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tato il conte di Cavour mandando soldati ovunque. Dalla Corea all’Af- ghanistan. In nome di una esigenza che in tanti casi sarà stata pure giu- sta, ma che in altri è apparsa più il frutto di una sindrome di Crimea che Direttore aRTURO DiaCOnaLE Mercoledì 19 Ottobre 2016 Fondato nel 1847 - anno XXi n. 191 - Euro 0,50 DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1 DCB - Roma / Tariffa ROC poste italiane Spa Spedizione in abb. postale QUOTIDIANO LIbERALE PER LE gARANzIE, LE RIfORmE ED I DIRITTI UmANI delle Libertà de la GRANGE A PAGINA 2 Neolingua ed Equitalia, l’abolizione di una farsa da parte del Premier CULTURA “The Accountant”: Ben Affleck supereroe autistico PIERLEONI a pagina 7 Quando l’Unesco insulta la Storia I l Muro del Pianto, il Tempio di Israele e la Storia. E l’Unesco che ha compiuto l’ennesima rapina, sot- traendo all’Ebraismo il Muro del Pianto. L’Unesco è quell’agenzia onu- siana che, nel gergo degli addetti alla diplomazia, si occupa di tutto e di niente (bambini da istruire nel Bot- swana, siti archeologici, istrici di- spersi nella savana, donne in crisi di nervi in Nigeria, infanzia e computer, sottosviluppo e sanscrito antico, ecc.). Ma quando se ne occupa con- cretamente, in nove casi su dieci fa danni. Anche e soprattutto alla Sto- di PAOLO PILLITTERI di ARTURO DIACONALE N essuno dubita sulla genialità della scelta di Camillo Cavour di far partecipare il suo piccolo Pie- monte alla coalizione europea impe- gnata nella guerra di Crimea. Lo fece per avere la possibilità di entrare nel novero dei Paesi che contavano e poter utilizzare questa crescita di rango nella strategia politica tesa alla costruzione dell’Unità italiana. Quel precedente storico è diventato nel se- condo dopoguerra il principale ispi- ratore della politica estera del nostro Paese. Alla ricerca del rango perduto e di una qualche collocazione nelle alleanze che contavano nello scena- rio internazionale, i governi italiani di ogni colore e tendenza hanno imi- Continua a pagina 2 ria, cioè a noi del genere umano. So- litamente, da almeno trent’anni, l’Unesco, mette nel mirino Israele, non soltanto in virtù... Obama in campagna referendaria Ma perché guerreggiare a Mosul? L’endorsementdel Presidente degli Stati Uniti che in cambio della partecipazione italiana all’offensiva contro l’Isis a Mosul in Iraq si spertica nelle lodi in favore di Matteo Renzi e della riforma costituzionale Continua a pagina 2 di una scelta ponderata e razionale. Pare, adesso, che truppe italiane stiano partecipando all’offensiva che si sta sviluppando in Iraq e che è tesa a strappare Mosul all’Isis. Nessuno sa esattamente quale sia l’impiego dei nostri soldati. Se partecipino ai combattimenti in prima linea o se, più prudentemente, svolgano solo funzione di supporto. Ma, soprat- tutto, nessuno sa esattamente perché mai debbano partecipare ad opera- zioni militari in una zona in cui non esiste alcun tipo di interesse diretto del nostro Paese ed a fianco di una coalizione che non è il frutto di un ac- cordo internazionale definito e con- cordato e che una volta strappata ... POLITICA GUIDI A PAGINA 3 Referendum e politica: tra il “Sì” e il “No” verso il voto di dicembre PRIMO PIANO A PAGINA 4 La grande illusione di una legge di stabilità all’“americana” ECONOMIA

D a˜ ˛O DiaCOnaLE F 1847 - a i n. 191 - E 0,50 Mercoledì ... · della scelta di Camillo Cavour di far partecipare il suo piccolo Pie- ... poter utilizzare questa crescita di rango

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tato il conte di Cavour mandandosoldati ovunque. Dalla Corea all’Af-ghanistan. In nome di una esigenzache in tanti casi sarà stata pure giu-sta, ma che in altri è apparsa più ilfrutto di una sindrome di Crimea che

Direttore aRTURO DiaCOnaLE Mercoledì 19 Ottobre 2016Fondato nel 1847 - anno XXi n. 191 - Euro 0,50

DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1

DCB - Roma / Tariffa ROC poste italiane Spa Spedizione in abb. postale QUOTIDIANO LIbERALE PER LE gARANzIE, LE RIfORmE ED I DIRITTI UmANI

delle Libertà

de la GRANGE A PAGINA 2

Neolingua ed Equitalia,

l’abolizione di una farsa

da parte del Premier

CULTURA

“The Accountant”:

Ben Affleck

supereroe autisticoPIERLEONI

a pagina 7

Quando l’Unescoinsulta la Storia

Il Muro del Pianto, il Tempio diIsraele e la Storia. E l’Unesco che

ha compiuto l’ennesima rapina, sot-traendo all’Ebraismo il Muro delPianto. L’Unesco è quell’agenzia onu-siana che, nel gergo degli addetti alladiplomazia, si occupa di tutto e diniente (bambini da istruire nel Bot-swana, siti archeologici, istrici di-spersi nella savana, donne in crisi dinervi in Nigeria, infanzia e computer,sottosviluppo e sanscrito antico,ecc.). Ma quando se ne occupa con-cretamente, in nove casi su dieci fadanni. Anche e soprattutto alla Sto-

di PAOLO PILLITTERI

di ARTURO DIACONALE

Nessuno dubita sulla genialitàdella scelta di Camillo Cavour

di far partecipare il suo piccolo Pie-monte alla coalizione europea impe-gnata nella guerra di Crimea. Lo feceper avere la possibilità di entrare nelnovero dei Paesi che contavano epoter utilizzare questa crescita dirango nella strategia politica tesa allacostruzione dell’Unità italiana. Quelprecedente storico è diventato nel se-condo dopoguerra il principale ispi-ratore della politica estera del nostroPaese. Alla ricerca del rango perdutoe di una qualche collocazione nellealleanze che contavano nello scena-rio internazionale, i governi italianidi ogni colore e tendenza hanno imi- Continua a pagina 2

ria, cioè a noi del genere umano. So-litamente, da almeno trent’anni,l’Unesco, mette nel mirino Israele,non soltanto in virtù...

Obama in campagna referendaria

Ma perché guerreggiare a Mosul?

L’endorsement del Presidente degli Stati Uniti che in cambio della partecipazione italiana all’offensivacontro l’Isis a Mosul in Iraq si spertica nelle lodi in favore di Matteo Renzi e della riforma costituzionale

Continua a pagina 2

di una scelta ponderata e razionale.Pare, adesso, che truppe italiane

stiano partecipando all’offensiva chesi sta sviluppando in Iraq e che è tesaa strappare Mosul all’Isis. Nessunosa esattamente quale sia l’impiegodei nostri soldati. Se partecipino aicombattimenti in prima linea o se,più prudentemente, svolgano solofunzione di supporto. Ma, soprat-tutto, nessuno sa esattamente perchémai debbano partecipare ad opera-zioni militari in una zona in cui nonesiste alcun tipo di interesse direttodel nostro Paese ed a fianco di unacoalizione che non è il frutto di un ac-cordo internazionale definito e con-cordato e che una volta strappata ...

POLITICA

GUIDI A PAGINA 3

Referendum e politica:

tra il “Sì” e il “No”

verso il voto di dicembre

PRIMO PIANO

A PAGINA 4

La grande illusione

di una legge di stabilità

all’“americana”

ECONOMIA

Page 2: D a˜ ˛O DiaCOnaLE F 1847 - a i n. 191 - E 0,50 Mercoledì ... · della scelta di Camillo Cavour di far partecipare il suo piccolo Pie- ... poter utilizzare questa crescita di rango

Ha ragione Matteo Renzi che adabolire Equitalia (nel senso tutto

relativo che hanno le “abolizioni”consimili) ha tutto da guadagnare.

In primo luogo perché il tasso di“popolarità” dell’istituzione era a li-velli di prefisso teleselettivo ed a“terminare” qualcosa di così radical-mente impopolare c’è, in termini dipopolarità, tanto da lucrare.

Secondariamente, Equitalia (nelnome e come concreta strutturazione)è stata in sostanza un prodotto delcentrosinistra. E quindi contraria-mente ai vari Prodi e così via Renzinon ha, per la creaturina suddetta,l’affetto filiale che ne ha (o ne aveva)la vecchia guardia. Anzi, conferma lacoerenza del Premier che alla rotta-mazione dei produttori fa seguirequella dei prodotti. E il centrosinistra(attuale) ne ha tutto da profittare:contando sulla memoria corta degliitaliani che questi non ricordino piùl’istituzione della “pubblicaneria” na-zionale e i suoi risultati più noti (car-telle pazze, ecc.), ma solo la gloria dichi l’ha soppressa.

Ma c’è un aspetto di Equitalia che

più attrae: il fatto che fin dalla nascitaera, ed è, uno dei più perfetti prodottidella neolingua (ancor più che del po-liticamente corretto): di quella più chedi questo, perché connotato del lin-guaggio immaginato da Orwell era distravolgere intenzionalmente il signi-ficato delle parole fino ad invertirlo:la guerra diventa pace, l’ingiustizia lagiustizia e così via. E che questa sia laprassi retorica o meglio propagandi-stica prediletta dal centrosinistra è,nel caso nostro, provato: infatti anchese la nascita del carrozzone era do-

vuta al Governo Berlusconi nel 2005,il nome dato alla neonata fu alloraquello più sobrio e neutro di Riscos-sione S.p.A.: quando nel 2006 arrivòal governo Romano Prodi, fu subitoribattezzata, in coerenza con le asse-rite intenzioni del centrosinistra,“Equitalia”. Termine che connotavanon quello che faceva e fa, ossia ri-scuotere imposte, ma quello che era lafinalità conclamata dell’appropria-zione di denaro: distribuirlo in ma-niera più giusta. Allo stesso modo sipotrebbe cambiare nome a tanti altri

settori dell’amministrazione (e spessoè stato fatto, e con più ragione diEquitalia); Puviani scriveva che in talicasi l’illusione finanziaria consistevain un’evocazione basata sul conside-rare come “esistenti cose o personenon esistenti (spiriti, defunti)”.

Mentre nel caso, di esistente edolorosamente esistente (per il con-tribuente s’intende, non per il gover-nante) è dover pagare le imposte,pena il dover subire sequestri, pigno-ramenti, ipoteche; l’immaginario, chei mezzi così raccolti vadano a soddi-sfare bisogni pubblici e meritevoli, in-vece che, in misura non indifferente,a sostentare strutture inefficienti eclientele governative.

Ma con Equitalia la nobilitazionedella riscossione ha raggiunto un li-vello araldico: come per le famigliearistocratiche e per taluni corpi delloStato – per lo più armati – risulta daWikipedia che la società aveva pureun motto, modernamente battezzatoslogan: “Per un Paese più giusto”.

Coerentemente modellato sulle inten-zioni esternate e non sull’attivitàsvolta. Oltre che connotato da unaevidente ovvietà e versatilità: ve l’im-maginate un Ente o altra strutturapubblica che abbia come motto “perun Paese più ingiusto”? O un’ammi-nistrazione che non abbia come finedi promuovere se non la giustizia, al-meno quel “buon andamento” e “im-parzialità”, prescritti da un precettocostituzionale dell’articolo 97, condi-visibile quanto disatteso?

Che Renzi abolisca questa farsa, incui – come strumento di illusione po-polare forse credono solo alcuni re-duci del “secolo breve” – è un bene.Resta la sostanza, e così il problemareale: come ridurre le imposte allaraccolta delle quali, con efficienza li-mitata e modi spesso beceri, Equita-lia provvedeva. E su questo che lozelo del rottamatore, prevedibilmente,non sarà all’altezza delle aspettativesuscitate. Perché significherebbe farela cura dimagrante alla platea di tax-consommers che, minoritaria nelPaese, è maggioritaria (o almeno assaiconsistente) tra i sostenitori del Par-tito Democratico. E quindi dura da ri-dimensionare.

2 L’OPINIONE delle Libertà mercoledì 19 ottobre 2016Politica

Neolingua ed Equitalia

Che strano Paese che siamo, daanni tutti a dire ed a scrivere dei

soprusi del fisco, dell’avidità persecu-toria delle regole riscossive, della di-sparità di diritti fra accusa e difesafiscale, dell’impostazione vessatoria diEquitalia, e oggi che s’interviene, tuttia fare i moralisti. Da anni in tivù, allaradio e sui giornali a rappresentareepisodi di vero abuso verso i cittadinida parte del fisco, compresa la folliadi potere pretendere per legge il dop-pio o il triplo dell’omesso e oggi ches’interviene, tutti a parlare di regaloagli evasori. Per anni le più note tra-smissioni hanno rappresentato nonsolo le tragedie popolari più tristi le-gate al fisco, ma fatti di evidente ne-gazione dei diritti, senza che nessunointervenisse a porvi rimedio, e oggiche si interviene, tutti a fare i bac-chettoni.

Insomma, delle due l’una, o si ri-tiene giusto che il fisco possa mandarecartelle pazze o sbagliate senza ri-schiare mai nulla, che il fisco possasolo riscuotere e mai pagare quando èlui a commettere errori, che per una

omissione di cento possa richiederepersecutoriamente duecento, oppureè giusta e doverosa un’operazione pa-cificatrice. Oltretutto, a confermadella stranezza di questo Paese, non sicontano gli ipocriti moralisti del fiscoTorquemada, che poi all’apparire diun qualsiasi condono ne approfittanoa mani basse. Basterebbe spulciarenegli archivi dei condoni edilizi pertrovare quante verande sul mare, bal-coni degli chalet, oppure vetrate deicomodi attici di città sono state sa-nate dai sostenitori del burqa fiscale.Così come non si capisce perché ilmoralismo d’accatto di tanti intellet-tuali abbia nel tempo sempre appog-giato le amnistie penali, ritenendoleatti di civiltà giudiziaria. È difficile, in-fatti, capire il perché sia giusto di ri-mettere in circolazione microcriminaliincalliti e invece non consentire unasanatoria fiscale. Siamo insomma difronte a personaggi che ritengono siaun favore agli evasori ogni sorta dicondono e non ritengono, invece, un

favore ai delinquentiogni forma di amni-stia o indulto penale.Noi, al contrario,siamo tra quelli cheritengono talvoltagiusti e indispensa-bili, sempreché fatticon il sale in zucca econ i dovuti distin-guo, entrambi gli attidi pacificazione.

Insomma, siamo ilPaese dove si passadal giustizialismo algarantismo, dal buonismo al forcaio-lismo, più facilmente che bere un bic-chiere d’acqua. Ecco perché da noisuccede tutto il contrario di quel chesarebbe giusto, tanto è vero che si puòstare in carcere quando si è presuntiinnocenti e fuori quando si è condan-nati. In Italia si può essere arrestatiper il reato più odioso (furti, scippi,razzie d’appartamento) e trovare ungiudice che ti mette subito a spasso,

mentre si può restare in galera perchési è rubata per fame una mela. Bene,anzi male, col fisco è la stessa cosa. In-fatti, con i grandi nomi del bel mondoo dell’impresa, per cifre enormi sitratta, si fanno sconti, si patteggia e sirisolve in bonis, con i poveri cristi percifre ben diverse si usa la mannaia ebasta. Siamo in buona sostanza ilPaese del controsenso, ecco perchéquando per realismo arriva un po’ di

buon senso, lo si attacca a prescin-dere. La rottamazione, la mediazioneo sanatoria che dir si voglia delle car-telle, pendenze, sospesi e quant’altrodi fiscale ci sia, è un atto di ragione-volezza economica, riscossiva e, percome siamo messi, sociale. È un modoinsomma per risolvere i problemi diquei cittadini che evasori non sono eche altrimenti sarebbero difficilmenterisolvibili. È un modo per ripartire sulpulito e per abbassare la temperaturafra fisco e contribuenti, eliminando,un volta per tutte, gli insopportabili,eccessivi e assurdi metodi di riscos-sione.

L’unico vero e grande limite di que-sto provvedimento è che non basta dasolo a rendere “normale” il sistemad’imposizione italiano; un sistema cheandrebbe riformato tutto per quantitàe qualità, diritti e doveri, accusa e di-fesa. Ma questa è un’altra storia epurtroppo sul tema (a proposito di ri-forme) il Governo Renzi è clamoro-samente e colpevolmente assente.

Il velo dell’ipocrisia non muore maidi ELIDE ROSSI e ALFREDO MOSCA

...della numerosa presenza “economico-finanzia-ria” del mondo arabo ma, soprattutto, per la pa-vidità, la paura e il terrore di rivalsa di quelmondo verso molti Paesi occidentali (che ci sia dimezzo il petrolio?). Temiamo, peraltro, che alfondo di questa pavidità occidentale, grattagratta troveremo tracce di inscalfibile antisemiti-smo e antisionismo.

Ebbene, la solenne risoluzione dell’Unesco haassistito a uno dei soliti giochi delle tre tavolettein cui noi italiani siamo docenti universitari. Cisiamo astenuti, così, signorilmente, distaccati,“au-dessus de la mêlée”, neutrali. Insieme ad altriventi Paesi, non da soli, si capisce. Peccato peròche fra questi non ci fossero gli Stati Uniti, la Ger-mania e l’Inghilterra, i nostri alleati privilegiatiper antonomasia.

Complimenti, cari delegati italiani all’Unesco.E, soprattutto, dopo questa bella impresa, inviatea Matteo Renzi una copia della risoluzione ap-provata grazie, anche, alla vostra astensione. Per-ché a Renzi? Perché, come voi forse nonricorderete, il nostro Premier pronunciò nel 2015alla Knesset di Gerusalemme uno dei suoi mi-gliori discorsi: “Shalom! A voi, a Gerusalemme,che solo a nominarla evoca brividi ed emozioni.Il Salmo ci trasmette l’immagine delle tribù diIsraele che salgono verso il Tempio lodando ilnome del Signore, cantando la gioia...”. Appunto,il Tempio, quello distrutto dall’Imperatore Tito

segue dalla prima

...Mosul all’Isis si lacererà tra mille divi-sioni, diffidenze, contrasti ed ostilità insu-perabili.

Che ci stiamo a fare a Mosul? A guada-gnare l’invito a cena di Barack Obama peril nostro Premier Matteo Renzi e per la suacorte di eccellenze cortigiane? Ad otteneredal Presidente degli Stati Uniti la benedi-zione per la fine del bicameralismo perfettoe la nascita di quello imperfetto e mal fun-zionante?

Se queste sono le ragioni della partecipa-zione italiana alla battaglia di Mosul nonsiamo alla sindrome di Crimea, ma ad unaforma di autentica schizofrenia. Che rendeil Paese bellicoso quando Matteo Renzi haun interesse elettorale e personale da salva-guardare, ma lo trasforma in un Paese asso-lutamente pacifista e contrario a qualsiasiimpiego bellico quando questo tipo d’inte-resse non esiste ed al suo posto ce ne sarebbeuno più generale riguardante l’intera na-zione.

Perché guerreggiare a Mosul, ad esempio,e stare a guardare in Libia dove è fin troppoprofondo ed evidente l’interesse dell’Italia asconfiggere l’Isis e ad evitare che la quartasponda dirimpettaia venga colonizzata daEgitto, Francia e Gran Bretagna?

ARTURO DIACONALE

nel 70 d.C., lo stesso Tempio che seicento anniprima era stato distrutto da Nabucodonosor(586 a.C.). Le vestigia si possono vedere a Romasotto l’Arco di Costantino.

È Storia, né più né meno. La cultura, le radici,l’identità, la religione ebraica (compresa quellacristiana, si capisce) hanno pregato, contemplatoe pianto nel Muro, hanno riannodato e ripla-smato origini e verità ben prima dell’avvento dellaconquista maomettana del 638 d.C., conquistache ha poi costretto alla coranizzazione di Geru-salemme rileggendo la storia e reinterpretandolaa proprio uso e consumo, anche se in nessunasura coranica si parla di Gerusalemme e nem-meno vi si accenna a patria di Maometto, il qualemai mise piede nella città caput mundi dell’ebrai-smo religioso. Che è nostro antenato benché damillenni perseguitato da Crociati e interessi vari;nostro archetipo con quel Gesù Cristo del qualeanche Papa Francesco ci ricorda additandola adesempio con “la cacciata dei mercanti dal Tem-pio”. Il Tempio, proprio quel Tempio, eliminatoora dall’agenzia onusiana. Con un tratto di penna,ecco che quelli dell’Unesco cancellano i nomiebraici da tutto ciò mettendoci quelli arabi; anzi,sovrapponendo agli accadimenti reali un’altrastoria, un’altra verità, altri fatti.

Quali? Quelli della convenienza sottomessa alricatto, dell’unidirezionale politically correct cheda decenni indica in Israele, unico Paese libero,democratico e “occidentale”, un estraneo, uncaso anomalo della storia, una realtà da espun-gere, un puntino minaccioso nel mondo del-l’Islam del quale, peraltro, sono noti i diffusissimiregimi illiberali, i sistemi antidemocratici, le po-

Ma perché guerreggiare a Mosul?

Quando l’Unesco insulta la Storia

lizie segrete, i fanatismi, i terrorismi e, ahimè, iprofughi e i migrantes in fuga verso di noi. Ben-ché provvisoria, questa risoluzione Unesco gettaun’ombra di vergogna sulla nostra decisioneastensionistica, una scelta grave che sfiora l’infa-mia, inspiegabile e, soprattutto, pilatesca diplo-maticamente, politicamente doppiopesista.

Un insulto alla Storia. Che ne pensa il Premier?PAOLO PILLITTERI

diTEODORO KLITSChE de laGRANGE

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3l’oPiNioNe delle libertàmercoledì 19 ottobre 2016 Primo Piano

Ci sono due fronti e tre schiera-menti che si fronteggiano nella

campagna sul referendum. I frontisono due, quello del “Sì” e quello del“No”. Ma gli schieramenti sono tre,o quattro, perché accanto a chi mo-tiva le proprie scelte sui temi della ri-forma c’è chi fa campagna per il“No” solo per contrastare MatteoRenzi. In questo terzo fronte si di-stinguono, a sua volta, due distintesottospecie di oppositori: chi osteg-gia Renzi in quanto capo del Go-verno e chi lo osteggia in quantosegretario del Partito Democratico.

Il quadro che ne esce è avvilente. Ilthema decidendum va in soffitta eresta solo il pretesto per uno scontrodi altra natura. Del resto, la partitasi gioca su un altro terreno, quellodella politica politicante. È come sesi giocasse una partita di football inun campo da golf. Le regole sonoquelle dello scontro a due, ma lesquadre che si contendono la partitasono più di due. Ognuna gioca persé, anche se, alla fine, conterà lasomma totale delle palle dello stessocolore, a prescindere dalle ragioniche hanno tenuto unito i fronti, so-prattutto quello del “No”.

Piaccia o non piaccia queste sonole dinamiche della democrazia di-retta, dove i voti si contano e basta.Possono essere il frutto delle più di-verse motivazioni. Ognuno gli puòdare il senso che vuole. Ci possonoessere chi vota sulla riforma o suisuoi promotori. Sul governo o con-tro il governo. Per o contro il segre-tario del suo partito. Alla fine, vincechi prende più voti, senza la possibi-lità di fare ulteriori sottili distinzioni.

Considerato che ormai il referen-dum ha prevalentemente natura po-litica, mettiamo da parte leraccomandazioni di Sergio Matta-rella e mettiamola in politica. Da unaparte i contendenti sono MatteoRenzi e Angelino Alfano, e i poteri

forti, si dice. Dall’altra, c’è MassimoD’Alema innanzitutto, Bersani, Cu-perlo e Speranza, poi Beppe Grillo ei suoi, Salvini e Meloni, Forza Italia,la Cgil di Susanna Camusso, la Fiomdi Landini, l’Anpi di Smuraglia, Pan-cho Pardi, alcune correnti della ma-gistratura.

Se vince il “Sì”, il dopo referen-dum lo conosciamo: ci sarà l’incoro-nazione di Renzi. In caso di vittoriadel “No”? Considerato che la cadutadel Governo Renzi, se non imme-diata sarà comunque obbligata, è diun certo interesse prefigurare le con-

seguenze dell’esito del voto sul si-stema politico italiano e dei partiti. Ibenefici di cui godrà la minoranza in-terna del Pd sono fin troppo evidenti.D’Alema e Bersani potranno ridarecolore alla sinistra. Il rottamatoredovrà prendere atto del fallimentodella propria ambizione di costruireil “Partito della Nazione”. Il Pd tor-nerà ad essere quello di prima, il par-tito della Cgil e dell’Anpi. Il sistemapolitico, nel suo insieme, dovrà pren-dere atto di questo ritorno al pas-sato, per effetto di un esitoreferendario giocato in chiave di

competizione “congressuale”. Camusso, Landini, Smuraglia e al-

cune correnti della magistratura gio-cano una partita diversa. Sono loschieramento più coerente sui temidel referendum. A loro piace lo sta-tus quo, la Costituzione vigente,quella del 1948: la centralità del Par-lamento, la debolezza dei governi, laconsociazione, il potere di veto deipartiti e dei sindacati, dei poteri con-trapposti. Ma, sul resto dello scac-chiere partitico, cui prodest lavittoria del No, tra Forza Italia, Sal-vini, Meloni e il Movimento Cinque

Stelle? Fanno bene Salvini e la Me-loni a dirla chiara e tonda. A loro in-teressa la testa di Renzi e la cadutadel Governo. Silvio Berlusconi tace,palesemente in imbarazzo, dopoaver detto che Renzi in due anni digoverno ha ottenuto quello che luinon è riuscito a conquistare in ven-t’anni. E poi, è vero quello che dicebeffardamente D’Alema: per trequarti la riforma del 2016 ricalcaquella del tandem Berlusconi-Calde-roli del 2006. Ma Berlusconi ha so-prattutto chiara una cosa. Lavittoria del “No” sarebbe la vittoriadi Grillo e del Movimento 5 Stelle,che incasserebbe il risultato politica-mente più remunerativo. Poco im-porta che si tratti di un “No” adifesa della intoccabilità della Costi-tuzione più nobilmente partitocra-tica del mondo. Quello che conta èla rimozione di Renzi: l’unica “no-vità” che la nomenklatura partito-cratica è stata in grado di subire insettant’anni.

Le destre e le sinistre europeehanno ben chiaro che l’obiettivo dei“populisti” non è la destra o la sini-stra, ma il sistema politico nel suoinsieme. Quello che ostacola il cam-biamento è infatti il principio del-l’alternanza destra-sinistra, quelprincipio in base al quale l’Europa èstata governata finora, da destra op-pure da sinistra. Per questo il “No”di Beppe Grillo, ovunque, in occa-sione del referendum, come nel con-durre l’opposizione al governo, onegli enti locali, è sempre “No”, aprescindere.

Arriveremo al referendum del 4dicembre con lo sguardo al domani.Bisognerebbe guardare un po’ più inlà. Ragionevolezza vorrebbe che de-stra e sinistra, invece di continuare aragionare con le categorie del Nove-cento, guardassero fuori dai confininazionali. Francia, Germania e GranBretagna, ma anche la Spagna, af-frontano i movimenti populisti conun’altra lungimiranza.

di GUiDo GUiDi Referendum e politica

Èl’inno nazionale d’Israele: “Ha-tikvah” sta per “La speranza”.

Un inno che dà speranza, è speranza.Scritto come poesia nel 1877 dal-l’ebreo galiziano laico Naftali HerzImber. Il testo “Tikvatenu” (“Nostrasperanza”) viene pubblicato la primavolta nel 1886. È una poesia che sicompone di nove strofe intervallateda un ritornello.

L’inno la riduce, la primastrofa, e il ritornello: “Ne-fesh Yehudi homiyah / Ulfa-'atey mizrach kadimah /Ayin leTzion tzofiyah / Odlo avdah tikvatenu / Hatik-vah bat shnot alpayim /L’hiyot am chofshi bear-tzeinu / Eretz Tzion v'Yeru-shalayim / L'hiyot amchofshi beartzeinu / EretzTzion v'Yerushalayim”. Initaliano fa così: “Finché den-tro il cuore, / l’animaebraica anela / e versol’Oriente lontano, / un oc-chio guarda a Sion, / non èancora persa la nostra spe-ranza, / la speranza duevolte millenaria, / di essereun popolo libero nella no-stra terra, /la terra di Sion eGerusalemme. / di essere unpopolo libero nella nostraterra, / la terra di Sion e Ge-rusalemme”.

“Hatikvah” è la speranzadi un popolo disperso e per-seguitato, unicamente colpe-vole di essere tale; lasperanza di poter tornare ungiorno in quella terra dovehanno vissuto gli antenati.La speranza che quel po-polo, esiliato dall’impera-tore romano Tito, distruttaGerusalemme e il Tempio,

dopo un vagare di centinaia di anni,ritrovi il suo “focolare”. Il MonteSion è il simbolo di Israele. Nel 1948,quando nasce lo Stato d’Israele, “Ha-tikvah” diventa l’inno nazionale,anche se bisogna attendere, per l’atto

ufficiale, il 2004: quando la Knessetapprova una modifica alla legge fon-damentale: “Bandiera e stemma delloStato”, che così diventa: “Bandiera,stemma dello Stato ed inno nazio-nale”.

Preambolo necessario per dire cheoggi, più di altre volte, “Hatikvah”accompagnerà e scandirà il tempodella mia giornata: il voler essere,ostinato, speranza, come esortaMarco Pannella, e non solo limitarsi

a nutrirla, attenderla come unamanna che cali provvidenzialmentedal cielo.

“Hatikvah” come risposta all’at-tacco sferrato dall’Unesco che de-ruba all’ebraismo il Muro del Pianto

e vota a larga maggioranzauna risoluzione sostenuta daAlgeria, Egitto, Marocco,Oman, Qatar e Sudan, chenega l’identità ebraica di al-cuni siti di Gerusalemmecome, appunto, il Muro delPianto e il Monte del Tempio.Contro questa miserabilemozione si sono opposti soloStati Uniti, Gran Bretagna,Lituania, Olanda, Germania,Estonia.

Una vigliaccata, la mo-zione; una vigliaccata ancorapiù grande quella dell’Italia,che si è astenuta. “Gli attac-chi contro la comunitàebraica israeliana preoccu-pano molto, e la difesa diIsraele deve aumentare inmaniera proporzionale al-l’aumento delle pressioniesterne”, dichiara a “Il Fo-glio” il sottosegretario agliEsteri italiano, BenedettoDella Vedova. Quel voto diastensione, caro sottosegreta-rio Della Vedova, non è in-dice di preoccupazione, nonesprime volontà di difesa,smentisce coi fatti quello chea parole si afferma; quel votodi astensione è sinonimo dipavidità, di colpevole indiffe-renza, poco importa se do-losa o colposa. Questi i fatti,questa la situazione.

E io, oggi più di sempre, canto “Hatikvah” di Valter Vecellio

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L’orizzonte temporale dei leaderpolitici non va mai al di là del

prossimo appuntamento elettorale.Se c’è una legge ferrea della politicademocratica, è questa. È una leggeche ha avuto poche, straordinarie ec-cezioni.

Fra queste non figuranole politiche di bilancioprogrammate per il trien-nio 2017-2019, che riper-corrono le strade battutenello scorso biennio. Al-largando lo sguardo, però,quel che deve preoccuparesono le implicazioni dimedio periodo di una ulte-riore legislatura persa dallato della crescita, della fi-nanza pubblica e quindidel Paese.

La legge di stabilità ap-pare scritta con in testal’idea che l’economiapossa essere sostenuta dauna politica fiscale espan-siva in misura modesta,ma pur sempre crescente.Da questo punto di vista,il fatto che il disavanzopubblico passi dal 2,6 percento del 2015 al 2,4 percento del 2016 e al 2 percento del 2017 (al nettodelle spese di caratterenon ricorrente che lo por-terebbero, Commissioneeuropea permettendo, al2,3 per cento) è sostan-zialmente irrilevante. Benpiù importante è notareche il disavanzo struttu-rale (corretto cioè per l’an-damento del cicloeconomico) passa dallo0,7 per cento del 2015,all’1,2 per cento del 2016

e lì rimane, o quasi, nel 2017.L’argomento principe dei fautori

della crescita a debito richiamal’esperienza statunitense. Si sostieneche la configurazione della politicaeconomica di Barack Obama sa-rebbe alla radice di tassi di crescitaormai stabilmente superiori al 2 percento (pur ben lontani da quelli pre-

valenti in altri periodi della storiaUsa). È un argomento che ha un fon-damento ma in senso molto diversoda quello che si vorrebbe far credere.Alla radice della crescita americananon c’è una intonazione particolar-mente espansiva del bilancio pub-blico (il disavanzo strutturale siattesta in prossimità del 3 per cento

ed è atteso non variare significativa-mente negli anni a venire). C’è, inprimo luogo, una forza (quella tec-nologica) ed una consapevolezza: al-l’indomani di una crisi bancaria èimperativo sgombrare il campo dalleattività economiche nate nel mo-mento della formazione della bollaspeculativa e prive di qualunque ri-

ferimento ai fondamentali econo-mici. Sono circa 400 le bancheespulse dal mercato negli Usa dal2008 ad oggi. Il sistema, in altre pa-role, è stato ripulito con relativa ra-pidità e decisione e ha così potutoriprendere a funzionare.

Non è stato questo il nostro caso.L’approccio tutto difensivo alla ine-

ludibile ristrutturazionedel sistema bancario (sal-vataggi, aggregazioni di-fensive, veri e propri casidi accanimento terapeu-tico bancario) è fra i prin-cipali fattori di frenodell’economia italiana.L’incapacità di affrontareil problema per quello cheè (banche inefficienti de-stinate in parecchi casi aduscire dal mercato e, nellostesso tempo, lavoratorida tutelare, riconvertire epossibilmente ricollocare)impedisce al processo eco-nomico di riprendere afunzionare correttamente.

In questo quadro, con-centrare le poche risorsedisponibili e riversaretutta la residua credibilitàinternazionale del Paeseper ottenere margini ulte-riori di flessibilità (cioèper poter fare ulterioredebito) è miope. A con-ferma della legge ferreadella democrazia, le pocherisorse disponibili si ri-versano in nuovi capi-toli di spesa corrente(che si tratti di “mammedomani” o delle nuove as-sunzioni nel settore pub-blico). Non ha funzionatoin passato, non funzio-nerà nemmeno questavolta.

Si parla nuovamente di “VoluntaryDisclosure”, ovvero della possibi-

lità di presentare una seconda ver-sione della legge sul rientro deicapitali: denaro custodito all’estero,ma di proprietà di cittadini e resi-denti in Italia. Si discute inoltre dellapossibilità di includere tra i capitalianche il denaro contante. I capitaliverrebbero quindi denunciati alloStato italiano in cambio di un tratta-mento fiscale privilegiato, e ovvia-mente privo di qualsiasi conseguenzapenale.

La legge si inserisce in un conte-sto più complesso: quello di far qua-drare i conti della Legge di Bilancio,un compito non proprio sempliceper il Presidente del Consiglio, Mat-teo Renzi. La Voluntary Disclosurerischia però di trasformarsi in unasoluzione poco efficace per affron-tare la questione del bilancio delloStato e dei conti del Paese. Una dellepiù semplici leggi dell’economia ciricorda infatti che maggiore è la tas-sazione più alta sarà l’evasione fi-scale, con conseguenze disastroseper l’economia di un Paese. In unmondo in cui è possibile spostarenon solo capitali, ma persino im-prese con un semplice clic, risultaquindi poco efficace costruire leggicome quella del rientro dei capitalisenza che questa venga associata aduna manovra di sensibile riduzionedella pressione fiscale. Anzi, la Vo-luntary Disclosure potrebbe persinoavere un effetto contrario a quellosperato: verrebbero sì recuperati al-cuni dei capitali, ma al tempo stesso

non verrebbe ridotto l’incentivo al-l’evasione, ma quest’ultima po-trebbe addirittura aumentare. Ilcomplice si chiama “moral hazard”,un termine che descrive un compor-tamento di cui si è tanto parlato inrelazione ai salvataggi delle banche.In questi casi, il “moral hazard” ve-niva associato al fatto che ogni sal-vataggio di una banca, da parte

dello Stato, avrebbe incentivatonuovamente il comportamento frau-dolento o inefficiente dei dirigentibancari. I danni e gli errori vengonoquindi pagati dalla collettività, daterzi. Quindi da nessuno, per la per-cezione del reo. La stessa situazionepotrebbe ripresentarsi in ambito fi-scale, a seguito della Voluntary Di-sclosure. Perché l’evasore non

dovrebbe correre il rischio di eva-dere, se probabilmente potrà co-munque riportare i soldi in Italia edenunciarli, con tassazione agevo-lata, in un secondo momento?

Insomma, se al rientro dei capi-tali non si associa una sensibile ri-duzione della tassazione su redditi eimprese, ogni legge risulta inutile,anzi, forse addirittura dannosa. La

teoria liberale dell’economia ha dasempre una ricetta, collaudata dagrandi politici e addetti ai lavori:meno spesa pubblica, meno tasse e,solo a quel punto, contrasto severis-simo all’evasione. Una formula cheporterebbe maggiore gettito nellecasse dello Stato e, chissà, qualchecittadino in più in Italia, e qualcunomeno in Svizzera.

4 L’OPINIONE delle Libertà Economia

di ELISa SERafINI

a cura dell’ISTITUTO BRUNO LEONI

Rientro dei capitali: inutile se non si abbassano le tasse

mercoledì 19 ottobre 2016

L’illusione di una legge di stabilità “americana”

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Matteo Renzi è volato a Washin-gton per omaggiare il suo

“amico” Barack Obama. L’Italia re-ziana ha meritato quest’invito a cenaper non essersi mai opposta ai diktatdella Casa Bianca.

Anche a costo di fare strame diuna tradizione, tutta italiana, di dia-logo con l’ex potenza sovietica e conquei Paesi che un tempo erano defi-niti “non allineati”, praticata già daitempi dei governi della cosiddettaPrima Repubblica, in piena Guerrafredda, e confermata dalla strategiaberlusconiana di avvicinamentodella Federazione Russa alla Nato.Ma da quando c’è Renzi le cose sonocambiate. Sui più scottanti dossierdello scacchiere globale il nostro

Paese ha rinunciato ad avere una po-sizione autonoma, proiettata alla sal-vaguardia degli interessi nazionali.La pessima gestione della crisiucraina con il portato delle sanzioni“suicide” comminate alla Russia staa dimostrarlo. Oggi sul tavolo vi è iltema delicatissimo del rafforzamentoa Est della Nato. La questione nonpuò essere derubricata ad affare d’in-teresse esclusivo degli Stati baltici.Nella partita degli equilibri d’areabisognerebbe dare il giusto peso alleragioni del dialogo con Mosca, che èuna protagonista di prima grandezzadell’evoluzione dello scacchiere me-diterraneo. E il Mediterraneo, per chil’avesse dimenticato, è la porta dicasa nostra.

Invece, è notizia di questi giorni,l’Italia integrerà con propri soldati

un contingente Nato che, dal 2017,si posizionerà nello Stato-frontieradella Lettonia. Inoltre, all’Italia verràassegnato, dal 2018, il comandodella “Very High Readiness JointTask Force (VJTF)”, la “punta dilancia” cioè la forza d’intervento ul-trarapido da impiegare in caso diescalation bellico. Con questa deci-sione si sta rapidamente raggiun-gendo il punto di non-ritorno nelbraccio di ferro con la FederazioneRussa. Forse, l’epilogo di un disastroannunciato. Perché, bando alle ipo-crisie, ciò che ha caratterizzato lapolitica estera di Obama è focaliz-zato sull’innalzamento costantedella tensione con Mosca nel tenta-tivo, fallito, di contenerne le mireespansionistiche.

Un tempo il nostro governo avrebbe

saputo opporre ragionidi prudenza e di buonsenso a una politicamiope, inutilmente pro-vocatoria, implementatadall’altra sponda del-l’Atlantico. Ma Renzinon ha la forza e la sta-tura sufficienti per farsentire all’estero la pro-pria voce. L’unica cosache può fare è ingan-nare gli italiani non di-cendo loro la verità.Come ha fatto la mini-stra della Difesa, Ro-berta Pinotti, in tour daqualche giorno per italk-show televisivi piùgettonati allo scopo diraccontare agli italianiche, sì, manderemo inostri militari sul con-fine russo, ma solo perfinta. In fondo, sostieneuna materna e rassicu-rante Pinotti, cosa po-trebbero mai combinare150 alpini spediti inLettonia? Detta così in-vece che a una missione

militare le nostre truppe sembrereb-bero destinate a una vacanza-pre-mio. Ma al Cremlino non la pensanoallo stesso modo. Sono furibondi conl’inquilino di Palazzo Chigi, dalquale si sentono traditi. Come darglitorto se solo fino al 2013 la Marinamilitare italiana e quella russa face-vano esercitazioni navali congiunte ecooperavano nell’ambito del pro-gramma “Ioniex”? Come sperare chein un clima arroventato ad arte ilmercato russo torni ad aprirsi al no-stro export? E perché mai i turistirussi dovrebbero desiderare di visi-tare un Paese ostile? Voi ci andreste atrascorrere le vacanze in un Paeseche vi punta le armi contro? Il go-verno italiano sostiene che, essendopartner di un’alleanza, bisogna ri-spettare gli impegni, che ci piaccia ono. Ma i trattati non sono eterni,possono essere modificati quandol’evolversi del quadro internazionalelo richiede.

Di questo avrebbe dovuto parlareRenzi con il suo “amico” Obama. In-vece, si è discusso di braciole e agno-lotti. E di quanto sia bella, buona egiusta la sua riforma costituzionale.Capirai che summit!

5l’oPiNioNE delle libertàmercoledì 19 ottobre 2016 Esteri

Renzi alla corte di Obamadi Cristofaro sola

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Ha già incarnato due supereroicanonici, Daredevil e Batman

(ruolo nel quale lo vedremo anche in“Justice League” e il film sull’UomoPipistrello di cui sarà anche regista,con inizio riprese probabile in pri-mavera).

Ora Ben Affleck dà il meglio di sénei panni di un supereroe moltoumano e autistico, genio dei numeri,colto, maestro d’armi e nelle tecnichedi combattimento, in “The Accoun-tant”, il thriller di Gavin O’Connorche dopo aver debuttato al primoposto del box office Usa (oltre 27 mi-lioni di spettatori nel primo week-end) è in anteprima in Italia allaFesta del Cinema di Roma, e in saladal 27 ottobre con Warner Bros. Nelcast anche, fra gli altri, Anna Ken-drick, J.K Simmons, John Lithgow eJeffrey Tambor. Affleck protagonistial festival visto che il fratello Casey èstato applaudito per la sua interpre-tazione in “Manchester by the sea”per il quale si parla già di candida-tura all’Oscar.

“La nostra speranza è che chi hala patologia del protagonista (auti-

smo ad alto funzionamento, cioè concapacità e un quoziente intellettivo aldi sopra della media) ami il film e ilfatto che sia una storia di supereroi sudi loro”, ha detto Ben Affleck allastampa americana. Il protagonista, checonosciamo con il nome di ChristianWolff, ha scelto, almeno all’apparenza,una carriera decisamente discutibile:fare il contabile per le organizzazionicriminali più pericolose del mondo, daicartelli dello spaccio, alla camorra, e

altre mafie assortite. Sulle sue tracce c’èRaymond King (Simmons), il direttoredel Dipartimento crimini finanziari delTesoro. L’uomo, vicino alla pensione,chiede alla brillante analista MarybethMedina (Cynthia Addai-Robinson) discovare il misterioso contabile, checambia continuamente identità pren-dendo i nomi di grandi matematici. Aproteggere Christian c’è la routine(orari scanditi, rituali granitici) legataalla sua patologia, e per scappare, la

sua spettacolare rou-lotte, dove nascondesoldi, beni preziosi ealtri “pagamenti” deisuoi clienti, come unRenoir e un Pollock.L’unica persona di cuiChristian si fida è una mi-steriosa voce femminile altelefono, che lo assiste intutto e gli consiglia gli in-carichi da accettare.

La trama fin troppo complessaviene aiutata dal ritmo e dalle ottimeprove degli interpreti. Ben Affleck(che ha in postproduzione anche unnuovo film da regista e protagonista,“Live by night”) ha lavorato moltocon Gavin O’Connor, “per rendere ilmio personaggio credibile. L’ultimacosa che volevamo era farne unaversione da cartone animato, unacaricatura, o un ritratto semplici-stico. Abbiamo incontrato personecon patologie molto complesse:hanno dei limiti ma anche un’am-plissima gamma di doni speciali.Questo è sicuramente il personaggiopiù interessante che abbia mai inter-pretato”.

(*) per gentile concessione dell’Ansa

7l’oPinione delle libertàmercoledì 19 ottobre 2016 Cultura

“The Accountant”: Ben Affleck supereroe autistico di Francesca Pierleoni (*)

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