69
DIRITTO ED ECONOMIA DELLO SPORT - La Costituzione della Repubblica Italiana - Le Fonti del Diritto - Gli Oggetti del Diritto - Il Contratto - La Norma Giuridica - Mercato del Capitale / Capitale - La Moneta - Il Risparmio - Ricchezza, Patrimonio e Reddito - Le Obbligazioni - L'Ordinamento Giuridico Sportivo - Il Rapporto tra l'Ordinamento Sportivo e l'Ordinamento Statale - Le Fonti del Diritto Sportivo - I Soggetti dell'Ordinamento Sportivo: gli enti associativi e le persone fisiche - Le Federazioni Sportive Nazionali e le Discipline Sportive Associate - Differenze tra Sport Professionistico, Dilettantistico e Amatoriale - Sponsorizzazione Sportiva e Marketing Sportivo - La Tutela Sanitaria degli Sportivi Professionisti

DIRITTO ED ECONOMIA DELLO SPORT - nuovescuole.com · • parte prima, diritti e doveri dei cittadini (art. 13-54); ... diritti. E' necessario che si tratti, per unanime dottrina,

  • Upload
    lamngoc

  • View
    214

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

DIRITTO ED ECONOMIA DELLO SPORT

- La Costituzione della Repubblica Italiana - Le Fonti del Diritto - Gli Oggetti del Diritto - Il Contratto - La Norma Giuridica - Mercato del Capitale / Capitale - La Moneta - Il Risparmio - Ricchezza, Patrimonio e Reddito - Le Obbligazioni - L'Ordinamento Giuridico Sportivo - Il Rapporto tra l'Ordinamento Sportivo e l'Ordinamento Statale - Le Fonti del Diritto Sportivo - I Soggetti dell'Ordinamento Sportivo: gli enti associativi e le persone fisiche - Le Federazioni Sportive Nazionali e le Discipline Sportive Associate - Differenze tra Sport Professionistico, Dilettantistico e Amatoriale

- Sponsorizzazione Sportiva e Marketing Sportivo

- La Tutela Sanitaria degli Sportivi Professionisti

LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA

La Costituzione della Repubblica Italiana è la legge fondamentale dello Stato italiano. Fu approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 e promulgata dal Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola il 27 dicembre 1947. Fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, in edizione straordinaria, il 27 dicembre 1947 ed entrò in vigore il 1° gennaio 1948. Formazione dell'Assemblea Costituente Dopo i sei anni della seconda guerra mondiale e i venti anni della dittatura, il 2 giugno 1946 si svolsero contemporaneamente il referendum istituzionale e l'elezione dell'Assemblea Costituente, con la partecipazione dell'89% degli aventi diritto. Il 54% dei voti (più di 12 milioni) fu per lo Stato repubblicano, superando di 2 milioni i voti a favore dei monarchici (che contestarono l'esito.)

L'Assemblea fu eletta con un sistema proporzionale e furono assegnati 556 seggi, distribuiti in 32 collegi elettorali.

Dominarono le elezioni tre grandi formazioni: la Democrazia Cristiana, che ottenne il 35,2% dei voti e 207 seggi; il Partito socialista, 20,7% dei voti e 115 seggi; il Partito comunista, 18,9% e 104 seggi.

L'intesa costituzionale L'intesa che permise la realizzazione della Costituzione è stata più volte definita «compromesso costituzionale», consistente in una commistione di concezioni politiche diverse, risultato di reciproche rinunce e successi. Le forze in seno all'assemblea, infatti, tendenzialmente, non avendo sicure idee sul possibile prosieguo della vita politica italiana, piuttosto che tentare di ostacolare le altre parti politiche, spinsero per l'approvazione di norme che rispecchiassero i rispettivi principi base.

I lavori dovevano terminare il 24 febbraio 1947 ma la Costituente non verrà sciolta che il 31 dicembre 1947, dopo aver adottato la Costituzione il 22 dicembre con 453 voti contro 62.

Composizione e struttura La Costituzione è composta da 139 articoli (ma 5 articoli sono stati abrogati:

115;124;128;129;130), divisi in quattro sezioni:

• principi fondamentali (art. 1-12); • parte prima, diritti e doveri dei cittadini (art. 13-54); • parte seconda, concernente l'ordinamento della Repubblica (art 55-139); • 18 disposizioni transitorie e finali, riguardanti situazioni relative al trapasso dal

vecchio al nuovo regime e destinate a non ripresentarsi.

Caratteristiche tecniche La Costituzione italiana è una costituzione scritta, rigida e lunga.

• Anzitutto, la normazione è contenuta in un testo legislativo scritto. La scelta è comune all'esperienza di civil law ed a quella di common law, con la grande eccezione della Gran Bretagna, Paese nel quale la Costituzione è in forma orale.

• Inoltre, si dice che la Costituzione italiana è rigida. Con ciò si indica che da un lato è necessario un procedimento parlamentare aggravato per la riforma dei suoi contenuti (non bastando la normale maggioranza), e dall'altro che le disposizioni aventi forza di legge in contrasto con la Costituzione vengono rimosse con un procedimento innanzi alla Corte costituzionale.

• Infine, la Costituzione è lunga, ossia contiene disposizioni in molti settori del vivere civile. In ogni caso, da questo punto di vista, è da dire che il disposto costituzionale presenta per larga parte carattere programmatico, venendo così in rilevanza solo in sede di indirizzo per il legislatore o in sede di giudizio di legittimità degli atti aventi forza di legge.

Direttrici fondamentali Nelle linee guida della Carta è ben visibile la tendenza all'intesa e al compromesso dialettico tra gli autori. La Costituzione mette l'accento sui diritti economici e sociali e sulla loro garanzia effettiva. Si ispira anche ad una concezione antiautoritaria dello Stato con una chiara diffidenza verso un potere esecutivo forte e una fiducia nel funzionamento del sistema parlamentare. Non mancano importanti riconoscimenti alle libertà individuali e sociali, rafforzate da una tendenza solidaristica di base. Fu possibile anche ratificare gli accordi lateranensi e permettere di accordare una autonomia regionale tanto più marcata quanto più le minoranze erano radicate (nelle isole e nelle regioni con forti minoranze linguistiche).

o I principi fondamentali

Secondo la dottrina la Costituzione è caratterizzata da alcuni principi non revisionabili fondamentali che ne hanno ispirato la redazione. Principio personalista La Costituzione coglie la tradizione liberale nel testo dell'art. 2: in esso infatti si dice che "la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo". Tali diritti sono considerati diritti naturali, non creati giuridicamente dallo Stato ma ad esso preesistenti. Tale interpretazione è agevolmente rinvenibile nella parola "riconoscere" che implica la preesistenza di un qualcosa. Tale impostazione, stimolata dalla componente d'ispirazione cattolica dell'assemblea costituente, fu il frutto di una sentita reazione al totalitarismo. Principio pluralista È tipico degli Stati democratici. Pur se la Repubblica è dichiarata una ed indivisibile, sono riconosciuti i diritti dell'uomo nelle formazioni sociali (art. 2), la libertà associativa (art. 18), la libertà delle confessioni religiose (art. 8), dei partiti politici (art. 49) e dei sindacati (art. 39). Principio lavoristico Ci sono riferimenti già agli art. 1 e 3. Il lavoro non è solo un rapporto economico, ma anche un valore sociale. Non serve ad identificare una classe. È anche un dovere, ed eleva il singolo. Nello stato liberale la proprietà aveva più importanza, mentre il lavoro ne aveva meno. I disoccupati, senza colpa, non devono comunque essere discriminati. Principio democratico Già gli altri tre principi sono tipici degli Stati democratici, ma ci sono anche altri elementi a caratterizzarli: la preponderanza di organi elettivi e rappresentativi; il principio di maggioranza ma con tutela della minoranze (anche politiche); processi decisionali (politici e giudiziari) tendenzialmente trasparenti. Principio di uguaglianza Come è affermato con chiarezza nell'art. 3, tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge (uguaglianza formale) e devono essere in grado di sviluppare pienamente la loro personalità sul piano economico, sociale e culturale (uguaglianza sostanziale).

Principio di tolleranza Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, sovrani e indipendenti (art. 7) e tutte le confessioni religiose, diverse da quella cattolica, sono egualmente libere davanti alla legge (art. 8). Principio pacifista Come viene sancito all' art. 11, la Repubblica italiana è contraria alla guerra e collabora con gli organismi internazionali per il mantenimento della pace e della giustizia fra le Nazioni.

LE FONTI DEL DIRITTO

Le Fonti del diritto rappresentano l’insieme dei fatti (gli eventi naturali o sociali) e degli atti (le attività umane consapevoli e volute) ritenuti idonei a produrre diritto nell'ordinamento giuridico di cui fanno parte.

L'ordinamento giuridico italiano dispone di una varietà di fonti ordinate in base alla diversa efficacia normativa loro attribuita e disposte secondo un criterio gerarchico; la norma di grado superiore può modificare o annullare quella di grado inferiore ma non può essere modificata o annullata da questa. Le principali fonti del diritto italiano sono, secondo questo ordine:

la Costituzione, le leggi ordinarie dello stato, i decreti legge, i decreti legislativi, i regolamenti, le consuetudini. A queste vanno aggiunte le fonti non statali: la normativa comunitaria, il referendum abrogativo, i contratti di lavoro collettivi, gli statuti e le leggi delle regioni, i regolamenti regionali, provinciali e comunali.

La Costituzione

La Costituzione italiana racchiude i principi e gli istituti fondamentali in base ai quali è organizzato lo stato italiano. Entrata in vigore nel 1948, dopo la caduta del fascismo e la proclamazione della repubblica, fu approvata da un'assemblea costituente eletta dal popolo italiano. Una delle caratteristiche più importanti della nostra Costituzione è la sua rigidità: le sue disposizioni, infatti, non possono essere modificate con le leggi ordinarie.

Le Leggi

Le leggi ordinarie dello stato vengono approvate dal Parlamento e promulgate dal presidente della Repubblica secondo una procedura piuttosto complessa prevista dalla Costituzione. Una legge ordinaria dello stato non può in nessun caso derogare una norma costituzionale, né tanto meno contenere delle disposizioni che siano in qualche modo contrarie o comunque non in armonia con la Costituzione. A garanzia di questo è stato istituito un organo, la Corte Costituzionale, finalizzato al controllo della legittimità costituzionale delle leggi ordinarie dello stato e degli atti aventi forza di legge. Qualora la Corte Costituzionale rilevi l'illegittimità costituzionale di una disposizione, quest'ultima cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza.

La legge ordinaria ha la facoltà di modificare o eventualmente abrogare qualsiasi atto non avente forza di legge, e può essere abrogata da una legge successiva che espressamente preveda la sua abrogazione, oppure che disciplini compiutamente l'intera materia.

I Decreti

Stesso valore della legge dello stato hanno i decreti legge e i decreti legislativi: i primi sono provvedimenti a carattere provvisorio aventi forza di legge emessi in casi straordinari di necessità e d'urgenza dal governo, il quale deve presentarli alle camere il giorno stesso della loro emissione per la loro conversione, pena la decadenza qualora entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale non vengano convertiti in legge dalle camere.

I decreti legislativi sono provvedimenti emessi dal governo in base a una delega concessagli dal Parlamento e hanno efficacia e forza di legge (come se fossero emanati dal Parlamento) purché nel legiferare il governo rispetti i limiti posti nella delega.

I Regolamenti

In posizione subordinata rispetto alle leggi e agli atti aventi forza di legge ci sono i regolamenti del governo o di qualche altra autorità. Un regolamento può immettere nuove norme nell'ordinamento nella misura in cui esse non siano in contrasto con le leggi ordinarie e con gli atti aventi forza di legge. Il sistema gerarchico delle fonti di produzione del diritto non esclude però che, in casi particolari, volti soprattutto a risolvere questioni pratiche, si possa derogare a tale principio.

Le Consuetudini

In fondo alla scala gerarchica delle fonti di produzione del diritto si trovano la consuetudine e gli usi. In quanto fonte non scritta né prodotta da organi atti a legiferare, ma derivante dalla reiterazione costante nel tempo di determinati comportamenti che vengono comunemente considerati conformi al diritto vigente, la consuetudine assume una posizione di totale subordinazione rispetto alle altre fonti di produzione del diritto.

GLI OGGETTI DEL DIRITTO

Presentazione

Gli elementi del rapporto giuridico, oltre le persone sono anche gli oggetti del diritto e con ciò facciamo riferimento a tutte quelle cose che possono cadere sotto l’imposizione delle persone. Gli oggetti del diritto secondo l’art. 810 del Codice civile sono i beni. Per beni s’intende qualsiasi cosa idonea a formare gli oggetti del diritto e deve presentare contestualmente determinati requisiti: utilità, accessibilità e limitatezza. I beni, come implicitamente anticipato, sono le cose che possono essere oggetto di diritti. E' necessario che si tratti, per unanime dottrina, di cose accessibili, utili e limitate; in altre parole, non possono essere qualificate come beni, e quindi come oggetti di diritti, quelle cose che, almeno per il momento, si trovano al di fuori della portata dell'uomo; si pensi alle eventuali risorse naturali esistenti su Marte; né quelle cose che, sebbene alla portata dell'uomo, non sono di alcuna utilità o, ancorché utili, esistono in quantità tale da non richiedere una tutela di legge, potendone fruire tutti e liberamente: si pensi all'aria o all'acqua del mare. I beni ai quali è interessato il diritto possono essere raggruppati intorno alle distinzioni che verremo illustrando nei paragrafi che seguono, cominciando da quella fra beni immobili e beni mobili.

Beni immobili e beni mobili - I beni mobili registrati

Appartengono alla categoria dei beni immobili i beni minuziosamente indicati nell'art. 812 c.c., e cioè il suolo, le sorgenti e i corsi d'acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che è naturalmente o artificialmente incorporato al suolo. Pure immobili vengono considerati i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti quando siano saldamente assicurati alla riva o all'alveo e siano destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione; si tratta, come si vede, di beni mobili per loro natura ma considerati immobili dal diritto e da questo assoggettati alla particolare disciplina ad essi riservata. Tutti gli altri beni, per esclusione, appartengono alla categoria dei beni mobili. Dalla distinzione fra beni immobili e beni mobili scaturiscono numerose e sostanziali differenze. In questa sede ci limitiamo a osservare che gli atti che hanno per oggetto beni immobili devono per lo più essere stipulati nella forma dell'atto pubblico, del quale dev'essere successivamente curata la trascrizione, ossia l'annotazione in pubblici registri custoditi presso la Conservatoria dei registri immobiliari. Ai fini pratici, per poter alienare (ossia vendere o donare) un bene mobile è sufficiente che le

parti si accordino in tal senso (all'accordo, come naturale conseguenza, seguirà la consegna della cosa), mentre per poter alienare un bene immobile occorre, oltre al consenso delle parti manifestato nelle forme di legge (per lo più, come appena detto, mediante atto pubblico), anche la trascrizione, allo scopo di rendere la circostanza opponibile ai terzi; in altri termini, se Tizio, persona di pochi scrupoli, vendesse la stessa cosa prima a Caio e poi a Sempronio (evenienza, questa, possibile a verificarsi poiché la vendita è un contratto consensuale, ossia al suo perfezionamento è sufficiente lo scambio del consenso, mentre non è indispensabile la consegna del bene che ne costituisce l'oggetto, che può quindi avvenire anche in un secondo momento), il conflitto fra i due acquirenti verrebbe risolto in maniera diversa a seconda che si tratti di bene mobile o immobile: nel primo caso, infatti, si considera proprietario chi ha conseguito il possesso della cosa, mentre nel secondo caso si considera proprietario chi per primo ha curato la trascrizione dell'acquisto nei pubblici registri. Una particolare categoria di beni mobili è costituita dai beni mobili registrati (art. 815 c.c.), così chiamati perché si tratta di beni mobili iscritti in pubblici registri: vi rientrano le navi, gli autoveicoli e gli aeromobili, intendendosi per aeromobile qualsiasi veicolo adibito al trasporto per aria: si pensi a un aeroplano o a un aliante. Nei registri, variabili a seconda del bene -per gli autoveicoli, per esempio, la trascrizione va fatta nel PRA (Pubblico Registro Automobilistico)-, devono essere annotate sia le caratteristiche del bene che gli eventuali passaggi di proprietà e le eventuali iscrizioni ipotecarie.

Beni fungibili e beni infungibili

Su dicono fungibili i beni sostituibili gli uni con gli altri, per il fatto di presentare le stesse caratteristiche qualitative e quantitative: si pensi a due riproduzioni dello stesso quadro o a due pagnotte dello stesso tipo di pane. Si dicono invece infungibili i beni che, per il fatto di possedere determinate caratteristiche, difficilmente riproducibili, non possono essere sostituiti con altri uguali: si pensi a un quadro d'autore. Fra le conseguenze derivanti da questa differenza ricordiamo che, se un soggetto si era impegnato a vendere una cosa infungibile (per es. un quadro) e questa va distrutta per causa a lui non imputabile, egli è liberato dall'obbligo, mentre se si era impegnato a vendere una cosa fungibile (per es. un chilo di caffè) è ugualmente tenuto ad adempiere, anche se il caffè che aveva preparato per la consegna è andato distrutto: potrà, infatti, procurarsi altro caffè di quella qualità, mentre non potrebbe fare altrettanto con il quadro, trattandosi di un oggetto unico.

Beni divisibili e beni indivisibili

Sono divisibili i beni suscettibili di essere divisi in più parti senza perdere la loro utilità: una torta può essere divisa in più fette, un'arancia in più spicchi e così via. Si dicono invece indivisibili i beni che, se divisi in più parti, perdono in tutto o in parte la loro utilità: si pensi a una bottiglia o a un orologio. Una conseguenza ricollegabile a questa distinzione: se uno stesso bene divisibile appartiene a più persone, e queste intendono sciogliere la comunione, possono prendersi ciascuna una parte di esso, mentre se oggetto della comunione è un bene indivisibile, questo andrà ad uno dei comproprietari, con obbligo di versare agli altri un conguaglio in denaro; o -altra ipotesi- sarà venduto per ripartire il ricavato fra gli aventi diritto.

Beni consumabili e beni inconsumabili

Si dicono consumabili i beni suscettibili di una sola utilizzazione: si pensi al denaro, che una volta speso esce dalla sfera giuridica del proprietario. Si dicono invece inconsumabili i beni suscettibili di essere usati ripetutamente, senza con ciò perdere l'utilità che sono in grado di fornire: si pensi a un vestito, a una sedia, a un'automobile. I beni inconsumabili possono fra l'altro costituire oggetto di quel particolare contratto che è il comodato, in virtù del quale una parte (comodante) fa godere all'altra (comodatario), gratuitamente, un bene che questa dovrà restituire dopo l'uso: come quando si presta l'auto a un amico. I beni inconsumabili possono invece essere oggetto di mutuo, intendendosi per esso il contratto col quale il mutuatario riceve dal mutuante una certa quantità di cose (tipico esempio il denaro), con l'intesa di restituire, alla scadenza, non le stesse cose ricevute ma cose della stessa specie e qualità.

Beni semplici e beni composti

Si dicono semplici i beni formati da un solo elemento: per es. uno stecchino, un foglio di carta, mentre si dicono composti i beni risultanti dalla fusione di più elementi: si pensi a un computer o a un motore. Nell'ambito di questa distinzione assume rilievo il concetto di universalità. Si distinguono un'universalità di fatto e un'universalità di diritto.

L'universalità di fatto (art. 816 c.c.) è un insieme di cose mobili aventi le stesse caratteristiche e destinate dal titolare al conseguimento dello stesso fine: più libri formano una biblioteca, più francobolli una collezione, più pecore un gregge ecc. L'universalità di diritto, invece, è costituita da più cose eterogenee, ma considerate unitariamente dalla legge; ne costituisce un esempio l'eredità, alla cui configurazione possono concorrere i beni più diversi: denaro, mobili, terreni ecc. I beni che concorrono a formare l'universalità possono essere oggetto di diritto anche separatamente: potrei, per esempio, vendere o prestare soltanto un libro della mia biblioteca o un francobollo della mia collezione. Beni materiali e beni immateriali

Si dicono materiali i beni che possiamo avvertire con i nostri sensi o con appositi strumenti: per es. un tavolo, un'automobile, l'aria, il gas. Si dicono invece immateriali i beni non esistenti in natura ma ugualmente suscettibili di essere oggetto di rapporti giuridici: si pensi ai segni distintivi dell'azienda (ditta, insegna e marchio), al diritto d'autore, al diritto d'inventore. I beni immateriali non esistono in natura ma sono stati creati dal Legislatore, che ha ritenuto meritevoli di tutela le situazioni che ne costituiscono il contenuto. Beni privati e beni pubblici Si dicono privati i beni appartenenti a soggetti privati, si tratti di persone fisiche o giuridiche. Si dicono invece pubblici i beni appartenenti allo Stato e agli altri enti pubblici. I beni pubblici, a loro volta, come vedremo nel cap. 34, si distinguono in demaniali e patrimoniali. Le pertinenze Si dicono pertinenze (art. 817 e segg. c.c.) i beni destinati in modo durevole al servizio o all'ornamento di un altro bene: si pensi alla pompa per la bicicletta o al cuscino per la poltrona. Le pertinenze possono essere oggetto di rapporti giuridici sia insieme alla cosa principale (è la regola) che separatamente: potrei, per esempio, vendere la frusta e tenere il cavallo; comunque, se non è diversamente stabilito, gli atti che hanno per oggetto la cosa principale comprendono anche le pertinenze.

I frutti

I frutti sono beni che derivano da un altro bene. Si distinguono (art. 820 e segg. c.c.)

frutti naturali e frutti civili.

I frutti naturali derivano direttamente dalla cosa principale, vi concorra o meno l'opera dell'uomo: si pensi ai prodotti agricoli, ai parti degli animali, ai prodotti delle miniere. I frutti civili, invece, rappresentano il corrispettivo ricavato dalla cessione, ad altri, del godimento di un bene: si pensi agli interessi di un prestito o alla pigione di un appartamento dato in locazione. I frutti civili si acquistano giorno per giorno, in ragione della durata del diritto: così, se deposito in banca una somma di denaro che ritiro dopo un anno, avrò diritto agli interessi maturati in questo periodo. I frutti naturali si distinguono in pendenti e separati; i primi fanno ancora parte integrante della cosa principale: si pensi all'uva non ancora matura; se ne può tuttavia disporre come di cosa mobile futura; i secondi, invece, diventano tali con il distacco dalla cosa principale. I frutti naturali appartengono al proprietario della cosa principale che li produce; se però la loro proprietà è stata attribuita ad altri, questi li acquisterà con la separazione: così, se ho venduto il raccolto, come suol dirsi, "sulla pianta", il compratore ne diventerà proprietario via via che procederà alla separazione della frutta dall'albero. Le prestazioni

Tornando alla distinzione fatta in apertura di capitolo, possiamo intendere per prestazione il comportamento che il soggetto passivo di un rapporto giuridico è tenuto a osservare a beneficio del soggetto attivo del rapporto medesimo. La prestazione può consistere in un fare (per es. riparare la lavatrice del cliente che ci ha chiamato), in un dare (per es. consegnare all'acquirente l'oggetto che gli abbiamo venduto), in un non fare (per es. non costruire oltre una certa altezza per non togliere la visuale al vicino, se ci siamo obbligati in tal senso) o in un permettere che altri faccia (per es. consentire che il vicino attraversi il nostro fondo per raggiungere quello di sua proprietà). La prestazione dev'essere possibile (sia materialmente che giuridicamente), lecita (ossia non dev'essere contraria alla legge) e determinata o determinabile: così, non configurerebbe una prestazione giuridicamente esigibile quella che prevedesse l'obbligo di consegnare al creditore, genericamente, "vestiti" o "frutta" e non, per esempio, "il vestito che è su quella sedia" o "un chilo di mele". La prestazione dev'essere inoltre suscettibile di valutazione economica. Si ricordi, in sostanza, quanto detto a proposito dell'oggetto del negozio giuridico.

IL CONTRATTO

Introduzione

Secondo l'art. 1321 del Codice Civile, il contratto è l'accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale".

Da tale definizione si deduce che il contratto è rapporto, necessariamente bilaterale o plurilaterale, o quantomeno non coincidenti, ed avente di volta in volta la funzione di costituire (nel senso di incidere sulla situazione e sugli interessi delle parti introducendo un nuovo rapporto), regolare (cioè apportare una qualsiasi modifica ad un rapporto già esistente) o estinguere (nel senso di porre fine a un rapporto preesistente) un rapporto giuridico patrimoniale.

Stipulazione del contratto Nel diritto romano più antico per concludere un contratto bisognava seguire alcune formalità. In tal modo si voleva ricordare alle parti (i contraenti) la serietà delle promesse fatte. In seguito l'importanza delle formule è scomparsa. Oggi i contratti con i quali si trasferisce la proprietà di beni mobili possono essere conclusi anche con il semplice accordo verbale mentre per alcuni tipi di beni (beni immobili e mobili registrati) il legislatore richiede la forma scritta per la validità degli atti stessi. Elementi essenziali del contratto Gli elementi essenziali del contratto la cui mancanza rende nullo il contratto sono: l'accordo tra le parti; la causa, cioè l'indicazione dello scopo economico per il quale le parti concludono il contratto; la specificazione della cosa oggetto del contratto che deve essere possibile, lecita, determinata o determinabile; infine la forma attraverso la quale deve essere manifestata la volontà. Classificazione dei contratti I contratti sono suscettibili di svariate classificazioni; le più importanti sono le seguenti: contratti tipici e contratti atipici, a seconda che il legislatore preveda una disciplina specifica o meno; contratti bilaterali o plurilaterali, a seconda che le parti che stipulano il contratto siano due o più di due (come ad esempio avviene con la costituzione di una società); contratti a prestazioni corrispettive e contratti con prestazioni a carico di una sola parte; contratti a titolo oneroso e contratti a titolo gratuito a seconda che sia previsto il pagamento di un prezzo o meno; contratti a esecuzione istantanea o di durata a seconda che la prestazione delle parti sia

concentrata nel tempo oppure venga posta in essere periodicamente o continuata nel tempo; contratti consensuali e contratti reali a seconda che si perfezionino con il semplice consenso, oppure che la loro efficacia sia subordinata al trasferimento della cosa; contratti a efficacia reale e contratti a efficacia obbligatoria a seconda che il risultato tra le parti si realizzi automaticamente oppure sorga tra le parti solo l’obbligo di porlo in essere. Ci sono poi i contratti commutativi che sono quelli nei quali i sacrifici a carico delle parti sono certi e quelli aleatori nei quali questa certezza non c'è.

Si distinguono:

• contratti tipici e contratti atipici, a seconda che le parti abbiano deciso di utilizzare uno schema negoziale già previsto dal legislatore o se, invece, abbiano deciso di costruire uno schema negoziale nuovo, purché sia diretto a realizzare "interessi meritevoli di tutela" secondo l'ordinamento giuridico.

• contratti ad efficacia reale e contratti ad efficacia obbligatoria, a seconda che trasferiscano la Proprietà di una cosa determinata, diritti reali o altri diritti con il semplice consenso legittimamente manifestato o se, invece, creino solo obbligazioni.

• contratti consensuali e contratti reali, a seconda che si concludano con il semplice consenso manifestato o se, invece, necessitino della consegna materiale della cosa al fine della valida stipulazione.

• contratti con prestazioni a carico di una sola parte o contratti unilaterali e contratti a prestazioni corrispettive; i primi prevedono che solo una delle parti del rapporto debba dare, fare o non fare qualcosa, laddove i secondi prevedono uno scambio di prestazioni (questi ultimi vengono anche detti "sinallagmatici", dal nome dello scambio corrispettivo, il cosiddetto sinallagma).

• contratti a titolo oneroso, contratti a titolo gratuito; i primi sono contratti che prevedono un sacrificio patrimoniale in cambio di un acquisto, i secondi vedono un acquisto patrimoniale senza sacrificio.

• contratti associativi e contratti di scambio; i primi vedono tutte le parti del contratto concordi al fine di realizzare un interesse comune (ad es. contratto di società), i secondi vedono le parti in conflitto di interessi, volendo ciascuna di esse massimizzare la propria utilità ritraibile dalla pattuizione (ad es. compravendita).

• contratti solenni o formali e contratti a forma libera, a seconda che sia stata espressamente prevista una forma specifica per la loro stipulazione o meno.

• contratti aleatori e contratti commutativi a seconda che il valore concreto della prestazione e della controprestazione dipenda da un fattore di incertezza (ad es. scommessa) ovvero che non implichi l'assunzione di un rischio in quanto le parti sanno, fin dal momento in cui concludono il contratto quale sarà l'entità dello svantaggio e del vantaggio conseguito con il contratto

• contratti di durata e contratti istantanei, a seconda che essi regolino un rapporto destinato a durare nel tempo, con una pluralità di prestazioni e controprestazioni (ad es. contratto di utenza telefonica) o se, invece, regolino un rapporto che si svolge in un solo momento (ad es. compravendita).

NORMA GIURIDICA

Per norma giuridica si intende un precetto legislativo, avente la capacità di determinare, in maniera tendenzialmente stabile, l'ordinamento giuridico generale (ossia il diritto oggettivo).

Una norma è una proposizione volta a stabilire un comportamento condiviso secondo i valori presenti all'interno di un gruppo sociale e pertanto definito normale. Essa è finalizzata a regolare il comportamento dei singoli appartenenti al gruppo, per assicurare la sua sopravvivenza e perseguire i fini che lo stesso ritiene preminenti.

Caratteristiche

In linea generale, la norma giuridica viene assimilata ad una "regola di condotta", ovvero ad un comando, che impone all'individuo un determinato comportamento. Il carattere "coattivo" della norma giuridica è, dunque, imprescindibile. Questo elemento centrale della norma giuridica contribuisce in modo determinante a differenziarla da altri tipi di norme, come quelle morali o religiose, che appartengono ad una sfera non coattiva. L'individuo è libero o meno di assecondare un comando religioso o morale. Può sentirsi perfino obbligato a farlo ma tale obbligo non è generalizzabile.

Affini alle norme giuridiche vere e proprie possono considerarsi quelle deontologiche, che appartengono più alla sfera morale, ma che, quando sono inserite in disciplinari di ordini professionali o di associazioni di produttori, possono prevedere anche sanzioni in caso di violazione.

Le caratteristiche fondamentali di una norma giuridica sono:

1. Generalità: in quanto non è riferita a un singolo soggetto ma si riferisce a una pluralità di soggetti, ovvero a tutti coloro che si trovano nella situazione disciplinata[1];

2. Astrattezza: in quanto la norma fa riferimento a un'ipotesi astratta e non al singolo caso concreto;

3. Novità: in quanto ogni norma viene emanata per regolare un comportamento che fino a ieri si riteneva non dovesse essere regolato, oppure allo scopo di modificare un regolamento di quel tale comportamento già esistente;

4. Imperatività (o coazione): in quanto accanto ad una norma che contiene un precetto, esiste una norma che prevede la sanzione;

5. Positività: in quanto la norma è predisposta da un'autorità (lo Stato); 6. Bilateralità: in quanto la norma riconosce un diritto ad un soggetto e in

contrapposizione impone un dovere o un obbligo ad un altro soggetto;

7. Esteriorità: oggetto della disciplina dovrà essere l'azione esterna del soggetto, non gli stati psichici interiori.

Gli atti o fatti da cui scaturiscono le norme giuridiche costituiscono le fonti del diritto, e, più esattamente, le fonti di produzione giuridica. Va detto che, in senso lato, possono considerarsi norme anche quelle che mancano dei caratteri della generalità ed astrattezza, le quali, peraltro, non sono prodotte da fonti del diritto ma con atti giuridici in virtù di poteri dalle stesse attribuiti (si tratti di atti privati, come i contratti, o pubblici, come un provvedimento amministrativo o una sentenza).

La norma non va in nessun caso confusa con la legge. Mentre la legge è un atto, la norma è la conseguenza di questo. La legge è una delle fonti del diritto, la norma è diritto. La norma è un comando che si ricava dall'interpretazione delle fonti del diritto. Le norme sono solitamente desumibili da una formulazione linguistica scritta (costituzione, legge, regolamento...) al fine di conferire alla stessa un alto grado di certezza e durevolezza nel tempo. Diverse dalle norme giuridiche, che prescrivono comportamenti vincolanti per il diritto, sono le norme etiche, morali, sociali, che vincolano solo nel cosiddetto foro interno (della coscienza) ovvero sotto il profilo meramente sociale, di pura cortesia.

In sintesi si può definire "norma giuridica", una prescrizione generale ed astratta che identifica ed enuncia gli interessi vigenti in un gruppo sociale ed appresta le procedure per la loro tutela ed il loro concreto soddisfacimento e della quale, pertanto, deve essere garantita l'osservanza.

Tipi di norme giuridiche

La più semplice struttura della prescrizione è "A deve B", laddove A è un soggetto, il destinatario della prescrizione, mentre B è l'oggetto della prescrizione, il comportamento dovuto da A. Questa formula identifica quindi la norma giuridica con il comando (imperativo). Gli studi del grande giurista Hans Kelsen, d'impostazione antimperativistica, ribaltano questa concezione della norma e pongono la sanzione in posizione centrale; secondo questa nuova concezione la formula può essere riscritta come "se A, deve essere B", ove A rappresenta l'azione illecita, mentre B configura la sanzione che ne consegue.

In questo modo Kelsen vuole asserire che il fatto illecito A è considerato tale solo perché l'ordinamento giuridico ha predisposto una sanzione B per esso e ad esso conseguente. Come detto, questa formula stravolge le vecchie concezioni della norma e per questo è fra i temi principali di dibattito fra i giuristi.

Oggi il significato di norma si è peraltro ampliato, precisamente in due direzioni: attraverso l'abbandono del significato di "normativo" come prescrittivo (precettivo, imperativo) e attraverso la rinuncia al carattere della normalità. Infatti nel linguaggio giuridico "norma" non viene più utilizzato solo per indicare proposizioni prescrittive,

ma anche permissive e attributive; tant'è che sono state "scoperte" nuove norme chiamate appunto permissive (negano gli effetti di norme imperative precedenti, quindi danno il permesso esclusivo e momentaneo di fare una cosa prima impedita da un'altra norma), attributive (attribuiscono un potere), privative (tolgono un potere).Anche riguardo al significato principale, quello appunto di norma come prescrizione, va rilevato che la forza prescrittiva non è esplicata con uguale intensità da tutte le norme giuridiche: esistono infatti norme incondizionate, poiché l'obbligo a cui è sottoposto il destinatario non è subordinato al verificarsi o meno di una condizione, e norme condizionate, nelle quali l'obbligo è invece subordinato ad una condizione. Esistono inoltre norme strumentali che prevedono un comportamento non buono in sé stesso, ma buono al raggiungimento di un dato scopo, e norme finali, che stabiliscono il fine che deve essere raggiunto ma non i mezzi, che sono quindi lasciati a discrezione del destinatario.

Esistono inoltre le direttive, norme non obbliganti ma soltanto accompagnate dall'obbligo di tenerle presenti e di non discostarsene se non per motivi plausibili. Va tenuto presente che nell'ordinamento dell'UE si parla invece di direttive con riferimento ad atti degli organi comunitari che gli stati membri hanno l'obbligo di recepire con leggi ordinarie nazionali e che, in alcuni casi, possono anche produrre effetti diretti negli ordinamenti degli stessi pur in assenza di recepimento.

Vanno anche ricordate le norme dispositive, che integrano o sostituiscono una volontà che sia stata dichiarata in modo incompleto o insufficiente, sicché possono sempre essere derogate dalla diversa volontà delle parti, a differenza delle norme imperative che sono inderogabili. Un discorso a parte meritano le raccomandazioni, che non sono vere e proprie norme in quanto non danno origine ad un obbligo di uniformarsi ad una statuizione ma, più propriamente, ad un obbligo secondario, cioè quello di prendere le misure necessarie all'attuazione di un obbligo primario. Le raccomandazioni sono tipiche del diritto internazionale.

MERCATO DEL CAPITALE

Il mercato del capitale è un mercato in cui gli operatori economici si scambiano il mercato. Dal lato della domanda di capitale troviamo gli operatori che necessitano di capitale ( debitori ) in quanto sono caratterizzati da una situazione in cui i risparmi non sono sufficienti a coprire le esigenze di investimento. Appartengono alla domanda di capitale le imprese, le persone e gli stessi governi quando vendono i titoli di Stato. Dal lato dell'offerta di capitale troviamo, invece, gli operatori ( creditori ) con avanzo di risorse, ossia con un flusso di risparmio superiore alle proprie necessità di consumo o di investimento. I creditori si presentano sul mercato del capitale per offrire le proprie risorse. Il margine di guadagno dei creditori consiste nel tasso di interesse sul capitale offerto.

Nel mercato dei capitali si incontrano la domanda e l'offerta degli strumenti finanziari. La domanda è composta dagli operatori economici che rilevano un avanzo di risorse finanziarie ( risparmio ) mentre l'offerta è composta da quelli che rilevano un disavanzo ( investimenti ). Nel primo caso gli operatori sono detti "creditori", possiedono delle risorse finanziarie in virtù di avere risparmi superiori agli investimenti ( domanda ). Nel secondo caso gli operatori sono detti "debitori", non dispongono delle risorse necessarie per finanziare gli investimenti e devono ricorrere al mercato diretto o indiretto per ottenerli. I mercati di capitale sono classificati in:

• Mercato diretto del capitale. Il debitore e il creditore si accordano sullo scambio senza alcun intermediario.

• Mercato aperto del capitale. Il debitore e il creditore si accordano sullo scambio in modo impersonale, seguendo le procedure standard dei mercati (es. Borsa).

Nel mercato dei capitali svolgono un ruolo di grande importanza gli intermediari finanziari, i quali si interpongono tra la domanda e l'offerta di capitali in una sorta di mercato del capitale indiretto, al fine di facilitare e ampliare il volume degli scambi finanziari in un sistema economico che altrimenti non si avrebbero se le trattative avvenissero soltanto sul mercato diretto.

CAPITALE

Il capitale è l'insieme dei mezzi di produzione impiegati nei soggetti economici (imprese) in un determinato momento al fine di consentire l'attività economica. Sono inclusi nel capitale i beni immobili, gli strumenti di lavoro, i macchinari, le scorte di magazzino ecc. Nell'economia politica classica e neoclassica il capitale è uno dei principali fattori produttivi insieme alla terra e al lavoro. Il capitale si distingue dalla terra per la sua natura artificiale, il capitale è prodotto dall'uomo, e può essere utilizzato per produrre altri beni. La definizione economica di capitale varia a seconda della teoria economica. Possiamo, in ogni caso, distinguere il capitale in due categorie:

• Capitale fisso. Il capitale fisso è l'insieme degli investimenti a medio-lungo termine ossia quelli il cui ricavo non si presenta nello stesso anno in cui viene effettuato l'investimento ma soltanto dopo diversi cicli di produzione. Fanno parte del capitale fisso tutti i beni durevoli, gli immobili, i prodotti intermedi, le materie prime, i macchinari a disposizione del soggetto economico per avviare la produzione e lo scambio.

• Capitale circolante. Il capitale circolante è l'insieme degli investimenti a breve termine ossia quelli il cui ricavo si presenta nello stesso anno di esercizio in cui viene effettuato l'investimento. Il capitale circolante è composto dalle entrate e dalle uscite monetarie del soggetto economico nel corso di un esercizio ( es. crediti verso i clienti, scorte di prodotti, vendite, ecc. ).

L'accumulazione di capitale è l'incremento della disponibilità dei beni di capitale attraverso l'investimento. L'investimento consiste nella rinuncia di consumare una parte del prodotto corrente (risparmio). Dall'entità dell'investimento deriva l'incremento del capitale sia in termini quantitativi che qualitativi. Agli investimenti è legata la possibilità migliorare le tecnologie impiegate nella produzione e la stessa capacità produttiva dell'impresa.

Altre definizioni di capitale. Esistono anche altre classificazioni di capitale. Ad esempio, si parla di capitale finanziario per indicare le ricchezze monetarie o numerarie, di capitale umano per indicare la professionalità e la conoscenza dei lavoratori, di capitale naturale per intendere le risorse naturali, ecc.

LA MONETA

Per moneta si intende tutto quello che viene utilizzato come mezzo di pagamento e intermediario degli scambi e che svolge le funzioni di:

• misura del valore (moneta come unità di conto); • mezzo di scambio nella compravendita di beni e servizi e in genere nelle

transazioni commerciali (moneta come strumento di pagamento); • fondo di valore (moneta come riserva di valore);

La funzione "centrale" della moneta è quella di strumento di pagamento, visto che le altre funzioni sono o conseguenza di essa o condizione favorevole per il suo svolgimento. La distinzione tra unità di conto e mezzo di pagamento era più evidente nelle economie antiche, quando esistevano monete "virtuali", oggi si direbbe scritturali, (come il talento, la lira medioevale ecc.) che non esistevano fisicamente e non venivano coniate, ma servivano solo per contare e stipulare i contratti (unità di conto); le monete reali (mezzi di pagamento) si usavano per saldare l'obbligazione.

Denaro e moneta

È necessario fare un'importante distinzione tra il concetto di denaro e quello di moneta.

Il denaro è il circolante accettato del mercato, ossia da tutti, in un distinto periodo storico. I gettoni telefonici, i miniassegni degli anni settanta, le caramelle date di resto al bar, le hours di Ithaca (N.Y.) sono un esempio di denaro. In antichità, prima della nascita della moneta in senso stretto, il denaro era costituito da svariate tipologie di oggetti e non solo: semi di cacao, conchiglie, barrette di ferro, spiedi, sale (da cui salario), bestiame (da cui pecunia) e così via.

La moneta (in senso stretto) è il circolante emesso dallo Stato in un distinto periodo storico. Fa parte della categoria del denaro fino a quando viene accettata dal mercato: le monete fuori corso e le monete svalutate non sono più denaro in quanto nessuno le accetta.

Valore intrinseco della moneta

Il valore intrinseco di una moneta è il valore dello strumento (per esempio la moneta metallica o la banconota) usato come moneta. Esso dipende dal valore del bene che compone la moneta. Una moneta cartacea, come un biglietto da € 10, ha un valore intrinseco pari al costo per produrlo, vale a dire pari al costo degli inchiostri, della stampa, del trasporto dalla stamperia alla banca, dei diritti sul sistema anti-falsificazione, ecc. Allo stesso modo una moneta metallica, come la moneta da € 1,

ha un valore intrinseco pari al costo per coniarla.

Il valore intrinseco dello strumento non supera mai il valore nominale, per evitare un signoraggio negativo, un costo di produzione della moneta maggiore del ricavo che si ha spendendola, e perché gli utilizzatori sarebbero incentivati a fonderle per recuperarne il metallo, ovvero a usarle per uno scopo diverso dallo scambio.

Il costo di una moneta elettronica dipende dalla necessità di addebitare ad un conto bancario e accreditare ad un altro una certa somma di denaro.

Se la moneta ha un valore intrinseco non troppo distante dal suo valore nominale, conserva maggiormente il proprio valore nel tempo. Una moneta coniata con metalli preziosi è più stabile e meno soggetta ad inflazione. Alla crescita di moneta corrisponde un'analoga crescita della ricchezza reale, almeno pari alla quantità di metallo prezioso messo in circolazione con la valuta stessa, per cui l'emissione di moneta con valore intrinseco sarebbe priva di effetti inflativi. La fiat money, non legata al possesso di riserve per il conio o la conversione delle monete, priverebbe i cittadini di una tutela contro l'abuso del potere di coniare moneta e contro i rischi di inflazione che ciò comporta, che la coniazione sia gestita direttamente dal potere politico oppure da istituti privati di diritto pubblico. Tuttavia, l'inflazione è correlata non solo alla quantità di moneta emessa, ma al rapporto di questa con la ricchezza reale prodotta, che non è misurabile in termini di riserve in oro o metalli preziosi, ma di presenza di beni e servizi. La quantità di metallo prezioso estraibile non è correlata alla ricchezza prodotta, né un Paese è ricco perché possiede molte riserve, o necessariamente è obbligato a tenerne in proporzione alla sua crescita economica. L'assenza di un obbligo di riserva, per evitare abusi nell'emissione di moneta, è compensata da un sistema di governance che affida la coniazione ad autorità indipendenti, che hanno il compito di regolarla in modo da evitare l'inflazione.

Di solito si tratta di costi modesti. Il valore intrinseco delle monete moderne è quindi assai basso, con l'eccezione delle monete che assumono un interesse numismatico per le quali il valore intrinseco resta basso, ma la rarità, il desiderio di collezionarle e tutto quanto alimenta l'interesse dei numismatici contribuiscono a dare ad esse un valore.

Il passaggio graduale dall'uso delle monete in metallo prezioso a monete immateriali ha abbattuto il valore intrinseco della moneta e conseguentemente anche i costi per produrla. La riduzione dei costi è avvenuta contemporaneamente alla crescita dell'economia che ha reso necessario l'uso di quantitativi sempre più grandi di moneta.

Se non si fosse verificata la diminuzione dei costi per emettere moneta, al crescere della domanda di moneta sarebbe cresciuto il costo totale di emissione. Di conseguenza si sarebbe dovuta destinare una parte consistente della maggiore ricchezza alla creazione dello strumento monetario. La riserva, sia essa un metallo o

un altro bene, in quanto è solo una parte della ricchezza prodotta, che però deve fornire una base monetaria per consentire gli scambi commerciali dell'intera ricchezza esistente, è una risorsa scarsa o destinata a diventare tale nel tempo perché è presente in quantità finite in natura, e che deve coprire una domanda molto più grande. La crescita dell'economia sarebbe stata limitata dalla quantità estratta e dalla reperibilità di nuove riserve.

Valore nominale della moneta

Altra cosa è il valore nominale delle monete. Il valore di ciascuna moneta è quello segnato sulla moneta stessa. È indispensabile nelle economie moderne disporre di mezzi di pagamento nella quantità necessaria a regolare flussi di scambi sempre maggiori. Questo implica per le autorità monetarie la libertà di emettere moneta nella quantità che esse ritengono adeguata ad un buon funzionamento del sistema dei pagamenti.

La moneta non viene emessa a fronte di riserve di oro detenute dalla banca centrale, come avveniva in passato, né quindi può essere ceduta alla banca emittente in cambio di oro o di un altro bene.

La circolazione della moneta e quindi il riconoscimento del suo valore nominale dipendono solo dalla fiducia che chi riceve in pagamento una certa quantità di denaro ha di poter cedere a sua volta tale denaro ad altri soggetti in cambio di altri beni e servizi. Questo "meccanismo fiduciario" garantisce che il valore nominale sia anche il valore reale della moneta.

A rafforzare tale meccanismo basato sulla fiducia reciproca intervengono naturalmente tutti i sistemi anticontraffazione, che offrono ai cittadini una elevata probabilità che al denaro posseduto (e ricevuto da altri) sia riconosciuto il valore nominale riportato su banconote e monete e non il valore intrinseco di biglietti e monete prive di valore legale.

Ma soprattutto il meccanismo fiduciario viene integrato dall'obbligo legale di accettare in pagamento la moneta legale del proprio paese e dalla regola, contenuta nel codice civile, che afferma che una volta effettuato il pagamento l'obbligazione si estingue, liberando per sempre il debitore.

L'uso affidabile e duraturo della moneta come mezzo di compravendita è garantito dunque dal valore stabile della moneta che a sua volta è garantito da una convenzione intrinseca o accordo fiduciario collettivo, regolato e riconosciuto dalla legge, che tutti hanno accettato perché a tutti conviene avere una moneta di scambio, perché essa è non riproducibile (cioè falsificabile) e perché il valore stesso non è dato a piacimento dal singolo cittadino, ma è dato dal valore stampato sulla moneta: se così non fosse il gioco di scambio tra bene e moneta non funzionerebbe perché, in un continuo gioco al rialzo tra valore nominale della moneta e beni e servizi, si alimenterebbe in

brevissimo tempo una svalutazione della moneta ed una conseguente spirale inflazionistica.

In altri termini possiamo dire che una banconota da 20 € vale 20 € perché chiunque, accettandola in pagamento, è sicuro che altre persone, alle quali a sua volta verrà ceduta la banconota, riconosceranno (per volontà propria e perché obbligati dalla legge) che tale banconota vale 20 €.

Potrebbero riconoscere ad essa un valore diverso solo se la banconota fosse falsa (e in questo caso il valore sarebbe vicino allo zero) o se la banconota avesse valore in quanto interessante per i numismatici.

In sintesi, le monete cartacee oggi usate (totalmente svincolate dalle quantità di metalli preziosi) hanno valore in quanto mezzo di pagamento stabile riconosciuto nell'economia di un certo paese:

• la stabilità è garantita dal controllo sull'emissione da parte delle banche centrali (la crescita dell'offerta di moneta deve essere infatti in linea con la crescita dell'economia, altrimenti eventuali eccessi si riproducono nel lungo periodo come inflazione);

• il riconoscimento come mezzo di pagamento è garantito dalla legge; • infine il potere d'acquisto stabile e giuridicamente riconosciuto della moneta è

rilevante solo in quanto può essere rivolto a beni e a prodotti finanziari desiderati, che sono prodotti e offerti dal paese in cui circola quella moneta.

In pratica, nessuno di noi accetterebbe un "pezzo di carta" in cambio di un bene, se quel pezzo di carta non ci consentisse di acquistare altri beni, se esso perdesse il suo valore nell'intervallo di tempo in cui lo deteniamo prima di scambiarlo con un altro bene, se esso attribuisse un potere d'acquisto puramente formale in un'economia di fatto improduttiva e inesistente.

Svalutazione della moneta

La svalutazione è la perdita di valore di una moneta nei confronti di beni e servizi, comprese altre monete.

In passato, quando le monete erano composte da metalli preziosi, il valore nominale poteva essere più o meno vicino a quello del metallo prezioso contenuto. La svalutazione della moneta dipendeva da iniziative di manipolazione del sovrano e dell'autorità politica. Avveniva attraverso due meccanismi[4]:

• L'alleggerimento del peso delle monete e la corruzione della loro lega • Il cosiddetto “alzamento” (come lo chiamava Galiani), che consisteva

nell'alzare il valore nominale della moneta metallica, rendendo necessario un minor numero di monete per comporre l'unità di conto. Ad esempio, Solone

portò da 73 a 100 il numero di dracme contenuto in una mina, sicché chi aveva argento necessario per 73 dracme poteva portarlo alla coniazione e ottenerne 100 nuove. L'effetto era di allentare la pressione sui debitori, facilitando il saldo dei loro debiti (danneggiando di conseguenza i creditori). Le svalutazioni infatti spesso avvenivano in coincidenza di crisi sociali e malcontento popolare.

Ai nostri giorni non si usano più monete composte da metalli preziosi e le ragioni della perdita di valore di una moneta sono da attribuirsi all'operare della domanda e dell'offerta delle monete che servono a regolare le transazioni economiche (essa può anche essere indotta dall'uso della politica monetaria come strumento di politica economica da parte della banca centrale: una svalutazione competitiva per favorire la domanda di beni nazionali).

La svalutazione rende più costose le merci e le materie prime importate e di conseguenza può avere effetti sull'inflazione del paese che svaluta (cosiddetta inflazione importata). Inoltre, rende più convenienti, sui mercati esteri, i prodotti del paese che svaluta, da cui l'attributo competitiva all'inflazione.

L’EMISSIONE DI MONETA

L'emissione in un sistema con sole monete metalliche

Fino all'Ottocento circolavano quasi esclusivamente monete metalliche coniate impiegando metalli preziosi. Si creava moneta portando il metallo grezzo presso la zecca, solitamente di proprietà o autorizzata dallo Stato, dove venivano coniate le monete. Il metallo prezioso proveniva dalle miniere e dall'estero, in seguito a saldi commerciali positivi, regolati usando metalli preziosi.

La quantità di moneta circolante nell'economia poteva quindi aumentare o diminuire, nel caso di deficit commerciali regolati cedendo metalli preziosi, non compensati dalle nuove estrazioni minerarie. Le variazioni della quantità di monete aveva effetti sui prezzi. I prezzi aumentavano o diminuivano (deflazione) con la quantità di moneta e con effetti che si ripercuotevano su salari e occupazione.

L'emissione di moneta da parte delle banche

L'evoluzione dell'economia porta nel tardo Medioevo alla creazione, accanto alle monete metalliche, della moneta bancaria (da non confondere con la moneta bancaria intesa come il complesso degli strumenti di pagamento forniti oggi dalle banche, in aggiunta alla moneta legale in circolazione). Il deposito dell'oro in sovrappiù presso gli orafi, alcuni dei quali si trasformano in banchieri e prestano il metallo prezioso ricevuto e non trattenuto come riserva, favorisce la nascita di un sistema creditizio, nel quale le passività dei banchieri diventano moneta. Ogni banca finisce per

emettere una propria moneta, che è accettata in pagamento, solo se la banca è ritenuta solvibile.

La creazione di moneta da parte della banca centrale

La molteplicità delle monete e degli emittenti, fonte di instabilità e di periodiche crisi finanziarie, viene affrontata a partire dal Seicento decidendo di concentrare il potere di emettere moneta nelle mani di un unico soggetto, la banca centrale.

In tal modo si limita il potere di erogare credito da parte delle banche, che non possono superare il limite imposto loro dall'obbligo di detenere parte della raccolta sotto forma di riserve (oggi non più in oro, ma in attività estremamente liquide), e si attribuisce alla banca centrale il potere di rifinanziare le banche, quando occorra. Tale potere serve sia a far crescere l'offerta di moneta, attraverso l'aumento della base monetaria da parte della banca centrale, sia a garantire la solvibilità delle banche.

IL RISPARMIO

In economia il risparmio è la quota del reddito di persone, imprese o istituzioni che non viene spesa nel periodo in cui il reddito è percepito, ma è accantonato per essere speso in un momento futuro. Il risparmio è dunque un sacrificio del consumo presente, in vista di un maggiore consumo futuro. Si noti la differenza tra risparmio ed investimento in cui invece è necessariamente presente un elemento di rischio.

In generale lo scopo del risparmio è quello di poter disporre in un secondo momento delle risorse non spese. Ciò può avvenire per far fronte a spese impreviste, nel caso di un risparmio di tipo precauzionale, per garantirsi un reddito futuro oltre a quello offerto dal sistema pensionistico, come formalizzato dalla teoria del ciclo vitale di Franco Modigliani, per lasciare un'eredità o per compiere, in futuro, un investimento di rilevanti dimensioni, come l'acquisto di un bene durevole. La distinzione tra le diverse motivazioni del risparmio si deve principalmente a John Maynard Keynes.

I settori dell'economia

Il risparmio nazionale corrisponde alla differenza tra prodotto interno e consumi e risulta identico alla somma degli investimenti interni corretti dalla variazione del saldo debitore o creditore verso il resto del mondo. I soggetti economici che concorrono alla formazione o alla distruzione del risparmio nazionale possono essere raggruppati in tre grandi categorie: le famiglie, le imprese e la Pubblica Amministrazione. Il risparmio conseguito dalla Pubblica Amministrazione (Stato, enti locali, enti pubblici vari) viene chiamato risparmio pubblico. Ad esso si contrappone il risparmio privato, ovvero la somma di quanto accumulato dalle due altre grandi categorie di soggetti: le famiglie (risparmio familiare) e le imprese (risparmio d'impresa). Le imprese private e la Pubblica Amministrazione spesso non risparmiano o non risparmiano a sufficienza per fronteggiare le loro necessità. Richiedono, quindi, risorse finanziarie in aggiunta a quelle di cui dispongono. Possono ricevere finanziamenti direttamente dalle famiglie, alle quali cedono titoli (azioni e obbligazioni) oppure indirettamente, ricorrendo al credito bancario. Le banche che sono intermediari finanziari, a loro volta, finanziano i propri impieghi ricorrendo ai risparmi delle famiglie (depositi). In questo senso si può dunque parlare di settori in surplus o in deficit dell'economia.

Il tasso di risparmio, vale a dire la quota del reddito che viene risparmiata, è variata nel corso del tempo, in generale riducendosi. Tra le varie motivazioni addotte dagli economisti, si considera quella che spiega il fenomeno correlando il tasso di risparmio alle incertezze prodotte da violente crisi economiche (ad esempio la crisi degli anni trenta) e dai conflitti bellici.

Risparmio e investimento

Il risparmio è strettamente legato all'investimento. Non usando il reddito per acquistare beni di consumo, è possibile investire risorse usandole per produrre capitale fisso, ad esempio impianti e macchinari. Il risparmio può quindi essere vitale per incrementare la quantità di capitale fisso disponibile, che contribuisce alla crescita economica.

Tuttavia, un aumento del risparmio non corrisponde sempre ad aumento dell'investimento: se i risparmi vengono messi da parte infruttuosamente nel cosiddetto materasso, anziché essere depositati presso un intermediario finanziario, come ad esempio una banca, o investiti nell'acquisto di titoli, non c'è possibilità che tali risparmi vengano riciclati come investimento dalle imprese. Ciò significa che il risparmio può aumentare senza che aumenti l'investimento, inteso al netto delle scorte, possibilmente causando una diminuzione della domanda e quindi recessione, anziché crescita economica. Nel breve periodo, una diminuzione del risparmio può portare ad una crescita della domanda aggregata e quindi dell'economia. Nel lungo periodo se il risparmio diminuisce finisce per ridurre anche l'investimento e diminuire il livello futuro della produzione. Questo particolare effetto è conosciuto come paradosso della parsimonia. La produzione economica futura è resa possibile rinunciando al consumo immediato per aumentare l'investimento.

In un'economia agricola primitiva, il risparmio potrebbe prendere la forma di accantonare la parte migliore del grano raccolto come semina per la stagione successiva. Se tutto il raccolto fosse consumato, l'agricoltura cesserebbe alla stagione successiva, e si avrebbe un'economia degradata di cacciatori-raccoglitori. Tuttavia, anche se l'intero raccolto venisse risparmiato, non si avrebbe nulla da consumare per l'anno in corso. Pertanto, il tasso ottimale di risparmio deve mantenersi tra questi due estremi ed è definito come il tasso di risparmio di regola aurea.

Le scelte di risparmio

La misura del compenso richiesto per il sacrificio del consumo presente, in vista di un maggiore consumo futuro, se espresso in termini percentuali è rappresentata dal tasso di interesse. L'economia classica postulava che i tassi d'interesse si sarebbero adattati velocemente in modo da eguagliare risparmio e investimento, evitando una sovrapproduzione generale. Ma secondo Keynes sia il risparmio che l'investimento sono inelastici rispetto al tasso d'interesse, così da richiedere notevoli variazioni dei tassi. Sarebbero invece la domanda e l'offerta di moneta a determinare i tassi d'interesse nel breve periodo. Sarebbe dunque possibile che il risparmio ecceda l'investimento, causando una recessione.

Nell'ambito delle famiglie si è osservato che le scelte di risparmio dipendono da diversi fattori. In particolare, la propensione a risparmiare di un individuo dipende dalle sue condizioni economiche: chi è meno abbiente tende a risparmiare di meno, dovendo destinare una percentuale più elevata del suo reddito a spese incomprimibili. Di conseguenza maggiore è la percentuale di persone con redditi elevati, in una

economia, maggiore è il tasso di risparmio e minore la quota del reddito che viene destinata ai consumi immediati.

In finanza personale

Nella finanza personale, il risparmio corrisponde alla preservazione nominale del denaro per usi futuri, per creare ad esempio un fondo di emergenza, per l'acquisto di beni durevoli come una casa o un'auto, o in previsione di spese future, nonostante la possibilità che l'inflazione ne eroda il valore reale. Può essere usato per questi scopi un conto di deposito che paga generalmente un interesse.

Il denaro usato per acquistare azioni, depositato in uno schema di investimento collettivo (ad esempio in un fondo comune) o utilizzato in generale per acquistare un titolo rischioso, viene considerato un investimento finanziario. Questa distinzione è importante perché il rischio da investimento può causare una perdita in conto capitale se, al momento del realizzo, il valore del titolo è diminuito rispetto a quando è stato acquistato.

A diversi livelli di rischio desiderati si applicano diversi tassi di rendimento attesi, tanto che, per alcuni conti di deposito privi di rischio, il tasso d'interesse può risultare insufficiente a coprire la perdita di valore reale dovuta all'inflazione.

In molti casi, i termini risparmio ed investimento sono usati intercambiabilmente, cosa che confonde questa distinzione. Ad esempio molti conti di deposito sono etichettati come "conti di investimento" dalle banche per scopi di marketing.

RICCHEZZA, PATRIMONIO, REDDITO CONCETTO DI RICCHEZZA

L'insieme di beni economici appartenenti ad un soggetto, o ad un gruppo di soggetti, prende il nome di ricchezza.

Se questi beni:

• appartengono ad una persona fisica o ad una persona giuridica privata, si parla di ricchezza privata;

• appartengono ad un ente di diritto pubblico, si parla di ricchezza pubblica.

Quando parliamo della ricchezza dell'intera nazione usiamo l'espressione ricchezza nazionale.

ASPETTO STATICO E DINAMICO DELLA RICCHEZZA

La ricchezza può essere esaminata sotto due diversi aspetti:

• l'aspetto statico, ovvero la ricchezza in un determinato momento.

Esempio: l'insieme dei beni economici posseduti dal signor Rossi il 1° gennaio di un certo anno.

In questo caso si parla di patrimonio.

Ovviamente anche il patrimonio potrà essere riferito ad un solo individuo o ad un gruppo di persone o all'intera comunità.

Esempio: possiamo prendere in esame il patrimonio del signor Rossi, il patrimonio di tutta la famiglia Rossi o il patrimonio nazionale.

• l'aspetto dinamico, ovvero la ricchezza prodotta in un certo periodo di tempo in seguito all'attività lavorativa svolta dai soggetti.

• Esempio: l'insieme dei beni economici prodotti dal signor Rossi nel corso di un

certo anno per effetto del suo lavoro.

• In questo caso si parla di reddito.

• Anche il reddito potrà essere riferito al singolo individuo o ad un gruppo di persone o all'intera comunità.

• Esempio: possiamo prendere in esame il reddito mensile del signor Rossi, il reddito mensile prodotto da tutta la famiglia Rossi o il reddito mensile nazionale.

Da quanto abbiamo detto si comprende che:

• se consideriamo la ricchezza sotto l'aspetto statico, essa costituisce un fondo;

• se consideriamo la ricchezza sotto l'aspetto dinamico, essa costituisce un flusso.

Abbiamo parlato, sia per quanto concerne il concetto di ricchezza, che per quanto concerne il concetto di patrimonio e di reddito, di un insieme di beni economici. Poiché i beni sono molto eterogenei, per esprimere la ricchezza con un'unica unità di misura, si impiega la moneta e si esprimono sia la ricchezza, che il patrimonio e anche il reddito, in termini monetari.

PATRIMONIO E REDDITO

Ricapitolando quando detto possiamo dire che:

• il patrimonio è il valore di tutti i beni economici che si possiedono in un certo momento;

• il reddito è il valore di tutti i beni economici prodotti in un certo periodo di tempo.

Esempio: il signor Rossi è un lavoratore dipendente che percepisce uno stipendio di 21.000 euro ogni anno. Egli è proprietario di un appartamento, dove vive con la sua famiglia, del valore di 120.000 euro e di un garage del valore di 30.000 euro che affitta ad un canone annuo di 1.800 euro. Inoltre il signor Rossi ha un deposito bancario di 15.000 euro sul quale percepisce un interesse dell'1,5% netto.

Il patrimonio del signor Rossi, alla data odierna, è dato da tutti i beni che possiede: la casa dove vive, il garage affittato, il deposito bancario. Quindi il suo patrimonio ammonta a 165.000 euro (120.000 + 30.000 + 15.000).

Il reddito annuo del signor Rossi è dato da tutte le entrate monetarie che egli ha nel corso dell'anno: stipendio, affitto, interessi bancari. Quindi il suo reddito annuo è pari a 23.025 euro [21.000 + 1.800 + (15.000 x 1,5%)].

REDDITO NAZIONALE

Possiamo ora introdurre il concetto di reddito nazionale.

Esso può essere definito come il flusso netto di beni e servizi prodotto da una certa collettività in un determinato arco di tempo, ad esempio in un anno.

LE OBBLIGAZIONI

Cosa sono:

Chi acquista un'obbligazione versa del denaro a chi l'ha emessa (detto "emittente") che lo utilizza per finanziarsi e si impegna a restituirlo alla scadenza ed a pagare un interesse.

L'emittente, che beneficia dell'operazione di finanziamento, è, tipicamente, uno Stato, una società privata, una banca ecc.. Dalla sua solidità economica dipende il pagamento degli interessi e la restituzione del capitale investito.

La scadenza individua il termine del prestito obbligazionario, il momento in cui l'emittente dovrà restituire le somme ricevute. Le obbligazioni possono essere a breve, medio e lungo termine.

L'interesse, che viene normalmente corrisposto tramite cedole, è il prezzo che l'investitore pretende per prestare il proprio denaro. La sua funzione è duplice: compensare l'acquirente per la rinuncia a una certa somma di denaro e per il rischio a cui si espone, in quanto l'emittente potrebbe non restituire il denaro.

Il rendimento dell'obbligazione, oltre che dall'interesse, è composto anche dal guadagno in conto capitale (capital gain), che si ha se il titolo è acquistato a un prezzo minore di quello a cui è rimborsato o venduto. Se, al contrario, il titolo viene rimborsato o venduto ad un prezzo minore di quello di acquisto, si ha una perdita in conto capitale.

Il rendimento delle obbligazioni è ridotto, anche in maniera sensibile, dalle commissioni di negoziazione e dalla tassazione.

I tipi di obbligazioni

Esistono moltissimi tipi di obbligazioni. Una prima, grande, classificazione distingue fra:

• obbligazioni ordinarie, dette anche plain vanilla; • obbligazioni strutturate.

Le obbligazioni ordinarie possono suddividersi, a loro volta, in due categorie:

• a tasso fisso, che attribuiscono all'investitore interessi in misura predeterminata;

• a tasso variabile, il cui interesse non è predeterminato, ma variabile in relazione ai tassi di mercato. Le obbligazioni a tasso variabile, a parità di altre condizioni, sono più sicure, in quanto offrono rendimenti sempre in linea con quelli di mercato.

Le obbligazioni strutturate sono più complesse e meno facilmente comprensibili. In particolare, la loro "struttura" si basa sulla combinazione di due elementi:

• una componente obbligazionaria ordinaria, che può prevedere o meno il pagamento di cedole periodiche e che assicura la restituzione del valore nominale del titolo;

• un contratto derivato, che fa dipendere la remunerazione dell'investitore dall'andamento di uno o più parametri finanziari o reali, come ad esempio indici o combinazioni di indici di borsa, azioni, fondi comuni, tassi di cambio o materie prime.

Si tratta di prodotti complessi. Prima di acquistarli dobbiamo essere sicuri di averne compreso il funzionamento, struttura, le possibilità di rendimento e i rischi.

I rischi

Le obbligazioni, come ogni attività finanziaria, comportano dei rischi. E' bene subito affermare che sicurezza e redditività sono di norma concetti opposti: interessi elevati sono la contropartita di rischi altrettanto elevati.

I rischi tipici sono:

- il rischio di interesse, che riguarda la possibilità che il prezzo del titolo diminuisca a seguito di variazioni dei tassi di interesse.

I titoli a tasso fisso, e soprattutto quelli a lunga scadenza, sono maggiormente esposti a questo rischio rispetto ai titoli a tasso variabile. Infatti, se variano l tassi di interesse:

• i titoli a tasso fisso non possono modificare le cedole e, quindi, per adeguare il loro rendimento ai nuovi livelli dei tassi, si modifica il prezzo;

• i titoli a tasso variabile adeguano le cedole al nuovo livello dei tassi per cui il prezzo si modifica solo limitatamente (tale modifica dipende dalla velocità e dall'ampiezza con cui avviene l'adeguamento delle cedole).

- il rischio di credito (o rischio emittente), che è legato alla possibilità che l'emittente sia inadempiente, in tutto o in parte, nel pagamento degli interessi e/o del capitale.

Sotto questo profilo, esistono titoli di diversa rischiosità, poiché non tutti gli Emittenti hanno la stessa affidabilità. Ad esempio, uno Stato è generalmente più affidabile di una impresa privata e, infatti, il fallimento di uno Stato, anche se possibile, è meno probabile di quello di un'impresa.

E anche per lo stesso emittente, non tutte le obbligazioni hanno il medesimo rischio. Esistono infatti le obbligazioni subordinate, per le quali il pagamento delle cedole ed il rimborso del capitale, in caso di particolari difficoltà finanziarie dell'emittente, dipendono dalla soddisfazione degli altri creditori non subordinati (o subordinati di livello inferiore, perchè possono esistere vari livelli di subordinazione, ai quali corrispondono diversi livelli di rischio).

La presenza di livelli diversi di merito creditizio spiega perché non tutte le obbligazioni offrono lo stesso rendimento, anche se uguali per scadenza e per tipologia. Il rendimento, infatti, cresce al ridursi dell'affidabilità dell'emittente.

Esistono delle agenzie di rating che misurano l'affidabilità di un emittente assegnando un rating che individua il relativo rischio di credito. Il rating non è altrochè un giudizio sulla capacità dell'emittente di far fronte ai suoi impegni.

- il rischio di liquidità si riferisce alla difficoltà di vendere rapidamente ed economicamente (cioè senza perdite in termini di prezzo) le proprie obbligazioni prima della scadenza. A questo riguardo, i titoli non quotati sono sicuramente meno liquidi di quelli quotate;

- il rischio di cambio che si corre se si investe in titoli denominati in valuta diversa da quella domestica ed è legato alla variabilità del rapporto di cambio tra le due valute.

Acquistare le obbligazioni

Le obbligazioni - come del resto tutti i titoli - possono essere acquistate sul:

• mercato primario, sottoscrivendoli al momento in cui vengono offerti per la prima volta al pubblico;

• mercato secondario, cioè acquistandoli "in borsa", in un momento successivo alla loro emissione, da chi lo ha già acquistato.

La presenza di un mercato secondario permette all'investitore, in caso di necessità, di vendere prima della scadenza i propri titoli. In assenza di un mercato secondario l'investitore dovrebbe, con molta probabilità, aspettare la scadenza del titolo per smobilizzare la propria posizione.

L’ORDINAMENTO GIURIDICO SPORTIVO La teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici Oltre all’ordinamento giuridico statale, in base alla teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici, è stato rilevato che esistono altri ordinamenti giuridici sovrani, come ad esempio l’ordinamento giuridico internazionale e l’ordinamento giuridico canonico. Sul punto, Santi Romano, ha rilevato altresì che l’ordinamento giuridico statale è una specie del genus più ampio del concetto generale di ordinamento giuridico. Questo in quanto nella sfera territoriale di vigenza dell’ordinamento giuridico statale, l’istituzione statale possiede il più alto grado di effettività di potere, ma nulla toglie che possano coesistere al suo interno altri gruppi sociali organizzati e disciplinati da una propria normativa. Da questa impostazione si evince una relativizzazione dei valori giuridici, ovvero una volontà di affermare che nell’ambito dell’ordinamento giuridico statale possano coesistere altri ordinamenti giuridici nei quali una condotta umana possa essere diversamente valutata in base ad una diversa valorizzazione del comportamento tenuto. In altre parole si può ipotizzare la sussistenza di un ordinamento nel quale siano vigenti delle norme che disciplinino dei comportamenti umani in base a delle regole di condotta che si ritengono necessarie per il raggiungimento di un valore sociale. L’aver riconosciuto l’esistenza di altri ordinamenti giuridici non significa tuttavia aver sminuito l’ordinamento giuridico statale, che rimane pur sempre l’ordinamento sovrano ed originario, ossia quello che trova in se stesso le ragioni della propria vigenza. Nell’ambito della tematica della pluralità degli ordinamenti giuridici, possiamo affermare che anche il fenomeno sportivo ha dato vita ad un vero e proprio ordinamento giuridico, in quanto in esso si possono rintracciare i caratteri tipici del concetto di ordinamento giuridico e precisamente una pluralità di soggetti, una organizzazione ed un complesso di norme che devono essere osservate da soggetti giuridici. Il mondo dello sport è infatti popolato da una pluralità di soggetti costituiti sia da persone fisiche sia da persone giuridiche tra i quali: · gli atleti, · i tecnici, · gli arbitri, · le associazioni sportive, · le Federazioni sportive nazionali · e tanti altri.

Tutti questi soggetti sono inseriti nell’ambito di una complessa organizzazione sportiva che fa capo al CONI al quale fanno capo le regole per l’organizzazione delle Federazioni sportive nazionali, per la gestione delle attività sportive, per le manifestazioni sportive agonistiche e non agonistiche, per i finanziamenti e per tante altre attività che caratterizzano il mondo dello sport. L’insieme dei soggetti che compongono il mondo dello sport è poi tenuto ad osservare una pluralità di norme sostanziali che vanno dal rispetto delle regole della Disciplina sportiva di riferimento alle regole di rispetto dei valori umani, quali la lealtà e la probità. Queste norme di condotta assumono una vera e propria connotazione giuridica, in quanto la loro inosservanza comporta l’applicazione di una sanzione disciplinare a carico del soggetto colpevole, la cui intensità sarà commisurata alla gravità dell’infrazione. Da quanto sinteticamente delineato si evince che il mondo dello sport può essere concepito come un ordinamento giuridico, in quanto ne fanno parte una pluralità di soggetti giuridici organizzati e tenuti ad osservare un complesso di regole giuridiche. L’autonomia dell’ordinamento giuridico sportivo La convivenza tra ordinamenti giuridici spesso comporta che gli stessi vengano in contatto tra di loro, così generando la necessità di un loro coordinamento. L’ordinamento giuridico sportivo in ragione della sua rilevanza sociale ed economica spesso è entrato in conflitto con quello ordinario, per cui, in più occasioni si è posta la questione della loro coesistenza. Recentemente il legislatore italiano, per superare gli ostacoli che si sono generati negli anni, ha riconosciuto la piena autonomia dell’ordinamento giuridico sportivo, ha stabilito che la Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Nazionale. Questa indicazione rappresenta una tappa fondamentale per la storia giuridica del fenomeno sportivo, non solo perché si è dato atto dell’esistenza di un ordinamento giuridico sportivo, ma altresì perché lo stesso è stato riconosciuto come ordinamento giuridico autonomo facente capo al Comitato Olimpico Nazionale, con la conseguenza che lo stesso avrà la concreta possibilità di autodeterminare le proprie regole di funzionamento e di gestione anche per quanto attiene alle forme di giustizia in esso operanti, per garantirne l’effettività e l’ordine costituito. Il legislatore ha voluto tuttavia sottolineare che i rapporti tra gli ordinamenti sportivo e statale sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive con l’ordinamento sportivo. Ne consegue che si tratta di una forma di autonomia comunque legislativamente circoscritta e limitata, per mezzo della quale l’ordinamento giuridico sportivo gode di una certa misura di autonomia organizzativa e normativa.

Il vincolo di giustizia L’autonomia dell’ordinamento sportivo viene suggellata da un particolare vincolo denominato “vincolo di giustizia”, in forza del quale, ogni soggetto che decide di far parte dell’ordinamento giuridico sportivo riconosce che lo stesso costituisca l’unico soggetto al quale fare riferimento per ogni e qualsivoglia questione o necessità attinente l’aspetto dell’attività sportiva. In ogni Federazione sportiva nazionale ovvero disciplina associata è sempre presente una disposizione che mira a salvaguardare l’autonomia dell’ordinamento sportivo da ingerenze esterne. Questa disposizione nasce dalla volontà di garantire che la vita dell’ordinamento sportivo venga gestita nel suo interno su base autonoma attraverso la predisposizione di norme che la regolano e di organi di giustizia che ne salvaguardino l’applicazione e l’osservanza. Questa norma impone ai tesserati, alle società ovvero a tutti gli organismi operanti nell’ordinamento sportivo di osservare le norme federali e di accettare le decisioni degli organi di giustizia Federale poichè in caso contrario potrà recedere ovvero essere espulso. Gli organi di giustizia sportiva L’ordinamento sportivo ha predisposto degli organi di giustizia a quali tutti gli interessati hanno il diritto di rivolgersi nel caso in cui ritengano sia stata presa una decisone ingiusta od illegittima nei loro riguardi. L’esistenza di organi di giustizia è particolarmente importante perché ci fa comprendere come l’ordinamento sportivo mira a risolvere le eventuali controversie che possano insorgere nel suo ambito attraverso organi dallo stesso precostituiti, in modo tale che non vi siano delle ingerenze esterne in particolar modo da parte della giustizia dell’ordinamento statale. L’ordinamento sportivo non attribuisce ai soggetti tanto un diritto di avvalersi degli organi di giustizia sportiva, quanto un diritto-dovere, nel senso che, in base al principio del diritto di difesa chiunque vi abbia interesse potrà chiedere soddisfazione, ma questa istanza dovrà essere esclusivamente riferita agli organi di giustizia sportiva. Nei principi di giustizia emanati dal CONI, proprio in applicazione del principio di autonomia, all’art. 7 spicca l’indicazione secondo cui gli Statuti e i regolamenti (delle Federazioni e delle discipline associate) devono prevedere che gli affiliati ed i tesserati accettino la giustizia sportiva così come disciplinata dall’ordinamento sportivo. Ai soggetti tenuti all’osservanza delle norme federali si impone quindi di adire il giudice sportivo per dirimere le controversie che possano sorgere nell’ambito dell’ordinamento sportivo a pena di espulsione dallo stesso ordinamento; questo fenomeno è meglio conosciuto come vincolo di giustizia, secondo il quale chi decide

di far parte dell’ordinamento sportivo deve seguirne le regole, accettarne le decisioni, ed adire in caso di controversia solo ed esclusivamente gli organi di giustizia sportiva. Durante l’arco dello scorso cinquantennio, non possiamo certo affermare che questa volontà dell’ordinamento sportivo, di cercare di ridurre al minimo le ingerenze provenienti dall’esterno abbia avuto, nella realtà, una grande affermazione e questo perché la giustizia ordinaria ha sempre cercato con forza di ingerirsi nel fenomeno sportivo, specialmente per quanto attiene alle controversie di ordine disciplinare ed economico.

IL RAPPORTO TRA L'ORDINAMENTO SPORTIVO E L'ORDINAMENTO STATALE

La codificazione del principio di autonomia dell’ordinamento giuridico sportivo L’art. 1, prevede che i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica siano regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo. La disposizione, regolando il delicato rapporto tra l’ordinamento statale e l’ordinamento sportivo, riconosce che è riservata all'ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: a) l'osservanza e l'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”. E’ opportuno rammentare che il riconoscimento all’ordinamento sportivo di una riserva sulle questioni di ordine tecnico e disciplinare di cui alle lettere a) e b) dell’articolo 2 del decreto legge rappresenta invero la mera codificazione di quelle che in dottrina, già con l’illustre ricostruzione dogmatica di Luiso, venivano qualificate come due delle quattro forme di giustizia sportiva e precisamente la giustizia tecnica e la giustizia disciplinare. Le forme di giustizia dell’ordinamento giuridico sportivo Nel diritto sportivo, dalla lettura storica delle Carte Federali, si evince infatti che esistono quattro diverse tipologie di giustizia: · giustizia tecnica · giustizia disciplinare · giustizia economica · giustizia amministrativa. Il riconoscimento legislativo della giurisdizione esclusiva del giudice sportivo in tema di giustizia tecnica, avente ad oggetto l’organizzazione e la regolarità delle competizioni sportive, per il vero non ha mai costituito una questione giuridica di rilevante spessore, posto che non è dato rinvenire alcuna lesione di diritto soggettivo ovvero di interesse legittimo con conseguente disinteresse dell’ordinamento giuridico

statale, secondo il quale appunto non si ravvisano lesioni di situazioni giuridiche soggettive tutelate dal medesimo. Il Consiglio di Stato ha statuito in una recente sentenza che proprio alla luce di tale principio, oggi c’è sostanziale concordia sul fatto che siano riservate alla giustizia sportiva le c.d. controversie tecniche, quelle cioè che riguardano il corretto svolgimento della prestazione sportiva, ovvero la regolarità della competizione sportiva, in quanto non vi è lesione né di diritti soggettivi, né di interessi legittimi. L’autonomia in tema di giustizia tecnica La giustizia tecnica, che rappresenta l’ossatura a cui si poggia tutta l’organizzazione sportiva, nasce dall’esigenza di accertare che le competizioni si svolgano nel rispetto delle regole federali e che ad esse vi partecipino esclusivamente i soggetti abilitati secondo le regole imposte dalla Federazione. Dal punto di vista sostanziale l’oggetto della giustizia tecnica concerne l’ammissione degli atleti alle competizioni, il rispetto delle regole della competizione sportiva, nonché ove prevista, l’omologazione della stessa competizione. L’autonomia in tema di giustizia disciplinare La giustizia disciplinare ha come oggetto la salvaguardia dei principi e delle regole poste alla base dell’ordinamento sportivo. Questa forma di giustizia si fonda sulla considerazione che i soggetti dell’ordinamento sportivo devono rispettare il complesso delle regole di comportamento poste alla base dell’ordinamento sportivo, con la consapevolezza che in caso di violazione delle stesse, saranno passibili di una sanzione disciplinare proporzionata alla violazione medesima. Proprio per la capacità di questa forma di giustizia di poter incidere con delle sanzioni sulla sfera giuridica del soggetto che si è reso colpevole di un comportamento scorretto, la medesima è sempre stata oggetto di interesse da parte dell’ordinamento giuridico statale, anche in ragione della circostanza che la sanzione, specie se interdittiva delle prerogative legate all’esercizio dell’attività sportiva, comporterebbe un rilevante vulnus alla posizione di diritto soggettivo ovvero di interesse legittimo quali situazioni oggetto di tutela costituzionale. Il medesimo principio di autogoverno si rinviene altresì nella convenzione contro il doping, si può leggere che le parti incoraggiano le loro organizzazioni sportive a precisare e ad armonizzare i loro diritti, obblighi e doveri e soprattutto ad armonizzare le procedure disciplinari, applicando i principi riconosciuti a livello internazionale della giustizia naturale quali la differenziazione tra l’organo istruttorio e quello disciplinare, il diritto ad un processo equo e all’assistenza e rappresentanza in giudizio. In tal modo viene riconosciuto implicitamente che la competenza circa l’adozione e la risoluzione di controversie aventi ad oggetto aspetti disciplinari spetti agli organi di giustizia sportiva ai quali la convenzione fa espresso riferimento.

LE FONTI DEL DIRITTO SPORTIVO

Le fonti eteronome e le fonti autonome, le fonti internazionali e nazionali Il diritto sportivo, in ragione del fatto che coesiste con altri ordinamenti giuridici, è governato sia da fonti che promano da soggetti esterni (c.d. fonti eteronome), sia da fonti che esso stesso genera (c.d. fonti autonome). Un ulteriore distinzione rilevante è poi tra fonti nazionali, ossia che promanano da soggetti dell’ordinamento giuridico statale e fonti internazionali, ossia che promanano da soggetti dell’ordinamento giuridico internazionale. Sono fonti eteronome: · La Costituzione · Le leggi ordinarie e gli atti aventi forza di legge · La Costituzione Europea · Il Libro Bianco sullo sport · Il Trattato di Lisbona Sono fonti autonome: · Carta Olimpica · Direttive e Raccomandazioni del CIO; · Statuti delle Federazioni Sportive Internazionali; · Lo Statuto del CONI · Gli Statuti Federali delle Federazioni Sportive Sono fonti nazionali: · La Costituzione · Le leggi ordinarie e gli atti aventi forza di legge · Statuto, Principi fondamentali, Regolamenti e Deliberazioni del CONI; · Statuti, Regolamenti Organici, tecnici e di giustizia sportiva emanati dalle singole Federazioni Sportive Nazionali, dalle Discipline Sportive Associate e dagli Enti di Promozione Sportiva; · Le Carte Federali. Sono fonti internazionali: · La Carta Olimpica

· La Carta Europea dello Sport per Tutti · La Carta Internazionale dello Sport e dell’Educazione Fisica dell’UNESCO · La Carta Europea dello Sport · Il Libro Bianco sullo Sport · Il Trattato di Lisbona La Carta Olimpica La Carta Olimpica rappresenta un documento ufficiale nel quale sono codificate le regole e le linee guida per l’organizzazione dei giochi olimpici, estivi ed invernali. Essa è adottata dal Comitato Olimpico Internazionale (CIO), che la rivede periodicamente con modifiche e integrazioni. Viene diffusa in inglese e francese, le due lingue ufficiali delle Olimpiadi e nel caso in cui i due testi presentino delle incongruenze, prevale sempre la versione scritta in lingua francese. La Carta Olimpica ha tre scopi fondamentali che attengono in dettaglio alla codificazione dei principi e dei valori olimpici, alla definizione dei doveri delle quattro organizzazioni che fanno parte del Movimento Olimpico e alla costruzione dell’ossatura normativa del CIO. Nella Carta Olimpica spiccano altresì i principi generali che stanno a fondamento dello spirito olimpico e che si concretizzano nel principio di eguaglianza, amicizia, solidarietà e fair-play. Al punto 6 dei principi fondamentali della Carta Olimpica si può testualmente leggere che “Il Movimento Olimpico ha come scopo di contribuire alla costruzione di un mondo migliore e più pacifico educando la gioventù per mezzo dello sport, praticato senza discriminazioni di alcun genere e nello spirito olimpico, che esige mutua comprensione, spirito di amicizia, solidarietà e fair-play”. La Carta Europea dello Sport per Tutti Nel mese di marzo del 1975 a Bruxelles viene adottata dal Consiglio d’ Europa, la prima CARTA EUROPEA DELLO SPORT PER TUTTI; questo documento nel quale si esordiva sottolineando che ciascuno ha il diritto di praticare lo sport, rappresenta un testo particolarmente significativo perché è stata impressa in forma scritta l’importanza della pratica sportiva intesa come un diritto del cittadino. La Carta Europea dello Sport Nel 1992 a Rodi dalla 7^ Conferenza dei Ministri Europei dello Sport è stata approvata la Carta Europea dello Sport. Possiamo considerare questo documento come un documento di sintesi e di completamento poiché in esso sono contenuti i principi della Carta Europea dello Sport per tutti a sua volta recepiti nella “Carta Internazionale per l’Educazione Fisica e lo Sport” attraverso un processo di

armonizzazione. La Carta europea per lo sport enuncia a livello internazionale dei principi che costituiscono il modello sportivo europeo; tra i principi si annovera quello della non discriminazione, per consentire a tutti il libero accesso alle attività sportive, senza distinzione di sesso, razza, colore, lingua, religione. La Carta intende proteggere gli sportivi da ogni sfruttamento a fini politici commerciali o finanziari, tutelandoli da pratiche abusive o pericolose per la salute; la Carta inoltre rinnega ogni forma diretta o indiretta di sfruttamento, in particolare delle donne e dei bambini. Il documento ribadisce come elemento implicito del mondo dello sport la sua autonomia sottolineando che l’azione dei poteri pubblici deve essere complementare a quella dei movimenti sportivi e cooperare con le organizzazioni sportive, al fine di evitare un controllo eccessivo che potrebbe degenerare in uno sport di Stato. Richiama l’obbligo dei poteri pubblici istituzionali di sostenere lo sviluppo dello sport assicurandosi che i giovani nelle scuole abbiano accesso alle attività fisiche, garantendo la formazione di professori adeguatamente qualificati. Il Trattato di Lisbona e lo Sport come diritto europeo Il Trattato di Lisbona, chiarisce che allo sport si intende attribuire una preminente funzione sociale considerandolo, al pari dell'istruzione e della formazione professionale, un elemento fondamentale per l'equilibrata crescita psico-fisica di ciascun individuo. La Costituzione La Costituzione italiana, nel suo testo originario, non si occupa in alcuno modo esplicitamente di sport. Sembra quasi che il Costituente, pur così attento ai diversi modi di espressione della personalità umana che riconosce e tutela, si sia dimenticato dello sport. Secondo alcuni questa mancanza non è casuale, ma rappresenta la volontà di evitare il perpetuarsi della strumentalizzazione della pratica sportiva esercitata dallo Stato in epoca fascista, ove addirittura il presidente del CONI veniva nominato dal duce. Indirettamente non si può però non intercettare alcune norme della Carta Costituzionale alle quali ancorare il fenomeno sportivo. Ciò premesso è da considerare che ora, a seguito della revisione costituzionale, posta in essere mediante la legge costituzionale, è stato inserito nella Costituzione un riferimento espresso allo sport. Tale riferimento trova allocazione nel Titolo V e precisamente nell’ambito della suddivisione della potestà legislativa tra Stato e Regioni. In dettaglio l’art. 117 della Costituzione, prevede che “la potestà legislativa è

esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Il 2° comma del medesimo articolo alla lett. g), contempla anche l’ordinamento e l’organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali, ribadendo, in tal modo, la competenza esclusiva dello Stato a legiferare sull’ordinamento e l’organizzazione del CONI, quale ente pubblico nazionale al vertice dello sport italiano. Il 3° comma, che elenca invece, le materie di legislazione concorrente, per le quali spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato, comprende anche l’ordinamento sportivo e la tutela della salute. La Costituzione ora prevede l’esistenza di una materia, definita “ordinamento sportivo”, attribuendone la relativa disciplina, sia legislativa che regolamentare, a soggetti quali lo Stato e Regioni, riservando al primo il compito di definire i principi fondamentali della materia, ed alle seconde la concreta definizione della disciplina della materia. La potestà legislativa concorrente delle Regioni deve essere esercitata tenendo presente, da un lato i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali e, dall’altro, i principi fondamentali contenuti nelle leggi statali nazionali. Le norme ordinarie di settore L’ordinamento giuridico sportivo, proprio in virtù dei molteplici interessi che intercetta è interessato da una fitta legislazione nazionale che si occupa di disciplinare tra i vari aspetti, l’organizzazione del CONI, i rapporti tra società e sportivi professionisti, delineare i tratti rilevanti della tutela sanitaria dell’attività sportiva agonistica e non agonistica, definire l’assetto tributario relativo alle associazioni sportive dilettantistiche. Lo Statuto del CONI Lo Statuto del C.O.N.I. rappresenta indubbiamente la fonte più rilevante dell’ordinamento sportivo nazionale e nello stesso tempo elemento di raccordo tra le fonti eteronome e le fonti autonome. L’art. 2 stabilisce che il CONI si conforma ai principi dell'ordinamento sportivo internazionale, in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi emanati dal Comitato olimpico internazionale (CIO). Stabilisce altresì che il CONI cura l'organizzazione ed il potenziamento dello sport nazionale, ed in particolare la preparazione degli atleti e l'approntamento dei mezzi idonei per le Olimpiadi e per tutte le altre manifestazioni sportive nazionali o internazionali. Sempre il medesimo articolo sottolinea che al CONI vengono attributi rilevanti poteri in tema di vigilanza ed il controllo sul doping, poteri di impulso finalizzati alla promozione della pratica sportiva, sia per i normodotati che per i disabili, promuovendo tutte le opportune iniziative contro ogni forma di discriminazione. Lo Statuto del CONI inoltre detta principi per assicurare che ogni giovane atleta

formato da Federazioni sportive nazionali, Discipline sportive associate, società o associazioni sportive, riceva una formazione educativa o professionale complementare alla sua formazione sportiva. Gli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle discipline sportive associate Gli statuti delle Federazioni sportive nazionali, la cui disciplina trova applicazione anche per le discipline sportive associate, devono rispettare i principi fondamentali emanati dal Consiglio Nazionale, e devono in particolare ispirarsi al costante equilibrio di diritti e di doveri tra i settori professionistici e non professionistici, nonché tra le diverse categorie nell’ambito del medesimo settore. In dettaglio gli statuti delle Federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate stabiliscono le modalità per l’esercizio dell’elettorato attivo e passivo degli atleti e dei tecnici sportivi, in armonia con le raccomandazioni del CIO e con i principi fondamentali emanati dal Consiglio Nazionale del CONI. La disciplina regolamentare delle Federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate pur basandosi sul rispetto dei principi del CONI, ma è definita sulla base di regole autonome, che sono il prodotto del corpo sociale di cui la federazione o la disciplina sportiva associata è espressione. Le Federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate sono associazioni aventi personalità giuridica di diritto privato e sono soggette alla disciplina del codice civile, il quale prevede che gli statuti delle associazioni debbono contenere «le norme sull'ordinamento e sulla amministrazione», quelle riguardanti i diritti e gli obblighi degli associati, le condizioni della loro ammissione ed, eventualmente, quelle relative all'estinzione dell'ente e alla devoluzione del patrimonio. Il potere di autonomia normativa, riconosciuto in via generale alle associazioni dal codice civile, trova nelle federazioni sportive e nelle discipline associate il più altro grado di definizione, in quanto da vita ad un vero e proprio corpo regolamentare che confluiscono nelle c.d. Carte Federali. La Carte Federali costituiscono quindi il contenitore dei regolamenti federali di cui fanno parte i regolamenti tecnici della disciplina sportiva di riferimento, il regolamento di giustizia sportiva, ecc. Gli Statuti ed i regolamenti federali, e delle discipline sportive associate, costituiscono fonti autonome del diritto sportivo in quanto promananti dall'interno dell'organizzazione dello sport.

I SOGGETTI DELL'ORDINAMENTO SPORTIVO Gli enti associativi e le persone fisiche I soggetti L’ordinamento sportivo presuppone la presenza di una pluralità di soggetti che ai fini della nostra trattazione possiamo ricondurre a due distinte categorie che corrispondono rispettivamente: · agli enti associativi · alle persone fisiche. Gli enti associativi sono: · il CIO; · Il CONI; · le federazioni sportive; · le discipline sportive associate; · le associazioni sportive · gli enti di promozione sportiva. Le persone fisiche sono: · gli atleti; · i tecnici sportivi; · gli ufficiali di gara. Il CIO Il Comitato Olimpio Internazionale (Comittè International Olympique) è un ente sovranazionale del quale fanno parte i singoli Stati che prevedano al loro interno un Comitato Olimpio Nazionale di riferimento. Rappresenta la massima autorità in campo sportivo. Il CIO viene fondato il 23 giugno 1894 dal francese barone Pierre de Coubertin, con la finalità di rinnovare nell’era moderna le celebrazioni olimpiche interrottesi nell’anno 393 d.C. Il CIO è un organismo permanente, che segue i principi della Carta Olimpica. Attualmente il CIO ha sede a Losanna, in Svizzera e vi aderiscono moltissimi comitati olimpici nazionali. Il suo compito principale è quello di supervisionare

l'organizzazione dei Giochi Olimpici e ricevere le candidature per l'organizzazione dei Giochi olimpici estivi e invernali, procedendo poi all'assegnazione dei medesimi sulla base delle votazione dei propri membri. Il CIO coordina i Comitati Olimpici Nazionali e altre organizzazioni collegate, che complessivamente considerate costituiscono il c.d. Movimento Olimpico. Non appare superfluo rammentare che i simboli olimpici, i cinque cerchi, la bandiera olimpica, il motto olimpico, il credo olimpico e l'inno olimpico sono del CIO. Organi del CIO sono : la Sessione, il Presidente, la Commissione Esecutiva. IL CONI Già dal 1896, quando un gruppo di privati ebbe l’idea di sponsorizzare la partecipazione di un gruppo di atleti italiani in occasione della prima Olimpiade Moderna di Atene5, si potrebbe ipotizzare l’istituzione di un Comitato associativo volto a valorizzare lo sport italiano ai fini della competizione olimpica; tuttavia formalmente, il Comitato Olimpico Nazionale Italiano, c.d. CONI, viene disciplinato organicamente per la prima volta solo con la legge n. 426 del 6 febbraio 19426, che attribuisce allo stesso la qualifica di ente pubblico con la funzione di organizzare e potenziare lo sport nazionale. Il CONI è stato oggetto di una revisione normativa con il D. Lgs. 23 luglio 1999, n. 242, “Riordino del Comitato olimpico nazionale italiano - CONI- " il quale ha inciso sostanzialmente sull’organizzazione dello stesso rideterminandone le competenze degli organi di vertice, nonché fissando nuovi principi in materia di incompatibilità e di partecipazione democratica alla gestione del fenomeno sportivo. La riforma del CONI si è ispirata alla più profonda innovazione della pubblica amministrazione, ove, attraverso una pluralità di interventi normativi si è inteso separare l’attività politica da quella gestionale, attribuendo alla classe dirigente il potere di attuare i programmi elaborati dalla classe politica. Spetta infatti al dirigente compiere tutti gli atti amministrativi e contrattuali che impegnano giuridicamente l’ente verso i terzi mediante l’adozione dei relativi impegni di spesa. Recentemente il legislatore è intervenuto nuovamente. Con questo intervento normativo il legislatore ha voluto codificare ed istituzionalizzare la piena equiparazione tra le Federazioni sportive nazionali e le Discipline associate, infatti lo stesso art. 2 del Decreto in oggetto, esordisce stabilendo che il CONI è la Confederazione delle Federazioni sportive nazionali e delle Discipline sportive associate. Sempre nell’articolo 2 sono presenti anche altri due rilevanti integrazioni di principio riguardanti, l’una la lotta contro il doping, in quanto si stabilisce che cura, anche d’intesa con la Commissione per la vigilanza ed il controllo del doping e per la tutela della salute nelle attività sportive, l’adozione di misure di prevenzione e repressione delle sostanze che alterano le naturali prestazioni fisiche degli atleti e l’altra legata alla tutela ed alla dignità delle persone che svolgono attività sportiva, in quanto si sottolinea che il CONI, inoltre, assume e promuove le opportune iniziative contro

ogni forma di discriminazione e di violenza nello sport. Il CONI ha personalità giuridica di diritto pubblico, ha sede in Roma ed è sottoposto alla vigilanza del Ministero per i beni e le attività culturali. Per espressa disposizione normativa deve conformarsi ai principi dell’ordinamento sportivo internazionale ed essere rispettoso degli indirizzi che derivano dal Comitato Olimpico Internazionale (CIO). Il Consiglio nazionale Sulla base della riforma del CONI ed in attuazione della distinzione dei ruoli tra politica ed apparato gestionale, il Consiglio nazionale esercita una funzione di indirizzo e di coordinamento dell’attività sportiva nazionale, attraverso l’emanazione di principi fondamentali a cui tutte le Federazioni sportive nazionali dovranno uniformarsi. Il Consiglio nazionale disciplina e coordina l’attività sportiva nazionale, armonizzando a tal fine l’azione delle Federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate. È compito del Consiglio nazionale: · adottare lo Statuto del CONI e gli atti normativi di competenza, ivi compresi quelli relativi all’interpretazione ed all’applicazione dello stesso; · eleggere il presidente del CONI ed i componenti della giunta nazionale; · stabilire i principi fondamentali ai quali gli statuti delle Federazioni sportive nazionali, delle discipline sportive associate, degli enti di promozione sportiva, delle associazioni e società sportive devono uniformarsi allo scopo del riconoscimento ai fini sportivi; · deliberare in ordine al provvedimento di riconoscimento, ai fini sportivi, delle Federazioni sportive nazionali, degli enti di promozione sportiva, delle associazioni benemerite e delle altre discipline sportive associate al CONI; · stabilire, nell’ambito di ciascuna Federazione sportiva nazionale o Disciplina sportiva associata, ed in armonia con l’ordinamento sportivo internazionale, i criteri per la distinzione fra attività sportiva dilettantistica e professionale; · stabilire i criteri e le modalità di controllo sulle Federazioni sportive nazionali, sulle discipline sportive nazionali e sugli enti di promozione sportiva riconosciuti; · formulare gli indirizzi generali dell’attività dell’ente ed i criteri di formazione del bilancio preventivo, esprimere parere sulla proposta di bilancio preventivo ed approvare il bilancio consuntivo; · stabilire i criteri e le modalità di controllo da parte delle Federazioni sulla società sportive di cui all’art. 12 della legge 23 marzo 1981 n. 91; · deliberare, su proposta della Giunta nazionale, il commissariamento delle Federazioni sportive nazionali o delle discipline associate, in caso di gravi irregolarità nella gestione o di gravi violazioni dell’ordinamento sportivo da parte degli organi

direttivi, ovvero in caso di constatata impossibilità di funzionamento dei medesimi, o nel caso in cui non siano garantiti il regolare avvio e svolgimento delle competizioni nazionali; · approvare gli indirizzi generali sull’attività dell’ente, il bilancio preventivo e il bilancio consuntivo; ratificare le delibere della Giunta nazionale relative alle variazioni di bilancio. Questo comporta che una volta approvato il bilancio la Giunta nazionale ha facoltà di apportare delle modifiche allo stesso che comunque dovranno essere sempre sottoposte al controllo del Consiglio attraverso un atto di ratifica. La norma tuttavia non indica ne cosa accade nel caso in cui il Consiglio non provveda a ratificare la relativa variazione di bilancio ne se esista un limite alla facoltà di apportare variazioni. Se ne dovrebbe desumere che la Giunta non abbia un limite numerico per incidere sul bilancio, ma che tuttavia ogni sua variazione per essere giuridicamente efficace dovrebbe essere ratificata dal Consiglio · esprimere parere sulle questioni ad esso sottoposte dalla Giunta Nazionale e svolgere gli altri compiti ad esso attribuiti dallo Statuto del CONI. La Giunta Nazionale La Giunta Nazionale, che rappresenta l’organo esecutivo del CONI, definisce i programmi ed individua gli obiettivi che devono essere raggiunti, verificando altresì i risultati rispetto gli indirizzi impartiti. Spetta ad essa infatti l’approvazione del bilancio di previsione, nel quale, trattandosi di un documento contabile, sono trascritti in termini numerici i programmi e gli obiettivi che si intendono realizzare per il periodo finanziario di riferimento. L’approvazione del bilancio costituisce infatti un atto di importanza strategica nella vita di un ente poiché rappresenta la progettualità di un complesso di idee che dovranno poi trovare concretizzazione nel corso della gestione finanziaria di riferimento. Oltre all’approvazione del bilancio, spetta alla Giunta nazionale il compito di: · formulare la proposta di Statuto; · deliberare in merito all’ordinamento e organizzazione dei servizi e degli uffici, nonché sulla consistenza degli organici; · esercitare i poteri di controllo sull’organizzazione generale dei servizi e degli uffici dell’ente; · deliberare la proposta di bilancio preventivo e il bilancio consuntivo da sottoporre all’approvazione del Consiglio nazionale e approvare le variazioni di bilancio da sottoporre alla ratifica del Consiglio nazionale; · esercitare, sulla base dei criteri e modalità definiti dal Consiglio nazionale, il potere di controllo sulle Federazioni sportive nazionali, sulle discipline sportive associate e sugli enti di promozione sportiva riconosciuti in merito al regolare svolgimento delle competizioni sportive, alla preparazione olimpica e all’attività sportiva di alto livello

ed all’utilizzo dei contributi finanziari; · proporre il commissariamento delle Federazioni sportive nazionali o delle discipline associate, in caso di gravi irregolarità nella gestione o di gravi violazioni dell’ordinamento sportivo da parte degli organi direttivi, ovvero in caso di constatata impossibilità di funzionamento dei medesimi, o nel caso in cui non siano garantiti il regolare avvio e svolgimento delle competizioni nazionali; · nominare il Segretario generale e svolgere gli altri compiti ad essa attribuiti dallo Statuto del CONI. Il Presidente del CONI Il Presidente del CONI è il legale rappresentate dell’ente, anche nell’ambito delle organizzazioni sportive nazionali, e svolge i compiti previsti dall’ordinamento sportivo esercitando le funzioni ad esso attribuite dallo Statuto del CONI. Il Presidente nella nuova impostazione normativa viene nominato con Decreto del Presidente della Repubblica dopo essere stato eletto tra i tesserati o ex tesserati alle Federazioni sportive nazionali o alle discipline sportive nazionali per almeno quattro anni in possesso di alcuni specifici requisiti, ossia: · aver ricoperto la carica di presidente o di vice presidente di una Federazione sportiva nazionale o di una Disciplina sportiva associata o di membro della giunta nazionale del CONI o di una struttura territoriale del CONI; · essere stato atleta del CONI o di una struttura territoriale del CONI; · essere stato dirigente insignito dal CONI delle onorificenze del Collare o della Stella d’oro al merito sportivo. Il Collegio dei Revisori dei Conti Il Collegio dei Revisori dei Conti, composto da cinque membri, ha il compito di operare il riscontro della gestione dell’ente ed accertare la regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili, esaminare i bilanci consuntivi e preventivi predisponendo le relative relazioni di accompagnamento, nonché vigilare sull’osservanza delle leggi e dei regolamenti in materia amministrativa e contabile. Il Collegio viene nominato ogni quattro anni con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali ed è composto di cinque membri, dei quali uno in rappresentanza del Ministero vigilante, uno in rappresentanza del Ministero dell’economia e delle finanze e gli altri designati dall’ente tra gli iscritti al registro dei revisori contabili o tra persone in possesso di specifica professionalità.

LE FEDERAZIONI SPORTIVE NAZIONALI E LE DISCIPLINE SPORTIVE ASSOCIATE

Gli enti associativi che contraddistinguono l’ordinamento sportivo sono costituti dalle Federazioni sportive nazionali. Alle Federazioni sportive nazionali si sono affiancate le Discipline sportive associate, che possono essere riconosciute dal Consiglio Nazionale, godendo così delle stesse prerogative delle Federazioni sportive nazionali, purchè rispondano a determinati requisiti. Si tratta di discipline sportive alternative rispetto quelle già riconosciute come Federazioni sportive nazionali, in quanto lo Statuto del CONI prevede espressamente che il Consiglio Nazionale può riconoscere, a fini sportivi, una sola Disciplina sportiva associata per ciascuno sport, purchè non sia già oggetto di una Federazione Sportiva Nazionale. Gli Enti di promozione sportiva Lo Statuto del CONI, disciplina gli enti di promozione sportiva; questi enti hanno come finalità quella di promuovere ed organizzare attività fisico-sportiva con finalità ricreativa e formativa. Nell’esercizio dei loro compiti, hanno l’obbligo di rispettare i principi dettati dal CONI e dalle Federazioni sportive nazionali e possono stipulare convenzioni con le Federazioni stesse per garantire un miglior raggiungimento delle proprie finalità. Lo Statuto di questi enti deve stabilire espressamente l’assenza di fini di lucro e garantire l’osservanza del principio di democrazia interna e di pari opportunità. Questi enti vengono riconosciuti come le Federazioni sportive nazionali, ai fini sportivi, dal Consiglio Nazionale purchè abbiano determinati requisiti stabiliti dallo Statuto del CONI. Gli enti di formazione sportiva hanno delle entrate proprie disciplinate dal proprio statuto e ricevono un contributo annuale da parte del CONI con riferimento alla consistenza organizzativa e all’attività svolta. La Giunta Nazionale esercita una forma di controllo sulle modalità di utilizzazione dei contributi di questi enti in quanto, se a seguito degli atti in suo possesso ovvero dagli accertamenti svolti , riscontri delle irregolarità relative ai finanziamenti erogati, può decidere di proporre al Consiglio Nazionale di sospendere o ridurre i contributi, sino ad arrivare alla possibilità, nei casi più gravi, di revocare il riconoscimento sportivo. Le società e le associazioni L’art. 29 dello statuto del CONI prevede che le società e le associazioni sportive siano rette da statuti e regolamenti ispirati ai principi democratico e di pari opportunità e che non abbiano scopo di lucro, se non nei casi previsti dall’ordinamento e previa deroga da parte del Consiglio Nazionale. Si prevede

espressamente che ai fini del riconoscimento sportivo, la sede sportiva sia stabilita nel territorio italiano. Esse vengono ritenute a tutti gli effetti soggetti dell’ordinamento sportivo e quindi sono tenute ad esercitare le loro attività sulla base del principio di lealtà sportiva, osservando i principi, le norme e le consuetudini sportive, nonchè salvaguardando la funzione popolare, educativa, sociale e culturale dello sport. Lo Statuto del CONI sottolinea inoltre che le società e le associazioni, specialmente quelle professionistiche, devono esercitare le loro attività nel rispetto del principio della solidarietà economica tra lo sport di alto livello e quello di base, e devono assicurare ai giovani atleti una formazione educativa complementare alla formazione sportiva. Indubbiamente le indicazioni fornite dallo Statuto sono molto attente a curare l’aspetto educativo dell’attività sportiva, riconoscendo alle società ed associazioni il compito di attuare concretamente questa funzione educativa, proprio in ragione del loro diretto contatto con i giovani; d’altra parte sono queste le strutture organizzative per il mezzo delle quali viene esercitata l’attività sportiva, in quanto le Federazioni sportive nazionali rappresentano più che altro organi di governo della Disciplina sportiva di riferimento. Proprio in virtù di questa considerazione, le società e le associazioni, spesso non ritengono corretta l’indicazione così come fornita, sempre dallo Statuto del CONI, secondo la quale le stesse, sono tenute a mettere a disposizione delle rispettive Federazioni sportive nazionali gli atleti selezionati per far parte delle rappresentative nazionali italiane. Gli atleti Gli atleti (art. 31 dello Statuto del CONI) entrano a far parte dell’ordinamento sportivo attraverso un atto formale di adesione alla Federazione di appartenenza ed in conseguenza del quale divengono depositari di una serie di rapporti giuridici tra i quali anche quello relativo all’obbligo di conoscere e rispettare le norme dell’ordinamento sportivo. Lo Statuto del CONI stabilisce che gli atleti sono soggetti dell’ordinamento sportivo e devono esercitare con lealtà sportiva le loro attività, osservando i principi, le norme e le consuetudini sportive. L’atto formale di adesione è l’atto di tesseramento e ciascuna Federazione disciplina con norme autonome il relativo procedimento. Attraverso l’atto del tesseramento l’atleta viene quindi a far parte dell’ordinamento giuridico sportivo. Gli atleti vengono inquadrati presso le società e le associazioni sportive riconosciute, tranne i casi particolari in cui sia consentito il tesseramento individuale alle Federazioni sportive nazionali e alle Discipline associate. Gli atleti devono praticare lo sport in conformità alle norme nonché agli indirizzi del CIO, del CONI e anche della Federazione Nazionale a cui appartengono; essi devono altresì rispettare le norme e gli indirizzi della competente Federazione Internazionale, purchè non in contrasto con le norme e gli indirizzi del CIO e del CONI.

I tecnici sportivi I tecnici sportivi (art. 32 dello Statuto del CONI) sono soggetti dell’ordinamento sportivo e devono esercitare con lealtà sportiva le loro attività, osservando i principi, le norme e le consuetudini sportive, tenendo conto in particolare della funzione sociale, educativa e culturale della loro attività. Essi vengono inquadrati presso la società o l’associazione sportiva riconosciuta, o comunque iscritti nei quadri tecnici federali e sono tenuti ad esercitare le loro attività in osservanza delle norme e degli indirizzi del CIO, del CONI e della Federazione sportiva nazionale a cui appartengono, osservando altresì le norme e gli indirizzi della competente Federazione internazionale, purchè non in contrasto con le norme e gli indirizzi del CIO e del CONI. Gli ufficiali di gara Gli ufficiali di gara (art. 33 dello Statuto del CONI) sono tenuti a svolgere le loro funzioni con lealtà sportiva, in osservanza dei principi di terzietà, imparzialità ed indipendenza di giudizio in attuazione dell’antico brocardo latino sine spes et sine metus a cui tutte le funzioni di giudizio dovrebbero essere ispirate. Gli ufficiali di gara partecipano, nella qualifica loro attribuita dalla competente Federazione sportiva nazionale, e senza vincolo di subordinazione, allo svolgimento delle manifestazioni sportive per assicurarne la regolarità. Gli ufficiali di gara possono anche essere riuniti in gruppi dalla competente Federazione sportiva nazionale.

DIFFERENZE TRA SPORT PROFESSIONISTICO, DILETTANTISTICO E AMATORIALE

L'evoluzione della società moderna, gli interessi commerciali ed economici che gravitano intorno allo sport di vertice, l'aumento della partecipazione allo sport amatoriale stanno portando a uno squilibrio tra le varie forze interessate a una singola disciplina sportiva.

Alla base gli Enti di promozione sportiva e la scuola vogliono avere più spazio operativo, e per l'attività amatoriale gli stessi Enti rivendicano l'intero spazio a loro disposizione. In questo quadro, l'attività, la competenza e la decisionalità delle Federazioni rischiano di essere ampiamente compromesse. È questo un problema di ruoli e competenze che difficilmente si riesce a inquadrare, anche se il CONI e le stesse Federazioni hanno cercato con "protocolli d'intesa" al fine di ridurre la conflittualità. Il problema resta e non può che essere risolto a livello legislativo in quella che viene definita, da molto tempo, una legge quadro. Legge 91/81La legge 23 marzo 1981 n. 91 disciplina dettagliatamente i rapporti tra le società e gli sportivi professionisti. Si intendono come sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l'attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell'ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l'osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione della attività dilettantistica da quella professionistica. La prestazione a titolo oneroso dell'atleta costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato: il rapporto di prestazione sportiva si costituisce mediante assunzione diretta e con la stipulazione di un contratto in forma scritta, a pena di nullità, tra lo sportivo e la società destinataria delle prestazioni sportive, secondo il contratto tipo predisposto, conformemente all'accordo stipulato ogni tre anni dalla federazione sportiva nazionale e dai rappresentanti delle categorie interessate. La società ha l'obbligo di depositare il contratto presso la federazione sportiva nazionale per l'approvazione. Il contratto può contenere l'apposizione di un termine risolutivo non superiore a cinque anni dalla data di inizio del rapporto. È ammessa la successione di contratto a termine fra gli stessi soggetti. È ammessa la cessione del contratto, prima della scadenza, da una società sportiva ad un'altra, purché vi consenta l'altra parte e siano osservate le modalità fissate dalle federazioni sportive nazionali. Professionismo - dilettantismo.

È questo un problema etico da sempre dibattuto che, giorno per giorno, diventa sempre meno chiaro sia nella forma sia nella sostanza. Innanzi tutto dobbiamo definire con chiarezza le due terminologie: l'atleta professionista è senz'altro colui che svolge attività sportiva impegnativa e prevalente in misura tale da non poter svolgere altra attività lavorativa. Il compenso economico che percepisce, a volte

anche di notevole entità, gli garantisce comunque di condurre una vita agiata anche dopo al termine della carriera agonistica, generalmente abbastanza ridotta (variabile dai 15 ai 20 anni). Esempi se ne trovano nel calcio, nell’automobilismo, nel basket, nel tennis, nel ciclismo, nel golf, ecc. Costoro rappresentano comunque una minoranza elitaria nel composito e variegato universo sportivo.

L’atleta semiprofessionista invece pur riuscendo a mantenersi economicamente durante il periodo di attività, sarà comunque poi costretto ad esercitare un’attività lavorativa per potersi mantenere, una volta terminata la carriera sportiva. L'atleta dilettante è colui che, oltre all'attività sportiva, per la quale percepisce una ridotta ricompensa (anche sotto forma di rimborso spese) svolge, nel contempo, con continuità un'attività lavorativa o di studio. Paradossalmente però può accadere che vi siano "dilettanti" (ad esempio nel calcio) che guadagnano cifre di molto superiori ad atleti definiti professionisti nell’ambito dei cosiddetti sport minori, in contraddizione perciò con le attuali classificazioni tra la qualifica di professionista e di dilettante.

Gli atleti dediti all’attività sportiva a titolo “amatoriale” sono invece considerate tutte quelle persone (la stragrande maggioranza) che praticano una disciplina sportiva per pura passione, allo scopo di mantenere un ottimale stato di salute, e per fini socializzanti. Costoro spesso sono addirittura costretti ad autotassarsi, versando delle quote associative mensili oltre a dover provvedere personalmente all’acquisto dell’attrezzatura necessaria, pur di poter dedicarsi allo sport preferito.

Questa serie di cambiamenti normativi ed economici sta portando a un difficile adeguamento dell'impostazione delle maggiori società sportive italiane, sia quelle che operano ufficialmente nelle attività professionistiche, sia quelle che operano in attività sportive definite dilettantistiche, ma che sono in realtà strutturalmente professionistiche. Analogie e differenze tra sport professionistico, dilettantistico e amatoriale.

Le federazioni sportive italiane affiliate al CONI, che hanno riconosciuto il professionismo sono: Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.) Federazione Pugilistica Italiana (F.P.I.) Federazione Ciclistica Italiana (F.C.I.) Federazione Motociclistica Italiana (FMI) Oggi purtroppo (con effetto dal 2014), anche a causa delle crisi globale che colpisce la maggior parte delle aziende che fungevano da sponsor, solo 4 di queste federazioni riconoscono il professionismo: calcio, ciclismo, golf e pallacanestro. Solo ed esclusivamente quegli atleti tesserati per società sportive affiliate a federazioni che hanno riconosciuto il professionismo, possono essere giuridicamente considerati sportivi professionisti.

Il rapporto di lavoro nello sport si costituisce mediante assunzione diretta, con la stipulazione di un contratto in cui la forma scritta è richiesta ad substantiam., secondo il contratto tipo predisposto ogni tre anni dalle federazioni sportive nazionali e dai rappresentanti delle categorie interessate. Caratteristiche del contratto di lavoro: - il contratto individuale stipulato nelle forme suddette, deve essere depositato presso la federazione sportiva o presso la lega di appartenenza che lo approva perfezionandolo; - il contratto tra sportivo professionista e società professionistica, deve necessariamente contenere la clausola di rispetto da parte dello sportivo delle istruzioni tecniche e delle prescrizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici; - sono di regola inserite anche clausole compromissorie con le quali le eventuali controversie relative all’attuazione del contratto, siano deferite a collegi arbitrali speciali (autorità giudicanti presso il CONI); - il contratto di lavoro non può avere durata superiore a 5 anni. Inoltre, l’art. 7 della Legge 91/1981, prevede che l’attività sportiva professionistica sia svolta sotto controlli medici, secondo norme stabilite dalle federazioni sportive nazionali ed approvate, con decreto ministeriale della Sanità. L’articolo in questione prevede anche l'istituzione di una scheda sanitaria per ciascuno sportivo professionista, il cui aggiornamento deve avvenire con periodicità almeno semestrale. In sede di aggiornamento della scheda, devono essere ripetuti gli accertamenti clinici e diagnostici che sono fissati con decreto del Ministro della Sanità. Per gli atleti, la scheda sanitaria è istituita, aggiornata e custodita a cura della società sportiva mentre, per gli sportivi con rapporto di lavoro autonomo, dagli sportivi stessi, i quali devono depositarne duplicato presso la federazione sportiva nazionale. Gli oneri relativi all’istituzione e all'aggiornamento della scheda per gli atleti professionisti, gravano sulle società sportive mentre, per gli sportivi con rapporto di lavoro autonomo, gli stessi oneri sono a carico degli sportivi stessi. L'istituzione e l'aggiornamento della scheda sanitaria costituiscono condizione per l'autorizzazione da parte delle singole federazioni allo svolgimento dell'attività degli sportivi professionisti. L’art. 8 dispone infine che le società sportive devono stipulare una polizza assicurativa individuale a favore degli sportivi professionisti contro il rischio della morte e contro gli infortuni, che possono pregiudicare il proseguimento dell'attività sportiva professionistica.

SPONSORIZZAZIONE SPORTIVA E MARKETING SPORTIVO

Per la sponsorizzazione sportiva è abbastanza intuibile quali siano le leve che spingono un’azienda a investire indipendentemente dalle strategie di marketing sportivo dell'oggetto di sponsorizzazione. Sponsorizzare una società sportiva significa, infatti, cercare benefici che possono influenzare positivamente gli obiettivi aziendali stessi, quali:

• valorizzazione dell’immagine aziendale; • aumento di riconoscibilità in una determinata area geografica; • modifica della percezione dell’azienda stessa nei confronti del pubblico; • acquisizione di nuovi contatti commerciali; • posizionamento o riposizionamento di un prodotto o servizio in uno specifico

segmento di mercato o l’aumento della conoscenza dello stesso.

Ma perché i professionisti del settore consigliano la sponsorizzazione sportiva alle aziende attraverso il marketing sportivo? Come può massimizzare la realizzazione degli obiettivi di un’azienda?

Partendo dal presupposto che per un efficace programma di marketing sportivo non esiste una strategia di sponsorizzazione standard ma un programma indirizzato ad uno scopo specifico, è necessario sapere su quale obiettivo in particolare e su quali priorità l’azienda desidera focalizzarsi, e lavorare per il raggiungimento degli stessi. Considerazione importante va fatta nella scelta di una squadra, di un atleta o di un determinato sport che non può essere dettata da pura fede calcistica/cestistica, passione per i motori o simpatia per un giocatore, deve essere coerente con ciò che l’azienda produce, con i valori che la contraddistinguono, ciò che rappresenta meglio la sua essenza o in base a quanto questa sia radicata nel territorio, in questo caso la scelta potrà ricadere su una società sportiva del luogo in cui essa opera. Il professionista del marketing valuterà quale opzione sarà più indicata.

La sponsorizzazione sportiva: costi e benefici

Definiti e stabiliti punti ed obiettivi è necessario valutare il rapporto costi/benefici. In sostanza quanto deve spendere un’azienda in sponsorizzazione sportiva per avere visibilità e ritorno economico?

I costi della sponsorizzazione sportiva

Il responsabile marketing dovrà definire preventivamente quali sono i benefit che l’azienda ne trarrà e quale tipo d’investimento effettuare, per questo motivo i pacchetti dovranno essere variabili e flessibili. In ogni caso una sponsorizzazione sportiva efficace deve operare su più piattaforme, dal sito internet alla presenza sui led a bordo campo, dagli spot televisivi alla presenza attiva sui social, ciò affiancato da un monitoraggio preciso e costante per trasmettere al cliente il valore economico di ritorno.

Le opportunità della sponsorizzazione sportiva nel marketing sportivo.

La sponsorizzazione sportiva ha un ampio raggio di opportunità legate ad una partnership con una squadra o un atleta e il valore, sia in termini di notorietà che di ritorno economico, non risiede solo nella visibilità che si ottiene dall’esposizione del marchio bensì da un’azione a 360° con:

• utilizzo dell’immagine degli Atleti sia nei propri materiali di comunicazione sia come presenza all’interno di eventi aziendali;

• utilizzo dei campionati come piattaforma di comunicazione; • possibilità di Licensing, unendo il marchio della squadra o dell’atleta al proprio

per la creazione di prodotti o servizi, ad esempio la produzione di merchandising;

• invio di newsletter e comunicazioni ai database della squadra. • IlMarketingsportivoperunacomunicazionediretta

Quindi la risposta alla domanda iniziale è che il marketing sportivo e lo sport si prestano in maniera ottimale a soddisfare tutte le azioni di promozione di un’azienda, rivolgendosi ad un pubblico trasversale e capace di superare barriere culturali, linguistiche ed anche psicologiche che fanno sì che lo spettatore guardi con una certa diffidenza l’advertising tradizionale. In questo modo la pubblicità diventa parte integrante del sistema e proprio per questo restituisce i benefici sopracitati che l’azienda cerca e richiede.

Investire nel marketing sportivo significa responsabilità sociale

Essere uno sponsor dà la possibilità di entrare in contatto, senza ostacoli e con facilità, sia con il grande pubblico che con un importante numero di aziende ed investitori nazionali ed internazionali, contatti che avvengono in un contesto informale, in cui è più facile avviare nuove relazioni e stringere potenziali accordi. La sponsorizzazione sportiva, a differenza delle altre forme pubblicitarie che nel tempo rischiano di diventare invadenti, sarà sempre più naturale all’occhio dello spettatore, entrerà a far parte dello show e accrescerà il valore economico della società che ha scelto d’investire nelle attività di marketing sportivo

Sponsorizzazioni “Il termine sponsor deriva dal verbo latino spondeo, cioè promettere solennemente, garantire, assicurare, che, a sua volta, deriva dal termina sponsio, che è un’antica forma di contratto. Al giorno d’oggi questa forma di comunicazione non ha più l’intento di voler diffondere un messaggio attraverso un atto di generosità, ma è un contratto bilaterale che prevede obblighi per ambo le parti”. Oppure, la sponsorizzazione può essere definita come “una tecnica di marketing con la quale un’azienda ottiene che il proprio marchio sia messo in evidenza da un personaggio o da un’organizzazione, che svolgono delle attività molto seguite dal pubblico, in cambio di un investimento in denaro. Ciò consente all’impresa di raggiungere un alto numero di contatti e soprattutto di associare la propria immagine ai valori portati dal personaggio o dall’organizzazione”. Infine possiamo definire la sponsorizzazione sportiva “qualsiasi accordo in base al quale una delle parti (sponsor) fornisce attrezzature, benefici finanziari o di altro tipo all’altro (sponsorizzato), in cambio della propria associazione ad uno sport o ad un singolo atleta, e, in particolare, alla possibilità di usare tale associazione a scopo pubblicitario”. Da tutte queste definizioni, si può comprendere come gli accordi di sponsorizzazione sportiva siano di tipo commerciale e prevedano dei vantaggi, economici e non, per entrambi le parti coinvolte. Tuttavia, occorre distinguere tra: - Sponsorizzazione finanziaria: equivale a quella commerciale ed avviene sotto forma di denaro, in quanto una parte deve versare denaro in cambio della pubblicazione del proprio marchio; da non trascurare è la possibilità che ha l’azienda sponsor di accedere alle liste di sportivi e/o abbonati a cui rivolgersi in maniera ancora più diretta; la sponsorizzazione avrà maggiore successo se c’è reciprocità tra sponsor e club sportivo, se entrambe possano incrociare le rispettive attività proponendo un ventaglio di offerte ai consumatori; - Sponsorizzazione tecnologica: si tratta di quella, più comunemente detta, tecnica, ed avviene quando un’azienda fornisce la sua competenza tecnologica a una squadra o a un atleta, legando a loro la fornitura di abbigliamento sportivo attraverso cui pubblicizza i suoi prodotti; si pone in evidenza la qualità del prodotto facendolo indossare a un atleta altrettanto importante; l’apposizione del marchio dello sponsor sulle maglie (insieme a quello di qualunque altra azienda) viene permesso per la prima volta dalla FIGC a partire dalla stagione calcistica 1981/1982; il target che l’azienda sponsor vuole raggiungere, differentemente dagli altri due tipi di

sponsorizzazione, è sicuramente più ristretto e più strettamente legato ai praticanti sportivi e i fattori che descrivono meglio il legame esistente tra sponsor tecnico e club sono la fantasia, la qualità e l’orientamento al mercato globale; - Sponsorizzazione in natura: un’azienda fornisce attrezzatura, ma non di tipo sportivo, quindi non necessariamente scarpe o capi di abbigliamento, ma oggetti diversi che possono dare il loro supporto con altre modalità (ad esempio bibite e integratori). CHE COS'E' IL BRAND Sponsorizzazioni Questa area di affari, similmente a quella della pubblicità, che approfondiremo più avanti, si configura come un medium in grado di generare nel pubblico sportivo immagini, sentimenti, emozioni, che a loro volta favoriscono la riconoscibilità delle aziende che scelgono di legarsi a una squadra o a un atleta, sponsorizzandoli. “Il termine sponsor deriva dal verbo latino spondeo, cioè promettere solennemente, garantire, assicurare, che, a sua volta, deriva dal termina sponsio, che è un’antica forma di contratto. Al giorno d’oggi questa forma di comunicazione non ha più l’intento di voler diffondere un messaggio attraverso un atto di generosità, ma è un contratto bilaterale che prevede obblighi per ambo le parti”. Oppure, la sponsorizzazione può essere definita come “una tecnica di marketing con la quale un’azienda ottiene che il proprio marchio sia messo in evidenza da un personaggio o da un’organizzazione, che svolgono delle attività molto seguite dal pubblico, in cambio di un investimento in denaro. Ciò consente all’impresa di raggiungere un alto numero di contatti e soprattutto di associare la propria immagine ai valori portati dal personaggio o dall’organizzazione”. Infine possiamo definire la sponsorizzazione sportiva “qualsiasi accordo in base al quale una delle parti (sponsor) fornisce attrezzature, benefici finanziari o di altro tipo all’altro (sponsorizzato), in cambio della propria associazione ad uno sport o ad un singolo atleta, e, in particolare, alla possibilità di usare tale associazione a scopo pubblicitario”. Da tutte queste definizioni, si può comprendere come gli accordi di sponsorizzazione sportiva siano di tipo commerciale e prevedano dei vantaggi, economici e non, per entrambi le parti coinvolte.

Tuttavia, occorre distinguere tra: - Sponsorizzazione finanziaria: equivale a quella commerciale ed avviene sotto forma di denaro, in quanto una parte deve versare denaro in cambio della pubblicazione del proprio marchio; da non trascurare è la possibilità che ha l’azienda sponsor di accedere alle liste di sportivi e/o abbonati a cui rivolgersi in maniera ancora più diretta; la sponsorizzazione avrà maggiore successo se c’è reciprocità tra sponsor e club sportivo, se entrambe possano incrociare le rispettive attività proponendo un ventaglio di offerte ai consumatori; - Sponsorizzazione tecnologica: si tratta di quella, più comunemente detta, tecnica, ed avviene quando un’azienda fornisce la sua competenza tecnologica a una squadra o a un atleta, legando a loro la fornitura di abbigliamento sportivo attraverso cui pubblicizza i suoi prodotti; si pone in evidenza la qualità del prodotto facendolo indossare a un atleta altrettanto importante; l’apposizione del marchio dello sponsor sulle maglie (insieme a quello di qualunque altra azienda) viene permesso per la prima volta dalla FIGC a partire dalla stagione calcistica 1981/1982; il target che l’azienda sponsor vuole raggiungere, differentemente dagli altri due tipi di sponsorizzazione, è sicuramente più ristretto e più strettamente legato ai praticanti sportivi e i fattori che descrivono meglio il legame esistente tra sponsor tecnico e club sono la fantasia, la qualità e l’orientamento al mercato globale; - Sponsorizzazione in natura: un’azienda fornisce attrezzatura, ma non di tipo sportivo, quindi non necessariamente scarpe o capi di abbigliamento, ma oggetti diversi che possono dare il loro supporto con altre modalità (ad esempio bibite e integratori). Nel caso specifico del calcio, possiamo invece distinguere tra: - Sponsorizzazione del club, in cui, con la firma di un contratto, esso, senza cambiare la denominazione sociale (come nel caso del contratto di abbinamento non contemplato dal calcio), divulga un messaggio pubblicitario concordato, apponendo scritte o simboli sull’abbigliamento degli atleti e autorizzando lo sponsor a servirsi delle immagini per le proprie esigenze pubblicitarie. Vi rientrano: a) Sponsor principale o main sponsor, generalmente rappresentato da un’impresa industriale, commerciale, o di servizi che promuove il proprio marchio realizzando con lo sponsor una transazione economica ed esponendolo sull’abbigliamento e il materiale tecnico delle squadre; la società deve apporre il segno distintivo dello sponsor sui pullman della squadra, sulle divise, sui biglietti d’ingresso alle partite, disporre striscioni pubblicitari a bordo campo, distribuire materiale pubblicitario e promozionale dello sponsor, partecipare con le squadre ad iniziative di pubbliche relazioni organizzate dallo sponsor nell’ambito della manifestazione sportiva;

b) Sponsor tecnico, il partner che produce attrezzature e abbigliamento sportivo necessari allo svolgimento dell’attività agonistica; c) Fornitore e/o partner ufficiale, che acquisisce il diritto di fornire il proprio prodotto o servizio al club; - Sponsorizzazione del singolo atleta, che avviene sia attraverso la fornitura gratuita o a prezzi speciali dei prodotti dell’azienda sponsor, sia con l’acquisto di spazi sugli indumenti indossati dal calciatore durante la sua attività. Dunque, il rapporto di sponsorizzazione si sviluppa attraverso un piano di comunicazione formulato dall’impresa calcistica che le permetterà di ottenere un vantaggio economico e una promozione dei suoi valori sul mercato; quando il rapporto tra sponsor e sponsee sarà consolidato nel tempo, entrambi i marchi si potenzieranno, e potranno essere accostati nell’immaginario collettivo. In tutti i casi, sembra chiaro che le aziende sponsor vogliano farsi riconoscere ed essere considerate in fase di acquisto dai consumatori di sport, incrementare la reputazione e l’apprezzamento con il trasferimento di passioni e valori afferenti lo sponsee , e la predisposizione all’acquisto e all’uso. Quando si decide di associare il proprio nome e marchio a quello di una squadra, si valuta sempre la coerenza tra i valori del club e l’immagine che l’azienda vuole veicolare. Come si può notare, si sta parlando di brand image, awareness, position, loyalty, che abbiamo citato precedentemente, e di brand equity, concetto che approfondiremo più avanti. Più specificatamente, i benefici ricercati dalle aziende sponsor sono strettamente connessi ai loro obiettivi, che possono essere: - Valorizzare e migliorare l’immagine aziendale; - Aumentare la conoscenza dei prodotti e dei servizi; - Posizionare o riposizionare un prodotto/servizio in uno specifico segmento di mercato; - Aumentare la riconoscibilità in un’area geografica; - Creare, mantenere o migliorare i rapporti con la comunità locale e con il personale interno; - Acquisire nuovi contatti commerciali; - Cambiare la percezione pubblica dell’azienda; - Avere l’esclusiva della sponsorizzazione; - Aumentare le vendite. Ovviamente i concetti notorietà, riconoscibilità, fedeltà e valore hanno un peso maggiore quando lo sponsor compie un’analisi quantitativa basata sul rapporto costi/benefici alla luce, appunto, di tutte le informazioni che gli permettono di valutare un ritorno economico vantaggioso. È utile citare a tal proposito, i concetti di costo contatto, con cui si giunge a valutare quanto sia costato il singolo contatto dividendo il costo di sponsorizzazione per il numero di contatti con il pubblico che si ritiene di aver avuto o di poter avere, e di costo contatto utile, cioè il rapporto tra il costo sostenuto e il numero di contatti avuti

con le sole persone che sono nel target d’interesse aziendale. Ma, nonostante questi due parametri, la determinazione del valore di una sponsorizzazione rimane molto difficile, motivo per il quale è bene parlare di valorizzazione dell’intervento sponsorizzativo, cioè di un’analisi quantitativa che permette al club di avere dati certi sul suo valore in termini di comunicazione e quantificare l’importo di sponsorizzazione in modo tale da avere uno strumento che orienti le decisioni: sponsee e sponsor possono così regolare i loro rapporti in piena e reciproca soddisfazione, motivo per il quale questa analisi rappresenta uno strumento di dialogo tra le due parti. La selezione dello sponsor definisce l’universo e le tipologie dei potenziali finanziatori: si deve pensare a quali possono essere le motivazioni che spingano a una partnership, che abbiamo elencato sopra, puntando maggiormente a tutte quelle aziende locali che occupano una posizione leader nel territorio o che necessitano di presentarsi all’opinione pubblica in modo autorevole e istituzionale. Si passa attraverso una selezione di tipo economico e di tipo identitario, in quanto il pubblico dell’azienda sponsor deve essere omogeneo a quello del club: è necessaria, dunque, un’analisi del target di riferimento dell’azienda finanziatrice o dei contenuti della sua comunicazione. Dopo aver identificato le tipologie di sponsor più adatte per l’associazione con il club, si passa alla fase della ricerca dello sponsor, condotta da un team composto da persone qualificate e credibili che hanno il compito di avviare i contatti con imprenditori, amministratori delegati, direttori generali o direttori marketing dell’azienda, quindi personaggi rilevanti di una società. Il metodo delle conoscenze dirette sembra quello più semplice per individuare i finanziatori, ma è opportuno cercare tra le aziende sponsor di altri sport o che hanno svolto campagne comunicative con tematica principale lo sport/calcio, monitorare la stampa economico-finanziaria per captare le aziende propense a farsi conoscere e consultare elenchi, guide, annuari che riportino una descrizione accurata e dettagliata delle attività delle diverse aziende. Terminata la ricerca, ci si occupa del contatto dei potenziali sponsor: è consigliabile sfruttare un database informatico che riporti il nome del contatto, la data in cui si è svolto, la modalità di contatto (telefono, lettera, fax, mail, incontro), il suo esito (positivo, negativo, sospeso), i prodotti inviati (brochure, report, cartelle, immagini, video, ecc.). Dopo questi tre step preliminari, si passa alla vera e propria negoziazione, che prevede la proposta di sponsorizzazione: l’impresa calcistica deve presentare una documentazione da porre sul tavolo della trattativa. Preparare materiale informativo significa, infatti, aiutare il cliente a comprendere i vantaggi e le potenzialità della sponsorizzazione proposta, motivo per cui è decisiva per il successo di tutta la strategia di marketing.

LA TUTELA SANITARIA DEGLI SPORTIVI PROFESSIONISTI

La tutela della salute come diritto dell’individuo e interesse della collettività, prevista come obiettivo fondamentale dello Stato dall’art. 32 Cost., è il principio ispiratore della normativa riguardante la tutela sanitaria dell’attività sportiva, così come della normativa assistenziale e previdenziale: si impone infatti, per coloro che praticano o intendono praticare attività sportiva, l’accertamento obbligatorio, preventivo e periodico, dell’idoneità all’esercizio della pratica sportiva.

In ambito sportivo possiamo osservare che, in linea generale, tutti gli interventi legislativi in materia di tutela sanitaria hanno invariabilmente inteso far riferimento quasi esclusivamente a problemi riguardanti la prevenzione: ciò trova puntuale conferma nella disciplina della tutela sanitaria di cui all’art. 7 della L. 91/1981.

Tale articolo, dopo aver disposto che l’attività sportiva professionistica deve essere svolta sotto controlli medici, da effettuarsi secondo norme stabilite dalle Federazioni sportive nazionali ed approvate con decreto del Ministro della Sanità, sentito il Consiglio sanitario nazionale, regola dettagliatamente il momento della prevenzione, caratterizzato dai seguenti aspetti:

a) istituzione di una scheda sanitaria che accompagna l’atleta per l’intera durata della sua attività sportiva;

b) aggiornamento periodico (almeno semestrale) della scheda, con la ripetizione degli accertamenti clinici e diagnostici fissati con decreto del Ministro della Sanità;

c) oneri relativi all’istituzione ed aggiornamento della scheda a carico della società, oppure a carico degli stessi atleti nel caso di lavoro autonomo.

Nella scheda sanitaria, oltre ad essere annotati tutti gli accertamenti sanitari prescritti, si ritrova una sintetica valutazione medico-sportiva sullo stato di salute dell’atleta e sull’esistenza di eventuali controindicazioni, anche temporanee, alla pratica sportiva agonistica professionistica.

Se in seguito agli accertamenti sanitari “risulti la non idoneità alla pratica agonistica di un determinato sport, l’esito negativo, con l’indicazione della diagnosi posta a base del giudizio, viene comunicato, entro cinque giorni, all’interessato ed al competente ufficio regionale”, mentre alla società sportiva di appartenenza viene comunicato il solo esito negativo. In tal caso è tuttavia prevista la possibilità di proporre ricorso, nel termine di trenta giorni, dinanzi alla commissione regionale.

Qualora l’atleta si trasferisca ad altra società, la scheda sanitaria, dopo essere stata aggiornata entro gli otto giorni precedenti il trasferimento stesso, deve essere trasmessa d’ufficio dal medico sociale della società di provenienza al medico sociale di quella di destinazione. In caso di cessazione dell’attività, la scheda sanitaria è inviata al medico della Federazione sportiva di appartenenza, il quale è tenuto a conservarla fino all’instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro.

Da ricordare che tra i compiti del medico sociale, il quale riveste il ruolo di responsabile sanitario della società sportiva professionistica, vi è anche la stesura, per ciascun atleta, di una cartella clinica che lo stesso deve custodire personalmente per l’intero periodo del rapporto di lavoro tra l’atleta e la società sportiva, con il vincolo del segreto professionale e nel rispetto di ogni altra disposizione di legge. Tale cartella, che deve essere conservata dal medico sociale, presso la società sportiva, per almeno dieci anni, potrà essere consegnata in copia esclusivamente all’atleta all’atto della cessazione del rapporto di lavoro con la società.

L’omissione degli obblighi di prevenzione è sanzionata con il divieto di esercitare l’attività sportiva: l’istituzione e l’aggiornamento della scheda sanitaria costituiscono dunque condicio sine qua non per l’autorizzazione, da parte delle singole Federazioni, allo svolgimento dell’attività degli sportivi professionisti: viene così introdotto un controllo che non può limitarsi a verificare l’esistenza e la regolarità formale della scheda e del suo periodico aggiornamento, ma deve estendersi al merito degli esami clinici e diagnostici eseguiti, non potendosi negare alle Federazioni il potere di far ripetere gli esami nei casi che lascino adito a dubbi, o di disporre d’ufficio l’esecuzione di accertamenti diversi o ulteriori rispetto a quelli già effettuati.

Da quanto appena detto si rende evidente l’assenza, nelle disposizioni di cui all’art. 7, del ben che minimo cenno alle prestazioni curative e riabilitative, per cui i professionisti sportivi, pur avendo acquisito il riconoscimento di lavoratori, seguitano a rimanere fuori dal Servizio Sanitario Nazionale: nonostante l’utilizzazione del titolo “tutela sanitaria”, il quale presupporrebbe la globalità degli interventi sanitari (prestazioni preventive, curative e riabilitative), la disciplina di cui all’art. 7, come anticipato, circoscrive dunque la propria sfera di applicazione alla prevenzione.

C’è da dire tuttavia che gli sportivi professionisti, pur avendo conseguito la qualifica di lavoratori in virtù della L. 91/1981, rientrano, in quanto cittadini, nel campo di applicazione dell’art. 63 della L. 833/1978, ai sensi del quale “i cittadini che, secondo le leggi vigenti, non sono tenuti all’iscrizione ad un istituto di natura pubblica, sono assicurati presso il Servizio Sanitario Nazionale”, e pertanto sono tenuti “a versare annualmente, anche per i familiari a carico, un contributo per l’assistenza di malattia..”. Da sottolineare poi che, sotto l’aspetto curativo, è la contrattazione collettiva che integra le prestazioni di assistenza del Servizio Sanitario Nazionale, in genere ponendo le relative spese sanitarie, farmaceutiche, chirurgiche e di degenza a carico delle società sportive, ove non coperte dall’assistenza pubblica, in ogni caso di

malattie o infortuni, o limitatamente a quelli dipendenti o connessi alla pratica agonistica.

Da notare che le società sportive incorrono in responsabilità non solo quando non ottemperano alle prescrizioni di cui all’art. 7, ma anche, ex art. 2087 c.c., quando tralasciano di apprestare quelle misure che, in ragione della specificità della disciplina praticata, dell’esperienza e dell’evoluzione della scienza medica, risultano indispensabili per tutelare l’integrità fisica dello sportivo e per evitare eventi dannosi.

In un contesto come quello appena descritto è anche prospettabile una responsabilità del medico sociale per gli eventi che colpiscano l’atleta erroneamente autorizzato a svolgere o proseguire l’attività agonistica. Il medico risponde solo per dolo o colpa grave per mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali inerenti alla professione o per difetto di quel minimo di abilità e perizia tecnica nell’uso di mezzi manuali e strumentali che deve essere sicuro di poter e saper adoperare correttamente. Da evidenziare che nella materia in esame, ai fini della valutazione di eventuali profili di responsabilità professionale, non si può prescindere da una conoscenza aggiornata delle regole della medicina sportiva, e quindi dalle cognizioni che devono essere proprie di uno specialista, non essendo sufficiente il riferimento alle cognizioni fondamentali di un medico generico.

La disciplina di cui all’art. 7 non esaurisce tuttavia la gamma delle disposizioni dirette a garantire il diritto alla salute nello svolgimento dell’attività sportiva: tale disciplina è infatti integrata, innanzitutto, dalle disposizioni dell’ordinamento statale di cui sono destinatari tutti i cittadini o, più specificatamente, i lavoratori subordinati, tra le quali si ricordano la già citata L. 833/1978, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, e il d.lgs. 626/1994, sul miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro, i cui adempimenti devono ritenersi estesi alle società sportive qualora siano proprietarie o gestiscano luoghi che gli sportivi professionisti frequentano per eseguire le loro prestazioni (compresi allenamenti, ritiri, ecc.).

In materia di tutela sanitaria particolare interesse e importanza riveste il problema del doping: il doping consiste nell’assunzione di sostanze o nel ricorso a particolari metodiche capaci di aumentare artificialmente il rendimento di un atleta durante una competizione sportiva, contrariamente alla morale sportiva ed alla salute fisica e psichica.

In Italia l’attuale legge sul doping (L. 376/2000) prevede, all’art. 2 comma 1 che “Costituiscono doping la somministrazione o l'assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l'adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”.

L’uso di sostanze dopanti, oltre a rappresentare una frode, in quanto viola i principi

ispiratori della pratica sportiva e dell’idea olimpica, comporta soprattutto gravi rischi per la salute degli atleti, salute che perciò deve essere tutelata in tutti i modi consentiti e con tutto l’impegno possibile da parte degli organismi sportivi e delle autorità governative competenti, in un’azione che assume i caratteri di una vera e propria “lotta” al doping: in questo contesto occorre comunque tenere presente che le motivazioni che spingono gli atleti ad assumere farmaci in maniera fraudolenta (cioè in assenza di stati patologici conclamati e solo per migliorare la propria prestazione fisica), sono tra le più varie, e tra di esse ricordiamo la necessità di controllare gli stati depressivi o ansiosi legati alla pratica sportiva agonistica (sindrome del campione, nikefobia, paura della sconfitta, ansia pre-gara, ecc.), il consiglio di altri atleti, la lettura di riviste parascientifiche di settore, e, non ultimo, l’inadeguatezza nel raggiungere il traguardo sportivo prefissato.

Da ricordare che il CIO ha redatto una lista delle classi di sostanze che costituiscono doping, nonché una lista di procedure illecite.

Per quanto riguarda le classi di sostanze che costituiscono doping si distingue tra:

a) stimolanti: vi rientrano anfetamine e derivati, cocaina, efedrina e derivati, anoressizzanti, stricnina e affini, i cui effetti sono quelli di aumentare la vigilanza, ridurre la sensazione di fatica, aumentare la competitività e aggressività, stimolare l’iniziativa e l’attività motoria. Il loro uso può comportare diminuzione della capacità di autocontrollo, e ad alte dosi producono stimolazione psico-sensoriale con deliri ed allucinazioni; tra gli effetti collaterali si ricordano anche le crisi ipertensive, le tachicardie, le aritmie e i tremori.

b) narcotici: vi rientrano la morfina, il metadone, l’eroina e sostanze affini (oppioidi), tra i cui effetti collaterali si ricordano la depressione respiratoria, la dipendenza fisica e psichica ed altri disturbi a carico dell’apparato circolatorio, urogenitale, gastroenterologico, ecc.

c) agenti anabolici: vi rientrano il testosterone, sostanze chimiche affini per struttura ed attività (ad esempio bolasterone, nandrolone, ecc.) ed i farmaci beta2-agonisti (utilizzati nella terapia dell’asma, ad alti dosaggi possono avere effetti anabolizzanti).

L’uso di steroidi anabolizzanti nello sport mira a incrementare la massa muscolare con riduzione percentuale del grasso corporeo, migliorare la competitività ed aumentare il numero dei globuli rossi associato alla maggiore concentrazione di emoglobina. Tra gli effetti collaterali si ricorda che il loro uso può produrre alterazioni psichiche, danni epatici, degenerazioni tendinee, ritenzione di liquidi: inoltre negli uomini si ha una riduzione delle dimensioni testicolari e della produzione di spermatozoi, mentre nelle donne si assiste ad una virilizzazione, con acne, crescita e distribuzione pilifera di tipo maschile, soppressione della funzione

ovarica e delle mestruazioni.

d) diuretici: gli sportivi vi ricorrono essenzialmente per due motivi, e cioè per calare rapidamente di peso in quegli sport in cui esistono categorie di peso, e per ridurre la concentrazione di farmaci dopanti nelle urine. Gli effetti collaterali sono rappresentati da disidratazione acuta, ipotensione e lipotimie.

e) ormoni peptidici, mimetici ed analoghi: vi rientrano le gonadotropine (FSH-LSH), la corticotropina (ACTH) e l’ormone della crescita (GH), quest’ultimo usato dagli atleti per accrescere la massa muscolare associata ad una diminuzione della massa grassa, pur con effetti collaterali gravissimi, tra i quali si ricordano il gigantismo negli adolescenti, l’irsutismo, la chetosi, ecc., e infine l’eritropoietina (EPO), che è un ormone prodotto dalle cellule renali con lo scopo di aumentare la produzione di globuli rossi, e il cui abuso comporta soprattutto microtrombosi vascolari con conseguenti infarti ed emorragie da aumentata viscosità ematica (si registra infatti un marcato innalzamento del valore ematocrito, che è il rapporto percentuale tra parte solida e parte liquida nel sangue, spostato a favore della parte solida, detta anche “corpuscolata”, con la conseguenza di rendere più viscoso il sangue e modificarne, rallentandola, la circolazione).

Particolare attenzione merita quest’ultima sostanza, in quanto attualmente è il farmaco che desta maggior “interesse” da parte degli sportivi, soprattutto negli sport c.d. “di resistenza”, laddove è determinante l’efficienza del sistema cardiocircolatorio e respiratorio. Da notare che con gli attuali metodi di controllo antidoping è molto difficile rilevare l’avvenuta assunzione di eritropoietina sintetica, per la straordinaria somiglianza tra quest’ultima e l’eritropietina endogena, prodotta cioè fisiologicamente dall’organismo.

Per quanto riguarda le procedure illecite si distingue invece tra:

a) doping ematico o autoemotrasfusione: consiste nella somministrazione ad un atleta di sangue o di prodotti ematici affini contenenti globuli rossi, per uno scopo diverso dal trattamento medico legittimo (in sostanza il sangue viene prelevato dall’atleta nel periodo precedente la gara, preparato, conservato e poi reinfuso allo stesso, immediatamente prima dell’evento sportivo). Da ricordare che tale procedura può comportare gravi inconvenienti, tra cui epatite B, febbre, reazioni allergiche, microtrombosi muscolari o cerebrali, ecc.

b) manipolazioni farmacologiche chimiche e fisiche: si tratta di procedure volte ad alterare l’integrità e la validità di campioni di urine utilizzati per i controlli antidoping.

Da ricordare infine che vi sono alcune sostanze sottoposte a restrizioni d’uso: alcool, anestetici locali, betabloccanti, corticosteroidi e cannabinoidi.