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Centro Studi Psicosomatica DEMETRA ISTANTI DI LUCE Per una integrazione psicosomatica n° 01 Ottobre 2012 Associazione Demetra, via Cavini 7/f - 31100 Treviso tel. 0422 401853 Associazione Il Labirinto, via Meneghini 3 - 33077 Sacile (PN) tel. 348 3578 838 Copia ad uso esclusivo dei soci dell’associazione Stampato in proprio: via Cavini 7/f - 31100 Treviso

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Per una integrazione psicosomatica. LA RETE DELLA VITA n° 01, Ottobre 2012

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Centro Studi

Psicosomatica

DEMETRA ISTANTI DI

LUCE Per una integrazione psicosomatica

A cura della

Associazione

culturale IL

LABIRINTO

n° 01 Ottobre 2012

Associazione Demetra, via Cavini 7/f - 31100 Treviso tel. 0422 401853

Associazione Il Labirinto, via Meneghini 3 - 33077 Sacile (PN) tel. 348 3578 838

Copia ad uso esclusivo dei soci dell’associazione Stampato in proprio: via Cavini 7/f - 31100 Treviso

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SOMMARIO

3 EDITORIALE

Valter Carniello

5 LA VISIONE PSICOSOMATICA La rete della vita

Valter Carniello

10 UNA NUOVA DISCIPLINA: L’ECOBIOPSICOLOGIA

Esclusiva intervista al Dott. Diego Frigoli Susanna Rubatto

14 LE VERITÀ DEL CORPO

Tra corpo e psiche

Anna Villa e Laura Zanardo

25 ANGOLO NATURA Il nocciolo

Cristina Paladin

31 NOTE BIOGRAFICHE

DEMETRA ISTANTI DI LUCE Per una integrazione psicosomatica.

LA RETE DELLA VITA n° 1 Ottobre 2012

Responsabile editoriale: Valter Carniello Gruppo di Redazione:

Anna Villa, Susanna Rubatto, Cristina Paladin

DEMETRA ASSOCIAZIONE CULTURALE Via Cavini n° 7/F - 31100 Treviso Tel. 0422 401853 email: [email protected] - www.convegnodemetra.it

Copia ad uso esclusivo dei soci dell’Associazione.

Stampato in proprio: via Cavini 7/f - 31100 Treviso

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EDITORIALE

Valter Carniello - Presidente Associazione Il Labirinto

“… mi piace considerarci parte

di una realtà in fermento che, in

una sorta di collegamento a rete,

persegue l’intento comune di

creare una cultura vitale.”, in

questi termini si esprimeva, nel

numero precedente, la Presidente

di Demetra. Questa frase

riassume l’intento di questo

nuovo numero di cogliere nel

processo di cambiamento che

ritroviamo a diversi livelli della

vita, una visione di

collegamento, ossia uno sguardo

a rete, che possa integrare le

parti senza separarle.

Il sottotitolo del periodico è: “La

rete della vita”, un’affermazione

che rimanda immediatamente al

testo di F. Capra citato

nell’articolo di Carniello, in cui

si tenta di spiegare come tutte le

componenti del “sistema” in cui

viviamo siano interrelate. Su

questa base diventa necessaria

un’operazione di integrazione

delle parti per coglierne l’unità e

percepirne il senso del divenire.

Questa integrazione a rete la

troviamo, in altri termini,

nell’intervista al Dr. Diego

Frigoli condotta magistralmente

da Rubatto. Frigoli raccontando

la nascita dell’Ecobiopsicologia,

ci fa capire come questo

originale approccio ci permetta

di individuare, anche nella

malattia, non solo l’importanza

degli aspetti psicologici e

organici, ma anche il valore

della parte archetipica (le

immagini primordiali che

orientano il fenomeno vita) che

si ritrova nel corpo e nella mente

dell’uomo.

Il concetto di rete è

ulteriormente arricchito

dall’articolo di Villa e Zanardo

nel quale la riflessione, densa di

riferimenti bibliografici, si

sofferma sui vissuti emozionali e

sulle sensazioni nate da alcune

esperienze psicocorporee

proposte nei due laboratori

“Dalla luce all’ombra e

dall’ombra alla luce”, in

occasione dell’11° convegno

dell’Associazione Demetra sulla

“Forza creatrice dell’Ombra”.

Queste stesse esperienze hanno

permesso di entrare in contatto

con dimensioni soggettive per

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un’apertura a contenuti profondi,

ampliandone il valore e il

significato.

L’articolo di Paladin, con

piacevole maestria, riesce a

proporre il suo “Angolo natura”

come vissuto quotidiano in una

sintonia “a rete” con ciò che ci

circonda. L’autrice coglie gli

spunti simbolici di una pianta

come il nocciolo lasciando ad

ognuno di noi la possibilità di

farsi portare lungo questo

percorso, per trovare con il ramo

del nocciolo non solo l’acqua,

come i rabdomanti, ma

rinvenire miniere e tesori

nascosti.

Concludendo credo proprio che

il vero tesoro da trovare sia

questo modo di stare al mondo,

che considera la visione a rete

come modalità per “vedere”

dentro ai fatti e non solo la

superficie delle cose. Queste

riflessioni offrono ulteriori

spunti per tornare alla base delle

interazioni e dei processi che

definiscono la vita, delineando

un nuovo pensiero che vede

nella natura, negli esseri viventi

e anche nei sistemi sociali o

produttivi, non entità isolate, ma

sempre e comunque “sistemi

viventi”, dove il singolo è in uno

stretto rapporto di

interdipendenza con i suoi simili

e con il sistema tutto.

Per vincere le sfide che

c'impegnano, noi tutti abbiamo

la possibilità di cercare, di

studiare e capire questa trama

invisibile, ma essenziale, di

relazioni che ci circonda e di cui

siamo fatti. L’interconnessione

di queste relazioni, che legano

gli universi della psiche, della

biologia e della cultura è una

rete: la rete della vita.

Buona lettura.

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LA VISIONE PSICOSOMATICA

La rete della vita Valter Carniello

In questo numero introduciamo il concetto di rete, di rete della vita. Una vita che ci

vede collegati al tutto, che ci considera polvere di stelle, che vede la terra come un grande

organismo vivente della natura. Organismo che già nel 1979 lo scienziato inglese J.

Lovelok descrisse in modo olistico chiamandolo l’ipotesi di Gaia. Gaia è un organismo che

respira, che pulsa, che metabolizzando ciò di cui si nutre, evolve, che allarga la sua

coscienza, che lega il tutto in una rete fatta di infiniti fili che si incontrano in nodi, a loro

volta nient’altro che microscopiche reti (in cui si può riconoscere quell’anima del mondo,

esaminata sia da Platone sia da Plotino, osservata sia da Marsilio Ficino sia da Giordano

Bruno, affrontata da C. G. Jung e J. Hillman o, in altre culture, sviluppata dal taoismo, dal

buddismo e dall’induismo).

UNA PROSPETTIVA SCIENTIFICA

Negli ultimi decenni la scienza, in particolare la fisica quantistica, la biologia

molecolare, fino alla psicologia del profondo, sta progressivamente modificando

l’approccio allo studio dell’uomo e più in generale della natura, con nuovi paradigmi e

modelli operativi. Si stanno studiando e valorizzando le relazioni insite in natura e nello

specifico nell’uomo, a livello biologico, psicologico, ecologico, economico, politico,

sociale ecc. Tutto ciò sta diventando un’esigenza per una comprensione globale della vita,

necessaria per recuperare una mentalità olistica e indispensabile per considerare mente e

natura come un tutt’uno, aspetti di uno stesso grande progetto. Una visione olistica che va

oltre l’orientamento meccanicistico a favore di un’esperienza diretta, non esclusivamente

intellettuale della realtà, e che, grazie allo studio dei fenomeni complessi, dilata la

comprensione della realtà stessa.

Mentre il pensiero analitico ambisce a smontare un fenomeno per poterlo

comprendere (e il meccanicismo ne è una dimostrazione reale e concreta), il pensiero

sistemico lo studia considerando un insieme più vasto. Citando D. Frigoli “Il metodo

scientifico tradizionale, studiando un albero, isolerà la funzione dei rami, delle foglie, del

tronco ecc., dopo averle indagate le metterà assieme a comporre l’unità dell’albero. Il

metodo sistemico invece esaminerà l’albero nel suo insieme, studierà come le radici

s’intrecciano con quelle degli alberi vicini a comporre una fitta rete sotterranea, nella

quale non si distinguerà più il singolo albero, esaminerà come i fiori si scambieranno fra

loro il polline ecc. In breve, il pensiero sistemico opera un passaggio da una scienza

obiettiva a una globale, in cui il metodo d’osservazione è parte dell’osservazione stessa,

ciò in accordo con le conclusioni tratte da altri ambiti scientifici come la meccanica

quantistica”.1

1 D. Frigoli, Ecobiopsicologia. Psicosomatica della complessità, M&B Milano, 2004, p. 122.

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La visione della vita di cui parlo si fonda sull’interrelazione e interdipendenza dei

fenomeni fisici, biologici, psicologici, sociali ecc., dove nessuna teoria e nessun modello

sono più fondamentali degli altri e tutti sono reciprocamente in accordo.

Come già si accennava nel numero precedente, l’olismo che intendiamo

comprende le nuove conoscenze della teoria della complessità. Percorsi scientifici che,

dalla teoria di Darwin sull’evoluzione della specie, si aprono alle scoperte della fisica

quantistica di Planck e Heisemberg, attraversando la biologia molecolare con la scoperta

fatta da F. Crich e J. Watson della struttura elicoidale e della sua duplicazione del DNA,

confluendo nel metodo del pensiero sistemico, per approdare agli studi della complessità di

Maturana e Varela, e infine integrarli con gli studi attuali sulla psicosomatica. Percorso in

cui si riconosce l’uomo come parte di un “sistema maggiore” con il quale interagisce,

modificando l’ambiente e nello stesso tempo modificandosi.

UNA PROSPETTIVA BIOLOGICA

Tutto ci parla di rete: - I sistemi più semplici con la loro logica lineare, come le macchine costruite

dall’uomo (nella bicicletta con un telaio che lega le parti, l’uomo, attraverso i pedali,

impartisce energia prima assunta, che agisce un movimento della ruota dentata il quale,

attraverso la catena, lo trasmette alla ruota posteriore che ruotando muove la bicicletta).

- I sistemi viventi con la loro logica circolare, come le api o le formiche che non

sono in grado di vivere da sole, ma riunite in una comunità agiscono come le cellule di un

organismo complesso, dotate di una sorta di intelligenza collettiva capace di adattarsi molto

meglio all’ambiente di come potrebbero fare le singole unità.

- I sistemi biologici complessi, come un ciclo alimentare: sappiamo che i vegetali

sono cibo per alcuni animali che, a loro volta, vengono mangiati da altri animali. I vegetali

con le loro sostanze nutritive si trasmettono lungo la rete alimentare, mentre una parte di

energia è dissipata attraverso la respirazione e attraverso l’escrezione. I rifiuti, così come

gli animali e i vegetali morti, si decompongono per opera degli insetti e dei batteri, che li

riducono a sostanze nutritive di base, perché siano

nuovamente assorbiti dalle piante. In questo modo le

sostanze nutritive circolano di continuo attraverso

l’ecosistema.2 (fig. 1)

Tutti noi sappiamo e intuitivamente

comprendiamo che l’organismo umano, come sistema

vivente, è composto da organi e apparati che

interagiscono tra loro e ognuno ha una sua specifica

importanza. È evidente perciò che la complessità

della rete aumenta col crescere, non solo delle

relazioni tra i suoi componenti, ma anche dalla

circolarità dell’informazione che viaggia su quella

stessa rete. Se l’energia che l’uomo sprigiona in bicicletta, incanalandola nel movimento

2 - F. Capra, La rete della vita, Bur Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano, 1997, p.199.

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dei pedali muove la bicicletta attraverso catena, pignone e ruota, questa visione lineare non

basterà più per comprendere il funzionamento di un sistema vivente che risponde alle leggi

dell’organizzazione comune a tutti i viventi, l’autopoiesi. Con questo concetto intendiamo

sottolineare come ogni sistema vivente sia un’organizzazione nella quale ciascun

componente partecipa alla produzione o alla trasformazione di altri componenti della rete

che, in questo modo, produce continuamente se stessa (cioè viene prodotta dai suoi

componenti e a sua volta produce i componenti). Organizzazione autopoietica che comporta

la creazione di un confine, il quale specifica il campo di operazioni della rete e definisce il

sistema come unità.

UNA PROSPETTIVA MEDICO-PSICOLOGICA

Anche la medicina più tradizionale tiene conto del collegamento a rete corpo-

psiche quando, ad esempio, tratta le patologie legate allo stress, alle quali risponde con la

prescrizione di psicofarmaci ed, eventualmente, con il suggerimento di un lavoro

psicologico. In questo caso, lo stress è stato preso in considerazione come indicatore di un

disagio e come tale lo tratteremo in questo articolo.

Una delle definizioni in uso comunemente per lo stress è <una risposta non

specifica dell’organismo ad ogni richiesta effettuata su di esso>. La neurofisiologia e gli

studi della PNEI (psiconeuroendocrinoimmunologia) evidenziano un ponte tra il corpo e la

mente, proprio studiando lo stress. Da questi studi si evidenzia che lo stress non consiste,

come comunemente si può pensare, nel subire passivamente certe situazioni, per lo più

casuali, ma in una reazione personale verso determinati eventi valutati negativamente e

considerati pericolosi. Questa umana reazione, del tutto fisiologica, si accentua se le abilità

messe in atto dal soggetto per affrontare e difendersi da quegli eventi interpretati

negativamente, risultano inadeguate.

Gli studi della PNEI fanno emergere che stati della sfera psicologica ed elementi

del mondo fisico, confluendo, fanno reagire il sistema omeostatico dell’organismo con una

sindrome generale di adattamento che si esplica in tre fasi: una prima di allarme,

biochimico ormonale, alla quale segue una fase di resistenza, in cui il corpo e la psiche

organizzano le proprie difese, fino a un’ultima fase di esaurimento in cui c’è il crollo delle

difese. Ad uno stimolo (biologico o psicologico o sociale ecc.) corrisponderà una

valutazione cognitiva che attiverà il Sistema Nervoso Centrale che potrà dare una prima

risposta comportamentale e biologica. (La risposta comportamentale sarà valutata con

feedback sensoriali, nonché sociali e relazionali). Se lo stimolo stressante perdurerà, andrà

ad investire il Sistema Endocrino il quale, attraverso modificazioni somatiche, stimolerà in

feedback la valutazione cognitiva iniziale. Se ciò non sarà sufficiente, dal Sistema

Endocrino verrà stimolato perfino il Sistema Immunitario, che agirà con modificazioni

somatiche ancor più gravi.3 (fig. 2).

In questo modello del funzionamento umano esiste lo sforzo di considerare l’uomo

come un’unità inscindibile di corpo (Sistema Endocrino o Sistema Immunitario) e mente

(aspetti neurologici e cognitivi). Corpo e mente che dialogano continuamente e in cui

l’omeostasi psicofisica è mantenuta dai complessi servomeccanismi di reazione (difese

3 D. Frigoli, G. Cavallari, D. Ottolenghi, La Psicosomatica. Il significato e il senso della malattia,

Xenia, Milano, 2000, p. 28.

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conseguenti l’evento stressante), ma anche

anticipando tali eventi mediante riflessi

condizionati.

UNA PROSPETTIVA PSICOSOMATICA

Nel panorama della medicina, negli ultimi anni si è evidenziata una prospettiva

psicosomatica che ha messo in evidenza l’esistenza di un’identità individuale capace di

mantenere un equilibrio fisico e psichico, “l’io psicosomatico”, il cui funzionamento si può

esprimere sia biologicamente (ad es. il sistema immunitario o il codice genetico), sia

psicologicamente (gli aspetti costitutivi la psicodinamica, ad es. l’io, l’es, il super-io ecc.).

Da questa prospettiva l’io psicosomatico rappresenta uno “stato di coscienza” ontogenetico

in relazione con le dinamiche della filogenesi.

Da questa sintetica considerazione deriva che, se calata nel sopra citato esempio

dello stress, nella risposta individuale soggettiva all’evento stressante può essere

evidenziato un piano individuale ontogenetico “affrontabile” con le leggi della causalità, e

un piano di ordine diverso, filogenetico, rintracciabile con le leggi della sincronicità, del

simbolismo, dell’analogia vitale, campo d’azione del “Sé psicosomatico”. In altri termini,

per superare il rischio che l’approccio psicofisiologico possa considerare l’uomo come una

sorta di semplice unione di pezzi, certamente intercorrelati tra di loro, ma governati da

processi microbiologici e neurochimici, è necessario scoprire quel linguaggio del corpo che

integra tutte le parti anche con gli aspetti simbolici, permettendo un dialogo continuo e

incessante che evidenzia la natura del continuum tra corpo e psiche. In questa prospettiva il

mondo della materia e quello della psiche sono qualcosa di più che due ambiti collegati da

leggi simili, rappresentano momenti energetici diversi, integrati attraverso l’azione del Sé

psicosomatico.

Questa puntualizzazione è stata necessaria per superare la visione parcellizzata

delle singole funzioni biologiche che, nella visione meccanicistica, sono le uniche referenti

oggettive considerate. Visione parcellizzata che rischia di non considerare ciò che potrebbe,

per esempio, rappresentare la malattia, cioè una risposta generale di tutto l’individuo, in cui

corpo e psiche sono epifenomeni di una stessa realtà (il Sé psicosomatico). È per questo che

lo stress rappresenta uno strappo a quella rete psicosomatica che è l’uomo nella sua totalità

e non solo il risultato di variabili personali più o meno alterate. Ed è anche per questo che

possiamo spiegarci perché un identico stress può dare origine in persone diverse a malattie

diverse, tuttavia confrontabili sulla base di un identico linguaggio psicosomatico.

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ALCUNE CONSIDERAZIONI

Dopo questa “cavalcata” che ha toccato, seppur brevemente, aspetti inerenti la

filosofia, la scienza e la psicologia, propongo alcune riflessioni riguardanti il mio lavoro di

psicoterapeuta.

Lo studio dei processi somatici, alla luce di questi nuovi paradigmi, rivela come

puntualmente il corpo parli il linguaggio della rete. Il corpo parla con la voce o la

gestualità, ma comunica anche con gli organi, con gli apparati, con le funzioni corporee;

comunica qualcosa di sé agli altri e intreccia comunicazioni al suo interno. Si esprime sia

utilizzando una logica formale, sia in special modo un linguaggio analogico e simbolico.

Tutto questo apre a molti interrogativi, soprattutto per il tema della cura. È

necessario perciò che il terapeuta orientato a una visione psicosomatica, integrando la sua

specializzazione con conoscenze più vaste, si chieda quale sia il significato del sintomo

riportato da un paziente al di là dell’alterazione organica in sé e per sé, di cui questa

persona soffre. Infatti, nella visione a rete (globale), il sintomo è certamente un’alterazione

somatica, ma anche un messaggio che esprime, in quello specifico modo, qualcosa intriso

di un’emozione. Ci si potrà chiedere: perché quel determinato sintomo? perché proprio in

quel paziente? ha senso la comparsa in quel preciso momento della sua vita? perché in

quella specifica parte del corpo e con quella forma? che significato avrà in quel contesto

familiare, sociale, lavorativo? quale sarà il legame con il momento storico attuale e il

motivo per cui la persona viene in terapia? Questi interrogativi consentono di rintracciare

quelle variabili archetipiche che determinano, in misura più o meno maggiore, la forma

finale della malattia, permettendo al soggetto stesso e al terapeuta di comprendere quali

conflitti e difficoltà il paziente si trovi a vivere e che non riesce a gestire. Malattia o salute

si presentano dunque come comunicazione di un preciso stato d’animo o di coscienza,

come linguaggio che ha le sue regole, una sua grammatica e una sua sintassi, per esprimere

e far comprendere il disagio e la sua possibile risoluzione.

Alla luce di queste ultime riflessioni, io credo che una coscienza che legge le cose

in questo modo, non si muove più per parametri riduttivi, dimostrativi e, quindi, per

modalità analitiche, ma è una coscienza di tipo ecologico, che si muove per criteri di tipo

sintetico, la cui funzione è di trattare tutto ciò che esiste nel mondo come interrelato. È

dunque sempre più chiaro come non ci possa essere più una vera comprensione dei

fenomeni vitali solo attraverso un’analisi causale. Le nostre interazioni con l’ambiente

fisico, psichico o sociale, determinano effettivamente uno scambio continuo di

informazioni tali da rendere la realtà un’entità complessa, difficilmente indagabile solo con

le regole del determinismo scientifico.

[email protected] Bibliografia

D. Frigoli, Ecobiopsicologia. Psicosomatica della complessità, M&B Milano, 2004.

F. Capra, La rete della vita, Bur Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano, 1997. D. Frigoli, G. Cavallari, D. Ottolenghi, La Psicosomatica. Il significato e il senso della malattia, Xenia, Milano,

2000.

M. Pusceddu, Gioco di Specchi. "Riflessioni" tra Natura e Psiche, Paolo Emilio Persiani, Bologna, 2010. F. Capra, Il punto di svolta, Feltrinelli Editore, Milano, 1990.

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UNA NUOVA DISCIPLINA: L’ECOBIOPSICOLOGIA

Esclusiva intervista al Dott. Diego Frigoli

Susanna Rubatto

Il 18 marzo 2012 si è svolto a Treviso l’11° Convegno

dell’Associazione Culturale Demetra, riguardante il tema: “La forza

creatrice dell’ombra tra minacce, rischi, opportunità”.

In questa occasione abbiamo avuto il grande piacere di ospitare tra i relatori

il dott. Diego Frigoli, psichiatra e psicoterapeuta, Direttore della scuola di

specializzazione in Psicoterapia “Istituto ANEB” di Milano e Presidente

dell’Associazione Nazionale di Ecobiopsicologia. Instancabile ricercatore

scientifico, anche presso la Clinica psichiatrica dell’Università degli studi di

Milano, è arrivato a teorizzare una nuova disciplina nell’ambito delle teorie

della complessità qual è l’Ecobiopsicologia, producendo numerose

pubblicazioni di questo approccio originale e rigoroso alla realtà umana, al

quale i temi del nostro periodico si ispirano.

Al Convegno il dott. Frigoli ha portato una riflessione su “Le metamorfosi

archetipiche: amore e dolore nella malattia” ed è in merito a questo

intervento che abbiamo voluto rivolgergli alcune domande per consentire a

quanti sono stati presenti, ma anche a chi non c’era, di cogliere e fissare più

precisamente alcuni passaggi del suo pensiero speculativo.

Ritenendo dunque di fare cosa gradita ai nostri lettori e ringraziando

sentitamente il dott. Frigoli per il tempo accordatoci, di seguito proponiamo

l’intervista.

1) Dott. Frigoli, potrebbe chiarire ai nostri lettori il concetto di archetipo

e, conseguentemente, come nel concreto questa conoscenza possa aiutarci

o, almeno, orientarci in una lettura più profonda di ciò che sottostà alle

realtà personali e sociali che viviamo?

L’archetipo (in greco archetipon, “modello” o “schema”; in latino:

archetipum, “l’originale”) è un termine salvato da un’antichità quasi

dimenticata e mantenuto in vita da Carl Gustav Jung, che lo ha definito un

modello universale, transpersonale e preesistente che guida la forma e lo

sviluppo. L’archetipo, secondo Jung, non può essere analizzato

direttamente, ma se ne può dedurre l’esistenza dai suoi effetti. Egli lo

considera radicato nei nostri istinti ancestrali e celato nell’inconscio

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collettivo. L’ecobiopsicologia4 riprendendo tale concetto da Jung, l’ha

amplificato sino a comprendere la possibilità di studiare l’archetipo nella

sua dimensione fisica e non solo come fattore di organizzazione delle

immagini psichiche. Secondo questa impostazione, l’archetipo può essere

esplorato come aspetto psicofisico di una realtà complessa che, nel caso

dell’uomo e in senso lato della società, rende possibile studiare in termini

psicologici sia ciò che chiamiamo “destino”, sia l’evoluzione della società

stessa, in ordine al suo risveglio verso una consapevolezza planetaria.

2) Nel suo lungo percorso di studio e ricerca, quanta parte ha avuto

l’elaborazione del significato di malattia nello strutturare l’impostazione

concettuale del pensiero ecobiopsicologico? E, quindi, qual è il

procedimento attuato dall’Ecobiopsicologia nell’indagare la malattia e i

suoi sintomi?

L’approccio ecobiopsicologico nasce dallo studio della complessità della

realtà umana, dei suoi disagi e delle sue manifestazioni che noi chiamiamo

“malattie”. Ogni organo, ogni apparato del nostro corpo intrattiene una

corrispondenza di informazioni con il mondo esterno attraverso le relazioni

biologiche e psichiche. Per di più negli organi il nostro corpo sintetizza il

percorso evolutivo della vita sul nostro pianeta, così come nella psiche è

rintracciabile un’analoga evoluzione rappresentata dai simboli e dai miti che

l’umanità ha creato nel corso della sua storia culturale e religiosa. Quindi, il

termine ecobiopsicologia riassume tre concetti: eco, dal greco oikos che

significa il mondo, il mondo della vita che ha un suo divenire; bios, il corpo

dell’uomo che riassume in sé l’evoluzione del mondo; psyché, la mente cioè

che rappresenta una conquista recente della specie umana, in cui si ritrovano

i simboli legati al corpo e dunque al mondo. Pertanto, se il mondo, l’uomo e

la psiche sono legati fra loro da uno schema a rete, l’approccio

ecobiopsicologico ci permette di individuare all’interno di ogni malattia, da

una parte il valore degli aspetti psicologici di essa, dall’altra il valore – e

questo è un campo nuovissimo, unico al mondo in ambito medico – degli

aspetti filogenetici generali, intendendo questi ultimi come la parte

“archetipica” che si ritrova nella mente e nel corpo dell’uomo.

4 D. Frigoli, Ecobiopsicologia, psicosomatica della complessità, M&B, Milano 2004.

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3) Nell’affrontare un tema come quello della malattia, che tocca ogni

essere umano nei suoi aspetti più fragili, cosa significa portare ad un

Convegno i concetti di amore e di dolore? Essi sono un punto di partenza

o di arrivo per dare una lettura prospettica all’umana sofferenza?

Dal punto di vista della dialettica archetipica l’“amore” e il “dolore” non

vanno intesi nella loro accezione comune, come espressione di una realtà

umana di soddisfazione o meno di impulsi o istinti materiali, ma semmai

come manifestazioni complesse, che uniscono nella loro realtà tanto gli

aspetti più aggreganti del mondo delle molecole e degli atomi che la

complessità della coscienza umana personale e collettiva, sino alla

dimensione della spiritualità. In questa prospettiva si potrebbe affermare che

sul piano archetipico, ciò che noi chiamiamo “amore” può essere inteso

come la “virtù della creazione delle forme”. Infatti, analizzando l’etimo di

amore – dal latino amor da cui a-mors, senza morte, immortale – vediamo

che in questo termine traluce un significato di perennità e di continuità di

questa forza archetipica in grado di aggregare tutte le forme in legami di

“affinità” sempre più evoluti e complessi, sino a generare le forme fisiche

della natura e le manifestazioni delle immagini sottili ad esse pertinenti che

noi definiamo “stati di coscienza”. Per quanto riguarda il “dolore”, sul piano

archetipico corrisponde al sentimento di sensazioni penose o afflizioni

morali, espressione di un’incapacità da parte della nostra coscienza egoica

di accettare quel momento trasformativo imposto dai diritti del nostro Sé

nell’orientarci verso la direzione di una completezza più elevata e totale.

4) Considerare amore e dolore come un’ineluttabile dialettica cosa ci

rivela? Secondo il suo punto di vista, attraversare la tensione tra questi

due opposti, a cui la malattia spesso costringe, è l’unica via possibile alla

trasformazione soggettiva o esistono altri percorsi plausibili per

l’individuo?

Secondo la visione ecobiopsicologica la “malattia” e il dolore che procura

sul piano fisico e psicologico, spesso nasconde un itinerario di

trasformazione personale di cui il soggetto non è consapevole. Questa

trasformazione implica un costante rimaneggiamento della nostra

personalità nella direzione del nostro Sé5 e se nel corso di questo “viaggio”

5 C.G. Jung, Aion: ricerche sul simbolismo del Sé, vol. IX, in Opere, Bollati Boringhieri, Torino 2000.

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si devia dal percorso o addirittura lo si interrompe, allora si manifestano i

sintomi e la malattia che, nella sua più profonda essenza archetipica,

rappresenta il linguaggio nascosto del nostro progetto inascoltato. Se si ha il

coraggio di ascoltare i sintomi e il linguaggio della malattia, entrando in

comunicazione con essi, allora possiamo capire che cosa ci è mancato, quale

dolore abbiamo dimenticato e che cosa dobbiamo integrare per riprendere

più consapevolmente il nostro cammino di sviluppo, rendendo così superflui

i sintomi stessi, attraverso la rinnovata consapevolezza. La guarigione

implica sempre che l’uomo integri tutto quello che ha compreso del proprio

disagio e del proprio dolore e questo può avvenire quando si riesce ad

ampliare la propria coscienza sino a riportarla nella direzione del Sé.

Ovviamente, nell’ambito del percorso di individuazione, la malattia è una

delle modalità più comuni sul piano collettivo, ma non è la sola, perché tutti

i percorsi psicologici che comportano una riflessione costante volta alla

trasformazione personale dei confini dell’Io a favore della propria

autenticità e totalità, di fatto aprono la psiche alla prospettiva di una

coscienza più integrata e responsabile non soltanto dei valori personali, ma

soprattutto di quelli collettivi.

[email protected]

Bibliografia

D. Frigoli, Ecobiopsicologia. Psicosomatica della complessità, M&B Milano, 2004.

C.G. Jung, Aion: ricerche sul simbolismo del Sé, vol. IX, in Opere, Bollati Boringhieri, Torino 2000.

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LE VERITÀ DEL CORPO Tra corpo e psiche

Anna Villa - Laura Zanardo

Trattare il corpo e le sue molteplici funzioni in rapporto alla Psiche è un compito arduo. È preferibile, forse, limitare le parole a semplici descrizioni di comportamenti, di sintomi e di azioni oppure riportare riflessioni filosofiche che ne diano valore e significato, piuttosto che cercare di trovare il modo per “tenere insieme” l’esperienza concreta con la spiegazione teorica e scientifica. Quello che desideriamo fare qui, invece, è tentare di accompagnarvi in un itinerario complesso, ma significativo, che racconti, per quanto possibile, alcune esperienze psicocorporee proposte da Demetra, cercando di riconoscerne i fondamenti teorici che le sostengono e convalidano negli intenti formativi. Nel numero precedente abbiamo considerato il corpo come espressione tangibile dell’essere al mondo e come fondamento dell’Identità personale che si radica nella percezione del Sé Corporeo e nell’identificazione con esso. Vogliamo proseguire ora con nuovi spunti di riflessione per una maggiore comprensione del rapporto che esiste tra il corpo come forma, concretizzazione-materia di un universo soggettivo, e la soggettività stessa percepita come psiche composta da Io, Inconscio, mondo profondo, materia e psiche regolate entrambe dalla struttura centrale dello Psicosoma, il Sé. Sotto questa luce il corpo si manifesta come mistero dotato di densità e spessore, costantemente in rapporto con la propria crescita e con la consistenza delle sedimentazioni dell’esperienza di vita, una forma continuamente in divenire. La nostra riflessione intende soffermarsi sui vissuti e su quel potente tramite che traduce la vita sul piano individuale e la connota di significato e di senso: la Psiche. Intendiamo fare riferimento alle emozioni e alle sensazioni, quelle esperienze che nell’immediato consentono a ciascuno di entrare in contatto con l’evento in cui è immerso e alla possibilità di comprenderne il valore e il significato nel momento in

IL CORPO SI

MANIFESTA

COME MISTERO

DOTATO DI

DENSITÀ E

SPESSORE, UNA

FORMA

CONTINUAMENTE

IN DIVENIRE.

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15

cui ci si soffermi consapevolmente ad ascoltarle. Se il Corpo è un coacervo di forze, eventi, moti cellulari, ormoni in circolo, pensieri, emozioni, affetti, tutto deposto e poi strutturatosi in una forma stabile e allo stesso tempo costantemente modificantesi, avvicinarlo richiede l’umiltà di imparare dai vissuti, dall’esperienza e dalle Scienze. A tutto questo si aggiunge la necessità del riconoscimento di ciò che Culture, Rituali, Tradizioni danno al corpo, collegandolo tra passato e presente. Il moto sinergico di queste molteplici forze è colto nel valore simbolico e dalla capacità del simbolo stesso di tenerle insieme e collegarle, nel tentativo di percepirne il senso del divenire. I due Laboratori psicocorporei proposti in occasione del recente 11° Convegno dell’Associazione Demetra sulla Forza Creatrice dell’Ombra, offrono parecchi spunti per continuare la nostra riflessione sulle verità che il corpo può rivelare e che riguardano la persona in tutti i suoi aspetti. Entrambi i Laboratori, progettati e condotti da noi che qui scriviamo, avevano lo scopo di affrontare il tema del Convegno declinato nel duplice passaggio dalla Luce all’Ombra e dall’Ombra alla Luce. L’intento era di far vivere ai partecipanti esperienze significative che, proponendosi come attivazione del corpo, liberassero contenuti psicologici, emozioni, immagini, stati d’animo i quali, radicati nelle profondità interiori, portassero alla luce le forze vitali proprie del mondo sconosciuto, cioè dell’inconscio sia personale sia collettivo. Per chi non ha esperienza diretta delle attività psicocorporee, può essere arduo cimentarsi sul piano della riflessione per cogliere il valore e la profonda verità che il corpo rimanda quando sia “messo in movimento”. La descrizione che segue intende dare degli elementi che possano aiutare almeno a intuire quanto andiamo dicendo, certe che la comprensione più pertinente non può che venire dal coinvolgimento diretto. All’interno di uno spazio, una palestra, insieme a un gruppo di circa 25 persone, abbiamo proposto delle esperienze che si avvalessero della Tecnica Psicomotoria, dell’Imagerie Mentale e delle Danze Rituali, per consentire a ogni componente di “vivere” qualcosa di significativo, di “liberare” emozioni e vissuti, di fare esperienza del proprio modo di attivare scelte, azioni, movimenti, e

ATTIVARE IL CORPO

PER LIBERARE

EMOZIONI,

IMMAGINI, STATI

D’ANIMO, PER

PORTARE ALLA

LUCE LE FORZE

VITALI PROPRIE

DELL’INCONSCIO.

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16

poi, ancora, di riflettere, elaborare, scoprire le forze che dall’interno di ogni essere umano, guidano ciascuno a realizzare il proprio destino, cercando l’adesione personale consapevole.

Dare nome a queste forze percepite in una situazione specifica, protetta dalla presenza delle conduttrici psicoterapeute, poteva dar luogo a un ampliamento della conoscenza di sé e, quindi, a una più precisa consapevolezza in ordine, in questo caso, ai temi oscuri come quelli relativi all’Ombra; ci riferiamo a contenuti poco gradevoli che abitualmente vengono psicologicamente relegati in luoghi lontani da sé, perché scomodi o inaccettabili per l’Io. Non è questa la sede per una descrizione precisa e puntuale della sequenza delle proposte. Ci limiteremo a una sintesi che permetta di far intuire il valore di queste attività, al fine della comprensione delle sottese questioni psicologiche complesse. Prima però vogliamo riprendere alcuni concetti

chiave dalla filosofia e dalle scienze della complessità, per sottolineare i punti fermi sui quali si fonda il nostro lavoro e il profondo significato che esso ha per noi. La filosofia si è posta da sempre il quesito relativo al rapporto che intercorre tra corpo e mente, questione di fondo che tanto ha movimentato le riflessioni filosofiche da Platone e Aristotele, fino al dualismo di Cartesio e poi ai nostri giorni, nell’intento di fornirci una chiave interpretativa e di comprensione. Tuttora siamo ancora figli di uno sguardo sulla questione che tende a vedere queste due dimensioni separate piuttosto che integrate, mettendoci nella condizione di oscillare da un polo all’altro senza raggiungere una chiarezza sia concettuale sia esperienziale di integrazione. Il filosofo Maurice Merleau Ponty (1908-1961) amplifica il tema della mente riconoscendolo come anima. Egli sottolinea che entrambe le dimensioni sono inserite in un contesto di esperienza complessa temporo-spaziale, propria dell’esistenza vissuta dal soggetto, dove l’unione di Anima e Corpo non è sigillata da un decreto arbitrario tra due termini esteriori, uno oggetto, l’altro soggetto, ma si compie ad ogni istante nel movimento dell’esistenza.6

6 Merleau Ponty (1965), Fenomenologia della Percezione, Il Saggiatore, Milano p. 105.

I TEMI OSCURI

DELL’OMBRA

AIUTANO AD

AMPLIARE LA

CONOSCENZA DI

SE’ ED ESSERE

CONSAPEVOLI

ANCHE DEI

CONTENUTI POCO

GRADEVOLI.

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17

Uno sguardo d’integrazione ci viene offerto dall’Ecobiopsicologia. Questa nuova scienza7, guarda al fenomeno vita come a qualcosa di unitario e declinato nei suoi aspetti: Eco, cioè l’evoluzione della vita; Bios, il corpo dell’uomo; Psicologia, gli ambiti più profondi dell’animo umano. L’ecobiopsicologia, che appartiene alle scienze della complessità, ci permette di riconoscere l’interdipendenza di ogni istanza relativa all’essere umano, dove egli stesso, pur proponendosi come unità, non è disgiunto dall’evoluzione filogenetica che l’ha preceduto, di cui è intessuto e che nel suo sviluppo individuale egli stesso ripropone, e dall’interrelazione con tutto ciò che appartiene ai viventi e alla materia. L’Ecobiopsicologia, studiando la modalità di funzionamento degli archetipi e correlando in un insieme unitario la filogenesi biologica e gli aspetti dell’immaginario, ripropone l’integrazione corpo-mente ampliando lo sguardo di chi si accosta a una visione ampia che tutto abbraccia e tutto comprende, anche ciò che ancora non sia consapevole. Il linguaggio specifico che tale scienza utilizza non è razionale e pertanto lineare, ma utilizza l’analogia e il simbolo, strumenti che attivano un processo circolare aperto a una comprensione del reale e della Vita in tutte le sue sfumature. Sulla scia di questi contributi significativi, intendiamo sottolineare l’interconnessione costante e sempre presente in ogni movimento dell’esistenza umana di aspetti fisici, organici, biologici e aspetti psichici e spirituali.

A questo punto vogliamo ribadire ciò che abitualmente diamo per scontato e che per le discipline psicocorporee è legge fondamentale del corpo: siamo costantemente soggetti alla Forza di Gravità. Giorgio Cavallari8 definisce la forza di gravità come centrale per il suo ruolo nella costruzione dell’identità personale. La forza di gravità terrestre ci fornisce il “peso” che si intende come valore, come consistenza, come conferma sensoriale dell'esistenza, in quanto ciò che esiste ha un peso; tale esperienza, di conseguenza, è centrale anche nella costituzione dell’immaginario individuale e

collettivo che tanta parte hanno nel mondo psicologico e che rappresentano il livello 7 Frigoli D. (2004), Ecobiopsicologia. Psicosomatica della complessità, Milano, M&B.

8 Cavallari G. (2011), Quaderni Asolani Mysterium Coniunctionis, La base ecobiopsicologica delle immagini

archetipiche Terra Celeste, P. E. Persiani, p.117.

L’UNIONE DI

MENTE E CORPO

SI COMPIE AD

OGNI ISTANTE

NEL MOVIMENTO

DELL’ESISTENZA.

(M. PONTY)

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18

più alto dell’espressività personale. Le esperienze proposte nei due laboratori “Dalla Luce all’Ombra e dall’Ombra alla Luce”, in occasione del Convegno Demetra di quest’anno9, avevano lo scopo di “mettere in movimento” la ricerca del Centro come esperienza strutturante, tramite proposte psicomotorie, danze rituali, imagerie mentale, per attivare e liberare vissuti che sotto la spinta della forza gravitazionale conducessero ogni partecipante più a contatto con se stesso, con ciò che padroneggia e con ciò che teme. Tutto questo per poter percepire e incontrare, nell’attivazione neuromuscolare, tonico-motoria (passando dal mondo tattile al mondo percettivo), quei contenuti psicologici che in quel dato momento, in quest’epoca, in quel preciso istante, storico, personale e collettivo, potessero essere raggiunti. Abbiamo voluto che venissero approfonditi, rispetto al rapporto Luce-Ombra giocato nella dimensione esistenziale, quegli aspetti personali inconsapevoli che influiscono e condizionano il nostro quotidiano: i comportamenti, le relazioni e le scelte di vita. Aspetti che tendono abitualmente a restare fuori dalla consapevolezza per la loro difficile accettazione e, in questo senso, attribuibili ad aspetti Ombra. La scelta iniziale è stata di lavorare, sulla base delle riflessioni teorico-pratiche della dott.ssa A. Sieber-Ratti10, con degli oggetti concreti e tangibili che potessero evocare contenuti proiettivi e, tramite le loro valenze simboliche, che dessero accesso al mondo interno psicologico. Il nostro desiderio e le nostre intenzioni miravano a far sì che l’Io del soggetto si riappropriasse, nel contatto con le proprie misteriose profondità, favorite dalla scelta dell’oggetto, della forza creatrice dell’Ombra. Forza che promana dai contenuti scacciati o temuti dall’Io e poi reintrodotti, quando siano riconosciuti e accolti nel panorama psicologico personale. Siamo convinte che sia la soggettività a operare in direzione della scelta,facendo in

9 cfr. www.convegnodemetra.it

10 Sieber Ratti A. (2012), cfr. Esperienza tenutasi a Treviso con Gruppo G.I.T.I.M attraverso la Formazione con il metodo

V.I.C. Vissuto Immaginativo Catatimico.

SIAMO

COSTANTEMENT

E SOGGETTI ALLA

FORZA DI

GRAVITÀ,

CENTRALE PER IL

SUO RUOLO

NELLA

COSTRUZIONE

DELL’IDENTITÀ

PERSONALE.

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19

modo che l’oggetto scelto vada a liberare quei contenuti che in quel preciso istante possono venire alla luce ed esplicitarsi nell’impatto esperienziale. Questa fase è stata seguita dal Rilassamento Immaginativo, il cui vissuto distensivo ha potuto creare quell’esperienza di vita dove la partecipazione del soggetto è totale, sia sul piano del sentire sia sul piano dell’agire, e si condensa in immagini. Nel momento stesso in cui la mente si soffermasse a coglierle, queste ultime potrebbero rivelare nuovi contenuti personali e favorire l’esperienza forte e irrinunciabile dello stupore. Quanto viene da noi sostenuto trova appoggio su contenuti e riflessioni del prof. Burgos, che si occupa di Poetica dell’Immaginario11 e che va a definire precisamente: “È l’Immaginario che ci rende protagonisti di quanto avviene e di quello che siamo, produttori di cose nuove, complici attivi del nostro divenire”. La seconda proposta Psicocorporea ha dato ulteriori stimoli e si è avvalsa dell’attività psicomotoria. Sono state poste le condizioni affinché ciascuno scegliesse ancora e in diversa modalità, di realizzare, sul piano concreto e in accordo con il livello immaginario soggettivo, la discesa nel mondo profondo, gli “Inferi”, seguendo i passi di Psiche (secondo la fiaba mitologica di Apuleio12 che descrive la sua trasformazione). L’esperienza proposta riguardava l’ultima prova di iniziazione che Psiche deve superare nel suo percorso di Individuazione: la discesa agli Inferi, nel luogo terrificante rappresentato dal mondo oscuro, dove si giunge per lunghe e difficoltose peregrinazioni, e dove qualcosa di sconosciuto spaventa e allo stesso tempo attira. M. L. Von Franz13 e J. Hillman14, esponenti della Psicologia Analitica, riconoscono nel racconto di Apuleio un simbolo del cammino d’Individuazione, di quel percorso che permette l’integrazione di sé e di realizzare la propria vita. Questa fiaba, inserita nel libro, è uno dei racconti

11

Burgos J. (2009), L’Immaginario della salute, Conferenza al Gruppo G.I.T.I.M., Treviso. 12

Apuleio, (1974), L’Asino d’oro, Garzanti Editore. 13

Von Franz M. L. (1985), L’asino d’oro, Boringhieri. 14

Hillman J. (1990), Fuochi blu, Adelphi, Milano.

“È L’IMMAGINARIO

CHE CI RENDE

PROTAGONISTI DI

QUANTO AVVIENE

E DI QUELLO CHE

SIAMO,

PRODUTTORI DI

“È L’IMMAGINARIO

CHE CI RENDE

PROTAGONISTI DI

QUANTO AVVIENE

E DI QUELLO CHE

SIAMO,

PRODUTTORI DI

COSE NUOVE,

COMPLICI ATTIVI

DEL NOSTRO

DIVENIRE”. (J.

BURGOS)

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20

che il protagonista Lucio ascolta come metafora del percorso magico che sta compiendo, è il racconto più rilevante che testimonia il fine segreto dell’opera: la coscienza che si incarna nel corpo. L’Ecobiopsicologia vede nelle vicende della fanciulla Psiche l’espressione simbolica di quanto la Psiche individuale compie nel suo cammino archetipico di emancipazione dalla Materia; di questo possiamo vedere il riflesso nello sviluppo ontogenetico dell’essere umano.15 L'attività psicomotoria offerta è stata guidata nella direzione della Catabasi, andare giù-movimento discendente, e successiva Anabasi, andare su-movimento ascendente. Tutto ciò per esplorare la percezione cinestesica relativa alle sensazioni del corpo e delle sue parti in movimento nello spazio, con la finalità di un’integrazione cenestesica, come sensazione globale-complessiva dell'esistenza del proprio corpo in tutte le sue variazioni, dal malessere al benessere. Queste esperienze hanno costituito la base esperienziale del successivo percorso individuale alla ricerca del mondo oscuro e misterioso che giace nel profondo di noi. Dalla discesa alla risalita e poi l’uscita dal mondo degli Inferi, per realizzare questa esperienza di Iniziazione-Individuazione che, favorendo l’incontro con le forze della vita profonda e oscura (dagli aspetti più piacevoli a quelli più angoscianti), attivando il coraggio e la motivazione, vinte le difficoltà e superate le prove, liberasse la percezione della complessità e gratuità della vita stessa nelle sue molteplici sfaccettature e possibilità creative. Riteniamo che queste esperienze siano significative e importanti per chi le vive in quanto: la Psicomotricità è una disciplina che rivela, attraverso le sue proposte, come ogni movimento ed espressione corporea siano da intendersi come un insieme globale di reazioni fisiche e fisiologiche in determinate circostanze stabilite. Quello che avviene nell’esperienza psicomotoria è una sorta di occupazione provvisoria di uno spazio, il quale diventa spazio che si apre all’Immaginario, una nuova realtà da decifrare. Descrivere, dare parola e comunicare queste nuove realtà, mette il soggetto nella condizione di riordinare, esplicitare, il Sentire, quindi, diventare consapevole del proprio mondo e riconoscere la propria Anima espressa dal Corpo.

15

Breno M. (2012), Le tracce archetipiche della nascita e dell’evoluzione della mente nel mito di Amore e Psiche, in “Materia

Prima”, Inerzia e Trasformazione, Rivista di Psicosomatica Ecobiopsicologica, p.4.

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21

Nella conduzione delle due serate abbiamo privilegiato non un percorso lineare, ma un movimento a spirale, quel movimento che più di ogni altro rende tangibili la forza centripeta, di spinta verso il centro e quella centrifuga, di allontanamento dal centro. E in un movimento spiralico si sono susseguite le proposte, lasciando che entrambe le forze assumessero il loro valore soggettivo nell’hic et nunc. Tutto ciò per poter attivare e poi impadronirsi di quell’approccio conoscitivo in cui, come dice Frigoli “la facoltà dell’Immaginazione ad effetto centrifugo, perché si diparte dall’Io, si fonde con quella dell’osservazione ad effetto centripeto, perché i dati osservati rinforzano l’Io, generando una nuova dimensione

esistenziale alternante, il cui stato di coscienza, se si prolunga nel tempo, determina un moto spiralico della mente, riflesso nell’uomo dell’armonia dinamica dell’Universo.”16 La nostra ricerca si muove nella direzione volta a intraprendere una via per entrare in contatto con il nucleo del Sé tramite le verità del corpo. Il nostro riferimento è al concetto Junghiano del Sé come Archetipo centrale del processo Individuativo. L’accentuazione del concetto del Sé in Ecobiopsicologia è il suo riconoscimento come centro della personalità intesa nel suo complesso, sia cosciente, sia inconscia, che svolge un ruolo attivante, organizzatore e regolatore del funzionamento psicosomatico. L’esperienza di vita condotta lungo questa linea consente la realizzazione della propria storia e della propria soggettività, nelle loro espressioni originali e creative, verso l’integrazione delle istanze personali e un senso di pienezza molto gratificante. Nell’esperienza dei due Laboratori, sia noi e sia chi ci ha seguito, abbiamo corso dei “rischi”, abbiamo vissuto reali momenti di difficoltà. Abbiamo, simbolicamente, tenuto in mano una bussola, cioè l’apertura alle forze del Sé e alle sue immagini per come si manifestavano in noi. Nonostante l’incontro sia avvenuto nell’esplorazione e attraversamento di luoghi interiori bui e oscuri, ciò che ha consentito e facilitato il

16

Frigoli D. (1985), Il segreto è nell’analogia, “Riza Psicosomatica” n.51, Milano, Maggio, p. 22.

QUELLO CHE AVVIENE

NELL’ESPERIENZA

PSICOMOTORIA È UNA

SORTA DI OCCUPAZIONE

PROVVISORIA DI UNO

SPAZIO, IL QUALE DIVENTA

SPAZIO CHE SI APRE

ALL’IMMAGINARIO

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nostro lavoro è stato percorrere e far percorrere il cammino, tenendo lo sguardo sull’ago magnetico della bussola rappresentato dalle nostre personali immagini, per orientarci e aiutare ciascuno a raggiungere quell’ordine interno possibile, quello che i punti cardinali riflettono nella loro posizione. Il loro valore simbolico è reso percepibile a chiunque vi si rivolga con una domanda aperta al senso. La nostra ricerca prosegue, animata e confortata, verso direzioni possibili sulla strada delle verità del corpo, dove ci guidano l’esperienza corporea stessa e il riscontro costante del suo ruolo nella costruzione dell’attività psichica dell’individuo, inteso nella sua totalità somato-psichica.

[email protected]

LA NOSTRA RICERCA SI

MUOVE NELLA DIREZIONE

VOLTA A INTRAPRENDERE

UNA VIA PER ENTRARE IN

CONTATTO CON IL NUCLEO

DEL SÉ, CENTRO DELLA

PERSONALITÀ, TRAMITE LE

VERITÀ DEL CORPO.

Page 23: DEMETRA - Associazione culturale - N°1

23

Bibliografia Apuleio, L’Asino d’oro, Garzanti Editore, 1974. Breno M. (2012), Le tracce archetipiche della nascita e dell’evoluzione della mente nel mito di Amore e Psiche, in “Materia Prima”, Inerzia e Trasformazione, Rivista di Psicosomatica Ecobiopsicologica. Burgos J. (2009), L’Immaginario della salute, Conferenza al Gruppo G.I.T.I.M., Treviso. Cavallari G. (2011), Quaderni Asolani Mysterium Coniunctionis, La base ecobiopsicologica delle immagini archetipiche Terra Celeste, P. E. Persiani. Frigoli D. (1985), Il segreto è nell’analogia, “Riza Psicosomatica” n. 51, Milano, Maggio. Frigoli D. (2004), Ecobiopsicologia. Psicosomatica della complessità, Milano M&B. Hillman J. (1990), Fuochi blu, Adelphi, Milano. Merleau Ponty (1965), Fenomenologia della Percezione, Il Saggiatore, Milano. Sieber Ratti A. (2012), cfr. Esperienza tenutasi a Treviso con Gruppo G.I.T.I.M attraverso la Formazione con il metodo V.I.C. Vissuto Immaginativo Catatimico. Von Franz M. L. (1985), L’asino d’oro, Boringhieri.

Page 24: DEMETRA - Associazione culturale - N°1

24

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25

ANGOLO NATURA Il nocciolo

Cristina Paladin

C’è un ricordo lontano nel tempo. Un momento piacevole della mia

infanzia. Da bambina andavo con la mia bisnonna in campagna, vicino a casa. Mi

ricordo della moltitudine di verde che ci attorniava e dei mille profumi che ci

facevano rallegrare il cuore, mentre con l’olfatto cercavo di indovinare a chi

appartenessero... l’erba appena tagliata o il profumo del fieno scaldato dal sole.

Mi colpivano tanto gli alberi in fiore e anche quelli che allora mi sembravano

giganti: solleticavano il mio desiderio di conquista. Poi c’erano gli alberi che non

destavano la mia curiosità, ma di cui nonna mi svelava la loro “saggezza”: uno di

questi è il nocciolo. Non aveva fiori e il suo “timido” profumo si confondeva nel

buon odore della natura. Nonna mi diceva: “È una pianta tenace e resistente a tutti i tipi di malattie. Facile da coltivare, pensa che il vento non la spaventa in quanto il suo legno è resistente ed elastico. Viene piantata vicina ai fossi che dividono le proprietà, perché le sue radici formano una sorta di grande rete appena sotto terra, così il terreno si rafforza e non frana”. Mi insegnava che le

radici del nocciolo hanno una

grande capacità di produrre

polloni17 e per questo i

contadini ne piantavano tanti,

perché crescevano più

velocemente.

Ricordo che chiamavo i suoi

frutti, “fiori nascosti”. Ho

sempre fantasticato e

desiderato poter immortalare l’attimo in cui da quel “fiore nascosto” esce e

cade la nocciola. Ricordo soprattutto quando andavamo a raccogliere le

nocciole: le prendevamo e poi nonna con un sasso le rompeva e me le dava da

mangiare. Se chiudo gli occhi ancora sento il loro sapore e ricordo le sue mani

forti e ruvide, ma soprattutto il suo sorriso “a tre denti”, con gli occhi così

17

È la parte della pianta sotto forma di ramo che si sviluppa direttamente sul tronco o ai piedi dell’albero, a

volte anche direttamente dalla radice, questo permette di ottenere piante adulte in un tempo minore che da

seme assicurando esemplari uguali alla pianta madre e con lo stesso patrimonio genetico.

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felici da diventare due linee dell’orizzonte, il suo volto increspato di rughe che

sembrava terra arata da seminare. Nonna mi diceva che era buona cosa lasciare

delle nocciole a terra, perché diventavano cibo per gli scoiattoli, i topi di

campagna, la gazza o il picchio.

Questi ricordi oggi portano con sé la semplicità e la forza della Madre Terra,

dove ogni cosa è tale perché è una parte di essa. Ma anche lo stupore di

conoscere maggiormente il significato di ogni cosa e addentrarsi sempre di più

nel suo mistero nascosto. Ecco che il mio desiderio di sapere, legato a questo

ricordo, mi ha condotta a raccogliere una serie di curiosità su questa pianta,

stimolando suggestioni attraverso intrecci possibili tra il nocciolo e la rete

della vita di cui si parla nell'articolo di Valter Carniello.

Tra le tante informazioni del nocciolo ne ho scelte alcune a mio parere più

significative e stimolanti, eccole!

Il nocciolo è una delle più antiche piante coltivate dall’uomo. È molto comune in

tutta Europa, sia nelle zone marittime che in quelle con altitudine più elevata: è

possibile trovare piante di nocciolo sino ai 1200 m di altitudine. La varietà

coltivata in Italia è la specie spontanea Corylus avellana (il nome del genere deriva dal greco kóris, elmo, per la forma dell'involucro membranoso che ricopre il frutto, e avellana in quanto diffuso nella zona di Avellino). L’albero può assumere l’aspetto

di un arbusto di piccole dimensioni, con una chioma

densa e globosa che può andare da 1,5 metri a 4

metri di diametro e molto ricca di foglie; a fusto

unico diventa un piccolo albero che può

raggiungere i 7 metri di altezza. Cresce molto

rapidamente e verso i 40 anni finisce la sua

espansione. Anche gli

esemplari più longevi e rari

non superano i 70 anni di vita.

La sua corteccia è tipica e

riconoscibile: sulla sua

superficie, infatti, sono

presenti numerose cellule

dalla forma di lenti,

attraversate da una fessura,

molto evidenti al tatto, ed è

di colore grigio, ma che può

tendere al bruno o al rosso.

Page 27: DEMETRA - Associazione culturale - N°1

27

Le sue foglie sono disposte sui rami in modo alterno e hanno una forma quasi

rotonda, con apice appuntito e margine dentato. Una delle sue caratteristiche è

il periodo di fioritura che è sicuramente “fuori stagione”, poiché avviene in

pieno inverno. Hadewijch d’Anversa, poetessa e mistica del 13° secolo, scriveva:

“Mi fece allora simile al nocciolo che

presto fiorisce nei mesi oscuri e a lungo

lascia attendere i frutti desiderati…”

simbolo quindi di pazienza e di costanza

come nello sviluppo dell’esperienza

mistica, i cui frutti si fanno

attendere.18

Il nocciolo possiede fiori femminili e

fiori maschili. Quelli maschili sono

lunghi amenti penduli, dal colore bruno,

e si formano in autunno. In inverno

diventano giallastri e, mossi dal vento,

liberano una grande quantità di polline.

Il vento trasporta questo polline fino ai

fiori femminili, simili a gemme da cui

sporgono gli stimmi rossi. Quest’ultimi fioriscono

nel periodo tra gennaio-marzo e sono meno

evidenti. In questo caso la pianta produce grandi

quantità di polline e non ha bisogno di colori vivaci,

profumi, nettàri, organi vessillari, e cerca di

eliminare eventuali ostacoli alla diffusione del

polline: ecco il motivo per il quale fiorisce prima

dello sviluppo delle foglie.

Queste caratteristiche ci aiutano a comprendere la ragione per la quale a

quest’albero e al suo frutto è sempre stato data una “visione simbolica”

importante.

La presenza di fiori maschili e femminili ci porta innanzitutto a riconoscere che

quest’albero ha in sé gli opposti che ciclicamente si “relazionano nella loro

complementarietà” per raggiungere la trasformazione attraverso il frutto: la

nocciola. E spiega perché questa pianta viene spesso associata alla fertilità, al

matrimonio.

La caratteristica che più ha destato la mia curiosità è che nel nocciolo si

trovano sia i fiori femminili che maschili. Questo “incontro” mi porta 18

Dizionario dei simboli, di Jean Chevalier e Alain Gheerbrant 1986-1999, Milano ed. BUR, p. 129.

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28

naturalmente ad associare “l'incontro” tra la donna e l'uomo, da cui possono

scaturire l’inizio della vita umana.

E ancora…

Le nocciole si trovano sull’albero già piene alla fine di luglio, ma maturano

soltanto per la fine di agosto. Si formano in gruppi di 2 o 4 frutti ed è molto

raro che si presentino in forma singola. Vanno raccolte una volta cadute

dall’albero, perché sono buone solo a maturazione completa. Una volta raccolta,

deve essere privata dell’involucro fibroso in cui è racchiusa e mangiata dopo

averla fatta asciugare in un luogo ventilato, al riparo dal sole. Sono frutti oleosi

che presentano un’elevata concentrazione energetica; apportano potassio,

fosforo e magnesio, che combattono sindromi di stanchezza e stress, e aiutano

a mantenere un metabolismo veloce. Sono caratterizzate da una buona

digeribilità e da un buon contenuto di vitamina E. Vengono usate per piatti dolci

e salati. Con le nocciole si ottiene l’olio per condimenti (molto simile all'olio

extravergine di oliva); a metà Novecento le difficoltà della guerra e la

tradizione ed esperienza contadine resero l'olio di nocciola un condimento di

uso comune nelle cucine di quelle zone geografiche in cui era difficile reperire

l'olio di oliva. Dalle nocciole viene prodotto anche l’olio destinato al

trattamento della pelle prevenendone la disidratazione, ma anche per la

preparazione dei colori; grazie alle sue proprietà emollienti, tonificanti e

nutrienti è molto utilizzato per i massaggi e per la cura del viso.

Il legno di nocciolo, invece, robusto ed elastico, è adoperato per pali e cerchi

di botte. Il carbone che si ottiene dal legno, oltre che come combustibile, è

impiegato nella preparazione della polvere pirica e dei carboncini da disegno.

Le foglie di nocciolo vengono invece utilizzate in fitoterapia grazie alle loro

proprietà depurative nei confronti dell'organismo e per il loro effetto

antinfiammatorio, cicatrizzante ed astringente.

Greci e Romani resero omaggio alle virtù di questa pianta riconoscendone e

apprezzandone le proprietà medicinali, rappresentata con un serpente (che con

il cambiamento della pelle simboleggia la rinascita e la fertilità) attorcigliato

intorno ad una verga: il Bastone di Asclepio (il nome latinizzato del dio era

Esculapio). - Fig. Asclepio, statua conservata agli Uffizi, è una copia romana risalente al II secolo d.C..

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Tante sono le leggende legate al nocciolo. Ad

esempio, i Celti consideravano le nocciole

"contenitori della sapienza e della saggezza

interiore", capaci di procurare la conoscenza

delle arti e delle scienze segrete. Infatti, la

nocciola in lingua celtica era chiamata Coll e

considerata il simbolo della saggezza.

In Germania si narrava che, adoperando delle

bacchette di nocciolo, era possibile obbligare le

streghe a restituire la fecondità ad animali e

piante ai quali l’avevano tolta con i loro

sortilegi. I Germani avevano consacrato il

Nocciolo a Thor, dio dei tuoni Thor; questo

popolo credeva infatti che, in caso di temporali,

trovare ricovero sotto un nocciolo avrebbe

potuto scamparli dai fulmini.

Per i Romani donare piante di nocciolo era

augurio di pace e prosperità; per questo in

occasione delle nozze si distribuivano nocciole

per augurare fecondità agli sposi.

Nel Medio Evo il legno di nocciolo era usato per

mettersi in contatto con il demonio o comunque per invocare le forze del male.

Sempre durante il Medioevo un ramo di nocciolo, reciso da un coltello mai

usato, era lo strumento utilizzato per parlare ai morti o per evocare una

persona scomparsa.

Il legno di nocciolo oggi è utilizzato per i bastoni dei rabdomanti al fine di

individuare più facilmente vene d’acqua; pare anche che un bastone in nocciolo

potesse aiutare a trovare non solo l’acqua, ma a scoprire miniere, tesori

nascosti e, addirittura, ladri o assassini fuggiaschi.

Dopo queste curiosità legate al mondo della nocciola, vi invito ora a scoprire il

piacere di assimilare questo frutto attraverso il cucinare, il trasformare e il

mangiare.

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Ricetta: Pasta alle Nocciole

Ingredienti (per 4 persone):

320 g. di pasta

60 g. di nocciole tritate

40 g. di nocciole (tostate) finemente

tritate

1 noce di burro

olio d'oliva q.b.

cannella in polvere q.b. (facoltativo)

Procedimento: Caliamo la pasta in acqua bollente salata. Nel frattempo in una

padella scaldiamo l'olio con il burro, uniamo le nocciole tritate e lasciamo

andare per 2'. Scoliamo la pasta al dente e la uniamo al sugo di nocciole

mescolando bene (se necessario aggiungiamo un po' di acqua di cottura della

pasta), lasciamo insaporire. Spegniamo il fuoco e aggiungiamo le nocciole tritate

finemente, mescoliamo bene. Se preferiamo spolveriamo con qualche pizzico di

cannella. Serviamo caldo... e degustiamo in compagnia!

Questo è un piatto molto aromatico, caratterizzato dal profumo intenso di

nocciole. Si possono utilizzare tutti i tipi di pasta, ma ho scelto di usare quella

corta rigata poiché vi si attaccano meglio le nocciole finemente tritate. [email protected]

Bibliografia

Dizionario dei simboli, di Jean Chevalier e Alain Gheerbrant 1986-1999, Milano ed. BUR.

Materia Prima “Il femminile”, Rivista di Psicosomatica Ecobiopsicologica, Periodico telematico

trimestrale a carattere scientifico dell’Istituto ANEB, Anno I – n. 1 – marzo 2011, Edizioni ANEB,

Milano.

Materia Prima “Il maschile”, Rivista di Psicosomatica Ecobiopsicologica, Periodico telematico

trimestrale a carattere scientifico dell’Istituto ANEB, Anno I – n. 4 – dicembre 2011, Edizioni

ANEB, Milano.

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NOTE BIOGRAFICHE

ANNA VILLA

Psicologa-Psicoterapeuta ad orientamento junghiano e psicosomatico. Vive e lavora a Treviso come

libera Professionista. Nel 1996 fonda l’Associazione Culturale Demetra, di cui è Presidente, che

opera nel territorio trevigiano dal 1998 con iniziative teorico-pratiche volte all’integrazione

psicosomatica. Nell’associazione Demetra ha proposto negli anni Corsi per le donne sui temi del

Femminile attraverso la Tecnica Psicomotoria e le fiabe. Propone serate di Danze Rituali come

esperienze di Espressione, Movimento e approfondimento personale di tematiche Inerenti la

Consapevolezza di sé. È docente della Scuola di Psicoterapia dell’ANEB, Associazione Nazionale di

Ecobiopsicologia con sede a Milano.

CRISTINA PALADIN

Diplomata in Servizio Sociale all’Università di Trieste.

Diplomata Counselor in Psicosomatica Ecobiopsicologica all’ANEB di Milano. Lavora da anni

nell’ambito sociale.

LAURA ZANARDO

Psicologa-Psicoterapeuta, esperta in tecniche di Rilassamento Immaginativo, è Psicomotricista presso

l’ULSS n°9 di Treviso. Membro direttivo dell’Associazione Culturale Demetra. È docente presso la

Scuola di Psicoterapia GITIM di Treviso - Gruppo Italiano Tecniche Imagerie Mentale - Scuola

Italiana di Psicoterapia per le Tecniche Immaginative di Analisi e Ristrutturazione del Profondo

secondo ITP di L. Rigo.

SUSANNA RUBATTO

Laureata in lettere all’Università Ca’ Foscari (VE). Diplomata Counselor in Psicosomatica

Ecobiopsicologica all’ANEB (MI). Svolge la propria attività a Treviso.

VALTER CARNIELLO

Psicologo e Psicoterapeuta con la specializzazione ad indirizzo psicosomatico. Si occupa di ipnosi e

ne studia le applicazioni cliniche. Da diversi anni segue l’impostazione ecobiopsicologica. Nel 1997

fonda l’Associazione culturale IL LABIRINTO. Lavora a Sacile e a Treviso, privatamente e per le

Aziende Sanitarie.

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L

L’Associazione Culturale Demetra opera nel territorio trevigia no dal

1998. Le sue proposte mirano a sensibilizzare, formare e informare quanti manifestino interesse nella ricerca personale, individuale e sociale in ordine all’integrazione corpo-mente secondo una visione olistica della persona inserita in un suo contesto ambientale, in relazione con il mondo esterno circostante. L’Associazione ritiene che l’integrazione corpo-mente possa rispondere alla necessità esistenziale di benessere e di unità personale di cui ogni essere umano ha diritto e che questa si raggiunga attraverso la graduale acquisizione di consapevolezza, la maturazione della Coscienza. Negli anni sono state attivate esperienze corporee come Psicomotricità, Danze Rituali, Yoga, Teatro-Danza, Bioenergetica, Psicodramma Corporeo, e sono stati proposti Seminari di approfondimento e Convegni divulgativi su tematiche Psicosomatiche e Psicologiche di interesse generale e specifico per favorire la riflessione e una maggior conoscenza delle più recenti acquisizioni scientifiche inerenti a queste materie. Il Direttivo dell’Associazione è formato da Anna Villa e Laura Zanardo, psicologhe-psicoterapeute e da Enrico Marignani, avvocato. Le attività dell’Associazione sono sempre seguite con interesse; i suoi soci raggiungono il numero di 450 e nel corso degli anni la partecipazione, soprattutto ai Convegni, ha visto mobilitarsi tutto il territorio del Triveneto. Fin dall’inizio Demetra collabora con l’ANEB, Associazione Nazionale di Ecobiopsicologia che ha sede a Milano.

www.convegnodemetra.it

IL LABIRINTO nasce nel 1997 a Sacile (PN) con lo scopo di diffondere

la cultura e la ricerca nell’ambito della medicina psicosomatica. Le attività

didattico culturali dell’Associazione toccano punti fondamentali come: i disturbi psicosomatici, l'identità, la personalità, l'incidenza del mondo degli affetti sulla

salute psicofisica. Per affrontare nella loro globalità la salute e la malattia, è conveniente

ampliare la prospettiva d’intervento, cogliendo l'importanza dell'integrazione di

tutte le parti della persona: psichica, corporea, relazionale ecc. Un'altra caratteristica peculiare dell’Associazione è lo studio e l'utilizzo

di tecniche a mediazione corporea e l'ipnosi clinica. Nel corso degli anni si sono organizzati numerosi corsi di formazione in tecniche ipnotiche rivolte a medici e

psicologi, anche in collaborazione con l’Istituto di Ipnosi Clinica Bernheim di Verona.

L’Associazione Il Labirinto ha sede a: Sacile (PN) in via Meneghini, 3

tel. 348 3578 838 e_mail: [email protected]