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DIRITTO DEL LAVORO Prof. Michele Palla 1° Lezione 17/11/05 DEFINIZIONE DI DIRITTO E RAPPORTO DI LAVORO DIRITTO DEL LAVORO = il complesso di norme che disciplina il rapporto di lavoro. RAPPORTO DI LAVORO = il rapporto obbligatorio di natura patrimoniale e di scambio che intercorre tra datore di lavoro e lavoratore. Il diritto del lavoro si sviluppa progressivamente come disciplina protettiva del lavoratore verso la metà del 1800 in Inghilterra che, essendo la prima nazione europea in cui avvenne la rivoluzione industriale, vide il passaggio da un’economia basata sull’agricoltura, sull’artigianato e sulla produzione del “singolo pezzo” ad un’economia su vasta scala, di tipo industriale con produzioni “seriali”. Lo sviluppo della produzione su vasta scala e l’apertura delle prime fabbriche o manifatture, determinò uno spostamento di massa dalle campagne verso la città. 1

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DIRITTO DEL LAVORO Prof. Michele Palla

1° Lezione 17/11/05

DEFINIZIONE DI DIRITTO E RAPPORTO DI LAVORO

DIRITTO DEL LAVORO = il complesso di norme che disciplina il rapporto di lavoro.

RAPPORTO DI LAVORO = il rapporto obbligatorio di natura patrimoniale e di scambio che intercorre tra datore di lavoro e lavoratore. Il diritto del lavoro si sviluppa progressivamente come disciplina protettiva del lavoratore verso la metà del 1800 in Inghilterra che, essendo la prima nazione europea in cui avvenne la rivoluzione industriale, vide il passaggio da un’economia basata sull’agricoltura, sull’artigianato e sulla produzione del “singolo pezzo” ad un’economia su vasta scala, di tipo industriale con produzioni “seriali”. Lo sviluppo della produzione su vasta scala e l’apertura delle prime fabbriche o manifatture, determinò uno spostamento di massa dalle campagne verso la città. Così, si venne a creare una situazione drammatica visto che a fronte di una mano d’opera (generica e senza specializzazione) sovrabbondante, la disponibilità di posti di lavoro era del tutto insufficiente. Inoltre, proprio perché nessun soggetto era portatore di una capacità lavorativa specializzata o qualificata, questa grande

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massa di lavoratori era del tutto intercambiabile perché in grado di offrire solo ed esclusivamente mera forza lavoro: il datore di lavoro così non aveva un interesse per un lavoratore specifico ma poteva sostituirne uno ad un altro non appena il primo creava problemi oppure non era più in grado di offrire una prestazione efficiente (perché ad esempio malato, invecchiato o infortunato).E’ inutile dire che, in quel periodo, non vi era alcuna tutela contro i licenziamenti o le decisioni del datore di lavoro (ad es. in tema di sicurezza o mansioni), così come non era prevista alcuna tutela previdenziale.Non è un caso che le prime forme di aggregazione dei lavoratori (i futuri sindacati) si formarono proprio con lo scopo di assicurare un minimo di tutela ai lavoratori espulsi dall’azienda creando un fondo comune in vista dello sciopero che si rivelò lo strumento di lotta “naturale” contro lo strapotere datoriale.

*La situazione va poi collocata nel contesto economico sociale e politico di uno Stato ispirato ai principi dell’economia liberista o del libero mercato. Secondo i principi liberisti, lo Stato non doveva mai interferire con il normale andamento del mercato atteso che quest’ultimo, per propria capacità interna, si riteneva capace di trovare da solo l’assetto migliore per la massima efficienza e per la più massima produzione di ricchezza. Così, per esemplificare al massimo, all’interno del mercato il prezzo delle merci doveva essere determinato semplicemente dall'incontro tra la domanda e l'offerta. Per cui più una merce era richiesta (perché di difficile reperimento) più il suo prezzo saliva 1.Questa regola, applicata al mercato del lavoro, proprio alla luce di quanto detto sopra (molta mano d’opera disponibile – pochi posti di lavoro – mano d’opera intercambiabile e non specializzata),

1 Ciò che rende costoso il diamante non è la sua bellezza, ma la difficoltà di reperirlo e il costo per renderlo come lo vediamo nelle vetrine dei gioiellieri. Cento anni fa, ad esempio, nessuno avrebbe pagato per l’acqua da bere: oggi, tutte le famiglie trovano del tutto normale pagare per l’acqua che ritengono più gradevole.

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determinava che i salari (le retribuzioni) – che rappresentano il costo della merce “lavoro” - fossero spesso al di sotto della soglia di sussistenza. Il datore di lavoro, infatti, si trovava di fronte ad una platea pressoché sterminata di lavoratori, intercambiabili gli uni agli altri, per cui poteva imporre salari bassissimi, tanto avrebbe comunque trovato chi era disposto a lavorare pur di guadagnare qualche sterlina2.Inoltre, atteso che quasi nessuno era portatore di una specializzazione o di una capacità lavorativa qualificata, il datore non aveva necessità di “spendere di più” per accaparrarsi lavoratori particolarmente efficienti o utili per l’azienda.

*Quanto sin qui evidenziato, consente di iniziare ad intravedere il problema fondamentale del lavoro. Il rapporto di lavoro è l’unico rapporto giuridico3obbligatorio nel quale vengono in gioco gli interessi primari di ogni persona e nel quale viene coinvolta la persona stessa del lavoratore: attraverso il lavoro, infatti, ognuno di noi soddisfa (o vorrebbe soddisfare) il proprio desiderio di realizzazione personale e materiale. Al contempo, il lavoro è anche lo strumento che procura i mezzi per far soddisfare i propri bisogno primari (la casa, ad esempio) o voluttuari (la settimana bianca). Infine, il lavoro può essere causa di malattie sia del corpo che della mente, da qui l’esigenza di un ambiente e strumenti di lavoro sicuri ed in grado di salvaguardare la salute del lavoratore.Ora, è evidente che una società nella quale il costo del lavoro, la retribuzione, viene lasciato alla libera determinazione del mercato non è un sistema garantito, perché non potrà mai assicurare che

2 E’ la stessa situazione che si sviluppò negli Stati Uniti dopo il crollo del ’29 o con la meccanizzazione dell’agricoltura; per avere un’idea della situazione dei lavoratori americani appare esemplare il romanzo “Furore” di Stainbeck3 Il rapporto obbligatorio è quello nel quale una od entrambe le parti assumono un’obbligazione: nel trasporto, ad esempio, il trasportato assume l’obbligo di pagare il biglietto, il trasportatore quello di trasportare, appunto, la persona. In caso di mancato assolvimento dell’obbligo, nasce la responsabilità giuridica di risarcire il danno subito dall’altra parte.

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la retribuzione data sia sufficiente alla sopravvivenza del lavoratore. Il problema della retribuzione, peraltro, non era l'unico nella società dell'epoca della prima rivoluzione industriale (1800). Agli albori della rivoluzione industriale, ad esempio, era normale che i bambini fossero utilizzati per lavorare, così come le donne 4, senza alcuna cautela a garanzia della salute 5. Ad esempio nelle miniere era del tutto usuale che bambini e bambine venissero usati per passare in cunicoli troppo stretti per gli adulti, o per eseguire lavori pericolosi nelle gallerie.

In questo contesto, si manifestò l’esigenza di elaborare una disciplina che assicurasse ai lavoratori una tutela che non fosse soltanto economica, ma che si estendesse anche alla tutela del lavoratore in tutte le situazioni di bisogno in cui egli poteva venire a trovarsi nel corso della vita lavorativa (malattia, infortunio, vecchiaia, gravidanza ecc.).

Il diritto del lavoro è una disciplina protettiva (in quanto non può essere modificata neppure con il consenso di entrambe le parti del rapporto), un insieme di norme che servono a tutelare la parte debole del rapporto di lavoro (lavoratore). E’ un apparato normativo di protezione che in seguito è stato preso come modello per altri tipi di tutela (ad es. la legge che tutela i consumatori è calibrata sullo stesso principio, ma si pensi anche alla legge sull’equo canone), essendo anche questi rapporti giuridici nei quali non c’è parità tra le parti. Nella compravendita di un immobile, ad esempio, il rapporto è assolutamente paritario (nel senso cioè che una persona è libera di comprare o meno, di

4 Ancora una volta la letteratura offre testimonianze terribili delle condizioni dei lavoratori: nel romanzo di C. Dickens “David Copperfield”, un bambino di nove anni, rimasto solo al mondo, si vede costretto ad impiegarsi sui docks di Londra come scaricatore. Sempre in letteratura: Zola “Germinale”.5 Le donne ed i bambini erano definiti “mezze forze”.

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scegliere una soluzione abitativa piuttosto che un’altra), mentre nel caso dell’affitto di una casa la parità comincia ad essere dubitabile (l’inquilino, infatti, deve soddisfare un bisogno primario come quello abitativo ed è spesso economicamente incapace di acquistare una propria abitazione). Nel caso del rapporto di lavoro, essendo al centro dello stesso l’esigenza fondamentale del sostentamento quotidiano, questa disparità arriva al livello massimo.

Così il diritto del lavoro si configura come insieme di norme inderogabili; di norme, cioè, che si sovrappongono alla volontà delle parti del rapporto, sostituendosi agli accordi difformi (e spesso peggiorativi) concordati tra le parti.In effetti, proprio per la propria “debolezza” contrattuale, il lavoratore potrebbe essere indotto ad accettare accordi per lui pregiudizievoli (una retribuzione più bassa o un orario di lavoro più pesante). La norma inderogabile, dunque, si sovrappone, sostituendola alla pattuizione conclusa dal lavoratore che sia peggiorativa rispetto a quanto previsto dalla legge. Dunque, se un lavoratore firma un accordo con il quale accetta una retribuzione più bassa di quella stabilità dai contratti collettivi di lavoro, quel documento non ha alcun valore visto che, entro sei mesi dalla fine del rapporto di lavoro 6 , il lavoratore potrebbe “impugnare” l’accordo e pretendere il riconoscimento della retribuzione che gli è dovuta secondo i parametri sindacali.

Cerchiamo di capire quanta strada è stata fatta dal 1800 al 1948, anno in cui è stata promulgata la nostra Costituzione.

Art. 36 della Costituzione: in materia di retribuzione.

6 Il termine decorre dalla fine del rapporto perché in quel momento il lavoratore si è liberato dalla soggezione economica e personale nei confronti del datore di lavoro: così dispone l’art. 2113 c.c. in tema di rinunce e transazione del lavoratore.

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Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità (numero di ore lavorate) e qualità (livello di specializzazione) del suo lavoro Fin qui non è molto lontano da ciò che si poteva pensare anche nel 1800 dove la retribuzione era il risultato dell’incontro tra domanda e offerta. E’ chiaro che più specializzato era il lavoratore e più avrebbe trovato offerte allettanti. Ma nel 1800 la forza lavoro non era ancora una forza specializzata proprio perché era una fase iniziale dove la forza di lavoro si diceva essere intercambiabile (a spostare un mattone siamo tutti capaci tendenzialmente). Non c’erano ancora dei mestieri altamente specializzati come ad esempio il tornitore o l’infermiere. L’articolo continua: e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Da notare il salto di qualità che è stato fatto: il parametro non è più solo il lavoro, ma anche le esigenze del lavoratore e di tutta la sua famiglia. Il prezzo del lavoro nella nostra società non è più determinato solo dalla qualità del lavoro, ma anche in rapporto alle esigenze medie di una famiglia media. Questo almeno in via teorica: naturalmente, sappiamo che non è sempre così. Tendenzialmente il principio costituzionale è quello, per cui la retribuzione deve essere tale da garantire un’esistenza libera e dignitosa al lavoratore e alla sua famiglia.La retribuzione “giusta e sufficiente” viene stabilita a livello sindacale con il contratto collettivo nazionale di categoria (nel’impiego privato, ad es. il contratto collettivo dei metalmeccanici) o di comparto (nell’impiego pubblico; ad es. il contratto del comparto sanità). Come vedremo il contratto nazionale di comparto o di categoria viene poi integrato a livello locale, o aziendale, dal contratto integrativo (o di secondo livello) che ha lo scopo di prevedere dei trattamenti economici integrativi calibrati su obbiettivi o sull’efficienza dell’azienda e del lavoro

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(come accade per il premio di risultato legato al raggiungimento di un certo risultato nell’anno: ad es. un certo fatturato o una certa produzione).Infine, è sempre possibile per le parti – lavoratore e datore di lavoro – prevedere trattamenti economici “ad personam” per premiare la particolare bravura del dipendente. Questi trattamenti “personali” non sono ammessi nel pubblico impiego.

ART. 36: La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi. Il lavoratore, dunque, non può essere costretto a lavorare senza limiti visto che la legge prevede una durata massima settimanale del lavoro (40 ore), spesso ritoccata in diminuzione dai contratti collettivi di lavoro (38 – 36 ore). Il superamento dell’orario “ordinario” (le 40 ore appunto) determina poi il diritto al compenso per lavoro straordinario. Al contempo se il dipendente lavora di notte o alla domenica ha diritto, rispettivamente, alla maggiorazione per lavoro notturno (la notte, per la legge, va dalle 22:00 alle 5:00 del mattino) o per lavoro festivo (oltre ad un giorno di riposo compensativo).Comunque, il dipendente ha diritto ad un riposo giornaliero non inferiore alle 11 ore.

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La lettura dell’art. 36 della costituzione testimonia come nel mondo del lavoro sia stato compiuto un percorso lunghissimo rispetto alla tutela del lavoratore e delle condizioni di lavoro.

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Peraltro, una prestazione di lavoro può essere realizzata “giuridicamente” in tanti modi, tant’è che la legge non prevede un solo tipo di disciplina, una solo tipo di rapporto di lavoro o meglio di rapporto tra due soggetti al cui centro vi sia una prestazione lavorativa, ma più tipologie di rapporti di lavoro.

Quella che a noi interessa maggiormente è quella del lavoro subordinato.Forme di lavoro possibili: Lavoro subordinato , la persona è coinvolta direttamente e totalmente. La definizione è data dall’Art. 2094 del Codice Civile secondo cui il lavoratore subordinato è colui che si impegna, verso una retribuzione, ad eseguire un’attività manuale o intellettuale sotto la direzione e alle dipendenze del datore di lavoro. La “direzione” si esplica nella previsione di un orario di lavoro, nella assegnazione dei compiti, nel predisporre una organizzazione di lavoro nella quale verrà inserito il dipendente che utilizzerà beni e strumenti predisposti dal datore. La “dipendenza” si è sottoposto al potere gerarchico del datore il quale detta le regole per l’esecuzione del lavoro e, si badi bene, quelle di comportamento durante il lavoro (ad. Es. indossare una divisa, recarsi al bagno solo dopo che un collega vi ha sostituito, non alzare la voce durante il lavoro o non scontrarsi con i colleghi e via dicendo).E’ prevista una retribuzione fissa (obbligazione del datore di lavoro) – nel senso che è predeterminata dai contratti collettivi di lavoro - e un’indennità in caso di malattia o di gravidanza o di infortunio.Il lavoratore si impegna a mettere a disposizione del datore le proprie energie lavorative: quella del lavoratore è un’obbligazione di mezzi in quanto, come detto, il dipendente si limita ad offrire il mezzo - la forza lavoro (manuale o intellettuale)

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- per raggiungere il fine prescelto dal datore di lavoro (la Piaggio coordina i suoi dipendenti per ottenere un certo tipo di scooter: i singoli dipendenti non si impegnano a realizzare lo scooter, ma solo a fornire le energie manuali o intellettuali affinchè l’azienda possa realizzare lo scooter). Il lavoratore subordinato, pertanto, adempie alla propria obbligazione, eseguendo con diligenza ed attenzione i compiti che il datore gli ha assegnato seguendone le direttive, indipendentemente dal risultato che i suo lavoro. Il dipendente deve dunque fare del suo meglio nell’eseguire il compito assegnatogli. Inoltre, il lavoratore subordinato ha l’obbligo di esclusiva nel senso che non può lavorare per un altro datore in concorrenza con il primo (obbligo di non concorrenza) e deve mantenere il riserbo su quanto apprenda nel corso del rapporto: il dipendente non può quindi rivelare a terzi informazioni sui metodi di lavoro, la produzione, le caratteristiche dell’impresa (obbligo di riservatezza)

2. Lavoro autonomo. Il lavoratore si impegna a compiere un’opera o un servizio verso un corrispettivo senza vincoli di subordinazione: non ha obblighi di orario, presenza e reperibilità, gli viene ordinato di fare qualcosa, non è importante come lo fa, ma che lo faccia. Per il lavoratore autonomo si parla, infatti,di obbligazione di risultato. Questo secondo tipo di lavoratore non ha obblighi di lavoro, di presenza, di reperibilità, di esclusività, non ha indennità di malattia. A lui viene solo ordinato di fare una certa cosa. Ad esempio al falegname viene ordinato un tavolo e lui è tenuto a dire solo quando il tavolo sarà pronto. Non ha nessuna importanza quando e quanto ci lavorerà, ciò che conta è che per la data stabilita sia pronto. Mentre il lavoratore dipendente non si

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impegna a fare una cosa, ma solo a mettere a disposizione le proprie energie lavorative, se stesso sostanzialmente - si parla infatti di ‘obbligazione di mezzi’ - l’obbligazione che si assume il lavoratore autonomo è ‘obbligazione di risultato’ perché si impegna ad offrire un risultato. Questa differenza dal punto di vista pratico si traduce in questo: se il falegname lavoratore dipendente lavora seriamente utilizzando il materiale fornitogli dal datore, seguendo le direttive date e fa un tavolo che non sta in piedi (magari perché era sbagliato il progetto iniziale) non gli si può dire nulla perché il suo obbligo era quello di effettuare il lavoro con diligenza ed attenzione: ha usato il materiale, gli strumenti, le direttive date se il tavolo è venuto male è perché c’è qualche problema. Il dipendente però ha ugualmente il diritto a percepire la propria retribuzione.

Se invece il tavolo viene male ad un lavoratore autonomo non ha importanza che abbia usato il materiale migliore, ma ciò che interessa è che il tavolo non va bene ed il compratore, di conseguenza, potrà rifiutare il pezzo e non pagare quanto previsto.

Questa è la differenza tra lavoratore autonomo e lavoratore dipendente: quest’ultimo si impegna, con diligenza, con serietà, a mettersi a disposizione del datore di lavoro e se quest’ultimo non lo fa lavorare la retribuzione la prende lo stesso. E’ onere del datore di lavoro farlo lavorare: una volta che si presenta al lavoro all’orario stabilito se il datore non gli fa fare nulla, ha ugualmente diritto ad essere pagato. Questo non avviene per il falegname libero professionista il quale si è impegnato fare il mobile per una certa data e se si è ammalato, o non ha trovato il legno o gli strumenti per farlo, è assolutamente indifferente perché si guarda

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al risultato e non all’impegno. Quindi al lavoratore subordinato si paga l’impegno al lavoratore autonomo si paga il risultato.

Tutto ciò si traduce in una regola fondamentale: sul lavoratore subordinato non grava mai il rischio d’impresa (egli infatti ha diritto alla retribuzione giusta e sufficiente comunque) che invece è caratteristico del lavoro autonomo (esempio: se il tavolo deve essere consegnato entro il 31 marzo e il lavoratore autonomo si ammala per venti giorni e non viene rispettata la scadenza, egli perde il diritto al corrispettivo).

COME SI COSTRUISCE IL RAPPORTO DI LAVORO.

Il rapporto di lavoro nasce in virtù di un contratto. Il contratto è un accordo, dice la legge, è lo scambio dei consensi che due (o più) persone si fanno per raggiungere un certo scopo di natura patrimoniale (art. 1321 c.c.).Lo si fa solo con il consenso senza necessità di forma scritta (forma libera ). Dal contratto nasce il rapporto, che è la relazione che si crea tra due soggetti. Tutti i rapporti di lavoro nascono in virtù di un contratto (anche il rapporto di lavoro autonomo ed ora anche quello all’interno delle pubbliche amministrazioni, prima non era così). Per concludere un contratto è sufficiente lo scambio dei consensi che può essere verbale oppure in forma scritta (il contratto con cui compro una casa altro non è che un consenso messo per iscritto).Se la mattina si compra un giornale si fa un contratto di compravendita. Se si sale su un autobus e si paga il biglietto si fa un contratto di trasporto. Se si dà un passaggio ad un amico si fa un contratto di trasporto gratuito. Se si dice al benzinaio di pulirci

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l’automobile è un contratto di servizio,. Se si affitta una casa si fa un contratto di locazione. Questo per capire che il contratto si fa solo con il consenso. Se si comincia a lavorare per una persona due ore al giorno per tutti giorni si fa un contratto di lavoro subordinato, non c’è bisogno di firmare la lettera di assunzione. C’è solo una serie di contratti che va fatta necessariamente in forma scritta: è il contratto di compravendita di beni immobili, tutti i contratti che riguardano beni immobili, case o terreni, se non sono in forma scritta non sono validi.

Nel contratto di lavoro vale la regola contraria, che poi è la regola generale perché vale nel nostro ordinamento giuridico: la regola della libertà della forma cioè un contratto tendenzialmente si può fare senza la necessità della forma scritta.

Quindi il contratto di lavoro è un contratto a forma libera. Dal contratto nasce il rapporto che è la relazione che si viene a creare tra due soggetti e nel caso del lavoro si chiama rapporto di lavoro.Si tratta di un rapporto bilaterale (cioè tra due persone) di natura obbligatoria perché nel momento in cui si fa il contratto di lavoro ci si impegna ad assolvere un’obbligazione che per il lavoratore sarà quella di lavorare e per il datore sarà quello di pagarlo affinché lavori. Ecco perché si chiama obbligatorio bilaterale: obbligatorio perché ha ad oggetto un’obbligazione reciproca e bilaterale perché è fra due persone. Inoltre, è sinallagmatico cioè le due obbligazioni trovano la loro ragione d’essere l’una nell’altra per cui se il datore non paga, il dipendente non lavora e se il dipendente non lavora, il datore non lo paga. L’importante è

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ricordare che: il rapporto di lavoro è bilaterale a carattere obbligatorio.

Naturalmente le obbligazioni principali che si assumono nel rapporto di lavoro sono quelle aventi ad oggetto, rispettivamente, la prestazione di lavoro e il pagamento della retribuzione. Accanto a queste, che sono le cc.dd. obbligazioni principali, si accompagnano ulteriori obblighi detti accessori o complementari: ad esempio per un calciatore l’obbligazione principale è giocare a calcio verso il pagamento del contratto, alla quale si accompagnano, però, un’obbligazione di effettuare costantemente gli allenamento, di evitare attività pericolose, di evitare comportamenti contrari all’etica sportiva ecc. ecc.Questi si chiamano obblighi accessori o complementari nel senso che accompagnano l’obbligazione principale per far sì che questa stessa possa aver corso.

Anche il datore di lavoro ha obblighi complementari come per esempio quello di consentire al lavoratore di lavorare in un ambiente sano. La L. n°626/94 sulla sicurezza del luogo di lavoro (così come già nel Codice del ’42, l’Art. 2087) impegna il datore di lavoro a preservare la dignità morale e fisica del lavoratore. La suddetta legge ha specificato molto gli obblighi di sicurezza, recependo una serie di direttive comunitarie. Questo altro non è che un obbligo accessorio del datore di lavoro cioè è vero che primariamente deve pagare il dipendente, ma non deve certo farlo morire mentre lavora, quindi dovrà far sì che l’ambiente dentro cui lavora, sia un ambiente sano.

Altro obbligo che il datore di lavoro ha con il lavoratore è quello di pagargli i contributi previdenziali: un obbligo che sorge nei confronti dell’istituto previdenziale che nel caso del lavoro

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pubblico è l’INPDAP e nel caso del lavoro privato è l’INPS. Questo serve a garantire al lavoratore in difficoltà una serie di prestazioni: la malattia, la gravidanza, la pensione, ecc. La prima forma di tutela contro gli infortuni sul lavoro fu predisposta nel 1889 e prevedeva un’assicurazione privata a carico del datore di lavoro. In precedenza, non essendoci alcuna forma di tutela poteva accadere che, in caso di infortunio, una persona perdesse il lavoro, ad esempio una madre che si trovava in gravidanza perdeva il posto di lavoro perché non c’era utilità a farla lavorare. Considerato poi l’uso massiccio di bambini, i primi movimenti di attenzione sociale alla cosa furono legati al fatto che gli infortuni sul lavoro dei bambini erano frequentissimi e quindi era assolutamente generalizzato il problema della gioventù invalida... Nell’epoca fascista questa assicurazione divenne obbligatoria. Ma quest’innovazione servì a poco perché essendo di tipo privato, la stessa “copriva” l’infortunato a patto e condizione che il datore di lavoro avesse pagato il relativo premio e dato che poteva accadere che l’assicuratore non pagasse, magari perché falliva, in quel caso accadeva che il lavoratore infortunato non aveva diritto a nessuna forma di tutela. Solo con il fascismo sono state elaborate le prime forme di tutela obbligatoria e garantite soprattutto anche in caso di mancato pagamento dei contributi, regola che oggi si è ormai generalizzata per quanto riguarda determinate prestazioni per le quali vale la regola della c.d. automaticità delle prestazioni previdenziali (per esempio in caso di infortunio).Per questa regola, in pratica, anche se il datore non ha pagato i contributi previdenziali, l’ente previdenziale eroga ugualmente il trattamento previsto.

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Come detto all’inizio, il rapporto di lavoro subordinato si caratterizza per uno squilibrio tra le parti: il lavoratore con quello che trae dal lavoro deve viverci, il datore di lavoro deve assumere su di sé l’obbligo che il lavoratore viva in un ambiente sereno. Il rapporto di lavoro subordinato è l’unico rapporto dove una delle due parti può dire all’altra come vestirsi, oppure può imporre la perquisizione all’uscita dal lavoro. Infatti, la tutela sul lavoro è importante: essendo il potere che ha il datore sul lavoratore molto forte. Al lavoratore viene detto a che ora entrare e uscire, deve chiedere il permesso per andare in bagno. Il rapporto subordinato è un rapporto che coinvolge la persona totalmente anche sotto il profilo della dignità personale. Una persona nel lavoro, passandoci la maggiorparte del tempo e investendoci molto, dovrebbe trarre dal lavoro una delle maggiori fonti di soddisfazione. Ed essendo nel rapporto di lavoro coinvolta la persona in tutte le sue manifestazioni (perché se si lavora male si sta male) esiste la norma sulla tutela della dignità morale oltre che fisica del lavoratore. Il datore di lavoro, in atre parole, deve assumere su di se l’obbligo di far sì che il lavoratore operi in un ambiente sereno e qui si può far riferimento ai cosiddetti casi di mobbing.

MOBBING

Il termine mobbing deriva dal verbo inglese to mob che vuol dire isolare. E’ un comportamento che è stato studiato nelle specie animali, etologia (è la disciplina che studia il comportamento degli animali. Dal greco ethos che significa costume) Certe specie animali, ad un certo punto, cominciano ad isolare un membro del branco, cacciandolo fuori, è quello che accade ad esempio agli uccellini in un nido quando si rendono conto che il cibo non è sufficiente. Trasportato nell’ambiente del lavoro questo

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comportamento si traduce in una serie di comportamenti che hanno proprio questo scopo: isolare la persona. Questi comportamenti possono consistere nella privazione del lavoro, per cui un tipico esempio di comportamento mobizzante è la totale privazione di mansioni. Un altro comportamento mobizzante può essere quello del continuo rimbecco cioè l’atteggiamento pignolo, il richiamare il lavoratore per qualsiasi cosa che lui faccia, non va mai bene niente, questo si fa per creare pressione. L’effetto del mobbing è la pressione psicologica del destinatario il più delle volte per indurlo a dare le dimissioni. Il vero mobbing non è frequentissimo: molte persone scambiano il mobbing per comportamenti che magari sono unicamente maleducati. Oppure capita che persone dicano di essere mobizzate, ma in realtà sono loro a mobizzare gli altri. Altro esempio di comportamento mobizzante è quello delle molestie sessuali oppure molestie sessuali a seguito di offerte che non erano moleste, ma che a fronte di un rifiuto diventano tali. Attenzione il confine tra le molestie e l’atteggiamento corteggiatorio è spesso abbastanza sottile. La legge considera comportamento molesto tutto ciò che non è accettato o non gradito dal destinatario. Per cui la battuta o anche la gentilezza può diventare atteggiamento molesto nel momento in cui non è gradito da chi lo riceve. Il mobbing può essere di due tipi: Mobbing verticale. Lo fa il datore di lavoro o il superiore gerarchico. E’ il più semplice perché solitamente si crea solidarietà tra i colleghi. Mobbing orizzontale. E’ fatto dai colleghi . E’ il più tremendo, un esempio tipico è quando tutti cominciano a dire che l’elemento in questione porta sfortuna. Ci sono persone che si sono ammalate per questa cosa.

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Il mobbing espone sempre il datore di lavoro ad una responsabilità contrattuale visto che risulta violata una delle obbligazioni accessorie di cui parlavano in precedenza: quella di salvaguardare le dignità morale e l’integrità fisica del lavoratore.Quando scatta l’obbligo di intervento del datore di lavoro? Ovviamente se è lui che lo fa, mai. Se invece il comportamento mobizzante è dei colleghi, dovrebbe intervenire non appena ne viene a conoscenza. Se non interviene egli risponde di risarcimento del danno nei confronti del dipendente. I risarcimenti del mobbing a volte sono cospicui soprattutto perché l’effetto del mobbing è la destabilizzazione psicologica, addirittura a volte psichiatrica, del malcapitato che lo subisce.

LICENZIAMENTO

Il rapporto di lavoro subordinato è un rapporto giuridico squilibrato, perchè abbiamo detto una delle due parti è molto più debole dell’altra. La cosa che teme di più un lavoratore è il licenziamento. Il Codice Civile del 1942 prevedeva che ognuna delle due parti potesse recedere dal rapporto rispettando semplicemente un preavviso. Quindi l’unica tutela prevista era che chi decideva di risolvere la cosa doveva dare all’altra parte semplicemente un preavviso. Il motivo del licenziamento era irrilevante. La prima forma di tutela contro il licenziamento fu la L. n°604/66 che introdusse il giusto licenziamento secondo cui un lavoratore può essere licenziato esclusivamente o per inadempienza agli obblighi lavorativi (ad esempio non presentarsi al lavoro o assentarsi senza dare motivazioni, picchiarsi nel luogo di lavoro, aggredire fisicamente il dirigente,...) o per ragioni tecniche, produttive o legate all’organizzazione del lavoro ed al suo corretto funzionamento (art. 3, L. n. 604/1966), cioè legate all’azienda (ad

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esempio se un avvocato decide di chiudere la sua attività, dovrà licenziare la segretaria.) La tutela che il lavoratore ha, consiste in che cosa succede se si scopre che il motivo del giusto licenziamento non è vero, non è valido, non può essere supportato. L’Art. 3 della suddetta diceva che per licenziare è necessario un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali.

Obblighi contrattuali del lavoratore: Obbligo di diligenza.( Art. 2104 CC ) il lavoratore deve lavorare secondo diligenza e seguire gli obblighi che il datore di lavoro impartisce cioè in altre parole se il datore di lavoro mi ordina di fare certe cose io devo farle al meglio. Obbligo di fedeltà ( Art. 2105 CC ) il lavoratore è tenuto alla riservatezza su quello che apprende all’interno del luogo di lavoro, non lo deve divulgare. Obbligo di non concorrenza ( Art. 2105 CC ) il lavoratore non può svolgere un’attività in concorrenza con il proprio datore di lavoro, ad esempio se lavora ad una carrozzeria e nel tempo libero si mette a fare il carrozziere privatamente svolge un’attività in concorrenza.

Nell’impiego pubblico questo raggiunge dei livelli eclatanti perché alle dipendenze della pubblica amministrazione l’obbligo di fedeltà è ancora più esteso, ma di questo parleremo più avanti, per ora parliamo di rapporto di lavoro privato. Abbiamo visto che la legge dice che per licenziare deve esserci un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali: questo ci fa capire che non un qualsiasi inadempimento è rilevante, ma soltanto quello notevole, per cui se una persona, ad esempio, compie un gesto di maleducazione magari si prenderà un richiamo verbale, ma non certamente verrà licenziato. Ciò che

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rende forte una tutela non è la tutela in se’, ma la sanzione che segue al fatto che quella tutela diventi operativa. Ad esempio se io dico: “Il lavoratore dipendente può essere licenziato solo in caso di inadempimento. Se si scopre che non c’è stato inadempimento il lavoratore ha diritto a cento lire.” Capite bene che al datore non gli interessa, preferisce spendere 100 L e liberarsi del lavoratore. Questo per introdurvi il famoso problema del reintegro (Art. 18 dello Statuto dei Lavoratori) cerchiamo di capire cosa c’è dietro il reintegro, il cui vero nome sarebbe reintegra.

REINTEGRA

La L. n°604/66 prevedeva questo tipo di sanzione e cioè che laddove il giudice verificava che il motivo di licenziamento non era valido dava al datore di lavoro due possibilità: o riassumere il lavoratore o dargli un’indennità economica variabile tra 2,5 e 6 mensilità di retribuzione.

Visto che in nessun caso il datore è disposto a riassumere il dipendente, la tutela si sostanzia in un importo economico.

Ovviamente questo non bastava, era necessaria una tutela più forte che fu introdotta con la L. n° 300/1970 (nota come Statuto dei Lavoratori ) che, all’Art. 18, prevede che se il licenziamento è illegittimo occorre reintegrare il lavoratore nel proprio posto di lavoro7. Fin qui è già una tutela notevole.

Tuttavia il diritto alla reintegra non è l’unica tutela accordata al lavoratore.

7 La tutela dell’Art. 18 si applica quando un’impresa ha più di 15 dipendenti in un’unità produttiva o più di 60 sul territorio nazionale o più di 15 all’interno del Comune.

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In caso di dichiarata illegittimità del licenziamento, infatti, il lavoratore ha anche diritto al risarcimento del danno parametrato su un’indennità pari a tutte le retribuzioni perse dal momento del licenziamento fino alla effettiva reintegra in servizio. Dato che un processo di lavoro dura dai tre ai cinque anni, il lavoratore reintegrato avrà risarciti 5 anni di retribuzione, più i contributi, più la reintegra in servizio.

Non solo, se nel frattempo il lavoratore avesse deciso di cambiare lavoro, ha diritto ad un’indennità sostitutiva della reintegra pari a circa 15 mensilità.

Facendo i conti sono circa 2000 є per ogni mese con uno stipendio medio.

L’Art. 18 dice questo: c’è una doppia tutela una reintegratoria (che prevede che il lavoratore ha diritto ad essere rimesso in servizio nel posto di lavoro in precedenza occupato; se non vuole essere reintegrato, il dipendente ha diritto a 15 mensilità, più a tutte le retribuzioni perse, più il TFR, tredicesima, quattordicesima, ecc) e una pecuniaria.Da notare che la strada che è stata fatta non è poca, il lavoratore ha una serie di diritti notevoli(anche se magari non è facile diventare lavoratore). Infatti la tutela del lavoratore avviene in tre fasi: prima, durante e dopo la fine del rapporto di lavoro.

FORME DI TUTELA DEL LAVORATORE.

1. Tutela in entrata = è la tutela che scatta in vista dell’assunzione del lavoratore. Si tratta di una tutela medica (visite preassuntive), oppure calibrata sulle caratteristiche dei lavoratori (lavoratori portatori di handicap – assunzioni

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obbligatorie), oppure ancora relativa al tipo di contratto da stipulare (in origine, ad esempio.2. Tutela durante l’esecuzione del rapporto = è la tutela per esempio contro i trasferimenti o per i cambi di mansioni, nei confronti di un collega o un dirigente che assume comportamenti mobizzanti.3. Tutela in uscita = è la tutela contro il licenziamento. La vera tutela è solo quella dell’Art.18. Quindi la tutela vera contro il licenziamento e indubbiamente una tutela reintegrativa come quella dell’Art.18.

*

Nell’impiego privato si realizza il c.d. “conflitto di classe” cioè vi è una contrapposizione secca tra capitale (datore) e lavoratore. Questo perchè meno il datore paga il suo lavoratore e più guadagna. Il capitale ha tutto l’interesse a far lavorare di più il lavoratore e pagarlo il meno possibile. Da qui lo scontro di classe tra lavoratori e datori che ha caratterizzato le teorie socialiste. Pensate che nell’800 quando c’era il regime liberale, c’erano degli studiosi di economia che sostenevano che era pericolosissimo concedere al lavoratore qualcosa in più rispetto al costo reale del lavoro, quello stabilito dall’incontro tra domanda e offerta e che abbiamo detto essere estremamente basso. Era pericolosissimo perchè pagando di più i lavoratori, questi stavano meglio, magari facevano più figli e si trovavano in uno stato di bisogno. Quindi era preferibile pagarli il meno possibile. Queste erano teorie di economisti a cui se ne contrapponevano altre. Ad esempio Adam Smith( 1723-1790), grande economista scozzese, sosteneva invece che la disponibilità economica nella popolazione faccia si che la popolazione spenda e quindi crei quel meccanismo virtuoso che migliora la condizione economica generale.

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Sostanzialmente il principio è sempre quello: più soldi ha la gente più spende meglio funzionano le aziende e quindi si crea un meccanismo virtuoso per cui se l’azienda funziona meglio è disposta a pagare di più. Questo è molto teorico. .

Nell’impiego privato c’è sempre stata questa lotta cioè le posizioni erano inconciliabili al punto che quando si è cercato di mettere insieme capitale e lavoro attraverso strumenti come le cooperative è accaduto spesso che i dirigenti delle cooperative siano diventati “di fatto” datori di lavoro e quindi si sia ricreata la contrapposizione tra soci-lavoratori e soci-amministratori.

Tutto questo nell’impiego pubblico non accade almeno in via teorica. Non c’è mai contrapposizione tra capitale e lavoratori, perché la pubblica amministrazione, per definizione, persegue l’interesse pubblico. Lo Stato individua degli scopi (proteggere, curare, assistere) per perseguire i quali si dà delle istituzioni: il Ministero della sanità per tutelare la salute dei cittadini, il Ministero della scuola per tutelare l’istruzione, il Ministero del lavoro per tutelare i lavoratori, ecc. La pubblica amministrazione è un’istituzione pensata per perseguire uno scopo pubblico quindi per definizione uno scopo positivo, degno di rispetto, assolutamente sottoscrivibile, che non si può contrapporre agli interessi dei lavoratori. Quindi, teoricamente, nell’impiego pubblico non dovrebbe esserci la contrapposizione tra le due classi – padroni vs. lavoratori - perché si dovrebbe andare nella stessa direzione: il Ministero non guadagna di più se risparmia sul lavoro perchè il suo scopo non è quello di guadagnare. Nella pubblica amministrazione manca infatti lo scopo del profitto che invece è alla base dell’imprenditore privato. Dato che si riteneva che nel pubblico

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impiego non ci fosse la contrapposizione tra le due parti del rapporto, non vi erano previsti i sindacati.

La nascita di coalizioni di lavoratori (sindacati) nasce proprio dalla necessità di tutelare i lavoratori privati. Le prime esperienze di sindacati nell’impiego pubblico ci furono dalla fine degli anni sessanta, mentre le prime nel settore privato risalgono al 1840.

PERCHÈ SI FORMANO I SINDACATI

Oggi gli economisti che valutano l’economia globale dicono che ora siamo tutti svantaggiati per via della concorrenza della Cina e dell’India, ma dicono anche che nel lungo periodo probabilmente il sistema cinese e quello indiano produrranno al suo interno gli stessi ‘anticorpi’ che produsse all’epoca il sistema capitalistico occidentale. Arriva un punto in cui i lavoratori tendono a coalizzarsi per il famoso principio l’unione fa la forza. Infatti se un solo lavoratore si astenesse dal lavoro per rivendicare un trattamento migliore il datore lo licenzierebbe, ma se non lavora nessuno dei dipendenti il danno fatto al datore è incalcolabile ed egli è “portato” a concedere qualcosa ai dipendenti pur di evitare l’astensione collettiva cioè lo sciopero. Quindi la tendenza alla coalizione è una tendenza naturale del mondo del lavoro, in quanto il lavoratore da solo davanti al datore non ha speranza di contrapporsi, è troppo debole, ma laddove si unisce agli altri lavoratori creando il sindacato la contrapposizione diventa quasi paritaria in quanto il sindacato può, indicendo uno sciopero, ledere la capacità di guadagno dell’imprenditore – datore di lavoro

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Nel sistema liberista i sindacati erano vietati ed era vietato lo sciopero (lo sciopero era addirittura un reato), tant’è che nel 1880 gli scioperi degli operai a Milano furono soppressi dai bersaglieri del generale Bava Beccaris che sparò con il cannone a mitraglia facendo strage tra gli operai scioperanti. Il primo sciopero della storia fu fatto a Firenze: ‘il tumulto dei Ciompi’. I ciompi erano i lanaioli, gli operai dell’arte della lana, i quali ad un certo punto, vivendo in condizioni talmente disperate da non riuscire quasi a sopravvivere, decisero di scioperare. Questo mise in crisi Firenze. Ma i fiorentini, che erano gente pratica, fecero sì che la manifestazione fosse incanalata verso Piazza della Signoria dopo di che chiusero le uscite e li massacrarono tutti. E così risolsero il problema……

Analoghe cose sono avvenute nell’Inghilterra del 1800, in Francia e anche in America fino agli anni ’50 quando l’alleato del padrone era la polizia essendo lo sciopero considerato un reato8. Abbiamo detto che nel sistema liberista il costo del lavoro era determinato dall’incontro tra la domanda e l’offerta. Tutti i prezzi venivano determinati così. Lo sciopero è fatto con lo scopo di alzare il costo del lavoro, la retribuzione, ma se aumenta il costo del lavoro automaticamente si alzerà il costo della merce che quel lavoro produce e ciò determinerà l’aumento del costo della materia prima usata per produrre quella merce. Insomma si creava un disequilibrio del sistema. Il sistema entrava in tilt. Da qui l’idea che lo sciopero fosse un reato. Quello che oggi per noi è uno strumento di lotta assolutamente normale e quotidiano, in quella società era addirittura considerato un reato. Considerate che era una società in cui il parametro di valore per giudicare una persona era normalmente il censo, cioè la capacità patrimoniale

8 Un’immagine non troppo edificante delle lotte sindacali in america è offerta dal film di Sergio Leone “C’era una volta in america”.

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del soggetto, Più soldi si aveva e più si aveva diritto al riguardo ed alla considerazione sociale. Nell’ambito di una controversia di lavoro se non si riusciva a trovare la prova che scagionasse uno dei due, e si creava quindi una situazione d’empasse (che oggi determinerebbe la reiezione della domanda da parte del giudice: senza prove la domanda viene respinta), nel sistema liberista portava a dare ragione al datore di lavoro, perchè essendo un imprenditore e tendenzialmente ricco, era persona di più affidabile e degna d considerazione del (povero) lavoratore. (Considerate che nel sistema liberista tutte le cariche pubbliche erano gratuite, cioè senza una retribuzione. Questo comportava che gli unici che potevano permettersi di stare cinque anni al governo erano i possidenti o i nobili).

L’evoluzione successiva fu il considerare lo sciopero come una mera libertà. Detto così sembrerebbe un bene. Ma se dico che un comportamento è espressione di una libertà dico che quel comportamento non può essere sanzionato penalmente, non è proibito da nessuna legge penale dello stato, che è quella che tutela gli interessi essenziali dello stato. Ma ciò non tutela certo il cittadino sul piano civile.

Facciamo un esempio: nella società dell’800 non pagare i debiti era un reato (chi non li pagava andava in galera), oggi è una libertà. Sempre Dickens ha scritto un romanzo molto bello “ Little Dorrit” che è la storia di una bambina che cresce in carcere perchè qui si trovava il padre indebitato. Oggi chi non paga un debito non va in galera, questo non significa che però che venga tutelato, infatti, se io non pago i debiti in galera non ci vado ma mi pignorano la casa e me la vendono all’astaDire che un certo comportamento è espressione di una libertà, dunque, tutela solo nella prospettiva penale: vuol dire cioè che

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quel comportamento non lede alcun interesse tutelato penalmente.

Ma nella prospettiva del diritto civile, il diritto cioè che disciplina il rapporto tra privati, una libertà deve essere qualificata secondo le regole giuridiche.

Ad esempio, se io firmo un contratto con cui mi impegno a vendere la mia casa e poi non lo faccio (perché io sono “libero” di cambiare idea), pongo in essere un comportamento che il codice civile considera “inadempimento” e per il quale prevede la sanzione civile del risarcimento dei danni e consente l’intervento di un giudice che mi obbliga con una sentenza a vendere la casa anche se io ho cambiato idea.

Dire che lo sciopero è una libertà comporta – sul piano civile conseguenze analoghe.

Non andare al lavoro, infatti, costituisce al contempo manifestazione di una libertà ma anche mancato adempimento dell’obbligazione principale del lavoratore: quella di lavorare

Definire lo sciopero come mera libertà, pertanto, non offriva alcuna tutela sul piano del rapporto di lavoro. Il lavoratore era libero di fare sciopero, non avrebbe più commesso un reato, ma sul piano del rapporto di lavoro realizzava un inadempimento. Infatti abbiamo detto che i primi obblighi nel rapporto di lavoro subordinato per il dipendente sono di mettersi a disposizione del datore di lavoro con diligenza e seguirne le direttive. Essendo una mera libertà la sciopera non trovava alcuna forma di legittimazione o tutela e finiva per integrare un inadempimento dell’obbligo di lavoro.

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Per giunta, vi era anche chi sosteneva che non andare a lavorare per fare sciopero costituiva in concreto una manifestazione della volontà di voler interrompere il rapporto. Quindi esattamente il contrario dello scopo dello sciopero che invece è proprio quello di migliorare le condizioni del lavoro. Oggi invece c’è una norma costituzionale: ART 40 COSTITUZIONE:Lo sciopero è un diritto che si esercita nei limiti delle leggi che lo disciplinano.Lo sciopero diritto significa che il lavoratore può scioperare ed è impossibile che per quel fatto possa subire una qualsiasi sanzione sia sul piano penale che civile. Lo sciopero come mera libertà invece significava che non poteva costituire illecito penale, non esistendo una norma che dicesse che lo sciopero era un crimine, ma poteva costituire un illecito civile. Da ogni nostro comportamento possono seguire varie conseguenze. Ad esempio se si dà un pugno ad una persona si compie due tipi di illeciti. Uno penale, in quanto la legge penale dice che non si può offendere l’integrità fisica altrui e prevede che tale comportamento costituisca un reato che si chiama lesione. Ma contemporaneamente al reato, l’aver colpito un’altra persona, magari procurandole una lesione alla salute, costituisce anche un illecito civile (ex art. 2043 c.c.) e comporta l’obbligo di risarcire il danno procurato. Quindi, per un comportamento si hanno in questo caso due conseguenze. Se un dirigente sanitario ruba fa due illeciti: uno penale, perché compie un reato che si chiama peculato appropriandosi di denaro dell’amministrazione, e uno civile perchè si rende inadempiente dell’obbligo di lavorare secondo diligenza, in quanto rubare non è certo un comportamento diligente.

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Quando parleremo dei procedimenti disciplinari nel pubblico impiego scopriremo che c’è una stretta correlazione tra procedimento disciplinare e procedimento penale al punto che l’uno, quello penale, può influenzare l’altro, determinandone la sospensione.

Dire che lo sciopero è una mera libertà, pertanto, metteva al sicuro sul piano penale in quanto non esisteva una norma che diceva che lo scioperare era crimine, ma non metteva al sicuro sul piano civile perchè come minimo era un inadempimento alla prestazione lavorativa. L’Art. 40 della Costituzione ha totalmente superato questa situazione riconoscendo lo sciopero come diritto.

Iter legislativo italiano dello sciopero:

1800 sciopero reato1865 sciopero libertà1940 sciopero reato (periodo fascista si è fatto un passo indietro, perché si riteneva che l’interesse dei lavoratori fosse comunque subordinato al “superiore interesse dell’economia nazionale: lo sciopero procurava una lesione all’economia nazionale: I conflitti sindacali, pertanto, venivano risolti dalla magistratura del lavoro) 1948 sciopero diritto (Costituzione)

SINDACATO

Il sindacato all’origine era vietato. Nell’illuministica rivoluzione francese (i cui principi fondamentali erano: liberté, egualité, fraternité) fu introdotta la legge “Les Chapelier” che addirittura

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incriminava l’associazionismo sindacale. Fare un sindacato era reato, perchè nella rivoluzione francese si contestava la possibilità che nei rapporti tra individuo e Stato si frapponessero delle istanze intermedie: si creassero cioè degli interessi intermedi capace di creare una comunione di scopi contraria al bene collettivo.E’ quello che accade oggi per certe lobbies le quali, per il proprio tornaconto, perseguono finalità che possono anche contrastare con quelle dello Stato e degli altri cittadini.Lo stesso accadeva in Inghilterra, come dicevamo prima, così come lo sciopero anche l’associazionismo sindacale era un reato. Le prime associazioni sindacali si sono sviluppate nella seconda metà del secolo diciannovesimo (1800). L’ordinamento fascista aveva una legge del 1926 che garantiva la libertà all’associazione sindacale, era uno dei principi fondamentali dell’economia fascista, ma il sindacato doveva essere unico, uno per i lavoratori ed uno per i datori, e a capo dovevano esserci personaggi di comprovata fede fascista. La libertà sindacale, dunque, era soltanto apparente.

La libertà sindacale è oggi espressamente riconosciuta e tutelate dall’art. 39 della costituzione.

ART 39 COSTITUZIONE:L’organizzazione sindacale è libera.

Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.

E’ condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica.

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I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.

L’Art 14 dello Statuto dei Lavoratori ha poi specificato cosa si intende per libertà dell’associazione sindacale. Innanzi tutto vuol dire che chiunque si può organizzare in sindacati, ma soprattutto dice anche un’altra cosa: riconosce la libertà sindacale vale sia in senso positivo che in senso negativo: ogni persona è libera non soltanto di dar vita ad un sindacato, ma anche di scegliere se aderirvi o meno. Questo perché nelle prime esperienze sindacali, quando il sindacato cominciò ad acquistare potere nei confronti del datore, finirono per realizzarsi della situazioni paradossali: il datore di lavoro, per tenersi buono il sindacato, garantiva agli iscritti al sindacato trattamenti più favorevoli. Vennero previste le cc.dd. clausole di “Closed shop” in virtù delle quali chi era iscritto al sindacato aveva accesso la lavoro o a trattamenti comunque più favorevoli9.

Questa è una lesione alla libertà dei lavoratori, pari al divieto all’associazionismo sindacale. In altre parole, in certi sistemi, l’esperienza dei Cobas non avrebbe mai potuto esser fatta poiché un associazionismo sindacale estraneo – se non addirittura contrario - a quello riconosciuto (CGIL _ CISL _ UIL) non era ammesso. Quindi l’organizzazione sindacale è libera significa che: innanzi tutto vi è libertà di organizzazione, in secondo luogo che il fine

9 Situazioni simili si sono realizzate nel nostro Paese nel secondo dopoguerra, dopo l’uscita dalla CGIL della CISL e poi della UIL. I padroni, spesso, cercavano di favorire la CISL (centrista) a scapito della CGIL (di area comunista).

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sindacale è riconosciuto dalla Costituzione, per cui non ci potrà mai essere una legge che consideri illecita l’attività sindacale. La norma dice che l’adesione sindacale è libera. Il termine organizzazione vuol dire che sono libero di organizzarmi come credo: associazione non riconosciuta, comitato,ecc. E poi aggiunge l’aggettivo qualificativo sindacale: pone il fine sindacale al riparo da eventuali attentati da parte di chiunque. L’Art. 14 dello Statuto dei Lavoratori ha poi specificato questa libertà dicendo che una persona è libera di aderire e di non aderire, fare opera di proselitismo ecc. LE FORME DI LIBERTÀ.Esiste una libertà attiva e passiva, negativa e positiva, (libertà di aderire o non aderire, partecipare o non partecipare.)

2°Lezione 18/11/05

CONTRATTI DI LAVORO SPECIALI

L’orario di lavoro ordinario è stato disciplinato da una legge (D. regio del 1923 e poi D. Leg.vo n. 66/2001) che stabilisce che l’orario ordinario settimanale è di 40 h; tutto ciò che va oltre è considerato lavoro straordinario. Successivamente è stata necessaria un’integrazione attraverso altre norme per evitare ad esempio, di lavorare un giorno per 6 ore ed un altro 10 ore fare un tot di 40ore settimanali e non avere riconosciuto alcuno straordinario. Per questo motivo il Contratto Collettivo inserisce l’orario ordinario quotidiano che è di 8 h.L’orario di lavoro può essere calcolato non solo a settimane, ma anche a periodi più lunghi (fino a 6 mesi o 12 mesi secondo l’accordo stabilito dai sindacati relativamente a certi tipi di

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attività). Non ci si basa su di una settimana, ma su multipli di una sett: 4, 24, o addirittura 52 settimane (contratto annuale) e poi viene fatta la media; si chiama orario multiperiodale e si può fare solo se definito dal contratto collettivo di lavoro.

Il lavoro subordinato è di regola a tempo pieno e indeterminato, sulla base di questo si sono sviluppati contratti speciali di lavoro: part-time, a termine e interinale.

CONTRATTO PART-TIME

Il contratto part-time prevede una diminuzione dell’orario ordinario di lavoro, e può essere part-time orizzontale (si lavora tutti i giorni un certo numero di ore ad esempio per 4 ore al giorno tutti i giorni = Part-time al 50%) o part-time verticale (si lavora alcuni giorni interi in una settimana, alcune settimane intere nel mese o alcuni mesi interi nell’anno). Il part-time, molto frequente nel pubblico impiego, è stato disciplinato con la L.finanziaria n° 662/96 che ha previsto per il pubblico impiego una serie di regole assolutamente sconosciute nell’impiego privato. Qui cominciamo a vedere se la privatizzazione del pubblico impiego è reale o quantomeno se significa assimilazione del pubblico impiego all’impiego privato. Nel privato per fare un part-time le parti devono essere entrambe d’accordo all’inizio del rapporto di lavoro nel caso in cui l’assunzione sia da subito a tempo parziale, ma soprattutto se la proposta di passaggio (che può essere fatta da parte del datore o del lavoratore) avviene durante il rapporto di lavoro: in questo caso si ha una modifica del rapporto di lavoro che abbiamo detto essere l’accordo, il consenso reciproco, ad instaurare un rapporto lavorativo. Il contratto si stipula, si modifica e si estingue con il consenso reciproco a meno che la legge non preveda

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diversamente in quanto il contratto ha efficacia di legge tra le parti: per i due contraenti ha valore di legge e, in caso di mancato adempimento, può essere fatto valere davanti alla magistratura. Nel pubblico impiego, invece, la modifica dell’orario di lavoro verso un rapporto part-time era un diritto del lavoratore e nel caso in cui il dipendente avesse manifestato la volontà di avvalersene la pubblica amministrazione non poteva opporsi. Era un c.d. diritto potestativo = se esercitato non consente opposizioni: chi lo subisce non può far niente per arrestare l’esercizio di tale diritto. La L n° 662/96 aveva previsto che nel pubblico impiego la richiesta di part-time equivalga all’esercizio di un diritto potestativo, la pubblica amministrazione può soltanto rinviarla per un massimo di sei mesi.

Tale regola è cambiata nel 2008: si è tornati all’impostazione “volontaristica”, nel senso cioè che il passaggio dal part-time è subordinato ad una valutazione discrezionale della pubblica amministrazione la quale può anche negare il passaggio, laddove sussistano ragioni oggettive di servizio.

Nei contratti di pubblico impiego sono stabiliti dei limiti di contingenza: ad esempio è stabilito che il part-time pubblico non possa essere inferiore al 30%. Virga afferma che chi viene assunto a part-time ha diritto a passare a full-time dopo 3 anni dall’assunzione (anche se a me risulta dopo due anni); nel privato se hai un contratto part-time non hai “diritto” di passare a full-time perché comunque deve esserci l’accordo del datore di lavoro. Ovviamente tutti i diritti patrimoniali giuridici sono proporzionalmente ridotti: chi lavora part-time ha una

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retribuzione minore, ferie proporzionate alla percentuale di lavoro ed è vietato il ricorso sistematico al lavoro supplementare. Nel full-time se supero le ore di lavoro ordinario si parla di lavoro straordinario nel part-time si chiama lavoro supplementare ed è pagato più dello straordinario. Questo perché si riteneva che il costo nel lavoro pubblico fosse eccessivo e altresì che tanti pubblici dipendenti facessero un doppio lavoro e quindi che integrassero con lavori al nero. Lo stato ha permesso ai dipendenti pubblici di poter ricorrere al part-time così da avere meno spese e formalizzare in qualche modo questa situazione in quanto chi svolge part-time con retribuzione inferiore al 50% può svolgere altra attività, ulteriormente a quella che svolge nella pubblica amministrazione, purché non sia con un’altra pubblica amministrazione o per un datore in concorrenza. Quando si richiede il passaggio da full-time a part-time occorre comunicare all’amministrazione se si svolge altra attività, l’amministrazione potrà valutare se sia o meno compatibile con l’impiego pubblico. Laddove sia riconosciuta incompatibile viene vietata e laddove sia trovato il lavoratore a compiere qualcosa di non permesso la legge prevede espressamente il licenziamento per giusta causa quindi immediato (non è sanzione disciplinare prevista dal Contratto Collettivo, ma proprio sanzione di legge). Questo perché il lavoro per un ente pubblico ha cinque caratteristiche fondamentali: 1. E’ alle dipendenze di un ente pubblico2. La prestazione di lavoro è finalizzata, complementare e funzionale ai fini istituzionali dell’ente (ad esempio l’infermiere esegue un’attività finalizzata alla tutela della salute: la tutela della salute dei cittadini è il “fine” istituzionale della sanità) 3. E’ esclusivo (se il lavoro è a tempo pieno): il dipendente pubblico non può svolgere un’altra attività in quanto deve mettere le proprie energie lavorative “esclusivamente” a disposizione

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dell’ente di appartenenza. Il dipendente di un ente pubblico non può svolgere altri tipi di lavoro autonomo; non può eseguire libera professione se non autorizzato dal datore di lavoro. Lo svolgimento di un altro lavoro se non autorizzato può costituire giusta causa del recesso del contratto di lavoro. 4. E’ continuativo: il rapporto di lavoro si svolge in un arco temporale solitamente lungo. Per esempio il rapporto di lavoro a tempo indeterminato.5. Ha una retribuzione predeterminata: il pubblico dipendente viene retribuito con un totale annuo, stabilito da contratto, anticipato in rate mensili (13 o 14 rate) mentre il lavoratore autonomo viene retribuito attraverso una notula decisa volta per volta.6. Volontarietà: il rapporto di lavoro pubblico nasce da un accordo liberamente deciso tra le parti. Il militare di leva non è un dipendente pubblico perché manca il contratto: è un servizio obbligatorio. Quello dei senatori non è definibile rapporto pubblico perché nasce attraverso elezioni e per questo è detto carica onoraria. Se il lavoratore svolge un orario part-time superiore al 50% non può svolgere altra attività lavorativa a meno che non sia specificamente autorizzato dalla P.A. (sono regole generali: ovviamente esistono tantissime variabili). Colui che ha un part-time inferiore al 50% può svolgere anche attività libero professionale purché non in concorrenza. Il rapporto d’impiego, privato e pubblico, oltre che dalla legge è disciplinato anche dai Contratti Collettivi che possono aggiungere a questa, che è la disciplina di base, una serie di regole. Nella sanità sono previsti dei contingentamenti rigidi di part-time così come per esempio è previsto che siano esclusi dal part-time determinati tipi di lavoro (Pronto Soccorso, Dialisi, Aree Critiche in genere).

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Il part-time è un primo tipo di lavoro speciale perché incide sull’orario di lavoro, ma non sulla continuità poiché il contratto rimane a tempo indeterminato.

Il contratto di lavoro in questo caso va fatto in forma scritta (il che serve a dare certezza: verba volant).

La forma scritta può essere richiesta per più motivi: forma scritta ad substantiam vale a dire ai fini dell’esistenza stessa dell’accordo (se non viene fatto per iscritto non è valido) oppure “ad probationem” nel senso cioè che la prova dell’esistenza del contratto può essere data esclusivamente attraverso un documento scritto

Ad es. la compravendita di un immobile deve essere fatto per iscritto se no non è valido. Può quindi accadere che io mi metta d’accordo con un’altra persona oralmente e questa mi paghi il prezzo della casa che io regolarmente consegno.

Il fatto però che il contratto sia nullo vuol dire che, in qualunque momento, io posso far valere l’inefficacia giuridica del patto orale e richiedere la restituzione della casa, restituendo i soldi ricevuti (l’impegno a vendere verso un prezzo dunque, non ha alcuna vincolatività, perché è privo della forma, scritta, necessaria per legge).

Le forme di tutela riconosciute dalla legge si chiamano in questo caso azioni restitutorie.Il contratto verbale, in questo caso, è un contratto nullo, non ha effetto giuridico e quindi dà diritto ad entrambe le parti di richiedere la restituzione di ciò che si è dato, la nullità peraltro

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può essere fatta valere da chiunque in ogni tempo, anche da un erede, entro 20 anni10.

Il part-time nel settore privato ha un contratto con forma scritta ad probationem (serve solo per provare la reale esistenza del contratto che è valido anche senza la forma scritta in questo caso). Nel pubblico impiego il contratto deve essere in forma scritta per legge: lo dice il Testo Unico anche se non dice se la forma scritta deve essere del primo o del secondo tipo, probabilmente ad probationem. Nell’impiego privato non c’è questa regola.

LAVORO A TERMINE Il lavoro a termine è un lavoro a tempo pieno, ha una scadenza già predeterminata alla stipula del contratto. In origine, proprio perché destinato a finire presto e quindi evidentemente contrario alle esigenze dei lavoratori, le ipotesi in cui si stipulava un contratto a termine erano pochissime. La L. n 360/62 aveva indicato le cinque ipotesi possibili al di fuori delle quali il contratto si convertiva automaticamente in contratto a tempo indeterminato: per attività stagionali (es. vendemmie) per punte di lavoro stagionali (per es. i negozi nel periodo natalizio) per attività eccezionali non previste nel normale ciclo produttivo dell’azienda per spettacoli teatrali singoli o predeterminati per sostituire chi assumeva incarichi istituzionali(Governo) Successivamente ci sono state numerose evoluzioni, tra le più comuni ipotesi introdotte c’è la sostituzione di una lavoratrice in

10 Il limite dei venti anni si ricollega alla c.d. usucapione: chi usa una cosa come se fosse sua per almeno venti anni ne diviene proprietario per legge.

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maternità, fino ad arrivare alla legge del 1985 che prevede la possibilità di stipula di un contratto a termine oltre che alle ipotesi suddette, previste dalla legge, in tutti i casi previsti dal contratto collettivo. Si trattava di una disciplina protettiva perché è chiaro che un lavoro a termine non è sicuro (dobbiamo fare attenzione al sottile limite che c’è tra flessibilità e precarietà). Il contratto a termine è stato riformato su direttiva comunitaria nel 2001(L.n°368/01) e generalizzato: quindi se prima era un’eccezione dopo è diventato la norma fare o l’uno o l’altro.La L. n° 368/01 (si parla di impiego privato, ma questa norma si applica anche all’impiego pubblico anche se i contratti collettivi continuano ad individuare delle fattispecie) prevede che il contratto a termine si possa fare se sussistono ragioni: tecniche organizzative produttive sostitutiveQueste esigenze – come vedete estremamente generiche - vanno poi specificate. Ad esempio se si vuol incrementare il lavoro nel periodo di aprile quello sarà un motivo tecnico, organizzativo e produttivo. Mentre prima le ipotesi erano rigide, specifiche e circostanziate, ora il panorama è mutato. Forma scritta: il lavoro a termine deve essere stipulato con contratto in forma scritta ab substantiam pena la nullità del contratto stesso e conversione in lavoro a tempo indeterminato. Motivazione: da notare che il contratto è nullo anche in tutti quei casi in cui le esigenze generiche non vengono specificate all’interno della lettera di assunzione. Nella specifica bisogna essere molto attenti: non basta dire “ per ragioni tecniche”, ma vanno specificate e per esempio in caso di sostituzione va specificato il nome dell’unità sostituita.

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Durata stabilita: è necessaria, è un tipo di contratto che si può prorogare per una sola volta e per un periodo max complessivo di 3 anni (per evitare il radicalizzarsi della precarietà). Anche la proroga deve essere in forma scritta pena la nullità. Si possono fare più contratti a termine, ma tra l’uno e l’altro occorre rispettare intervalli di tempo fissati dalla legge: almeno 15 giorni se il primo contratto era inferiore a 6 mesi o almeno 30 giorni se il primo durava più di 6 mesi (nel caso in cui i termini vengano sbagliati la legge dà il diritto al lavoratore di esigere la trasformazione in contratto a tempo indeterminato).

CONTRATTO INTERINALE O LAVORO IN AFFITTO

Il contratto di lavoro interinale o in affitto è tutt’altra cosa. Tradizionalmente fin dalle prime regolamentazioni del lavoro una cosa è sempre stata indiscussa: il rapporto tra lavoratore e datore deve essere diretto senza intermediari. La L. n° 1369/60 vietava:- l’intermediazione di manodopera vale a dire il collocamento privato: non si poteva vendere lavoro, perché fatto dalle persone e il lavoro di altre persone non si può vendere. Nella vecchia impostazione il collocamento poteva essere solo di competenza pubblica per garantire l’imparzialità.- l’interposizione di manodopera (cioè l’interporsi tra il lavoratore e il datore di lavoro di una terza persona che apparentemente diventava datore di lavoro).Con questa legge si voleva evitare lo sfruttamento di manodopera ricorrendo a false aziende che formalmente erano in grado di assumere, ma che in realtà non erano in grado ne’ di pagare i lavoratori , ne’ di versare i contributi, ne’ di applicare i minimi sindacali ecc. non avendo nei confronti dei lavoratori nessun tipo di impegno.

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Con la L. n° 196/97 tutto questo e stato reso possibile attraverso l’introduzione del lavoro interinale dove delle agenzie mettono a disposizione di chi lo richieda diverse tipologie di lavoro; è quindi un rapporto trilaterale. Il lavoro interinale si svolge attraverso l’affitto di manodopera tramite un intermediario, l’agenzia, che assume dipendenti e poi li mette a disposizione di terzi. E’ un esempio di flessibilità del lavoro. Si ritiene che una maggiore flessibilità nell’uso della forza lavoro, cioè la possibilità di mettere a disposizione lavoratori per un breve periodo, aumenti le occasioni di lavoro (per la filosofia: meglio lavorare poco, ma lavorare, che non lavorare per niente) e visto che assumere o fare contratti a termine, come abbiamo visto può essere pericoloso è preferibile per il datore non avere con il lavoratore nessun tipo di rapporto pagare l’agenzia e finito il lavoro ognuno se ne va per la sua strada. Il lavoro interinale costa più del lavoro a tempo determinato perché il datore deve garantire il pagamento della retribuzione secondo il contratto, il pagamento dei contributi, del TFR, cioè tutti gli emolumenti contrattuali più i contributi e il pagamento del servizio dell’agenzia.Vantaggi per l’azienda che affitta: 1. I dipendenti affittati non vengono conteggiati tra i dipendenti rilevanti ai fini della tutela contro il licenziamento (ricordate il limite dei 15 dip. ?); finito il contratto di affitto non ci sono problemi a mandarli via; non danno problemi sindacali perché non sono dipendenti dell’azienda, ma dell’agenzia di lavoro interinale. L’azienda non ha nessun obbligo giuridico- normativo nei confronti del ‘lavoratore-interinale’ e il fatto che non entri a far parte del numero dei lavoratori comporta la non applicabilità dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori.2.

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3. È difficile trovare lavoro ma anche lavoratori; se il lavoratore non mi sta bene lo cambio e a tutta la parte burocratica ci pensa l’agenzia.

Nella pubblica amministrazione con il blocco delle assunzioni questo tipo di contratto è diventata una necessità anche se sembra un controsenso. (La legge sul lavoro interinale, L. n° 196/96, l’ha fatta l’allora Ministro della Previdenza Sociale Tiziano Treu, durante il Governo Dini).

Infatti, l’Art. 36 del Testo Unico del pubblico impiego (L. n° 165/01) consente alla pubblica amministrazione di ricorrere a questa forma di lavoro, presente ormai in tutti gli stati moderni, che serve ad assicurare occasioni di lavoro e il contatto con l’azienda. Mentre prima la concorrenza era tra lavoratori, si cercava di essere uno più bravo dell’altro, oppure tra le aziende, ora la concorrenza è tra outsider e insider (cioè tra lavoratori fuori e dentro il mondo del lavoro). Perché gli uni non hanno nessun tipo di tutela e gli altri hanno una serie di tutele fortissime come, ad esempio, quelle suddette dell’Art. 18. Per tentare di far entrare gli outsider dentro il mondo del lavoro si ricorre a firme contrattuali, come quelle del lavoro interinale, che creano il contatto con l’azienda nella speranza che il ‘lavoratore-interinale’ rivelatosi bravo, competente, specializzato, ecc. venga assunto dall’azienda. Diventa uno strumento per creare comunque un’occasione di lavoro e cercare questo contatto con l’azienda.

Nel pubblico impiego ciò non succede mai perché l’accesso al lavoro pubblico deve (o dovrebbe) passare sempre per un contratto.

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Vediamo qual è la disciplina del lavoro in affitto che, come detto, si compone di due contratti:1. Il primo contratto è quello che fa il lavoratore con l’agenzia interinale. E’ un contratto d’assunzione di lavoro subordinato che può essere sia a tempo determinato che indeterminato calibrandosi sulla richiesta dell’utilizzatore. Se è a tempo indeterminato nei periodi in cui il lavoratore non è affittato ha diritto ad un’indennità di disponibilità che è una piccola retribuzione “ di sostentamento” ovviamente più bassa rispetto ad una retribuzione normale. La maggioranza è assunta a tempo determinato.2. Il secondo contratto, tra agenzia interinale e azienda utilizzatrice, ha ad oggetto l’affitto del lavoratore per fare una data cosa.

Entrambi i contratti vanno fatti in forma scritta ad substantiam, se uno dei due contratti non fosse in forma scritta si converte in contratto a tempo indeterminato nei confronti dell’utilizzatore. Inoltre entrambi e soprattutto il secondo devono avere un contenuto ben disciplinato cioè si deve indicare:- nome e cognome del lavoratore- dati anagrafici- eventuali specializzazioni- tutte le caratteristiche del lavoro chiamato a fare- gli impegni ad applicare il contratto collettivo di categoria- la retribuzioneIn poche parole tutto ciò che riguarda il lavoro. Anche qui la mancanza di elementi essenziali determina la nullità del contratto e quindi la conversione dello stesso in un contratto a tempo indeterminato.

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L’agenzia interinale deve garantire al lavoratore il pagamento secondo il lavoro che è chiamato a svolgere (paga contrattuale) e anche tutti i diritti previsti dal Contratto Collettivo.

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Sia nel contratto a termine che nel lavoro interinale abbiamo visto come spesso, la violazione delle norme di legge, determini la conversione del contratto in contratto a tempo indeterminato, ovviamente subordinato.Il legislatore, dunque, intende proteggere i lavoratori da un uso distorto di forme contrattuali del lavoro che si pongono in rapporto di specialità rispetto a quella “normale” e tutelata rappresentata dal lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato.La stessa tutela, però, non la troviamo nel pubblico impiego.

Secondo il Testo Unico della pubblica amministrazione (D. Leg.vo n. 165/2001) : ” In ogni caso la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni non può mai comportare l’assunzione del lavoratore a tempo indeterminato”. Quindi alle p. a. non si applicano tutte le regole di tutela elencate fino ad ora: Art. 36 T. U. (L. n° 165/01). In questo caso il nostro lavoratore ha solo il diritto al risarcimento del danno derivato dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative (se non l’hanno pagato o l’hanno pagato meno ecc.) Come al solito lo stato si fa le leggi su misura perché anche nella L. n° 1369/60 che vietava l’intermediazione e che addirittura diceva che c’era sanzione penale e prevedeva che laddove si creasse una situazione di intermediazione il lavoratore si considerasse alle dipendenze di chi effettivamente lo utilizzava,

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c’era scritto che non si applicava allo Stato, alle Regioni, alle Province e ai Comuni.In realtà c’è una motivazione: i soldi spesi nel pubblico sono soldi pubblici. L’eventuale conversione dei rapporti di lavoro sarebbe innanzitutto anticostituzionale (Art. 93 Costituzione “Al pubblico impiego si accede solo tramite concorso” ) e soprattutto c’è un problema di rigore di spesa: siccome la spesa nel pubblico impiego è predeterminata e non può essere superata, se avessi conversioni di contratti di lavoro fasulli in contratti a tempo indeterminato, determinerei uno squilibrio di spesa. Per cui si ritiene che le esigenze di salvaguardia della finanza pubblica prevalgano sulle esigenze del lavoratore il cui contratto sia stato ‘malfatto’.

Leggere l’Art. 58 del Testo Unico che è la legge che prevede le incompatibilità nel pubblico impiego.Con l’Art. 36 del T. U. abbiamo visto una prima grossa devianza tra Pubblico Impiego e Impiego Privato.

PUBBLICO IMPIEGO

Caratteristiche principali:

il datore di lavoro deve essere un ente pubblico il lavoratore viene inserito nell’ente pubblico per perseguire i fini istituzionali dell’ente stesso ci deve essere la continuità la retribuzione è predeterminata dai Contratti Collettivi ci deve essere un rapporto di esclusività (si lavora solo per l’ente)

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Le cariche elettive non danno vita ad un pubblico impiego perché ovviamente, non c’è l’assunzione, non si è fatto un concorso, ma derivano da un’investitura popolare e sono tendenzialmente temporanee. Il Direttore Generale di un’azienda ospedaliera è un dipendente pubblico (L. del ’96) dura in carica cinque anni, perché è un incarico a carattere dirigenziale, ma ha fatto un contratto con un ente pubblico per conseguirne i fini: è un contratto di lavoro ufficiale. E’ un lavoratore subordinato sui generis perché non ha vincoli gerarchici con nessuno a lui superiore in quanto è chiamato a dirigere un’azienda. Ha un contratto di tipo privato, come per gli infermieri assunti da una USL, anche se un contratto separato che è il contratto dirigenti e, a differenza di un lavoratore normale a cui vengono affidate delle mansioni e fa quelle, il dirigente ha una competenza di base e in più di volta in volta degli incarichi che durano un certo periodo, scaduto il quale o gli viene dato un altro incarico o viene mandato a fare mansioni di carattere amministrativo in attesa dell’incarico successivo.Il Militare di leva non era un dipendente pubblico perché non c’era la retribuzione ne’ l’accordo, ne’ la volontarietà, è un obbligo vincolante.

Tutto questo fa dedurre che il rapporto di lavoro nel pubblico impiego si costituisce attraverso un contratto, cioè un consenso preceduto da un concorso pubblico (Art. 97 Costituzione), le cui caratteristiche dovrebbero essere quelle di imparzialità, della trasparenza e del fatto che tutti concorrono con le stesse potenzialità. Per le caratteristiche del concorso pubblico vedi sul testo del Virga, Parte seconda, capo I : - Commissione esaminatrice- Titoli di studio attraverso cui si accede al concorso se richiesti

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- Il fatto che è fattibile solo da chi gode dei diritti civili e politici, chi ha la maggiore età, chi ha la cittadinanza italiana o europea, chi ha una normale integrità psicosomatica e fisica.Il concorso è promosso attraverso il Bando che è la legge che contiene tutte le regole su come si farà il concorso. Successivamente alla Riforma Bassanini trova applicazione il sistema della dichiarazione sostitutiva secondo cui i vari requisiti sono autocertificabili dal candidato che deve limitarsi, nella domanda, a dichiarare di possedere i requisiti richiesti.In caso di esito positivo del concorso il candidato – vincitore dovrà produrre tutta la documentazione richiesta. La vittoria nella selezione, tuttavia, non è sempre sufficiente per essere sicuri dell’assunzione: possono intercorrere altri fattori che la impediscono (blocco assunzioni, estinzione dei fondi con i quali veniva finanziata la posizione lavorativa messa a concorso). Quindi, per ragioni esclusivamente attinenti l’amministrazione pubblica: la giurisprudenza ha riconosciuto in questo caso la legittimità della mancata costituzione del rapporto.Il contratto deve avere ad oggetto una prestazione di lavoro verso una retribuzione e prevede una serie di elementi fondamentali: indicazioni dell’orario di lavoro; indicazioni della qualifica, il livello e l’area assegnazione; indicazione del luogo dove si svolgerà il lavoro. Tutto il resto viene previsto dal Contratto Collettivo del lavoro.

3°Lezione del 24/11/05

La caratteristica fondamentale del contratto di lavoro è l’essere un rapporto giuridico obbligatorio tra due parti che non sono sullo stesso livello. Chiaramente il lavoratore, traendo dal lavoro il suo sostentamento, è in una posizione di debolezza rispetto al datore

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di lavoro: è chiaro che, dato che l’eventuale perdita del lavoro determinerebbe la perdita dell’unica fonte di sostentamento della famiglia, si è indotti ad accettare condizioni che in altre circostanze non si accetterebbero. Infatti la disciplina del lavoro nasce come disciplina protettiva di una parte. In ogni altra disciplina le parti sono sullo stesso piano e considerate paritariamente secondo l’Art.3 della Costituzione per cui “ la legge è uguale per tutti”, ma l’uguaglianza va applicata finché è uguaglianza in senso sostanziale cioè fino a quando entrambe le parti sono sullo stesso piano. Nella disciplina del lavoro questa uguaglianza non c’è. E’ disciplina protettiva nel senso che è una disciplina inderogabile, obbligatoria.

La disciplina contrattuale contenuta nel Codice Civile (di tutte le norme che riguardano tutti i tipi di contratti immaginabili) è in gran parte “derogabile” nel senso cioè che le parti possono integrarla, modificarla o sostituirla laddove ciò corrisponda ai loro interessi e questi ultima siano ovviamente leciti.In questa prospettiva, il commercio giuridico ha dato vita sia a contratti totalmente nuovi, non previsti dal codice civile, sia a contratti che nascono dalla combinazione di discipline che il codice civile dedica a due o più figure contrattuali.Per esempio se noi volessimo trovare il contratto di leasing, di franchsing o pacchetto turistico nel Codice Civile cercheremmo in vano.Si tratta, infatti, di normative che le parti hanno spontaneamente via via formato prendendo magari in prestito norme dal Codice Civile. Il leasing per esempio è una disciplina che unisce compravendita e affitto. La disciplina del Codice Civile è “disponibile dalle parti” nel senso che non si è obbligati a seguirla, ma la si può anche integrare. Questo non accade per la disciplina del lavoro.

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La disciplina del rapporto di lavoro è sempre inderogabile in peggio (in pejus) per il lavoratore, in altre parole i diritti stabiliti nel Codice Civile a favore del lavoratore (ferie, malattia, orario di lavoro, retribuzione) non possono mai essere “diminuiti” a danno del lavoratore. La disciplina è così forte che, laddove un lavoratore facesse un accordo in cui rinuncia ad uno di questi diritti, quell'accordo non sarebbe valido. Per esempio se è previsto che il lavoratore prenda 100 lire per un'ora di straordinario, e firma un accordo in cui sottoscrive che si accontenta di 50 lire, quell'accordo non è valido e lo può impugnare entro sei mesi dalla fine del rapporto di lavoro (art. 2113 c.c.). Ciò non avviene per tutti gli altri tipi di contratti dove è previsto che si possa rinunciare a qualche diritto (accordi rinunciativi o abdicativi ). Tutta la disciplina del lavoro chiaramente non può essere contemplata all'interno del Codice Civile, infatti questo contiene non più di 50 norme, ad integrare le quali ci sono altre norme come per esempio le Leggi Speciali (Legge sul contratto part-time, Legge sull'orario di lavoro, Legge sulla tutela della maternità ecc.: sono tutte Leggi Speciali che si affiancano al Codice Civile).

Nell'ambito della legislazione del lavoro è importante sottolineare che il rapporto di lavoro può essere diverso a seconda delle parti che lo stipulano.Per esempio il contratto in cui il signor Bianchi vende al signor Rossi una casa è sempre il solito contratto, sempre di compravendita di una casa si tratta, indipendentemente dai soggetti, infatti, esiste un modello che è il modello di compravendita di un bene immobile che è adattabile a tutti tipi di compravendita di beni immobili.

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Questo non accade nel diritto del lavoro, perché chiaramente ogni tipologia di lavoro (infermiere, saldatore, minatore, medico…) ha bisogno di un contratto specifico proprio perché il lavoro si modifica a seconda del tipo di lavoro, per cui la disciplina del codice deve essere necessariamente integrata da altri tipi di normative specifiche per quel tipo di lavoro.

Nella storia del diritto del lavoro è successo che i lavoratori, resosi conto che da soli nei confronti del datore di lavoro non avevano alcun potere, per tutelarsi hanno iniziato a coalizzarsi e da questa unione sono nati i sindacati. I primi a nascere sono stati i sindacati di mestiere, che riunivano tutti i lavoratori che facevano lo stesso mestiere; un esempio moderno di questa tipologia di sindacato potrebbe essere rappresentata dai COBAS macchinisti.Ci si rese conto ben presto che il sindacato di mestiere, però non tutelava sufficientemente i lavoratori, perché all'interno di un'azienda potevano esserci diversi tipi di lavoratori, per cui l'evoluzione naturale del sindacato di mestiere fu il sindacato di industria il quale raggruppava tra loro tutti i lavoratori di un certo tipo di industria. Chiaramente il nucleo iniziale dell’aggregazione è stata l'azienda all’interno della quale inizialmente si è formato il sindacato. Successivamente il sindacato si è espanso all'esterno dell'azienda iniziando a collegare tutte le aziende di un certo tipo. La presenza di un sindacato in azienda determina l’aumento del costo del lavoro infatti il sindacato lotta attraverso lo sciopero per ottenere: miglioramenti economici e di tutela: ferie, riposi, indennità di malattia, la tutela per la maternità, per la vecchiaia...ecc. Tutto ciò costa in termini economici e dunque ci si rese conto ben presto che l’industria dove c’era un sindacato non era competitiva sul mercato in quanto le aziende che non avevano nessuna tutela

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sindacale interna, spendevano meno e potevano proporre i propri prodotti sul mercato ad un prezzo minore. Questo si ritorceva contro i lavoratori.

Il passo successivo fu quello di raggruppare le aziende di un certo tipo, ad esempio tutte le aziende metalmeccaniche, per avere un trattamento unitario per tutti i lavoratori che vi appartenevano. Questo, sia per un’esigenza di egualitarismo (la classe operaia, ad esempio, è una e una sola quindi non ha senso tutelare l’operaio dell’azienda A e non quello dell’azienda B. Il sindacato si dice che ha tendenza egemonica: tende a tutelare tutti i lavoratori di tutte le aziende) e sia per una ragione economica perché accettare un’ipotesi di tutela solo su alcune aziende avrebbe creato una diseconomia che sarebbe andata addirittura a danno del lavoratore di quella azienda la quale, non essendo più competitiva sul mercato, avrebbe dovuto chiudere e alla fine per fare un bene si era fatto un male. Ecco che si è formato il cosiddetto sindacalismo di categoria. Quando si parla di categoria dei metalmeccanici piuttosto che di categoria dei chimici si intende quella porzione del mondo del lavoro che raggruppa tutte le aziende metalmeccaniche oppure che quelle chimiche, edili, alimentaristiche ecc.. Le aziende di una stessa categoria sono tutte quelle aziende che si occupano della stessa cosa. La categoria collettiva è l’insieme di tutte le aziende che svolgono un’attività, ad esempio, quella metalmeccanica. La categoria è una cosa molto complessa in quanto per esempio all’interno della categoria dei metalmeccanici c’è la Fiat, ma c’è anche chi produce le stanghette di un paio di occhiali, chi fa orologi, ma anche chi fa sottomarini; per cui chiaramente all'interno della categoria ci sono le cosiddette sottocategorie.

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CONTRATTO COLLETTIVO

Lo strumento che il sindacato si è dato per raggiungere lo scopo della tutela dei lavoratori è lo sciopero, ma l’oggetto della tutela è contenuto nel contratto collettivo.Contratto perché non è altro che un accordo (ricordiamoci la definizione del Codice Civile secondo cui il contratto è l’accordo che due o più parti fanno per sostituire, modificare o estinguere rapporti giuridici di natura patrimoniale) che la parte sindacale fa con la parte datoriale per dettare una disciplina generale di tutti i rapporti di lavoro di quella categoria.Collettivo perché riguarda tutta la collettività dei lavoratori, ma anche perché l'interesse che il sindacato tutela non è mai l'interesse del singolo lavoratore, bensì l'interesse della collettività dei lavoratori che non è detto che coincida con l'interesse del singolo lavoratore.Per esempio quando c'è un licenziamento collettivo spetta per legge al sindacato, tramite un accordo col datore di lavoro, individuare i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, questo chiaramente va contro i singoli interessi dei lavoratori che verranno licenziati. Criteri di scelta per un licenziamento:

1. esigenze di famiglia2. anzianità di servizio3. esigenze tecniche, organizzative o produttive

Nell'ambito di questa fattispecie, il sindacato è abilitato ad individuare i criteri specifici. Sembra strano che sia proprio il sindacato a stabilire dei criteri attraverso cui saranno scelti lavoratori da licenziare, ma è qui che si capisce il significato di

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interesse collettivo che in questo caso è sacrificare posti di lavoro per i quali esistano forme di tutela diverse (magari un prepensionamento) per salvaguardarne altri. Ad esempio, un criterio spesso usato è quello di coloro che sono più prossimi alla pensione per cui si fanno passare dal rapporto di lavoro alla lista di mobilità (dandogli un’indennità di mobilità che è intorno agli 800/ 900 €) per accompagnarli poi alla pensione preferendo preservare il posto a lavoratori che ne hanno più necessità per età, per carichi di famiglia, ecc... L’interesse collettivo in questo caso è il minor danno per i lavoratori anche se qualcuno di loro ci rimette. Le norme del Contratto Collettivo abbiamo detto integrano quelle della legge: del Codice Civile e delle Leggi Speciali che sono anch’esse norme inderogabili, cioè obbligatorie, perché considerate norme di tutela.

Il problema che il sindacato si trova ad affrontare nella stipula dei Contratti Collettivi è quello di dettare una disciplina che integri quella del Codice Civile, che abbiamo detto essere un po’ troppo scarna, con tutta una serie norme che il riguardano il rapporto di lavoro, dall’assunzione fino all’estinzione, in quel tipo di azienda. Quindi nel Contratto Collettivo troveremo le regole per l’assunzione, il mansionario, i giorni di ferie, i permessi, gli obblighi del lavoratore (ad esempio, in caso di malattia, entro quanto tempo deve far avere il certificato, come e dove), le regole sui licenziamenti, le norme disciplinari, il comporto (periodo di malattia entro il quale si conserva il diritto al mantenimento del posto di lavoro), ecc. Il tutto tenendo come punto di riferimento l’interesse della collettività. Tutto questo per il privato.

Nel pubblico impiego, il problema del Contratto Collettivo non si è posto fino al 1993, questo perché non si riteneva che ci fosse

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quella contrapposizione netta tra lavoratore e datore di lavoro che invece era presente nell'ambito privato.

Nel privato è chiaro che il datore di lavoro più spende per il costo del lavoro meno profitto ha, quindi l'interesse del lavoratore é contrapposto nettamente all'interesse del datore di lavoro. Da qui la famosa lotta di classe teorizzata da Marx. Per Marx il lavoro aumenta il prezzo della merce poiché lavorando il materiale si fa acquisire il plus valore all'oggetto lavorato. Il capitale non faceva altro che appropriarsi di questo plus valore a danno dei lavoratori, ecco perché si parla di lotta di classe: in quanto il proletariato deve necessariamente contrapporsi al capitale. Per ovviare a tutto ciò, egli teorizzò la proprietà comune dei mezzi di produzione dove anche i lavoratori avrebbero usufruito dei profitti del loro lavoro. Se noi pensiamo ad una ASL, almeno in via teorica, le cose vanno diversamente. L'ente pubblico infatti, tradizionalmente, non dovrebbe perseguire il lucro, ma soltanto l'economicità della gestione, cioè entrate e uscite dovrebbero equivalersi (pareggio del bilancio). Venendo meno l'elemento profitto, viene meno, nell’impiego pubblico, l’esigenza di guadagnare sul lavoro per cui non si pone quella contrapposizione tra capitale e lavoro che invece è caratteristica dell’impiego privato.L'ente pubblico persegue per definizione un interesse di tutela pubblica, non ha come scopo il guadagno bensì il perseguimento di quel fine che lo Stato gli ha attribuito costituendolo. Lo stato, abbiamo accennato, persegue dei fini che possono essere : la tutela contro gli attacchi esterni, un tempo tutela militare, la tutela della salute dei propri cittadini, i trasporti, la sanità, la nutrizione… Per perseguire questi ruoli sociali si dà delle strutture: i Ministeri. Con la Devolution, la modifica del titolo V della Costituzione, è avvenuto il passaggio di certe competenze

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alle Regioni. A livello regionale i Ministeri hanno dei Dipartimenti o delle Agenzie che gestiscono quell’interesse pubblico. Con l’ultima Devolution questa cosa sarà ancora più radicalizzata. Tutto questo per dire che l’interesse perseguito è un interesse pubblico e che per definizione un interesse, essendo pubblico non può essere in contrasto con l'interesse dei lavoratori. Per esempio: se lo scopo del mio lavoro è perseguire la tutela della salute dei cittadini non potrò andar contro agli interessi dei miei dipendenti per la semplicissima ragione che non ho un interesse in conflitto con il loro (come avviene nel caso dell’imprenditore privato che persegue il profitto per cui se diminuisce i costi – ed anche il costo del lavoro – aumenta il profitto). Ricordiamoci che tutto ciò che guadagno in termine di risparmio dei costi si trasforma per me in reddito, ma se il mio scopo è la salute dei cittadini è evidente che non mi contrapporrò a loro. Non ce ne è motivo. Tant'è che l’evoluzione dei sindacati, l'interesse per la tutela dei lavoratori degli enti pubblici da parte dei sindacati, è arrivata molto in ritardo rispetto all'ambito privato. Addirittura in alcuni enti pubblici tutt’ora c’é il divieto di fare sciopero: nella Polizia, nei Carabinieri, nella Guardia di Finanza ecc. Questo ci fa capire come sia diversa la tutela nell'ambito pubblico. Ricordiamoci che l’Art. 40 della Costituzione dice che lo sciopero è un diritto. Il divieto di sciopero è previsto perché si ritiene che siano interessi fondamentali della nazione ad esempio l’ordine pubblico. Il divieto di sciopero c’è stato anche negli altri settori del pubblico impiego per lungo tempo dove solo da ultimo si è cominciato ad elaborare una sindacalizzazione. Le prime forme di aggregazioni sindacali nel pubblico impiego nacquero negli anni 60/70 e tuttavia non portavano alla stipula di Contratti Collettivi. Infatti il rapporto di lavoro nel pubblico impiego non nasceva da un contratto (fino al 1993) ma da un atto

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unilaterale – l’atto di nomina – ad opera della pubblica amministrazione.Abbiamo detto che lo stato persegue dei fini per i quali si dà una struttura, ministeriale o simile, di enti; questa struttura si chiama autorità amministrativa. La ASL, per esempio, è l’autorità amministrativa nel settore della sanità. Per perseguire questi fini, proprio perché pubblici, lo stato dà ai propri organismi la cosiddetta potestà autoritativa cioè il potere di agire anche contro l’interesse del destinatario.Ad esempio nel caso si debba costruire una strada lo stato ha la potestà di espropriare la proprietà dei cittadini, quindi ledere un diritto riconosciuto al livello costituzionale come è la proprietà. E’ evidente che in questo caso l’interesse pubblico prevale su quello del singolo cittadino proprietario del terreno. Questo accadeva anche nei rapporti di lavoro: la pubblica amministrazione si diceva in posizione di supremazia rispetto al dipendente pubblico per cui il rapporto di lavoro era gestito unilateralmente, attraverso ordini dati dalla Pubblica Amministrazione - atti autoritativi ed unilaterali- e nasceva con un atto che si chiamava atto di nomina (il lavoratore giurava davanti alla bandiera italiana, di essere fedele alla Repubblica Italiana e alle sue leggi…). Questo perché si pensava che la Pubblica Amministrazione non sarebbe mai andata contro gli interessi dei cittadini. In realtà ben presto ci si rese conto che non era così. Anche nel pubblico impiego, la voce spesa per i dipendenti cominciava a pesare e tutto sommato si cominciò a pensare che risparmiarci un po’ non era poi così sbagliato perché è vero che lo stato non persegue il profitto, ma è anche vero che se ha un grosso debito può, risparmiando, cercare di migliorare la situazione. Tutto questo per dire che una situazione di antagonismo si può creare anche all’interno del pubblico impiego quando per

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perseguire un pareggio di bilancio si cerca di risparmiare sui dipendenti. Inoltre, nelle teorie più recenti, si sostiene che anche le pubbliche amministrazioni debbano funzionare come azienda sposando nella loro gestione principi tipici aziendali (aziendalizzazione degli enti pubblici); uno tra questi sostiene che il costo del lavoro deve essere sottoposto a un rigido controllo. Pensando poi a come va il bilancio dello stato e che una delle voci più consistenti è la voce “stipendi dei pubblici dipendenti”, si comprende perchè avvengano tagli, blocco delle assunzioni e si faccia tutto il possibile per cercare di tenere sotto controllo la spesa. Da notare che il costo del lavoro non è riferito solo agli stipendi, ma anche a tutta una serie di diritti, come permessi, servizi (basti pensare che esiste una legge che obbliga gli enti pubblici a istituire un asilo materno all’interno dell’azienda).

In realtà delle pseudo-associazioni sindacali nel pubblico impiego ci sono sempre state, ma il problema di una contrattazione tra sindacato e parte pubblica si è iniziato a formare soprattutto negli anni 70. Allora succedeva che il sindacato trovava un accordo con l'ente pubblico, ma non essendo ancora il rapporto di lavoro stipulato attraverso un contratto bensì disciplinato attraverso atti unilaterali dell’amministrazione, quest’accordo veniva trasfuso in un DPR (Decreto emanato dal Presidente della Repubblica) che così diventava atto amministrativo ed era lì che si trovava la fonte della disciplina del rapporto di lavoro. Si trovava formalmente in un atto dello Stato, un atto unilaterale, non formato insieme tra due, ma da uno. E’ vero che alla base c’era un accordo sindacale, quindi un contratto, ma non si poteva stipulare un contratto vero e proprio perché la disciplina del rapporto di lavoro era rimessa alla Pubblica Amministrazione la quale nel perseguire i propri

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scopi doveva anche disciplinare i rapporti con i propri dipendenti e tutto ciò lo faceva in via unilaterale attraverso atti amministrativi. Ad esempio se venivano concesse le ferie veniva emanato un provvedimento unilaterale dove si diceva che erano concesse le ferie.La novità del DPR n.° 29/93 è che per la prima volta si dice che il rapporto tra i lavoratori di un ente pubblico e l'ente stesso è un rapporto di lavoro contrattuale tant'è che molti hanno parlato, invece che di privatizzazione, di contrattualizzazione del pubblico impiego. Non c’è più una parte in posizione di supremazia e l’altra parte che sostanzialmente deve fidarsi o comunque è in posizione di inferiorità. Ora le parti sono tutte e due sullo stesso piano. Questo tipo di modifica ha cambiato molte cose nel rapporto di lavoro, infatti, l’esistenza di una posizione di supremazia aveva delle conseguenze anche sul piano processuale: se c'era una controversia di lavoro non si andava dal giudice del lavoro ma si andava al Tar perché l'interesse tutelato era un interesse legittimo, non un diritto soggettivo. La differenza è che mentre un diritto è un potere pieno che un soggetto ha di agire per la tutela della propria posizione giuridica, l’interesse legittimo è l’interesse al fatto che l’amministrazione agisca legittimamente, quindi è un qualcosa che è comunque rapportato all’azione di un altro.Quando si tutela un interesse legittimo l'unica cosa che si può chiedere al giudice è quella di controllare che la Pubblica Amministrazione abbia agito correttamente secondo le leggi. Se si tutela invece un diritto soggettivo, che è un diritto pieno, sono ottenibili tutte le forme di tutela possibili ed immaginabili. Ad esempio nell'esproprio suddetto di una casa si può tutelare l'interesse legittimo facendo controllare al giudice che l'ente abbia messo in atto tutte le accortezze per agire legalmente, ma

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non gli si può impedire di portar via la casa. Se l'ente ha agito nei termini di legge la casa sarà espropriata.Nel diritto soggettivo, invece, si discute della casa. La tutela è sul diritto di proprietà non sui mezzi con cui l'ente ha potuto espropriare la proprietà. Giuridicamente parlando si chiama situazione giuridica soggettiva piena, positiva e di vantaggio .Diritto soggettivo: la possibilità che un individuo ha di tutelare pienamente un suo diritto. Ad esempio il diritto di proprietà si può tutelare nei confronti di tutto e di tutti, anche nei confronti della Pubbliche Amministrazioni. Inoltre, il diritto soggettivo, dà la possibilità di agire come si ritiene opportuno, anche nella autodistruzione della propria proprietà, purché questo non leda gli interessi di altre persone. Non solo: la titolarità di un diritto soggettivo esclude che, finché ci si limita ad esercitare il proprio diritto, si possa ledere altre persone, per cui tutto ciò che è fatto nell’esercizio del proprio diritto è per definizione legittimo. Quindi è una situazione positiva perché dà modo di agire anche verso l’esterno e di vantaggio perché non può che portare vantaggio.

Interesse legittimo:E’ una situazione molto più limitata perché si può solo sottoporre l'azione di un altro soggetto ad un vaglio di legittimità. E’ la posizione che si ha nei confronti di un potere che spetta ad un altro dove l’unica cosa che si può fare è chiedere che si controlli che quel potere sia stato ben esercitato. Nel diritto soggettivo, invece, si ha quel potere ed è questa la differenza sostanziale.

Con la privatizzazione del pubblico impiego questo rapporto di supremazia tra Pubblica Amministrazione e dipendente viene totalmente cancellato perché nell’ambito di un contratto, le parti sono per definizione sullo stesso piano; per cui la Pubblica

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Amministrazione non agisce più attraverso atti autoritativi sottoponibili ad un mero controllo di legittimità. Se, ad esempio, prima non venivano concesse le ferie l’unica cosa che si poteva fare era chiedere al giudice di controllare che la Pubblica Amministrazione avesse ben motivato e che ci fossero i presupposti di legge per poterlo fare. Con il diritto soggettivo si può discutere anche nel merito. Perché le hanno date ad un altro? Perché sono state rifiutate senza un motivo apparente? La tutela è molto più piena e soprattutto la competenza di discutere il caso ora è del Giudice del Lavoro e non più del TAR inquanto, quando si parla di Diritto del Lavoro, il competente è il giudice ordinario. Quindi la prima grossa novità del DPR 29/93 è che anche i lavori di pubblico impiego vengono assoggettati ad una disciplina contrattuale: una volta vinto il concorso non c'è più la nomina con il giuramento davanti alla bandiera, ma c'è la stipula del contratto. e tutti gli atti con cui questo rapporto verrà gestito non saranno più atti amministrativi, quindi autoritativi, bensì atti di diritto privato cioè atti paritari per cui discutibili da ogni punto di vista e il competente all’eventuale causa che nascerà sarà, come abbiamo detto, il Giudice del Lavoro Privato.

È stato privatizzato integralmente il rapporto di lavoro pubblico?

In realtà no, inquanto ci sono degli aspetti che non potevano essere privatizzati proprio perché previsto dalla Costituzione all'Articolo 97.

I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.

Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.

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Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.

Queste sfere stabilite unilateralmente dalla Pubblica Amministrazione sono:

organizzazione degli uffici che significa come sono organizzati gli uffici: ad esempio: Ministero del Lavoro piuttosto che organizzazione regionale cioè Agenzia Regionale per l’impiego; oppure AUSL piuttosto che USL (quando fu deciso il passaggio fu fatto in via unilaterale senza trattative). E’ chiaro che invece il funzionamento in termini di rapporti con i dipendenti (ferie, orario, ecc.) quello è atto di diritto privato perché è gestione del rapporto.

Gestione del rapporto →Privato

Gestione dell’organizzazione→Pubblico

Per cui tutto ciò che incide sulla posizione del lavoratore è privato e si discute dal Giudice del Lavoro, il dipendente è titolare di un diritto soggettivo. Mentre tutto ciò che rientra nell’organizzazione è interesse legittimo ed è di competenza unilaterale della Pubblica Amministrazione. Per assurdo se lo Stato volesse sopprimere le Asl non dovrebbe rendere conto a nessuno, lo farebbe in via unilaterale senza dover trattare con nessuno neanche con i sindacati.

dotazioni organiche: la Pubblica Amministrazione stabilisce la quantità di personale da impiegare e come viene organizzato: le varie istanze territoriali di un ministero per esempio.

titolarità di uffici: i meccanismi attraverso i quali sono stabiliti.

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Tutto il resto è privatizzato. Domani vedremo come la Privatizzazione non abbia assolutamente comportato un’equiparazione tra impiego privato e pubblico. Un esempio è l’Art. 36 per cui per nessun motivo un contratto a termine può trasformarsi in contratto a tempo indeterminato.

Domani parleremo di mansioni e le confronteremo nel rapporto d’impiego privato e pubblico: vedremo che sono proprio due cose totalmente diverse. Come ad esempio per l’avanzamento di carriera: nel pubblico impiego c’è quello orizzontale e quello verticale. I dipendenti pubblici sono divisi in aree (A, B, C, D) a seconda del comparto di appartenenza. Il passaggio dall’area A all’area B o viceversa si chiama progressione verticale mentre il passaggio all’interno dell’area, A1, A2 A3, ecc., si chiama progressione orizzontale ed è soltanto una progressione economica. Queste sono tutte cose assolutamente ignote all’impiego privato.

Ma tornando a parlare circa la privatizzazione abbiamo detto che il rapporto di lavoro nel pubblico impiego si instaura con la firma di un contratto, quindi è un rapporto individuale di lavoro perché corre tra l’amministrazione e il dipendente. Sappiamo però che con il DPR 29/93 anche nel pubblico impiego esiste il Contratto Collettivo come fonte diretta di rapporto ha cioè un’efficacia diretta nel rapporto di lavoro.

Il Contratto Collettivo è fonte integrativa del contratto individuale di lavoro, infatti tutto ciò che non è previsto nel contratto individuale è previsto nel Contratto Collettivo. Come è, ad esempio, indicato sulla lettera di assunzione: per tutto ciò che non è previsto in questa lettera si rinvia al Contratto Collettivo. Il Contratto Collettivo è come una sorta di ombrello che copre il contratto individuale, integrando tutto ciò che non vi è previsto.

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Tant’è che il Contratto Collettivo è formato da centinaia di articoli in numero variabile a seconda dei casi.

Per tutelare i lavoratori, peraltro, è prevista non soltanto l’inderogabilità della normativa di legge, per cui non possono essere previste tutele inferiori a quelle della legge, ma è prevista anche l’inderogabilità del Contratto Collettivo cioè in sede di contratto individuale non potrei mai prevedere una normativa più debole, inferiore, meno garantita di quanto stabilito a livello del Contratto Collettivo. Il rapporto tra contratto individuale e Contratto Collettivo è ancora una volta un rapporto di inderogabilità in pejus ciò significa che il contratto individuale non può essere peggiorativo rispetto al Contratto Collettivo così come quest’ultimo non può essere peggiorativo rispetto alla legge. Il Contratto di Lavoro Collettivo è inderogabile come le leggi che riguardano il lavoro in genere. Quindi nel contratto di lavoro individuale dovrà essere garantito il minimo garantito dal Contratto Collettivo cioè non potrà mai essere peggiorativo. Si parla anche di inderogabilità a catena la legge è la cosa più importante il Contratto Collettivo non può derogare in pejus alla legge e il contratto individuale, a sua volta, non può derogare in pejus al Contratto Collettivo e alla legge.

Inderogabilità in pejus

Costituzione » Legge » contratto collettivo » contratto individuale

E’ una sorta di gabbia di tutela. L’inderogabilità della normativa contrattuale e legale è il perno su cui si incentra la tutela del lavoro.

La volontà del lavoratore, espressa dalla firma del contratto, non può mai andare contro, in senso peggiorativo alle leggi che la tutelano; se poi il Contratto Collettivo prevede 100£ e l’accordo

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mi propone 150 £ tanto meglio. La legge sul lavoro ha sempre ingabbiato per fini protettivi la volontà del lavoratore. Funzione fondamentale della legge sul lavoro è quella di creare questa corazza intorno alla volontà del lavoratore.

Una delle caratteristiche della innovativa Legge Biagi, è appunto quella di far riappropriare il lavoratore della sua volontà (nuove forme contrattuali per flessibilità nel mondo del lavoro).

C’è però, ancora una volta una differenza sostanziale tra impiego privato ed impiego pubblico. Nell’impiego privato il Contratto Collettivo è assolutamente libero nella sua determinazione, in altre parole sindacati e confindustria si mettono a tavolino e discutono finché non trovano un accordo.

Nel pubblico impiego c’è il terzo in comodo che è il bilancio dello Stato per cui la contrattazione pubblica sconta sempre i limiti di bilancio pubblico. La finanziaria stabilisce il tetto degli stipendi per cui la contrattazione pubblica non potrà mai andare oltre quel tetto.

Tant’è che poi vedremo nell’ambito della contrattazione pubblica un ruolo fondamentale ce l’ha la corte dei conti che è l’organo statale che si preoccupa di garantire il rispetto della legge finanziaria che altro non è che la legge con la quale lo Stato decide come verranno destinati i soldi pubblici a disposizione.

CATEGORIE E COMPARTI

Nel settore privato ci sono le categorie (metalmeccanici, chimici, commercianti, edili..) che equivalgono a i comparti nel settore pubblico (scuola, istruzione, sanità, Regione, enti locali, enti pubblici ed economici, ministeriali: sono settori del pubblico

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impiego nell’ambito del quale operano amministrazioni omogenee). Anche nell’impiego pubblico abbiamo il ‘sindacato d’industria’ in quanto dopo la stipula del Contratto Collettivo del Comparto Sanità tutti i lavoratori del comparto, presso qualunque ente del settore sanità siano impiegati, verranno disciplinati da quel tipo di contratto.

Nell’impiego privato contrattano i sindacati dei datori con quelli dei lavoratori. Da una parte i sindacati dei lavoratori: la Fiom è il sindacato della categoria dei lavoratori più importante, cioè la metalmeccanica, che contratta assistita dalla CGIL, che è la Confederazione, insieme poi a CISL e UIL, e poi UGL sindacato ritenuto di destra. Dall’altra parte il sindacato dei datori che in questo caso è la CONFINDUSTRIA.

Nel settore pubblico dal lato dei lavoratori accade esattamente la stessa cosa: dalla parte dei lavoratori c’è un sindacato del comparto sanità che è assistito dalla Confederazione CGIL, CISL, UIL del Comparto sanità. Mentre per la parte pubblica contratta l’ARAN che è un’agenzia indipendente. L’ARAN è una delle così dette autority che dovrebbero essere indipendenti rispetto al governo dovrebbero cioè avere una certa autonomia proprio perché sono organismi di natura tecnica. Un altro esempio di autority è la CONSOB: che è l’organismo che controlla il mercato azionario. Pensate nel nostro caso dove uno dei maggiori azionari è il presidente del Consiglio è opportuno ancor più che sia garantita questa indipendenza. L’Aran è la stessa cosa cioè è un organismo indipendente che nei limiti tracciati dal Governo, per quanto riguarda la spesa pubblica ovviamente, rappresenta il datore di lavoro in termini di stipula del contratto di lavoro.

Sempre dalla parte del datore di lavoro, quindi della Pubblica Amministrazione, all’interno dei comparti, opera il cosiddetto

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comitato di settore che è fatto da rappresentanti delle Pubbliche Amministrazioni che operano in quel settore. Quindi ad esempio il Comitato di Settore della Sanità sarà fatto da rappresentati delle ASL, ospedali ecc. che operano nel settore della sanità e dovrà dare all’Aran, che invece opera a livello nazionale, le indicazioni di massima sul contratto che si va a stipulare.

La contrattazione deve portare alla redazione di una bozza, la cosiddetta piattaforma contrattuale, che è un’ipotesi di accordo che verrà sottoposta alla corte dei conti per il controllo contabile. Quest’ultima dovrà esprimere il suo giudizio entro quindici giorni altrimenti, per il meccanismo del silenzio-assenso, la piattaforma contrattuale si intenderà approvata e a quel punto si passerà alla stipula del Contratto Collettivo Pubblico che verrà poi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e solitamente ha una durata di quattro anni.

Aran (Istituita dal D. Lgs 29/1993 , con sede a Roma) Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni, è un organismo tecnico, dotato di personalità giuridica, di diritto pubblico e di autonomia organizzativa, gestionale e contabile. L'Aran ha la rappresentanza legale di tutte le pubbliche amministrazioni in sede di contrattazione collettiva nazionale. Svolge, pertanto, ogni attività relativa alla negoziazione e definizione dei Contratti Collettivi del personale dei vari comparti del pubblico impiego, ivi compresa l'interpretazione autentica delle clausole contrattuali e la disciplina delle relazioni sindacali nelle amministrazioni pubbliche. Nello svolgimento dei suoi compiti istituzionali, l'Agenzia si attiene agli atti di indirizzo dei Comitati di Settore (organismi collegiali costituiti per rappresentare categorie omogenee di amministrazioni), con l'autonomia richiesta dalle esigenze di una corretta e funzionale dinamica negoziale. L'Aran, inoltre, assiste le pubbliche

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amministrazioni per l'uniforme applicazione dei Contratti Collettivi di Lavoro e, su richiesta dei Comitati di Settore , può costituire delegazioni temporanee a livello regionale o interregionale per soddisfare specifiche esigenze delle amministrazioni interessate. Unico organismo preposto alla negoziazione nel pubblico impiego, l'Agenzia é, quindi, costante punto di riferimento nel complesso sistema della contrattazione collettiva

Riassumendo: il Comitato di Settore dà all’Aran le indicazioni di massima sulle esigenze del comparto, chiaramente dalla parte del datore quindi delle amministrazioni coinvolte. L’Aran va a contrattare con i sindacati dei lavoratori e fa una piattaforma contrattuale d’intesa. Le rappresentanze dei lavoratori sono i sindacati dei lavoratori che fanno capo a CGIL, CISL e UIL.

N. B. nel testo del Virga si parla di rappresentanze sindacali unitarie chiamandole RSU, ma si rischia di fare confusione. Ciò significa che CGIL, CISL e UIL non vanno a trattare da sole, ma conducono la trattativa tutte insieme.

L’RSU è l’organismo sindacale di base, quello che all’interno dell’azienda deve controllare che il Contratto Collettivo sia osservato, che i lavoratori siano tutelati e al quale si rivolgono i lavoratori se hanno problemi. La rappresentanza sindacale unitaria che va a trattare con l’Aran non è l’RSU.

Dall’incontro tra CGL, CISL e UIL con l’Aran viene fatta la piattaforma di accordo del Contratto Collettivo che viene sottoposta alla Corte dei Conti. Quest’ultima se entro 15 giorni non dà il suo dissenso, per il meccanismo del silenzio - assenso, il contratto viene stipulato e reso pubblico. Se però entro 15 giorni non dà il suo assenso perché il controllo fatto dimostra che il tetto di spesa è sforato (il controllo della Corte dei Conti e di tipo esclusivamente contabile cioè deve stabilire se con tutti i vari

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tributi economici stabiliti nel Contratto Collettivo - paga base, straordinario…tutto ciò che è economico - si supera il tetto di spesa) a quel punto la bozza del contratto torna all’Aran e riparte la contrattazione. Se non si trova ancora un accordo interviene la presidenza del Consiglio dei Ministri che si assumerà la responsabilità della firma dell’accordo e può approvare la piattaforma anche al di fuori dei limiti di bilancio.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri in quel caso rappresenta il capo dell'amministrazione.

La tripartizione dei poteri dello Stato.

Lo stato ha principalmente tre poteri:

potere legislativo cioè che fa le leggi

potere giudiziario ne controlla l’attuazione

potere amministrativo o esecutivo che in concreto dà attuazione alle leggi.

La tripartizione è fatta affinché questi siano autonomi e indipendenti, questo per garantire l'imparzialità. Se il potere legislativo fosse preponderante su quello giudiziario non ci sarebbe più garanzia che la legge sia osservata in quanto se il potere legislativo è troppo forte può indurre il potere giudiziario ad applicare la legge a modo suo (si è tanto sentito parlare delle polemiche sulle ingerenze del potere politico sul potere giudiziario). D’altra parte deve essere autonomo anche il potere amministrativo rispetto al potere giudiziario perché uno controlla che la legge sia ben applicata (potere giudiziario) l’altro la deve far ben applicare (potere amministrativo). In questo caso è importante il mantenimento dell’autonomia in quanto il giudice non deve poter influenzare l’applicazione della legge, ma solo poterla controllare all’ex-post.

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Quindi il Presidente del Consiglio dei Ministri altro non è che il capo del potere amministrativo o esecutivo (che esegue la legge); se l’Aran non riesce a trovare l’accordo è lui che interviene.

ORGANIZZAZIONE DEL SINDACATO

L’organizzazione del Sindacato è di due tipi:

Istanza Verticale o Categoriale o Compartimentale del sindacato: il sindacato opera al livello di singole categorie attraverso il sindacato di categoria. Ad esempio la FIOM altro non è che il sindacato della categoria metalmeccanica. Nella sanità il corrispettivo è la FIALS che opera all'interno del comparto della sanità. Questa si chiama istanza verticale del sindacato perché opera all'interno della categoria o comparto.

Il tipico prodotto dell'istanza verticale del sindacato è il CCNL (Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro) che nel caso dl pubblico impiego si chiama Contratto di Comparto. Quindi il mondo del lavoro è diviso in categorie o comparti, a seconda se siamo nel privato o nel pubblico, all’interno di ogni categoria operano i sindacati di categoria che chiaramente sono di diversa estrazione politica (FIOM, FIM e FIN: sono le tre sigle di sindacati di categoria che fanno poi capo alla confederazione che come dice la parola stessa (con- federatus) è l’unione di più federazioni.)

F = federazione I = impiegati O = operai M = metalmeccanici

F = federazione I = italiana C = chimici

F = federazione I = italiana E = edili

Tutti questi operano all’interno della loro categoria e il frutto del loro lavoro è il Contratto Nazionale di Comparto.

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Istanza Orizzontale: tuttavia poi c’è la necessità di un coordinamento trasversale nel mondo del lavoro e lo fa la confederazione che riunisce tutti i sindacati delle singole categorie.

MONDO DEL LAVORO

COMPARTI ↓

ENTI PUBBLICI NON ECONOMICI

Istanza

Verticale di comparto

SCUOLA

Istanza

Verticale di

comparto

MINISTERI

Istanza

Verticale di

comparto

SANITÀ

Istanza

Verticale di

comparto

C G I L

Istanza Trasversale

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All’interno di ogni comparto lavora il sindacato di comparto, se fossi nell’impiego privato avrei i sindacati di categoria nazionali. Coloro che operano all’interno delle singole sezioni del mondo del lavoro hanno il compito di tutelare i lavoratori che operano dentro le sezioni stesse, quindi fanno il Contratto Nazionale di Comparto. Si parla di istanza verticale perché operano soltanto all’interno della categoria o comparto di riferimento. Naturalmente le esigenze dei lavoratori non sono legate solo ad esigenze della singola categoria o comparto di appartenenza. Ad esempio l’accordo per l’RSU ha previsto che all’interno delle aziende e delle pubbliche amministrazioni fosse presente questo organismo di base che ha un doppio scopo: assicurare gli effetti del Contratto Collettivo, magari fare un contratto decentrato e al contempo tutelare i lavoratori. La necessità di avere un RSU, quindi una tutela sindacale in azienda o nella Pubblica Amministrazione, ce l’hanno tutti i lavoratori dei diversi comparti.

E’ per questo che c’è l’esigenza di una istanza trasversale, a cui faranno capo i singoli sindacati di comparto (istanze verticali), che è la Confederazione = cioè l’unione di tutte le federazioni che operano all’interno di ogni singola categoria/comparto. Si occupa dei problemi di tutto il mondo del lavoro. Lo scopo è quello di coordinare tutti i sindacati di categoria per evitare, per esempio, che un comparto venga avvantaggiato troppo rispetto ad un altro nella retribuzione.

Per fare un esempio, potremo dire che la confederazione è come un corridoio con tante porte ognuna delle quali è una federazione.

Funzione importante della confederazione è la concertazione: si ha quando il governo per fare una determinata legge chiama i sindacati. Apparentemente non sembrerebbe necessario, ma in realtà il motivo consiste nel fatto che ormai in Italia si è

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constatato che ogni scelta politica incide sul mondo del lavoro. La legge non parte più solo dal governo, ma da un confronto tra le parti sociali in modo da non essere più fonte unilaterale, ma diventare frutto di un accordo con il sindacato. Il governo parlerà con un sindacato che rappresenti tutto il mondo del lavoro: l’istanza orizzontale, la quale, riunendo tutte le istanze verticali, le rappresenta tutte. Se, ad esempio, riduco il costo dei farmaci dò un vantaggio ai cittadini che sono lavoratori e che possono spendere di più. Ecco perché, per esempio, quando si dovette decidere per ridurre il costo della benzina vennero chiamati i sindacati. Nel caso di un accordo sui permessi sindacali, per esempio, è chiaro che l’accordo lo farà l’istanza orizzontale perché è un problema che riguarda tutti i comparti.

La CGIL11 (Confederazione Generale Italiana del Lavoro) nell’impiego privato è tradizionalmente il sindacato più forte, ma istanze orizzontali sono anche UIL, CISL. Nel pubblico impiego ci sono dei settori dove sono molto forti la CISL e addirittura gli autonomi. Interessante è sapere che in Italia, a differenza del resto del mondo, sono nati prima i partiti e poi i sindacati anziché il contrario. Questo dà una connotazione politica al sindacato: mentre negli altri paesi, almeno in origine è il sindacato che ha indirizzato il lavoro dei partiti, come ad esempio è stato per il partito laburista inglese, in Italia è il partito che influenza la vita del sindacato.

Quando è stato fatto l’accordo per dividere in comparti il mondo del lavoro pubblico erano presenti la CGIL, CISL e UIL essendo un accordo trasversale che riguardava tutto il mondo del lavoro pubblico. Se invece si dovesse fare il contratto di comparto della

11 La CGIL venne fondata a Roma nel giugno ’44 come sindacato unitario di tutti i lavoratori. Successivamente, nel 1948, dalla CGIL si staccò la CISL di impostazione democratico cristiana e socialdemocratica e, quindi, nel 1950 la UIL di estrazione socialista.

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sanità l’accordo lo farà la federazione che opera all’interno della sanità.

Fino ad ora abbiamo nominato le seguenti fonti del diritto del lavoro:

Costituzione

Leggi

Contratto Collettivo di Comparto

Contratto individuale

Ma tra la legge e il Contratto Collettivo di Comparto c’è il:

Contratto interconfederale: ha lo scopo di disciplinare fattispecie che riguardano tutte le categorie o i comparti cioè tutto il mondo del lavoro. Come, ad esempio, il già citato accordo del 1993 per la costituzione delle RSU12: organismo sindacale che opera all’interno della singola azienda o amministrazione per tutelare l’interesse dei lavoratori. E’ chiaro che è una tematica che riguarda tutti i comparti quindi l’accordo che disciplinerà come funzionano, si compongono e si disciplinano le RSU dovrà essere necessariamente di tipo interconfederale e così si chiama perché lo fanno le confederazioni.

Solitamente l’accordo interconfederale riguarda una cosa ben precisa. L’accordo del 1993, riguardava anche il problema del costo del lavoro e la contrattazione collettiva.

Quell’accordo, ad esempio, ha stabilito che il Contratto Collettivo ha un’efficacia diversificata: infatti, la disciplina che troviamo nel Contratto collettivo riguarda tutto il rapporto di lavoro, dalla sua

12 In effetti l’accordo interconfederale del dicembre ’93 faceva seguito ad un protocollo d’intesa concluso con il Governo del precedente luglio. L’accordo, poi, non si occupava soltanto di RSU ma riguardava come prima argomento il costo del lavoro e la contrattazione collettiva.

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costituzione alla sua estinzione, inoltre è disciplinata anche la parte economica che è quella che a noi interessa più di tutti.

Infatti all’interno del Contratto Collettivo di lavoro esistono tre parti:

Parte economica: che disciplina la retribuzione.

Parte normativa: che prevede la disciplina del rapporto di lavoro: l'assunzione e licenziamento, il trasferimento, le mansioni ecc.

Parte obbligatoria: quella che disciplina rapporto tra i sindacati: su come si rinnova un contratto, su come devono funzionare l’elezioni sindacali ecc. (per esempio c’è una norma che dice che almeno tre mesi prima della scadenza del contratto si avvieranno le trattative per il rinnovo).

L'accordo interconfederale del '93 ha disciplinato l’efficacia che hanno queste parti all’interno del Contratto Collettivo e la durata della parte normativa che è di quattro anni mentre la parte economica dura due anni.

*

La parte economica: il tasso d’inflazione programmato

Fino agli anni ’70 c’è stata la cosiddetta scala mobile: un meccanismo di indicizzazione dei salari. Man mano che aumentava l’inflazione c’era un corrispettivo aumento dei salari. Questo meccanismo diventò ben presto perverso verificandosi un continuo inseguimento tra aumento dell’inflazione e aumento dei salari (addirittura negli anni ’70 l’inflazione è arrivata perfino al 20% in un anno, ora siamo al 2%). Per evitare questo continuo rincorrersi è stato introdotto il cosiddetto tasso di inflazione programmata. Nel momento in cui, durante la stesura del Contratto Collettivo, si stabilisce l’importo di una retribuzione,

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viene stabilito anche quanto devono aumentare i salari e quale sia il tetto massimo per i successivi due anni. In questo modo siamo certi di avere il costo del lavoro sotto controllo perché più del 2% non può aumentare. Ecco perché la parte economica dura solo 2 anni, perché ogni 2 anni è necessario ridiscutere in base all'inflazione reale che non necessariamente coincide con l'inflazione programmata.

Art. 2087 - Codice Civile: Tutela della condizioni di lavoro.

L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Art. 36 - Costituzione (già mensionato)

Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa.

La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.

Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.

 

L. n° 300/20 MAGGIO 1970 – STATUTO DEI LAVORATORI

Art. 7 - Sanzioni disciplinari

Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile

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a tutti. Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano

Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa.Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato.

Fermo restando quanto disposto dalla L. n° 604/15 luglio 1966, non possono essere disposte sanzioni disciplinari che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro; inoltre la multa non può essere disposta per un importo superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per più di dieci giorni.

In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa.

Salvo analoghe procedure previste dai Contratti Collettivi di Lavoro e fermo restando la facoltà di adire l'autorità giudiziaria, il lavoratore, al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare può promuovere, nei venti giorni successivi, anche per mezzo dell'associazione alla quale sia iscritto, ovvero conferisca mandato, la costituzione, tramite l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, di un collegio di conciliazione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore dell'ufficio del lavoro. La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del collegio.Qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni

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dall'invito rivoltogli dall'ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio di cui al comma precedente, la sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro adisce l'autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio.

Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione

.

4°Lezione 25/11/05

Il Contratto Collettivo è una sorta di mini-codice che contiene tutta la disciplina del rapporto di lavoro dall’assunzione del lavoratore e talvolta anche prima: ci sono per esempio regole sulle visite pre-assuntive. Contiene tutta la disciplina del rapporto di lavoro: i tipi di contratto (part-time, contratto a termine... Ad esempio: le percentuali di quanti contratti a part-time o a termine sono fattibili rispetto al numero degli occupati, la disciplina integrativa delle varie tipologie di rapporto di lavoro..) i doveri dei dipendenti la disciplina della malattia, dell’infortunio le mansioniIl Contratto Collettivo nel settore privato si divide per categorie (categoria dei metalmeccanici, ecc). Nel pubblico impiego si divide per comparti (comparto sanità ecc..). I comparti sono sezioni del mondo del lavoro pubblico in cui sono raggruppate tutte le amministrazioni che fanno capo ad un'unica funzione pubblica (ad esempio tutte le amministrazioni che si occupano di istruzione sono nel comparto scuola; tutte le amministrazioni che si occupano di sanità sono nel comparto sanità, ecc…). Il contratto

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più importante è il Contratto Nazionale di Comparto. Nel settore privato si parla di categorie (metalmeccanici, chimici…) e il contratto più importante sarà il Contratto Nazionale di Categoria.Il Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro (CCNL) deve disciplinare tutti i rapporti di lavoro nel suo settore, in tutte le aziende comprese nella categoria e in tutta Italia.Per questo motivo nel CCNL ci sono le tabelle retributive, o minitabellari, che contengono le paga oraria che è incontestabile e inderogabile. La retribuzione è costituita dalla paga oraria più tutta una serie di voci aggiuntive come l’indennità di contingenza, l’indennità di servizio, lo straordinario, l’indennità di turno, l’indennità radiologica, ecc. Il Contratto Collettivo per essere applicabile in tutte le regioni, deve contenere una paga oraria minima supportabile in aree economicamente depresse (come per esempio la Costa Tirrenica da Pisa fino a Grosseto) così come in aree più fiorenti.

Art. 36 Costituzione. (già menzionato)

Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità (n° di ore lavorate) e qualità (livello di specializzazione) del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.

La retribuzione giusta e sufficiente è appunto quella stabilita dal CCNL che è calibrato su un azienda tipo di livello minimale, cioè

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su una serie di diritti normativi retributivi sostenibili in tutta Italia. E’ però intuibile che, a seconda dell’azienda, quei minimi possano essere insufficienti. Ad esempio, nel caso di un azienda che lavora con la Cina e che quindi è costretta a lavorare di notte per il fuso orario ci sarà bisogno di lavoro notturno mentre un’azienda metalmeccanica che produce componenti aerospaziali avrà bisogno di professionalità altamente elevate e attrezzature particolarmente costose e quindi sarà disposto a pagare i dipendenti molto di più. Ecco che è prevista una contrattazione di secondo livello o contrattazione integrativa che si affianca al CCNL, estremamente generico.

Questa seconda contrattazione può essere: aziendale che si fa al livello di singola azienda e in questo caso l’agente contrattuale è l’RSU quando l’azienda è molto grossa provinciale o decentrata territoriale nei casi in cui il numero del personale dipendente non sia tale da giustificare un contratto di tale tipo. Ovviamente non deve esserci contrasto tra il CCNL e la contrattazione di II° livello ed è questo uno dei problemi più grossi del diritto sindacale.

Nel 1970 circa, l’Italia aveva un andamento economico forte, e quando l’economia si dice è ‘in toro’, cioè tira, la contrattazione si sposta dal livello nazionale a quello periferico. Il contratto più importante diventa quello di II livello (in quanto l’azienda è disposta a pagare di più perché va forte e quindi sarà in questa seconda contrattazione che si potrà ottenere di più). Chi va a fare il contratto di II livello in azienda diventa importante. Il sistema di

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sindacale italiano è sempre stato caratterizzato da un basso tasso di sindacalizzazione: se c’è da fare sciopero aderiscono tutti, ma quando c’è da pagare la tessera sindacale non ci va nessuno, in altre parole gli iscritti al sindacato sono molto pochi rispetto a quelli sindacalmente attivi. Può quindi succedere che il sindacato nazionale non riesca a controllare la periferia. In azienda a quel tempo funzionavano i Consigli di Fabbrica formati nella seconda metà degli anni sessanta in occasione del cosiddetto ‘boom economico’. Si assistette ad una migrazione di massa dal Sud al Nord. Nelle grandi imprese del Nord arrivarono tantissimi lavoratori meridionali generici spesso intercambiabili. Si creò una situazione di tensione sociale legata alla disoccupazione. In quel momento in azienda funzionavano già degli organismi sindacali dette ‘Commissioni Interne’: venivano elette da tutti i lavoratori dell’azienda ed erano destinate a funzionare come interlocutore del datore di lavoro. Ma chi veniva votato era l’operaio con grande esperienza, l’anziano, non certo il giovane. Succedeva così che la grande massa di giovani molto rivendicativa non si vedeva rappresentata da queste Commissioni formate da lavoratori abbastanza navigati, spesso più sensibili alle esigenze dei padroni che alle loro. Iniziò così spontaneamente, da questa giovane massa di lavoratori, che non si rivedeva in questi organismi pletorici, il cosiddetto ‘Movimento dei Delegati’ formato dall’insieme dei Consigli dei Delegati che diventarono poi i Consigli di Fabbrica. All’interno del reparto, dell’ufficio, della catena, i lavoratori si mettevano insieme e nominavano un proprio delegato; l’insieme dei delegati formava il Consiglio dei Delegati o di Fabbrica. Il sindacato entrò in crisi perché non riusciva a controllare questi nuovi organi. Nel 1970 con lo Statuto dei Lavoratori fu previsto un organismo sindacale, l’RSA (precedente all’RSU) - Rappresenta Sindacale Aziendale -costruito proprio come una rappresentanza del sindacato in

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azienda. Ci si rese conto ben presto, però, che in azienda era già presente un organismo sindacale, o sindacalizzato in senso lato, che era il Consiglio di Fabbrica. In altre parole, i sindacati si resero conto che non ci sarebbe stato posto per un ulteriore organismo sindacale e chiamarono sostanzialmente RSA i Consigli di Fabbrica. Lo Statuto dei Lavoratori riconosce tantissimi diritti all’’RSA: il diritto ad una stanza in azienda, ad una bacheca per affiggere le proprie comunicazioni... I dirigenti dell’RSA hanno diritto a permessi retribuiti per svolgere attività sindacale, a non essere licenziati, a non essere trasferiti se non previo nulla osta... La massa delle prerogative è amplissima.Ma quando i sindacati chiamarono i Consigli di Fabbrica RSA successe che gli stessi divennero incontrollabili essendo il sindacato fuori dall’azienda mentre il Consiglio di Fabbrica era organismo interno all’azienda quindi, ad eccezione di una minoranza di realtà, il controllo sfuggì dalle mani dei sindacati. In effetti, essendo liberamente eletti dal basso, dalla base dei lavoratori, i consiglieri spesso non si riconoscevano nel sindacato esterno all’azienda (un po’ come accade oggi con COBAS che si sono sviluppati proprio in contrapposizione con il sindacato tradizionale). In quel modo, però, i consigli di fabbrica finivano per fare di testa loro pretendendo, magari, di ridisciplinare materia già disciplinate dal ccnl.(Questa situazione durò fino al biennio ‘73-’76, quando, con lo ‘shock petrolifero’, l’economia italiana ebbe una fase recessiva e un successivo spostamento della contrattazione dal livello aziendale a quello nazionale).Il problema più grosso fu che, non essendo il Consiglio di Fabbrica controllato dai sindacati, non esisteva più collegamento tra CCNL e Contratto Aziendale. Addirittura si teorizzava che il CCNL vincolasse solo la parte datoriale ed i lavoratori potevano, il giorno dopo la stipula del CCNL, riaprire le lotte per ottenere di più a livello aziendale. La situazione arrivò alla sua crisi quando

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nel 1980 la Confindustria si oppose estremamente al rinnovo del CCNL dato che poi a livello aziendale si era costretti a ricontrattare su tutto. Nasce così la necessità di trovare una regolamentazione del rapporto tra CCNL e contratto di II° livello decentrato.

La regolamentazione più importante è del 1993. Un primo accordo interconfederale fu trovato nel 1983 con il protocollo Scotti, che abolì la scala mobile. Fece seguito l’accordo interconfederale del 1993 che trattava molte cose tra cui il Contratto Collettivo (parte economica, normativa e obbligatoria) e la contrattazione decentrata stabilendo che poteva disciplinare soltanto: le materie non disciplinate a livello nazionale quindi lasciate libere (es. : possono esserci aziende dove c’è più bisogno di straordinari o di lavoro a turni) le materie in cui il Contratto Nazionale si era limitato a dare una disciplina di massima, i principi generali, rimettendo al secondo livello di contrattazione la disciplina di specificazione (es. : l’incentivo annuo si dà solo se l’azienda quell’anno raggiunge un certo livello di fatturato che è lasciato fissare in azienda stessa essendo ovviamente dato soggettivo) Inoltre nel pubblico impiego la contrattazione decentrata deve tener conto dei limiti di spesa stabiliti nella finanziaria: muovendosi il CCNL, almeno per quanto riguarda la parte economica, entro dei binari prefissati, è ovvio che al livello di contrattazione decentrata quei binari devono mantenersi. C’è quindi un ulteriore livello contabile anche al secondo livello di contrattazione. Tutto questo funziona a patto che il sindacato che contratta a livello nazionale sia lo stesso che contratta a livello decentrato. Se fossero organismi diversi chi contratterebbe a livello decentrato non rispetterebbe i limiti di spesa stabiliti nel

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CCNL. Il contratto, come già detto,ha efficacia di legge tra le parti che l’hanno stipulato per cui chi non l’ha stipulato non è obbligato a rispettarlo, ma anzi ha tutti gli interessi nell’ottenere soluzioni più vantaggiose per i lavoratori a livello decentrato. Da qui la nascita delle RSU all’interno delle aziende.Negli anni settanta il problema grosso fu quello dei Consigli di Fabbrica che sfuggivano al controllo del sindacato nazionale perché promossi liberamente dai lavoratori e non dai sindacalisti.Ci sono due sindacati: il sindacato istituzione, organizzazione: CGIL, CISL,UIL e poi c’è il sindacato movimento, che sono i lavoratori veri. Spesso in Italia c’è stato uno scollamento tra i due per cui tante volte è successo che i lavoratori si sentissero quasi traditi dai sindacalisti nei quali finivano per vedere una sorta di alter-ego dei datori, qualcuno di troppo vicino al padrone a scapito loro. Nei Consigli di Fabbrica succedeva proprio questo. Il sindacato istituzione non aveva presa sul sindacato movimento che si esprimeva nei Consigli, eletti dalla base e dunque dal basso: i lavoratori spontaneamente si riunivano ed eleggevano un proprio delegato. Era impossibile per il sindacato avere un controllo su quella che era una libera associazione dal basso. Per evitare che tutto ciò si ripetesse sono nate le RSU: le uniche in grado di garantire in un certo modo il sindacato istituzione. Ciò che spaventa di più è l’elezione perché non è controllabile. Per poter assicurare al sindacato esterno, firmatario del ccnl la presenza all’interno della RSU l’individuazione dei membri della RSU avviene in questo modo: 1/3 dei candidati è nominato dai sindacati che hanno fatto la contrattazione collettiva nazionale, 2/3 dei candidati sono elettivi, ma alle elezioni possono partecipare anche le liste sindacali che abbiano raggiunto almeno il 5 % degli aventi diritto di voto. Ovviamente partecipano così anche i sindacati nazionali di lavoro (che hanno stipulato il CCNL) quindi

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basta che raggiungano un altro terzo (la metà delle liste elettorali) per avere, unendolo al terzo di nomina, la maggioranza. Così il controllo delle RSU è assicurato ed essendo l’organo che fa il contratto al livello aziendale ecco che il sistema è chiuso, perché chi contratta al livello aziendale è lo stesso organismo che ha fatto il CCNL. Ecco che si evita il problema dei Consigli di Fabbrica.Nelle ELEZIONI ASSEMBLEARI ci sono due Quorum:

Quorum costitutivo: il numero dei membri che devono necessariamente essere presenti affinché l’assemblea sia validamente costituita. Ad esempio se in parlamento su 600 parlamentari ne sono presenti solo 100 non si vota.

Quorum di votazione: se io faccio una modifica alla Costituzione la legge dice che ci vuole la maggioranza qualificata di due terzi degli aventi diritto al voto. Questo si chiama quorum elettivo per cui la maggioranza non è sufficiente perché la legge dice che ci vogliono i due terzi dell’aventi diritto (su 10 elettori devono averla votata in 7; 6 non basterebbero).

Nelle elezioni dell’RSU ci vuole un quorum pari al 5% dei votanti. Per cui, ad esempio, se si vota all’ASL di Pisa, la federazione italiana lavoratori della sanità per potersi presentare deve avere il 5% delle firme dei lavoratori della ASL di Pisa altrimenti non potrà presentarsi.

La lista viene presentata preventivamente agli elettori per una raccolta firme dalla quale viene calcolato il quorum elettivo.Ovviamente per poter raggiungere il quorum del 5% è necessario avere una buona organizzazione, con personale che può occuparsi della raccolta delle firme; ovviamente sono le organizzazioni più importanti (CGIL, CISL, UIL) che hanno la camera del lavoro, i delegati… a raggiungerlo.

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Nella contrattazione del pubblico impiego non ci possono andare tutti i sindacati, ma solo quelli che hanno un certo quorum e capacità rappresentativa. Per poter andare di fronte all’Aran un sindacato deve avere un quorum del 5 % di tutti i lavoratori del comparto sanità. Per stabilirlo si fa la media tra i voti riportati nelle RSU del comparto e il numero delle deleghe sindacali cioè degli iscritti. Se la media di questi due valori è pari al 5 % si è maggiormente rappresentativi si è dunque legittimati alla contrattazione rappresentativa. Considerate che l’RSU restano in carica tempi variabili e in alcune realtà per il tempo di durata del CCNL di modo che sei mesi dopo le elezioni delle RSU si va a fare il CCNL così da avere alla mano i dati delle elezioni.

Riassunto:

La contrattazione collettiva si fa su due livelli: CCNL che deve dettare una disciplina minimale di

tutela di tutti i lavoratori che sia sostenibile da tutti coloro che il contratto andrà a disciplinare. E’ ovviamente una disciplina generica essendo grosso il numero dei destinatari. Ricordiamoci che la caratteristica fondamentale della norma giuridica è la generalità e l’astrattezza dovendo essere in grado di disciplinare tantissime situazioni diverse; per cui il CCNL deve essere generale, astratto e minimale per essere applicabile in ogni situazione.

Contrattazione integrativa o decentrata ha lo scopo di armonizzare la disciplina generica del CCNL con le specifiche necessità al livello di singola azienda o di area territoriale o provinciale. Nel pubblico impiego deve attenersi ai limiti di spesa fissati dalla finanziaria.

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Sarebbe vanificato il lavoro di controllo centrale fatto dalla Corte dei Conti se non si accompagnasse con un controllo decentrato. Infatti anche al livello aziendale decentrato ci sono organismi di controllo che verificano che la contrattazione integrativa si sia tenuta nei limiti economici della spesa.

L’RSU si occupa innanzitutto di contrattazione decentrata chiaramente al livello aziendale perché al livello provinciale ci sono i sindacati provinciali. In alcuni casi è il cosiddetto agente contrattuale cioè è l’organismo che siede proprio al tavolo delle trattative altre volte è l’organismo che fa l’istruttoria della trattativa e poi vanno a trattare i rappresentanti sindacali provinciali. L’RSU si occupa anche di altre cose: della verifica e del controllo dell’applicazione del CCNL al livello aziendale. In altre parole il lavoratore che ritenga che in azienda il CCNL non sia stato bene applicato può andare a far presente la cosa all’RSU la quale poi si interfaccerà con il datore di lavoro. Si occupa di fare le contestazioni e quant’altro si necessita. Su un piano più generale si occupa della tutela dei diritti dei lavoratori. Ha quindi un doppio ruolo perché tutela anche il sindacato stesso controllando che il CCNL stipulato dal sindacato sia osservato in azienda.

Le RSU, sindacati provinciali, hanno un fortissimo strumento che si chiama procedimento di repressione della condotta antisindacale che è un procedimento d’urgenza disciplinato dall’Art. 28 dello Statuto dei Lavoratori. La legge processuale (che disciplina i processi) prevede dei procedimenti che si chiamano d’urgenza ovvero quei procedimenti nei quali la risposta arriva nel giro di uno - massimo - due mesi. A fronte di una durata media delle cause pari a 5 anni esistono delle circostanze che hanno bisogno di tutela immediata per far fronte alle quali la legge

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prevede questi procedimenti d’urgenza il più noto dei quali è il Procedimento Ex- Art. 700 (dal nome dell’articolo che lo disciplina del Codice Civile) ed è un dei cosiddetti procedimenti sommari. In altre parole si fa un ricorso si va davanti al giudice il quale anziché fare tutte le perizie ecc. decide quasi allo stato degli atti, interroga le persone informate sui fatti quasi in maniera informale, senza neanche il giuramento, e prende una decisione nel giro di un mese e mezzo, due. E’ una tutela molto forte e che risponde alle esigenze della salvaguardia di interessi di primaria importanza (posto di lavoro, salute..).

Un procedimento analogo è l’ex-Art. 28 dello Statuto dei Lavoratori: anche questo è un procedimento d’urgenza, che va a colpire tutti quei comportamenti del datore di lavoro che limitino o annullino la libertà e l’attività sindacale o ostacolino e impediscano l’esercizio del diritto di sciopero. Tutti i comportamenti del datore di lavoro che in qualche modo incidano su questi tre beni possono essere portati all’esame del giudice del lavoro, attraverso questa procedura veloce.

Art. 40 Costituzione.

Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano.

La legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali.

Allorquando i sindacati danno corso ad uno sciopero si procede spesso alla c.d. comandata cioè una quota di dipendenti che è chiamata a prestare servizio, per evitare ad esempio la fermata totale degli impianti o per garantire comunque la sicurezza dell’azienda.

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Nella Legge sullo sciopero nei servizi pubb.ci ess.li (SPE) è prevista una sorta di comandata. Vedremo tra poco.

La comandata è legittima. E’ invece illegittimo – antisindacale – è limitare il diritto di sciopero.

Un esempio di limitazione del diritto dell’esercizio di sciopero è il cosiddetto “Crumiraggio esterno” che avviene quando il datore di lavoro, avendo i dipendenti in sciopero, assume dall’esterno degli altri dipendenti. Esiste anche il “Crumiraggio interno” quando il datore prende dal personale dell’azienda lavoratori per sostituire quelli in sciopero. Questa seconda forma di crumiraggio è legittima. Il crumiraggio esterno, invece, è illegittimo ed antisindacale.Altro esempio di condotta antisindacale può essere ad esempio rappresentata dal non permettere un’assemblea sindacale opponendosi alla richiesta dell’RSU. Quindi si fa questo procedimento ex-art. 28 molto veloce che si chiude con un decreto con il quale il giudice accerta la natura antisindacale della condotta e ordina al datore di lavoro di rimuovere immediatamente gli effetti di quella condotta, per cui ad esempio, se non aveva concesso l’assemblea, gli ordina di concederla. La forza particolare di questo provvedimento è che ha sanzione penale: se il datore di lavoro, riconosciuto “colpevole”, non ottempera al decreto emesso dal giudice la sanzione è di tipo penale (Art. 650 CP violazione degli ordini legittimi dati dall’autorità). E’ cosa molto rara basti pensare, ad esempio, che nel caso in cui il giudice ha accertato che un licenziamento è illegittimo e ordina la reintegra in servizio del lavoratore, ma il datore di lavoro non la mette in atto non c’è la sanzione penale. Nel caso dell’Art. 28 invece è prevista la sanzione di tipo penale.

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Questo perché l’obbligo del datore in caso di ordine ad esempio, di fare un’assemblea si chiama ‘infungibile’, cioè non può farlo nessun’altro, o lo fa il datore di lavoro o non lo fa nessuno. Il fatto invece che un lavoratore sia estromesso da un’azienda e non abbia il reintegro in servizio, abbiamo detto parlando dell’Art. 18, comporta il suo diritto alla reintegra e a tutte le retribuzioni da quando è stato mandato via fino a quando non lo riprendono. Ciò vuol dire che, anche se non viene reintegrato, il lavoratore che sta a casa matura comunque il diritto alle retribuzioni il che non è un obbligo infungibile perché comunque sia gli verranno pagate, al limite attraverso l’intervento di un ufficiale giudiziario che, su richiesta del lavoratore, pignora i beni del datore di lavoro e poi li vende all’asta. Con il provento della vendita si soddisfa il credito del lavoratore. Le obbligazioni che si possono avere nei confronti di una persona sono di due tipi: fungibili e infungibili (fanno capo solo a quella persona). L’ordinamento prevede, nel caso di mancato adempimento delle obbligazioni che uno ha assunto, una serie di strumenti. Nel caso delle obbligazioni pecuniarie abbiamo detto non si tratta di obbligo infungibile. In caso di mancato pagamento c’è il pignoramento della casa e il ricavato della successiva vendita all’asta lo darà l’ufficiale giudiziario. Ma se il datore di lavoro non concede l’assemblea non si può mandarci un’altra persona. O la dà il datore di lavoro durante l’orario di lavoro o non la può dare nessun’altro. Ecco perché c’è la sanzione penale: è talmente forte che può spaventare il datore di lavoro. Un precedente penale può compromettere ad esempio la possibilità di partecipare agli appalti pubblici. Con la fedina penale sporca non si può andare all’estero e per un imprenditore è facile che sia indispensabile. Nei casi più gravi si perde il diritto di voto, di paternità (gli assassini perdono la patria-potestà), il diritto ad

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essere amministratore delle società che per un imprenditore significa la fine della carriera. Una sanzione accessoria a cui stanno pensando è il ritiro perenne della patente a chi uccide una persona guidando in stato di ebrezza.Quindi l’Art. 28 ha questa caratteristica di grande forza ed è una norma che tutela i diritti sindacali e l’esercizio del diritto di sciopero.

LO SCIOPERO.

L’Art. 40 Costituzione riconosce che lo sciopero è un diritto che si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano. E’ un diritto quindi, come abbiamo un interesse legittimo cioè una situazione giuridica piena, di totale tutela. Questo vuol dire che in caso di sciopero questo non potrà mai causare la perdita del posto di lavoro, come accadeva quando lo sciopero era considerato una mera libertà (quindi si era liberi di scioperare, ma il datore era libero di licenziare di conseguenza). Il fatto che lo sciopero sia un diritto significa che non può comportare mai conseguenze dannose per chi lo esercita. Qui iure suo utitur naeminem laedit cioè chi esercita il proprio diritto per definizione non può mai ledere la posizione giuridica di un altro non essendo mai la legge in contraddizione (se io dò un diritto ad una persona e questa lo esercita per definizione non può ledere il diritto di un altro). Attenzione: chiaramente finché si rimane nei limiti del diritto. Se esercitando il diritto di sciopero si dà fuoco alla macchina del dirigente si compie un reato penale. Esercitare il diritto di sciopero significa: non andare a lavorare, protestare e fare il corteo, ma già ad esempio fare la barriera umana - mettersi uno accanto all’altro incatenati con le braccia per non far entrare i ‘crumiri’ (quelli che non aderiscono allo sciopero) in azienda - secondo alcuni è violenza privata quindi reato. Il diritto di

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sciopero dà il diritto di non andare a lavorare e non essere licenziati, chiaramente non c’è diritto di retribuzione perché chi non lavora non ha diritto a percepirla, ma non perderà mai il lavoro a causa dello sciopero. Un’esemplificazione di questa cosa si ha in certi servizi pubblici cosiddetti essenziali. Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali è stato disciplinato dalla L.n°146/90 e successivamente modificata dalla L. n°83/00. In detta legge si è detto che nei servizi in cui si tutelano diritti costituzionalmente garantiti: vita, libertà, sicurezza, circolazione, ecc. lo sciopero può avere corso, ma con alcune cautele.

Tre regole fondamentali dello sciopero nei servizi pubblici essenziali:

IL PREAVVISO . Lo sciopero deve essere adeguatamente preavvertito. Quando al telegiornale sentiamo annunciare uno sciopero che avverrà la settimana successiva non è solo a scopo notiziario, ma anche per pubblicizzare lo sciopero, le persone devono essere messe in grado di organizzarsi. E’ punito l’effetto annuncio cioè quando è proclamato uno sciopero e poi non viene fatto appositamente, quando ormai le persone si sono organizzate diversamente. La revoca all’ultimo momento causa comunque un danno economico all’azienda senza bisogno di scioperare, quindi senza perdere la retribuzione. Un esempio può essere quello dello sciopero delle compagnie aeree, delle persone che ormai hanno comprato il biglietto del treno, se anche lo sciopero viene revocato all’ultimo momento, la maggior parte ormai prenderà il treno. Per cui la revoca immotivata di uno sciopero è punita con sanzioni economiche a carico dei sindacati che lo hanno indotto. Attenzione se invece per esempio lo sciopero viene revocato e il lavoratore decide comunque di fare sciopero è assenza ingiustificata dal lavoro perché lo sciopero è un diritto collettivo e

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mai un diritto individuale. Secondo alcuni è un diritto collettivo secondo altri è un diritto individuale a necessaria proclamazione collettiva . La differenza tra diritto collettivo e diritto individuale è notevole: se lo sciopero fosse un diritto individuale si potrebbe decidere dall’oggi al domani di non andare a lavoro e fare sciopero autonomamente. Essendo lo sciopero un fatto collettivo, anche laddove è riconosciuto come diritto individuale, deve avere necessariamente una proclamazione collettiva cioè da parte dei sindacati. Può accadere, ad esempio, che il sindacato ha proclamato uno sciopero per il tal giorno e in quel tal giorno un lavoratore non va a lavorare, nel frattempo è stato revocato, ma lui non lo ha saputo, non ne ha avuto notizia perché era malato: in questo caso nessuno lo potrà sanzionare per assenza ingiustificata. Lo sciopero era stato proclamato collettivamente, il lavoratore non è stato avvisato della revoca e non è andato a lavoro in buona fede quindi non può subire sanzioni disciplinari per questo motivo. Se invece fosse un diritto individuale ognuno potrebbe proclamarlo per se stesso per una qualunque motivazione. LA DURATA . Nel momento in cui il sindacato proclama lo sciopero deve dire quanto durerà. Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali non può mai essere ad oltranza. Gli utenti, i cittadini, devono sapere quanto dura. I SERVIZI GARANTITI. Durante lo sciopero, proprio perché abbiamo detto che i diritti che vengono lesi sono diritti pubblici fondamentali (nella Sanità si tutela quello più importante che è il diritto alla vita), la legge dice che i sindacati devono garantire un certo numero di lavoratori. La percentuale si stabilisce attraverso un accordo sindacale, che viene sottoposto al controllo di un’‘Autority’. Abbiamo parlato di Aran per la contrattazione collettiva. In questo caso ce ne è un’altra che si chiama Commissione di garanzia dello sciopero nei servizi pubblici

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essenziali, anche questa è composta da uomini di provata competenza (professori universitari indipendenti dal Governo) e ha lo scopo di controllare se i servizi garantiti, concordati dai sindacati, sono sufficienti. Nel caso in cui detta Commissione ritenga che quanto convenuto sia insufficiente può invitare i sindacati a tornare al tavolo delle trattative per verificare l’integrazione dei servizi proposti. Se questo accordo non viene raggiunto e vi è pericolo grave per la salute delle persone o comunque per le esigenze fondamentali, ma lo sciopero viene ormai fatto con quei servizi garantiti ritenuti insufficienti dalla Commissione, si può avere la precettazione .

La precettazione è un provvedimento che viene emanato nella forma dell’ordinanza fatta dall’autorità amministrativa - il Prefetto, se lo sciopero è provinciale, o il Ministro del Lavoro, se lo sciopero è nazionale – la quale individua, con almeno 48 ore di anticipo, coloro che dovranno essere presenti sul posto di lavoro. E’ un’ordinanza, provvedimento amministrativo, che può essere impugnata al TAR. Le sanzioni in caso di inosservanza della precettazione sono di tipo economico (e sono anche cospicue), sia a carico dei lavoratori, che non osservano l’ordinanza sia a carico dei sindacati che non si sono attivati per tempo per evitare la precettazione oppure che non si sono conformati all’ordine della commissione di garanzia. La mancata osservanza della precettazione non può mai comportare il licenziamento.

Lezione integrativa 17/12/05

Ultime aggiunte sulle sciopero: La scorsa lezione abbiamo parlato di:o Diritto di sciopero, libertà di sciopero,

o Sciopero- reato

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o Sciopero nel pubblico impiego come legato a norme ben precise per la tutela degli interessi che vengono in gioco. o Sciopero nei servizi pubblici essenziali. L’esempio più eclatante è lo sciopero nella sanità dove è impensabile che scioperino tutti con rischio di vita per i degenti. Caratteristica dello sciopero in Italia è sempre stata la breve durata a differenza di altre realtà come ad esempio quella inglese dove è frequente lo sciopero cosiddetto ‘ad oltranza’. In queste realtà lo sciopero é talmente prolungato che i lavoratori costituiscono delle apposite casse dette ‘casse di resistenza’ nelle quali vengono depositati volontariamente dei soldi in vista delle lotte sindacali che arrivano ad essere molto lunghe. Chi si ricorda gli scioperi dei minatori inglesi dell’82 contro la riforma del governo Tatcher si ricorderà che lo sciopero andò avanti per mesi. In Italia non c’è mai stato un caso simile. Altro esempio è stato lo sciopero dei trasportatori francesi che é andato avanti per mesi bloccando praticamente la Francia. Per tradizione lo sciopero italiano è breve. Tant’è che quando si fa uno sciopero generale in genere la durata è di quattro ore.

FORME DI SCIOPERO: lo sciopero articolato

Per conciliare l’esigenza dell’efficacia dello sciopero (lo sciopero è efficace se reca un danno) con l’esigenza di salvaguardare la retribuzione, in Italia si sono sviluppati due modi di fare sciopero:1. Sciopero a singhiozzo : si ha quando si alternano a due ore di sciopero due ore di attività lavorativa.2. Sciopero a scacchiera (appartiene solo alla dimensione dello sciopero nel settore privato): scioperano singoli reparti dell’azienda che è costruita come una catena (ora molto meno per il fenomeno dell’esternalizzazione che ha visto il subappalto

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all’esterno di vari segmenti interni al processo produttivo). Bloccando un reparto che è a monte di tanti altri, automaticamente si bloccano tutti i reparti che stanno dietro nella catena non essendogli fornito il materiale su cui lavorare. Ad esempio: bloccando, in un azienda che fabbrica automobili, il reparto che monta il carburatore è ovvio che automaticamente rimarranno bloccati anche tutti i reparti che montano il motore il quale, senza carburatore, non potrebbe funzionare. In quei reparti però i lavoratori sono presenti sul luogo di lavoro quindi anche se non possono lavorare hanno ugualmente diritto alla retribuzione.

Lo scopo di questi tipi di sciopero è il minor danno per il lavoratore (che alterna due ore di sciopero a due di lavoro oppure è presente sul luogo di lavoro, ma non arrivandogli la materia su cui lavorare dal reparto a monte non può lavorare) e maggior danno per il datore (che ha i lavoratori a disposizione – quindi l’obbligo di retribuzione - ma questi non lavorano.)Si è a lungo discusso se queste modalità di sciopero fossero legittime. Solo nel 1980 ci fu una sentenza della Cassazione n ° 711 che ne riconobbe la legittimità (ad entrambe le forme, usate sia singolarmente che in forma combinata), con un unico limite che non si traducessero in lesioni permanenti della capacità produttiva dell’impresa.Esistono due tipi di danno fattibili all’attività di un’azienda:

o Danno alla produzione = ciò che l’azienda fa. Il danno alla produzione è per esempio in un’azienda che produce automobili se anziché farne 10000 ne fa 500 chiaramente il danno è di 9500 pezzi non prodotti. Questo è un danno sempre legittimo perché è chiaro che è lo scopo dello sciopero: causare un danno economico al datore.

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o Danno alla capacità produttiva = in questo caso il danno è illegittimo perché lede la capacità dell’azienda di continuare a produrre. E’ contrario all’Art. 41 della Costituzione (sotto menzionato). Ad esempio se faccio sciopero in un’azienda con un altoforno (macchinario costosissimo che necessita di una continua manutenzione) e non facendo manutenzione ad una catena questa si rompe, faccio un danno alla capacità dell’azienda di continuare a produrre. Peraltro è anche un danno controproducente per gli stessi lavoratori che, se la catena si blocca, l’altoforno esplode e l’azienda chiude, perderanno il posto di lavoro. E’ un’ipotesi teorica. Durante lo sciopero in aziende con altoforno ci sono le comandate = squadre di lavoratori che, per scelta sindacale, devono continuare a mantenere l’altoforno. In caso di blocco o tilt per farlo ripartire possono essere necessari numerosi giorni finanche alla sostituzione. Per sostituire un altoforno un’azienda può rischiare il fallimento dovendo far fronte a costi altissimi o comunque sia a lunghi tempi di attesa prima della ripresa della normale attività.

In caso di sciopero illegittimo il lavoratore, come quando lo sciopero era mera libertà, è esponibile a sanzioni disciplinari finanche il licenziamento.Nel caso dello sciopero articolato (a singhiozzo o a scacchiera), che non consiste in un’attenzione collettiva e permanente, ma in forme di lotta appunto articolate, il danno al produttore è sempre legittimo finché il danno è limitato alla produzione dell’azienda. Non è più legittimo se lede la capacità produttiva. E questo anche in virtù dei principi costituzionali. Ci siamo detti alla prima lezione che ci sono vari principi costituzionali di tutela del lavoro:

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Art. 39 Sull’attività sindacaleArt. 40 Sullo scioperoArt. 36 Sulla retribuzione Artt. 37-38 Sulla maternità, tutela previdenziale

Attenzione, ci sono anche principi costituzionali che tutelano l’impresa e la proprietà. Per cui si dice che questi diritti contrapposti debbano essere contemperati.

Art. 41 Costittuzione (Tutela la capacità d’impresa.)

L’iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

Secondo quest’articolo l’iniziativa economica privata è libera, riconosciuta dalla legge e non può svolgersi mai in modo da recare danno alla libertà, dignità o alla salute umana. Tuttavia è pur sempre riconosciuta per cui uno sciopero che comportasse una lesione permanente alla capacità produttiva di un’azienda sarebbe anticostituzionale.

LO SCIOPERO NEI SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI.

L’Art. 2 della L. n°146/90, che è quella che si occupa di disciplinare lo sciopero nei servizi pubblici essenziali, e s. m. : L.

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n° 83/00, definiscono essenziali i servizi che riguardano, tutelano, assistono o proteggono i diritti costituzionalmente garantiti a favore delle persone. Ad esempio il diritto alla salute, il diritto alla libertà, il diritto alla libertà di movimento, il diritto al domicilio e quant’altro: sono quei diritti che la Costituzione riconosce come fondamentali. Lo sciopero che incide sui diritti fondamentali dell’individuo necessita di una disciplina: quello della salute è il più clamoroso, ma pensate ad esempio ad uno sciopero della giustizia con persone in carcere in attesa di una sentenza. Infatti dopo il diritto alla salute viene subito quello della libertà.L’Art. 1 L. n° 146/90. Comma 1: Ai fini della seguente legge (sullo sciopero) sono considerati servizi pubblici essenziali indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto di lavoro, ( pubblico o privato: addirittura, dopo le modifiche, questa Legge riguarda non solo i dipendenti, ma anche i lavoratori autonomi e i liberi professionisti - ad esempio, in caso di sciopero degli avvocati non si tengono i processi e chi è in attesa di giudizio rimane in carcere - ) anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione, (come erano un tempo i mezzi pubblici: in concessione ai privati, questo non li escludeva dal carattere di servizi essenziali) quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà, alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di comunicazione.( C’è proprio una lista di situazioni tutelate che non è mai assoluta, ma sempre suscettibile d’integrazione perché ogni diritto riconducibile alla Costituzione potrebbe essere essenziale, il legislatore ha offerto una lista di situazioni, ma non è esclusiva.) Comma 2: Allo scopo di contemperare il diritto di sciopero,(che è costituzionalmente garantito), con il godimento dei diritti della persona, costituzionalmentetutelati, di cui al comma 1

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(ugualmente costituzionalmente garantiti), la presente legge dispone le regole da rispettare e le procedure da seguire in caso di conflitto collettivo (che è quello che sfocia in sciopero. Conflitto = scontro, Collettivo = perché riguarda interessi collettivi di un gruppo di lavoratori. Come abbiamo già detto non si può fare sciopero autonomamente inquanto lo sciopero è un diritto collettivo),............. Lo sciopero nei trasporti: è un tipico esempio di sciopero nei servizi pubblici essenziali perché deve tutelare la libertà di circolazione.

Ogni giorno il nostro comportamento è disciplinato dalla legge (illegittimo = non legittimo. Viene dal latino legitimus aggettivo di lex, legis = legge ). Lo sciopero nei trasporti diventa illegittimo quando viola la legge n° 146/00 che è quella che lo disciplina fissandone i confini della legittimità ovviamente sul piano generale come fa qualunque legge. Non c’è una legge che definisce lo sciopero articolato, perché la definizione dello sciopero non esiste in quanto lo sciopero – come fatto sociale collettivo – è destinato a concretizzarsi, tempo per tempo, in comportamenti diversi a seconda delle situazioni contingenti.Non esiste una definizione unica dello sciopero perchè non esiste un unico sciopero.Lo sciopero, ad esempio, può essere ad oltranza oppure di breve durata, può essere permanente o articolato, può essere generale o limitato ad una sola azienda, può essere nazionale oppure locale. Insomma, lo sciopero è un fenomeno multiforme destinato a variare a seconda del tempo e dei luoghi.

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L’illegittimità dello sciopero articolato si pone sul piano generale, dei principi costituzionali, in particolare abbiamo citato l’Art. 41 della Costituzione. L’illegittimità dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, invece, è basata su questa Legge secondo il principio costituzionale sancito nel suddetto Art. 40 per cui lo sciopero è un diritto che si esercita nei limiti delle leggi che lo disciplinano.Il sindacato ha sempre rifiutato la disciplina dello sciopero che vorrebbe dire ingabbiare un concetto in continua evoluzione. Abbiamo visto il caso dell’Inghilterra proprio per vedere come lo stesso fenomeno assuma una dimensione diversa nel mondo anglosassone rispetto a quello italiano dove uno sciopero di tre mesi non si è mai visto. La nostra vita non è però disciplinata solo dalla Costituzione. Ci siamo detti che le fonti del diritto sono più di una: Costituzione e Leggi costituzionali Leggi ordinarie Decreti legge e Decreti Legislativi Trattati e Regolamenti Comunitari Leggi Regionali Regolamenti Ordinanze della Pubblica Amministrazione: dunque atti amministrativi.Nel mondo del lavoro ci sono anche : CCNL Contratto individualeIn Italia ci sono 12000/18000 leggi. La legge permea tutta la nostra vita. La legge che dice che davanti ad un semaforo rosso mi devo fermare limita la libertà di circolazione. La legge è un limite. Finché resto entro quel limite il mio comportamento sarà legittimo, se lo oltrepasso vado nel campo dell’illegittimità (contra ius, contra lex = contro la legge).

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LE MANSIONI.

Lasciamo la dimensione collettiva (degli interessi dei lavoratori raggruppati) per tornare a quella individuale (del rapporto tra lavoratore e datore).Tra le cose più importanti con cui un lavoratore deve misurarsi nella propria quotidianità ci sono i compiti che deve svolgere. E’ importante capire qual è la normativa che disciplina i compiti da svolgere perché, come dice anche la nostra Costituzione, quotidianamente nel nostro lavoro manifestiamo alla nostra personalità, traiamo possibilmente soddisfazione da quello che facciamo o almeno dovremmo trarla. Non solo, come abbiamo già detto, il lavoratore nel rapporto di lavoro coinvolge l’intera sua persona passandoci la maggior parte del suo tempo. E’ dunque importante che ci siano delle regole che disciplinino questo tempo e che si conoscano affinché si possa rimanere nella legittimità. Il lavoratore deve sapere cosa il datore può pretendere o semplicemente chiedergli di fare. I compiti che si è tenuti a fare nel lavoro in normativa si chiamano mansioni. La disciplina delle mansioni è la disciplina dei compiti e dei limiti dei compiti del lavoratore. Abbiamo già detto che la privatizzazione del pubblico impiego non ha superato le differenze con l’impiego privato. La disciplina delle mansioni ne è una conferma evidente.Nell’ambito privato la disciplina delle mansioni è contenuta nell’Art. 2103 del Codice Civile. E’ una norma breve, semplice, ma che costituisce veramente un punto fermo, un cardine della disciplina del lavoro. Dalla violazione di tale articolo deriva la responsabilità contrattuale per il datore di lavoro, quindi una responsabilità patrimoniale (può essere richiamato a risarcire il danno). Inoltre questo articolo è usato come parametro in caso di ipotesi di Mobbing (una delle ipotesi tipiche del Mobbing è

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proprio quella della privazione delle mansioni o dell’adibizione a mansioni inferiori). Questo articolo dice innanzi tutto che il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto. La seconda regola che dice quest’articolo (essendo la durata di un rapporto di lavoro anche molto lunga ed essendo quindi impensabile che una persona per trent’anni faccia la stessa cosa) è che il lavoratore può essere anche adibito a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte. L’equivalenza nel privato non si misura mai sul titolo formale per cui sono assunto, ma su ciò che in concreto faccio. Anche questa è una norma fondamentale perché l’equivalenza è un concetto ben preciso = mansioni di uguale valore. Ciò esclude che il lavoratore sia adibito a mansioni di tipo inferiore. L’Art. 2103 si chiude con la dicitura: ogni patto in contrario è nullo = è quindi una norma inderogabile. Concetto di equivalenza può essere di tre tipi: Equivalenza economica = il guadagno non deve cambiare. Nell’Art. 2103 è espressamente detto: senza diminuzione della retribuzione. E’ quindi un concetto meramente patrimoniale. Equivalenza contrattuale = fa riferimento ovviamente al CCNL dove abbiamo detto ci sono le classificazioni dei lavoratori. (Alla categoria C, nel caso del pubblico impiego, appartengono: infermiere, podologo, fisioterapista… Nell’impiego privato: al 3° livello appartengono: commessa, contabile, impiegato d’ordine, magazziniere… Una lista di figure, di compiti.) Equivalenza contrattuale significa che tutti i compiti appartenenti allo stesso livello/categoria sono equivalenti. Quindi il lavoratore può essere adibito a uno qualsiasi di questi compiti purché appartenente alla stessa categoria/ livello essendo, secondo questo articolo, tutti equivalenti e avendo tutti le stesse prerogative economiche. Lo spostamento deve avvenire tra mansioni previste allo stesso livello

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del CCNL. Ovviamente siamo su un piano teorico perché è ovvio che alle mansioni spesso si accompagna un titolo di studio. L’equivalenza contrattuale a volte opera anche all’interno della stessa figura professionale, l’infermiere ne è un esempio: se un infermiere, che ha lavorato con un’equipe di alta specializzazione ed ha così a sua volta maturato un’alta specializzazione, è spostato in un reparto generico vede la propria professionalità pregiudicata pesantemente. In questo caso se c’è solo l’equivalenza contrattuale il nostro infermiere non potrà sollevare contestazioni: infermiere era e infermiere rimane rimane. Equivalenza professionale = è quella legata all’esperienza individuale dell’individuo, cioè a quella massa di esperienze che il lavoratore ha acquisito sul campo. Ad esempio un infermiere che ha lavorato per anni in una sala operatoria dove si fanno trapianti ha acquisito un bagaglio di esperianze tali, una professionalità che, nel caso in cui venga spostato in un altro reparto dove fa tutt’altra cosa, andrebbe persa. Mantenere un’equivalenza professionale significa che tra le vecchie e le nuove mansioni deve esserci una sorta di continuità. Occorre quindi che le nuove mansioni non siano totalmente estranee a quello che il lavoratore ha fatto per tanto tempo, questo comporterebbe innanzi tutto che il bagaglio professionale di quella persona sia totalmente perduto ed inoltre che per quanto riguarda le nuove mansioni debba ricominciare da capo senza poter sfruttare tutto ciò che ha imparato. Per cui in un mercato del lavoro ad alta transitabilità, cioè dove si cambia spesso il lavoro, l’essere spostato a mansioni non equivalenti vuol dire spesso perdere la professionalità acquisita. L’equivalenza professionale è quella che tutela più di ogni altra il lavoratore. Il non aver destinato il lavoratore a mansioni equivalenti comporta per il datore diverse conseguenze: innanzi tutto un obbligo di risarcimento del danno per perdita della professionalità, ma soprattutto il diritto per il lavoratore a

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poter chiedere di essere riassegnato alle mansioni precedenti. Il lavoratore spostato a mansioni non equivalenti, può andare dal Giudice del Lavoro e chiedere la reintegra alle mansioni precedenti. E’ una tutela molto forte. Possono essere previste eccezioni attraverso accordi sindacali integrativi detti “accordi di mobilità”.

Vi ricordo che la legge dice: “ogni patto in contrario è nullo”. Il legislatore vede con sospetto gli accordi tra lavoratore e datore, perché nell’ambito del rapporto di lavoro le due parti non sono sullo stesso livello di forza, ma il lavoratore è sempre su una posizione più debole. Vi ricordo che la disciplina del lavoro abbiamo detto essere inderogabile in pejius almeno che l’accordo non sia nell’interesse del lavoratore.Nell’ambito dell’impiego privato la tutela assicurata dalla giurisprudenza assieme a quella delle mansioni è quella che fa riferimento alla nozione di equivalenza professionale. E’ quindi una tutela più forte e a volte anche eccessiva perché possono esserci situazioni in cui lo spostamento ad altre mansioni, magari non equivalenti, serve però a salvaguardare un posto di lavoro. L’eccesso di tutela, in certi casi, può finire per ritorcersi contro il lavoratore ecco perché si arriva a certi accordi tra lavoratore e datore.

Infine il lavoratore può essere adibito a mansioni superiori, cioè a compiti più importanti, che nel CCNL appartengono ad una qualifica superiore. Secondo l’Art. 2103 del Codice Civile se ad esempio ad un commesso, IV° livello, vengono attribuite mansioni di caporeparto, V° livello, nel caso in cui l’adibizione prosegua per oltre tre mesi, il lavoratore acquista definitivamente il diritto alla qualifica superiore. Questo per evitare lo sfruttamento inquanto la qualifica superiore non è solo un dato formale, ma spesso vi si

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accompagnano una serie di conseguenze, di vantaggi. Ad esempio a livello economico: ad una qualifica maggiore corrisponde il diritto ad un’indennità che non è prevista per un livello inferiore. Ma anche a livello normativo: ci sono più giorni di ferie, ore di permessi, ecc. Quindi se dopo tre mesi viene riadibito a fare il commesso è una dequalificazione per la quale potrebbe rivolgersi ad un Giudice del Lavoro e chiedere di essere reintegrato alle mansioni di caporeparto con tutti i vantaggi economici che ne derivano. L’adibizione a mansioni superiori per essere rilevante ai fini dei tre mesi della qualifica superiore deve essere piena e permanente. Non si tratta di adibizione a mansioni superiori il fatto che un commesso, per una mezz’ora, mancando il caporeparto, vada a sostituirlo. In questo caso il lavoratore continua a fare le sue mansioni e in via accessoria fa anche un qualcosa che appartiene alla qualifica superiore. Per poter parlare di diritto alla qualifica superiore occorrerebbe che, detto commesso, facesse il caporeparto permanentemente, otto ore al giorno tutti i giorni, svolgendo tutti i compiti della qualifica superiore. Nell’impiego privato le mansioni sono disciplinate dall’Art. 2103 del CC; nel pubblico impiego c’è la L. n° 52/01 del Testo Unico.

REGOLE FONDAMENTALI DELLE MANSIONI NELL’IMPIEGO PRIVATO:

1. Mansioni di assunzione: il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto.2. Possibilità di essere adibito a mansioni equivalenti professionalmente.3. Possibilità di essere adibito a mansioni superiori. Se l’adibizione supera i tre mesi - alcuni CCNL abbattono questo limite - il lavoratore matura il diritto alla qualifica superiore con

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un’unica eccezione: che queste mansioni siano assegnate per sostituire un lavoratore assente con il diritto alla conservazione del posto, ad esempio per maternità. In questo caso il lavoratore ha diritto a tutte le retribuzioni e a tutto ciò che gli compete perchè fa un lavoro più importante, ma non avrà diritto alla qualifica superiore.4. Impossibilità di adibire a mansioni inferiori per l’Art. 2103 del Codice Civile in caso contrario si può chiedere risarcimento del danno oltre alla reintegra alle mansioni proprie, di appartenenza. 5. L’Art. 2103 dice inoltre che ogni patto in contrario è nullo e questo per evitare che il lavoratore sia costretto dal datore di lavoro a firmare un accordo di demansionamento, abbassamento delle mansioni.

In realtà quest’articolo è una norma a tutela del lavoratore. Diverso è il caso in cui, ad esempio, la richiesta del demansionamento deriva dal lavoratore. Ad esempio, una persona che da tanto tempo fa il capoufficio, la sera a casa non dorme, lavora dieci ore il giorno, è anziano e stanco e non ha più voglia di fare il capoufficio chiede lui stesso al datore di assegnargli una mansione un po’ più leggera, anche inferiore, purché meno gravosa. Altra motivazione potrebbe essere la salute: una persona che rientra al lavoro dopo aver avuto un infarto e non si sente più di adibire a mansioni troppo stressanti e responsabilizzanti e chiede il demansionamento. In questo caso. essendo questa normativa a tutela del lavoratore, il demansionamento è legittimo. L’accordo, per garantire che la volontà del lavoratore sia genuina, deve essere stipulato con l’assistenza del sindacato e, per giunta, o in sede sindacale o di fronte alla Direzione Provinciale del Lavoro, che è l’autorità amministrativa del lavoro: quella che viene anche chiamata Polizia del Lavoro.

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Quindi gli accordi di demansionamento sono legittimi se fatti nell’interesse del lavoratore. Addirittura è la stessa legge a prevedere ipotesi di demansionamento lecito. Ad esempio una donna in gravidanza può richiedere, anche nei primi mesi di vita del bambino, mansioni anche in deroga secondo l’Art. 2103. Oppure, in materia di sicurezza sul lavoro, può accadere che il lavoratore sia adibito a mansioni inferiori. Inoltre anche in caso di licenziamenti collettivi le legge dice che se c’è la riassunzione del lavoratore e se il lavoratore viene adibito ad altre mansioni tutto ciò può avvenire anche in deroga all’Art. 2103 per la salvaguardia del posto di lavoro. E’ preferibile una riduzione delle mansioni ad un licenziamento.

Analisi dell’Art. 52 del Testo Unico per quanto riguarda il pubblico impiego:L’Art. 52 è così rubricato:” Disciplina delle mansioni”. (La rubrica è il titolo della norma)Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto. Esattamente come nell’Art. 2103 o alle mansioni considerate equivalenti nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi, qui siamo in presenza di equivalenza contrattuale e non professionale: quindi ad esempio un infermiere si può adibire a fare tutto ciò che può fare, dal pronto soccorso, alla lungo-degenza, alla neonatologia, alla fisiologia clinica, alla clinica medica, tutto. Mentre l’equivalenza nel privato si misurava, secondo l’Art. 2103 comparando le nuove mansioni alle ultime effettivamente svolte, qui invece si fa riferimento alle mansioni previste dai CCNL. Quindi è chiaro che l’infermiere non potrà fare il fisioterapista perché c’é un problema di titolo, ma, nell’ambito della propria qualifica di infermiere, potrà fare tutto; ovvero, il nostro

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lavoratore può essere adibito, alle mansioni corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive.Procedure concorsuali o selettive = con concorso o mobilità interna.Resta da capire cosa significhi sviluppo professionale che potrebbe essere di fatto: ho iniziato a svolgere mansioni più importanti quindi ho avuto uno sviluppo professionale. La norma ce lo spiega: l’esercizio di fatto, quindi senza un provvedimento formale da parte dell’amministrazione, di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o dell’assegnazione di incarichi di direzione. Quindi se si esercita di fatto mansioni anche superiori è del tutto irrilevante per la legge, cioè non può essere fatto valere come titolo professionale. Se, ad esempio un’infermiera ha svolto le funzioni della caposala per anni e poi va a fare un concorso, quell’esercizio svolto non lo potrà far valere. Sarebbe forse più significativo se avesse qualcosa di scritto che comprovasse tale esercizio. Il TAR Toscana ha respinto il ricorso di un medico che aveva fatto moltissime ore di straordinario, sostenendo che lo straordinario non era stato autorizzato. Nell’impiego privato se faccio lo straordinario e il datore dice che non mi ha autorizzato, non è rilevante perché ciò che conta è che lui si sia avvantaggiato della prestazione. La norma continua Per obiettive esigenze di servizio il prestatore di servizio può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore in due ipotesi: a) nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti, quindi se c’è un posto vacante, è stato fatto il concorso per coprirlo, in

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quell’intervallo di tempo, ci può essere adibizione a mansioni superiorib) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell’assenza per ferie, per la durata dell’assenza. Queste sono le due uniche ipotesi per la legge nelle quali il dipendente pubblico può essere adibito a mansioni superiori. Peraltro la legge dice anche al Comma 3: Si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l’attribuzione in modo prevalente sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni. Cioè si considera adibizione a mansioni superiori solo l’ipotesi in cui si faccia qualitativamente, quantitativamente e per un periodo di tempo, mansioni proprie della qualifica superiore. Quindi una cosa meramente accessoria e per poco tempo non sarebbe significativa. Poi la legge dice: Nei casi di cui al comma 2, cioè nel caso in cui ci sia stata l’adibizione a mansioni superiori per una delle due ipotesi suddette e per il periodo di effettiva prestazione cioè quello in cui effettivamente viene svolta questa attività il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore cioè al trattamento economico proprio della qualifica superiore. Qualora l’utilizzazione del dipendente sia disposta per sopperire a vacanze dei posti in organico, immediatamente, e comunque nel termine massimo di novanta giorni dalla data in cui il dipendente è assegnato alle predette mansioni, devono essere avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti. Questa è una regola aggiuntiva.Comma 5. Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l’assegnazione del lavoratore a mansioni proprie della qualifica superiore, nulla vuol dire che è improduttiva di effetti giuridici ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto

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l’assegnazione risponde personalmente del maggior onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave. Quindi l’assegnazione di fatto a mansioni superiori nel pubblico impiego è nulla, cioè è priva di qualsiasi valore giuridico. Ha come unico effetto quello economico di cui risponde a titolo risarcitorio il dirigente che ha disposto quella assegnazione con dolo o colpa grave.E’ evidente che la distanza tra pubblico impiego e impiego privato in materia di mansioni è notevolmente consistente. Ci possono essere tanti motivi, primo fra tutti che il denaro nel pubblico impiego è denaro pubblico (per cui non risponde con il proprio portafoglio il datore di lavoro, ma tutto sommato risponde la collettività). Quindi è ovvio che ci siano delle esigenze di tutela dell’economia pubblica. Certo è che nell’ambito di una politica del lavoro pubblico tesa alla continua diminuzione delle disponibilità economiche ed alla conseguente continua diminuzione dei lavoratori disponibili è ovvio che l’adibizione a mansioni superiori a volte è frutto della carenza di organico. Quindi tutto sommato visto che si parla di criteri aziendalistici nella gestione delle aziende sanitarie.......

PROCEDIMENTI DISCIPLINARI.

La disciplina dei procedimenti disciplinari è contenuta nel: Testo Unico del pubblico impiego (art. 55 T.U. 165/2001) CCNL in via integrativa anche nel: Art. 2106 del Codice Civile Art. 7 dello Statuto dei Lavoratori

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Il procedimento disciplinare nasce da una violazione dei doveri dei dipendenti. La regola fondamentale è che la sanzione che viene erogata al dipendente deve essere proporzionata all’infrazione commessa: questa si chiama regola di proporzionalità. La proporzionalità si misura sulla gravità del fatto. Il fatto è grave sotto due profili: Sotto il profilo oggettivo cioè del danno arrecato all’amministrazione (per cui una cosa è un furto di 100 lire e un’altra cosa è un furto di 5 milioni di lire). Sotto il profilo soggettivo inquanto c’è differenza tra commettere un fatto dolosamente e commetterlo colposamente. (se al lavoratore cade uno strumento costoso a causa della foga del lavoro non sarà come se in un momento di rabbia l’avesse scaraventato in terra.)

Per far valere un’infrazione disciplinare la legge prevede un procedimento ben preciso che deve essere rispettato a pena di illegittimità della sanzione. Si dice in questo caso che il potere disciplinare del datore di lavoro è procedimentalizzato, cioè sottoposto ad un procedimento per cui per farlo valere, per poterlo esercitare legittimamente (si torna al discorso dei limiti) è necessario osservarne le regole. La mancata osservanza di quel procedimento equivale a dare l’illegittimità del provvedimento finale. Perché il procedimento altro non è che la condizione di validità del provvedimento finale.Questo procedimento si articola in alcune fasi: Fase della contestazione del fatto al dipendente. Nelle ipotesi meno gravi la contestazione la fa direttamente il responsabile del reparto a cui è addetto il dipendente. E’ il caso delle ipotesi di richiamo verbale o scritto. Nelle ipotesi più gravi

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l’amministrazione ha un apposito ufficio - detto Ufficio per i Procedimenti Disciplinari - al quale il responsabile trasmette la notizia di quanto accaduto. In seguito quest’ufficio si occuperà della contestazione e di tutta la procedura. La procedura si apre con la contestazione che deve essere: scritta, analitica (deve descrivere il fatto con molta precisione. Per cui per esempio non si potrebbe dire: “Nell’ottobre scorso lei è stato assente due giorni senza motivo, si dimetta.” Questa contestazione sarebbe invalida perché non è specifica. Sarebbe specifica se dicesse “Il giorno 12 e 14 ottobre, rispettivamente lunedì e mercoledì, lei non si è presentato a lavoro senza alcune giustificazioni di sorta. Tale circostanza costituisce un inadempimento disciplinare e pertanto le viene contestata. La invitiamo a produrre documenti scritti a difesa o a richiedere di essere sentito personalmente entro e non oltre giorni 15 dal ricevimento della presente”) e tempestiva (non può essere troppo lontano dall’accaduto. Tutto ciò per non ledere il diritto di difesa del dipendente che, se è passato troppo tempo, può non riuscire a ricordare bene lo svolgimento dei fatti e di conseguenza avere difficoltà a difendersi, trovare testimoni, ecc.). Il lavoratore ha 15 giorni di tempo per difendersi e chiedere di essere ascoltato. Questi termini sono detti ordinatori cioè non perentori: possono essere anche dilatati. Una volta sentito il lavoratore l’amministrazione può scegliere la sanzione. Il procedimento disciplinare deve concludersi, e questo invece è un termine perentorio, entro 180 giorni dalla sua attivazione con la contestazione. La sanzione ovviamente deve essere comunicata per scritto al dipendente il quale può o patteggiare o impugnarla o non fare niente. Patteggiamento = il dipendente e l’amministrazione si possono accordare affinché al dipendente venga data la sanzione immediatamente meno grave (sospensione -> multa; multa -> censura scritta) in questo caso però l’oggetto della

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patteggiamento non può più essere messo in discussione, il dipendente non può più impugnarla). Impugnazione = può essere fatta o di fronte al collegio arbitrale costituito presso la Direzione provinciale del lavoro (in attesa della costituzione dei collegi arbitrali e di conciliazione previsti dai contratti di comparto) oppure di fronte al Giudice del Lavoro.Le sanzioni non hanno efficacia decorsi due anni dalla loro erogazione: questa si chiama prescrizione disciplinare. Se il lavoratore nei due anni dalla sanzione data ne compie un’altra si dice che è recidivo (compie due volte la stessa infrazione). La recidiva è motivo di maggiore gravità del fatto. Per cui se il lavoratore già sospeso fa qualcosa per cui è prevista un’altra sospensione, siccome è recidivo, può essere passibile di licenziamento. Recidiva = compimento reiterato di più infrazioni nei due anni. Se invece sono passati due anni si dice che il tutto va in prescrizione, cioè la sanzione che era stata applicata due anni prima non vale più ai fini della recidiva.

Talvolta può accadere però che una infrazione disciplinare costituisca al contempo illecito penale. Tipico esempio il lavoratore che ruba: non fa soltanto un’infrazione disciplinare, cioè sul piano del rapporto di lavoro, ma compie anche un reato perché si appropria di un bene dell’azienda. Altri esempi sono la corruzione, la concussione: se il lavoratore si lascia corrompere, se fa dei favori o se pretende che gli siano fatti dei favori per facilitare qualcuno. La corruzione è quando un pubblico ufficiale o un pubblico dipendente prende dei soldi per fare qualcosa. La concussione è quando il pubblico dipendente chiede dei soldi per fare qualcosa.

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Il peculato è quando il dipendente usa beni della pubblica amministrazione per scopi propri: ad esempio usare la macchina aziendale per scopi propri. Può rappresentare peculato anche andare a fare colazione durante l’orario di lavoro, fuori e forse anche dentro l’azienda, perché si usa tempo retribuito per una cosa che non è concessa, a meno che non ci sia una pausa concordata. Chi va a fare la spesa durante l’orario di lavoro compie peculato che può avere sentenza penale oltre che licenziamento. E’ chiaro che il caffè è tollerato, nessuno fa mai la contestazione però se si è pagati per lavorare otto ore e in quelle otto ore, senza avere un permesso o una pausa concordata, si passa mezz’ora al bar a fare due chiacchiere è inadempimento contrattuale; è capitato più volte che siano state fatte sospensioni per cose del genere, nel privato è assolutamente normale.

Cosa succede quando un fatto costituisce al contempo reato e illecito disciplinare (quindi va sia sul piano civile: del rapporto di lavoro, che sul piano penale: della legge dello stato)?

C’è tutta una disciplina molto articolata: nei casi più gravi addirittura c’è la sospensione obbligatoria dal servizio per tutta la durata del processo penale in altri c’è il trasferimento ad altra sede per evitare l’inquinamento delle prove che il dipendente, rimanendo sul posto di lavoro, potrebbe fare. In altre circostanze c’è semplicemente una sospensione facoltativa che è rimessa alla valutazione dell’amministrazione. Il processo penale sospende quello disciplinare (il p. disciplinare resta quiescente in attesa che si pronunci il p. penale). Quando il giudice penale si è pronunciato possono accadere diverse cose. Ci sono due tipi di sentenze: di assoluzione o di condanna.

Sentenza penale di condanna.

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La sentenza di condanna si dice ‘fa stato’ nel procedimento disciplinare cioè in altre parole i fatti che il giudice penale ha accettato durante il processo penale si danno per accertati anche nel procedimento disciplinare. Se per esempio nel procedimento penale è stato sancito che il lavoratore ha rubato perché ci sono testimoni che lo confermano questa verità fa stato ,cioè non è più in discussione, è certa e sicura, e non può più essere messa in discussione nel procedimento disciplinare il quale, evidentemente, si concluderà con un licenziamento. Tale procedimento disciplinare deve essere attivato entro 120 giorni dalla comunicazione della sentenza penale. Quindi la sentenza penale di condanna comporta questo effetto. Nei casi più gravi può esserci, come pena accessoria alla detenzione conseguente alla sentenza di condanna, la sospensione dal rapporto di lavoro irrogata dal giudice penale. E’ una cosa stranissima perché il rapporto obbligatorio sarebbe tra datore e lavoratore, ma è prevista dalla legge.

Sentenza penale di assoluzione.E’ un po’ più complicata della sentenza di condanna che è molto più lineare. Le sentenze di assoluzione possono essere di almeno quattro tipi. 1. Un primo tipo di sentenza di assoluzione è quella per prescrizione del reato: il reato è stato commesso solo che è prescritto. Quindi non è più punibile. In un procedimento disciplinare vorrebbe dire che questo può andare avanti senza riferimento all’azione penale. Cioè in altre parole il procedimento disciplinare è fatto utilizzando l’accertamento penale che il fatto

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era stato commesso e quindi si può arrivare alla decisione di licenziamento (assolto in sede penale, ma licenziato in sede disciplinare) proprio perché il fatto è stato commesso solo che è prescritto. In questo caso però il procedimento disciplinare deve praticamente ripartire da zero cioè i fatti devono essere accertati al suo interno.2. Un altro tipo di sentenza di assoluzione che si dice anche ‘assoluzione con formula piena’ è o perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso. Analizziamo la differenza. ‘Che il fatto non sussiste’ significa che non è accaduto il fatto. Ad esempio se si spara ad un morto e si è accusati di omicidio è chiaro che il fatto non sussiste, perché quando la pallottola è entrata nel corpo procurando una ferita ipoteticamente mortale la vittima era già morta quindi il fatto non sussiste. Altro esempio: si è accusati di un furto e i soldi erano finiti dietro un mobile e poi sono stati ritrovati: il fatto non sussiste. L’assoluzione invece perché ‘l’imputato non l’ha commesso’ premette che il fatto sussista, solo che non è stato l’imputato. In questo caso la sentenza di assoluzione ancora una volta, come accadeva con quella di condanna, ‘ fa stato‘ nel procedimento disciplinare per cui non si potrà più mettere in discussione quei fatti (cioè il fatto che l’imputato non l’ha commesso o che non sussista l’infrazione) e il soggetto andrà assolto cioè non gli si applicheranno sanzioni disciplinari. 3. La sentenza di assoluzione può anche essere ‘perché il fatto non costituisce reato ’: vuol dire che il fatto sussiste e che probabilmente l’imputato l’ha commesso solo che la legge penale non lo considera un reato. Ad esempio: emettere assegni cabriolet, scoperti, fin a qualche anno fa era un reato per cui se ipoteticamente un dipendente alla cassa avesse fatto un assegno scoperto anche nella propria vita privata sarebbe stato imputato di un reato e avrebbe potuto avere dei guai anche a livello

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disciplinare. Altro esempio è il falso in bilancio che non è più un reato, ma prima lo era. Sotto il profilo disciplinare, che il fatto non costituisca reato, significa che un fatto c’è e dovrà essere valutato. Per esempio se si sputa in faccia a qualcuno è maleducazione, ma non è reato penale. Però se si è sputato in faccia al dirigente sul piano disciplinare è insubordinazione e c’è il licenziamento. La sentenza penale che dice che il fatto non costituisce reato, non dà garanzia al dipendente di non avere problemi al livello disciplinare, perché una volta attivato il provvedimento disciplinare quel fatto andrà valutato sotto il profilo civile. Per cui, ad esempio, se il dipendente ha reiteratamente fatto tardi al lavoro ed è stato accusato di peculato è chiaro che il giudice dirà che il fatto non sussiste, ma sul piano disciplinare potranno esserci delle conseguenze. Inoltre in alcuni casi dove le imputazioni sono più gravi: terrorismo, corruzione, concussione, peculato, scatta la sospensione obbligatoria dal rapporto fino a che non si arriva alla sentenza; considerate che un processo penale può durare degli anni. Durante questo periodo si mantiene un ‘diritto alimentare’ cioè l’azienda fornisce al dipendete una cifra minima di sostentamento, qualche centinaia di euro, solo per assolvere ad un bisogno fondamentale, ma si tratta di cifre irrisorie. Se al termine della sentenza c’è l’assoluzione c’è la ‘restitutio in integrum’ cioè il risarcimento di tutto ciò che ha perso per tutto il periodo di sospensione, compreso i benefici di anzianità e i benefici contrattuali. Tutto deve ritornare esattamente come se la sostituzione non ci fosse mai stata. Il risarcimento non è facile da dimostrare perché l’azienda ti sospende per obbligo di legge, quindi consisterà nel restituire tutti i soldi persi, ma l’azienda non potrà essere accusata di altro.

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PROGRAMMA

L’esame.

Programma dell’esame:

Il libro “Il pubblico impiego dopo la privatizzazione” Pietro Virga ed. Giuffré tutto escluso:o Capo V ‘La dirigenza’ pagg. 33-43

o Parte settima: ‘Quiescenza e previdenza’ pagg. 169-183 Capp. 1 e 2 da leggere. Circa la parte che sul libro parla dello sciopero, ci sono le fotocopie in cui trovate l’articolo di modo da avere il codice sottomano, e il commento così da darci una lettura segnarci due o tre punti. Sarà chiesto ciò di cui si è parlato a lezione. Il commento è uno strumento fornito affinché possiate farvi delle idee anche concrete, strumenti che vi dò per facilitarvi e non per appesantirvi.

Materiale portato: ? Procedimenti disciplinari e rapporto tra processo disciplinare e processo penale Legge sul part-time Commento all’Art.2087 del Codice Civile sulla tutela delle condizioni di lavoro cioè l’obbligo della salvaguardia della dignità morale e l’indennità fisica del lavoratore (basta una lettura) Art. 7 dello Statuto dei Lavoratori è la norma che disciplina il procedimento disciplinare nell’impiego privato ed è la norma su

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cui è stato modellato l’Art. 55 del Testo Unico: i principi che trovate qui valgono anche per quello. Art. 40 della Costituzione la norma che disciplina il diritto di sciopero. Art. 36 della Costituzione norma sulla retribuzione Testo della Legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali Commento alla Legge suddetta Norme disciplinari del codice della sanità Commento alla norma sulle mansioniNorme e commenti dateci una lettura così magari se all’esame ci chiedessero: “ Come funziona il diritto di sciopero?” Avremmo qualche informazione in più.Temi che è opportuno approfondire per l’esame: Come si forma il CCNL Sciopero

Come funziona l’esame:

Saranno fatte due o tre domande, se sono due bisogna rispondere ad entrambe se sono tre ne bastano due su tre, in maniera sufficiente, per avere la sufficienza. Rispondere un pochino a tutte e tre per far colpo non serve a nulla perché l’esame resta insufficiente. Preferisco che se ne facciano bene due e la terza non si guardi neanche. Se poi si riesce a farle tutte e tre come una sorta di trattatello buon per chi riesce: prenderà trenta e lode. Per ora non si è mai verificato, ma dei trenta ci sono stati. Chi non vuol dare lo scritto ovviamente avrà l’orale. Chi allo scritto non avrà la sufficienza, cioè non sarà scritto nell’elenco degli ammessi. Deve fare l’orale per forza. Chi non fosse soddisfatto della sua prova allo scritto perché ha preso troppo poco ,altra cosa che non si è mai verificata nella storia moderna, potrà tornare all’orale.

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L’altro anno abbiamo chiesto come funziona il procedimento disciplinare nel pubblico impiego, quali sono le sanzioni, i doveri, le procedure, il rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare. La domanda sembra terribile, ma nella lezione integrativa vi ho detto tutto ciò che c’è da scriverci. Altro esempio di domanda: “Descriva il candidato cos’è lo sciopero.”

IN BOCCA AL LUPO A TUTTI!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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