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Diritti umani nel Settecento

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Diritti umani nel

Settecento

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Diritti naturali

Libertà

Vita

proprietà

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dominium

Concezione proprietaria dei diritti: io sono

proprietario della mia persona, delle mie

azioni e dei miei pensieri

Ergo

Ne ho diritto

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Habeas Corpus

Diritto a che lo stato di arresto o detenzione venga motivato e comunque sia oggetto di sindacato da parte dell’autorità politica (tipicamente il sovrano)

Nessuno può essere arrestato senza un provvedimento dell’autorità giudiziaria che ne illustri le ragioni

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Settecento e illuminismo

I diritti naturali nella tradizione

settecentesca sono frutto della RAGIONE

UMANA.

Si tratta di una ragione strumentale che

individua i mezzi più adeguati per certi fini

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Contro la superstizione

La tradizione illuminista pone enfasi sulla

dimensione razionale dei diritti contro

l’oscurantismo del clero.

(Voltaire; Rousseau; Montesequieu)

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Tradizione anglosassone e

tradizione francese

Nella tradizione anglosassone i diritti naturali hanno tre matrici:

A) quella storico giuridica (Edmund Burke)

B) quella religiosa

C) quella contrattualista (Locke)

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Edmund Burke

Burke si pone in linea alla tradizione

giuridica inglese (Lord Edward Coke, Sir

William Blackstone):

I diritti inglesi sono diritti STORICI, cui si è

giunto per effetto di graduali stratificazioni

e positivizzati in un corpus

giurisprudenziale

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I diritti naturali sono astrazioni

Burke accusa la tradizione giusnaturalista

di astrazione.

Al contrario la scienza politica è una

scienza pragmatica. Le costituzioni non

possono essere fatte a tavolino

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Tradizione religiosa

Nelle colonie americane la tradizione

prevalente non è quella giusnaturalista,

alla Locke, per intenderci.

I diritti umani si innestano sulla tradizione

religiosa protestante. I primi coloni

fuggono da persecuzioni. La tolleranza

non basta

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tolleranza

Nella versione che aprirà le porte alla

tradizione americana dei diritti fondamentali,

la concezione prevalente è quella religiosa.

Per i coloni non è sufficiente vivere in uno

stato che tolleri il dissenso religioso. Piuttosto

molti coloni lasciano l’Inghilterra proprio per

creare una comunità politica in cui poter

professare apertamente la propria fede

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John Winthrop e Roger

Williams

Le colonie del New England

esemplificano questo atteggiamento. Le

prime carte coloniali insistono sulla facoltà

dei nuovi cittadini di darsi istituzioni a loro

in qualche misura confacenti.

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George Jellinek

Jellinek, giurista tedesco, afferma che la vera

radice dei diritti nel mondo anglosassone

americano è quella religiosa.

La chiamata divina, il calling, non solo

conferisce legittimità a dissentire dal credo

ufficiale ma pone le pasi per una comunità

politica che rifletta il credo dei suoi

partecipanti.

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Tradizione anglosassone e

democrazia

Nella tradizione anglosassone l’aspetto democratico si intreccia a quello più propriamente tipico dei diritti fondamentali.

Le colonie si organizzano in forme di autogoverno e addirittura si esprimono spesso con modalità tipiche della democrazia diretta.

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Tradizione giusnaturalista e

contrattualista

La terza tradizione è quella contrattualista

(di ascendenza Lockeana) che sarà

prevalente in Europa.

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Lettera sulla tolleranza (Locke) l governo è istituito per promuovere gli interessi esterni, relativi alla

vita, alla libertà e al benessere generale, mentre la chiesa esiste per promuovere gli interessi interni, cioè la salvezza. I due organi svolgono funzioni distinte e quindi devono essere considerate come istituzioni separate.

Il primo passo dell'esposizione di Locke è quello di definire cosa si intenda per Stato e Chiesa.

Lo Stato è, secondo il filosofo, una "società di uomini costituita per conservare e promuovere soltanto i beni civili". Per questi ultimi Locke intende quelli più ovvi, quali la conservazione del proprio corpo, la libertà, la proprietà. Lo stato, per dirigere la comunità entro questi principi, potrà fare uso della costrizione e della forza, nei limiti di un sistema di legislativo e giudiziario fondato sugli obiettivi sopra descritti. Dicendo soltanto i beni civili, Locke intende però stabilire che non rientrerà nei diritti dei magistrati servirsi della forza per imporre il proprio giudizio su qualcosa che non risulti deleterio alla conservazione e al benessere della società

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La Chiesa, infatti, è per Locke "una libera società di uomini che si riunisconospontaneamente per onorare pubblicamente Dio nel modo in cui credono sarà accetto alla divinità, per ottenere la salvezza dell'anima" Se lo stato si servisse della forza per imporre la dottrina, tale scelta entrerebbe quindi in contraddizione con la stessa definizione di Chiesa, che ha alla sua base una libera scelta che, se trasformata in costrizione, non otterrebbe che un effetto apparente, facendo del credente un ipocrita.

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Contro gli atei Locke sostiene inoltre che gli atei non dovrebbero

essere tollerati, perché essi non potrebbero mantenere patti, promesse e giuramenti, che sono i vincoli della società umana. Anche la Chiesa cattolica romana non può essere tollerata perché, secondo Locke, 'tutti quelli che entrano in tale Chiesa, devono, ipso facto, abbandonarsi alla tutela e al servizio di un altro principe'. Se questa Chiesa fosse tollerata, il magistrato dovrebbe rispettare una 'giurisdizione straniera' nel suo paese e 'vedere i suoi seguaci come soldati contro il proprio governo'.

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Illuminismo e garanzie penali

Voltaire: la tolleranza è spiegata attraverso errori giudiziari.

"se si considerano le guerre di religione, i quaranta scismi dei papi che sono stati quasi tutti sanguinosi, le menzogne, che sono state quasi tutte funeste, gli odi inconciliabili accesi dalle differenze di opinione; se si considerano tutti i mali prodotti dal falso zelo, gli uomini da molto tempo hanno avuto il loro inferno su questa terra". Voltaire predica, al posto di tanta inutile violenza, la carità poiché "là dove manca la carità la legge è sempre crudele" mentre "la debolezza ha diritto all'indulgenza".

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"La tolleranza è una conseguenza

necessaria della nostra condizione

umana. Siamo tutti figli della fragilità:

fallibili e inclini all'errore. Non resta,

dunque, che perdonarci

vicendevolmente le nostre follie. È questa

la prima legge naturale: il principio a

fondamento di tutti i diritti umani".

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Montesquieu

Separazione dei poteri

Diffidenza nei confronti del potere giudiziario

Potere legislativo sovraordinato a quello giudiziario

Potere legislativo (esemplifica l’opera dei razionalisti, illuministi)

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Garantismo penale in Italia

Cesare Beccaria

Gaetano Filangeri

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L’età delle

Rivoluzioni

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Rivoluzione Americana

Le colonie si erano già data strutture per

lo più indipendenti; sicché il rapporto con

la Madrepatria finì col degenerare.

No taxation without representation

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Dichiarazione d’indipendenza americana (4 luglio

1776):

«Noi teniamo per certo che queste verità siano di per se stesse evidenti, che tutti gli uomini sono creati eguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di certi Diritti inalienabili, che tra questi vi siano la Vita, la Libertà e il perseguimento della Felicità. Che per assicurare questi diritti sono istituiti tra gli uomini i Governi, che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati. Che quando una qualsiasi Forma di Governo diventa distruttiva di questi fini, è Diritto del popolo di alterarla o di abolirla, e di istituire un nuovo Governo, ponendo il suo fondamento su questi principi e organizzando i suoi poteri in una forma tale che sembri ad esso la più adeguata per garantire la sua sicurezza e la sua felicità».

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Costituzione americana

Supremacy clause:

Art. 6, comma 2: la costituzione è la legge

suprema dello stato

La costituzione è rigida; gerarchicamente

sovraordinata; separazione dei poteri;

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Federalist Papers James Madison

Alexander Hamilton

John Jay

Trovare un’impalcatura costituzionale che ponga rimedio nei confronti di due rischi: a) il potere arbitrario; b) la faziosità e partigianeria nella popolazione

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Bill of Rights

I primi dieci emendamenti della

costituzione americana.

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Tocqueville sulla rivoluzione

americana Negli Stati Uniti, insieme agli aspetti positivi della democrazia, notò

anche, già operanti, i difetti dell'eguaglianza e della sovranità popolare. Il diritto della maggioranza a governare, egli scrive, le dà "un immenso potere di fatto e un potere d'opinione e nulla più, delle contee e degli Stati, dall'indipendenza della magistratura e dalla sua altrettanto grande mobilità" i cui effetti negativi sono l'instabilità governativa, l'onnipotenza dei governi, la scarsa garanzia contro gli abusi (perché l'opinione pubblica forma la maggioranza, il corpo legislativo la rappresenta e il potere esecutivo ne è lo strumento); e anche l'amore per il benessere, l'accentramento del potere, il conformismo: "Non conosco un paese dove regni meno l'indipendenza di spirito e meno autentica libertà di discussione che in America… Il padrone non vi dice più: "pensate come me o morrete"; ma dice: "siete libero di non pensare come me; la vostra vita, i vostri beni, tutto vi resterà, ma da questo istante siete uno straniero fra noi".

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Tom Paine

La costituzione non è l’atto di un governo

ma l’atto di un popolo che crea un

governo.

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Rivoluzione francese

Questione sociale e questione politica

Hannah Arendt ad esempio spiega il

successo della r. americana e il relativo

insuccesso di quella francese con la

sovrabbondanza della questione sociale

nella seconda rispetto alla prima.

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Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino

(Assemblea Nazionale Costituente, 26 agosto

1789):

«Art. 1 Gli uomini nascono e rimangono liberi ed eguali nei diritti.

Art. 2 Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione.

Art. 16 Ogni società, nella quale la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha costituzione».

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Dichiarazione dei diritti dell’uomo e

del cittadino (24 giugno 1793)

«Art. 1 [...] Il Governo è istituito per

garantire all’uomo il godimento dei suoi

diritti naturali e imprescrittibili.

Art. 2 Questi diritti sono l’eguaglianza, la

libertà, la sicurezza, la proprietà».

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E le donne? Nel corso della Rivoluzione francese venne

presentata da Olympe de Gouges (1748-93) una Dichiarazione dei diritti delle donne (1791) che intendeva integrare la più celebre Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (1789), denunciando l'ambiguità della definizione di "uomo", inteso più come "maschio" che come "essere umano". Tuttavia, la Dichiarazione dei diritti delle donne non fu accolta: le ragioni del rifiuto derivavano dalla convinzione diffusa che le donne si trovassero "naturalmente" in una posizione di inferiorità intellettuale e morale e che comunque il loro destino di mogli e di madri fosse vincolante ed esclusivo.

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A dispetto dei suoi ideali di libertà, uguaglianza e fraternità, la Rivoluzione francese non attribuì quindi alle donne diritti politici e civili, perché esse non erano considerate soggetti autonomi, cittadine a pieno titolo, bensì semplicemente membri di un gruppo particolare, la famiglia, e si riteneva che gli interessi della famiglia dovessero coincidere "naturalmente" con quelli delle donne e viceversa. Inoltre, si dava per scontato che lo spazio della politica fosse rigidamente estraneo a quello del privato e che quindi fosse di esclusiva pertinenza degli uomini.

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Mary Wollstonecraft (Londra, 27 aprile1759 – Londra, 10 settembre 1797) è

stata unafilosofa e scrittrice britannica, considerata la fondatrice del femminismo liberale.

Ebbe una vita relativamente breve e avventurosa: dopo un'adolescenza passata in una famiglia condizionata dalla povertà e dall'alcolismo del padre, si rese indipendente con il proprio lavoro e un'istruzione formata attraverso i suoi studi personali. Visse amicizie di grandi dedizioni ed ebbe relazioni tempestose fino al matrimonio con il filosofoWilliam Godwin, precursore dell'anarchismo, dal quale ebbe la figlia Mary, nota scrittrice e moglie del poeta Percy Bysshe Shelley.

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A vindication of the rights of

women

Antesignana del femminismo, Mary Wollstonecraft è nota soprattutto per il suo libro A Vindication of the Rights of Woman, nel quale sostenne, contro la prevalente opinione del tempo, che le donne non sono inferiori per natura agli uomini, anche se la diversa educazione a loro riservata nella società le pone in una condizione di inferiorità e di subordinazione.

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Il 1789 è l'anno d'inizio della Rivoluzione francese, accolta in Inghilterra con soddisfazione negli ambienti progressisti e con ostilità o preoccupazione in quelli conservatori e reazionari. A questi ultimi apparteneva Edmund Burke, che nel 1790 diede alle stampe le sue criticheReflections on the Revolution in France alle quali la Wollstonecraft rispose con la propria A Vindication of the Rights of Men in forma di lettera indirizzata allo stesso Burke. Insieme con iRights of Men del Paine, usciti nel 1791, fu la più popolare rivendicazione dei moderni diritti civili che fosse allora pubblicata in Inghilterra: naturalmente, Mary sperava che di questi diritti avessero potuto godere anche le donne. Fu così che a quel libro fece seguire nel 1792 il suo capolavoro, A Vindication of the Rights of Woman.

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Educazione e classe media Difendendo le virtù repubblicane, la Wollstonecraft invoca

l'etica della classe media in opposizione ai viziosi codici di comportamento dell'aristocrazia.[16] Illuministicamente, ella crede nel progresso e deride il Burke per il suo attaccamento ai vecchi costumi e alle antiche tradizioni: se infatti si fosse sempre rimasti fedeli alle più antiche tradizioni, per conseguenza si dovrebbe tuttora essere favorevoli perfino all'antichissimo sistema della schiavitù. Ella contrappone all'esaltazione dei valori feudali fatta dal Burke l'immagine borghese dell'idillica vita di campagna, nella quale ogni famiglia conduca la propria esistenza in una fattoria, soddisfacendo i propri bisogni con un lavoro semplice e onesto. Questa visione della società le appare l'espressione di sentimenti sinceri, di contro ai sentimenti fittizi sui quali si fonderebbe la visione reazionaria del Burke.

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Contro Rousseau Wollstonecraft vi afferma che le donne devono ricevere

un'educazione alla misura della posizione occupata nella società, specificando che tutte le donne sono essenziali per la nazione nella quale vivono, dal momento che educano i loro figli e sono - o potrebbero essere - le «compagne» dei loro mariti e non semplicemente delle spose.[18]. Invece di considerare le donne una sorta di ornamento della società e un oggetto di mercato in occasione del matrimonio, esse sono, in quanto esseri umani, titolari degli stessi diritti fondamentali riconosciuti agli uomini. A questo proposito, la Wollstonecraft polemizza vivacemente con James Fordyce, con John Gregory e con Jean-Jacques Rousseau, che negano che le donne abbiano tale diritto all'educazione; Rousseau, nell'Émile (1762) sosteneva infatti che le donne avrebbero dovuto essere educate in modo da piacere all'uomo.[19]

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IMMANUEL

KANT

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Che significa

libertà

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Biografia

Nato nel 1724 a Kőnigsberg, città della Prussia

orientale in cui morì prima di compiere gli

ottanta anni.

Famiglia con una posizione economica

modesta. Il padre era sellaio. I genitori erano

pietisti, appartenevano ad una comunità

protestante che esaltava la religiosità interiore

e la dedizione alle opere di bene.

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Immanuel Kant (1724-1804)

Immanuel Kant propone un’altra definizione

dei doveri e diritti che non si fonda sull’idea

che siamo proprietari di noi stessi, né

sull’affermazione che la nostra vita e la nostra

libertà sono doni di Dio.

Egli fa poggiare doveri e diritti sul principio

che noi siamo esseri razionali, meritevoli di

dignità e rispetto.

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Carriera accademica

Studente modello. Si iscrisse a 16 anni

all’università di Kőnigsberg e fu uno studente

modello.

A 31 anni gli diedero degli insegnamenti

all’università – e veniva pagato a numero di

studenti. Tenne vari corsi – più di venti ore a

settimana – fra gli altri metafisica, logica,

etica, diritto, geografia, antropologia.

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Alcune opere Critica della Ragion Pura (il primo libro importante

Kant lo pubblicò a 57 anni) (1781)

Fondazione della metafisica del Costumi (1785)

Critica della ragion pratica (1788)

Critica del giudizio (1790)

La metafisica dei costumi (1798)

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La Fondazione della

metafisica dei costumi

Qual è il principio supremo dell’etica?

Che cos’è la libertà?

Kant rifiuta sia l’utilitarismo che l’etica della

virtù e rinviene il fondamento dei diritti

fondamentali nella libertà. Ma il concetto

kantiano di libertà è ben diverso da quello dei

libertari (libertà del mercato)

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Il Problema della massima

felicità

Kant addebita all’utilitarismo due difetti. Il primo è quello di aver sacrificato i diritti fondamentali all’interesse generale; il secondo è quello di aver radicato l’utilità (e dunque l’etica) su mere considerazioni empiriche.

Per Bentham, per Mill etc… le scelte etiche dipendono dai nostri desideri, bisogni, preferenze. Ma, dice Kant, il principio utilitaristico della felicità non può mai fondare l’etica.

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Ragion Pratica Ciascuna persona è degna di rispetto, non perché

siamo proprietari di noi stessi, ma perché siamo esseri razionali, capaci di usare la ragione. Siamo anche esseri autonomi, in grado di scegliere liberamente.

Non siamo soltanto esseri senzienti, capaci cioè di provare piacere e dolore (contro Bentham), ma anche esseri raziocinanti. La nostra capacità di raziocinio si collega alla nostra capacità di libertà. Perché, quando è la ragione a governare la nostra volontà, noi non siamo più guidati dal desiderio di ricercare il piacere e di evitare il dolore.

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dignità “Nel regno dei fini ogni cosa o ha un prezzo o ha

una dignità. Ciò che ha un prezzo può essere rimpiazzato da qualcosa di equivalente; ciò che dall’altro lato si innalza su ogni prezzo e dunque non ammette alcun equivalente ha dignità. Ora, la moralità è la condizione per cui soltanto un essere razionale può essere un fine in se stesso. dunque la moralità, e l’umanità in quanto capace di moralità, è ciò che ha dignità”

La dignità è dunque valore senza prezzo:

(dalla Fondazione della Metafisica dei Costumi)

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Metafisica dei costumi “Non essere il lacchè di nessuno. Non consentire che gli

altri calpestino impunemente i tuoi diritti. Non contrarre debiti che non puoi onorare con certezza. Non accettare favori di cui puoi fare a meno…. Lamentarsi e piagnucolare, e perfino piangere dal dolore fisico, non è degno di te, specialmente quando sei consapevole di aver meritato questo. Inginocchiarsi e prostarsi per terra, anche per mostrare la tua venerazione per beni celesti, è contrario alla dignità umana….

Per Kant la dignità è valore senza prezzo: il valore assoluto

di ogni persona è la base dell’autostima ma anche della consapevolezza che la natura razionale è comune a noi e agli altri.

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Kant e la Luftwaffe La Corte costituzionale ha ritenuto incostituzionale

questa legge sulla base dell’art. 1 della Legge Fondamentale che afferma che la “dignità umana è inviolabile”. Ne consegue che l’abbattimento volontario delle vite di innocenti non è mai consentito a nulla rilevando che quelle vite siano destinate tristemente a cessare in un breve lasso di tempo. E cioè anche quando esse sono per altri motivi spacciate. “La dignità umana esige la medesima protezione costituzionale a prescindere dalla durata dell’esistenza fisica del singolo essere umano”.

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Contra Burke: dignità come

lignaggio o status “l’età della cavalleria è andata. Quella dei sofisti, degli

economisti, dei calcolatori gli è succeduta…. Mai, mai più vedremo tributare una generosa lealtà allo status e al sesso, quella fiera sottomissione che dà dignità all’obbedienza. Ora tutto è cambiato. …tutte gli abbellimenti decorosi della vita sono stati spazzati via rudemente. Tutte le opinioni uscite dal guardaroba dell’immaginazione morale, di cui il cuore è padrone, e che l’intelletto ratifica, - tutte le opinioni necessaria per coprire i difetti della nostra nuda e tramante natura e per sollevarla alla dignità del nostro apprezzamento, sono oggetto di ludibrio, di ridicolizzazione, vengono liquidate come idee antiquate. In questo nuovo schema, un re è solo un uomo, una regina è solo una donna; una donna non è altro che un animale, un animale neanche dell’ordine più elevato

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Jeremy Waldron JEREMY WALDRON contesta l’idea che la

DIGNITA’ UMANA sia necessariamente un attributo morale dell’uomo e vi riconnette invece una stretta connessione con i concetti – legali – di lignaggio e status.

L’idea di WALDRON – espressa di recente nella TANNER LECTURES del 2009 – è questa: la storia giuridica insegna che il riconoscimento di certi privilegi o di certi diritti va di pari passo al riconoscimento dello status legale o del lignaggio di colui cui tali diritti vengono riconosciuti.

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Ecco qualche esempio:

I Report inglesi sono pieni di esempi: non si poteva procedere nei

confronti di un duca o di un barone per i suoi debiti attraverso le vie ordinarie. In altri termini, mentre i cittadini comuni rispondevano dei propri debiti non solo con tutto il loro patrimonio ma anche con il corpo – e potevano dunque essere incarcerati fino a quando non avessero adempiuto – ai nobili erano concessi particolari privilegi. WALDRON ci racconta: nel 1606 la carrozza della contessa di Rutland, Isabella, stava attraverso Londra quando fu assalita da individui che asserivano di essere creditori della contessa. Isabella fu sequestrata e tradotta in detenzione – mentre i creditori dichiararono che l’avrebbero rilasciata solo quando avesse adempiuto ai propri debiti. Lo Star Chamber stabilì che l’arresto era illegittimo in quanto i nobili godono di alcune prerogative tra cui quella del diritto a non essere arrestati per i propri debiti. A questo riguardo citò un’antica massima: “law will have a difference between a lord or a lady, &c. and another common person”.

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La contessa Isabella

“vi sono due ragioni per cui una persona non

può essere arrestata in casi come questi: una

con riguardo alla sua dignità, e l’altra in

quanto la legge presume che ella abbia

sufficienti proprietà e terre per poter assolvere

ai propri debiti. Proprio in ragione a questa

presunzione di benessere l’arresto non poteva

considerarsi legittimo come se si stesse

recuperando il debito contratto da un uomo

comune”.

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Ora, continua Waldron, noi applichiamo questo principio – e cioè il principio secondo cui il debitore risponde solo col proprio patrimonio e non invece con la libertà – a tutti.

Questo dimostra una cosa:

che la dignità è un concetto legale: e che l’idea di dignità che sta alla base dei nostri testi costituzionali e soprattutto delle carte internazionali deriva dall’estensione AI CITTADINI COMUNI dei privilegi concessi prima solo a certe classi.

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Dignità come concetto legale

DIGNITA’ NON è DUNQUE UN CONCETTO

MORALE – SEBBENE SIA LEGATO AD UN

VALORE MORALE (L’EGUAGLIANZA):

DIGNITA’ SIGNIFICA ESTENSIONE AI

CITTADINI COMUNI DEI PRIVILEGI

SPETTANTI IN BASE AL DIRITTO ANTICO IN

BASE AL LIGNAGGIO O ALLO STATUS.

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WALDRON distingue fra due grandi categorie di STATUS: quella che lui definisce SORTAL STATUS (approssimativamente – status che si fonda sul tipo umano) e l’altra che definisce CONDITION-STATUS (status che dipende da una condizione, per lo più temporanea e contingente). I nostri ordinamenti prevedono una serie di CONDITION STATUS – di status condizioni: i minori, gli incapaci, il fallito, sposato, divorziato, etc…) mentre hanno superato le distinzioni in STATUS basate su tipizzazioni umane: CONTADINI VS. NOBILI; LIBERI VS. SCHIAVI.

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Il concetto di dignità nega proprio l’esistenza di distinzioni fondate su STATUS-TIPI UMANI. esso presume che non ci siano differenti tipi umani, a cui vanno accordati diritti diversi, ma che tutta l’umanità appartenga alla stessa medesima specie: che tutti abbiamo il medesimo STATUS.

WALDRON aggiunge a questa idea un’altra: che lo STATUS che noi oggi tutti condividiamo è di un tipo particolare: è simile allo status di coloro che fino a qualche tempo fa occupavano i gradini più alti della gerarchia sociale. E’ un po’ come se fossimo tutti conti, baroni, o principi.

In sostanza il concetto di dignità umana ha comportato un innalzamento verso l’alto: non più l’aurea mediocritas dei moralisti secenteschi.

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T. H. MARSHALL

L’elemento civile [della cittadinanza] consiste

nei diritti necessari alla libertà personale, la

libertà di espressione, di pensiero, di credo, al

diritto di proprietà o di concludere contratti

validi, il diritto al ricorso giurisdizionale. L’ultimo

è un diritto di una specie particolare perché è

il diritto di difendersi e di sostenere i propri

diritti in termini di eguale considerazione e

rispetto nonchè il diritto ad un giusto processo

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Cos’è la libertà? Noi spesso intendiamo la libertà come assenza di

impedimenti a far quel che vogliamo. Kant non è d’accordo, ne ha una concezione più esigente.

Ecco il suo ragionamento: quando noi, al pari degli animali, ricerchiamo il piacere o ci adoperiamo per evitare il dolore, in realtà non siamo liberi ma schiavi dei nostri appetiti e desideri. Perché?: Perchè in realtà quando cerchiamo di soddisfare i nostri desideri e appetiti, tutto quel che facciamo è di cercare di soddisfare un fine preesistente, esterno a noi. Faccio qualcosa per soddisfare la fame o la sete…

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Schiavi delle preferenze Quando io rifletto per scegliere il gusto del gelato

che mi piace di più, in realtà non sto esercitando la vera libertà di scelta ma sto solo chiedendomi quale scelta risponderà meglio alle mie preferenze. Ma la mia preferenza non è essa stessa oggetto di scelta.

Questo non significa che assecondare i propri desideri non sia giusto, ma che non risiede in questa attività la libertà. I nostri desideri sono esterni a noi. Noi siamo schiavi dei nostri desideri.

Es. pubblicità della Sprite: Obbedite alla vostra sete.

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Qual è la fonte delle mie

preferenze?

Spesso si discute se le preferenze siano iscritte nel patrimonio genetico (io sono geneticamente programmato per aver predilezione di prodotti zuccherati) ovvero se siano indotte da qualche fattore culturale o esterno (è la pubblicità che mi condiziona).

Per Kant la questione non avrebbe alcuna rilevanza. In entrambi i casi si tratta di fattori esterni al soggetto agente. In entrambi casi la scelta non è libera.

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Libertà come autonomia

Agire liberamente per Kant significa agire

in modo autonomo, e agire in modo

autonomo significa agire secondo una

legge che io detto a me stesso, non in

base ai termini della natura o delle

convenzioni sociali.

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Autonomia ed eteronomia: la

palla da biliardo Un’azione compiuta in modo eteronomo è

un’azione compiuta seguendo determinazioni che vengono da fuori:

Se una palla da biliardo per effetto di una mia

spinta cade sul pavimento, la palla non agisce liberamente: il suo moto è governato da leggi naturali (la forza di gravità).

Se io cado accidentalmente dall’Empire State Building e atterro su un uomo uccidendolo nessuno mi riterrà responsabile. Il mio corpo è come la palla da biliardo. Siccome non c’è autonomia, non c’è responsabilità morale.

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Libertà e responsabilità

Agire liberamente non è scegliere il mezzo

migliore per raggiungere un dato fine

(esterno a me stesso), ma è scegliere il

fine stesso, per le sue stesse virtù. Si tratta

di una scelta che gli esseri umani possono

fare, mentre le palle da biliardi (e quasi

tutti gli animali) non possono.

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Persone e cose

Per Kant rispettare la dignità umana

significa trattare le persone come fini in se

stesse. Ecco perché non è giusto usare le

persone per ottenere il benessere

generale, come fa l’utilitarismo.

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Che cosa è morale? Cercate

il movente Il valore morale di un’azione, secondo Kant, non è

dato dalle conseguenze che ne scaturiscono, ma dall’intenzione con cui si compie l’azione.

Quel che conta è fare la scelta giusta perché è giusta, e non per una qualche motivazione ulteriore.

“La buona volontà è buona non per quel che produce o realizza”, è buona in sé. “Anche se questa buona volontà fosse del tutto priva del potere di realizzare i suoi intendimenti; se nonostante il massimo sforzo non riuscisse tuttavia a realizzare nulla, anche in questo caso risplenderebbe come una gemma per virtù propria, come una cosa che pieno valore in se stessa”.

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Il movente è il dovere

Perché una qualsiasi azione sia giusta occorre non solo che sia conforme ad una legge morale ma che sia anche compiuta in nome di una legge morale.

Se io faccio del bene per compiacere me stesso – perché così mi sento più amato – ovvero per qualche altro secondo fine, allora l’azione non è buona.

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Kant è severo

La moralità di Kant è molto esigente.

Gli interessi personali, i bisogni profondi

dell’uomo vanno messi da parte perché

l’unica cosa che conta è l’assoluto

spassionatezza dell’azione.

Ma è veramente possibile?

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Il bottegaio disonesto e il

Better Business Bureau Kant fa l’esempio del bottegaio che vende pane. Il

bottegaio potrebbe sfruttare la distrazione del cliente (magari di un bambino) e chiedere un sovrapprezzo. Però a lungo andare la gente se ne accorgerebbe e cambierebbe bottegaio. Se il bottegaio non imbroglia nessuno solo per timore di perdere la clientela non starebbe agendo moralmente.

Da qualche tempo circola negli Stati Uniti (ma anche in Italia) l’idea che la disonestà non ripaga. Il monito ad essere onesti è quindi funzionale anche al mantenimento dei profitti. Kant direbbe che questo tipo di messaggio non è morale.

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Perché aiutare gli altri? Non

per compassione

Esistono persone, dice Kant, di indole

altruista che provano piacere nell’aiutare

gli altri. Tuttavia, agli occhi di Kant, fare

una buona azione perché si è spinti dalla

compassione “per quanto giusto e

gradevole possa essere” non ha valore

morale.

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Il misantropo morale Kant fa un esempio: immaginiamo che il

nostro altruista patisca una disgrazia tale da distruggere il suo amore per l’umanità, e da trasformarlo in un misantropo, privo di ogni slancio di comprensione e compassione.

Quando questa creatura dal cuore di pietra si stratta alla propria indifferenza per venire in aiuto ai suoi simili – solo per dovere – allora in questo momento, il suo agire acquista un valore morale.

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Qual è il principio supremo

dell’etica

Dovere contro Inclinazione

Autonomia contro Eteronomia

Imperativi categorici contro Imperativi

ipotetici

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Essere capaci di libertà Ogni azione è governata da una legge, e se

le nostre azioni fossero governate solo dalle leggi della fisica, noi non saremmo affatto diversi dalla palla da biliardo.

Dunque se siamo capaci di libertà, dobbiamo essere in grado di agire non secondo una legge che ci è data o che ci è imposta, ma in base ad una norma che siamo noi stessi a darci.

Qual è l’origine di una norma simile?

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La ragione

La norma ci viene dalla ragione. Noi non siamo soltanto esseri senzienti, dominati dal piacere e dal dolore (Bentham), ma siamo anche essere raziocinanti.

Se la volontà viene determinata dalla ragione, allora la volontà diventa il potere di scegliere in autonomia rispetto ai dettami della natura o dell’inclinazione.

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Pura ragione pratica Anche gli empiristi ammettevano che la

ragione avesse un ruolo nelle azioni umane, ma si trattava sempre di un ruolo subordinato alle passioni. La ragione era ragione strumentale (Hobbes, Hume): capace di scegliere i mezzi più adeguati per il fine stabilito dall’indole naturale.

La ragione di Kant non è strumentale, ma di una “pura ragione pratica, che legifera a priori indipendentemente da ogni obiettivo empirico.

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Imperativi categorici e

imperativi ipotetici

Vi sono due modi in cui la ragione può comandare la volontà. La prima è la modalità strumentale che si esprime nella formula dell’Imperativo Ipotetico:

Se vuoi arrivare a X devi fare Y: se vuoi essere un commerciante con una buona reputazione, devi agire onestamente con la clientela.

L’imperativo categorico funziona diversamente.

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Imperativo categorico Categorico, significa incondizionato.

“Se l’azione fosse buona solo in quanto mezzo per arrivare ad un altro obiettivo, l’imperativo sarebbe ipotetico. Se l’azione viene rappresentata come buona in sé, e di conseguenza come necessaria per una volontà che di per sé si accorda alla ragione, allora l’imperativo diventa categorico”

“TU DEVI”

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Imperativo e forma

“[l’imperativo] non riguarda la materia

dell’azione e i suoi presunti effetti, ma la

sua forma e il principio da cui è originata.

E quel che è il bene essenziale dell’azione

consiste nella disposizione mentale di chi

agisce, quali che siano le conseguenze”

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Contenuto dell’imperativo

categorico

I. dai alla tua massima un valore

universale:

Agisci solo in base a quella massima di cui

potresti nello stesso tempo desiderare che

diventi una legge universale.

Ad esempio: una falsa promessa è sbagliata

in quanto non è universalizzabile.

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Imperativo categorico:

continua

II. Trattare le persone come fini

“Io dico che l’uomo, cioè in quanto

essere razionale, esiste in quanto fine in se

stesso, non come puro e semplice mezzo

esposto all’uso arbitrario di questa o

quella volontà”

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E’ male mentire ad un

assassino?

Kant contro Benjamin Constant (filosofo

contemporaneo di Kant).

La bugia è un male in sé, anche se

utilizzata a fin di bene.

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Kant nel ventesimo secolo:

John Rawls

John Rawls (1921-2002) studioso

americano di filosofica politica.

1971: Una teoria della giustizia.

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La società giusta si fonda su

un contratto.

Rawls ipotizza una situazione ideale, in

base alla quale – gli individui che si

riuniscono per fondare una comunità

politica non conoscono quale sarà la

posizione che occuperanno nella società.

Dice Rawls, sono coperti da un velo di

ignoranza.

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Due principi di giustizi Partendo da questa ipotetica premessa i cittadini

formuleranno i due seguenti principi di giustizia

Ogni persona ha lo stesso titolo indefettibile ad uno schema pienamente adeguato di uguali libertà di base compatibile con un identico schema di libertà per tutti gli altri;

Le disuguaglianze sociali ed economiche devono soddisfare due condizioni: primo, devono essere associate a cariche e posizioni aperte a tutti in condizioni di equa eguaglianza delle opportunità; secondo devono dare il massimo beneficio ai membri meno avvantaggiati della società (principio della differenza).

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Ordine fra i due principi I due principi sono ordinati lessicalmente in modo

che il secondo principio non possa essere applicato in modi che implichino la violazione del primo: la libertà può essere limitata solo in nome della libertà stessa, e cioè o per rinforzare il sistema totale delle libertà condivise o in forza della libera accettazione di coloro a cui si impongono i vincoli.

Le libertà fondamentali sono beni primari: fra questi la libertà di espressione, di associazione, di movimento, poteri e prerogative connesse a responsabilità. La salute e le cure sanitarie non rientrano per Rawls fra i beni primari.

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Ottocento: lo

stato liberale

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La libertà degli antichi e dei

moderni Benjamin Constant

celebre conferenza parigina del 1819, La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni. 83 Le tesi principali di questa conferenza, che ha luogo in epoca di Restaurazione, sono le seguenti:

la libertà degli antichi è autonomia politica collettiva; quella dei moderni libertà privata individuale;

l'errore fondamentale della Rivoluzione francese fu la pretesa di realizzare la libertà degli antichi in una situazione ove era attuabile solo quella dei moderni. 84

:

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Dalla polis alla modernità Secondo Constant, una delle differenze più importanti fra

la politica antica e la politica moderna, è il carattere rappresentativo dei nostri governi, che era del tutto assente nelle poleisgreche, democratiche o aristocratiche che fossero, e negli altri regimi dell'antichità. 85 Essendo il potere politico gestito senza mediazioni, la libertà degli antichi consisteva nell'esercitare collettivamente, ma direttamente, molte funzioni della sovranità. Questa libertà collettiva era compatibile con l'asservimento completo dell'individuo all'autorità dell'insieme, che si manifestava con istituti come l'ostracismo ateniese e il controllo censorio della vita privata spartana per opera degli efori. Gli antichi erano «macchine di cui la legge regolava le molle e faceva scattare i congegni». 86

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Libertà ed individuo Di contro, oggi - dice Constant - per libertà

s'intende il diritto di essere sottoposto soltanto alla legge, di non essere arrestato, né tenuto in carcere, né condannato a morte, né maltrattato per la volontà arbitraria di uno o più individui, il diritto di esprimere la propria opinione, di scegliere il proprio lavoro e di esercitarlo, di disporre ed usare della propria proprietà, di associarsi con chi si preferisce, di esercitare la propria influenza sull'amministrazione del governo. In breve, la nostra libertà è il «pacifico godimento dell'indipendenza privata».

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utilitarismo

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Jeremy Bentham Nasce nel 1748

Nel 1760 nell’Università di Oxford dove segue le lezioni di William Blackstone.

Fin dagli anni ’70 il suo obiettivo è di confutare le tesi costituzionali di Blackstone – che vedono nelle leggi consuetudinarie inglesi la più profonda garanzia di libertà – per opporvi una scienza del diritto che sia riformata e per così dire più scientifica.

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Infatuazione per la rivoluzione

francese

La sua teoria politica è riformista. Egli propone di modificare la base elettore rendendo il voto universale e segreto e di rendere il parlamento un organo più rappresentativo.

La teoria morale è quella dell’utilità. Il presupposto antropologico di Bentham è che l’uomo sia condizionato da due spinte: la ricerca del piacere e l’evitamento del dolore

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introduction to the Principles of Morals and Legislation

(1781).

“La natura ha posto l’umanità sotto il governo di due padroni sovrani, il dolore ed il piacere. Soltanto questi ci indicano cosa noi dobbiamo fare, e come scegliere ciò che dobbiamo fare. Sia il criterio del giusto e dell’ingiusto, sia anche la catena di cause ed effetti, sono legate a quei troni [del dolore e del piacere]. Piacere e dolore governano tutto ciò che facciamo, ciò che diciamo e ciò che pensiamo. Ogni sforzo che poniamo per contrastare tale soggezione non fa che confermarla. In A parole si cerca di sottrarsi a tale imperio, ma in realtà vi si rimane soggiogati. Il principio di utilità riconosce tale soggezione e la pone a base del sistema il cui oggetto è quello di costruire una fabbrica di felicità con le mani della ragione e del diritto. I sistemi che provano a porre in discussione questo assunto …. utilizzano l’arbitrio anziché la ragione, il buio anziché la luce.”

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Massima felicità per il maggior

numero A livello politico il principio di utilità va esteso alla

comunità: esso consiste nel principio della massima utilità per il maggior numero. Il buon governo è dunque quel governo che massimizza la felicità – persegue la massima felicità per il maggior numero di individui. Questo tuttavia implica che talvolta i diritti di qualcuno possono essere calpestati di fronte alla utilità complessiva. Non è un caso che Bentham si opponeva non soltanto alle teorie politiche contrattualiste (quelle che vedevano nel contratto la fondazione della società politica), ma anche alle teorie dei diritti naturali. I diritti naturali erano da lui definiti nonsense on stils, non sensi sui trampoli.

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Felicità e incentivi pubblici

Capitolo VII: Delle azioni umane in generale

I. Il compito del governo è di promuovere la felicità della società attraverso le punizioni e le remunerazioni. Quella parte della politica che consiste più che altro di punizioni è più specificamente soggetta al diritto penale…… In cosa consista la felicità l’abbiamo già visto: nel godere dei piacere e nell’evitare dolori”

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Utilitarismo

L’utilitarismo di Bentham è piuttosto

elementare perché l’elemento base è il

piacere fisico.

John Stuart Mill rimodulerà l’utilitarismo

distinguendo fra piaceri elementari e

piaceri complessi – come ad esempio il

desiderio di libertà-

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Dice Mill:

Meglio un Socrate insoddisfatto che un

maiale soddisfatto.

Ma ritorniamo a Bentham:

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Limiti alla punizione I. L’obiettivo generale che tutte le leggi hanno in comune, o devono avere in

comune, è la capacità di aumentare la felicità complessiva della comunità; e dunque, in primo luogo, di tagliar fuori, per quanto possibile, ogni cosa che tenda a far diminuire la felicità: in altri termini di tagliar fuori i misfatti. II. Ma anche le punizioni sono misfatti: tutte le punizioni sono dei mali [in quanto fonte di dolore]. In base al principio di utilità se le punizioni devono essere previste, lo devono essere solo nella misura in cui siano necessarie per evitare mali maggiori.

III. E’ chiaro dunque, che nei seguenti casi nessuna pena può essere inflitta.

a).Quando è inflitta senza motivo: se non vi alcun misfatto da prevenire, in quanto l’atto non è fonte di dolore, allora la punizione non può essere inflitta;

b).Quando sarebbe inefficace: in quanto l’atto non può essere evitato attraverso la punizione;

c) Quando è troppo costosa o poco conveniente: quando il male che produrrebbe sarebbe maggiore di quello che dovrebbe prevenire;

d)Quando è inutile: in quanto il misfatto potrebbe essere evitato o potrebbe cessare anche senza punizione, e dunque ad un prezzo più basso.

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John Stuart Mill

1806-1873

On liberty (1859)

The Subjection of

Women (1869)

Opere

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Figlio del filosofo e storico scozzese James Mill

Amico di Bentham, Ricardo

Bambino prodigio (studiò in età giovanile tutte le opere di politica economica di Smith, Ricardo, etc..)

Depressione

John Stuart Mill

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Intrattiene una relazione ultraventennale con Harriet Taylor di cui subisce l’influenza intellettuale.

Sposa Taylor nel 1851 e comincia a lavorare con lei alle opere che usciranno dopo qualche anno (On Liberty e On the Subjection of Women)

Incontro con Harriet Taylor

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La libertà di J.S. Mill non è l’arbitrio di cui

parlavano Hobbes e Locke, né figlia

dell’individualismo possessivo

On Liberty

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Mill contesta molti degli stereotipi attribuiti al liberalismo:

ad esempio che l’antropologia liberale abbia un’impronta tipicamente economica (l’idea delle preferenze);

che sia alla base del cd. individualismo possessivo (ritenuto spesso figlio del pensiero di Hobbes); che rivaluti l’egoismo a scapito della solidarietà sociale.

Contro gli stereotipi

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La libertà di cui parla Mill non è il libero arbitrio, ma la libertà civile e sociale, ossia la natura e i limiti del potere che la società può esercitare su un individuo.

La preoccupazione principale di Mill è quella di non cadere schiavi del conformismo, della tirannia della maggioranza, dell’inerzia che fa seguito ad una società giudicante, oppressiva e totalizzante

Contro il conformismo

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Mill però non difende la facoltà di fare ciò che si vuole dalla tirannia della maggioranza. Il concetto di libertà che Mill ha in mente è diverso: per libertà Mill intende la possibilità dell’individuo di poter sviluppare tutte le proprie potenzialità in modo da poter acquistare una sorta di coerenza interiore.

Mill dunque non difende la libertà in quanto tale: ma in quanto funzionale al raggiungimento di certe virtù morali, primo fra tutte le forza del carattere.

Forza del carattere

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Da questo punto di vista Mill si colloca a

metà strada fra la tradizione Benthamita

(il fine dell’uomo è il piacere) e Kant (che

asseriva che l’essenza della libertà è la

capacità di obbedire alla legge morale).

Per Mill invece il fine dell’uomo non è né il

piacere, inteso in termini puramente

naturalistici, né il dovere (inteso in senso

auto castigante).

Fra Bentham e Kant

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Mill è noto per aver espresso questo

concetto nei seguenti termini: è meglio un

Socrate insoddisfatto, che un maiale

soddisfatto. L’essere umano può trovare

la felicità anche nell’inquietudine. Da qui

gli echi del concetto aristotelico di

eudaimonia.

eudaimonia

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Il solo motivo che autorizzi la società a intervenire individualmente o collettivamente nella sfera di libertà di ciascuno dei suoi membri, è la protezione di se stessa; quindi, l’unica ragione per cui l’autorità è legittimamente autorizzata a far uso della forza contro un membro di una comunità civile, è quella di impedire di nuocere agli altri. (saggio Sulla Libertà, p. 37).

In altri termini: la coazione è giustificata solo quando la condotta di un

individuo è tale da nuocere agli altri; il singolo non deve rispondere nei confronti della società se

non delle azioni che incidono sulla sfera di attività del prossimo

Principio del danno

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Mill distingue fra una morale per la società

e una morale personale. Mentre la prima

è una morale minima – ispirata al principio

del danno; la seconda è una morale

molto più ambiziosa che include anche la

beneficienza

Morale della società e morale

personale

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“colui che non agisce se non secondo le regole del costume, non opera mai una scelta e non apprende menomamente a discernere e a desiderare il meglio. La forza intellettuale e morale, così come quella muscolare, non progrediscono che attraverso l’esercizio. Se una persona adotta un’opinione senza essere convinta dei principi su cui si fonda, la sua ragione anziché fortificarsi ne uscirà indebolita; e se compie un’azione non conforme ai suoi sentimenti ed ai suoi modi di vedere (purchè non si tratti di interessi e di diritti di terzi) non farà che rendere più inerte e intorpidito il carattere che deve invece mantenersi attivo ed energico”.

La formazione del carattere

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si legga il passo della saggio sulla libertà (p. 56 del libro di testo).

… il passo si conclude:

Le passioni diventano pericolose solo quando non sono controbilanciate, cioè quando un determinato complesso di tendenze e di inclinazioni si è sviluppato fortemente, mentre altre tendenze e inclinazioni, che dovrebbero agire parallelamente, sono rimaste deboli ed inattive. Non sono passioni ardenti che trascinano gli uomini al male, bensì le loro coscienze deboli.

Ragioni e sentimenti

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La cultura dell’intelletto va rafforzata

dalla cultura del sentimento giacché non

sono sufficienti la logica e l’analisi se

manca l’arte e la poesia (Mill è a metà

strada fra l’Illuminismo e il sorgere del

Romanticismo).

educazione

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“si dice che una persona ha carattere quando ha aspirazioni e desideri propri, espressioni autentiche della sua natura quale è stata sviluppata e modificata dall’educazione. Un essere che non ha desideri ed aspirazioni provenienti dalla sua personalità non ha maggior carattere di quanto non abbia, ad esempio, una macchina a vapore.... Chiunque ritenga che non si debba incoraggiare lo sviluppo individuale dei caratteri, dovrebbe pure sostenere che la società non ha bisogno di nature robuste, ch’essa non trae vantaggio da tempre forti e che non è in generale desiderabile che ci sia una media elevata di individui energici” (dal saggio Sulla Libertà).

Avere carattere

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Tutto questo deve farci rileggere

attentamente il principio del danno

(nessuna autorità può essere imposta se

non per prevenire danno a terzi).

Il principio non è funzionale ad individui

che magari si ritirano dalla scena

pubblica, che si chiudono nei loro piccoli

mondi privati, che diventano apatici ed

indifferenti.

Carattere ed etica pubblica

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L’etica pubblica quindi consiste:

nel non ledere gli interessi altrui, o piuttosto quel determinato gruppo di interessi che, per espressa disposizione di legge o per tacito consenso, devono considerarsi quali diritti;

nell’assumere ciascuno la sua parte (da stabilire sulla base di certi principi di equità) di responsabilità e di sacrifici necessari per la difesa della società e dei suoi membri contro ogni danno e molestia.

Libertà e responsabilità

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filosofo liberale Will Kymlicka:

“Mentre noi possiamo sbagliare nelle nostre convinzioni e valori, non necessariamente ne segue che qualcun altro, che ha ragione di credere che stiamo incorrendo in un errore, possa venire e migliorare la qualità della mia vita dirigendola al posto mio… la mia vita migliora solo se sono io a condurla dall’interno, secondo le mie convinzioni e valori”.

pluralismo

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La difesa del pluralismo va fatta attraverso due strategie:

1) attraverso la tolleranza: che va intesa non come semplice rassegnazione all’altro, né come ritiro dalla scena pubblica, ma solo come l’interdizione di tutti i mezzi violenti, ingiuriosi o dolorosi, per esprimere i propri valori.

2) Rispetto dei valori altrui

Difesa del pluralismo

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On Liberty (1859)

« Quand'anche l'intera umanità, a

eccezione di una sola persona, avesse

una certa opinione, e quell'unica persona

ne avesse una opposta, non per questo

l'umanità potrebbe metterla a tacere:

non avrebbe maggiori giustificazioni di

quante ne avrebbe quell'unica persona

per mettere a tacere l'umanità,

avendone il potere.[1] »

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Principio del danno

L’individuo è libero di raggiungere la propria

felicità come meglio crede e nessuno può

costringerlo a fare qualcosa con la

motivazione che è meglio per lui, ma potrà al

massimo consigliarlo; l'unico caso in cui si può

interferire sulla libertà d'azione è quando la

libertà di uno provochi danno a qualcun

altro, solo ed unicamente in questo caso

l'umanità è giustificata ad agire allo scopo di

proteggersi.

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Stato guardiano notturno

In tal senso lo Stato è giustificato ad

indirizzare la vita degli individui solo

quando il comportamento di uno di essi

danneggia gli altri. Solo in tal caso

potrebbe essere giustificabile la

limitazione della libertà dei cittadini da

parte dello Stato

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Contro la tirannia della

maggioranza

« Supponiamo che il governo faccia davvero tutt'uno col popolo, e che non gli venga mai in mente di esercitare un potere coercitivo se non in completo accordo con quella che ritiene l'opinione del popolo. Ecco: io contesto che il popolo abbia il diritto di esercitare questa coercizione, non importa se in proprio o tramite il governo. E' quel potere in sé a essere illegittimo. Il migliore dei governi non ne ha maggior titolo di quanto ne abbia il peggiore.[2] »

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Isaiah berlin

Isaiah Berlin ha distinto due concetti di

libertà: la libertà negativa che consiste

essenzialmente nella non interferenza o

non impedimento. Si dice libero, in questo

primo senso, chi può fare ciò che

desidera, o vuole, fare, senza subire

impedimenti - in particolare, senza subire

alcuna interferenza ad opera di altri esseri

umani.

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Idea negativa Questa idea, ‘negativa’, di libertà (‘libertà

da’) sta sicuramente alla base dell’affermazione e della rivendicazione, in età moderna, di diritti fondamentali. In particolare, i diritti di libertà sono, prima di ogni altra cosa, diritti a non subire interferenze - da parte di terzi, in generale, ma, soprattutto, da parte del governo, da parte dei poteri pubblici - nello svolgimento delle proprie attività, nella manifestazione delle proprie idee, o nel perseguimento dei fini che ciascuno vuole, o sceglie di perseguire (nel soddisfacimento dei propri desideri).

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Liberta’ negativa

Per libertà negativa Berlin intende un

ambito, ben delimitato, di non

interferenza dall'esterno, o di libertà dalla

costrizione altrui. Essa risponde alla

domanda: qual è l'area entro la quale si

lascia il soggetto - una persona o un

gruppo di persone - fare o essere ciò che

è capace di fare o essere, senza

interferenza da parte di altri?

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Liberta’ negativa

Ascendenza Lockeana: vi sono dei diritti

che non possono essere prevaricati dallo

stato. Vanno tutelati e basta.

Dovere di non facere.

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Liberta’ positiva

La libertà positiva, di contro, risponde alla domanda: che cosa o chi è la fonte del controllo o dell'ingerenza che può indurre qualcuno a fare questo invece di quello? Essa ha a che fare col concetto di autodeterminazione, che è qualcosa di più dell'avere garantita una sfera di non interferenza, perché si tratta, entro questa sfera, di essere padroni di sé e di decidere da soli.

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Berlin diffida della liberta’

positiva

Berlin diffida, da liberale pluralista, della

libertà positiva, perché essa si è

storicamente sviluppata come

autodeterminazione, ma nel senso che il

proprio “vero sé” deve tenere le leve del

comando nel foro interno

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Diritti umani e

dottrina

giuridica

ottocentesca

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Il concetto di costituzione

perde rilevanza

Nell'età moderna questa tensione fra norma e fatto, propria dell'età della rivoluzione democratica, non si ritrova nelle teorie giuspubblicistiche tedesche, nelle quali il concetto di costituzione non ha rilevanza strategica. Sul versante della Korporationslehre, da Johannes Althusius (1557-1638) a Otto von Gierke (1841-1921), la società politica, che ingloba le inferiori organiche società intermedie, è tutta giuridicamente strutturata, per cui non c'è una scissione fra costituzione e società

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Gerber e Laband Sull'altro versante, quello della Staatslehre, che va

da Karl Gerber (1823-1891) a Paul Laband (1838-1918) e a Georg Jellinek (1851-1911), la riflessione teorica è tutta diretta a superare l'antico dualismo fra rex e populus, fra principe e ceti nella superiore unità dello Stato, di cui il re e il popolo sono organi. Tutto il diritto pubblico viene fondato sul dogma della personalità giuridica dello Stato, per cui la costituzione è semplicemente una norma dello Stato ed esiste perché esiste lo Stato: tutt'al più abbiamo una konstitutionnelle Verfassung.

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George Jellinek Il nome di Georg Jellinek è specialmente legato allo

sviluppo dell'allora nascente diritto pubblico. La sua opera più celebre è la Allgemeine Staatslehre, di cui sono state date alle stampe più edizioni (la prima del 1900, la seconda nel 1911, e la terza, postuma, nel 1914, curata dal figlio Walter), e che è nota anche in una traduzione italiana di Vittorio Emanuele Orlando, risalente al primo dopoguerra.

Jellinek si è dedicato con particolare attenzione al problema del rapporto fra potere statale e sfera di autonomia riservata al singolo, in altri termini al problema dei limiti che la potestà statale necessariamente incontra affinché l'esistenza del singolo possa svilupparsi adeguatamente.

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OTTO GIERKE

La sovranità dello stato si compone della

somma delle società intermedie.

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Diritti umani e

Novecento

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Hannah Arendt:

Origini del Totalitarismo:

Il totalitarismo si distingue dalla tirannide

tradizionale perché il terrore non viene

utilizzato strumentalmente per liquidare

avversari politici o per mettere a tacere

l’opposizione, ma è piuttosto uno

strumento permanente con cui governare

masse assolutamente obbedienti.

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totalitarismo

Il regime totalitario non aspetta la

disubbidienza per punire, ma colpisce

vittime che sono perfettamente innocenti

anche dal punto di vista del persecutore.

Questo fu il caso degli ebrei sotto il

nazismo o dei milioni di cittadini russi che

finirono trucidati da Stalin.

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Cosa propizia il nascere di

ideologie?

Se è vero che il terrore una volta

innescato si autoalimenta in quanto le

vittime sono impossibilitate a ribellarsi, è

anche vero che l’affermazione di un

regime totalitario è preceduta da varie

tappe storiche ed ideologiche. In questi

casi l’ideologia – divenendo ideologia

della maggioranza – consente

l’affermazione di regimi brutali.

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Cause dell’ascesa dei regimi totalitari Antisemitismo

Imperialismo

Razzismo

Totalitarismo: regime che disumanizza.

Manifestazione

evidente della

violazione dei diritti

fondamentali.

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antisemitismo

teoria dell’eterno antisemitismo (scartata dalla Arendt). Teoria alimentata in modo abbastanza miope anche dagli ebrei per consentire la sopravvivenza di un popolo che era privo di storia politica.

Teoria del capro espiatorio (non spiega – ma sposta all’indietro il problema).

Entrambe le teorie non sono soddisfacenti

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Tesi di Hannah Arendt.

Con l’affermazione dello stato nazione nel corso del XIX secolo agli ebrei spettò un destino del tutto peculiare rispetto agli altri gruppi. Gli “ebrei di corte” erano coloro che prestavano soldi allo stato. Ad essi spettavano privilegi e vantaggi illimitati; potevano risiedere dove volevano, viaggiare, etcc… ma ad essi tuttavia era impedito l’accesso alle cariche politiche o al mondo capitalistico.

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Elite di ebrei finanziatori Con l’ascesa dello stato nazionale il potere

degli ebrei di corte si consolidò; sebbene la fonte dei finanziamenti fu estesa anche ad altri soggetti. La borghesia era stata tradizionalmente indifferente alla politica e alla finanza pubblica in particolare, sicché l’ascesa degli ebrei fu ancora più rapida. La situazione era diversa nell’Europa orientale in cui non essendosi affermato il concetto di stato nazione l’elites degli ebrei non si creò mai.

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Declino degli ebrei e diffusione

dell’antisemitismo

Arendt: Con il declino dello stato nazione alla fine del XIX e con

l’ascesa dell’imperialismo gli ebrei persero gran parte della propria influenza, e sicuramente persero il monopolio del credito allo stato. Inoltre i banchieri ebrei avevano bisogno di scarso appoggio delle proprie comunità; sicché spesso finivano per distaccarsi completamente dalle proprie comunità. Come gruppo l’ebraismo dei paesi occidentali si disintegrò di pari passo con lo stato nazionale durante gli anni che precedettero lo scoppio della prima guerra mondiale. L’antisemitismo di fine ottocento e dei primi del novecento si inasprì proprio mentre gli ebrei perdevano il proprio potere di influenza politica pur mantenendo le proprie ricchezze.

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Ricchi e parassiti TESI DI ARENDT: la classe ricca è tollerata se

gestisce potere, ma se perde potere viene percepita come puramente parassitaria. Non c’è ragione della ricchezza, sicché la disuguaglianza diventa insopportabile. Vi sarebbe dunque un ISTINTO POLITICO che spinge gli individui a tollerare le oppressioni in quanto il potere comunque preserva la comunità dalla disintegrazione. Ma quando il ceto abbiente perde potere diventa insopportabile (situazione simile si era verificata prima della rivoluzione francese in cui la borghesia aveva perso potere politico).

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Nazionalismo ed antisemitismo

“In un’Europa il cui equilibrio era stato sconvolto per sempre, il cui senso di solidarietà era stato soppiantato da un nazionalismo che concepiva il confronto fra le nazioni come una lotta concorrenziale fra gigantesche imprese economiche, l’elemento ebraico, non vincolato ad alcuna nazione, tradizionalmente intereuropeo, divenne oggetto di odio universale per la sua inutile ricchezza, oggetto di disprezzo universale per la sua palese impotenza».

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Finanziamenti e guerre Il potere degli ebrei nel corso dell’ottocento

derivava sia dal finanziamento a certe operazioni belliche (ad esempio la guerra anti-napoleonica fu in buona parte finanziata dagli ebrei, e quando Bismarck chiese al parlamento nuovi finanziamenti per la guerra contro la Francia furono i Bleichroeder ad intervenire) ma anche per le loro relazioni internazionali (ad esempio i Rotschild consentirono a Bismarck un collegamento con Disraeli). Ma gli ebrei servivano solo fino a quando sussisteva la speranza di un accordo fra stati. Quando la prospettiva fu invece quella dell’annientamento totale del nemico il ruolo degli ebrei svanì (cfr. Nietzsche – il buon ebreo, buon europeo).

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Ebrei impolitici Gli ebrei sostenevano con i loro finanziamenti

la politica di vari stati, ma non per questo condizionavano le scelte politiche. Anzi essi sorprendono per la loro assoluta mancanza di ambizione politica (si pensi ai Rothschild presenti in spagna, francia, germania, Inghilterra). Sicché, visti come una casta mercantile internazionale, da un lato furono identificati col potere statale, dall’altro tuttavia con nessun elemento della società (e quindi potenzialmente destabilizzanti).

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imperialismo Il vero obiettivo degli imperialisti era

l’ampliamento della sfera di potere senza la creazione di un corrispondente corpo politico. Le ragioni dell’espansione sono essenzialmente economiche. Il capitale “superfluo” doveva essere investito all’estero, fuori dai confini nazionali. Ed infatti così fu. L’espansione politica seguì il denaro: fu la risposta politica ad un’economia che stava diventando troppo speculativa. Il decennio che precedette l’imperialismo fu contraddistinto da scandali finanziari.

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Ebrei ed industriali Gli ebrei che avevano visto drasticamente

ridurre i propri profitti per effetto dell’istituzione di saldi meccanismi di pressione fiscale cominciarono ad investire i propri guadagni all’estero. Tuttavia il ruolo dei finanzieri ebrei fu ben presto soppiantato dagli industriali. Gli industriali si trasformarono ben presto in funzionari governativi, e cominciarono a governare le colonie con la violenza inaudita di chi pensa solo all’accumulazione e non si sente legato da alcun vincolo etico con la comunità dei governati.

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Arendt e hobbes Nell’interpretazione di Hannah Arendt Hobbes è

colui che meglio ha anticipato il ritratto dell’uomo borghese. La ragione, secondo Hobbes, non è altro se non calcolo. La potenza è il controllo accumulato che permette all’individuo di fissare i prezzi e regolare la domanda e l’offerta in modo che tornino a suo vantaggio. Il cittadino non è mai leale ad uno stato se non in quanto gli garantisce sicurezza. Ma questa lealtà per esempio non può essere richiesta al prigioniero politico.Il commonwealth è una delegazione di potere non di diritti: potere in cambio di sicurezza. Hobbes è l’antesignano della tesi secondo quanto più cresce l’accumulazione tanto più assoluto deve essere il potere, perché più grande è l’accumulazione più alto è il rischio di instabilità.

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Filosofia borghese ed hobbes

La filosofia borghese non predica i valori della libertà e dell’autonomia, ma solo quelli dell’accumulazione e del potere. Solo il potere è il fine della storia: e siccome i beni sono per natura deteriorabili il sommo potere sta nella possibilità di distruggere. Il nichilismo fu espressione di questa volontà di potenza – e soppiantò la fede nel progresso settecentesca ed ottocentesca, ma mantenendone inalterato lo spirito: “se l’ultimo vincitore non può passare all’annessione dei pianeti, non gli resta che distruggersi per ricominciare da capo il processo senza fine”.

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razzismo

L’insistenza dei nazionalisti tedeschi, durante e

dopo la guerra franco prussiana, sui vincoli di

sangue come presupposto essenziale per la

nazione ed il risalto dato dai romantici alla

personalità innata e alla nobiltà naturale

prepararono la via al pensiero razzista in

Germania. Dalla prima derivò la concezione

organica della storia con le sue leggi naturali;

dal secondo nacque il superuomo.

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gobineau Razzismo francese: i borghesi erano i discendenti

degli schiavi gallo-romani, gli aristocratici dai germanici (teoria elaborata dai fuorisciti prima della rivoluzione francese, ma fatta propria nel 1853 da Gobineau). Le tesi di Gobineau erano tuttavia pessimistiche (decadenza della civiltà dovuta alla decadenza della razza per effetto della mescolanza con razze inferiori); ed in un periodo di ottimismo scientifico non fecero grande presa (G. in realtà cantava la decadenza della sua classe di appartenenza, l’aristocrazia; e dunque fu razzista quasi per caso).. Solo dopo la prima guerra mondiale, quando si affermò la filosofia di morte, le tesi di G.. divennero famose.

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sudafrica

Le prime forme di regime politico fondato

sul razzismo si ebbero in Sudafrica: fu

l’esperienza più che un’ideologia a

trasformare l’amministrazione di una

colonia in una forma di bieco saccheggio

in cui gli amministratori si erano ridotti allo

stato brado dei governati (la scoperta dei

diamanti e dell’oro creò nuovi feticci).

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Pan-movimenti

I pan-movimenti nati verso il 1870 (e cioè il

pangermanesimo e il panslavismo) furono

quelli che maggiormente hanno

influenzato il nazismo ed lo stalinismo. Il

nazionalismo tribale si diffuse

specialmente fra I popoli dell’impero

Austro-Ungarico (che aveva governato

secondo il motto dividi et impera).

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Fine della prima guerra mondiale

ed apolidi

La fine della prima guerra mondiale squarciò un velo sull’infausto destino dei diritti umani. Con la sconfitta dell’impero Austro-Ungarico e goffo tentativo del trattato di Versailles di creare tanti stati nazione dalle ceneri dell’impero in realtà fu lasciata irrisolta la questione delle “MINORANZE” – che non vedendosi riconosciute in alcun corpo politico potevano confidare solo nella protezione della Lega delle Nazioni. Ma la protezione da parte di un organismo internazionale è uno strumento del tutto effimero.

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Distruzione dell’umanita’ e

dunque dei diritti umani

Col dilagare delle tesi razziste, imperialiste

(sia oltremare che continentali), dei pan-

movimenti la questione dei diritti umani fu

ridotta a quella dei diritti dei popoli (nelle

sue versioni della pseudoteologia del

nazionalismo tribale o dell’imperialismo)

ma al contempo si cominciò a

distruggere l’idea di umanità che è alla

base dei diritti dell’uomo.

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Diritti dell’uomo e diritti

d’azione

Gli ebrei prima di essere deportati nei campi di concentramento venivano privati della cittadinanza, e le pratiche di naturalizzazione furono frequenti anche in Francia ed in altri stati europei. La massa di apolidi, di gente privata del DIRITTO ALL’AZIONE, prima ancora che della libertà, crebbe a dismisura; ma il problema non interessò nessuno.

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Arendt e aristotele: diritti umani e

parola

Nella concezione aristotelica, fatta

propria dalla Arendt, il diritto dell’uomo

deriva dal potere dell’uomo di pensare e

parlare: e cioè dalla CAPACITA’ DI

REGOLARE NELLA CONVINVENZA, CON LA

PAROLA anziché CON LA FORZA, GLI

AFFARI, SOPRATTUTTO QUELLI PUBBLICI.

Solo la perdita di una comunità politica

esclude l’uomo dall’umanità.

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Diritto a far parte

dell’umanita’

I diritti umani del diciottesimo secolo erano desunti dalla natura – come prima erano visti come diritti storici. Ma nel ventesimo secolo la natura ha assunto un aspetto sinistro. Come il diciottesimo secolo si è sbarazzato della storia così il ventesimo si è sbarazzato della natura.

Ma l’umanità è un fatto inevitabile: il diritto ad avere diritti, il diritto a far parte di una comunità o all’umanità deve essere garantito.

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Il diritto non è un mezzo per un

fine

Hitler diceva: diritto è ciò che giova al

popolo tedesco. Fino a quando il diritto

viene fatto coincidere con l’utile, il rischio

di crimini contro i diritti umani è sempre in

agguato (del resto l’utilità sostituisce le

massime trascendenti della religione o del

diritto naturale).

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Diritti umani e astrazione

Già Edmund Burke aveva intravisto

questo possibile declino, quando aveva

tacciato i diritti umani di astrazione. I diritti

umani sono un’eredità tradizionale, che

scaturiscono dall’intimo di una nazione,

ma non dalla razza.

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Altre cause

Sistema multipartitico

Apatia della classe borghese

Crisi economica e sofferenza universale

(perdita di interesse per la sorte

individuale).

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Totalitarismo e borghesia I movimenti totalitari sono i primi movimenti

anti-borghesi: in quanto – sebbene sfruttino l’apatia della borghesia per la vita pubblica – non ne tollerano l’individualismo. Sicchè la borghesia può appoggiare un regime fascista, un uomo forte che li esoneri dagli affari pubblici (così da potersi concentrare in quelli privati) ma non può appoggiare un regime totalitario che mira alla distruzione della vita privata ancor prima che della vita pubblica.

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Totalitarismo e perdita del buon

senso

L’atteggiamento psicologico che sta alla base regimi totalitari e che comunque ne consente l’ascesa deve essere in grado di giustificare lo spirito di abnegazione che un’ideologia totalitaria richiede: un disinteresse per la propria persona, la cinica o annoiata indifferenza di fronte alla morte o alle catastrofi naturali, l’appassionata tendenza per le idee più astratte come norme di vita, il generale disprezzo per il più comune buon senso.

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Cultura di massa e

totalitarismo

Le masse non furono il prodotto della

crescente eguaglianza di condizioni,

della diffusione dell’istruzione, del

conseguente abbassamento del livello

culturale, della popolarizzazione dei suoi

contenuti (l’America è infatti la nazione in

cui meno un’ideologia di massa ha

attecchito).

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Massa ed isolamento In realtà le masse si formano dai frammenti di

una società atomizzata, in cui la struttura competitiva e la concomitante solitudine di una individuo erano state tenute a freno soltanto dall’appartenenza ad una classe. La principale caratteristica dell’uomo di massa non era la brutalità o la rozzezza ma L’ISOLAMENTO, la mancanza di relazioni sociali.

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Leader e gentaglia Né il nazionalismo tribale né il nichilismo sedizioso

erano ideologicamente appropriati alle masse come erano stati alla plebe. Ma i capi più dotati dei movimenti totalitari furono creature della plebe più che della massa. Il partito nazista all’inizio era composto da avventurieri e falliti – il rovescio della società borghese – e gli industriali che finanziarono all’inizio le SA commisero un errore di valutazione: in quanto essi speravano l’instaurazione di una dittatura militare (prodotta dalla plebe), ma non riuscirono a prevedere l’appoggio delle masse ai demagoghi. Anche Stalin veniva non dal partito ma dall’apparato cospirativo (con il suo tipico miscuglio di spostati e rivoluzionari).

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Totalitarismo e atomizzazione

I movimenti totalitari poggiano dunque SULL’ISOLAMENTO E L’ATOMIZZAZIONE DELLA SOCIETA’. Per il nazismo la società era già pronta per il totalitarismo. Nel caso del bolscevismo, Stalin per trasformare la dittatura rivoluzionaria di Lenin in regime totalitario dovette prima creare artificialmente quella società atomizzata che in Germania era stata preparata da avvenimenti storici.

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Lenin Lenin era un dittatore ma non un capo

totalitario: ammetteva i propri errori e ascoltava la controparte. Alla sua morte lasciò una società divisa in classi – e la classe contadina (che fu quella che in Francia aveva sostenuto lo stato nazione) era molto forte in quanto numerosa. Soviet erano poi decentrati e quando si aprì la successione era ancora aperto se prendere la via della collettivizzazione, di un vago capitalismo o dell’economia di stato.

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Stalin Stalin comprese che per l’affermazione di un

regime totalitario doveva lentamente sopprimere ogni forma di aggregazione che poteva fondare l’identità individuale. Cominciò dalla classe dei professionisti (ceto medio) delle città, poi dei contadini, poi infine liquidò anche il 50%della burocrazia. Qualche anno prima della sua morte la società sovietica era stata distrutta: la violenza non era utilizzata per liquidare l’opposizione politica (come nelle dittature classiche) ma per terrorizzare i cittadini dall’interno. La fedeltà al capo era l’onore diceva Himmler e la stessa cosa potè dirsi di Stalin.

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Diritti