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Dall’illuminismo all’età neoclassica Cap. I presupposti allo sviluppo dell’illuminismo Benché anche in precedenza si dibattesse sul valore dell’educazione è solo dagli inizi del XVIII sec. Che si prende coscienza dell’importanza vitale dell’insegnamento. La novità è che per educazione non si intende più l’apprendimento di una serie di norme per lo più a carattere sociale volte alla formazione della future classi dirigenti così da confermare le gerarchie sociali, ma piuttosto l’intervento diretto su quella che Locke definisce tabula rasa, lo spirito del fanciullo sul quale si vanno ad installare veri e propri bagagli di conoscenze. Si negano perciò predestinazioni e conoscenze innate a favore dell’affermazione delle potenzialità dell’uomo. L’ Inghilterra empirista di Locke è la culla dell’idea di una vita umana che si costruisce poco a poco, utilizzando circostanze favorevoli e non, secondo la libertà di ragione e grazie alla ragione. Nel XVII secolo assistiamo infatti al succedersi di due rivoluzioni che porteranno alla nascita nel 1688 alla monarchia parlamentare. Contemporaneamente ecco che si delinea il predominio del liberismo politico ed economico che sarà di esempio alle successive teorizzazioni economiche, ma anche ai governi europei. Decadono le limitazioni economiche del regime feudale e l’ ascendente classe borghese porta ad un rinnovamento economico e politico. Già nella seconda metà del seicento la triade di valori: “utilitarismo, individualismo, sperimentalismo” informa e ispira la scolastica inglese. Ecco dunque che nell’ottica di questo nuovo interesse per l’educazione si fanno strada due tendenze, la prima di stampo cosmopolita suggerisce allo stato di promuovere tramite l’educazione il senso d’appartenenza ad una “ grande famiglia umana”, la seconda tendenza pone invece l’accento sulle consapevolezza politica e civile dei futuri cittadini. François Fénelon invita Luigi XIV ad occuparsi sempre di più dell’ambito educativo, forse anche nell’esercizio dell’indiscusso potere centrale allora vigente. È sotto il diretto controllo dello stato anche la produzione artistica e manifatturiera, e quindi le accademie e le scuole d’arte. Con la creazione della “Manifattura reale” Luigi XIV crea dunque uno stile universalmente

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Cap. I presupposti allo sviluppo dell’illuminismoBenché anche in precedenza si dibattesse sul valore dell’educazione è solo dagli inizi del XVIII sec. Che si prende coscienza dell’importanza vitale dell’insegnamento. La novità è che per educazione non si intende più l’apprendimento di una serie di norme per lo più a carattere sociale volte alla formazione della future classi dirigenti così da confermare le gerarchie sociali, ma piuttosto l’intervento diretto su quella che Locke definisce tabula rasa, lo spirito del fanciullo sul quale si vanno ad installare veri e propri bagagli di conoscenze. Si negano perciò predestinazioni e conoscenze innate a favore dell’affermazione delle potenzialità dell’uomo. L’ Inghilterra empirista di Locke è la culla dell’idea di una vita umana che si costruisce poco a poco, utilizzando circostanze favorevoli e non, secondo la libertà di ragione e grazie alla ragione. Nel XVII secolo assistiamo infatti al succedersi di due rivoluzioni che porteranno alla nascita nel 1688 alla monarchia parlamentare. Contemporaneamente ecco che si delinea il predominio del liberismo politico ed economico che sarà di esempio alle successive teorizzazioni economiche, ma anche ai governi europei. Decadono le limitazioni economiche del regime feudale e l’ ascendente classe borghese porta ad un rinnovamento economico e politico. Già nella seconda metà del seicento la triade di valori: “utilitarismo, individualismo, sperimentalismo” informa e ispira la scolastica inglese. Ecco dunque che nell’ottica di questo nuovo interesse per l’educazione si fanno strada due tendenze, la prima di stampo cosmopolita suggerisce allo stato di promuovere tramite l’educazione il senso d’appartenenza ad una “ grande famiglia umana”, la seconda tendenza pone invece l’accento sulle consapevolezza politica e civile dei futuri cittadini. François Fénelon invita Luigi XIV ad occuparsi sempre di più dell’ambito educativo, forse anche nell’esercizio dell’indiscusso potere centrale allora vigente. È sotto il diretto controllo dello stato anche la produzione artistica e manifatturiera, e quindi le accademie e le scuole d’arte. Con la creazione della “Manifattura reale” Luigi XIV crea dunque uno stile universalmente applicabile, immediatamente riconoscibile e riconducibile alla monolitica immagine che il re e il suo ministro Colbert volevano dare della Francia. In tale disegno rientra la fondazione dell’Accademia Reale di pittura e scultura di Parigi, fondata nel 1684. In definitiva all’educazione viene riconosciuta un’importanza capitale, sia in termini culturali, che in termini politici. Si parla inoltre di un educazione laica, basata sull’insegnamento delle scienze al fine di arrivare a una conoscenza sperimentale del mondo. In ossequio a questa linea di pensiero si spiega dunque la soppressione della bolla papale del 1773 della Compagnia di Gesù, che per secoli aveva gestito tramite i suoi collegi, la più importante struttura didattica operante in Europa.

Le accademieSi moltiplicano dunque i centri culturali (scientifici e letterari) laici sempre più orientati verso un ordinamento pubblico e non privato. Non manca uno sviluppo in tal senso anche nelle aree artistiche concretizzatosi nella ristrutturazione delle accademie. Sulla scia degli empiristi inglesi, identificando gusto e senso morale, l’apprendimento del “bello” è qualcosa di irrinunciabile nel processo educativo. In un saggio del 1778 sull’arte in Danimarca, in cui troviamo l’Accademia fondata da Federico V, futuro grande centro della cultura neoclassica europea, abbiamo confermato il ruolo formativo delle arti sui costumi, sulla politica e sulla religione dei popoli. Sono il bello ed il sublime a dover plasmare lo spirito. Nell’impressionante diffusione delle accademie d’arte ( in Europa, dalle 19 nel 1720 a più di un centinaio nel 1790) si riscontrano elementi comuni: programmi elaborati ed aggiornati così da far acquisire agli allievi competenze pratiche e teoriche.

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Si favoriscono i contati internazionali tramite concorsi accademici ed esposizioni, aumentano i corsi destinati alla formazione degli artigiani iniziando così quella revisione di rapporti tra arte e mestieri che porterà ad una nobilitazione di quest’ultimi. Si ha la ricerca di un linguaggio artistico universalmente adottabile, che raccolga tutte quelle teorie artistiche che si vanno diffondendo omogeneamente nella accademie d’Europa. Le accademie sono inoltre uno strumento in grado di beneficiare l’assetto economico dello stato, contribuendo ad innalzare la qualità del manifatturiero con conseguenti risvolti positivi sul commercio. L’inglese William Hogarth invoca lo sviluppo di maestranze artistiche di qualità nel proprio paese per scongiurare dispendiose importazioni di arte straniere, mentre nella prolusione di un docente all’inaugurazione della riaperta accademia di Dresda è sempre più esplicito la possibilità di sfruttare l’evoluzione in campo di qualità artistica per rendere i propri prodotti industriali più appetibili all’estero.

L’uomo e la naturaIn una cultura caratterizzata dalla fiducia delle possibilità dell’uomo di poter arrivare alla conoscenza attraverso il confronto c on la realtà che lo circonda, senza più preconcetti religiosi o sociali, la Natura, intesa come ambiente onnicomprensivo di tutte le manifestazioni dell’esistente, è lo strumento principale e il miglior maestro del processo d’apprendimento. La natura non più religiosamente immagine di un ordine certo ed immutabile, è anche e soprattutto l’ambiente in cui l’uomo opera, ed è dunque soggetta ai suoi interventi. Da questa impostazione filosofica prende le mosse anche una nuova visione artistica della natura: emerge una natura che come fonte d’ispirazione risulta troppo imbrigliata in accadimenti dalla “sgraziata grossolanità” e che sicuramente se lasciata s sé stessa non può raggiungere la perfezione. Occorre che l’uomo la educhi, secondo tuttavia un precisa regola di “naturalezza”: una natura spontanea, priva di affettazione, ma guidata dalla ragione e dal buongusto. Tale concetto di natura trova una sintetica ed esplicita descrizione nelle parole del pittore e critico d’arte Inglese Heinrich Fussli, che negli ultimi decenni del XVIII secolo scrive come per natura si intenda un sistema di principi generali, permanenti, non tangibili dagli accidenti, dalle mode, dai particolarismi geografici. La natura è un’idea collettiva che non può mai risiedere, nella sua perfezione, in un singolo oggetto. Si tratta dunque di intervenire ed aggregare quegli elementi in grado di manifestare la bellezza della natura. Si abbandonano tutti gli usi settecenteschi con cui la natura era stata imbrigliata in un sistema di rimandi simbolici ed allegorici, si cerca, si ricerca la spontaneità della bellezza di un natura apparentemente senz’ordine.

Il pensiero illuministaEcco che nel XVIII secolo si ha un rivalutazione dell’uomo nei suoi rapporti con il mondo circostante, contro ogni condizionamento. Tale istanza evolverà fino a diventare ciò che noi oggi chiamiamo illuminismo. I lumi della ragione, opposti alle tenebre dell’ignoranza, pongono le capacità dell’individuo in primo piano: nel campo giuridico negando il diritto divino, nel campo economico reclamando la libera circolazione delle merci, nel campo intellettuale affermando la funzione gnoseologica assoluta della scienza e soprattutto della ragione. L’ideale illuminista trova la sua più significativa espressione nell’ Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts, et des métiers, edita a Parigi tra il 1751 e il 1772. Nonostante questo genere di pubblicazione fosse già diffuso nel ‘700, tale opera si contraddistingue per l’intento che la anima, rompere con la cultura tradizionale, il conservatorismo politico e religioso che avevano strutturato il sapere e la vita sociale secondo una rigida gerarchia. In opposizione a questo criterio gerarchico la riorganizzazione dell’intero patrimonio culturale occidentale tentata dagli enciclopedisti non ha più il significato di

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semplice classificazione, ma il valore di un primo approccio scientifico e razionale con l’esistente, in nome di un unificazione generale di tutti gli oggetti della conoscenza. Alla base di tale rinnovamento è ancora una volta l’educazione, e proprio in quest’ambito primeggia la missione degli artisti, che devono, attraverso le loro opere saper comunicare contenuti morali e sociali. Un altro concetto fondamentale dell’illuminismo è quello dell’utilità come valore imprescindibile dell’attività umana. Ogni esercizio della forza umana, intellettuale o manuale che sia deve condurre al progresso dell’uomo, fiduciosamente ipotizzato dagli illuministi. A tali presupposti rende conto anche l’arte, che dall’essere dunque appannaggio di pochi, diviene arte utile, in grado di educare. Si ha una completa rivalutazione delle arti meccaniche, non più come svago o personale strumento di conoscenza, ma in virtù dell’universale categoria dell’utile sociale.

Cap. II Le teorie artisticheLe teorie artistiche elaborate dal quarto decennio del ‘700, hanno un denominatore comune, ovvero il rifiuto incondizionato del Rococò. Quest’ultimo è degradato infatti ad arte di basso rango, frivola, priva di intenti educativi e quindi inutile. L’aspetto decorativo predominava su quello funzionale. Ecco dunque che a favore della pubblica utilità e contro il “capriccio” privato, il Rococò viene condannato. Questo rifiuto assume sfumature differenti nei vari paesi: In Germania e Svizzera è rifiuto del gusto francese, in Inghilterra è di stimolo per la nascita di una scuola nazionale che regga il confronto con quella francese ed italiana. Nell’Italia settentrionale, l’arte barocca viene associata all’ambiente gesuita e quindi contestata. In realtà anche l Rococò aveva sviluppato, anche se in fase embrionale un’attenzione alla funzionalità che tuttavia diverrà vero e proprio assunto teorico solamente con nel ‘700. Ecco tuttavia come la ricerca di un arte che sia in grado di superare ogni particolarismo porti ad evitare ogni inclinazione delle mode passeggere. L’architetture in particolare è l’ambito dove il concetto di “bello” più viene sposato all’idea di “utile” e “funzionale”. Si negò dunque “l’architettura in rilievo” ottenuta dalla sovrapposizione di elementi decorativi agli elementi architettonici. Ai singoli edifici furono restituite le caratteristiche strutturali e abitative che dovevano essere chiaramente intellegibili nelle forme esterne. Nel corso del secolo assistiamo ad altre manifestazioni ideologiche di questo tipo: Laugier dichiara che l’immagine pura dell’utile in architettura si ritrova nel semplicissimo incrocio di travi e sostegni verticali della capanna, Lodoli osserva che solo la perfetta concordanza dello stile con i materiali impiegati può produrre un manufatto bello. La ricerca del “necessario”, l’”omogeneità alla materia”, la sottomissione dell’ornato alla funzione diventano i principi cui attenersi nel progettare, senza che venga meno l’esigenza della comodità. Parallelamente in Inghilterra con un rinato interesse per il Palladio, ecco che ritorna ad imporsi un’architettura basata sull’armonia di linee e regole classiche. Nella ricerca di un perfetto incontro tra forma e funzione, l’antichità greco-romana diventa il modello privilegiato cui ispirarsi per raggiungere la fonte originaria del “bello”.Tuttavia l’esperienza tardo barocca aveva ormai irrimediabilmente contestato il valore paradigmatico dell’arte classica. Già nel 1681 l’architetto inglese Christopher Wren aveva progettato per la Christ Church di Oxford la Tom Tower in stile gotico, adottandone consapevolmente alcuni elementi. In questo modo veniva ammessa la possibilità di utilizzare per specifici progetti elementi diversi secondo convenienza, anche se gli elementi gotici di Wren erano inseriti in una composizione di stampo chiaramente classico. Diversamente, nel 1745, Horace Walpole inizia la costruzione della sua residenza di Strawberry Hills ispirandosi integralmente a modelli gotici. In questo recupero del gotico assume particolare rilievo il diffuso interesse per le forme esotiche, cui quelle medioevali vengono

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assimilate. Il medesimo interesse porterà ad una morbosa e fantasiosa imitazione dell’arte e della decorazione cinese, dando vita al gusto chinoiserie. Si tentava di evocare atmosfere asiatiche attraverso l’arredamento di interi saloni, ottenendo per lo più dubbi risultati dato che ad essere rappresentata non era tanto l’arte orientale, ma la percezione che il mondo occidentale aveva di quest’ultima.

neoclassicismoTuttavia l’esperienza di recupero del gotico rimarrà, almeno fino ai primi decenni del XIX secolo confinata in Inghilterra. Nel resto dell’Europa il gusto vincente sarà quello dell’arte classica. Con il termine “neoclassicismo” si indica l’esplicita ripresa di modelli desunti dall’antichità greca e romana: occorre però precisare che tale termine fu coniato alla fine dell’800 per indicare, a un secolo di distanza, una produzione considerata ormai negativamente. Gli artisti che oggi definiamo neoclassici, non hanno mai utilizzato tale terminologia. Dei modelli classici non si ricercava solamente la forma, ma anche e soprattutto l’ispirazione, che aveva consentito agli antichi quella purezza e quell’armonia che la sola imitazione della natura non era in grado di raggiungere. L’antichità classica era studiata per i valori umani e civici che in essa erano ravvisati, posti a confronto con i vizi che avevano caratterizzato la società tardo Rococò. Nella teoria neoclassica è ben distinta l’idea di copia da quella di imitazione. Copiare la natura conduce a prodotti meschini: per questo la natura morta e la pittura di genere vengono definiti “soggetti volgari e limitati” poiché privi di nobili ideali. L’imitazione si configura invece come “perpetuo esercizio dello spirito, un’invenzione continua” , e quindi come una creazione artistica autonoma. Ecco dunque il valore originale di un’opera derivata dall’imitazione dell’antico, depurata dal carattere strettamente individuale che agli occhi degli artisti neoclassici costituiva quanto di più lontano dai tanto decantati ideali universali. Si è consapevoli che la bellezza ideale non esiste in natura ma è il frutto di una scelta di ciò che risulta essere “il meglio e il più utile”. In contrapposizione all’irrazionalità del Rococò ecco dunque un filo conduttore che si snoda dal’arte degli antichi, a Raffaello e infine giunge ai neoclassici.

WinckelmannGiunto a Roma nel 1755, conosce il grande classicista Mengs frequentando il cenacolo di artisti e intellettuali creatosi attorno al grande collezionista e mecenate Cardinale Albani, grazie all’aiuto del quale riuscirà poi a portare a termine i suoi studi e l’elaborazione dei suoi saggi più importanti. Profondo conoscitore della letteratura greca, W. Affronta lo studio dell’arte con sistematicità, adottando il criterio dell’evoluzione degli stili cronologicamente distinguibili l’uno dall’altro rompendo pertanto definitivamente con la tradizione critica precedente, che faceva un tutt’uno di arte greca e romana. Nel 1764 W. Pubblica “Storia dell’arte presso gli antichi in cui l’arte è considerata come prodotto di determinate contingenze sociali e politiche, frutto di successive evoluzioni. W pur essendosi basato su copie romane degli originali greci (che rivedranno la luce solo tra il 1802 e il 1812) , da comunque sfoggio di grande modernità per quanto riguarda l’analisi stilistica. Per questo egli è considerato l’iniziatore della moderna storia dell’arte per aver enunciato la necessità di una conoscenza sistematica e scientifica dell’antico. La “nobile semplicità” e la “pacata grandiosità” principali caratteristiche e valori per Winckelmann dell’arte greca, sono frutto di una continua imitazione del Bello: L’imitazione del bello di natura è ottenibile come risultato dell’imitazione di un solo modello oppure assemblaggio di parti di più modelli. Nel primo caso si ha una copia somigliante nel secondo si prende la via del bello universale: questa è la via che

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presero i greci. Nei “Brevi studi sull’arte antica” W. Annota inoltre un’altra idea che distanzia gli artisti neoclassici dagli immediati predecessori barocchi, l’dea di una natura “nobile” che si oppone ad una natura “comune”, diversa dalla prima non per essenza, ma per un più alto grado di purezza, poiché liberata da ogni imperfezione.

I progetti e le realizzazioni Parigi, piazza reale per Luigi XV (attuale place de la concorde)

Già nei commenti di Voltaire è evidente il richiamo all’esigenza non più di un’architettura di rappresentanza ma di un’architettura civile, attenta alla richiesta di uno spazio pubblico in espansione. Richiamo che si inserisce nel generale ritorno a un’arte portatrice dei valori di utilità e funzionalità. In tale contesto, dove sono banditi i falsi e inutili decorativismi e si ricercano forme pure e universalmente valide, ecco che l’architettura rappresenta il campo di ricerca privilegiato per teorie e sperimentazioni. Questa rigorosa tensione verso forme prive di superflua decorazione, fa sì ch le manifestazioni più significative dell’architettura neoclassica, si ritrovino in edifici pubblici, per i quali la scelta di uno stile austero sottintende un più complesso atteggiamento civile e morale.

Barrière de la villette, Parigi, Claude-nicolas LedouxLedoux utilizza due forme elementari, la pianta a croce greca sormontata da cupola, per un effetto imponente. La barrière (porta) univa infatti alla funzione pratica di ambiente per la riscossione dei dazi, quella di segnare, con altre 45 barrières, il perimetro della città, e quindi di comunicare la prima immagine di Parigi al viaggiatore che si avvicinava. La severità delle colonne e dei pilastri tuscanici senza base, coronati da capitelli semplicissimi, contribuisce a creare un’immagine solenne e grandiosa, accentuata dal contrasto tra pieni e vuoti, tra le forme circolari e squadrate.

Scuola di chirurgia di Parigi (oggi facoltà di medicina) Jacques GondouinIl teatro anatomico è realizzato componendo con un semicilindro e un quarto di sfera una forma semicircolare.

Scuderie dell’ospedale di Chelsaea, Jhon SoaneIn questa costruzione archi a tutto sesto, arretranti leggermente uno nell’altro, interrompono, sottolineandola, la compattezza del prospetto.

S fianco delle teorie: gli spazi privatiSe le teorie neoclassiche riscontravano notevole successo nell’ambito dell’edilizia pubblica, non accadeva lo stesso per gli ambienti privati. Era infatti difficile accettare per la propria casa, l’impiego di solidi geometrici puri che creavano essenziali e austere volumetrie, ma non certo ambienti intimi e accoglienti. D’altra parte, nell’antica Grecia stessa come attestano le pitture vascolari, lo stile austero e solenne dei templi non entrò mai nelle dimore private. Così, riprendendo interessi e motivi già sviluppati dal biasimato Rococò, acquista sempre maggior importanza l’attenzione riservata agli ambienti della vita privata e l’arredo delle abitazioni. A fianco delle teorie artistiche ufficiali, spesso incapaci di offrire risposte alle esigenze della quotidianità, si sviluppa con altrettanta rapidità il nuovo gusto della casa: un gusto che trova gli esempi più acclamati e copiati non già nelle dimore di corte, bensì nelle abitazioni borghesi. Esso si diffonde tramite riviste specializzate, repertori di incisioni a carattere divulgativo. Nel 1780 l’architetto Parigino Le Camus de Méziers pubblica “Le Génie de l’architecture” in cui parla del buon gusto delle nuove costruzioni. Anche gli arredi si indirizzano verso la sobrietà del neoclassico,e non più verso le bizzarrie del Rococò.

Maison Montmorency, Ledoux

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La ricerca di una maggior razionalità degli interni si esplica in questa Maison nella scelta di una pianta ad asse diagonale, attorno alla quale gravitano gli ambienti privati disposti secondo una logica precisa.

Cap. III La lezione dell’anticoLe importantissime campagne archeologiche di Ercolano e Pompei furono al contempo effetto di diverso modo di apprezzamento delle rovine dell’antichità e insieme favorirono la rivalutazione di monumenti già conosciuti. Intorno agli anni sessanta si avvia anche la ricerca e lo studio IN LOCO dell’arte greca, che innesterà la polemica tra i sostenitori della superiorità dell’arte dell’Ellade e quelli della superiorità dell’arte di Roma. Entrambi i contendenti basano le loro affermazioni su Vitruvio, che aveva affermato che i Greci avevano derivato la loro architettura dall’Egitto, perfezionandone gli ordini e passandoli successivamente a Roma. I sostenitori della supremazia greca rivendicano all’arte ellenica il ruolo di “sorgente dell’arte” e affermavano che l’architettura Romana ne era una semplice derivazione. Gli oppositori sostenevano invece che era stata proprio l’arte romana ad aver portato a compimento l’arte Greca, apportando rinnovata delicatezza, grazia e bellezza. Nell’arco di qualche decennio si intensificano i viaggi verso la Grecia e l’Oriente e aumentano le pubblicazioni corredate di incisioni, con cui si tenta di soddisfare la diffusa richiesta di notizie sempre più tecniche e scientifiche. Si può a buon diritto parlare di una diversa attenzione nei confronti dell’antico, che dagli anni 50 si svilupperà in due diverse direzioni: da un lato emerge passato perduto per sempre, le cui rovine grandiose no possono che sottolineare l’impossibilità di un suo ritorno. Comunque al rinomato interesse per l’antichità, partecipano personalità di diversa estrazione sociale (eruditi, artisti, filosofi, ma anche mercanti e artigiani) e si assiste perciò ad una diffusione della conoscenza dell’arte e della cultura antica a molteplici livelli, ch porta alla creazione di un gusto e una moda ispirata ai manufatti greci e romani. I repertori di immagini degli scavi campani arrivarono ad influenzare profondamente i manuali destinati ai giovani artisti e artigiani, diventando elementi dominanti negli album di disegni per mobili e arredi eseguiti dai più famosi arredatori ed ebanisti europei. A fianco di tale recupero meramente decorativo, si sviluppa anche un crescente apprezzamento delle doti di razionalità e funzionalità degli oggetti ritrovati negli scavi archeologici. Ai manufatti antichi sarà riconosciuto il medesimo valore artistico della grande statuaria. Ecco dunque che a differenza delle chinoiserie, non ci si limita semplicemente ad adottare dei moduli decorativi, ma si valutano e si mettono in pratica le qualità artigianali e funzionali degli oggetti. Particolarmente significativo a tale proposito risulta il confronto con in neogotico, per cui Horace Pole non cerca materiali appropriati per realizzare il suo arredo di ispirazione medioevale né si avvale dell’ininterrotta tradizione di maestranze specializzate che eppure era vanto dell’Inghilterra.Sembra prevalere un’immagine letteraria del medioevo, che rende pertanto superflua l’abilità manuale e l’aspetto funzionale dell’oggetto. Il passato evocato in Strawberry Hill appare frutto più di un approccio letterario e teorico che di un attento studio delle forme gotiche. Diversamente gli arredi neoclassici ricercano nell’ analisi dei materiali, delle proporzioni, delle tecniche esecutive dei manufatti antichi la propria fonte di ispirazione e il proprio valore artistico.

RomaNel 1761 Winckelmann in una lettera a Ludovico Bianconi, descrive la città eterna come il luogo mitico in cui è finalmente possibile realizzare l’auspicato legame tra il passato e la sua proiezione

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nel presente. Roma è pertanto tappa imprescindibile di un viaggio verso il recupero scientifico, mitico o doloroso, dell’antico in cui un’intera generazione riconosce i propri modelli culturali. Roma, il “grande museo” per eccellenza offre a tutti i viaggiatori che vi approdano un repertorio di immagini e suggestioni che evocano un passato che appare ancora tangibile e per certi versi rinnovabile. È evidente la fiduciosa aspettativa nel rinnovamento artistico della grandezza classica. Il modello antico viene considerato punto di partenza e di riferimento, stimolo alla creatività e non certo elemento paralizzante. A questa ideologia dell’antico, si affianca, esplicitamente con la seconda generazioni di artisti neoclassici, un atteggiamento molto diverso: perduta la speranza di recuperare il passato, esplode il doloroso confronto tra la grandezza dell’antichità e un presente che appare del tutto inadeguato. Il confronto, letto in chiave “sublime” diventa schiacciante e paralizza l’artista di fronte alla grandezza antica. Un opera significativa a tale proposito sicuramente “ la disperazione dell’artista davanti all’imponenza dei frammenti antichi” di Füssli: i resti della colossale statua di Costantino dominano implacabile contro uno sfondo di pietre, in un isolamento che rende impossibile la ricostruzione ideale della statua e la sua collocazione in un ambiente reale e misurabile. Viene dunque meno il modello da imitare e resta solamente la frustrazione e l’impotenza di fronte ad un passato insuperabile ed inattingibile. Tra queste posizioni antitetiche, si pone quella intermedia esposta da Goethe, per cui l’artista non dovrebbe proporsi di trarre dall’antichità le proporzioni misurabili, ma piuttosto quanto c’è di incommensurabile. Le incisioni di Giovan Battista Piranesi dedicate alle antichità romane rispecchiano tali sentimenti: L’intonazione drammatica delle singole tavole non sfocia nella disperazione di Füssli, ma piuttosto appare legata all’idea di “dignità e magnificenza” romana espressa attraverso al massa, la grandiosità e l’isolamento. Piranesi aggiunge “nuove dimensioni “ alle antiche rovine, grazie ad una precisa scelta di scorci e un consapevole uso delle luci e delle ombre. Non riscontriamo la sproporzione intenzionale ed esasperata delle vedute di Antonio Joli, ma abbiamo un diverso rapporto spaziale e temporale, che tiene conto dell’elemento determinante dell’elemento umano a scapito dell’assoluta eroicità dello stile dorico evocata da Joli.Il sentimento di “sublime” impotenza diventa dunque sentimento di “sublime” grandezza, del passato e anche dell’uomo che a quel passato è legato.

La moda dei souvenirsRoma, diventa meta di viaggiatori che percorrono itinerari ormai divenuti di moda, svuotati da ogni loro originario significato culturale, divenuti ormai vane esibizioni di appartenenza ad una classe aggiornata sul gusto e sulle tendenze dominanti. Un esempio di ciò è il disegno di Giuseppe Cades, dal titolo “En memoirs du Avril 1793” è raffigurata la gita di una principessa borghese e dei suoi amici alla villa di Tivoli. Ciò che domina la scena è la cavalcata mondana, tant’è che le rovine non compaiono nemmeno, ma sono semplicemente ricordate sul retro del foglio. La moda dell’antico comincia ad alimentare un mercato di calchi, copie e falsi di pezzi antichi, di stampe con vedute di Roma e dei suoi monumenti. Stimolo per questi collezionisti dilettanti sono gli esempi delle grandi raccolte archeologiche di cui la fama si era diffusa in tutta Europa: collezione Albani, Borghese, Charles Townley che sembrava invadere nel dipinto di Jhoann Joseph Zoffany la biblioteca del grande collezionista inglese. Indicativo del diffondersi di queste piccole raccolte modeste, amatoriali è il formarsi di numerose società per il restauro e la vendita di reperti di scavo, il cui commercio si limita, come si deduce dagli inventari degli oggetti raccolti, a pezzi di scarsissimo valore. Contro l’anticomania si scagliarono violentemente gli illuministi che vedono in questo

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atteggiamento il pericolo di un’accettazione senza comprensione di un costume di cui non si capisce il senso e il valore storico. Questa condanna tuttavia non arresta il ricco mercato artistico legato all’antico, di cui una delle manifestazioni più interessanti è sicuramente il fenomeno dei ritratti “da stanza” , ritratti che i viaggiatori si facevano fare e che portavano a casa come souvenirs del luogo di pellegrinaggio visitato.

Cap. IV Inghilterra e Francia: le due rivoluzioniNel corso del XVIII sec. Due rivoluzioni, quella industriale inglese e quella Francese, determinano un radicale cambiamento della posizione dell’artista all’interno della società.

La rivoluzione industrialeDopo l’iniziale entusiasmo degli intellettuali, che scorgevano nell’introduzione di nuove macchine e nuove fonti di energia un ulteriore progresso dell’ uomo, si alzano le prime voci allarmate di chi intravede dietro queste innovazioni pericoli per la natura e per l’uomo. Se in un primo tempo le nuove tecnologie venivano celebrate in poemi con immagini legate alla tradizione classica e ai temi mitologici, ecco che in questa seconda fase le rappresentazioni tingono gli imponenti stabilimenti di un bagliore quasi satanico. Un evidente di questa mutamento d’animo sono le due vedute di Coalbrookdale dipinte da Joseph Mallord William Turner, eseguite rispettivamente nel 1758 e nel 1797. Turner formatosi alla Royal Academy studia il paesaggio “classico” con una particolare predilezione del paesaggio e dei valori atmosferici. Egli è attento anche alle opere dei contemporanei, volti a creare immagini in cui il dato realistico sfuma in una visione più personale e lirica. È Dunque in tale ambiente in continua evoluzione che va definendosi una nuova posizione sociale per l’artista. Nel sistema industriale, che prevede una sempre più netta divisione tra lavoro intellettuale e manuale, l’artista è sempre più il progettista, il creatore di modelli che vengono moltiplicati da esecutori subalterni e da macchine. L’atto creativo torna a separarsi dalla realizzazione: tornano ad essere distinte le figure dell’artigiano e dell’artista, si ripropone la supremazia del puro pensiero a scapito della meccanicità del fare. Tutto ciò nonostante gli assunti d’uguaglianza degli enciclopedisti. Va tuttavia sottolineato come Diderot avesse espresso una valutazione positiva sulla divisione del lavoro, intesa però come “cooperazione” che conservava ancora un ampio spazio all’iniziativa del singolo. La rinnovata scissione tra teoria e pratica è avvertita anche dagli storici contemporanei: Adam Ferguson nel 1768 si scaglia contro le arti meccaniche date che esse non richiedono alcun impiego della ragione e pertanto sono regno dell’ignoranza. Nel suo scritto egli dell’industria condanna la condizione negativa che toglie all’individuo la partecipazione totale alla produzione, che appare nel suo complesso solo a chi la dea, cioè il designer. La nuova figura del disegnatore industriale si delinea con l’evolversi della produzione in serie che, rivolta ad un mercato in espansione, necessita di multipli che ripetano il prototipo disegnato dall’artista. L’artista non produce quindi più solamente “oggetti d’arte”,ma anche prodotti che più genericamente necessitano di una forma in linea con le moderne tendenze artistiche , come griglie per camini per ghisa, cancellate, elementi di ornato in pietra artificiale.

Etruria: L’industria di ceramiche di Josiah WedgwoodFin dall’inizio del XVII sec. La famiglia Wedgwood si era dedicata alla produzione di ceramiche, ma è Josiah W. Che riesce a trasformare una manifattura artigianale in una produzione su larga scala che conquista rapidamente il mercato europeo. La macchina a vapore viene impiegata per frantumare i materiali e far funzionare i torni e tutta quella parte della lavorazione che deve essere

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necessariamente compiuta a mano è accuratamente parcellizzata tra formatori, tornitori, plasmatori, decoratori e alte figure altamente specializzate. A capo di tutto ciò si trova il designer, ruolo che per lungo periodo venne affidato a John Flaxman, uno tra i maggiori artisti neoclassici inglesi. La linea artistica seguita da Wedgwood nell’impostare la produzione è palese nel nome della fabbrica: Etruria, artes etruriae renascantur. Il riferimento stilistico è incontestabilmente la suppellettile proveniente dai più recenti scavi archeologici. Di questi oggetti antichi viene considerata l’essenzialità della forma legata ad una perfetta funzionalità. L’adesione alle forme classiche trova ormai in Inghilterra un vasto consenso. Cresce il fenomeno per cui il creatore del disegno non è ancora semplicemente un tecnico, ma un artista che si pone al servizio dei nuovi committenti.

La rivoluzione francese Uno dei punti focali della cultura illuminista era l’utilità dell’arte. L’arte era uno strumento di conoscenza, di educazione, veicolatrice di nuovi valori morali ed era dunque investita di un importantissima funzione sociale. Addirittura i sovrani avrebbero dovuto servirsene per instillare un senso civico nei sudditi. Con la rivoluzione francese, trionfano le teorie illuministe per un artista al servizio del bene e dell’utile pubblico e non più asservito ai capricci di qualche riccone. L’artista diventa traduttore e mediatore dei grandi ideali rivoluzionari, annullando la propria individualità, dato che come scriveva Jacques-Louis David in un discorso della convenzione: “Ognuno di noi deve rendere conto alla Nazione del talento che ha ricevuto dalla Natura. Nei discorsi ufficiali è sempre più evidenziata l’immortalità a cui è votato l’artista, perché immortale è il compito che si propone. L’artista è dunque circoscritto ad un’assoluta e convinta partecipazione ai moti rivoluzionari, adesione spesso solo di facciata. In Francia si realizza l’emancipazione dai vincoli imposti dalla dittatura dell’accademia parigina. Nel 1791, l’assemblea legislativa abolisce i privilegi dell’Accademia, estendendo a tutti gli artisti il diritto di esporre al Salon. Questo provoca uno straordinario aumento sia delle opere d’arte esposte che della frequentazione dei salons, che sono aperti ad un pubblico sempre più diversificato, interessato all’arte non solo in vista di un acquisto. Alla decaduta accademia reale vengono a sostituirsi, sul piano amministrativo dalla “Societé populaire et repubblicaine des Arts”, sul piano didattico dall’ “Ecole nationale supérieure des Beaux-Arts” mentre contemporaneamente si inizia ad insegnare arte anche nelle scuole private e in corsi serali. L’artista, seppur libero dai vincoli e dalle restrizioni accademiche, deve comunque attenersi ad uno stile adeguato al grande compito sociale e politico che la rivoluzione gli ha attribuito . J.L David indica quindi la strada del classicismo dei grandi maestri quale antidoto alla leziosità dei pittori che lo avevano preceduto, che pur ispirandosi al classico non erano riusciti a liberarsi dalla frivolezza e dal sentimentalismo del Rococò. I nuovi ideali eroici richiedono invece nuovi soggetti e forme realmente diverse.

Nuova e vecchia committenza nella ritrattisticaGli importanti cambiamenti politici, economici e sociali, che avvengono nella seconda metà del Settecento , portano ad una modificazione di quella che era la committenza artistica. La borghesia, svendo sempre maggiori occasioni di venir esposta all’arte, acquisisce la consapevolezza della propria importanza anche nel campo della produzione artistica, ma non potendo permettersi i grandi quadri di storia o le statue eroiche a grandezza naturale, ecco che si rivolge alla ritrattistica. Quest’ultima non era certamente un genere nuovo, ma era stata fino ad allora per lo più appannaggio delle classi alte. La novità consiste piuttosto nel modo in cui si chiede di essere ritratti. Abbandonati gli stili del ritratto aulico e di rappresentanza, vengono meno gli attributi del potere,

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fino a quel momento enfatizzati. Sulla fortuna del ritratto settecentesco influiscono in modo decisivo le idee illuministe e prima ancora le riflessioni degli empiristi inglesi sul valore dell’individuo, che con le proprie capacità si impone sull’ambiente circostante. Il ritratto è dunque il coronamento di una posizione consolidata, non più lusso per pochi, ma accessibile a chiunque riesca ad affermare la propria personalità. Numerosi aristocratici di essere ritratti seguendo le regole di questa nuova moda. Numerose parole furono spese a favore del ritratto per esempio negli Essays on Phisiognomy di Lavater che ne difendeva il carattere di indagine scientifica, mentre altre ne furono spese a sfavore, per esempio dal Mengs e dal Winckelmann che vedevano nel ritratto una deviazione verso l’uomo comune, quotidiano e imperfetto a scapito della bellezza perfetta ed ideale. La volontà di una committenza privata interessata ad essere rappresentata, trovandosi ostacolata dalle teorie artistiche che ricercando la perfezione andavano per la maggiore, si dichiarava pertanto solamente nella sfera dell’arte privata, in cui può rientrare a pieno titolo il ritratto.

Jeacques-Louis DavidJacques-Luis David, nello stesso periodo in cui dipinge opere “pubbliche” come il Bruto e Marat assassinato, opere dall’esplicito insegnamento morale o politico, realizza alcuni tra i suoi più significativi ritratti come quello del chimico Lavoisier con la moglie e i due ritratti dei cognati sériziat. In tali opere, stilizzate, dominate da colori sobri e chiare, senza un’ambientazione precisa e particolareggiata (come invece ancora troviamo nel caso della tela dei coniugi Lavoisier circondali da attrezzature chimiche) i due personaggi incarnano la quintessenza dell’eleganza borghese. Per raggiungere questo effetto David sembra rinunciare alla descrizione dei particolari, pur senza venir meno alla freschezza e al realismo delle espressioni.

Joshua ReynoldsPuntuale testimone di questo processo di sottile astrazione dal dato contingente è Joshua Reynolds, pittore inglese e primo presidente della Royal Academy di Londra. Nei suoi quindici Discorsi tenuti agli studenti egli puntualizza come la funzione dell’arte debba essere l’espressione, attraverso nobili soggetti trattati con “grandezza” e “dignità” , degli schemi della Grande Maniera (per esempio i lavori di Raffaello e Michelangelo). Ma poiché l’Inghilterra del XVIII sec. Non chiedeva opere a carattere storico o eroico, Reynolds dovette venire a patti con la committenza che sempre di più insisteva nel richiedergli ritratti, genere che lui stesso aveva definito volgare e limitato. Pertanto seppur nelle sue teorie più intransigenti il pittore era colui che rinunciava ad offrire al pubblico la piacevolezza della minuziosa imitazione per cercare di innalzarlo, ammise la possibilità di far rientrare i ritratti nella grande pittura se l’artista fosse stato in grado di astrarsi dal particolare per cogliere e comunicare la verità sovra personale che anche un volto può comunicare. Con questa stentata motivazione, che fa appello alle motivazione dell’artista per sopperire all’inferiorità del genere, Reynolds giustifica i propri ritratti. Nel caso del ritratto di Lady Cockburn con tre dei suo figli, R. imposta la composizione come s trattasse di una moderna sacra famiglia, usando uno schema derivato dalle rinascimentali Vergini con Figlio e San Giovannino. Lady Cockburn indossa un abito vagamente classico, sotto un mantello privo di connotazioni alla moda. Tuttavia, nel momento in cui la Grande Maniera si fa da parte, Reynolds riece a dipingere ritratti di grande intimità e immediatezza. È il caso del ritratto di Nelly O’ Bryn, a cui il punto di vista ricercato sopra la testa del modello e l’uso frontale della luce conferiscono una modernità assoluta. Analogamente nel Ritratto di Anna, contessa di Albemarle, pur essendo i dettagli ritratti con grande dovizia di particolari, colpiscono la posa naturale e la profondità dello sguardo dell’anziana donna.

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Thomas GainsboroughContemporaneo di Reynolds, a differenza di quest’ultimo, non cerca una nobilitazione per la ritrattistica con l’esclusione dei dati più contingenti, ma si basa sulla somiglianza con i modelli. I due artisti lavorarono a molti soggetti comuni tra cui Mrs. Siddons, attrice londinese di successo. Reynolds la rappresenta come musa tragica su uno sfondo denso di richiami alle tragedie interpretate, ponendola, non senza pretestuosità, in una dimensione atemporale. Gainsborough ci presenta invece un semplice ritratto di donna, dal quale non è possibile desumerne ne l’occupazione né il ruolo sociale. Tuttavia in dipinti successivi si può notare come Gainsborough si avvicini sempre di più allo stile di Reynolds. In “The morning walk” abbiamo, per esempio, il doppio ritratto dei coniugi Hallet: sullo sfondo un’atmosfera naturale indefinita e suggestiva, gli sguardi assenti e malinconici dei due non si incrociano e l’unica traccia di comunicazione tra i protagonisti è il leggero tocco della mano della donna sulle braccia del marito. Il dipinto sembra trascendere l’argomento contingente e addentrarsi nello studio dell’unione rappresentata. Allo stesso tempo Reyonolds si avvicina al collega-rivale nel “Ritratto di Lord heathfield” , dove il governatore di Gibilterra regge le chiavi della Rocca, simbolo della sua vittoriosa difesa. Lord Heathfield non è rappresentato come un eroe: egli appare provato dalla lotta. Dignità e grandezza non si ottengono soltanto imitando i modelli con fogge antiche.

Cap. V L’antico in Antonio Canova, jacques-Louis David e Robert Adam

Antonio CanovaAntonio Canova ( 1757-1822) arriva a Roma, da Venezia, ventiduenne , nel 1779 per completarvi la propria formazione. Studia la statuaria antica, fa proprie le teorie del Winckelmann frequentando a scuola di nudo dell’Accademia di Francia e dei musei capitolini. Conservando il grande virtuosismo tecnico che gli derivava dal primo apprendistato veneziano di stampo ancora Rococò, Canova si impegna sin dalle prime opere romane , nella creazione di forme in cui in cui si incarni l’ideale neoclassico del bello, escludendo le passionali torsioni barocche, gli elementi eccessivi ed estranei, così come i panneggi superflui. Nella sua reazione entusiastica di fronte ai fregi del Partenone a Londra e in generale di fronte all’arte greca, Canova sintetizza la ricerca perseguita in tutta la sua attività di scultore: la comprensione e “l’imitazione” dell’arte classica che era riuscita a far coesistere la “vera carne” con la bella natura, con l’accezione neoclassica di natura, cioè depurata e ricomposta nei suoi elementi migliori. Canova si cimenta in questa sintesi ideale già nel 1781 con il gruppo “Teseo sul minotauro”, abbandonata su suggerimento del pittore Gavin Hamilton la primitiva idea di rappresentare le due figure in combattimento, Canova si concentra nel momento che segue la lotta, quello della vittoria, ma anche della riflessione e della quiete. Una pace sovrana ricompone i due sfidanti, il vincitore non è più scosso dall’ira o dall’eccitazione, ma si appoggia, quasi in atteggiamento pietoso al corpo del Minotauro. L’azione e la lotta sono temi che attestano la ricerca costante di soluzioni formali in sintonia con assunti teorici di Winckelmann. Nel 1795 inizia la composizione di Ercole e Lica. In quest’opera non abbiamo il riposo dopo la lotta, il soggetto stesso non lo consente. L’azione è rappresentata nel pieno del suo svolgimento, ritraendo Ercole mentre sta per scagliare lontano Lica. Il dramma è però depurato dalla crudeltà e dalla violenza, l’azione risulta più didascalica che sofferta: Ercole si inarca

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come un lanciatore di disco e la scena è ricomposta in una circolarità che chiude l’azione e la schematizza.Altro punto programmatico della poetica canoviana, fu l’adesione alla “grazia” razionale e sublime presente nelle opere dell’antichità classica. La grazia era intesa dal Winckelmann in opposizione all’epidermica sensualità Rococò, come connotazione intrinseca all’arte classica. Qualità squisitamente intellettuale, in cui far confluire gli aspetti leggiadri e sottilmente sensuali del reale, che solo grazie al filtro e al controllo della ragione, possono sollevarsi dal loro stato di frammenti inerti e diventare Natura. Un primo esempio di traduzione nel concreto di tali ideali è “Amore e Psiche”, terminato nel 1793. Il soggetto è tratto da Apuleio, mentre lo spunto compositivo de deriva da un dipinto ercolanese: le due figure si sfiorano appena, rapite in una reciproca, incantata contemplazione. La passione amorosa è sfumata in una sensualità raffinata, giocata sull’incrocio armonioso delle braccia, più allusiva che reale. La bellezza non è turbata dalle emozioni, ma esaltata dalla reciproca contemplazione degli amanti. Anche nelle successive opere, Canova rimane fedele al suo indirizzo, replicando alle critiche, nel caso della “Ebe”, dichiarando che se si sarebbe potuto facilmente ottenere una maggiore espressività, ma solo a scapito del bello. È dunque ribadita la determinazione di voler perseguire la “bella natura” degli antichi, reagendo con accanimento alle critiche. Canova difende la propria fedeltà all’antico come ideale di bello, anche perché gli stessi critici gli avevano preferito lo scultore danese Bertel Thorvaldsen , che lo aveva apertamente sfidato con la realizzazione di una statua di Giasone, rifacendosi al canone policleteo delle proporzioni umane, per ottenere un effetto di robusta semplicità. Nel Giasone viene però a mancare ogni emozione e ricordo di una natura sensibile e sensuale, per quanto frenata dall’intelletto. La sua andatura è bloccata e il volume del corpo è chiuso in linee che inibiscono ogni collegamento con l’ambiente circostante. La grande fama che ben presto lo scultore danese, tecnicamente abilissimo, riscosse in ambito romano è indice di cambiamento nel gusto classicista. Canova non risponde affatto all’immagine dell’artista neoclassico precursore e sostenitore dei fermenti rivoluzionari.

Jacques- Louis DavidAnche per questo artista Roma rappresenta il punto di partenza di una nuova concezione dell’operare artistico, dopo un apprendistato iniziato all’ombra del Rococò. Al suo rientro in Francia nel 1778, dipinge “Belisario che riceve l’elemosina”, raffigurando il generale bizantino vecchio e cieco, abbandonato da tutti , in compagnia di un bambino che protende l’antico elmo per ricevere la moneta offerta da un passante. Il soggetto non era mai stato rappresentato con tale sobrietà di interpretazione da trasformare un aneddoto in un insegnamento di valore universale sulla caducità della gloria umana e sulla desolazione della vecchiaia. L’esperienza romana spinge David in direzione di un arte capace di stimolare, attraverso l’esempio del passato, virtù morali e civiche: una pittura in grado non solo di raccontare ma anche di proporre, attraverso il racconto, l’esaltazione di virtù universali. La pittura di storia, o meglio la pittura “utile” aveva già avuto numerosi antecedenti, tra cui Benjamin West, pittore “storico” della corte inglese. La strada per introdurre l’istanza civile nella pittura di storia era dunque aperta, ma spetta a David sancirne l’assoluta priorità su ogni altra forma di rappresentazione artistica. Nel 1784 David dipinge “il giuramento degli Orazi”. David sceglie di rappresentare il momento in cui i tre fratelli giurano di sacrificare la propria vita per la patria. Accantonato ogni accessorio aneddotico, David esalta la virtù morali e civili dei protagonisti con l’uso di semplici mezzi compositivi e cromatici. L’azione si

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svolge davanti a un portico a tre archi, ognuno dei quali racchiude uno dei gruppi di personaggi che animano la scena. Le figure si trovano allineate su uno stesso piano, in modo che i gesti appaiano strettamente concatenati: dai fratelli che giurano la loro abnegazione, al padre che ne congiunge le spade, alle donne che piangono. Quest’ultimo gruppo fa da contrappeso, con il proprio abbandono emotivo, alla ferma energia che si sprigiona dalle altre figure. La composizione è scandita da poche e chiare partizioni che accentuano la gravità psicologica del momento. L’uniformità del colore e della superficie pittorica nulla concedono alla piacevolezza della visione e sottolineano l’esplicita volontà di David di creare un’opera in cui la storia antica, e non frivoli motivi mitologici, è ripresa per esaltare un mondo eroico di verità e valori rigorosi. Lo stesso meccanismo si innesca con il dipinto raffigurante “i littori riportano a Bruto i corpi dei suoi figli” basato sull’episodio storico in cui Bruto condannò i propri figli perché colpevoli di tradimento verso la patria e gli intellettuali francesi che avrebbero poi abbracciato la causa rivoluzionaria, vi videro l’espressione più eloquente dell’intransigenza sui vari principi morali, della fede nella ragione, della volontà di sacrificare i propri sentimenti in difesa di una nuova idea di patria nella quale si riconoscevano. David proseguì l’indagine filologica dell’antico: ogni particolare è studiato per non lasciare il dubbio di una casuale e superficiale ripresa archeologizzante dell’ambiente. Nel 1790 David è già entrato attivamente nella vita politica, aderendo alle idee rivoluzionarie. Giacobino e amico di Robespierre, dopo alcuni mesi di prigionia alla caduta di quest’ultimo, diviene prémier peintre del “Cesare francese” Napoleone, e fino alla sua definitiva sconfitta dopo la quale egli si ritirerà in Belgio, continua a dare immagine alle idee politiche del Consolato e dell’Impero. Il Classicismo, di cui David appare l’incontrastato portavoce, rimane lo stile ufficiale della’arte francese , sia che il modello proposto dalla propaganda politica si identifichi negli ideali della repubblica romana sia nei valori dell’impero Romano. Il dipinto storico appare sempre più direttamente collegato agli avvenimenti del presente proprio per il suo esplicito significato politico e celebrativo. Per comprendere il passaggio dal soggetto storico tratto dall’antico a quello ripreso dalla storia contemporanea , si possono analizzare due dipinti: Marat assassinato e Le Sabine: MARATCommissionato a David subito dopo l’uccisione dell’ ”amico del popolo” nel 1793. Gli elementi ambientali sono ridotti alla scarna essenzialità; pochi oggetti: la lettera di Carlotta Corday, il coltello strumento dell’assassino, il calamaio e le penne, il rudimentale scrittoio; ogni gesto è annullato nell’abbandono della morte. Sulla grande tela grandeggia la figura di Marat che emerge dalla vasca come da un sarcofago avvolto in un sudario; la composizione, basata su ritmi prevalenti orizzontali, spezzati dalla caduta del braccio destro, lascia ampio spazio a uno sfondo senza connotazioni di tempo né di luogo. Tutto è raccontato con estrema essenzialità, senza alcuna concessione a elementi illustrativi o patetici. Le SabineLa grande tela viene iniziata nel 1794. Il dipinto è interpretato come una perorazione di pace e riconciliazione. Il soggetto è però lontano dalla serrata, severa, essenziale drammaticità di Marat. L’ non circola nella vitrea scatola spaziale entro la quale i personaggi si muovono con gesti studiati per dar vita a un’azione incruenta quanto meccanica. L’attenzione dedicata ai singoli personaggi, come per esempio i bambini in primo piano ritratti con tenero compiacimento, nega ogni significato esemplare. L’antico si risolve nell’ acutissima attenzione per il dettaglio.

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Robert AdamNato in Scozia nel 1728, regione d’Inghilterra dove più il aveva trovato diffusione, in realtà non giunse all’adozione delle forme classiche attraverso lo studio dell’architetto vicentino, ma piuttosto attraverso la diretta e appassionata riscoperta dell’architettura e decorazione antiche. Anche per Robert Adam Roma è dunque la vera fonte cui attingere idee e modelli. La convinzione che lo studio dell’antico sia il punto di partenza decisivo per ogni moderno processo educativo, trova espressione ad apertura delle Opere d’architettura di Robert e James Adam. L’ispirazione agli antichi si traduce in Robert Adam , nella ricerca di un’armonia che connoti tutta la struttura architettonica e crei uno stretto, inscindibile legame anche agli arredi mobili. Nel 1765 Adam lavora per gli interni di Harewood House (Yorkshire): nella hall d’ingresso l’architetto realizza una delle sue più riuscite “sale doriche” introducendovi gli elementi dell’architettura e della decorazione classica con un vivace accostamento di colori. Nella Long Gallery della stessa casa, il soffitto è decorato con medaglioni in stucco e piccoli dipinti a carattere mitologico, intercalati da arabeschi e grottesche. Al 1765risale anche l’atrio, d’ispirazione classica romana, di Kedleston House nel Derbyshire, scandito da un colonnato corinzio arricchito con statue poste entro nicchie. Di questa residenza Robert Adam completa anche il prospetto sud con un possente avancorpo tripartito in stile romano. Tra il 1761 e il 1777 Adam viene chiamato a modificare Osterley Park, un edificio elisabettiano in mattoni rossi nel Middlesex : all’esterno il suo intervento si limita alla sistemazione dell’ingresso a ovest e alla costruzione della loggia alla greca sul lato orientale. All’interno si dedica alla completa decorazione e arredo degli ambienti : un esempio evidente dell’assoluta unità di progettazione è rappresentato dalla biblioteca dove la parte inferiore delle pareti è occupata da librerie che, come gli altri elementi aggettanti dalle pareti, sono bianche e si inseriscono in un sistema architettonico scandito da semicolonne e pilastri ionici raccordati da un architrave. Il soffitto e la parte superiore delle pareti sono invece decorati con dipinti e stucchi a colori vivaci: la varietà cromatica e decorativa appare armonizzata in un raffinato equilibrio compositivo. La varietà entro un disegno armonico e unitario rappresenta per Adam la prima qualità da perseguire, evitando la monotonia e l’inerzia della “casa rettilinea”. A questo iniziale riferimento, Adam aggiunge un esplicito richiamo agi schemi del pittoresco, diventati ormai canonici anche per la progettazione degli interni. In questa dichiarazione di totale adesione alle teorie del Pittoresco è insita anche la ricerca di una diversa flessibilità dell’edificio e dunque di una migliore distribuzione dello spazio. Ancora per Ostrey park Robert Adam progetta la “stanza etrusca” uno spogliatoio ispirato alla pittura vascolare antica, in cui ogni elemento è disegnato in modo da essere legato inscindibilmente l’uno all’altro. Nell’anticamera della Syon House, Adam interviene con grande originalità, utilizzando i motivi della decorazione classica con colori decisi, degli stucchi e delle colonne e sul rosso, giallo e grigio del pavimento lavorato in scagliola, Diversamente nell’atrio dello stesso edificio crea un ambiente di grande sobrietà cromatica e decorativa: impostato come una basilica romana, il locale deve la sua grande suggestione alla levità dei colori e della partizione delle pareti contrapposta alla marcata schematicità geometrica del pavimento in marmi neri e bianchi. Nel salotto rosso di Syon House il motivo centrale è rappresentato dal soffitto con raccordo a guscio, lavorato a rosoni di stucco e piccoli tondi dipinti. R.A. dedica ai soffitti cura per inventare composizioni a cui legare e da cui far discendere l’intera decorazione della stanza.

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Educazione e diffusione : “che le arti penetrino fin nell’umile capanna del più infimo dei cittadini”

Nel 1776, l’illuminista svizzero J.G. Sulzer, nell’articolo “Beux-arts”, pubblicato come inserto dell’ encyclopédie, ribadisce la funzione sociale dell’arte. L’esplicita rivendicazione alla produzione artistica di un valore etico ed educativo portava con sé la necessità di una capillare diffusione , capace di rendere l’arte veramente utile. Ecco quindi che le riproduzioni di opere d’arte si resero necessarie per rendere possibile la conoscenza e lo studio delle scoperte archeologiche e delle iconografie più diffuse, anche a chi non poteva permettersi di studiare o di viaggiare.

L’illustrazione scientificaNella diffusione del gusto per l’antico e le opere dei grandi maestri, assunse un ruolo determinante l’uso dell’incisione nella riproduzione delle opere d’arte. A queste riproduzioni veniva richiesta non una fedeltà “fotografica”, ma piuttosto una “traduzione” in cui emergesse l’intelligenza interpretativa dell’incisore. Come Francesco Milizia affermava nel suo “Dizionario delle belle arti del disegno” , la mancanza del colore non rappresentava un limite alla “traduzione” a stampa poiché i valori cromatici del dipinto potevano essere resi con il chiaroscuro. A difesa della riproduzione a stampa si schierò anche Wetelet, che nel suo diffusissimo “Dizionario delle arti della pittura, scultura e incisione”, analizzando le diverse tecniche incisorie in relazione ai diversi generi pittorici, dimostra come ogni peculiarità dell’originale possa essere resa da un corrispondente procedimento tecnico nella stampa. In definitiva, l’incisione è utilizzata con la consapevolezza che essa rappresenta uno strumento molto libero e interpretativo via c’ dell’opera d’arte presa a modello, ma tale da permettere di giungere facilmente alla ricostruzione mentale dell’opera tradotta. Dunque era salvo il valore culturale di una conoscenza ottenuta sovrapponendo più riproduzioni, di più autori e di più dimensioni. La libertà interpretativa è dunque lo strumento con il quale si diffonde la conoscenza dell’opera d’arte e sul quale si basa la critica settecentesca per impostare una nuova sistemazione storiografica partendo da confronti stilistici. Sempre di più l’incisione di opere d’arte diventa esplicitamente documentaria e utilizzata per fini scientifici, abbandonando il precedente circuito di collezionisti e amatori. Viene riconosciuta alle stampe la capacità di far conoscere i differenti stili delle scuole artistiche, nonostante la ristrettezza dei mezzi espressivi a disposizione. È tuttavia evidente che questo ottimistico atteggiamento era reso possibile perché teorici e incisori si rivolgevano a un pubblico preparato a riconoscere nei tratteggi, nei chiaroscuri, nelle linee delle incisioni, precisi riferimenti a particolari tecniche e qualità pittoriche.

I GessiProgressivamente però la libertà interpretativa dell’incisore viene limitata per lasciare spazio alla crescente esigenza di una documentazione figurativa fondata su criteri rigorosamente oggettivi. Questa nuova fase si dimostra nel passaggio all’impiego di un incisione a contorni semplici, senza l’uso del tratteggio e degli effetti chiaroscurali. Nella purezza del disegno, nella precisione della composizione e nella “convenienza” delle espressioni si intendeva salvaguardare le qualità essenziali delle opere d’arte. Tuttavia c’era la consapevolezza che la stampa era e sarebbe sempre stata una convenzione riduttiva rispetto al modello. Per ovviare a questa riproduzione parziale e insoddisfacente, il critico contrapponeva, dimostrandone l’aderenza all’originale, i gessi, che si ponevano con le statue nel rapporto di fedeltà che la pittura non poteva richiedere alle incisioni. La fiducia nel valore didattico dei gessi era da tempo assodata, ma le dottrine neoclassiche si spinsero

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fino ad attribuire ai calchi una superiorità pedagogica rispetto all’originale. Molti teorici neoclassici, tra cui Etienne Falconet, ritenevano che l’apprendimento passasse attraverso la lettura puntuale dell’opera d’arte, evittando il colpo d’occhio e il coinvolgimento emotivo. Poter osservare mantenendo il “sangue freddo” era possibile solamente con una copia, poiché la visione diretta dei pezzi antichi poteva turbare il giudizio e la comprensione. Viene pertanto ribadita con forza la necessità del filtro della ragione, che in questo caso diviene una rigida gabbia, in cui si perde l’unicità del manufatto artistico per poter apprendere l’insegnamento degli antichi maestri. Filtro che appare perfettamente incarnato dal candore del gesso che fissa il profilo degli oggetti, esaltandone la linea e contemporaneamente depurandoli da ogni elemento “accidentale”, legato all’unicità dell’opera, che potrebbe distogliere dall’unicità dell’opera.

La riproduzione al servizio dell’ideologiaAl contrario delle riproduzioni artistiche a carattere istruttivo e didascalico ecco che invece quelle a fine politico sono caratterizzate da un coinvolgimento emotivo. Se per la conoscenza scientifica, lo studio e l’imitazione dell’antico, la funzione educativa dell’arte richiede un preciso approccio razionale, non viziato dal sentimento, l’intento didattico o di propaganda richiede immagini che tocchino la sfera dei sentimenti e delle emozioni. La coesistenza di strumenti razionali con l’esplicito richiamo alla sensibilità nell’intento di “istruire” attraverso l’opera d’arte era una necessità già considerata dagli enciclopedisti. La potenza del sentimento quale strumento d’educazione morale e civica è dunque esplicitamente riconosciuta nelle riproduzioni a carattere sociale e, successivamente politico. Potenza che viene individuata non tanto nella tecnica esecutiva quanto nel soggetto prescelto e nel modo di rappresentarlo. Si vuole la nascita di un iconografia rivoluzionaria, le immagini che più chiaramente incarnano lo spirito e il messaggio della rivoluzione sono incessantemente riprodotte nella piena consapevolezza della loro importanza nella propaganda politica.

La riproduzione dei disegni progettualiNella seconda metà del ‘700 in Europa si sviluppa e si diffonde l’editoria destinata a far conoscere i disegni dei più famosi arredatori ed ebanisti. Un’editoria rivolta non solo ai committenti, ma anche agli artigiani che attingevano i propri modelli da tale repertorio. Questa doppia catena di fruitori spinge i disegnatori e gli incisori ad adottare una tecnica estremamente semplice, in grado di riprodurre sia la visione d’insieme,sia un particolare tecnico o decorativo. Questo tipo di incisioni legate alla descrizione del mobilio non costituiva una novità, ma le pubblicazioni ricche di tali immagini, in cui i singoli pezzi si alternano alla descrizione delle stanze che li contengono, diventano sempre più frequenti. Si tratta di volumi che si presentano come veri e propri manuali del “gusto”, nei quali le incisioni devono essere in grado di mostrare razionalmente la disposizione dell’arredo e al tempo stesso ogni più minuto motivo decorativo.

Il periodo napoleonicoIn età napoleonica, il mito dell’antichità, che era stato l’ispiratore di generazioni di artisti che vi avevano riconosciuto la sintesi del Bello e lo specchio di virtù morali, sopravvive: ma l’antichità non è più rievocata con intendo educativo, ma propagandistico e celebrativo. Nel momento in cui i simboli si staccano dal significato originario con i quali gli artisti neoclassici li avevano ripresi, ecco che le tendenze decorative prendono il soppravvento sulla volontà di essenzialità formale. La moltiplicazione di tali motivi fa scadere il simbolo a puro motivo decorativo. D’altro lato cresce la

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richiesta di immagini che esprimano e sollecitino sentimenti ed emozioni di carattere più intimo ed individuale. Il tormento interiore, la meditazione sull’aldilà e sull’incommensurabile, che avevano già trovato espressione nella tematica del settecentesca del sublime, si manifestano in maniera sempre più chiara e perentoria, affiancandosi a un rinato e diffuso sentimento religioso. Prémier peintre di Napolone è David che , tra il 1805 e il 1807 dipinge l’enorme tela raffigurante l’incoronazione di napoleone e Giuseppina avvenuta in Notre-Dame nel 1804. Il soggetto non è un evento passato narrato come insegnamento per i moderni: il fatto storico è contemporaneo e l’intento è quello di consegnare ai posteri un’immagine apologetica e quasi sacrale. David rinuncia all’essenzialità compositiva di Marat morto o il Giuramento degli Orazi, indulgendo nella descrizione di elementi spettacolari e rituali con ricerca di effetti grandiosi e di sonorità cromatica. Il recupero storia antica appare ormai inadeguato ai nuovi compiti affidati agli artisti, rivolti alla rappresentazione di eventi contemporanei, che richiedono perciò di essere presentati con tono epico.

Antoine-Jean GrosLe rappresentazioni delle battaglie ed eventi contemporanei, che mettono in profonda crisi artisti già maturi, ancora legati a temi tratti dall’antico vedono il successo di artisti giovani come Antoine-Jean Gros. Allievo di David, Gros opera il superamento del classicismo del maestro con una visione della storia drammatica, umana, spesso antieroica, in antitesi con la composta eroicità degli eroi davidiani. Ne gli appestai di Jaffa, crea un’opera che, per drammaticità compositiva e violenza cromatica, supera ormai i limiti dell’ordine classico e vi introduce la cruda rappresentazione della malattia, che diviene anch’essa funzionale all’apologia delle virtù del monarca: Napoleone, raffigurato mentre sfiora la piaga di un appestato, è esaltato per la sua umanità, qualità che in un preciso programma iconografico studiato da Dominique Vivant-Denon, doveva essere celebrata a fianco della magnanimità, della capacità di comando e della gloria dell’imperatore. L’intento è quello di realizzare un ciclo celebrativo completo, da contrapporre alle gesta degli imperatori romani.

François GérardProveniente dalla scuola di David, la sua produzione perde il riferimento ideologico: Le opere antiche costituiscono solamente un interessante repertorio dal quale trarre motivi interessanti per composizioni raffinate ed eleganti. Nel “Cupido e Psiche” si torna a vedere l’antichità come fonte di miti piuttosto che esempio di virtù morali e civiche. La composizione deriva dal gruppo del Canova, ma con un tono da aneddoto galante che muta la “grazia” in leziosità.

Jean-Auguste-Dominique IngresRicerca nuove possibilità costruttive ed espressive della linea, anteposta al colore e alla composizione spaziale. Allievo di David , Ingres sviluppa il gusto per il disegno purista e arcaicizzante che era stato Flaxman. Nel “Giove e Teti” gli viene contestata l’attenzione ai valori lineari a scapito di un’accentuata profondità spaziale e cromatica, valori che saranno alla base del suo successivo enorme successo.

Anne-Louis-Girodet-TriosonCompie la sua formazione nell’atélier di David, ed esordisce con quadri neoclassici moraleggianti. Ben presto avverte l’influenza dell’ambiente culturale nato dal rinnovato sentimento religioso che trova il proprio vate nello scrittore François-René de Chateaubriand, autore del famosissimo “Génie du Christianisme”. Ispirandosi ad un altro romanzo di quest’ultimo, Girodet-Trioson dipinse la

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Dall’illuminismo all’età neoclassica

“Deposizione di Atala nella tomba”: il fascino di un mondo primitivo, fonte di turbamenti e sentimenti non controllati dall’intelletto, domina l’opera in cui è ormai scomparsa la grave e composta serietà dei personaggi davidiani. La vera rottura con gli insegnamenti del maestro arriva tuttavia con Ossian riceve nel Wahalla i generali della repubblica. Siamo lontani da un’arte governata dall’ordine e dall’armonia nella ricerca della “quieta grandezza” teorizzata dal Winckelmann. Ossian è rappresentato come un cantore del misterioso e del soprannaturale che accoglie gli eroi della repubblica francese in un turbinio di aquile, spiriti di eroi del passato, immagini legate a un’idea di religione non chiaramente identificabile, ma di grande suggestione e soprattutto di grande effetto.

L’immagine dell’imperoAnche l’urbanistica e l’architettura cittadine assumono un compito celebrativo rispetto all’impero, in linea con quanto accaduto dopo la rivoluzione. Le strutture architettoniche immaginate per rispondere a queste aspettative sono i monumenti commemorativi e gli edifici pubblici di comune utilità. Il clima dei decenni successivi sarà quello di una forte tensione utopistica.

Esempi di architetture celebrative1806-1810: l’Arc du Carrousel in marmi policromi, su disegni degli architetti Charles Percier e Pierre-Franòois Fontaine, quasi una rielaborazione arricchita di statue e bassorilievi dell’arco trionfale di Settimio Severo. Degli stessi anni è anche la colonna di Austerlitz in Place Vendôme opera di Jacques Gondoin e J.B. Lepère, anch’essa ispirata a un modello imperiale romano, la colonna traiana. Il fusto della colonna parigina è rivestito di rilievi bronzei che narrano le imprese di Napoleone ed è sormontato da una statua di Napoleone Bonaparte nelle vesti di nuovo imperatore romano. Anche i nuovi quartieri del Louvre e delle Tuileries, uniti dalla Rue de Rivoli aperta appositamente e arricchita con palazzi ad arcate, opera degli architetti Percier e Fontaine, rientrano nel progetto di connotare la città con spazi e luoghi capaci di rispondere alle emergenti esigenze cerimoniali e di rappresentanza. Interessanti sono i casi del periodo post-rivoluzionario in cui si è passati attraverso un’esperienza architettonica illuminista, ma non rivoluzionaria, come per esempio Milano, che deve ora assumere l’aspetto di capitale della Repubblica cisalpina, poi repubblica Italiana e infine Regno d’Italia. Nuove istituzioni e attrezzature civili devono sottolineare la partecipazione della popolazione alla vita pubblica e al contempo devono rispondere alle esigenze di un’autonomia amministrativa che vede molto accresciuto il numero dei funzionari statali. Si ha un potenziamento dell’immagine di rappresentanza: si progettano nuove piazze, si propone la ristrutturazione della piazza del Duomo e il completamento della cattedrale. Per quest’area Giovanni Antolini, idea il Foro Bonaparte, il più prestigioso progetto dell’epoca: prendendo ispirazione dallo spazio civico per eccellenza della Roma Repubblicana, l’architetto studia un’area destinata a diventare il nuovo centro della vita politica, civile, culturale e commerciale della città. L’enorme cerchio di edifici avrebbe dovuto ospitare le attrezzature necessarie alla crescente burocrazia dello Stato, oltre a luoghi pubblici come il teatro, le terme, il museo. Accanto alle istituzioni della nuova repubblica, erano previsti spazi per le attività commerciali, con grandi magazzini serviti da un canale navigabile raccordato ai navigli. Nella progettazione architettonica Antolini riprende esperienza francesi del decennio precedente ( Ledoux): grandi masse con accentuati contrasti di luci e ombre, sobrietà ed essenzialità della decorazione. Il progetto rimane però sulla carta. La svolta politica dei Comizi di Lione e la

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Dall’illuminismo all’età neoclassica

costituzione della repubblica italiana con l’appoggio dell’ala più conservatrice pongono fine alle speranze di un totale rinnovamento sociale e politico di Milano, così come bloccano i grandiosi progetti degli architetti più esplicitamente legati alle idee giacobine. Successivamente la caduta della repubblica e poi del regno italico impedirà l’attuazione del piano regolatore, le cui indicazioni verranno riprese nel successivo sviluppo ottocentesco della città.

Lo stile imperoBenché l’impero napoleonico sia durato solamente 10 anni, si tende ad identificare lo stile impero con un periodo assai più vasto, a partire dall’inizio della collaborazione degli architetti e decoratori Charles Percier e Pierre-Franòois Fontaine, fino a tutta la prima metà dell’800. La prima importante manifestazione di tale stile si ebbe nella casa del banchiere Récamier. La direzione dei lavori fu affidata all’architetto Louis-Martin Berthault, ma i disegni furono forniti da Charles Percier. La camera da letto di Madame Récamier divenne una delle attrazioni di Parigi: la stanza era arredata con oggetti ispirati all’antico, collocati in un contesto decorativo moderno. Il letto arricchito con cigni dorati, che diventeranno uno dei motivi ornamentali preferiti da Percier e Fontaine, e i comodini su cui poggiano una fioriera e una lampada ripresa da un modello romano, sono eseguiti in mogano e hanno una struttura possente, per quanto ingentilita da ricche dorature. Sul letto ricadono ampi tendaggi e anche le pareti , non più dipinte, sono arricchite da tappezzerie. Percier e Fontaine condividevano una formazione artistica classica: insieme avevano studiato a Roman acquisendo una diretta conoscenza dei monumenti antichi e rinascimentali. L’incarico alla Malmaison fornisce loro l’occasione per mettere a punto il nuovo stile: il bureau dell’imperatrice, immaginato come un arco di trionfo con un fregio decorato sorretto da vittorie alate scolpite, diventa l’immagine del nuovo gusto impero. Percier, progettista delle decorazioni, rifornisce di disegni gli orafi, la manifattura di Sèvres, i fabbricanti di stoffe e di mobili: in un periodo connotato sempre più dall’assolutismo napoleonico lo stile si diffonde rapidamente e grazie alla raccolta pubblicata nel 1801, raccolta delle decorazioni… scompaiono le forme di arredo non allineato al gusto impero. Le incisioni della raccolta, propongono una serie di forme separate, copiabili non tanto nella consistenza materica o per il loro inserimento in ambienti chiaramente indicati, quanto per il loro impianto decorativo. Per la prima volta appare uno stile di arredamento svincolato da quello architettonico. Il loro disegno elegante e manierato riproduce interni grandiosi, ma abbastanza intimi, che vengono sovente copiati molto liberamente. Percier e Fontaine non sono infatti degli ebanisti, ma progettisti che non seguono una procedura di produzione controllabile nelle varie fasi. Per la realizzazione dei loro mobili si affidano alla bottega della famiglia Jacob. Tuttavia ben presto la profusione di motivi zoomorfi e trionfali porta ad un’esplicita svalutazione annullamento di significato dei simboli utilizzati.