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sommaria, da parte del popolo inno- cente contro il potere corrotto e cor- ruttore, ha cambiato non soltanto il “significante” ma la collocazione, spostandosi dall’estrema sinistra al- l’estrema destra, dall’empito rivolu- zionario per sollevare la condizione del popolo oppresso all’uguale e con- traria spinta delle masse... C hi ha vinto il 4 dicembre? E chi ha perso è solo Matteo Renzi? E quel “No” massiccio al referendum era così diretto contro le riforme co- stituzionali? Contro i cambi alle Re- gioni e cosette del genere? O è stata un’altra storia quella bocciatura? Un imprevedibile sbocco del disagio so- ciale? Un sintomo inequivocabile dello stato di crisi del ceto medio? O una vittoria del populismo, magari di quel Beppe Grillo che una volta sta a destra e l’altra volta a sinistra? Già, il populismo. La più semplice definizione del populismo, nato nel- l’Ottocento in Russia sull’onda di un generico socialismo, la troviamo nelle memorie di Anna Kuliscioff che fu, non a caso, fra le prime populi- ste, e coinvolta persino in tentativi di attentati ai potenti, e subito pentita, anche perché innocente e, dopo un bagno intellettuale fuori dalla sua Crimea, divenuta profeta del rifor- mismo socialista come alternativa sia ai reazionari, sia ai conservatori, ma, soprattutto, al populismo in sé e per sé. Per la compagna di Filippo Turati populismo era e doveva essere nella sua essenza un “andare verso il po- polo”, nulla di più e nulla di meno di questo slogan, peraltro semplifica- torio ma, soprattutto, riempito da ben altri ammennicoli ideologici ri- voluzionari culminati nell’assassinio dello Zar Alessandro II. Col tempo il populismo, sempre sorretto dalla de- magogia e sposato al giustizialismo inteso come fare giustizia, anche Direttore ARTURO DIACONALE Martedì 17 Gennaio 2017 Fondato nel 1847 - Anno XXII N. 10 - Euro 0,50 DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1 DCB - Roma / Tariffa ROC Poste Italiane Spa Spedizione in Abb. postale QUOTIDIANO LIbERALE PER LE gARANzIE, LE RIFORmE ED I DIRITTI UmANI delle Libertà Nuovi nazionalismi: di chi la colpa? E siste, di là dalla retorica di “Ven- totene”, una concreta visione unitaria dell’Europa? Evidentemente no. Piuttosto esistono, e si consoli- dano, interessi nazionalistici che sfruttano meccanismi regolatori co- munitari, in sostituzione degli stru- menti tradizionali della guerra e della pressione politica, per definire rap- porti di forza e gerarchie all’interno dell’Unione europea. Si fa un gran parlare di nazionalismi emergenti a proposito delle azioni di contrasto a fenomeni di ampia portata quali, ad esempio, l’assorbimento dei grandi flussi migratori. Si dipingono a tinte di CRISTOFARO SOLA di PAOLO PILLITTERI Continua a pagina 2 fosche le prospettive di scenario che vedono avanzare nel consenso partiti e movimenti genericamente classifi- cati populisti ma nulla si dice della forma più subdola e strisciante di na- zionalismo, quello economico... Populismo: sconfiggerlo si può, e si deve Continua a pagina 2 MELLINI A PAGINA 2 Un libro di storia di Benedetto Croce che ha fatto la Storia POLITICA HELDT A PAGINA 5 Un appello a tutti i cristiani affinché difendano la culla della loro religione ESTERI RAPONI A PAGINA 7 “Le cose belle” in un cofanetto CULTURA DI MUCCIO A PAGINA 3 Genitori uccisi: gioventù bruciata dall’individualismo? PRIMO PIANO ROMITI A PAGINA 4 L’Alitalia e il Paese dei carrozzoni volanti ECONOMIA di ARTURO DIACONALE Per l’Ue il contodi Renzi è di tre miliardi La Commissione europea minaccia una procedura d’infrazione se il Governo non vara una manovra aggiuntiva per coprire il buco lasciato dalle spese dell’ex Presidente del Consiglio Il fenomeno dei “vedovi” di Obama P er anni ed anni il nostro Paese è stata segnato dal fenomeno dei ve- dovi inconsolabili del comunismo in- ternazionale. Il muro di Berlino era caduto seppellendo non solo il sistema politico dell’Unione Sovietica ma l’intero edificio ideologico che aveva segnato in maniera indelebile il Nove- cento. Ma in Italia, più che in ogni altro Paese, i nostalgici della rivolu- zione proletaria, del partito avanguar- dia dei lavoratori e della centralità della classe operaia continuavano senza sosta a sostenere e celebrare i loro miti tragicamente infranti. Un fenomeno analogo si sta veri- ficando adesso. I nuovi vedovi in- consolabili sono quelli di Barack Obama. Che non piangono la scom- parsa politica del leader ai loro occhi provvisto di tutte le caratteristiche per restare nella storia come il mi- gliore di tutti i democratici ed i pro- gressisti di ogni tempo, ma che continuano a portare avanti una loro personale battaglia contro il nuovo presidente degli Usa, Donald Trump. Come se la campagna elettorale non fosse mai finita e la candidata bat- tuta Hillary Clinton fosse stata so- stituita in corsa dal “migliore” in senso assoluto Obama. Se il fenomeno fosse privo di con- seguenze politiche questa singolare forma di paranoia, in tutto simile a quella dei vedovi del comunismo, meriterebbe al massimo un qualche approfondimento di natura psichia- trica. Continua a pagina 2

delle Libertà - opinione.it · definizione del populismo, nato nel-l’Ottocento in Russia sull’onda di un generico socialismo, la troviamo nelle memorie di Anna Kuliscioff che

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sommaria, da parte del popolo inno-cente contro il potere corrotto e cor-ruttore, ha cambiato non soltanto il“significante” ma la collocazione,spostandosi dall’estrema sinistra al-l’estrema destra, dall’empito rivolu-zionario per sollevare la condizionedel popolo oppresso all’uguale e con-traria spinta delle masse...

Chi ha vinto il 4 dicembre? E chiha perso è solo Matteo Renzi? E

quel “No” massiccio al referendumera così diretto contro le riforme co-stituzionali? Contro i cambi alle Re-gioni e cosette del genere? O è stataun’altra storia quella bocciatura? Unimprevedibile sbocco del disagio so-ciale? Un sintomo inequivocabiledello stato di crisi del ceto medio? Ouna vittoria del populismo, magaridi quel Beppe Grillo che una voltasta a destra e l’altra volta a sinistra?Già, il populismo. La più semplicedefinizione del populismo, nato nel-l’Ottocento in Russia sull’onda di ungenerico socialismo, la troviamonelle memorie di Anna Kuliscioff chefu, non a caso, fra le prime populi-

ste, e coinvolta persino in tentativi diattentati ai potenti, e subito pentita,anche perché innocente e, dopo unbagno intellettuale fuori dalla suaCrimea, divenuta profeta del rifor-mismo socialista come alternativa siaai reazionari, sia ai conservatori, ma,soprattutto, al populismo in sé e persé.

Per la compagna di Filippo Turatipopulismo era e doveva essere nellasua essenza un “andare verso il po-polo”, nulla di più e nulla di menodi questo slogan, peraltro semplifica-torio ma, soprattutto, riempito daben altri ammennicoli ideologici ri-voluzionari culminati nell’assassiniodello Zar Alessandro II. Col tempo ilpopulismo, sempre sorretto dalla de-magogia e sposato al giustizialismointeso come fare giustizia, anche

Direttore ARTURO DIACONALE Martedì 17 Gennaio 2017Fondato nel 1847 - Anno XXII N. 10 - Euro 0,50

DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1

DCB - Roma / Tariffa ROC Poste Italiane Spa Spedizione in Abb. postale QUOTIDIANO LIbERALE PER LE gARANzIE, LE RIFORmE ED I DIRITTI UmANI

delle Libertà

Nuovi nazionalismi: di chi la colpa?

Esiste, di là dalla retorica di “Ven-totene”, una concreta visione

unitaria dell’Europa? Evidentementeno. Piuttosto esistono, e si consoli-dano, interessi nazionalistici chesfruttano meccanismi regolatori co-munitari, in sostituzione degli stru-menti tradizionali della guerra e dellapressione politica, per definire rap-porti di forza e gerarchie all’internodell’Unione europea. Si fa un granparlare di nazionalismi emergenti aproposito delle azioni di contrasto afenomeni di ampia portata quali, adesempio, l’assorbimento dei grandiflussi migratori. Si dipingono a tinte

di CRISTOFARO SOLA

di PAOLO PILLITTERI

Continua a pagina 2

fosche le prospettive di scenario chevedono avanzare nel consenso partitie movimenti genericamente classifi-cati populisti ma nulla si dice dellaforma più subdola e strisciante di na-zionalismo, quello economico...

Populismo: sconfiggerlo si può, e si deve

Continua a pagina 2

MELLINI A PAGINA 2

Un libro di storia

di Benedetto Croce

che ha fatto la Storia

POLITICA

HELDT A PAGINA 5

Un appello a tutti i cristiani

affinché difendano

la culla della loro religione

ESTERI

RAPONI A PAGINA 7

“Le cose belle”

in un cofanetto

CULTURA

DI MUCCIO A PAGINA 3

Genitori uccisi:

gioventù bruciata

dall’individualismo?

PRIMO PIANO

ROMITI A PAGINA 4

L’Alitalia e il Paese

dei carrozzoni volanti

ECONOMIA

di ARTURO DIACONALE

Per l’Ue il conto di Renzi è di tre miliardiLa Commissione europea minaccia una procedura d’infrazione se il Governo non vara unamanovra aggiuntiva per coprire il buco lasciato dalle spese dell’ex Presidente del Consiglio

Il fenomeno dei “vedovi” di Obama

Per anni ed anni il nostro Paese èstata segnato dal fenomeno dei ve-

dovi inconsolabili del comunismo in-ternazionale. Il muro di Berlino eracaduto seppellendo non solo il sistemapolitico dell’Unione Sovietica mal’intero edificio ideologico che avevasegnato in maniera indelebile il Nove-cento. Ma in Italia, più che in ognialtro Paese, i nostalgici della rivolu-zione proletaria, del partito avanguar-dia dei lavoratori e della centralitàdella classe operaia continuavanosenza sosta a sostenere e celebrare iloro miti tragicamente infranti.

Un fenomeno analogo si sta veri-ficando adesso. I nuovi vedovi in-consolabili sono quelli di BarackObama. Che non piangono la scom-parsa politica del leader ai loro occhiprovvisto di tutte le caratteristicheper restare nella storia come il mi-gliore di tutti i democratici ed i pro-gressisti di ogni tempo, ma checontinuano a portare avanti una loropersonale battaglia contro il nuovopresidente degli Usa, Donald Trump.Come se la campagna elettorale nonfosse mai finita e la candidata bat-tuta Hillary Clinton fosse stata so-stituita in corsa dal “migliore” insenso assoluto Obama.

Se il fenomeno fosse privo di con-seguenze politiche questa singolareforma di paranoia, in tutto simile aquella dei vedovi del comunismo,meriterebbe al massimo un qualcheapprofondimento di natura psichia-trica.

Continua a pagina 2

Mi è ricapitato tra le mani, peruna di quelle evenienze di chi

vive nella assuefazione alla confu-sione, la “Storia d’Europa nel secolodecimonono” di Benedetto Croce,nell’edizione Adelphi 1991-1993.

Il libro è pressoché intatto, a ri-prova della mia ignoranza e del miopressapochismo. E tuttavia si trattadi un libro che non posso sfogliaresenza una commozione che va ben aldi là di quella di una conoscenza e diun apprezzamento meramente cultu-rale.

Quel libro in una delle sue primeedizioni (uscì per Laterza nel 1932)quando ne ebbi il primo sentore, al-l’inizio degli anni Quaranta, cambiòil mio pensiero, il mio impegno divita. Lo scoprimmo, adolescenti edignoranti, un piccolo gruppo di com-pagni di scuola. Non oserei dire che“divenimmo crociani”, ché, sì e no,lo sfogliammo e ne leggemmo e ri-leggemmo alcune pagine. Ma era lascoperta dell’Autore, che per noi di-venne il simbolo dell’opposto del fa-scismo, rozzo, intollerante,petulante, goffo e retorico. Di tuttoquello che il fascismo non era. Perme, che l’antifascismo l’avevo cono-sciuto in famiglia e che mi pareva na-turale esserne partecipe, fu lascoperta di un punto di riferimento.

Fu il diventare cultura, storia, pas-sione civile ciò che era mera sensa-zione più estetica che moralistica. Perquei miei compagni (tutti oggi scom-

parsi) era la scoperta di un mondo, omeglio, del rovescio di un mondo chevoleva prendersi le nostre anime, ilnostro pensiero. Ho detto che “nonsi può dire che divenimmo crociani”.

I miei amici, più tardi, preserostrade diverse magari partecipantidella emarginazione del pensiero edella scuola di Benedetto Croce. Iorimasi sempre in uno stato culturaleconfusionale, tra l’illuminismo e lostoricismo crociano, in una sintesiche l’ignoranza ha potuto realizzaremeglio che la raffinatezza del sapere.Ma, se la speculazione teorica nonmi ha mai attratto più che tanto e seho avuto modo di conoscere diversi“crociani” che non mi hanno certospinto a riconoscermi in uno di loro,la supponenza della cultura marxistae di quella cattolica, sempre alleatenella messa al bando della culturacrociana e della figura stessa di Be-nedetto Croce, mi hanno sempreportato a considerare quella miaprima icona della cultura e del pen-siero politico e filosofico come unpunto di riferimento, l’”altro” ri-spetto alla miseria ed al conformi-smo culturale ancora dilagante.

Oggi le correnti di pensiero che

già Croce, nei primi capitoli della“Storia d’Europa” indica come gliavversari, le antitesi della “religionedella libertà” (basterebbe il fatto diaver così titolato un capitolo di quelsuo libro in pieno regime fascista perfare di Croce un protagonista posi-tivo della storia di quel triste pe-riodo) sono disfatte e travolte elasciano tracce tutt’altro che apprez-zabili del loro lungo dominio.

Ma non sembra che a tutto ciòabbia fatto seguito quella rivaluta-zione del pensiero crociano, storici-sta, liberale che i due grandi sconfittiavevano messo al bando. E non sem-bra nemmeno cancellata quella“damnatio memoriae” di BenedettoCroce che cattolici e comunisti sisentirono in dovere di realizzare.

Non sarà certo la mia parola, ilmio suggerimento a ravvivare l’inte-resse per quelle conquiste del pen-siero e per la figura di uno degliItaliani che hanno attraversato afronte alta uno dei periodi più com-plessi, difficili e bui della nostra sto-ria, segnando conquiste elevate delsapere e della moralità del nostro Po-polo. Spero che altri non disdegninodi cimentarvisi.

2 L’OPINIONE delle Libertà martedì 17 gennaio 2017Politica

Un libro di storia che ha fatto la Storia

di MAURO MELLINI

tico di Benito Mussolini la cui matrice sociali-sta massimalista connota comunque il suo po-pulismo sia di lotta che di governo.

E oggi? Oggi c’è la democrazia diretta allaGrillo coi suoi pentastellati ai quali, peraltro,l’appartenenza al movimento viene esaltata,dentro e fuori, intesa come adesione all’unica,vera, autentica e rivoluzionaria democrazia di-retta, appunto. La cui nascita, il “V-Day” nelgiugno del 2007, è battezzata dall’ineffabilegrido di battaglia (“vaffanculo!”) contro l’im-monda casta, cioè tutti gli altri partiti, che èstato ed è, a un tempo, lo slogan e il pro-gramma del Movimento Cinque Stelle. Vincereurlando un “no” a tutto e a tutti gli altri non èdifficile quando la politica è in declino e il ma-lessere è diffuso nella società. Ti ingrassi divoti, ma non puoi che stare all’opposizione. Pe-raltro, il contrattualismo di cui sopra rifiutaalla radice lo stesso concetto di democrazia di-retta, tanto più che il potere di Grillo vede eprevede e punisce, e non alla cieca, se è verocome è vero che almeno un terzo dei senatoripentastellati è stato espulso: un classico nellabattaglia delle non-idee, a parte quella del capoche intende il partito ben più che di sua pro-prietà, ma una sorta di falange armata percombattere gli avversari e gli infedeli, semprein nome, beninteso, dell’onestà e, mi racco-mando, della democrazia diretta. Diretta dalui, si capisce.

E la stessa Virginia Raggi, per dire, è den-tro questa specie di capsula, unica al mondonelle democrazie che conosciamo ma che nonpuò durare in eterno sia per le negazioni diprincipio che contiene, destinate prima o poiad esplodere, sia per l’accesso al potere deipenstellati, con un sindaco come emblema,quello di Roma. E non perché il potere cor-rompa, ma perché governare è cosa altra, dif-ficile, complessa, scomoda, radicalmentediversa dalla condizione - comoda - dell’op-posizione. Intanto, però, il Grillo s’è portatoa casa, più degli altri e immeritatamente, lavittoria del “No”, che resta comunque il sin-tomo più chiaro delle difficoltà del cetomedio italiano, la parte più ampia e sempredecisiva della società italiana. Guai a chi loperde! Questo è il vero punto, la sfida, l’hicRhodus hic salta che Renzi, ma non solo, hacolpevolmente sottovalutato, magari velli-cando a suo modo il populismo e, quel che èpeggio, non intervenendo con decisione a ri-mediare con riforme vere, a produrre crescitae sviluppo, a ridurre una tassazione che pre-vede oltre cento passaggi di imposte al citta-dino tipo, simbolo autentico del ceto medioal quale interessano molto meno le leggi elet-

segue dalla prima

...Ma il guaio è che la vedovanza di Obamaportata al parossismo da alcune caste dell’in-formazione, della cultura e del potere può pro-vocare guasti di gravi dimensioni. Ed è benedenunciare per tempo il fenomeno per evitareche questi guasti si possano verificare con graviconseguenze sulla politica internazionale delnostro Paese.

Il guasto principale è creare una fratturaprima psicologica e poi politica tra Italia e StatiUniti. Non c’è bisogno di essere trumpisti perrendersi conto che disegnare il nuovo presi-dente Usa come un usurpatore al soldo del ne-mico storico dell’Occidente rischia di incrinareil rapporto da sempre esistente tra Italia e StatiUniti. Paradossalmente quelli che condannanoTrump perché amico di Putin stanno lavo-rando per aiutare il presidente russo a conqui-stare quell’egemonia sull’Europa che per uncentinaio di anni è stata mantenuta dai presi-denti americani, siano essi stati democratici orepubblicani.

Per scongiurare questo pericolo non c’è af-fatto bisogno di convertirsi al verbo di Trump.Basta fissare che il criterio con il quale giudi-care la nuova amministrazione americana nondeve essere il pregiudizio ideologico, comequello delle vedove di Obama, ma solo l’inte-resse nazionale del nostro Paese.

Fino ad ora questo interesse ha trovatoqualche riscontro nella politica estera del de-mocratico Obama? La risposta non si prestaad equivoci. Il bilancio è solo negativo. La po-litica fallimentare Usa nel Mediterraneo e lapolitica antirussa nel continente europeo haesposto l’Italia al caos proveniente dal Sud edal Medio Oriente e lo ha marginalizzato neiconfronti dell’Europa continentale.

Il nostro interesse è che Trump correggaquesti errori marchiani commessi dal leadertramontato. Verso il quale non ci può esserealcun tipo di nostalgia ma solo l’amara consa-pevolezza che nella storia esistono i leder chesbagliano, anche se sono giovani, spigliati e po-liticamente corretti.

ARTURO DIACONALE

...in direzione opposta, vedi il caso emblema-

torali e molto di più i posti di lavoro che man-cano, le vacanze non fruibili perché non cisono soldi, la disoccupazione dei figli, gli af-fitti cari, ecc..

La battaglia della politica democratica, enon soltanto di Paolo Gentiloni, è questa esolo questa. La via maestra è sempre quella, sesi vuole governare col consenso. È la verasfida. Che si può e si deve vincere. Perché, vin-cendola, il populismo chiude i battenti. EGrillo, con Casaleggio, invece pure.

PAOLO PILLITTERI

...che, invece, prospera nell’ambito del-l’Unione.

Lo prova l’ultima polemica, in ordinetempo, che il governo tedesco ha mosso con-tro il nostro Paese a proposito della vicenda del“Dieselgate”. È di queste ore la dura presa diposizione del ministro dei trasporti tedesco,Alexander Dobrindt, che accusa apertamenteil nostro governo di aver coperto la casa auto-mobilistica Fca nell’uso di dispositivi illegali dispegnimento di alcuni modelli di auto. Per ri-parare a questo presunto abuso, Dobrindt in-voca l’intervento sanzionatorio dellaCommissione europea contro l’Italia e l’impo-sizione del ritiro dal mercato delle produzioniincriminate. I nostri vertici governativi hannorisposto alle accuse tedesche con toni piccatiricordando ai cugini teutonici che meglio fa-rebbero a guardare in casa loro dove, con lastoria della truffa realizzata da Volkswagen adanno dei consumatori, non hanno rimediatouna bella figura.

In realtà, la Germania attacca Fiat-Chrysler(Fca), peraltro sempre meno legata al sistemaproduttivo italiano, per recuperare quote dimercato perse dalle sue industrie di settore aseguito dell’esplosione dello scandalo “Diesel-gate”. L’establishment tedesco non vuole con-cedere alcun vantaggio competitivo ai propriconcorrenti e chiama in campo la politica perpiegare ai propri interessi di bottega le istitu-zioni comunitarie. Benché non si abbia alcunasimpatia per la famiglia Agnelli e per SergioMarchionne, che dopo aver abusato degli aiutidello Stato italiano ci hanno voltato le spallespostando Oltreoceano il core-business dellapiù grande azienda privata italiana, dobbiamoammettere che la manovra tentata dalle auto-rità tedesche è una carognata. A Berlino cer-cano di sfruttare il momento di debolezza della

Il fenomeno dei “vedovi” di Obama

Nuovi nazionalismi: di chi la colpa?

Populismo: sconfiggerlo si può, e si deve

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CHIUSO IN REDAZIONE ALLE ORE 19,00

Fca negli Stati Uniti, messa sotto pressione daun’indagine federale su presunte violazionidelle norme sul controllo delle emissioni in-quinanti delle autovetture, per rubarle clienti.

Cos’è questo se non nazionalismo asservitoa interessi economici di parte? Preoccuparsi diqualche idiota con la testa rasata che va in giroa sventolare croci uncinate e non guardarequale grado d’oppressione economica si stiarealizzando in Europa grazie alle manipola-zioni politiche dell’Ue messe in atto dalla Ger-mania, significa ostinarsi a vedere il dito e nonla luna. Non lo dice un Matteo Salvini qual-siasi ma lo mettono nero su bianco gli analistidel “National Intelligence Council” nel report“Global Trends 2035 - Paradox of Progess”che l’Europa dei decenni futuri sarà condizio-nata dall’egemonia tedesca in un contesto diPaesi-membri sempre più indeboliti dalla crisidi fiducia delle opinioni pubbliche nella tenutadel paradigma liberale. Possiamo dirci soddi-sfatti di una previsione che delinea uno scena-rio europeo tanto deludente? E per risponderea questa perdita di prospettiva del modellod’integrazione del Vecchio Continente è suffi-ciente buttare la croce sul populismo insor-gente? Ma il nuovo nazionalismo di cui cilamentiamo è causa o sintomo della malattia?È fin troppo facile prendersela con qualcunaltro negandosi a una sana autocritica. Almenoper una volta nella vita.

CRISTOFARO SOLA

Difendere la Croce e l’identità cri-stiana è sempre più arduo in Ita-

lia e nella vecchia Europa.Contrariamente a quanto ritenutodalla “Commissione Nazionale Ita-liana per l’Unesco”, il simbolo dellaCroce non è affatto patrimonioesclusivo di una confessione reli-giosa. Bensì affonda le proprie radicinella coscienza etica di ciascuno, siaesso appartenente alla comunità cri-stiana o sia esso laico. In particolare,non vi è ragione per cui un laico nonpossa riconoscere di “amare la pro-pria Croce”. Al di là del suo signifi-cato prettamente teologico, saràinutile ricordare che la crocifissioneè preesiste al supplizio di Cristo:quale metodo di esecuzione dellapena di morte era utilizzata al tempodei romani. Dunque non vale a con-notare solo e soltanto una determi-nata simbologia religiosa, più di

quanto non lo siano concetti qualitribolazione, patimento, travaglio in-teriore…

Questo è un messaggio che mira atrasmettere il riconoscimento delCrocifisso quale patrimonio immate-riale dell’umanità: la tensione versoil compimento del proprio doverequotidiano, a costo del suo sacrificiopiù estremo, nella consapevolezzaperò del suo messaggio vivificante.

Al contrario, la “CommissioneNazionale Italiana per l’Unesco” si èattestata su una posizione di pura esemplice opportunità politica. Senzaavvedersi del fatto che, preservare ilsignificato puramente teologico delCrocifisso, equivale invece a discri-minarlo: difatti, è nell’esperienza co-mune del vivere quotidiano, nellaprestazione professionale esemplar-mente svolta, così come nelle cureprestate verso i bisognosi, che il Cro-cifisso prende vita. Ma tutto ciò, si ri-pete, non è appannaggio della sola

cultura cristiana e non vi era alcunaintenzione di privilegiare detta sim-bologia rispetto ad altre confessionireligiose.

Devo anche sottolineare come isimboli cristiani siano costantementesotto assedio. Frutto anche d’unaprogressiva marginalizzazione delmessaggio cristiano, e d’una fortetolleranza politica verso confessionireligiose di segno fondamentalisticoed oltranzista. Qualcuno dell’Unescoci ha voluto far credere che “le Ter-racotte e l’arte ceramica del distrettodi Kgatleng, in Botswana” meritinol’inserimento nel Patrimonio Imma-teriale dell’Umanità, più di quantonon lo meriti il simbolo della Croce.Se poi, come ex adverso riferito, lasimbologia religiosa rientrasse dav-vero in quegli ambiti estranei allaconsiderazione dell’Unesco, non sicomprende perché mai nell’anno2012 si sia deciso di inserire tra il pa-trimonio dell’Umanità la Festa diSan Francesco D’Assisi a Quibdó (inColombia).

In definitiva, è proprio la Com-missione dell’Unesco (contraria-mente ai propri valori fondanti) adarci l’immagine di un crocifisso di-scriminato. D’altro canto, vale il ri-lievo per cui se la sua importanzafosse davvero così scontata, la Com-missione non avrebbe dovuto averealcuna remora nel favorire la candi-datura del Crocifisso a patrimoniodell’umanità. In considerazione diuna progressiva opera di rimozionedel messaggio cristiano di solidarietà,che ancora oggi merita di essere riaf-fermato, il

Medic (Movimento Etico per laDifesa Internazionale del Crocifisso,rappresentato dallo scrivente) ha im-

pugnato presso il tribunale ammini-strativo la decisione della “Commis-sione Nazionale Italiana perl’Unesco”. In pratica è stato impu-gnato il provvedimento della “Com-missione Nazionale Italiana perl’Unesco” del 21/11/16, con il qualeè stato deciso di non avviare la pro-cedura finalizzata alla candidaturadel simbolo del Crocifisso a “Patri-monio dell’Umanità”.

Una delle missioni dell'Unesco èquella di stilare una lista di patri-moni dell’umanità culturalmente im-portanti, che necessitano d’una

salvaguardia urgente, in quanto fon-damentali per lo sviluppo etico e lamemoria storica della comunitàmondiale. E proprio in considera-zione del momento storico chestiamo vivendo, fatto di guerre, statiislamici, terrorismo, fughe di po-poli... sarebbe auspicabile ricono-scere il valore mondiale perl’umanità della Croce, simbolo unifi-cante e vivificante. Non si vorrebbeche una scelta poco oculata del-l’Unesco finisca per inficiare l’appar-tenenza e le radici stesse dellacomunità occidentale.

3L’oPiNioNe delle LibertàPrimo Piano

Anche da ultimo, con riferimentoall’orribile delitto compiuto dai

minorenni che hanno assassinato acolpi d’accetta i genitori di uno deidue, non sono mancati i soliti riferi-menti sociologici alle cause di co-tanta crudeltà e violenza. Colpa dellafamiglia? Colpa della società? Colpadei rei confessi? No, dei rei confessino! Sono ragazzi, immaturi e irre-sponsabili. Non si rendevano contodi quello che facevano. Stiamo par-lando di macellare due inermi co-niugi addormentati a letto. Stiamoparlando di teste infilate in sacchi.Stiamo parlando della mamma e delpapà. Stiamo parlando di amici di fa-miglia. Eppure non è bastato a ren-dere consapevoli i giovinastri diperpetrare un crimine ripugnante,materialmente e moralmente. Eranostufi, pare, di ricevere l’uno rimpro-veri familiari per negligenze scolasti-che e l’altro di essere tenuto con letasche non proprio piene. Dunque ilmovente sarebbe diverso per i due:l’odio verso i genitori e l’amore deisoldi.

Orbene, l’odio e l’amore sono dasempre, dalla notte dei tempi, forse idue più potenti generatori delle scel-leratezze, specialmente di sangue,fino alla soppressione della vita. Maqui l’odio è generato dalle paternali,mentre i soldi in questione sono unamodesta cifra. La scelleratezza sem-bra davvero troppo sproporzionataalle cause. Perciò i giornali si sonoesercitati a scovarne altre plausibili.Tra queste hanno predominato ilvuoto sociale e l’individualismo per-sonale. Il vuoto sociale consisterebbenel fatto che i due sfaccendati vive-vano in un nulla di playstation e bar,come se l’esistenza fosse un’app delmondo sradicato dalla realtà.

Un tempo veniva insegnato, incasa e a scuola, che l’ozio è il padredei vizi. Ma questi due disgraziati ra-

gazzi non erano coscienti di oziare.Infatti la scuola stessa, per quantopoco e male frequentata, la conside-ravano estranea al modo di vivere,un fastidio alienante, un modo diperdere quel tempo che loro impie-gavano pienamente solo nel poltriree bighellonare. I giornali non preci-sano se fossero stati puniti per questascioperataggine o se la famiglia e lascuola avessero cercato d’inquadrarlicon la necessaria fermezza. Ma cosa

c’entra l’individualismo con tuttoquesto? Tutto questo è il contrarioesatto del vero individualismo, chesignifica responsabilità, rispetto, ba-stare a se stessi, contare su se stessi,sacrificarsi per conquistare e mante-nere l’indipendenza personale.

Tutto questo evidenzia, invece,mancanza di carattere, irresponsa-bilità, fiacchezza morale, spirito gre-gario, incapacità di far da soli,mancanza di prospettiva. Proprio

perché questi due, tipi del genere,erano e vivevano così, in modo op-posto a come dovrebbero essere for-mati degli individualisti, hannofatto quello che hanno fatto. Impu-tare all’individualismo la loro scel-lerata condotta sembra un modoobliquo di ripetere l’errore filoso-fico e politico consistente nell’attri-buire alla libertà le colpe personalidi chi ne abusa, e di sovvertirne uncanone basilare: dove non è rintrac-

ciabile, anche dopo le ricerche piùaccurate, una oggettiva e specificascusante, l’azione o l’omissione in-tegranti un crimine devono essereattribuite e gravare sull’autore,senza arzigogoli giustificazionisti.Nell’esistenza quotidiana dei cit-tadini e nella vita profonda dellanazione pare piuttosto che l’indivi-dualismo rettamente inteso sia l’ap-pannaggio di un terzo soltantodegl’Italiani.

di PietRo Di Muccio de QuattRo Gioventù bruciata dall’individualismo?martedì 17 gennaio 2017

di RobeRto MezzaRoMa

L’Unesco ignora che la Croce è patrimonio dell’intera umanità

L’ennesima débâcle finanziaria diAlitalia, compagnia aerea peren-

nemente sull’orlo del baratro conperdite che superano il milione dieuro al giorno, appare del tutto rap-presentativa del Paese dei carrozzoni.

Un Paese in cui nel tempo si èstrutturato un autodistruttivo regimepolitico-sindacal-burocratico il quale,data l’enorme mole di grandi e piccoliinteressi che tutela, sembra assoluta-mente incapace di autoriformarsi.

In questo sistema sostanzial-mente immobile l’aumento progres-sivo dei costi e la contemporaneaperdita di efficienza risultano esserei due elementi inversamente propor-zionali sempre presenti nel nostropiccolo mondo antico alla rovescia.Un mondo nel quale la parola mer-cato e libera concorrenza vengonoaborriti da una parte consistentedella popolazione, assuefatta da de-cenni ad un collettivismo striscianteche, come dimostra il caso eclatantedi Alitalia, privatizza gli alti stipendie le ambite poltrone e socializza le

perdite.Da questo punto di vista, il main-

stream mediatico ci offre quotidia-namente uno specchio abbastanzaesatto della condizione di inconsape-

volezza economica che vive l’italianomedio. Vengono infatti propostedalle varie emittenti televisive di ogniorientamento, sempre le stesse, quasiquotidiane manifestazioni di dipen-

denti di aziende decotte la cui unicafinalità è nella stragrande maggio-ranza dei casi quella di sollecitarel’intervento della politica, ovvia-mente attraverso l’utilizzo di fondi

pubblici. Ebbene, forse sarà statosempre distratto, ma non mi è maicapitato di seguire un reportage gior-nalistico in cui l’autore e i tanti cit-tadini interpellati si ponesseroalmeno una volta la seguente do-manda: ma chi paga?

In tutto ciò, poi, si è inserito datempo un rigurgito nazionalista d’al-tri tempi il quale, se ampiamente giu-stificato dal lato del colossaleproblema dell’immigrazione clande-stina, non trova alcuna ragion d’es-sere sul piano economico. Da questopunto di vista, così come avviene neiconfronti del comodo capro espiato-rio dell’Europa cinica e bara, il ne-mico che trasforma i nostri “gioielli”aziendali in inefficienti carrozzoninon viene da Parigi, Berlino o Ma-drid.

Il nemico è tutto endogeno ad unsistema che, almeno in una certaparte, rifiuta ostinatamente di fare iconti con la realtà. Ma alla fine que-st’ultima, la realtà, si incaricherà diriportare sulla terra questo Paese disanti, poeti, navigatori e inguaribilisognatori. Viva l’Alitalia!

4 l’oPinionE delle libertà Economia

di Claudio romiti

martedì 17 gennaio 2017

Il Paese dei carrozzoni volanti

La riduzione delle spesa pubblica,locale e nazionale, passa anche

dalla liquidazione delle società par-tecipate. Ed è su questa ambizioneche nasce la proposta dei Radicali:candidare un esponente del partito aguidare la “Infrastrutture LombardeSpa”, società partecipata al 100 percento da Regione Lombardia, conl’unico scopo di liquidarla, e quindidi chiuderla. La scelta era inizial-mente ricaduta su Marco Cappato,che ha però ritirato la sua candida-tura in favore di Valerio Federico,già tesoriere dei Radicali e membro

della Direzione nazionale.La denuncia dei Radicali riguarda

in particolare quattro società parte-cipate da Regione Lombardia, allequali vengono affidati lavori e pro-getti senza bandi di gara o di con-corso. Una consuetudine che, secondoFederico, è contraria al diritto comu-nitario e agli orientamenti nazionalie che dovrebbe rappresentare casi deltutto eccezionali.

“Regione Lombardia mette nellemani di queste quattro società circa3 miliardi e mezzo di euro dei citta-dini. Si tratta di lavori che potreb-bero essere facilmente reperibili sulmercato libero”, ha denunciato Va-lerio Federico a Radio Radicale.

“Infrastrutture Lombarde” sioccupa in particolare di organiz-zare appalti e di svolgere in primapersona grandi lavori di ristruttu-razione, manutenzione e riqualifica-zione. Nell’ultimo bilancio (2015) si

leggono, tra le aree di attività, l’in-terconnessione Pedemontana-Bre-BeMi, l’ospedale Luigi Sacco diMilano, l’ospedale Niguarda Ca’Granda, e alcuni interventi di boni-fica ambientale.

“Infrastrutture Lombarde pro-getta, ristruttura, paga consulenti esvolge lavori che potrebbero compe-tere al mercato - ha continuato l’espo-nente dei Radicali - in modo tale chei migliori possano prevalere”.

Non mancano, infine, le presunteirregolarità. Ulteriore ragione chespinge i Radicali a chiedere la liqui-dazione.

“Sono state segnalate dall’Auto-rità Anticorruzione, dall’Antitrust,dalla Corte dei conti - ha proseguitol’esponente dei Radicali - e anche daitribunali ordinari, una serie di irre-golarità che riguardano l’eccesso dicosti, il ritardo dei pagamenti, e lagestione delle risorse umane, con sti-

pendi fuori dalla mediaper il settore di riferi-mento”.

Elementi più che suffi-cienti, secondo l’avvocatoRadicale, a presumereuna certa inefficienza eirregolarità della parte-cipata. La battaglia deiRadicali è la prima in Italia a occu-parsi direttamente e con azioni poli-tiche, ma anche e soprattuttotecniche, del problema delle munici-palizzate. Un’enorme macchina disprechi che “occupa” oltre 810milaaddetti per quasi 10mila aziende.Un’iniziativa politica che può con-tare sul sostegno di alcuni esponentidel mondo liberale italiano, biparti-san. Tra gli altri Adriano Teso, im-prenditore ed ex sottosegretario delGoverno Berlusconi, Alberto Min-gardi e Franco Debenedetti (direttoree presidente dell’Istituto Bruno

Leoni) e Benedetto Della Vedova,sottosegretario del Governo Renzi edel Governo Gentiloni.

L’esito della candidatura e del-l’eventuale liquidazione della societàdeve ora passare tra le mani di Re-gione Lombardia e richiede un pas-saggio consiliare della GiuntaMaroni. Un procedimento non sem-plice ma che, finalmente, porta i ri-flettori sulle inefficienze legate allepartecipate regionali e statali, of-frendo, legalmente, quella che sem-bra essere l’unica soluzione possibile:la liquidazione delle società.

Chiudere le società partecipate della Regione: la sfida dei Radicali a Milano

di Elisa sErafini

La coscienza collettiva dei cristianideve fermare la conferenza di

pace di Parigi che si è aperta oggi eimpedire il voto presumibilmenteprogrammato del Consiglio di Sicu-rezza delle Nazioni Unite (Csnu) suuno Stato palestinese come 22esimoStato musulmano, in seno a unoStato ebraico. Occorre garantire chenon ci sia alcuna resa all’islamizza-zione del Medio Oriente e dell’Eu-ropa. Occorre far sì che alla CittàVecchia di Gerusalemme, il cuoredell’Ebraismo da più di 3mila anni ela sede del Cristianesimo da 2milaanni, non sarà permesso di essereislamica, facendo parte di quello chepresto diventerà un Paese islamico emolto probabilmente terrorista. Inuno Stato del genere, tutti i son-daggi mostrano che le prossime ele-zioni politiche sanciranno la vittoriadi Hamas. Questo implicherebbel’eventuale distruzione di tutto il pa-trimonio giudaico-cristiano, comepossiamo vedere in tutto il MedioOriente.

L’Organizzazione delle NazioniUnite per l’Educazione, la Scienza ela Cultura (Unesco) ha approvato iltesto preliminare di una risoluzioneche nega i legami ebraici con quelliche sono i luoghi più sacri al mondoper gli ebrei: il Monte del Tempio e ilMuro Occidentale. Il voto a Parigipotrebbe stabilire perentoriamenteche il Monte del Tempio è un luogomusulmano. Da quando l’Unesco hadeciso di riscrivere la storia, dichia-rando islamici antichi siti biblici

ebraici, come la Grotta dei Patriarchie la Tomba di Rachele, vicino a Be-tlemme, anche se l’Islam non è esi-stito storicamente fino al VII secolo(centinaia di secoli dopo), le guardiemusulmane sul Monte del Tempiotentano già di imporre il programmarevisionista dell’organismo delle Na-zioni Unite. Il primo gennaio 2017,il Waqf (un ente islamico preposto apreservare qualunque cosa occupatadai musulmani per Allah) ha co-stretto l’eminente studioso israelianodi archeologia, il professor GabrielBarkay, a non utilizzare il termine“Monte del Tempio”, invitandolo aricorrere alla terminologia islamicaper indicare il sito. Dopo l’inter-vento della polizia israeliana, Barkayha continuato a parlare usando l’ab-breviazione “Mt”. Si è rifiutato dicomportarsi come un dhimmi (“tol-lerato” cittadino di seconda classe, lostatus delle minoranze non musul-mane).

Un altro episodio del genere ac-caduto nell’ottobre del 2016 hapreso una differente direzione. Visi-tando il Monte del Tempio, il cardi-nale Marx e il vescovo luteranoBedford-Strohm, eminenti rappre-sentanti della Chiesa cattolica edevangelica in Germania, hanno ac-cettato gli ordini e rimosso le lorocroci pettorali. In seguito alle mas-sicce proteste scoppiate in Germa-nia contro la massa al bando dellacroce sul Monte del Tempio, il car-dinale Marx si è scusato. Il vescovoBedford-Strohm, al contrario, nonlo ha fatto, ma ha puntato il ditocontro la sicurezza israeliana, ac-

cusa che Israele ha respinto.La conferenza di Parigi potrebbe

rendere il Monte del Tempio Juden-rein e Christenrein [privo di ebrei ecristiani] e accelerare la dhimmitu-dine in Europa.

Da 3mila anni, la storia ebraicadice che “Gerusalemme è costruitacome una città unita e compatta”(Salmi 122,3). Da allora, Gerusa-lemme è la capitale indivisa della pa-tria ebraica. Né l’incessanteterrorismo né le guerre multiple enemmeno i boicottaggi cinici perpe-trati nei confronti dello Stato ebraicosono riusciti a distruggere la storia diIsraele. Tuttavia, con una mossa bru-tale, la conferenza di pace di Parigi eun successivo voto del Consiglio diSicurezza potrebbero decretare lafine della storia ebraica nella sua pa-tria. Sulla base dello Statuto diHamas che nega a Israele il diritto diesistere, il voto potrebbe portare atermine l’obiettivo di eliminare lastoria ebraica – e cristiana – e rim-piazzarla con l’Islam. Porrebbe fineall’esistenza di Israele, l’unico Paesedel Medio Oriente davvero demo-

cratico, prospero, bello e fiorente.Porrebbe fine alla libertà di culto, cheIsraele garantisce alle persone di ognifede religiosa di tutto il mondo. Por-rebbe fine all’ispirazione che Israeleoffre per la cultura giudaico-cristianae per la fede degli ebrei, dei cristianie anche dei musulmani.

Cosa spinge i politici occidentali acontribuire alla distruzione della cul-tura giudaico-cristiana in MedioOriente e in Europa? Perché la con-ferenza di pace di Parigi si appresta adistruggere lo Stato ebraico, mentreun numero senza precedenti di cri-stiani viene ucciso nei paesi musul-mani? Perché milioni di cristianisono tenuti all’oscuro della pro-grammata distruzione del loro luogod’origine sul Monte del Tempio dadove, il giorno di Pentecoste, i disce-poli di Gesù furono incaricati di dif-fondere la fede cristiana in tutto ilmondo? Non poche risposte sottoli-neano l’avidità di potere e denaro.Potrebbe essere una delle ultime pos-sibilità dei cristiani per salvare e ono-rare il patrimonio giudaico-cristiano,che è stato costruito con amore efede ed è passato attraverso molti pe-ricoli nel corso dei millenni.

I cristiani di questa epoca sonograti a Israele per consentire la fedebiblica, ora come non mai, attraversoi numerosi reperti archeologici rin-venuti sul Monte del Tempio, nellacittà di Davide, a Qumran, a Masadaa Beersheva, a Betlemme,a Tekoa, adAriel, sul fiume Giordano, a Gerico,a Cafarnao, Megiddo, Nazareth, TelDan e in un centinaio di altri luoghibiblici in Terra d’Israele.

Per questo, i cristiani non rimar-ranno in silenzio quando tutti questiluoghi saranno assegnati a coloroche li distruggeranno – come hannodevastato e distrutto Palmira, Antio-chia, Nisibi, Ninive e, alla fine del2014, il monastero di Sant’Elia, il piùantico monastero cristiano dell’Iraq,raso al suolo dallo Stato islamico. Èstato riportato come l’Isis abbia oc-cupato il sito cristiano, costringendoi cristiani a convertirsi all’Islam, apagare una speciale tassa o essere uc-cisi. Questa è una realtà ben nota aicristiani e agli ebrei in MedioOriente da più di un millennio.

La cultura giudaico-cristiana è ba-sata sulla storia trasmessa dai testisacri. E questo va fatto notare inpubblico, sui social media, sulla cartastampata, in televisione e alla radio,insomma attraverso tutti i media. Lestrade di Parigi devono sentire leproteste contro il tentativo di riscri-vere la storia alla conferenza di pacee ad ogni successiva votazione delConsiglio di Sicurezza. Questi mani-festanti sono come “un uomo che co-struisce un muro e si erge sullabreccia di fronte a Dio per difendereil Paese” (Ezechiele 22,30), affinchél’unico bastione della democrazia, ilvero difensore del Cristianesimo,l’ultimo custode del patrimonio giu-daico-cristiano in Medio Oriente e inEuropa continui a prosperare.

(*) Direttore dell’“Ecumenical Theological Research Fraternity”

a Gerusalemme(**) Gatestone Institute

Traduzione a cura di Angelita La Spada

5l’OPINIONe delle libertà

Un appello a tutti i cristiani affinché difendano la culla della loro religione e la patria del popolo ebraicodi Petra heldt (*)

martedì 17 gennaio 2017

In vista della nuova edizione delForum Economico Mondiale (Wef)

di Davos, in programma tra il 17 edil 20 gennaio prossimi, il presidentedella Repubblica dell’Azerbaigian,Ilham Aliyev, ha concesso all’ufficiostampa del summit un articolo dianalisi sul suo Paese, che proponiamoqui in versione tradotta. Dalla diver-sificazione economica alle riforme incorso, dalle infrastrutture al dialogodi civiltà e allo sport, Aliyev compieun’interessante panoramica del-l’Azerbaigian che può aiutare a co-noscere meglio uno dei Paesi piùdinamici dell’area ex-sovietica.

L’odierno successo dell’Azerbai-gian è il risultato degli sforzi com-plessivi, specifici e mirati compiutinegli ultimi anni. La realizzazione diprogetti globalmente importanti invari settori dell’economia, tra cuil’energia, non ha resto soltanto il no-stro Paese più capace, ma ha anchefacilitato la cooperazione regionale einternazionale. A questo proposito, lafornitura di gas naturale azero aimercati europei attraverso il Progettodel Corridoio Meridionale del Gascontribuirà in modo sostanziale a raf-forzare la sicurezza energetica euro-pea. Nel contesto di questo progetto,l’87 per cento del piano di sviluppodel giacimento Shah Deniz-2, il 72per cento del piano di espansione delGasdotto del Caucaso Meridionale, il60 per cento del piano di costruzionedel Gasdotto Trans-Anatolico(Tanap) ed il 30 per cento del pianoper il Gasdotto Trans-Adriatico sonostati completati. Va annotato cheShah Deniz è uno dei più grandi gia-cimenti di gas naturale al mondo, con

riserve dimostrate pari ad almeno1.200 miliardi di metri cubi.

Abbiamo lanciato anche progettipiù vasti per rafforzare ulteriormenteil potenziale viario dell’Azerbaigian.Quest’anno, è previsto il completa-mento della ferrovia Baku-Tbilisi-Kars. La realizzazione di quest’operaabbatterà così i tempi di percorrenzadelle merci in viaggio dalla Cina al-l’Europa, da un lasso di 25-30 giorniad uno di 12-15 giorni. Intanto, loscorso anno sono stati conclusi tutti ilavori lungo il segmento azero delcorridoio di transito nord-sud.L’Azerbaigian sta dunque diventandoun hub logistico fondamentale. At-tualmente, le priorità della nostra po-litica economica sono rappresentateda una maggiore diversificazione del-l’economia, attraverso lo sviluppo delsettore non-oil.

È in corso la costruzione di parchie zone industriali per garantire lo svi-luppo del settore secondario. Nel2018, apriranno i battenti diverseaziende all’interno del Parco Indu-striale Chimico di Sumqayıt per unvolume di investimenti complessivovicino ai 2 miliardi di dollari. La pro-duzione del cotone, del tabacco, dellenocciole, del tè, dei bozzoli di baco daseta e di altri prodotti destinati al-

l’export aumenterà ed il numero diagro-parchi e di aziende agricole cre-scerà. Allo scopo di assicurare lo svi-luppo del settore informatico, laqualità dei servizi ed il potenziale delPaese come corridoio di transito in-formatico compirà ulteriori passi inavanti. Il debutto del visto elettronicoe l’introduzione di sistemi esentasse,così come la recente organizzazionedi eventi su vasta scala, quali i Gio-chi Europei e le gare di Formula 1,contribuiscono in maniera rilevanteallo sviluppo del turismo nel Paese.

I risultati che abbiamo raggiuntosono concreti e ben visibili, ma alcontempo dobbiamo anche affron-tare alcune sfide. La crisi globale incorso ha colpito anche l’economiadell’Azerbaigian, diminuendo il red-dito e provocando una svalutazionedella nostra valuta pari al 10,1 percento nel corso dell’anno passato.Tuttavia, stiamo superando questedifficoltà con successo grazie a prov-vedimenti importanti. Al fine di ga-rantire uno sviluppo più sostenibile,abbiamo adottato una tabella di mar-cia strategica; abbiamo proseguitonella direzione delle riforme struttu-rali, istituzionali, monetarie, finan-ziarie e di altro genere; abbiamomigliorato i meccanismi di gestionefiscale e doganale; e abbiamo resotrasparenti tutti gli ambiti. Basti pen-sare che le entrate doganali sono au-mentate del 53 per cento nonostanteil calo del fatturato commerciale re-gistrato lo scorso anno per un pe-riodo di dieci mesi.

La forza dell’Azerbaigian non èsoltanto nella sua economia: l’Azer-baigian è un Paese multietnico. I rap-presentanti dei diversi gruppi etnici edelle fedi religiose hanno convissuto

attraverso i secoli in un’atmosfera dipace, reciproca comprensione e dia-logo. Lo spirito di tolleranza ha sem-pre prevalso in Azerbaigian ed il2016 è stato addirittura l’anno delmulticulturalismo. Il nostro Paese ègià diventato rinomata sede di eventiinternazionali dedicati al dialogo trale civiltà, le religioni e le culture. Il VIIForum Globale dell’Alleanza delleCiviltà dell’Onu, ospitato con suc-cesso a Baku nel 2016, ne è un validoesempio ed una chiara manifesta-zione dell’attitudine mondiale versolo spirito del multiculturalismo pre-sente in Azerbaigian. La visita uffi-ciale di Papa Francesco nel nostroPaese lo scorso anno ha rappresen-tato un evento degno di nota. Du-rante il suo storico viaggio, il capodella Chiesa Cattolica Romana ha in-viato messaggi inequivocabili almondo. Le sue preziose opinioni sullaconvivenza fra culture in Azerbaigiannon riflettono soltanto la realtà maanche un riconoscimento da parte delleader mondiale del Cattolicesimo.

L’Azerbaigian ha avuto grandesuccesso anche nello sport, al fiancodegli altri ambiti. Nella capitale enelle altre province sono stati realiz-zati i più moderni complessi sportiviolimpici ed altre strutture di rilievo.Il supporto dello Stato e la moder-nizzazione infrastrutturale hanno ac-cresciuto sensibilmente l’interesse deigiovani nei confronti delle disciplinesportive. Il successo dell’atletica nelleprincipali competizioni è ormai unatradizione consolidata e gli atletiazeri lo hanno dimostrato ancorauna volta alle Olimpiadi di Rio de Ja-neiro. In termini numerici, i nostriatleti hanno conquistato 18 medagliee si sono piazzati al quattordicesimo

posto mondiale, al settimo in Europa,al secondo tra i Paesi ex-sovietici e alprimo tra i Paesi di tradizione musul-mana.

L’Azerbaigian è sede di livello in-ternazionale in questo ambito. ABaku si sono svolti, infatti, i primiGiochi Europei assoluti nel 2015 edil Gran Premio di Formula 1 nel2016, attirando l’attenzione di 500milioni di spettatori da ogni parte delmondo. L’attenzione della comunitàsportiva internazionale si focalizzeràdi nuovo sull’Azerbaigian nel corsodi quest’anno, in occasione dei Gio-chi di Solidarietà Islamica 2017.Oltre a rafforzare la cooperazione in-ternazionale nello sport, questi eventiaumentano in maniera significativa iflussi turistici verso l’Azerbaigian,contribuendo in questo modo allosviluppo delle attività ricettive.

Sono certo che il 2017 sarà unanno di sviluppo economico perl’Azerbaigian. Continueremo ad ap-provare riforme efficaci in questa di-rezione. Al contempo aumenteremola spesa per iniziative di carattere so-ciale. La diversificazione della nostraeconomia è quasi completa. Attual-mente, circa il 70 per cento del no-stro Pil proviene da settori estraneiall’industria petrolifera. Il nostroobiettivo principale è ora quello didiversificare il nostro export. Le mi-sure adottate nel 2016 ci condur-ranno al raggiungimento di questotraguardo. L’Azerbaigian ha già con-seguito il 37° posto nell’Indice diCompetitività Globale del ForumEconomico Mondiale (il primoposto tra i Paesi della Comunitàdegli Stati Indipendenti, nda) esiamo determinati ad estendere que-sti progressi.

di Ilham alIyev

Le priorità economiche dell’Azerbaigian nel 2017

Esteri

Il volume “Parlami delle cose belle- storie di fiori tra le rovine”, curatoda Christian Raimo, che mi ha com-mosso, include racconti originali disedici autori. Spesso e volentieri, perusufruire di un regime agevolato diIva, in un cofanetto con Dvd si in-clude un testo - che poi è un fo-glietto, venduto con lo status di libro– contenente pressbook, rassegnastampa, note di regìa. Invece, DeriveApprodi ha edito un vero libro di160 pagine e foto a colori: con la

crisi dell’editoria, un investimentofatto per amore. Nonostante unpotenziale commerciale sicura-mente inferiore alle spese, è untesto che usa il film per raccontareun po’ sia Napoli che l’Italia e ilcinema. Gli autori sono stati sceltitra chi aveva già manifestatoamore per il nostro film, ed è statochiesto loro il perché. Ad esempio,Stefano Bises, autore della serie te-levisiva “Gomorra”, ha messo aconfronto le persone reali, prota-

goniste del docu-mentario, con iracconti di finzionetratti da storievere, mentre Mau-rizio Braucci haraccontato nonsolo il fenomenodella disoccupa-zione a Napoli, maanche della inoccu-pabilità, spiegandoper quale motivo,per come sonostate realizzate lepolitiche del lavoroa Napoli - e forsenell’intero Sud - èanche impossibiletrovare lavoro.Marco Bertozzi in-

vece ci prende in giro, il titolo del suocontributo è “Del non finito”, e pa-ragona il film ad un’opera teatraledove la prima recita non è maiuguale all’ultima, perché a furia di ri-farla scopri nuove cose, le reazionidel pubblico, e aggiungi pezzi.

Ci parla anche del disco, “Gua-glione”?

È una chicca, prodotto da me edal musicista, polistrumentista e au-tore di colonne sonore Valerio Vi-gliar. Raccoglie collaborazioni di unadecina di artisti internazionali, di cuisiamo orgogliosi, con interpretazioniinedite di Enzo Della Volpe, che èuno dei protagonisti de “Le cosebelle”, estratti dal documentario,classici, neomelodici, musica più di“avanguardia” e un umile omaggio aPino Daniele.

Due Dvd, un libro e un Cd nel co-fanetto “Le cose belle”, distribu-

zione Istituto Luce: tutto è partito daun documentario dei registi AgostinoFerrente (già autore de “L’Orchestradi Piazza Vittorio”) e Giovanni Pi-perno, e dal primo ci facciamo spie-gare l’operazione.

Un lavoro in varie tappe?Il cofanetto in qualche modo ri-

prende la filosofia del documentario,che si espande: per uscire ha impie-gato un paio d’anni, che però ri-spetto ai quindici necessari perrealizzare il film è proporzionato. Ilprimo Dvd, “Intervista a miamadre”, è l’antefatto dell’altro, “Lecose belle”, il quale è in una versionediversa da quella uscita in sala, conscene inedite girate dopo.

Com’è iniziato questo viaggiotemporale?

Io e Giovanni Piperno avevamogirato a Bari il documentario “Il Filmdi Mario”, protagonista un ragaz-zone quarantenne guardiano di unpresepe allestito nel corso principale.Nella sua Fiat 126 studiava per di-ventare attore e ballerino, ma sic-come sognava di fare anche il regista,ha pensato che fossimo la troupe perrealizzare il suo film: ne è nato uncorto circuito che abbiamo assecon-dato, per raccontare lui. Il lavoro lovidero a Rai 3, dove in quel mo-mento c’èra la messa in onda, inprima serata, una volta a settimana,di due documentari. Uno di questi fu

affidato a noi due: ci chiesero unaltro film, con lo stesso stile, semprein una città del Meridione. La indi-viduammo in Napoli, però con pro-tagonisti dei bambini. Diedi loro latelecamera chiedendogli: “Come im-magini il tuo futuro?”, e anche di in-terloquire con le proprie madri. Coni tempi molto contingentati, in tremesi portammo a casa un “repor-tage” dove i ragazzini si racconta-vano rispondendo alle nostradomande, ma principalmente inter-pellando le mamme, figure centralidelle famiglie. “Intervista a miamadre” fu un record, con il 9 percento di share e due milioni di piccod’ascolti.

E poi, cos’è successo?Ci è rimasto l’appetito di voler far

meglio, io avevo l’ossessione di ve-dere com’era stato quel futuro.Quindi, complice una promessa di fi-nanziamento (elargito a distanza disei anni), dieci anni dopo siamo tor-nati a Napoli per girare il documen-tario, con il montaggio alternato dispezzoni del 1999 e del periodo cheva dal 2009 al 2013. Stavolta ab-biamo chiesto ai quattro protagonistidi non guardare in macchina, cer-

cando un linguaggio piùcinematografico, che ri-chiedeva più tempo pertradurre in immagini lavita vissuta e far cresceregli eventi; li avevamo ri-trovati che la loro vitasembrava quasi bloccata,e penso che il nostro in-tervento sia anche servitoun po’ a riavviarla, esor-tandoli ad agire, per ren-dere il film anche piùdinamico. Inoltre, la man-canza di produttori hafatto sì che non ci fosseroneanche scadenze di con-segna, e quindi le ripresesi sono dilungate. Infine,ci siamo presi l’ulteriorelibertà di non considerareil lavoro definitivo perché,in attesa che fosse presen-tato nei festival, trovasseuna distribuzione, uscissein Dvd, ad ogni “step” c’èstata una versione aggior-nata, con nuovi perso-naggi ed evoluzioni.

Il contributo degliscrittori?

7L’opinione delle Libertàmartedì 17 gennaio 2017

Il futuro sognato dai bambini a Napoli, un cofanetto per “Le cose belle”

di Federico raponi

Cultura

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