandonare attraggono e tengono in equilibrio le cariche di segno opposto che affiorano sulle superfici di tutti i corpi circostanti.

Figura2 - Formazione del campo elettrico fra un corpo isolato ed altri connessi al suolo In definitiva si può concludere che ogni campo elettrico si svolge sempre fra le due

armature di un condensatore, sulle quali s’iniziano e terminano tutte le linee di forza del campo: la qualità di cariche elementari positive (o negative) complessivamente distribuite rispettivamente sull'una (o sull'altra) armatura costituisce la carica elettrica Q del condensatore la quale viene misurata in coulomb.

Evidentemente la carica positiva di una delle armature è sempre uguale in valore alla carica negativa dell'altra: si esprime quanto fatto dicendo che sulle due armature del condensatore si hanno due cariche elettriche uguali ed opposte. In tali condizioni, fra le due armature esiste una certa d.d.p. la quale costituisce la tensione elettrica V corrispondente alla carica Q che si trova addensata sulle due armature del condensatore.

La quantità totale di elettricità Q che un condensatore assume sulle armature, positiva da una parte e negativa dall'altra, sotto una tensione assegnata e costante, di valore V, varia da un condensatore a un altro con la forma, l'estensione, e la posizione reciproca delle armature, e inoltre anche con la natura del dielettrico interposto. In altri termini due o più condensatori diversi, caricati tutti alla stessa d.d.p. V, assumono e trattengono sulle rispettive armature delle quantità di elettricità differenti e cioè un diverso numero di coulomb.

Si esprime brevemente questo fatto dicendo che i diversi condensatori hanno una capacità diversa, e precisamente una capacità maggiore quelli che per una tensione assegnata assumono sulle armature una maggiore quantità di cariche elementari, e capacità minore invece quelli che assumono una quantità di elettricità minore.

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Si può inoltre rilevare sperimentalmente che, per un dato condensatore, la quantità di

elettricità Q che il condensatore presenta sulle sue armature e la corrispondente d.d.p. V che intercede fra un'armatura e l'altra cresce e diminuiscono in proporzione.

Ne segue che, comunque si vari lo stato di carica di un condensatore, il rapporto fra la quantità di elettricità Q che si trova sulle armature e la corrispondente tensione elettrica V che intercede fra un'armatura e l'altra rimane sempre costante, e costituisce pertanto una grandezza fisica caratteristica che ha un valore proprio e specifico per quel singolo condensatore.

Alla grandezza così definita si assegna il nome di capacità elettrostatica C del condensatore, e si pone senz'altro: C=Q/V

La capacità di un condensatore esprime dunque la carica elettrica che esso può assumere, rapportata all'unità di tensione, e cioè la quantità di elettricità che viene a trovarsi contrapposta sulle armature del condensatore, positiva da una parte e negativa dall'altra, quando esiste fra di esse la tensione di un volt: in altri termini

La capacità di un condensatore esprime il numero costante di coulomb, che deve essere di volta in volta dislocati sulle armature, affinché la tensione fra l'una e l'altra si elevi ogni volta e progressivamente di un volt

Così se la capacità di un condensatore è C, la quantità totale di elettricità Q che si trova contrapposta sulle armature quando fra l'una e l'altra esiste la differenza di potenziale V è data in coulomb dal prodotto: Q = C V

Inversamente, quando sulle armature di un condensatore di capacità C si trasporta in un modo qualunque una quantità di elettricità Q (positiva sull'una e negativa sull'altra) fra le armature si stabilisce una tensione: V = Q/C

Dalle considerazioni esposte discende che la capacità di un condensatore è espressa in coulomb a volt (C/V). Quest’unità prende il nome di farad (F). Perciò un condensatore ha la capacità di un farad se assume la carica elettrica di un coulomb per ogni volt di tensione fra le armature.

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Capacità del condensatore piano

I condensatori reali sono normalmente costruiti in modo che due superfici metalliche

sufficientemente estese risultino reciprocamente affacciate e separate da un sottile e uniforme strato di materiale dielettrico: una simile struttura prende il nome di condensatore piano, anche se spesso le armature assumono una forma incurvata, come nei condensatori a nastri arrotolati (come in figura 1).

Figura 1 - Schema costruttivo di condensatore avvolto

Il condensatore piano può essere schematizzato come in figura 2 ove con d viene

indicata la distanza fra le due armature (e quindi lo spessore costante dello strato di dielettrico interposto), e con S l'area delle due superfici affacciate.

Figura 2 - Per il calcolo della capacità di un condensatore piano

Per determinare la capacità di questo condensatore s’immagini di applicare fra le due

armature una tensione di valore V, collegando il condensatore ad un generatore. In seguito a ciò le due armature si elettrizzano assumendo le due quantità d’elettricità

+Q e -Q di segno contrario ma uguali in valore. Corrispondentemente, nello spazio interno al condensatore s’instaura un campo

elettrico uniforme la cui intensità e il cui spostamento sono espressi dalle seguenti relazioni

K = V/d D = εK = ε0εr V/d Essendo ε=ε0 εr la costante dielettrica del materiale inserito fra le armature. Il vettore

spostamento esprime, com’è noto, il valore delle opposte qualità d’elettricità che risulta distribuite su ogni unità di superficie delle armature.

Ne segue che la carica complessiva Q portata, con opposto segno, dall'intera superficie S delle medesime armature è esprimibile per mezzo della relazione:

Q = D S = ε0 εr (V/d) s

Eseguendo il rapporto Q/V si ottiene la capacità C del condensatore piano, espressa in

farad, nella forma: C = Q/V = ε0 εr S/d

Si vede quindi che la capacità è proporzionale alla superficie delle armature e

inversamente proporzionale alla rispettiva distanza, ed è inoltre proporzionale alla costante dielettrica del mezzo interposto.

Se fra le armature si ha l'aria oppure il vuoto εr=1, la capacità del condensatore è del valore

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Se invece fra le armature si ha un dielettrico solido o liquido con costante dielettrica relativa εr ≠ 1 la capacità del condensatore si potrà esprimere per mezzo della relazione

Ne risulta che interponendo fra le armature di un condensatore un dielettrico

materiale, la capacità aumenta e diventa precisamente εr volte maggiore del valore C0 che compete al condensatore in aria.

Ciò dimostra che i dielettrici materiali non hanno la sola funzione passiva di isolare le armature, ma esercitano invece anche una funzione attiva che si concreta in un aumento della capacità del condensatore.

La costante dielettrica relativa εr dà precisamente la misura di questo aumento di capacità rispetto all'aria e cioè definisce il rapporto fra la capacità C di un condensatore avente per dielettrico il materiale considerato, e la capacità C0 che lo stesso condensatore assume se fra le armature si interpone l'aria oppure il vuoto:

Per mezzo di questa semplice relazione si rende possibile determinare, attraverso sole

misure di capacità il valore della costante dielettrica relativa εr della maggior parte dei materiali dielettrici usati nella tecnica.

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Transitori di carica e scarica

La costituzione di un campo elettrico fra le armature di un condensatore inizialmente

scarico vale a dire come sol dirsi, il processo di carica di un condensatore si compie con uno scorrimento relativo fra le cariche elettriche di segno opposto, che sono disgiunte e che affiorano libere sulle superfici delle armature. Tale scorrimento relativo di cariche costituisce una corrente elettrica temporanea la quale prende il nome di corrente di carica del condensatore.

Questa corrente, e la tensione vc ai capi del condensatore, varia nel tempo secondo gli andamenti indicati dai grafici in figura.

Si osserva che la corrente di carica i inizia con la sua massima intensità del valore

I0=E/R All'atto della chiusura del circuito di carica, avente resistenza R, per poi diminuire fino

a ridursi a zero; mentre la tensione vc fra le due armature del condensatore va aumentando fino a raggiungere e uguagliare il valore della tensione d’alimentazione vale a dire il valore E della f.e.m. della batteria.

Il tempo che decorre fra l'istante iniziale e l'istante in cui è raggiunto l'equilibrio Vc=E rappresenta la durata del periodo transitorio di carica del condensatore. Si può dire che la durata di questo periodo (indicato con T in figura) rappresenta l'intervallo di tempo che è impiegato dalla corrente di carica i a trasportare sulle armature del condensatore la quantità d’elettricità Q=C Vc che deve essere assorbita dalle armature del condensatore.

Gli andamenti indicati in figura, dalla corrente di carica i e della tensione ai capi del

condensatore vc, sono delle curve esponenziali espresse analiticamente, in funzione del tempo t, dalle seguenti relazioni

Nelle precedenti relazioni, la grandezza τ è la costante di tempo del circuito di carica,

misurata in secondi e definita dall’espressione τ=RC. Dal valore della costante di tempo τ, e quindi in sostanza dal valore di R e dal valore di

C, dipende la rapidità di variazione della I e della vc negli istanti immediatamente successivi alla chiusura del circuito di carica.

E, infatti, come si vede dai grafici, la costante τ determina l’inclinazione delle rette che sono tangenti alle due curve nel punto t=0.

Da questa grandezza dipende inoltre la durata T del processo di carica, data (in secondi) dalla relazione

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Fenomeni analoghi si ripetono durante la scarica del condensatore, e cioè quando il condensatore (preventivamente caricato) sia staccato dalla batteria d’alimentazione e connesso a un circuito passivo avente una certa resistenza R di scarica.

In tale circuito si stabilisce istantaneamente una corrente I=Vc/R il cui verso è quello dell'armatura positiva alla negativa, e quindi contrario al verso della corrispondente corrente di carica: la corrente di scarica viene perciò rappresentata da una curva i con le ordinate negative (come in figura).

Appena la carica ha inizio, la tensione fra le armature diminuisce e allora diminuisce in

valore anche l'intensità della corrente di scarica: in definitiva, durante il processo di scarica si assiste a una graduale diminuzione della tensione vc ai capi del condensatore e della corrispondente corrente di scarica (espressa in ogni istante dal rapporto i=vc/R), fino ad annullarsi entrambe dopo un tempo T, che definisce il periodo transitorio di scarica, dato ancora dalla

Le espressioni analitiche delle due curve esponenziali di scarica risultano

rispettivamente

E' chiaro che la quantità di elettricità che nel periodo di scarica viene trasportata dalla

corrispondente corrente, deve necessariamente coincidere con la quantità di elettricità Q che era stata comunicata al condensatore durante la carica.

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5 - Collegamenti fra condensatori In molte applicazioni tecniche, i condensatori sono raggruppati in batterie al fine di

conseguire la più adeguata ripartizione della tensione d’esercizio e della carica fra più condensatori. In questi raggruppamenti i condensatori possono essere collegati fra loro in parallelo oppure in serie. Si hanno inoltre i raggruppamenti stella-triangolo per le cui trasformazioni valgono metodi analoghi a quelli considerati per le resistenze.

Collegamento in parallelo

Questo tipo di collegamento consente di aumentare la carica assorbita. Si ottiene

derivando i singoli condensatori di capacità C1, C2, ..., Cn, fra due nodi comuni A e B che vengono a costituire i due morsetti della batteria di condensatori, come rappresentato nelle figure.

Con questo tipo di collegamento si realizzano le proprietà seguenti: - Ciascun elemento è soggetto alla stessa d.d.p. VAB, corrispondente alla tensione

che si applica fra i due morsetti A e B; - Se i condensatori hanno le capacità C1, C2, ..., Cn, essi assumono le cariche

Q1 =C1 Q2 =C2 VAB Qn =Cn VAB - La carica totale della batteria diviene così

Q = Q1 +Q2 + ... +Qn = (C1 +C2 + ... +Cn) VAB - L'intera batteria equivale perciò a un condensatore unico avente una capacità

equivalente è pari alla somma delle capacità dei singoli elementi.

Ceq = Q/VAB = C1 +C2 + ... +Cn Il collegamento in parallelo di n condensatori uguali di capacità C, fornisce quindi una

capacità equivalente Ceq = n C

• Collegamento in serie

Questo collegamento consente di realizzare una batteria di condensatori atta a

sopportare una tensione d’esercizio in ogni modo elevata, pur contenendo la tensione applicata a ciascun elemento entro un limite prefissato.

Tale collegamento corrisponde allo schema in figura ed è eseguito collegando a due a due le armature dei condensatori intermedi escluse la prima e l'ultima alle quali fanno capo i due morsetti A e B della batteria.

In tal modo, tutte le armature intermedie vengono a caricarsi per induzione elettrostatica a partire dalle due armature estreme che vengono direttamente connesse al circuito di carica.

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Il collegamento in serie viene ad assumere le proprietà seguenti: - I condensatori della serie accumulano tutti una egual carica elettrica Q, la quale

coincide anche con la carica totale della batteria; - Se i condensatori presentano le capacità C1, C2, ..., Cn, fra le armature rispettive si

manifestano le tensioni V1 = Q/C1 V2 = Q/C2 Vn = Q/Cn

- La tensione totale ai morsetti della batteria corrisponde alla somma delle tensioni

dei condensatori della serie vale a dire

- L'intera batteria equivale a un condensatore unico avente una capacità equivalente

Nel collegamento serie la capacità risultante Ceq è dunque l'inversa della somma delle

inverse capacità dei singoli componenti. La capacità equivalente è tanto più piccola quanto maggiore è il numero degli elementi

in serie, ed è sempre minore della più piccola fra le capacità dei singoli condensatori. In particolare il collegamento in serie di n condensatori uguali di capacità C, fornisce

una capacità equivalente

In altre parole n volte più piccola di quella di ciascun elemento.

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Energia accumulata nel campo elettrico

Per produrre la separazione, fra cariche elettriche di segno opposto è sempre

necessario spendere un certo lavoro per vincere le forze attrattive attraverso cui tali cariche tendono a ricongiungersi.

Ne risulta che per creare un campo elettrico fra le armature di un condensatore si deve spendere un lavoro il quale si accumula e rimane disponibile allo stato d’energia potenziale del campo finché il condensatore rimane carico, ed è restituito quando, attraverso la scarica, il campo elettrico scompare.

Se la carica del condensatore è realizzata collegando le sue armature ai due poli di un generatore elettrico, il lavoro di carica è compiuto appunto dal generatore che promuove la corrente di carica.

L'entità di questo lavoro è indipendente dal modo con cui si effettua la carica del condensatore: esso dipende esclusivamente, come facilmente si intuisce, dalla quantità di elettricità Q che viene spostata sulle armature e dalla corrispondente tensione V che si stabilisce fra un'armatura e l'altra in base alla nota relazione

Q = C V

E' chiaro che, se la tensione fra le armature del condensatore durante il processo di

formazione del campo mantenesse il valore costante V, allo spostamento da un'armatura all'altra della quantità d’elettricità Q corrisponderebbe un lavoro espresso dal prodotto QV. Ma durante la carica del condensatore la tensione fra un'armatura e l'altra va aumentando gradualmente dal valore iniziale, che è nullo, fino a raggiungere il valore finale dato dal rapporto

V = Q/C E' facile intuire allora che il lavoro W che si deve spendere per eseguire la carica del

condensatore, e l'energia che in questo si accumula, deve essere espresso dal prodotto della quantità d’elettricità Q che partecipa al fenomeno, per il valore medio della tensione fra le due armature che è uguale a V/2. Si ottiene così l'espressione

W = Q V/2

Essendo Q=CV, la stessa energia W può essere espressa anche dalle seguenti relazioni

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I fenomeni magnetici

In natura esistono corpi che hanno (o possono acquistare) la proprietà di attrarre il

ferro. Questa proprietà è posseduta (magnete naturale) dalla magnetite; può essere acquistata (magneti artificiali) dal ferro e sue leghe (ghisa e acciaio), da cobalto, dal nichel e da certe leghe speciali (alluminio, nichel, cobalto).

I magneti artificiali possono essere permanenti o temporanei, a seconda che tendono a conservare o a perdere facilmente le loro proprietà magnetiche.

I principali fenomeni magnetici sono i seguenti: 1) S’immerga nella limatura di ferro un magnete prismatico e lo si estragga senza

scuotimenti: si può constatare che una quantità di limatura rimane ad esso aderente in corrispondenza delle estremità, che vengono perciò chiamate poli magnetici.

2) Si sospenda liberamente un ago magnetico in corrispondenza del suo baricentro: dopo alcune oscillazioni esso assume una posizione ben determinata, alla quale spontaneamente ritorna ogni volta che ne sia rimosso; in questa posizione di libero orientamento, l'ago volge una delle estremità e sempre la stessa, verso il polo nord geografico della terra, l'altra estremità verso il polo sud. Questa constatazione mette in evidenza che le due estremità dell'ago si comportano in modo diverso: per distinguerle, si denomina polo nord quella che si rivolge al nord della terra e polo sud l'altra estremità Su questa proprietà è notoriamente basata la bussola.

3) Se al polo nord di un magnete si avvicina il polo nord di un altro magnete, si costata fra le due estremità una vivissima repulsione (analogamente accade se si avvicinano i due poli sud), e al contrario si avvicinano fra loro i poli opposti dei due magneti, si costata un’energica attrazione. Si conclude che poli magnetici dello stesso nome si respingono e poli magnetici di nome contrario si attraggono.

4) Se si avvicina a una delle estremità di un magnete una barretta di ferro, si può constatare che questa assume senz'altro le proprietà di un magnete: si esprime questo fatto dicendo che la barretta considerata viene magnetizzata per induzione dal magnete (magnete induttore); le estremità del magnete indotto vengono attratte dal magnete induttore: ciò vuol dire che il fenomeno dell'induzione magnetica si manifesta per estremità magnetiche di segno opposto.

5) Suddividendo in parti un qualunque magnete, se ne ottengono sempre degli elementi ciascuno dei quali si presenta ancora dotato delle proprietà di un magnete (figura 1). Procedendo nella suddivisione anche fino all'estremo limite possibile, si trova che ognuna delle minutissime particelle in cui la barra è stata suddivisa si presenta sempre come un piccolissimo magnete.

Questa esperienza porta a raffigurare la costituzione di un qualsiasi corpo

magnetizzato come un aggregato di magnetini elementari nello stesso verso (figura 2): estendendo questa ipotesi, si può ammettere che ogni corpo è costituito da magnetini disposti senza alcun ordine (in maniera che le loro azioni si neutralizzano vicendevolmente): il fenomeno della magnetizzazione può essere allora interpretato come dovuto alla orientazione di tali magnetini in una direzione privilegiata.

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6) Si consideri un magnete prismatico (figura 3). Se si porta un ago magnetico nelle

sue vicinanze, si costata che l'ago prende una determinata orientazione secondo la sua posizione rispetto al magnete. Ciò significa che sull'ago magnetico agiscono determinate forze e che la direzione di questa varia secondo la posizione dell'ago. Tali forze F1 e F2 agiscono in verso opposto sui poli dell'ago, formando una coppia che determina la diversa orientazione dell'ago stesso.

La regione dello spazio in cui si manifestano le forze magnetiche prende il nome di

campo magnetico. Per rappresentare graficamente la conformazione del campo si tracciano le linee di

forza del campo il quale è costituite dalle linee tangenti alle direzioni che sono assunte dall'ago magnetico di prova nei diversi punti e orientare nel verso indicato dal polo nord dell'ago. Queste linee di forza, all'esterno del magnete, partono dal polo nord e raggiungono il polo sud.

Campi magnetici prodotti da correnti elettriche

Un conduttore percorso da corrente produce un campo magnetico nello spazio che lo

circonda. Il fenomeno può essere messo in evidenza, disponendo verticalmente un conduttore rettilineo percorso da corrente (figura 1) e posizionando un ago magnetico di prova nei punti circostanti. Si potrà affermare che l'asse dell'ago magnetico si dispone sempre tangenzialmente ad un sistema di linee chiuse circolari concentriche al conduttore.

Il verso delle linee di forza così generate è fornito dalla regola di Maxwell: Il verso delle linee di forza del campo magnetico generato dalla corrente che percorre

un conduttore è quello secondo cui deve essere fatto ruotare un cavaturaccioli, coassiale al conduttore, per farlo avanzare nel verso della corrente

Se il circuito percorso da corrente ha la forma di una spira circolare, il campo magnetico generato assume l'aspetto rappresentato in figura 2, in cui si ravvisano ancora tante linee di forza chiuse su se stesse e concatenate con la corrente della spira: il verso delle linee può essere determinato applicando la regola di Maxwell, con il cavaturaccioli disposto tangenzialmente alla spira.

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Viene designato col nome di solenoide un sistema di spire contigue e coassiali (figura

3). Il campo magnetico prodotto da un solenoide rettilineo si compone di un fascio di linee di forza che attraversano il solenoide uscendo da un’estremità (polo nord) per rovesciarsi all'esterno e richiudersi all'estremità opposta (polo sud).

Se il solenoide è abbastanza lungo, le linee di forza che lo attraversano sono parallele fra loro: si può dire quindi che un solenoide allungato realizza nel suo interno un campo magnetico uniforme.

Il campo prodotto da un solenoide percorso da corrente assume nello spazio esterno una conformazione che è simile al campo prodotto da un magnete prismatico di uguali dimensioni: le polarità magnetiche generate dipendono dal verso della corrente che percorre il solenoide e possono essere individuate applicando la regola di Maxwell.

Analogamente ai magneti prismatici quando un solenoide o una spira sono immersi in

un campo magnetico, con il loro asse inclinato di un angolo α rispetto alla direzione del campo (figura 4), sono soggetti a una coppia T che tende a orientare l'asse del solenoide o della spira nel verso del campo.

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Inoltre, se di fronte ad un solenoide si pone un pezzo di ferro dolce F come nella

seguente figura, questo viene a magnetizzarsi per induzione (come davanti a un magnete) e successivamente è attratto all'interno del solenoide (potere succhiante del solenoide).

Per stabilire l'intensità H di un campo magnetico può servire un semplice ago

magnetico montato su un dispositivo che consente la misura della coppia agente, come in figura 6. L'ago è immerso successivamente nei diversi punti del campo (in direzione normale alle linee di forza) per rilevare di volta in volta la coppia orientatrice f-f: con questo metodo d’indagine si può immediatamente costatare che: “L’intensità del campo magnetico prodotto da una corrente elettrica è proporzionale, in ciascun punto dello spazio, al valore della corrente stessa”.

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Nel caso particolare di un solenoide si trova che l'intensità del campo dipende

unicamente dalla corrente I, dal numero delle spire N e dalla lunghezza l del solenoide (figura 5). Se si mantiene invariata la lunghezza l coperta dalle spire, l'intensità del campo dipende solo dal prodotto NI fra il numero di spire e la corrente (anche se le spire sono avvolte in più strati concentrici): questo prodotto NI viene designato col nome di forza magnetomotrice (f.m.m.) del solenoide, misurata in amperspire e indicata col simbolo F.

Se invece si varia la lunghezza l del solenoide, mantenendo invariato il numero degli amperspire NI, si ha che l'intensità di campo varia in ragione inversa di questa lunghezza: l'intensità del campo entro il solenoide rimane dunque definita dal rapporto

H = NI / l

L'unità di misura del campo magnetico H è l'ampere al metro (A/m). Riassumendo i fatti esposti si può affermare che il campo magnetico, generato da una

o più correnti, può essere rappresentato da un vettore H, il cui modulo (espresso in ampere a metro) indica l'intensità del campo, la cui direzione è quella della tangente alle linee di forza ed il cui verso è quello indicato dalla regola di Maxwell.

Particolarmente interessante è il caso del campo magnetico prodotto da una corrente I che percorre un filo rettilineo di lunghezza indefinita (figura 1). Alla distanza d dal filo, l'intensità del campo è data dalla relazione seguente detta anche legge di Biot e Savart:

H=I/2pr

Risulta perciò tanto più debole quanto maggiore è la distanza dal filo. Al centro di una

spira circolare (figura 2) si ha invece l'intensità

H=I/2r

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Fenomeno dell'induzione elettromagnetica

Si designa col nome d’induzione elettromagnetica, il fenomeno in base al quale

avviene la nascita di una f.e.m. per mezzo di un campo magnetico. Tale fenomeno si realizza, facendo variare in un modo qualunque il numero o

l'intensità delle linee di forza che sono abbracciate da un circuito elettrico immerso nel campo magnetico.

Questo campo è detto campo induttore, e il circuito che vi è immerso circuito indotto; la f.e.m. che si genera in questo circuito, quando varia il numero o l'intensità delle linee di forza che esso abbraccia, costituisce la f.e.m. indotta.

Figura 1

Si consideri la figura 1 in cui la spira AB abbraccia il magnete permanente NS. Finché il

magnete e la spira sono fermi l'uno rispetto all'altro, il movimento V non segna alcuna tensione: invece, se si sposta il magnete rispetto alla spira, lo strumento segna una tensione che permane finché dura il movimento.

Sperimentando in modi diversi, si trova che il fenomeno dell'induzione elettromagnetica si produce sempre e solo quando, per effetto dello spostamento, venga a variare il numero delle linee di forza abbracciate dal circuito.

Per questa loro speciale proprietà induttiva le linee di forza magnetiche vengono anche designate col nome di linee d’induzione magnetica: corrispondentemente, al complesso di tutte queste linee si assegna il nome di flusso magnetico F del campo.

Se tale flusso è abbracciato N volte dalle spire di un circuito qualunque, al prodotto ΦC=NΦ si attribuisce il nome di flusso concatenato con quel circuito.

Mediante queste definizioni, si può affermare che il fenomeno dell’induzione elettromagnetica si manifesta sempre in conseguenza di una variazione del flusso magnetico concatenato col circuito.

In ogni fenomeno d’induzione il prodotto EΔt fra il valore medio E della f.e.m. indotta e la durata Δt prendono il nome d’impulso della tensione indotta e costituisce, come sol dirsi, il numero dei voltsecondi indotti nel circuito.

Operando allora, come in figura 1, in modo tale da tagliare col circuito AB flussi magnetici di valore doppio, triplo, ecc..

Quest’esperienza permette di stabilire che nel fenomeno d’induzione elettromagnetica il numero dei voltsecondi indotti in un circuito qualunque dipende unicamente dalla variazione ΔΦC subita dal flusso concatenato col circuito, definita dalla differenza

ΔΦC = Φ"C - Φ'C

Fra il valore finale Φ"C e il valore iniziale Φ'C del flusso concatenato.

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Questo fatto permette anzi di esprimere il valore del flusso concatenato semplicemente misurando il numero dei voltsecondi indotti che esso può generare.

Così se ad esempio nella disposizione sperimentale (figura 1) si immagina di tagliare mediante il circuito AB tutte le linee di induzione del magnete nel tempo Δt=0,05 s e di leggere sul voltmetro V che la tensione indotta media durante questo spostamento risulta del valore E=0,3V, si dirà che l'impulso di tensione è EΔt=0,3x0,005=0,015 voltsecondi, e tale sarà il valore della variazione del flusso concatenato ΔΦC: alla unità voltsecondi è stato dato il nome di weber (Wb).

Si ha dunque, per definizione che 1 weber = 1 voltsecondo (1Wb=1Vs). I fatti esposti si riassumono nelle relazioni

EΔt=ΔΦC ; E=ΔΦC/Δt L'ultima relazione costituisce la legge di Neumann, che s’interpreta affermando che il

valore medio della f.e.m. indotta è uguale alla variazione del flusso concatenato col circuito, divisa per la durata della variazione.

Se il circuito indotto è aperto, la f.e.m. indotta si manifesta come una tensione elettrica misurabile ai capi del circuito; se invece il circuito è chiuso, tale f.e.m. vi promuove la circolazione di una corrente, denominata corrente indotta.

Il fenomeno dell'induzione elettromagnetica, potendo fornire una f.e.m. ed una corrente, consente di generare dell'energia elettrica spostando semplicemente un circuito rispetto ad un campo magnetico: è chiaro allora che il processo d’induzione deve compiersi necessariamente con la spesa di un lavoro equivalente.

Quest’osservazione porta a concludere che le f.e.m. e le correnti indotte hanno sempre un verso tale da determinare una reazione che contrasta il movimento per effetto del quale vengono generate: in ciò consiste la legge di Lenz, la quale consente di determinare anche il verso della f.e.m. indotta se si scrive la legge dell’induzione elettromagnetica nella forma

E=-(ΔΦC/Δt) Secondo questa relazione, il segno (e quindi il verso) della f.e.m. indotta è sempre

contrario al segno della variazione ΔΦC del flusso. Tale variazione è da ritenersi positiva se il flusso concatenato è in aumento, e negativa

se tale flusso invece decresce. Ne segue che un valore positivo della f.e.m. indicherà che la corrente nel circuito

indotto dovrà produrre un flusso concorde col flusso induttore; un valore negativo indicherà invece che la corrente indotta dovrà produrre un flusso discorde.

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Densità di flusso o vettore induzione B

Si consideri il campo magnetico uniforme segnato in figura 1, e in questo campo si

immagini tracciata una superficie S normale alle linee di induzione.

Figura 1

Il numero dei voltsecondi indotti che si ottengono tagliando tutte le linee di forza che

attraversano la superficie considerata fornisce la misura del flusso magnetico (espresso in weber) che attraversa la superficie stessa.

Se ora s’immagina di suddividere la superficie S in tanti quadrati aventi ciascuno l'area unitaria, è chiaro che si può anche considerare il flusso corrispondente a ciascuno di questi quadrati: si potrà parlare così di flusso per unità di superficie.

Il flusso riferito all'unità di superficie normale alle linee d'induzione definisce la densità di flusso del campo: questa densità di flusso è denominata semplicemente col nome d’induzione magnetica e designata col simbolo B.

E' chiaro che, se Φ è il flusso totale che attraversa la superficie S, la densità di flusso, o induzione magnetica B, sarà espressa dal rapporto

B = Φ/S

Essa è espressa in weber a metro quadrato, unità che prende il nome di tesla (T). L'esperienza dimostra che l'induzione B è direttamente proporzionale all'intensità del

campo magnetico H e si presenta con caratteristiche di grandezza vettoriale avente la stessa direzione e lo stesso verso del vettore H. Indicando perciò con μ un opportuno fattore sperimentale, si può scrivere la relazione di proporzionalità fra B e H nella seguente forma

B = μH Il fattore di proporzionalità μ è detto permeabilità magnetica, e il suo valore dipende

dalla natura del mezzo fisico in cui ha sede il campo. Per l'aria e tutti i gas, come anche in genere per tutti i materiali non magnetici (come legno, rame, alluminio e i liquidi in genere), la permeabilità magnetica μ ha praticamente lo stesso valore che si riscontra nel vuoto e che viene indicato con μ0:se l'induzione B viene misurata in Wb/m2e l'intensità del campo H viene misurata in A/m, l'unità di misura della permeabilità viene a risultare dalla seguente relazione

μ = B/H All'unità Wb/A si fa corrispondere infatti la denominazione di henry (H). Il valore della permeabilità del vuoto risulta

μr = 4π x 10-7= 1,257 x 10-6 H/m Per ogni altro mezzo fisico si pone:

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μ = μ0 μr assumendo la costante numerica

μr = μ/μ0 A rappresentare la permeabilità magnetica relativa del mezzo fisico considerato.

F.e.m. indotta nei conduttori in moto nel campo magnetico Si consideri un conduttore rettilineo a b immerso normalmente alle linee di forza di un

campo uniforme: tale conduttore faccia parte di un circuito nel quale sia inserito uno strumento indicatore G (come in figura 1). Spostando il conduttore trasversalmente al campo nel verso v in modo che esso venga a tagliare le linee di campo, nel conduttore si genera una f.e.m. indotta E, la quale fa circolare una corrente I attraverso lo strumento.

Figura 1

Se il conduttore anziché verso l'alto è spostato verso il basso, si costata che la

corrente indotta ha verso opposto a quello precedente: questo accade perché, mentre prima il flusso abbracciato dal circuito diminuiva, per effetto dello spostamento, ora invece aumenta.

Il fenomeno considerato si può spiegare in base alla legge generale dell’induzione elettromagnetica. Si può, infatti, osservare che con il movimento del conduttore alla velocità v, in un certo tempo Δt è fatto uno spostamento Δh=vΔt e corrispondentemente sono tagliate, nel loro insieme, tutte le linee di forza che attraversano l'area ΔS=lΔh=lvΔt, essendo l la lunghezza del conduttore immersa entro il campo. Ciò vuol dire che nel tempo Δt avviene una variazione ΔΦC del flusso concatenato col circuito a b c d la cui entità è

ΔΦC = B ΔS = B l v Δt Nel conduttore si genera allora una f.e.m. indotta E che rimane determinata, in valore,

dalla relazione E = ΔΦC/Δt = B l v

Risulta quindi che la f.e.m. è proporzionale all’induzione B del campo, alla lunghezza l

del conduttore ed alla velocità v del movimento. Per quanto riguarda il verso secondo cui agisce questa f.e.m. si può applicare la

seguente regola (figura 2a).

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Si dispongano l'indice, il pollice e il medio della mano destra ad angolo retto fra loro,

volgendo il primo nella direzione del campo e il secondo nella direzione del movimento: il terzo, in pratica il medio, dà la direzione della f.e.m. indotta nel conduttore

Figura 2a

Un'altra regola è quella della mano destra (figura 2b): “Disponendo la mano destra col

pollice aperto nel verso dello spostamento e rivolta in modo che le linee di forza del campo entrino per il palmo, la f.e.m. è diretta nel verso delle dita distese lungo il conduttore”.

Figura 2b

I fatti sopra esposti sono di grande importanza tecnica essendo alla base della

costruzione dei generatori elettrici, nei quali un insieme di conduttori viene appunto fatto muovere all'interno di un campo magnetico, allo scopo di utilizzare le f.e.m. che vengono indotte in essi.

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Fenomeni d’autoinduzione - Energia del campo magnetico

I fenomeni d’induzione elettromagnetica fin qui esaminati si riferiscono al caso

particolare in cui le variazioni del flusso concatenato con un circuito sono prodotte mediante lo spostamento del circuito stesso rispetto al campo magnetico o viceversa.

Esistono però anche fenomeni d’induzione, in circuiti mantenuti fermi, per effetto di variazioni di flusso derivanti, non da movimento, ma da variazioni della corrente che li percorre. Una corrente che percorre un circuito produce, infatti, un campo magnetico che si concatena col circuito stesso: finché la corrente non varia, rimane invariato anche il flusso prodotto, ma se invece la corrente varia, varia corrispondentemente il flusso, e conseguentemente si genera nel circuito una f.e.m. indotta.

Questo particolare fenomeno d’induzione elettromagnetica si denota col nome d’autoinduzione. Esso si manifesta quando il circuito è percorso da una corrente variabile, per effetto delle variazioni del flusso proprio che esso genera: le f.e.m. indotte da queste variazioni sono designate col nome di f.e.m. d’autoinduzione.

Due o più circuiti (percorsi da uguali correnti) possono produrre flussi anche molto diversi, se diversa è la loro forma, il loro perimetro e il loro numero di spire.

Ne segue che, ogni circuito può essere caratterizzato da un proprio coefficiente particolare che lo distingue, in riguardo all’entità del flusso che esso genera e quindi anche agli effetti dei fenomeni d’autoinduzione che esso stesso può subire.

Questo particolare coefficiente si chiama coefficiente d’autoinduzione o induttanza del circuito. L'induttanza di un circuito può definirsi come il flusso che si concatena col circuito quando questo è percorso dall'unità di corrente.

L'induttanza è perciò definita dal rapporto L=ΦC/I tra il flusso concatenato ΦC e la corrente I che produce tale flusso.

L'unità di misura di questa grandezza fisica è il weber all'ampere, denominato henry (H): come già visto 1H=1Wb/A.

Il simbolo grafico dell'induttanza è il seguente (L) Nota che sia l'induttanza L, si potrà calcolare il valore del flusso concatenato col

circuito quando questo è percorso da una corrente d’intensità I: basterà porre ΦC=LI Finché la corrente I che percorre il circuito non varia, anche il flusso concatenato

rimane invariato e quindi nessun fenomeno di autoinduzione si verifica: se invece la corrente nel circuito varia passando da un valore I' a un valore I", il flusso passerà dal valore Φ'C=LI' al valore Φ"C=LI" e cioè subirà una variazione

ΔΦC = Φ"C - Φ'C = L (I"-I') = L ΔI

Per la legge dell'induzione elettromagnetica, in conseguenza di questa variazione di

flusso concatenato, il circuito diventa sede di una f.e.m. d’autoinduzione Ea: se Δt è l'intervallo durante il quale la corrente ha subito la variazione ΔI=I"-I', il valore medio di questa f.e.m. d’autoinduzione risulta

Ea = - ΔΦC / Δt = - L (ΔI/Δt)

Si può dire pertanto che: “In un circuito percorso da corrente variabile, agisce una

f.e.m. d’autoinduzione il cui valore medio è dato dal prodotto dell'induttanza del circuito per il rapporto fra la variazione di corrente e il tempo in cui accade tale variazione”.

I valori istantanei ea (t) della stessa f.e.m. d’autoinduzione sono espressi invece nella relazione seguente

ea(t) = - L (dI/dt) Il verso secondo il quale la f.e.m. di autoinduzione agisce nel circuito in cui si genera,

è definito dal segno negativo che compare, per la legge di Lenz, nella relazione

Ea = - ΔΦC / Δt = - L (ΔI/Δt)

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Perciò la f.e.m. indotta ha sempre verso tale da contrastare la causa da cui ha origine,

tale cioè da contrastare la variazione di corrente: se la f.e.m. di autoinduzione è dovuta a un aumento di corrente, essa agirà in verso opposto alla corrente, dovendo contrastarne l'aumento; viceversa se è dovuta a una diminuzione di corrente, essa agirà nello stesso verso della corrente, dovendo contrastarne la diminuzione.

• Transitori di apertura e di chiusura Il fenomeno dell'autoinduzione si manifesta, in particolare, durante l'apertura o

durante la chiusura di un circuito induttivo. Si consideri un circuito qualsiasi alimentato da un generatore di f.e.m. costante E: se il

circuito ha complessivamente la resistenza elettrica R, la corrente di regime che vi circola è, per la legge di Ohm

I=E/R Si immagini ora che, nell'istante t0, venga tolto dal circuito il generatore che lo

alimenta, lasciando tuttavia il circuito chiuso su se stesso come in figura 1

Figura 1

A seguito di questa manovra la corrente deve estinguersi passando dal valore I sopra

definito al valore zero. In conseguenza della diminuzione di corrente, se il circuito presenta una certa

induttanza L si genera in esso una f.e.m. di autoinduzione ea che agisce nello stesso verso della corrente, e tende a ritardarne la estinzione: il risultato è che nel circuito continua a circolare ancora per un certo tempo una corrente i che è mantenuta dalla f.e.m. di autoinduzione ea.

Il tempo T durante il quale la corrente può ancora circolare, per effetto della f.e.m. di autoinduzione, si chiama periodo transitorio di apertura. In questo intervallo di tempo la corrente assume valori istantanei rappresentati dalla curva esponenziale i(t) (figura 2).

Figura 2

Definiti dalla relazione

In questa, la grandezza τ è la costante di tempo del circuito, misurata in secondi e definita dall’espressione

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Si può ritenere che la durata del transitorio sia espressa dalla relazione

Pertanto, nei circuiti di piccola resistenza e coefficiente d’autoinduzione elevato (come

sono ad esempio gli avvolgimenti delle macchine elettriche), la corrente può mantenersi apprezzabile anche per alcuni minuti dopo aver annullato la f.e.m. applicata.

Un fenomeno analogo si verifica all'atto della chiusura del circuito su una linea di alimentazione alla tensione U (come in figura 3).

Figura 3

Come è indicato dal diagramma in figura 4, la corrente non raggiunge subito il suo

valore di regime I=V/R ma cresce invece con una certa lentezza secondo la curva esponenziale i(t) di equazione

Figura 4

Soltanto dopo un tempo T=5L/R si raggiunge in pratica l’intensità di regime I. Questo lento avviamento della corrente è dovuto ancora al fenomeno di autoinduzione

che si verifica alla chiusura del circuito, quando la corrente dal valore zero passa al valore finale di regime.

In conseguenza di quest’aumento della corrente, si genera nel circuito la f.e.m. d’autoinduzione ea la quale, agendo in verso opposto alla corrente che tende a stabilirsi, ne contrasta l'aumento.

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• Energia del campo Nei circuiti a corrente continua i fenomeni d’autoinduzione sopra considerati si

manifestano solo nei periodi dell'apertura e della chiusura dei circuiti, oppure quando la corrente varia da un certo valore di regime ad un altro.

Nei circuiti a corrente variabile, invece, la f.e.m. d’autoinduzione permane ed agisce durante tutto il tempo del funzionamento.

Nei circuiti a corrente i variabile, ogni variazione Δi della corrente è contrastata dalla f.e.m. di autoinduzione.

Corrispondentemente, la tensione applicata deve vincere non solo la caduta ohmica Ri proporzionale a ciascun valore istantaneo i della corrente, ma anche la f.e.m. di autoinduzione ea che si oppone alle variazioni della corrente stessa: in questi casi, dunque, la legge di Ohm deve essere scritta nelle forme seguenti

Ne segue che il lavoro sviluppato dalla tensione applicata al circuito viene solo in parte

assorbito dalla caduta ohmica e trasformato in calore per effetto Joule, mentre la parte rimanente viene assorbita dalla f.e.m. di autoinduzione: quest'ultimo lavoro viene speso per costituire il campo magnetico concatenato al circuito stesso e si accumula nel campo in questione per costruire l'energia del campo, detta anche energia intrinseca della corrente. Il valore di quest’energia è dato dalla relazione

Analoga alla relazione

Ciò esprime l'energia del campo elettrico. Essa rimane accumulata nel campo magnetico finché la corrente permane al suo

valore di regime I, ed è restituita durante la fase d’estinzione della corrente. Si è visto, infatti, che la corrente nel circuito si mantiene per un certo tempo anche

quando è soppressa la f.e.m. applicata: ciò avviene precisamente a spese dell'energia accumulata nel campo magnetico che si estingue gradualmente insieme alla corrente.

Analogamente a quanto visto per il campo elettrostatico, anche l'energia specifica del campo magnetico può essere espressa in funzione delle due grandezze che descrivono le proprietà del campo in altre parole il vettore intensità H e il vettore induzione B.

Sotto opportune ipotesi d’uniformità, può difatti ricavarsi che l'energia magnetica per unità di volume è espressa dalle relazioni formalmente simili a quelle trovate per il campo elettrostatico.

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Fenomeni di mutua induzione

Se un circuito percorso da corrente è in presenza di un altro circuito, può accadere che

una parte più o meno rilevante delle linee d’induzione generate dal primo circuito arrivi a concatenarsi anche col secondo: si dice in tal caso che i due circuiti sono induttivamente accoppiati, perché ogni variazione di corrente nel primo circuito viene a generare una f.e.m. indotta anche nel secondo circuito. In generale, le f.e.m. che sono indotte in un circuito qualsiasi, in conseguenza delle variazioni della corrente che percorre un altro circuito, sono designate col nome di f.e.m. di mutua induzione.

L'entità di questi fenomeni dipende (oltre che dalle variazioni di corrente) dalla conformazione e dalla posizione reciproca dei due circuiti.

Ogni coppia di circuiti viene perciò caratterizzata mediante il coefficiente di mutua induzione (indicato con M e misurato in henry) il quale dà la misura del flusso che arriva a concatenarsi con ciascuno di essi quando l'altro è percorso dall'unità di corrente: tale coefficiente è definito per mezzo dei rapporti tra il flusso che si concatena con uno dei circuiti e la corrente che percorre l'altro circuito (figura 1).

Figura 1

Pertanto, se ad esempio il primo di essi è percorso da una certa corrente I1, esso invia

a concatenarsi col secondo circuito un flusso ΦC2 che viene espresso dalla relazione

Questo flusso rimane invariato finché il valore della corrente I1 rimane costante. Ma se

la corrente I1 è variabile, varia anche il flusso ΦC2 e di conseguenza, indicando con ΔI1 la variazione di corrente che si ha nel tempo Δt, nel secondo circuito è generata una f.e.m. di mutua induzione Em2 il cui valore medio è espresso dalla seguente relazione

Analogamente, se il secondo circuito è percorso a sua volta da una corrente I2 che

varia nel tempo Δt della quantità ΔI2, si genera nel primo circuito una f.e.m. di mutua induzione Em1 il cui valore medio è espresso dalla seguente relazione

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I valori istantanei em1 ed em2 delle due f.e.m. di mutua induzione sono espressi invece

dalle derivate

Sui fenomeni di mutua induzione sono basati in particolare i trasformatori elettrici. Il valore del coefficiente di mutua induzione M dipende dalle caratteristiche fisiche e

geometriche dei due circuiti accoppiati, e dalla loro reciproca posizione. Se i due circuiti sono disposti in modo tale che l'intero flusso prodotto dal primo vada a concatenarsi col secondo si parla di accoppiamento perfetto. In questo caso, se L1 e L2 sono induttanze dei due circuiti accoppiati, il coefficiente di mutua induzione è dato dalla relazione

nella quale si assume il segno positivo quando le correnti I1 e I2 che interessano i due

circuiti tendono a produrre flussi concordi; si assume invece il segno negativo se i flussi prodotti sono fra loro discordi.

Quando l'accoppiamento magnetico non è perfetto, e cioè nei casi in cui non tutto il flusso prodotto da uno dei due circuiti passa a concatenarsi con l'altro, il coefficiente di mutua induzione M risulta minore del valore fornito dalla precedente relazione, e se con k si indica un opportuno fattore di riduzione compreso fra 0 e 1 si potrà scrivere

Al fattore k si dà il nome di fattore di accoppiamento. Esso indica, col suo valore,

quale è la frazione di flusso che passa dall'uno all'altro dei due circuiti: per k=1 si ha l'accoppiamento perfetto; per k=0 non si ha accoppiamento.

L'energia magnetica che complessivamente si accumula nel campo risultante prodotto dai due circuiti accoppiati è data dalla relazione

In questa, i primi due termini rappresentano l'energia relativa al campo proprio di

ciascuno dei due circuiti, percorsi rispettivamente dalle correnti I1 e I2; l'ultimo termine invece rappresenta la cosiddetta energia mutua, e cioè quella quota dell'energia complessiva che è associata col flusso magnetico scambiando fra i due circuiti, che sarà positiva o negativa a seconda del segno di M.

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Le forze elettromagnetiche

Un conduttore percorso da corrente, ogni volta che attraversa un campo magnetico è

sollecitato da una forza chiamata forza elettromagnetica. Per determinare la forza elettromagnetica F si consideri un campo uniforme, di

induzione B, nel quale sia immerso un circuito percorso da una corrente I (figura 1): il conduttore rettilineo ab è scorrevole sui due conduttori MD ed NE.

Figura 1

Sotto l'azione della forza F, il conduttore ab subisce un certo spostamento Δh in un

dato tempo Δt, il lavoro sviluppato dalla forza è espresso dal prodotto FΔh. Durante lo spostamento, nel conduttore nasce una f.e.m. indotta E=Blv che è diretta

in senso contrario alla corrente I (regola della mano destra) e che si comporta quindi come una forza contro elettromotrice.

Questa, nell'intervallo Δt, assorbirà un’energia elettrica del valore EIΔt=BlvIΔt la quale, per il principio di conservazione, dovrà essere uguale al lavoro meccanico FΔh da cui prende origine: dovrà dunque aversi l’uguaglianza

Da questa si ricava che la forza elettromagnetica F è espressa dalla relazione

Per quanto riguarda il verso secondo cui agisce questa forza si deve osservare che

esso dipende dal verso del campo magnetico e dal verso della corrente nel conduttore. Tale verso è fornito dalla regola delle tre dita della mano sinistra illustrata in figura 2:

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Figura 2

Aprendo il pollice, l'indice e il medio della mano sinistra ad angolo retto fra loro e

disponendo l'indice nella direzione del campo e il medio nella direzione della corrente il pollice segna il verso della forza

Un'altra regola è quella della mano sinistra illustrata in figura 3:

Figura 3

Disponendo la mano sinistra distesa lungo un conduttore nel verso della corrente e col

palmo rivolto in modo tale che le linee di forza entrino per il palmo stesso, il verso della forza elettromagnetica è quello indicato dal pollice aperto.

Sulle forze elettromagnetiche sono basati il funzionamento dei motori elettrici e il funzionamento dei più importanti strumenti elettrici.

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Forze elettrodinamiche

Quando si hanno due circuiti percorsi da corrente, fra loro affacciati, ciascuno di essi

viene a trovarsi immerso nel campo magnetico generato dalla corrente che circola nell'altro circuito: su ciascuno dei circuiti agisce allora una forza (elettromagnetica) che prende il nome di forza elettrodinamica.

Il caso più semplice è rappresentato da due conduttori rettilinei paralleli, percorsi nello stesso verso o in versi contrari da due correnti uguali o diverse.

Nella figura 1 sono rappresentati ad esempio due conduttori paralleli, posti fra loro alla distanza d e percorsi da due correnti I1 e I2 in versi opposti. Si può immaginare che il conduttore I2 si trovi immerso nel campo prodotto dalla corrente I1; questo campo è costituito da linee di forza concentriche al conduttore che lo produce e aventi il verso fornito dalla regola di Maxwell. In tutti i punti occupati dal secondo conduttore, il campo magnetico H1 prodotto dal primo è diretto normalmente al conduttore I2 nel verso indicato in figura.

Figura 1

La forza che viene a esercitarsi su questo conduttore sarà diretta perciò nel verso F2 in

base alla regola della mano sinistra. Corrispondentemente sul conduttore I1 immerso nel campo magnetico prodotto dalla

corrente I2 verrà ad agire una forza F1 uguale ed opposta alla F2. Si può quindi concludere che due conduttori paralleli percorsi da correnti dirette in

verso contrario si respingono. Se si ripetono le considerazioni di cu sopra per il caso di conduttori paralleli, percorsi

da correnti nello stesso verso, le forze F1 ed F2 risultano pure uguali e opposte ma dirette l'una verso l'altra: si può quindi concludere che due conduttori paralleli percorsi da correnti nello stesso verso si attraggono.

Il valore delle forze elettrodinamiche sopra definite è direttamente proporzionale alle

intensità delle due correnti I1 e I2, e inversamente proporzionale alla loro distanza d; dipende inoltre dalla natura del mezzo fisico entro cui è immerso i due conduttori. Se μ è la permeabilità magnetica di tale mezzo fisico, la forza elettrodinamica che agisce su una lunghezza l di ciascuno dei due conduttori paralleli è espressa dalla seguente relazione

F = (μl/2πd) I1 I2

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Curve di magnetizzazione del ferro

La permeabilità magnetica μ già definita, che presenta nel vuoto e in tutti i mezzi non

magnetici il valore μ 0=1,257 x 10-6 H/m, ha invece dei valori più elevati per il ferro, l'acciaio, la ghisa, vale a dire per i cosiddetti materiali ferromagnetici, largamente impiegati nella tecnica.

Questi materiali hanno un comportamento del tutto speciale che si rileva mediante disposizioni sperimentali del tipo di figura.

Si fa circolare una corrente I, misurata mediante un amperometro, nelle N spire di un solenoide di lunghezza nota l, e mediante la relazione

H=NI/l

Si calcola l’intensità del campo H che agisce sul provino del materiale in esame.

Tagliando il flusso generato dal solenoide mediante un opportuno circuito indotto (non

indicato in figura) e misurando il numero dei voltsecondi indotti in questo circuito, si ottiene il valore del flusso Φ espresso in weber: dividendo questo flusso per la sezione retta S del provino si ottiene il valore dell'induzione magnetica B corrispondente all'intensità di campo H prefissata

B=Φ/S A seconda che il solenoide sia avvolto nell'aria, oppure su un nucleo di materiale

ferromagnetico, si rileva che facendo crescere gradualmente l'intensità del campo magnetizzante H (ciò che si ottiene aumentando la corrente I circolante nelle spire del solenoide), l'induzione magnetica B aumenta in misura diversa e precisamente secondo le due distinte curve B0(H) rappresentate in figura.

Si osserva immediatamente che nel materiale ferromagnetico l'induzione B assume dei valori assai più elevati che nell'aria.

Si osserva inoltre il fatto caratteristico che nel materiale ferromagnetico l'induzione B cresce in un primo tempo assai rapidamente, e poi sempre più lentamente al crescere di H, fino a raggiungere un determinato valore BS che si mantiene successivamente quasi costante. Si esprime questo fatto annunciando che nel materiale si raggiunge in tal modo lo stato di saturazione magnetica.

Le curve considerate sono dette curve di magnetizzazione. Data la non linearità di tali curve si dconcludere che la permeabilità magnetica μ dei materferromagnetici non è costante, ma in funzione dell'intensità del campo magnetizzante H. Ciò appare con più evidenza, se si considera un generico punto P della curva di magnetizzazione e si traccia la retta che congiunge tale punto con l'origine degli assi. Si trova che la tangente trigonometrica dell'angolo α formato da questa retta esprime il valore della permeabilità del materiale in corrispondenza di quel punto: quindi si può scrivere

eve iali

μ = B/H = tan α

Poiché ai diversi punti come P corrispondono rette che formano angoli α di valore diverso, si conclude che la permeabilità non è costante ma varia secondo una curva del tipo μ(H) di figura. La μ presenta il suo valore massimo quando il campo H ha l'intensità che corrisponde al punto di tangenza B0. Il valore minimo è quello che corrisponde ad H=0, e costituisce la permeabilità iniziale μin del materiale.

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Isteresi magnetica - Perdite nel ferro

Si supponga di sperimentare ancora per mezzo dei dispositivi (figura 1) e di tracciare

la curva di prima magnetizzazione OSA del nucleo magnetico in esame, (figura 2).

Dopo aver raggiunto un’intensità di corrente d’eccitazione alla quale corrispondono il

valore HM del campo e il valore BM dell’induzione magnetica del nucleo, si supponga di fare decrescere la corrente gradatamente fino a ricondurre a zero il numero degli amperspire.

L'esperienza permette allora di costatare che l'induzione magnetica ritarda a diminuire, conservando valori sensibilmente superiori a quelli assunti per gli stessi valori del campo magnetizzante H nella fase ascendente, in altre parole assumendo i valori della curva AC0.

In particolare quando la corrente è ridotta a zero (e quindi H=0), l'induzione nel ferro conserva ancora il valore Br che costituisce l’induzione residua: il ritardo alla smagnetizzazione prende il nome d’isteresi magnetica.

Se dal momento in cui la corrente magnetizzante è ridotta a zero, si torna a far crescere la corrente nella bobina ma in verso opposto al precedente, il nucleo perde dapprima rapidamente l'induzione residua Br, magnetizzandosi poi in verso opposto con valori dell’induzione che tornano a crescere prima rapidamente e poi lentamente, fino a raggiungere il valore -BM quando l’intensità del campo magnetizzante raggiunge il valore -HM uguale ma opposto al massimo valore raggiunto nella fase precedente.

Dalla figura 2 si vede che l'induzione residua Br si riduce a zero quando il campo H assume il valore negativo OC0=-HC: questo valore che rappresenta l'intensità che il campo magnetico deve assumere, in verso opposto alla magnetizzazione precedente, per annullare la magnetizzazione residua Br, si chiama comunemente forza coercitiva.

Se ora si torna a far diminuire la corrente, riducendo nuovamente a zero il campo magnetizzante H, l'induzione B lentamente diminuisce fino a raggiungere la nuova induzione residua B'r uguale e opposta a quella precedente Br.

Se si inverte ancora la corrente, facendola ricrescere in modo che il campo riassuma il valore HM, si ripete in verso opposto il comportamento già constatato durante la variazione del campo da zero a -HM: e cioè l'induzione residua B'r, diminuisce rapidamente e si annulla per HC=OC'0, indi si inverte, per ricrescere secondo una curva C'0A di andamento all'incirca uguale alla curva C'0A; per H=HM, l'induzione riprende così un valore BM uguale al precedente, e il ciclo si chiude.

La curva chiusa così ottenuta costituisce un ciclo d’isteresi. Un materiale magnetico, percorre un ciclo d’isteresi (simmetrico) ogni volta che è sottoposto all'azione di un campo magnetico il quale varia fra due valori uguali e opposti.

I vari materiali hanno comportamento analogo: variano solamente il valore massimo BM dell'induzione raggiungibile, il valore Br dell'induzione residua e il valore HC della forza coercitiva: variano in altri termini le dimensioni dei cicli di isteresi, ma questi conservano in ogni caso la forma caratteristica rappresentata in figura 2.

Nei periodi in cui la corrente magnetizzante aumenta si deve spendere una certa energia, che si accumula nel campo; quest’energia è restituita quando la corrente diminuisce e il campo si estingue.

Ma poiché anche quando la corrente è ridotta a zero l'induzione conserva ancora un certo valore residuo, questa restituzione non è completa: la parte dell'energia che non è restituita risulta di volta in volta dissipata in calore e costituisce la perdita per isteresi del nucleo in esame.

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Il valore dell'energia che è dissipata per ogni ciclo di isteresi è proporzionale all'area

racchiusa dal ciclo. Per ridurre al minimo, la perdita di energia, è necessario adoperare materiali che presentano cicli d’isteresi aventi minima area.

Il fenomeno di isteresi magnetica è dovuto al fatto che il movimento dei domini è contrastato da particolari attriti interni e quindi, al cessare dell'azione orientatrice del campo magnetizzante i domini non ritornano alla condizione di stato neutro del materiale se non con una certa lentezza e in modo incompleto.

Nuclei magnetici per flussi alternativi

I nuclei magnetici eccitati in corrente alternata di frequenza f vengono interessati da

un flusso alternativo e subiscono f cicli di isteresi al secondo. In questi nuclei avviene perciò una dissipazione d’energia in calore equivalente alla

perdita per isteresi. La potenza perduta è rappresentata dall'energia dissipata in un ciclo moltiplicata per il

numero dei cicli al secondo e cioè per la frequenza f della corrente magnetizzante. La perdita di potenza per isteresi per unità di massa del materiale (perdita specifica) si

valuta, in watt a kilogrammo, mediante la formula si Steinmetz:

In cui Ki è un coefficiente sperimentale dipendente dal materiale. Nei nuclei magnetici interessati da flussi alternativi, oltre alla perdita per isteresi

avviene anche una seconda dissipazione d’energia in calore, per effetto delle correnti indotte nella massa dei nuclei dalle variazioni del flusso magnetico che li interessa: la corrispondente potenza è denominata perdita per correnti parassite.

Se il nucleo è realizzato in forma massiccia, alle normali frequenze industriali tale perdita diventa così rilevante da arroventare il nucleo.

Per contenere le perdite per correnti parassite, entro limiti tollerabili, tutti i nuclei magnetici sede di flussi alternativi dessere perciò realizzati in forma laminata in altre parole costituiti da un pacco di lamiere magnetiche isolate fra loro mediante sotfogli di carta o con vernici isolanti come in figura. Con quest’artificio le correnti indotte, anziché circolare liberanella massa del nucleo, sono obbligate a richiudersi entro lo spessore delle singole lamiere, come in figura, ove incontranpiù elevata resistenza.

ebbono

tili

mente

o una

La perdita di potenza per correnti parassite si calcola, per ogni

kilogrammo di materiale, mediante la seguente formula, in cui Kc è un coefficiente dipendente sostanzialmente dalla resistività del materiale e δ lo spessore dei lamierini.

La somma delle perdite per isteresi e delle perdite per correnti parassite costituiscono

la perdita totale del ferro. In pratica le lamiere magnetiche sono caratterizzate indicandone la cifra di perdita Cp. Questa esprime la perdita totale, riferita a 1 kg di materiale, con un’induzione BM=1T ed alla frequenza f=50 Hz. La cifra di perdita è dell'ordine di 3,5 W/kg per le lamiere normali da 0,8 mm di spessore, e può scendere a meno di 1 W/kg per le lamiere al silicio da 0,5 mm. Noto il valore della cifra di perdita Cp, il calcolo della perdita totale nel ferro Pf, assorbita da un nucleo di massa m sede di un flusso magnetico alternativo d’induzione massima BM e frequenza f, si esegue per mezzo della relazione semiempirica

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Circuiti magnetici

Si consideri un anello di materiale magnetico eccitato da

una bobina formata da N spire serrate, come in figura. Un sistema siffatto prende il nome di circuito magnetico. Quando la bobina è percorsa dalla corrente I, essa crea un campo le cui linee di forza si svolgono entro il nucleo nello spazio racchiuso dalle N spire formando un fascio di linee circolari. L'intensità H di questo campo è data dalla relazione H=NI/l essendo l la lunghezza della linea di forza media. A questo valore di H corrisponde un valore dell’induzione magnetica B,

che dipende dal mezzo in cui si svolge il campo in pratica alla permeabilità magnetica relativa μr del materiale, di cui è composto l'anello:

B = μ H = μ0 μr H

Se S è la sezione dell'anello, il flusso magnetico che attraversa tale sezione sarà

Φ = B S = μ H S Si ha quindi anche

Φ=μ ΗΙ/λ Σ ; Φ l/μΣ = ΝΙ ; Ηλ=ΝΙ Indicando il termine l/μΣ con ℜ si possono scrivere le relazioni

Φℜ=NI ; Φ NI/ℜ ; ℜ=NI/Φ In queste relazioni, la grandezza ℜ=l/μΣ espressa in ampere a weber (A/Wb), prende

il nome di riluttanza magnetica del nucleo. Ricordiamo che al prodotto NI s’impone il nome di forza magnetomotrice (f.m.m.), le espressioni precedenti si possono tradurre nel seguente enunciato: In un circuito magnetico, per produrre un determinato flusso Φ si richiede una forza magnetomotrice NI che è uguale al prodotto del flusso per la riluttanza ℜ del nucleo. In ciò consiste la legge di Hopkinson per i circuiti magnetici, che appare formalmente simile alla legge di Ohm per i circuiti elettrici. Per ottenere un determinato flusso in un circuito magnetico prestabilito bisogna quindi applicargli un’opportuna f.m.m., ossia avvolgere su di esso un certo numero di spire N percorse da una corrente I. Il valore del flusso prodotto dipende però non solo dalla f.m.m. ma anche dalla riluttanza ℜ del circuito magnetico; e precisamente a pari f.m.m. il flusso è tanto maggiore quanto minore è la riluttanza, in altre parole quanto maggiore è la sezione del nucleo che costituisce il circuito magnetico, quanto minore è la lunghezza del circuito stesso e quanto più elevata è la permeabilità del materiale di cui il nucleo è costituito. A questo riguardo è necessario ricordare che il valore della permeabilità μ dipende dal grado di magnetizzazione del materiale magnetico, ossia dal valore dell’induzione B nel materiale. Si dovrà scegliere perciò di volta in volta sulla tabella di magnetizzazione il valore della permeabilità relativa μr, in corrispondenza del numero che esprime l’induzione B che si considera. Spesso, in pratica, si debbono considerare nuclei magnetici che presentano un certo traferro, in altre parole dei brevi intervalli in aria che costituiscono dei tronchi con riluttanza posta in serie alla riluttanza del nucleo, come in figura. In questi casi, dato il flusso Φ che si vuole produrre, si calcolano le induzioni B e BT che si hanno rispettivamente nel nucleo e nel traferro, ponendo rispettivamente

B=Φ/S ; BT=Φ/ST

Sulla tabella di magnetizzazione si sceglie, in corrispondenza del valore di B, la

permeabilità relativa μr per quel dato materiale, e si calcolano la riluttanza del nucleo e quella del traferro con le seguenti relazioni:

ℜ = l /μ0 μr S ; ℜT = lT /μ0 ST

La riluttanza totale ℜT dei due tronchi in serie è dalla somma: ℜt=ℜ+ℜT

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Dopo di ciò si potrà calcolare la f.m.m. ponendo NI=ΦℜT

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Generalità sulle correnti alternate e loro rappresentazione

L'energia elettrica necessaria per le applicazioni industriali e civili è oggi prelevata, quasi

esclusivamente, dalla rete elettrica nazionale in corrente alternata. Solo in casi particolari (linee di trasmissione su lunghe distanze, connessioni sottomarine, ferrovie, impianti elettrochimici) è impiegata la corrente continua.

I motivi che hanno determinato questo predominio delle correnti alternate risiedono nella maggiore semplicità dei generatori di corrente alternata, nella possibilità di eseguire la trasformazione da bassa ad alta tensione e viceversa per mezzo dei trasformatori, e inoltre nella maggiore semplicità e robustezza dei motori a corrente alternata, rispetto a quelli a corrente continua.

La caratteristica essenziale delle correnti alternate è quella di non avere un verso costante e determinato, come le correnti continue, ma di invertirsi continuamente ad intervalli costanti di tempo variando in ciascun intervallo con valori uguali e di verso opposto.

Precisamente, una corrente alternata, durante un primo intervallo di tempo, cresce da zero fino a raggiungere un certo valore massimo, dal quale torna poi a diminuire fino a zero; indi s’inverte per aumentare ancora da zero fino a un valore massimo uguale e di verso opposto al precedente, dal quale ritorna ancora a zero, per invertirsi nuovamente e ripetere indefinitamente le stesse vicende.

Se si conviene di considerare positiva la corrente quando percorre il circuito in un dato verso e negativa quando lo percorre in verso opposto, si può rappresentare una corrente alternata costruendo un diagramma i(t) che ha per ascisse i tempi e per ordinate tutti i valori che la corrente assume negli istanti successivi; per le correnti alternate universalmente impiegate nelle applicazioni industriali, tale diagramma assume la forma sinusoidale indicata in figura 1.

Figura 1

L'intervallo di tempo T durante il quale la corrente i assume tutti i valori positivi e negativi, che

poi si ripetono indefinitamente in tutti gli intervalli uguali e successivi, si chiama periodo: si può dire allora che nel primo quarto di periodo la corrente cresce da zero fino al valore massimo I, nel secondo quarto di periodo decresce da I a zero; quindi si inverte per riprendere nell'altro semiperiodo T/2 gli stessi valori precedenti ma in verso opposto.

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Il valore i, assunto dalla corrente in un determinato istante t costituisce il valore istantaneo della corrente. Il numero dei periodi compresi in un minuto secondo costituisce la frequenza f della corrente alternata. In Italia, come negli altri paesi europei, la frequenza industriale è unificata al valore di 50 periodi al secondo; corrispondentemente ciascun periodo ha la durata di 1/50 di secondo. La durata T del periodo è, per definizione, l'inverso della frequenza f; si hanno dunque le relazioni T = 1/f e f = 1/T. L'unità di misura della frequenza (periodi al secondo) viene denominata hertz (Hz). Per rappresentare il diagramma dei valori istantanei assunti nel corso di un intero periodo da una corrente alternata sinusoidale avente un determinato valore massimo I, si può applicare il metodo grafico (figura 2a e 2b).

Figura 2a

Si segna un segmento OA, di lunghezza pari al valore massimo della corrente I e s’immagina che

questo segmento ruoti con velocità angolare ω attorno al punto fisso O; il suo segmento A viene a descrivere così una circonferenza di raggio OA.

Figura 2b

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Per ciascuno degli istanti t1, t2, ...corrispondenti alle successive posizioni angolari 1, 2, ...assunte

dal segmento rotante, si traccia la corrispondente ordinata ottenuta proiettando sull'asse verticale y il suo punto estremo mobile A.

Le ordinate così ottenute presentano valori come i1=Isinωt1 e forniscono la rappresentazione dei valori istantanei i1, i2, ...assunti dalla corrente alternata nel corso di un periodo. Il semiperiodo positivo corrisponderà alla rotazione da 0 a π e il semiperiodo negativo alla rotazione da π a 2π : il periodo completo T corrisponde a un intero giro del segmento rotante.

Di una corrente sinusoidale si può dare una rappresentazione vettoriale come in figura 3.

Figura 3

L'ampiezza del vettore rotante I rappresenta il valore massimo I della corrente; l'angolo

che lo stesso vettore forma con l'asse x nell'istante t=0 viene chiamato fase della corrente. La rappresentazione vettoriale può essere riferita, oltre che a una corrente, anche a una tensione

o a una f.e.m., purché anch'esse variabili sinusoidalmente nel tempo. In questi diagrammi vettoriali, l'asse y su cui s’immagina di eseguire le proiezioni dei vettori rotanti è detto asse dei valori istantanei; l'asse x invece, al quale sono riferite le rotazioni, costituisce l'asse polare: alcune volte gli assi sono sottintesi; il verso di rotazione dei vettori è quello opposto al movimento delle lancette dell'orologio.

Poiché il vettore rotante deve fare un giro ad ogni periodo, vuol dire che esso descrive l'angolo di 2π rad nel tempo T; perciò esso descrive ad ogni secondo un angolo ω definito dal rapporto

ω = 2π / T = 2πf

Questa grandezza ω=2πf costituisce la velocità angolare del vettore rotante espressa in radianti al

secondo, cui si dà il nome di pulsazione. Alla frequenza del valore di 50 Hz corrisponde la pulsazione

ω = 2 x 3,14 x 50 = 314 rad/s Dalla figura 3 si ricava che i valori istantanei della corrente (proiezioni sull'asse y del vettore

rotante) sono espressi matematicamente dalla relazione

i = I sin ( ω t + φ ) Infatti la posizione angolare che viene raggiunta dal vettore rotante in un dato tempo t (a partire

dalla sua posizione iniziale) corrisponde al valore ωt+φ , essendo ω la velocità angolare e φ la fase della corrente. L'espressione matematica così definita costituisce la rappresentazione analitica i(t) della corrente sinusoidale. Essa consente di determinare, per mezzo del calcolo, i valori che vengono assunti dalla corrente istante per istante: in particolare, nell'istante iniziale t=0 si ottengono il valore

iniziale iO della corrente e la fase φ che risultano i0 = I sin φ sin φ = i0/I

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Generazione delle correnti alternate

Le correnti alternate sono generate da macchine chiamate alternatori. Il principio di

funzionamento di queste macchine corrisponde alla disposizione schematica rappresentata in figura 1, in pratica risiede nel noto fenomeno d’induzione elettromagnetica che si determina facendo spostare un conduttore entro un campo magnetico.

Figura 1

Si consideri il conduttore A disposto lungo una generatrice del cilindro che ha l'asse di rotazione in

O: facendo ruotare questo cilindro nel verso della freccia, il conduttore A viene a tagliare le linee di forza del campo induttore in cui è immerso, e perciò nel conduttore stesso si genera una f.e.m. indotta. Con il verso del campo segnato (fig. 1), applicando la regola della mano destra si riconosce che mentre il conduttore A passa a descrivere il mezzo giro (1)(2)(3), la f.e.m. indotta nel conduttore ha il verso uscente dal foglio (verso indicato con un punto): successivamente, quando il conduttore A passa a descrivere il mezzo giro (3)(4)(1), la f.e.m. indotta si inverte e prende il verso entrante nel foglio (verso rappresentato da una croce). La f.e.m. indotta nel conduttore rotante è dunque una f.e.m. alternata, la quale si inverte ogni volta che il conduttore attraversa il piano yy (detto piano d'inversione): questa f.e.m. compie un periodo T ad ogni giro del conduttore, ed ha perciò una frequenza f pari al numero di giri al secondo compiuti dal conduttore.

Per quanto riguarda i valori istantanei e(t) che la f.e.m. assume nel corso di un periodo (fig. 1) si può osservare quanto segue: essa ha il valore zero quando il conduttore passa per la posizione (1), perché in tale istante il conduttore si muove per un breve intervallo parallelamente al campo senza tagliarlo; quindi va aumentando fino a raggiungere il valore massimo nella posizione (2) in cui il conduttore si sposta normalmente al campo; da questo punto la f.e.m. riprende a decrescere fino ad annullarsi ancora nella posizione (3). Il valore massimo E della f.e.m. indotta avviene in (2) e in (4) quando il conduttore si sposta in modo perpendicolare al campo: se B è l'induzione del campo, l la lunghezza del conduttore e v la velocità periferica del conduttore, tale valore massimo è dato dalla relazione E=Blv.

In un generico istante t il conduttore si porta dalla posizione iniziale (1) alla posizione A definita dall'angolo α=ωt, se ω è la velocità angolare del cilindro. In questa posizione, la velocità v' con cui il conduttore taglia perpendicolarmente il campo magnetico ha il valore v'=vsinα=vsin(ωt): corrispondentemente, l'espressione matematica di tale f.e.m. assume la forma:

e=Blv'=Blvsin(ωt)=Esin(ωt).

All'atto pratico per generare delle f.e.m. sufficientemente elevate si disporranno più conduttori

indotti collegati in serie fra loro, secondo disposizioni particolari, che costituiranno l'avvolgimento indotto dell'alternatore.

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Relazioni di fase - Somma e differenza fra grandezze alternate

Quando si devono considerare insieme due grandezze alternate della stessa frequenza, per

esempio due tensioni oppure due correnti alternate, possono verificarsi due casi. 1) Le due grandezze alternate, nel corso di ciascun periodo, passano insieme per il valore zero,

raggiungono insieme il valore massimo positivo e poi discendono nello stesso istante a zero e così via. Si dice allora che le due grandezze hanno la stessa fase φ0 e cioè sono in concordanza di fase, e sono corrispondentemente rappresentate da due sinusoidi che passano insieme per lo zero e raggiungono insieme i rispettivi massimi positivi e negativi come in figura 1. Le due sinusoidi possono immaginarsi generate da due vettori A e B che ruotano con la stessa velocità angolare ω, mantenendosi sovrapposti e aventi ciascuno una ampiezza pari al valore massimo della grandezza rappresentata e una fase pari all'angolo φ0.

Figura 1

2) Le due grandezze alternate, pur avendo la stessa frequenza, cominciano ciascuna il rispettivo

semiperiodo positivo in due istanti diversi e passano corrispondentemente per il rispettivo valore massimo positivo una prima dell'altra e così via. Si dice allora che le grandezze alternate hanno diversa fase oppure che sono sfasate fra loro: esse sono in tal caso rappresentate da sinusoidi generate da due vettori A e B i quali ruotano insieme con la stessa velocità, ma formano fra loro un certo angolo

φ = φA - φB

Questo angolo definisce la differenza di fase o, come sol dirsi anche, lo sfasamento fra le due grandezze (figura 2). Allo sfasamento angolare φ corrisponde lo sfasamento temporale t (intervallo che decorre fra gli inizi dei semiperiodi delle due grandezze) espresso dalle relazioni

t = φ/ω = (φ/2π)T

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Figura 2

Il vettore che precede nella rotazione si dice in anticipo rispetto all'altro, il qual è a sua volta in

ritardo rispetto al primo. Due grandezze sfasate di un quarto di periodo sono rappresentate da due vettori a 90° fra loro

come in figura 3 e si dicono in quadratura: mentre una di esse ha già raggiunto il valore massimo, la seconda è ancora a zero e sta per iniziare un semiperiodo positivo.

Figura 3

Due grandezze alternate invece che hanno costantemente segno opposto si dicono in opposizione

di fase e sono rappresentate da due vettori direttamente opposti come in figura 4, e cioè sfasati fra loro di 180°, o di mezzo periodo.

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Figura 4

Nello studio dei circuiti a corrente alternata, si presenta spesso il problema di eseguire la somma

o la differenza fra due o più grandezze alternate.

• Per somma di due o più grandezze alternate si intende la grandezza che si ottiene eseguendo la somma algebrica dei valori istantanei contemporanei delle grandezze componenti. Nella figura 5 è indicata l'operazione di somma fra due grandezze sinusoidali y1 e y2 sfasate fra loro di un certo angolo φ : la grandezza risultante y=y1+y2 è ancora sinusoidale, ed è definita dal valore Y=Y1+Y2 che si ottiene, con la regola del parallelogramma, come somma vettoriale dei due vettori che rappresentano le due sinusoidi componenti. Con la rotazione rigida di questo parallelogramma, mentre i vettori Y1 e Y2 generano le due sinusoidi componenti y1 e y2, il vettore risultante Y genera la sinusoide y che rappresenta la somma delle due sinusoidi. Poiché le grandezze componenti sono sfasate fra loro, i due massimi non si verificano nello stesso istante e perciò il valore massimo Y della grandezza risultante è minore della somma aritmetica fra i valori massimi delle componenti. Per il calcolo algebrico del valore massimo Y e della fase φ del vettore risultante Y, si ricorre usualmente al metodo simbolico.

• Per eseguire la differenza vettoriale D=A-B fra due grandezze sinusoidali A e B, basta costruire la

risultante con la regola del parallelogramma fra il primo vettore A e il vettore (-B) uguale e opposto al secondo vettore B, come in figura con l'estremo del primo A, (figura 5a). La stessa differenza è anche rappresentata dal vettore D che congiunge l'estremo del secondo vettore B con l'estremo del primo A (figura 5b).

Figura 5a Figura 5b

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Valore efficace e valore medio di correnti e tensioni alternate.

Se si considera il calore svolto per effetto Joule da una corrente alternata che attraversa una

determinata resistenza elettrica per un dato tempo, è chiaro che trattandosi di una corrente la quale varia continuamente da zero ad un massimo e da questo a zero nei due versi, l'effetto medio risultante potrà essere equiparato a quello di una corrente costante che abbia un opportuno valore compreso fra lo zero e il massimo: questo valore che definisce l'equivalenza termica fra una corrente alternata e una corrente continua è detto valore efficace della corrente alternata.

Figura 1

Si consideri la corrente alternata rappresentata dalla sinusoide i (figura 1). Per calcolare l'energia

W dissipata in calore per effetto Joule da questa corrente nell'intervallo di un periodo, quando essa percorre una data resistenza R, si deve:

1) Dividere l'intervallo di tempo T in tanti piccoli intervalli Δt in ognuno dei quali corrispondenti

valori della corrente, come i1, i2, ..., in, possono ritenersi approssimativamente costanti; 2) Calcolare l'energia dissipata in ognuno di tali intervalli, moltiplicando la resistenza R per il

quadrato della rispettiva corrente e per il tempo Δt; 3) Eseguire la somma di tutti i termini elementari così ottenuti, e porre

L'intensità I della corrente costante termicamente equivalente sarà tale da fornire la stessa

energia W per mezzo della relazione W =RI2 T

Confrontando le due espressioni di W risulta che l'intensità costante cercata, e cioè il valore

efficace I della corrente alternata, è definito dalle seguenti relazioni:

Per le correnti alternate di forma sinusoidale, è facile dimostrare che il valore efficace risulta

uguale semplicemente al valore massimo diviso per √ 2.

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Infatti la somma dei termini del tipo i2Δt non è altro che la somma di tutte le aree rettangolari di

base Δt e altezza i2, e quindi è l'area delimitata dalla curva i2 (figura 1): se questa area viene divisa per il periodo T si trova l'altezza di un rettangolo, di base T, che ha la stessa area. Come si vede nella figura, affinché il rettangolo di base T presenti la stessa area delimitata dalla sinusoide i2, dovrà avere una altezza esattamente uguale al valore I2/2, ed è questo perciò il valore che deve assumere l'espressione sotto radice. Ne segue che per una corrente ad andamento sinusoidale si può scrivere

Si hanno dunque le importanti relazioni

La definizione di valore efficace enunciata per le correnti viene estesa anche a tutte le altre

grandezze elettriche alternate ed in particolare alle tensioni ed alle f.e.m.. Così se una tensione alternata sinusoidale raggiunge ad ogni semiperiodo nei due versi opposti un valore massimo V, si dirà che la tensione considerata ha il valore efficace

Si definisce valore medio nel semiperiodo di una corrente alternata il valore I che corrisponde

all'ordinata media di ogni semionda. Con riferimento alla corrente sinusoidale i (figura 2), si osserva che l'ordinata media è definita dall'altezza del rettangolo che ha per base T/2 e che presenta la stessa area delimitata dalla semionda della corrente i.

Figura 2

Essendo 2I il valore di questa area, eseguendo il confronto con l'area πI del rettangolo si trova

che il valore medio I, è espresso dalla relazione

Si può notare che il valore medio I di una corrente sinusoidale è minore del valore efficace: il

rapporto fra questo e il primo dà il cosiddetto fattore di forma Kf.

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Rappresentazione simbolica di grandezze sinusoidali.

Lo studio dei circuiti elettrici in regime sinusoidale viene molto semplificato con la

rappresentazione mediante vettori rotanti.

Figura 1

Nella rappresentazione simbolica questi vettori vengono riferiti a un piano complesso (Re, Im)

come in figura 1, e definiti algebricamente mediante un numero complesso scritto nelle forme binomie

A = A' + jA" = A cos θ + jA sin θ I vari termini hanno i seguenti significati: j = √ -1 è l'unità immaginaria, definita dalla relazione j2 =-1 A' = A cos θ è la parte reale del vettore A A" = A sin θ è la parte immaginaria dello stesso vettore A, il cui modulo è

e il cui argomento è θ = argtan (A"/A') = argsin (A"/A) = argcos (A'/A). Lo stesso valore A può essere rappresentato in forma esponenziale e polare con le notazioni

L'impiego delle espressioni simboliche sopra definite consente di risolvere algebricamente i

problemi relativi alle reti elettriche in regime sinusoidale mediante le stesse equazioni che si applicano per le reti in corrente continua, semplicemente sostituendo in esse alle grandezze scalari come E, V, I che rappresentano le f.e.m., le tensioni e le correnti continue, le espressioni simboliche delle grandezze vettoriali E, V, I che rappresentano le stesse grandezze in regime sinusoidale, e sostituendo inoltre ai simboli delle grandezze reali come le resistenze R, le corrispondenti espressioni simboliche Z=R+jX che rappresentano in termini complessi le impedenze.

Per quanto riguarda la scelta fra le diverse forme delle espressioni simboliche indicate valgono le osservazioni seguenti:

• La forma binomia del tipo A=A'+jA" consente la più rapida soluzione dei problemi alle somme

vettoriali di più grandezze, che si risolvono eseguendo separatamente le somme algebriche delle componenti reali e immaginarie dei singoli vettori, secondo relazioni del tipo

S = A1 + A2 + ... = (A'1 + A'2 + ...) + j (A"1 + A"2 +...)

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che definisce il vettore risultante S il cui modulo è

e il cui argomento è

• La forma polare (o la forma esponenziale) consente invece la soluzione immediata delle operazioni di moltiplicazione di un vettore come

per un operatore vettoriale del tipo

semplicemente moltiplicando i due moduli e sommando tra loro i due argomenti: ne risulta un

vettore definito da una relazione del tipo

con V=ZI e φV=φZ+φI Analogamente, l'operazione di divisione diventa

con I=V/Z e φI=φV+φZ Si ricordi che i vettori rappresentativi delle grandezze sinusoidali sono dei vettori d’ampiezza

costante idealmente rotanti nel piano complesso con velocità angolare costante ω e perciò caratterizzati da un argomento θ variabile nel tempo secondo la relazione θ=ωt+φ: essi sono rappresentati nella posizione corrispondente all'istante t=0; a questa posizione compete l'argomento θ0=φ il quale definisce la fase della grandezza rappresentata. Nell’esecuzione pratica dei calcoli, e dei diagrammi vettoriali relativi, sono comunemente assunti come moduli i valori i valori efficaci delle varie grandezze in luogo dei corrispondenti valori massimi.

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Circuiti ohmico-induttivi.

a) Circuiti puramente ohmici Si consideri un circuito puramente ohmico (figura1) percorso da una corrente alternata

d’equazione i=I sinωt.

Figura 1

La tensione esistente ai capi della resistenza R del circuito è espressa, in ciascun istante, dalla

relazione VR=Ri=RI sinωt =VR sinωt. Se dunque la corrente varia secondo il diagramma sinusoidale i, la tensione ai capi del circuito

varia essa pure secondo una sinusoide vR le cui ordinate si ottengono moltiplicando per R le ordinate rappresentative della corrente: corrispondentemente, se la corrente è rappresentata dal vettore rotante I, la tensione viene rappresentata da un vettore rotante VR di ampiezza VR=RI in fase con I. Dividendo per √2 si ottiene la relazione fra i valori efficaci VR e I della tensione e della corrente nella forma VR=RI.

In termini simbolici, in altre parole in termini vettoriali, si scriverà invece VR=RI Si può dire quindi che in un circuito puramente ohmico la corrente e la tensione si mantengono in

fase fra loro, e fra i rispettivi valori efficaci, a qualsiasi frequenza, vale la legge di Ohm nella stessa forma che essa avrebbe in corrente continua.

b) Circuiti puramente induttivi Quando in un circuito avente induttanza L (figura 2) circola una corrente sinusoidale d’equazione

i=I sinωt nel circuito nasce una f.e.m. d’autoinduzione espressa da

Ponendo, in questa, -cos ω t = sin (ω t - 90°) si ottiene e = ω LI sin (ω t - 90°)

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Figura 2

Questa f.e.m. è anch'essa sinusoidale, ma è sfasata di 90° in ritardo rispetto alla corrente che la

produce. Il suo valore massimo e il suo valore efficace sono definiti dalla relazione seguente: E = ω LI Poichè nel circuito è presente la f.e.m. e, ed è invece nulla la resistenza, applicando la legge di

ohm si dovrà scrivere: vL = -e = ω L I sin (ω t + 90°)

L'ultima relazione viene interpretata dicendo che in un circuito puramente induttivo la tensione vL

è in ciascun istante uguale ed opposta alla f.e.m. di autoinduzione e. Infatti la f.e.m. di autoinduzione si oppone alle variazioni della corrente: affinché la corrente possa effettivamente permanere nel circuito è perciò necessario applicare ai capi del circuito stesso una tensione che faccia equilibrio in ciascun istante alla f.e.m. di autoinduzione. Si esprime questo fatto dicendo che il fenomeno dell'autoinduzione provoca una caduta induttiva di tensione, uguale e contraria alla f.e.m. d’autoinduzione.

La tensione vL da applicare al circuito risulta così in opposizione di fase alla f.e.m. e; il corrispondente vettore rappresentativo vL è uguale e opposto al vettore E, e perciò risulta sfasato di 90° in anticipo rispetto al vettore I che rappresenta la corrente.

Il valore massimo della tensione è vL =ωLI, pari al valore massimo E della f.e.m. di autoinduzione; il suo valore efficace risulta perciò vL =ωLI essendo I il valore efficace della corrente.

Il prodotto ωL viene correntemente indicato con XL ponendo XL=ωL=2πfL per scrivere di conseguenza vL = XL I

Nella rappresentazione simbolica, per tenere conto del fatto che il vettore vL deve risultare a 90° in anticipo rispetto al vettore I, si dovrà scrivere

VL=j XL I = j ω LI

Il fattore immaginario jXL=jωL che tiene il posto di una resistenza, è designato col nome di

reattanza induttiva del circuito, ed è misurata in ohm. Inversamente si può dire che applicando al circuito induttivo una tensione V esso assorbe una

corrente il cui vettore rappresentativo è dato dal rapporto I=V/jXL e risulta sfasato di 90° in ritardo rispetto alla tensione.

In pratica, i circuiti puramente induttivi non esistono ma sono considerati come tali quei circuiti in cui la resistenza ohmica è trascurabile rispetto alla reattanza.

Naturalmente molto dipende dalla frequenza, perché se la frequenza è bassa anche una forte induttanza dà luogo a una reattanza modesta, mentre se la frequenza è molto alta, anche una induttanza relativamente piccola presenta una reattanza notevole.

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c) Circuiti ohmico-induttivi Nel caso più generale, un circuito elettrico presenta sempre una certa resistenza ohmica R ed una

certa induttanza L, e corrisponde perciò allo schema in figura 3. Sia I il vettore rappresentativo della corrente che attraversa il circuito. La caduta ohmica dovuta

alla resistenza R è rappresentata dal vettore VR di ampiezza VR=RI in fase con il vettore I. D'altra parte, se f è la frequenza, l'induttanza L oppone alla corrente una reattanza XL=2πfL, la quale determina una caduta induttiva che è rappresentata da un vettore VL di ampiezza VL=XLI e sfasato di 90° in anticipo rispetto al valore I.

Ne segue allora che per mantenere nel circuito la corrente I si dovrà applicare al circuito stesso una tensione definita in ampiezza e fase dal vettore risultante V=VR+VL secondo le costruzioni grafiche riportate in figura 3.

Questi diagrammi sintetizzano l'intero comportamento del circuito ohmico-induttivo che può essere così riassunto: la tensione V da applicare al circuito per mantenervi una corrente sinusoidale è determinata in ampiezza e fase dall'ipotenusa di un triangolo rettangolo che ha per cateti il vettore rappresentativo della caduta ohmica VR=RI, in fase con il vettore rappresentativo della corrente I, e il vettore rappresentativo della caduta induttiva VL=jXLI sfasato rispetto alla corrente di 90° in anticipo. Questo triangolo costituisce il triangolo delle tensioni del circuito.

Si conclude che la tensione totale ai capi del circuito è rappresentata da un vettore V che risulta sfasato in anticipo rispetto alla corrente I di un certo angolo φ il cui valore dipende dalla resistenza R e dalla reattanza XL del circuito.

Per il calcolo di questa tensione basta applicare il teorema di Pitagora al triangolo predetto

Ne risulta l'espressione

Rispetto ai valori della corrente e della tensione, il circuito si comporta quindi come se fosse

dotato di una resistenza apparente definita in ohm dall'espressione

questa resistenza apparente viene designata col nome di impedenza del circuito e indicata con Z;

essa è definita dalla relazione

Conseguentemente, si esprime il valore della tensione mediante la relazione V=ZI. L'impedenza Z risulta geometricamente rappresentata dall'ipotenusa di un triangolo rettangolo

che ha per cateti la resistenza R e la reattanza XL. Questo triangolo è detto triangolo dell'impedenza e risulta simile al triangolo delle tensioni. La determinazione dell'angolo di sfasamento φ fra tensione e corrente può essere fatta calcolandone la tangente mediante il rapporto tan φ = XL/R.

Con le notazioni del metodo simbolico i fatti sopra esposti si traducono nelle relazioni vettoriali

Se si pone

a rappresentare la impedenza simbolica del circuito, la relazione fra tensione e corrente diventa

semplicemente V=ZI.Si può quindi dire che un circuito ohmico-induttivo presenta un’impedenza rappresentata da un numero complesso che ha come parte reale la resistenza R e come coefficiente dell'immaginario la reattanza XL l'argomento φ=argtan XL/R dell’impedenza esprime l'angolo di sfasamento fra la tensione e la corrente del circuito.

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Circuiti ohmico-capacitivi.

a) Circuiti puramente capacitivi Si consideri un condensatore come in figura 1 e si supponga che la resistenza e l'induttanza delle

connessioni siano nulle: si dice in tal caso che si tratta di un circuito puramente capacitivo. Fra le armature del condensatore, di capacità C, agisca la tensione rappresentata dalla curva sinusoidale vC di figura 2, la quale varia nel tempo secondo la legge vC=VCsinωt essendo VC il valore massimo e ω la pulsazione. In queste condizioni, se in un tempo dt la tensione subisce un incremento dvC il condensatore assorbe una certa corrente i, e la sua carica subisce un incremento del valore dq=idt=CdvC

Figura 1

Per la corrente assorbita dal condensatore dovrà quindi risultare

Ponendo, in questa, cos ωt=sin (ω+90°) si ottiene l'espressione i=ωCVC sin(ωt+90°) Si vede quindi che il circuito del condensatore è sede di una corrente sinusoidale come la tensione

impressa, sfasata rispetto a questa di 90° in anticipo, con un valore massimo espresso da IC=ω CVC La tensione e la corrente vengono a corrispondersi secondo le relazioni di ampiezza e fase

rappresentata in figura 2: mentre la tensione aumenta da zero al valore massimo VC, il condensatore si scarica assorbendo le cariche q con una corrente che inizia col valore massimo IC e che va poi gradualmente diminuendo fino a ridursi a zero. Successivamente, la tensione alle armature diminuisce da VC a zero e il condensatore si scarica mediante una corrente analoga alla precedente ma di verso opposto. Nel mezzo periodo successivo si ripetono vicende analoghe, con il condensatore che si carica in verso opposto.

Passando dai valori massimi ai valori efficaci si ottiene la relazione IC=ωCVC. Se si pone

XC = 1/ωC = 1/2πfC la corrente IC viene a essere definita dal rapporto IC=VC/XC Questa relazione si interpreta dicendo che il condensatore oppone al passaggio della corrente

alternata una specie di resistenza apparente XC=1/(ωC) alla quale si dà il nome di reattanza capacitiva, misurata in ohm.

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Figura 2

Corrispondentemente, volendo far attraversare un dato condensatore da una corrente alternata di

valore efficace IC prefissato, occorrerà applicare alle sue armature una tensione di valore efficace

VC=XCIC Nel linguaggio tecnico, si dice allora che un condensatore inserito in un circuito percorso da

corrente alternata sinusoidale, provoca una caduta capacitiva VC che ha il valore efficace XCIC ed è sfasata di 90° in ritardo rispetto alla corrente.

Nella rappresentazione simbolica si tiene conto di questo risultato scrivendo la precedente relazione nella forma

VC = -jXCIC = -j (1/ωC)IC Con ciò la reattanza simbolica capacitiva viene ad essere rappresentata da un numero

immaginario negativo, e i suoi effetti sono esattamente opposti a quelli di una reattanza induttiva. b) Circuiti ohmico-capacitivi All'atto pratico il circuito che si collega alle armature di un condensatore presenta sempre una

certa resistenza ohmica R e assume le caratteristiche corrispondenti allo schema di figura 3.

Figura 3

La tensione totale V ai capi del circuito, si ottiene in tal caso componendo vettorialmente la

caduta ohmica VC=RI (in fase con la corrente) con la caduta capacitiva VC=XCI (a 90° in ritardo). Si ha così il triangolo delle tensioni di figura 4.

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Figura 4

Il valore efficace della tensione viene a risultare

Per l'effetto combinato dalla resistenza ohmica R e della reattanza capacitiva XC il circuito oppone

così alla corrente un’impedenza capacitiva

Questa impedenza è rappresentata dall'ipotenusa di un triangolo rettangolo che ha per cateti la

resistenza R e la reattanza capacitiva XC (figura 5).

Figura 5

In questo tipo di circuito, la corrente è sfasata in anticipo sulla tensione di un certo angolo φ ,

compreso fra 0° e 90°, definito in valore dalla relazione tan φ =XC/R. Nella rappresentazione simbolica, all’impedenza capacitiva corrisponde l'espressione complessa

Z = R - jXC = R - j (1/ωC)

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Impedenze in serie.

Se si collegano in serie più impedenze come le Z1, Z2, Z3 di figura 1, le rispettive tensioni V1, V2,

V3 risultano espresse dalle relazioni simboliche essendo I la comune che le attraversa.

V1=Z1I=(R1+jX1)I V2=Z2I=(R2+jX2)I V3=Z3I=(R3+jX3)I

Figura 1

In base alla legge di Ohm e al teorema di Steinmetz-Kennelly, la tensione V ai capi della serie

sarà espressa dalla relazione simbolica V=V1+V2+V3. Per eseguire questa somma occorre costruire i triangoli delle tensioni relative alle varie

impedenze uno di seguito all'altro come in figura 2.

Figura 2

La tensione risultante V è formata da una componente attiva VR in fase con la corrente, pari alla

somma aritmetica di tutte le cadute ohmiche della serie, e di una componente reattiva VX a 90° in anticipo o in ritardo, pari alla somma algebrica di tutte le cadute induttive ( o capacitive)

VR = (R1+R2+R3) I ; VX = (X1+X2+X3) I

Il valore della tensione totale ai capi della serie è pertanto:

Il suo sfasamento rispetto alla corrente è definito dalla relazione:

tan φ = (X1+X2+X3) / (R1+R2+R3)

Con diagramma analogo si esegue la composizione delle impedenze (figura 3): le impedenze in

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serie si compongono cioè geometricamente, costruendo uno di seguito all'altro i triangoli delle impedenze singole.

Figura 3

L'intera serie equivalente nel suo complesso a un'unica impedenza avente una resistenza

equivalente pari alla somma di tutte le resistenze e una reattanza equivalente pari alla somma (algebrica) di tutte le reattanze

R=R1+R2+R3 ; X=X1+X2+X3

Il valore dell'impedenza equivalente della serie risulta

Questo valore è minore della somma aritmetica delle impedenze componenti, salvo il solo caso in

cui tutte queste impedenze abbiano lo stesso argomento φ . In termini simbolici si ha semplicemente

Z=Z1+Z2+Z3=(R1+jX1)+(R2+jX2)+(R3+jX3) Ne risulta

Z=(R1+R2+R3)+j(X1+X2+X3)=R+jX

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Impedenze in parallelo - Ammettenza.

In un circuito formato da più impedenze in parallelo (figura 1), le varie impedenze risultano

alimentate tutte dalla stessa tensione V: le correnti assorbite dalle singole impedenze sono definite dalle relazioni I1=V/Z1; I2=V/Z2; I3=V/Z3.

Figura 1

Queste correnti risultano ordinatamente sfasate in ritardo (o in anticipo) sulla tensione degli

angoli φ1, φ2, φ3 definiti dalle relazioni tanφ1=X1/R1; tanφ2=X2/R2; tanφ3=X3/R3 Ne risulta il diagramma vettoriale indicato nella figura 2. La corrente totale I nel filo di linea si

ottiene costruendo la somma vettoriale dei vettori I1, I2, I3 che rappresentano le diverse correnti I=I1+I2+I3.

Figura 2

Questo risultato esprime il primo principio di Kirchhoff esteso alle reti in regime sinusoidale. Si può anche porre, direttamente I=V/Z ove Z è la impedenza equivalente del circuito espressa

dalla relazione Z = 1 / (1/Z1) + (1/Z2) + (1/Z3)

Si ha dunque una perfetta analogia coi circuiti a corrente continua, purché si considerino, in luogo

delle resistenze, le impedenze espresse per mezzo delle loro notazioni simboliche. Per due soli rami in parallelo si ha in particolare

Z = Z1Z2 / (Z1+Z2)

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• AMMETTENZA Viene chiamata ammettenza Y di un circuito la grandezza inversa dell’impedenza

Y = 1 / Z = 1 / V Per il calcolo dell'ammettenza basta porre (considerando insieme i circuiti induttivi e capacitivi)

Le due componenti dell'ammettenza (espresse in siemens) vengono chiamate, rispettivamente

conduttanza e suscettanza del circuito.

G = R / (R2+X2) ; B = X / (R2+X2) Esse rappresentano il circuito stesso per mezzo di due rami fra loro in parallelo (figura 3) che

assorbono rispettivamente le due componenti attiva e reattiva della corrente la prima in fase con la tensione V e la seconda in quadratura.

Figura 3

IG = I cos φ ; IB = I cos φ

Tali componenti sono espresse dalle relazioni

La corrente totale I è invece espressa dalle relazioni

I = YV = (G ± jB)V = IG+IB Quando si hanno circuiti fra loro in parallelo, è facile controllare che l'ammettenza equivalente è

pari alla somma delle ammettenze componenti

Y = Y1+Y2+Y3 = (G1+G2+G3) + j(±B1±B2±B3)

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Risonanza.

a) Circuito serie Con riferimento al circuito rappresentato in figura 1, la tensione v ai capi della serie è uguale in

ogni istante alla somma algebrica dei valori istantanei contemporanei delle tensioni vR, vL, vC esistenti ai capi della resistenza, della induttanza e della capacità.

Figura 1

In regime sinusoidale questa somma algebrica fra i valori istantanei si risolve in una somma

vettoriale che ha per lati consecutivi il vettore VR=RI in fase con la corrente I, il vettore VL=jXLI a 90° in anticipo rispetto alla corrente I, il vettore VC=-jXCI a 90° in ritardo rispetto alla corrente I.

Supponendo XL>XC, si ha il diagramma in figura 2.

Figura 2

Si osserva che le tensioni misurate ai capi dell'induttanza e del condensatore sono rappresentate

da due vettori opposti:

Figura 3

la loro somma vettoriale si traduce così in una differenza aritmetica, come nel diagramma in

figura 3 che rappresenta la composizione vettoriale

V = VR+VL+VC = VR+VX

corrispondente alla relazione simbolica

V = R I + jXL I - jXC I = R I + j(XL-XC)I = (R+jX)I = Z I

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Come si vede, l'effetto risultante delle due reattanze in serie XL, e XC corrisponde a quello di una

reattanza equivalente X di valore pari alla differenza

X = XL-XC = ωL-1/ωC mentre l'impedenza del circuito risulta

Z = R + jX = R + j(XL -XC) Le due reattanze induttiva e capacitiva esercitano l'una rispetto all'altra un'azione di compenso

per modo che la reattanza complessiva del circuito può anche risultare più piccola delle due reattanze singole: fra le due reattanze di segno opposto prevale naturalmente quella che ha maggior valore, e il circuito assume nel suo complesso un carattere induttivo o capacitivo secondo che prevalga l'una o l'altra reattanza.

Se XL è maggiore di XC (cioè ωL>1/ωC), la reattanza risultante X=XL-XC rimane positiva e il circuito conserva carattere induttivo: la tensione ai capi della serie risulta in tal caso sfasata in anticipo sulla corrente dell'angolo φ .

Se invece XL è minore di XC (cioè ωL<1/ωC), la reattanza risultante X=XL-XC diviene negativa e si ha nel complesso un circuito a carattere capacitivo. Il diagramma vettoriale prende in tal caso la forma di figura 4: la tensione totale V risulta sfasata in ritardo sulla corrente dell'angolo φ .

Figura 4

Se infine si realizza la condizione XL=XC (cioè ωL=1/ωC), la reattanza risultante X=XL-XC, diventa

nulla e si ha nel complesso un circuito con carattere ohmico. In tal caso il diagramma vettoriale assume la forma particolare rappresentata in figura 5:

Figura 5

La tensione totale risulta V=VR+VL+VC=VR=RI poiché le due tensioni VL e VC ai capi della

induttanza e della capacità vengono a risultare uguali e di verso opposto. Avendosi XL-XC=0, l'impedenza del circuito diviene

Cioè risulta uguale alla resistenza ohmica R: il circuito si comporta come se fosse senza reattanza, e cioè come se avesse solo resistenza ohmica.

In queste condizioni si ha l'esatto compenso fra gli effetti dell'induttanza e della capacità: si dice perciò che il circuito è in regime di risonanza. Poiché in tal caso si ha l'uguaglianza XL=XC, si può dire che in un circuito con induttanza e capacità in serie si verifica la risonanza quando si ha ωL=1/(ωC) cioè ω2

LC=1. La condizione di risonanza dipende, oltre che dai valori di L e di C, anche dal valore della

frequenza φ : per una data induttanza L e una data capacità C, il circuito entra in risonanza se la frequenza soddisfa alla relazione

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Questo valore fR si chiama frequenza di risonanza. Per una data frequenza, un circuito può essere

portato in risonanza variando l'induttanza o la capacità. Se si varia l'induttanza, la risonanza è raggiunta quando la capacità assume il valore

Se si varia la capacità, la risonanza è raggiunta quando la capacità assume il valore

Spesso, in condizioni di risonanza, pure compensandosi reciprocamente, le due tensioni XLI e XCI

esistenti ai capi dell'induttanza e della capacità possono assumere valori anche molto più elevati della tensione V che si ha agli estremi del circuito: queste maggiori tensioni prendono il nome di sovratensioni di risonanza.

b) Circuito parallelo Si consideri il circuito (figura 6), costituito da un ramo induttivo (con resistenza ohmica RL e

reattanza XL) in parallelo con un ramo capacitivo (costituito da una resistenza RC e da una reattanza XC).

Figura 6

Sia V la tensione di frequenza f applicata fra i capi dell'arco doppio. Il lato induttivo assorbe una

corrente IL il cui valore e il cui sfasamento φ L in ritardo risultino

Il lato capacitivo assorbe la corrente IC di valore e sfasamento φ C in anticipo dati da

Il diagramma vettoriale assume la forma indicata in figura 7.

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Figura 7

Nel caso particolare, messo in evidenza nella figura 8, in cui si realizza l’uguaglianza IBC=IBL la

corrente totale assorbita I=IL+IC può risultare in fase con la tensione V.

Figura 8

L'arco doppio equivale allora nel suo complesso a un circuito puramente ohmico: si dice che in tal

caso il circuito è in regime d’antirisonanza. Se il circuito si riduce a una induttanza pura in parallelo con una capacità pura, come figura 9, la

corrente IL risulterà in opposizione di fase rispetto alla corrente IC.

Figura 9

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Se inoltre queste due correnti sono anche uguali in valore (regime di risonanza), la corrente

risultante I si annulla. Si arriva allora a questo risultato, apparentemente strano: la linea che alimenta l'arco doppio non

è percorsa da alcuna corrente (come se fosse interrotta in pratica d’impedenza infinita), mentre i due lati dell'arco sono percorsi da correnti uguali e opposte che possono avere dei valori anche assai elevati (sovracorrenti di risonanza). In tal caso il regime è tale che le due correnti IL e IC, uguali in valore e direttamente opposte, corrispondono ad un'unica corrente che oscilla in seno al circuito chiuso costituito dall'induttanza e dalla capacità: il valore della frequenza di risonanza è pari a quello già trovato per il circuito serie.

Più in generale, e cioè in presenza di resistenze come RL ed RC nei due rami derivati, la frequenza di risonanza si ottiene ponendo l’uguaglianza IBL=IBC fra le componenti reattive delle due correnti: in base alle seguenti relazioni

dovrà quindi risultare

Sostituendo le espressioni XL=ωL e XC=1/(ωC) e risolvendo rispetto a ω si ottiene

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Fenomeni di mutua induzione fra circuiti a corrente alternata.

E' noto che se due circuiti sono posti in presenza l'uno dell'altro, può accadere che il campo

magnetico generato dal primo circuito arrivi tutto o in parte a concentrarsi con il secondo e viceversa. In regime di correnti variabili i due circuiti sono allora mutuamente dipendenti, perché ogni variazione di corrente nell'uno fa sorgere una f.e.m. di mutua induzione nell'altro.

L'entità del fenomeno dipende dal valore del coefficiente di mutua induzione M il quale è legato a sua volta ai valori delle induttanze proprie dei due circuiti mediante la relazione

essendo k quel numero, minore o uguale a 1, che costituisce il fattore di accoppiamento fra i due

circuiti. Analogamente a quanto già visto per la f.e.m. di autoinduzione (espressa da E=ωLI e sfasata di 90° in ritardo sulla corrente) nel caso della mutua induzione si trova che se il primo circuito è percorso da una corrente alternata di valore efficace I1, questa induce nel secondo circuito una f.e.m. che assume il valore efficace E2=ωMI1, e che risulta sfasata di 90° in ritardo rispetto alla corrente I1 che la induce. Al prodotto ωM si attribuisce il nome di reattanza mutua fra i due circuiti e si pone

ωM = 2πfM = XM Il valore efficace della f.e.m. di mutua induzione generata nel secondo circuito si esprime con ciò

mediante la relazione E2 = ωMI1 = XMI1

Nei diagrammi vettoriali questa f.e.m. viene rappresentata da un vettore E2 a 90° in ritardo

rispetto al valore I1 come in figura 1.

Figura 1

Reciprocamente se il secondo circuito è percorso a sua volta da una corrente I2, si ha nel primo

circuito una f.e.m. di mutua induzione E1 che ha il valore efficace

E1 = ωMI2 = XMI2 ed è sfasata di 90° in ritardo sulla corrente I2. Nella rappresentazione simbolica queste f.e.m.

sono espresse dalle relazioni E1 = -jXMI2 ; E2 = -jXMI1

Della f.e.m. di mutua induzione si tiene conto allo stesso modo di una qualunque altra f.e.m.

presente in un circuito.

Figura 2

Così, se ad esempio si considerano i due circuiti accoppiati di figura 2, la legge di Ohm per l'uno e

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per l'altro di essi dovrà essere scritta ponendo

V1+E1 = R1I1+jX1I1 E2 = R2I2+jX2I2 A queste equazioni vettoriali corrisponde il diagramma di figura 3.

Figura 3

Sostituendo le espressioni E1 = -jXMI2 ; E2 = -jXMI1

delle f.e.m. e ordinando, si ottengono le relazioni

V1 = R1I1+jX1I1+jXMI2 0 = R2I2+jX2I2+jXMI1 Si vede quindi che l'accoppiamento magnetico fra i due circuiti comporta che in ciascuno di essi si

consideri, in serie alle reattanze X1 e X2 anche la reattanza mutua XM. Le due correnti incognite I1 e I2. Sul fenomeno della mutua induzione sono basati i trasformatori elettrici. Si denota con il nome di trasformatore ogni coppia di circuiti elettricamente distinti e magneticamente concatenati, predisposti col preciso scopo di utilizzare il fenomeno della mutua induzione per realizzare un trasferimento di potenza da un circuito all'altro. Questi due circuiti sono designati col nome di primario e secondario del trasformatore.

Potenza istantanea e potenza attiva

La potenza elettrica P assorbita da un circuito in corrente continua, alimentato agli estremi da una

tensione V e percorso da una corrente I, è espressa in watt dal prodotto

P = V I La tensione e la corrente sono in tal caso costanti, e anche la potenza P perciò rimane costante

nel tempo. Passando invece a considerare un circuito a corrente alternata, si ha che la tensione v e la corrente i variano continuamente da un istante all'altro con vicenda periodica: di conseguenza la potenza elettrica data dal prodotto dei valori istantanei

p = v i

Della tensione e della corrente, risulterà variabile da istante a istante. E' chiaro allora che, se si vuol valutare l'effetto utile di questa potenza variabile nel tempo, si

dovrà considerare il valore medio nell'intervallo di un periodo: questo valore medio della potenza, moltiplicato per il tempo considerato, forma l'energia assorbita, come se si trattasse di una potenza costante.

Il valore medio della potenza, nel corso di un periodo si definisce brevemente col nome di potenza attiva della corrente alternata e s’indica con P. Essa dipende dai valori efficaci della tensione e della corrente, ma dipende inoltre dallo sfasamento fra tensione e corrente. Si dovranno considerare perciò separatamente i diversi casi.

Potenza associata a una corrente in fase con la tensione

In un circuito ohmico, la tensione e la corrente si mantengono in fase fra loro come in figura; in

conseguenza di questo fatto la tensione v e la corrente i s’invertono insieme e perciò hanno sempre

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segno concorde. In tal modo la potenza elettrica p risulterà sempre positiva e varierà da un istante all'altro come

le ordinate di una curva costruita moltiplicando fra loro le ordinate corrispondenti della tensione e della corrente:

p = v i = V sin ω t x I sin ω t = V I sin2 ω t L'andamento della curva è quello riportato in figura, ed è costituito da una sinusoide p che ha per

asse di simmetria la retta MN tracciata in corrispondenza della metà dell'ordinata massima P=VI. Questa sinusoide della potenza compie un periodo completo per ogni semiperiodo della corrente e

tensione: si esprime brevemente questo fatto dicendo che la potenza elettrica considerata ha carattere pulsante con frequenza doppia della corrente.

A ogni periodo della corrente e tensione, la potenza varia da zero (quando sono nulle sia la corrente che la tensione) fino a raggiungere il valore massimo P=VI pari al prodotto dei due valori massimi della corrente e tensione, per ritornare quindi a zero e ripetere le stesse vicende nel mezzo periodo successivo.

Il valore medio della potenza corrisponde all'ordinata della retta di compenso MN; poiché questa

ordinata è la metà dell'ordinata massima P=VI, si può dire senz'altro che il valore medio della potenza nel corso di un periodo, e cioè la potenza attiva P, è data dal semiprodotto dei due valori massimi della tensione e della corrente. Si ha cioè P=(VI)/2

Per esprimere questa potenza mediante i valori efficaci V e I basta ricordare che

V=√ 2V ; I=√ 2I Risulta allora più semplicemente P=VI. Si ha così la seguente conclusione: in un circuito a corrente alternata in cui la corrente e la tensione si mantengono in fase fra loro la

potenza attiva è data dal prodotto dei valori efficaci della tensione e della corrente Se R è la resistenza equivalente del circuito, fra la tensione e la corrente si ha la relazione V=RI.

Ne segue che la potenza attiva può essere espressa anche da

P = R I2 = U2 / R

Potenza associata a una corrente in quadratura con la tensione - Potenza reattiva Si consideri il caso in cui la corrente sia sfasata di 90° rispetto alla tensione: questo stato di

regime si verifica in un circuito puramente induttivo (corrente a 90° in ritardo come in figura 2) oppure in un circuito puramente capacitivo (corrente a 90° in anticipo come in figura 1).

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Figura 1

Le corrispondenti sinusoidi della tensione applicata v=Vsinωt e della corrente assorbita

i=Isin(ωt±90°)=±Icosωt sono riportate nelle figure.

Figura 2

Per costruire le curve che, nei due casi, hanno per ordinate i valori istantanei della potenza p=vi

si devono eseguire i prodotti delle precedenti sinusoidi, che forniscono le relazioni

p = ± V sinωt x I cosωt = ± (VI/2) sinωt Si osserva subito che la potenza varia secondo curve che sono ancora delle sinusoidi di frequenza

doppia di quella della corrente come nel caso precedente, ma con la differenza sostanziale che qui l'asse di simmetria di queste sinusoidi (il cui valore massimo è pari al prodotto VI/2=VI) coincide con l'asse dei tempi t.

A ogni quarto di periodo delle correnti la potenza s’inverte assumendo ogni volta una successione di valori uguali e di segno opposto: la potenza dunque non ha più carattere pulsante ma ha carattere alternativo e conseguentemente il suo valore medio nel periodo è nullo.

Si pone in rilievo così il fatto fondamentale seguente: in un circuito in cui la tensione e la corrente sono sfasate fra loro di 90°, la potenza attiva P è nulla, qualunque sia il valore efficace della tensione o della corrente.

Ciò vuol affermare che, la corrente non produce in tal caso nessun effetto energetico esterno in

pratica non dà luogo a sviluppo di calore ne produce lavoro utile di qualunque forma. Riepilogando risulta che in un circuito in cui tensione e corrente sono in quadratura fra loro, il

prodotto VI dei valori efficaci della tensione e della corrente non ha più il significato di rappresentare una potenza attiva, la quale è nulla qualunque sia la tensione o la corrente, ma può essere invece assunto a definire l'entità dello scambio di energia che si verifica nel circuito; con questo significato,

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il prodotto del valore efficace della tensione V per il valore efficace della corrente I, e cioè il valore massimo della potenza scambiata fra generatore e circuito, viene definito col nome di potenza reattiva e indicato con Q ponendo Q=VI. Per ricordare che questa non è una potenza attiva, essa non è misurata in watt, ma in voltampere-reattivi (var). A tale potenza sono convenzionalmente associati segni opposti a seconda che il circuito sia induttivo oppure capacitivo: precisamente si assume come positiva la potenza reattiva QL che compete ai circuiti induttivi; si assegna invece il segno negativo alla potenza reattiva QC dei circuiti capacitivi.

Potenza associata a una corrente comunque sfasata rispetto alla tensione

Potenza apparente - Fattore di potenza Nei casi più comuni della pratica la corrente e la tensione non sono né in fase fra loro né in

quadratura, ma sono invece sfasate l'una rispetto all'altra di un certo angolo φ . Per stabilire quale sarà in tal caso la potenza attiva P e la potenza reattiva Q assorbite dal circuito si può ragionare nel modo seguente. Si scompone il vettore I nelle due componenti attiva e reattiva IG e IB. S’immagina con ciò di sostituire, alla corrente che effettivamente percorre il circuito, tali due componenti. Di queste due correnti, la componente IB è in quadratura con la tensione e perciò determina solo uno scambio di energia fra il generatore e il circuito; l'effetto utile medio è invece compiuto esclusivamente dalla componente IG in fase con la tensione. Si viene così a concludere che la potenza attiva P corrispondente alla corrente I è rappresentata semplicemente dal prodotto del valore efficace della tensione U per il valore efficace della componente attiva IG=Icosφ .

P = V IG = V I cos φ

Questa formula mette chiaramente in rilievo che la potenza attiva associata ad una corrente

alternata non dipende solo dai valori della tensione e della corrente, ma dipende altresì dal rispettivo angolo di sfasamento φ . Misurando la tensione e la corrente relative a qualunque apparecchio o macchina a corrente alternata non si può quindi valutarne la potenza se non si conosce anche quale è l'angolo di sfasamento. Il prodotto VI della tensione per la corrente è designato semplicemente come la potenza apparente. Per ottenere la potenza attiva P si deve moltiplicare ancora per il termine cos φ , il qual è designato perciò col nome di fattore di potenza del carico e indicato col simbolo λ. Indicando la potenza apparente con S si scrive: S = V I e conseguentemente si ha:

P = S cos φ = S λ

Quest'ultima s’interpreta affermando che la potenza attiva di una corrente alternata è data dal

prodotto della potenza apparente per il fattore di potenza. La potenza attiva si esprime in watt; la potenza apparente invece, che corrisponde al prodotto di

una tensione per una corrente senza rappresentare tuttavia una vera potenza, è espressa in voltampere (VA). Il fattore di potenza, definito dalle relazioni

λ = cos φ = R/Z = P/S

Varia, secondo i valori di R e Z dei circuiti che si considerano, fra i limiti zero e uno: è uguale a

zero quando l'angolo φ è di ±90°, come accade nei circuiti puramente induttivi o capacitivi (in tali casi la potenza attiva P è nulla, qualunque sia la potenza apparente), è invece uguale a uno nei circuiti puramente resistivi. Considerando, in modo analogo, la componente IB della corrente, si ottiene l'espressione della potenza reattiva che assume la forma

Q = V IB = V I sin φ

Riassumendo i fatti esposti, si può dire che in un circuito a corrente alternata, con tensione e

corrente sfasate fra loro di un certo angolo φ , si ha: − Una potenza attiva P che rappresenta la potenza media che fluisce costantemente dal

generatore elettrico verso il circuito utilizzatore nel quale si trasforma in calore per effetto Joule o in lavoro;

− Una potenza reattiva Q che ha il significato di definire il valore massimo della potenza, che è scambiata alternamente fra il generatore ed il circuito utilizzatore senza produrre nessun lavoro utile;

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− Una potenza apparente S risultante dalla combinazione fra la potenza attiva P e la potenza reattiva Q.

Fra le potenze indicate, si ha l’importante relazione che si ottiene quadrando e sommando le espressioni delle due potenze e ricordando che sin2 φ + cos2 φ =1.

S2=P2+Q2

Questa relazione dimostra che le tre potenze attiva, reattiva e apparente stanno fra loro come i

cateti e l'ipotenusa di un triangolo rettangolo il quale costituisce il triangolo delle potenze del circuito. Da questo triangolo si rilevano, in particolare, le relazioni

Q = S sin φ = P tan φ

Dal triangolo delle tensioni si ricavano invece le relazioni

V cos φ = VR = R I ; V sin φ = VX = X I che, sostituite nelle formule delle potenze, forniscono

P = V I cos φ = R I2 ; Q = V I sin φ = X I2

Queste ultime consentono di determinare la potenza attiva e la potenza reattiva direttamente in

funzione della resistenza R del circuito e della reattanza X.

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Composizione delle potenze attive, reattive e apparenti - Metodo delle potenze

E' facile intuire che, la potenza attiva assorbita da una qualunque rete d’utilizzatori deve

corrispondere in ogni caso alla somma aritmetica delle potenze attive che competono ai singoli utilizzatori di cui essa è costituita. Questo risultato, infatti, è un’immediata conseguenza del principio di conservazione dell'energia, ed è talvolta designato col nome di principio di conservazione delle potenze attive.

Per le potenze reattive vale un principio analogo, salvo il fatto che nei circuiti induttivi e capacitivi accade un'azione di compensazione fra le potenze reattive: ciò si esprime affermando che nei circuiti induttivi e capacitivi le potenze reattive hanno segni contrari. Ne risulta che le potenze reattive nei circuiti complessi si compongono per somma algebrica, considerando convenzionalmente negative quelle relative alle reattanze capacitive XC, e positive quelle relative alle reattanze induttive XL.

Come conseguenza del principio di conservazione delle potenze attive e reattive, i problemi della composizione delle potenze attive, reattive e apparenti, e nel calcolo delle correnti e delle tensioni nei circuiti complessi trovano una pratica e semplice soluzione nel cosiddetto metodo delle potenze.

Questo metodo consiste nel costruire uno di seguito all'altro i triangoli delle potenze relativi ai singoli utilizzatori, e calcolando poi, in ciascuna sezione del circuito, la corrente o la tensione ponendo rispettivamente

I = S/V ; V = S/I Si supponga che una stessa linea elettrica alimenti due o più apparecchi utilizzatori 1, 2, 3, ...

allacciati come in figura 1, nella sua sezione terminale T.

Figura 1

Ognuno di questi preleverà in generale dalla linea una certa potenza attiva e una certa potenza

reattiva: così ogni carico è caratterizzato nel suo funzionamento da un determinato triangolo delle potenze.

Considerando ad esempio il carico 1 leggermente induttivo, il carico 2 fortemente capacitivo e il carico 3 puramente ohmico, i triangoli delle potenze assumono l'aspetto indicato in figura 2.

Figura 2

La composizione di queste potenze si effettua costruendo Questi triangoli uno di seguito all'altro

come in figura 3.

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Figura 3

Il triangolo segnato in tratto e punto, rappresenta le potenze risultanti in linea, in conformità alle

seguenti regole che esprimono il teorema di Boucherot. 1. la potenza attiva totale P è la somma aritmetica delle potenze attive parziali; 2. la potenza reattiva risultante Q è la somma algebrica delle potenze reattive parziali; 3. la potenza apparente risultante S è la somma geometrica delle potenze apparenti: essa è

rappresentata dall'ipotenusa del triangolo rettangolo che ha per cateti la potenza attiva totale P e la potenza reattiva totale Q; il suo valore quindi è

In base al triangolo così definito resta anche determinato il fattore di potenza nella sezione

terminale T della linea

Inoltre, essendo noto il valore della tensione V che agisce in questa sezione, è possibile calcolare

la corrente totale in linea I, per mezzo delle relazioni

I = S / V = P / (V cosϕ)

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Rifasamento

Le reti per la distribuzione dell'energia elettrica alle utenze diffuse sono destinate in pratica ad

alimentare i quattro servizi fondamentali dell'illuminazione, del riscaldamento e condizionamento, della forza motrice ottenuta con l'impiego dei motori elettrici, e dell’elaborazione e trasmissione dell'informazione.

La maggior parte di queste utenze è caratterizzata da un consistente assorbimento d’energia reattiva che si assomma all’energia attiva trasferita agli apparecchi utilizzatori. Ne risulta che il fattore di potenza medio mensile che si registra nelle reti di distribuzione a utenza mista può variare entro valori che vanno da 0,5 a 0,9.

Come è noto, la potenza reattiva comporta un trasporto ozioso di corrente reattiva lungo la linea e determinata in queste maggiori perdite; inoltre impegna inutilmente la linea stessa e le macchine generatrici della centrale, nel senso che se queste non fossero occupate a generare la corrente reattiva potrebbero invece essere adibite a generare e trasmettere una maggiore potenza attiva.

Indipendentemente dall'entità della potenza reattiva che è richiesta da un dato impianto utilizzatore, si può evitare che tale potenza reattiva debba essere convogliata dalla linea d’alimentazione dell'impianto, badando a compensarla direttamente, nello stesso luogo dove è richiesta, con una potenza eguale e di segno opposto.

Precisamente, se l'impianto utilizzatore richiede oltre a una certa potenza P anche una potenza reattiva induttiva Q, si potrà ottenere la compensazione voluta allacciando in derivazione sulla linea una batteria di condensatori la quale prelevi una potenza reattiva capacitiva QC pari in valore alla potenza reattiva induttiva Q. In ciò consiste il problema noto in pratica sotto il nome di rifasamento dell'impianto, nel senso che si vuol ricondurre la linea a trasmettere solo la potenza attiva e la corrente attiva in fase con la tensione, senza impegnarla inutilmente a trasmettere potenze e correnti reattive.

Figura 1

Si consideri un impianto utilizzatore A (figura 1) in ogni modo costituito, che preleva da una linea

alimentazione una corrente I sfasata in ritardo rispetto alla tensione di un certo angolo ϕ : ciò vuol sostenere che l'impianto assorbe dalla linea una potenza attiva del valore P=VIcosϕ=VIG e richiede inoltre la potenza reattiva induttiva

Q = V I sin ϕ = V IB La linea è impegnata così a trasmettere la potenza apparente

Mentre la potenza effettivamente utilizzata è rappresentata dalla sola potenza attiva P. Si può scaricare la linea del trasporto ozioso della potenza reattiva Q allacciando in parallelo al carico un condensatore C o, più in generale, una batteria di condensatori. Questa batteria assorbe dalla linea una corrente IC, determinata in valore dalla relazione

IC = V / XC = ω C V

E sfasata rispetto alla tensione di 90° in anticipo.

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E' chiaro che basterà assegnare alla batteria una capacità tale per cui la corrente IC risulti uguale in valore alla corrente reattiva IB che è richiesta dall'impianto utilizzatore A, affinché le due correnti uguali e opposte IC e IB mutuamente si compensino.

La linea di alimentazione viene a trasmettere allora la sola corrente attiva IG senza che il funzionamento dell'impianto utilizzatore risulti comunque alterato. In queste condizioni la linea trasmette all'impianto utilizzatore la sola potenza attiva

P = V I cos ϕ = V IG mentre la potenza reattiva induttiva Q richiesta dall'impianto viene compensata dalla potenza

reattiva capacitiva QC assorbita dal condensatore: in questo senso il condensatore viene a costituire il generatore dell'intera potenza reattiva Q richiesta dall'impianto utilizzatore, disimpegnando da questo ufficio le macchine generatrici della centrale le quali devono provvedere a inviare attraverso la linea non più l'intera corrente I ma la sola componente attiva: I' = I G = I cos ϕ

La capacità C della batteria di condensatori, occorrente per ottenere il rifasamento completo, rimane determinata dalla relazione che si ottiene uguagliando la potenza reattiva Q richiesta dall'impianto con l'espressione della potenza reattiva QC della batteria: essendo queste, rispettivamente

Q = V I sin ϕ = P tan ϕ QC = V IC = ω C V2 si ricava: ϖ C V2 = P tan ϕ e ne risulta C = (P tan ϕ ) / (w V2)

Figura 2

Generalmente non si richiede di conseguire il rifasamento completo, ma si ritiene sufficiente un

rifasamento parziale, atto ad elevare il fattore di potenza risultante in linea dal valore cos ϕ caratteristico dell'impianto al valore contrattuale cosϕ'=0,9. In tal caso il diagramma delle correnti si presenta come in figura 2 cui corrisponde il diagramma delle potenze segnato figura 3.

Figura 3

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In quest'ultimo i due cateti P e Q e l'ipotenusa S rappresentano rispettivamente la potenza attiva, la potenza reattiva induttiva e la potenza apparente richieste dall'impianto utilizzatore: volendo ridurre la potenza reattiva induttiva sulla linea dal valore Q=Ptanϕ al nuovo valore Q'=Ptanϕ si richiede da parte della batteria di rifasamento una potenza reattiva

QC = Q - Q' = P(tan ϕ - tan ϕ')

La capacità della batteria risulta conseguentemente

La potenza apparente sulla linea viene così ridotta dal valore

al nuovo valore

La corrente in linea, prima e dopo il rifasamento, assume i valori