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dicembre 2011 numero 6 - anno XXI il dialogo bimestrale d’informazione e di opinione delle ACLI Svizzere associazioni cristiane lavoratori internazionali Il mio Prossimo Il mio Prossimo

Dialogo 6/11 - Il mio prossimo

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Bimestrale d’informazione e di opinione delle ACLI Svizzere- Aassociazioni cristiane lavoratori internazionali

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dicembre 2011numero 6 - anno XXI

il dialogobimestrale d’informazione e di opinione delle ACLI Svizzereassociazioni cristiane lavoratori internazionali

Il mio ProssimoIl mio Prossimo

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il dialogo 6/112

La vignetta di Daria Lepori

Impressumil dialogoBimestrale delle ACLI SvizzeraDistribuito in abbonamentoStampa 5000 copie

Comitato di redazione:Luciano Alban, Ennio Carint,Antonio Cartolano, Moreno Macchi, Francesco Onorato,Franco Plutino, Giuseppe Rauseo, Paolo Vendola, Luigi Zanolli

Responsabili di zona:AG: Gaetano VecchioBS-BL-BE-SO: Anna GarziaGE-VD: Luciano GattoZH-LU-SG-SZ-TG: Salvatore DugoTI: Ivana Caldelari

Redazione e recapito:Redazione il dialogoVia Contrada Nuova 16982 Agnotelefono 091 921 47 [email protected]

Stampa:Tipografia Reggiani SpA Brezzo di Bedero (VA)

Progetto grafico:Daria LeporiCoordinamento e impaginazione:Ivana Caldelari

È possibile abbonarsi:sei numeri annuali a fr. 20.-CCP 65 - 272444 - 7

Il prossimo numero sarà recapitato afebbraio 2012. La chiusura di redazio-ne per contributi scritti è fissata permetà gennaio 2012.

La redazione del Dialogo vi augura

Buone Feste

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EDITORIALE

Tr a i l d i r e e i l f a r e

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Sommarionumero 6 - anno XXI

“Il mio prossimo” è il tema che laredazione ha scelto di dare a questonumero del giornale, affidandomi ilcompito di scrivere l’editoriale. Hoaccettato, perchè con un po’ di superbiae tanta ingenuità, pensavo di averetanto da dire, e in parte è vero, ma iproblemi sono arrivati quando mi sonochiesto quale credibilità potevo averecome persona e come aclista nel trattareun tema così impegnativo e sul quale èfacile “predicare bene e razzolaremale”.

Poi mi è venuto in mente quanta incoe-renza esiste, anche fra i buoni cristia-ni, su quanto sta scritto nel Vangelo:“Amerai il prossimo tuo come te stesso”e incoerente fra gli incoerenti mi sonodato il coraggio di scrivere. Il coraggiol’ho anche trovato pensando che comeACLI, comunque, il tentativo di ope-rare per dare dignità alla persona e percostruire un mondo più giusto e piùumano si è sempre fatto. Allora per dare corpo a questo testo misono interrogato sulla parola“amare”. Cerco di rispondere con ilsignificato che comunemente si da aquesta parola:

Pensar bene degli altri, non giudi-care il prossimo, non offenderlo,non procurargli alcun male, nonostacolare il suo bene, non pro-curargli dolore, non tradirlo, noninsultarlo, non chiacchierare con-tro di lui, non inventare calunnie,non ammazzare il suo onore, nondiffamarlo.

A questo punto credo che possiamotranquillamente dire,” chi non ha pec-cato scagli la prima pietra”. Abbiamosempre “amato” chi non la pensa comenoi? Lo straniero, che è diverso? Il fra-tello o la sorella che si sono appropria-

ti dell’eredità dei genitori? La moglie oil marito, divorziata/o, che a nostrogiudizio, ci ha causato tanti problemi edolori e ha preteso parte dei nostriaveri? Il compagno di lavoro, che ci hafatto le scarpe, pur di avere la promo-zione?

Se non vogliamo essere ipocriti e se nonrispondiamo di si, solo per metterci aposto la coscienza, credo che noi tuttidobbiamo educarci ed educare adamare il prossimo. Solo così avremo lafamiglia, la scuola, la Chiesa, lo stato,la finanza, l’industria, le ACLI chepossono costruire una società che metteal primo posto la persona.

Antonio Cartolanomembro della Presidenza delle

ACLI della Svizzera

Il cuore e la manoIl mio prossimo si trova alla portaaccanto pag. 4

AcliFaiRigenerarsi per rigenerare pag. 5Lavoro, partecipazione, democrazia pag. 6

Filo diretto con SynaEdili e rinnovo del CNM pag. 7

Il mio prossimoHo scoperto il mio prossimo pag. 8Oltre l’illusione della prossimità pag. 10Il confronto con i paesi del Sud ci trasforma pag. 11Domanda che ci inquieta pag. 12Quel Bambino che nasce alla frontiera pag. 13

PoliticaUn allievo di Tobin per rilanciare l’Italia pag. 14

ENAIPProgetti di integrazione nelle realtàregionali pag. 15

VarieStoria di un emigrato pag. 16

EditoriaHotel Lamemoria pag. 17

PatronatoLugano, Lavoro (in) Sicurezza pag. 18Perché Perché pag. 19

Vita delle ACLILucerna, “Antichi Sapori” pag. 20 Natale speciale per il Coro ACLI di Lugano pag. 20Mons. Luigi Bettazzi, l’uomo del dialogo pag. 21Solidarietà da Zug all’Albania pag. 22Serata teatrale a Losanna pag. 22La scomparsa di Cleofe Ganci pag. 22

Sale e PepeAragosta alla parigina pag. 23

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4il dialogo 6/11

IL CUORE E LA MANO

I l mio pross imo s i trova a l la por ta accanto

Il provare compassione, come ha indica ilNazareno “in opere e parole”, significa lasciarsiinterpellare nel profondo dalla condizione altrui,immedesimandosi nel bisogno dell’altro per poisoccorrerlo ed aiutarlo ad uscire dallo stato di

necessità. Queste diverse fasi compongono, per ilVangelo, un itinerario di avvicinamento reciproco,il cui risultato è la prossimità della fraternità uni-versale. In effetti, lo scopo di tale itinerario (sem-pre segnato dall’esigenza di una continua conver-sione) è il diventare prossimo dell’essere umano(in realtà o in apparenza) più lontano. Vuol direvincere la naturale propensione all’indifferenza eal ripiegamento su se stessi per svelare l’indigen-za altrui, non già per umiliare il miserevole, bensìper annunciargli la possibilità di un riscatto. Farsiprossimo dell’altra persona che ci si para innanzinella sua povertà (materiale come pure spirituale)corrisponde a riconoscergli la dignità che gli spet-ta non solo come essere umano, ma soprattuttocome “figlio di Dio”. L’empatia, il mettersi lette-ralmente nella pelle altrui, è l’avvio di un percor-so di liberazione per entrambi gli attori.

Nella parabola di Matteo sul Giudizio finale, l’in-segnamento di Gesù è ancora più esplicito, poichéricorda come stia nella capacità assai concreta (enon solo simbolica o ideale) di dare un nome aibisogni dei più sfavoriti il segreto dell’esistenzacristiana. Nel povero, nell’infermo, nel carcerato,nell’ignudo, nell’affamato e nell’assetato possia-mo vedere non soltanto qualcuno da aiutare,bensì principalmente il Cristo medesimo. Egli perprimo, s’immedesima nei bisognosi, chiedendo aisuoi discepoli di fare altrettanto, nel Suo nome ein nome della fede professata. È l’esperienzacompiuta, ad esempio, da san Francesco d’Assisio dalla beata Madre Teresa di Calcutta, ambeduecolpiti nell’intimo delle loro convinzioni di cre-denti dalle condizioni miserevoli di tanti emargi-nati, al punto da voler servire in essi il Crocifisso.E in tale servizio di carità, Francesco e MadreTeresa hanno sperimentato il valore della frater-nità universale voluta da Dio “sin dalla creazionedel mondo” per l’intero universo. Tutt’e due,come tanti altri credenti prima e dopo di loro,hanno sempre saputo vedere in ogni essereumano anzitutto il Cristo stesso nella Sua soffe-renza. È quanto evoca già il mistero del Natale,dove nel Bambino s’intravede la chiamata allaredenzione dal male e dal dolore, per la felicità ela pienezza di vita promesse a chiunque.

Serene Festività natalizie!3

di fra Martino Dotta, assistente spirituale ACLI Svizzera

“Chi è il mio prossimo?” chiede un po’ sornione il Dottore dellaLegge a Gesù nel famoso passaggio sulla parabola del buonSamaritano nel Vangelo di Luca. Dopo aver ascoltato il raccontodel Maestro, è lui stesso costretto a riconoscere che si è fattoprossimo del malcapitato “colui che ha avuto compassione dilui”. Ed è non a caso uno straniero, eretico sul piano religioso, aprendersi cura della vittima dei briganti. La risposta alla doman-da evangelica, dal sottile sapore catechistico, è paradossale edaffascinante nel medesimo tempo. Gesù invita i suoi uditori acompiere un passo d’attenzione non solo all’interno della pro-pria piccola cerchia ristretta d’interessi, bensì verso chi – suomalgrado – si trova in una situazione difficile. Si tratta di “uscireda sé” per andare incontro a chi si trova abbandonato sul latoopposto della strada.

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5il dialogo 6/11

Tutte le ACLI sono chiamate a prepararsi a questomomento importantissimo per il Movimento,soprattutto in questi frangenti definiti dal presi-dente Olivero “giorni cattivi”, citando le parole diEnzo Bianchi.Per questo crediamo che sia giusto il titolo dato daOlivero alla sua relazione: “La partita del futuro;per il ritorno alla buona politica”, perché questo“non è più tempo per rinvii e scelte parziali”.Ormai il discorso non può più essere limitato alnostro “piccolo mondo antico”, che si reggeva sualcune certezze radicate e su visioni ristrette, tantoper riferirci alla nostra presenza nelle singole real-tà di una nazione a noi cara, ma piccola di fronteall’Europa.Ora è tempo di sentire l’Europa, la casa comuneche abbiamo costruito con tante fatiche e tantisacrifici, come il primo Paese del mondo globale.Questo sentimento non può essere alimentato dastrane coalizioni, che hanno governato l’economiae gestito i conflitti in funzione della spartizione dibottini. È dai popoli che deve partire il segnale diunità e, osiamo dirlo a chiare lettere, devono esse-re i cristiani gli antesignani di un nuovo processo,come furono cristiani del valore di De Gasperi,Adenauer, Schuman che fecero emergere, insiemeal pensiero dell’unità, quello di più politica e di unabuona politica.Questo pensiero ci deve accompagnare nel nostroorganizzare i Congressi: “per interpretare con luci-dità l’attuale nuova questione sociale, per cuioccorre evitare l’errore, figlio anch’esso dell’ideo-logia neoliberista, di ritenere che i problemi daaffrontare siano di ordine esclusivamente tecnico.Come tali essi sfuggirebbero alla necessità di undiscernimento e di una valutazione di tipo etico”,come affermato in un documento del PontificioConsiglio della Giustizia e della Pace.Anche la nostra Associazione dunque è chiamataanzitutto ad una non facile lettura del nostrotempo e poi ad affrontare le sfide che tutta lanostra società subisce.Ma i nostri Congressi devono prima di ogni altracosa darsi delle risposte convincenti alla domandasu quale sia la “mission” aclista in questa difficilefase, risposte che si traducano in elaborazioni cul-

turali possibili, in proposte politichecredibili, in azioni sociali concrete.Tuttavia, senza un cammino di avvi-cinamento ai nostri Congressi dafare comunitariamente, attraverso ilmetodo del confronto democraticosincero e guidati dalla preziosa virtùdella fraternità, non riteniamoattuabile la traduzione in azioniconcrete per la realizzazione dicambiamenti profondi di tali risposte .E questo, lo ribadiamo, è compito della formazio-ne, che non cesseremo mai di proporre a partiredai nostri Circoli.Nella relazione del presidente Olivero ricorrespesso la parola “rigenerare”, il titolo del docu-mento sugli Orientamenti Congressuali del 2012 è“Rigenerare comunità per costruire il Paese”: peressere artefici di una “rigenerazione”alla qualesiamo chiamati tutti senza eccezioni, dobbiamoporci come impegno associativo passione, concre-tezza, lungimiranza. Si tratta di operare ancora, apartire da noi stessi, quella “conversione” che è infondo il segno della nostra “giovinezza”.3

di Luigi Zanolli, vicepresidente FAI-ACLI

Il Consiglio nazionale delle ACLI italiane, che si ètenuto a Torino nei giorni 2 e 3 dicembre scor-si, ha aperto la stagione congressuale del 2012.

ACLIFAI

R i g e n e r a r s i p e r r i g e n e r a r e

Campagna tesseramento 2012“Il vero capitale è l’Uomo”

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6il dialogo 6/11

ACLIFAI

L avo ro , p a r t e c i p a z i o n e , d e m o c r a z i a

di Paolo Vendola

Dal 7 al 9 ottobre, a Londra, si è tenuta una tre giorni del semi-nario di studio promosso dalle ACLI con il sostegno del CentroEuropeo per i problemi dei lavoratori (EZA). Questa iniziativa èstata finanziata dall’Unione Europea con il patrocinio delComitato economico e sociale europeo (CESE).

«Il lavoro è tornato al centro di un dibattito sempre più preoccupa-to e allarmato – sottolinea Andrea Olivero, Presidente delle ACLIitaliane e della FAI – la discussione europea sul “lavoro dignitoso”ha guardato finora fuori dai propri confini. Oggi la crisi economicaha riportato la questione nel cuore della vecchia Europa, dove illavoro sempre meno garantisce accesso alla cittadinanza e sempremeno costituisce strumento di emancipazione. Quell’obiettivo della“buona occupazione” che la società della conoscenza avrebbe dovu-to garantire appare sempre più lontano, soprattutto per i giovani e ledonne. La stessa rappresentanza del lavoro non sembra più in gradodi dare risposte adeguate». Questi alcuni spunti emersi dal dibattitodove è messo in evidenza che la crisi occupazionale che colpisce igiovani è soltanto una parte di un disagio più ampio. Uno dei feno-meni più gravi che sta attraversando l’Europa e non solo è la disoc-cupazione e l’inattività delle giovani generazioni. I risultati dei datiNeet sono impressionanti se valutiamo le percentuali di giovani chenon studiano, non lavorano e non sono in formazione. Questosignifica che l’Europa in genere sta sprecando le sue risorse più gio-vani e produttive. Gli stessi risultati emersi dalla ricerca della FAI,illustrata durante il seminario di Londra, ha prodotto significativeriflessioni. Si trova conferma sostanzialmente dell’importanza dellavoro per i giovani (lavoro decente) non solo come elemento a livel-lo valoriale ma anche come elemento di crescita per trovare un postonella società e per essere definiti appieno come cittadini attivi e nonsolo.Luca Jahier, presidente del terzo gruppo Cese si è soffermato moltosulla tematica del lavoro decente/lavoro dignitoso facendo diverseconsiderazioni sulle Work-ability come nuove esigenze richieste inun mercato del lavoro sempre più frammentato e sempre più alla

ricerca di flessibilità. Proprio in una delle sessionidel seminario si è discusso sulle “Nuove rappre-sentazioni sociali del lavoro e forme della rappre-sentanza” assieme a Giuseppe Porcaro, segretariogenerale del European Youth, Marco Cilento, con-sigliere della Confederazione europea dei sindacati;Georg Hupfauer, presidente del Movimento catto-lico dei lavoratori tedeschi (KAB).Il panorama che ne scaturisce di fronte alle nuovegenerazioni, è quella di un’Europa senza progetto,incapace di lasciare intravedere ai propri cittadiniun chiaro futuro o delle linee di riferimento daseguire. Questa mancanza di progettualità si riflet-te poi nei giovani con difficoltà a cercare un lavorostabile, si manifesta anche in una precarietà dellavita affettiva ed una impossibilità nel prevedere unproprio futuro o di una ricerca di una dimensionenella società. Ma la debolezza dei giovani è la debo-lezza della società come sottolinea il demografoAlessandro Rosina: «Non si tratta solamente di for-nire a ciascuno i giusti mezzi per realizzare almeglio il proprio destino personale... la società,anche e soprattutto per il proprio bene, dovrebbepreoccuparsi di fornire alle nuove generazioni laprotezione e le competenze necessarie per fronteg-giare i rischi e cogliere al meglio le opportunità nel-l’entrata nella vita adulta, perché dalla riuscita deigiovani dipende la riuscita della comunità civile nelsuo complesso».Oggi si assiste ad un ritorno dei giovani sulle piaz-ze (virtuali e non), per ora con il tema dominantedella protesta ma questi dissensi giovanili sonocomunque un segnale di richiesta di cambiamento. A maggior ragione, oggi, è importante la ripresa deldialogo a tutti i livelli, a partire dalla famiglia. Il dis-agio che si è creato non è solo generazionale, maanche intergenerazionale ed educativo, così comeda tempo le stesse ACLI hanno sottolineato esostengono senza dimenticare il ruolo della solida-rietà verso i più deboli. Solidarietà che, come haavuto modo di ricordare in un discorso alle ACLInazionali il card. Bertone, di un sentirsi tuttiresponsabili di tutti, quindi senza delegare/deman-dare allo Stato. I diritti sociali sono parte integran-te di una democrazia che può e deve dare a tuttiuno spazio di rappresentanza. Tutti i soggetti rap-presentativi di una economia civile, possono diven-tare i molteplici “attori” per creare una nuova forzasociale che può favorire l’uscita dalla crisi e contri-buire anche sullo sviluppo di nuove politiche attivedel lavoro e del welfare.3I lavori al Seminario di studio promosso dalle ACLI a Londra

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7il dialogo 6/11

FILO DIRETTO CON SYNA

Per riportare le parti contraenti al tavolo dellenegoziazioni e porre fine a un dialogo fumoso, ilavoratori del settore edile hanno abbandonato iloro posti di lavoro e il 25 novembre e 2 dicembrescorsi sono scesi in piazza per manifestare il lorodisappunto nelle grandi città del Paese. Migliaia dipersone hanno rivendicato un nuovo CNM cheoffra più protezione sociale e salariale. In occasio-ne della Conferenza del settore edile tenutasi il 19novembre scorso a Olten, i lavoratori avevanoincaricato i responsabili di battersi per condizionimigliori nel quadro del rinnovo del Contratto. Le organizzazioni che fanno parte di Travail.Suissehanno lanciato un manifesto all’indirizzo di tutti idatori di lavoro e delle aziende in Svizzera affinchécontinuino a percorrere la strada del partenariatosociale al fine di garantire la pace sociale e la stabi-lità economica nel nostro Paese. Le celebrazionicongiunte dei partner sociali per il centenario delcontratto collettivo di lavoro sono appena termi-nate. In questo contesto sembrerebbe incompren-sibile e irresponsabile che un settore sano dellanostra economia come lo è l’edilizia si privasse diun CCL. Tenendo conto della libera circolazionedei lavoratori in Europa, il Contratto nazionaledeve tutelare e consolidare le disposizioni per farfronte al dumping salariale e sociale.

Sì al prolungamento condizionato del CNM

I delegati del sindacato Syna, riunitisi il 19 novem-bre scorso a Olten, si dichiarano d’accordo con ilprolungamento del contratto collettivo, ma soltan-to alle seguenti condizioni:l concessione di un aumento mensile di circacento franchi nel 2012;

Condizioni migliori per il rinnovo del CNM o caos sociale?

di Eric Favre, segretario centrale Syna

Il settore edile da qualche anno a questa partepresenta una situazione economica alquantopositiva. Ciononostante, le negoziazioni tra ipartner sociali SSIC (Società Svizzera degliImpresari-Costruttori) e i sindacati Syna e Uniaper il rinnovo del contratto collettivo di lavorogià l’anno scorso hanno avuto esito negativo.Anche quest’anno le trattative per un rinnovodel CNM (Contratto nazionale mantello)a parti-re dal 1° gennaio 2012 non hanno portato adalcun risultato.

l rinuncia alla modifica del campo d’applicazione;gli autisti delle imprese di costruzione devonoessere sottoposti al CNM come stabilito dal tribu-nale federale;l adozione di misure appropriate per limitare idanni causati dal subappalto, nonché dal lavoro acottimo e a tempo determinato.Si ritorna al tavolo dei negoziati in dicembre

I delegati del settore edile del sindacato Syna sonodeterminati soprattutto a rinnovare qualitativa-mente il CNM. In caso di fallimento delle trattati-ve, saranno prese in considerazione misure piùsevere. 3

7000 lavoratori hanno abbandonato più di

1000 cantieri per scendere in piazza

Il 25 novembre scorso, 7000 lavoratori del settore edile hanno

aderito ai cortei di protesta in diverse città svizzere, quali

Ginevra, Losanna, Berna e Zurigo. Le manifestazioni sono poi

proseguite a Bellinzona dove gli operai hanno fatto sentire ad

alta voce il proprio malcontento. Un lavoratore su tredici del

settore ha partecipato alle azioni.

Accogliamo con piacere la determinazione dimostrata da tutti i

manifestanti che hanno deciso di abbandonare i loro cantieri

sparsi in tutto il Paese per aderire alle manifestazioni in favore

di un nuovo CNM con condizioni migliori.

Nella foto (di Peter Schmidt): il corteo di protesta a Zurigo (25

novembre)

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H o s c o p e r t o i l m i o p r o s s i m o

di Enrico Norelli *

Oggi ho cominciato a sollevarmi su di un gomito. Mi fa un granmale, ma devo provare a muovermi e voglio riprendere il viaggiotra qualche giorno. Ho potuto alzare la testa sino alla feritoia chesta proprio sopra il mio giaciglio e ho visto le case del villaggiodi Adommim, immerse nel sole e nella polvere del meriggio. Unnome che evoca il rosso del sangue, davvero adatto a questoluogo celebre per le aggressioni di viaggiatori da parte di brigan-ti, tanto è vero che proprio qui hanno dovuto installare unaguarnigione di soldati.

A che serve? I briganti agiscono lo stesso, indi-sturbati. È capitato anche a me, a una paio dimiglia da qui, non so più quanti giorni fa.Tornavo a Gerico, la mia città, da Gerusalemme,dove ero andato a riscuotere del denaro. Lo sape-vo che era pericoloso, ma si deve pur vivere. Nonero neanche a metà del percorso quando, in unodei punti più ripidi della strada, sono sbucati dalnulla. I due servi che erano con me se la sonodata a gambe, io ho cercato di fare lo stesso, mahanno capito che ero io il padrone e mi sono sal-tati addosso. Cercare di resistere, urlare chieden-do aiuto, è servito solo a farmi spaccare la testa abastonate.Poi non ricordo più nulla. Di certo il mio denaro,il sacco da viaggio, il mio asino sono andati! Hosolo un ricordo. A un certo punto il dolore mi harisvegliato per qualche attimo. Non ero per terra,ondeggiavo su di un giumento che mi trasporta-va; un uomo, a piedi, lo tirava per la cavezza,vedevo solo le sue spalle. Ero seminudo – anchei vestiti mi hanno preso! – , ma qualcuno miaveva fasciato, alle narici mi arrivò l’odore delvino e dell’olio che erano stati cosparsi sulle mieferite, perché soffrissi meno. Ma lo stesso doloreche mi aveva svegliato mi ha fatto svenire dinuovo.Ho ripreso i sensi il mattino dopo, o così mi hadetto l’oste.È la prima persona che ho visto, chino su di me.Conosco la locanda, ci ho sostato qualche volta,l’oste è una gran canaglia, approfitta di avere ilsolo posto di ristoro lungo questa strada male-detta, per gonfiare i prezzi. Comunque, è lui chemi ha raccontato la storia.Mi ha portato qui un samaritano, che mi ha tro-

vato mezzo morto lungo la via mentre scendevaanche lui da Gerusalemme. È lui che mi ha rac-colto, medicato, fasciato, che si è fatto la scarpataa piedi per lasciarmi il suo posto sul giumento,togliendosi ogni possibilità di fuga nel caso di unnuovo attacco. Non ci potevo credere. Un samaritano. Uno diquesti stranieri che hanno occupato la nostraterra al tempo dell’esilio e che avrebbero anchevoluto impedire la ricostruzione del Tempiodopo il ritorno dei nostri Padri, perché, giusta-mente, questi avevano rifiutato la loro collabora-zione! Uno di quelli che dicono di adorare ilSignore sul monte Garizim, ignorando che solo aGerusalemme il Signore ha la sua casa! Uno diquelli che ostacolano gli Ebrei quando attraversa-no la Samaria per andare in pellegrinaggio aGerusalemme! Fin dalla mia infanzia, mio padremi ha insegnato a detestarli, ripetendomi le paro-le di Gesù figlio di Sirach: i samaritani sono ”ilpopolo stupido che abita a Sichem, anzi, nonsono neppure un popolo!”Non bastavano il dolore fisico e la perdita deibeni! Quando ho saputo di dover la vita a un

IL MIO PROSSIMO

* In “Presenza Italiana”, periodico della MissioneCattolica Italiana di Ginevra, Anno XXXIII, mag-gio-giugno 2005.

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9il dialogo 6/11

IL MIO PROSSIMO

samaritano, si sono aggiunte l’umiliazione e larabbia. Avrei preferito essere morto lungo la via.Io avrei fatto lo stesso per un Ebreo, natural-mente! E sapevo che avrei potuto contare sul-l’aiuto di qualunque Ebreo. Possibile che il primoa passare dovesse essere proprio un Samaritano? Eppure, in questi giorni di immobilità forzata, viavia che la spossatezza diminuiva e mi lasciava unpo’ più di lucidità per riflettere, ci ho pensato su.Ho sempre diviso l’umanità in “io e quelli comeme” e “gli altri”. Solidarietà piena con il gruppoal quale appartengo, ragionevole distanza, senecessario diffidenza e magari ostilità, comunquesuperiorità, nei confronti degli altri. Mi è sempresembrata una sana regola di vita, e del resto comepotrebbe essere diversamente, dato che l’unicovero Dio è dalla nostra parte?E ora, questa terribile esperienza ha cominciato afarmi capire che una distinzione del genere se lapuò permettere chi si sente sano, forte, autosuffi-ciente, chi crede di tenere sotto controllo la pro-pria vita, la propria famiglia, i propri beni. In que-ste condizioni, si crede sempre di poter sceglierel’amico o il nemico. Ma viene il momento in cui

non sei padrone nemmeno della tua vita, seiappeso a un filo. A questo punto non ti attacche-resti a chiunque pur di cavartela? Non saresti dis-posto a gridare a chi hai sempre disprezzato: “Sì,sei tu il mio prossimo, sei tu il mio amico.Salvami!”?Dapprima ho respinto con orrore questo pensie-ro, convinto che la vigliaccheria mi suggerisse dirinunciare ai miei principi. Ma poi mi sono dettoche forse proprio quei principi non erano tantoraccomandabili. Il fatto è che mi separavano dal-l’altro, mentre la compassione dell’altro ci hauniti. Ho dovuto scoprire quello che, quando misentivo forte, non volevo vedere: che il mio nemi-co era capace di amore. E se questo amore mi hasalvato la vita, ebbene, vuol dire che vale più diogni idea. Così quell’uomo non mi ha solo evita-to di morire: mi ha fatto scoprire qualcosa ched’ora in poi orienterà la mia esistenza in un modonuovo e mi farà sentire più leggero.Beh, c’è anche qualcosa di quasi più incredibile.Ve l’ho detto, l’oste è un ladro matricolato.Ebbene, quando mi ha raccontato l’accaduto sirigirava tra le dita due denari che il Samaritano gliaveva dato per le spese della mia convalescenza,promettendogli di aggiungere, al suo prossimopassaggio, quello che l’oste avrebbe speso in più.Se il ferito fosse stato un altro, e io avessi assisti-to a quella scena, avrei sogghignato dell’ingenuitàdi quell’uomo, che non sapeva in quali mani met-teva i suoi soldi. Sarei stato certo che l’oste liavrebbe intascati, non avrebbe speso nulla per lecure e poi ne avrebbe anche richiesti altri. E inve-ce eccolo lì che non solo mi ha mostrato i duedenari (non riusciva a credere a tanta fiducia!), mache sembrava perfino tenere onestamente ilconto delle spese. È mai possibile che la fiduciache gli è stata dimostrata cominci a cambiareanche lui?Non so neanche il nome di quell’uomo. Ma, aquanto pare, ripasserà di qui nei prossimi giorni.Prima di questa storia, non avrei voluto neancheuna stanza confinante con la sua, mi sarebbesembrato di contaminarmi. Ora mi accorgo diaspettarlo con impazienza, e credo proprio che cifaremo una cena insieme, e una bella bevuta.3

Immagine: Il buon samaritano (donbosco-torino.it)

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Se bene si riflette, la nostra società – nonostante ladovizia delle informazioni – sembra accresceresempre più le distanze: è, nella prevalente realtàdelle cose, quella della lontananza e non della

vicinanza. Un classico esempio è quello relativoalla quasi completa scomparsa della “fabbrica” –luogo dell’antica fraternità operaia e centro dellelotte sociali dell’Ottocento e del Novecento –sostituita da nuove forme di produzione che spes-so non richiedono più la prossimità. Si ipotizzano,e in parte si realizzano, forme di lavoro nelle qualiciascun operatore, dal suo specifico luogo (anchedalla propria casa) potrà svolgere la sua faticasenza incontrare mai gli altri. Del resto stannoscomparendo anche molti classici luoghi di incon-tro: si percorre la strada in automobile e non più apiedi o su mezzi di trasporto collettivi, così comesi assiste agli spettacoli dalla propria poltrona tele-visiva (magari, nella stessa casa, ciascuno davantiad un suo personale televisore…), senza quellaforma di socializzazione che era un tempo rappre-sentata dai cinema e dai teatri.Tutto questo va tenuto presente, non per rimpian-gere il (presunto) “buon tempo antico” o perdemonizzare il proprio tempo, ma per confrontar-si con la realtà delle cose: nonostante le apparenze,la nostra rischia di diventare la società dell’ano-

nimato. Perché il Samaritano possa incontrare l’al-tro è necessario, innanzitutto, che egli percorralentamente, a piedi o a dorso di mulo, una strada(e non sfrecci su un’autostrada a 140 chilometriall’ora); così come è necessario che, prima di lui,qualcuno la percorra. Ma non è più così, in moltedelle società contemporanee.Se si vuole recuperare la “prossimità” occorre

dunque avere uno sguardo nuovo e percorreresentieri nuovi. Come ha scritto una volta un gran-de testimone del Novecento italiano, PrimoMazzolari, “chi ha occhi di amore vede moltipoveri, chi non ha questi occhi non vede nessunpovero”… Chi si accontenta di uno sguardosuperficiale non vede più la povertà o riesce a scor-gere soltanto le manifestazioni più evidenti, e talo-ra moleste, che sono appena la superficie di uncontinente che nelle sue profondità rimane ine-splorato. Come, dunque, aprire (o imparare ariaprire) gli occhi?Si tratta, innanzitutto, di avere del “prossimo” unavisione più ampia, non limitata soltanto alla cer-chia stretta dei conoscenti e degli amici. Vi sonoanche le “prossimità” lontane, alle quali è necessa-rio imparare a guardare (informandosi, documen-tandosi, interrogandosi) senza farsi travolgere dailuoghi comuni né cedere alla tentazione della pro-pria impotenza, rinunciando così anche alle picco-le cose che ciascuno può fare. Proprio la tecnica dioggi – nonostante i suoi limiti – può contribuire aridurre le distanze e a far diventare anche il lonta-no nostro prossimo: a condizione, sempre, che sisappiano aprire gli occhi. Ma occorre anche sapere guardare vicino (evitan-do di fare dell’eventuale attenzione e del possibileaiuto prestati al lontano, un alibi per la rinuncia aguardare in profondità attorno a noi). Molte, infat-ti, sono le “nuove povertà” del nostro mondo:nascoste, silenziose, pudiche, di persone che nonamano le piazze degli “indignados” o i cortei dellepovertà organizzate. Sono quelle degli adolescentialla ricerca di senso, degli anziani immalinconitidalla solitudine, delle donne e delle ragazze madriabbandonate dai loro partners, e così via. Bastasapere guardare con occhi di amore e, quasi all’im-provviso, l’area della povertà si dilaterà, quasiall’infinito.Che fare, dunque? Farsi carico di tutte le povertà,lontane e vicine ed esercitare così la “prossimità”?Chi si proponesse un simile impossibile obiettivocadrebbe ben presto nella frustrazione. Occorreinvece scegliere le “piccole cose” di tutti i giorni,frequentare con spirito nuovo le persone che siincontrano nella vita quotidiana, intuire volta pervolta i bisogni inespressi, le domande non rivolte,talora gli aiuti materiali mai richiesti e che non si hail coraggio di chiedere. È, questa, la semplice ebanale via di prossimità che di volta in volta lapropone a chi abbia occhi per guardare: la “picco-la” via della “piccola Teresa”.3

La società del nostro tempo – dominata dalle nuove tecnologie– può apparire, ad un osservatore superficiale, quella che ha rea-lizzato una più ampia e diffusa “prossimità”. Ogni luogo al mondo– dalle sabbie del Sahara alle cime dell’Himalaya – appare nonsolo esplorato ma reso vicino da narrazioni, immagini, filmati. Gliavvenimenti accadono “in tempo reale” e si moltiplicano leimmagini “in diretta” di persone travolte da una piena o di vil-laggi spazzati via dagli tsunami. Ci si sente “vicini” e “partecipi”…Ma è proprio così?

O l t r e l ’ i l l u s i o n e d e l l a “ p ro s s i m i t à ”

di Giorgio Campanini *

IL MIO PROSSIMO

* Docente di Storia delle dottrine politiche nell'Università di Parmae di dottrina sociale della Chiesa nella facoltà teologica di Lugano,è studioso del pensiero politico cattolico dell'Ottocento e delNovecento.

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11il dialogo 6/11

Il confronto con i Paesi del Sud ci trasforma

Qui nasce il compito delicato di governance e dellapolitica. Solo uno sviluppo desiderato, deciso esostenuto dai diretti interessati può rivelarsi van-taggioso a lungo termine per tutta l’umanità: una“globalizzazione delle responsabilità” che mette alcuore la dignità dell’altro/a e che crei questo lega-me sottile congiunto ad un’etica della verità, dellacorrettezza. Quella persona a cui scrivo o con cui mi relazionopuò essere un politico/a, un direttore/trice di unsettore quadro della Confederazione, un mio/acollega. Nell’incontro c’è un pensiero, una consi-derazione, una presa di posizione che riguardasempre l'altro cercando di dar “Vita” a una centra-lità perché il nostro lavoro di rete significhi “aper-tura” con senso. Si è in uno spazio nel quale acco-gliamo tutta l’ingiustizia sociale e con lucidità sicerca di personificare una realtà del prossimo nellaricerca di una giustizia sociale giusta. Qualepotrebbe essere la via? Mi sembra di intuire che ènel collegare le persone. È creare quella fedeltà alladignità di ognuno/a. “L’incontro con l’altro tra-sforma la nostra percezione. Ci incita a risponder-gli e a sentirci responsabili.”

Da un lato con i politici ho vissuto la scoperta chesia nell’incontro dove vivo una lunga riflessione onell’adesione alla causa, ho da creare quella fiduciadove appare quella maturità non dettata da inte-ressi di parte ma di stima dell’altro, di un’umanitàin cammino. Mi sento nomade nel saper uniresguardi e pensieri emozioni affinché il nostro pros-simo sia responsabilizzato qua e là. Sì! La dignità èun valore che ci lega tutti in questa mondialità. In quest’incontro le pari opportunità rappresenta-no l’uguaglianza per tutti noi di partecipare alla«cooperazione sociale » in seno al sistema econo-mico attuale, di ripensare e rimodellare al contem-po il sociale e, nel suo intimo, l’umano. Infine diimpegnarsi in favore di un «altro mondo».

Si è appena svolta in Sud Africa la Conferenza internazionale di Durban. È la 17° conferenza delle Nazioni Unite sulcambiamento climatico. Con l’occasione si è rinnovata per noi, organizzazioni di cooperazione internazionale, un’at-tenzione particolare ai Paesi più poveri. La dimensione sociale con il rispetto dei diritti umani e l’uguaglianza tra uomi-ni e donne è troppo trascurata sul piano mondiale. La salvaguardia del Creato per le generazioni future non devecompetere con l’impegno a favore dei più poveri e in particolare delle donne: questi due obiettivi sono indissociabi-li. Nel pensare globale - agire locale le organizzazioni di cooperazione operano affinché donne e uomini, individualmentee comunitariamente, sviluppino mezzi non violenti per rivendicare i diritti e affinché siano loro stessi ad opporsi allestrutture ingiuste e a partecipare attivamente alla vita politica, culturale e economica. “Uomini e donne diventano sog-getti del loro stesso processo di liberazione” 1 con correttezza e senza nuocere all’altro.

di Lavinia Sommaruga Bodeo, AllianceSud *

Questo ponte nell’agire assieme riconciliarsi, riuni-re, adottare, pacificare, sono gesti che esigono luci-dità e perseveranza; dei gesti che si acquisiscono,che si insegnano, che si coltivano. Necessita unariflessione serena, una pedagogia abile, una legisla-zione appropriata e delle istituzioni adeguate! Oggi, questa politica dovrebbe essere portataavanti su scala dell’umanità intera, come in seno adogni popolo e ad ogni singolo. Se vogliamo giusti-zia nel mondo, una vita dignitosa per la maggio-ranza delle popolazioni dobbiamo operare impor-tanti e urgenti cambiamenti non solo per il climama strutturali e pure personali. “L’incontro conl’essere umano nel bisogno e con tutto il Creatoporta a un cambiamento di prospettiva quanto allapropria azione”1.3

IL MIO PROSSIMO

* Alliance Sud, comunità di lavoro Swissaid, Sacrificio Quaresimale,Pane per tutti, Helvetas, Caritas, ACES.1) «Principi di etica sociale di Pane per tutti, 2011»

Foto di BeatDietschy,

Pane per tutti

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IL MIO PROSSIMO

D o m a n d a c h e c i i n q u i e t a

di Ennio Carint, presidente ACLI Svizzera

Nulla è più inquietante delle domande che impegnano la nostracoscienza e coinvolgono il nostro quotidiano. La domanda “ chiè il mio prossimo” è una di queste. Non c’è azione, non c’è lavo-ro, non c’è utilizzo del tempo; dall’impegno comunitario, socialeo pubblico e perfino il tempo dello svago, che non ci veda coin-volti con e assieme ad altri che ci sono vicini o comprenda pen-sieri e azioni che coinvolgono altri a noi lontani ma legati allanostra esistenza. Oggi, con i mezzi di contatto e comunicazioneattuali, ciò che accade vicino a noi così come ciò che accademolto lontano da noi è continuamente presente e ci coinvolge eci interroga.

Il “Mio Prossimo” è il tema del dossier di questonumero de il dialogo. Nulla di più complesso enulla di più semplice allo stesso tempo. “Ma dov`èil problema!” “ e chi è il mio prossimo”! ci si puòinterrogare. “Io non faccio del male a nessuno, nonuccido, non rubo, non faccio maldicenza.” “Lavoroonestamente, vivo in serenità con la famiglia e nonmi impiccio dei problemi degli altri”. “Se nessunomi fa del male, se nessuno tocca i miei interessi iovado d’accordo con tutti”; “il resto non mi interes-sa”; e qui inizia il l’enigma. Una signora, che per lavoro viaggiava molto, confi-dò un giorno ad un’amica: “Quando in un paeselontano, in India, in un paese africano del Magrebo sud sahariano, in Indonesia, in Perù o centroAmerica nei miei viaggi da giornalista ciò che piùmi sconvolge e che le donne, particolarmente ledonne, si vestono, lavorano, si trovano tra loro,vivono in famiglia, hanno contatti ed interessi,tutto al contrario di ciò che io, prima di esserecostretta a viaggiare, non avrei mai ritenuto possi-bile per me e comunque non avrei mai fatto.Eppure per loro, per ognuna di loro il tutto è unacosa normale”. “Osservare la povertà mi turba ma non è solo lapovertà che mi sconvolge”; “è l’approccio che que-sti, donne ma anche uomini, giovani, ragazzi, adul-ti, vecchi hanno nel quotidiano con gli altri”. “Unapproccio naturale e disinvolto che comprendeperò due estremi e senza vie di mezzo”. “Il prossi-mo è te stesso e quello che io faccio, quello che iopenso lo fa lui (lei) con una sintonia e condivisionetotale”. “Gli altri sono gli altri; non sono differentio nemici, semplicemente sono gli altri e non esi-stono”. “Non mi toccano ed io non tocco loro equesto” diceva, “mi sconvolge, mi mette fuoricampo e non capisco chi sono, cosa sono, casa fac-cio e perché lo faccio”. “Semplicemente mi scon-

volge”. “Semplicemente”, concludeva “io non sochi è il mio prossimo”. Capita a noi tutti così. Il nostro prossimo non ci èfacile capire chi è e dov’è e tendiamo inconscia-mente a dividerlo in due categorie. Il prossimo chenon ci preoccupa e il prossimo lontano, non neces-sariamente nel senso di lontananza, ma lontano dalnostro pensare, dal nostro giudicare dal nostroessere. Sappiamo che esistere, ma non lo vediamoe non lo vogliamo vedere. Semplicemente non ciinteressa e lo cancelliamo del nostro discernere.Chiaramente abbiamo tutti un prossimo che non cipreoccupa perché ci è vicino, perché conosciamo,perché vede, sente, giudica e parla come noi.Perché non ci sconvolge nel suo essere, nei suoimodi, nel suo fare e in pratica nel suo esistere per-ché magari è un po’ diverso ma fondamentalmentesimile a noi. Diversamente invece ci rifiutiamo categoricamente,e quel che è peggio, inconsciamente, di riconosce-re come prossimo chi fa tutte altre cose di ciò chefacciamo noi. Chi dice tutte altre cose di ciò chediciamo noi; di chi pensa e propugna cose lontanodal nostro ortodosso pensiero; di chi veste, mangia,parla diverso da noi; di chi ha visioni e speranzeall’opposto delle nostre; di chi ha interessi che pernoi sono tabù o deviazioni; di chi ha ideali lontanidal nostro concetto da benpensanti; di chi in sinte-si disturba, invade, occupa, chiede e pretende ciòche noi non faremmo mai, magari solamente per-ché abbiamo già disturbato, invaso, occupato, chie-sto e preteso e magari già avuto. Ecco perché èinquietante chiedersi “chi è il mio prossimo”. È un terreno paludoso dal quale ci piace stare lon-tano perché vengono a mancarci le risposte perchéci manca l’assuefazione a cercarle, a pensarle e aproporcele. La giornalista della quale sopra ho par-lato, era andata in crisi proprio per questo motivo.Perché non aveva risposte e costretta con affannoa cercarle non le trovava. Questo ci obbliga a pen-sare che non possiamo pretendere di essere dallaparte giusta solo perché stiamo alle regole e rifiu-tiamo come prossimo chi la pensa diversamente danoi, agisce diversamente da noi e si preoccupa ditutt’altre cose di ciò che preoccupa noi. Di conse-guenza alziamo steccati e cortine di ferro, magariinvisibili, ma con fondamenta fortemente piantatenel terreno sodo perché gli altri, diversi da noi, nonsolo li rifiutiamo ma li vogliamo tenere lontanosoprattutto nei pensieri e negli atteggiamenti.

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13il dialogo 6/11

A Basilea, a cento metri dal confine con laGermania, sorge uno dei cinque centri svizzeri diregistrazione e procedura per i richiedenti asilo. Èuna zona isolata, “di frontiera”, e comunque almargine rispetto alla vita quotidiana della città. Unluogo certamente lontano dalle luci, dalle musichee dall’atmosfera di Natale. Eppure, proprio unambiente come questo, con le persone che vi siincontrano, può rimandare al vero senso della gran-de festa della nascita di Cristo, che viene da stra-niero tra noi, bussando alla nostra porta. Il Dio chesi fa uomo non solo sceglie di assumere la nostranatura umana, ma di condividere proprio il cammi-no di coloro che non hanno facile accesso ai luoghidella pace, della sicurezza e del benessere: “Erostraniero e mi avete accolto…” (Mt.,25,35)Nel centro di registrazione alloggiano, fino ad unmassimo di tre mesi, alcune centinaia di donne,uomini e bambini provenienti dai più diversi Paesidel mondo, spesso da zone di guerra o di persecu-zione. Giungono in Svizzera per chiedere asilo,cioè protezione, accoglienza, insomma un postodove poter vivere. Vengono dai luoghi noti alle cro-nache degli ultimi anni: Afghanistan, Iraq, Iran,Tunisia, Libia, Somalia, ma anche da altri menoricordati: Eritrea, Tibet, Nepal, Congo, Nigeria,Costa d’Avorio…Essere riconosciuti come rifugiati non è facile: ènecessario, infatti, provare e documentare di avereil giustificato timore di essere perseguitati per moti-vi politici, religiosi, etnici nel proprio Paese. Solouna parte dei richiedenti asilo ottiene alla fine unpermesso. In molti casi, l’intera procedura d’asiloviene espletata durante la permanenza nel centro diregistrazione, concludendosi con una risposta

Vivono le difficoltà che i migranti italiani hanno sperimentato fino a non molto tempo fa: sono i richiedenti asilo.Tra i volontari che li assistono vi sono diversi italiani all’estero.

Que l Bamb ino che na sce a l l a f ron t i e r a

Considerazioni tratte da un articolo di Luisa Deponti *

negativa e quindi con la prospettiva dell’espulsioneo di una vita in clandestinità.Per questo motivo il centro di registrazione divieneun luogo di speranza, attesa, paura, gioia o terribi-le delusione, un luogo in cui s’incontra l’umanitànelle sue più varie sfaccettature, la stessa umanitàche Gesù ha accolto in sé. Non stupisce, allora, chedei cristiani, insieme a uomini e donne di buonavolontà delle più diverse religioni, svolgano pressoil centro un servizio a favore dei richiedenti asilo,cercando di alleviare in qualche modo la loro sof-ferenza.Tra questi volontari troviamo anche diversi italiani:si tratta di migranti della prima generazione giuntiin Svizzera negli anni ’60 o delle loro figlie dellaseconda generazione, o ancora di mogli di profes-sionisti trasferitisi per lavoro, le quali desideranocontinuare anche all’estero l’impegno di serviziocristiano.Insieme ad altre persone - di origine svizzera,turca, francese, iraniana, curda, sudanese, kosovara,giapponese, tedesca, tibetana…- i volontari italianicollaborano con il Servizio pastorale ecumenicoper i richiedenti asilo (OeSA nell’abbreviazione intedesco), un’organizzazione sostenuta da diverseChiese cristiane, tra cui quella cattolica.OeSA offre assistenza psico-sociale a tutti i richie-denti asilo, indipendentemente dalla religione edalla nazionalità, e propone anche un accompa-gnamento pastorale per i cristiani, cattolici o pro-testanti, collegandoli, se possibile, con le rispettiveparrocchie in città.Per gli italiani in Svizzera, per la prima e secondagenerazione così come per i professionisti all’este-ro, non è automatico “rimanere migranti” nelcuore, mettersi in cammino verso gli altri, i nuovistranieri…Grazie alla fede, tanti imparano a leggere la propriastoria di migrazione con occhi nuovi.Nell’esperienza del migrare si riconosce non solola dura lotta per liberarsi dal bisogno economico econquistare un certo benessere, ma anche l’apertu-ra verso un orizzonte più ampio che dà senso atutta l’esistenza: luogo di incontro con Dio che sifa straniero con noi e non ci abbandona mai.3

IL MIO PROSSIMO

* Pubblicato su “Messaggero di Sant’Antonio”, Edizione italiana per l’este-ro, 12.2011

Eppure la regola la conosciamo bene e ci viene dal“Maestro” che spesso, a proposito ed a spropositocitiamo. Il nostro prossimo, il mio prossimo, è ogniessere vivente, è ogni persona la più diversa possi-bile perché il nostro prossimo non dobbiamo enon possiamo sceglierlo. Forse questo ci inquietama se lo accettiamo come vero e con tutto ciò chequesta accettazione comporta, forse, meglio diogni altro vantaggio, ci fa stare e vivere meglio e cida serenità.3

continuazione dalla pagina precedente

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14il dialogo 6/11

È un allievo di Tobin, con il suo aplomb di stampo britannico, ilPresidente del Consiglio che dovrà risollevare l’Italia dal debitopubblico: Mario Monti, presidente dell’Università Bocconi.

di Franco Narducci, deputato al Parlamento italiano

L’Europa è sotto la pressione dei mercati e i paesipiù esposti sono stati costretti alla svolta tecnocra-tica, per definizione senza colore politico. È statoil caso della Grecia dove Papandreou è stato sosti-tuito da Papademos, ma lo è stato anche per l’Italiaquando i nodi sono venuti al pettine nonostanteBerlusconi ci avesse tenuto nascosto per lungotempo la reale situazione economica del Paese.Sembra quasi che la crisi che attanaglia l’Europaabbia provocato, nel nostro Paese, il fallimentodella politica, in realtà la buona politica non è fal-lita, è fallito solo il berlusconismo, dopo anni didivismo e demonizzazione dell’avversario. E persalvare il salvabile si è dovuti ricorrere ai “tecnici”del governo Monti che in realtà non sono dei tec-nocrati, cioè di specialisti dei meccanismi burocra-tici, ma per lo più di professori universitari chehanno passato molta parte della loro vita a studia-re e ricercare quelle innovazioni necessarie a risol-vere problemi ancora irrisolti.La responsabilità è grande e non si può deluderel’attesa della gente che ha voglia di normalità e diserietà. Le buone premesse ci sono, infatti il dopoBerlusconi si presenta sobrio con un Presidentenoto per il suo self control ed il suo umorismointelligente, lontano dalle barzellette fuori luogoalle quali ci aveva abituato il “cavaliere”. Un uomoche da Commissario europeo alla concorrenzaseppe tenere testa, mostrando grande fermezza,

allo strapotere diMicrosoft, alla qualeinflisse la più alta multamai comminata prima alivello europeo (497,2milioni di euro) perabuso di posizionedominante attraverso isistemi operativi infor-matici.Mario Monti, convintosostenitore dell’euro, è

un uomo che ha dato un contributo importantenel definire, dal 1994 al 2004, quando é statoCommissario, gli attuali principi fondamentalidell’Unione Europea.In ambito economico Monti è un sostenitore del

mercato, delle liberalizzazioni e del rigore dei contipubblici, caratteristiche che lo rendono adatto adaffrontare le sfide della spesa pubblica italianatenendo conto dei vincoli europei. Ritengo che lasituazione di crisi economica e della politica debbacostituire l’occasione per un rilancio del Paese edei suoi valori attingendo anche al patrimonio sto-rico spirituale che il 150° dell’unità d’Italia ci hamostrato.L’Italia, sfibrata dalle risse politiche, grazie alPresidente Giorgio Napolitano ha credutonell’Unità, si è riconosciuta in un destino comune,si è ritrovata dietro il Tricolore, rispecchiandosinell’invito del Presidente della Repubblica adaffrontare le incognite del futuro con la pienacoscienza di quello che l’Italia è stata nel corsodella sua storia. Non a caso il nuovo presidente delConsiglio, Mario Monti, ha definito «impegnonazionale» la missione e l’orizzonte del suoGoverno, che gode di una maggioranza ampiaanche disomogenea con l’assenza della Lega, tor-nata a cavalcare il secessionismo e l’allergia al temadell’Unità e della nostra memoria storica.La politica e i partiti devono tener conto del valo-re dell’unità e della coesione nazionale nell’elabo-razione delle future politiche di sviluppo affinché,come ha scritto Giorgio Napolitano, “quel lievitodi nuova consapevolezza e responsabilità condivi-sa che ha fatto crescere le celebrazioni delCentocinquantenario continuerà a operare sotto lasuperficie delle chiusure e rissosità distruttive, enon favorirà i seminatori di divisione, gli avversaridi quel cambiamento di cui l’Italia e gli italianihanno bisogno per superare le ardue prove di oggie di domani”.In questi giorni il Parlamento è chiamato ad appro-vare la prima manovra del nuovo Governo, ilcosiddetto decreto “Salva Italia”, che se ha ricevu-ta una ottima accoglienza dai mercati crea qualcheproblema nel passaggio parlamentare per la durez-za dei provvedimenti presi, suscitando protestesindacali e non solo, ma siamo consapevoli che,nonostante l’esigenza di qualche correzionemigliorativa, vi è la necessità inderogabile diapprovarla ed evitare il baratro e la situazione incui è venuta a trovarsi la Grecia. È una sfida stori-ca per l’Italia e per l’Unione Europea, è una sfidastorica per il futuro delle giovani generazioni ita-liane e sono convinto che insieme e con la forza divolontà che il nostro popolo ha sempre mostratonei momenti difficili, ce la faremo.3

Un a l l i evo d i Tob in per r i l anc iare l ’ I t a l i a

POLITICA

Mario Monti,Presidente del Consiglio

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15il dialogo 6/11

ENAIP

Nella Svizzera tedesca sono molte leesperienze che vanno sotto il nome di“Sport und Integration” cioè lo sportche diventa mezzo veicolare per per-mettere un avvicinamento degli stra-nieri alla realtà locale. Molti Cantoni si sono adoperatianche per consentire una migliorecomprensione del territorio da partedi immigrati passando dall’integrazio-ne scolastica dei propri figli, quindi,in questo caso dall’interazione geni-tore e figli.Nello sviluppo di quasi tutti i proget-ti consolidati dell’ENAIP in Svizzera(Lucerna e Zurigo rappresentano imaggiori interventi e richieste di sus-sidio cantonale) si è potuto constata-re che le maggiori problematicheemergono nell’area adolescenti. Tuttii giovani immigrati dei diversi gruppietnici, presentano (rispetto alla realtàlocale) una sorta di incertezza dellapropria identità (del sé visto comeindividuo) rispetto all’identità ricevu-ta di riflesso dai propri genitori ester-nando una sorta di inadeguatezza divalori ereditati dai genitori che dadecenni vivono in Svizzera.

Da qui nasce una prima nostra rifles-sione che nella gestione di progettivolti all’integrazione è necessaria unasorta di scambio tra le famiglie eun’associazione sociale e/o culturale,siano esse le stesse scuole, uffici diorientamento, enti formativi che conla loro presenza possono in qualchemodo orientare/accompagnare lepersone facendo fronte alle diverseesigenze e garantendo un interscam-

A detta di molti esperti stranieri, il modello elvetico di integrazione deglistranieri, ha funzionato meglio rispetto ad altri Paesi in quanto la strutturafederalista ha lasciato ai Cantoni la gestione del problema con interventi piùincisivi e mirati nel territorio. In ogni zona della Svizzera, i progetti di inte-grazione sono stati orientati ad utilizzare i luoghi di incontro degli immigra-ti come luoghi di scambio di esperienze, di pensieri e cultura passando, peresempio, anche dai club sportivi.

Progetti di integrazione nelle realtà regionali

di Paolo Vendola, direttore ENAIP Svizzera

bio tra “i nuovi arrivati” e la popola-zione locale.Un’altra importante riflessione sirivolge al processo di apprendimentodella nuova lingua da parte di giovaniimmigrati (italiano, tedesco e france-se) perché con essa i giovani appren-dono i tratti culturali del vivere socia-le e locale che, spesso, sono in con-trasto con quanto vissuto nei Paesid’origine e/o con quanto veicolatodai loro genitori. Questo momentoformativo diviene un fattore determi-nante ed importante per la formazio-ne dell’identità del giovane all’internodel suo processo di integrazione.

In questo senso è importante e neces-sario, nella presentazione di interven-ti formativi, proporsi come interlocu-tori e mediatori culturali per migliora-re il processo di integrazione e in’ulti-ma analisi la reciproca comprensionetra due culture/tradizioni.

Nei vari progetti sostenuti in passatodalla CFS/EKA (CommissioneFederale per gli stranieri) ed oggi dairispettivi Uffici Cantonali perl’Integrazione emerge sempre piùcome il ruolo della lingua e culturad’origine svolge un ruolo importantenel processo di integrazione dei gio-vani di origine straniera. La stessaraccomandazione viene anche dallaConferenza svizzera dei direttori can-tonali della pubblica educazione(CDPE) che più volte e in diversidocumenti recenti ha posto l’atten-zione sul ruolo fondamentale chesvolge la famiglia non solo nel pro-

cesso di integrazione ma anche per ilsuccesso scolastico dei giovani di ori-gine straniera.

Da queste riflessioni appare chiarocome ENAIP Svizzera, con la suapresenza di cinquant’anni nel territo-rio e con la sua tradizionale vocazio-ne verso la promozione sociale e pro-fessionale delle fasce deboli e stranie-re, si propone e promuove in conti-nuazione progetti (grazie anche alsostegno dei Cantoni) finalizzati aiprocessi di integrazione delle diversecomunità e, rispettivamente, dellenuove migrazioni in Svizzera. Questa attenzione continua verso lapersona, con le sue sensibilità e le sueesigenze formative/educative, è parteintegrante del nostro “fare quotidia-no” nella formazione e nella consu-lenza professionale grazie ancheall’appartenenza al sistema ACLI che,assieme al Patronato ACLI, rappre-senta un modo concreto di crescita edi partecipazione alla realtà socialedel luogo in cui viviamo ed operia-mo.3

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16il dialogo 6/11

VARIE

Storia di un emigrato con la passione del canto

A soli 15 anni persi la mamma e l'an-no dopo mio padre mi mandò inBelgio presso mia sorella, con la spe-ranza che io potessi trovare lavoro,dato che eravamo 6 fratelli e unasorella, quasi in miseria. Poiché erotroppo giovane, c'era per me solo lapossibilità di andare a lavorare inminiera con mio cognato. Ma io ebbipaura di andare a lavorare ad oltremille metri sotto terra e così fuicostretto a tornare di nuovo in Italiaa fare il barbiere. Appena compiuto 18 anni venni alavorare in Svizzera. Nel 1963, dopoaver passato la visita sanitaria aChiasso, incominciai a lavorare in unafabbrica di tessitura nei pressi diFrauenfeld. Era un lavoro duro erumoroso, ma questa volta non mol-lai, perché la paga era buona. Dopo illavoro poi facevo il barbiere nellebaracche, dove c'erano tanti emigratiitaliani. Guadagnando molto bene,potei aiutare in Italia la mia famigliain difficoltà. Alla fine del 1964, durante le vacanzenatalizie al paese, incontrai una miacompaesana, che stava nei pressi diZurigo, ad Affoltern ab Albis. Dopoessermi trasferito anch’io nel circon-dario di Affoltern a.A., la sposai.Nello stesso anno, il 1956, il nostroparroco don GuglielmoBergamaschi fondò la MissioneCattolica Italiana con noi e un annodopo anche il coro “La CoraleSacra”. Mi piaceva tanto cantare ecosì cominciai a frequentare anche laparrocchia svizzera, nella cui chiesac'era un organo che ci accompagnava.Questo mi piaceva tanto ed io con lavoce timida cercavo di cantare, impe-gnandomi fino in fondo. Noi Italiani, a quei tempi, non erava-

di Attilio D’Elia

mo ben visti, ci guardavano un po’male ed io diventavo ancora più timi-do, ma la voce diventava sempre piùfine e bella. Una domenica, dopo laMessa, un uomo grande e robusto michiamò e mi domandò se volevo can-tare nel suo coro. Anche se capivopoco il tedesco, riuscii a capire che mivoleva far cantare. Mi domandò seero “basso” o “tenore”. Io rispositimidamente che ero basso, perchéero piccolo e magro. Lui mi sorrise emi disse che il giovedì mi sarebbevenuto a prendere a casa. Mi portòdove si facevano le prove, mi presen-tò e mi misero tra i bassi. Dopo un po’ di tempo, nel corso del-l’assemblea generale, la dirigente midomandò se volevo cantare qualcosain italiano. Io le risposi che, se voleva,avrei potuto cantare “Santa Lucia” e“O sole mio”, oppure “Mamma”.Subito mi trovò la musica, facemmouna prova e mi disse che non ero unbasso, bensì un primo tenore. Vollefare una sorpresa a tutto il coro edopo la cena, mi presentò e mi fececantare “Santa Lucia”. Alla fine gli

Riceviamo a pubblichiamo la storia di emigrazione di Attilio D’Elia, giuntogiovanissimo in Svizzera per lavorare. Una storia che per alcuni aspetti asso-miglia a molte altre storie di emigranti ma che per altri versi è diversa: D’Eliainfatti si è realizzato anche grazie alla sua passione per il canto.

applausi non finivano più, mi preseroe mi sollevarono in alto, dicendomiche ero un vero tenore. Da allora ho sempre cantato da teno-re nel coro e qualche volta anche dasolista. La volta più importante fuquando nel 1986 cantai nell’operetta“Una notte a Venezia” nel ruolo delGondoliere, col coro e l'orchestra.Gli altri solisti mi chiesero in qualeConservatorio avessi studiato.“Lavorando” risposi. Alla domandadi una mia collega al direttore delcoro, lui rispose, con grande meravi-glia di tutti, che io non conoscevoneanche la musica. Alla fine deglianni 70 mi volevano mandare a scuo-la di musica, ma io rifiutai! All'inizio degli anni 80 ottenni la cit-tadinanza svizzera e rifiutai di nuovodi frequentare una scuola di musica,perché avevo quattro figli e unamoglie che amavo e non volevolasciarli per andare in giro a cantare. Illavoro poi era così pesante e impe-gnativo, che proprio non me la senti-vo. Tuttavia ho sempre continuato acantare. Nel 1986 cantavo in tre cori: il coroItaliano, il Männerchor e ilCäcilienchor. Per me il canto è statosempre fonte di vita e grande lode alSignore. Nel cammino della mia vitaho avuto tante difficoltà e problemi,ma grazie al canto ho superato tuttocon grande determinazione. Quandoavevo problemi grandi, la mia voceera più espressiva, diventava comeuna preghiera. Credo proprio che ilBuon Dio mi abbia sempre ascoltatoed aiutato a crearmi nuove conoscen-ze. Credo anche che la musica e ilcanto riescano a togliere la polvereche si accumula sull'anima e sulloSpirito. Perciò prego che Dio mi diala forza di cantare fino alla morte. Dico ai giovani di non allontanarsimai dalla musica, dal canto, dallosport e dal ballo perché sono, la bel-lezza dello Spirito e del corpo, laforma più alta di lode a Dio.3Nella sua carriera in diversi Cori, D’Elia

ha avuto anche dei riconoscimenti

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EDITORIA

Hotel Lamemoria, un romanzo sorprendente

di Moreno Macchi

Tibe

Hotel Lamemoria(romanzo)Mondadori

Tibe. Chi mai sarà costui? La nota delrisvolto di copertina non ci ha illumi-nato più di tanto: “Tibe è nato aVarese nel 1977. Scrittore e musicistaha suonato, prodotto dischi e scrittocanzoni per se stesso e per altri artistiitaliani e internazionali.” E ancorasolo poche succinte righe. Forse cheera anche musicista l’avremmo potu-to dedurre dal fatto che al volumettoè unito un CD, con la medesimacopertina del libro, i cui brani hannogli stessi titoli dei capitoli e a quest’ul-timi fanno da commento e da con-trappunto. Operazione a nostra cono-scenza assolutamente nuova, partico-lare, non fattibile da tutti, originalissi-ma, interessante. Parole e musica diA. Tiberio. Ah, ecco: Tibe, diminuti-vo, accorciativo di Tiberio, ma comecognome. La A. del nome resterà unmistero. A meno di andare a vederesu www.tibe.it.Ma veniamo al dunque, cioè al libro.La dea bendata ha avuto la mano feli-ce perché Hotel Lamemoria è un pia-cevolissimo romanzo.Qualcuno, da Venezia, ha spedito aLorenzo (Lory) una busta contenenteuna sua fotografia scattata proprio a

L o n d r a ,lacerata nelmezzo daun (simboli-co?) taglionetto, comedi rasoio odi cutter. Lacosa lo spa-venta, allorafugge dallasua casa

londinese (che verrà messa sottoso-pra da non si sa chi) e si rifugia, primain un albergo a Londra stessa (dove sisente seguito, pedinato, spiato), poinella sontuosa villa paterna a Lugano.Il padre (Andrea Muratti), ricco colle-zionista d’arte è un po’ un fantasmaper Lory, una presenza astratta, unectoplasma. C’è e non c’è, lo vede enon lo vede; da sempre (del restoappare costantemente abbreviato nelpronome “Lui”, con la maiuscola,quasi fosse il Padreterno o una divini-tà!). Il giovane è appena arrivato; ilgenitore parte la sera stessa. Perl’Italia (territorio proibito per il figlio;non si sa perché). E comunica a Loryla sua intenzione di stabilire il quartiergenerale dei suoi affari a Venezia,anche per indagare un po’ sull’even-tuale autore della fotografia lacerata edel suo invio. Lory resta solo con il

È davvero strano come a volte i libri vengano a te senza che tu li cerchi. Ti sal-tano addosso nei luoghi più improbabili, ti incuriosiscono, ti assalgono, ti ipno-tizzano; gli dai un’occhiata distratta, li metti giù, poi li riprendi in mano, leggidistrattamente la nota sull’autore, magari dai una rapida guardata alla quarta dicopertina, e li rimetti giù. Fai due passi e infine torni indietro e li comperi, comese potessi poi pentirti di averli abbandonati a chissà quale triste destino…Più volte, non abbiamo ceduto alla tentazione di acquistare un libro che ci hacolpiti. E ce ne siamo sempre pentiti. Perché? Semplicemente perché poi non liabbiamo più trovati, o ne abbiamo dimenticato il titolo. O l’autore. O ambedue.Hotel Lamemoria era lì, in una di quelle cose chiamate impropriamente “gon-dole” fuori da un supermercato del centro, tra gli articoli a prezzi stracciati,assieme a vecchi giornali di enigmistica assemblati con uno squallido strato diplastica, libri per bambini in lingua tedesca, guide turistiche di qualche anno fa,giochini idioti, bustine di figurine da collezione, calendari e agende semiscadu-ti. Sembrava orfano. Allora gli abbiamo trovato una casa.

personale domestico nella lussuosavilla sul Ceresio. Un giorno, presodalla noia, frugando nei cassetti enelle ante nascoste del guardaroba deigenitori scopre… e gli scheletricominciano a saltar fuori dagli arma-di.Ovviamente il romanzo inizia inmedias res, immergendoci subito nelfuoco dell’azione, poi poco a poco illettore riesce a ricostruire i preceden-ti vent’anni della storia di Lorenzo,grazie alle informazioni che gli ven-gono centellinate durante lo svolgersidel seguito. Struttura abbastanza inso-lita e interessante. Tanto più che Loryha la passione della scrittura (oltre aquella della musica), e che raccoglie,nei suoi quaderni di moleskine, i fattisalienti che gli accadono, magari rac-contati un po’ diversamente, reinter-pretati, trasformati, poetizzati, subli-mati. Le sue impressioni, qualcheriflessione. Il carattere di stampa cam-bia, così il lettore non si trova spiaz-zato. Avvenimenti? Non diremo dipiù ma citeremo l’incontro con Lunaal Grand Hôtel des Îles Borromées,l’Incolore amico Zeno, Gandria, ilfactotum Giorgio, Stresa, lo scultoreMario Bernasconi, Castagnola, LucioFontana, Venezia e un impalpabile,costante suspense che aleggia su tuttoil romanzo, che coinvolge il lettore eche lo trascina verso l’inattesa fine…Hotel Lamemoria è un romanzoinclassificabile: non certo un thriller(ce ne sono decisamente troppi),anche se la minaccia di morte chepesa sul protagonista c’è, non proprioun giallo, anche se qualche risvoltonoir lo si può trovare, non romanzod’avventura, né d’amore (malgradol’intrigo sentimental-intellettuale).Insomma, un romanzo sui generische assicura comunque il piacere dellalettura; piacere che ci ha spinti adordinare in libreria anche il primotesto di Tibe, pubblicato daMondatori nel 2005 e dal titoloValido per due. Ne riparleremo.3

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PATRONATO

Si è conclusa domenica 27 novembre Lavoro (in) Sicurezza, la rassegna cine-matografica dedicata alla salvaguardia e alla promozione della salute e dellasicurezza negli ambienti di lavoro.

Lugano, s i par la d i “Lavoro ( in) S icurezza”

di Elisa Ferrante

È opinione condivisa attribuire allavoro un ruolo centrale nella promo-zione e nel mantenimento del benes-sere e della salute. Attraverso il lavoroè possibile costruire ed esprimere lacreatività, l’autonomia, la realizzazio-ne sociale. Al tempo della economia globale, l’in-troduzione di tecnologie innovativerende sempre più obsolete le cono-scenze professionali dei lavoratoricreando un bisogno di formazionecontinua che non viene sempre soddi-sfatto. Peraltro la mobilità anche trastati all’interno di un mercato dellavoro ha reso ancor più aspra la con-correnza tra quanti sono alla ricerca diuna collocazione professionale piùsicura e soddisfacente.Conseguenza di tutto ciò è il prolife-rare di diverse modalità occupaziona-li e contrattuali, la maggior parte lega-te a lavori, che noi definiamo: mordi efuggi.È facile intuire come questi cambia-menti possono effettivamente rappre-sentare un ostacolo a una pienaassunzione di responsabilità sul fron-te della prevenzione degli infortuni siada parte del lavoratore sia da parte deldatore di lavoro. Infatti, nelle forme di lavoro indeter-minato e flessibili, il fattore di mag-gior rischio è lo scarso tempo che illavoratore ha a disposizione per

acquistare una buona familiarità conl’ambiente di lavoro in cui opera.Il proliferare dei lavori mordi e fuggi,aumenta le difficoltà di diventarepadroni della materia e di conoscerefino in fondo anche i rischi ad essacollegati.Abbiamo voluto a tal proposito aprirela rassegna il 22 novembre propriocon il sindacalista Giovanni Scolari –OCST – che quotidianamente si con-fronta con le dinamiche di trasforma-zioni del mercato del lavoro e con epi-sodi di lavoro prestato attraversomisure di sicurezza avvolte insuffi-cienti. Presso la sede del CircoloACLI di Lugano, insieme a GinoBuscaglia critico e giornalista cinema-tografico, hanno animato il dibattitoattorno alla trama del film: “LaFabbrica dei Tedeschi” del registaMimmo Calopresti che narra i fatti del2007 avvenuti nell’incidente presso leacciaierie ThyssenKrupp di Torino.Fatti che hanno turbato allora e cheancora - proposti a pochi giorni dallasentenza - suscitano sgomento e por-tano a riformulare sempre la stessadomanda: come è potuto accadere?Scolari porta alla luce come anche inSvizzera ogni anno si verificano 250mila infortuni professionali che causa-no circa 100 morti. Fa rilevare comesia altissima l’incidenza degli infortunie delle morti tra i giovani lavoratori,tra gli apprendisti, i lavoratori inesper-ti e gli interinali. La discussione si èincentrata sui rischi derivanti dallariduzione del personale attribuibili alcosto del lavoro e ai rischi connessialle troppe ore consecutive di lavoro.

Aspetto che anche nel film è stato rac-contato dai protagonisti. Serve dun-que continua Scolari impegnarsi inprima persona a favore della salute suiposti di lavoro ascoltando le paure e leesperienze dei lavoratori.Il lavoro deve pertanto ossequiarealcune condizioni: essere ragionevol-mente stabile, essere equamente retri-buito, ed essere svolto in condizioni dirispetto della dignità della sicurezza edell’incolumità pscico-fisica delle per-sone. Nello stesso tempo condizionidi lavoro che favoriscono e preserva-no la salute dei lavoratori costituisco-no anche un elemento centrale per lasalute economica delle aziende. È quanto infatti emerso durante laproiezione del secondo film docu-mento della rassegna centrato sullastoria professionale dello psicologodel lavoro Francesco Novara ne “Ilsenso all’opera”. Durante la sua esperienza professio-nale nella storica fabbrica di AdrianoOlivetti, egli ha potuto approfondirele conseguenze della dicotomia traorganizzazione repressiva e organiz-zazione che invece chiede adesioneideale ed impegno creativo. La primarichiede sottomissione esecutiva econformità, fattori questi che portanoa stati di disagio psichico e depressio-

Il Circolo ACLI di Lugano, le ACLI Ticino e il Patronato ACLI hanno mostra-

to la volontà di affrontare una tematica così delicata nell’ambito delle dis-

cussioni che a livello europeo si sono intrattenute proprio in questi mesi.

Infatti si è da poco conclusa a Bilbao la manifestazione conclusiva della

campagna Ambienti di lavoro sani e sicuri 2010-2011.

Il Patronato ACLIIl Patronato ACLI

Svizzera vi augura Svizzera vi augura

un sereno Nataleun sereno Natale

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PATRONATO

Pensionati INPS e certificato di esistenza in vita

P e r c h é p e r c h é

Gentili signori,come tanti pensionati e pensionate INPS ho ricevuto larichiesta di certificato di esistenza in vita della CITIBanca. Sul relativo formulario giallo però non c’è il miocognome alla nascita: questo può costituire un problema?Grazie come sempre e auguri.

Lorena C.Gentile signora,molte pensionate hanno avuto la stessa perplessità pertantoil Patronato ACLI ha voluto approfondire tale questione

con la CITI Bank: l’istituto assicura che devono conside-rarsi infondate le preoccupazioni in merito alla possibilitàche la mancata indicazione del cognome da nubile possaavere ripercussioni sulla regolarità dei pagamenti in quantohanno costituto un sistema che andrà a considerare il nomi-nativo completo delle coniugate. Potrà pertanto aggiungerecon la penna nera il suo cognome alla nascita. Per ulterioriapprofondimenti siamo come sempre a disposizione.

E. Ferrante

ne, somatizzazioni, impoverimentodell’esistenza anche fuori lavoro.Nella seconda tipologia organizzativail rischio invece è apparso il born-out.Pertanto la ricerca di una prevenzioneprimaria dello stress e delle patologieorganizzative rinvia a rintracciare leragioni di rischio nelle radici del lavo-ro organizzato. Giunge alla conclusione che soventel’organizzazione si ammala perchéespia il tradimento della missione cuideve servire. Spesso questo tradimen-to si esplica nella economia globale enella concorrenza feroce: la crescita èforse avvenuta a spese delle comunità,dei lavoratori e dell’ambiente.Pertanto solo nelle imprese che sonointese a fornire beni e servizi social-mente utili entro i condizionamentidell’efficienza economica si possonocondividere valori che legittimanol’impresa e danno senso all’attivitàprofessionale in una comunità lavora-tiva.Il prof. Claudio Palumbo nella suaappassionata discussione durante laconferenza conclusiva di domenica 27novembre al Palazzo dei Congressi diLugano, faceva emergere propriol’importanza che può rappresentare la“comunità lavorativa”: “l’importanzadel funzionamento del gruppo dilavoro è fondamentale per diminuirela probabilità di incidente lavorativo:l’individuo lasciato solo (personal-mente e culturalmente) può esporsi arischi superiori … assume pertantoprimaria importanza la formazione e

lo sviluppo delle “competenze tra-sversali”: migliorare il funzionamentodei gruppi e, per i singoli, assunzionedi responsabilità, autostima-autoeffi-cacia, capacità di utilizzare il gruppocome risorsa, sono tutte competenzemigliorabili all’interno e al di fuori delluogo di lavoro, secondo un’armonia“olistica”. Per l’utilizzo dei dispositivi di prote-zione individuale (DPI) occorre tene-re conto del modello dei 4 valori:“d’uso, di scambio, simbolico, effime-ro”; il primo risponde alla domanda“a cosa mi serve”, il secondo “checosa do in cambio” (in senso genera-le, per esempio, economico e perso-nale), il terzo “che cosa rappresenta”(per esempio, la sicurezza come valo-re e/o l’appartenenza ad un certogruppo di lavoro), il quarto “se è dimoda”; per un costante utilizzo deiDPI, occorre convincere aziende,gruppi lavorativi e singoli lavoratori apartire dall’ascolto e dalla rilevazionedell’importanza attribuita ai suddettivalori, poiché non deve stupire cheper alcuni l’effimero sia il primo fatto-

re di convincimento: da questo ele-mento si può partire per poi rinforza-re successivamente gli altri valori”. Il convegno ha voluto far sedere altavolo dei relatori tra le più accredita-te professionalità in campo di sicurez-za e salute sul lavoro del Ticino. Unappuntamento illuminante sulla com-plessità della normativa e informativosull’aspetto delle campagne promossedella SUVA rappresentata dall’ing.Claudio Borsari e dall’UfficioCantonale di sicurezza sul lavoro nel-l’occasione rappresentato dall’ing.Fabio Valsangiacomo. Questi, insieme all’ing. VittorinoAnastasia direttore della SSIC sezioneTicino e al Presidente del PatronatoACLI Svizzera, Fabrizio Benvignati eFrancesco Onorato Coordinatore delPatronato ACLI Svizzera, sapiente-mente moderati dal Presidente delleACLI Ticino, Franco Plutino, hannodato luogo ad un appassionato pome-riggio per discutere sugli aspetti legatialle deficienze del sistema sicurezzasul lavoro e alle sue conseguenze por-tando ciascuno il proprio punto diosservazione ma quanto emerso èsenza dubbio il ruolo centrale che hail valore della vita dell’uomo. La sensibilità del movimento aclista hanuovamente saputo rinnovare la pro-pria attenzione storica sul tema delladignità dell’uomo e del suo lavoro.3

Immagini: la locandina dell’evento e (quisopra) i relatori del Convegno.Foto e filmati dell’evento su: http://www.megaupload.com/?d=FY4H8RXR

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20il dialogo 6/11

VITA DELLE ACLI

Sabato 3 dicembre il Coro ACLI di Lugano ha tenuto unconcerto natalizio di beneficenza nella chiesa di Vezia afavore di un progetto in Honduras dell’ONG “NuevoParaiso”.

Un Natale speciale per il Coro ACLI di Lugano

di Franco Plutino

In effetti dopo il pranzo, preparatocon tanta cura e passione dal gruppo«Antichi sapori» abbiamo potutodivertirci con una ricca tombola,tanto ricca che quasi nessuno se ne èandato a mani vuote. Tra un giro el’altro c’era il tempo per scambiarsiqualche consiglio: segreti culinari,viaggi, nuove conoscenze e non sonomancati scambi di date di nuoviappuntamenti.Dopo la tombola, sempre al CentroGrosshof, come ormai da tradizione,vi è stata la castagnata organizzata dalCircolo ACLI di Lucerna. Anchequest’anno le “caldarroste” hannoriscosso un grande successo. Ben 50

Domenica 13 novembre al centroGrosshof di Lucerna, una settantinadi persone ha potuto trascorrereuna bella giornata nell’ambito dellarassegna “Antichi sapori”, alla qualepartecipano attivamente moltivolontari del locale Circolo ACLI.

Lucerna, “Antichi Sapori” con tombola e castagne

di Ippazio Calabrese

chilogrammi di castagne, provenientidal Ticino e cotte nella grande braceda Giuseppe e Giovanni, sono statedistribuite ai partecipanti.La presidente del Circolo ACLI diLucerna, Maria Alonso-Ricci, haespresso soddisfazione per la parteci-pazione alla manifestazione: «Unevento che cresce di anno in anno eche rinnova la gioia dello stare insie-me in semplicità e in armonia».

Un particolare grazie a tutti i collabo-ratori, al Direttivo ed al Presidenteche come sempre si sono adoperatianche quest’anno nell’organizzazio-ne. Visto il buon esito della giornata,molti hanno espresso il desiderio dipoterla riproporre anche il prossimoanno. Con gli auguri di rito, ci si èdunque già dati l’appuntamento adicembre 2012 e con tante altreidee.3

Per il Coro la serata è stata particolarmente importante esignificativa: è stato il primo concerto diretto dal nuovomaestro Paolo Sala ed ha beneficiato dell’eccezionale pre-senza del Gruppo Polifonico ”Famiglia Sala”, la famiglia alcompleto del maestro stesso.Nella prima parte della serata il Coro ha presentato 5 cantipopolari tra cui alcuni pezzi di De Marzi e Malatesta; nellaseconda parte Caterina (voce bianca), Lucia (soprano),Sofia (mezzosoprano), Margherita (contralto), MariaBedendo Sala (contralto), Giovanni (tenore) e Paolo Sala(basso) hanno eseguito in modo incantevole 7 famosi cantinatalizi in inglese; in conclusione, Coro ACLI e FamigliaSala hanno proposto altri 5 noti canti natalizi in italiano,con grande piacere del pubblico presente.Paolo Sala si sta rivelando un prezioso, affabile e compe-

tente maestro che in due mesi ha rilanciato il piacere delcanto corale: una fortuna per il nostro Coro e la certezzadi nuovi traguardi all’insegna del bel canto e del piacere diessere e cantare assieme.3

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21il dialogo 6/11

VITA DELLE ACLI

Il ciclo di letture dell’Apocalisse di S.Giovanni “senza essere apocalittici”,proposto dall’ABSI (Associazione Biblica della Svizzera Italiana) con ilCoordinamento Formazione Biblica della Diocesi di Lugano, con il Vicariatodel Mendrisiotto e del Luganese, con le ACLI, non poteva concludersi inmodo migliore che con l’incontro con Mons. Luigi Bettazzi, Vescovo emeri-to della diocesi di Ivrea. L’incontro è avvenuto presso il Circolo Labor delleACLI di Lugano, con il titolo “Quale Rivelazione serve oggi alle Chiese e allesocietà?”, moderatori i biblisti Ernesto Borghi e Renzo Petraglio.

Mons ignor Bettazz i , l ’uomo del d ia logo

di Luigi Zanolli, vicepresidente ACLI

Monsignor Bettazzi è stato (ed èancora) un personaggio “scomodo”,un testimone autorevole ed appassio-nato del cristianesimo del XX e delXXI secolo, uno degli ultimi membriancora viventi partecipi del ConcilioVaticano II, una delle figure di riferi-mento per il movimento pacifista diispirazione cristiana, uno che non hatemuto di esporre la propria vita peruna buona causa: chiese infatti allaCuria Vaticana di potersi offrire pri-gioniero in cambio del presidentedella Democrazia Cristiana AldoMoro (richiesta fermamente respin-ta)!Dopo essersi dimesso dalla carica diVescovo della diocesi di Ivrea perraggiunto limiti di età, Mons. Bettazziha continuato nel suo impegno ditestimone e di conferenziere in Italia

e all’estero. Oltre che autore di diver-se pubblicazioni, egli è un uomo deldialogo. È questa, forse, la caratteri-stica che ne ha fatto, come dicevamo,un personaggio “scomodo”, soprat-tutto in un ambito nel quale il valoredella “gerarchia” è assoluto e il rico-noscimento della presenza del “laico”come persona che ragiona “umana-mente”, come dice lui stesso, “inforza di ragionamenti razionali, pre-scindendo da collegamenti con aper-ture trascendenti, provenienti cioè darivelazioni da mondi ultraumani”,può talvolta risultare problematica,quando esse si muove “su un territo-rio comune a tutte le persone umane,di qualunque religione e di qualunquecultura”.Questa convinzione ha portatoMons. Bettazzi ad esprimere, nella

sua esperienza di vita, con ostinazio-ne la persuasione dell’opportunità diun “rapporto di comprensione e disimpatia tra le due prospettive, quellalaica e quella religiosa”partendo daGesù e dalla sua vita, cioè da un pro-totipo di umanità, “anche prima divenire considerato e accolto dai suoidiscepoli come una presenza divina acui si risponde con la fede, e perciòvenerato – come profeta – anche daimusulmani e da molti suoi compa-trioti ebrei”.A partire dall’interpretazione di untesto come l’Apocalisse, vista tradi-zionalmente come anticipazione dellastoria da qui fino alla fine del mondo,Mons. Bettazzi parla di un testo“liturgico”, con tutta una serie diimmagini e di interpretazioni, e riescea calarlo nella realtà di un mondoreale, dove il valore di ogni essereumano è caricato dalla fede per vive-re meglio la propria esistenza, che,per un cristiano, è anche piena diresponsabilità e di impegno per vive-re meglio al fine di aiutare anchequelli che non sono cristiani e nonconoscono Cristo, a “vivere il Regno”perché ogni cristiano è sacerdote,cioè portatore di un messaggio almondo.Leggere, meditare, contemplare:sono i tre momenti più significativiper entrare in un rapporto profondoe “rivoluzionario” che porta al dialo-go e a dare senso ad uno spirito diunità e di libertà nella carità, quelloche Don Tonino Bello definiva “laconvivialità delle differenze”.La presenza del Vescovo di LuganoMons. Piergiacomo Grampa, dell’exConsigliere di Stato Avv. AlbertoLepori, di tantissime persone chehanno seguito con attenzione edapprezzato la relazione di Mons.Bettazzi, hanno giustificato questamanifestazione che per le ACLI nonrappresenta soltanto un momento diformazione intensa, ma anche unavvenimento indimenticabile.3

Monsignor Luigi Bettazzi (sulla destra) e, accanto a lui, Ernesto Borghi.

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22il dialogo 6/11

VITA DELLE ACLI

Cleofe è stato per tanti anni mili-tante delle ACLI di Baden-Wettingen e da oltre un decenniopresidente del locale Circolo. È deceduto il 9 novembre dopo unalunga malattia nella sua abitazionecircondato dall’affetto dei suoi cari. Per l’amico Cleofe che ci ha lascia-ti esprimiamo sentimenti di profon-

L a s c o m p a r s a d i G a n c i C l e o f e

di Giuseppe Rondinelli,Presidente ACLI Argovia

Lo scorso sabato 12 novembre, lacompagnia teatrale delle ACLI diWohlen (Argovia), "Eduardo deFilippo" si è esibita per la prima voltaa Losanna. In una sala gremita ha pre-sentato la famosa e spassosa opera delgrande Eduardo, la commedia:“Natale in casa Cupiello”. Qualche ora prima dell'apertura delsipario eravamo tutti tesi, sia gli attoriperché si presentavano ad un pubblicosconosciuto e sia noi, gli organizzato-ri, delle ACLI della Svizzera Romandae del Circolo di Losanna. Tutti eravamo incerti sull'affluenza delpubblico. Poi, poco prima dell’orario,fissato la sala si è riempita e tutto é

di Mario Romano, presidenteCircolo ACLI Zug

Il 27 settembre scorso è stata conse-gnata alle Suore Apostole del SacroCuore di Gesù, che operano inAlbania, un’ambulanza per l’ambula-torio di Dajc.Si tratta di un dono della famigliaSalvatore Tizzone e delle ACLI diZug. La Reverenda Madre Provinciale,Suor Carmen Lombardi, ha riscon-trato personalmente l’emergenza diun’ambulanza per il servizio sanita-rio a Dajc e a tutti i paesi dellaZadrima, molto penalizzati sullasanità.Il suo appello alle Consorelle cheoperano nella missione di Zug, èstato accolto dalla famiglia Tizzonee dal presidente delle ACLI di Zug,Mario Romano. In meno di un mesel’ambulanza è stata portata fino Baripersonalmente dal signor Tizzone, econsegnata alle Suore perl’espatrio.3

So l i d a r i e t àda Zuga l l ’A lban i a

Serata teatra le a Losanna

di Costanzo Veltro, Presidente ACLI Romandia

andato per il meglio. I bravi interpreti,tra i quali diversi giovani, hanno rice-vuto tanti e ripetuti applausi a scenaaperta (vedi immagine qui sopra) e ilnumeroso pubblico ho ricompensatogli organizzatori con la forte affluenza. Il giorno successivo il bel tempo hafavorito un giro turistico della compa-gni teatrale nella città di Losanna edintorni terminato poi con un pranzocomunitario dal nostro “Filippo”.Giunto il momento della partenza,non sono mancati i discorsi ufficiali daambo le parti con l'augurio di ritrovar-ci per passare ancora dei momenti cosìbelli e fraterni. 3

da gratitudine per l’attaccamento el’impegno verso il nostro movimen-to delle ACLI ed in particolare perla lunga permanenza nel CircoloACLI di Baden-Wettingen operan-do con grande senso di umiltà eumanità contribuendo così a crearecondizioni di convivenza socialeall’interno della collettività italianadella zona. Alla famiglia vanno le nostre piùsentite condoglianze. 3

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23il dialogo 6/11

VITA DELLE ACLI

Aragosta alla pariginaPiatto difficile e costoso ma di grande effetto. Se avete degli ospiti importantia casa e volete assolutamente fare bella figura preparando un piatto importan-te questa è la ricetta che fa per voi.Tempo di preparazione: 2 ore e mezzo. Tempo di cottura: 15 minuti.

Dosi per quattro persone:un’aragosta di circa 1,2 chili, 200 g di code di gamberetti, 2 uova sode, 4 pomodori maturi, 3 cucchiai di maio-nese, 1 tartufo nero, 1 scodella di insalata russa, 1 gambo di sedano, 1 carota, 1 cipolla, 3 foglie di alloro, mezzolitro di gelatina aromatizzata al vino bianco (preparata con il prodotto in pacchetto), qualche grano di pepe nero,sale quanto basta.

Come procedere: Nell’acqua di cottura mettete sedano, carota, cipolla, foglie di alloro, sale e pepe nero in grani e portate a ebol-lizione. Immergetevi quindi l’aragosta. Lasciate cuocere per 10 minuti circa e poi togliete l’aragosta.Nello stesso liquido scottate per 5 minuti i gamberetti sgusciati. Lasciate raffreddare il tutto. Incidete la mem-brana ventrale dell’aragosta in modo da estrarre tutta la polpa in un sol pezzo, tagliatela a fettine e riponetele suun piatto grande, decorate con lamelle sottili di un tartufo nero e, con un pennello, cospargete di gelatina giàparzialmente fredda ma ancora semiliquida. Conservate le rondelle di aragosta in frigorifero per una successiva lucidatura con gelatina. Sistemate il gusciodel crostaceo su un piatto di servizio, facendo in modo che appaia con la testa ben alta e con le antenne tese.Tutt’intorno sistemate i pomodori (precedentemente tagliati a metà e svuotati a scodella), nei quali mettete unpo’ di insalata russa. Sgusciate le uova sode, tagliatele a metà longitudinalmente, togliete il rosso che passereteal setaccio, unendolo poi ad un po’ di insalata russa, con la quale guarnirete le mezze uova attorno all’aragosta.Disponete i medaglioni di polpa sul dorso del crostaceo, partendo dal più grande, che adagerete sulla testa, efinendo col più piccolo in coda. Pennellate di altra gelatina i medaglioni e distribuite i gamberetti, conditi conpoca maionese, sui mezzi pomodori farciti. Conservate in frigorifero fino al momento di servire.

S a l e e p e p e ( q u a n t o b a s t a )a cura di Giovanni Poete

Wo h l e nSettimana bianca ad Andalo28 gennaio - 4 febbraio 2012Iscrizione presso il Circolo ACLI.

F r a u e n f e l dAssemblea generale21 gennaio 2012, ore 19.00Dopo l’assemblea è previstauna cena offerta ai soci.Centro Parrocchiale“Pfarreizentrum” Klösterli.

F ine Anno a i Circol i ACLILUGANO - Gran Galà di San Silvestro31 dicembre 2011 dalle 19.30 Cena di San Silvestro con aperitivo, antipasto, due primi piatti e unsecondo, dessert. Costo fr. 85.– a persona, bambini 10-14 anni fr. 50.–,gratis per i più giovani. Riservazione obbligatoria!Musica, balli e giochi fino alle ore 3.00 con il Duo Pink DreamsLotteria gratuita con premi per tuttiPrenotazioni: Angela Cartolano, 091 923 97 16; Mariangela Tommasini091 970 25 34; Franco Plutino 091 943 35 31; Bar ACLI 091 923 66 46.Organizza: il Coro del Circolo ACLI di Lugano.

LENZBURG - San Silvestro31 dicembre 2011 (programma presso il Circolo)

KILCHBERG - San Silvestro31 dicembre 2011 dalle 19.00 alle 2.00

Page 24: Dialogo 6/11 - Il mio prossimo

A n d i a m o f i n o a B e t l e m m eA n d i a m o f i n o a B e t l e m m eAndiamo fino a Betlemme. Il viaggio è lungo, lo so.Molto più lungo di quanto lo sia stato per i pastori. Aiquali bastò abbassarsi sulle orecchie avvampate dallabrace il copricapo di lana, allacciarsi alle gambe i velli dipecora, impugnare il bastone e scendere giù per le gole diGiudea, lungo i sentieri profumati di menta. Per noi civuole molto di più che una mezz’ora di strada.Dobbiamo valicare il pendio di una civiltà che, pur qua-lificandosi cristiana, stenta a trovare l’antico tratturo chela congiunge alla sua ricchissima sorgente: la capannapovera di Gesù.

Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è faticoso, loso. Molto più faticoso di quanto lo sia stato per i pasto-ri. I quali, in fondo, non dovettero lasciare altro che leceneri del bivacco, le pecore ruminanti tra i dirupi deimonti, e la sonnolenza delle nenie accordate sui rozziflauti d’Oriente. Noi, invece, dobbiamo abbandonare irecinti di cento sicurezze, i calcoli smaliziati della nostrasufficienza, le lusinghe di raffinatissimi patrimoni cultu-rali, la superbia delle nostre conquiste… per andare atrovare che? “Un bambino avvolto in fasce, che giace inuna mangiatoia”.

Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è difficile, loso. Molto più difficile di quanto lo sia stato per i pasto-ri. Ai quali, perché si mettessero in cammino, bastaronoil canto delle schiere celesti e la luce da cui furono avvol-ti. Per noi, disperatamente in cerca di pace, ma disorien-tati da sussurri e grida che annunziano salvatori da tuttele parti, e costretti ad avanzare a tentoni dentro infinitiegoismi, ogni passo verso Betlemme sembra un salto nelbuio.

Andiamo fino a Betlemme. È un viaggio lungo, fati-coso, difficile, lo so. Ma questo, che dobbiamo compiere“all’indietro”, è l’unico viaggio che può farci andare

“avanti” sulla strada della felicità. Quella felicità chestiamo inseguendo da una vita, e che cerchiamo di tra-durre col linguaggio dei presepi, in cui la limpidezza deiruscelli, o il verde intenso del muschio, o i fiocchi di nevesugli abeti sono divenuti frammenti simbolici che impri-gionano non si sa bene se le nostre nostalgie di traspa-renze perdute, o i sogni di un futuro riscattato dall’ipote-ca della morte.

Andiamo fino a Betlemme, come i pastori.L’importante è muoversi. Per Gesù Cristo vale la penadi lasciare tutto: ve lo assicuro. E se, invece di un Dioglorioso, ci imbattiamo nella fragilità di un bambino,con tutte le connotazioni della miseria, non ci venga ildubbio di avere sbagliato percorso. Perché, da quella notte, le fasce della debolezza e la man-giatoia della povertà sono divenuti i simboli nuovi dellaonnipotenza di Dio.Anzi, da quel natale, il volto spaurito degli oppressi, lemembra dei sofferenti, la solitudine degli infelici, l’ama-rezza di tutti gli ultimi della terra, sono divenuti il luogodove Egli continua a vivere in clandestinità. A noi ilcompito di cercarlo. E saremo beati se sapremo ricono-scere il tempo della sua visita.

Mettiamoci in cammino, senza paura. Il Natale diquest’anno ci farà trovare Gesù e, con Lui, il bandolodella nostra esistenza redenta, la festa di vivere, il gustodell’essenziale, il sapore delle cose semplici, la fontanadella pace, la gioia del dialogo, il piacere della collabora-zione, la voglia dell’impegno storico, lo stupore della veralibertà, la tenerezza della preghiera. Allora, finalmente,non solo il cielo dei nostri presepi, ma anche quello dellanostra anima sarà libero di smog, privo di segni di mortee illuminato di stelle. E dal nostro cuore, non più pietri-ficato dalle delusioni, strariperà la speranza.

Mons. Tonino Bello

La Presidenza e il Consiglio delle ACLI Svizzera vi augurano

Buon Natale e un 2012 di PaceBuon Natale e un 2012 di Pace