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Del perche' l'ipnosi possa essere psicoterapia in se

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DEL PERCHE’ L’IPNOSI POSSA ESSERE PSICOTERAPIA IN SE’,

E DEL PERCHE’ – FORSE – LA PSICOTERAPIA SARA’ DI PER SE’ IPNOSI

Ambrogio Pennati

medico psichiatra psicoterapeuta, Milano

VicePresidente AMISI

[email protected]

“se la parola mente significa qualcosa, essa significa ciò che ciascuno sente”

JS Mill

LE EVIDENZE BIOLOGICHE

Come è stato dimostrato nei precedenti lavori, l’ipnosi appare come il dispositivo induttore

di stati modificati di coscienza apparso più tardivamente sulla scena evolutiva dell’homo

sapiens. Esso si basa sulla attivazione dei medesimi circuiti neuronali coinvolti nello

sviluppo del sentimento religioso, del sentimento di appartenenza al gruppo, del

sentimento della coscienza del sé (3, 13, 20, 25, 36, 41, 62); circuiti neuronali attivati da

altri induttori di stati modificati di coscienza quali la danza, la musica, la preghiera, il

digiuno, la attività sessuale ritualizzata, l’uso di droghe sociali, la caccia e l’uccisione

sacrificale, la meditazione, la deprivazione e l’ iperattivazione sensoriale. Tutti questi

dispositivi generano, basandosi sull’attivazione dei neuroni a specchio, una sintonizzazione

emotiva ed affettiva (empatia) che struttura il cosiddetto rapport, evento alla base di ogni

interazione sociale terapeuticamente orientata (16, 21, 27, 61, 62). Infatti, tutti i

dispositivi citati sopra hanno una - diretta od indiretta - finalità curativa per l’individuo e/o

per la famiglia (relazione fra l’uno e l’altra primariamente genetica) e/o per il gruppo

(relazione fra l’uno e l’altro variabilmente genetica/memetica) e/o per la comunità

(relazione fra l’uno e l’altra primariamente memetica). Una volta instaurato il rapport è

possibile, per il cervello umano ( soprattutto per i più predisposti, ma non solo) sviluppare

lo stato di trance (caratterizzato da una ipofrontalità transitoria), nel quale si osservano i

fenomeni noti ai medici, agli antropologi, agli studiosi di religione, fenomeni fra i quali

primeggiano l’automatismo ideomotorio, l’utilizzo di una logica fuzzy, modificazioni delle

funzioni mnesiche. In tale contesto lo stato di trance variamente indotto rappresenta il

denominatore comune delle pratiche di guarigione, che, a meno di non invocare oggi

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interventi ultraterreni, possiamo con i nostri strumenti ritenere fondate sulla attivazione di

moduli di guarigione interna (12, 17, 26, 33, 42, 57).

IL PROBLEMA DELLA VALIDAZIONE

L’ipnosi compare sulla scena quando si assiste al passaggio dalle cosiddette chefferiers

(organizzazioni sociali complesse che possono, grosso modo, essere identificate nei ducati

centrati sul ruolo delle città stato) allo stato moderno (14), detentore per via diretta del

monopolio dell’uso legale della forza e contemporaneamente, per via indiretta, del

controllo sociale della sessualità, in particolare femminile, della spiritualità e delle pratiche

terapeutiche (15, 31). Con il passaggio allo stato moderno (che comporta la definitiva

sepoltura della mente bicamerale) viene sempre più delegata ai medici la gestione degli

ammalati, ed i medici operano secondo lo zeigeist, adottando i paradigmi scientifici

dominanti (18). Gassner rappresenta la fase di passaggio dall’uso della trance come

pratica esorcistica a pratica medica, Braid sui campi di battaglia ne constata quasi

sbalordito l’efficacia e quindi la trance ipnotica fa il suo ingresso nell’armamentario

terapeutico socialmente riconosciuto ed accettato. Qui si ha un passaggio chiave: la trance

diventa uno strumento di cura e le procedure che i medici usano per indurla vengono

accomunate nel termine ipnosi (il termine è coniato proprio da Braid) (45). Questo

passaggio avviene in una fase storica in cui il paradigma della dicotomia cartesiana

mente/corpo era dominante, e quello della scientificità intesa come studio dell’oggettività

altrettanto. Da allora poco è cambiato; la medicina era (ed è tuttora) in larga misura

basata su paradigmi newtoniani: relazioni causa-effetto lineari, rispetto del principio di non

contraddizione, accettazione del principio di parsimonia nelle spiegazioni scientifiche, e

così via. All’interno di tale paradigma si hanno vari perfezionamenti, sino alle ultime ( e

forse all’interno di tale paradigma non ulteriormente perfettibili) elaborazioni

epistemologiche di Popper, Lakatos, Feyerabend (9). Tutto ciò va bene con la chirurgia,

con la cura delle infezioni, con la grande maggioranza delle malattie degenerative, ma

negli ultimi 20 anni ci si rende sempre più conto che, per quanto agli albori, il paradigma

della complessità, almeno per lo studio delle strutture viventi, sembra più adatto (9, 11).

Certo, come dice Max Planck, i paradigmi cambiano quando muoiono i professori

universitari che li usano; solo allora ne subentrano di nuovi. E si sa che il potere logora chi

non ce l’ha. Quindi i paradigmi sono duri a morire, e lo studio della psicologia, della

psicopatologia, della psichiatria e della psicoterapia ci conferma che tutte queste discipline

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inseguono il momento della verifica scientifica come Achille che cerca di catturare la

tartaruga, sempre un irriducibile tempuscolo più in là. Il problema, che al di là delle nostre

disquisizioni teoretiche ha anche importanti implicazioni giuridiche, è che le scienze

psicologiche e psichiatriche sono sì scienze naturali, ma della soggettività.

Searle (53) ci insegna che esistono scienze sociali (lo studio dei fenomeni dipendenti

dall’uomo) e scienze naturali (lo studio dei fenomeni indipendenti dall’uomo), ed in queste

ultime colloca le scienze psicologiche e psichiatriche. Queste ultime tuttavia, a differenza

della biologia, della fisica, della astronomia e così via (che sono scienze dell’oggettività)

sono scienze della soggettività.

Searle ci dona una nuova prospettiva di studio: partendo da una critica del dualismo

cartesiano mente-corpo (secondo lui tuttora operante) egli dimostra che l’oggetto

(mente/cervello, che sono la stessa cosa) può essere descritto e studiato tramite ontologie

in 1° persona (dall’interno, si osserva la mente, la coscienza) o in 3° persona (dall’esterno,

si osserva il cervello e la sua fisiologia).

L’approccio di Searle appare incontrovertibile sul piano logico ed epistemico. Esso è

rivoluzionario sul piano metodologico, in quanto evidenzia che gli stati interni sono

indagabili anche con gli attuali paradigmi di riferimento, ma occorre fondare gli studi ad

essi relativi partendo dalla soggettività. Searle evidenzia come scientifico possa ( e debba)

non corrispondere ad oggettivo: lo studio degli stati interni è scientifico ma soggettivo, e ci

dimostra che tutti stiamo ancora affrontando lo studio della mente con strumenti linguistici

e categoriali che risalgono al tardo 1600 (guarda caso periodo di nascita dello stato

moderno). E sempre Searle ci ricorda, ricollegandosi ad uno dei suoi principali ispiratori

(Wittgenstein), che ci costruiamo il mondo esterno che condividiamo con gli altri usando il

linguaggio. Che mondo condividiamo con gli altri (con quali altri?) quando parliamo di

ipnosi? Stiamo forse cercando di esprimere le nostre esperienze ipnotiche personali e/o

cliniche mediante una metodologia che si basa sull’identità scientifico=oggettivo? Se è

così, rischiamo di ripetere il grave errore di Mesmer, che, sicuro di avere a che fare con

fenomeni oggettivi, si sottopose al giudizio della Commissione del re di Francia, composta

da scienziati dell’oggettività, i quali non poterono far altro che demolire le tesi del tapino

magnetista (32, 43, 58).

Perché questa lunga riflessione? Perché, a parere di chi scrive, quando si parla di

psicoterapia si parla di una pratica che per sua natura anela al riconoscimento di uno

status di scientificità, e sembra che la competizione fra le psicoterapie non si basi tanto

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sulle loro costitutiva capacità di curare nel senso più ampio del termine, ma piuttosto sul

fatto che siano più o meno omologabili al modello medico (scientifico-oggettivo) (51).

A parere dello scrivente la trance ipnotica esiste, esistono le procedure per elicitarla, e ciò

è condizione necessaria per definire l’ipnosi una psicoterapia. In base alle definizioni più

recenti ciò potrebbe bastare, anche se altri approcci (51) potrebbero sostenere dire che

questa non è tuttavia condizione anche sufficiente, e che occorre quindi che l’ipnosi

sviluppi un suo proprio modello etiopatogenetico dei disturbi che tratta, come hanno fatto

la psicoanalisi, il cognitivismo, il comportamentismo per citare solo le scuole preminenti.

Ciò allo scopo di formulare diagnosi e prognosi operative. Premettendo che volendo

cercare bene un tale modello per l’ipnosi si può anche trovare (il neodissociazionismo di

Hilgard ed i suoi sviluppi proposti, fra gli altri, da Kihlstrom) (19, 28), bisogna però

chiedersi come venga sviluppata una teoretica etiopatogenetica: con gli innovativi

approcci di Searle o con le vecchie metodologie? Dalla risposta a questa domanda dipende

se la ricerca della condizione di sufficienza viene soddisfatta coerentemente alla materia di

cui si tratta, la soggettività. È evidente che il cognitivismo ed i comportamentismo hanno

risposto al quesito basandosi su dati prodotti da osservazioni in terza persona

(scientifico=oggettivo), e quindi hanno generato una soluzione non coerente al problema;

il discorso relativo alla psicoanalisi è certamente più fra variegato.

A parere dello scrivente non vi è, allo stato attuale, un sufficiente sviluppo dello studio,

secondo le indicazioni di Searle, dei modelli sviluppati dalle psicoterapie, quindi, almeno in

linea teorica, tutte le psicoterapie di per sé stanno in piedi da sole, per il semplice fatto di

esistere (e quindi di essere state selezionate nella competizione di mercato), come

recepito dal Royal College of Psychiatrist. E ciò, se è vero per altre psicoterapie, è vero

soprattutto per l’ipnosi, la prima delle psicoterapie e la più direttamente correlata

all’esperienza delle trance e del rapport.

Quindi non sussiste allo stato attuale la necessità impellente di soggiacere ad una verifica,

sia essa empirica o teoretica, validazionista. Questa verrà, ci si augura presto, grazie alle

recenti acquisizioni nel campo della visualizzazione e della misurazione degli stati interni

ottenute dalle più recenti tecniche di neuroimaging funzionale (vedi oltre) e da

metodologie statistiche non lineari, più adatte all’analisi dei sistemi complessi (22).

Possiamo, in base a quanto esposto sopra, considerare chi-quadrati, regressioni lineari,

cluster analisyses strumenti quantitativamente inadatti alle misurazione dei fenomeni che

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incontriamo, e epistemicamente inadeguate le metodologie mutuate dalla medicina

classica.

Quindi, l’ipnosi, almeno per ora, è psicoterapia in quanto esiste, è in salute ed è la più

antica fra le psicoterapie; in base alla metodologia searliana ciò può bastare.

I recenti sviluppi della neuropsicologia, supportati sempre di più dalle tecniche di

neuroimaging, ci permettono di avere un’idea sempre più precisa del funzionamento

mentale e degli stati interni. Ad esempio, vi sono studi che riescono a documentare il

grado di empatia che si instaura fra due o più soggetti, le modalità di funzionamento del

cervello mentre la mente compie decisioni importanti in campo etico, morale, valoriale, sul

piano sia individuale che sociale. In estrema sintesi si può dire che una delle più importanti

acquisizioni neuropsicologiche sia la definizione del concetto di teoria della mente (TOM),

intesa come la capacità che gli umani (e probabilmente non solo loro) hanno di

rappresentarsi gli stati mentali del loro simile. Il rapporto di tale funzione, che coinvolge

certamente i lobi frontali anteriori, rappresenta un vantaggio evolutivo che gli uomini

hanno avuto su altre specie, è già stata discussa nei precedenti lavori. Ci si permette

unicamente di ricordare che su di essa si basa la capacità di strutturare rapport e quindi

trance (8, 49).

La validazione neurobiologica, condotta secondo le impostazioni di Searle, certamente

passerà per lo studio della soggettività delle interazioni sociali, fra le quali si colloca

l’evento fattuale dell’esperienza, per il cliente ed il terapeuta, della psicoterapia; e la

bontà dei diversi approcci psicoterapeutici potrà essere valutata finalmente non in base

alla eleganza (in alcuni casi alla forbitezza, in altri alla ampollosità) dei costrutti linguistici

da esse proposti, ma alla capacità di evocare stati d’animo associati al benessere e, in

taluni casi, al miglioramento sintomatologico. Finalmente l’analisi del processo terapeutico

potrà essere abbinata a quella dell’esito terapeutico. Se tale ipotesi fosse condivisa allora

sarebbe utile potenziare i nostri sforzi non nel produrre nuove metodologie di induzione o

di gestione della trance (a parere dello scrivente un po’ ripetitivi, dato che il lavoro di

Erickson sul piano metodologico non appare ulteriormente perfettibile), quanto piuttosto

nel progettare, insieme ai neuropsicologi ed agli studiosi del funzionamento cerebrale in

vivo, ricerche che valutino gli aspetti soggettivi della trance e le loro relazioni con

l’andamento clinico (56).

IL GUARITORE INTERNO

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Appare evidente che l’obiettivo finale del lavoro ipnotico è l’attivazione dei moduli di

guarigione interna. Tali moduli non sono un’oscura creazione di qualche cultore di

esoterismo, ma delle strutture cerebrali ormai in corso di identificazione: numerosi studi

sui correlati funzionali della risposta al placebo documentano una disattivazione di

strutture sottocorticali, un incremento del funzionamento dopaminergico nelle aree

associate ai meccanismi di rinforzo (nucleo accumbens) (e, viceversa, una riduzione nel

caso di effetto nocebo) attraverso forse la modulazione del release di endorfine. Nello

specifico, si assiste spesso ad una combinazione fra un incremento di attività delle zone

dorsali della corteccia ed un decremento delle strutture limbiche e paralimbiche. Inoltre, è

stata rilevata una attivazione dei sistemi endorfinergici della corteccia del cingolo

anteriore, orbito frontale, ed insulare, del nucleo accumbens, dell’amigdala, della materia

grigia periacqueduttale. Uno di questi lavori ha dimostrato che la responsività al placebo è

predetta dall’attivazione dei sistemi dopaminergici ed endorfinergici del nucleo accumbens.

Tali strutture sembrano attivarsi anche quando un soggetto valuta un potenziale guadagno

od una potenziale perdita di risorse se mette in atto un determinato comportamento in

condizioni di incertezza (5, 6, 40, 44, 52, 54, 60).

Lo studio dei meccanismi alla base della risposta placebo sono solo all’inizio, ma tutte le

ricerche evidenziano l’importanza del setting, delle aspettative, delle suggestioni verbali e

non verbali. Ciò che è evidente è che l’assunzione di placebo è solo un’”inganno” che

permette al soggetto l’attivazione dei moduli di autoguarigione. Qualche autore ha

identificato importanti affinità fra la risposta al placebo e l’ipnosi, tanto da coniare il

termine “hypnobo”, a parere dello scrivente fuorviante perché l’ipnosi, ovviamente, non si

basa – quanto meno consapevolmente - sull’inganno esercitato dal terapeuta che

somministra la pastiglia rosa (24, 30, 35, 50, 59).

Allo studio del fenomeno placebo sarà utile associare una valutazione antropologica dei

casi di guarigione spontanea o ottenuta mediante tecniche “alternative”, esperienze troppo

spesso dimenticate da una medicina troppo condizionata dall’industria farmaceutica.

UNA VISIONE?

Diversi autori stanno pensando alla ipnosi – ripetiamo, procedure riconosciute dalla

comunità medica atte all’induzione di uno stato di trance terapeutica – come allo

strumento principe nella ricerca psicopatologica abbinata alle tecniche di neuroimaging:

essa è stata usata in ricerche relative alla simulazione, al dolore cronico, alla perdita di

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volizione ed ai disturbi motori, ed anche alle modalità di soluzione dei conflitti interni alle

strutture cerebrali (47, 48, 49).

Gli studi sono agli albori, ma certamente, essendo l’ipnosi una teoria della mente in azione,

l’analisi funzionale e soggettiva degli stati mentali, da Searle posta alla base allo studio

della mente ( e dell’intenzionalità) non potrà prescindere da procedure standardizzate di

induzione di specifici stati della mente analizzabili attraverso tecniche di neuroimaging

dinamiche. Nel caso specifico delle psicoterapie, vi sono dati che evidenziano che i vari

approcci terapeutici (dinamici, cognitivo-comportamentali, interpersonali) hanno in

comune l’attivazione della corteccia anteriore del cingolo, in particolare delle sue

componenti dorsali e rostrali, dato che si ricollega alle osservazioni sui correlati della

trance (4, 12, 46). Si può affermare che i cambiamenti biologici che sopravvengono

durante le psicoterapie, assimilabili allo stato di trance, basati sulle capacità empatiche e

sulle capacità del paziente di narrare, siano condizioni necessarie e sufficienti a permettere

l’attivazione dei moduli interni di guarigione, indipendentemente dal modello teorico di

riferimento. Appare molto probabile che con le tecniche di visualizzazione cerebrale da

poco disponibili si arriverà a delineare uno studio scientifico della soggettività, le cui

applicazioni nell’ambito clinico sono evidenti. Ciò permetterà, fra l’altro, di integrare, con

procedure scientifiche, nel nostro armamentario terapeutico le esperienze di guarigione e

di cambiamento che molte delle pratiche orientali basate sulla crescita della

consapevolezza generano (2, 23, 34, 37, 38, 39, 55, 63).

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