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Dialogo Tra Filosofi_Il Dibattito a Distanza Con Newton Il Carteggio Leibniz-Clarke

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dialogo tra filosofi

Il dibattito a distanza con Newton: il carteggio Leibniz-Clarke

Il rapporto tra Leibniz e Newton è sempre sta-to conflittuale, sia per la diatriba sulla paternità del calcolo infinitesimale, sia per la diversità tra le due filosofie. Il confronto tra i due avviene in modo indiretto, attraverso un carteggio che Lei-bniz intrattiene con il newtoniano Samuel Clarke (1675-1729). Dottore di teologia, Clarke aveva ri-cevuto l’incarico di tradurre la Teodicea, anche nel tentativo di ricomporre la diatriba tra Newton e Leibniz, dopo che nel 1712 la Royal Society aveva attribuito al primo (che ne era presidente) la pa-ternità del calcolo infinitesimale.

Il carteggio si compone di cinque lettere di Leibniz e quattro di Clarke.

Nella prima lettera a Clarke, Leibniz contesta la concezione newtoniana di uno spazio assoluto e critica aspramente la tesi secondo la quale Dio dovrebbe intervenire periodicamente nell’uni-verso per impedirne il decadimento. Scrive Leibniz nella prima lettera:

Newton e i suoi seguaci hanno un’idea molto ri-dicola dell’opera di Dio. Secondo loro Dio ha bi-sogno di caricare di tanto in tanto il suo orolo-gio, che altrimenti cesserebbe di agire. Egli non ha avuto tanto accorgimento da imprimergli un moto perpetuo. Inoltre la macchina di Dio è, secondo loro, così imperfetta che Dio è costret-to, di tempo in tempo, a ripulirla con un lavoro straordinario, e anche ad aggiustarla, come fa un operaio con la sua opera. Ma un operaio è un artefice tanto più inesperto quanto più spesso è obbligato a ritoccarla e a correggerla.

(Carteggio Leibniz-Clarke. Primo scritto di Leibniz, novembre 1715, in Scritti filosofici, vol. I, p. 300)

Leibniz si riferisce alla tesi di Newton secondo la quale il moto dell’universo tende a decadere, per-ché se ne perde un po’ a ogni urto, e quindi Dio deve intervenire, ogni due o tre secoli, per correg-gere la diminuzione del moto, l’entropia.

Nella sua risposta, Clarke rovescia l’obiezione, so-stenendo che la concezione dell’universo come una macchina il cui funzionamento è indipendente da Dio è propria dei meccanicisti, mentre l’intervento di cui parla Newton esalta la provvidenza e affida a Dio il governo del mondo. Conclude Clarke:

Se un re avesse un reame, nel quale tutto avve-nisse senza il suo governo od intervento e senza

che egli ordinasse che cosa debba essere fatta, questo sarebbe per lui un regno soltanto di nome e in realtà non gli dovrebbe essere riservato il ti-tolo di re o di governatore.

(Ivi, p. 303)

La seconda lettera di Leibniz, più lunga, nega, con-tro Newton, l’esistenza del vuoto e la definizione dello spazio come «sensorio di Dio», sottolinean-do che la presenza di Dio nell’universo è molto più attiva di quanto l’immagine del sensorio suggeri-sca. L’azione di Dio consiste infatti nell’accordare fin dall’inizio tutte le cose in modo che tutto ciò che avviene nell’universo sia una conseguenza della sua opera. Clarke, nella sua risposta, precisa l’azione di Dio sull’universo, in prospettiva new-toniana.

Il terzo carteggio affronta il problema dello spazio e del tempo. Leibniz contesta le nozioni di tempo e spazio assoluti; Clarke le ribadisce, considerando contraddittorio il concepire lo spazio come l’ordi-ne di coesistenza dei corpi. Se riferissimo lo spazio ai corpi, infatti, bisognerebbe parlare in modo di-stinto dello spazio tra i corpi. Ma, allora, avremmo due tipi di spazio. Lo spazio è, invece, un’estensio-ne unica, e i corpi sono nello spazio, lo occupano, ma non lo costituiscono.

Nella quarta lettera, Leibniz sostiene che lo spa-zio è una proprietà e quindi deve riferirsi a qual-che sostanza, uno spazio vuoto è contraddittorio come un predicato che non si riferisce a nulla. Torna poi a criticare, con altri argomenti, l’idea di uno spazio assoluto. Respinge anche la concezione della materia propria di Newton e in particolare l’atomismo, sostenendo che ogni cosa è divisibile all’infinito.

Il minimo corpuscolo è attualmente suddivi-so all’infinito, e contiene un mondo di nuove creature delle quali l’universo sarebbe privo, se questo corpuscolo fosse un atomo, cioè un corpo tutto di un pezzo e senza suddivisioni.

(Ivi, p. 328)

Il vuoto, conclude Leibniz, non esiste, perché la ma-teria è preferibile al vuoto come l’essere al nulla e non ci sarebbe quindi una ragion sufficiente per spiegare perché Dio debba lasciare il vuoto invece di riempirlo di materia. La lunga risposta di Clarke riprende la distinzione tra lo spazio e l’estensione

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dei corpi, riaffermando l’esistenza di uno spazio assoluto.

La quinta lettera di Leibniz, dell’agosto 1716, chiude il carteggio, a causa della morte di Leibniz sopravvenuta poco dopo. Più che una lettera, è un piccolo trattato che si estende per alcune decine di pagine. L’argomento principale è la libertà, perché Clarke aveva in precedenza notato che un universo preordinato da Dio fin dall’origine la escluderebbe. Leibniz riprende l’argomentazione della Teodicea,

in base alla quale gli esistenti sono contingenti e quindi non necessitati e in linea di principio liberi, anche se in punto di fatto ogni cosa è accordata con le altre in modo tale che il minimo cambia-mento darebbe luogo a un mondo diverso da quel-lo esistente. Leibniz riprende poi tutte le tesi delle lettere precedenti (lo spazio, la materia, l’assenza di vuoto), proponendo per ogni aspetto numero-se argomentazioni a favore del proprio punto di vista.