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Ogni trincea aveva storie proprie. Nel 1916 il Comando supremo ordinò un salto qualitativo. Si trattava di veri e propri “fasci” di linee e di trincee, distanziate tra loro dai 50 ai 100 metri. Tra le linee di questi fasci era stata ormai realizzata una fitta rete di camminamenti, traverse e di passaggi. Il Comando supremo ordinava il superamento definitivo dei sistemi difensivi lineari per utilizzare il sistema detto “a zone”, sviluppato non solo in linee ma anche su frequenti interruzioni con traverse. Con questo modo, più ordinato, le linee vengono classificate in “prima”, “di rinforzo” o di rincalzo, e “di riserva”. La storia delle trincee non procede solo dall’alto, ma soprattutto dal basso. Quelle che all’inizio nei primi mesi erano solo fossati nemmeno tanto profondi, erano diventate adesso trincee per uomini in piedi, molto più sicure e protettive. Un altro elemento aveva modificato radicalmente le trincee, il “sacchetto a terra”. In particolare sul fronte del Carso la sua comparsa fu ben accolta dai soldati: le pietre faticosamente allineate dai soldati, lasciavano spazio all’accumulo industriale dei sacchetti a terra. La vita dei soldati però era complicata dalle pendici dei rilievi aggettanti sull’Isonzo, li non era possibile costruire quel tipo di trincee. Qui non c’erano fascine o tavole che tenevano, ma solo l’esperienza dei soldati. Rispetto alle primissime trincee, le nuove avevano subito molte modifiche. Rifugi di uomini, ma sempre più come posizioni solidamente armate a partire dalle postazioni di mitragliatrici. A seconda del terreno, del periodo, dei materiali, dell’armamento, della linea e della funzione tattica, le trincee erano state diverse. Diverse, quindi, non solo fra trincee o tratti di fronte “sicuri”, ma molto diverse da quelle austriache e soprattutto da quelle del fronte occidentale. Le trincee così perfezionate non erano assolutamente “democratiche”, ma piuttosto efficaci. Successivamente si iniziò ad usare il calcestruzzo, considerato strumento fondamentale per il miglioramento delle condizioni di vita dei soldati. In questa seconda fase della storia delle trincee italiane, fu precluso qualche miglioramento delle condizioni di vita. A introdurre un forte cambiamento nella vita in trincea del soldato italiano fu la dotazione di armamenti in cui disponeva. Appunto nel corso del 1917, tale dotazione conobbe un netto incremento. Durante la Grande Guerra, l’oggetto trincea fu inserito in un complesso sistema che andava al di là del fossato in cui gli uomini si riparavano, si difendevamo e si preparavano a sferrare un attacco. Per capire le trincee, dunque, sarebbe necessario esaminare tutto il sistema ad esse collegato. La trincea, da secoli, conobbe un nuovo uso nelle guerre industriali dell’Ottocento e Novecento: si ricordano la guerra civile statunitense, quella russo-giapponese e alcuni conflitti coloniali. Rispetto a tutti, però, fu il primo conflitto mondiale a rappresentare per antonomasia la Guerra di trincea ”. La Grande Guerra fu un’esperienza ratificante per i paesi e per gli eserciti che vi parteciparono, ma non annullò le differenze relativamente alle tattiche impiegate. Dal punto di vista militare, una prima distinzione riguarda il fronte occidentale, dove ci fu la guerra di posizione combattuta nelle trincee rispetto a quella orientale, dove la guerra era ancora di movimento. La trasformazione della Guerra di movimento in una guerra di trincea rappresentò un trauma e una sfida per tutti gli eserciti europei. Le trincee servono per rafforzare la difesa e permettere a un numero di soldati di resistere ad attacchi consistenti. Nell’adozione delle trincee ci furono differenze spaziali e temporali: nei primi momenti sia i tedeschi che gli anglo-francesi non incoraggiarono la costruzione di trincee perché conforme allo spirito della guerra offensiva; poi le trincee iniziarono a prendere piede e i tedeschi furono i primi ad usufruirne, erano molto profonde ed attrezzate. Successivamente, i francesi ne fecero uso, ma quelle tedesche erano più spesse, con ricoveri in calcestruzzo che permettevano, nella prima linea, solo poche truppe cariche di mitragliatrici. Dalla Trincea alle Trincee Soldati italiani in trincea La storia delle trincee è un tema che in Italia è molto trascurato. La pubblicazione di qualche testo è dovuto, principalmente a tre ragioni: gli studi sull’esperienza di guerra dei soldati, necessità tecniche legate alla ristrutturazione dei resti e possibilità di visitatori e turisti di avere strumenti di informazione sulle trincee costruite. L’esercito italiano era poco preparato e, sapendo ciò che avveniva sul fronte occidentale, si scavavano trincee improvvisate nonostante si ebbe il fallimento dello “sbalzo offensivo” dove erano presenti combattimenti anglo – franco-tedeschi. Perfezionamento Il crollo della seconda armata e l’arretramento della terza, dall’Isonzo al Tagliamento al Piave alternarono le condizioni della guerra italiana: da offensiva a difensiva. La presenza del Piave tranquillizzava e, laddove il contatto era più immediato, giocarono i due anni e mezzo di esperienza bellica e la posizione questa volta favorevole agli italiani, con gli austriaci cacciati nelle trincee in contropendenza. Insomma è evidente che la disfatta di Caporetto funzionò da spartiacque e mise i soldati italiani in maggior sicurezza dalle nuove trincee. Per quanto Cadorna mai avesse prescritto che tutta la truppa dovesse stare in prima linea, invece Diaz e Badoglio insisterono in quella circolare che sulla linea degli avamposti dovesse rimanere solo un velo di uomini e che il baricentro del grosso delle truppe si postasse L’esercito italiano aveva approntato una serie di trincee nella guerra italo-libica: Tripoli era stata circondata e difesa da trincee ma, a differenza che scavare la sabbia, lì in montagna si scavava roccia e terra. Infatti la montagna e il Carso, insieme al ritardo detto prima, sono le più importanti particolarità della storia italiana delle trincee della Grande Guerra. Vivere la trincea Nel 1915-18 la storia delle trincee ebbe inizio. Non è possibile fare la storia delle trincee senza le specificità locali e la soggettività d e i combattenti che vi vissero o vi morirono. Alcuni combattenti erano, o sarebbero diventati studiosi di storia: nelle loro testimonianze cosa fossero o come si siano trasformate nel tempo le trincee, risultava con evidenza. I soldati, in trincea, si proteggono dai gas. Sotto mitragliatrici in azione.

Dalla Trincea alle Trincee Perfezionamento · Dalla Trincea alle Trincee Soldati italiani in trincea La storia delle trincee è un tema che in Italia è molto trascurato. La pubblicazione

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Ogni trincea aveva storie proprie. Nel 1916 il Comando supremo ordinò un salto qualitativo. Si trattava di veri e propri “fasci” di linee e di trincee, distanziate tra loro dai 50 ai 100 metri. Tra le linee di questi fasci era stata ormai realizzata una fi tta rete di camminamenti, traverse e di passaggi. Il Comando supremo ordinava il superamento defi nitivo dei sistemi difensivi lineari per utilizzare il sistema detto “a zone”, sviluppato non solo in linee ma anche su frequenti interruzioni con traverse. Con questo modo, più ordinato, le linee vengono classifi cate in “prima”, “di rinforzo” o di rincalzo, e “di riserva”. La storia delle trincee non procede solo dall’alto, ma soprattutto dal basso. Quelle che all’inizio nei primi mesi erano solo fossati nemmeno tanto profondi, erano diventate adesso trincee per uomini in piedi, molto più sicure e protettive. Un altro elemento aveva modifi cato radicalmente le trincee, il “sacchetto a terra”. In particolare sul fronte del Carso la sua comparsa fu ben accolta dai soldati: le pietre faticosamente allineate dai soldati, lasciavano spazio all’accumulo industriale dei sacchetti a terra. La vita dei soldati però era complicata dalle pendici dei rilievi aggettanti sull’Isonzo, li non era possibile costruire quel tipo di trincee. Qui non c’erano fascine o tavole che tenevano, ma solo l’esperienza dei soldati. Rispetto alle primissime trincee, le nuove avevano subito molte modifi che. Rifugi di uomini, ma sempre più come posizioni solidamente armate a partire dalle postazioni di mitragliatrici. A seconda del terreno, del periodo, dei materiali, dell’armamento, della linea e della funzione tattica, le trincee erano statediverse. Diverse, quindi, non solo fra trincee o tratti di fronte “sicuri”, ma molto diverse da quelle austriache e soprattutto da quelle del fronte occidentale. Le trincee così perfezionate non erano assolutamente “democratiche”, ma piuttosto effi caci. Successivamente si iniziò ad usare il calcestruzzo, considerato strumento fondamentale per il miglioramento delle condizioni di vita dei soldati. In questa seconda fase della storia delle trincee italiane, fu precluso qualche miglioramento delle condizioni di vita. A introdurre un forte cambiamento nella vita in trincea del soldato italiano fu la dotazione di armamenti in cui disponeva. Appunto nel corso del 1917, tale dotazione conobbe un netto incremento.

Durante la Grande Guerra, l’oggetto trincea fu inserito in un complesso sistema che andava al di là del fossato in cui gli uomini si riparavano, si difendevamo e si preparavano a sferrare un attacco. Per capire le trincee, dunque, sarebbe necessario esaminare tutto il sistema ad esse collegato. La trincea, da secoli, conobbe un nuovo uso nelle guerre industriali dell’Ottocento e Novecento: si ricordano la guerra civile statunitense, quella russo-giapponese e alcuni confl itti coloniali. Rispetto a tutti, però, fu il primo confl itto mondiale a rappresentare per antonomasia la “Guerra di trincea”. La Grande Guerra fu un’esperienza ratifi cante per i paesi e per gli eserciti che vi parteciparono, ma non annullò le diff erenze relativamente alle tattiche impiegate. Dal punto di vista militare, una prima distinzione riguarda il fronte occidentale, dove ci fu la guerra di posizione combattuta nelle trincee rispetto a quella orientale, dove la guerra era ancora di movimento. La trasformazione della Guerra di movimento in una guerra di trincea rappresentò un trauma e una sfi da per tutti gli eserciti europei.

Le trincee servono per raff orzare la difesa e permettere a un numero di soldati di resistere ad attacchi consistenti. Nell’adozione delle trincee ci furono diff erenze spaziali e temporali: nei primi momenti sia i tedeschi che gli anglo-francesi non incoraggiarono la costruzione di trincee perché conforme allo spirito della guerra off ensiva; poi le trincee iniziarono a prendere piede e i tedeschi furono i primi ad usufruirne, erano molto profonde ed attrezzate. Successivamente, i francesi ne fecero uso, ma quelle tedesche erano più spesse, con ricoveri in calcestruzzo che permettevano, nella prima linea, solo poche truppe cariche di mitragliatrici.

Dalla Trincea alle Trincee

Soldati italiani in trincea

La storia delle trincee è un tema che in Italia è molto trascurato. La pubblicazione di qualche testo è dovuto, principalmente a tre ragioni: gli studi sull’esperienza di guerra dei soldati, necessità tecniche legate alla ristrutturazione dei resti e possibilità di visitatori e turisti di avere strumenti di informazione sulle trincee costruite.

L’esercito italiano era poco preparato e, sapendo ciò che avveniva sul fronte occidentale, si scavavano trincee improvvisate nonostante si ebbe il fallimento dello “sbalzo off ensivo” dove

erano presenti combattimenti anglo – franco-tedeschi.

PerfezionamentoIl crollo della

seconda armata e l’arretramento della terza,

dall’Isonzo al Tagliamento al

Piave alternarono le condizioni della guerra italiana: da off ensiva a difensiva. La presenza del Piave tranquillizzava e, laddove il contatto era più immediato, giocarono i due anni e mezzo di esperienza bellica e la posizione questa volta favorevole agli italiani, con gli austriaci cacciati nelle trincee in contropendenza. Insomma è evidente che la disfatta di Caporetto funzionò da spartiacque e mise i soldati italiani in maggior sicurezza dalle nuove trincee. Per quanto Cadorna mai avesse prescritto che tutta la truppadovesse stare in prima linea, invece Diaz e Badoglio insisterono in quella circolare che sulla linea degli avamposti dovesse rimanere solo un velo di uomini e che il

baricentro del grosso delle truppe si postasse

L’esercito italiano aveva

approntato una serie di trincee nella guerra italo-libica:

Tripoli era stata circondata e difesa da trincee ma, a diff erenza che scavare la sabbia, lì in montagna si scavava roccia e terra. Infatti la

montagna e il Carso, insieme al ritardo detto prima, sono le più

importanti particolarità della storia italiana delle trincee

della Grande Guerra.

Vivere la trinceaNel 1915-18 la storia

delle trincee ebbe inizio. Non è possibile fare la storia delle trincee senza le specifi cità locali e la

soggettività d e i combattenti che vi vissero o vi morirono. A l c u n i combattenti erano, o s arebb ero d i v e n t a t i studiosi di storia: nelle

loro testimonianze cosa fossero o come si siano trasformate nel

tempo le trincee, risultava con evidenza.

trincee senza le specifi cità locali e la

I soldati, in trincea, si proteggono dai gas. Sotto mitragliatrici in azione.

Singolare e Plurale: cenni Letterari.

A Milano nel 1917, a fi rma di Francesco Sapori, compariva presso la casa editrice Treres un romanzo dal titolo: ”Trincea”. Per quanto campeggiasse nel titolo, la trincea era solo uno e non il principale degli ambienti in cui la storia era collocata. E’ singolare che un autore fra i tanti, durante la guerra, ricorresse a descrizioni così inquietanti e specifi che. Senza dubbio quello di Sapori non era, però, realismo integrale: già dal titolo, con quel “La Trincea” al singolare, il suo scritto era fuorviante. Esisteva davvero un’unica Trincea? Dunque, ci volle la fi ne della guerraperché quel singolare si trasformasse in un plurale. A livello letterario, insieme a tutti gli scrittori che Mario Isnenghi, venti anni fa, ha defi nito “plotonisti”, toccò alle Confi denze di un fante come Carlo Salsa spiegare che non si doveva parlare di “trincea” ma, appunto, di “trincee”.

Francesco Sapori

Massa Lombarda (1890-1964). Partecipò alla Prima Guerra Mondiale. Durante il ventennio fascista intensa attività di propaganda. Direttore di diverse gallerie in Roma e prof. di storia

dell’arte presso l’università di Roma.

Giuseppe Pennella (Rionero inVulture 8 Agosto 1864 – Firenze

25 Settembre 1925 ), generalelucano comandante della brigataGranatieri di Sardegna, insignitodi un encomio solenne da parte di Cadorna. Dopo aver guidatol’off ensiva in Macedonia, organizzò una difensiva chepermise di contenere l’avanzatadell’Austria su gran parte dellalinea del fronte. Le sue grandi doti strategiche contribuirono alla positiva e felice conclusione del confl itto.

La città natale di Rionero gli hadedicato un pregevole monumento nel Novembre del 1933, voluto da un apposito comitato presieduto da Benito Mussolini e composto da Armando Diaz, Luigi Cadorna ealtre autorità. Il monumento è posto al centro della villa comunale vicino al piazzale dellastazione ferroviaria.

Da diverse fonti si evidenzia anche la soggettività dei combattenti. Elementi essenziali della traumatica miscela di modernità e di preistoria, di

collettività e individualismo di vita e di morte

dell’esperienza di guerra furono ovviamente comuni a tutte le trincee della Grande Guerra.

Ben si inserisce in tale contesto il carteggio del Generale Pennella, che inviò tantissime lettere durante la sua carriera militare alla famiglia. Oggi, questa memoria epistolare è un prezioso tassello per la ricostruzione della storia del primo Confl itto Mondiale. La moglie Elisa donò tale corrispondenza familiare nel 1940 all’ Archivio di Stato di Potenza. Si compone di 403 lettere scritte dal 25 Maggio 1915 al 25 Maggio 1923. Le lettere sono interessanti perché variano nel contenuto a seconda se destinate alle fi glie o alla moglie. Quelle indirizzate alla moglie contengono dati relativi a strategie belliche, a momenti di vita quotidiana al fronte (Cit. 14/12/1916), nonché il timore del generale per la vita nelle trincee (Cit. 23/06/1915); in un’altra si legge la gioia che ha provato nel ricevere la visita del Generale Cadorna, ancora, dopo Caporetto, in una missiva si legge il suo lato umano, in relazione all’amore per la moglie

che gli ha inviato dei fi ori (Cit. 25/11/1917). Relativamente alle epistole indirizzate alle fi glie, la scrittura diventa davvero intima ed è fi nalizzata a rassicurarle sul suo stato di salute.

“Nei brevi ritagli di tempo incui sto nel mio ricovero o peressere più esatti nel mio cubicolo di legno sotto terra, dove l’acqua fredda da tutte le parti, e sul quale la pioggia incessante, da 24 ore, fa rotolare sassi e terra confragore di cannonate.” Gen. Pennella.

Esempi di lettere inviate allamoglie: nella prima parla dellavisita ricevuta da parte diCadorna, nella seconda dell’operazione subita per estrarrepiccole schegge di granata.

Il Generale Pennella

Prigionieri degli italiani

Durante i primi mesi del confl itto l’Italia non era pronta per accogliere all’interno del proprio territorio i quasi 600000 prigionieri. Di fatti, inizialmente vennero rinchiusi in scuole, caserme o conventi e quando lo spazio a disposizione iniziò ad esaurirsi cominciarono i lavori per la

costruzione di veri e propri campi di prigionia in modo permetterne una permanenza dignitosa. Dignitosa poiché i prigionieri in Italia furono nella quasi totalità trattati in maniera rispettosa e alcune volte anche fi n troppo indulgente, facendo così subire all`esercito italiano numerose critiche.Per la propaganda patriottica e a testimonianza del valore dei combattenti italiani, spesso sui giornali venivano riprodotte immagini o fotografi e della cattura

da parte del Regio esercito di prigionieri nemici.

Prigionieri in Basilicata

Anche in Basilicata, Provincia lontana dal fronte di combattimento, giunsero prigionieri nemici: gli austriaci furono rinchiusi nelle galere,

mentre i prigionieri delle altre nazionalità furono impiegati in svariati lavori agricoli, forestali e di opere pubbliche. I prigionieri impiegati in questi lavori erano accolti o in strutture delle ditte richiedenti o in edifi ci messi a disposizione da enti o privati all’interno delle cittadine.

Italiani Prigionieri • 100000 Prigionieri italiani periti nel primo confl itto mondiale; • 600000 Morti tra i soldati Italiani; • Soldati Lucani caduti e dispersi : 7489. Il numero di prigionieri italiani deceduti durante il primo confl itto mondiale è superiore a 100000 unità, un sesto delle vittime italiane in questa guerra. Questo dato fa comprendere come i Prigionieri italiani vivessero in condizioni degradate e che spesso portavano alla morte. Per avere indicazioni precise sul trattamento subito dagli italiani prigionieri di guerra bisogna aspettare il 20 ottobre 1916, con il ritrovamento di alcuni documenti austriaci che descrivevano gli atteggiamenti da disporre.

L’alimentazione portava a una grave malnutrizione e alcuni sopravvissero solo grazie al lavoro della Croce Rossa che distribuiva pacchi di cibo e viveri vari. A causa di queste condizioni di stress a cui erano sottoposti numerosi prigionieri tentarono di evadere. I soldati per fuggire da una condizione di vita pessima e gli uffi ciali per semplice ideale patriottico. Bisogna notare che nonostante alcuni prigionieri non tentassero la fuga, erano ugualmente compagni o complici di coloro che provavano a fuggire. Tuttavia la maggior parte dei tentativi di evasione fallirono.Nei mesi fi nali del confl itto il sistema di prigionia austriaco collassò e i prigionieri italiani si riversarono sulle coste italiane dall’Albania oppure si spinsero per ritornare nella terra natia sul fronte dove spesso persero la vita.

S i è molto parlato

di prima Guerra mondiale e di tutti i caduti

ad essa associati, ma ci si è mai soff ermati sul problema dei prigionieri, più nello specifi co dei prigionieri italiani? Ebbene sì, molti sono stati gli storiografi ad aver condotto ricerche in merito, tra cui Giovanna Procacci la prima ad aver pubblicato documenti inerenti tale problematica. Grazie a queste ricerche si è giunti a defi nire che più di 100000 prigionieri italiani perirono nel confl itto e che quest’ultimi rappresentavano un sesto dei morti dell’intero confl itto stesso. La Procacci, inoltre, si è soff ermata molto nel raccontare i problemi che questi prigionieri rappresentavano per gli Stati, infatti nessuno allo scoppiare della Guerra si era posto il problema di dove accogliere un così gran numero di prigionieri, il motivo di ciò risiedeva nel fatto che la guerra doveva essere una guerra lampo, quindi non avrebbe dovuto produrre tanti prigionieri, ma così non fu perché, come sappiamo, la prima guerra mondiale si trasformò in un’estenuante guerra di trincea la quale fece sì che l’affl usso dei prigionieri fosse caratterizzato da grandi ondate successive alle off ensive vittoriose dei diversi contendenti. Si può ,inoltre, notare una diff erenza tra il trattamento degli uffi ciali e il trattamento

dedicato ai soldati: i primi potevano godere

“ N i e n t e farina, niente grasso,

niente pane. Dunque si guarda si vedono facce aff amate

e macilente…” “Ieri però il sergente boemo mi disse che sarebbe incominciata la distribuzione del caff è e latte […] mi sono visto consegnare circa un Kg di grasso e circa 5 di farina […]” Cit. Alessandro Tortato, La prigionia

di guerra in Italia 1915-1919

I prigionieri boemi,

slovacchi, polacchi e rumeni si unirono all’esercito

italiano in modo da fermare un nemico comune: l’Austria.

Tuttavia, bisogna notare come in Italia ci fossero trattamenti ben diff erenti in base alla nazionalità dei prigionieri: gli austriaci erano infatti trattati in modo molto peggiore rispetto ai serbi o ai croati. In soli tre episodi l’esercito italiano fu considerato inadeguato, durante queste tragedie ci fu una perdita umana di oltre 15000 uomini. I prigionieri morti nelle mani degli italiani furono circa 40000 uomini. Dal 1919 furono

rimpatriati 95000 austriaci, 79000 ungheresi e 40800

iugoslavi.

N e l “Giornale di

Basilicata” del 1917 fu riportato che i prigionieri

rinchiusi nella caserma di Potenza, precisamente la

caserma di San Luca, furono prevalentemente austriaci e

ricevettero assistenza sia religiosa che umana in

generale.

Passando davanti al monumento dei caduti della 1° guerra mondiale ci siamo spesso ritrovati a rileggere i nomi che vi sono riportati. Questi formano un lungo elenco dove spesso i cognomi si ripetono. Chi erano? Avranno compreso fi no in fondo perché sono stati mandati a morire lontano dai loro paesi? Dietro ad ogni nome c’è una storia, una piccola storia meravigliosa fatta di gesti quotidiani, di manie, di sorrisi, che si apre e si chiude nel volgere di alcuni secondi, il tempo per scandire un cognome e un nome. Per cogliere queste vite frantumate fra le pietre del Carso o su una montagna dolomitica, occorre conoscere ciò che è stato. La storia uffi ciale ci fornisce numeri, dati, tecnicismi di battaglia, strategie politiche e gesta documentate di comandanti e regnanti. Informazioni utilissime, forse però ,poco accattivanti per cominciare a conoscere la storia, a sapere ciò che è stato. Le lettere dal fonte del farmacista Tortorelli Nicola, del maestro Davia Rocco, dei contadini Pirrone Francesco Paolo e Lerose Michele sono uno straordinario strumento per entrare nel vivo di quegli anni. La storia di questi soldati è un po’ la storia che si cela dietro ai nomi incisi sui nostri monumenti, una storia fatta di rassegnazioni, tenacia, fede, desiderio di tornare alla vita di tutti i giorni, incomprensione per una guerra di quella portata, incomprensione verso la guerra in generale. La grande guerra fu, innanzitutto, un fenomeno moderno, una guerra di massa nella quale non furono coinvolti solamente i militari ma anche, per la prima volta, i civili. Il confl itto fu un elemento di livellamento sociale, in trincea il contadino e l’imprenditore si ritrovavano a vivere le stesse tragiche vicende, ad indossare le stesse uniformi, a lottare par la stessa bandiera. Dunque, si raff orzò il fenomeno di massifi cazione della società e costituì un grandissimo fattore di integrazione della massa nello Stato: l’esercito, il fronte, gli ideali della Patria minacciata, contribuirono a far percepire la nazione a milioni di uomini che prima ne erano estranei. L’abbattimento delle barriere sociali fu molto evidente in Italia, una giovane patria ancora segnata dalle questioni irrisolte del Risorgimento, la mancata integrazione , specialmente nel sud Italia, dei contadini nello stato che aveva causato diversi movimenti di protesta: il brigantaggio, i Fasci siciliani e le lotte bracciantili di inizio secolo. Con la guerra le classi subalterne italiane scoprirono la Patria ossia una comunità più grande di quella del piccolo mondo paesano o del gruppo sociale di appartenenza, fatta di un destino e una lingua comune. Si può parlare della prima circostanza in cui ebbe inizio l’eff ettiva formazione del popolo italiano. Per la prima volta, infatti, gente appartenente ad ogni ceto sociale, proveniente da ogni regione, poté vivere e confrontarsi con gente mai vista conosciuta e combattere per un unico ideale.

I comuni che ospitarono i prigionieri in Basilicata furono: Anzi, Banzi, Barile, Bernalda, Chiaromonte, Colobraro, Forenza, Genzano di Lucania, Grassano, Laurenzana, Matera, Melfi , Muro Lucano,

Stigliano, Venosa. Ma tra tutte le cittadine Lucane che ospitarono i prigionieri spicca Tricarico. Nel convento di Santa Chiara del paese fu ospitato un numero di 160 Prigionieri, ben accolti dalla popolazione. Tutti i prigionieri attivi sul

territorio furono impiegati prevalentemente in alcune imprese boschive attive fra Gallipoli Cognato e il bosco di Fonti, in attività agricole in vari latifondi dell’area attorno Tricarico e nella costruzione di strade fra Garaguso e Calciano, in una zona infestata dalla malaria. Si ricordi l’impresa boschiva Santoro che grazie alle sue richieste permise ai prigionieri di avere un’occupazione; senza dimenticare la ditta Scarcia.

16 dicembre 1916, da

un luogo imprecisato del fronte il contadino Michele

Lerose scrive alla mamma Imperia:” Cara mamma tu non puoi immaginare a che punto ci troviamo si lavora da mane a sera senza avere un minuto di riposo ed io ti posso scrivere quando sono in trincea dopo aver fi nito le due ore di tribolazione della guardia…..Qui e sempre freddo e il pane e tanto gelato che il coltello non aff onda…. Ho paura che invece di morire per una pallottola morirò mangiato dai topi..” Ed ore di tribolazione Michele ne ha trascorse tantissime ma anche di soff erenza, intensa paura e freddo .E’ molto giovane ,appena ventenne, quando viene chiamato alle armi per la grande guerra arruolato nel trentatreesimo reggimento fanteria. La guerra gli è piovuta addosso, è stato catapultato al fronte da un piccolo paese della Basilicata, Grassano. Ma cosa ne sa della guerra questo ragazzo? Poco, molto poco la può solo

immaginare, a modo suo , come milioni di altri

italiani.

… E CHE FACCIA VENIRE PRESTO UNA BELLA PACE…

Momumento ai caduti Grassano

gente mai vista conosciuta e combattere per un unico ideale.

L’uniforme grigioverde entrò uffi cialmente in uso con la circolare n.458 del 4 Dicembre 1908 per tutte le Armi ad eccezione della Cavalleria che inizierà ad indossarla soltanto dall’anno successivo.

Classe V A IIS Nitti – Potenza, prof.ssa. Giulia Pietrafesa