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1 di MICHELE SESSA CUORE E FEDE Quando si attacca la Natura, prima o poi aspettiamoci la “vendetta”. E purtroppo, la Natura è attaccata quotidianamente già quando si procede ad un disboscamento o che si procede per costruire una casetta. Perforare, scavare, ricavare spazio per le fondamenta in cemento significa già provocare “ squilibrio”. Lì per lì sembra che tutto sia normale, poi, poi…la vendetta! Così per un disboscamento o per l’abbattimento del verde naturale. La Natura si ritroverà in modo innaturale, imperfetto. Radici e sassi creano, infatti, reti di sostegno e grande accortezza richiederebbe una opportuna manutenzione. Quante disgrazie si potrebbero evitare se non si deviassero i fiumi, i torrenti, i fiumicelli dai loro corsi naturali... Se non venissero coperti per acquisire nuovi spazi. Quanti disastri, quanti rischi, quante frane in meno! Ma l’uomo non se ne cura: si sente onnipotente; e tutto gli è consentito! Imperterrito, continua sulle sue…strade che portano agli egoismi e…alle disgrazie altrui. UOMO, RE DELLA NATURA, DEVI CAMBIARE…la Natura va curata, coccolata, non dileggiata, né depredata. Quanto la Terra produce è stato creato per te…per le tue beatitudini. Battiti invece per le nuove speranze; rispetta la salute dei tuoi concittadini. La nostra Italia è un Museo a cielo aperto e la cultura che ne deriva è pane. Non rendiamoci crudele la vita per le malvagità. Perché lamentarsi poi per stagioni insolitamente crude? La nostra vita è come un arco che ha per nome “BIOS” e per opera la morte. Sappiamo custodire al meglio e tramandia- mo perfetti i mondi di imperitura bellezza. Sii legale, perché senza legalità vincono i malvagi, quelli cioè che rendono l’aria fetida, la nebbia arancione, che fanno bruciare le nostre narici con le loro discariche di immondizia di ogni genere: bucce, scarpe, vestiti, ossa, elettronica…Un inferno creato…liquami densi ed oleosi tra ferraglie arrugginite e magari vicino all’abitato un uliveto, un aranceto, un campo di carciofi…L’umanità deve vivere…Vuole vivere e noi siamo depositari, non proprietari della Terra, la nostra Casa: quanti doveri abbiamo di saper preservare quello che ci è stato temporaneamente donato…E poi la salute, cosa c’è di meglio della SALUTE? ... ed ora una preghiera. Ricorda di versare un contributo per la sopravvivenza della Rivista: –˚direttamente; –˚o sul conto corrente n° 13703848 intestato a SESSA MICHLE Via Gen. Ciro Nastri, 17 - LANCUSI di FISCIANO (SA) UN DOVERE? Chissà! Uomo, Re della Natura, devi cambiare ...

CUORE E FEDE - L'Areopago letterario · 2018. 5. 27. · un marchio tragico la coscienza dell’umanità. Dobbiamo subito chiarire che in realtà allo scoppio della guerra ci furono

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di MICHELE SESSA

CUORE E FEDE

Quando si attacca la Natura, prima opoi aspettiamoci la “vendetta”.

E purtroppo, la Natura è attaccataquotidianamente già quando si procede adun disboscamento o che si procede percostruire una casetta. Perforare, scavare,ricavare spazio per le fondamenta incemento significa già provocare “ squilibrio”.Lì per lì sembra che tutto sia normale, poi,poi…la vendetta! Così per un disboscamentoo per l’abbattimento del verde naturale.

La Natura si ritroverà in modoinnaturale, imperfetto. Radici e sassi creano,infatti, reti di sostegno e grande accortezzarichiederebbe una opportuna manutenzione.

Quante disgrazie si potrebbero evitarese non si deviassero i fiumi, i torrenti, ifiumicelli dai loro corsi naturali... Se nonvenissero coperti per acquisire nuovi spazi.

Quanti disastri, quanti rischi, quantefrane in meno!

Ma l’uomo non se ne cura: si senteonnipotente; e tutto gli è consentito!

Imperterrito, continua sulle sue…stradeche portano agli egoismi e…alle disgraziealtrui.

UOMO, RE DELLA NATURA, DEVICAMBIARE…la Natura va curata, coccolata,non dileggiata, né depredata.

Quanto la Terra produce è stato creatoper te…per le tue beatitudini.

Battiti invece per le nuove speranze;rispetta la salute dei tuoi concittadini. La

nostra Italia è un Museo a cielo aperto e lacultura che ne deriva è pane.

Non rendiamoci crudele la vita per lemalvagità. Perché lamentarsi poi perstagioni insolitamente crude?

La nostra vita è come un arco che ha pernome “BIOS” e per opera la morte.Sappiamo custodire al meglio e tramandia-mo perfetti i mondi di imperitura bellezza.

Sii legale, perché senza legalità vinconoi malvagi, quelli cioè che rendono l’ariafetida, la nebbia arancione, che fannobruciare le nostre narici con le loro discariche di immondizia di ogni genere: bucce, scarpe,vestiti, ossa, elettronica…Un infernocreato…liquami densi ed oleosi tra ferragliearrugginite e magari vicino all’abitato unuliveto, un aranceto, un campo dicarciofi…L’umanità deve vivere…Vuolevivere e noi siamo depositari, nonproprietari della Terra, la nostra Casa:quanti doveri abbiamo di saper preservarequello che ci è stato temporaneamentedonato…E poi la salute, cosa c’è di megliodella SALUTE?

... ed ora una preghiera.Ricorda di versare un contributo per la sopravvivenzadella Rivista:– direttamente;– o sul conto corrente n° 13703848 intestato a

SESSA MICHLEVia Gen. Ciro Nastri, 17 - LANCUSI

di FISCIANO (SA)

UN DOVERE?Chissà!

Uomo, Re della Natura, devi cambiare ...

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L’AREOPAGO LETTERARIO(la Rivista bimestrale di Scienze Sociali, di Lettere ed Arti)

PERCHE’ LA CULTURA POSSA DARE UNA MANO ALLA NATURA

Bandisce

Il XXVI CONCORSO NAZIONALE:

“L’ECOLOGIA: Ambiente e Natura”di Poesia e Pittura

la cui cerimonia di premiazione, con i Patrocini delle Istituzioni Nazionali

e degli Enti Locali,

si terrà nell’ Aula Consiliare “Gaetano Sessa”

del Comune CITTA’ DI FISCIANO (Salerno)

Sabato 6 Giugno 2015 - ore 17,00

Art. 1- La XXVI Edizione del Concorso,come sempre, è riservata ad Opere ineditee non premiate in altri Concorsi, aperta aiPoeti di Lingua Italiana, in TEMAECOLOGICO.

POESIA (in lingua o vernacolo) - fino a treliriche, max 40 versi ognuna, in sette copie,con in calce nome, cognome ed indirizzodell’Autore;

- PREMIO di PITTURA “Clelia Sessa” –senza limiti nelle dimensioni e nelletendenze pittoriche.

- PITTURA e POESIA (giovani) “ DiegoFiume”.

Art. 2 - NESSUNA TASSA DI LETTURA E’DOVUTA. Tuttavia, al solo fine di sopperirealle spese postali, telefoniche e di stampa,ogni Concorrente potrà far pervenire, in unocon i gruppi di Poesie o per ogni Tela, un

contributo di 15 Euro. Il tutto alla Segreteriadel Concorso in via Ciro Nastri 17- Lancusi(SA) o su c.c.p. 13703848- Michele Sessa-Lancusi (SA), entro e non oltre il 30 aprile2015.

Art. 3 - Tre i Premi in Euro per ogni Sezione:

al 1° Classificato: Euro 500,00 e Pergamena;

al 2° Classificato: Euro 300,00 e Pergamena;

al 3° Classificato: Euro 200,00 e Pergamena.

Eventuali Menzioni d’Onore, a giudiziodella Giuria, il cui operato è insindacabile.

Art. 4- I partecipanti, saranno avvertiti intempo utile

Art. 5- La partecipazione al Concorsocomporta l’accettazione e l’osservanza ditutte le Norme del Bando-Regolamento.

BANDO - REGOLAMENTO DEL CONCORSO

Poeti, Artisti,

Voi che siete amanti del Bello, salvate il PIANETA-TERRA

con il suo Ambiente e la sua Natura, suggerendo, con la Vostra partecipazione,

Messaggi ed Azioni.

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Il centenario dello scoppio della primaguerra mondiale, che per noi cade in realtàil 24 maggio 2015, ci invita a fare unariflessione, perché, comunque, ha segnatoper sempre la storia e l’immaginario miticodel nostro popolo. Dopo troppi decenni diletargo finalmente si registra una sorta dimobi l i taz ione at t raverso mostre ,appuntamenti artistici, incontri a tema,perché è l’occasione di riportare in primopiano tutto un mondo di sofferenze, d’ideali,di valori, di eventi drammatici, che sonostati raccolti in fotografie, corrispondenze,ricostruzioni filmate, racconti dal vivo,episodi sconcertanti. E’ una massa enormedi materiale: si parla di ben quattro miliardidi messaggi postali, ricevuti e spediti dasoldati impegnati sui più svariati fronti, conil sostegno delle “regie poste”, d’istituzioniprivate, di cittadini, documenti sonori eaudiovisivi, cartoline, nuove pubblicazioni.Per lo scopo si è costituito da noi, come intanti altri Paesi, un Comitato storico-scientifico per gli anniversari d’interessenazionale, presieduto dall’ex Presidente delSenato Franco Marini, che ha già collocatoonline più di 250 mila immagini; si tratta dimanoscritti, stampe di trincea, fotografie…Un aspetto che ritengo interessante è ilcoinvolgimento di tantissimi Stati degli altricontinenti, per il semplice motivo che anchenelle Americhe, nell’Australia, nell’Africa…ci sono milioni di discendenti di soldati chehanno combattuto la Grande Guerra, laquale ha coinvolto particolarmente il nostrocontinente per ben 1565 giorni: dal 28 giugno1914 a Sarajevo all’11 novembre 1918, conl’agghiacciante bilancio, secondo una stimapiù accreditata, di 16 milioni di morti.

Come si vede, alla fine ci sarà unaricchissima raccolta, da trasmettere allegenerazioni future per realizzare una lettura

più distaccata e lucida di quella tremendafase storica del mondo, che ha segnato conun marchio tragico la coscienzadell’umanità.

Dobbiamo subito chiarire che in realtà alloscoppio della guerra ci furono da noimomenti di sconcerto: sia i movimenti dicarattere sociale, sia i politici della vecchiagenerazione che quelli emergenti nonavevano idee chiare: “quot capita totsententiae” (di questo bisogna tener contonello sviluppo del mondo della narrativa).Alla fine prevalse la retorica interventista,che rievocava le glorie di antiche guerre erisvegliava il senso vero dell’orgoglionazionale; questo perché la politica europeadell’epoca non si pose l’obiettivo di creareunità d’intenti allo scopo di prevenireconflitti, ma ciascuna potenza si attivò aricorrere ai sistemi della diplomazia segreta,per realizzare alleanze con alcuni popoli adanno di altri: “homo homini lupus”.

All’indomani, invece, della fine delconflitto, il quadro devastante di oltreseicentomila vittime italiane, in aggiunta airisultati scarsi e deludenti per l’Italia, chepure era stata determinante nel successofinale, diede vigore a quelle forze che nonavevano mai creduto nelle ragioni delconflitto.

Per questo tanta parte della storiografiasi è schierata contro una guerra ritenutaassurda, che ha creato una sanguinosaa p o c a l i s s e . D ’ a l t r a p a r t e , c o m eopportunamente ci ricorda Saviano, “Fu ilpretesto, la miccia che incendiò la seccaprateria europea. L’inizio simbolico, la scusa:non c’è libro di scuola che non ricordi cosìl’attentato a Sarajevo del 1914. Quel giornoè diventato l’archetipo dei pretesti.”

NARRATIVA ITALIANA DEL PRIMO CONFLITTO MONDIALE

A CENTO ANNI DI DISTANZA

di FRANCESCO CAIAZZA

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Da qui è scaturita tanta parte dellanarrativa nostrana, che, sulla stregua diquella straniera, si è poi liberata chi sa daquale incomprensibile contrarietà e hamostrato i propri sentimenti, riflessioni piùponderate, le emozioni, gli stati d’animoindividuali e collettivi. Tutto è diventatomateria viva e palpitante da raccontare:impressionanti descrizioni di suoli impervi,sudici, dove bisognava avanzare unicamentea piedi, con il rischio di andare a finirealtrove se il capofila leggeva erroneamentela mappa. Si rivisitano località mai sentiteprima, che s i dist inguevano perimpraticabilità, per miasmi; si racconta divestiti del tutto inadeguati alle necessità,del cibo insufficiente e scadente, di assaltiche si esaurivano nello spazio di pochecentinaia di metri, per poi arretrare con unconsistente numero di militari in meno.

Castelli, rive di fiumi, ponti, grotte…danno il senso di una guerra combattuta dapoveri e spesso analfabeti soldati, i quali sisentivano veri eroi se riuscivano a portareun prigioniero nella propria trincea, o asottrarre il fucile al nemico, tornando, però,mutilati al campo. Vivevano come una realtàrarefatta, situazioni e vicende al limite delverosimile, che, comunque, erano finalizzatealla realizzazione del sogno di una patriagloriosa. Si enfatizzavano, così, anche ip icco l i e ins igni f i cant i ep isodi ,opportunamente rivestiti delle penne delpavone, da offrire alla propaganda cheesaltava il concetto di una patria invitta einvincibile.

Non aveva nessuna considerazione l’ideache, comunque, un conflitto così devastantefosse il segno di grande debolezza per unoStato, è un macigno che si abbatte sulprogresso, è un inasprimento del rapportoeconomico, commerciale, politico con glialtri popoli, è la certezza di un’ecatombeinimmaginabile, o di una serie infinita dimutilazioni per i più fortunati. Si può direche la ferina sete di sangue spegne ognianelito all’amore universale, alla fratellanzaumana, alla carità cristiana. Una sorta dimostro bestiale s’impossessa della coscienza

degli individui spingendoli al “cupiodissolvi”.

Da tanti narratori è stato sottolineato comela popolazione italiana abbia assistitodisorientata alla prima fase del conflitto;successivamente è stata mobilitata conl’arruolamento in massa di tutti i giovani.Tutte le principali attività economiche e lestrutture portanti del Paese venivanoconvogliate verso le operazioni belliche, connotevole disagio per tante attività, come adesempio, l’agricoltura, che veniva a perderele forze giovanili in grado di affrontare ilduro lavoro dei campi. Le stesse fabbrichedovettero dirottare la loro attività sulleesigenze di carattere militare: cannoni,camion, fucili, divise… Era il tempo in cuianche “la tradotta che parte da Torino, aMilano non si ferma più, ma la va diretta alPiave, cimitero della gioventù”, come cantauna canzone dell’epoca.

Il mondo della cultura in genere, di cuila narrativa è una componente rilevante,venne a trovarsi di fronte ad una radicaleinversione di tendenza di una realtàinternazionale che, sostanzialmente, avevaraggiunto un modus vivendi tra i popolidel vecchio continente, che erano riusciti acreare una, direi, coscienza europea comespinta ad un futuro di pace e di progressosociale ed economico.

Infatti da un’analisi del clima dell’epocaviene fuori che proprio il mondo dellanarrativa era speculare di quello intellettualein genere, nonché di quello politico, nelsenso che, ad una concezione che sostenevadi astenersi dalle ragioni di unapartecipazione al conflitto, si contrapponevaquella della necessità di un coinvolgimentodiretto, anche come una straordinariaesperienza umana a carattere eroico.

Orbene, nella seconda fase del secoloscorso si è andata sviluppando una nuovariflessione, che ha preso le mosse da studiiniziati all’estero e introdotti anche in Italia:parte non tanto dagli avvenimenti storici insé, quanto dai riflessi che hanno lasciato

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impressi nei diari, nei romanzi, nelle poesie,nelle lettere; la stessa storiografia, sullastregua della narrativa, si è arricchita di altritemi: il fante che diventa un automa, unnumero; la sua dedizione alla patria,spontanea o forzata, viene colta nella suadimensione psicologica; la vita nuda e crudaal fronte è vista come rapporto insolubiletra l’uomo e la terra madre, tra l’esserepensante e la dura e inospitale trincea; ilmondo dell’adolescenza vive la sua linead’ombra nell’immersione in una lotta corpoa corpo, che spalma inesorabilmente lo statod’innocenza giovanile.

Si sono affrontati con maggioreconsapevolezza gli effetti psicologici suicombattenti frastornati dalle cannonateassordanti, dagli assalti insensati e avventati,dall’ubbidienza ad assurdi ordini, dai traumidei feriti e dei morenti, i quali affidavano illoro ultimo messaggio per la mamma aicommilitoni che li assistevano, dagli incubiche agitavano le notti dei combattenti.Qualcuno mi raccontava che dopo i primimesi di trincea e d’irruzioni notturne, avevaacquisito una particolare sensibilità riguardoai colpi di cannoni o di mitragliatrici, percui, all’istante in cui partiva il colpo, lopercepiva immediatamente, tanto daripararsi in tutta fretta nella trincea, dietroun albero o una roccia: non era un verosonno il suo.

A questo si aggiunge la luce nuova che èstata accesa sui monumenti, sulle steli, sullememorie affidate a epigrafi, bronzi, marmio pietre a cui è stato sottratto, da tanta partedella narrativa, l’alone della celebrazionesolenne, l’enfasi della retorica, per cogliere appieno tutto un mondo interiore che rivelauna completa associazione tra i drammi delfronte e la condizione di estrema precarietà:il rifacimento personale del narratore haassunto, in questo caso, anche il compito direlegare in una nicchia il mito enfatizzatodella gloria patria, per portare alla ribaltauna drammatica realtà.

Questo in forza dell’enorme potere cheha il romanzo, quello, cioè, di far vibrare

intensamente le corde della memoria; ha lacapacità di dare un nome e un’identità acoloro che in questo momento non vediamo,ma che non fanno parte della lista ufficialedi chi non c’è più: il narratore, nella suaveste anche di educatore, ha il privilegio ela responsabilità di indicarli ai lettori, spessoignari, come modelli da imitare. Ma siassume anche il compito di richiamare iresponsabili delle sorti delle nazioni che ilracconto della guerra è finalizzato a ricercarela pace ad ogni costo, a meditare sui drammidevastanti provocati dai conflitti, anche peri vincitori, ad esaltare il valore della vitaumana che, dal clima di odio che vienecreato di proposito, diventa nient’altro cheuna vera e propria merce, a mostrare allenuove generazioni come anche nelledifficoltà sia possibile, anzi, necessarioutilizzare insieme i mezzi che consentonodi difenderci da ogni sorta di sciagura.

Intendiamoci, una parte, non consistente,del mondo della narrativa nostrana si fececondizionare da una visione del fenomenoparticolare proveniente dall’estero, che sipreoccupava più che altro di manipolareideologicamente gli eventi, facendodiventare vero e proprio spettacolo l’immanetragedia bellica, utilizzando forme dicomunicazione appositamente escogitate,per cui le nuove tecnologie belliche,lanciafiamme, armi chimiche... venivanorappresentate come mostri personificati. Siandava, così, a creare nel lettorequell’immaginario narrativo, dove lememorie e i simboli mitologici assumevanod i m e n s i o n i re a l i . S i a f f i d a v a n oall’immaginazione vicende sensazionali,torture atroci, scenari apocalittici solo per

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la suggestione perversa che esercitavano suilettori.

Analizzando, invece, le tantissime altre evalide voci dei nostri narratori, per quelloche si riferisce agli eventi strettamente storicie anche alle motivazioni che determinaronoil conflitto, possiamo affermare che non sidifferenziano più di tanto. Quanto, invece,a valutare l’opportunità dell’evento, leposizioni si diversificano, in quanto aisostenitori entusiastici dell’intervento sicontrappongono tanti che hanno subito unascelta scellerata, anche se alcuni di essi hannocompiuto regolarmente il compito diubbidire al richiamo della patria.

Nella prima schiera troviamo VittorioLocchi con “La sagra di Santa Gorizia”, doveviene esaltato l’amor di patria che rendesopportabile qualsiasi sacrificio, trattandosidi un nobile ideale. Il cuore del romanzo èuna vita vissuta attimo per attimo in perfettacomunità, condividendo sacrifici, stenti,privazioni, che poi hanno realmentecementato l’unità degli Italiani, come cidimostra l’azione di due giovani militari,che affrontano il destino con coraggio e fedeprofonda.

In questa prospettiva si muovesostanzialmente Giuseppe Prezzolini con“Antologia della guerra”, che raccoglie vocidi diversi narratori, dove il filo conduttoreè il sentimento dell’unità nazionale, cheancora non era percepita dalla totalità dellapopolazione come valore forte e condiviso.Si concludeva così il processo unitario delRisorgimento, che sembrava foriero di verae propria redenzione sociale.

Non diversamente si presenta ArdengoSoffici con “Kobilek”, dove affrontal’avventura bellica con straordinarioentusiasmo, tanto che non si avvilisceneanche quando viene ferito, perché l’ideadella morte attraversa tutta la narrazione,ma che dovrebbe essere ambita, nondemonizzata, considerandola come riscattodi fronte alla mediocrità della vita.

Un autentico atto di fede è quello chesprigiona il lavoro “Scarpe al sole” di PaoloMonelli, che si affida ad una sorta dimemoria autobiografica, che ruota intornoalle vicende belliche di cui l’autore è statoprotagonista in qualità di capitano deglialpini. Il racconto ricostruisce l’atmosferadel reggimento alpino in cui confluivano ipiù svariati dialetti, le più svariateesperienze, i canti, le fatiche sulle montagne,le attese spasmodiche di un attacco, ilmutevole stato psicologico dei combattenti:tutti ingredienti che hanno cementato, comeabbiamo visto con Locchi, il sentimentodell’unità nazionale.

Un vero e proprio atto di fede profondanell’ideale di patria è, del resto, quello diPiero Jahier, che, pronto a sacrificare la vita,ha raccontato la movimentata esperienzabellica in “Con me e con gli alpini”, in cuiesalta il senso di “comunità”e di solidarietàdella vita nelle trincee, dove si cementò persempre l’unità nazionale, tema, che, comesi vede, accomuna tantissimi narratori.

Sulla stessa linea si pone Salvator Gottacon “Piccolo alpino”, dove narra leavventurose ed eroiche imprese di unragazzo negli anni della Grande Guerra,insignito poi di medaglia d’oro al valoremilitare. Il cuore del romanzo è lacomponente “eroica”, che, del resto, haconquistato intere generazioni.

Il cuore di Carlo Emilio Gadda si puòdire che bruciasse ardentemente per lapatria, un ideale nobile da salvaguardareanche col sacrificio della vita. In prima lineaa Caporetto nella drammatica vicenda delfamigerato 1917, riuscì a salvare la pelle,

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ma non a sfuggire alla cattura da parte degliAustriaci. La sua è una testimonianza dovel’intensità dell’amore per la patria èaccompagnata da profonde riflessioni su unevento che ha lasciato il segno nella storiadell’umanità. Meditò a lungo sullaopportunità o meno di pubblicare il“Giornale di guerra e di prigionia”, per ilfatto che riteneva estremamente deludentii benefici ottenuti da una guerra comunquevinta.

Con vivo entusiasmo partecipò al conflittoFilippo Tommaso Marinetti, che consideravala vicenda bellica come l’occasione perrea l izzare i l suo idea le , que l lodell’identificazione tra vita reale e mondodella letteratura. Nel romanzo “Alcovad’acciaio” egli intravede l’idea centrale delfuturismo, realizzata dalla rapidità emodernità delle armi ma, ancora più, ilrapporto a sfondo sentimentale, quasierotico, tra il soldato e l’uso dell’arma chelo rende appagato.

Sull’altra sponda vediamo diversi autoridella narrazione delle vicende belliche, chenon hanno mancato di sottolineare la noncondivisione della scelta dell’intervento inun conflitto assurdo.

Il romanzo “Trincea”di Carlo Salsa è unatestimonianza forte di vita trascorsa al fronte,dove le sofferenze quotidiane dei militarivengono vissute con un’intensitàstraordinaria. Vi risaltano evidenti ladifficoltà ad accogliere così duri sacrifici el’amara considerazione di combattere unaguerra sconcertante. Il racconto scorre suun’amara riflessione riguardo al valore dellavita umana, bruciata dagli orrori di unasorta di apocalisse.

Lo stesso Renato Serra, in “Esame dicoscienza di un letterato”, partiva da unaconsiderazione fatalistica della vita, per cuiciascuno di noi ha un proprio destino; inquesta visione la guerra è vista come unavera e propria ineluttabilità, anche serazionalmente non è ammissibile nessuntipo di conflitto, in quanto evento insensato

destinato a lasciare tutto come prima. Lasua riflessione è lo specchio delle difficoltàin cui si dibattevano i letterati, e i narratoriin particolare, di quella fase storica, incapacidi rappresentare la nuova società che siandava ormai irrimediabilmente delineando.

Antonio Gibelli, in “La grande guerradegli italiani”, ha portato avanti unascrupolosa analisi psicologica deicombattenti. Prendendo in considerazionele lettere dei soldati, ne ha analizzato lapsicologia, le emozioni, i comportamenti,nonché la ricaduta dei devastanti momentibellici sulla mente del militare, spessosconvolgendola. Il soldato, che rinuncia allapropria personalità, è trasformato in automa,a cui applicare con assoluta sicurezza tuttii comandi possibili.Giovanni Comisso, con“Giorni di guerra”, ci racconta la sua soffertaesperienza bellica e la vita straziata deicommilitoni che consumavano la lorogiovinezza in un interminabile alternarsi diemozioni, paure, stati d’ansia, morti atroci…L’esplosione di gioia a conclusione delconflitto attenua solo in parte i segniindelebili che il conflitto ha lasciato sul suocuore.

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Perfino Emilio Lussu, che pure era uninterventista, in “Un anno sull’altopiano”,esprime tutta la sua amarezza e la delusioneprofonda per una guerra che, purtroppo,trovava totalmente impreparati la nazione,i militari, gli intellettuali. Stigmatizzal’improvvisazione del Comando Generale,l’impreparazione dei giovani soldati, lamancanza di armi efficienti e moderne.Riporta gli scempi di ogni natura a cui si èsottoposti, l’orrore delle stragi che siconsumano per la conquista di una collinao di un braccio di fiume, senza considerarepoi la condizione psichica di chi èperennemente sospeso tra la vita e la morte.Il soldato è semplicemente uno strumentoa disposizione di chi lo utilizza con freddadeterminazione.

In “Terra matta” di Vincenzo Rabito unsoldato siciliano, scarsamente acculturato,col compito di trasportare e seppellirecadaveri, trascorre le lunghissime giornatenelle trincee, al freddo e tra la melma e lepiogge torrenziali, nella spasmodica attesadell’attacco improvviso a cui rispondere.

Il protagonista del lavoro di AldoPalazzeschi “Due imperi… mancati” è ilsoldato, costretto oppure abbagliato daglientusiasmi suscitati per la gloria patria, alleprese ora con il terrore delle mitragliatricio degli agguati notturni, ora con la sofferenzadi essere stato strappato ai familiari e aduna condizione di vita probabilmente nonsoddisfacente ma nel calore del focolaredomestico. Sono prevalsi gli interessi o leconvinzioni di politici, militari e di tanti delmondo della cultura, che hanno scatenatoun conflitto, che ha stravolto valori civili,sociali, umani.

Eugenio Garrone, in “Lettera dal frontedi un soldato italiano”, coglie con grandeintensità lo stato d’animo del combattenteal fronte, che, oltre a dedicarsi a scavaretrincee, a combattere, a recuperare cadaverie feriti, vive come in un’atmosfera irrealenel silenzio cupo della notte come del giorno.Il soldato entra in sé stesso e si sente comeoppresso dai più cattivi pensieri e da uno

stato d’ansia che l’opprime: deveimmaginare, prevedere le mosse e leintenzioni del nemico; è uno stato di tensioneche diventa più acuto di notte, quando alladura realtà che sta vivendo si associa ilpensiero dei familiari che trepidano per lui.

Federico De Roberto, ne “La paura e altriracconti della grande guerra”, ci porta “inmedias res”, ossia ci fa respirare l’odoredegli spari, le lingue di fuoco, i battitiaccelerati, la comunanza di esperienze nelletrincee, la spasmodica attesa, le pioggetorrenziali; non senza l’apprensione di unamossa a sorpresa da parte del nemico: iltutto, però, crea anche un’atmosferaparticolare, nel senso che la condivisione diesperienze fa considerare tutti i commilitoni“fratelli “: Siciliani e Veneti, Piemontesi eNapoletani, Lombardi e Pugliesi. Il raccontotermina con il suicidio del soldato Moranache, non condividendo una guerra assurda,per non essere tacciato di vigliaccheria, siuccide, ben sapendo che si tratta di unamorte senza senso. Un aspetto caratteristicodella guerra è stato colto da Andrea Molesinicon “Non tutti i bastardi sono di Vienna”.Così Famiglia Cristiana: “Dalla guerra allavita. Un ragazzo diventa uomo mentrel’Italia sconfitta e umiliata si prepara arisalire la china. Villa Spada, a pochichilometri dal Piave, nell’anno fatale delladisfatta di Caporetto, è teatro delle vicendedi una famiglia colta ed eccentrica, dellaservitù e del comando nemico… Sullosfondo è l’immenso fondale di guerra. Siscontrano psicologie e sentimenti, orgoglioe patriottismo, vinti e vincitori che si trovanoalla fine perduti nella stessa tragedia.” Indefinitiva si tratta di una dura condanna

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della guerra.

Sulla stessa lunghezza d’onda è lariflessione che ci offre Il lavoro di EmilioGentile “Due colpi di pistola, dieci milionidi morti, la fine di un mondo” (“La grandeguerra degli Italiani 1915-1918”). Unpaziente, scrupoloso lavoro di ricerca è allabase dell’opera, che ci presenta lo scenariodevastante della guerra, dove sonoprotagonisti personaggi politici e militari,operatori economici, fenomeni sociali, eventiculturali e, soprattutto, una massa enormedi soldati uccisi. Molto interessante eoriginale è il corredo fotografico, che fissale immagini dei protagonisti, che risultanocosì più efficaci di qualsiasi racconto.

La “Raccolta di lettere dei caduti” diAdolfo Omodeo contiene una miriade divoci accorate di chi vive giorno per giornoin una continua “sospensione” psicologica.E’ un bisogno dell’autore di portare al centrodella vicenda bellica non tanto ladocumentazione ufficiale, spesso retorica,quanto le testimonianze vive di giovani,magari umili e poco acculturati, che sono i

veri protagonisti di una vicenda che hacambiato la storia.

Oltre alla folta schiera dei suddettinarratori e di tanti altri ancora, vedi, adesempio, Antonio Baldini con il “NostroPurgatorio”, “maturavano”, come ci ricordail Flora, “esperienze varie sotto quel pensierodell’imminente morte che è una guerra,sebbene non tutti, anche sul letto di morte,sapessero abbandonare una loromistificazione o magari una fissazione”.

Per concludere, l’orientamento prevalentedella nostra narrativa all’indomani del primoconflitto si è mosso nell’ambito della culturafondamentalmente nazionalistica, comeforza rigeneratrice, come riscoperta di unideale di patria che nel corso di oltre mezzosecolo, a partire dall’unità d’Italia, si eraandato esaurendo sia sotto l’aspetto politicosia dal punto di vista economico e sociale.A questo inatteso scenario nazionaleattinsero, purtroppo, poi a piene mani leforze eversive che impunemente sfruttaronoil terreno fertile per instaurare un regimetotalitario.

Con il TROPICO DEL MEDITERRANEO ilsalernitano ENZO TROISI, in un raccontovisivo, ha reso le meraviglie biologiche escientifiche che si annidano nel nostro mareMediterraneo. Immagini di paesaggifantastici e di specie rare che esploranoscorci, flora e fauna marina. Paesaggipurissimi, dai colori a volte inenarrabili;immagini suggestive di un mondosommerso dai settanta metri alla superficie.

Formazioni coralline, alghe e vegetali, cernie,

cavallucci marini, murene, polipi, gamberi,granchi, paguri, attinie, tartarughe, medusee ancora rocce brillanti e alghe e vegetali…Una vivacità di colori; un mondo fascinosoed affascinante, troppo sconosciuto, però.Una fantasmagoria di colori in una lucediversa…

Pazienza, amore, passione, professionalitàche han reso così un capolavoro!

Michele Sessa

Il mondo subacqueo

ENZO TROISI: “ IL TROPICO DEL MEDITERRANEO”

Un reportage paesaggistico della biologia marina

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di GIUSEPPE CAPACCIO

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“Famiglia”: ecco l’ennesima volta cheuna parola impiegata dall’Alighieri sollevaquestioni e domande; e che, guardate tuttele carte e le posizioni assunte dalla critica,ci siamo persuasi a un pensiero drastico:che Dante, puta caso redivivesse,risponderebbe ai novelli esegeti del suoc o n c e t t o f a m i l i a re - d i c i a m o l oscherzosamente - non con le parole ma colcoltello (Convivio IV, XIX, 11). Tanta glisarebbe apparsa la bestialitade valutativadi cui nei fatti egli risulta essere vittima.Questo accade, per esempio, quando ci siimbatte in persone che rilevano nella suaopera (vedi il Lorenzo Renzi del Mulino2007) addirittura una “deriva antifamiliaree antimatrimoniale”; e sarebbe l’analoga di quella che troviamo nell’autore della Sonataa Kreutzer: Dante e Tolstoj malati dimisoginia e di sessuofobia. Più in generale,secondo Renzi, in Dante si riscontrerebbe“un certo scarso interesse per la madre difamiglia (salvo la figura della Madonna) ela famiglia in generale”; s icché“l’espressione amore coniugale per lui nondoveva avere un grande significato”. Eall’uopo anche si fa notare che Gesù nonfrequenta coppie sposate.

Siamo alle battute finali dell’anticatragedia dell’antidantismo, acuitasi negliultimi decenni. Ed è dell’altro ieri il rinforzoche a tali esternazioni si adopera a fornireMarco Santagata (Mondadori 2012), il qualevorrebbe sigillare la dissacrazionedell’Alighieri uomo, e del suo ‘privato’familiare, con una di quelle stoccate che nonlasciano scampo: facendo osservare comel’exul inmeritus non si faccia scrupolo digiocare pateticamente e insinceramente “lacarta della famiglia”, e di spacciare finpassione per la moglie Gemma al solo scopodi rimettere piede in Firenze. Con questeopinioni, si sappia, Renzi procede sullamedesima scia di quel Guglielmo Gorni che,or non è molto, regalava al poeta, fra i tanti

DANTE E LA FAMIGLIA

di MARIO AVERSANO

epiteti, quello di poveruomo.

La riprovazione di tali assertidiffamatori che abbiamo premesso con lalingua stessa del poeta, radicale com’è,richiede ovviamente delle altrettanto radicali motivazioni. Ci accingiamo a renderle, machiarendo in primis tre cose: 1) la sostanzadel discorso che veniamo a produrre qui inBenevento non è frutto di riflessioni d’unmomento, di questi giorni, e precede dimolto l’avvento del Sinodo sulla famigliavoluto da Papa Bergoglio; da lustri abbiamonel cassetto un intero libro in materia; 2) netrattavamo già in un commento al Paradisopubblicato nel 2000: nel quale, tra l’altre,all’endecasillabo Vergine madre, figlia deltuo figlio, con cui principia l’ultimo cantodel Poema, figurava la seguente nota: “lapresenza, in un solo verso, di ben tre paroledirettamente evocatrici della ‘generazione’- madre-figlia-figlio – rivela con chiarezzal’obiettivo che l’A. persegue: riprendere iltema ‘familiare’, che nel canto precedente èindotto fin dall’inizio e concluso nei versifinali in ordine alla famiglia umana ecristiana, per compierlo nella prospettivadel divino e risolverlo nella luce delmistero”; 3) la nostra “reazione” alla

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novissima editoria scaturisce non dapreconcetti ideologici o da particolarisimpatie verso l’istituto familiare antico emoderno, bensì dallo sprone da cui, oggispecialmente, ogni intellettuale degno diquesto nome dovrebbe sentirsi punto: allacaccia della bella verità, che almeno intemperie letteraria non può presentarsi,fatta salva qualche volta, né soggettiva nérelativa. Intendiamo quella verità del cuiamore il poeta ci comunica - nella Questiode aqua et terra (dunque quasi alla fine dellavita) - di essere stato di continuo nutrito findalla puerizia: “cum in amore veritatis apueritia mea continue sim nutritus…”.Una notizia, questa, che viene curiosamentesorvolata dai dantisti, e massime nell’attualefase storica, sempre più aggrappata, persopraggiunta sclerosi ermeneutica, alvecchio luogo comune del “dubbio”perenne; ma che invece – a riflettere - vale,se non a provare, a darci almeno un indiziocirca la qualità dell’educazione che a Dantefu impartita, e a difendere lui e la suafamiglia da facili insinuazioni di precarietàaffettiva e di condotte etico-politiche pocolineari.

Per procedere senza sospetto didevianze, o di parzialità, conviene affidarsianche questa volta alla semiosi obbligata:la teoria-metodologia espressamente rivoltaai testi-intertesti-intratesti, come laesponemmo or son vent’anni, nel Dantecristiano del 1994.Così noteremo senzadifficoltà che le suddette esternazioninegative sono conciliate dalla annosadittatura della semiosi illimitata, la teoriache centralizza non l’auctor, ma il lector infabula (e perciò stesso non agevolal’individuazione della chiave che ci vuoleper entrare in Dante). Ma può servire unaltro attimo di controllo dello “statodell’arte”, a scoprirne alcune radici.

Lo scetticismo antifamiliare da secolipredomina nelle esposizioni dellaCommedia, e più di recente con partenzada alcuni dati che vengono esibiti conpretesa di statistica probante: per esempiola scarsa presenza nell’opera dantesca dellavoce “matrimonio”. Tanto si riscontra fin

dalla pubblicazione del più autorevolesussidio enciclopedico esistente, realizzatoper il settecentenario della nascita del poeta(1965), l’Enciclopedia Dantesca: “Dante nonparla che incidentalmente del matrimonio”.Così passano sotto silenzio le tante coppieche hanno cittadinanza nelle sue terzine; enon ci si accorge che egli seleziona e narrale loro vicende con un programma chiaroed inequivocabile: fornire il Galateo delleregole inderogabili per il raggiungimentodella felicità in terra, cioè di una pacificaconvivenza tra gli uomini. Non potrà maicapire Dante chi non s’accorge che laCommedia è il massimo (se non l’unico)poema della Pace, e perciò stesso dellaFamiglia.

Si spiega così la presenza di ‘storie’familiari, belle e brutte, in ogni Cantica.Anzi, per stare al computo quantitativo, unospoglio attento rivela che il poeta ha in testala famiglia già dal primo verso (vedremo)e fino all’ultimo, e che non c’è canto doveessa non trovi stanza; e che di mogli e mariti,e relativi ascendenti e rampolli, egli sempreracconta e giudica, a dirla con i Padri dellaChiesa, in bono oppure in malo. Questoaccade non perché egli abbia gusto etendenza a spettegolare - accusa che piùvolte gli è stata mossa, anche da pulpitiimportanti - ma per ben diverse esigenzedi rappresentazione. Ora va subito posto inchiaro che nessuno disprezza più di Danteil gossip, i l chiacchiericcio e lemormorazioni, e loro dintorni (vedi inproposito un mio saggio in Dante e ilGiubileo, Olschki 2000). Al momento bastiinformare di questo: l’unica volta cheVirgilio, il mite Virgilio, non riesce a frenarei nervi e per poco non “si rissa” (Inf. XXX,132), cioè non si arrabbia fino alla rissa conDante alunno, è quando questi, ancorafragile nel carattere e nella dottrina, “si fissa”a seguire fino in fondo il volgare battibeccotra mastro Adamo e Sinone: nei protocollidanteschi ben pochi degli attuali programmitelevisivi troverebbero accoglienza.

Tornando a mogli e mariti, va detto cheil più è giocato tra fedeltà e adulterio, erelative conseguenze non soltanto

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domestiche. Dante è contro l’infedeltà a unpatto che impegna il religioso ed il civile, enon già contro la famiglia. Si ricorderà, perdirne qualcuna, l’adagio della Giovannavedova di Nino Visconti, rimbrottata inquanto non lo ama più e si risposa perinteresse (Purg. VIII, 73); ma anche il prestodella consorte del tiranno Pisistrato, il qualela contraddice serenamente, con visotemperato, quando lei chiede vendetta d’unbacio che un giovane ha dato a sua figlia inpubblico: “Che farem noi a chi mal nedisira/ se quei, che ci ama, è per noicondannato?” (Purg. XV, 104-105). Fino alfortissimo di Pasife moglie di Minosse, chetradendo concepì l’infamia di Cretì (Inf.XII, 12), il Minotauro.

E qui va colto il destro per invitare aresipiscenza i critici del canto V dell’Inferno,quello di Francesca da Polenta e PaoloMalatesta, perché smettano di addurlo –come fa Renzi – a prova del pensieroeversivo, antimatrimoniale ed antifamiliare,che lo impronterebbe: quando esso è invece tutto cristiano e al tempo stessomarcatamente politico. Il peccato carnaleinfatti, tiene a sottolineare il poeta, quandospezza il vincolo tra i coniugi, pregiudicala “fermezza di pace” che le nozzestabiliscono tra le famiglie, le città, i regni. Si spiega così l’elenco delle donnemenzionate, Semiramide e Didone,Cleopatra ed Elena: tutte regine che,rompendo la fede uxoria, provocarono lemaggiori discordie, guerre e distruzioni.L’adulterio, per Dante, è uno dei grandinemici della Pace.

Ma quando i prototipi del matrimonioe della famiglia sono assunti in bono, Danteriserva loro delle sequenze che sono tra lepiù memorabili della Commedia, con accentidi partecipazione espressa a volte in modiche, non saranno eterni, appartengonotuttavia al sentimento e al linguaggioa m o r o s o c o m u n e a n c o r a o g g i :segnatamente con un ricorso ai possessivimio-mia, tuo-tua. Dante li distribuisce senzadistinguere né per ceto né per fede religiosa,e li impiega tanto per una aristocratica, labella donna di Carlo Martello (“Da poi cheCarlo tuo, bella Clemenza”: Par. IX, 1), e per

una illustre pagana, Marzia, come per unafiorentina qualunque, la Nella, rimastavedova di Forese Donati. Il ritratto chequesto penitente di gola in Purgatorio tracciadella moglie ha davvero del commovente,basato com’è sui valori della fedeltà e dellaintegrità dei costumi, sopravvissuti in unacittà resa barbara dalle ricchezze mal lucrate;cose che rendono la vedovella tanto più caraal cielo: “Tanto è a Dio più cara e più diletta/la vedovella mia, che molto amai/ quantoin bene operare è più soletta” (Purg. XXIII,91 ss.).

Quali incartamenti allora, ci chiediamo,autorizzano a diffondere il falso allarmed’un Dante antifamiliare, e poco sensibileagli slanci dell’amore tra coniugi? Perfinoil giramondo Ulisse, campione del desideriodi conoscenza, non si stacca dalla famigliaa cuor leggero, ma deve lottare contro ildebito amore/lo qual dovea Penelope farlieta (Inf. XXVI, 95-96); e il poeta men chemai approva il suo cedere ad altro ardoreed amore, dacché la sua vittoria su quellifamil iar i lo conduce a l la morteprecipitandolo nel basso Inferno, eriducendolo, non sfugga, a meschinalucciola. Ulisse deroga al precetto biblicodel ritorno in patria al sopraggiungere dellavecchiaia, per essere sepolti cum patribus,nella tomba di famiglia. Il che dovrebbe farriflettere i troppi interpreti dell’episodio edel personaggio inclini alla retorica delviaggio e dell’esperienza senza limiti.

Ma specialmente può suonareparadigmat ico l ’exemplum del lasunnominata Marzia, moglie due volte diCatone l’Uticense, scelto a far da custodedel Purgatorio. Dante non esita adestremizzare i possessivi del legamematrimoniale, e raddoppia il tua nel giro diuna sola terzina: “... li occhi casti/ di Marziatua, che ‘n vista ancor ti priega,/ o santopetto, che per tua la tegni” (Purg. I, 78-80).E qui per ragioni di spazio ci fermiamoquanto alla voce matrimonio. Ma non senzasottolineare che l’indissolubilità di talesacramento, e la sua necessità vitale trovanochiarissima enunciazione già nel Convivio,e nei parametri che tra poco citeremo.

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Non meno scoraggia, d’altra parte, ilrelato enciclopedico al termine “famiglia”.Già lascia perplessi lo spazio che copre:poco più di mezza pagina, e senza neppureun rigo di bibliografia (abbondante invecealtre volte); il che comporta un palesegiudizio di “secondarietà” del vocabolo. Maciò che più ferisce è constatare come lepoche osservazioni apposte alla rubrica dellericorrenze (quattordici nella Commedia, seinegli altri scritti) nulla riportano di quel chel’Alighieri realmente teorizzava e poetavadella famiglia, e azzerano l’importanza cheessa riveste nella sua opera e che, lo stiamovedendo, è somma. Passi la nota, così fugacequanto ovvia, della nostalgia dell’esule: Eragià l’ora che volge il disìo …; col seguito(tutto ovidiano) di: Tu lascerai ogni cosadiletta/ più caramente... Ma parlare, poi,unicamente di un alone sentimentale in cuisarebbe immerso il più ampio quadro chedella famiglia il poeta ha dipinto (qualegiace – come è noto - nel XV del Paradiso),risulta di tale pochezza che può prendersia testimonianza dell’incomprensionegenerale non solo di quel canto, madell’intera Commedia. Nessuno, oradobbiamo annunziarlo, ha compreso chefermarsi al ‘privato’ del singolo nucleofamiliare e ignorarne il potenziale ‘pubblico’comporta fraintendimento e distorsioneinterpretativa: perché questa pittura, comes’è rilevato per quella di Francesca e Paolo,va sì letta col cuore, ma non come fantasiad’un visionario: per intenderla bene occorremetterla a fuoco e guardarla col monocolopolitico.

Osserviamo come è rappresentato quelloche può dirsi un ”interno” del bassoMedioevo, ai vv. 121 ss., ben conosciuti:“L’una vegghiava a studio de la culla/ e,consolando, usava l’idioma/ che prima ipadri e le madri trastulla;/ l’altra, traendoalla rocca la chioma,/ favoleggiava con lasua famiglia/ de’ Troiani, di Fiesole e diRoma”. Padri e madri schizzati nello stessoverso. Non interdistanti, dunque, ma fingioiosi nell’amore per i figli, in unaconvivenza sana ed operosa. Nella famigliache il poeta rimpiange, e così propaganda,le mogli non vengono per Francia diserte,

non sono abbandonate dai loro uomini persete smodata di guadagni e di novitàall’estero.

Ma riflettiamo ancora. Queste donneche filano, e che fanno scattare lariprovazione del lusso eccessivo nelle vestie negli ornamenti, hanno procacciato aDante l’accusa di antifemminismo, di miopelaudator temporis acti, di pensatorearretrato, di nemico del progressoeconomico fiorentino, e simili.

Ho già risposto nel mio Dante e iprecursori dell’Unità d’Italia (dato a stampain Benevento, Edizioni Auxiliatrix, 2010),riportando la bella difesa del Solmi, cherisale ai primi del secolo scorso. Aggiungoora un dubbio di tipo, come dire,conoscitivo: su quanto dell’opulenza arrisaa Firenze grazie all’arte e al commercio deitessuti non sia dipeso dall’umile lavoro delleignote tessitrici del tempo di Cacciaguida.Né minore importanza andrebbericonosciuta al loro “favoleggiare”: perchéreca un consistente avallo alla concezioneassoluta che Dante ebbe della famiglia,siccome creatrice e trasmettitrice di valori, di amore della patria e della sua storia, maanche d’un seme, d’un sangue. La memoriaaggancia qui il tema genealogico, cioè ildiscendere non dalla maligna Fiesole, madal la Roma del buono Augusto(buono=pacificatore), qual è segnatonell’incontro con Brunetto Latini tra iSodomiti; ma perciò stesso prospetta unrinvio al teologale: al Resto biblico. Vienechiamato in causa Paolo di Tarso, che nellesue Lettere per tre volte si dichiara dellastirpe di Beniamino, la stessa a cuiappartengono la Madonna e Gesù Cristo.Donde l’implicito della parentela dantescacon i beniamini, coi “ben nati”, di cui èadombramento già in quell’Io non Enea, ionon Paulo sono, che non senza calcolo ilpoeta ha messo in prologo al viaggio perl’Oltretomba (Inf. II, 32). Né mancal’esplicitazione, il riconoscimento direttodell’appartenenza davidica, che gli giungeper bocca del grande imperatoreGiustiniano: O bene nato…(Par. V, 115). Aquesto punto si fa palese che Dante non

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avrebbe potuto disconoscere la “famiglia”senza incorrere nell’assurdo d’undimezzamento: di se stesso, del propriosangue e dei propri meriti.

E però queste mura della Firenze anticanon fanno gioco a sé. La famiglia per Danteè necessaria non solo per l’uomo-marito,ma anche per l’uomo nei rapporti conl’esterno. Essa costituisce il punto dipartenza da cui si sviluppa la umanacivilitade, secondo che leggiamo in Conv.IV, IV, 2 ss. Un uomo, insegna il trattatista, a sua sufficienza richiede compagniadimestica di famiglia, così come una casa asua sufficienza richiede una vicinanza; equesta abbisogna della cittade, che a suavolta richiede avere fratellanza con lecircavicine cittadi; perciò furono fatti i regni;e infine, per mantenerli in pace, laMonarchia universale. Il percorso dellaciviltà in terra comincia dunque dal privatodella famiglia nucleare e si allargaestendendosi nel politico dei luoghi tutti –quartiere-città-regno-impero - in cui nascee trascorre la vita l’intera umanità: chediventa perciò essa stessa “famiglia”.

Siamo però al Convivio, si potràobiettare, che è un trattato in prosa compostonei primi anni del Trecento; che ne sarà, diquesta filosofia etico-politica, nellaCommedia? Presto detto: toccherà a Beatrice dare il riscontro che risolve ogni dubitanza.Per bocca di lei, il ‘personale’ familiare vienecongiunto con l’universale politico, e strettoal punto che il genere umano acquisisce ladenominazione – e non poteva esserediversamente – di umana famiglia; la cuimiseria o felicità sarà fatta dipendereunicamente da coloro che governano: “Tu,perché non ti facci meraviglia/ pensa che‘n terra non è chi governi;/onde si svial’umana famiglia” (Par. XXVII, 139-141).

Ma la linea di traguardo della famiglianon rimane nello stadio della logica politicaterrena. La riscontriamo infatti anchenell’Oltre, allorché il poeta teologo nedisegna l’orizzonte in campi che sfuggonoall’occhio fisico dell’uomo, quelli del divinoe dei suoi misteri. Dante, isomma, vuole

che la famiglia campeggi fin dove è possibile,anche nell’Infinito e nell’eterno.

Riassumiamo le tappe di questaonnipresenza: a) le anime dei Beati sonodivise in famiglie: quelle dei sapienti, peresempio, costituiscono la quarta famiglia(Par. X, 49); b) le nove gerarchie degli Angelicompongono la famiglia del cielo (Purg. XV,29); c) le tre Persone formano ilcongiuntissimo Consistorio de la Trinitade(Conv. IV, V, 3), e il Padre spira e figlia (Par.X, 51), vale a dire costituisce la Famigliatrinitaria.

Tanto ancora andrebbe riferitosull’argomento, ove ci fosse altro spazio: adesempio sulla famiglia e l’Inferno. Qui nonpossiamo che limitarci a qualche rilievo. Ilprimo può riguardare il verso iniziale dellaCantica e del Poema, cui s’è già sopraaccennato: Nel mezzo del cammin … Dantetraduce, come tutti sanno, l’inizio delCantico di Ezechia, riportato nel Libro diIsaia: In dimidio dierum meorum vadamad portas inferi… (XXXVIII, 10). Questomonarca peccò di superbia; ma raggiuntodalla minaccia di una morte a breve, siravvede: per timore dell’Inferno, masoprattutto di rimanere senza figli, di vedertroncata la sua discendenza (come spiegatra gli altri san Girolamo). La sua famigliasi sarebbe estinta. Perciò egli chiede edottiene da Dio di restare in vita altri 15 anni,per poter espiare il suo peccato. Così puògenerare Manasse, la cui nascita assicura lacontinuità della stirpe di Jesse finoall’avvento del Salvatore. Riferimento inbono, dunque: come poi col sintagmafilosofica famiglia di Inf. IV, 132, dove ilsostantivo suona anche di biasimo per unadelle invidie più perfide, quella ‘culturale’.

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Non meno significativo appare, d’altrocanto, l’inserto della famiglia in una sedepure demarcativa, quella del primo incontrodi Dante pellegrino coi dannati al loroimbarco per l’Inferno. Allora non senzapredisposizione strutturale Dante autore –ed anche questo è sfuggito - li raffigurache bestemmiano, in una col nome di Dio,segnatamente quello di tutte le appartenenzealla galassia della famiglia, a cominciare daip a re n t i e d a l l a l o ro p ro g e n i e :“Bestemmiavano Dio e lor parenti,/l’umana

spezie e ‘l loco e ‘l tempo e ‘l seme/ di lorsemenza e di lor nascimenti” (Inf. III, 103-105). Per il che l’Inferno si presta ad esseredefinito - con la sola eccezione del primocerchio, che, si sa, accoglie anche Virgilio -come “il regno dell’antifamiglia”, dovetutti anziché in concordia e in pace (comeavviene nelle ‘famiglie’ del Purgatorio e delParadiso) stanno in guerra continua, e invecedi amore si scambiano esclusivamenteoffese, odio ed inimicizia senza fine.

In una delle sale di Palazzo Calvanesedi Lanzara (Castel San Giorgio), lo scorso28 novembre si è svolta la premiazione dellaprima edizione del concorso nazionale difotografia “Dott. Geol. Gennaro Barba”,intitolato alla memoria del suo ideatore epromotore (importante figura nel campodella geologia italiana, scomparso direcente), e incentrato sul tema de “Laprofessione e il paesaggio geologicoattraverso la fotografia”. L’evento, valevoleanche come corso di aggiornamentoprofessionale per i geologi, è stato animatodalle relazioni della prof. Maria Mancini (“Iprecursori geologi del primo Novecento ela foto”), del prof. Vincenzo Aversano(“Lettura geografica del territorio efotografia geologica”) e del giornalistaMartino Iannone-Ansa Roma (“Fotografia,geologia e giornalismo”), con lapartecipazione di un folto pubblico diaddetti ai lavori e semplici uditori.

Promosso e organizzato dall’Ordinedei Geologi della Campania attraverso laCommissione Giovani e dal coordinatoreDomenico Sessa (presidente dellacommissione dei giovani geologi econsigliere dell’Ordine dei Geologi della

Campania), con il patrocinio del ConsiglioNazionale dei Geologi e della SocietàGeografica Italiana, il Concorso, oltre aessere il primo di una serie di appuntamentitematici destinati a ripetersi nei prossimianni, ha rappresentato un momento diconfronto sulla professionalità del geologo,vero “fotografo” del territorio e figura diriferimento più che mai necessaria in questitempi di generale crollo dei paesaggi delcemento. La fotografia può essere infatti

PERCHÈ IL TERRITORIO NON È PIÙ IN GRADO DIASSORBIRE LE PRECIPITAZIONI

di SILVIA SINISCALCHI*

LA PRIMA EDIZIONE DEL CONCORSO DI FOTOGRAFICO

Al microfono Domenico Sessa con i Relatori

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considerata un efficace strumento per laconoscenza e valorizzazione dei paesaggigeologici, nonché per la loro difesa – comeha sottolineato Sessa durante il suo discorsointroduttivo – difesa che i geologi salernitanihanno voluto ricordare con un’iniziativaoriginale: la pubblicazione di un calendariosul paesaggio geologico d’Italia, grazie allefoto dei 122 partecipanti al concorso (divisinelle sezioni “Giovani” e “Senior”), che,oltre a quello di altri paesi, hanno ritratto ilpaesaggio geologico italiano con scattiscientificamente validi e di alta qualità.

È stato non a caso davvero arduo illavoro di selezione della commissionevalutatrice, come ha evidenziato incollegamento telefonico da Roma GianvitoGraziano (presidente dell’Ordine Nazionaledei Geologi), membro della giuria insiemea Francesco Peduto (Presidente dell’O.R.G.Campania), Francesco Russo (VicePresidente O.R.G. Campania), DomenicoSessa (Presidente Commissione Giovani),Claudio Cerreti (Vice Presidente della SocietàGeografica Italiana), Maria Mancini (giàdirettore dell’archivio fotografico dellaSocietà Geografica Italiana), VincenzoAversano (fondatore e coordinatorescientifico del Laboratorio di Cartografia eToponomastica Storica dell’Università degliStudi di Salerno), Erik Messori (fotografo egiornalista del National Geographic),Martino Iannone (fotoreporter e giornalistadell’Ansa Roma).

Graziano, nel ricordare che lafotografia, oltre a essere uno strumento diconoscenza, può essere adottata anche comeefficace mezzo di denuncia e prevenzionedel dissesto idrogeologico, ha propostoquesto specifico tema come motivo ispiratoredella prossima edizione del concorso. Gliha fatto eco Franco Peduto che,evidenziando la profonda competenza deigeologi nell’analisi delle problematiche delpaesaggio, ha sottolineato come l’abileappropriazione di queste ultime da parte diarchitetti e urbanisti riveli tutte le sue carenzea fronte dei numerosi casi di dissesto e franedistruttive, dimostrando le catastroficheconseguenze della mancanza di adeguatecompetenze geologiche nella pianificazioneurbanistica. Proprio per questo motivo èimportante investire sulla preparazione dei

più giovani e sull’esperienza dei più anziani,ha evidenziato Erik Messori in collegamentotelefonico da Dublino, che ha rilevato anchel’alto potere istruttivo dell’osservazione evalutazione delle fotografie in concorso,attraverso cui la terra è ritratta da molteangolazioni diverse.

Di queste differenti angolazioni, spessorelative a un medesimo oggetto analizzatoda più punti di vista, sono stati interpretinon solo i geologi ma, come ricordato daMaria Mancini, anche i geografi, soprattuttotra il XIX-XX secolo, quando era molto piùstretta l’affinità scientifica tra geografia egeologia. Lo testimoniano le oltre 150.000riprese custodite dall’archivio fotograficodella Società Geografica Italiana, cheindicano come l’uso scientifico della ripresafotografica sia stato adottato dai geografisin dalla fine dell’Ottocento: della fotografiaintesa come documento accompagnato daun’opportuna ed esaustiva descrizionedidascalica si sono infatti resi promotori einterpreti studiosi del calibro di OlintoMarinelli, Giotto Dainelli (autore di circa40.000 foto) e Ardito Desio, geografi egeologi allo stesso tempo; ma molte altrefonti sul tema potrebbero essere scopertecon una più approfondita ricerca negliarchivi italiani. A tale visione scientificadella fotografia del paesaggio geologico siè parzialmente contrapposta quella diMartino Iannone, che ha piuttostoevidenziato la necessità per i geologi diacquisire un metodo giornalistico e

Un momento della cerimonia

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divulgativo per rendere più efficaci ecomunicative le proprie riprese fotografiche,trasformandosi in “reporter del territorio”e imparando a trasformare uno scatto inuna miniera informativa e in una denunciapiù efficace e immediata di qualsiasi altrodocumento, spendibile quindi anche a scoposcientifico e conoscitivo.

Sulle pre-condizioni necessarie perottenere una buona foto geologica si èsoffermato anche Vincenzo Aversano, cheha rilevato la sostanziale identità tra foto diargomento geografico e geologico,considerata l’odierna e pressoché totaleantropizzazione dei luoghi, con laconseguenziale impossibilità di fotografareambienti naturali tout court. La presenza dielementi antropici risulta però importantesia per evidenziare la natura dinamica delpaesaggio, che non deve confondersi con lastaticità di un panorama, sia per renderepiù intuitiva la scala di osservazione e ilgrado di pericolosità di un fenomenonaturale. Nonostante le derive degli studigeografici di ispirazione marxista,privilegianti il tempo più dello spazio, lep o l e m i c h e d e i g e o g r a f i s u l l arappresentabilità o meno del paesaggio e laconsiderazione che una foto non puòtrasmettere gli elementi immateriali, naturalie antropici che lo rendono vivo (come peresempio gli odori, i suoni, i sapori, latemperatura, ma anche la rete toponimica),resta però indubbio che una fotopaesaggistica contiene non solo aspettiestetico-comunicativi ma soprattuttoimportanti informazioni sull’organizzazionedello spazio e sul “genere di vita” di unacollettività. Di qui anche le finalità didenuncia che una foto geografica e geologicadi un paesaggio può avere – comedimostrano alcuni esempi relativi ai disastridel passato, puntualmente preannunciatida una serie di approfonditi reportagefotografici – soprattutto oggi che il paesaggiofonde in sé lo spazio e il tempo, ladescrizione e la denuncia, diventando puntodi incontro tra geografi tradizionalisti eprogressisti e luogo di confronto perl’applicazione delle istanze della cosiddetta“eco-effiquity” (un neologismo coniato dallostesso Aversano, per esprimere la necessità,nella pianificazione territoriale, di

salvaguardia ecologica, efficienza economicaed equità sociale).

La cerimonia di premiazione ha quindivisto la presentazione delle opereselezionate, illustrate, per conto della giuria,dal prof. Aversano, che ne ha spiegato icontenuti e i punti di forza, relativi allacreatività, all’originalità, alla qualità dellafotografia, all’aderenza al tema e allacapacità di trasmettere in modo chiaro unaspetto geografico e geologico del paesaggioillustrato, in senso diacronico e sincronico.Per la categoria Senior il primo, secondo eterzo premio sono s ta t i quindirispettivamente attribuiti a Luigi Di Nuzzo(O.R.G. Campania), Simone Genovese(O.R.G. Sicilia) e Roberto Pellino, mentreper la categoria Giovani a Simone De Simone(O.R.G. Lazio), Viola Oggioni (O.R.G.Lombardia) e Marco Roti (O.R.G. Umbria).La premiazione dei vincitori è stataintervallata dal sentito intervento di DarioBarba, f iglio di Gennaro, che hapubblicamente elogiato il meritorio operatodi Mimmo Sessa, sostenuto dall’appoggiodegli amministratori locali e del dott.Francesco Longanella, sindaco di Castel SanGiorgio, che ha portato ai presenti il salutodella sua amministrazione comunale.

A conclusione dell’evento, Mimmo Sessa,esprimendo soddisfazione per la riuscitadella serata – ulteriormente vivacizzata daun ricco buffet offerto a tutti i presenti – haringraziato e dato appuntamento a tutti ipartecipanti alla seconda edizione delpremio che si svolgerà il prossimo anno.

*Università degli Studi di Salerno

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A volte certi desideri uno li porta con séper tutta la vita, senza mai manifestarli.Questo Natale per liberarne qualcuno, facciouno sproposito e scrivo una lettera.Destinazione non il cielo ma sotto il cielo,all’attenzione degli uomini. Perché daItaliani e meridionali ci facciamo un regalodi nessuna meraviglia e pretesa, masemplicemente di libertà e buonsenso.

È da troppo tempo che sacrifichiamo fiatoe speranza. Anzi le cose sono peggiorate.Siamo sempre più affannati e disorientati.Dopo anni di cecità e sordità – per molti dinoi anche di mutismo – è subentrata la fasedell’agnosticismo, della paralisi e delladistanza.

Il nostro Paese rassomiglia sempre di piùa un’Italietta capricciosa, confusa e pocopresente. E quindi poco credibile. Un’Italiettaipocrita che mentre chiama tutti a sacrificie responsabilità unitarie, di fatto continuaa creare divisioni e separazioni. Con disagie malesseri sempre più diffusi e cronici.

Al nostro Paese soffocato da vecchie enuove emergenze serve una svolta disistema e di comportamenti. Le buoneintenzioni sono ormai insignificanti“pannicelli caldi” mentre la straordinarietàdella malattia merita una non più rinviabileterapia salvavita.

La politica che dovrebbe dare risposte aiproblemi continua ad essere l’affermazionee il consolidamento di se stessa e di quantivi gravitano intorno. Questo gioco perfidocontinua senza segni di cedimento efavorisce sempre di più l’affermarsidell’antipolitica.

Le parole sono nude come l’onestà e,quest’ultima come ci insegna Giovenale, “èlodata ma muore di freddo”. E i segni di

sofferenza in una società povera di veritàed onestà mostrano oggi tutti i loro limiti,tanto da creare dopo scollamento edisaffezione il rifiuto dei cittadini financheall’esercizio dei diritti normali.

C’erano stati segnali, lanciati come unSOS, che non sono stati debitamente raccolti.La necessità di trovare sbocchi aun’emergenza ormai esponenziale invecedi facilitare scelte, patti ed intese, irrigidisceancor più verso una “durezza e unapurezza” che non portano da nessuna parte.La politica della contrapposizione e delmuro contromuro in una società liquida, siliquefa pur essa. Troppa la distanza fra ilPaese reale e quello ideale.

Sfilacciamenti e corrosioni si contanoovunque e i cittadini ormai semplicispettatori, disorientati e spiazzati,continuano a mostrare segni di nervosismoe di sprezzante disamore. Ecco spiegate leragioni di come montano rifiuto e rabbia.Quest’ultima, finora governata dal giudizioe dalla prudenza, ha tenuto lontano dallaribellione. Ma le odierne disubbidienze civili,dalle manifestazioni di piazza agli scioperial rifiuto dell’esercizio di voto, fanno nonsolo riflettere ma cominciano anche apreoccupare.

Gli ultimi dati elettorali, riscontrabili dalleRegionali di questo novembre, sono unarisposta significativa del malessere cheserpeggia e che rischia di consolidarsi.L’affluenza alle urne ha registrato meno del50% dell’elettorato (37,6% in Emilia; 44,1%in Calabria).

Il vero esercizio della democrazia,contrariamente a certi trionfalismi, non èdato dai consensi che un partito conseguema dal coinvolgimento dei cittadini alla

Lettera di Natale

COME VORREI L’ITALIA E IL MEZZOGIORNO

di GIUSEPPE IULIANO

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Come natura crea,“MATTEO” gela!

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cosa comune. Questo significa aderire adun processo dialettico i cui risultati, diqualsiasi significato e valenza, si spalmanosull’intera comunità.

Se l’Italia preoccupa per la poca luce, ilSud indigna (e si indigna) per il buio pesto.Se il Nord rallenta, il Sud è fermo. Il Sudcontinua ad accumulare negatività. Ladenuncia delle sue minorità non è lamentelané disfattismo. Non è polemica stupida nésterile; è una verità storica - ormai secolare- che si trascina dietro vittimismo,indifferenza e rassegnazione. Contro di essisiamo chiamati responsabilmente a sorgere,insorgere, risorgere.

Veniamo a noi e all’esame del buio che ciaffligge e ci mortifica. Per un’area da semprein debito di lavoro, in sei anni - si legge nelRapporto Svimez - sono andati perduti 583mila posti di lavoro (985 mila nell’Italiaintera). Con essi nel Sud c’è stato un crollodi consumi e quindi anche uno scadimentodella qualità della vita. Le previsioni per il2015 confortano solo il Centro Nord con unamodesta variazione in positivo. Al Sud menosegue meno. E qualcuno, illuminatoambasciatore del nostro territorio, dice cheè lamentismo!

“Il Mezzogiorno – scrive NandoSantonastaso (Il Mattino, 20.10.14) – saràancora in recessione: e faranno otto gli anniconsecutivi di crescita negativa, un primatoeuropeo!”

Anche per gli investimenti le previsionisono nere. La stima è che tra un anno il Nordavrà spinte positive e il Sud, invece, unulteriore calo. Il braccio della bilanciacontinuerà a pendere laddove ci sonomaggiori pesi.

Come se non bastasse il Sud continua aperdere popolazione, vuoi per le nuoveemigrazioni, vuoi per la contrazione dellenascite. Il 2012 e il 2013 sono stati anni zero.Il numero dei nati è stato inferiore a quellodei morti. Il 2013 ha registrato il valore piùbasso dall’Unità d’Italia (appena 177mila

nati).Ciò che preoccupa maggiormente è la

condizione dei giovani e la loro quasiassoluta marginalità, che, come evidenziail Rapporto Svimez, non studiano néscelgono altre strade di formazione, prividi qualsiasi intraprendenza. A loro non restaaltro che – come i nonni e i bisavi - la viadell’espatrio.

Ecco spiegate anche le ragioni che il Sudnon attrae gli immigrati. Quel poco che c’ètiene in condizione di precarietà gli stessiresidenti. E l’apprensione è confermata dallapovertà delle famiglie che continua acrescere.

I dati in previsione, vero colpo di grazia, contano per il Sud una contrazione che neiprossimi 50 anni porterà via altri 4,2milionidi persone.

Nella politica di sviluppo il discorso è lostesso: il Sud continua ad arretrare. Mancanoinvestimenti strategici e una progettazionea lungo termine. Risultato è che gliinvestimenti privati sono scarsi (solo il12,4%) e quelli pubblici sono stati spesi perla maggior parte al Nord. Al Sud, nelfrattempo, si continua a discutere di ideeed infrastrutture.

Questa lenta corrosiva demolizione stadisgregando inesorabilmente famiglie esocietà, proprio quel blocco monolitico che

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in anni di persistente miseria aveva portatosotto i riflettori della storia la schermaturainossidabile del “familismo amorale”, sucui Banfield e la sociologia yanhee avevanocostruito la specificità e la minorità delMezzogiorno.

Così stanno le cose, tra promesse, attese,errori e ritardi. Il Sud appare abbandonatoa se stesso. Sembra un’altra frase ad effetto,quella pronunciata da Graziano Delrio,Sottosegretario alla Presidenza del Consigliocon delega alla Politica di CoesioneTerritoriale: ”Faremo del Mezzogiorno ciòche è stata la Germania Ovest per laricostruzione dell’ex Ddr dopo la caduta delMuro”.

E già qualcuno come Pino Aprile hachiarito, in controtendenza, l’arcano sulprocesso di unificazione delle Germanie,ammonendo sul divario che si è allargato aforbice a sfavore della Germania Est“letteralmente saccheggiata e colonizzata(sono termini usati dagli analisti tedeschi)riducendo la popolazione in uno stato diminorità, sottraendo loro o chiudendo leaziende capaci di far concorrenza a quelledell’Ovest”. (Terroni ‘ndernascional,Piemme, novembre 2014)

Insomma il Sud non può permettersineppure di desiderare la normalità. È questala sua (e la nostra) tensione morale edumana. Un’aspettativa per un sogno anticodi libertà e civiltà.

“Sventurata la terra che ha bisogno dieroi”, ammonisce Bertolt Brecht. Noiabbiamo rinunciato alla forza del mito. Cisostiene oggi, orgogliosamente, quella dellamemoria. Un impeto di orgoglio contro lavergogna, il silenzio, le minacce, le paure,l’accettazione passiva.

Il Sud ha bisogno di invertire la marcia:deve difendere le sue ricchezze ambientalidalla cementificazione, dalle trivelle, dalla“monnezza”, e difendersi dalla malavitaorganizzata. Per cominciare bastano un po’di coraggio e di orgoglio. Il resto verrà da

solo.Ed allora alziamo la testa, “pentiti” per

davvero di una storia che ci ha visti finirecomparse compiacenti o paurose. Il Sud nonè la somma di luoghi comuni che ci vienefrequentemente proposta: una sequela diclan e ammazzamenti, lazzaretti per assistiti,terreno di coltura per sfaccendati edavventurieri, un’immensa discarica a cieloaperto. Ancora ci flagella e crocifigge ladefinizione, cucitaci addosso all’epoca delGrand Tour e ripresa da Benedetto Croce:Napoli (e il Sud) è “un paradiso abitato dadiavoli”.

La vita non può continuare ad esserequalcosa di umanamente terribile. Averefame di libertà non é né reato né peccato.

Siamo stanchi di accumulare prove,delusioni ed amarezze; respirare scorie emangiare veleni. Quest’ansia e questa fameantica di “selvaggio dolore di essere uomini”(P.P. Pasolini, Ballata delle madri) ciaiuteranno comunque a superare ogniindecisione e a costruire una cultura dellaresistenza. È il prezzo necessario per usciredalla società delle colpe ed entrare in quelladella coscienza. Bastano i piedi nudi perentrare nella storia e restarci. Le calzeservono per appendere questa lettera alcamino e aspettare, dopo anni di cenere ecarbone, che si materializzi la luce dellacometa nell’auspicio del Natale: “Beati gliuomini di buona volontà”. Ma forse unafiduciosa risposta cristiana e di fede nonbasta. Serve anche l’altra, quella della“rivoluzione meridionale” invocata daGuido Dorso contro fiancheggiatori eprofittatori che con le loro imbottiturecoreografiche, autentici “cavalli di Troia”,da sempre occupano con prepotenza esfrontatezza la scena e la cosa pubblica. Inq u e s t a s f i d a c i c a r a t t e r i z z i a m ogramscianamente per il pessimismo dellaragione e l’ottimismo della volontà. Già! Èsempre la volontà, la soluzione e la salvezzaper costruire e meritarci i tempi nuovi.

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a Gragnano (Na)

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“Il Paese evidentemente sta male perchése abbiamo paura di un temporale vuol direche il territorio non è più in grado diassorbire le precipitazioni anche se si trattadi una cosiddetta “bomba d’acqua”. Questoè emblematico di un sistema che stacollassando. Queste le dichiarazioniall’inizio del 2014 del Presidente delConsiglio Nazionale dei Geologi Gian VitoGraziano, dopo il bilancio dei temporali cheavevano martoriato il Nord Italia. La cosapreoccupante è che oggi, ancora non si è deltutto percepito, sotto il profilo culturale, chedobbiamo allontanare i nostri interessi,ovvero le nostre case, le nostre fabbriche,dalle zone che hanno una normalepericolosità e che poi noi stessi ,urbanizzando, facciamo diventare rischioelevato. In particolare, dobbiamoallontanarci fisicamente dalle aree diesondazione di fiumi, canali o torrenti chen e l l a l o ro n a t u r a l e e v o l u z i o n eperiodicamente vanno oltre gli argini.Bisogna delocalizzare le strutture cheinsistono in queste aree e non lottizzare piùa ridosso. Ma questo cambio culturale èancora lontano dai pensieri dell’uomo. InItalia la lottizzazione selvaggia ha permessodi costruire addirittura sui corsi d’acqua, eoggi, un temporale può mettere in seriorischio “innanzitutto tutte le areemetropolitane” perché sono ad alta densitàabitativa. Non solo per le frane, masoprattutto per le esondazioni causate daun’urbanizzazione scellerata, magarisoltanto perché nel corso degli anni molti

PERCHE’ IL TERRITORIO NON E’ PIU’ IN GRADO DIASSORBIRE LE PRECIPITAZIONI?

torrenti sono stati cementificati e si continuaa farlo. Basta quindi un po’ di pioggia e simettono a repentaglio le vite umane. Scarsaprevenzione, risorse latitanti, eccessivoconsumo del suolo e abusivismo edilizio.E le violente piogge che peggiorano lasituazione, e l’Italia continua a franare. Ilmoltiplicarsi di eventi estremi, sfasamentistagionali e precipitazioni brevi hanno messoa dura prova i suoli del Paese, che nonriescono più ad assorbire: “Senza le opereinfrastrutturali per la raccolta e laregimazione delle acque, non si risolveniente”!!! Nonostante le ripetute tragedie,anche negli ultimi dieci anni sono stateedificate nuove strutture in zone esposte apericolo di frane e alluvioni. In Italia siregistra un eccessivo consumo di suolo. Mai rischi aumentano anche a causadell’urbanizzazione diffusa e caotica,dell’abusivismo edilizio e dell’alterazionedelle dinamiche naturali dei fiumi.  Ma nonsolo. Anche le risorse stanziate – sempreminori – dopo ogni tragedia finiscono spessosoltanto per tamponare i danni ,ripristinando lo stato esistente, “quandosarebbe invece necessario pianificareinterventi concreti di ripensamento di queiterritori in termini di sicurezza e gestionecorretta del rischio. Va ricordato poi comeil territorio italiano presenti già criticitàevidenti, anche perché predisposto per suanatura – essendo costituito per l’80% dacolline e montagne di recente formazione ecostituite da rocce argillose poco compatte– a fenomeni di dissesto idrogeologico. Cosìsotto l’azione di piogge violente le roccerischiano di crollare, i suoli argillosi nonsono più in grado di assorbire altra acqua,mentre le acque piovane scendono a valleingrossando fiumi e torrenti, fino a farlistraripare. Due comuni su tre (circa il 66%),sono considerati a rischio idrogeologico. Atrionfare negli ultimi anni è stato poi ancheil business dell’emergenza. Eppure, è statopiù volte spiegato dai geologi come un euro

di DOMENICO SESSA

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speso in prevenzione ne faccia risparmiarealmeno 4 per riparare i danni. Intanto glistessi Geologi sono poco considerati nellepubbliche amministrazioni!! Soltanto 55amministrazioni hanno invece intrapresoazioni di delocalizzazione di abitazioni dallearee esposte a maggiore pericolo e in appena27 comuni si è provveduto a delo-calizzare insediamenti industriali. In ritardoanche le attività rivolte a informare i cittadinisui rischi: soltanto 472 i Comuni che hannodichiarato di portare avanti queste iniziative,necessarie come forma di prevenzione e perpermettere alla popolazione di non trovarsiimpreparata di fronte a situazioni di

emergenza.Se il ministero dell’Ambiente èstato più volte oggetto dei tagli e della scuredelle diverse leggi di stabilità, anche quandoi soldi sono stati racimolati per le alluvionie per rispondere all’emergenza poco è statospeso. “Dei primi soldi stanziati dopo lafrana di Sarno, a quindici anni di distanzarisulta completata meno della metà deiprogetti. Intanto con la gestione scorrettadel nostro territorio: dal consumo di suolo,agli abusivismi edilizi, passando per ladiminuzione dei terreni agricoli, l’Italiacontinua ad essere impreparata e al primotemporale il territorio non è in grado più diassorbire le precipitazioni!

PIER FRANCESCO MASTROBERTI

Pier Francesco Mastroberti manifesta, fin dapiccolo, una notevole propensione artistica, inparticolare per il disegno. Paesaggi del postovengono impressi dalla sua matita, con undisegnare semplice, elegante, perfino discreto.

Laureatosi in medicina e chirurgia, per unperiodo di circa quattro anni Mastroberti èmedico condotto a Sant’Angelo le Fratte, poidal 1970 esercita la professione a Salerno.

Qui ha sempre vissuto , operandoparallelamente nella dimensione della creatività:pittore, grafico, disegnatore, caricaturista,scultore, acquisendo uno spazio sempre piùampio e solido nel mondo artistico. La sculturaè l’espressione che, per sua esplicita ammissione,privilegia. Ad essa era approdato anche per lesollecitazioni di un artista prestigioso e sensibilecome il maestro Giovanni De Vincenzo, titolare,

allora, della cattedra di scultura pressol’Accademia di Belle Arti di Napoli, che neintuisce le capacità e la grande propensione perquest’arte. Questo incontro determina, infatti,una svolta fondamentale nel suo percorso artisticoe culturale, portandolo, per gradi, ad unespressivismo dai forti contenuti, sostanziatodalla complessità ed universalità delle tematichetrattate, che gli hanno procurato, fin dagli inizidi questa sua avventura, consensi da ogni parteed apprezzamenti di critici autorevoli.

PERCORSO ARTISTICOMastroberti è uno dei medici fondatori

dell’A.M.A.r.S., Associazione dei Medici ArtistiSalernitani. Negli anni ‘70/’80 ha realizzatovignette e caricature per il Bollettino Ufficialedell’Ordine dei Medici e per alcune rivistemediche. Negli anni successivi ha partecipato amostre e rassegne d’arte in Italia e in Francia.Nel 2012 ha creato il Pulcinella Mentore per ilWorld for Child Welfare per l’associazioneMentoring Italia/USA.

Ha realizzato numerosi ritratti commemorativia: “Clelia Sessa”, Lancusi; “Nicola De Cesare”,Agenzia Marittima Nicola De Cesare di Salerno;“Giovanni Siniscalchi”, Centro CommercialeSiniscalchi di Salerno; “Andrea Fortunato”(Policlinico di Perugia); “Pasquale Atenolfi”,Galleria dei Presidenti di Palazzo S. Agostino aSalerno.

Alcune sue sculture sono presenti in museid’arte contemporanea.

Pier Francesco Mastroberti

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Quando gli anni sono tanti anche legiornate autunnali, simboleggianti il fuggire deltempo, si apprezzano di più. Nell’autunnoinoltrato non mancano i dolci giorni in cui,quando il cielo si schiarisce e poche restano lenuvole, nel cielo si formano torme di cavalli osi costruiscono insolite figure che in un brevelasso di tempo si trasformano. Nel guardarle,estatici, i ricordi ci assalgono, illuminati dalpallido sole o, a sera, dalla pallida luna. Sirimembra quanto, più che adolescenti o giàmaturi, si è raccolto nella vita e, pur se l’animaè stanca, ci si bea nel giovarsi dei frutti delpassato canto di gioie e d’amore… Sarà capitatoforse così ad Aniello (Nello) Guariniello che, inun giorno autunnale, avrà dato inizio - corpo evita- a TESTIS TEMPORUM (edito da Litosprint- senza prezzo), diventato di colpo un vero innoall’amore! Il cuore dell’Autore, rivivendo, haritrovato “ i violenti marosi/ (che)…si frangonfuriosi/” e che, anche nell’esercizio gloriosodella sua professione di arguto penalista, sivedeva come elefante a ballare sul filo diragnatela dinanzi a…” due occhi imploranti/ edue mani avvinte da ceppi/”.

Il valore però poi della grande, appassionatadifesa, riusciva a sciogliere quei ceppi el’emozione che ne seguiva diveniva assaiviolenta nel vedere finalmente gli occhi deldetenuto che si liberavano e sorridevano! Nellarima o nell’informale prosastico, la lirica delGuariniello si sviluppa come corde di arpapizzicate sul corpo dell’amata “ primavera disole/ per sanarsi dalle ferite dell’amore/”. Ilcuore del poeta trabocca di versi che affondanoin ricordi lontani delle dolci memorie amorose,in lingua spagnola, in latino, in francese, nellamadre lingua, per celebrare le tante carezzed’amore. Melania con la sua “ buffa cuffiettarosa” e Laura, la neve di febbraio, la ninfa diTindari con le dotte citazioni e i ricordi ineffabilidi Parigi, Harlem, Lugano, NewYork, Lione, ilprimo amore, i carissimi genitori…

La poesia è verità; chi la contempla ne è attrattoperché conosce così il segreto della vittoria sullavita. Lo spirito fervente crea con gioia e nelmomento sublime della creazione, la bellezza,in un serto di stelle, si libra nell’aria,accompagnata da musiche divine. Il candore diun’anima soave, quale quella di AnielloGuariniello, con la poesia, diventa scala alla

divinità| Ogni ricordo un gesto d’amore, unsorriso alla vita, memorie che inebriano l’animae tanto fanno rivivere. Profondo e semplice,serio e riflessivo, il poeta si esprime con la suaparola che resta acqua limpida come allasorgente, con i sapori della roccia da cui sgorga.Un cuore affascinato dall’armonia della musica,dell’amore; dalle memorie dolci ispirate da unadonna, che, continuamente, protegge e difende.Tutto quel che freme, trema, piange, spera, anela,delira nell’immensità della vita, il poeta conflash ne esprime l’infinito dilatato nell’ansia delrespiro, del sospiro, dei palpiti, nella melodiaincantata, nell’ululato del vento selvaggio, sulleonde dell’intrepido passato.

Animato da profonda spiritualità il poeta siaffida al Signore Iddio, ne implora il perdonoche è più forte di ogni peccato e la misericordiache non ha limiti.

“Non penso al triste autunno/ che spoglia glialberi/ ed i miei anni…/”. E’ rassegnatocosciente il poeta e gode i tramonti prodigiosidegli ultimi inni di gioia!

La sua sensibiltà eguaglia il suo intelletto! Infondo, però, siamo tutti tristi e per questo anchenel crepuscolo è tanto bello credere nella luce.Il tempo veglia: tanto porta e tutto comporta,per cui si dà il caso che si trovi anche il tempoper dare aria, vita e luce ad una “ musicalità”che proviene da versi per troppo tempo rinchiusiin un cassetto ed ora, pronti e vivi, come scricciolida combattimento vengono fuori baldanzosi esi fanno largo per farsi apprezzare. Con vocechiara, melodiosa, conturbante, senza orgoglio,senza superbia, nella umiltà dei sentimenti,questi versi ricordano , risplendenti, le sabbiedorate proclamate con la paressia della schiettalibertà di parola e con la più pura franchezza.E’ sempre bello credere nella luce, finanche nelleore buie della notte. La poesia è per la gioia eper lo sfogo dello spirito. La si porta nellosguardo, nel sorriso, nella voce che vibrad’emozione. Aniello Guariniello è uomo che faonore alla propria vita perché cosciente che suquesta terra la vita fluisce come il fiume chemuta, e muta e muta. Il tempo allora è sacro edogni momento deve essere celebrato per cuianche questo momento il poeta ha volutocelebrarlo da pari suo.

TESTIS TEMPORUM di ANIELLO GUARINIELLO

Recensione di MICHELE SESSA

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ESEMPIO DI COMPARAZIONE STILISTICA DI TRE TESTI POETICI

di ANTONIETTA SORRENTINO

“La pioggia nel pineto” di G. D’Annunzio,“Temporale” di G. Pascoli, “O pioggiaferoce”di C. Rebora sono tre poesie con tremotivi esistenziali che rappresentano trepoeti con problematiche differenti. Dalquadretto impressionistico di Pascoli alnaturalismo panico di D’Annunzio allapurificazione deista di Rebora. Ne “Lapioggia nel pineto” lo straordinariovirtuosismo verbale evoca quello cherappresenta il cardine della poesiadannunziana, cioè uno stile di vitainimitabile diretto alla fusione panica conla natura. Il messaggio della vitaoltremondana è colto attraverso le “parolenuove”della pioggia in un’atmosferaascensionale (climax ascendente) che dallapioggia la quale bagna “la solitariaverdura”(vv.34-35) arriva all’apoteosi finaledella trasfigurazione panica della coppiaeletta di innamorati”fatta virente”(v.100),avvinta dal fenomeno meteorologico alletrame “del verde vigor rude”(v. 112). La resadella trasfigurazione panica avvieneattraverso una fitta trama musicale fatta dischemi ritmici liberi che vanno dalla rimabaciata all’uso di rime e consonanzeall’interno dello stesso verso. Il virtuosismomusicale si regge anche su una sapientemodulazione fonica delle vocali per rendereil suono delle gocce di pioggia che si posanosulla vegetazione: la a per rendere i tonichiari , la o per creare il suono cupo dellapioggia sui rami e sulle foglie. E poi ancoratipico dello stile dannunziano vi è unaprofusione di figure retoriche: dall’anafora,basata sulla ripetizione dei”piove” allaclausola a fine verso di “si spegne”,al l i t terazioni(“verde vigor”, “cielcinerino”vv. 45 e 112), paronomasie, lavariegata ripetizione di altre clausole ancoral’anafora del nome della donna – Ermione- preso a prestito da una canzone popolaree ripetuto al termine delle strofe.

Lo sfondo naturalistico caratterizza anchela lirica “Temporale” di Giovani Pascoli.Concepita nell’agosto 1892, fu pubblicata

nella 3^edizione di “Myricae”. Subito inapertura una suggestiva onomatopea(“bubbolìo” v.1) che tende a riprodurre ilbrontolìo lontano del tuono. A seguireconnotazioni cromatiche: “l’orizzonte”che“rosseggia”, “infuocato a mare”(v.3), “nerodi pece a monte”(v.4). Pochi versi ellittici-ad eccezione del secondo- che veicolano,un’atmosfera straniata carica di aspettativeper il sopraggiungere di chissà qualeminaccia . Niente o poco a che fare con lamagniloquenza verbale di D’Annunzio:certo entrambi descrivono un temporale male soluzioni stilistiche, formali e filosoficheli allontanano fino a farli diventare poliopposti dello stesso ellisse cioè ilDecadentismo. Il primo fa della pioggia unostrumento il cui linguaggio nuovo ammettel’autore al rito iniziatico della trasfigurazionepanica con la natura. Il secondo creaun’atmosfera di meravigliato stuporeinfantile che vede minacciata la pace delproprio nido. Nel resto del cielo siaccampano nubi più chiare che sembranostracci per la loro forma irregolare. Iniziaqui dal verso 5 un criptato procedimentoanalogico avente lo scopo di associare ilcasolare bianco che si staglia sul nero dellenubi ad un’ala di gabbiano. L’analogiaaccosta a sorpresa elementi della realtà chenon hanno niente in comune ed è l’uso dellaparatassi nominale la quale, annullando ipassaggi logici, avvicina immediatamentegli elementi stessi discoprendo rapportisegreti tra le cose, quella corrispondenzasegreta, bisbigliata appena che rimanda aBaudelaire. E’tuttavia il ruolo del poeta edell’intellettuale che, dai pochi versi diquesta poesia, esce rigenerato e carico di unnuovo compito. Compito che si riallacciaalla grande tradizione francese del poetavisionario (che Pascoli converte nel fanciullomeravigliato e stupito) in grado di vederee portare alla luce, ai nostri occhi la fittatrama di corrispondenze tra le cose. Lasoluzione è diametralmente opposta rispettoa D’ Annunzio il quale pure si interrogava

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sul ruolo dell’intellettuale soprattutto inrapporto alla diffusione della tecnologia edei nuovi mezzi espressivi come ad esempioil cinema. In un primo momentoD’Annunzio reagisce con un atteggiamentodi chiusura cercando di salvaguardare lapoesia conservandola in uno spazioincontaminato nel quale sono ammessi sologli eletti come dimostra nella lirica poc’anzicommentata. Gli eletti saranno i protagonistidelle gesta d’oltremare agli inizi del ‘900quasi a continuazione delle gesta dei gloriosiantenati latini. La diffusione dei nuovi mezzidi comunicazione e produzione èinarrestabile e sarà sostenuta da quellavariegata fetta di intellettuali genericamentechiamati futuristi. A questo puntoD’Annunzio fa si che l’esteta disgustatodalla modernità protegga quel mondo dirarefatta bellezza proprio servendosi dellatecnologia tanto vituperata. E’il passaggioda Andrea Sperelli a Claudio Cantelmomodello di superuomo che bene si riallacciasia all’Ubermensch tedesco sia alla osannataguerra “sola igiene del mondo”propagandata più tardi dai circoli futuristi.Pascoli propone una soluzione diversaabbracciando l’ ideologia socialista diAndrea Costa con la conseguenteemancipazione delle masse proletarie cheMarx aveva catapultato nella storia. Anchequando inneggia alle imprese coloniali lofa vedendo in esse il riscatto degli emigrantiitaliani disprezzati e sfruttati all’estero cherientrano in possesso di una terra loroappartenuta durante l’impero romano.

Mentre in D’Annunzio la pioggia è atto,in Pascoli è ancora potenza , preannunciatacome cupa minaccia che può irrompere daun momento all’altro e se D’Annunzio ,attraverso la pioggia, arriva a diventare eglistesso natura, in Pascoli tutto concorre adare l’essenza rivelata preesistente dellanatura medesima. E’il linguaggio stesso diD’Annunzio a sottolineare il percorsoascensionale che porta all’apoteosi misticanella natura con la ripetizione a distanza dic e r t e c l a u s o l e c o n v a r i a z i o n iminime:”secondo le fronde /più rade, menrade”(vv.38-39), “secondo la fronda/piùfolta, men folta” (vv. 86-87 ) finoall’avvincente osmosi finale pari solo a unrito orgiastico.

Niente di tutto ciò in Pascoli che recidel’ascensione mistica e, in 7 versi, rende inmaniera immediata non la sintesi con lanatura ma la connessione tra elementilontani della natura stessa che si rivelanoall’uomo il quale a sua volta li osservastranito senza la possibilità di parteciparviattivamente. Per D’Annunzio” l’argenteapioggia monda”(vv. 83-84 ) per ClementeRebora diventa “feroce” come nellaomonima poesia”O pioggia feroce” trattadalla raccolta “Frammenti lirici” pubblicatanel 1913 sulla “Voce”. Fil rouge di tutta laraccolta è l’impegno sociale e la liricaattribuisce alla pioggia un valore sociale di strumento purificatore dalle “lordure edalle menzogne”(v. 2). Ancora la lezione diD’Annunzio emerge ma veicolata in altradirezione. Mi riferisco a tutta la simbologiadell’acqua ne “La città morta” opera nellaquale l’acqua dà la vita ma anche la morte.Ancora è un motivo musicale che trovaesaltazione nell’assoluto silenzio”…Dianzi,quando sono scesa alla fonte con BiancaMaria - proferisce Anna ne “La città morta”,non si sentiva …nulla! Era la calmaperfetta…Soltanto la fonte piangeva erideva”. L’acqua della fonte ha parole dimorte e di vita e, ancora sulla vocedell’acqua, Anna spiega alla nutrice “L’acquadiceva un’infinità di cose che entravano inme come una trasmissione…M’ha persuasaa fare quel che è necessario…la buona acquapura che viene dal profondo…dalprofondo…”. E’un invito al suicidio comesi deduce dall’attrazione verso il profondo.L’acqua è il simbolo delle lacrime e dellamorte come spiega poi Anna che ne esaltala funzione di sorgente vitale sopravvissutaall’incendio che ha distrutto ogni cosa.Dunque un duplice messaggio portato dalle“nuove parole”dell’acqua in “La città morta”e ne “La pioggia nel pineto”. Il significatopurificatore dell’acqua prevale nella liricadi Rebora il quale le attribuisce anche unafunzione sociale di “implacabile scossone”dato “alle lordure …delle anime impure”(vv.2-3). La pioggia ha qui una direzionediscendente che dall’alto scroscia e asportai detriti degli uomini facendoli confluire insordidi rigagnoli putrescenti. Sembra quasidi vederlo questo fiume in piena che rompegli argini e penetra vorticosamente nelle

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UMBERTO GIORDANO: PSICOLOGIA DEI PERSONAGGICOME ANDREA CHENIER

di RENATO AGOSTO

cose pulendone anche gli angoli più remotiper poi deviare le scorie giù in fondo allavalle. E’ forte il suono delle striglie roboantirese con dantesca memoria attraversorime”aspre e chiocce”: “menzogne/rogne”( vv. 3 e 6), “spazza/bazza”( vv.33-34 ). Siconsideri poi la presenza del suono cuporeso dalla u nella prima parte della poesia(vv. 1-24 ) sostituito nei versi 25-32 dalleassonanze e/o oppure o/e con le parolechiave in “ero” e “orte” come morte che alv. 31 esemplifica l’azione della pioggia laquale opera come la morte richiamando unadelle due interpretazioni attribuite allapioggia da D’Annunzio. Quest’ultimo se neinebria insieme alla compagna Ermione perraggiungere l’apoteosi panica dellatrasfigurazione con doppia valenzac i n e t i c a : v e r s o l ’ a l t o c o m esuperuomo/Ubermensch che si eleva al disopra de l l ’omonima mol t i tudinedemocratica; verso l’altro ossia come

passaggio frontale da uno stato all’altro dauomo ad elemento naturale. Mi sovviene inquesto momento la trasumanazione cheBernini ha dato di Apollo e Dafne con ledita della fanciulla già diventate teneri ramie le gambe già bloccate nel terreno dai piediormai radici. Ecco una metamorfosi simileavrà immaginato D’Annunzio con questidue personaggi che camminando insiemenella pioggia “passano nella natura”assumendone i frutti: la pesca al posto delcuore, gli occhi tramutati in risorgive, lemandorle in luogo dei denti ( vv. 106-109 ).In Rebora si ha un movimento discendente:dall’alto la pioggia lava e trascina le impuritàfino a raggiungere il fondo con la morte perpoi risalire verso l’alto attraverso la speranzadella resurrezione in Dio. Apoteosi panicain D’Annunzio, apoteosi cristiana inRebora, apoteosi e straniamentonaturalistici in Pascoli.

Umberto Giordano, nato a Foggia il27/8/1867 e morto a Milano il 12 novembredel 1948, fu allievo di P. Serrao presso ilConservatorio di Napoli per la composizionee di E. Bossi per l’organo, nonché diGiuseppe Martucci per il pianoforte e A.Ferri per il violino. Dopo alcuni tentativioperistici (Malavita e Regina Diaz) cheperaltro non riscossero successo, raggiunseuna enorme popolarità con Andrea Chenier(1896), rinnovata poi nel 1898 con Fedora.Soprattutto in queste opere il Giordano dàla misura del suo eccezionale senso teatrale,trasformando in accesa melodia unasituazione, uno stato d’animo, della suaabilità di strumentatore. Emergono inAndrea Chenier gli indiscussi valori tipicidella scuola verista, cui non vanno disgiuntigli elementi più deteriori avvertibilisoprattutto nella assoluta mancanza di

autocontrollo e nella incapacità diapprofondimento. Le opere successive, purea tratti, notevoli per lo sforzo di aggiornarsie per la cura meticolosa di scavare al di làdelle apparenze, segnano un costantedistacco dal pubblico e una inarrestabiledecadenza: (Siberia, 1903), (Marcella, 1907),(Mese Mariano, 1910), (Madame San-Gène,1915), (La cena delle beffe, 1924) e per finire(Re, 1929). L’Andrea Chenier, traendoargomento dalla Rivoluzione francese, recain sé le caratteristiche dell’ingegnomusicalmente duttile e dell’intuitoteatralmente vivace del suo autore. In questaopera Giordano centra il meglio del suoforte temperamento drammatico, abile nellasuccessione dei contrasti scenici e passionalie nell’impeto vocale delle romanze chesgorgano fluide dall’estro del musicistapugliese.

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La genuina vocazione teatrale delGiordano, infatti, riesce nell’Andrea Chenier,pur trattandosi di argomento storico, amantenere le vicende nello sfondo, senzaminimamente condizionare la validitàmusicalmente perenne dei suoi personaggi.L’elemento drammatico congiuntonell’enfasi lirica ha tutto il suo riscattonell’aria di Maddalena che raggiunge levette del più puro lirismo specie nell’ultimaparte che è la sublimazione dell’amoreassurto a valore universale. Passionalità,non disgiunta da fremiti di ribellione sononel “ credo” rivoluzionario di Gerard, l’exservitore che la rivoluzione ha riscattato edasservito al contempo. I personaggi diquest’opera costituiscono tipi teatrali discultoreo rilievo, in particolare ilprotagonista, il cui violento patriottismo,solo raramente si concede a squarci lirici,bensì sia costantemente partecipe della piùcupa drammaticità. E’ sul protagonista chel’autore ha concentrato i tesori della suafantasia creatrice, fissando in formesuggestivamente dense di calore, squarcilirici che sono altrettanti sprazzi di

illuminazione che ne rischiarano latormentosa psicologia. L’intera partituramusicale che riguarda il protagonista, trannequalche scatto di consapevole ribellione, èun canto forte e vaporoso. L’Andrea Chenierè un dramma, dunque, altamente suggestivoche sprigiona fascino anche nella sventura,proprio perché selvaggio e violento anchenell’ardore patriottico. La fantasia creatricedi Umberto Giordano, giammai vaga traarmonie fine a se stesse, attinge virile energiaa quell’ardente scintilla del patriottismo ditutti i tempi che è capace di ridestare ilnazionale ardimento, infiammando gli spiritidi chi la sua musica ha la ventura diascoltare, con il fuoco sacro di un’altaspiritualità artistica. Patriottismo ma anchetanta solitudine vi domina nell’AndreaChenier, peraltro espressa con vibrataintensità di accenti, in cui meglio si condensae si realizza il processo evolutivo dell’artedel musicista. Nell’Andrea Chenier ipersonaggi sono tutti parimenti riusciti e dieguale spicco, come figure di un altorilievoche si sviluppi in costante prospettivafrontale.

“…ora sei solo nella porta accanto e con altriocchi contempli il Mistero! Con gratitudine”

È la dedica dei frati e degli amici di SanAntonio con cui Massimo Del Regno, per ilCentro di Documentazione per la Storia diMercato San Severino, ha voluto aprire ilvolume che, ricco di testimonianze e diaffetto, ha curato per la Memoria di LuigiNoia (1937-2011). Uno studioso, alacre eprofondo, della Storia locale e non solo,Gino Noia, tanto apprezzato per le sue“qualità umane e culturali che, forse, in vita,lui stesso non aveva saputo valorizzare”scrive nella commossa presentazioneMassimo Del Regno. Il volume contiene le

numerose testimonianze e gli scritti, conpensieri e citazioni che certamenteassicureranno alle generazioni future la suamemoria. Inoltre, nella ricca appendicericerche edite ed inedite, interventi e scrittidi Luigi Noia. (M. S.)

CARO GINO…

Michele Sessa

SPIRITO FRATERNO

Si ridesti lo spirito fraternoChe tanto animò i nostri avi...Godiamo col Prossimo in eterno,tutti umani, senza più schiavi.Esempio di Obama, Raùl, Bergoglio,ognun, con forza gridi “Sì, lo voglio!”

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MEDAGLIONI D’ARTEdi DOMENICO SESSA

L’OLIMPO DEL XXI SECOLO

Una Antologia a cura di Emilia Altobellie Gianni Ianuale che raccoglie Autori chevalorizzano la società nella quale vivono edoperano. Si scava nei loro cuori e si capisce,come afferma Biagio di Meglio nellapresentazione, che “ la poesia è la più fortemedicina per guarire i malanni; l’arte unindelebile antitodo per guarire i nèi; lacultura la bandiera di tutti quelli che amanola libertà, quale sigillo d’amore”. Tra gliAutori presenti ci piace segnalare MarioSenatore e Francesco Terrone.

U n ’ A m i c a , u n aPoetessa, un’AnimaPia. Al marito, Avv.Renato, ai figli, allacara nipotina, aicognati e parenti tutti,le più vive e sentitecondoglianze dellanostra Redazione.

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C E N T R O S T U D I P E R L AFONDAZIONE CARMINE MANZI

Presieduta dal filosofo GiuseppeCacciatore è nato il Centro Studi per laFondazione Carmine Manzi, al fine dirilanciare e proseguire le finalitàdell’Accademia di Paestum. Sarannocoinvolti soprattutto i giovani talenti conuna serie di iniziative volte alla formazionee alla promozione sociale. Già tante leconvinte adesioni.

Nel Complessorupestre “Madonnadella Virtù” a Matera- la Capitale Europeadella Cultura 2019 - acura del CircoloC u l t u r a l e “ L aScaletta”, lo Scultorel u c a n o P I E RF R A N C E S C OMASTROBERTI, inuna Personale di Scultura di Arte Presepiale,ha esposto ben cinque Presepi. Grandissimone è stato il successo.

PIER FRANCESCOMASTROBERTI