63
1 Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il Territorio ANALISI DELLA BIODIVERSITÀ MACROMICOLOGICA DEL BOSCO DELLE QUERCE DI SEVESO (MB), UN’AREA UNICA DI RECUPERO AMBIENTALE Relatore: Prof. Marcello Iriti Correlatore: Dott. Paolo Lassini Elaborato finale di: Martina Simona Gorla Matr: 783357 Anno Accademico 2013-2014

Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

  • Upload
    dotram

  • View
    217

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

1

Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il Territorio

ANALISI DELLA BIODIVERSITÀ MACROMICOLOGICA

DEL BOSCO DELLE QUERCE DI SEVESO (MB),

UN’AREA UNICA DI RECUPERO AMBIENTALE

Relatore: Prof. Marcello Iriti

Correlatore: Dott. Paolo Lassini

Elaborato finale di:

Martina Simona Gorla

Matr: 783357

Anno Accademico 2013-2014

Page 2: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

2

Desidero ricordare tutti coloro che mi hanno aiutato nella stesura della tesi con suggerimenti,

proposte ed osservazioni: a loro va la mia gratitudine, anche se a me spetta la responsabilità per

ogni errore contenuto in questa tesi.

Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il

loro prezioso contributo, la loro costante disponibilità e la loro guida sapiente, questa tesi non

esisterebbe.

Vorrei esprimere la mia sincera e profonda gratitudine ad Angelo Bincoletto, esperto in micologia

dell’Associazione Micologica “Bresadola” – Gruppo Mario Galli Barlassina, che con pazienza e

dedizione mi ha affiancato sul campo, trasmettendomi la sua passione e le sue preziose conoscenze.

Intendo poi ringraziare di cuore Andrea Modesti, biologo di ERSAF, per avermi seguito durante il mio

tirocinio ed essersi sempre reso disponibile a dirimere i miei dubbi durante la stesura di questo

lavoro. Ringrazio anche il Dipartimento di Chimica dell’Università degli Studi di Milano, e in

particolare la Professoressa Claudia Bianchi, per aver messo a disposizione il laboratorio e la

strumentazione indispensabili per la realizzazione del progetto.

Un ringraziamento speciale va a tutti i miei compagni di corso e agli amici, che mi hanno

incoraggiato e supportato.

Infine, vorrei ringraziare con affetto la mia famiglia, in particolare i miei genitori, perché è solo grazie

a loro che ho potuto affrontare questi studi, e Mauro, per essermi stato accanto in ogni momento.

Page 3: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

3

INDICE

INTRODUZIONE .................................................................................................................. 6

1. L’area del Bosco delle Querce ................................................................................ 6

1.1 L’ambiente naturale .................................................................................................... 6

1.2 L’ambiente creato dall’uomo ...................................................................................... 6

1.3 Lo sviluppo storico del territorio e l’economia .......................................................... 7

1.4 Dalla catastrofe ambientale alla bonifica .................................................................... 8

1.5 L’incidente ICMESA e la nube tossica ........................................................................ 8

1.6 Che cos’è la diossina ................................................................................................... 9

1.7 Delimitazione e destino delle zone contaminate ....................................................... 9

1.8 Gli interventi di bonifica .......................................................................................... 11

1.8.1 Interventi nelle zone meno contaminate ................................................................ 11

1.8.2 Interventi nelle zone più contaminate ................................................................... 11

1.9 La messa in sicurezza del materiale contaminato .................................................... 12

1.9.1 Indagini preliminari sui siti .................................................................................. 12

1.9.2 Strutture di confinamento delle vasche di accumulo ............................................. 13

1.9.3 Evacuazione e trattamento del percolato ............................................................... 13

1.9.4 Il rinverdimento dell’area bonificata ...................................................................... 14

1.10 L’ufficio operativo dell’Azienda Regionale delle Foreste ....................................... 14

1.11 Manutenzione e sviluppo dell’ecosistema .............................................................. 14

1.12 La zonizzazione del parco ....................................................................................... 16

1.13 L’apertura del parco ................................................................................................ 17

1.14 Gli studi e le ricerche del Bosco delle Querce ........................................................ 18

1.14.1 Gli studi sull’evoluzione del suolo e del soprassuolo d’impianto artificiale ............ 18

1.14.2 Monitoraggi della vegetazione arborea e arbustiva ............................................... 19

1.14.3 Studio del popolamento forestale in Comune di Meda e di Seveso ........................ 20

1.14.4 Le ricerche floristiche sulle specie spontanee e il censimento floristico ................. 20

1.14.5 Ricerche sulla presenza residuale di diossina nell’atmosfera e nel suolo .............. 20

1.15 Il futuro del Bosco delle Querce ............................................................................. 21

Page 4: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

4

2. I Funghi ...................................................................................................................... 21

2.1 Caratteri generali ...................................................................................................... 21

2.2 Fattori che influenzano lo sviluppo .......................................................................... 21

2.3 La cellula fungina ...................................................................................................... 22

2.4 Modalità di riproduzione ........................................................................................... 22

2.5 Ascomycota ............................................................................................................... 22

2.6 Basidiomycota ........................................................................................................... 23

2.7 Eterocariosi e ciclo parasessuale .............................................................................. 24

2.8 Liberazione e dispersione delle spore ....................................................................... 24

2.9 Dormienza e germinazione delle spore ..................................................................... 24

2.10 Sviluppo delle ife .................................................................................................... 24

2.11 Sviluppo della colonia fungina ................................................................................ 25

2.12 Fattori che influenzano la colonizzazione .............................................................. 25

2.13 Importanza ecologica dei funghi e nutrizione minerale ......................................... 25

2.14 Interazione tra microrganismi …..............................................................................26

2.15 I funghi simbionti ................................................................................................... 26

2.15.1 Micorrize ............................................................................................................ 27

2.16 I funghi saprofiti ..................................................................................................... 27

2.16.1 I funghi della rizosfera ........................................................................................ 28

2.16.2 I funghi della micorrizosfera ............................................................................... 28

2.16.3 I funghi della fillosfera ........................................................................................ 28

2.16.4 I funghi della spermosfera .................................................................................. 28

2.16.5 I funghi dell’acqua .............................................................................................. 28

2.16.6 I funghi termofili ................................................................................................ 29

2.17 I funghi parassiti ..................................................................................................... 29

2.18 Un “nuovo” ruolo per i funghi ................................................................................ 30

OBIETTIVI .......................................................................................................................... 31

Page 5: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

5

MATERIALI E METODI ................................................................................................... 32

1) Mappatura dei funghi .................................................................................................. 32

a. Aspetti metodologici .................................................................................................. 32

b. Materiali ................................................................................................................... 33

c. Identificazione dei funghi ........................................................................................... 34

d. I criteri per la classificazione ..................................................................................... 35

2) Analisi dei campioni di terreno .................................................................................. 37

a. Elettrodo a vetro combinato ....................................................................................... 37

b. Procedimento per l’analisi ......................................................................................... 39

RISULTATI .......................................................................................................................... 40

1) Mappatura dei funghi .................................................................................................. 40

a. Elenco delle specie rinvenute ..................................................................................... 40

b. Frequenza ................................................................................................................ 44

c. Habitus trofico .......................................................................................................... 44

d. Simbiosi ................................................................................................................... 46

e. Presenza nelle aree funzionali .................................................................................... 46

2) Analisi dei campioni di terreno .................................................................................. 47

a. Confronto dei valori del 1991 con i valori attuali ........................................................ 47

b. Confronto della velocità di variazione del pH .............................................................. 48

CONCLUSIONI ................................................................................................................... 49

Spunti per studi futuri .................................................................................................... 49

DESCRIZIONE ED ICONOGRAFIA DEI FUNGHI PIÙ SIGNIFICATIVI DEL

BOSCO DELLE QUERCE ................................................................................................. 50

BIBLIOGRAFIA .................................................................................................................. 61

Page 6: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

6

INTRODUZIONE

1. L’area del Bosco delle Querce

1.1 L’ambiente naturale

Dal punto di vista geomorfologico, il Bosco delle Querce è collocato nell’alta pianura alluvionale, a

circa 210 metri sul livello del mare, presso il margine tra l’area collinosa degli archi morenici a

nord e le spianate terrazzate dei depositi fluvio-glaciali, dovuti allo smantellamento erosivo degli

accumuli morenici, a sud. Il sottosuolo dei depositi fluvio-glaciali è permeabile, con una

composizione prevalentemente ghiaio-sabbiosa, povera di materiali fini limo-argillosi. A 30-50 m

di profondità c’è uno strato di argilla su cui scorre la falda freatica. Se consideriamo l’idrografia

superficiale, la zona ad ovest del Bosco è nettamente più ricca di corsi d’acqua: numerosi

torrentelli scendono dall’altopiano delle Groane per entrare nel torrente Seveso. Ma il corso

d’acqua di maggior interesse è il Torrente Certesa o Terrò, in quanto lambisce per un lungo tratto

il perimetro del Bosco.

Il clima del Bosco può essere considerato di tipo moderato-continentale, con inverni rigidi ed

estati calde, ma escursioni termiche che raramente superano i 20°C, ventosità limitata, umidità

elevata, nebbie autunnali ed invernali, piovosità concentrata in primavera ed autunno.

La vegetazione naturale un tempo presente nella zona può essere individuata nell’ambito delle

latifoglie mesofile e in particolare del Querco-Betuletum insubricum, Querco-Carpinetum e del

Querco-Ostrietum. Le specie arboree ed arbustive maggiormente presenti nei boschi residui

limitrofi sono costituite da farnia o rovere, pino silvestre, betulla, carpino bianco, ontano nero,

salice, corniolo, rovo, biancospino, nocciolo, sambuco. Tra la flora erbacea peculiare, importanti

sono l’erica o brugo e la molinia (Di Fidio, 2000).

1.2 L’ambiente creato dall’uomo

Il paese del Bosco delle Querce è tra quelli più radicalmente trasformati dall’uomo: ci troviamo

infatti nel cuore della più grande area metropolitana d’Italia. Il Bosco si trova pressappoco a metà

dell’antica strada statale dei Giovi o Comasina, che collega la città di Milano, centro di confluenza

del traffico proveniente da tutta Italia e dall’Europa orientale ed occidentale e la città di Como,

dove confluisce il traffico proveniente dall’Europa centro settentrionale.

Il Bosco è accessibile da tre ingressi: quello principale sul lato ovest da via A. Negri presso la

palazzina di Servizio e quelli secondari (aperti solo la domenica) sul lato sud in via dei Vigneé

presso il cimitero e sul lato est da un cavalcavia sulla super strada Milano-Meda. Il Bosco infatti

sorge a cavallo dei territori dei comuni di Meda e Seveso ma interessa il primo comune per soli

7,81 ha, mentre la parte più vasta ed importante (34.95 ha) interessa il secondo. Il comune di

Seveso è stato interessato da una notevole espansione urbanistica: senza il dramma della

diossina, probabilmente anche tutta l’attuale area del Bosco a sud di via Vignazzola, già

parzialmente intaccata nel 1976 da edifici poi demoliti, sarebbe stata destinata all’urbanizzazione.

L’interruzione di questo processo può sembrare casuale, ma non per chi crede che nel mondo ogni

evento ha anche un valore simbolico: forse in tal caso costituisce un segno affinché l’uomo

corregga la direzione del suo sviluppo (Ramondetta, Repossi, 1998).

Page 7: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

7

Figura 1- L’area del Bosco delle Querce immediatamente prima della catastrofe ICMESA

1.3 Lo sviluppo storico del territorio e dell’economia

L’incidente ICMESA è stato un dramma che ha spezzato la continuità dello sviluppo storico del

territorio, attraverso un bosco di nuovo impianto che richiama forme antiche, con la ricerca di

specie autoctone. Com’era il paesaggio della zona nei secoli scorsi e qual è il collegamento con le

radici e la storia dei luoghi?

I primi dati certi risalgono al 1760 (catasto teresiano) ma anche la cartografia successiva dimostra

che la storia del territorio fino al Novecento è stata fortemente caratterizzata dall’agricoltura: le

condizioni naturali dell’ambiente (suolo e clima) favorirono sin dall’antichità due colture

fondamentali: i cereali (inizialmente segale e miglio) e la vite. Tra la fine del ‘500 e i primi del ‘600

si verificarono grossi investimenti immobiliari nella campagna briantea da parte di mercanti

milanesi, con effetti di forte impulso all’economia locale. Nel ‘700 iniziò la stagione del gelso e

l’allevamento dei bachi da seta, accanto al quale prevalevano le colture del frumento e della vite

che venivano largamente praticate. Scarso era il bestiame, costituito principalmente

dall’allevamento dei bovini.

Il bosco, dominato da castagni e querce, era ancora notevolmente esteso, soprattutto nelle zone

collinari, e forniva legna da costruzione e da ardere. Infatti, accanto allo sviluppo dell’industria

tessile favorito dalla coltura del gelso, nell’‘800 iniziò ad affermarsi la lavorazione del legno che

gradualmente si indirizzò verso la produzione, soprattutto artigianale, di mobili. Nonostante il

dramma dell’ICMESA sia legato alla presenza di un’ industria chimica, la vocazione artigianale dei

comuni si Seveso e Meda è tutt’ora molto forte.

Il ritorno al bosco dopo una catastrofe come quella della diossina non è quindi da vedersi come

una fuga dalla modernità, bensì come la ricerca di un nuovo equilibrio che attinge alla forza delle

radici naturali e culturali di un territorio (Cajani, Citterio, Losa, Volonterio, 1982).

Page 8: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

8

1.4 Dalla catastrofe ambientale alla bonifica

La storia ha inizio il 10 luglio 1976, data di una catastrofe ambientale che sconvolse la vita della

popolazione locale, cambiò il destino di quel territorio e influì sulla politica ambientale delle

nazioni industrializzate. Essa è nota in tutto il mondo con tre nomi: quelli di una fabbrica

(ICMESA), una sostanza chimica (la diossina) ed un Comune (Seveso), che con la sua gente fu la

vittima principale. Quell’evento drammatico non è soltanto l’atto di nascita del Parco ma ne segna

anche la vita successiva, ben oltre l’avvenuta bonifica. Il Bosco oggi ospita, sotto due amene

colline artificiali, le vasche dove stati confinati, in condizioni di sicurezza, i residui meno

contaminati delle bonifica. È questa una condizione atipica e probabilmente unica nel panorama

mondiale, che caratterizza la gestione di un parco con componenti tecnologiche importanti e in

parte anche sofisticate, come le reti di monitoraggio (Ramondetta, Repossi, 1998).

1.5 L’incidente ICMESA e la nube tossica

L’ICMESA (Industrie Chimiche Meda Società Azionaria) era una fabbrica insediata tra la

superstrada Milano-Meda ed il torrente Certesa, ai confini con il Comune di Seveso, di proprietà

della Società Givaudan di Ginevra, a sua volta facente capo al potente gruppo chimico Hoffman La

Roche. Il 10 luglio 1976, in un reattore che da qualche tempo produceva triclorofenolo, una

sostanza chimica a sua volta utilizzata per la preparazione di erbicidi ed altri agrofarmaci,

l’aumento improvviso e incontrollato della temperatura provocò complesse ed impreviste reazioni

chimiche che portarono, fra l’altro, alla formazione di una sostanza estremamente pericolosa per

le sue caratteristiche di altissima tossicità, persistenza e stabilità: la diossina. L’elevatissima

pressione generata da queste reazioni chimiche provocò la rottura della valvola di sicurezza del

reattore e l’emissione nell’atmosfera di una nube tossica, contenente una miscela di numerosi

inquinanti, con una massa complessiva pari a circa 3.000 kg, tra cui la diossina, la cui quantità

realmente emessa è ancor oggi molto incerta, essendo stata valutata tra i 300 gr e i 130 kg. La

nube tossica venne trascinata dal vento che, contrariamente alle condizioni tipiche stagionali,

soffiava a discreta velocità (5 m/s) in direzione sud-est, lungo la quale si depositò il carico

inquinante, seguendo un percorso lineare di circa 6 km, che coinvolse, oltre ai comuni di Meda e

Seveso (e marginalmente Barlassina) più vicini all’ICMESA, anche quelli più lontani di Cesano

Maderno, Desio e Bovisio Masciago. In assenza di vento, i contaminanti si sarebbero concentrati

su una superficie molto più limitata. Possiamo quindi affermare che i confini del Bosco delle

Querce, corrispondenti a quelli dell’area più inquinata nel primo tratto della nube tossica, sono

stati disegnati dal vento (Di Fidio, 2000).

Figura 2 - L’area contaminata dalla diossina corrisponde al percorso della nube tossica trascinata dal vento in

direzione sud-est. La figura rappresenta i comuni interessati e le subaree A, B, R della mappatura realizzata subito

dopo l’incidente in base al grado di contaminazione

Page 9: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

9

1.6 Che cos’è la diossina

Il nome chimico esatto è 2,3,7,8-TCCD, ossia tetraclorodibenzodiossina, ove i numeri indicano la

posizione degli atomi di cloro nei due anelli aromatici originari. La TCCD fa parte di una

complessa famiglia detta delle dibenzodiossine policlorurate (PCDD) o semplicemente diossine

che, secondo il numero (da 1 a 8) e la posizione degli atomi di cloro nella molecola, formano ben

75 isomeri. Affine alla famiglia delle diossine è quella dei furani, o dibenzofurani policlorurati

(PCDF), costituita da 135 isomeri. Diossine e furani sono tutti composti tossici che, oltre ad essere

generati da processi chimici industriali (produzione di clorofenoli, bifenoli policolorurati, cloro

naftaline, clorobenzoli) si formano anche nei processi di combustione il cui decorso non sia

ottimale, ossia in difetto di ossigeno ed a basse temperature, quando sia presente cloro (come per

esempio nei rifiuti di PVC, policroruro di vinile, una materia plastica). In particolare tutti gli

incendi di edifici producono diossina. In seguito all’incidente ICMESA, il limite di rivelazione si è

continuamente abbassato fino a raggiungere oggi circa 0,1 ng/l (Ramondetta, Repossi, 1998).

Figura 3 – La struttura molecolare della diossina di Seveso

1.7 Delimitazione e destino delle zone contaminate

L’area interessata dalla catastrofe venne subito delimitata in modo tale da distinguere le zone ad

alta, media e bassa contaminazione, da sottoporre a differenziate misure di tutela e bonifica

(Figura 2). La prima mappatura risale all’agosto 1976 e fu approvata dal consiglio regionale il 7

ottobre 1976. Le zone furono contrassegnate da lettere (rispettivamente A, B ed R). Diverso fu il

destino di chi abitava, lavorava o aveva interessi nell’una o nell’altra zona e diverso fu anche il

destino del territorio. I 735 abitanti della zona A vennero evacuati, la zona venne recintata con

una rete metallica a maglia stretta alta 4 m e rivestita di vetroresina per impedire l’azione

dispersiva del vento e l’accesso di animali anche di piccola taglia. Dopo la bonifica, tale zona fu in

massima parte trasformata nell’attuale Bosco delle Querce. Invece, nelle zone B e R gli abitanti

vennero sottoposti soltanto a misure precauzionali, pesanti ma transitorie, che vennero

gradualmente tolte con il progredire della bonifica fino alla completa liberalizzazione nel 1986

(divieto di allevare animali, coltivare prodotti vegetali, esercitare la caccia; limitazione per bambini,

donne incinte e anziani alla sola permanenza notturna nelle proprie abitazioni; astensione dalla

procreazione; divieto di edificazione; rispetto del limite di velocità di 30 Km/h per minimizzare il

tasso di pulviscolo atmosferico).

Page 10: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

10

L’incidente interessò una superficie complessiva di 1807 ha che, in base al tasso di diossina

presente nel suolo misurato in μg/m², venne così suddivisa:

Zona A: aree con inquinamento maggiore di 50 μg/m² che in alcuni punti superava anche 1000

μg/m². Quest’area venne a sua volta suddivisa in sette subaree a contaminazione decrescente da

A1 ad A7 procedendo da nord a sud. Nelle subaree da A1 ad A5 tutti gli edifici vennero demoliti, il

suolo scarificato e l’intero territorio trasformato nell’attuale Bosco delle Querce. Lo stabilimento

ICMESA venne anch’esso demolito e bonificato ed al suo posto fu costruita una moderna area

sportiva nel Comune di Meda. Le ultime due subaree A6 e A7, pur inserite nell’area recintata di

maggior pericolo, erano le più densamente abitate e socialmente rilevanti e vennero

successivamente assimilate alla zona B in quanto sottoposte ad operazioni speciali di bonifica per

consentire agli abitanti il rientro nelle proprie case;

Zona B: includeva le aree con inquinamento compreso tra 50 μg/m² e 5 μg/ m²;

Zona R o di rispetto: con inquinamento inferiore a 5 μg/m² (Ramondetta, Repossi, 1998).

Figura 4 - L’articolazione della zona A in subaree a contaminazione decrescente. Le subaree da A1 ad A3

corrispondono all’attuale Bosco delle Querce.

La rilevanza della catastrofe rese necessari numerosi provvedimenti da parte dello Stato e della

Regione. In questa sede, vengono illustrati i provvedimenti di monitoraggio e bonifica del territorio

interessato, strettamente connessi alla nascita e allo sviluppo del Bosco delle Querce.

Page 11: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

11

1.8 Gli interventi di bonifica

Secondo l’ordine cronologico stabilito dal piano di bonifica, si possono considerare separatamente

i primi interventi nelle zone meno inquinate (B, R e subaree A6 e A7) e quelli successivi nelle aree

più contaminate (subaree da A1 ad A5) che costituiscono il nucleo dell’attuale Bosco delle Querce.

Era logicamente meno difficile intervenire nelle zone meno contaminate, ma anche più urgente

vista la loro rilevanza sociale ed economica; per anni vi fu incertezza e discussione invece

sull’assetto definitivo della zona più contaminata (Fratter, 2006).

1.8.1 Interventi nelle zone meno contaminate

Nelle zone B ed R si ritenne che il basso tenore medio di contaminazione non giustificasse una

soluzione radicale come l’asportazione e la sostituzione generalizzata del terreno. Il risanamento si

basò quindi su un programma di interventi agronomici: annualmente venivano effettuati due cicli

colturali comprendenti aratura, erpicatura, semina, ecc., fino alla completa maturazione dei

prodotti i quali venivano poi trinciati e reimmessi nel suolo, secondo l’antica pratica del sovescio.

Si osservò che la diluizione in uno strato di 20-30 cm, operata dalle arature, riduceva di almeno

sei volte la concentrazione superficiale di diossina e quindi il pericolo di esposizione. Per la zona B

questi lavori vennero curati dalla Provincia di Milano nel periodo marzo ‘78- giugno ‘79 mentre

nella zona R operò direttamente l’Ufficio Speciale di Seveso, soprattutto offrendo incentivi

economici alla popolazione per effettuare gli interventi agricoli sopra descritti.

Più complessi furono invece i lavori in quelle aree della zona B dove il tasso d’inquinamento

superava i 15 μg/m². Dopo l’eliminazione dei materiali di ingombro e lo sfalcio dell’erba, si

provvide alla decorticazione del terreno e al riporto di un nuovo strato dello spessore di 15-20 cm.

Le maggiori difficoltà operative ed organizzative si verificarono per la bonifica delle subaree A6 e

A7; per il risanamento interno dei 93 edifici si procedette all’aspirazione ed al lavaggio con

tensioattivi di tutte le superfici verticali ed orizzontali, effettuando ripetuti controlli mediante test

di pulitura o scrostatura. All’esterno venne eliminata tutta la vegetazione ed asportato il primo

strato di terreno di giardini, orti ed altre superfici agricole che vennero poi ripristinati ed

accuratamente ricontrollati. Complessivamente il volume di terreno scarificato nella prima fase in

più riprese fu pari a circa 35.000 m³, provenienti da una superficie di 12 ha.

1.8.2 Interventi nelle zone più contaminate

L’esperienza acquisita nella prima fase di asportazione del terreno consentirono di affinare questa

tecnica, applicata in seguito sull’intera superficie maggiormente contaminata in tutte le subaree

da A1 ad A5, dallo stabilimento ICMESA fino al cimitero di Seveso. Si iniziò a lavorare, a cura

dell’Ufficio Speciale di Seveso, lunga la via Vignazzola e nella fascia adiacente di 30 metri e

successivamente si estese il metodo all’intera subarea A1 (dicembre 1982) e poi alle subaree A2,

A3, A4, A5 (maggio ‘83 - estate ‘84) includendo la sistemazione del torrente Certesa.

Il confronto tra le analisi a diverse profondità eseguite in anni successivi (1976-‘77-‘80) consentì

di accertare che il 95% della diossina depositata durante l’incidente era rimasta nei primi 25-30

cm di terreno. Di conseguenza, stabilita la soglia del valore di avvenuta bonifica in 5 μg/m², si

suddivise l’intera area di intervento in fasce. La prima fascia comprendeva le aree con

inquinamento superiore a 200 μg/m², dove si effettuarono tre scarificazioni successive, ciascuna

con una profondità di 30 cm. La seconda fascia includeva le aree con inquinamento compreso tra

50 e 200 μg/m², dove si operò con due scarificazioni. La terza fascia comprendeva le aree con

inquinamento inferiore a 50 μg/m², dove si operò con una sola scarificazione.

Page 12: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

12

Complessivamente, la superficie interessata da queste operazioni fu pari a 43 ha (l’intero sedime

del Bosco delle Querce), la profondità media di scarificatura fu di 46 cm ed il volume di terreno

asportato e messo in sicurezza fu di circa 200.000 m³.

Il problema dello smaltimento delle scorie tossiche del reattore si presentò subito di difficile

soluzione poiché nessun comune era disposto ad occuparsene, nonostante l’esistenza di siti

potenzialmente idonei per la discarica e di inceneritori ad alta temperatura.

I 42 fusti con le scorie e i materiali usati nell’operazione furono alla fine spediti in Francia nel

settembre 1982. Furono occultati illegalmente in Francia e poi recuperati nel 1983 dalla società

Hoffman La Roche ed infine trasferiti in Svizzera per essere inceneriti in appositi forni della ditta

Ciba-Geigy di Basilea. Nel giugno 1985 le autorità elvetiche comunicarono di aver concluso

l’incenerimento di tutte le scorie. A cavallo degli anni ‘83-‘84 si era nel frattempo provveduto

all’abbattimento delle strutture edili del reparto B e di tutto lo stabilimento ICMESA.

Ad eccezione dei 42 fusti con le scorie del reattore, tutti gli altri materiali provenienti dalla

bonifica (terreno scarificato, pavimentazioni stradali rimosse, macerie provenienti dalla

demolizione degli edifici civili e dello stabilimento ICMESA, detriti vari, legname e vegetali, fanghi

contaminati) rimasero sul posto e si dovette affrontare il problema del loro corretto smaltimento

(Fratter, 2006).

1.9 La messa in sicurezza del materiale contaminato

1.9.1 Indagini preliminari sui siti

In seguito ad una accesa e travagliata discussione in merito allo smaltimento dei residui di

bonifica, venne presa la decisione di conservarli sul posto, identificando due aree di confinamento:

la prima più piccola nel comune di Meda, e la seconda, più grande, nel comune di Seveso. I

sondaggi geologici eseguiti consentirono di individuare a circa 50 m di profondità uno strato

continuo argilloso (e impermeabile) costituito da un materiale denominato “aleurite”. La

sovrastante colonna verticale dei terreni, fino alla formazione argillosa di base, era costituita da

materiale alluvionale ghiaio-sabbioso a capillarità interstiziale. Un’altra indagine fu eseguita per

determinare le caratteristiche idrogeologiche del territorio interessato dalla costruzione delle

vasche, che rientrava nel bacino idrografico del torrente Certesa.

Figura 5 - Sezione idrogeologica nord-sud dell’area interessata dalla costruzione di discariche controllate per la

messa in sicurezza del materiale contaminato

Page 13: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

13

1.9.2 Strutture di confinamento delle vasche di accumulo

In seguito alle indagini preliminari, vennero redatti i progetti esecutivi delle due vasche di

contenimento. Per la messa in sicurezza del materiale contaminato venne adottato un sistema di

quattro barriere successive tra l’inquinante e l’ambiente esterno. La prima barriera era di tipo

naturale e si basa sul forte legame chimico-fisico tra la diossina e la componente argillosa del

terreno, detto adsorbimento, che aveva contribuito a mantenere la maggior parte del

contaminante nello strato superficiale (25-30 cm). La seconda si basava sulla particolare

metodologia adottata per la messa a dimora dei materiali, collocando in periferia i terreni a più

basso tenore di diossina, in grado quindi di adsorbire ulteriori quantità di contaminante

provenienti dal nucleo centrale. La terza barriera era una vera e propria struttura fisica per il

confinamento di base che isolava le vasche rispetto al terreno d’imposta. Tutta la massa dei rifiuti

fu avvolta da un foglio continuo, saldato, di polietilene ad alta densità con lo spessore di 2,5 mm,

seguito da uno strato intermedio di materiale drenante. La quarta barriera era costituita da un

conglomerato di inerti compattato con lo spessore complessivo di circa 20 cm. Per il confinamento

superiore, per isolare le vasche rispetto agli agenti atmosferici, venne stesa una seconda

membrana di polietilene sulla quale fu riportato uno strato di terra di cava e su questo una

caldana rigida di calcestruzzo, a protezione dell’intera struttura da danneggiamenti e

manomissioni. La copertura fu infine completata con 70 cm di terra di coltura rinverdita.

Figura 6 - Veduta aerea della vasca di Meda durante la fase di riempimento

1.9.3 Evacuazione e trattamento del percolato

Il progetto dedicò particolare attenzione al problema del drenaggio per allontanare gradualmente

l’acqua piovana entrata nella massa dei materiali di risulta della bonifica durante la fase di

accatastamento provvisorio, nonché l’acqua proveniente dal lavaggio dei mezzi di bonifica che era

stata stoccata a parte. Fu quindi costituita una complessa rete di drenaggio e decantazione delle

acque trattate e dei fanghi. Furono inoltre attivati sistemi di monitoraggio continuo per controllare

gli assestamenti degli argini delle vasche e del materiale ivi accumulato e l’integrità della

‘geomembrana’. Furono inoltre create reti di controllo topografico, geoelettrico, idraulico e chimico.

Page 14: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

14

1.9.4 Il rinverdimento dell’area bonificata

La scelta definitiva del metodo di bonifica dell’area contaminata dalla diossina, con il

confinamento in loco dei materiali inquinati, portò alla decisione di trasformare tutta la zona A in

un parco-bosco, formato dai soprassuoli vegetali originali della Brianza, anche in accoglimento

delle istanze della popolazione e delle autorità locali e prendendo in particolare considerazione il

fattore sicurezza attorno alle discariche. Le operazioni di bonifica avevano infatti distrutto tutto il

soprassuolo vegetale e il terreno di coltura con l’eccezione del grande pioppo in posizione centrale;

la situazione di partenza era quindi assimilabile a quella del deserto. Il progetto originale del parco

fu realizzato tra il 1984 ed il 1986 e l’Ufficio Speciale di Seveso ne affidò la direzione dei lavori al

Dr. Paolo Lassini, agronomo forestale dell’Azienda Regionale delle Foreste.

Il progetto prevedeva l’impiego di piante sviluppate a pronto effetto (affinché fossero visibili ed

apprezzabili dal pubblico in tempi non troppo lunghi), con sesto medio d’impianto piuttosto largo

(7m x 8m) e la formazione generalizzata di un prato, ossia in sostanza non un vero e proprio bosco

ma piuttosto un prato alberato. Le specie arboree previste erano: querce autoctone, aceri, carpini,

pini silvestri, tigli, salici, betulle, pioppi nero e bianco, frassini, ornielli; le specie arbustive erano:

biancospino, ginestra, viburno, ginepro, rosa canina ed altri cespugli. Le piante delle diverse

specie furono distribuite piuttosto uniformemente sull’intera superficie del parco, ad esclusione

delle colline sopra le vasche, dove la limitata profondità del terreno di coltura consentiva lo

sviluppo delle sole essenze arbustive. Vennero messe a dimora circa 5.000 piante arboree, con

provenienze e caratteristiche diverse, alcune con le radici in zolla ed altre a radice nuda, con

un’altezza media di 3-4 m e circonferenza di 10-16 cm. Gli arbusti piantati furono circa 6.000. In

genere, si verificò una discreta affermazione delle piante, ad eccezione di una moria significativa e

ripetuta (pari al 40-50%) delle querce (la pianta emblema del parco!) probabilmente a causa del

terreno poverissimo e non evoluto ed alla conseguente assenza di micorrize (Lassini, 1993).

1.10 L’ufficio operativo dell’Azienda Regionale delle Foreste

Dopo il primo rinverdimento della zona A, l’Ufficio Speciale di Seveso stipulò una convenzione con

l’Azienda Regionale delle Foreste per la gestione del Bosco delle Querce, che venne affidata

all’Ufficio Operativo di Milano diretto dal Dr. Paolo Lassini, lo stesso che nel 1984 aveva svolto la

funzione di direttore dei lavori di costruzione del parco. Egli avrebbe continuato ad occuparsi

ininterrottamente del Bosco per 14 anni, ossia fino alla fine del 1998.

1.11 Manutenzione e sviluppo dell’ecosistema

Nel primo biennio 1987-1988 ci si preoccupò soprattutto di assicurare la sopravvivenza degli

impianti arborei iniziali e di completare varie rifiniture indispensabili. Gli interventi ordinari sul

verde consistevano in sfalci dei prati con cadenza mensile per sei volte da maggio a ottobre

(lasciando sul posto l’erba tagliata per accrescere l’humus), irrigazioni, concimazioni, lavorazioni

localizzate alle piante, spietramenti, sostituzione di piante morte, eliminazione di pali tutori,

utilizzati per costruire staccionate. Vennero anche realizzati significativi lavori straordinari:

ampliamento della rete di irrigazione, nuove piantagioni e incremento delle specie, al fine di

perseguire la strategia di progressivo arricchimento del parco. Infine, si decise di avviare la

formazione di alcune aree naturalizzate intensivamente, per promuovere lo sviluppo dell’avifauna

e della microfauna: le cosiddette aree “sporche”. Nel tempo venne ridotta la superficie totale

interessata dai tagli man mano che aumentavano le superfici di rimboschimento e di creazione

delle aree “sporche” per favorire lo sviluppo naturale dell’ecosistema. Vennero anche realizzate

barriere verdi arbustive di protezione delle due discariche e creata una barriera acustica con

specie arboree sull’intero fronte della superstrada Milano–Meda.

Inoltre la collina della vasca più piccola nel Comune di Meda venne disegnata con arbusti ed a

nord della stessa venne eseguito un rimboschimento di latifoglie ben affermato. In particolare, nel

Page 15: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

15

1991 venne realizzata una sistemazione a verde lungo la superstrada con la finalità di prevenire e

contrastare gli incendi, proteggere il Bosco dai rumori esterni, ornare la scarpata e le aree

connesse. Inoltre venne rinforzata la recinzione perimetrale esistente con un’altra rete a maglia

piccola interrata, allo scopo di impedire la fuoriuscita di piccoli animali dal Bosco e la

penetrazione di cani randagi (Bagatti Valsecchi, 1991).

Dal 1992 al 1998, mentre la struttura fondamentale del Bosco era ormai consolidata, proseguì

intensamente l’opera di rimboschimento. Alla fine del 1998 il parco comprendeva 21.753 piante

arboree e 23.898 piante arbustive, ossia un patrimonio quadruplo rispetto a quello dell’impianto

iniziale ereditato dall’Ufficio Speciale di Seveso, distribuito in 14 classi di età, ossia tante quanti

erano gli anni di vita del parco. Le specie prescelte erano più numerose di quelle diffuse nei boschi

naturali più vicini (Querco-Carpineto) poiché si era seguito un indirizzo naturalistico, che aveva

portato a ricercare una maggiore diversificazione dell’ecosistema, associando al bosco zone umide

e fasce di transizione (ecotoni), ma anche un indirizzo estetico-ricreativo, legato alla crescente

fruizione del parco da parte della popolazione che sarebbe culminata nell’apertura al pubblico in

occasione del ventennale dell’incidente ICMESA e cioè nel 1996 (Lassini, 1993).

Tabella 1. La crescita del numero delle piante arboree del Bosco delle Querce nel periodo di gestione di ARF

SPECIE ANNI

1987 1992

Quercus spp 1.263 1.429 Tilia spp 690 840 Acer campestre 644 869 Pinus sylvestris 446 966 Carpinus betulus 345 1.158 Celtis australis 265 273 Fagus sylvatica 256 256 Acer pseudoplatanus 174 274 Betula alba 154 574 Pyrus sylvatica 154 154 Fraxinus excelsior 144 214 Ostrya carpinifolia 134 134 Populus alba 122 272 Fraxinus ornus 100 300 Ulmus campestris 38 38 Salix alba 16 66 Alnus glutinosa 8 208 Salix caprea 7 107 Sorbus aria 0 100 Laburnum anagyroides 0 250 Malus sylvestris 0 60 Populus nigra varietà italica 0 160 Morus alba 0 21

TOTALE 4.960 8.723

Tabella 2: La crescita del numero delle piante arbustive del Bosco delle Querce nel periodo di gestione di ARF

Page 16: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

16

SPECIE ANNI

1987 1992

Ligustrum vulgare 1.7061 1.706 Rosa canina 1.570 2-120 Crataeugs monogyna 902 1.802 Prunus spinosa 410 410 Berberis thumbergii 269 379 Juniperus communis 236 276 Serbus spp. 119 119 Viburnum lantana 106 156 Ilex aquifolium 104 124 Sambucus nigra 103 103 Viburnum opalus 100 450 Deutzia crenata 88 88 Corylus avellana 52 752 Spartium junceum 24 884 Pyracantha Orange Glow 0 550 Euonimus eurpaeus 0 1.050 Rosa rugosa 0 1.200 Cornus sanginea 0 1.000 Cytisus scoparium 0 1.050 Campanula carpatica 0 144 Plumbago larpentae 0 144 Mesembrianthenum spp. 0 144 Thimus serpytum 0 144 Saponaria officinalis 0 144 Cotoneaster horiz. 0 144 Forsythia spp. 0 0 Rhamnus catartica 0 0 Pyrus communis 0 0 Prunus avium 0 50

TOTALE 5.789 15.133

1.12 La zonizzazione del parco

Nel 1992 l’Azienda Regionale delle Foreste fu in grado di concepire una vera e propria

zonizzazione, sulla base di destinazioni funzionali specifiche delle varie aree che vennero suddivise

in 5 tipologie per un totale di 42,7 ha:

Aree paesaggistiche 5 ha

Aree naturalistiche 16,54 ha

Aree ricreative intensive 7,2 ha

Aree ricreative estensive 8 ha

Aree di rispetto 6 ha

Le aree paesaggistiche svolgono essenzialmente funzioni di barriera verde per schermare il parco

dagli effetti nocivi esterni. Hanno in prevalenza la forma di una striscia lunga e stretta attorno al

parco

Le aree naturalistiche hanno caratteristiche diverse avendo la funzione di garantire un buon

inserimento della micro e macrofauna tipica dei boschi. Sono anch’esse recintate per ridurre i

fattori di disturbo alla fauna naturale. In queste zone il taglio dell’erba è stato dapprima ridotto al

minimo e poi cessato.

Le aree ricreative intensive non hanno le esigenze di compattezza ed estensione di quelle

naturalistiche e quindi comprendono tre superfici separate.

Page 17: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

17

Le aree ricreative estensive sono anch’esse destinate ad ospitare il pubblico, ma per attività

prevalentemente escursionistiche senza attrezzature importanti.

Le aree di rispetto comprendono gli impianti tecnologici, ossia innanzitutto le due colline che

ospitano le vasche con i residui della bonifica per le quali vige il divieto di accesso e che sono

delimitate da una spessa barriere arbustiva integrata da una bassa staccionata in legno, al fine di

segnalare il divieto di accesso su tutto il perimetro (Lassini, 1993).

Figura 7 - Zonizzazione del Bosco delle Querce in base alle destinazioni funzionali specifiche

1.13 L’apertura del parco

Il Bosco delle Querce non è stato subito accessibile alla popolazione in quanto era necessario

osservare una disposizione della Commissione Tecnico Scientifica Governativa che stabilì che il

parco non venisse aperto al pubblico per un periodo di almeno 6-7 anni. Il trascorrere del tempo

avrebbe quindi ulteriormente migliorato – come è effettivamente avvenuto – il risanamento

dell’ecosistema, che oggi per taluni aspetti è omologabile a quello dell’area metropolitana

circostante e per altri è addirittura migliore, come dimostrano i recenti rilevamenti effettuati. Per

l’apertura definitiva si scelse la ricorrenza ventennale del tragico incidente ossia il 10 luglio 1996.

Da quel momento, molteplici iniziative sportive, culturali, naturalistiche, promozionali e

commemorative hanno avuto luogo all’interno del parco per contribuire a riavvicinare la

popolazione, ed in particolare le scuole e le nuove generazioni, al parco con una nuova coscienza

critica ed etica dei problemi collegati allo sviluppo sostenibile.

Figura 8 - Stand dell’Azienda Regionale delle Foreste alla Festa del Calendimaggio di Seveso (1991) per la

sensibilizzazione della popolazione

Page 18: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

18

1.14 Gli studi e le ricerche del Bosco delle Querce

La gestione del Bosco delle Querce ha assegnato uno spazio crescente alle attività scientifiche di

approfondimento che, dai giorni drammatici dell’incidente, non sono mai venute meno e

continuano ancor oggi con le ricerche sui residui di diossina.

1.14.1 Gli studi sull’evoluzione del suolo e del soprassuolo d’impianto artificiale

Prima e fondamentale componente dell’ecosistema di nuovo impianto dopo la bonifica, il suolo del

Bosco delle Querce è stato oggetto di grande attenzione, con numerosi controlli e interventi

migliorativi nel corso degli anni. La bonifica aveva asportato lo strato superficiale del suolo

naturale, per una profondità variabile da 20 a 60 cm, eliminando tutta la parte fertile. Sull’intera

superficie, nel 1984, erano stati riportati 15-20 cm di terra che doveva provenire da luoghi

distanti almeno 10 Km da quello dell’incidente. Non essendo state poste altre prescrizioni, il

materiale di riporto venne prelevato da una molteplicità di suoli con caratteristiche diverse. In vari

punti il profilo originario del terreno venne modificato, non solo con la creazione delle due colline

in corrispondenza delle vasche con i residui della bonifica ma anche a seguito dei movimenti di

terra che provocarono il rimescolamento degli strati. Infine, si verificò un fortissimo

compattamento del suolo a causa del passaggio ripetuto dei mezzi meccanici pesanti. Le analisi

chimiche condotte nel 1984 fornirono risultati mediocri: terreno limo-sabbioso con lenti argillose e

ghiaiose, poverissimo di nutrienti, con sostanza organica scarsa e pH variabile da 5,0 a 8,0. Anche

se a distanza di 5 anni, nel 1989, le analisi ripetute evidenziavano un lento miglioramento della

situazione pedologica sulle colline, grazie agli apporti di sostanza organica naturale (letame) e

minerale (nitrato ammonico ed urea), l’aumento medio della sostanza organica nel Bosco variava

da 0,8 a 1,4% e la situazione del suolo si confermava insoddisfacente. Nonostante la buona

piovosità della zona consentisse di ipotizzare il graduale dilavamento dell’acidità nel lungo

periodo, era comunque consigliabile apportare per almeno tre anni dosi massicce di sostanze

organiche durante l’autunno e ripetere le analisi del terreno per valutarne la fertilità.

Nel 1991 la Scuola Agraria di Minoprio venne incaricata di controllare l’evoluzione dei terreni con

un rilevamento a tappeto, suddividendo l’intera area in 200 quadrati, in ciascuno dei quali venne

fatto un prelievo. Il risultato delle analisi confermava che, nonostante gli interventi di

concimazione e la naturale evoluzione dell’ecosistema, esisteva una forte diversificazione del

chimismo, con variazioni del pH da 5,3 a 8,0.

Nel 1992 l’analisi venne ripetuta dall’Istituto di Coltivazioni Arboree dell’Università degli Studi di

Milano in 40 aree di saggio corrispondenti a quelle del monitoraggio della vegetazione, con

risultati sostanzialmente analoghi, anche se le oscillazioni del pH erano più contenute (da 5,5 a

7,2) (Eccher, 1994).

Figura 9 - Analisi sistematica del pH del suolo nel Bosco delle Querce effettuata nel 1991 dalla Scuola di Agraria di

Minoprio

Page 19: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

19

1.14.2 Monitoraggi della vegetazione arborea e arbustiva

Dal primo rilevamento della vegetazione arborea ed arbustiva eseguito nel 1986, le condizioni delle

piante risultavano accettabili anche se le chiome erano forzatamente ridotte a causa dello stress.

Nel periodo maggio-luglio 1988, l’Azienda Regionale delle Foreste eseguì un vero e proprio

censimento generale del patrimonio arboreo ed arbustivo di impianto artificiale, suddividendo

l’area in sei zone delimitate da confini fisici (sentieri) nelle quali vennero identificate 40 aree di

saggio permanenti. I primi inventari rivelarono che nel complesso le piante si trovavano in uno

stato vegetativo da discreto a buono, avendo superato la crisi di trapianto e sviluppato una

vigorosa attività vegetativa in risposta alla positiva evoluzione del terreno. Si evidenziava ancora

comunque una sproporzione tra la crescita in altezza e la ridotta crescita in larghezza della

chioma. Le specie che avevano dato i migliori risultati erano aceri, carpini, frassini, pioppi e

querce. I tigli avevano subito un forte attacco di fitofagi mentre faggi, bagolari e betulle si

mostravano piuttosto sofferenti. L’area 6, a nord, si era mostrata la più idonea all’impianto e

l’area 3, a sud, aveva dato i risultati peggiori (Lassini, 1993).

Figura 10 - Primo censimento generale della vegetazione arborea ed arbustiva con suddivisione in 6 zone e 40

aree di saggio permanenti (1988)

Figura 11 - Tasso di accrescimento medio di alcune specie arboree del Bosco delle Querce nel periodo 1988-1991

in relazione al miglioramento del suolo

Page 20: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

20

1.14.3 Studio del popolamento forestale in Comune di Meda e di Seveso

L’area del comune di Meda era stata rimboschita nel 1987 con piante coetanee appartenenti a

diverse specie. Nel 1998 l’impianto risultava essere tra quelli con maggior successo, presentava

l’aspetto di un boschetto a densità colma (olmi, pioppi, betulle ecc.) che necessitava di un

diradamento selettivo, effettuato nello stesso anno. Si tratta di un piccolo, ma interessante

campione forestale che necessita di costante monitoraggio per valutarne l’evoluzione.

Nell’area del Comune di Seveso, l’oggetto dell’indagine fu il confronto tra la vegetazione

arborea/arbustiva dell’impianto artificiale e la nuova vegetazione spontanea costituita dal

cosiddetto novellame. Si osservò una corrispondenza tra grado di copertura boschiva e modello di

rinnovazione naturale per crescita spontanea da seme; inoltre, lo studio evidenziò che alcune

specie (betulla, pioppo bianco, ontano nero) mostravano segni di stress, altre (frassino, olmo

campestre) avevano difficoltà a rinnovarsi, mentre le specie di acero campestre, farnia, quercia

rossa e carpino bianco erano più vitali (Sartori, Terzo, Canzani, 1994).

1.14.4 Le ricerche floristiche sulle specie spontanee e il censimento floristico

L’indagine floristica, svolta nel periodo 1992-1993, portò a censire complessivamente 185 specie

presenti nell’area del parco, escluse quelle arboree ed arbustive di impianto artificiale. Lo studio

era teso a rilevare tutte le piante nate spontaneamente, come conseguenza di casuali apporti di

semi e della selezione ed adattamento alle condizioni ambientali delle stazioni di insediamento ma

anche degli interventi manutentivi. Si è evidenziata una forte preponderanza delle specie erbacee

mentre le specie legnose nate spontaneamente, in aggiunta a quelle piantate dall’uomo, erano

molto poche a conferma della dominanza delle forme prative e la subordinazione della componente

legnosa, come poteva essere rilevato anche visivamente (Sartori, Terzo, Canzani, 1994).

1.14.5 Ricerche sulla presenza residuale di diossina nell’atmosfera e nel suolo

Nel marzo 1995 l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano effettuò una ricerca al

fine di verificare se l’eventuale mobilizzazione di particelle di suolo contaminato dall’incidente

ICMESA influenzasse il contenuto atmosferico di diossine e furani nell’area di Seveso. I risultati

misero in evidenza che l’isomero TCDD era presente in una percentuale compresa tra il 2 ed il 5%

del totale delle tetraclorodiossine e non variava sensibilmente tra i campioni d’aria di Seveso e

quelli di Milano. L’analisi indicò inoltre chiaramente che la diossina presente nel suolo di Seveso

rimane ad esso legata e non diventa volatile.

L’indagine sulla presenza di diossina nel suolo fu invece eseguita dall’Istituto dell’Ambiente –

Centro di Ricerca di Ispra (Va), nello stesso periodo, mirava a verificare il livello di concentrazione

di diossina nel suolo, nei vegetali e in alcuni animali del Bosco delle Querce. I dati emersi dalla

ricerca confermavano la buona decontaminazione del terreno (mediamente le concentrazioni del

1996-1997 stavano nel rapporto da 1:1000 a 1:10000 rispetto a quelle del 1980-1981). Tuttavia i

risultati mostravano una disomogeneità dei nuovi valori di concentrazione riscontrati nei vari

punti dell’area, la quale indicava che la bonifica non era stata eseguita in modo uniforme,

probabilmente a causa delle condizioni assai difficili che non avevano consentito la perfetta

uniformità delle operazioni di scarificatura del suolo. Anche se i valori di concentrazione totale di

diossine e furani, valutata come quantità di tossicità equivalente, erano prossimi a quelli tipici dei

suoli delle aree industriali, emergeva un’anomalia: nei punti dove la concentrazione era più alta,

la tossicità totale era nettamente dominata dall’isomero TCDD. Appariva dunque evidente che,

mentre il livello medio di contaminazione del suolo del Bosco delle Querce si stava allineando a

quello dell’area metropolitana, in termini di valori assoluti, permanevano alcuni punti isolati

atipici sia per il valore totale di inquinanti sia per la composizione degli stessi.

Page 21: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

21

In conclusione, entrambe le ricerche avevano messo in evidenza l’importanza del carico

inquinante di fondo dell’area metropolitana che generava una deposizione significativa di diossine

e furani, in aggiunta al contaminante originario (Di Fidio, 2000).

1.15 - Il futuro del Bosco delle Querce

Nel corso degli anni la Regione Lombardia e la Fondazione Lombardia per l’Ambiente convennero

di prolungare l’affidamento all’Azienda Regionale delle Foreste, ora ERSAF, della gestione del

Bosco delle Querce. Venne istituito un Centro Studi e Informazione, ubicato all’ingresso del Parco.

Non possiamo conoscere la storia dei prossimi anni, ma soltanto augurarci che l’uomo ne sia

ancora il consapevole protagonista, che non si lasci abbattere dagli eventi e dalle difficoltà ma che

con tenacia costruisca il proprio futuro memore del proprio passato.

2. I Funghi

2.1 Caratteri generali

Il Regno dei Funghi comprende gli organismi eucarioti eterotrofi che, operando la demolizione di

un'ampia varietà di substrati anche molto complessi per mezzo di enzimi, si nutrono per

successivo assorbimento delle soluzioni. I funghi, o miceti, sono tallofite che presentano strutture

cellulari diverse: unicellulari come i lieviti o multicellulari con una organizzazione vegetativa

filamentosa costituita da strutture tubulari denominate ife, le quali si originano dalla

germinazione di una spora e, nel loro insieme, costituiscono il micelio. Le ife possono essere prive

di pareti divisiorie chiamate setti, nei miceti più semplici, o suddivise in cellule (ife cellularizzate)

da setti di varia natura, nelle forme più evolute. Sulla base delle loro caratteristiche trofiche, sono

costretti sempre ad un tipo di vita dipendente: possono infatti comportarsi da saprofiti, quando

crescono e decompongono sostanza organica morta; da parassiti o patogeni, quando utilizzano

tessuti di piante ed animali viventi; da simbionti mutualistici di molti organismi fototrofici e di

animali da cui traggono le sostanze indispensabili alla loro sopravvivenza, assicurando però un

uguale vantaggio anche all'altro componente del rapporto simbiontico. I funghi possono quindi

colonizzare un’ampia gamma di habitat sia acquatici che terrestri (Maggi, 2011).

2.2 Fattori che influenzano lo sviluppo

Il ciclo di vita dei funghi è influenzato dalla disponibilità di risorse nutritive e da fattori ambientali

(temperatura, umidità, pH, luce, aerazione). Per quanto riguarda la temperatura, esistono funghi

capaci di sopportare minimi molto bassi (3-5°C detti psicrofili), altri che hanno un optimum assai

elevato (37-55°C detti termofili), mentre la maggior parte ha un optimum di temperatura tra 15 e

35°C (detti mesofili). Per quanto riguarda l’umidità la maggior parte dei funghi si sviluppa in

presenza di umidità ambientale del 90-100% e/o di contenuto di acqua libera (Aw) nel substrato

abbastanza elevato. Il pH può influire direttamente sulla nutrizione dei funghi che in generale

prediligono una reazione del mezzo tendenzialmente acida. La luce ha un effetto sullo sviluppo dei

funghi solo in casi specifici mentre per quelli che vivono nel suolo è importante il fattore

aerazione; infatti una eventuale scarsità di ossigeno comporta importanti fenomeni di inibizione

delle funzioni vitali; esistono comunque specie aerobiche obbligate ed altre anaerobiche obbligate

(Maggi, 2011).

Page 22: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

22

2.3 La cellula fungina

L'unità base e strutturale dei Funghi è rappresentata dall'ifa, filamento mono o pluricellulare con

forma e dimensioni che variano nei differenti gruppi fungini. L'insieme delle ife, detto micelio,

provenienti dalla germinazione di una spora, o di frammenti ifali, costituisce il corpo vegetativo del

fungo, cioè il tallo. In alcuni funghi inferiori il tallo non è composto da più ife ma da un singolo

elemento monocellulare, che a maturità si trasforma in organo di riproduzione: è il tallo

olocarpico. Il tallo composto da più ife, tipico di Ascomiceti e Basidiomiceti, è detto eucarpico; in

questo tallo si differenziano regolarmente organi vegetativi e riproduttivi. Le ife hanno una

struttura filamentosa tubulare e possono essere mono e pluricellulari. Nel primo caso sono

normalmente asettate o prive di separazioni, e con molti nuclei (ife cenocitiche). Negli ascomiceti,

nei basidiomiceti e nei deuteromiceti le ife sono normalmente e frequentemente settate, con cellule

uni- o multi nucleate. In un particolare gruppo di funghi che va sotto il generico nome di lieviti,

manca un vero e proprio micelio, in quanto il tallo è composto da cellule singole uninucleate che

si moltiplicano per gemmazione. Il micelio può organizzarsi in strutture vegetative specializzate il

cui ruolo è strettamente legato al trasporto dei nutrienti ed alla sopravvivenza della specie, come

le rizomorfe, aggregati di ife che formano i cordoni miceliari, strutture per la colonizzazione del

substrato, oppure strutture vegetative atte a favorire la dispersione della specie, come i sinnemi,

che prevedono una crescita verticale di alcune ife rispetto al micelio, la cui funzione è quella di

produrre spore. Molti funghi producono una struttura particolare, l’austorio, quando devono

entrare in contatto con i tessuti di un ospite, come avviene per i patogeni delle piante e per i

simbionti mutualistici. Generalmente, questa struttura serve al fungo per aumentare la superficie

di contatto con la membrana plasmatica dell’ospite e permettergli di aumentare l’assorbimento del

carbonio organico (Maggi, 2011).

2.4 Modalità di riproduzione

La dispersione nello spazio e nel tempo dei propaguli fungini è garantita da spore derivanti dalla

riproduzione sessuale (meiospore) e/o asessuale (mitospore). I funghi mostrano per lo più cicli

aplodicarionti, dove la fusione tra nuclei aploidi (cariogamia) porta all’unico elemento diploide, lo

zigote che va incontro immediatamente a meiosi, producendo di nuovo spore aploidi. Prima della

cariogamia, le ife rimangono in una fase nucleare dicarionte (n + n) e questa avverrà solo quando

le condizioni ambientali saranno favorevoli in cellule specializzate dette aschi negli Ascomycota e

basidi nei Basidiomycota, con la conseguente formazione di ascospore e basidiospore (meiospore)

(Maggi, 2011).

2.5 Ascomycota

Gli ascomiceti utilizzano detriti vegetali ed animali comportandosi da saprofiti ma molte specie

sono anche parassite o patogene di piante e animali, compreso l’uomo. La loro struttura

caratteristica è l’asco nel quale avviene la cariogamia e la divisione meiotica con la formazione

delle ascospore, spore endogene. Gli aschi possono essere liberi (lieviti) o più frequentemente

portati in un ascocarpo, o corpo fruttifero, che può assumere diverse forme (a coppa denominato

apotecio, oppure a fiasco con un ostiolo denominato peritecio, o sferico senza comunicazioni con

l’esterno denominato cleistotecio) (Deacon, 2000).

Page 23: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

23

Figura 12 - Ciclo vitale di un ascomicete

2.6 Basidiomycota

Si tratta di funghi prevalentemente saprofiti ma anche parassiti di piante erbacee e legnose. Un

numero molto elevato di specie è simbionte radicale (micorrize) di numerose famiglie di

gimnosperme e angiosperme. Il basidio è la loro struttura riproduttiva caratteristica. Si forma

all’apice delle ife dicariotiche ed è portato dal basidiocarpo nello strato fertile detto imenio. Il

basidio svolge quindi un ruolo analogo a quello dell’asco degli Ascomiceti, ma le basidiospore sono

in questo caso spore esogene. I basidiocarpi possono avere forme molto varie e complesse, ma

quelle più evolute presentano uno stipite o gambo e un pileo o cappello ben distinti. Per quanto

riguarda la disposizione dei basidi, il cappello può presentare un imenio a tubuli, lamelle o spine

(Deacon, 2000).

Figura 13 - Ciclo vitale di un basidiomicete

Page 24: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

24

2.7 Eterocariosi e ciclo parasessuale

L’eterocariosi è il fenomeno attraverso il quale più nuclei di differente genotipo possono essere

presenti contemporaneamente nello stesso micelio. Può avvenire per mutazione di un nucleo del

micelio, per fusione delle ife di miceli genotipicamente diversi oppure per diploidizzazione (cioè

cariogamia di nuclei aploidi per formare nuclei diploidi). Nei funghi esiste la parassessualità,

definita come una ricombinazione genetica diversa dalla meiosi che si realizza a condizione che si

verifichino i seguenti eventi: formazione di un eterocarion, diploidizzazione dei nuclei, successiva

aploidizzazione. Il ciclo parassessuale fornisce a quei funghi che non hanno o hanno molto

raramente la riproduzione sessuale, una buona fonte dei variabilità genetica (Maggi, 2011).

2.8 Liberazione e dispersione delle spore

Il meccanismo di dispersione delle spore comprende tre momenti successivi: la liberazione, la

dispersione vera e propria e la deposizione. La liberazione può avvenire in modo passivo (gravità,

correnti d’aria, pioggia, ecc.) oppure in modo attivo (perdita di acqua nella cellula che raggrinzisce

e poi, gonfiandosi d’aria, proietta le spore oppure produzione di forti pressioni idrostatiche nella

cellula che permettono l’espulsione della spora). La successiva dispersione avviene ad opera di

agenti di differente natura: vento, acqua meteorica, animali, pratiche agronomiche...(Maggi, 2011).

2.9 Dormienza e germinazione delle spore

Il ciclo vitale di una spora si divide in vari periodi: maturazione (cambiamenti citologici),

dormienza (quiescenza), post-maturazione (conservazione), attivazione e germinazione (aumento

del volume, successiva tensioni e rottura delle pareti dalle quali fuoriesce l’abbozzo del tubo

germinativo). Quando la spora giunge a maturazione e viene liberata su un adatto substrato, essa

è potenzialmente in grado di germinare. A seconda della specie, la germinazione può essere

immediata oppure richiedere un periodo più o meno lungo di dormienza. Per esempio, le spore di

alcuni parassiti delle piante richiedono alcuni mesi di dormienza a bassa temperatura, al fine di

evitare i danni dei rigori invernali (svernamento). In altri casi, la dormienza non è costituzionale

ma indotta da fattori ambientali (insufficiente umidità, temperatura troppo bassa o troppo alta).

La germinazione comporta una serie di trasformazioni morfologiche e fisiologiche delle spore. Le

prime coinvolgono le dimensioni della spora che si rigonfia, aumentando considerevolmente il suo

volume. La tensione delle pareti esterne provoca rotture in vari punti dalle quali fuoriesce

l’abbozzo del tubo germinativo, per estroflessione della parete interna, che costituirà quella

esterna del nuovo abbozzo ifale. Tale rigonfiamento provoca anche modifiche a livello

endocellulare (ricomparsa dei mitocondri insieme ad un reticolo endoplasmatico più attivo e ben

formato). Questa fase corrisponde all’assorbimento di sostanze nutritive dal substrato (idrati di

carbonio, lipidi, aminoacidi, ecc.). Durante la germinazione gli idrati di carbonio vengono

convertiti in chitina o cellulosa mentre gli aminoacidi vengono trasformati in sostanze proteiche,

permettendo così la costruzione di nuovo materiale cellulare. Questi fenomeni comportano un

notevole aumento dei processi respiratori (Maggi, 2011).

2.10 Sviluppo delle ife

Attraverso varie ricerche eseguite sullo sviluppo del tallo miceliare (misurazione della distanza tra

apice ifale e setti sottostanti) si è pervenuti alla conclusione che il coefficiente di sviluppo degli

apici ifali varia da 0,1 mm/ora a 6 mm/ora, pari a 100 micron al minuto. Tale coefficiente è

influenzato da una serie di fattori interni ed esterni ma è indubbiamente regolato dal quantitativo

di sostanze nutritive assorbite e dalla loro traslocazione nella parte apicale della cellula. La

regione apicale di crescita è ricca di vescicole, è separata per mezzo di un’area sub-apicale da una

regione fortemente vacuolata ed è costantemente caratterizzata da un elevato quantitativo di

sostanze proteiche, provenienti o da sintesi in situ o da flussi migratori delle cellule adiacenti

sottostanti (Rambelli,1987).

Page 25: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

25

2.11 Sviluppo della colonia fungina

Quando una struttura fungina, una spora o un frammento miceliare, viene a trovarsi in un

ambiente adatto, generalmente sviluppa una o più ife che si estendono e si ramificano

lateralmente in direzioni diverse. Prende così origine la colonia che si sviluppa radialmente con

ritmo costante, la cui forma e aspetto sono imposti dall’ambiente stesso in cui essa cresce

(Rambelli, 1987).

2.12 Fattori che influenzano la colonizzazione

I funghi sono estremamente flessibili nell’adattarsi alle condizioni ambientali. Se queste sono

sfavorevoli o se il substrato non è adatto alla colonizzazione, i funghi sono stimolati alla

produzione di organi di resistenza o ad aumentare la sporulazione in attesa del verificarsi di

condizioni favorevoli (maggior potenziale di inoculo). I fattori che influenzano la colonizzazione del

substrato sono molteplici. Dal punto di vista ecologico, nell’ambito di un particolare ambiente, lo

sviluppo della popolazione microbica è direttamente influenzato e controllato sia dai fattori macro

che microambientali che compongono l’ambiente stesso. I principali sono:

Il substrato: è la fonte nutrizionale della microflora ed è indubbiamente il fattore più importante

da considerare

La temperatura: agisce come fattore limitante in quanto esclude i microrganismi in base ai loro

range massimi e minimi di temperatura entro i quali poter svilupparsi.

L’acqua: influisce indirettamente sulla disponibilità di sostanze nutritive e ossigeno o sulla

concentrazione di sostanze tossiche. La sua disponibilità è comunque legata all’andamento

stagionale, ma un eccesso d’acqua elimina le scorte di ossigeno normalmente presenti (Rambelli,

1987).

2.13 Importanza ecologica dei funghi e nutrizione minerale

Essa è legata soprattutto alla loro capacità degradative ed alle varie modalità di nutrizione. I

funghi sono importanti per:

- la decomposizione della materia organica;

- la sintesi di sostanze umiche;

- il rilascio di elementi minerali da materiali organici e inorganici;

- le modificazioni di permeabilità dei suoli e la promozione dell’aggregazione delle particelle

di suolo;

- il miglioramento del trasporto di elementi essenziali e acqua dal suolo alle radici delle

piante;

- la detossificazione dei suoli per mezzo dell’accumulo, a livello cellulare, di materiali

tossici;

- l’aumento della capacità di germinazione dei semi;

- la produzione di sostanze utili all’uomo quali antibiotici, antitumorali e

immunosoppressori (Maggi, 2011).

Page 26: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

26

2.14 Interazioni tra microrganismi

Come menzionato precedentemente, la colonizzazione del substrato prende origine da una

successione di meccanismi più o meno complessi che sono molto spesso influenzati da fattori

ambientali, inclusi i fenomeni di interazione tra le diverse componenti della popolazione microbica

tipica di un particolare substrato. Tali interazioni si esplicano tra batteri, alghe, funghi ed

attinomiceti quando essi si trovano a convivere nello stesso ambiente. La convivenza può essere

caratterizzata dal neutralismo, dal commensalismo, dal mutualismo, dalla competizione e

dall’antagonismo.

Neutralismo: comporta la mancanza di reciproca influenza tra differenti microrganismi.

Commensalismo: si verifica quando un microrganismo beneficia delle azioni o delle trasformazioni

operate da un secondo microrganismo, senza influire in alcun modo su quest’ultimo (per es.

alcuni lieviti sono in grado di sopportare elevate concentrazioni di zuccheri la cui fermentazione

ne riduce notevolmente la concentrazione, così rendendo il substrato favorevole per altri gruppi

microbici). La diffusione dei microrganismi commensali è notevole, come pure la molteplicità di

forme del commensalismo.

Mutualismo: si verifica quando due o più microrganismi collaborano reciprocamente nella

realizzazione di processi utili a tutti i contraenti dell’interazione (es. alcuni funghi producono

fattori di crescita utili per lo sviluppo di altri funghi, i quali a loro volta elaborano sostanze

nutritive utilizzate dai primi).

Competizione: si può instaurare sia tra specie diverse sia tra cellule della stessa specie o dello

stesso ceppo (per es. quando determinati fattori ambientali sono più o meno carenti

nell’ambiente). Da questa competizione un microrganismo, o un gruppo, prevale sull’altro a danno

di quest’ultimo.

Antagonismo: si verifica quando i microrganismi, attraverso particolari meccanismi, possono

danneggiare più o meno direttamente lo sviluppo di altri microrganismi. La forma più importante

di antagonismo è quella operata da certi microrganismi attraverso la produzione di antibiotici,

sostanze chimiche in grado di uccidere o di inibire lo sviluppo di altri microrganismi (vedi

Alexander Fleming che ha scoperto la penicillina) (Rambelli, 1987).

2.15 I funghi simbionti

Il termine simbiosi indica il vivere assieme di due organismi diversi. Si possono distinguere due

forme di simbiosi: parassitica (l’ospite subisce danni rilevanti fino alla morte in casi estremi) e

mutualistica (entrambi i partner ricevono vantaggi dall’associazione). La simbiosi si verifica

quando sono presenti alcune condizioni fondamentali: l’associazione tra i due partner è duratura

nel tempo, faccia parte integrante del ciclo vitale dei due organismi, comprenda scambi

nutrizionali che influiscano sul metabolismo di entrambi i partner. Tra i fenomeni di interazione,

quello che ha raggiunto i massimi livelli di specializzazione è la simbiosi mutualistica. Molto

spesso i simbionti, pur conservando la loro individualità, contraggono rapporti talmente stretti da

formare un organismo nuovo, diverso e dotato di propri caratteri fisiologici che offrono nuove

capacità metaboliche e caratteristiche ecologiche tali da consentirgli anche habitat differenti.

Page 27: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

27

2.15.1 Micorrize

Per micorriza si intende l’associazione simbiotica mutualistica che si realizza tra alcuni funghi del

suolo e le radici di alcune piante. La pianta fornisce al fungo carbonio organico ed il fungo

fornisce alla pianta acqua e sali minerali. Da questa associazione entrambi i partner traggono

ampi benefici che si concretizzano in un più rigoglioso sviluppo della pianta nel suo complesso. Il

fenomeno si realizza per contatto tra le ife miceliari e i peli terminali delle radice di alberi, arbusti

o erbe (micorriza ectotrofica, tipica dei basidiomiceti e di taluni ascomiceti) o per penetrazione

(micorriza endotrofica).

Ectomicorrize: la struttura, lo sviluppo e la distribuzione delle micorrize di molte piante forestali

delle regioni temperate sono assai simili in base al loro ruolo ecologico. Le principali famiglie di

specie arboree che formano micorrize sono: Pinacee, Cupressacee, Salicacee, Betullacee, Fagacee,

Ulmacee, Rosacee, Leguminose, Sapindacee, Aceracee, Tialiacee, Myrtacee, Ericacee. Si chiamano

ectomicorrize perché sono quasi sempre visibili nell’orizzonte del suolo occupato dalle radici

assorbenti.

Endomicorrize: a differenza delle precedenti, mancano di un mantello fungino esterno ed attorno

all’apice radicale è visibile solo un tenue sviluppo miceliare che penetra nel suolo. Si dividono in

due gruppi: quelle prodotte da micelio settato (orchidee, ericacee ed altre angiosperme) e quelle

prodotte da micelio asettato (graminacee, gimnosperme, ecc.) (Rambelli, 1987).

2.16 I funghi saprofiti

I funghi saprofiti sono per lo più funghi del suolo. E’ importante considerare che la flora fungina si

trova nel suolo soprattutto in funzione dei residui di sostanza organica in esso presenti, in

particolare: frammenti di copertura vegetale, resti animali (cadaveri e deiezioni della micro- e

macro-fauna). Le soluzioni circolanti contenute nel suolo (sali disciolti e zuccheri semplici o

complessi) derivano dalla degradazione della sostanza organica (cellulosa, emicellulosa, pectina,

ecc.) e garantiscono la sopravvivenza e lo sviluppo della microflora, se l’apporto nutritivo è

costante nel tempo (ad es. la lettiera di una foresta naturale rappresenta senz’altro un substrato

adatto per una colonizzazione fungina). Le specie fungine utilizzano quindi sostanze nutritive

derivanti da più sorgenti: la lettiera soprastante, le soluzioni circolanti nel suolo, la degradazione

delle radici, dei resti della microfauna e di tutti i microrganismi presenti in una data area.

In un ambiente naturale le diverse componenti dell’ecosistema sono in perfetto equilibrio tra loro e

le piante completano il ciclo sintetizzando nuova sostanza organica tramite i processi foto

sintetici, liberando sostanze organiche sulla superficie del suolo (foglie, fiori, frutti, rami, tronchi,

ecc.) ed organicando le sostanze minerali assorbite con gli apparati radicali. Quindi il substrato

pedologico (lettiera e suolo) viene prodotto ciclicamente e costantemente e le variazioni nella sua

composizione chimica e fisica sono ricollegabili al susseguirsi delle stagioni e degli eventi

meteorologici. Da questo complesso ciclo di interazioni tra le diverse componenti ecologiche sorge

l’equilibrio naturale. Questo ciclo naturale può essere esteso anche ai suoli cosiddetti artificiali,

nei quali cioè l’uomo è intervenuto con azioni (lavorazioni, concimazioni, coltivazioni, ecc.) che

hanno modificato profondamente l’equilibrio naturale, anche se risulta ovvio che, in un ambiente

antropizzato, le possibilità di contaminazione sono enormi, in quanto l’uomo può trasportare con

le sue attività le spore fungine o qualsiasi altro microorganismo da un ambiente all’altro con

estrema facilità, determinando la rottura dell’ equilibrio microbico (Rambelli, 1987).

Page 28: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

28

2.16.1 I funghi della rizosfera

Il terreno a contatto con le radici (rizosfera) risulta più densamente popolato da microrganismi

(detti rizosferici). Le sostanze prodotte dalle radici delle piante, che costituiscono i prodotti del suo

metabolismo e che si chiamano essudati radicali, contengono infatti acidi organici, vitamine,

aminoacidi liberi e complessi che stimolano la moltiplicazione delle forme microbiche presenti in

grado di utilizzarli per scopi nutrizionali. I microrganismi rizosferici sono in grado di elaborare

numerose sostanze che agiscono con svariati meccanismi sullo sviluppo o sul metabolismo delle

piante stesse (es. fitormoni, vitamine, antibiotici, enzimi, proteine, ecc.).

2.16.2 I funghi della micorrizosfera

I più abili ‘utilizzatori’ degli essudati radicali sono probabilmente i funghi micorrizogeni che

competono direttamente con quelli rizosferici. Le ife micorrizogene vengono stimolate a svilupparsi

in zone dove gli essudati non sono utilizzati dagli altri funghi, cioè in direzione della sorgente

stessa di produzione fino a raggiungere l’apice radicale, insediandosi direttamente sulla sua

superficie. A questo punto si forma il mantello fungino, il fungo penetra nei tessuti radicali

dell’ospite e dà inizio alla simbiosi micorrizica.

2.16.3 I funghi della fillosfera

I funghi saprofiti della fillosfera sono altamente specializzati. Si formano infatti sulle foglie delle

piante. Le sostanze prodotte dalle aperture naturali delle foglie permangono sulla superficie per

un tempo più o meno lungo e tendono ad accumularsi, con effetti eventualmente nocivi per la

pianta stessa. I funghi fillosferici ovviano a questo inconveniente utilizzando queste sostanze a

scopo nutrizionale, e provocandone la decomposizione in residui molecolari accessibili ad altri

microrganismi meno specializzati.

2.16.4 I funghi della spermosfera

Anche i semi, come le foglie, hanno una loro microflora fungina. I funghi spermosferici possono

svilupparsi sia sulla superficie del seme, sia penetrare al suo interno, nutrendosi direttamente a

danno dell’ospite, oppure utilizzando solo prodotti escreti. I funghi che costituiscono la

spermosfera, in particolare quelli che colonizzano la parte esterna degli involucri seminali, sono

ovviamente più soggetti all’influenza di fattori esterni. Infatti, i semi, a differenza delle foglie, sono

spesso raccolti dall’uomo ed è quindi facile capire come possano, in questi casi, verificarsi anche

profondi mutamenti nei funghi della spermosfera.

2.16.5 I funghi dell’acqua

Funghi marini: si distinguono in funghi marini obbligati (che crescono e si sviluppano

esclusivamente in acqua salata) e funghi marini facoltativi (che si adattano sia all’acqua

dolce che salata).

Funghi d’acqua dolce: sono presenti nei luoghi più disparati (laghi, fiumi, torrenti, stagni

permanenti e stagionali, risaie), compresi i suoli ricchi d’acqua. Alcuni funghi privilegiano

le acque chiare e pulite, altri le acque sporche e inquinate (in queste ultime si sviluppa

prevalentemente una microflora fungina parassita del plankton e del fitoplankton con

attacchi tanto massicci da compromettere, in alcuni casi, la vita nei laghi o nei corpi idrici

in generale).

Page 29: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

29

2.16.6 I funghi termofili

Come precedentemente introdotto, tra i fattori fisici che influenzano lo sviluppo dei funghi la

temperatura riveste un ruolo importante. Nel corso dell’evoluzione, i funghi si sono adattati

all’influenza che la temperatura esercita costantemente sull’ambiente da essi popolato. Per tale

ragione, i funghi possono essere divisi in tre grandi gruppi a seconda dell’optimum di temperatura

necessario per il loro sviluppo:

Funghi mesofili: sono i più diffusi ed hanno un optimum di temperatura attorno ai 25°C.

Funghi psicrofili: sono assai rari ed hanno un optimum di temperatura attorno ai 10°C. La

maggior parte delle specie però cresce anche a temperature superiori. Negli ambienti polari

esiste una particolare microflora che si sviluppa abbondantemente a 4-5°C e resiste a

temperature notevolmente inferiori a 0°C. Sono facilmente reperibili sugli alimenti

conservati nei frigoriferi dove crescono molto lentamente ma producono danni a volte

considerevoli.

Funghi termofili: sono anch’essi rari ed hanno un optimum di temperatura sui 40°C. Sono

rappresentati in natura da una ventina di specie e sono presenti negli ambienti più

disparati. Restano latenti in forme di resistenza ma diventano straordinariamente attivi

quando la temperatura ambientale sale verso i 25-30°C. La loro attività determina un

notevole innalzamento della temperatura del substrato che sale rapidamente a 55-60°C

impedendo la crescita dei funghi mesofili che non possono più esercitare un’azione

competitiva. Un esempio di questo processo lo troviamo nella trasformazione ad uso

agronomico dei rifiuti cittadini in concimi organici. Possono anche essere causa di gravi

alterazioni quando si sviluppano su derrate conservate soprattutto per l’alimentazione

animale e sembrano provocare allergie e cancri polmonari.

Funghi termo-tolleranti: pur non avendo un optimum elevato come i termofili, sono in

grado di resistere bene e di svilupparsi anche a 40-45°C.

2.17 I funghi parassiti

Quando un organismo vive a spese di un altro organismo vivente animale o vegetale si ha il

parassitismo. Tale interazione ecologica coinvolge quindi due contraenti: il parassita le cui azioni

sono offensive e l’ospite le cui azioni sono difensive. Se tali difese sono efficaci, l’ospite viene

definito resistente, altrimenti si dice suscettibile. Il parassita può attaccare con successo l’ospite

solo se sono presenti, contemporaneamente, tutti i fattori ambientali predisponenti (‘triangolo

della malattia’). I parassiti fungini sono in grado di attaccare molteplici organismi viventi (le piante

superiori, le piante inferiori e, raramente, altri miceti). Inoltre, i funghi parassiti possono attaccare

protozoi, invertebrati e vertebrati, compreso l’uomo. Si dividono in:

Funghi parassiti delle piante: possono essere parassiti obbligati (l’associazione con la pianta è

obbligatoria) oppure parassiti facoltativi/non obbligati (possono vivere come saprofiti anche su

materiale in decomposizione di origine vegetale), in grado di interferire con la fisiologia dell’ospite

in molti casi alterandola. Possono penetrare nell’ospite attraverso le aperture naturali (ad es. gli

stomi), direttamente attraverso l’epidermide (e lo strato cuticolare) o attraverso ferite (o altre

aperture accidentali).

Funghi parassiti dei licheni: alcuni funghi vivono sul tallo di alcuni licheni in modo simbiotico

mentre altri sono dei veri e propri parassiti più o meno dannosi

Funghi parassiti di altri funghi: i funghi sono spesso in stretta competizione tra loro. Quando un

fungo sottrae nutrimenti ad un altro si parla di micoparassitismo, un fenomeno anche utilizzato

nel controllo biologico delle malattie.

Page 30: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

30

Funghi predatori: catturano la preda viva e si nutrono di essa fino alla morte ed anche dopo la

morte (es. alcuni endoparassiti che attaccano protozoi, rotiferi, amebe e nematodi).

Funghi parassiti degli insetti: la penetrazione può aver luogo attraverso il tegumento oppure

attraverso il sistema tracheale o l’intestino. Si distinguono in ectoparassiti ed endoparassiti a

seconda del tipo di colonizzazione (esterna o interna).

Funghi parassiti dei vertebrati: sono generalmente parassiti facoltativi che conducono sul suolo

una vita saprofitaria. Le vittime di tali micosi sono generalmente uccelli e mammiferi, tra cui

l’uomo.

2.18 Un “nuovo” ruolo per i funghi

L'utilizzo di protocolli di indagine sulla qualità dell'ambiente basati sulla identificazione delle

consociazioni di organismi viventi (licheni, macroinvertebrati, specie erbacee) per la definizione di

Indici Biotici rappresenta oggi sempre più uno strumento utile ed attendibile nelle campagne di

monitoraggio; tra di essi, il monitoraggio dei macromiceti costituisce senz’altro, per ricchezza e

varietà di specie, un’importante componente (La Porta, 2008). Negli ultimi 30 anni sono state

fornite molte evidenze di un impoverimento della flora macromicetica sia nell’Europa Centrale che

Mediterranea (Senn-Irlet et al., 2007). Questo fatto è stato interpretato come sintomo di disturbo

alla stabilità ecologica degli ecosistemi forestali. La registrazione a lungo termine dei parametri

fungini di tipo quantitativo, nello specifico in termini di composizione di generi e specie, viene

considerata particolarmente utile per l’accertamento precoce di danni forestali. Va sottolineato

però come la comunità fungina sia una delle componenti della biodiversità meno investigate negli

ecosistemi terrestri. Stime della ricchezza delle specie fungine a scala globale variano da 0,5 a 9,9

milioni di specie presenti, ma al momento solo 70.000 di esse sono state descritte (Hawksworth,

2001). Questa carenza conoscitiva rende quindi ancora oggi difficoltosa la stima della biodiversità

fungina negli ecosistemi e il suo monitoraggio nel tempo. L’acquisizione e la conservazione dei dati

di biodiversità delle specie fungine risultano compromesse dall’inadeguatezza delle conoscenze

tassonomiche e dalla mancanza di un sufficiente numero di esperti (Hawksworth, 1991). Molte

specie fungine sono rappresentate da piccoli organismi e il rilievo della loro presenza spesso

richiede l’utilizzo di tecniche speciali. Anche molti macromiceti che presentano uno sporoforo

(carpoforo o corpo fruttifero) maggiore di 1 mm sono difficili da riconoscere sul campo (Arnolds,

1981). Inoltre, l’irregolare produzione degli sporofori associata con la loro natura effimera riduce

fortemente il loro rilevamento negli ecosistemi naturali. In questo contesto risulta quindi urgente

accumulare conoscenze sui modelli di distribuzione temporali e spaziali della biodiversità fungina

per comprendere i cambiamenti a lungo termine delle comunità micetiche (La Porta, 2008).

Page 31: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

31

OBIETTIVI

I funghi svolgono funzioni essenziali all’interno degli ecosistemi come biodemolitori di sostanze

organiche, ed inoltre la loro simbiosi con le piante assume una fondamentale importanza nel

mantenimento degli equilibri tra le varie popolazioni vegetali. Come avviene per le piante

superiori, per la flora e per gli animali, anche i funghi vanno studiati e segnalati sui vari territori,

al fine di facilitare interventi che consentano di salvaguardarne la biodiversità: perché tutto ciò sia

possibile, si rendono indispensabili il censimento e la mappatura delle specie (Gatti, 2000).

Scopo quindi del presente lavoro è quello di effettuare un censimento sulla popolazione dei

macromiceti presente all'interno dell’area del Bosco delle Querce di Seveso e Meda, in cui

integrare i differenti aspetti della comunità fungina: composizione, struttura spaziale, variabilità

ecosistemica, consentendo di acquisire informazioni preliminari circa l’ecologia e la biodiversità

macromicologica.

Al momento di iniziare il presente lavoro, non era disponibile alcun dato micologico relativo al

Bosco delle Querce, poiché in passato sono stati realizzati unicamente studi riguardanti la

componente vegetale e faunistica. Di conseguenza, l’Ente Regionale per i Servizi all’Agricoltura e

alle Foreste (ERSAF), che gestisce il parco, ha avviato questo progetto di rilevamento della

popolazione dei macromiceti, con la collaborazione dell’Associazione Micologica Bresadola -

Gruppo Micologico Mario Galli Barlassina.

Si riteneva inoltre utile, come aggiornamento della Banca Dati ERSAF, effettuare un’analisi di pH

su alcuni campioni di terreno prelevati omogeneamente dall’intera superficie del Bosco delle

Querce, allo scopo di monitorare il processo di evoluzione del suolo.

Il progetto prevede le seguenti azioni:

Mappatura della popolazione fungina, nelle due aree a diversa funzionalità (area fruita

e area naturalistica);

Analisi e correlazione delle informazioni raccolte, per definire il quadro strutturale ed

ecologico delle comunità indagate;

Definizione delle relazioni tra la comunità fungina e le differenti metodologie di gestione

forestale;

Analisi di 13 campioni di terreno prelevati dai quadranti più significativi per

valutazione pH e confronto con i dati rilevati nel 1991 della Scuola Agraria di Minoprio.

Page 32: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

32

MATERIALI E METODI

1) Mappatura dei funghi

a. Aspetti metodologici

Le zone funzionali oggetto dell’indagine sono state individuate preliminarmente in base alle

modalità gestionali del Bosco: area fruita accessibile al pubblico e regolarmente soggetta ad

interventi di manutenzione (sfalcio e potatura), e area naturalistica protetta. Successivamente,

prendendo in considerazione l’intera superficie del parco, sono stati indentificati e delimitati i

quadranti da perlustrare, utilizzando il software AutoCAD. Si tratta complessivamente di 151

quadranti, di area 50x50 m (riportati in rosso nella figura 14). I suddetti quadranti sono

numerati: il quadrante numero 1 è posizionato in alto a sinistra, il quadrante numero 151 si trova

in basso a destra.

Figura 14 - Suddivisione del Bosco in quadranti

I sopralluoghi in loco, effettuati quadrante per quadrante sull’intera superficie del parco, si sono

concentrati nei periodi di settembre, ottobre e novembre 2013. Sei di essi sono state dedicati alla

perlustrazione dell’area a pubblico accesso, comprendente prati regolarmente soggetti a sfalcio,

prati selvatici, fasce a struttura arbustiva, verde ornamentale e aree boscate; gli ultimi due

all’ispezione dell’area naturalistica, di estensione minore rispetto alla precedente, preclusa al

pubblico e separata dall’area fruita da una rete. Lo sviluppo di quest’area ripercorre le dinamiche

di crescita di un bosco naturale.

Page 33: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

33

Si è scelto come punto di partenza una delle entrate secondarie del parco, l’accesso ubicato

nell’area sud, che si affaccia su via Redipuglia. Le indagini sono state avviate nella zona sud-

ovest, limitrofa alla collina contenente la vasca di Seveso, per poi proseguire verso nord; una volta

perlustrata l’estremità nord del parco, le ispezioni sono continuate nell’area est, confinante con la

superstrada Milano-Meda. Da ultimo, si è analizzata l’area naturalistica, che occupa una rilevante

parte del parco, nell’area est.

b. Materiali

Per registrare i dati rilevati durante i sopralluoghi, sono state redatte delle tabelle di compilazione,

strutturate come in figura 15.

Figura 15 – Tabella di compilazione delle specie fungine presenti in un dato quadrante di una specifica area

funzionale

Tali tabelle sono state compilate con l’elenco delle specie di macromiceti rilevate, il quadrante

all’interno del quale si è riscontrata la presenza delle specie, e il comportamento trofico di

ciascuna specie, determinato dalle sue esigenze nutritive; è stato pertanto sottolineato se la specie

si comportasse da saprofita, parassita o simbionte, tenendo in considerazione il fatto che spesso

questi comportamenti non sono ben definiti e possono evolversi da una forma all’altra nel corso

della vita del fungo.

Page 34: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

34

c. Identificazione dei funghi

Le chiavi analitiche dei funghi sono un metodo per condurre al riconoscimento di un esemplare di

un fungo epigeo. Tutti i funghi epigei presentano una varietà di forme, di dimensioni, di strutture

e di colori (Mazza, 1995).

La prima operazione da effettuare è verificare, in base alla sua forma, a quale raggruppamento

appartiene il fungo in esame:

Agaricacee: funghi a lamelle

Boletacee: funghi a tubuli

Polyporacee: funghi a pori

Hydnacee: funghi ad aculei

Clavariacee: funghi a clava o a mazza o a cespuglio

Gasteromyceti: funghi vescia o consimili

Tremellacee: funghi gelatinosi

Ascomiceti: funghi a coppa o a cappuccio o consimili.

Supponendo di esaminare un fungo a lamelle, si procede identificando, in base al colore delle sue

spore, a quale delle seguenti sezioni appartiene:

funghi a spore bianche (leucosporei)

funghi a spore giallo-brune (ocrosporei)

funghi a spore rosa (rodosporei)

funghi a spore bruno-porporine (iantinosporei)

funghi a spore bruno-nerastre o nere (melanosporei)

Il colore delle spore si determina sulle spore depositate in massa, cioè sull'impronta sporigena del

fungo. A volte è possibile osservare la sporata sul campo. Solitamente però, il deposito delle spore

va provocato, appoggiando la parte fertile del fungo su un foglio bianco, in un ambiente

sufficientemente umido da non provocarne l’essicamento e fresco da non accelerarne la

marcescenza (Stecchi, 2003). Nel caso le spore del fungo in esame siano di colore bruno-

porporine, bisogna fare la ricerca del fungo nella sezione "funghi iantinosporei". La chiave

analitica di questo Gruppo mostra due possibilità.

Anello presente sul gambo (2)

Anello assente (3)

Se il fungo ha un anello molto bene evidente sul gambo, bisogna andare al numero 2 della chiave

analitica, dove si trovano ancora due possibilità:

Lamelle libere (Agaricus)

Lamelle attaccate al gambo (Tricholoma)

Se si riscontra che le lamelle sono libere, e cioè non hanno contatto con il gambo, il fungo in

esame appartiene indiscutibilmente al gruppo Agaricus. Una volta stabilito il Genere basta

consultare la chiave analitica del genere Agaricus per individuare a che specie appartiene

l'esemplare da classificare.

Page 35: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

35

d. I criteri per la classificazione

I funghi, come tutti gli altri essere presenti in natura, vengono classificati inserendoli in uno

schema, definito Sistema, di raggruppamenti (suddivisi in Classi, Ordini, Famiglie, Generi e altri

intermedi) sempre più piccoli fino a giungere all’unità, ovvero alla specie, che peraltro può

anch’essa comprendere sottospecie, forme, varietà.

La sistematica dei funghi, ovvero lo studio e la definizione di questo sistema, è molto discussa e

mutevole perché per i funghi la scienza non ha ancora quelle certezze filogenetiche che rendono

più stabile, e probabilmente in effettiva sintonia con il “disegno” della natura, la sistematica delle

piante superiori. Per tale ragione la sistematica è attualmente null’altro che il mezzo più comodo

per giungere alla classificazione di una specie (Stecchi, 2003).

In questa sede ci si è affidati a uno schema estremamente tradizionale, quasi semplificato, che

privilegia, dove possibile, l’aspetto macromorfologico, rispetto ai caratteri identificabili soltanto

con il microscopio ottico, se non addirittura con mezzi più sofisticati come la microscopia

elettronica.

La prima grande suddivisione, tuttavia, parte proprio da un fondamentale carattere microscopico:

la maturazione delle spore attaccate esternamente a un supporto, detto basidio, o all’interno di

“sacchetti” detti aschi.

Tabella 3 – Classificazione sistematica dei funghi

CLASSE Basidiomiceti

SOTTOCLASSE Imenomiceti Funghi con parte fertile a maturità esposta

ORDINE Agaricali Con imenio a lamelle o a tubuli con tessuto nettamente

differenziato da quello della carne FAMIGLIE Amanitaceae Funghi con gambo e cappello eterogenei, lamelle libere e residui

dei veli persistenti, sporata bianca o biancastra Pluteaceae Con gambo e cappello eterogenei lamelle libere, sporata rosa

Agaricaceae Con gambo e cappello eterogenei, lamelle libere, residui del velo parziale presenti (poco evidenti e non sempre presenti quelli del velo generale) sporata colorata o bianca

Tricholomataceae Con gambo e cappello a tessuto omogeneo, lamelle variamente attaccate al gambo, polpa fibrosa o compatta, sporata bianca o crema-rosata

Entolomataceae Con gambo e cappello a tessuto omogeneo, residui velari, sporata

rosa Pleurotaceae Con gambo e cappello a tessuto omogeneo, lamelle decorrenti,

gambo laterale o eccentrico oppure carne coriacea, sporata

bianca o crema chiara Hygropharaceae Con gambo e cappello a tessuto omogeneo, lamelle spesse di

consistenza ceracea o grassa, sporata bianca o crema chiara Cortinariaceae Di forma e dimensioni variabilissime, micorrizici, con lamelle

annesse, con residui del velo parziale costituiti da cortina o raramente anello, sporata ocra o bruna-tabacco, in un solo caso

bianca, spore prive di poro germinativo (una sorta di “bocca” a un apice della spora)

Crepidotaceae Di forma e dimensioni variabilissime, saprofiti o parassiti, con lamelle annesse, con residui del velo parziale costituiti da cortina

o anello, sporata bianca con diverse tonalità fino al ferruginoso o al rossastro, spore prive di poro germinativo

Bolbitiaceae Di forma e dimensioni variabilissime, con lamelle annesse,

sporata da bruniccia a bruno-grigia a nerastra, spore con poro generativo e vari caratteri microscopici che separano dalle due famiglie precedenti e dalla seguente

Strophariaceae Di forma e dimensioni variabilissime, con lamelle annesse, ma funghi prevalentemente lignicoli (in un solo genere terricoli), sporata da bruniccia piuttosto scura a grigio-violacea, spore lisce con poro generativo e vari caratteri microscopici che separano

dalle tre famiglie precedenti Coprinaceae Con gambo e cappello eterogenei, lamelle libere, sporata nerastra

Russulaceae Con carne gessosa, spore con ornamentazioni amiloidi, sporata da bianca a crema ocra più o meno carico a gialla

Page 36: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

36

Boletaceae Con imenio costituito da tubuli o lamelle decorrenti e colorate, più o meno venate, facilmente separabili dalla polpa sovrastante, sporata bruno oliva, o rossastro-nerastra, in due generi biancastra

CLASSE Basidiomiceti

SOTTOCLASSE Imenomiceti Funghi con parte fertile a maturità esposta

ORDINE Afilloforali Con imenio a pori, aculei, pieghe lamellari, non separabile dal

resto della carne o non differenziato, almeno in fase giovanile FAMIGLIE Polyporaceae Funghi variabilissimi per forma ed ecologia, con imenoforo

poroide, irpicoide, labirintiforme o lamellato, con cappello provvisto di gambo più o meno rudimentale o senza gambo e a

terrazzo su supporto legnoso. Caratteri microscopici molto variabili

Bondarzewiaceae Con gambo, annuali, con imenoforo poroide o su superfici

ramificate. Terricoli, con sistema ifale dimitico Ganodermataceae Annuali, con o senza gambo, carne suberosa, sistema ifale

trimitico, lignicoli Fistulinaceae Annuali, con gambo laterale, carnosi, sistema ifale monomitico,

imenoforo costituito da tubuli liberi, addossati tra loro, appesi alla polpa soprastante

Hydnaceae Carnosi, con gambo e cappello seppure irregolari, con imenio ad aculei carnosi, spore lisce

Thelephoraceae Variabilissimi: carnosi o suberosi o legnosi, con o senza gambo e

cappello distinguibili, sovente coralloidi, con imenoforo poroide o ad aculei o semplicemente disteso sulla superficie esterna del cappello. Spore non lisce ma verrucose o gibbose o aculeate

Clavariaceae Claviformi o coralloidi, eretti, carnosi. Con imenio disteso

Cantharellaceae Con gambo e cappello più o meno differenziati, carnosi o elastico-

ceracei, eretti, con imenio distribuito su solchi o pieghe lamellari più o meno distinte, a forma di trombetta o a cono rovesciato o a cornetto

CLASSE Basidiomiceti

SOTTOCLASSE Imenomiceti Funghi con parte fertile a maturità esposta

ORDINE Auriculariali Imenio con basidi suddivisi in setti trasversali

FAMIGLIE Auriculariaceae Gelatinosi, lignicoli, a forma di tazza rovesciata od orecchia

CLASSE Basidiomiceti

SOTTOCLASSE Imenomiceti Funghi con parte fertile a maturità esposta

ORDINE Tremellali Imenio con basidi suddivisi in setti longitudinali

FAMIGLIE Tremellaceae Gelatinosi, terricoli o lignicoli, labirintiformi o a orecchia o a ventaglio o quasi coralloidi o con imenoforo aculeato

CLASSE Basidiomiceti

SOTTOCLASSE Imenomiceti Funghi con parte fertile a maturità esposta

ORDINE Dacrymycetali Funghi di consistenza ceracea o di gelatina, mollicci all’inizio, con basidi non settati

FAMIGLIE Dacrymycetaceae Gelatinosi, a tazzetta o coralloidi o clavati o semplicemente distesi sul substrato, con imenoforo giallo o arancione

CLASSE Basidiomiceti

SOTTOCLASSE Gasteromiceti Con imenio a maturità non esposto

ORDINE Lycoperdales Più o meno a forma di palla, almeno inizialmente, sessili o con un gambo rudimentale, con gleba (la carne da giovane) che

diventa polverulenta FAMIGLIE Lycoperdaceae Esoperidio liscio o sottile e suddiviso in aculei e presto

scomparente Geastraceae Esoperidio spesso che a maturazione si apre a stella lasciando

esposto l’endoperidio CLASSE Basidiomiceti

SOTTOCLASSE Gasteromiceti Con imenio a maturità non esposto

ORDINE Sclerodermatales I caratteri distintivi dall’ordine precedente sono microscopici e complessi

FAMIGLIE Astreaceae Esoperidio spesso e più strati che, a maturazione, si apre a stella lasciando esposto l’endoperidio

Sclerodermataceae Peridio a unico strato spesso che si apre all’apice e si rompe a maturazione

CLASSE Basidiomiceti

SOTTOCLASSE Gasteromiceti Con imenio a maturità non esposto

ORDINE Phallales Con gleba immersa in una sostanza mucillaginosa

Page 37: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

37

FAMIGLIE Phallaceae A maturazione a forma di fallo con gleba intorno all’apice

Clathraceae A maturazione a forma di cancello o tentacolare con gleba sulla

superficie interna CLASSE Ascomiceti

ORDINE Pezizales Imenio disteso sulla superficie superiore o interna di coppe più o meno regolari e contorte. Aschi opercolati

FAMIGLIE Morchellaceae Con gambo gavo e cappello a forma di nido d’ape o vagamente

cerebriforme Helvellaceae Con gambo differenziato e cappello a forma di sella o

cerebriforme o a forma di coppa Humariaceae Privi di gambo, con struttura ceracea e fragile, terricoli

Pezizaceae Privi di gambo, con struttura ceracea e fragile o più o meno carnosa, a forma di coppa od orecchia o distesa come un bottone o una moneta, terricoli o lignicoli

CLASSE Ascomiceti

ORDINE Helotiales Aschi privi di opercolo e con altri caratteri microscopici diversi

FAMIGLIE Geoglossaceae Con gambo eretto e cappello fertile claviforme o a forma di ventaglio

CLASSE Ascomiceti

ORDINE Tuberales Funghi ipogei con imenio in cellette pressate nella gleba

FAMIGLIE Tuberaceae Unica famiglia dell’ordine

2) Analisi dei campioni di terreno

Grazie alla potenziometria è possibile determinare la concentrazione di Ioni H+ presenti nella

soluzione. Nel caso preso in esame, è stato utilizzato un pHmetro da laboratorio (Mettler Toledo),

settato con un elettrodo a vetro combinato che permette, durante l’analisi, un monitoraggio in

continuo della temperatura. Prima di poter procedere con la descrizione del procedimento

standard per l’analisi del pH dei campioni, verrà fatta una breve introduzione al fine di chiarire i

punti chiave dell’analisi.

a. Elettrodo a vetro combinato

L’elettrodo a vetro deve il suo nome al fatto che la sua parte sensibile al pH è una sottile

membrana di vetro posta all’estremità dell’elettrodo. Essendo necessari due elettrodi per la misura

del pH (uno di misura e uno di riferimento), gli elettrodi a vetro disponibili sul mercato combinano

in un unico corpo l'elettrodo a vetro vero e proprio, che funge da elettrodo di misura, con un

secondo elettrodo, di riferimento. Un elettrodo a vetro di questo genere viene detto "combinato".

L’elettrodo a vetro misura la differenza di potenziale elettrico sui due lati della membrana; tale

differenza di potenziale è legata alla differenza di concentrazione di ioni idrogeno all’interno e

all’esterno della membrana. La bontà di un elettrodo a vetro è direttamente correlata alle proprietà

della membrana a vetro:

Resistenza elettrica non troppo alta;

Range di pH esteso;

Stabilità chimica (necessaria per campioni aggressivi, che potrebbero modificare le proprietà dell’elettrodo e inquinare il campione stesso);

Lavorabilità alla soffieria (necessaria per costruire diverse forme necessarie a soddisfare differenti utilizzi).

Di seguito, è riportato un esempio di elettrodo a vetro combinato con sensore di temperatura

incorporato (Figura 16).

Page 38: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

38

Figura 16 – Elettrodo a vetro combinato con sensore di temperatura

In genere, si compone di un tubo di vetro incamiciato da un tubo esterno in cui sono contenuti un

filo d'argento, del cloruro d'argento e un elettrolita (generalmente una soluzione di cloruro di

potassio), che fungono da elettrodo di riferimento. Anche nel tubo interno si trovano un filo

d'argento, del cloruro d'argento e un elettrolita; all'elettrolita è aggiunta una soluzione tampone:

questi fungono da elettrodo di misura. Il tubo interno è in contatto con la soluzione del campione

da misurare attraverso una membrana di vetro sottile posta alla sua estremità; il tubo esterno è in

contatto con la soluzione del campione da misurare attraverso un diaframma poroso che funge da

ponte salino. La parte sensibile al pH è la membrana di vetro sottile, sui cui strati superficiali

esterno e interno avviene uno scambio tra gli ioni Na+ del vetro e gli ioni H+ delle soluzioni con cui

queste superfici sono in contatto. Sulla faccia interna, la soluzione è una soluzione tamponata a

pH noto e fisicamente isolata dall'ambiente esterno, sulla faccia esterna la soluzione è quella

sottoposta a misura: se è acida si avrà un accumulo di ioni H+ sullo strato superficiale della

membrana, se è basica si avrà un impoverimento di ioni H+ sullo strato superficiale della

membrana. Il potenziale elettrico registrato dall'elettrodo è dovuto a questo squilibrio tra gli ioni

H+ presenti sugli strati superficiali interno ed esterno della membrana. Tale potenziale, inviato ad

un pH-metro da un cavo coassiale, viene amplificato e visualizzato in unità di pH corrispondenti.

Per non incorrere in errori strumentali è necessario stimare il range di pH nel quale si vuole

operare in quanto, per valori prossimi a condizioni fortemente acide (- 2 < pH < 2) e basiche (10 <

pH < 14) si possono avere valori di pH errati. A pH molto bassi si possono avere letture più alte

dei valori di pH reali, mentre l’opposto si verifica nel range di pH basico sopra riportato. Ricerche

in letteratura hanno permesso di stimare che la condizione di acidità massima dei terreni presi in

considerazione è compresa tra 5,3 ed 8 (Di Fidio, 2000).

Page 39: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

39

b. Procedimento per l’analisi

Al fine di ottenere dati confrontabili e riproducibili, è stato adottato lo stesso metodo utilizzato da

precedenti studi effettuati su questi terreni. Il rapporto è risultato essere di 1 g di terreno per 2.5

g di H2O. Per permettere al bulbo di vetro di poter esser immerso completamente nel campione, si

è scelto di utilizzare 4 g di terreno con 10 g di Acqua. È bene precisare che per non inquinare il

campione con ioni HCO3-, Na+, Ca2+, presenti nell’acqua di rete, si è scelto di utilizzare Acqua Milli-

Q: acqua sottoposta ad una purificazione e deionizzazione di alto livello. Il set-up del pHmetro

automatico utilizzato nelle analisi effettuate presenta elettrodo Ag|AgCl combinato, con sensore di

temperatura incorporato. La conferma dell’esattezza delle misure effettuate è garantita dall’iniziale

taratura dello strumento con una soluzione tampone a pH 7.

I campioni di terreno, prelevati dai quadranti 7, 9, 19, 31, 32, 61, 75, 90, 95, 120, 122, 139, 148,

dopo essere stati setacciati e puliti da eventuali residui grossolani, sono stati versati in becher da

100 ml. I campioni sono stati portati in soluzione tramite aggiunta di 10 ml di Acqua Milli-Q. Per

uniformare la soluzione e non creare zone di differente concentrazione è stato necessario metterli

sotto agitazione per 10 minuti tramite ancoretta magnetica. Tutti i campioni presentavano la

stessa temperatura (25.0°C) al tempo “zero” e dopo due ore.

I dati del pH sono stati presi al tempo “zero” e dopo due ore, in quanto molte specie chimiche

responsabili della variazione del pH necessitano di un tempo sufficientemente lungo per poter

passare dalla fase solida presente sul fondo, alla soluzione. Le valutazioni finali sono state

effettuate basandosi sui dati ottenuti dopo due ore dalla prima misurazione.

Page 40: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

40

RISULTATI

1) Mappatura dei funghi

Dai sopralluoghi, si è pervenuti al rinvenimento di 162 specie di macromiceti, di cui 151

basidiomiceti e 11 ascomiceti.

a. Elenco delle specie rinvenute

In Tabella 4, viene riportato l’elenco delle specie fungine rinvenute, con i relativi quadranti.

Tabella 4 – Specie fungine rinvenute nell’area di studio

Specie fungina Quadranti

Agaricus xanthodermus 14

Aleuria aurantia (ascomicete) 134

Alnicola melinoides 14/17

Amanita mairei 141

Amanita muscaria 141

Amanita pantherina 120/72/141

Amanita phalloides 120/121/151/104

Armillaria gallica 20

Armillaria mellea 132

Auricularia auricula-judae 79

Auricularia mesenterica 149

Auriculariopsis ampla 56

Balsamia vulgaris (ascomicete) 139

Bjerkandera fumosa 56

Bolbitius vitellinus 129

Bolbitius vitellinus var. variicolor 109

Boletus aestivalis 131

Boletus luridus 57

Bovista plumbea 100/73

Calocera cornea 55/56

Calvatia excipuliformis 123

Chondrostereum purpureum 142

Chroogonphus rutilus 119

Clavaria acuta 43

Clavulina cristata 36

Clitocybe geotropa 123

Clitocybe lignatilis 12

Clitocybe nebularis 20/115

Clitocybe odora 36

Clitocybe phaeophthalma 149

Collybia kuehneriana 24

Collybia maculata 119

Page 41: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

41

Coprinus comatus 102/26

Coprinus disseminatus 132

Coprinus micaceus 148

Coriolopsis trogii 92

Cortinarius balteatocumatilis 120/141

Cortinarius hinnuleus 123/71/86

Cortinarius infractus 88

Cortinarius purpurascens 123

Creopus viridis 141

Dacrymyces stillatus 141

Daedalelopsis confragosa 121/96

Entoloma rhodopolium 141/119

Entoloma sepium 90

Exidia glandulosa 55

Flammulina velutipes 56

Ganoderma applanatum 56/151/33

Ganoderma australe 56

Ganoderma lucidum 135/123

Ganoderma resinaceum 112

Hebeloma crustuliniforme 86

Hebeloma pallidoluctuosum 141/122

Helvella crispa (ascomicete) 124

Helvella elastica (ascomicete) 4/33

Helvella lacunosa (ascomicete) 141

Helvella leucopus (ascomicete) 89

Hydnellum peckii 134

Hygrocybe conica 28

Hygrocybe insipida 57

Hygrocybe psitaccina 119

Hygrocybe virginea 57

Hymenogaster niveus 113

Hypholoma fasciculare 24

Hypholoma sublateritium 25

Inocybe geophylla var. geophylla 33

Inocybe geophylla var. lilacina 122

Irpex lacteus 56

Laccaria affinis 132/115

Laccaria tortilis 145

Lactarius circellatus 119/6/150/ 115

Lactarius controversus 129/89

Lactarius cremor 150

Lactarius glyciosmus 122

Lactarius pyrogalus 71

Lactarius quietus 104/85

Lactarius semisanguiflus 119/33

Page 42: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

42

Lactarius turpis 132

Leccinum duriusculum 119/9

Leccinum scabrum 132

Lenzites betulina 143

Leotia lubrica 104

Lepiota felina 17

Lepista flaccida 56

Lepista irina 143

Lepista sordida 36

Leucoagaricus bresadolae 133

Leucoagaricus litoralis 48

Leucopaxillus giganteus 120/121/9

Lyophyllum decastes 14/102

Lyophyllum gambosum 150/151

Macrotyphula fistulosa 90

Marasmius oreades 123/100

Melanoleuca friesii 35

Melanoleuca grammopodia 143/15

Melanoleuca melaleuca 148

Mutinus elegans 151

Mycena alcalina 14

Mycena galericulata 97/93

Mycena pura 129/36

Naucoria escharoides 24

Nectria cinnabarina (ascomicete) 56

Panaeolus foenisecii 100

Panellus stipticus 23

Parasola plicatilis 148/96/33

Paxillus involutus 120

Paxillus rubicundulus 24

Perenniporia fraxinea 119

Phellinus contiguus 55

Phellinus punctatus 55

Phellinus tuberculosus 150

Phlebia tremellosa 41

Pholiota gummosa 141

Piptoporus betulinus 55

Pleurotus ostreatus 41

Plicatura crispa 56

Pluteus cervinus 141/147

Pluteus nanus 104

Polyporus alveolaris 71

Psathyrella candolleana 147/24

Psathyrella gracilis 7

Psathyrella lacrymabunda 147

Page 43: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

43

Psathyrella multipedata 100/102

Rhodocybe gemina 119/30

Russula albonigra f. pseudonigricans 58

Russula atropurpurea 88

Russula carpini 8

Russula cessans 119

Russula gracillima 151

Russula graveolens 150

Russula odorata 135

Russula parazurea 132/17

Russula pectinatoides 112/58

Russula pelargonia 120

Russula persicina 107

Russula raoultii 24

Russula sanguinea 119

Schizophora paradoxa 56

Schizophyllum commune 87/112/56

Scleroderma verrucosum 119/126

Steccherinum ochraceum 56

Stereum hirsutum 150

Stereum rugosum 56

Stropharia aeruginosa 150/96

Stropharia caerulea 147

Stropharia cyanea 119

Stropharia rugosoannullata 145

Tarzetta catinus (ascomicete) 149

Trametes versicolor 143

Tremella mesenterica 56

Tricholoma gausapatum 33

Tricholoma populinum 89

Tricholomopsis rutinans 15

Tubaria hiemalis 90

Tuber rufum (ascomicete) 139

Vascellum pratense 100

Volvariella speciosa f. gloiocephala 90

Volvariella surrecta 141

Xerocomus chrisenteron 132/6

Xerocomus rubellus 17

Xylaria oxyacanthae (ascomicete) 17

Xylaria polymorpha (ascomicete) 147/143

Page 44: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

44

b. Frequenza

Delle 162 specie rinvenute, le più frequenti sono risultate essere Amanita phalloides e Lactarius

circellatus, rilevate in 4 quadranti differenti; le specie Amanita pantherina, Cortinarius hinnuleus,

Ganoderma applanatum, Leucopaxillus giganteus, Parasola plicatilis e Schizophyllum commune

sono state ritrovate in 3 quadranti; 31 specie sono state rilevate in 2 quadranti e 123 in solo un

quadrante (Fig. 17).

Figura 17 – Frequenza di rilevamento; specie fungine più frequentemente rilevate

c. Habitus trofico

Dagli studi effettuati sull’habitus trofico dei funghi in esame, determinato dalle loro esigenze

nutritive, si è pervenuti ai seguenti risultati, riportati in figura 18.

Figura 18 - Caratteristiche trofiche delle specie in esame

Page 45: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

45

I funghi saprofiti sono 103, che equivale al 64% del totale; i funghi simbionti sono 44, ovvero il

27%; infine i funghi parassiti risultano essere solo 15, equivalente al 9% del totale.

Tra i funghi parassiti si annoverano:

• Armillaria mellea;

• Chondrostereum purpureum;

• Flammulina velutipes;

• Ganoderma applanatum;

• Ganoderma australe;

• Ganoderma lucidum;

• Ganoderma resinaceum;

• Nectria cinnabarina;

• Perenniporia fraxinea;

• Phellinus contiguus;

• Phellinus punctatus;

• Phellinus tuberculosus;

• Piptoporus betulinus;

• Steccherinum ochraceum;

• Stereum hirsutum.

Taluni di questi funghi, come Armillaria mellea, presentano un duplice comportamento, in quanto,

una volta portata alla morte la pianta colonizzata, si nutrono della sostanza organica morta,

comportandosi così come saprofiti.

Page 46: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

46

d. Simbiosi

I funghi simbionti riscontrati sono in totale 44 (27%).

Figura 19 – Tipi e frequenze di relazioni simbiotiche tra i funghi in esame e le specie arboree presenti nell’area di

studio

Il gruppo più numeroso (45%) è rappresentato dai simbionti generalisti di latifoglie: questo

significa che tali specie fungine non instaurano una simbiosi esclusiva con una specie arborea,

ma con specie diverse di latifoglie. Il 14% è simbionte esclusivo di Quercus sp.; le specie simbionti

di Betula sp. e Pinus sp. sono presenti nella medesima percentuale (9%), mentre le rimanenti

specie simbionti variano tra il 7% e il 2% (Fig. 19).

e. Presenza nelle aree funzionali

In relazione alla biodiversità di specie fungine presenti nelle due aree del parco, quella fruita dal

pubblico e quella naturalistica, si è rilevata una presenza notevolmente maggiore di specie

nell’area fruita, corrispondente all’86% delle specie totali, ed una più esigua nell’area naturalistica

(8%). Il 6% delle specie è stato riscontrato invece in entrambe le aree (Fig. 20).

Figura 20 – Presenza delle specie fungine nelle due aree funzionali del Parco

Page 47: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

47

2) Analisi campioni di terreno

a. Confronto dei valori del 1991 con i valori attuali

Mettendo a confronto le medie minime e massime di pH rilevate nel 1991 dall’indagine condotta

dalla Scuola Agraria di Minoprio, con quelle della presente indagine, si registra un decremento

medio percentuale del 22%:

1991: pH da 5,3 a 8 (dati prima rilevazione) (Di Fidio, 2000)

2014: pH da 4,4 a 6,5 (dati ultima rilevazione)

Figura 21 – Confronto tra i valori di pH (in ordinata) del 2014 e del 1991 in campioni di suolo (in ascissa)

L’analisi di confronto del pH tra i quadranti dimostra, inoltre, che il range di variazione del pH è

più contenuto rispetto al precedente, indicando l’assenza di picchi in basicità, al contrario rilevati

nel 1991 (Fig. 21).

Page 48: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

48

b. Confronto della velocità di variazione del pH

a) Gestione di tipo fruitivo

Quadranti PH 1991 PH attuale ∆ pH

148 6,35 4,96 1,39

122 7 6,56 0,44

120 7 6,33 0,67

90 5,65 6,57 -0,92

75 7 6,55 0,45

31 8 6,04 1,96

19 7,7 5,58 2,12

9 7 5,76 1,24

Variazione pH dal 1991 al 2014. In evidenza i valori minimi e massimi

b) Gestione di tipo naturalistico

Quadranti PH 1991 PH attuale ∆ pH

139 5,65 4,41 1,25

95 6,35 5,26 1,09

61 7 5,73 1,27

32 6,35 5,46 0,89

7 6,35 6,46 -0,11

Variazione pH dal 1991 al 2014. In evidenza i valori minimi e massimi

In termini di velocità di variazione del pH, i dati della presente indagine non evidenziano una

significativa differenza tra l’area a gestione di tipo fruitivo e quella a gestione di tipo naturalistico.

Page 49: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

49

CONCLUSIONI

L'incidente di Seveso ha portato alla totale trasformazione del territorio posto nelle vicinanze

dell’industria ICMESA ed in particolare l'area su cui oggi sorge il Bosco delle Querce di Seveso e

Meda. Gli interventi di bonifica hanno comportato la totale scarificazione dei terreni contaminati e

la conseguente sostituzione con terreni sostanzialmente sterili e privi di sostanza organica. Tali

presupposti rappresentano un’interessante occasione di studio delle dinamiche di colonizzazione

da parte di organismi vegetali “minori” e non direttamente inseriti dall'uomo. A distanza di 28

anni dalla realizzazione dei primi impianti forestali e dalla definitiva strutturazione dei substrati,

lo studio condotto su macromiceti rappresenta un importante punto di partenza per fotografare la

struttura evolutiva della popolazione fungina del Parco. I dati rivelano una più che soddisfacente

abbondanza specifica di macromiceti, anche quando confrontata con la struttura delle differenti

popolazioni presenti negli ambienti caratterizzanti i territori immediatamente circostanti all'area

del Bosco (Com. Pers. Associazione Micologica Bresadola di Barlassina). Nello specifico, le specie

rinvenute ammontano a 162, di cui 151 basidiomiceti e 11 ascomiceti. Le specie più

frequentemente rilevate sono Amanita phalloides e Lactarius circellatus, presenti in quattro

quadranti. L'habitus trofico dei miceti rilevati è stato determinato in base alle loro esigenze

nutritive: il 64% dei miceti è risultato essere saprofita, il 27% è simbionte, mentre solo il 9% è

parassita di piante superiori. In merito ai funghi simbionti, è stato rilevato che il 45% di essi è

generalista di latifoglie, in quanto non instaura una simbiosi esclusiva con un specie in

particolare; le restanti specie sono risultate essere simbionti esclusive di Quercus sp., Betula sp.,

Pinus sp., Carpinus sp., Alnus sp., Populus sp., Corylus sp., Prunus sp.. In relazione alla

biodiversità di specie fungine presenti nelle due aree funzionali (area fruita e area naturalistica), si

è rilevata una presenza marcatamente maggiore di specie nell' area fruita (86%), a fronte del

numero esiguo di specie presenti nell'area naturalistica (8%). Tale dato è da ricondurre al fatto

che in aree regolarmente manutenute vi è un maggior rispetto delle condizioni ecologiche

indispensabili alla propagazione e alla proliferazione delle specie fungine. Infatti la mancanza di

fitta vegetazione e di uno spesso substrato organico derivante dai ripetuti depositi della copertura

boschiva (foglie, rami e schianti) garantisce maggior circolazione di aria, penetrazione della luce e

regolare esposizione ad intense piogge; fenomeni che insieme contribuiscono al raggiungimento

delle ideali condizioni ecologiche per la via dei funghi. Quanto affermato avvalora il principio

secondo il quale l'equilibrio di un ecosistema posto all'influenza dell'uomo comprende, tra i suoi

artefici, proprio il regolare intervento antropico che, tramite una corretta gestione del patrimonio

forestale, contribuisce alla conservazione e all'espansione della flora minore del sottobosco, così

da mantenere un suolo produttivo e favorevole alla crescita dei funghi (Stecchi, 2004).

I dati ottenuti dalle rilevazioni di pH del suolo si discostano significativamente da quelli risalenti

al 1991 ed evidenziano una tendenza verso valori di acidità. I dati disponibili, tuttavia, non

consentono di associare una relazione diretta tra gestione forestale e velocità di variazione del pH,

con la finalità di identificare efficaci pratiche agroforestali volte al rapido recupero ambientale di

suoli contaminati. D’altra parte, l’abbassamento graduale del pH del suolo del Parco può essere

determinato, oltre che da un arricchimento in humus dovuto ad una positiva evoluzione del suolo,

anche da altri fattori, come le deposizioni acide atmosferiche.

Spunti per studi futuri

Come asserito in precedenza, oggi i miceti vengono soventemente utilizzati come indici biotici nelle

campagne di monitoraggio ambientale. Sarebbe dunque auspicabile un loro impiego anche in

questo contesto, per una valutazione dello stato di salute forestale dell’area in questione.

Considerando l'esiguo numero di campioni analizzati e il metodo non standardizzato di

campionamento, non è possibile pervenire a conclusioni definitive; anche per tale ragione, si

consiglia di condurre ulteriori studi più approfonditi.

Page 50: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

50

Descrizione ed iconografia dei funghi più

significativi del Bosco delle Querce

Figura 22- Il Bosco delle Querce in autunno

Page 51: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

51

Amanita phalloides (Vaill. : Fr.) Link

CAPPELLO 60-120 (150) mm, emisferico, quindi convesso, infine disteso-appianato,

percorso radialmente da fitte e fini fibrille. Di colore verdastro, verde-olivastro, giallo-

bruno verdastro, più chiaro all’orlo che è liscio.

LAMELLE libere, fitte e sottili, piuttosto larghe; bianche.

GAMBO 75-120 (150) x 10-22 mm, progressivamente attenuato verso l’apice,

caratteristicamente decorato da bande disposte a zig-zag di colore giallo olivastro su

sfondo bianco; bulboso alla base dove è ricoperto da una volva a sacco, membranacea,

abbastanza sottile, bianca.

ANELLO posizionato piuttosto in alto, disposto a gonnellino, abbastanza sottile, bianco, ±

persistente.

CARNE prima soda, presto molliccia, bianca, appena sfumata di verdastro sotto la

cuticola; da subinodora a un poco maleodorante; gli esemplari vetusti olezzano d’ acqua

putrida; sapore non significativo.

HABITAT: fin dall’estate nei boschi di latifoglie, dove pare preferire querce, castagni e

faggi. Molto comune e diffusa.

MORTALE

Page 52: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

52

Aleuria aurantia (Pers. : Fr.) Fuckel

ASCOCARPO composto da un apotecio sessile.

APOTECIO fino a 80 mm di diametro, da cupolato in modo più o meno profondo a

disciforme, con profilo tondeggiante o molto irregolarmente sinuoso-lobato, talora

compresso o vagamente arricciato; orlo intero. Superficie interna liscia o minutamente

pruinosa, concolore all’ imenoforo o poco più chiara. Imenoforo liscio, arancione più o

meno vivo, talvolta sfumato di rosso.

CARNE ceracea, fragile, cassante, chiara.

HABITAT: predilige il fondo sterrato e battuto di zone aperte, talora anche sul fondo di

strade sassose, più raramente nei boschi; cresce in estate-autunno.

COMMESTIBILE

Page 53: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

53

Amanita mairei Foley

CAPPELLO 50-100 mm, inizialmente emisferico, poi appianato e alla fine anche

depresso, specialmente nei soggetti maturi, la cuticola solitamente glabra o con qualche

residuo del velo generale, di colore grigio-cinerognolo più o meno scuro, fino a grigio

bistro, con il margine nettamente striato.

LAMELLE libere al gambo, abbastanza fitte, intervallate da lamellule, bianche con

tendenza a ingrigire con l’età.

GAMBO 60-120 x 15-20 mm, fragile, cilindrico, cavo, ingrossato alla base, bianco,

screziato da bande cinerognole. Alla base è presente una volva bianca, persistente,

membranosa, avvolgente la parte bassa, poi aperta e svasata in modo evidente verso

l’alto.

CARNE piuttosto tenera, fragile, biancastra, con odore e sapore poco significativi.

HABITAT: cresce nei boschi termofili mediterranei e nelle pinete marittime, dall’estate

all’autunno.

COMMESTIBILE

Page 54: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

54

Auricolariopsis ampla (Lév.) Maire

BASIDIOMI appiattiti, irregolarmente ciatiformi o conchiliformi, cupolato-discoidi, simili

a una coppa poco profonda spesso rovesciata o sporgente dal substrato, sessile; fino a 15

mm di diametro e 0,5-1,5 mm di spessore. Superficie pileica, sterile, bianca feltrato-

irsuta; orlo più o meno regolare, biancastro e tomentoso.

IMENOFORO liscio o pieghettato, rugoso, beige-ocraceo o cannella più o meno intenso,

sovente di aspetto opaco.

CARNE brunastra chiara e gelatinoso-tenace negli esemplari giovani, più scura e cornea

negli esemplari essiccati, priva di odori e sapori particolari. In fase di rinvenimento

riacquista le caratteristiche gelatinose originali.

HABITAT: gregaria su rametti marcescenti di latifoglie, a cui è ancorata con la superficie

esterna; in estate-autunno, talora anche in primavera.

SENZA VALORE

Page 55: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

55

Clavaria acuta Fr.

CARPOFORO filiforme o lievemente clavato; in altezza può raggiungere i 5 cm, mentre in

diametro misura pochi millimetri. La superficie fertile del corpo riproduttore può arrivare

ad occupare i due terzi della massa del fungo, è di colore bianco o grigio-ocraceo,

brillante ma opaca. L’apice è generalmente arrotondato, raramente acuminato.

IMENIO liscio, disposto sull’intera superficie del carpoforo.

PIEDE di colore bianco-grigiastro e aspetto traslucido, occupa la parte inferiore del corpo

fruttifero, ha uno spessore notevolmente ridotto.

CARNE scarsa e fragile, di colore bianco, dal sapore dolce.

HABITAT: cresce in zone boschive umide e muschiose, solitaria o in gruppi, nel periodo

autunnale e primo periodo invernale.

SENZA VALORE

Page 56: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

56

Fammulina velutipes (Curtis: Fries) Singer

CAPPELLO 3-5 cm, inizialmente convesso, poi piano, anche depresso, sovente

irregolarmente sinuoso; cuticola viscida, da glabra a leggermente pruinosa, di colore

giallo-arancio, giallo-fulvastro.

LAMELLE da sublibere ad annesse al gambo, rade, bianche, poi rosate.

GAMBO 3-7x0,4-0,6 cm, cilindrico, incurvato, subradicante, fistoloso, unito alla base

con altri gambi, tipicamente vellutato, giallo fulvastro all’apice, bruno nerastro verso la

base.

CARNE giallognola, con odore leggermente rancido, sapore mite.

HABITAT: cresce su tronchi di latifoglie, prevalentemente su salice, a crescita cespitosa,

dal tardo autunno fino all’inverno inoltrato.

COMMESTIBILE

Page 57: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

57

Hydnellum peckii Banker

BASIDIOCARPO pileato, spesso anche stipitato, di forma pulvinata o turbinata,

con altezza complessiva di 50-80 mm, spesso confluente con altre unità.

CAPPELLO fino a 100 mm di diametro, da globoso ad arrotondato, piatto o

irregolarmente depresso al centro. Superficie da bianca a rosso-bruno, che secerne

alcune gocce di essudato sanguigno che tendono ad essiccare con la crescita,

irregolarmente ondulata, recante anche numerose squamette di colore vinoso, che

scuriscono con l’invecchiamento. Orlo biancastro, irregolarmente ondulato, con macchie

bruno-nerastre dovute al disseccamento dell’essudato.

IMENOFORO costituito da aculei decorrenti lunghi circa 5 mm, da biancastri a rosso-

bruni.

GAMBO (se presente) subcilindrico, con diametro di 10-30 mm, brunastro, con la base

che ingloba residui terrosi.

CARNE tenace e più o meno fibrosa, rosa-brunastra con macchie più scure, con odore

insignificante e sapore tipicamente piccante e astringente.

HABITAT: a gruppi sul terreno dei boschi di conifere o misti, in estate-autunno; poco

comune.

NON COMMESTIBILE

Page 58: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

58

Russula albonigra (Krombholz) Fries

CAPPELLO assai carnoso ed inizialmente duro, largo 50-140 mm, fortemente convesso,

irregolare o lobato, montuoso, il bordo ricurvo, poi depresso, il margine carnoso,

assottigliato, liscio e privo di scanalature, la cuticola secca ma non brillante, biancastra

all’origine, poi macchiata di nerastro, talvolta fugacemente arrossante al tocco.

LAMELLE assai ineguali, arcuate, basse, inizialmente fitte, poi relativamente spaziate,

spesse e fragili, da bianco latte a crema avorio, presto annerenti a cominciare dalle parti

contuse.

GAMBO corto, robusto; bianco, poi grigio-brunastro e nerastro.

CARNE dura, fragile; bianca, all’aria diviene nerastra in pochi minuti.

HABITAT: specie non rara sotto latifoglie e conifere, dalla zona mediterranea alla zona

subalpina, di preferenza in terreni moderatamente sabbiosi ed acidi.

NON COMMESTIBILE

Page 59: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

59

Russula carpini R. Girard & Heinem.

CAPPELLO 45-100 mm, carnoso, prima campanulato, lentamente espanso, infine

moderatamente depresso, irregolare o lobato, orlo poco carnoso, liscio poi scanalato a

maturità. Cuticola umida e brillante, principalmente viola vinoso al margine e verdastro

al centro, screziato o macchiato di crema-olivastro, porpora-violaceo, lilla chiaro, a volte

tutto verde.

LAMELLE da orizzontali a convesse, molto fragili, non troppo fitte, crema, infine giallo-

arancioni, nettamente ingiallenti.

GAMBO 40-80 x 10-30 mm, un po’ claviforme poi subcilindrico, svasato in alto,

corrugato e solcato, bianco, si macchia in modo vistoso di bruno-giallastro con l’età e con

lo sfregamento, presto midolloso e in parte lacunoso.

CARNE soda poi molle, bianca, molto ingiallente e imbrunente. Sapore mite, odore debole

fruttato.

HABITAT: specie legata in modo esclusivo al Carpinus betulus. Fine primavera e

autunno. Piuttosto rara.

COMMESTIBILE

Page 60: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

60

Xylaria oxyacanthae Tul.

ASCOMI fino a 60 mm di altezza e 4 mm di diametro, composti da una fruttificazione

stipitata, in genere appuntita, sottile, bianca, opaca e ruvida. Il gambo risulta

scarsamente differenziato dalla testa, di diametro inferiore. I singoli periteci sono

globoso-papillati, lisci e nerastri, fino a 0,5 mm di diametro.

CARNE tenace, elastica e bianca o biancastra.

HABITAT: cresce a gruppi di numerosi individui sui frutti mummificati di Crataegus

monogyna; legata specialmente alle stagioni fredde o fresche. Specie rara.

SENZA VALORE

Page 61: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

61

BIBLIOGRAFIA

Alessio C. L., 1969, Boleti, Gruppo Micologico Cebano, Ceva

Bagatti Valsecchi P.F., 1991, Parco di Seveso. Barriere antorumore, Milano

Balletto C., 1972, Saggio di Flora Micologica analitica; Funghi superiori, Genova

Basso M. T., 1999, Lactarius Pers., Mykoflora

Bernicchia A., 2005, Polyporaceae s.l., Edizioni Candusso

Bettin A., 1971, Le amanite, L.E.S. Verona

Bisiach, 1993, Relazione sull’attività di ricerca svolta nel Bosco delle Querce dall’Istituto di

Patologia Vegetale dell’Università degli Studi di Milano

Cajani F., Citterio G., Losa L., Volonterio P., 1982, Il futuro nella tradizione e nell’attualità,

Consorzio dei Comuni di Seveso, Cesano Maderno, Meda e Desio

Canziani M., Montonati S., 1998, Piano faunistico del Bosco delle Querce di Seveso e Meda, tramite

lo studio delle comunità di uccelli, rettili ed anfibi. LIPU, Milano

Centemeri L., 2006, Ritorno a Seveso. Il danno ambientale, il suo riconoscimento, la sua

riparazione, Bruno Mondadori

Cosiglio G., Antonini D., Antonini M., 2003, Il genere Cortinarius in Italia, A.M.B. Fondazione

Centro Studi Micologici

Conti L., 1977, Visto da Seveso. L’evento straordinario e l’ordinaria amministrazione, Feltrinelli

Editore Milano

Deacon J. W., 1997 Micologia moderna, Calderini edagricole

De Marchi B., Funtowicz S., Ravetz J.,"4 Seveso: A paradoxical classic disaster", United Nations

University

De Marchi B., Funtowicz S., Ravetz J., "Conclusion: "Seveso" - A paradoxical symbol", United

Nations University

Di Fidio M., 2000, Il “Bosco delle Querce” di Seveso e Meda, Regione Lombardia (Direzione

Generale Qualità dell’Ambiente), Azienda Regionale delle Foreste (Ufficio Operativo di Milano)

Eccher T., 1994, Bosco delle Querce: Relazione sull’attività di ricerca svolta dall’Istituto di

Coltivazioni Arboree della Facoltà di Agraria di Milano negli anni 1992-1993, Milano

Fenaroli L., 1964, I Funghi; “I miracoli della natura”, Martello Editore Milano

Fratter M., 2006, Seveso. Memorie da sotto il bosco, Legambiente Lombardia Onlus

Froncillo P., Masera C., 1993, Proposta di ampliamento del Bosco delle Querce, Azienda Regionale

delle Foreste, Milano

Galimberti M., Citterio G., Losa L., Cantù L., 1977 Seveso la tragedia della diossina, Edizioni GR

Besana Brianza

Page 62: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

62

Galli M., 1982, Nuovo trattato di micologia, Mazzotta Editore, Vol. I-II

Gatti A., 1998 – “Benvenuti in Oltrepò pavese, I funghi dove...quando”, 49, Edinatura Milano

Hawksworth, D.L., 1991, The fungal dimension of biodiversity: magnitude, significance, and

conservation, Mycological Research

Hawksworth D.L., 2001, The magnitude of fungal diversity: the 1,5 million species estimate

revisited, Mycological Research

La Porta N., Confalonieri M., Donini M., Aiardi A., Floriani M., 2008, Funghi a sentinella. Il

monitoraggio dei macromiceti come indicatori della biodiversità forestale nelle Alpi, IASMA Centro

Ricerca e Innovazione, Fondazione EDMUND MACH, Area Ambiente e Risorse Naturali; Servizio

Foreste e fauna, Provincia Autonoma di Trento; Gruppo Micologico “GIACOMO BRESADOLA” c/o

Museo Tridentino di Scienze Naturali

La Porta N., Valentinotti R., Salvadori C., Ambrosi P., 2005, Mycobiota monitoring as indicator of

forest biodiversity, International Forestry Review

Lassini P., Ballardini P., Mambriani A., Monzani F., 1993, Il Bosco delle Querce di Seveso e Meda,

Estratto dalla rivista ACER, Anno 9° Luglio/Agosto

Lassini P., Ballardini P., Mambriani A., Monzani F., 1993, Seveso Oak Forest: The gradual

reconstruction of an area contaminated by TCDD in Landscape and Urban Planning, Vol. 23

Lassini P., Ottenziali L., 1996, “Dalle ceneri della diossina al Bosco delle Querce”. Relazione al

Convegno per il XX anniversario dell’incidente ICMESA”, Milano

Lassini P., 1992, Il Bosco delle Querce di Seveso: la ricostruzione graduale del paesaggio nell’area

già inquinata da diossina. Relazione al Congresso internazionale “Tecniche di rinaturazione e di

ingegneria naturalistica”, Lignano Sabbiadoro

Mazza R., 1995, I Funghi Guida al riconoscimento, Manuali Sonzogno Milano

Medardi G., 2006, Atlante fotografico degli Ascomiceti d’Italia, A.M.B. Fondazione Centro Studi

Micologici

Monti G., Marchetti M., Gorreri L., Franchi P., 1992, Funghi e cenosi di aree bruciate, Università

degli Studi di Pisa – Dipartimento di Scienze Botaniche, Consorzio del Parco Naturale-Migliarino-

San Rossore-Massaciuccoli

Muñoz J. A., 2005, Boletus s.l., Edizioni Candusso

Nespor S., De Cesaris A., 1998, La direttiva Seveso 2. Incidenti da sostanze pericolose e normativa

italiana, Fondazione Lombardia per l’Ambiente

Neville P., Poumarat S., 2004, Amanitae, Amanita, Limacella & Torrendia, Edizioni Candusso

Noordeloos M. E., 2011, Strophariaceae s.l., Edizioni Candusso

Pace G., 1975, L’atlante dei funghi, Arnoldo Mondadori Editore

Pandolfi M., Ubaldi D., 1987, Guida dei funghi d’Italia e d’Europa, Franco Muzzio Editore

Papetti C., Consiglio G., Simonini G., 2001 Atlante fotografico dei funghi d’Italia, Vol. 1-2-3, A.M.B.

Fondazione Centro Studi Micologici

Page 63: Corso di laurea in Agrotecnologie per l’Ambiente e il ... · Ringrazio anzitutto il Professor Marcello Iriti, Relatore, ed il Dottor Paolo Lassini, Correlatore: senza il ... 1.6

63

Pasqua G., Abbate G., Forni C., Maggi O., et al., 2011, Botanica generale e diversità vegetale, II

Edizione Piccin

Petrolini B., Sardi P., Quaroni S., 1991, Micologia, Clesav CittàStudi

Rambelli A., 1981, Fondamenti di micologia, Zanichelli

Ramondetta M., Repossi A., 1998, Seveso vent’anni dopo. Dall’incidente al Bosco delle Querce,

Fondazione Lombardia per l’Ambiente

Robich G., 2003, Mycena d’Europa, A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici

Sarasini M., 2005, Gasteromiceti epigei, A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici

Sarnari M., Vol.I 1998, Vol.II 2004, Monografia illustrata del genere Russula in Europa, A.M.B.

Fondazione Centro Studi Micologici

Sartori F., Terzo V., Canzani P., 1994, Studio geobotanico del Bosco delle Querce di Seveso,

Università degli Studi di Pavia – Istituto di Botanica, Pavia

Senn-Irlet B., Heilmann-Clausen J., Genney D., Dahlberg A., 2007, Guidance for Conservation of

Macrofungi in Europe, ECCF (European Council for Conservation of Fungi) and EMA (European

Mycological Association) Eds. The Directorate of Culture and Cultural and Natural Heritage

Council of Europe Strasbourg

Stecchi G., 2003, Funghi, Mondadori

Tosco U., 1972, Come e dove vivono i funghi, Istituto Geografico De Agostini – Novara

Zuccherelli A., 1993, I funghi delle pinete delle zone mediterranee, Longo Editore Ravenna