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Debussy Simbolismo

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 TESTO DI FRANÇOIS LESURE 

Sono stati i membri dell'Institut de France a qualificare per la primavolta fin dal 1897 - col termine di impressionista la musica di ClaudeDebussy. Essi catalogavano così Printemps, il secondo invio da Roma

del musicista, essendo quel qualificativo nel loro spirito quasi sinonimodi anarchico. Cinque anni prima, Renoir, raccontando a un amico ilsuo incontro con Wagner a Palermo, scrive queste parolestupefacenti: «Abbiamo parlato degli impressionisti della musica»,termine che aveva certamente un significato molto differente daquello datogli dagli accademici. Era l'inizio d'un malinteso che sarebbedurato quasi fino ai nosti giorni. 

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Lo stesso Debussy ha tentato parecchie volte di contestare questaetichetta. Prima ancora di Pelléas, Monsieur Croche (pseudonimo concui Debussy firmava le sue critiche musicali) prendeva in giro queigiornalisti che avevano l'abitudine di qualificare poeti, pittori e

musicisti d'avanguardia come simbolisti o impressionisti: «terminicomodi per disprezzare il proprio simile». E, ancora più nettamente,descrivendo il suo sforzo creativo nelle Images per orchestra,confidava al suo editore: «tento di fare 'qualcosa d'altro', in qualchemodo dalle realtà - ciò che gli imbecilli chiamano impressionismo,termine adoperato come peggio non si potrebbe...» (1908). Si è vistoche l'abitudine di associare la sua musica con la pittura veniva dalontano. Essa era in certo modo di continuo suggerita dai titoli«pittoreschi» ch'egli dava alle sue opere: Arabesques, Images,

Estampes, ecc. Uno dei suoi primi concerti, dato a Bruxelles nel1894, orientò naturalmente verso paragoni di questo genere certicritici, più inclini a soddisfarsi di impressioni superficiali che a coglierele novità del linguaggio musicale: tre sue opere erano infatti eseguitenel quadro d'un'esposizione organizzata dalla Libre Esthétique diOctave Maus, che riuniva tele di Renoir, Gauguin, Redon, Sisley,Pissaro, Signac e M. Denis. Uno dei critici trovò al Quatuor diDebussy una parentela con «le tele dei neo-nipponizzanti diMontmartre», un altro ne lodava l'impressionismo. 

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Vennero i Nocturnes: «non si saprebbe immaginare, scrive Jeand'Udine, sinfonia più sottilmente impressionista», mentre per il meglioinformato Alfred Bruneau «queste composizioni evocano il ricordodegli strani, delicati e vibranti Nocturnes di Whistler».

La formula ebbe soprattutto accoglienza dopo La mer. Anche quandosi trovava in viaggio all'estero, era perseguitato da ragionamentianaloghi. Sorpreso dal suo aspetto fisico, un critico viennese, nel1910, lo chiama «der Klimt der Musik» oppure «uno schizzo in biancoe nero di Beardsley», aggiungendo: «Per descrivere la sua arte,bisogna di continuo far riferimento all'arte pittorica».Quando Debussy tentò lui stesso di reagire - ponendo, per esempio, ititoli stampati in corpo piccolo alla fine di ciascuno dei suoi Préludes per piano - era troppo tardi. Sorprendente è che, molto dopo la morte

del musicista, l'etichetta continuò ad essergli applicata, limitandochiaramente il suo apporto alle apparenze ingannevoli di certe sueopere. E anche oggi nonostante gli sforzi di diversi analisti, non c'èmanuale di storia della musica che non ne faccia il capofila d'unaproblematica «scuola impressionista».Un'esposizione sembra essere il mezzo più idoneo per dissolverequesto troppo lungo malinteso. Si tratta qui di mostrare quale fu ilgusto di Debussy nel campo delle arti plastiche, in quali ambienti eglisi sviluppò durante il periodo della sua formazione e, all'occorrenza,

quali relazioni si possono scoprire tra la natura delle sue composizionie quella dei dipinti di cui recepì le lezioni. A questo programma èopportuno aggiungere subito un'avvertenza: noi non abbiamo cercatodi stabilire delle corrispondenze soggettive, tra forme d'arte irriducibilifra loro, né proporre delle «equivalenze» tra una delle sue opere e uncerto dipinto a lui caro, né tanto meno sostituire per qualificarloun'etichetta con un'altra. Ciò che questa esposizione vuol mettere inchiaro, è l'appartenenza di Debussy al movimento simbolista. 

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Certi biografi di Debussy hanno voluto vedere un interventostraordinariamente precoce della pittura nella sua formazione: eglisarebbe stato impressionato verso l'età di sei anni, dalla collezione diquadri del suo padrino Achille Arosa. Non c'è bisogno tuttavia di

questa ipotesi azzardata per mostrare che i suoi gusti artistici simanifestarono presto: basta ricordare l'attaccamento per la suatavolozza di pittore che conservava fin dall'infanzia. Cominciò colritagliare dal Monde illustré riproduzioni di quadri celebri con cuiornava la sua stanza: «I suoi genitori non sono ricchi, scrive PaulVidal nel 1884; invece di impiegare il denaro delle sue lezioni peraiutarli, acquista libri nuovi o gingilli, acqueforti, ecc. Sua madre mene ha mostrati alcuni cassetti pieni».Egli conservò per tutta la vita una predilezione per la tipografia di

lusso, mostrandosi esigente per l'impaginazione delle sue edizionirichiedendo come un esperto, la dosatura degli ori o dei «bei neri».Lui stesso disegnava di tanto in tanto, benché siano rimaste solo duemodeste testimonianze che si uniscono alla copertina da lui concepitaper l'edizione di Children's corner: un rapido abbozzo per una scenadi Pelléas e un disegno quasi Nabi che qui verrà esposto. Durante ilsuo soggiorno romano, egli proferisce il famoso paradosso: «Ne hoabbastanza della musica, di questo stesso eterno paesaggio, vogliovedere qualche Manet e ascoltare dell'Offenbach». I suoi gusti erano

sufficientemente conosciuti dai suoi intimi perché Louis Laloy, il suoprimo biografo, rivelasse fin dal 1909: «le più proficue lezioni non glisono venute dai musicisti, ma dai poeti e dai pittori».Unendo i ricordi di R. Godet e di René Peter, si giunge a intravvederela vastità delle relazioni intessute nei caffè da un giovane musicistareputato ciò nonostante insocievole. Da Pousset: L.W. Hawkins, cheesponeva presso la setta dei Rose-Croix e disgraziatamente nonrealizzò il suo progetto di ritratto di Debussy; da Weber: Paul Robert,detto il Don Giovanni di chez Maxim, Jean-Louis Forain, Maxime

Dethomas; da Thommen: Georges Lorin, pittore e poeta, JeanCarriès, modellatore di vasi, il pittore Raphael Coffin, che illustrò lesChansons de Bilitis, e lo scultore J.A. Injalbert, presso i qualiDebussy prendeva coscienza dei problemi tecnici della creazione; allalocanda del Chiodo: Marceffin Desboutins e Georges de Fleure, ilpittore della donna perversa e dei fregi intrecciati. Nello studio delpaesaggista Félix Bouchor, fratello di Maurice il poeta, Debussy fa laconoscenza di Georges Rochegrosse, genero di Théodore de Banville,così largamente musicato da lui per la voce di Marie Blanche Vasnier. 

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Da René Peter incontra Sinibaldi, a Montmartre Ad. Willette, cheillustra la copertina del suo Mandoline. E una sera al Moulinrouge, ilsuo amico Chansarel gli presenta Toulouse-Lautrec. Inoltre sappiamoch'egli ebbe contatti con Rodin, che probabilmente conobbe Whistler

in casa di Mallarmé o da Bailly, che O. Redon gli offrì una litografial'indomani della prima esecuzione de La Damoiselle élue. In queglianni, durante i quali si plasma lentamente il suo linguaggio musicale,Debussy segue da molto vicino le correnti artistiche. Si sprofondanella lettura di riviste come Pan, di cui la maggior parte deicollaboratori sono simbolisti e che gli fa conoscere le riproduzioni di F.Khnopff, Max Klinger, Vallotton, W. Crane e di Ed. Munch. Egliapprofondisce la sua cultura. Un amico di Pierre Louys lo descrive alLouvre, affascinato da Giove e Antiope del Tiziano: «a capo

scoperto, gli occhi fissi, chinando in avanti la sua grande fronte aforma convessa, come se volesse cogliere sull'acqua e sul pianoerboso del paesaggio divino fino alle supreme cadenze della montagnaazzurra all'orizzonte, i suoni e gli echi del corno da caccia». Nel 1892,egli va con l'amico Robert Godet a vedere in rue Alain Chartierun'opera di Henri De Groux, che era stata da poco rifiutata al salondel Champ-deMars, nonostante l'appoggio di Puvis de Chavannes: LeChrist aux outrages. In casa di un suo nuovo amico, Ernest Chausson,in Boulevard de Courcelles, ammira dipinti di Monet, Degas, M. Denis,

O. Redon, Puvis de Chavannes, Albert Besnard ed E. Carrière, alcunidei quali sono suoi conoscenti: suo cognato, il pittore Henri Lerolle, ilquale pratica anche la musica, entra nell'intimità di Debussy (che neavrebbe corteggiato la figlia, Yvonne) e si meraviglia dei primi abbozzidi Pelléas. I suoi amici Fontaine (Arthur e Lucien), per i quali diventaper un periodo direttore d'un piccolo coro di dilettanti, sono grandiamatori di pittura e talvolta ricevono Vuillard. Uno dei rari salotti dalui frequentati è quello di Mme de Saint-Marceau, moglie d'unoscultore molto coronato. Infine, verso il 1896, Debussy chiede invano

in moglie Catherine Stevens, figlia di Alfred, il «pittore dei bigliettid'amore», presso il quale egli pranzava frequentemente.

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Più decisivo, dal punto di vista che ci interessa, fu l'incontro conCamille Claudel, sorella del poeta. Fra loro vi fu subito un'intesa sualcuni punti essenziali: profonda ammirazione per Degas, indifferenzao dubbio di fronte agli impressionisti divenuti invadenti, ammirazione

per i giapponesi e soprattutto per la Manga di Hokusai. Debussy furealmente impressionato dalla scultura intimista della giovane allievadi Rodin, che, esprimendosi attraverso l'abbozzo, in esso concentravail suo potere di evocazione.È sorprendente che nessuno degli intimi di Debussy abbia pensato adirci quali dipinti, quali sculture essi videro nelle dimore successive delmusicista. Godet ci fa soltanto sapere che la Valse di Camille Claudelrimase fino alla morte del musicista sul suo tavolo di lavoro e unafotografia ci mostra due stampe giapponesi sui suoi muri, fra cui la

Vague di Hokusai. Ma ecco che le memorie, di recente pubblicated'una delle sue molte rare allieve di pianoforte, Mme Worms deRomilly, ce ne rivelano qualcosa di più: «la pittura esercitava unagrande attrazione su di lui - essa scrive -. Amava visitare i musei, leesposizioni d'arte, e aveva una predilezione per i paesaggi del pittorescandinavo Frits Thaulov e per Claude Monet». Anche se i ricordi,tardivamente redatti, di questa signora del bel mondo possono essereconsiderati con diffidenza per quel che riguarda Monet, l'allusione alnorvegese Thaulov, il buon gigante amico di Camille Claudel, il quale

aveva fatto venire Edvard Munch a Parigi, non ha potuto essereinventata da lei. Più avanti, essa precisa che in rue Cardinet -l'appartamento decorato in stile Art nouveau che Debussy abitò dal1898 al 1904 - vide quadri di Lerolle, J.E. Blanche e Thaulov. Essa è lasola, infine, che abbia riferito questo ragionamento singolare:«Debussy rimpianse sempre di non essersi dedicato alla pittura inveceche alla musica». 

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Un po' dopo il 1895, Debussy ebbe l'idea di scrivere - in un primotempo in collaborazione con René Peter - una specie di commedia achiave, les Frères en art (F.E.A.) i Fratelli in arte - mettendo inscena alcuni critici, pittori e musicisti. Il suo tema era la fondazione

d'una società di artisti desiderosi di gestire loro stessi le loro opere,senza passare per gli intermediari. Benché il manoscritto ne sia ingran parte rimasto inedito, si sa che esso contiene allusioni a Monet,Rodin, e Ruskin e che il suo tono - che talvolta rivela Monsieur Croche- era ironico e di tendenza anarchica. Non si è potuto tuttaviagiungere a distinguere la vera identità dei personaggi messi in scena,quali il pittore Talencet, lo scultore Rabaud e il musicista Valady, nonpiù del critico d'arte Redburne, inglese. Ma un pittore denominatoMaltravers si fa gioco del «modern style»... che consiste nell'imporre

sedie aggressive, mobili che incutono paura ai bambini, carte daparati che gettano negli incubi').Quale musicista ha maggiormente fatto parte di un ambienteartistico? Se qualcuno volesse stabilire un'agenda completa delle suerelazioni con gli artisti, l'elenco supererebbe largamente venticinquenomi. Debussy sapeva fin dagli anni del Conservatorio che aveva daimparare più da loro che dai musicisti, e il clima bohème degli studidei pittori gli sembrava più favorevole alla creazione dell'atmosferaristretta che si respirava presso i giovani compositori, ossessionati

dalla carriera. «Voi non progredite, diceva a costoro Monsieur Croche,perché voi conoscete solo la musica e obbedite a leggi barbare...». Atutti questi fatti bisogna aggiungere che tre sue opere sono statededicate ad altrettanti artisti: una ad Alexandre Charpentier (primadella seconda serie delle Images per piano) e ad Henri Lerolle(quarta delle Proses lyriques), una infine a Jacques-Emile Blanche(Estampes per piano), il ritrattista alla moda, che, dopo aver dipintola prima donna della sua vita, gli fece due volte il 'ritratto. Nei suoiricordi Blanche riferisce che dopo Pelléas, Debussy gli avrebbe anche

chiesto di scrivere per lui un «dramma cosmogonico». 

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Per le sue preferenze più profonde, Debussy aderì al simbolismo. Lasua etica è, in modo evidente, conforme a quella del grupposimbolista, le cui idee estetiche sono d'altronde lontane dalconvergere verso quelle di una scuola: egli detesta i realisti e i

naturalisti, respinge le dottrine a priori, coltiva l'ascesi dell'arte e nericerca la sostanza nella sua sola sensibilità; predilige gli oggetti rari epreziosi, frequenta i caffè nei quali alcuni gruppuscoli moltiplicano gliscambi più foffi e fondano riviste effimere, si stabilisce decisamente inuna carriera pericolosa quasi senza pubblico, sdegna il suffragiopopolare ed è fiero delle stroncature dei critici ufficiali. Infine, comecerti simbolisti, sembra essere stato sedotto dall'ermetismo di cui laLibrairie de l'art indépendant era uno dei centri più attivi. Duesostenitori dell'esoterismo - Jules Bois e Victor-Emile Michelet - gli

chiesero di scrivere musica di scena ed è noto che Debussy tentò dimusicare una scena di Axel dell'occultista Villiers de l'Isle-Adam. Equesto sufficiente per confermare recentissime analisi di Roy Howat,che scoprono nella Isle joyeuse e in La mer tecniche proporzionalinascoste? La domanda è ormai posta. 

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 L'anno 1886 - il musicista ha allora 24 anni - fu allo stesso tempoquello dell'ultima esposizione impressionista e del manifesto di JeanMoréas, col quale si usa indicare l'inizio ufficiale del simbolismo.L'amore verso il preraffaeffiti, verso Gustave Moreau, verso igiapponesi, per Whistler e, nel campo letterario, per Edgar Poe, perVilhers de l'Isle Adam, per Huysmans e per Maeterlinck divennepresto il vangelo di Debussy come di ogni simbolista. Soli, alcunimusicologi hanno potuto stupirsi delle curiosità del nostro giovanecompositore. Le sue predilezioni che potrebbero sembrarerelativamente più personali sono per Jules Laforgue, il cui tono è cosìvicino al suo temperamento, e per Turner, che fa parte del suouniverso fin dal 1891 e nel quale vedrà sempre «il più bel creatore dimistero che ci sia in arte» - quel Turner che gli impressionisti finironocol rifiutare -. 

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 La musica era allora al centro di tutte le aspirazioni. A imitazione diVerlaine, René Ghil e soprattutto Mallarmé hanno sostenuto l'idead'una musicalizzazione della poesia, mentre Redor si diceva«musicista» e situava la musica così come i suoi stessi disegni «nelmondo ambiguo dell'indefinito», mentre Whistler dava alle proprie teletitoli di forme musicali. È caratteristico veder descritto dalla penna

dello spagnolo Santiago Rusinol l'ideale in musica d'un giovane pittoredel 1890: «Realizzare musicalmente ciò che Puvis de Chavannes hacompiuto in pittura, cioè giungere in arte a una semplificazioneestrema..., penetrare la propria opera d'un non so che d'indefinito chepermetta all'ascoltatore di seguire, secondo il proprio stato d'animo, ilcammino che gli è stato tracciato...».Ma per tutta questa generazione, Wagner sembrava come il puntod'incontro. Non c'erano mal stati tanti scrittori e pittori ai concertiLamoureux: quel desiderio d'arte totale, dipinto in uno specchio

leggermente deformante dai sacerdoti della Revue Wagnérienne,affascinava i simbolisti. Debussy fu in un primo tempo preso in questacorrente, poi, dopo il suo soggiorno a Bayreuth (1889), se ne distaccò

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al punto di passare per un bestemmiatore presso i suoi amici di allora.Quante lotte verbali egli dovette sostenere per convincere costoro cheWagner non poteva essere una fonte del rinnovamento della musica,quante coscienza ha dovuto turbare parlando dell'«isteria

grandiloquente» del riformatore di Bayreuth!Colui che restava il più lucido era Mallarmé. Riservato quantoall'importanza del wagnerismo, sospettoso riguardo alla fusione dellearti, egli si pronuncia per il primato della poesia e vuole «restituire lasua qualità precipua» alla musica. L'atteggiamento di Debussy difronte alle arti plastiche è da avvicinare a quello di Mallarmé di frontealla musica: «lo si vedeva concentrarsi, nota Paul Valéry, non adascoltare la musica per se stessa, quanto a tentare di farne suoi isegreti. Lo si vedeva, lapis fra le dita, prender nota di ciò che riteneva

giovevole alla poesia nella musica, cercando di estrarne alcuni tipi dirapporti che potessero essere trasportati nel campo del linguaggio». Ilcomportamento di Debussy è analogo, anche se - con totalenaturalezza - il primato appartiene per lui alla musica: «i pittori e gliscultori, egli scrive, possono darci della bellezza dell'universo soltantoun'interpretazione piuttosto libera e sempre frammentaria. Essicolgono e fissano soltanto uno dei suoi aspetti, uno soltanto dei suoiistanti; soli, i musicisti hanno il privilegio di captare tutta la poesiadella notte e del giorno, della terra e del cielo, di ricostruirne

l'atmosfera e di ritmarne l'immensa palpitazione». 

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 È stato giustamente notato che Debussy si avvicinò spesso ai problemimusicali con un vocabolario plastico... proprio come Monsieur Crocheche «parlava di una partitura come di un quadro. Così, per vantare ilcolore orchestrale di Parsifal, egli afferma, che esso sembrailluminato da dietro. Egli utilizza volentieri il termine «arabesco» perqualificare musiche molto diverse che vanno dal canto gregoriano allamusica giavanese, passando per J.S. Bach. L'espressione che siincontra tanto in Gustave Moreau che in Maurice Denis, si riallaccia aiteorici dell'Art Nouveau. Essa suggerisce, nello spirito del musicista,un'arte priva di lirismo soggettivo, di un'infinita libertà, una nuovaconcezione dello spazio sonoro senza alcun a priori. Ciò che, nei suoiragionamenti, evoca ancora lo spazio, è quello ch'egli chiama aproposito di opere orchestrali, l'«assestamento sonoro»; una specie dirazionalizzazione del tempo musicale, in cui le possibilità di ogni

strumento sono utilizzate per se stesse in vista di disporre le zonedelle ombre e della luce, dove la dinamica e l'articolazione partecipano

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minuziosamente alla bellezza del suono.Là dove si tocca più da vicino la contesa simbolismo-impressionismo,è a proposito del sentimento della natura. Debussy pittore dellanatura è stato e resta generalmente capito male. Il giorno dopo la

prima de La mer, uno dei grandi critici di quell'epoca, Pierre Lab,condannò l'opera perché aveva avuto «l'impressione d'essere non difronte alla natura, ma ad una riproduzione della natura». Il musicistagli aveva risposto che non tutte le orecchie sentono allo stesso modo:«voi difendete, affermava, tradizioni che secondo me non esistonopiù«. E chiaro che, da buon simbolista, cercava di esprimere nonl'immagine stessa, ma il ricordo che ne aveva; egli componeva dinuovo le emozioni provate davanti ad essa. 

Debussy cerca nella sua musica di scoprire «le corrispondenzemisteriose fra la Natura e l'immaginazione». In una lettera scritta aMessager dal suo piccolo villaggio della Yonne, confermava il suopunto di vista con spirito: «ho scritto tre brani per piano dei quali ioamo soprattutto i titoli, eccoli: Pagodes, La Soirée dans Grenade,Jardin sous la pluie. Quando non si hanno i mezzi per pagarsi deiviaggi, bisogna supplirvi con l'immaginazione». Non era Van Gogh che

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scriveva da Arles: «Non ho bisogno dell'arte giapponese, poiché midico sempre che qui io sono in Giappone»? 

La svolta decisiva dell'evoluzione di Debussy avviene tra Pelléas e LaMer. Avendo dominato il proprio linguaggio, egli trova ormai in sestesso - e soltanto in se stesso - le fonti del suo sviluppo. Non ch'eglisi fermi ai movimenti artistici e letterari successivi ab simbolismo, maegli non ha più il medesimo bisogno di contesto creativo dei suoi anni

di formazione. Il Debussy della maturità - libero da Wagner comedalle forme a priori - sembra chiudersi su se stesso. Lui che avevaattinto - anche al secondo grado - alle fonti inglesi, spagnole, russe odell'Estremo Oriente, moltiplica i temi nazionalisti. È caratteristico chenel momento in cui rinnova la scrittura pianistica e sviluppa con Jeux gli elementi d'un nuovo linguaggio musicale, la sua corrispondenzanon menziona più idoli plastici o poetiche nuove. Senza dubbio eglitrova ancora il tempo di uscire dal suo rifugio borghese del Bois deBoulogne per andare da Durand-Ruel nel 1906, al Pavillon de Marsan

nel 1910, al Salon d'autunno nel 1911, ma è per ritrovarvi la«bellezza raffinata« d'un'esposizione cinese o una retrospettiva di H.de Groux. Uscendo dal Salon d'autunno del 1908, egli esprime questo

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commento globale di cui si desidererebbe sapere se fa riferimento aMatisse, Derain, Vlaminck o Rouault: «Sono stato al Salon d'autunnodove certuni, senza cattiveria voglio credere, si esercitano adisgustare il pubblico e se stessi - c'è da sperano - della pittura» (a J.

Durand), mentre che, a proposito dei pannelli decorativi su Psiche ele illustrazioni della Vita Nova, di Dante, aggiunge: «Maurice Denisrinnova, in rosa, la più scadente maniera di Ingres». Si puòimmaginare la sua alzata di spalle quando, qualche tempo dopo, vienea conoscenza del giudizio di San Peladan: «Debussy mi sembra ilmusicista del Salon d'autunno, qualcuno di analogo a Matisse». 

Il mito della fusione delle arti è finito, come viene confidato all'iniziodella guerra da Stravinsky all'amico Romain Rolland, precisando pureche «il pittore mi sembra il nemico del musicista». Debussy stessonon ha più contatti personali con gli artisti. Sembra mancare di fiducianella nuova generazione, alla quale rimprovera volentieri lo snobismoo il gusto del bluff: «Basta che una cosa non sia stata fatta perché siabella». Ed egli ritrova accenti simbolisti quando, parlando del Martyrede Saint Sébastien, dichiara a un giornalista: «Non so se la miamusica piacerà, ma vedrete.., un vero spettacolo d'arte». Il suoatteggiamento di fronte ai Balletti russi è lontano dall'essere

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incondizionale: afferma d'essere stato «rapito» e «toccato» dal lorolato inatteso e spontaneo, ma il bizantinismo di Bakst per le Martyrelo urtò, come anche i costumi dello stesso Bakst e di A. Benois, che glifacevano dire esservi di meglio alle FoliesBergères. E si cerca ancora

la minima reazione da parte sua alla collaborazione Cocteau-Picasso-Satie in Parade, reazione che non poteva essere favorevole. 

Il simbolismo non basta a spiegare Debussy, ma non si può capiresenza di esso la formazione del linguaggio dei musicista. Lungi daldare «l'illusione della musica con procedimenti presi in prestito dallaletteratura e dalla pittura» - com'egli rimprovera a Berlioz - ne haappreso l'economia dei mezzi, le virtù della stilizzazione e dei gestisospesi, le possibilità di un mondo onirico che si spinge finoall'angoscia. In cambio, egli ha offerto a quel movimento la finegloriosa che esso non poteva più sperare, se si vuoi esattamentevedere in Pelléas la creazione più compiuta del simbolismo. Essendo

riuscito a sconvolgere i dati d'una «scienza di castoro« ormai caduca ea spalancare le finestre dell'arte musicale, egli ha trovato soluzionipersonali, che continuano a nutrire la musica del secolo XX. 

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