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rivista bimestrale di dottrina, giurisprudenza e legislazione diretta da Giovanni Iudica – Ugo Carnevali | estratto CONSIDERAZIONI IN TEMA DI RESPONSABILITÀ MEDICA E DI RELATIVA ASSICURAZIONE NELLA PROSPETTIVA DELL’INTERVENTO LEGISLATIVO di Enrico Quadri ISSN 0391-187X

di Enrico Quadri...indicata quale una sorta di «esplosione» della responsabilità civile in materia medica. Una «esplosione» che ha riguardato profili rilevanti: anche da questo

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r i v i s t a b i m e s t r a l e d i d o t t r i n a ,g i u r i s p r u d e n z a e l e g i s l a z i o n e

d i r et t a d aGi o v an n i I u d i ca – Ug o Car n ev a l i

| estratto

C O N S I D E R A Z I O N I I N T E M AD I R E S P O N S A B I L I T À M E D I C AE D I R E L A T I V AA S S I C U R A Z I O N E N E L L AP R O S P E T T I V AD E L L ’ I N T E R V E N T OL E G I S L A T I V O

di Enrico Quadri

ISSN

039

1-18

7X

2 CONSIDERAZIONI IN TEMA DI RESPONSABILITÀ MEDICA E DI

RELATIVA ASSICURAZIONE NELLA PROSPETTIVA

DELL’INTERVENTO LEGISLATIVO (*)

di Enrico Quadri

La responsabilità medica ha sempre costituito la frontiera avanzata della responsabilità civile. Icriteri attributivi della responsabilità sono diventati più severi e la rilevanza riconosciuta al « con-senso informato » del paziente ha contribuito ad aggravare ulteriormente la responsabilità deiprofessionisti. La conseguenza è stata, come reazione, la c.d. « medicina difensiva ». Per superare lagrave situazione venutasi a creare, il legislatore è già intervenuto nel 2012, con la legge Balduzzi,ed è in corso un suo ulteriore intervento (ora definitivamente varato il 28 febbraio 2017). Taleintervento concerne i criteri alla base della responsabilità penale e civile in medicina e sistemiobbligatori di risk management. Il legislatore intende, inoltre, disciplinare in modo più dettagliato lostrumento dell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile: essenziale, per il suo succes-so, si presenta il bilanciamento degli interessi di tutte le categorie coinvolte (strutture sanitarie,medici, pazienti, imprese di assicurazione). Resta il problema dell’adeguato finanziamento di talecomplessivo sistema dell’assicurazione obbligatoria: in proposito, sembra illusorio che la riformapossa funzionare efficacemente senza un qualche apporto di risorse economiche pubbliche.

The medical liability has always been the advanced frontier of civil liability. The attributive criteria of liability has

become more severe and the recognized importance to the “informed consent” of the patient has contributed to

further aggravate the liability of the professionals. The consequence has been, as a reaction, the so-called

“defensive medicine”. To overcome the serious situation created, the legislator has already intervened in 2012,

with the Balduzzi law, and a further intervention is being discussed ( just now finally passed). This intervention

concerns the criteria of criminal and civil liability in medicine and the introduction of mandatory systems of risk

management. The legislator also intends to regulate in more detail the compulsory insurance of civil liability:

essential, for its success, is the balancing of interests of all the categories involved (health facilities, professionals,

patients, insurance companies). The problem remains referring to a proper funding of such a comprehensive

compulsory insurance scheme: in this regard, it seems illusory that a reform can work efficiently without some

contribution of public financial resources.

Sommario 1. Responsabilità civile e responsabilità medica. — 2. Criteri attributivi della responsabi-lità civile in materia sanitaria. — 3. Il profilo del consenso informato. — 4. Conseguenze della « esplo-sione » della responsabilità in materia sanitaria e piani d’intervento legislativo. Criteri attributivi dellaresponsabilità — 5. Altri piani d’intervento: risk management e modalità del risarcimento. — 6. Lo stru-mento assicurativo nella prospettiva dell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile in ma-teria sanitaria. — 7. Previsione di un « Fondo di garanzia » e problemi di finanziamento del sistema.

(*) Contributo approvato dai Referee.Lo scritto trae spunto dalle considerazioni introduttive ai lavori di una delle sessioni del Convegno «Law and

Medicine. Current Topics in a German and Italian Perspective », Napoli, 20-21 maggio 2016. Esso si ricollega alleosservazioni svolte in questa Rivista, 2004, 319 ss., Profili della responsabilità medica con particolare riguardoalla ginecologia e ostetricia: esperienze recenti e prospettive.

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1. RESPONSABILITÀ CIVILE E RESPONSABILITÀ MEDICALa sensibilità per il tema oggetto di riflessione risulta evidentemente determinata dalpeculiare tipo di bene che qui è in gioco: la salute, il più importante tra i diritti fondamentalidella persona.

Comprensibilmente, allora, questa materia è stata tra le più investite da quei processiche hanno caratterizzato la nostra responsabilità civile. Come evidenziava Ripert già nel1948, la sostituzione della «idea di riparazione all’idea di responsabilità» è valsa a chiarirecome l’obiettivo della responsabilità civile sia quello di riparare, di ovviare, cioè, ad unasituazione di lesione dei diritti, soprattutto se fondamentali, con l’inevitabile conseguenza,come scriveva Rodotà negli anni Sessanta, di uno «spostamento dell’attenzione dall’autoredel danno alla vittima». Non più, insomma, la responsabilità civile vista come una sorta disanzione o di punizione per un comportamento, ma come rimedio, appunto, alla lesione didiritti, con la necessità di ripristinare la situazione antecedente: di rimediare, cioè, alleconseguenze dell’atto lesivo, nelle situazioni in cui i diritti, e in particolare quelli fondamen-tali della persona, siano stati violati o, comunque, siano stati in qualche maniera posti incondizioni di non riuscire ad affermarsi pienamente.

Ben spiegabile, allora, è il perché la responsabilità medica abbia costituito in largamisura il terreno elettivo di molte discussioni tra le impostazioni tradizionali in materia diresponsabilità civile e quelle più innovative. Come non si è mancato diffusamente di sot-tolineare, la responsabilità medica ha finito col rappresentare un vero e proprio «sottosi-stema», e forse il più significativo, della responsabilità civile. Così, non a caso, in materia diresponsabilità medica, più acceso si è presentato il dibattito, ad esempio, in ordine alsuperamento di una rigida contrapposizione tra responsabilità contrattuale e responsabi-lità extracontrattuale, nonché quello circa l’opportunità di accantonare la discussa distin-zione tra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di risultato (di «discussa dicotomia», ineffetti ha parlato già Cass. civ., 8 agosto 1985, n. 4394; e v. anche Cass. civ., 6 febbraio 1998,n. 1286).

In considerazione di ciò, forse più che un «sottosistema» della responsabilità civile, ilcampo della responsabilità in materia medico-sanitaria può essere senz’altro consideratoquale una sorta di «frontiera avanzata» della responsabilità civile nel suo complesso. Comenon ricordare, in proposito, che proprio nel campo della responsabilità medica ha avutomodo di essere operata — fin dalla nota decisione n. 589 del 22 gennaio 1999, tendente arimeditare la posizione del medico quando presti la sua attività in una struttura sanitaria —la sperimentazione di una nuova prospettiva, quale quella della responsabilità da «contattosociale», destinata ad una fortunata — peraltro, anche di recente, oggetto di dissensi —propagazione nei più diversi settori dell’esperienza giuridica (e v., da ultimo, la relativasistematica teorizzazione da parte di Cass. civ., 13 ottobre 2015, n. 20560).

Non pare il caso neppure di sottolineare come una simile prospettiva della responsabi-lità da «contatto sociale», evidentemente funzionale a qualificare in ogni caso in termini diresponsabilità contrattuale la responsabilità del medico, si presenti indubbiamente piùfavorevole per il paziente/danneggiato rispetto a quella extracontrattuale. E la responsa-bilità da «contatto sociale qualificato», così, ha trovato nuovi ambiti di applicazione, in tuttile ipotesi in cui analoghe esigenze di più incisiva tutela di affidamenti socialmente rilevantisono state avvertite: dalla responsabilità medica essa è passata, per limitarsi a taluneindicazioni, al campo della responsabilità dell’insegnante, a quello della responsabilità

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della banca, fino a connotare l’obbligo di offerta pubblica di acquisto di azioni, nonché,addirittura in via generale, la stessa responsabilità della Pubblica Amministrazione neiconfronti dei cittadini (con rilevanti ricadute, ora, in relazione alla natura — definita con-seguentemente come contrattuale — della responsabilità precontrattuale: Cass. civ., 12luglio 2016, n. 14188, che parla senz’altro di «diffusività ormai assunta dalla teorica dellaresponsabilità da «contatto sociale qualificato», considerando «il significativo ampliamen-to dell’area della responsabilità contrattuale che ne è derivato ... frutto dell’evoluzione nelmodo di intendere la responsabilità civile»).

Un terreno di confronto, quello della responsabilità medica, insomma, in cui vengonodiscusse e contestate vecchie classificazioni, anche con la prospettazione, addirittura, difigure del tutto nuove. Un terreno, peraltro, notoriamente reso ancora più accidentatodall’intreccio della responsabilità penale e di quella civile, con un’invocazione, molto spes-so, della responsabilità penale funzionale esclusivamente all’affermazione della responsa-bilità civile e, quindi, al conseguimento di effetti risarcitori. Diffusa è la sensazione cheanche questo abbia finito col complicare ulteriormente la discussione in materia, anche se,a partire da un certo momento, che possiamo individuare forse in tre sentenze del 12maggio 2003 (nn. 7281, 7282 e 7283), si è inteso tracciare una distinzione abbastanza nettatra il campo della responsabilità penale e quello della responsabilità civile in ordine allerelative condizioni di sussistenza, chiarendo che — data la relativa «insopprimibile diver-sità degli ambiti» — si tratta di due aree che possono anche coincidere, ma che nonnecessariamente devono coincidere, con una conseguente divaricazione di percorsi attri-butivi ed il venir meno della necessitata funzionalizzazione dell’una all’affermazione del-l’altra.

Peraltro, una simile distinzione, consistente nel considerare la responsabilità civile inuna prospettiva tendenzialmente diversa — e sicuramente più elastica — rispetto a quelladella responsabilità penale (si ricordi, con riferimento alla ricostruzione del nesso di cau-salità secondo la regola «del più probabile che non», specificamente, l’impostazione di Sez.Un. civ., 11 gennaio 2008, n. 576, successivamente avallata, ad esempio, da Cass. civ., 20ottobre 2014, n. 22225), sembra avere determinato, di riflesso, quella che viene spessoindicata quale una sorta di «esplosione» della responsabilità civile in materia medica. Una«esplosione» che ha riguardato profili rilevanti: anche da questo punto di vista la respon-sabilità medica risultando, allora, per così dire, l’apripista rispetto agli alti settori dellaresponsabilità. Si allude, in particolare, alla forte valorizzazione, nel contesto del danno allapersona, della figura del danno non patrimoniale, realizzandosi quella che è stata, a suavolta, pure definita in termini di «esplosione» del danno non patrimoniale, soprattutto dalpunto di vista della relativa quantificazione. Insomma, una configurazione della portataeconomica del danno non patrimoniale certamente assai più consistente rispetto al passato,ha trovato inizialmente — e continua a trovare — la sua sede elettiva proprio nel campodella responsabilità medica.

Viene il dubbio, che ciò sia avvenuto forse per supplire ad una certa progressiva emar-ginazione della responsabilità penale. C’è da chiedersi, cioè, se sia stata proprio la scissionedelle prospettive in questo campo, con l’autonomizzazione della responsabilità civile dallaresponsabilità penale, ad avere indotto a cercare nella responsabilità civile una via per«compensare», in qualche misura, una certa marginalizzazione della responsabilità penale(di cui può essere considerata antesignana, per il suo invito alla cautela nell’accertamento

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della ricorrenza del nesso di causalità in sede penale, Sez. Un. pen., 10 luglio 2002, Fran-zese), finendosi con l’accentuarne marcatamente quella curvatura sanzionatoria che, vice-versa, si era inteso in larga misura superare, considerandola ormai — almeno tendenzial-mente — estranea al sistema della responsabilità civile. In effetti, quasi tutti concordano sulpunto che la nuova concezione del danno non patrimoniale risulta scopertamente inner-vata da una tale caratterizzazione in chiave preventivo-punitiva.

Ma, al di là del fenomeno dell’incremento della quantificazione dei risarcimenti (profilo,questo, pure da tenere presente ai fini della delineazione di eventuali interventi legislativi),la «esplosione» della responsabilità in materia medico-sanitaria è avvenuta, con una sortadi rottura degli argini, soprattutto nel campo dei criteri di accertamento della responsabilitàe, quindi, dei criteri che guidano l’attribuzione della responsabilità in questione.

Per ricordare una espressione, diciamo colorita, che però sembra effettivamente valerea rappresentare quanto accaduto negli ultimi decenni nel campo della responsabilità me-dico-sanitaria, in una decisione della Cassazione di una decina di anni fa (Cass. civ., 16ottobre 2007, n. 21619) si delineava così la situazione: da un atteggiamento di evidentefavore per il medico nei confronti della controparte della relazione di cura, si è passati ad unatteggiamento di scoperto favore per quest’ultima e, quindi, per il paziente, potendosiritenere ormai avvenuta — quasi con una singolare inversione del ruolo di «vittima» dellavicenda — la trasformazione del professionista in vera e propria «ambita preda risarcito-ria».

Il risultato del movimento accennato, col mutamento di prospettiva che lo ha caratte-rizzato, insomma, induce, invero alquanto paradossalmente, a guardare all’operatore sani-tario come ad una sorta di animale selvatico da cacciare. E ciò perché, effettivamente, icriteri che governano la responsabilità civile in campo medico risultano tutti — ed esclusi-vamente — elaborati in funzione di una progressiva massimizzazione della tutela del pa-ziente, in quanto «vittima» di un infortunio in campo sanitario.

2. CRITERI ATTRIBUTIVI DELLA RESPONSABILITÀ CIVILE INMATERIA SANITARIAIn relazione al carattere sempre più severo dei criteri attributivi della responsabilità civilein materia sanitaria (anche quale riflesso di opzioni di carattere generale nel campo dellaresponsabilità civile, come con riguardo ai ricordati sviluppi in ordine alla problematica delnesso di causalità), per limitarsi qui ad una mera e sintetica esemplificazione, si ricordicome tale evoluzione possa ritenersi trovare origine negli anni Settanta, in cui si ebbe ilprimo intervento clamoroso della giurisprudenza, con la nota distinzione tra gli interventidi «facile esecuzione» e quelli di «difficile esecuzione» (a partire da Cass. civ., 21 dicembre1978, n. 6141): ciò con il risultato di addossare senz’altro all’operatore, sostanzialmente intermini di responsabilità oggettiva, le eventuali ripercussioni negative degli interventi difacile esecuzione. Quindi, in tal caso, un marcato alleggerimento dell’onere probatorio acarico del paziente, il medico risultando onerato della difficilissima prova della sopravve-nienza di una causa estranea, tale da determinare di per se stessa l’esito infausto, nono-stante la facilità dell’intervento.

Restava però ancora, secondo la giurisprudenza che va dalla fine degli anni ‘70 alla fineanni ‘90, la necessità che il paziente comunque fornisse una qualche prova, continuando agravare su di lui, in particolare, quella del carattere di facile esecuzione dell’intervento e,

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conseguentemente, della responsabilità del medico nell’ipotesi di intervento di difficileesecuzione (quello, cioè, non ordinario, in quanto tale da presentare elementi di novità o,comunque, di peculiare difficoltà). Ebbene, anche a questo riguardo la giurisprudenza piùrecente pare essere andata ben oltre: così, in particolare, si è ulteriormente precisato — conuna decisione che intende fare il punto sulla situazione (Cass. civ., 20 ottobre 2014, n. 22222)— che «la distinzione tra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante lasoluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà non può valere come criterio di distribu-zione dell’onere della prova». Per il soggetto che si ritiene leso, allora, che cosa basteràdimostrare? Il titolo, cioè il contratto di spedalità (o il contratto con il professionista, nell’i-potesi che si tratti di un libero professionista), adducendo semplicemente l’inadempimen-to. Spetterà al professionista (o alla struttura, se si tratta di una vertenza tra il paziente e lastruttura sanitaria) «dare la prova della particolare difficoltà della prestazione» e, in ognicaso, dare comunque «la prova del fatto impeditivo». Insomma, in pratica, gli oneri proba-tori, finiscono col gravare sempre, e quindi anche nel caso di interventi di non facileesecuzione, esclusivamente su chi abbia effettuato la prestazione sanitaria (in dichiarataapplicazione del «principio di c.d. vicinanza alla prova o di riferibilità»).

Quello accennato è stato solo uno dei profili tra quelli caratterizzanti l’evoluzione dellaproblematica qui in discussione. Ma, in aggiunta, non si può mancare almeno di rifletteresulla giurisprudenza che finisce col fare carico al professionista, il quale agisca — come ilpiù delle volte avviene — nel contesto di una struttura sanitaria, pubblica o privata che sia,e pure ove non si tratti di medico dipendente dalla struttura stessa (viene con chiarezzaprecisato da Cass. civ., 17 febbraio 2011, n. 3847), secondo quanto sottolinea sempre ladianzi ricordata recente decisione, non solo, come pare abbastanza ovvio, del dovere di«valutare con prudenza e scrupolo i limiti della propria adeguatezza professionale, ricor-rendo anche all’ausilio di un consulto», ma anche di «adottare tutte le misure volte adovviare alle carenze strutturali organizzative incidenti sugli accertamenti diagnostici e suirisultati dell’intervento e, laddove ciò non sia possibile, deve informare il paziente financoconsigliandogli il ricovero in altre idonee strutture».

Quindi, in buona sostanza, si finisce col far carico — e di questo si è molto lamentata laclasse medica — al professionista del controllo della idoneità strutturale dell’organizzazio-ne sanitaria dell’ospedale o della casa di cura: in ultima analisi, facendosi così spessogravare sugli operatori le conseguenze delle carenze organizzative della struttura sanitaria.

A questo, poi, si aggiunga, come dianzi accennato, anche per il medico dipendente dauna struttura sanitaria, il tutt’altro che indolore passaggio dal regime di responsabilitàextracontrattuale (secondo l’ottica più tradizionale, per cui v., ad esempio, ancora Cass. civ.,24 marzo 1979, n. 1716) a quello di responsabilità contrattuale: ciò in una prospettivaunificante di «responsabilità a contenuto contrattuale di entrambi» (ente e medico), secon-do l’impostazione della ricordata famosa decisione n. 589/1999, fondata sulla valorizzazionedel meccanismo della responsabilità da «contatto sociale».

E quale profilo non trascurabile si presenta anche quello concernente il regime dellaprescrizione, in dipendenza di una giurisprudenza (a partire dalla teorizzazione in materiadi fatti dannosi c.d. «lungolatenti», operata da Sez. Un civ., 11 gennaio 2008, nn. 581 e 583,v., ad esempio, Cass. civ., 27 gennaio 2012, n. 1263), che rende quasi imprescrittibile laresponsabilità in campo sanitario, in quanto si risolve, in buona sostanza, in un rinvioindefinito nel tempo del dies a quo della relativa decorrenza: col risultato di far apparire

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addirittura quasi inutile la stessa discussione — che pure da sempre ha fornito un robustoincentivo alla controversia circa il carattere contrattuale o extracontrattuale della respon-sabilità in questione — in ordine al carattere quinquennale o decennale del relativo termine(in pratica, finendo, almeno tendenzialmente, la responsabilità professionale col non pre-scriversi mai).

Tutti profili, questi, i quali, ovviamente, si intrecciano tra di loro, confluendo in un’unicacorrente tumultuosa, tale da risolversi nell’accennato fenomeno — secondo l’espressionediffusamente impiegata anche in ambiente francese — della «esplosione» della responsa-bilità in ambito sanitario.

Peraltro, non ci s’intende certo dissociare da taluni sicuramente apprezzabili sviluppidella giurisprudenza recente. Va, infatti, adeguatamente posto in evidenza come, a partiredagli anni ‘80, ci si sia finalmente accorti che la medicina non è più quella dell’Ottocento:che, cioè, il rapporto di cura non è più solo — e tanto — quello, di natura eminentementepersonale e fiduciaria, tra il medico ed il paziente, ma anche — e soprattutto — quello delpaziente con la struttura sanitaria, con i conseguenti, sempre più complessi, col progrediredella scienza e della tecnica, problemi di organizzazione sanitaria, certo non ininfluenti dalpunto di vista della configurazione di responsabilità nei relativi confronti. Quindi, l’impo-stazione della giurisprudenza (a partire da Sez. Un. civ., 1° luglio 2002, n. 9556 e, poi, 11gennaio 2008, n. 577; in sintesi, ad es., di recente, Trib. Milano, 17 luglio 2014), tendente adindividuare i termini di un simile rapporto (definito «complesso ed atipico»), delineando lafigura del c.d. «contratto di spedalità» o di «assistenza sanitaria» (comunque destinato aperfezionarsi anche sulla base del mero fatto dell’accettazione del malato presso la strut-tura: Cass. civ., 13 aprile 2007, n. 8826), è certamente di notevole rilevanza.

Risultato di un dibattito dai toni accesi — che s’intreccia con la discussione concernentela qualificazione del rapporto contrattuale tra struttura e paziente (v. già Cass. civ., 8gennaio 1999, n. 103) — è stato quello di porre la spedalità privata delle case di cura sullostesso piano della spedalità degli ospedali pubblici, essendo sembrato opportuno — econtinuando ad apparire opportuno, come risulta evidente anche dall’iniziativa legislativaqui in discussione (specificamente, il d.d.l. n. 2224, c.d. Gelli dal nome del promotore erelatore del provvedimento, nel testo quale approvato dalla Camera il 28 gennaio 2016 e,poi, in quello proposto in Commissione parlamentare al Senato il 2 novembre 2016, iviapprovato l’11 gennaio 2017 e trasmesso alla Camera in vista del varo definitivo, infineavvenuto il 28 febbraio 2017, con la sua comprensiva allusione, nell’art. 4, alle «prestazionisanitarie erogate dalle strutture pubbliche e private», nonché, nell’art. 7, al comune regimedella responsabilità civile della «struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata»,così come, nell’art. 10, all’identico obbligo assicurativo) — che, alla luce degli interessi ingioco, non si possa distinguere la posizione del paziente, trattare, insomma, in manieradifferente il paziente, a seconda che venga curato in una struttura privata o in una pubblica.

E bisogna dire, in effetti, che la giurisprudenza, anticipando le opzioni legislative oraoperate (art. 7 del ricordato d.d.l. n. 2224 e del testo approvato), ha risolto in armonia con lepiù fondate aspettative (e condivisibili ricostruzioni) molte problematiche assai controver-se: in particolare, così, i problemi della responsabilità nei confronti del paziente del ServizioSanitario Nazionale, e quindi delle AASSLL, nell’ipotesi di prestazione medica avvenuta inregime di convenzione (e v., con specifico riguardo all’attività di assistenza medico-gene-rica da parte del medico di base, pur sulla base di una scelta del paziente eventualmente

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contraddistinta da elementi di carattere fiduciario, Cass. civ., 27 marzo 2015, n. 6243),magari presso strutture private, ovvero nel contesto del c.d. « intramoenia», dell’esercizio,cioè, di attività professionale entro la struttura sanitaria, però con una parte consistentedella retribuzione destinata al personale direttamente coinvolto, in una sorta di originalevia di mezzo tra il privato e il pubblico.

3. IL PROFILO DEL CONSENSO INFORMATONon bisogna dimenticare, poi, la prepotente comparsa, sulla scena della responsabilitàmedica, di un nuovo protagonista: il consenso informato. In maniera strisciante manifesta-tasi già nell’esperienza giurisprudenziale degli anni ‘60 e, soprattutto, in quella degli anni‘70, è, in effetti, a partire dagli anni ‘80 del secolo passato che quella del consenso informatosi è affermata quale prospettiva destinata a determinare una radicale rimeditazione del-l’intera materia, con tutte le delicate problematiche concernenti la sua prova, le modalitàdel relativo accertamento, nonché, a monte, la prestazione dell’informazione, dato che,evidentemente, non vi può essere un consenso informato, se non vi è stata una previainformazione realmente adeguata. E quella in questione non è certo una prospettiva circo-scritta al nostro ordinamento, come ben vale ad attestare anche solo l’art. 3 della Carta deidiritti fondamentali dell’UE, con la sua allusione, senza mezzi termini, al necessario rispet-to, «nell’ambito della medicina e della biologia», del «consenso libero e informato dellapersona interessata».

Appare chiaro, allora, come, in dipendenza di una simile apertura di orizzonti, peraltrosicuramente imposta dal pieno rispetto della dignità della persona, si sia prodotto unulteriore, deciso, ampliamento di campo della responsabilità professionale. A venire inconsiderazione, così, non è più solo la diligente esecuzione della prestazione diagnostica odi cura, ma l’esigenza di assicurare che la prestazione sanitaria intervenga esclusivamentea seguito di una completa informazione del paziente, concretamente adeguata alle sueeffettive possibilità di comprensione, cosicché essa si presenti, poi, come consapevolmenteaccettata, con tutte le conseguenze che possano derivare dal trattamento posto in essere. Nederiva che, anche ove la prestazione professionale in senso stretto risulti scrupolosamenteeffettuata, come si suole dire, secondo le regole dell’arte, l’operatore può trovarsi esposto adun’azione di responsabilità per la mancanza di un valido consenso informato del paziente:il baricentro della legittimazione dell’intervento terapeutico finisce con l’essere rappresen-tato, insomma, dal necessario superamento dell’asimmetria indubbiamente caratterizzantela posizione delle parti nella relazione di cura.

Non a caso, così, l’esigenza del consenso informato viene — già a partire da Cass. civ., 15gennaio 1997, n. 364 — considerata radicarsi, sul piano costituzionale, non solo nel princi-pio, di cui all’art. 32, della tutela della salute come diritto fondamentale della persona, maanche — e forse più — in quello dell’art. 13, che tutela la sua libertà di autodeterminazione,appunto evidenziandosi, nelle parole di Corte cost., 23 dicembre 2008, n. 438, l’assumere «ilconsenso informato, inteso quale consapevole adesione al trattamento sanitario propostodal medico» — «quale vero e proprio diritto della persona» — una «funzione di sintesi didue diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute».Ed è la lesione del diritto all’autodeterminazione del soggetto in quanto tale — pure inassenza, quindi, di una «lesione del diritto alla salute ... per essere stato l’intervento tera-peutico necessario e correttamente eseguito» (Cass. civ., 9 febbraio 2010, n. 2847) — a

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sostanziare, insomma, un eventuale danno risarcibile, anche se qui, di riflesso, è destinatoad aprirsi il delicato e controverso capitolo del come risarcire un simile danno (e v., adesempio, App. Napoli, 16 aprile 2013), una volta considerato esso connesso al «turbamentoe sofferenza che deriva al paziente sottoposto ad atto terapeutico dal verificarsi di conse-guenze del tutto inaspettate perché non prospettate e, proprio per questo, più difficilmenteaccettate».

Nel contesto di considerazioni a carattere programmaticamente solo introduttivo deltema, non possono, ovviamente, essere affrontate compiutamente le complesse questionilegate alle modalità di prestazione dell’informazione e del conseguente consenso, connotevole sensibilità alla relativa importanza risolte, in Germania, nel contesto della Patien-tenrechtsgestz del 2013, con l’introduzione, in particolare, dei §§ 630 d e 630 e del BGB, incui, appunto si dà largo spazio alle problematiche del «consenso» e degli (ad esso inscin-dibilmente funzionali) «obblighi d’informazione» del medico, privilegiando il relativo ca-rattere orale e relazionale: secondo una prospettiva tendente, quindi, a valorizzare il dialo-go tra il professionista ed il paziente, nell’ottica di quella che viene correntemente definita— in vista del perseguito superamento dell’asimmetria caratterizzante il rapporto di cura —in termini di «alleanza terapeutica» (cosicché esclusivamente se questo dialogo vi siaconcretamente stato può considerarsi ricorrere la prescritta informazione e, conseguente-mente, un consenso adeguatamente formato).

Da noi, invece, manca, almeno allo stato, qualsiasi indicazione a livello normativo e,anzi, una delle carenze della iniziativa legislativa in esame — essendosi preferito abbinarein un diverso ed autonomo testo (adottato in Commissione dalla Camera il 7 dicembre 2016,unificando la p.d.l. n. 1142 alle altre sul tema) la materia del «consenso informato» a quelladelle «disposizioni anticipate di trattamento» — sembra quella di non tenere presentel’esigenza di fornire, proprio nel contesto di una dichiaratamente complessiva definizionedella materia della responsabilità medica, una qualche risposta alle delicate problematicheconcernenti l’informazione in materia sanitaria, quale presupposto del necessario consen-so del paziente e fonte, di conseguenza, di possibili responsabilità, appunto, degli operatori:ciò al contrario di quanto avvenuto, appunto, in Germania e, ancor prima, in Francia,attraverso l’introduzione, nel 2004, con l’art. 16-3 del code civil, del principio del necessariopreventivo consenso del paziente ai trattamenti sanitari, ampiamente sviluppato e specifi-cato, poi, nel 2005, nell’art. 1111-2 del code de la santé publique, in cui si evidenzia lanecessità di assicurare l’informazione «au cours d’un entretien individuel».

Destinata a perpetuarsi, insomma, almeno sino alla conclusione — dai tempi difficil-mente prevedibili, data la forte valenza ideologica caratterizzante la controversa materiadelle «disposizioni anticipate di trattamento» — dell’iter del testo da ultimo ricordato, è lasituazione di incertezza, inevitabilmente legata al carattere solo giurisprudenziale dellaprecisazione delle modalità di prestazione del consenso (e, preliminarmente, dell’informa-zione, la mancanza di una qualche dettagliata definizione dei cui meccanismi — peraltroforse troppo vagamente presi in considerazione pure nel testo accennato, in quanto attento,piuttosto, all’aspetto della valorizzazione della volontarietà, da parte del paziente, dell’ac-cettazione o del rifiuto dei trattamenti — vale indiscutibilmente ad aggravare la posizionedegli operatori sanitari: non a caso, nella ricordata disposizione del code de la santé publi-que, prevedendosi, pure in proposito, un sistema tendente a stabilire in via preventiva —anche con l’intervento ministeriale — le «bonnes pratiques»).

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La giurisprudenza, in effetti, ha posto qui gli interessati di fronte ad una sorta di gine-praio. Così, se troviamo decisamente affermato il carattere «essenziale», ai fini del riscon-tro di un valido consenso, della relativa «trasfusione in un documento scritto» (Trib. Roma,11 febbraio 2014, con un’impostazione in certa misura assimilabile alla previsione delCodice di deontologia medica del 2014, il cui art. 35 si riferisce alla necessaria acquisizionedi un «consenso informato», o di un «dissenso informato», da prestare «in forma scritta esottoscritta, o con altre modalità di pari efficacia documentale», nonché alla scelta dell’art.1 dell’accennato testo ora approvato, che privilegia, appunto, «il consenso informato ...espresso in forma scritta»), la stessa Cassazione, se non ha mancato di reputare sufficientepure «un consenso orale informato» (Cass. civ., 31 marzo 2015, n. 6439), altrove, nelritenere comunque insufficiente la «sottoscrizione di un modulo del tutto generico», hainsistito sulla necessità che il consenso — senz’altro da acquisire «anche qualora la proba-bilità di verificazione dell’evento sia così scarsa da essere prossima al fortuito» — sia«fornito espressamente», considerando «inidoneo», allora, «un consenso dalla pazienteasseritamente prestato oralmente» (Cass. civ., 29 settembre 2015, n. 19212, in cui, oltretutto,si finisce con l’aggravare notevolmente la posizione dell’operatore, affermandosi che, «afronte dell’allegazione di inadempimento da parte del paziente è onere del medico provarel’adempimento dell’obbligazione di fornirgli un’informazione completa ed effettiva sultrattamento sanitario e sulle sue conseguenze»: distribuzione degli oneri probatori, questa,corrispondente, invero, a quella prevista dalla ricordata disciplina francese, ma nell’accen-nato contesto di preventiva definizione delle modalità di comportamento richieste ai sani-tari).

Certo, non si può nascondere come il compito del legislatore qui non sembri facile, nonessendo certo opportuna l’introduzione di elementi di eccessiva rigidità, come quelli even-tualmente legati alla previsione di vincoli di carattere essenzialmente formale, l’esigenzaessendo, piuttosto, quella di promuovere, ai fini della formazione di un realmente validoconsenso, un’adeguatezza, in concreto, dell’informazione, per assicurare la quale, non caso,le ricordate legislazioni straniere tendono a considerare risolutivo e a valorizzare, al di là diqualsiasi formalismo, il contatto tra le parti coinvolte ed il conseguente colloquio personaletra medico e paziente.

4. CONSEGUENZE DELLA «ESPLOSIONE» DELLA RESPONSA-BILITÀ IN MATERIA SANITARIA E PIANI D’INTERVENTO LE-GISLATIVO. CRITERI ATTRIBUTIVI DELLA RESPONSABILITÀAlla luce del, pur sinteticamente tracciato, quadro della situazione attuale, attraverso ilriscontro di quegli sviluppi che hanno determinato l’accennato fenomeno della «esplosio-ne» della responsabilità in materia medico-sanitaria, occorre ora prendere in considera-zione, ovviamente sempre con la medesima sinteticità, quali siano state le conseguenze daascrivere ad un simile percorso, peraltro sicuramente comprensibile e giustificabile, anchecome reazione alla precedente situazione di palese — ed evidentemente intollerabile in uncontesto istituzionale, nazionale e sovranazionale, contrassegnato dall’esaltazione dellacentralità delle esigenze di tutela della persona — squilibrio nel rapporto di cura e dicarente garanzia dei diritti fondamentali del paziente.

Per ridurre il discorso ai minimi termini, ci si può riferire essenzialmente — secondoquanto ormai correntemente ovunque in proposito rilevato — a due conseguenze o, forse

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meglio, ad una conseguenza, che poi ne implica una seconda. Si tratta di quell’atteggiamen-to degli operatori che viene usualmente identificato come «medicina difensiva», qualereazione all’incombente pericolo di vedersi addossate, senza quasi possibilità di difesa,gravi responsabilità civili (se non, addirittura, penali), con la quasi inevitabile ulterioreconseguenza di un simile atteggiamento, che è quel significativo aggravio delle finanzepubbliche, dei costi, insomma, per la collettività, del sistema sanitario.

Di qui l’impellente esigenza di fare qualcosa, di porre rimedio, allora, a quello che hatutta l’aria di apparire quale vero e proprio circolo vizioso. E l’individuazione di una viad’uscita non può che seguire una molteplicità di itinerari, perché sono diversi i piani suiquali si può operare per rimediare ad una situazione, la cui gravità, come accennato, nonproietta la sua ombra solo sulla situazione dei professionisti sanitari più immediatamentecoinvolti, ma sull’intera collettività, esposta ad un complessivo peggioramento della propriaqualità di vita.

Il punto da tenere ben presente, comunque, è quello della scarsa efficienza di unintervento limitato ad uno solo dei piani di azione in questione: sarebbe sicuramenteerroneo, cioè, se non addirittura pericoloso, pensare di poter interrompere la deriva attualeesaurendo l’intervento su uno di essi. Ma quali sono questi ipotizzabili piani?

Innanzitutto, il pensiero corre, quasi inevitabilmente, ad un intervento sui criteri posti abase del sorgere della responsabilità, sia in campo penale che in campo civile. E questo è iltentativo che, notoriamente, è stato posto in essere, ancora di recente, con l’art. 3 della c.d.— dal suo promotore — legge Balduzzi (d.l. 13 settembre 2012, n. 139, quale convertito nellal. 8 novembre 2012, n. 189), e che ci viene riproposto ora con gli artt. 6 e 7 del nuovoprovvedimento quale infine approvato (anche se, non si può fare a meno di sottolinearlo,senza un reale confronto conclusivo di opinioni — soprattutto con quell’adeguato coinvol-gimento dell’opinione pubblica, nelle sedi più opportune ed abitualmente utilizzate a talescopo in caso di disciplina di materie analogamente «sensibili», che, non pare azzardatoipotizzare, si è programmaticamente proprio inteso evitare, invero riuscendo questa voltanell’intento, al fine di non trovarsi a dover affrontare gli ostacoli che, in passato, hannocondizionato negativamente gli analoghi tentativi di riforma del settore — che sarebbe statosicuramente auspicabile e confacente, del resto, alla complessità delle problematiche toc-cate, nonché alla delicatezza degli interessi in gioco): quindi, agire sui criteri governanti laresponsabilità degli operatori. Ma si tratta di un intervento non certo facile, come sembraampiamente dimostrato, prima, dalla tormentata conversione in legge del testo del 2012,nonché, ora, dalla lentezza — che ha corso il rischio di rivelarsi per esso fatale, a causa diun’eventuale fine anticipata della legislatura — del percorso legislativo del provvedimentoin discussione, dopo la prima approvazione il 28 gennaio 2016 (e la non certo casualeglobale riscrittura degli artt. 6 e 7 in sede di Commissione parlamentare del Senato il 2novembre 2016, secondo il testo successivamente approvato l’11 gennaio 2017 e definitiva-mente varato dalla Camera dei deputati il 28 febbraio 2017, con una maggioranza di 255 voticontro 113).

L’intervento pare presentarsi di peculiare delicatezza soprattutto in campo penale, perla difficoltà di fare accettare all’opinione pubblica una regolamentazione speciale, tale dapoter essere sospettata di eccessivo favore per soggetti che operano in un settore in cui sonoin gioco interessi fondamentali della persona, col dubbio che ne derivi un depotenziamentodella relativa tutela. Non a caso, risulta significativamente abbandonato l’iniziale troppo

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esplicito — e con riguardo alla corrispondente previsione dell’art. 3 della legge del 2012diffusamente contestato — riferimento ad una limitazione della responsabilità penale del-l’esercente la professione sanitaria alla «colpa grave», adottandosi una formulazione del-l’art. 6 (introduttivo di un art. 590-sexies nel codice penale), per così dire, più criptica (anchese, per ciò stesso, sicuramente atta ad aprire la via a future difficili questioni interpretative),con il relativo riferimento alla rilevanza scriminante dell’osservanza delle accertate «lineeguida» o delle «buone pratiche clinico-assistenziali» (sia pure solo in caso di evento veri-ficatosi «a causa di imperizia», così riecheggiandosi l’orientamento giurisprudenziale ten-dente ad escludere, in applicazione della disciplina del 2012 e sia pure non senza diversi-ficazioni e precisazioni, eventuali limitazioni di responsabilità in ipotesi di imprudenza enegligenza: Cass. pen., 23 aprile 2015, n. 16944). L’introduzione di un regime di favorerispetto a quello generale, insomma, si presenta sicuramente, in quanto tale, atto a deter-minare allarme nella coscienza sociale (oltre che, ancora una volta, non certo azzardati — esicuramente destinati, quindi, a riproporsi — dubbi di legittimità costituzionale, come quelliimmediatamente manifestati, già in merito alla precedente previsione, da Trib Milano, ord.21 marzo 2013, solo una insoddisfacente, e comunque provvisoria, risposta ai quali è daritenere essere stata fornita da Corte cost., ord. 6 dicembre 2013, n. 295).

Sotto il profilo civilistico, poi, in relazione al quale il legislatore sembrerebbe effettiva-mente godere di uno spazio di manovra maggiore, lo sforzo è quello che consiste nel tentaredi attuare, almeno per chi eserciti la professione sanitaria nell’ambito — peraltro, inten-dendo, come dianzi accennato, un simile inquadramento in senso estremamente compren-sivo — di una struttura (pubblica o privata che sia), il passaggio dal regime della responsa-bilità contrattuale a quello della responsabilità extracontrattuale. Resta fermo, comunque,il carattere contrattuale, «ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile», della respon-sabilità della struttura, nonché di quella — invero alquanto oscuramente così individuata —dell’«esercente la professione sanitaria ... che abbia agito nell’adempimento di obbligazio-ne contrattuale assunta con il paziente». Peraltro, non certo priva di significato sembra, inproposito, la formulazione del testo del comma 1 dell’art. 7, la quale, evocando l’imposta-zione codicistica della fattispecie della «responsabilità per fatto degli ausiliari», finisce colsuonare come esplicita esclusione dell’addossamento alla struttura di responsabilità che,non radicandosi in comportamenti colpevoli di chi concretamente effettua la prestazionesanitaria, potrebbero essergli ascritte esclusivamente in una prospettiva che è tipicamentequella della responsabilità oggettiva: linea d’intervento, questa, che presenta indubbieassonanze con l’espressa individuazione, in Francia, nell’art. 1142-1 del code de la santépublique, della ricorrenza di una responsabilità in campo sanitario esclusivamente «en casde faute».

È nella prospettiva accennata che si iscrive il riferimento, nel comma 3 dell’art. 7 (anchenel testo definitivamente riformulato), all’art. 2043 c.c., quale parametro normativo daprendere in considerazione ai fini della ricorrenza della responsabilità civile dell’operatore,per così dire, «strutturato» (non mancandosi, inoltre, di introdurre un criterio di modera-zione della determinazione del risarcimento eventualmente a suo carico, fondato sull’os-servanza delle linee guida e delle buone pratiche clinico-assistenziali: criterio che, anchesorvolando su eventuali perplessità di carattere generale — forse, invero, non del tuttofondate, alla luce di tendenze evolutive in atto nel campo della responsabilità civile — inordine alla graduabilità del risarcimento sulla base della gravità del comportamento dell’a-

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gente, fa sorgere ragionevoli dubbi circa la legittimità della discriminazione in tal modooperata nei confronti di chi eserciti la propria attività al di fuori di una struttura). Certo, difronte ad una fiducia nell’efficacia quasi taumaturgica di un simile riferimento testuale, sipotrebbe immediatamente richiamare, da una parte, quanto all’inizio sottolineato circa ilsuperamento, proprio con riguardo alla responsabilità civile in campo sanitario, dei tradi-zionali rigidi steccati tra il regime della responsabilità contrattuale e quella extracontrat-tuale (anche attraverso la teorizzazione di figure innovative, come quella della responsa-bilità da «contatto sociale qualificato»), dall’altra, il pure ricordato sforzo giurisprudenziale,programmaticamente indirizzato nel senso di evitare differenziazioni di principio tra ilregime della responsabilità della struttura e quello dell’operatore.

Quanto accaduto in seguito alla legge Balduzzi ed al suo poco trasparente tentativo —attraverso il richiamo, nel comma 1 dell’art. 3, proprio all’art. 2043 c.c. — di qualificazione invia legislativa della natura della responsabilità in campo sanitario, con un giustificabileconseguente atteggiamento di ritrosia della giurisprudenza nei confronti di un repentino(appunto legislativamente pilotato) superamento del «diritto vivente» in materia (comeattestato dall’immediato ridimensionamento interpretativo della portata dello stesso art. 3,già secondo l’impostazione di Cass. civ., ord. 17 aprile 2014, n. 8940), avrebbe dovutosuonare quale campanello di allarme per il legislatore, inducendolo a grande cautela nelpercorre una via che già si è dimostrata foriera di atteggiamenti di ferma opposizione e diconseguenti controversie esegetiche di non lieve spessore (e basti, al riguardo, rifletteresulle diverse conclusioni, circa la portata della disposizione accennata, anche nell’ambitodel medesimo organo decisionale, ben attestate dai noti divergenti sviluppi di Trib. Milano,17 luglio 2014 e Trib. Milano, 18 novembre 2014).

Del resto, da un punto di vista generale, anche al di là delle remore diffusamente — enon certo senza ragionevoli motivazioni — manifestate nei confronti di qualsiasi pretesa diconformare in via normativa la natura della responsabilità civile, un intervento tendente atrattare con maggiore favore, quanto a regime della responsabilità penale e civile, unaspecifica categoria professionale è destinato ad aprire la via anche a non certo infondatidubbi circa la ragionevolezza di una differenziazione di trattamento tra categorie di profes-sionisti, soprattutto se operanti in settori comunque coinvolgenti, non meno dell’attivitàsanitaria, interessi fondamentali della persona.

Piuttosto, sicuramente, per così dire, meno traumatica (pur se contestata, nella prospet-tiva del connesso sacrificio delle ragioni del danneggiato e del conseguente ingiustificatovantaggio per gli operatori assicurativi, peraltro sulla base di argomenti ormai in largamisura ragionevolmente superati dalla Corte costituzionale) si presenta l’opzione legisla-tiva (già fatta propria, del resto, dalla legge Balduzzi) nel senso di estendere alla responsa-bilità civile in campo sanitario — e in maniera inderogabile, dichiarandosi tutte «le dispo-sizioni» dell’art. 7, e quindi l’intero ora introdotto regime della «responsabilità civile dellastruttura e dell’esercente la professione sanitaria», costituire «norme imperative ai sensidel codice civile» — i criteri di quantificazione del danno non patrimoniale introdotti nelsettore della responsabilità civile automobilistica, ai sensi degli artt. 138 e 139 del d.lgs. 7settembre 2005, n. 209 (non a caso interessati da una prevista estesa novellazione — ai sensidel d.d.l. n. 2085, XVII legislatura, «Legge annuale per il mercato e la concorrenza», il cuiiter parlamentare, dopo una prima approvazione da parte della Camera il 7 ottobre 2015,continua però ad essere persistentemente tormentato — e la legittimità dei quali, almeno

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per la parte già attualmente operativa, quella relativa, cioè, alle «lesioni di lieve entità», dicui all’art. 139, risulta ormai pienamente avallata da Corte cost., 16 ottobre 2014, n. 235, inun’ottica di «ragionevolezza del bilanciamento ... dei contrapposti interessi»: l’«interesserisarcitorio particolare del danneggiato» e quello «generale e sociale, degli assicurati adavere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi»).

Una simile opzione si presenta, ovviamente, funzionale — e pare ragionevolmente — adagevolare il funzionamento del meccanismo assicurativo, sulla cui rilevanza, in materia, cisi soffermerà più oltre. L’introduzione in via normativa di profili di (almeno tendenziale)prevedibilità della quantificazione dei danni, in effetti, pare rappresentare (soddisfacendoquelle esigenze di razionalizzazione dei costi, esplicitate nel contesto della ricordata deli-neata novellazione delle disposizioni del codice delle assicurazioni) una soluzione quasiimprescindibilmente connessa — e comunque corroborata dalle accennate motivazionidella Corte costituzionale — alla scelta di affidare al meccanismo assicurativo il bilancia-mento degli interessi in gioco pure nell’area dei rapporti qui in esame. Ciò anche a prescin-dere da ogni considerazione in merito all’opportunità o meno della generalizzazione di unasimile soluzione, peraltro non a torto diffusamente auspicata (v., al riguardo, ad es., la p.d.l.n. 1063, XVII legislatura) e di cui la disciplina in discussione potrebbe rappresentare unprimo passo, in vista del superamento di chiusure nei confronti della relativa «applicazioneanalogica» (come quella operata da Cass. civ., 7 giugno 2011, n. 12408).

5. ALTRI PIANI D’INTERVENTO: RISK MANAGEMENT E MODA-LITÀ DEL RISARCIMENTOMa, come dianzi accennato, lo sguardo deve allargarsi ad altri piani d’intervento. E, inproposito, il pensiero non può che correre alla riduzione delle occasioni di danno e, quindi,alla necessità di operare fattivamente sulla relativa prevenzione, in una prospettiva che nonpuò che essere quella di dedicare adeguata attenzione al puntuale controllo sull’erroresanitario. Si tratta, in effetti, della via che, anche altrove, si è segnalata (e dimostrata) comeelettivamente percorribile e, nell’iniziativa legislativa in discussione, ci si muove, senz’altroopportunamente, in un’ottica tendente proprio a privilegiare il principio per cui «la sicu-rezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell’interessedell’individuo e della collettività» (secondo quanto affermato nel comma 1 dell’art. 1 erisulta, a ragione, ora fatto emergere già nella stessa intitolazione del provvedimento, nelrelativo testo definitivamente approvato dal Senato ponendosi in chiara correlazione la«sicurezza delle cure» con le esigenze di tutela «della persona assistita»).

Centrale, in effetti, si presenta nell’economia di qualsiasi intervento in materia sanita-ria, almeno se aspiri ad un soddisfacente grado di organicità, l’organizzazione di un effi-ciente sistema di c.d. risk management (come recita il comma 2 dell’art. 1, cioè, «l’insiemedi tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all’eroga-zione di prestazioni sanitarie e l’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche eorganizzative»), perché è forse quello che, in concreto, si dimostra maggiormente atto aridurre i costi generali della sanità. Da tale punto di vista, ovviamente essenziale si presental’organizzazione di idonei meccanismi di monitoraggio dei rischi sanitari: ciò, nelle buone (esicuramente condivisibili) intenzioni del legislatore, attraverso consistenti flussi di dati,obbligatoriamente — e non più, quindi, come fin qui accaduto, sulla base di iniziativespontanee — alimentati dalle strutture, da sistematizzare, poi, piramidalmente, a livello di

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centri regionali e osservatorio nazionale (art. 2, commi 4 e 5). Un valore più che altrosimbolico pare destinato ad assumere, invece, data la scarsità dei risultati che sembrano,almeno fin qui, in genere conseguiti in dipendenza dell’istituzione del relativo ufficio, ilcontestuale affidamento di funzioni di garanzia in materia di diritto alla salute al Difensorecivico regionale.

Si potrebbe, inoltre, operare sulle modalità di risarcimento. Questa è, ad esempio, unaprospettiva che risulta attualmente in discussione negli Stati Uniti, per evitare che il risar-cimento debba essere — secondo quanto avviene nella nostra tradizionale prassi risarcito-ria — erogato sempre sotto forma di una somma una tantum, una somma attribuita, cioè,anche in funzione di anticipata compensazione del danno futuro. Ragionevole, in effetti,tende ad essere considerata, con riguardo ad una simile compensazione, la sostituzione delrisarcimento attraverso una somma anticipata con un risarcimento mediante pagamentiperiodici (periodic payments): pagamenti, quindi, destinati a dispiegarsi nel tempo. Ciò chesembra senz’altro ipotizzabile per il danno patrimoniale, ma che potrebbe avere — forseanche maggiormente — senso anche per il danno non patrimoniale.

Il nostro legislatore del codice civile, in proposito, sembra essersi dimostrato lungimi-rante: l’art. 2057 prevede espressamente la possibilità di risarcire il danno permanente allapersona attraverso pagamenti periodici, l’erogazione del risarcimento, cioè, attraverso laliquidazione, da ritenere consentita pure nell’esercizio dei suoi poteri ufficiosi (e con ladisposizione, da parte sua, di «opportune cautele»), da parte del giudice, di una «renditavitalizia». La finalità di una simile modalità risarcitoria — significativamente ricollegata,nella Relazione al codice civile, n. 802, all’opportunità di fare «meglio aderire la misura delrisarcimento alla natura e alla durata del danno» — è, ovviamente, quella di assicurare aldanneggiato (in quanto reso dipendente dal risarcimento da corrispondergli) un adeguatoflusso costante di risorse, ma essa, nell’evitare atteggiamenti speculativi (invero non sem-pre posti in essere realmente a vantaggio del danneggiato), potrebbe assumere risvoltipositivi anche sul piano economico generale, soprattutto se collegata al funzionamento, inmateria, del meccanismo assicurativo (con la conseguente erogazione periodica, quindi,delle somme a carico dei fondi assicurativi).

Una simile peculiare modalità di risarcimento, però, ha incontrato da noi scarso seguito,anche per i timori — soprattutto in passato — legati agli effetti di eventuali deprezzamentimonetari, una volta considerati i pagamenti periodici in questione quali debiti di valuta. E,indubbiamente, l’auspicabile eventuale valorizzazione del meccanismo in questione nonpotrebbe andare disgiunta dalla contestuale previsione di idonei strumenti di garanziamonetaria delle rendite (secondo quanto, del resto, avvenuto, in particolare, in Francia, conla legislazione relativa alle rendite accordate, appunto, a titolo risarcitorio in conseguenzadi incidenti di circolazione: loi n. 74-1118 del 27 dicembre 1974 e relative successive modi-fiche). Da segnalare, comunque, è l’abbastanza recente riscoperta di tale modalità risarci-toria da parte della nostra giurisprudenza, la quale non ha mancato significativamente dievidenziare come essa consenta «al giudice, di ufficio, di valutare la particolare condizionedella parte danneggiata e la natura del danno, con tutte le sue conseguenze» (Cass. civ., 18novembre 2005, n. 24451; per una interessante applicazione, peraltro limitata al dannopatrimoniale, in aggiunta, quindi, alla liquidazione una tantum di quello non patrimoniale,Trib. Milano, 27 gennaio 2015).

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6. LO STRUMENTO ASSICURATIVO NELLA PROSPETTIVA DEL-L’ASSICURAZIONE OBBLIGATORIA DELLA RESPONSABILITÀCIVILE IN MATERIA SANITARIAL’altro grande strumento su cui deve soffermarsi l’attenzione è quello dell’assicurazione:assicurazione che, nel caso di specie, non pare poter essere certo limitata al modellodell’assicurazione volontaria. Lo strumento assicurativo, in effetti, ha avuto la fondamen-tale funzione di consentire che l’evoluzione della responsabilità civile, con la sempre piùpiena tutela dei diritti sostanzialmente irrinunciabili dei soggetti, sia potuta avvenire senzaeccessivi traumi sociali, permettendo, attraverso la «collettivizzazione» economica dei ri-schi, la realizzazione di più avanzati equilibri tra l’esigenza di non lasciare senza riparazio-ne le vittima di danni e quella di non rinunciare allo svolgimento ed al progresso di attivitàreputate di essenziale utilità per l’intera società.

Storicamente paradigmatico, ovviamente, si presenta il caso della circolazione automo-bilistica (attraverso l’articolata disciplina, da ultimo trasfusa nel d.lgs. 7 settembre 2005, n.209, con i relativi continui aggiornamenti normativi) ed il campo della responsabilità civileprofessionale, si candida a diventare il nuovo terreno di sperimentazione dello strumentoassicurativo, nella peculiare configurazione che ad esso deriva dalla relativa attualmentedisposta obbligatorietà, dati gli evidenti limiti correntemente considerati ricollegabili alcarattere solo volontario dell’assicurazione. Il legislatore, così, si è mosso, con generaleriferimento all’«esercizio dell’attività professionale», già con la legislazione del 2011 (d.l. 13agosto 2011, n. 138, convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148), nonché, con specificoriferimento alla responsabilità sanitaria, come in precedenza avvenuto altrove (ed il riferi-mento può essere ancora, in particolare, all’ordinamento francese, con il sistema di assicu-razione obbligatoria organizzato ai sensi della loi n. 2002-303 del 4 marzo 2002), con laricordata legge Balduzzi, nonché, ora, in una prospettiva decisamente più articolata edorganica, con il provvedimento qui oggetto di trattazione.

Senza poter dedicare, nell’economia di queste considerazioni, al tema l’approfondi-mento che meriterebbe, pare il caso di limitarsi ad alcuni rilievi, finalizzati anche a ricolle-gare gli orientamenti emergenti dal testo in esame ai precedenti tentativi di utilizzazionedello strumento dell’assicurazione obbligatoria, per contribuire a superare le problemati-cità della situazione in cui, ormai da tempo, versa la responsabilità in materia sanitaria. E,al riguardo, sembra opportuno almeno ricordare come già oltre venti anni addietro il temasia stato specificamente discusso e sia stato prospettato un ordine di considerazioni, giàampiamente recepito, poi, in particolare, nella p.d.l. n. 3244 della XII legislatura (11 ottobre1995, Scalisi) e, almeno in parte, nel d.d.l. n. 864 della XIII legislatura (3 luglio 1996,Tomassini), cui, indubbiamente, pare adesso dimostrarsi, almeno tendenzialmente, sensi-bile il programma d’intervento portato avanti in sede legislativa (sia pure con le difficoltàche ne hanno caratterizzato l’itinerario).

In effetti, si tratta di una problematica che non può essere certo affrontata semplicisti-camente, ma con una strategia attenta a tutti i relativi delicati risvolti. Così, in primo luogo,per costruire un adeguato sistema di assicurazione obbligatoria, non è possibile fare a menodi cominciare a definire i contenuti del contratto di assicurazione. L’art. 10, nel generaliz-zare opportunamente l’obbligo assicurativo tanto (e soprattutto) alle strutture, quanto a chieserciti la professione sanitaria dentro (in particolare «per garantire efficacia alle eventualiazioni» di rivalsa) ed al di fuori di esse, demanda a successivi provvedimenti ministeriali —

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da adottare a seguito di consultazioni con tutti i soggetti coinvolti — la definizione dei«requisiti minimi delle polizze assicurative», con i relativi «massimali differenziati» per«classi di rischio», nonché «i requisiti minimi di garanzia», nel cui contesto l’esperienzainsegna presentarsi come essenziale il profilo della «operatività temporale» (art. 11).

Dev’essere ben chiaro come proprio da una simile definizione — che pare essere statoazzardato, peraltro, rinviare sic et simpliciter ad incerte, almeno se non precedute da(preventivi rispetto al varo della legge) accordi almeno di massima, negoziazioni future —finisca col dipendere l’efficacia stessa della progettata riforma ed il suo esito positivo, ai finidel superamento delle difficoltà attuali, attraverso un adeguato bilanciamento dei diversiinteressi in gioco: l’interesse degli operatori sanitari — intendendo tale espressione comeestesa a strutture, professionisti in qualche modo ad esse collegati e professionisti operantial di fuori di esse — a non essere sovraesposti a responsabilità a seguito di iniziativerisarcitorie (risultato, questo, che si tende a reputare conseguibile attraverso una «sperso-nalizzazione» e «sdrammatizzazione» della vicenda risarcitoria stessa); l’interesse dei pa-zienti eventualmente lesi nei loro interessi esistenziali ad essere (almeno sufficientemente)tutelati in modo certo ed in linea con quanto viene sollecitato dalla coscienza sociale;l’interesse della collettività, anche proprio attraverso l’utilizzazione dello strumento assi-curativo e della conseguente «collettivizzazione» dei rischi sanitari, a godere di servizisanitari all’altezza delle aspettative, pur nei limiti di quanto consentito dalla congiunturaeconomica; l’interesse degli assicuratori, da tutelare garantendo un sufficiente grado dieconomicità complessiva del sistema, attraverso un’attenta disciplina, anche sotto il profilodella quantificazione delle pretese risarcitorie — il ricordato riferimento ai criteri ora nor-mativamente adottati nel campo dell’assicurazione della responsabilità civile automobili-stica (non a caso nella prospettiva del perseguimento dell’efficienza del sistema di assicu-razione obbligatoria) potendo effettivamente offrire un utile contributo al riguardo — edelle modalità di relativo azionamento, del contratto di assicurazione e dei rapporti desti-nati a scaturirne per gli interessati.

Ovviamente, una simile disciplina non può che passare attraverso un attento dosaggiodi strumenti, di cui, peraltro, l’esperienza accumulata in materia di assicurazione obbliga-toria consente di offrire elementi decisivi (del resto, già ampiamente evocati pure nellericordate più risalenti proposte di riforma della materia). Così, in primo luogo, alla neces-saria previsione di un’«azione diretta» del danneggiato nei confronti dell’impresa assicu-ratrice (art. 12), quale profilo di disciplina da ritenere inscindibilmente connesso al carat-tere obbligatorio dell’assicurazione (con l’imprescindibile necessario corredo dell’inoppo-nibilità «al danneggiato, per l’intero massimale di polizza», delle «eccezioni derivanti dalcontratto» non espressamente previste in sede di definizione dei «requisiti minimi dellepolizze assicurative»), non possono non corrispondere meccanismi peculiari di composi-zione delle liti, da attuare attraverso l’abbandono del tradizionale strumentario giudizialecomune e privilegiando, viceversa, meccanismi di prevenzione o, almeno, di rapida com-posizione, giudiziale o extragiudiziale, della lite. In una simile prospettiva, un contributo dirilievo, in effetti, può risultare sicuramente offerto dalla valorizzazione del «tentativo ob-bligatorio di conciliazione» (art. 8, in cui, opportunamente, si tenta anche di conferire unqualche reale spessore alla statuizione, facendo discendere dalla mancata partecipazionealla prevista procedura conseguenze economiche afflittive a carico della parte renitente,fino alla irrogazione — con una previsione che non mancherà di propiziare discussioni circa

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la relativa, indubbiamente sfuggente, natura — di una «pena pecuniaria, determinataequitativamente, in favore della parte che è comparsa alla conciliazione»), che oggi trovagià nel codice di procedura civile, in un’ottica di composizione della lite, uno strumento diindubbia efficacia nell’istituto della «consulenza tecnica preventiva», di cui all’art. 696-bis(all’espletazione della relativa procedura opportunamente riferendosi, non a caso, l’art. 8quale «condizione di procedibilità della domanda di risarcimento»).

Peraltro, anche la stessa accennata previsione dell’«azione diretta», sicuramente ne-cessaria per rendere reale attore protagonista della procedura il danneggiato, pare di per sestessa insufficiente, dato che ne sarebbe stata consigliabile una più dettagliata disciplina, laquale, invero, avrebbe potuto essere agevolmente mutuata da quanto già attualmentedisposto per quello che, indubbiamente, non può non rappresentare il modello di regola-mentazione dell’assicurazione obbligatoria in ogni campo: il riferimento è, ovviamente, ald.lgs. n. 209/2005, con l’ivi introdotta disciplina della «procedura di risarcimento» (art. 148),fondata su di un complesso e bilanciato sistema di obblighi e oneri delle parti coinvolte, inparticolare per quanto concerne la necessaria formulazione dell’offerta risarcitoria, i rela-tivi tempi e modalità, nonché le conseguenze della sua mancata accettazione (aspetto dellaprocedura di definizione della controversia, questo, invero ancora troppo sommariamentesfiorato nel comma 4 dell’art. 8, solo, come accennato, con riguardo al profilo della even-tuale mancata partecipazione al procedimento di consulenza tecnica preventiva).

Un ulteriore contributo sarebbe potuto indubbiamente venire, poi, dalla previsione dimeccanismi di carattere arbitrale e, più in generale, di ADR. Certo, da noi il problemadell’arbitrato e delle ADR, almeno se configurato in termini di obbligatorietà, è inevitabil-mente destinato a confrontarsi con i principi dell’art. 24 Cost. e, di conseguenza, ad impat-tare contro di essi, almeno secondo la rigorosa ricostruzione che ne offre persistentementela Corte costituzionale. Ma, anche al di là di un insistente movimento di pensiero nel sensodel superamento di una simile rigidità dell’impianto della tutela dei diritti, proprio in vistadi una loro più efficiente, in quanto più pronta, realizzazione (con i connessi benefici per lagaranzia dell’interesse generale legato alla fluidificazione — ed al conseguente sviluppo —dei rapporti economici nel mercato), già l’organizzazione di un sistema settoriale stragiu-diziale di composizione delle controversie, sia pure facoltativo, avrebbe potuto (e, almeno inprospettiva futura, potrebbe), se strutturato in modo tale da renderlo realmente appetibileper le parti interessate (in particolare, per la sua rapidità non disgiunta da un adeguatolivello di preparazione tecnica degli operatori coinvolti nella prestazione di un simile ser-vizio e, quindi, di persuasività delle soluzioni prospettate), conseguire risultati di indubbiorilievo in termini di efficienza complessiva (e si pensi, in proposito, al sicuramente positivoriscontro che ha caratterizzato, ormai dal 2009, l’attività dell’Arbitro Bancario Finanziario,istituito in attuazione dell’introdotto — per effetto della legge 28 dicembre 2005, n. 262 —art. 128-bis del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385). Ne disende che, invero, alquanto riduttivosembra, allora, essersi limitato l’intervento in materia ad una specifica — e pur ovviamenteopportuna — peculiare disciplina della «nomina dei consulenti tecnici» per le proceduregiudiziali coinvolgenti la responsabilità sanitaria (art. 15).

Si tenga presente che una delle critiche più ricorrenti nei confronti dell’introduzione diun sistema di assicurazione obbligatoria nel campo della responsabilità professionale qui indiscussione sia quella di far correre il grave rischio, nel risultare programmaticamentefunzionale alla protezione della classe degli operatori sanitari, di avere l’esito di una loro

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eccessiva «deresponsabilizzazione». Sotto un simile profilo, effettivamente essenziale sipresenta, allora, anche onde superare prevedibili perplessità circa un eccessivo sbilancia-mento della regolamentazione, la delineazione di adeguati meccanismi di responsabilizza-zione personale. In tale direzione, si muove, in effetti, la previsione dell’«azione di rivalsa»nei confronti dell’operatore («in caso di dolo o colpa grave»: art. 9), la cui disciplina avrebbedovuto, forse, essere più snella ed incisiva, proprio per superare le possibili accuse ditroppo marcato favore per gli operatori (cauti passi in una simile direzione risultandomossi, peraltro, nella definita formulazione della disposizione). Inoltre, la disciplina inquestione avrebbe dovuto essere, da una parte, coordinata con un’espressa generalizzataprevisione di azioni, e conseguenti sanzioni, disciplinari obbligatorie ed incisive (anche al dilà, quindi, del previsto meccanismo sanzionatorio, operante, per il personale delle strutturesanitarie pubbliche, sul piano delle successive possibilità di carriera); dall’altra, trovareriscontro in una contestualmente disposta imposizione di congrui aumenti dei premi acarico di chi abbia dato occasione all’intervento dei fondi assicurativi (in tal senso, condi-visibili precisazioni erano previste dal comma 2 dell’art. 3 della legge Balduzzi).

7. PREVISIONE DI UN «FONDO DI GARANZIA» E PROBLEMI DIFINANZIAMENTO DEL SISTEMAUno degli aspetti più delicati della disciplina dell’obbligatorietà dell’assicurazione in camposanitario è sicuramente rappresentato, poi, dalla previsione di un «Fondo di garanzia per idanni derivanti da responsabilità sanitaria» (materia, questa, affrontata nell’art. 14). Es-senziale, ovviamente, si presenta la precisazione dei casi di intervento del Fondo e lerelative modalità: anche al riguardo, peraltro, l’esperienza accumulata nel settore dell’as-sicurazione della responsabilità civile automobilistica è risultata (e avrebbe potuto, forse,ancora maggiormente risultare) di grande rilievo (artt. 283 ss. d.lgs. n. 209/2005; per levittime della caccia, artt. 302 ss.). Certo, la previsione dell’intervento del Fondo deve fare iconti con le sue disponibilità finanziarie: e, forse un po’ ingenuamente (anche se, proba-bilmente, per non suscitare allarme circa i costi della programmata riforma), si prevedeespressamente che esso interviene «nei limiti delle effettive disponibilità finanziarie».

Quasi inevitabilmente, il profilo in questione è destinato ad intrecciarsi con quello dellapropensione delle imprese assicuratrici ad operare nel campo della responsabilità sanita-ria: propensione, allo stato, invero, notoriamente scarsa e che, ragionevolmente, potrebbeessere irrobustita solo da una complessiva strutturazione del sistema dell’obbligatorietàdell’assicurazione in materia sanitaria, tale da renderlo attraente per gli operatori econo-mici impegnati nel particolare settore imprenditoriale. Non si può, in effetti, fare a meno dirilevare che un sistema di assicurazione obbligatoria — almeno ove non si voglia finire coldoversi avvalere del suo (diffusamente reputato inadeguato) surrogato, rappresentato dalle«altre analoghe misure, anche di assunzione diretta del rischio», cui allude nell’art. 10 illegislatore, probabilmente proprio temendo (e tentando di ovviare a) incidenti di percorsonella concreta futura possibilità di attivazione delle coperture assicurative — sarebbe de-stinato a partire, per così dire, azzoppato, se all’obbligo di assicurarsi delle strutture pub-bliche e private, nonché dei professionisti operanti dentro e fuori tali strutture, non corri-spondesse una effettiva possibilità di trovare, da parte loro, chi garantisca il servizio assi-curativo, secondo la prospettiva fatta propria, non a caso, dal sistema della responsabilità

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civile automobilistica (con il relativo obbligo a contrarre, art. 132, su cui tace del tutto,invece, il testo varato).

Da tale punto di vista, allora, sembra illusorio — anche tenendo presente che il Fondo digaranzia dovrebbe, in particolare, risultare chiamato ad intervenire in caso di «danno ... diimporto eccedente rispetto ai massimali previsti dai contratti di assicurazione stipulati»(art. 14, comma 7, lett. a) — ipotizzare che l’alimentazione del Fondo possa avvenire soloattraverso il meccanismo del «contributo annuale» delle imprese autorizzate, in una misu-ra che dovrebbe essere evidentemente commisurata proporzionalmente a quella dei premiincassati (come, del resto, specificamente stabilito, in particolare, per il Fondo di garanziaper le vittime della strada, ai sensi dell’art. 285, commi 3 e 4, nonché, per il Fondo di garanziaper le vittime della caccia, ai sensi dell’art. 303, commi 3 e 4). Il necessario contenimento deipremi assicurativi a carico degli operatori non potrà, in effetti, che spingere ad un certocorrispondente contenimento dei massimali, col risultato di rendere tutt’altro che remotal’eventualità di un ricorrente necessitato intervento del Fondo di garanzia. Il cerchio, così,sembra destinato a chiudersi, ed appunto del tutto illusorio pare pensare che un sistema, ilquale intenda essere, ad un tempo, economicamente tollerabile per i soggetti assicurati,adeguatamente garantista dei diritti delle vittime dei danni e tale da riuscire concretamentea contare su di una seria prestazione del servizio assicurativo da parte di motivate impreseassicurative, possa effettivamente funzionare «senza nuovi o maggiori oneri per la finanzapubblica» (come si legge venire, alquanto seraficamente, previsto in conclusione del testodel provvedimento in esame, nell’art. 18, nonché, ripetutamente, negli artt. 2 e 3, conspecifico riguardo all’essenziale — e, secondo quanto dianzi sottolineato, sicuramente ca-ratterizzante l’intero impianto legislativo — profilo della «gestione del rischio sanitario»).

Né si trascuri come la (comunque illusoria) speranza di concludere soddisfacentementela partita della tutela globale delle vittime dei rischi sanitari a costo zero per la finanzapubblica derivi anche dal chiaramente affermato, secondo quanto dianzi accennato, fon-damento necessariamente colposo della responsabilità civile in campo sanitario (con unainevitabilmente corrispondente delimitazione di operatività delle coperture assicurativecontrattuali ed il connesso auspicato contenimento dei premi): nell’ottica di una realesollecitudine nei confronti dei soggetti in questione, in effetti, avrebbe dovuto farsi impe-riosamente avvertire l’opportunità di prevedere contestualmente anche meccanismi d’in-tervento atti a garantire un ristoro al paziente, in caso, appunto, di pregiudizio non ascrivi-bile, a titolo di responsabilità (per colpa), alle strutture sanitarie ed ai professionisti ope-ranti dentro o fuori di esse. Profili di sicurezza sociale completano, non a caso, il complessosistema organizzato in Francia, prevedendosi, sempre nell’art. 1142-1 del code de la santépublique, un «droit à la réparation des préjudices du patient ... au titre de la solidariténationale», nell’ipotesi di evento non imputabile a chi abbia effettuato la prestazionesanitaria (almeno nei casi di maggiore gravità e con l’intervento di un apposito Officenational).

Forse, allora, affinché anche la previsione del sistema dell’assicurazione obbligatorianon si risolva in una mera operazione di facciata, ma risulti realmente funzionale a soddi-sfare le esigenze che hanno giustamente indotto a concentrare pure su di esso l’attenzione,onde offrire una via d’uscita alla situazione, come accennato, attualmente determinatasi(per richiamare qui l’intitolazione definitiva del provvedimento ora approvato) «in materiadi sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità pro-

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fessionale degli esercenti le professioni sanitarie», assolutamente prioritaria sarebbe stata,è da credere, la predisposizione di un preventivo concreto e franco confronto sulle proble-matiche coinvolte. Questo facendo, come si suole dire, sedere — prima, quindi, della defi-nitiva emanazione del provvedimento e proprio per assicurarne, poi, lo sperato successo: aldi là, insomma, delle consultazioni asetticamente previste, dall’art. 10 del testo in esame, aifini dell’emanazione dei decreti ministeriali attuativi della legge (in via successiva, cioè,rispetto al relativo varo) — ad uno stesso tavolo di discussione, non solo le organizzazionidelle strutture e degli operatori sanitari, gli esponenti delle potenziali vittime e le rappre-sentanze degli assicuratori, ma anche (e forse soprattutto) chi, in ultima analisi, non potrànon essere chiamato (e dovrà, di conseguenza dimostrarsi disponibile) a garantire il neces-sario adeguato apporto economico ai costi finali di funzionamento del complessivo nuovosistema, fin dall’inizio chiarendo, in una simile prospettiva, l’entità delle risorse economi-che pubbliche che, ai diversi livelli, si ha intenzione di destinare — come pare indispensa-bile — a tale scopo. E ciò, ben tenendo presente che si tratta di uno scopo tale da risultare,per la natura degli interessi in gioco, non certo meno meritevole di altri della profusione dirisorse economiche della collettività.

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