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Introduzione 19 11 2009 Il diritto internazionale è il diritto che regola i rapporti fra gli stati. Come tale va distinto dal diri int privato, tanto è vero che il diritto internazionale si chiama qualche volta anche diritto internazionale pubblico, benchè si tratti di una terminologia non precisissima per varie ragioni. Prima di tutto perché potrebbe far pensare che il diritto internazionale si divide in due parti diritto int privatoe diri inter pubblico, come il diritto interno degli stati, tuttavia è evidente che non è cosi. Il diritto internazionale privato si occupa dei rapporti che hanno caratteri internazionale, ma si occupa dei rapporti fra privati. Il diritto internazionale pubblico regola i rapporti fra gli stati. La cosa che hanno in comune, il motivo per il quale esistono ,esso è comune,ed è dato dal fatto che l’umanità è divisa in una seria di comunutà giurdiche separete indipendenti l’una dall’altra che sono le varie comunità giuridiche statali. Esistono oggi approssimativamente circa 200 stati sovrani, quindi 200 ordinamenti giuridici sovrani separati. Ovviamente esistesse un unico stato capace di abbracciare l’intera umanità, dottrina tedesca, in questo caso non ci sarebbe ragione per l’esistenza del diri int. Al di là di questa origine comune, le due branche sono completamente diverse,Tanto è vero che il diritto internazionale privato non è neanceh diritto internazionale ma è diritto interno (esempi ogni nazione ha la propria legge di internazionale privato). Il motivo principale della differenza è dato dal fatto che la comunità internazionale è una comunità è particolarissima proprio per il fatto di avere come soggetti non gli individui(come avviene nel diritto interno) ma gli stati. Il fatto di essere una com di stati gli conferisce una caratteristica completametne diversa da qualsiasi altro fenomeno giuridico. E’ completamente diverso dai fenomeni interdividuali perché la comunità internazionale ha una sfera di competenza particolare. Ha come sua caratterizzazione principale, elemento discriminate dal diritto interno, è il fatto che gli stati sono enti sovrani, superiori alle nostre conoscenze. Significa che non hanno al di sopra per definizione niente, nessuna autorità comune in grado di imporre norme giuridiche agli stati.(mancanza di un potere pubblico,struttura 1

Diritto Internazionale

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Introduzione 19 11 2009

Il diritto internazionale è il diritto che regola i rapporti fra gli stati.

Come tale va distinto dal diri int privato, tanto è vero che il diritto internazionale si chiama qualche volta anche diritto internazionale pubblico, benchè si tratti di una terminologia non precisissima per varie ragioni. Prima di tutto perché potrebbe far pensare che il diritto internazionale si divide in due parti diritto int privatoe diri inter pubblico, come il diritto interno degli stati, tuttavia è evidente che non è cosi.

Il diritto internazionale privato si occupa dei rapporti che hanno caratteri internazionale, ma si occupa dei rapporti fra privati.

Il diritto internazionale pubblico regola i rapporti fra gli stati. La cosa che hanno in comune, il motivo per il quale esistono ,esso è comune,ed è dato dal fatto che l’umanità è divisa in una seria di comunutà giurdiche separete indipendenti l’una dall’altra che sono le varie comunità giuridiche statali.

Esistono oggi approssimativamente circa 200 stati sovrani, quindi 200 ordinamenti giuridici sovrani separati. Ovviamente esistesse un unico stato capace di abbracciare l’intera umanità, dottrina tedesca, in questo caso non ci sarebbe ragione per l’esistenza del diri int.

Al di là di questa origine comune, le due branche sono completamente diverse,Tanto è vero che il diritto internazionale privato non è neanceh diritto internazionale ma è diritto interno (esempi ogni nazione ha la propria legge di internazionale privato).

Il motivo principale della differenza è dato dal fatto che la comunità internazionale è una comunità è particolarissima proprio per il fatto di avere come soggetti non gli individui(come avviene nel diritto interno) ma gli stati.

Il fatto di essere una com di stati gli conferisce una caratteristica completametne diversa da qualsiasi altro fenomeno giuridico. E’ completamente diverso dai fenomeni interdividuali perché la comunità internazionale ha una sfera di competenza particolare.

Ha come sua caratterizzazione principale, elemento discriminate dal diritto interno, è il fatto che gli stati sono enti sovrani, superiori alle nostre conoscenze. Significa che non hanno al di sopra per definizione niente, nessuna autorità comune in grado di imporre norme giuridiche agli stati.(mancanza di un potere pubblico,struttura centralizzata come avviene negli ordinamenti interni). In sostanza non esiste nessuna organizzazione sopra gli stati.

Questo è uno dei motivi che rende equivoca la definizione del dir.intern. come diritto pubblico, è ironico definire diritto pubblico un diritto che vige in una comunità che ha struttura giuridica che ammette rapporti giuridici esclusivamente su piano orizzontale in cui manca il fen della verticalizzazione del potere che è appunto l’elemento ceh distingue il diritto pubblico dal diritto privato.

Diritto pubblico è il diritto ceh regola l’organizzazione dell’apparato statale nonché i rapporti verticali dello stato con i singoli.

Ora se questo è proprio del diritto pubblico questa è la caratteristica estrane al dir int

Il diritto internazionale è diritto privato senza diritto pubblico, cioè una seria di rapporti giuridiciorizzontali che si creano fra gli stati. (definizione prof)

Questa situazione fa si che il dir int sia un fenomeno giuridico quantitativamente e qualitativamente diverotanto è vero che un dibattito di origine secolare è che pero ha perso di vigore era quello di sapere se veramente il diritto è diritto internazionale ( la prima cosa che si inizio a studiare quando il

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prof era studente era relativo al problema delfondamento del rapporto obbligatorio del diritto internazionale perché i positivisti che vedevo il diritto interno come espressione di un potere di comando è qualceh cosa in questi termini non si trova nel diritto internazionale ecco perché è un fenomeno giuridico diverso)

Oggi questo problema non si pone in quanto nessuno può negare il diritto itnernazionale tanto è vero che il diritto itnerno degli stati, come la nostra costituzione riconosce l’applicaizone delle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute.

E’ vero però che si tratta di un diritto che non solo è diverso, ha più difficoltà di imporsi ai soggetti di base di questa speciale sfera di competenza che è la comunità inter degli stati proprio perché dispone di pochi strumenti di pressione, manca il fenomeno dell’autorità. Meno autorità c’è più l’ordinamento è disposto a casi di violazione o di crisi di effettività. Anche perché i rapporti di forza fra gli stati dipendono anche dalla consistenza specifica di uno stato

Questo non significa che non sia efficacia è altrettanto efficacia ed esercit la funzione che è chiamato ad esercitare, garantire la convivenza fra gli stati e garantire che gli stati possono avere dei rapporti per sdoffisdare esigenze comune.

(il diritto int è cosi perché gli stati vogliono che sia cosi, perché per loro va bene che sia così).

E’ interessante per capire la natura di questo fenomeno analizzare questi elementi ,e cioè:

La mancanza di un potere pubblico per capire come è realemte strutturato questo fenomeno giuridico che è cosi diverso dagli altri fenomeni riscontrabili nelle comunità interne.Già lo stesso fenomeno della Soggettività nel diritto itnernazionale presenta caratteristiche diverse dal fenomeno stesso negli ordinamenti statali

Abbiamo visto che I soggetti di diritto internazionale sono gli stati che sono sovrani e non riconoscono nessun al di sopra di loro.Questo implica quindi che anche la gestione del fenomeno della soggettività è un Accezione non autoritaria della soggettività.Il diritto interno attraverso scelte giuridiche organizza l’ordinamento, facendo delle scelte sovrane, edefinisce quale condizioni servono per essere soggetti. Questo fenomeno è evidentissimo per quella categoria di soggetti che sono lepersone giuridiche, è un soggetto creato dal diritto. E’ organizzata dallo stato che definisce come deve essere (esempio società commerciale dove nel codice civile troviamo le norme che discipliano la struttura e il funzionamento).

Nel diritto internazionale non c’è nulla del genere non contiene norme che organizzano giuridicamente lo stato e poi perché non c’è un modello comune, ogni stato si organizza come vuole e non tutti gli stati sono organizzati nella stessa maniera.

In realtà a monte di questo fatto c’è un altro elemento, siccomme lo stato è sovrano quindi l’organizzazioen giuridica deriva da se stesso e non dal diritto internazionale. Questo vuol dire che l’organizzazione giuridica dello stato per il diritto internazionale è un dato di fatto. E cioè siccome lo stato è sovrano l’organizzione giuridica dello stato deriva de stesso e non dal diritto internazionale

Questo vuol dire che il fenomeno della formazione dello stato non è regolato in nessun modo dal diritto internazionale. Nel diritto interno quello che abbiamo detto per le persone giuridiche vale anche per le persone fisiche. Art 1 del Codice civile definisce i requisiti della persona giuridica. Tuttavia astrattamanente uno stato potrebbe anche arrivare a negare la soggettività giuridica di una persona (vedi l’Apartheid)

L’ordinamento giuridico dello stato ha la possibilità se vuole di negare la soggettività anche alle persone fisiche(fenomeno schiavitu), il diritto internazioale invece non ha questa possibilità proprio perché non è in grado di effettuare un controllo sulla soggettività.

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La norma sulla soggettività internazionale,secondo alcuni studiosi(secondo il prof non c’è una risposta assoluta) non è esistente nel diritto itnernazionale una norma sulla soggettività (per esempio al contrario nel cc abbiamo l’art 1), se questa norma ci fosse quello che è sicuro è che sarebbe puramente tautologica, fanno parte del dir int quegli enti che di fatto si sono affermati come enti che ne fanno parte appunto perché sono in posizione di indipendenza e si sono formati di fatto.

SI può dire che c’è una norma consuetudinaria di questo contenuto!

Ma possiamo tranquillamente farne a meno perché basta semplicemente dire che il diritto internazionale trova soggetti preocostuiti cioè vi è un insieme di norme che si creano con procedimenti semplici. Cioè quei procedimenti che si possono creare in una comunità in cui vi è mancanza di un’autorità pubblica.

Bisogna mettersi d’accordo per creare norme comuni e se non ci si mette d’accordo con quella forma di creazione di diritto della consuetudine, che si basa sull’accettazione graduale progressiva e diffusa di una regola accettata.

Le norme contenute nell’accordo si interpretano come le norme dei trattati ( come norme di leggi, come le norme costituzionali)

Che il diritto internazionale non sia cmq in grado di controllare un fenomeno di questo genere, cioè una realta storica data di soggetti preocostuiti, si vede anche dai processi di formazioni dello stato.

Ci sono state delle vicende di Stati che si uniscono che si dividono, processi di scissione etc etc che hanno risvolti pratici nella comunità internazionale (esempio della ex jugoslavia, la formazione tramite guerra civile di più stati dalla disciolta Jugoslavia, effetti nella comunità internazionale: prima della guerra c’era un soggetto internazionale riconosciuto come tale Jugoslavia per poi dissolversi e dare vita a pluralità soggetti itnernazionali (gli ex stati della jugoslavia Slovenia-Croazia esempio).

Il dir internazionale agisce come testatore di tutto questo, nel diritto interno non sarebbe cosi perché nel diritto interne ci sarebbe un organo che controllerebbe tutto questo.

(Quando fu la guerra fra Serbia e Croazia, se la serbia fosse stata cosi forte per impedire lo sciogliemento della jugoslavia, avremmo continuato ad avere un unico stato). In altri casi la scissione degli stati avviene con mezzi pacifici (Unione Sovietica, venuto meno il potere politico unitario gli stati dell’urss si sono resi indipendenti pacificamente “accordo di 21:30)

Come vedete il diritto internazionale non crea i soggetti ma prendo atto della loro formazione.

VI è anche il fenomeno opposto della riunione degli stati (esempio anni 50 formazione della repubblica araba unita fra Siria e (vedi internet) che successivamente si sono divise).

Come vediamo non c’è un meccanismo che prevede il controllo della formazione di soggetti internazionali.

Esiste un principio di eguaglianza nel diritto internazionale ( Art 3 Cost dice che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, sottoposizione di tutti alla legge in maniera uguale) tuttavia diverso da quello della costituzione ex art 3.

E’ una eguaglianza sovrana non nei confronti della legge, nessuno di loro è in grado di esercitare un potere sull’altro, un’eguaglianza di parità rispetto agli altri stati.

La conclusione alla quale dobbiano arrivare è questa, la comunità internazionale è una sfera di convivenza che ha delle regole minime sufficienti per garantire la convivenza pacifica dei soggetti presenti senza che via sia un’autorità giuridica.

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Esistono moltissime organizzazion internazionali che esercitano una certa importanza nella com. internazionale, anzi in maniera quasi paradossale le organizzazioni internazionali sono + numerosi degli stati e sono quasi tutte riconosciute come soggetti del diritto Internazionale.

Gli stati sovrani del mondo sono oggi circa di 200, le organizzazioni internazionali sono più di 400.

Il fenomeno delle organizzazioni, è come tutti gli altri fenomeni giuridici dir int, si presenta come una struttura, una forma, che è diametralmente opposta all’organiz giuridica delle entità statali.

Il motivo principale è questo nel diritto interno degli stati l’organiz dello stato vi sono gli individui che stanno al di sotto dell’organizzazione giuridica, nel diritto internazionale invece funziona al contrario (come una piramide rovesciata)

Nell’organizzazione internazionale sono i soggetti che sono al di sopra dell’organizzazione.

Vengono create con trattato. il trattato fra gli stati a cosa assomiglia nel diritto interno? A un contratto, e questo verrà visto meglio in seguito.

Le nazioni unite sono le organizzazione piu importante che c’è, è un organizzazione a fine generali e universale anche nel senso che ne fanno parte,praticamente, tutti gli stati del mondo.Le nazioni unite si occupano di quasi tutte le materie di rilievo intenrazionale ed ha degli organi (tanto è vero che ci sono degli studiosi,secondo il professore utopisti,in quanto sostengono che le Onu sia un ordinamento giuridico del mondo )”

art.7 Carta Onu” Sono istituiti quali organi principali delle Nazioni Unite: un’Assemblea Generale, un Consiglio di Sicurezza, un Consiglio Economico e Sociale, un Consiglio di Amministrazione Fiduciaria, una Corte Internazionale di Giustizia, ed un Segretariato.”

E’ dotata di poteri tenui in quanto l’assemblea generale può fare soltanto raccomandozioni. A prescindere che questi poteri sono tenui, l’assemblea generale può discutere qualsiasi argomento Art 10” ’Assemblea Generale può discutere qualsiasi questione od argomento che rientri nei fini del presente Statuto, o che abbia riferimento ai poteri ed alle funzioni degli organi previsti dal presente Statuto e, salvo quanto disposto dall’articolo 12, può fare raccomandazioni ai Membri delle Nazioni Unite od al Consiglio di Sicurezza, o agli uni ed all’altro, su qualsiasi di tali questioni od argomenti.”

La corte internazionale di giustizia è un organo che viene qualificato dalla carta come il principale organo ausiliarie delle nazioni unite, però poi vedremo che c’è una differenza enorme con i giudici interni delle nazioni unite (vedremo poi meglio in dettaglio).

Al di là degli organi, oltre al fatto che non hanno compentenze paragonabili a quelle degli organi interni di uno stato, al di là di questo c’è una questione fondamentale, esse sono create dagli stati che quindi le controllano ma in virtù di accordi e possono valere quindi esclusivamente per gli stati che ratificano gli accordi. Infatti esse sono a disposizioni degli stati nel senso che cosi come vengono create possono anche essere sciolte. (Esempio: società delle nazioni)

Nessuno può obbligare lo stato a partecipare ad un’organizzazione internazionale. Vi sono molte org int che sono aperte solo alla partecipazione di alcuni stati (vedi Unione Europea), al di là di questo uno stato non può essere obbligato a partecipare a un’organizzazione internazionale (Esempio La svizzere si è ostinata a entrare nelle nazioni unite, obiezioni dovute al carattere di neutralità della Svizzera,adesione poi formalizzata nel 202). Non è la stessa cosa che avviene negli ordinamenti interni (Nessuno può chiamarsi fuori dall’ordinamento costituito italiano).

Uno stato può anche in certi casi uscire dall’organizzazione internazionale, recedere. (esempio integrazione unione europea, soprattutto con il trattato di lisbona è stato introdotto una contrappeso all’accentramento dei poteri dell’onu cioè il Potere di recesso dall’ UE art 50). Altre Organizzazioni

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internazionali non prevedono un diritto di recesso ma non ne prevedono neanche un divieto di recesso.

Ovviamente è chiaro che uno stato che ha sottoscritto un trattato è tenuto a rispettarlo.

Tuttavia in alcuni casi si ritiene che possa essere anche ammesso il recesso (esempio se la carta Onu venisse modificata o anche il trattato Ue in senso sempre più limitativo della libertà dei soggetti) gli stati potrebbero, sulla base di un cambiamento giuridico dell’organizzazione , recedere in applicazione del principio generale, nel diritto dei trattati, Rebus Sic stantibus (ricorda la presupposizioni nel diritto interno su risoluzione)).

Sostanzialmente quindi la Comunità internazionale è una comunità che ha una particolare forma che non è vera organizzazione di funzioni giuridiche. Questo è il motivo per il quale qualche volta è stata paragonata a una forma di organizzazione rudimentale primitiva.

(Kelsen?,uno dei piu grandi studiosi di teoria generale del diritto e di diritto internazionale, fece raffrontando comunità internazionale e la comunità interindividuale primitiva ne individuava la somiglianza, secondo il prof tale tesi va respinta perché se si trattasse di una primitività bisogna riconoscere che è una primitività sofisticata perchè in realtà le istituzioni della comunità internazionale sono estremamente sofisticate, ci sono molte più organizzazioni che stati, molti procedimenti complicati per farle funzionare, ci sono organi di giustizia. E’, per quanto detto, difficile dire che sia una struttura primitiva tuttavia va detto che è l’unico tipo concedibile di organizzazione della convinvenza di stati non disposti a riconoscere nessuna autorità al di sopra di loro. Tutto questo ha una sua logica, che non sta nella primitività, in quanto se si riconoscesse al di sopra degli stati un’autorità giuridica si verificherebbe la creazione di quel famoso stato mondiale che avrebbe la sua organizzazione pubblicistica estesa in tutto il pianeta.)

(Stato mondiale che secondo gli studiosi sarebbe uno stato probabilmente totalitario, perché è gia difficile creare comunità organizzate democratiche in stati di piccole dimensioni ergo in uno stato cosi esteso sarebbe quasi impossibile).

L’assenza di un’autorità politica e giuridica superiore ai soggetti di base dell’ordinamento caratterizza la comunità internazionale che quindi non è personificata ed è questo il vero motivo per il quale l’accezione di del diritto internazionale come diritto internazionale pubblico non è corretta.I rapporti giuridici quindi si sviluppano esclusivamente in linea orizzontale

Non c’è diritto pubblico perché la comunità internazionale non è personificata neanche le org int non possono portare ad un organizzazione personificata internazionale in quanto esse hanno valore solo per gli stati contraenti l’accordo dell’organizzazione come abbiamo visto prima.

Analisi delle tre funzioni del diritto Intenrazionale

- Funzione di produzione giuridica, creazione delle norme giuridiche che governano i rapporti tra i membri

- Funzione di accertamento del diritto e la risoluzione delle controversie

- Funzione di attuazione del diritto

Nell’analisi delle tre funzione individueremo le caratteristiche delle tre funzioni, cioè il rapporto orizzontale e paritario fra i soggetti della comunità internazionale ergo la mancanza di una struttura verticistica.

Sono marginali i fenomeni di svolgimento strutturale e organico delle funzioni sopra citate (diversamente dal diritto interno).

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La funzione di produzione giuridica, quali sono le fonti?

Le sole possibile con questa struttura sono:

- L’accordo

-La consuetudine

Questo non vuol dire però che non è possibile che ci siano altre fonti in quanto come abbiamo visto come con l’accordo è possibile impegnare gli stati in organizzazioni che prevedano strutture verticistiche.

L’accordo ha bisogno di norme che lo governano non solo di norme he rendono obbligatorio. La predisposizione di regole che lo governano che specificano quando si deve intervenire in determinati ambiti etc etc.

Con l’accordo è possibile creare dei procedimenti di produzione di norme ulteriori .

Si ha quindi nel diritto internazionale un capovolgimento del sistema delle fonti rispetto al diritto interno, in quanto, nel diritto interno, soltanto dopo la legge vengono l’accordo e la consuetudine.

Soggetti del diritto internazionale sono gli esclusivmente gli stati, che agiscono reciprocamente su un piano orizzontale, in cui le organizzazione sono governate dagli stati. Il cittadino non fa parte della comunità internazionale. - - - -> (esempio chiaro art 34 Corte Internazionale di giustizia “Solo gli stati……”)

Quindi nel diritto internazionale abbiamo una prevalenza delle fonto piu elementari di produzione del diritto, accordo e consuetudine. Diversamente dalla fonte eteronoma che ha destinatari diversi dai soggetti che li creano (stato- cittadini) nel diritto internazionali gli stessi soggetti che creano le fonti sono anche i diretti destinatari

Solo quindi con l’accordo e la consuetudine gli Stati accettano di impegnarsi su un piano orizzonatale nel rispetto della norma da loro prodotta e accettata(Stati- Produzione norma – Destinatari Stati)

Nessuno può imporre una cosa che uno stato non vuole accettare. L’unico modo possibile quindi sono l’accordo o la consuetudine.

Tuttavia nella consuetudine non è cosi, c’è un’idea di maggioranza quindi un procedimento maggioritario. La consuetudine impone in realtà per effetto di un’accettazione a maggioranza degli stati attraverso un procedimento semplice e alla fine si impone anche per una sua estrinseca ragionevolezza, cioè gli stati l’accettano perché si convincono che sia l’unico modo ragionevole per organizzare la convinvenza cioè avere una vita di relazione ordinata e alla fine è necessario per poter assicurare una convivenza pacifica basata su un nucleo minimo di regole che vengono accetta nell’interesse comune.

Bisogna sottolineare che quasi tutte le norme del diritto internazionale sono di tipo convenzionale e consuetudinario.

I trattati internazionali sono una quantità enorme.

Viceversa gli atti delle organizzazioni internazionale che producono effetti vincolati sugli stati sono pochissimi. Le organizzazioni internazionali in genere o hanno compentenza per emanere raccomandazioni, che hanno carattere di mera esortazione, oppure predispongono progetti di convenzioni internazionali non vincolanti per gli stati che non li accettino.

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In altri casi le organizzazioni internazionali, pochissimi, hanno la possibilità di adottare atti obbligatori (risoluzioni obbligatorie), ovviamente solo per gli stati contraenti l’accordo dell’organizzazione internazionale. (Esempio art 39 e 41 Carta Nazioni unite, gli stati sono obbligati ad accettare ed eseguire le risoluzione del Consiglio di sicurezza)

Gli altri casi sono pochissimi ed esistono meccanismi sofisticati per la produzione di atti vincolanti, aventi competenza tecnica specifica ( esempio i regolamenti dell’organizzazione mondiale della sanità OMS, oppure l’ICAO che può adottare a maggioranza atti che riguardano per esempio le norme di sicurezza negli aeroporti. Questi sono gli unici due casi che possono fare qualcosa in più di una raccomandazione vincolando gli stati aderenti - - - >tecniche per l’approvazione sofisticate richiedono una maggioranza qualificata e dopo essere stati adottati entrano in vigore entro un determinato periodo se la maggioranza degli stati non abbia notificato la propria disapprovazione (RIPUDIARE) Esempio Regolamenti Icao approvati a maggioranza di due terzi degli stati ed entrano in vigore dopo tre mesi,per tutti gli stati, se la maggioranza degli stati non abbiano espresso la volontà di ripudiarle).

20 11 2009

Introduzione e funzioni diritto internazionale

Le fonti fondamentali del diritto internazionale sono la:

- Consuetudine - Accordo

In quanto vi è la mancanza di un organismo al di sopra degli stati che possa fare norme che si impongano agli stati. Il solo modo di creare norme sono procedimenti di tipo consensuale in un società di eguali.

L’accordo è consensuale per eccellenza.

La consuetudine invece presuppone una larga convergenza da parte dei membri della comunità.

Abbiamo visto che CI sono fonti che consistono in atti di tipo normativo ma non soltanto sono rare ma soprattutto sono create da organiz. Internazionale che stanno sotto. Poiché sono prodotte con l’accordo degli stati. Non possono essere considerati come funzione normativa di tipo pubblicistico.

C’è da aggiungere che ovviamente un procedimento di questo genere che presuppone un consenso è piu debole, in quanto è necessario un accordo, accordo che non sempre può essere raggiunto dagli stati. I procedimenti che portano all’accordo sono di esisto incerto.

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E’ possibile trovare delle tecniche che semplicaziono la redazione e stipulazione di accordi internazionale. Per esempio nelle organizzazioni internazionali possono essere inserite delle clausole di revisione non all’unanimità ma a maggioranza, alla base della loro esistenza c’è il consenso unanime degli stati che hanno ratificato l’accordo.

Esempio Onu 108-109 Clausola della maggioranza su procedimento di revisione della carta.

Analisi art 108 Carta Onu

Gli emendamenti al presente statuto entreranno in vigore quando saranno adottatti a maggioranza dai 2/3 delle nazioni unite e dai membri del Consiglio di sicurezza.

Si adotta quindi un testo un emendamento a maggioranza degli stati, è un accordo fra i due terzi. Tuttavia tale accordo ha efficacia anche per i terzi non consenzatienti. Questo tecnicamente è un procedimento che chiamiamo procedimenti derivati dagli accordi e non un eccezione al princio di efficacia dei trattati ai terzi.

(Per fare un esempio se uno pensa alla composizione del consigli di sicurezza

Il consiglio di sicurezza non può decidere niente(sulle questioni di sostanze, su quelle di procedure ci sono regole diverse, se non vi è l’accordo dei 5 stati,membri permanenti con diritto di veto. (russia, cina, francia, inghilterra e usa)

Questa è la dimostrazione di come è diffile l’evoluzione normativa fondata sull’accordo.

Lo stesso vale per la consuetudine come può modificarsi una regola consuetudinarie? Anche qui c’è un problema di ricambio giuridico. Questo campo è particolarmente arduo.

La consuetudine si rileva dai comportamenti concreti e costanti degli stati. Come qualcuno ha detto efficaciemente “Si vede da quello che dicono e quello che fanno, si vede che è accettata perché gli stati la seguono di fatto”.

Come cambia allora la consuetudine?

Inizialmente si realizza un comportamento diverso che potrebbe far sorgere controversie fra gli stati, bisogna vedere come reagiscono gli stati (di fronte all’illecito)nel momento in cui si realizza la consuetudine.

Successivamente passo dopo passo gli stati assumono questo comportamento fino a quando viene sentito giuridicamente rilevante, si allenteranno le controversie e sempre di più gli stati rispetteranno questa consuetudine.

Giurisprudena Italiana:

Quando gli stati agiscono Iura Privatorum nell’esercizio delle funzioni sovrane la regola dell’immunità della giurisdizione non vale più…risentire

Problema del Ricambio del diritto internazionale

In alcuni casi il processo di ricambio della consuetudine può dare luogo a una vera e propria situazione un di stallo. In quanto una regola consuetudinaria e talmente contestata da non potersi più dire che sia effettiva ma una nuova non si è ancora formata in quanto non c’è una sufficiente ampia accettazione perché si possa formare. Il ricambio giuridico con procedimenti di formazine di questo genere è debole

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“Esempio di questa situazione è quello su un aspetto delle regole degli interessi economici degli stranieri.Il dir int consuetudinario contiene delle regole che obbliga gli stati a trattare secondo determinati principi i cittadini stranieri che si trovano sul loro territorio. Riconoscergli delle regole che corrispondono a standard di civiltà giuridica.

Oltre questo ci sono delle regole che riguardano la tutela degli interessi economici degli stranieri. Il problema principale infatti riguarda il tema dell’indennizzo dovuto dagli stati in seguito agli espropi.

Quando erano diffusi i sistemi socialisti o comunisti che non riconoscevano la proprietà privata , questi quando espropriavano la proprietà dei privati lo facevano senza indennizzo, ma una cosa differente era espropriare beni dei cittadini di quello stato un conto invece espropriare beni di stranieri.

(Oggi per esempio in europa il primo protocollo dei diritti dell’uomo contiene una norma che impegna tutti gli stati del Consiglio d’Europa ad un adeguato rimborso, anche nei confronti dei propri cittadini, quando si proceda a espropriazioni della proprietà privata.)

Allora queste regole(indenizzo integrale per l’espropriazione di beni appartenenti agli stranieri) sono state imposte fra la fine del 800 quando gli stati erano pochi e quasi tutto la pensavano nello stesso modo. Sicchè la regola si era facilmente affermata. Tuttavia prima con la formazione dei regimi comunisti poi con la decolonizzazione tale regola fu contestata. Per quanto riguarda i paesi in via di sviluppo(decolonizzati)avanzavano la pretesa di poter espropriare senza indennizzo(sottrazione al princpio dell’indennizzo integrale) per essere risarciti dal dominio economico subito dalle potenze colonozzatrici.

Si ebbe quindi una contestazione collettiva dei nuovi stati contro il diritto internazionale consuetudinario frutto delle decisione dei vecchi stati e dall’altro lato vi fu un rifiuto degli stati occidentali ad accettare la pretesa avanzata dai paesi decolonizzati .

Si è creata una situazione nel quale il diritto internazionale consuetudinario era diventato talmente incerta che era impossible trovare una regola accettata da tutti)”

Quando vi è la mancanza di possibilità di formare una regola consuetudinaria la soluzione è quella di risolvere un determinato problema attraverso l’accordo.

“Ciò (tornando all’esempio dell’indennizzo) ha portato alla creazione di una rete, gigantesca e numerosa, di trattati fra stati in via di sviluppo e stati occidentali e fra gli stessi stati in via di sviluppo nei quali si stabiliscono regole moltre precise in merito al trattamento degli stranieri”

Il diritto internazionale si ricambia, quindi, sia per accordo che per consuetudine.

Qualche volta invece un consuetudine si forma rapidamente con l’accordo unanime degli stati in un tempo brevissimo.

Le difficoltà del ricambio spiegano il perché, dopo la fine dell 2 guerra mondiale, si è sentita l’esigenza di rendere piu certo le norme consuetudinarie del diritto internazionale.

CODIFICAZIONE INTERNAZIONALE

Si sviluppa la codificazione del diritto Internazionale attraverso l’accordo.

Questo perché dopo la seconda guerra mondiale si è creata una struttura tribolare:

- Paesi occidentali- Paesi Comunisti

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- Paesi in via di sviluppo

Era questa struttura tribolare che aveva creato questa difficoltà di accordo sulle regole generali del diritto internazionale.

Allora la soluzione che si trovò fu quella di codificare il dir int consuetudinario attraverso gli accordi.

Esistono oggi tanti accordi di codificazione , la stessa Carta Onu prevede nell’art 13 le modalità di realizzare gli accordi.

La commissione del diritto internazionale, composta da 34 membri di cui all’art 13, predispongono progetti di convenzione per la codificazione del diritto internazionale.Il diritto itnernazionale consuetudinario viene messo per iscritto. Essi potevano non solo riportare nella forma scritta il diritto internazionale ma anche modificarli purchè ci sia accordo fra gli Stati (ex art 13 sviluppo del diritto internazionale).

La Convenzione sul diritto dei trattati, è una convenzione che mette per iscritto le norme consuetudinarie riguardanti il diritto dei trattati.

Oggi la contrapposizione fra stati è minore e quindi la difficoltà di ricambiare le norme giuridiche si è attenuata.

La codificazione del dir inter per accordi ha dei limiti. E’ inutile porre in essere progetti di codificazione quando si sa che una gran parte di stati non accetterà.Prima di tutto è necessario che vi sia una maggioranza di stati, un intento comune altrimenti non si potrà procedere alla compilazione.

Altro limite è quello dell’impossibilità di applicazione degli accordi a stati terzi che non ratificano l’accordo. L’unica possibilità di applicazione a stati terzi è ammessa quando l’accordo di codificazione rifletta inconfutabilmente una consuetudine internazionale.

Altro problema dell’accordo di codificazione del diritto internazionale sta nel limitare lo sviluppo dello stesso diritto consuetudinario. Infatti se da un certo punto di vista migliora il grado di certezza del diritto dall’altro lato questa tipologia di accordi difficilmente si raccorda, una volta codificato, con l’evoluzione del diritto internazionale consuetudinario.

Funzione di accertamento del diritto

E’ facilissimo vedere la differenza fra un ordinamento statale , dove esiste un organizzazione pubblica, e l’ordinamento internazionale, dove non esiste un organizzazione pubblica che gestisce l’accertamento del diritto.

Nel nostro ordinamento interno esistono gli organi di amministrazione della Giustizia per la risoluzione delle controversie. Significa che nell’ordinamento interno i soggetti possono rivolgersi all’autorità giudiziare per la risoluzione delle controversie. (Normativa costituzionale riguardante la giustizia e la magistratura)

Corollario dell’esistenza di questo potere si ritrova nell’art 24 Cost. “ tutti hanno il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”. Quinti tutti i soggetti dell’ordinamento hanno diritto di ottenere giustizia attraverso l’organo giurisdizionale dello stato.

Quindi la giurisdizione è imposta dall’alto, la sua osservanza è obbligatoria, è inderogabile ( o derogabile nella misura in cui la legge lo consente).

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Tuttò ciò non esiste nel diritto internazionale,non c’è un giudice sovraordinato agli stati, il solo modo di risolvere le controversie è lo stesso che c’è per creare le norme giuridiche l’accordo fra gli stati.

L’accordo è la base di tutti i procedimenti di risoluzione delle controversie. Inoltre attraveso l’accordo è possibile istituire procedure molto complosse per la risoluzione delle controversie.

Conl’accordo gli stati, prima ancora di istituire un procedimneto di risoluzione delle controversie, possono risolvere la controversia direttamente.

Un accordo può contenere norme materiale, che risolvono materialmente la lite, oppure norme di creazione di procedure.

Un esempio di risoluzione diretta tramite accordo è il caso:

- Austra - Italia sul trattamento delle minoranze etniche di lingua tedesca, (accordo gruber- de gapseri) l’italia si impegnava a trattare le minoranze di lingua tedesca in un determinato modo

Questo tipo di accordo di risoluzione della controversia somiglia a un atto di diritto interno:

- La transazione 1085 cc, contratto attraverso il quale le parti facendosi reciproche concessione pongono fine alla controversia sorta fra di loro o prevengono una controversia che potrebbe sorgere fra di loro.

L’accordo materialmente risolutivo della controversia ha come risultato che la funzionadi produzione di norme e la funzione di accertamento delle controversie diventano indistinguibili perché le parti della controversia sono gli stessi che creano la norma che risolve la controversia. Poiché il monopolio sia dell funzione normativa sia di accertamente del diritto è nelle mani dei soggetti di base dell’ordinamento internazionale

La seconda possibilità è quella di istituire procedimenti di risoluzione delle controversie, l’accordo pone in questo caso norme strumentali. Perché istituisce un procedimento.

Per esempio procedimenti che prevedono la creazione del tribunale internazionale per la risoluzione delle controversie.

A monte del funzionamento di qualsiasi tribunale internazionale c’è sempre il consenso degli stati mentre non è cosi negli ordinamenti interni dove i soggetti sono obbligatoriamente subordinati agli organi di giustizia.

26 11 2009

PRODUZIONE DELLE NORME GIURIDICHE NEL DIRITTO INTERNAZIONALE

Si parla in quest’ambito delle “garanzie di accertamento” e quindi dei procedimenti di soluzione delle controversie.

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Ci sono delle differenze profonde rispetto al modo di essere e di funzionare degli ordinamenti giuridici interni, perché negli ordinamenti giuridici interni esiste una funzione pubblica e giurisdizionale che si impone ai soggetti di base dell’ordinamento (chiunque può agire in giudizio contro una persona nei confronti della quale rivendica delle pretese).

Nel diritto internazionale invece, mancando un giudice o un’autorità analoga sovraordinata agli stati, la soluzione delle controversie può avvenire nell’unico modo in cui è previsto per un sistema giuridico di tipo piatto e cioè essenzialmente con l’ACCORDO delle parti.

Tutti i mezzi di soluzione delle controversie che esistono nel diritto internazionale che sono molto articolati e sofisticatissimi si basano sul consenso delle parti. Se non c’è accordo non c’è possibilità di risolvere nessuna controversia. Gli accordi con i quali le parti risolvono le controversie possono essere di carattere materiale, cioè possono contenere una regolamentazione concreta del problema per il quale gli stati avevano una divergenza.

Dicevamo già l’altra volta che non c’è differenza tra la produzione di norme e la funzione di garanzia, di accertamento perché gli stati creano essi stessi la norma attraverso il loro accordo.

Quando però si parla di mezzi di risoluzione delle controversie ci si riferisce ad ipotesi diverse. Abbiamo visto per l’accordo risolutivo delle controversie tra gli stati somigli a quello che nel diritto interno è la transazione tra le parti private di una controversia. Ci si rifà a tribunali, ad organi di natura non necessariamente giudiziaria i quali possono rendere una sentenza che risolva obbligatoriamente la controversia per le parti.

Questa possibilità nel diritto internazionale esiste sempre purché alla base ci sia l’accordo.

La soluzione di una controversia da parte di un tribunale internazionale somiglia molto più che alla soluzione di una lite da parte di un tribunale dello stato piuttosto a quello che nei rapporti tra privati è l’ARBITRATO. L’arbitrato si basa su un accordo e, lungi dall’essere in una posizione sovraordinata agli stati e avere cioè la IURISDICTIO (l’autorità a pronunciare una sentenza), è un mandatario delle parti.

Nel diritto internazionale abbiamo una serie di situazioni di questo tipo; quando nasce l’accordo tra le parti per risolvere una controversia, dal punto di vista tecnico, si dice che creano una norma strumentale (cioè l’accordo, invece di contenere una norma materiale, –un trattato di pace con cui gli stati regolano i loro rapporti è un accordo che contiene materialmente una soluzione delle controversie quindi crea norme materiali- istituisce un procedimento di soluzione quale che sia il tipo di procedimento.

La norma strumentale è la norma che attribuisce ad un organo creato apposta o già preesistente la competenza ad esaminare la controversia e a pronunciarsi in merito. Vi sono anche mezzi di soluzione delle controversie che non hanno esito obbligatorio.

Bisogna distinguere nel diritto internazionale tra due categorie:

-MEZZI GIUDIZIARI

-MEZZI DIPLOMATICI

Un elenco di questi mezzi è presente nell’articolo 33 della Carta delle Nazioni Unite. La C.N.U. contiene addirittura un obbligo per gli stati di risolvere pacificamente le controversie anche se quest’obbligo è limitato a quelle controversie di tale entità da creare un pericolo per la pace e la sicurezza internazionale (art. 2 §3… “i membri delle Nazioni Unite, entrando a far parte delle N.U. si obbligano a risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici in modo che la pace e la sicurezza internazionale e la giustizia non siano messe in pericolo”.

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Ci sono interpretazioni larghe secondo cui quest’obbligo risolverebbe qualunque controversia anche quella di minore entità, ma probabilmente non è così.

La pace è vista come un bene indivisibile quindi è interesse di tutti gli stati membri perseguirla e mantenerla.

Del resto anche “il patto della società delle nazioni” creato subito dopo la 1° guerra mondiale prevede un obbligo dello stesso genere (si parla di controversie che creano una rottura).

L’art. 33 specifica questo obbligo generale indicando, anche se in maniera non esaustiva, i mezzi principali di soluzione delle controversie noti alla pratica dei rapporti internazionali;

Art. 33….. “Le parti di una controversia la cui continuazione sia suscettibile di mettere in pericolo il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale devono anzitutto perseguire una soluzione mediante…..” e segue l’elenco che prevede “…negoziati, mediazione, conciliazione, arbitrato, regolamento giudiziale, commissioni d’inchiesta, ricorso ad organizzazioni o accordi regionali, o altri mezzi pacifici di loro scelta”. Sancisce quindi la libera scelta dei mezzi e quindi le parti non sono solo libere di accordarsi o no, ma sono anche libere di accordarsi con un mezzo qualunque. I mezzi internazionali delle controversie hanno esito VINCOLANTE.

A volte gli stati si assumono degli obblighi più penetranti di quelli previsti accettando di ricorrere ad organi di giustizia internazionali.

Esistono vari tribunali internazionali; la più importante è la CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA definita dall’art. 7 come uno degl’organi principali delle Nazioni Unite. E’ in sostanza successore, popola 2° guerra mondiale, della Corte permanente di giustizia internazionale

(anche lo statuto è simile)con sede all’Aia.

Oltre alla possibilità di tribunali permanenti ce ne sono altri a competenza specializzata come ad esempio il TRIBUNALE INTERNAZIONALE DEL DIRITTO DEL MARE , tribunale a cui può avere accesso ogni singolo individuo ( ma questo non vuol dire che l’individuo è soggetto del diritto internazionale. L’individuo può agire ad esempio per la violazione di diritti fondamentali; – c’è a Strasburgo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo alla quale l’individuo può rivolgersi a certe condizioni- Vediamo però che l’individuo è soggetto solo nell’ordinamento interno dell’organo senza assorgere alla soggettività internazionale che non ha.

Ci sono anche tribunali interni in cui l’individuo si presenta in veste di imputato, tribunali penali interni che sono stati creati per i crimini commessi nella ex Jugoslavia, in Ruanda, ecc.

Nella Corte Internazionale di Giustizia, e più precisamente nello statuto annesso alla Carta delle Nazioni Unite l’art. 36… “La competenza della Corte si estende a tutte le controversie che le parti sottopongono ad essa e a tutti i casi specialmente previsti oltre che dallo statuto delle N.U. dai trattati e dalle convenzioni in vigore”. Quindi occorre un trattato, una convenzione, un accordo tra le parti o le parti devono accordarsi per sottoporre la controversia alla Corte (art.36).

Art. 37… “Quando un trattato o una convenzione vigente prevede il deperimento di una questione ad un tribunale per istituirsi della Società delle Nazioni oppure alla Corte Permanente di Giustizia Internazionale (cioè i vecchi trattati che quando venne liquidata la società prevedevano l’obbligo degli stati di sottostare alla competenza della Corte Permanente di Giustizia Internazionale).

Art 47… “Oramai dato che è stato istituito della Corte di Giustizia Internazionale questi vecchi accordi sono riferiti alla competenza internazionale di giustizia”.

Non basta che gli stati abbiano ratificato lo statuto ed essere parte dello statuto della corte perché ci sia l’obbligo di sottostare alla giurisdizione della corte, occorre ancora che ci sia un accordo ad hoc –

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per esempio un compromesso a lite iniziata o una clausola compromissoria contenuta in un trattato-. Quindi ci vuole sempre un accordo tra gli stati altrimenti non è possibile rivolgersi davanti alla Corte Internazionale di Giustizia.

Questo è il concetto di ARBITRATO nel diritto interno. Anche se ci troviamo davanti ad un tribunale permanente il consenso deve sempre essere manifestato. E’ anche possibile, come può succedere per i privati nel diritto interno, che gli stati invece di decidere di risolvere di comune accordo una controversia davanti alla Corte Internazionale di Giustizia creino un organo arbitrale ad hoc, così come i privati possono creare un tribunale arbitrale per risolvere una sola controversia; quindi c’è un tribunale permanente oppure c’è l’arbitrato così detto ISOLATO, cioè che funziona una volta per tutte, e ci sono precedenti in materia, ci sono anche tribunali arbitrali che sono stati creati ad hoc per risolvere una serie di controversie -per esempio quando ci fu la famosa crisi degli ostaggi dell’ambasciata americana in Iran (1980-81). All’epoca della rivoluzione dell’Ajatollà ci fu l’occupazione dell’ambasciata americana a Teheran da parte di sedicenti studenti islamici. La occuparono sequestrarono tutto il personale dell’ambasciata. Da questo fatto nacque una controversia tra Iran e Stati Uniti perché questi signori erano sostenuti dalle stesse autorità di governo. Tant’è vero che le autorità di governo dopo un primo periodo di occupazione dichiararono di approvare e di far propria l’iniziativa che era stata presentata in un primo momento come un movimento spontaneo, di piazza . Questo sequestro durò a lungo; ci fu quindi una grave violazione dei diritti fondamentali da parte dell’Iran nei confronti degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti avevano reagito; avevano adottato delle misure, per esempio avevano bloccato tutti gli averi iraniani nelle banche USA, avevano bloccato il commercio, quindi avevano adottato alcune misure di reazione. Quando poi si arrivò ad una collisione le parti stipularono un accordo ad Algheri con il quale crearono un tribunale ad hoc per risolvere tutto il complesso delle controversie che nascevano dalle varie misure reciprocamente adottate. Perché tutte queste misure di carattere finanziario applicate nei rapporti tra due stati piuttosto grandi, quindi con molti interessi, avevano dato luogo ad una serie di reclami. Questo tribunale sta ancora oggi lavorando, non ha del tutto esaurito la sua attività.

In altri casi si può creare un tribunale arbitrale per un singolo caso (per esempio nel caso della nave di Greenpeace che pattugliava i mari dell’Oceano Indiano nella zona Australe. La Francia faceva degli esperimenti nucleari in quella zona che erano considerati pericolosissimi per l’ambiente tant’è vero che ci furono iniziative dall’Australia e dalle isole Fiji. Il governo francese allora mandò dei sommozzatori dei servizi segreti che eliminarono questa nave facendola esplodere in un porto neozelandese. Così violarono una sovranità neozelandese uno stato infatti non può andare a far esplodere navi in stati stranieri. Nacque una controversia che è stata risolta con un tribunale ad hoc creato dalle parti).

Esistono quindi una pluralità di tribunali internazionali; a differenza del diritto interno però questi tribunali non hanno nessun rapporto giuridico tra di loro. Sono separati perché ognuno è stato istituito con un accordo che produce effetti solo tra le parti, che non crea diritto internazionale generale quindi non è in grado di organizzare una funzione generale dell’ordinamento. Quindi non esiste un apparato giudiziario internazionale come esiste negli ordinamenti interni. Questo vuol dire che i possibili conflitti di competenza tra i tribunali internazionali non sono come i conflitti che ci possono essere in uno stato tra per esempio competenze territoriali. In Italia in questo caso si va dalla Cassazione dove un giudice di grado superiore che decide a quale dei giudici facenti parte del medesimo apparato, del medesimo sistema istituzionale e giudiziario spetta la competenza. Invece nel diritto internazionale ogni ipotesi di conflitto di competenza tra tribunali si risolve con un conflitto di competenza tra accordi internazionali. Ci sono talmente tanti accordi internazionali multilaterali e bilaterali che si intersecano tra di loro che non è raro che esistano delle ipotesi di conflitto (uno stato per esempio può essersi assunto un impegno internazionale con un altro stato e poi con altri stati ancora ha assunto un impegno incompatibile con l’altro; allora c’è bisogno di trovare delle soluzioni) Quindi i conflitti tra tribunali internazionali sono conflitti tra gli accordi che li hanno istituiti. A volte sono gli stessi accordi a prevedere delle possibilità di soluzione. Per esempio possono contenere delle CLAUSOLE di

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PREVALENZA o di SUBORDINAZIONE. (Per esmpio il Tribunale Internazionale del Diritto del Mare che è previsto dalla convezione delle Nazioni Unite contiene una norma che è una clausola di compatibilità: “Se gli stati contraenti che sono parte di una controversia hanno concordato nell’ambito o di un accordo generale, o regionale, o bilaterale tra di loro, o in altro modo che tale controversia debba essere sottoposta ad una procedura che conduce ad una soluzione obbligatoria, tale procedura si applica in luogo delle procedure previste nella presente parte della convenzione …”. In sostanza le parti si sono assunte un obbligo di risolvere con determinati procedimenti le controversie relative all’interpretazione e all’applicazione del diritto del mare. Se però hanno assunto un altro obbligo con un altro accordo allora l’altro accordo prevale. Quale potrebbe essere l’ipotesi? L’ipotesi la troviamo per esempio riguardo alla competenza della corte di giustizia delle comunità europee che risolve anche controversie tra gli stati membri relativi ai trattati istitutivi della comunità. Nell’attuale nuova numerazione che è quella del trattato dell’UE, sul funzionamento dell’unione l’art 344 stabilisce: “Gli stati membri si impegnano a non sottoporre una controversia relativa all’interpretazione e all’applicazione dei trattati a un modo di composizione diverso da quelli previsti dal trattato stesso”. Quindi dice che la competenza della Corte di Giustizia prevale su qualsiasi altra. Questa tecnica di CLAUSOLE di SUBORDINAZIONE o di COMPATIBILITA’ è una tecnica tipica di soluzione di conflitti tra accordi internazionali. Si usa in tutti i campi. C’è stato un caso tra Gran Bretagna e Irlanda nel quale la controversia nasceva dal fatto che l’Irlanda accusava la GB di inquinare il mare danneggiandola. Allora siccome ci sono da una parte competenze in materia ambientale del diritto comunitario e dall’altra problemi del diritto del mare si poteva ricorrere all’una e all’altra disciplina. L’Irlanda aveva deciso di ricorrere al diritto del mare però la commissione dell’UE avviò una procedura di infrazione nei confronti dell’Irlanda che avrebbe dovuto rivolgersi per forza alla Corte di Giustizia. Art 344 “Gli stati si impegnano a non rivolgersi ad altri tribunali”. Questo è un esempio di come sia diversa la situazione tra il diritti internazionale e il diritto interno. Nel diritto interno se c’è un conflitto di competenza tra due tribunali c’è un giudice superiore che lo risolve. Qui non c’è un apparato, un sistema giudiziario. Questo vuol dire anche che la cosa giudicata quando un tribunale internazionale ha deciso non è un giudicato come nel diritto interno (c’è qui differenza tra GIUDICATO SOSTANZIALE e FORMALE. Il giudicato sostanziale è una sentenza obbligatoria; il giudicato formale non è più soggetto a mezzi di impugnazione o di ricorso. Invece qui mezzi di impugnazione e di ricorso non ci sono perché ogni tribunale sta per proprio conto.

Questa è la struttura del diritto internazionale dal punto di vista delle risoluzioni delle controversie. La soluzione delle controversie è tendenzialmente arbitrale . E’ possibile anche che il tribunale possa essere adito UNILATERALMENTE da uno stato. Quindi ci troviamo in una situazione un po’ diversa da quella dell’ARBITRATO perché nell’arbitrato le parti hanno stipulato un accordo e quindi di comune accordo deferiscono la controversia al giudice internazionale. Questo però distingue, come nel diritto interno, l’arbitrato dall’azione di giustizia davanti al giudice dove non c’è bisogno di accordo. Il diritto internazionale con il passare del tempo ha creato una serie di procedimenti molto sofisticati di giustizia internazionale per cui la possibilità di ricorrere a tribunali internazionali su ricorso unilaterale esiste anche nel diritto internazionale; però la situazione continua ad essere molto diversa da quella degli ordinamenti statali. Si presuppone sempre l’accordo. Cioè così come gli stati possono obbligarsi con una clausola compromissoria contenuta i un trattato “ tutte le controversie relative all’interpretazione a all’applicazione del presente trattato ci obbligheranno a sottoporle all’arbitrato”. Questo significa che ci siamo obbligati quando sorge la controversia a stipulare un compromesso e qualche volta si prevede addirittura nel caso in cui uno dei due stati pur non essendo obbligato faccia l’ostruzionista riferendo di aver torto quindi non vuole stipulare il compromesso, si possono stabilire dei modi per sbloccare la situazione oppure per esempio si rifiuta di designare l’arbitro di parte che ha diritto di designare; il compromesso può essere redatto da una terza istanza imparziale ad esempio il presidente della Corte Internazionale di Giustizia, o il segretario generale delle Nazioni Unite esattamente come avviene nel diritto interno. Se una parte rifiuta di nominare l’arbitro lo nomina lui. Ci sono gli stessi mezzi però il presupposto è che comunque l’obbligo era stato assunto al momento del trattato. Ora se è vero che al momento del trattato si può assumere l’obbligo di stipulare di comune accordo un compromesso si può anche assumere l’obbligo, se esiste un tribunale permanente come la

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Corte Internazionale di Giustizia e gli altri che abbiamo indicato, di accertare che alla corte possa rivolgersi uno stato unilateralmente quindi in questo caso si ha uno stato attore ed uno stato convenuto come nel processo interno; mentre nell’arbitrato non c’è un attore e un convenuto perché la controversia viene sottoposta agl’arbitri di comune accordo quindi abbiamo una forma che sotto il profilo dell’instaurazione del procedimento somiglia molto al processo interno però alla base c’è sempre il consenso e quindi questo distingue la situazione. Nel processo interno l’attore non ha bisogno di chiedere al convenuto se è d’accordo o no ad andare dal giudice oppure non c’è bisogno di chiedere all’imputato se è d’accordo o no ad essere processato. Nel diritto internazionale questa necessità esiste sempre. Questo procedimento più sofisticato si chiama REGOLAMENTO GIUDIZIARIO della controversia (al fianco dell’arbitrato). L’art 80 della Costituzione menziona il regolamento giudiziario quindi indica tra le categorie dei trattati più importanti che possono essere ratificate dall’Italia soltanto previa legge di autorizzazione delle Camere quando si tratta di assumere impegni particolarmente importanti per lo stato italiano; in quell’elenco che contiene l’art 80 Cost. è indicato appunto i trattati che prevedono obblighi di arbitrato o di regolamento giudiziario . Regolamento giudiziario è un’espressione ellittica che va completata con “di controversie”. Si parla di regolare controversie in via giudiziaria. Che differenza c’è tra arbitrato e regolamento giudiziario? Nell’arbitrato ci vuole un accordo per deferire la controversia al giudice internazionale, nel regolamento giudiziario so abbraccia un’iniziativa unilaterale.

Il consenso: art. 36 §2 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia: “ Gli stati davanti al presente statuto possono in ogni momento dichiarare di riconoscere come obbligatorio ipso facto e senza SPECIALE CONVENZIONE (cioè compromesso) nei rapporti con qualsiasi altro stato che accetti la medesima obbligazione la giurisdizione della corte su tutte le controversie giuridiche concernenti …” e seguono A B C D controversie giuridiche (o l’interpretazione di un trattato,o qualsiasi questione di diritto internazionale o l’accertamento delle responsabilità di uno stato per la violazione di un obbligo internazionale, ecc). Quindi ci vuole una dichiarazione unilaterale che ogni stato è libero di rendere (nessuno lo obbliga). Ci vuole una dichiarazione resa da uno stato che dichiara di riconoscere, su base reciproca, perché dice : “nei confini di ogni altro stato che abbia a sua volta resa la medesima dichiarazione …” in questo modo è possibile una volta che sia stata resa questa dichiarazione che uno stato unilateralmente ne convenga un altro davanti alla Corte Internazionale di Giustizia. Quindi siamo davanti ad una situazione che come modalità di istituzione di giudizio ricorda la giustizia ordinaria, quella che consente, davanti ai giudici degli stati, ma se ne distingue profondamente perché ha sempre alla base il consenso. Il che significa anche che si tratta di una fonte che crea l’obbligo che è subordinata all’accordo perché il carattere obbligatorio che ha ogni stato di questa sua dichiarazione unilaterale nei confronti degl’altri dipende da un accordo.

L’art 36 che prevede questa obbligatorietà. Mentre nel diritto interno non c’è bisogno di accordo ma c’è una norma di legge che sottopone coattivamente, anche chi non vuole essere sottoposto alla giurisdizione del giudice, lo rende soggetto alla giurisdizione. Questo tipo di accordi, di dichiarazioni bilaterali, sono rese da alcuni stati e da altri no. L’Italia, ad esempio, non ha mai voluta accettare la giurisdizione con rinvio bilaterale della corte sulla base di questo meccanismo. Ci sono stati che l’avevano accettata e poi hanno revocato la loro dichiarazione perché non erano contenti di come la corte si era comportata. Lo avevano fatto gli Stati Uniti e la Francia negl’anni 70 e 80 e da allora non sono rientrati più. Ci sono paesi che non l’hanno mai voluto accettare per esempio l’Unione Sovietica che era in una posizione di isolamento rispetto al diritto internazionale. In questo momento, con dati del 2008, possiamo dire che le clausole di questo tipo erano sessantasei, circa un terzo degli stati membri della comunità internazionale hanno accettato la competenza della corte, gli altri due terzi non l’hanno voluta accettare. Queste dichiarazioni di accettazione possono essere sottoposte a riserve. Per esempio uno stato che ha una materia che per lui è sensibile, in cui non è disposto ad accettarne obblighi di giurisdizione perché preferisce non rischiare di andare ad un giudice internazionale che potrebbe dargli torto e magari far valere le proprie pretese in sede politica. Può fare una riserva e le riserve hanno un effetto di moltiplicazione perché siccome ogni dichiarazione bilaterale produce effetti nei confronti degli stati che hanno eccettuato lo stesso obbligo (se io faccio una riserva e quindi

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eccettuo alcune categorie di controversie, per esempio categorie nate prima di una certa data alla mia dichiarazione di accettazione, anche la controparte la può far valere per reciprocità; soltanto si deve avere il minimo comun denominatore nelle clausole di accettazione comprese le riserve che quelle clausole contengono). Alcune volte sono state escogitate delle fantasie dei giuristi o dei diplomatici delle riserve che avevano come conseguenza di unificare in parte l’?????????????? del contenuto dell’obbligo . La più famosa di tutte è il c.d. Connaly emendament dal nome del senatore degli Stati Uniti che quando gli Stati Uniti resero questa dichiarazione di accettazione propose questo emendamento. C’è una riserva autentica; la riserva diceva: “gli Stati Uniti accettano di sottoporsi alla giurisdizione della Corte Internazionale di Giustizia con l’eccezione però di quelle controversie che a giudizio degli stessi Stati Uniti non della corte riguardano materie che sono di esclusiva competenza interna degli Stati Uniti su cui quindi non hanno obblighi internazionali”. Era quindi in sostanza un modo di accettare apparentemente in qualche maniera la giurisdizione. Questa Connaly emandement piacque a molti stati perché in quest’anni molti stati resero una dichiarazione di questo tipo della quale è possibile dubitare la compatibilità con lo statuto delle carte. Non soltanto perché se uno statuto dice “io accetto un obbligo però sempre con la possibilità di giudicare con un giudizio che in realtà l’obbligo non esiste”. E’ un modo di rendere dubbio che l’obbligo sia stato effettivamente accettato. E’ anche dubbia la compatibilità con lo statuto della corte perché l’ultimo paragrafo (n° 6) dell’articolo 36 stabilisce un principio che vale per qualunque tribunale anche arbitrale sia interno che internazionale. E’ un principio generale del diritto processuale e cioè il principio che l’organo di giustizia è competente a valutare se è competente a valutare quella controversia: “in caso di contestazione sulla competenza della corte la corte decide”. Invece qui alla corte viene sottratto il diritto di decidere perché la stessa parte che ha accettato di sottoporsi alla sua giurisdizione dice che a suo giudizio deve decidere se una materia rientra o no nelle sue competenze interne. Che vuol dire competenza interna? Vuol dire che la materia in cui gli stati non hanno obblighi internazionali, in cui né il diritto internazionale né gli altri stati né gli organi internazionali di qualsiasi natura hanno il diritto di interloquire perché sono affari interni dello stato. Gli Stati Uniti quindi si riservarono la facoltà di essere giudici essi stessi dell’obbligo. Però siccome per giudicare gli obblighi c’è una corte ed è evidente che è discutibilissima l’efficacia di una dichiarazione di questo tipo. Gli Stati Uniti pio nel 1986, in seguito ad una controversia con il Nicaragua in cui contestavano la competenza della Corte, la Corte dichiarò di essere competente e che gli Stati Uniti non avevano ragione. Il risultato fu che gli Stati Uniti si rifiutarono di presenziare il processo davanti alla Corte e revocarono la loro clausola di accettazione della pretendendo che la revoca avesse effetto già nel processo in corso (che ovviamente non era possibile, sarebbe stata retroattiva, cioè dopo che c’era stata la richiesta davanti alla Corte del Nicaragua). Tutto questo per farvi vedere come nonostante la creazione di procedimenti di soluzione delle controversie molto sofisticate il risultato è che il funzionamento della giustizia internazionale è debole. Come abbiamo visto l’altra volta per quello che riguarda le fonti che sono tutte fondate su procedimenti di tipo autonomo (consuetudine o accordo) abbiamo visto come è difficile il ricambio motivo del diritto internazionale rispetto al diritto statale se non c’è un parlamento che fa le leggi obbligatoriamente per tutti. Quindi con il potere di imporle, lo stesso succede per la giustizia internazionale. Il diritto internazionale si basa sull’accordo e non ha il potere di imporsi agli stati. Per descrivere meglio i caratteri della giustizia internazionale ho scelto un esempio di compromesso che è abbastanza interessante per far vedere questa differenza che in sostanza esiste; per cui mentre negli ordinamenti giuridici interni siamo abituati a pensare che il giudice sta al di sopra delle parti e le parti sono sottoposte all’autorità del giudice in quanto organo pubblico incaricato della funzione pubblica mentre nel tribunale internazionale è uno strumento creato dagli stati con un trattato che funziona come base consensuale e rispetto al quale gli stati si trovano in una posizione di poterne anche rispondere fino ad un certo punto del processo giudiziario. E’ chiaro che un tribunale internazionale permanente come la Corte Internazionale di Giustizia ha delle sue regole di procedura (norme generali che stabiliscono la loro competenza che poi la corte stessa ha il potere attribuito dal trattato che la istituisce di crearsi un regolamento con il quale stabilisce le sue regole procedurali).

Un buon esempio di compromesso con il quale gli stati hanno deferito una controversia ad un tribunale per far vedere questi elementi di diversità tra la giustizia internazionale e la giustizia interna

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è una controversia famosa che riguardava la delimitazione della Piattaforma Continentale nel Mare del Nord che venne portata da tre stati davanti alla Corte Internazionale di Giustizia nel 1969 i quali stati erano la Danimarca, la Germania e l’Olanda. Allora vennero fatti una coppia di compromessi. Un compromesso tra Germania e Olanda da una parte e dall’altra tra Germania e Danimarca. Questi due compromessi erano identici. La controversia riguardava la delimitazione della piattaforma continentale . Ma che cosa è la piattaforma continentale? E’ quella specie di zoccolo sul quale i continenti e buona parte delle terre emerse. Quando finisce la terra non sprofondano direttamente nel mare, negli abissi marini ma esiste una specie di zoccolo o piattaforma continentale , un’area di fondo marino che digrada lentamente e ad un certo punto sprofonda veramente. In questo zoccolo che quindi non ha grande profondità ma può avere estensione geografica variabile. Ci sono piattaforme marine di centinaia di miglia marine e altri di più piccole dimensioni. Questa piattaforma continentale è sfruttabile economicamente per quelle che sono le risorse del sottosuolo marino. E allora a partire da una certa epoca non appena è stato possibile questo sfruttamento che nella parte più importante riguarda il petrolio gli stati hanno cominciato ad avanzare delle pretese economiche su questi spazi sottomarini perché mentre l’estensione territoriale del mare territoriale degli stati che ormai è fissata per regole consuetudinariamente accettata da tutti gli stati in dodici miglia marine. Se fossero acque internazionali sarebbero soggetta alla concorrente utilizzazione di tutti gli stati, perché non sono di nessuno. Gli stati a poco a poco hanno affrontato delle pretese che poi sono state accettate consuetudinariamente e alla fina anche regolate da convenzioni internazionali sul diritto delle norme prima della convenzione delle Nazioni Unite di Ginevra del 1958 e poi successivamente regolate di nuovo dalla nuova convenzione generale del diritto del mare che è la convenzione di Montego Bey del 1982, quella di cui parlavamo poco fa, è stato accettato il principio di una estensione del potere dello stato costiero, il potere esclusivo di utilizzare, di sfruttare quante risorse anche al di la dei limiti delle acque territoriali. Quindi in acque che sono internazionali sotto il profilo della libertà di navigazione, anche con qualche eccezione, ma appartengono allo stato. Uno dei fronti di controversia di questa materia riguarda gli stati, riguarda la delimitazione della piattaforma tra stati che si fronteggiano e stati che sono limitrofi perché in certi casi l’estensione massima della piattaforma è tale che (oppure le sinuosità delle coste rispettive, oppure la presenza di isole di uno stato più vicino alla costa rispetto all’altro) rendono poco chiaro il problema della delimitazione. Il mare del nord per esempio è una zona in cui è possibile estrarre il petrolio nel sottosuolo marino. Quindi si tratta di una controversia molto importante. Ora se pensate un attimo all’andamento, ala struttura in quella zona del mare del nord vi verrà facile vedere che la Germania è piuttosto svantaggiata rispetto agli altri due paesi perché sia la costa della Danimarca che quella dei Paesi Bassi è sporgente mentre quella tedesca è rientrante. E allora quando fu fatto il primo discorso di codificazione per vie di accordo internazionale del diritto del mare che fino ad allora era diritto consuetudinario non scritto venne introdotta nella convenzione di Ginevra del 1958 (ci sono quattro convenzioni di codificazioni di Ginevra; una delle quattro riguardava la piattaforma continentale che era un problema nuovo perché questo sviluppo del diritto internazionale di questa materia è cominciato dopo la seconda guerra mondiale quando appunto si è intravista la possibilità con l’accrescersi delle risorse tecnologiche di poter sfruttare il fondo dei mari dal punto di vista economico. E allora questa convenzione del ’58 aveva stabilito un principio, il principio così detto dell’equidistanza cioè diceva che se c’è conflitto tra gli stati, che si fronteggiano o sono limitrofi, per la delimitazione della piattaforma continentale gli stati dovrebbero risolvere questa controversia per via di accordo e questo si può fare sempre. In caso di mancanza di accordo c’è un criterio che il diritto internazionale generale, secondo la convenzione di Ginevra, stabiliva che è quello dell’equidistanza). Per delimitare le rispettive aree e quindi per determinare un confine vero e proprio marittimo e non terrestre bisognava tracciare una linea retta i cui punti fossero tutti equidistanti dal punto più vicino della costa di uno stato e dell’altro. Una retta che seguisse in sostanza le sinuosità della costa. Queste sinuosità si seguono dalle così dette linee di base del mare territoriale. Il mare territoriale ha una lunga estensione di dodici miglia a partire dalla costa però siccome le coste hanno delle sinuosità ci sono prima del mare territoriale delle aree ancora più vicine alle coste che sono quelle che si dicono “acque interne” delle quali ogni stato può tracciare unendo i punti di sporgenza più vicini delle linee che si chiamano appunto linee di base ed è da quella linea che si collocano le dodici miglia. Ci sono le differenze del regime giuridico del mare territoriale, ad esempio esiste il

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diritto di transito inoffensivo delle navi appartenenti agli altri stati quindi hanno il diritto di attraversarle, anche addirittura i sottomarini. Nelle acque interne non c’è il diritto di transito. Insomma c’è una regolamentazione diversa. A partire dalle linee di base viene calcolata l’equidistanza per il criterio stabilito dalla convenzione di Ginevra che quindi voleva codificare il diritto internazionale del mare che era consuetudinario, non scritto ma aveva anche come obiettivo lo sviluppo progressivo quindi introduceva anche delle norme nuove. Questa convenzione era stata ratificata da un certo numero di stati (una cinquantina). Molti altri non l’avevano voluta ratificare, quelli a cui non conveniva questo sistema. Sicché la questione di sapere se il criterio della delimitazione della piattaforma fosse un criterio che rispecchiava il diritto consuetudinario e che quindi era opponibile anche agli stati non parte della convenzione perché era una consuetudine che vale per tutti. Quello che era successo era questo: i Paesi Bassi e la Danimarca rispettivamente avevano ratificato la convenzione perché a loro andava bene così. Alla Germania andava malissimo perché avendo bene in mente la conformazione della costa la fetta spettante alla Germania si restringeva a favore dei Paesi Bassi e della Danimarca. E quindi P.B. e D. che erano stati più piccoli, di minore importanza economica si prendevano quasi tutto il petrolio. Allora avevano deciso di risolvere pacificamente la loro controversia andando diritti alla Corte Internazionale di Giustizia. Allora le parti, dato che si trattava di un compromesso non di un ricorso unilaterale, non di un regolamento giudiziario, hanno deciso di fare due compromessi dallo stesso identico contenuto. Questa sentenza occupò più di duecentocinquanta pagine (però siccome è in due lingue_ inglese e francese_ sarebbe in realtà della metà). Il ministro degli affari esteri dei Paesi Bassi invia una lettera il 16 febbraio1967 al cancelliere della Corte con la quale gli comunica l’esistenza di un esemplare originale di un compromesso firmato tra Paesi Bassi e Germania che sottopone alla Corte una controversia tra di loro e di uguale stesura( per Germania e Olanda). Sono due controversie parallele. E poi un esemplare originale di un protocollo (si intende un trattato che è appendice di un altro trattato, una specie di allegato) che definisce degli aspetti di dettaglio. Firmato dai tre governi. Un esemplare originale di protocollo firmato nel febbraio del ’67, firmato dai tre governi, relativo a certe questioni di procedura sollevate dai due compromessi che sono identici e cambia solo il nome delle parti. Art.1 : “La Corte Internazionale di Giustizia è pregata di risolvere la questione seguente: quali sono i principi e le regole del diritto internazionale applicabile alla delimitazione tra le parti delle zone di piattaforma continentale dell’aria del nord spettanti a ciascuna di esse al di la della linea di delimitazione parziale”. Le parti avevano fatto provvisoriamente un accordo (due anni prima) per cominciare a sfruttarlo in attesa dell’autorizzazione. §2 : “I governi del regno di Danimarca per la repubblica federale e nell’altro compromesso generico per i Paesi Bassi e la Repubblica federale delimitando la piattaforma concluso conformemente per via di accordo alla decisione domandata alla Corte Internazionale di Giustizia”. Vuol dire che gli stati non dicono alla corte “noi stiamo litigando, non siamo d’accordo sulla delimitazione, fai una sentenza e decidi quello che spetta a me e quello che spetta alla mia controparte; no, tu devi solo dire quali sono i principi e le regole del diritto internazionale applicabili, poi provvederemo noi per via di accordo a risolvere la controversia rispettando i principi”. In sostanza domandano alla Corte, cosa che non sarebbe di certo possibile davanti al giudice statale, di risolvere non la controversia ma un elemento della controversia. Si è in disputa sui principi giuridici applicabili, la corte deve indicare quali sono i principi giuridici e la controversia viene risolta dalle parti per via di accordo. Come si vede è una cosa tipica di un compromesso , questo potrebbero farlo anche le parti private che si rivolgono all’arbitro ma non se si rivolgono al giudice statale che ha il suo Codice di Procedura Civile. Il giudice fa la sentenza. Art.2 “Le parti depositeranno davanti alla corte i loro documenti di procedura nell’ordine seguente: prima una memoria al governo della Repubblica federale che dovrà essere sottoposto alla Corte entro i sei mesi dalla notificazione alla Corte dell’accordo. Poi ci sarà una contromemoria alla Repubblica di Danimarca anche lei con sei mesi di tempo, poi ci sarà la possibilità di una replica tedesca seguita da una controreplica danese. Sottoposta nei termini fissati dalla Corte (può decidere i termini delle due repliche e controrepliche dopo le due memorie iniziali). Il protocollo annesso risolveva altre questioni: “Firmando il compromesso intervenuto oggi tra i due governi …. i tre governi tendono a dichiarare il loro accordo su quanto segue: 1°-Il governo dei Paesi Bassi notificherà entro un mese dalla firma i due compromessi alla Corte; 2°-Una volta fatta la notificazione le parti chiederanno alla Corte di riunire i due procedimenti”. Si tratta

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quindi di due controversie diverse. La Corte ha il potere in base al suo regolamento quando ritiene che due controversie siano così strutturate collegate che è opportuno rinvenirle per trattarle unicamente che riunire i procedimenti. Le parti con un protocollo usano questa formula domanderanno alla Corte di riunirle. “3°-I tre governi convengono che ai fini della designazione del giudice ad hoc il governo del regno di Danimarca e il governo del regno dei Paesi Bassi saranno considerati come facenti causa comune ai sensi dell’articolo 31 §5 dello statuto della Corte. Che cos’è il giudice ad hoc? La Corte Internazionale di Giustizia è composta da quindici giudici che sono eletti con un procedimento complesso dell’Assemblea Generale e del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Però se una controversia verte tra due stati di cui uno o entrambi non hanno un giudice della loro nazionalità in seno alla Corte allora lo stato allora può nominare un giudice che si chiama ad hoc perché è per quella singola controversia. Questo non vuol dire che i giudici se sono della nazionalità di uno stato lo favoriscono, sono imparziali e indipendenti, sono esperti del diritto internazionale, specialisti diplomatici che quindi non prendono istruzioni dal loro stato altrimenti non sarebbero giudici. Però si è sempre ritenuto sin dai tempi della Corte permanente che era opportuno che uno stato avesse un giudice della sua nazionalità che se non altro poteva servire per informare la corte sul punto di vista, sulla posizione nazionale. C’è una norma dello statuto, art. 31 §5 : “Qualora più parti facciano causa comune esse devono considerarsi ai fini delle precedenti disposizioni come costituenti di una sola parte. In caso di dubbio su questo punto la Corte decide”. Quindi è la Corte che deve decidere se è vero o no che due stati su una causa comune. E’ vero che la Danimarca era interessata a delimitare la piattaforma continentale con la Germania, la sua per i suoi affari, e i P.B. per i loro affari. Ognuno mirava ad un oggetto giuridico diverso rispetto all’altro. L’art 31 stabilisce che è la Corte che deve decidere se fare o no la causa comune, se c’è il dubbio. Invece qui le parti per conto proprio prima di rivolgersi alla Corte hanno già stipulato tra di loro un accordi internazionale sotto forma di protocollo in cui hanno detto : “i tre governi, che ai fini della designazione del giudice ad hoc, il governo del Regno Unito e della Danimarca saranno considerati come facenti parte di una causa comune. Lo hanno deciso loro nonostante lo statuto dica che è la Corte che deve decidere. E quindi tutti questi elementi messi insieme, fatto che gli stati abbiano chiesto alla Corte non di risolvere la controversia ma di indicare un elemento decisivo ai fini della soluzione con l’idea che poi se la vedevano tra di loro. Il fatto che decidono loro l’ordine della procedura da seguire che addirittura, nonostante che sono sottoposti all’obbligatorietà dello statuto se lo hanno accettato, decidono loro se fanno o meno parte comune. La posizione in cui il giudice internazionale si trova rispetto agli stati è diversa dalla posizione dei soggetti di base dell’ordinamento interno che si trovano davanti al tribunale di Roma. Questo è un esempio di compromesso di giustizia internazionale. Abbiamo abbastanza descritto il fenomeno e abbiamo ribadito che alla base di tutto c’è sempre il consenso degli stati manifestato in un accordo. La clausola di accettazione della giurisdizione della Corte prevista dall’art 36 §2 tecnicamente non è un vero e proprio accordo; sono dichiarazioni unilaterali parallele la cui obbligatorietà riposa, quindi sono fonti di rango subordinato all’accordo, sull’art 36 §2 che istituisce, che prevede questo meccanismo. Ma non sarebbe corretto tecnicamente dire che le varie coppie di dichiarazioni unilaterali si fondano tra di loro e formano un accordo. Anzitutto perché in un accordo, come in un contratto di diritto interno e in qualunque altra forma di negozio bilaterale la dichiarazione di ciascuna delle due parti deve essere rivolta all’altra mentre qui ognuno lo accetta per se. In secondo luogo c’è un contenuto diverso perché ognuno può mettere le riserve che desidera lui e l’altro potrà farle valere per reciprocità ma quindi anche il contenuto delle dichiarazioni è differente; quindi sono dichiarazioni unilaterali che producono effetto obbligatorio perché lo dice l’art 36. Siamo sempre, anche se con una struttura della dichiarazione diversa, nell’ambito della più assoluta con sensualità. Quindi ci vuole il consenso, ci vuole l’accordo per risolvere tutte le controversie. Questo vale per qualunque tipo di mezzo di soluzione anche per quelli ad esito vincolante come la giustizia arbitrale o il regolamento giudiziario davanti ai tribunali internazionali a maggior ragione per quelli che nemmeno hanno esito vincolante come sono i mezzi diplomatici di soluzione delle controversie cioè gli altri mezzi indicati nell’art 33 della Carta delle Nazioni Unite. Se non c’è accordo, anche negoziando con buna volontà, le controversie internazionali non si possono risolvere. Questo vuol dire che ci possono essere controversie che durano secoli. Per esempio la Spagna e la Gran Bretagna hanno rapporti diplomatici civili ma ancora stanno litigando dal 1713 per Gibilterra da quando ci fu la guerra di

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successione spagnola che si concluse con due trattati. E’ una controversia di tipo politico. Questa è un’altra caratteristica che distingue le controversie internazionali dalle controversie interne. In questo ultimo caso si fa valere una pretesa non sul piano giuridico ma su un piano diverso. In questo caso la Spagna non ha un ragionevole fondamento giuridico per esigere che l’Inghilterra abbandoni Gibilterra e la lasci alla Spagna. Però siccome è abbastanza antipatico avere un proprio territorio in uno stato sovrano, un presidio militare permanente da secoli in un altro stato, la posizione è di tipo politico. Oppure possono esserci casi in cui gli stati vorrebbero provare a risolverle però siccome uno sa di avere torto sul piano giuridico ma ritiene sul piano politico, per il motivo che stavamo dicendo, di poterla spuntare o di avere comunque delle giustificazioni politiche ragionevoli per mettere pressione alla controparte. Quindi uno stato propone di andare avanti alla Corte Internazionale di Giustizia e l’altra parte invece di rivolgersi all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite perché vede la controversia più di carattere politico.

Un altro caso analogo di controversia territoriale che riguarda anche questo per pura combinazione l’Inghilterra è la famosa controversia delle isole che si chiamano FALLAND MALVINAS perché i due stati sono talmente fermi sulle loro posizioni che l’Inghilterra le chiama con nome inglese e l’Argentina Malvinas. Da quando l’Argentina ha intensificato le sue posizioni (c’è stata addirittura la guerra nel 1982-83) la prassi diplomatica internazionale ha cominciato a chiamarle Falland Malvinas. Anche qui l’Inghilterra voleva andare davanti alla Corte Internazionale di Giustizia mentre l’Argentina davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Quindi non mettendosi d’accordo sul mezzo di soluzione la controversia rimane insoluta. Questa è la prima conseguenza. Se non si raggiunge l’accordo la controversia rimane in piedi. Un altro problema è dato dal fatto che anche se gli stati si sono assunti preventivamente dagli obblighi di soluzione delle controversie; perché la situazione delle controversie può riferirsi a controversie già sorte oppure può essere che gli stati abbiano assunto un obbligo precedentemente per esempio stipulando un trattato. Anche quando l’obbligo è stato assunto preventivamente il che quindi potrebbe rendere la situazione più facile , più praticabile dopo che sorge la controversia dato che le parti hanno già creato uno strumento di comune accordo per risolverlo poi è facile metterlo in atto. Non sempre è così. Gli stati possono essere tentati a eccedere questa tentazione anche se hanno assunto l’obbligo preventivamente poi quando sorge la controversia possono essere tentati di sottrarsi all’obbligo e possono farlo in vari modi. Possono anche essere tentati di sottrarsi alla obbligatorietà della sentenza internazionale una volta che la sentenza sia stata resa. Un altro caso che riguarda sempre per combinazione l’Argentina ha a che vedere con una controversia che rischiò quasi di creare un conflitto militare tra Argentina e Cile. Per il canale di BEAGLE che sta alla punta meridionale estrema dell’America Latina. C’è sempre stata una controversia sulla sua sovranità. All’epoca del regime militare argentino negl’anni ’80 l’Argentina aveva delle pretese come anche come anche il Cile e si era arrivati ad una gravissima tensione. Le parti decisero di sottoporre la loro controversia ad un tribunale arbitrale che diede ragione quasi integralmente al Cile. L’Argentina non era disposta a subire questa decisione e dichiarò che la sentenza del tribunale non valeva nulla perché il tribunale aveva deciso oltre i limiti di quello che le parti avevano chiesto di decidere. E quindi non la vollero rispettare. In realtà la dichiarazione era pretestuosa. E allora questo primo mezzo di soluzione della controversia, l’arbitrato (che poi è il mezzo più efficiente perché il suo esito è obbligatorio), non fu lecito perché una delle due parti rifiutò di accettare il verdetto. Per l’Argentina il giudice le aveva dato torto e aveva sbagliato, le aveva dato torto più di quanto doveva avere e quindi non lo accettò. Hanno fatto allora ricorso ad un secondo e successivo mezzo di soluzione delle controversie e cioè hanno fatto ricorso alla mediazione, un mezzo di carattere diplomatico a esito non vincolante. Però nella mediazione era intervenuto il papa che era riuscito a convincere l’Argentina (stato profondamente cattolico) a firmare un accordo e quindi a soggiacere, ad accettare la sostanza dell’arbitrato. Quindi può accadere che si ricorra prima a un mezzo di soluzione delle controversie però siccome non è abbastanza si ricorre anche ad un altro. Questo non può accadere nel diritto interno perché una volta che una parte ha ricevuto il giudicato a se favorevole anche se la controparte non è tanto disponibile ad accettarlo può sempre farlo eseguire dagli organi dello stato. E quindi qui entriamo nella terza funzione dell’ordinamento che è quella dell’attuazione del diritto. La giustizia internazionale è debole perché non solo richiede l’accordo ma, a differenza di quella interna, richiede

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la possibilità dell’attuazione. La giustizia interna è più forte per questo motivo. Oppure qualche volta ci si può provare a sottrarre non dopo aver visto che le cose vanno male ma nella previsione che le cose vadano male uno stato pur avendo assunto un obbligo può non volerlo rispettare. E’ successo molte volte negli anni ’70 ’80; un periodo in cui si incominciò a parlare di crisi della giustizia internazionale, adesso la situazione è migliorata. E molti stati pur avendo accettato al clausola facoltativa di cui all’art 36 §2 poi prestano obiezione di vario genere a torto o ragione. E avevano cominciato ad usare una tecnica; invece di presentarsi davanti alla Corte a far valere le proprie ragioni, ad esempio perché ne contestavano la competenza, dichiaravano di non volersi nemmeno presentare perché siccome decidevano loro che la Corte non era competente, mentre si erano obbligati a sottostare al giudizio della corte (in caso di contestazione la Corte decide sulla competenza -art36- ). Allora gli stati si rifiutavano di presentarsi, di costituirsi, come si direbbe nella terminologia del processo interno, e rimanevano contumaci; mandavano però una lettera alla corte. Allora in caso di contumacia il giudice deve accertare di essere competente. Con la lettera gli stati espongono le loro eccezioni. Questo ad esempio lo fecero gli Stati Uniti nelle controversie del 1986 con il Nicaragua; gli Stati Uniti aiutavano, armavano, finanziavano, appoggiavano, addestravano gli insorti contro il governo legittimo nicaraguense che era un governo di sinistra dal punto di vista politico quindi non gradito agli Stati Uniti. Allora c’era un movimento di guerriglia che era stato organizzato dagli USA e quindi l’organizzazione che davano a questa guerriglia era, in sostanza, indirettamente una forma di aggressione che rappresenta come minimo una violazione dell’uso del principio del non intervento negli affari interni di uno stato nei confronti dell’altro o addirittura di una violazione nell’uso della forza anche perché era accompagnato da atti di ostilità diretta degli Stati Uniti (era stato addirittura provato che gli USA avevano minato dei porti del Nicaragua). Gli Stati Uniti ritenevano che la Corte non avesse competenza. Potevano avere ragione perche c’era una specie di giallo in questa storia. Abbiamo visto che l’art 37 dello statuto della corte dice che se uno stato aveva accettato, all’epoca della Società delle Nazioni, la competenza della Corte Permanente di Giustizia Internazionale questa accettazione si estendeva, valeva per la Corte Internazionale di Giustizia che la aveva sostituita dopo la nascita delle Nazioni Unite. Effettivamente il Nicaragua quando era stata fatta la Corte permanente nel ratificare lo statuto non solo aveva accettato questo ma anche la clausola dell’art 36 §2 che era identico allo statuto della vecchia Corte. Anche gli Stati Uniti avevano accettato. Questi però dicevano che c’era un problema; era vero che il Nicaragua aveva firmato nel 1922 lo statuto della Corte e la clausola facoltativa dell’art 36, però, si era limitato a firmare e non aveva ratificato. Non basta solo la firma occorre poi la ratifica del Capo dello Stato o del Capo del Governo (da noi viene fatto dal Capo della Repubblica). La firma non basta per obbligarsi occorre ancora che il Capo dello Stato ratifichi (e quando si tratta delle materie indicate nell’articolo 80 Cost. deve essere preceduta da una legge fatta dal Parlamento). Gli USA avendo fatto delle ricerche storiche ritenevano che il Nicaragua non aveva mai ratificato. La Corte ha un suo annuario ufficiale da cui risulta quali sono gli stati che sono parte dello statuto; gli Stati Uniti sostenevano che per errore la Corte aveva indicato il Nicaragua nell’annuario, ma non era vero. Quindi per gli Stati Uniti la dichiarazione senza la ratifica non valeva. Quando la Corte gli diede torto allora gli Stati Uniti per protesta ritirarono la loro dichiarazione di accettazione per non avere più niente a che fare con la Corte. Questo non sarebbe possibile negli ordinamenti giuridici interni. Il successo della giustizia internazionale dipende anche dal clima politico che si respira nella vita giuridica internazionale. C’è stata una fase di maggiore crisi tra gli anni ’60 e ’80 quando c’era la guerra fredda e la contrapposizione di blocchi socialisti e occidentali e dall’altra i paesi in via di sviluppo. In quel contesto convincere gli stati ad andare davanti alla Corte Internazionale di Giustizia e a sottoporsi all’applicazione di norme che alcuni contestavano e altri non condividevano aveva propensione piuttosto bassa. Ad esempio i paesi socialisti non ne volevano sapere di giustizia internazionale. Girava sempre una frase di Lenin: “Neanche un angelo potrebbe giudicare l’Unione Sovietica”. Quindi la Russia si rifiutava assolutamente; i paesi in via di sviluppo anche; i paesi più potenti avevano il loro controllo della formazione delle norme internazionali e quindi erano più favorevoli. Queste contrapposizioni si sono attenuate quindi i paesi in via di sviluppo soprattutto e i paesi più deboli che hanno più bisogno di protezione hanno invece cominciato a guardare la giustizia internazionale con occhi diversi. Non è un caso che siano nati nuovi tribunali internazionali.

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Proseguiamo il discorso delle tre funzioni fondamentali degli ordinamenti riferiti al diritto internazionale. Abbiamo visto la produzione di norme, l’accertamento del diritto e quindi la soluzioni alle controversie e vediamo adesso la terza funzione che è quella della garanzia di attuazione del diritto internazionale. Questo settore è quello in cui probabilmente emerge la differenza rispetto alle società istituzionalizzate. Anche perché l’attuazione del diritto quando deve esercitarsi può richiedere l’uso della coercizione. Punto delicato. C’è un monopolio statale dell’uso della forza, della reazione esclusiva, di quella forma massima di reazione all’illecito. E’ lo stato che si assume questa funzione di garanzia dell’ordinamento. E’ il principio del monopolio dell’uso della forza da parte delle autorità statali. Ha essenzialmente due giustificazioni, tutte e due importantissime: la prima è l’obbiettività e l’imparzialità. La seconda giustificazione è l’efficacia della coercizione. In questo monopolio ci sono molte tracce degli ordinamenti giuridici. Nell’ordinamento italiano c’è la legittima difesa e cioè la necessità estrema nell’immediatezza di far fronte al pericolo (art 52 c.p.) che non è punibile purché sia rispettato il principio di proporzionalità. L’offesa proporzionata all’offesa. E al contrario tutte le ipotesi di autotutela di esercizio delle proprie ragioni arbitrarie sono considerate reato. C’è nel Codice Penale una parte intitolata “dei delitti contro l’amministrazione della giustizia”. Qui ritroviamo gli art 392 e 393 che puniscono l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni; il primo la violazione sulle persone, il secondo sulle cose. Prevedono il reato di RAGION FATTA e cioè chiunque potendo ricorrere al giudice per far valere arbitrariamente le proprie ragioni da solo con violenza sulle persone o con violenza sulle cose commette un reato; quindi anche sa ha ragione non lo può fare salvo il caso della legittima difesa. Le norme successive di questo titolo del c.p. riguardano un istituto ormai tramontato e cioè l’art 394 e ss che considerano reato la sfida a duello anche se al sfida non è accettata. E’ il fatto in se di non rispettare il monopolio dell’uso della forza dello stato che è già reato;: poi ci sono le lesioni e reati ulteriori che si aggiungono a questi. Questo è il sistema che esiste in tutti gli ordinamenti giuridici statali.

Il diritto internazionale invece ha una situazione completamente opposta per il solito motivo che sappiamo e cioè che non c’è un’autorità superiore agli stati investita di funzioni pubbliche e quindi dell’esercizio delle funzioni della comunità (e non c’è neanche una società personificata addirittura). Quindi questo significa che quello che nel diritto interno è un’eccezione nel diritto internazionale l’unica forma di tutela possibile del diritto violato è la così detta autotutela. Lo stato che ritiene a ragione o a torto di aver subito un atto illecito da un altro stato non può che tutelarsi da solo e la forma in cui l’autotutela si esercita è una forma che può dare l’idea di un’organizzazione sociale veramente molto punitiva e cioè la rappresaglia. Ha origini primitive perché in sostanza è la legge del taglione. La rappresaglia consiste nella violazione da parte dello stato vittima di un obbligo giuridico come risposta ad un’altra violazione da parte di un altro stato. Bisogna distinguere rappresaglia e ritorsione; in entrambi i casi si tratta di tenere un comportamento dannoso, ostile e produttivo di pregiudizio per un altro stato però la differenza sta nel fatto che la rappresaglia è un comportamento che consiste nella violazione di un obbligo internazionale che sarebbe illecito ma è reso lecito dal fatto che rappresenta una reazione ad un precedente illecito altrui (quindi analogo alla legittima difesa del c.p. italiano); la ritorsione invece è un comportamento che è ugualmente nocivo, dannoso nei confronti di un altro stato però non è internazionalmente vietato.

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Ha però la medesima funzione di esercitare pressione sulla vittima perché cessi l’ illecito e quindi di restaurare l’ ordine giuridico violato con la reazione. (es. sanzioni economiche – uno stato commette un illecito e gli altri stati - stato vittima - possono reagire interrompendo le esportazioni di beni prodotti dalle loro industrie nazionali, o al contrario vietare le esportazioni con quello stato). Questo tipo di contromisura, che è una reazione pacifica perché non comporta l’ uso della forza militare, può essere una rappresaglia o una ritorsione dipende se lo stato che adotta queste misure aveva un obbligo internazionale (es. consentire il commercio con un determinato paese – oppure un paese in via di sviluppo può ricevere aiuto dagli altri paesi che si obbligano a farlo - e quindi sospendere gli aiuti allo sviluppo diventa una violazione agli obblighi internazionali). Quando invece non c’ è un obbligo internazionale si ha una ritorsione. Sia la ritorsione che la rappresaglia hanno comunque lo stesso obbiettivo che è quello di fare pressione sullo stato che sta violando una norma internazionale per indurlo a desistere e a riparare il danno. Oggi in materia di scambi commerciali c’ è per gli stati l’ Organizzazione Internazione del Commercio istituita nel 1994 con l’ accordo di Marrakech di cui ormai fanno parte circa i due terzi degli stati membri della comunità internazionale. Gli obblighi che si assumono quando vi si entra a far parte insieme con la ratifica dei trattati che compongono tutto il sistema porta ad una generale posizione sia del divieto di restrizioni quantitative ( per l’ esportazione e l’ importazione) e quindi di mantenere l’ obbligo di liberalizzare il più possibile, anche se con eccezione, gli scambi commerciali tra di loro. Quindi interrompere una relazione con uno stato di questi viola questo sistema di accordi internazionali. Ci sono in questi documenti delle clausole di riserva per esempio in caso di guerra uno stato può anche adottare delle misure vietate se necessarie per la propria sicurezza; o anche nel trattato dell’ Unione Europea l’ Art. 347: “ gli stati membri si consultano al fine di prendere di comune accordo le disposizioni necessarie ad evitare che il funzionamento del mercato interno abbia a risentire delle misure che uno stato membro può essere indotto a prendere o nell’ eventualità di gravi agitazioni interne che turbino l’ ordine pubblico o in caso di guerra …..”. quindi ci sono anche queste clausole di salva guardia che rendono compatibile con i trattati con cui gli stati hanno assunto impegni tra di loro. Le ipotesi massime di reazione all’ illecito internazionale consistono ovviamente nell’ uso della forza armata militare. Questa è l’ unica forma che esiste in una società in cui non c’è un’ autorità pubblica incaricata di far rispettare il diritto. Si parla di sanzione, oggi si preferisce anche un termine diverso cioè contromisura – un termine che è relativamente un neologisma nel diritto internazionale – si è affermato da alcuni decenni in particolare in conseguenza dei lavori che sono durati alcune decine di anni della Commissione del Diritto Internazionale delle Nazioni Unite per codificare, elaborare un progetto di articoli di codificazione del diritto della responsabilità internazionale degli stati. Si parla infatti anche di responsabilità. Uno stato che commette un illecito è tenuto a ripararlo, se non lo fa si può ricorrere a forme di autotutela da parte dello stato vittima. Si è detto che la soluzione giuridica, il concetto ristretto e rigoroso di soluzione è quello che è amministrato, inflitto da un’ autorità superiore che ha il potere di sanzione nei confronti di persone che sono sottoposte al suo potere giuridico. Quindi nei rapporti tra stati che hanno una posizione paritaria la sanzione sarebbe poco precisa allora è stato adottato il termine contromisura, cioè l’ autotutela si esercita mediante contromisura. Questa espressione voi la trovate nel primo progetto di articoli che aveva fatto la Commissione del Diritto Internazionale che risale al 1976 perché fu propri durante quei lavori che venne coniato questo termine . quindi le contromisure sono definite da quel progetto nei termini esatti in cui noi abbiamo definito la rappresagli ( Bartolo – Trattato sulla rappresaglia). L’ Art. 30 del progetto di articoli della Commissione del Diritto Internazionale dice:” l’ illiceità di un atto di uno stato non conforme ad un obbligo di tale stato nei confronti di un altro stato è esclusa se l’ atto costituisce una misura legittima secondo il diritto internazionale contro l’ altro stato in conseguenza di un atto internazionalmente illecito di tale altro stato”. Quindi se ne parla nel capitolo di questo progetto sulle cause di esclusione della responsabilità di un illecito. La definizione di rappresaglia è sostanzialmente questa che è chiamata contromisura. Il nuovo progetto, quello del 2001, è un po’ meno chiaro perché siccome il primo progetto aveva incontrato delle critiche non solo dottrinali ma anche da parte degli stati che vedevano che la Commissione del Diritto Internazionale in una materia come questa, particolarmente delicata per vita di relazioni internazionali, aveva adottato delle posizioni piuttosto rigide hanno finito un po’ per attenuarlo. L’art 49 del capitolo secondo sulle contromisure dice: “uno stato leso può adottare

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contromisure soltanto al fine di indurre quello stato responsabile a conformarsi ai propri obblighi” al §2 “le contromisure sono limitate al non rispetto temporaneo di obblighi internazionali dello stato che agisce nei confronti di quello stato responsabile” quindi cerca di pacificare al relazione tra gli stati il più possibile. Ma in sostanza esprime sempre la stessa idea cioè che è lecito in certi casi violare un obbligo internazionale come reazione, come rappresaglia alla violazione da parte dello stato. Si può anche parlare in realtà a proposito di contromisure internazionali di soluzioni in un concetto minimo di sanzione; ci può stare perché questo tipo di garanzia può essere qualificata come una garanzia privativa cioè in sostanza il diritto che tutela una situazione giuridica di quel diritto in reazione al fatto che è stato commesso un illecito. Vista in questi termini come privazione della tutela giuridica del proprio diritto in sostanza si può parlare di sanzione. Quando si cominciò a parlare di contromisure per evitare il termine sanzione l’idea era che si trattava di sanzioni invece quando in quelle adottate dal Consiglio delle Nazioni Unite che in quel caso si trattava di una persona di tipo istituzionalizzato all’illecito non di una persona individuale. Però è anche vero che è istituzionalizzato in senso relativo perché nemmeno le Nazioni Unite sono un’autorità superiore agli stati. Questa è la situazione del diritto internazionale. Stiamo vedendo in sostanza che il diritto internazionale è un sistema giuridico, però è più debole di quello delle società statali che hanno una struttura organizzativa più forte. L’autotutela presenta una serie di limiti. La tutela da parte dello stato garantisce l’obbiettività dell’accertamento e l’efficacia dell’azione nel mantenimento dell’ordine pubblico. L’autotutela, al contrario, ha proprio i difetti opposti. Prima di tutto perché i rapporti di forza tra gli stati sono diseguali; gli stati sono teoricamente uguali ma poi ce ne sono di più potenti e di meno potenti. Nessuno stato al mondo può convincere gli Stati Uniti a fare qualche cosa contro la loro volontà. Quindi se c’è una controversia tra uno stato microscopico per esempio della Polinesia e gli Stati Uniti, lo stato della Polinesia ha il diritto di ricorrere all’autotutela anche se è molto difficile credere che possa utilizzare mezzi di pressione efficaci verso uno stato più potente. E’ costretto a far valere le sue ragioni da solo e questa è la prima debolezza. La seconda debolezza è data dal fatto che manca anche l’imparzialità dell’accertamento cioè è lo stato che decide se è il caso o no di ricorrere a misure di autotutela. Cioè è lo stato che decide se un suo diritto è stato veramente violato o no. E’ vero che ci sono i mezzi di soluzione delle controversie ma anche quelli si basano sul consenso quindi lo stato più potente può prendersi facilmente la ragione. Il terzo punto è questo:la reazione che negli ordinamenti statali fa lo stato con i suoi organi e la forza pubblica ha un’altra caratteristica e cioè che la comunità personificata nello stato che si interessa e interviene direttamente quando il diritto è violato gli organi pubblici dello stato intervengono per farlo rispettare. Nell’autotutela invece la vittima reale o presunta è lasciata da sola perché si tratta di rapporti bilaterali. Il principio è che chi è vittima dell’illecito può reagire. I terzi potrebbero reagire a certe condizioni ma non sono tenuti a farlo; quindi di nuovo la vittima che è più debole ha minori garanzie. In un sistema statale in cui c’è l’uso accentrato e legittimo della forza da parte del potere pubblico il più debole può rivolgersi agli organi dello stato (come quel famoso contadino prussiano che ebbe il coraggio di dire a Federico il Grande “c’è però un giudice a Berlino” )E’ un sistema che presenta delle chiare lacune. Per quello che riguarda la forma più grave di violazione del diritto internazionale che è l’uso della forza bellica oggi nel diritto internazionale la situazione è migliorata. C’è stato un lento e progressivo miglioramento nel corso dei secoli. E’ infatti considerato l’illecito internazionale più grave che ci possa essere. Le Nazioni Unite sono un sistema evoluto dell’alleanza difensiva. In sostanza gli stati si associano per condividere insieme le regole che comportano il principio dell’obbligo di risolvere le controversie e dell’osservanza degli altri nel caso che qualcuno viene aggredito; questo più o meno è il meccanismo che intraprende il Consiglio di Sicurezza, come dice l’art 39 della Carta delle Nazioni Unite di rottura della pace, minaccia alla pace e atto di aggressione, sono in sostanza ispirate fondamentalmente ad un’evoluzione istituzionalizzata del principio dell’alleanza. Però c’è stata un’evoluzione perché per molto tempo il ricorso alla violenza bellica è stato considerato lecito. Tanto è vero che i primi trattati sul diritto internazionale (i più importanti risalgono al 600) lo definivano come diritto di pace e di guerra. L’opera più famosa a tal riguardo è appunto intitolata “Diritto di guerra e di pace”. Deve rispettare il diritto di guerra anche chi sta difendendo. C’è stato quindi un lento processo di evoluzione in questa materia fino alla Prima Guerra Mondiale. I primi scrittori giusnaturalisti che cominciarono ad occuparsi di diritto internazionale vedevano nella guerra un mezzo di reazione ad un’offesa. Si parla di BELLUM IUSTUM,

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la guerra era giusta quando aveva un fine giustificato, quando era un modo per reagire all’ingiustizia altrui. M anche la dottrina della guerra giusta non durò molto; durò il tempo del nazionalismo illuminista che in qualche modo è uno sviluppo del naturalismo. Però già in epoca del positivismo giuridico la guerra poteva essere giustificata con motivi formali, purché venisse dichiarata. Quindi nella guerra si vedeva non soltanto un mezzo lecito per difendersi dopo essere stati aggrediti oppure come reazione ad un torto subito ma si vedeva anche come mezzo per ottenere coercitivamente i propri interessi (es. misure di espansione). Il diritto internazionale lo fanno gli stati e gli stati di quell’epoca, che erano gli stati forti, potenti avevano i loro inter3essi politici di espansione che poi facevano valere all’epoca soprattutto con la colonizzazione nei confronti di quegl’altri stati che non erano neanche stati quindi neanche soggetti di diritto internazionale perché non essendo né abbastanza potenti né abbastanza sviluppati industrialmente, economicamente e a livello di istituzioni civili erano considerati popolazioni barbare. Quindi si trattava di terre nullius che potevano essere occupate dagli altri stati. C’era l’interesse ad affermare l’uso della forza come modo legittimo per manifestare ed esprimere a proprio profitto la propria potenza. Un altro importante fenomeno è la creazione dello “stato di diritto” cioè le società interne dalle monarchie assolute che non rispettavano i diritti umani passarono allo stato di diritto con alla base l’idea che il potere doveva essere limitato dalle leggi bei rapporti interni (che poi è la manifestazione generale della civiltà). In parallelo l’affermarsi dello stato di diritto del costituzionalismo alla fine dell’assolutismo nel diritto interno, anche se con qualche decennio di ritardo, si cominciò ad affermare l’idea che la guerra doveva essere messa al bando. Finita ala prima guerra mondiale le potenze vincitrici riunite a Versailles tentarono di adottare delle sanzioni anche di carattere penale nei confronti degli imperi centrali che erano considerati da loro i responsabili dell’aggressione che aveva determinato la tragedia della guerra. Si rivolsero ad un famoso giurista americano (Scott ?) chiedendogli un parere e cioè se potevano adottare delle misure di diritto internazionale che violassero la pace. Diede parere negativo. Ciò non impedì alle potenze vincitrici di inserire nel trattato di Versailles l’art 227 che stabiliva che doveva essere processato penalmente e punito l’imperatore tedesco Guglielmo II che aveva scatenato la guerra; il reato previsto da tale articolo era l’offesa alla suprema morale dei trattati. Guglielmo II dopo la sconfitta si era rifugiato in Olanda; le potenze vincitrici chiesero l’estradizione all’Olanda. Questa rispose che no poteva concederla perché il suo diritto penale interno non conosceva il reato di offesa alla suprema morale dei trattati. E’ in quel mento che si comincia a porre il problema per la prima volta di introdurre nel diritto internazionale questo nuovo sviluppo e cioè il principio che gli stati devono astenersi dal ricorso alla forza armata. La guerra è illecita. Già il fatto che la Società delle Nazioni che venne stipulata subito dopo la prima guerra mondiale a Versailles cominciava a contenere un divieto che però era soltanto parziale, limitato del ricorso alla forza mentre ora è più generalizzato, più diffuso. Prevedeva anche che l’antecedente sistema delle Nazioni Unite era appunto un meccanismo di collettivo di controllo della forza e delle controversie internazionali. C’era quindi questo divieto di usare al forza; se qualcuno non lo rispettava in violazione delle regole comuni e quindi senza rispettare i procedimenti di risoluzione pacifica delle controversie (i principi stabiliti collettivamente) allora prevaleva l’alleanza difensiva degli altri stati per tutelare la vittima dell’aggressione.

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Per quanto riguarda una grave forma di violazione del diritto internazionale, cioè il ricorso alla forza militare, la situazione nel diritto moderno è cambiata. La comunità internazionale non vietava la guerra, non solo quella difensiva o come modo estremo di far valere i propri diritti, di reagire alle altrui offese; ma non vietava nemmeno la guerra come strumento di politica, quindi la guerra come mezzo di sopraffazione. Da allora però, uno degli sviluppi più importanti nel diritto internazionale moderno, è l’affermarsi in maniera chiara del divieto agli Stati di ricorrere alla forza armata, salvo per i casi di legittima difesa. Si tratta, di uno sviluppo che si è realizzato a poco a poco, ed è iniziato nello stesso periodo in cui la violenza bellica ha causato all'umanità i più grandi, sfracelli cioè la prima e la seconda guerra mondiale. Fino alla prima guerra mondiale, il ricorso alla guerra era lecito, tanto è vero che il tentativo nel trattato di Versailles di stabilire il principio che, il kaiser Guglielmo II, sarebbe dovuto essere processato per la guerra di aggressione che aveva scatenato (insieme con altri) era una novità. Subito dopo la prima guerra mondiale però, si pensò di creare un sistema di controllo dell'uso della forza, soprattutto in quanto mezzo di aggressione agli altri, strutturato con la Società delle Nazioni che è l'antenato delle Nazioni Unite (che ha migliorato il meccanismo più lacunoso elaborato nel patto della Società delle Nazioni). Il sistema utilizzato, l'unico compatibile con una struttura puramente orizzontale come quella della comunità internazionale, era quello dell'alleanza difensiva. Il sistema della Società delle Nazioni era basato su: procedimenti di soluzione delle controversie non solo giuridiche ma anche politiche tra gli Stati; il divieto sia pure a certe condizioni e soltanto parziale del ricorso alla forza militare; e un'alleanza difensiva che era uno strumento di garanzia per far rispettare questo divieto (l'idea è in sostanza che l'aggredito non doveva essere lasciato solo perché gli altri sarebbero venuti in suo soccorso). Questo sistema è il sistema su cui è anche oggi sostanzialmente poggiata la Carta delle Nazioni Unite. Il sistema della Società delle Nazioni, aveva dei precedenti storici, un primo tentativo, lo troviamo nella pace di Vestfalia del 1648 che concluse la guerra dei trent'anni (che aveva devastato l'Europa).Infatti, se leggiamo le clausole dei due trattati che conclusero la guerra dei trent'anni, il trattato di Munster e quello di Osnabruck, vediamo che queste ricordano clausole poste nel Patto della Società delle Nazioni e quindi riportate in parte oggi nella Carta delle Nazioni Unite, ovviamente poi quel trattato rimase lettera morta. Un secondo tentativo, era stato fatto quando l'Europa era stata chiamata a difendersi dall'aggressività di Napoleone. Con il congresso di Vienna nel 1815, era stato costituito un sistema di alleanza difensiva con obblighi degli Stati europei di intervenire a difendersi gli uni con gli altri. Finito il pericolo napoleonico, iniziò poi il pericolo dei movimenti di liberazione nazionale contro le monarchie assolute dell'epoca e allora, questo intervento diventò più che altro un intervento interno contro le rivoluzioni e i tentativi di rovesciare l'assolutismo monarchico che regnava in Europa in quell'epoca. Dunque la Società delle Nazioni è il primo sistema in cui si comincia a stabilire sostanzialmente un divieto della forza aggressiva e un meccanismo protettivo. Il patto della Società delle Nazioni fu inserito come allegato in tutti i cinque trattati di pace conclusi dopo la prima guerra mondiale: quello di Versailles concluso dalla Germania, Saint Germain con l'Austria e i tre trattati conclusi con la Bulgaria, la Turchia e l’Ungheria. Il sistema prevedeva anzitutto che gli Stati membri della Società, s’impegnavano a proteggere (art da 10 a 15) contro ogni aggressione esterna l'integrità territoriale e l'attuale indipendenza politica di tutti i membri della Società.”In caso di aggressione, minaccia o pericolo di aggressione, il Consiglio della lega avviserà ai modi nei quali quest'obbligo dovrà essere adempiuto". La Società delle Nazioni quindi, aveva una struttura analoga a quella attuale delle Nazioni Unite, cioè, un organo assembleare nel quale erano rappresentati tutti gli Stati, oggi Assemblea Generale delle Nazioni Unite; un organo più ristretto che è il Consiglio, oggi Consiglio di

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sicurezza; un segretariato, quindi un organo amministrativo e nel 1921 è stata creata poi la corte permanente di giustizia internazionale, antenato dell'attuale Corte internazionale di Giustizia. Questa è comunque la struttura di tutte le organizzazioni internazionali, cioè c'è un organo plenario in cui tutti gli Stati sono rappresentati, un organo ristretto con funzioni di governo e poi un segretariato e cioè un organo amministrativo. La caratteristica di questo sistema, è che cerca di controllare la violenza con un accordo tra gli Stati; quindi la struttura organizzata del patto (oggi delle Nazioni Unite) possiamo concepirla come evoluzione di un trattato di alleanza difensiva. L'idea era che i membri dell'assemblea s’impegnavano a risolvere in maniera pacifica le loro controversie internazionali, e quindi se ci fosse stata una situazione che poteva determinare una rottura delle relazioni o il presupposto perché qualcuno avesse avuto la tentazione di ricorrere alla guerra s’impegnavano a risolverla pacificamente.

Articolo 12: " i membri della società convengono che qualora sorgesse tra loro una controversia tale da condurre una rottura, sottoporranno la questione ad arbitrato o regolamento giudiziale, oppure anche all'esame del Consiglio. E in ogni caso non ricorreranno alle armi prima che siano trascorsi tre mesi dalla decisione arbitrale o giudiziale o dalla relazione del Consiglio". Era poi prevista la costituzione della Corte permanente di giustizia internazionale, organo alla quale gli Stati avrebbero potuto rivolgersi per le controversie di carattere giuridico. Per le controversie di carattere politico, se non riuscivano a risolvere per via diplomatica, erano tenuti a ricorrere al Consiglio, in questo caso anche unilateralmente ciascuna delle due parti poteva sottoporre la controversia al Consiglio. Questo aveva una struttura simile a quella attuale, c'erano, infatti, i membri permanenti cioè i Paesi principali tra quelli che avevano vinto la guerra (quindi anche l'Italia). Articolo 4: " Il Consiglio è composto oltre che dai membri elettivi, da Francia, Italia, Giappone, Stati Uniti, e impero britannico”. Il Consiglio doveva arrivare a una decisione entro sei mesi e problema fondamentale, era vedere se il Consiglio fosse in grado di realizzare entro sei mesi una relazione unanime, ci voleva, infatti, l'unanimità escluse le parti della controversia. Contro lo Stato che si uniformava o al parere del giudice internazionale o a una relazione unanime del Consiglio non poteva essere intrapresa la guerra. Se non c'era unanimità, perché non era possibile raggiungerla, o se il Consiglio non decideva entro sei mesi, una formula diplomatica sanciva all'articolo 15 che: " Se il Consiglio non riesce a completare una relazione approvata all'unanimità dai suoi membri diversi dai rappresentanti delle parti contendenti, i membri della società si riservano il diritto di prendere quei provvedimenti che stimeranno necessari per la tutela del diritto e della giustizia" quindi è compreso anche il ricorso alla guerra. Nel caso in cui, un membro della società ricorra alla guerra in violazione dei patti, cioè contro lo Stato che si è conformato alla sentenza, sarà considerato ipso facto come colpevole di aver commesso un atto di guerra contro tutti gli altri membri della società (art 16:concetto dell'alleanza difensiva) i quali s’impegnano a interrompere immediatamente ogni rapporto commerciale e finanziario. Questo rispecchia quelle che sono oggi le sanzioni di tipo economico o di altra natura ma non militari. Per la parte militare, il patto è un po' più possibilista perché dice:" sarà in tal caso dovere del Consiglio raccomandare ai vari governi interessati quali forze militari, navali, od aeree dovranno essere fornite da ciascuno dei membri della società come contributo alle forze armate destinate a proteggere i patti sociali". In sostanza, gli Stati non avevano l'obbligo di intervenire militarmente a favore del trasgressore dei patti, l'obbligo era di adottare la sospensione delle relazioni, per le forze militari c'era solo la raccomandazione quindi sotto quest’aspetto il patto era debole. Altro obbligo da rispettare era che anche chi decideva di ricorrere alla guerra doveva comunque aspettare un periodo di tre mesi dalla decisione del Consiglio o del tribunale; questo è un periodo di raffreddamento "cooling off period"(questa idea ha precedenti storici,il trattato di Vestfalia del 1648 prevedeva un cooling off period di 3 anni).In sostanza il patto della società era debole anzitutto perché valeva solo per i membri che avevano ratificato il patto,infatti per i terzi vi era solo una norma, l’articolo 17 che diceva,che lo stato terzo è invitato ad assumere agli effetti della vertenza, gli obblighi spettanti ai membri della società alle condizioni che il Consiglio stimerà opportune; se ricusi di accettare gli obblighi spettanti ai membri della società ai fini della vertenza e muova guerra contro un membro della medesima, contro di lui si applicheranno le disposizioni dell'articolo 16.Questo è il sistema che in sostanza era il nucleo dal quale è venuta la carta delle Nazioni Unite che conteneva una serie di lacune,infatti ,il divieto del ricorso alla guerra era

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limitato perché rimaneva lecito in una vasta sfera, cioè contro chi non era disposto ad accettare la sentenza internazionale;poi il Consiglio spesso non raggiungeva l'unanimità, perché ci sono alleanze, amicizie, solidarietà d’interessi e Stati contrapposti;c'era poi anche il termine di sei mesi e non erano vietate nemmeno quelle forme di violenza militare minori della guerra come la rappresaglia armata "short of war"(come si dice nel linguaggio diplomatico americano). Per esempio l'Italia quasi subito vi fece ricorso nei confronti della Grecia poiché il regime mussoliniano dell'epoca la considerò un'offesa che meritava la rappresaglia armata bombardando l'isola di Corfù nel 1923.Questo è il caso “Tellini” che prende il nome dal generale italiano membro della commissione internazionale che aveva avuto l'incarico di delimitare il confine fra la Grecia e l'Albania, controverso subito dopo la fine della prima guerra mondiale e a seguito di un attacco terroristico il generale fu assassinato. L'Italia faceva valere nei confronti della Grecia la responsabilità perché diceva che le autorità avevano l'obbligo di proteggere il generale che era in missione ufficiale. L’Italia aveva dunque avanzato una serie di pretese piuttosto esagerate che la Grecia rifiutò di adempiere e ne seguì il bombardamento dell’isola di Corfù.Questo tipo di rappresaglia era considerato lecito perché non era guerra. In questa epoca ancora non era penetrato come invece è oggi, perché è stata un'evoluzione graduale del diritto internazionale generale,il divieto assoluto della forza armata salvo il caso della legittima difesa. Molti Stati non erano parte del trattato, anche importanti come gli Stati Uniti che era poi il paese che aveva preso l'iniziativa di proporlo(l'iniziativa era venuta dal presidente americano Wilson subito dopo la prima guerra mondiale), a causa di dissensi politici tra il presidente e il congresso; non ne faceva parte la Russia perché era in una situazione d’isolamento internazionale poiché tutti temevano il contagio del comunismo verso gli altri paesi del mondo occidentale(vi entrerà nel '36 per uscirne qualche anno dopo); altri paesi si ritirarono per evitare le sanzioni,ad esempio il Giappone che nel 1931 decise di attaccare la Manciuria; ne uscì anche la Germania per esulare dagli obblighi rigorosissimi del trattato di Versailles e cioè il divieto di riarmo. Il patto inoltre aveva anche la carenza di voler tutelare lo status quo,cioè la situazione creata dalla prima guerra mondiale e che era una situazione di squilibrio a favore dei vincitori.In sostanza il patto si presenta come l'inizio di un tentativo di creare una forma organizzativa tra gli Stati di controllo della forza militare e di soluzione di controversie con procedimenti nei quali c'è una pressione della collettività degli Stati sulle parti della controversia a trovare una soluzione pacifica. Negli anni '20\30 si cerca di ampliare il patto, proprio perché non c'era un divieto generale del ricorso alla guerra(né nel patto né nel diritto internazionale generale) con il cosiddetto patto Briand-Kellogg del 1928, dal nome del ministro degli esteri francese Briand che lo propose al segretario di Stato americano(che sarebbe il ministro degli esteri) Kellogg; si stipulò un accordo di amicizia Francia -USA con il quale s’impegnavano a non ricorrere alla guerra in nessun caso. Il patto era aperto all'adesione di tutti gli altri e ottenne grande consenso, venne infatti ratificato da quasi tutti gli Stati più importanti dell'epoca. Il patto era composto di due soli articoli, l'articolo 1,diceva che gli Stati si impegnano(questa è la prima volta che è accettato un obbligo di questo tipo) a rinunciare alla guerra come mezzo di soluzione di controversie internazionali e di attuazione della politica nazionale. È da notare che questa formula è piaciuta agli autori della nostra Costituzione infatti l'articolo 11 usa esattamente le stesse espressioni. L'articolo 2 diceva che poi gli Stati s’impegnavano a risolvere tutte le controversie che dovessero sorgere tra di loro con mezzi pacifici.

In realtà, anche questo patto conteneva una serie di lacune , anzitutto la rinuncia alla guerra era stata interpretata correttamente come:non rinuncia alla guerra difensiva; poi perché come al solito era un patto e quindi non valeva per i terzi tra di loro, e per gli Stati membri e i terzi. Anche questa volta il patto cominciò ad essere violato abbastanza presto,per esempio dal Giappone e anche dall’Italia che aggredì l’Etiopia nel 1935,e quindi scattarono automaticamente le sanzioni pecuniarie dell’art14,ma queste sanzioni furono praticamente inutili e mesi dopo che la guerra si era conclusa il Consiglio delle Nazioni Unite decise di abolirle perché appunto non erano servite a nulla e comunque la situazione si era consolidata. Il patto non servì nemmeno a scongiurare la seconda guerra mondiale. Dopo la seconda guerra mondiale il patto della Società delle Nazioni è stato sostituito dalla Carta delle Nazioni Unite che elimina buona parte di queste cosiddette lacune. Anzitutto, la Carta contiene un divieto generale di ricorso alla violenza militare inclusa la rappresaglia;nell’art 2 par3 c’è un nesso di risoluzione pacifica delle controversie e l’obbligo di non ricorrere alla guerra(perché il primo è la

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premessa logica del secondo):”I membri delle Nazioni Unite devono risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici,in maniera che la pace,la sicurezza internazionale e la giustizia non siano messe in pericolo”.Questa in sostanza è una riformulazione del precedente articolo 11 del patto della Società delle Nazioni e l'art2 parte 4 è la norma generale che stabilisce il divieto dell’uso della forza nei rapporti internazionali:”I membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia,o dall’uso della forza,sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato;sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite”.Nonostante il dettato di questo articolo,qualche volta quest’obbligo è stato violato,rappresaglie armate anche recenti sono state effettuate come reazioni ad aggressione,attacchi terroristici,che si riteneva fossero stati sponsorizzati da certi governi. Per esempio Israele vi ha fatto ricorso nei confronti del Libano,bombardando Tunisi quando l’OLP vi aveva sede;gli Stati Uniti hanno alcune volte bombardato la Libia,una volta a torto e cioè nel caso dell’attacco di una discoteca a Berlino frequentata dai soldati americani della NATO,la Cia dalle sue indagini dedusse che era stato il governo (quello di Gheddafi) a sponsorizzare questo attacco terroristico e così hanno bombardato la Libia;poi anni dopo si è scoperto che la responsabilità era della Siria.Quindi anche se a volte è stato violato,il divieto esiste ed è sostanzialmente accettato dagli Stati. La norma chiave è dunque l’art 2 paragrafi 3 e 4. Eccezione possibile è la legittima difesa, espressa da un’altra norma chiave del sistema cioè l’art 51:”Nessuna disposizione del presente statuto,pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva,nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite,fintanto che il Consiglio di sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale” ( Il termine autotutela, è una traduzione dall’inglese poco corretta,si preferisce infatti parlare di”legittima difesa”per non allargare troppo il campo). L’art51 parla dunque del diritto naturale di legittima difesa,non è la Carta a crearlo,ma esisteva già,l’articolo lo circoscrive,perché anzitutto dice che deve esserci un attacco armato e per di più con il limite che bisogna cessare anche l’attività di legittima difesa nel momento in cui interviene il Consiglio di sicurezza e provvede alle misure necessarie per mantenere la pace. Per quanto riguarda le azioni del Consiglio di sicurezza,la Carta delle nazioni unite prevede un sistema più efficiente di quello previsto dalla Società delle Nazioni perché, le norme che riguardano l’attuazione di questi due principi(par 3-4 art2)sono due capitoli della Carta e cioè il cap VI e il VII.

Il capVI (art da 33 a 38)è intitolato:"SOLUZIONE PACIFICA DELLE CONTROVERSIE” e dettaglia il modo in cui le parti devono procedere e i poteri del Consiglio in questa fase. Il capitolo VII, riguarda le azioni rispetto alle violazioni della pace, cioè i poteri del Consiglio nel caso in cui uno Stato ricorre alla forza armata o semplicemente minaccia la pace. L'articolo 41 prevede la possibilità che il Consiglio decida, e non più raccomandi (come il Consiglio della società,quindi la sua decisione è vincolante obbligatoria per gli Stati) quali misure non implicanti l'impiego della forza armata debbano essere adottate per dare effetto alle sue decisioni; ne segue l'elenco. Articolo 42:"se il Consiglio di sicurezza ritiene che le misure previste dall'articolo 41 sono inadeguate, o si siano dimostrate inadeguate, esso può intraprendere con forze aeree, navali e terrestri ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Tale azione può comprendere dimostrazioni, blocchi ed altre operazioni mediante le forze aeree, navali o terrestri di membri delle Nazioni Unite." Per quanto riguarda la legittima difesa collettiva, non si intende che più stati attaccati possono collettivamente mettersi insieme per difendersi meglio; ma che anche Stati non aggrediti possono usare la forza per venire incontro all'aggredito. Questa è una deroga importante al divieto dell'uso della forza.Questi obblighi anche se di carattere convenzionale, sono ormai accettati dagli Stati come diritto internazionale generale, anzitutto basta tener presente che tutti gli Stati del mondo,tranne per due motivi politici Cina di Taiwan e la Repubblica di Cipro del nord, fanno parte delle Nazioni Unite. Gli articoli 43 e 47 della Carta sono rimasti inapplicati, e prevedevano la creazione di un vero e proprio esercito permanente delle Nazioni Unite creato mediante accordi da stipulare dal Consiglio di Stato con gli Stati interessati che avrebbero dovuto fornire delle forze militari in modo da creare un comitato internazionale di Stato maggiore sotto il controllo del Consiglio. Poi con lo scoppio immediato della guerra fredda, questa idea venne abbandonata e questi accordi non sono più stati stipulati, sostanzialmente era un "pactum de

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contraendo". Nella prassi,fino agli anni ’80, il Consiglio di sicurezza e il segretario generale delle Nazioni Unite, per deroga del Consiglio, si sono avvalsi di contingenti nelle crisi internazionali in cui le Nazioni Unite sono intervenute, messi volontariamente a disposizione da parte degli Stati.Dal 1990 si è sviluppata una nuova prassi contraria alle regole contenute nella Carta. Il primo caso è quello dell'aggressione dell'Iraq al Kuwait.Dato che questo esercito permanente non c'era, il Consiglio di sicurezza ha fatto per la prima volta una cosa non prevista dalla Carta, cioè ha autorizzato gli Stati ad intervenire per suo conto. Sarebbe bastato l'articolo 51, ma si è sostenuto che non era pienamente legittima difesa perché uno dei limiti è quello dell'immediatezza.Cioè si può usare la forza in legittima difesa per respingere l'aggressione finché l'aggressione è in atto; ma se si aspetta come in quel caso, facendo pressione sull'Iraq affinché cessasse l'offesa non era più tecnicamente legittima difesa perché l'intervento della coalizione capeggiata dagli Usa era "ex post facto".Da allora, le autorizzazioni del Consiglio di sicurezza si sono moltiplicate e si ritiene che ormai si è creata una norma consuetudinaria, una sorta di funzione di polizia internazionale che le Nazioni Unite attraverso questo procedimento possono utilizzare. Certo è, che ormai si ammette,che il divieto dell'uso della forza(che era divieto pattizio) è ormai passato nel diritto generale internazionale; che anzi è l’illecito più grande possibile usare la forza nei rapporti internazionali. Quindi anche se la carta non esistesse questo, è un principio di diritto internazionale generale che vincola tutti gli Stati poiché gli è stato riconosciuto carattere consuetudinario. Per quello che è l'illecito più grave cioè l'aggressione militare di uno Stato ad un altro, la situazione oggi è notevolmente migliorata e quindi quegli inconvenienti insiti nella struttura orizzontale, nell'assenza di un'autorità superiore ai soggetti di base del sistema, sono stati notevolmente limitati. Ma i pericoli di abuso esistono sempre perché il sistema delle Nazioni Unite non è affatto perfetto, innanzitutto perché occorre che il Consiglio di sicurezza deliberi, e per deliberare può incontrare delle difficoltà sia per quanto riguarda la sua composizione sia per le sue regole di voto. Il Consiglio ,infatti,è composto da cinque membri permanenti(le potenze principali che hanno vinto la guerra) e cioè:gli Stati Uniti, la Russia, la Francia, Inghilterra e la Cina; e altri 10 eletti ogni due anni. I membri permanenti per quanto riguarda le regole di voto(articolo 27) hanno anche il diritto di veto; paragrafo 3 articolo 27:" le decisioni del Consiglio di sicurezza su ogni altra questione sono prese con un voto favorevole di nove membri, nel quale siano compresi i voti dei membri permanenti; tuttavia nelle decisioni previste dal capitolo sei e dal paragrafo tre dell'articolo 52,un membro che sia parte di una controversia deve astenersi dal voto". La maggioranza sarebbe leggermente qualificata, sono richiesti infatti 9 consensi su 15, ma basta un parere contrario di uno dei cinque membri permanenti per bloccare la decisione. Nella pratica sostanzialmente fino alla caduta dei regimi comunisti nell'Europa dell'est il Consiglio funzionava pochissimo dato che il mondo era praticamente diviso in due blocchi cioè i Paesi sotto la protezione degli Stati Uniti e Paesi sotto la protezione dell'unione sovietica; tanto è vero che iniziavano a circolare tesi che sostenevano che data l'impossibilità di funzionare del sistema, gli Stati avrebbero potuto recuperare il diritto di ricorrere alla forza per tutelare i propri interessi anche oltre i limiti rigorosi dell'articolo 51, invocando quel principio del diritto dei trattati detto:" del mutamento fondamentale delle circostanze"(rebus sic stantibus). Si tratta del principio della presupposizione,che nel nostro codice civile è alla base della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità . Questo primo limite è un limite di funzionalità, che esiste ancora e che rappresenta una deroga importante alla norma generale dell'art. 2 par. 1della Carta,poiché i membri permanenti non sono affatto uguali agli altri; basti pensare che in pratica non si può ricorrere a misure collettive nei confronti di nessuno dei cinque membri perché il membro parte di una controversia deve astenersi dal voto solo per le decisioni riguardanti il Capitolo VI,cioè sulla risoluzione pacifica delle controversie,non invece per il capitolo VII dove non voterebbero mai a favore dell'uso della forza contro se stessi. Ci sono poi i limiti generali presentati da una società a struttura orizzontale, cioè il fatto che il livello di potenza militare, economica e politica degli Stati sia molto diseguale; quindi non è una struttura che può avere il livello di efficienza che può avere in un ordinamento interno la forza pubblica contro un singolo individuo criminale(che non è certamente in grado di opporvisi). Diversamente utilizzare la forza contro minacce alla pace fatte da Stati più potenti del mondo, è evidentemente impossibile; quello che si può fare è creare delle forme di gestione di funzioni,compiti,attività che possono migliorare le relazioni

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giuridiche e politiche internazionali. Oltre alla Carta delle Nazioni Unite, ci sono le organizzazioni regionali, i patti di alleanza regionale; quello più conosciuto è la NATO(North Atlantic Treaty Organization) che venne creata quasi parallelamente al patto di Varsavia che era un'alleanza difensiva contro l'espansionismo temuto del comunismo(fino al 1955 le truppe sovietiche si stazionarono in Austria e accettarono di lasciarla solo in cambio di un impegno di neutralità).Si crearono dunque queste due parti di alleanze difensive, quello occidentale che era la Nato e quello orientale che era il patto di Varsavia. C'erano anche organizzazioni dello stesso genere in tutti gli altri continenti. Nel continente americano c'è l' OSA(organizzazione stati americani),poi c'è la Lega araba, in Africa l'unione africana; da poco anche l'Unione Europea è diventata qualcosa di simile perché uno degli sviluppi della politica estera e sicurezza comune è proprio questo. Abbiamo infatti una norma simile all'articolo 5del trattato Nato(che stabilisce l'obbligo degli Stati di difendere l'aggressore) che è l'articolo 42 paragrafo 7del trattato di Lisbona:" Qualora uno Stato membro dell'Unione Europea subisca un'aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso in conformità dell'articolo 51 della carta delle Nazioni Unite". Con tutti i mezzi in loro possesso,significa che c'è anche il ricorso alla guerra,alla forza armata. Sotto quest'aspetto l'articolo va al di là del trattato Nato che invece è un po' il modello della Società delle Nazioni, cioè non prevede l'obbligo giuridico automatico di prestare soccorso militare(perché la formula è più generiche e più vaga).

Le organizzazioni regionali sono previste anche alla carta delle Nazioni Unite, nelle norme di coordinamento agli articoli 52 e 53. Norma chiave è l'articolo 53 che prevede perfino che il Consiglio di sicurezza utilizzi le organizzazioni per svolgere azioni di"enforcement" cioè mantenimento in via coercitiva della pace e sicurezza internazionale. Il fatto che non esista un potere centrale di controllo della violenza dotato di forza sufficientemente irresistibile per tutti i membri della collettività, è un limite strutturale su cui non c'è più niente da fare. In molti casi si è cercato di legittimarla allargando l'ambito di applicazione dell'articolo 51; tuttavia nella prassi internazionale degli ultimi 20 /30 anni in questa materia tutte le volte che si è usata la forza anche quando era meramente illecito,gli Stati hanno cercato di giustificarsi l'uno con l'altro(self-protection). I paesi in via di sviluppo avevano creato l'espressione " aggressione permanente" per indicare uno Stato che continua a mantenere il suo dominio coloniale, e non è disposto a restituire l'indipendenza alle proprie colonie.Questo caso non è un'ipotesi di violenza internazionale, perché la colonia fa parte del territorio sottoposto al potere di uno Stato, però c'era l'idea di internazionalizzare un conflitto che secondo i principi del diritto internazionale tradizionale era interno. Quindi considerando la colonia come aggressione permanente, gli Stati terzi avrebbero il diritto di portare soccorso militare ai territori ex coloniali. Per quanto riguarda gli obblighi internazionali meno importanti, come l'obbligo di astenersi dalla minaccia dell'uso della forza armata e militare,abbiamo progressi che si sono legati allo sviluppo dell'organizzazione internazionale; per esempio per gli illeciti economici oggi c'è un sistema di controllo collettivo(istituito dopo la seconda guerra mondiale) cioè l'organizzazione mondiale del commercio WTO ,creata con il trattato di Marrakech del 1994 come evoluzione del GATT, che utilizza un meccanismo articolato di risoluzione delle controversie basato sulla pressione collettiva dei membri, perché, gli Stati che non rispettano gli impegni in questa materia possono essere autorizzati dall'insieme delle parti contraenti ad adottare contromisure di carattere economico. Anche qui,in materia di rapporti commerciali, c'è un processo di gestione collettiva degli obblighi internazionali fondamentali degli Stati. Questo è un sistema criticabile perché i Paesi più deboli, sono in posizione di non perfetta uguaglianza di armi e nemmeno sotto il profilo della potenza economica, però anche qui c'è in sostanza la creazione di meccanismi collettivi attraverso l'organizzazione internazionale che rendono la situazione puramente individualistica quindi più facilmente controllabile. Altro progresso importante del diritto internazionale degli anni recenti, è la formazione di obblighi internazionali tra gli Stati di un tipo nuovo che cerca di superare la struttura tradizionale individualista del diritto internazionale; e cioè quella categoria di obblighi detti ERGA OMNES, che modificano un poco la struttura tradizionale del sistema normativo. La struttura tradizionale prevede che data l’assenza di

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una verticalizzazione (autorità al di sopra degli Stati) e di una personificazione della comunità internazionale, le norme internazionali hanno una potenzialità di produzione normativa più limitata poiché è limitata la struttura elementare dei rapporti di diritto obbligo, infatti ,con un trattato, gli Stati si attribuiscono diritti reciproci ai quali corrispondono obblighi. Lo stesso succede anche con il diritto consuetudinario(norme consuetudinarie che coordinano le rispettive sovranità degli Stati) questi rapporti di diritto obbligo hanno dunque la caratteristica della bilateralità. Lo Stato A,ha un diritto nei confronti dello Stato B, che ha un obbligo nei confronti dello Stato A. Normalmente su base reciproca è anche il contrario cioè che B, ha un diritto corrispondente nei confronti di A, che ha un obbligo corrispondente nei confronti di B. Così come succede nel diritto interno per i rapporti contrattuali. Quindi ciò significa che se è bilaterale la situazione giuridica sostanziale(diritto soggettivo e obbligo rispondente), è bilaterale anche il rapporto di responsabilità che si determina nel caso di violazione dell'obbligo. Cioè se A viola il diritto di B;A è responsabile della riparazione del torto nei confronti di B; e B al diritto corrispondente. Però tutti gli altri Stati C,D,E,F non c'entrano niente perché si tratta di una situazione meramente bilaterale. Questo vale anche per le norme del diritto internazionale consuetudinario infatti,anche se in quanto generali valgono per tutti gli Stati ,le situazioni giuridiche soggettive che creano le norme del diritto internazionale sono sempre coppie di diritto obbligo tra Stati. Per esempio il diritto consuetudinario stabilisce che tutti gli Stati hanno il diritto di esercitare il loro potere sovrano nel loro mare territoriale che ha un'estensione di 12 miglia a partire dalle linee di base, e questo diritto vale nei confronti di tutti gli Stati terzi. Però gli Stati terzi hanno a loro volta un diritto relativo al mare territoriale degli Stati cioè il diritto di transito inoffensivo quindi le loro navi possono passare purché il passaggio sia continuo(non possono ad esempio fermarsi, stazionare, scaricare materiali inquinanti, essere ammessi nei porti). Queste norme stabiliscono un diritto di tutti gli Stati, nei confronti di tutti gli Stati, purché siano stati che abbiano un mare territoriale. Se questa norma viene violata da uno Stato nei confronti dell'altro, gli altri Stati non c'entrano niente, sono rapporti di diritto obbligo puramente bilaterali. Lo stesso per la responsabilità per la violazione dell’obbligo, tranne per il caso di quell’obbligo internazionale fondamentale che è l'uso della forza armata(articolo 51 legittima difesa collettiva). Lo stesso succede per un trattato; altro esempio, è la convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche con cui gli Stati hanno concordato insieme delle regole sullo scambio di diplomatici e sul trattamento degli agenti diplomatici stranieri in particolare per la concessione di immunità agli agenti diplomatici(uno Stato non può sottoporre al processo o arrestare un diplomatico straniero); queste regole creano rapporti di diritto obbligo a tutti gli Stati per tutti gli Stati anche perché la convenzione di Vienna è di codificazione del diritto consuetudinario, quindi vale anche per gli Stati che non hanno ratificato. Se uno Stato però viola l'immunità diplomatica dell'ambasciatore di un altro Stato, ha commesso illecito soltanto nei suoi confronti, non nei confronti degli altri Stati. Questa struttura bilaterale è manifestazione di quella debolezza che ha il diritto internazionale rispetto alle società statali verticalizzate perché presenta quei limiti visti cioè reagire agli illeciti e il ripristino dell'ordine giuridico violato è affare privato della vittima. Di conseguenza la vittima è lasciata a se stessa e i mezzi di reazione di cui dispone sono quelli che dipendono dal suo potere di reazione. Quindi c'è il rischio molto più di quanto c'è nel diritto interno, che le violazioni del diritto restino prive di sanzione o riparazione(nelle società statali c'è l'obbligo dello Stato di intervenire per rendere giustizia e obbligare chi ha violato il diritto a riparare). Lo sviluppo nuovo è che questa situazione per quelli che sono gli obblighi internazionali più importanti, sta cominciando a cambiare perché ci sono accenni moderni di maggiore socializzazione della responsabilità internazionale e cioè si sta cominciando ad affermare la nozione che alcuni obblighi hanno tale importanza per la coesistenza pacifica degli Stati che la violazione di questi obblighi anche nei confronti di un singolo Stato non è illecito soltanto nei confronti di quello Stato ma è simultaneamente un illecito nei confronti di tutti gli Stati membri della comunità internazionale(per questo si usa l'espressione anche se non precisissima di OBBLIGHI ERGA OMNES). Si sta cominciando quindi ad affermare una bipartizione degli obblighi internazionali, cioè gli obblighi correnti(normali) che hanno una struttura bilaterale, e invece gli obblighi erga omnes in cui la struttura non è più bilaterale perché tutti gli Stati membri della comunità hanno il diritto nei confronti di tutti che certe regole vengano osservate,con la conseguenza, che tutti possono far valere la violazione. Questa è dunque l'idea di socializzazione della responsabilità internazionale.

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4 12 2009La struttura tradizionale dell'illecito in campo internazionale è puramente bilaterale perché a monte del rapporto di responsabilità è la struttura delle situazioni giuridiche degli Stati, cioè il diritto internazionale funziona esclusivamente per coppie di rapporti di diritto obbligo degli Stati. Questa è la struttura tradizionale. Elemento importante del diritto internazionale contemporaneo(che rappresenta un progresso sul piano della civilizzazione della vita giuridica internazionale) è l'emergere a partire da qualche decennio dell'idea che esistano, a tutela dei principi più importanti della convivenza internazionale, principi considerati essenziali da tutti gli Stati e al cui rispetto tutti gli Stati hanno interesse, anzi diritto. Questa categoria di obblighi internazionali si chiama: obblighi internazionali erga omnes. Questa è un'espressione non precisissima per indicare che mentre c'è una serie di diritti e obblighi per gli Stati, che possono essere fatti rispettare da ciascuno Stato nei confronti dell'altro a titolo puramente individuale, c'è una categoria di illeciti più grave che ha per conseguenza il sorgere di una responsabilità per chi commette l’ illecito nei confronti dell'intera comunità internazionale. Per fare un esempio chiaro, torniamo al discorso sulla legittima difesa collettiva, se lo Stato A viola il divieto dell'uso della forza nei confronti dello Stato B, non commette il illecito internazionale solo nei confronti di B ma nei confronti di tutti gli altri Stati, il che significa che gli altri Stati in linea di principio hanno o dovrebbero avere il diritto di reagire perché tutti simultaneamente sono lesi dall'illecito. In una figura di questo tipo si ha dunque in sostanza un diritto collettivo e inseparabile perché l'oggetto, cioè il bene tutelato, è un bene al quale tutti gli Stati hanno interesse ed è indivisibile. Si dice, ad esempio, che la pace è indivisibile quindi, l'aggressione viola un obbligo in cui rispecchiano interesse tutti gli Stati e non soltanto l'offeso. In realtà negli obblighi erga omnes, si parla anche di diritti e doveri solidali cioè di un vincolo di solidarietà, ma analizzando bene la situazione, dal punto di vista strutturale è chiaro che un tipo di diritto collettivo indivisibile di tutti gli Stati è diverso dalle normali coppie di diritti e obblighi individuali, però in realtà il proprium di questa categoria di illeciti più gravi, non è solo la struttura perché una struttura di questo genere ci può essere anche in obblighi che non sono dello stesso tipo; ad esempio un trattato internazionale che crea delle situazioni giuridiche e per il loro contenuto, per il contenuto dell'obbligo assunto sono inseparabili tipo la convenzione di Vienna sulle immunità diplomatiche. Coppie di diritto obbligo fra singoli Stati, lo Stato in cui ha sede e lo Stato che accredita l'ambasciatore sono assolutamente inseparabili e distinguibili da quelli degli altri anche se di contenuto identico quindi situazioni di rapporti giuridici bilaterali ma paralleli. Immaginando però un tipo di trattato diverso per esempio il trattato di non proliferazione nucleare con cui alcuni Stati si sono obbligati a non costruire e quindi detenere armi nucleari,è chiaro che l'adempimento o inadempimento di quest'obbligo non è possibile in maniera separata nei confronti degli altri contraenti, perché uno stato o si dota di armi nucleari o non lo fa. Se lo fa, simultaneamente ha violato la pretesa giuridica che gli altri avevano che non lo facesse, quindi la separazione non è possibile. Un altro esempio, dello stesso genere, è il trattato di neutralizzazione ( come si usava nel passato) con cui uno Stato si assume gli obblighi di rimanere neutrale, qualunque cosa succeda, nei confronti di altri Stati quali in cambio si assumono l'obbligo di proteggerlo nel caso che venga aggredito. Anche qui se lo Stato decide di violare gli obblighi non è possibile un adempimento o inadempimento separato, ma qui la struttura è data semplicemente dal contenuto della situazione giuridica, cioè il contenuto dell'obbligo è tale che non è possibile adempierlo o non

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adempierlo nei confronti di alcuni sì e di altri no. Viceversa gli obblighi erga omnes rappresentano un fatto nuovo nello sviluppo storico del diritto internazionale perché non è solo la struttura solidale, collettiva della situazione giuridica cioè l'elemento dell'inseparabilità strutturale, ma è il fatto che si tratta di obblighi considerati particolarmente importanti perché posti a salvaguardia di valori che la comunità internazionale considera imprescindibili, ed è il contenuto valoriale dell’obbligo che lo caratterizza e contraddistingue. Questi obblighi sono emersi negli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale; modo migliore per definire di cosa si tratta, è dare una definizione che era contenuta nel corso dei lavori di codificazione del diritto della responsabilità internazionale degli Stati in un precedente testo di articoli della commissione, quello del 1996. Vi era una norma nella prima versione che era stata introdotta ancora prima nel 1976, che parlava,per qualificare questa categoria di obblighi, di una distinzione che ci sarebbe stata, tra delitti internazionali(anche nel senso della terminologia francese, categoria di atto illecito cioè illecito civile, che è terminologia romanistica perché risale alla distinzione dei delitti e quasi delitti fatta da Gaio e poi inserita nel 1804 del codice di Napoleone) e crimini. Questa terminologia per distinguere la categoria degli illeciti più gravi dai normali atti illeciti internazionali quindi di tipo bilaterale ,era stata utilizzata in questa prima versione dal progetto di articoli all'articolo 19.Articolo 19:" Un atto internazionalmente illecito che risulta dalla violazione da parte di uno Stato di un obbligo internazionale, tanto essenziale per la protezione degli interessi fondamentali della comunità internazionale che la sua violazione è riconosciuta come un crimine da tali comunità nel suo insieme, costituisce un crimine internazionale".Questa definizione, pecca per il fatto di essere tautologica però, è una definizione abbastanza chiara di quello che si voleva dire, anche perché lo stesso articolo prosegue con degli esempi:" un crimine internazionale può tra l'altro risultare da: a) una violazione grave di un obbligo internazionale di importanza essenziale per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, quale quello che vieta l'aggressione. b) una violazione grave di un obbligo internazionale di importanza essenziale per la salvaguardia del diritto di autodeterminazione dei popoli quale quello che viola l'istituzione o il mantenimento con la forza di una dominazione coloniale. c) una violazione grave su larga scala di un obbligo internazionale di importanza fondamentale nella salvaguardia dell'essere umano, quali quelli che vietano la schiavitù, il genocidio, l’ apartheid. d) una violazione grave di un obbligo di importanza essenziale per la salvaguardia e la conservazione dell'ambiente umano, quali quelli che vietano l'inquinamento massiccio dell'atmosfera dei mari."In sostanza questo articolo 19 oggi ridimensionato nella versione del 2001, spiegava questa differenza che c'è tra illeciti semplici, illeciti normali e illeciti erga omnes, che si è caratterizzano per questo doppio elemento: elemento della solidarietà(avviene simultaneamente nei confronti di tutti gli Stati) e l'elemento del contenuto(obblighi posti a tutela di interessi fondamentali). Questo è uno sviluppo nuovo del diritto internazionale perché il diritto internazionale classico era individuale nel senso che essendo gli Stati non soltanto sovrani, ma individualisti, il diritto internazionale classico è quello di una comunità in cui i rapporti giuridici tra i membri che ne fanno parte, sono ridotti al minimo, tanto è vero che secondo la nota distinzione il diritto internazionale viene diviso in due branche: diritto consuetudinario e diritto pattizio cioè diritto della coesistenza e della cooperazione. Poi invece nel diritto contemporaneo, a poco a poco c'è questa idea della socializzazione un po' più forte, cioè l'adesione di tutti gli Stati in quanto membri della comunità internazionale ad un sistema di valori di civiltà(quelli sinteticamente elencati dall'articolo 19).Questo insieme di valori, farebbero passare il diritto internazionale dalla fase classica del diritto tradizionale della coesistenza, alla fase kantiana,un diritto internazionale che poco a poco evolve in un diritto cosmopolita, che comincia a riconoscere valori essenziali e tutti gli Stati hanno diritto di pretendere che vengano rispettati, e diritto di intervenire per farli rispettare. Questo insieme di valori sono ampiamente contenuti nella carta delle Nazioni Unite(nucleo del sistema delle Nazioni Unite) che consiste nel controllo organizzato multilaterale dell'uso della forza. Abbiamo visto questo aspetto delle Nazioni Unite che è un aspetto parziale perché le Nazioni Unite

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hanno un ambito di interessi, obiettivi e azioni molto più ampio e include la cooperazione internazionale degli Stati in tutti i settori della vita economica e sociale della comunità; l'articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite elenca i fini dell'organizzazione: " I fini delle Nazioni Unite sono:1.mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed a questo fine: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace e conseguire con mezzi pacifici, e in conformità ai principi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace."Il paragrafo due aggiunge:" Sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'autodecisione dei popoli, e prendere altre misure atte a rafforzare la pace universale; 3 " conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale, culturale od umanitario e nel promuovere e incoraggiare il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzione di razza, sesso, di lingua o religione;4: costituire un centro per il coordinamento dell'attività delle Nazioni volta al conseguimento di questi fini comuni."Importante,è sottolineare che tra la cooperazione degli Stati in tutti questi campi e il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, c'è una relazione stretta, su questo si basa l'idea di costruire un'organizzazione internazionale universale che costituisce un centro di cooperazione degli Stati in tutti i settori. L'esperienza storica, ha dimostrato che solo i governi totalitari hanno atteggiamento ostile o aggressivo nei confronti di altri che sono responsabili della violazione della pace, quindi c'è un nesso importantissimo, come pure è importante nel paragrafo 1,il rapporto che c'è tra la pace e la giustizia ma anche nell'articolo due paragrafo 3 sulla soluzione pacifica delle controversie. Nella Carta delle Nazioni Unite al capitolo IX(cooperazione internazionale economica e sociale) l'articolo 55 è la parte attuativa dei principi di cooperazione stabiliti dall'articolo 1,infatti, ha il fine di creare le condizioni di stabilità e benessere necessarie per avere rapporti pacifici ed amichevoli tra le nazioni. Rapporti che devono basarsi sulla rispetto del principio dell'uguaglianza dei diritti e dell'autodecisione dei popoli. Articolo 56:" i membri si impegnano ad agire, collettivamente o singolarmente, in cooperazione con l'organizzazione per raggiungere i fini indicati dall'articolo 55".L'idea di superare la struttura tradizionalmente bilaterale, strettamente sinallagmatica, dell'illecito e della responsabilità nel diritto internazionale, invece si è affermata una ventina di anni dopo la redazione della carta; momento fondamentale e l'inizio di questo movimento viene fatto coincidere con un obiter dictum contenuto in una sentenza della corte internazionale di giustizia del 1970 relativa al caso Barcelona Traction(sulla protezione diplomatica). Si trattava della nazionalizzazione senza indennizzo che era una forma di nazionalizzazione strisciante che aveva fatto la Spagna di una società canadese, però i soci, gli azionisti della società erano tutti cittadini belgi. Il Belgio voleva agire in protezione diplomatica dei suoi azioni contro la Spagna; la questione era (e quello che contava per individuare quale Stato aveva il diritto di agire a tutela degli interessi patrimoniali degli stranieri ) cioè si sosteneva,che la Spagna avesse violato lo stato nazionale della società perchè era una persona giuridica,tra le persone fisiche cioè il proprietario della società, proprietario delle azioni e la persona giuridica è appunto il velo della nazionalità e, quindi la società era canadese, le persone fisiche però erano belghe. La questione era sapere se i belgi potevano agire contro gli azionisti che avevano fatto una società non in Belgio di diritto belga ma in Canada; oppure se il fatto che la società fosse canadese priva di legittimazione attiva il Belgio. Questa era la questione(che non c'entra niente con gli argomenti di cui ci stiamo occupando) e la corte internazionale di giustizia in quella occasione inserì nella sua sentenza un obiter dictum(considerazione al margine che non è essenziale per motivare il contenuto decisorio della sentenza) rimasto famoso perché è la prima espressione da una fonte ufficiale, autorevole nel campo del diritto internazionale della esistenza di questa categoria particolare di obblighi che esistono simultaneamente e solidamente nei confronti di tutti i membri della comunità internazionale. La corte internazionale di giustizia nella sentenza 5 febbraio 1970 dice:" una distinzione essenziale deve essere fatta in particolare fra le obbligazioni degli Stati nei confronti della comunità internazionale nel suo insieme e quelle che nascono nei confronti di un altro singolo Stato nel quadro della protezione diplomatica. Per loro stessa natura le prime riguardano tutti gli Stati, vista

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l'importanza dei diritti in gioco, tutti gli Stati possono essere considerati come aventi un interesse giuridico a che tali diritti siano protetti. Le obbligazioni di cui si tratta sono obbligazioni erga omnes. Tali obbligazioni derivano ad esempio nel diritto internazionale contemporaneo dalla messa al bando degli atti di aggressione o genocidio ma anche dai principi e dalle regole concernenti i diritti fondamentali della persona umana ivi compresa la protezione contro la pratica della schiavitù e della discriminazione razziale. Alcuni fra i diritti di protezione e corrispondenti si sono integrati nel diritto internazionale generale(si intende consuetudinario) altri sono invece conferiti da strumenti internazionali di carattere universale o quasi universale." Questa è la prima enunciazione di questa categoria di diritti e di obblighi particolari che era una novità, anche se il sistema di valori indicato era previsto dalla Carta delle Nazioni Unite la quale però non implicava l'assunzione da parte degli Stati membri di tutti questi obblighi, c'era solo un obbligo di cooperare con l'organizzazione di carattere generico e piuttosto vario. Sul piano della responsabilità, questa desistenza in questi settori fondamentali che sono in sostanza: quello dei diritti umani fondamentali, contro le violazioni su larga scala; il divieto dell'uso della forza e la violazione del principio di autodeterminazione. Questo tipo di illecito ha come conseguenza che tutti gli Stati anche quelli diversi dallo Stato singolo, che ha subito l'illecito, possano reagire. Un'applicazione di questa nozione è l'idea della legittima difesa collettiva così come già l'articolo 51 della carta delle Nazioni Unite la configura, perché in sostanza c'è il divieto di usare la forza ma se uno Stato è aggredito anche gli altri possono intervenire per respingere e quindi possono autorizzarli a usare la forza contro l'aggressore; normalmente però siccome al di fuori della legittima difesa l'uso della forza militare è vietato dal diritto internazionale, le forme di reazione a violazione di obblighi erga omnes, alle quali tutti gli Stati possono ricorrere sono contromisure di minore portata cioè di carattere economico (elencate almeno parzialmente dell'articolo 41 carta delle Nazioni Unite). Anche su questo piano vanno fatte diverse precisazioni, il fatto che la comunità nel suo insieme possa intervenire per esigere il rispetto di questo nucleo di principi essenziali, è un progresso, però anche questa struttura collettiva dell'illecito soggiace ai limiti è infatti presente sempre l'inconveniente di una reazione all'illecito che comunque non è istituzionalizzata, è fatta sempre a titolo individuale dagli Stati membri della comunità internazionale. Sono stati visti gli inconvenienti cioè la diversità di forza, di potenza politica, economica, militare;in pratica solo alcuni sono in grado di reagire efficacemente all'illecito degli altri,mentre gli altri non sono altrettanto in grado di reagire agli illeciti commessi dagli Stati più potenti e il carattere discrezionale della reazione, perchè lo Stato può scegliere se reagire o non reagire, il che quindi finisce per creare delle difficoltà anche di ordine politico. Infatti l'affermazione degli obblighi erga omnes è accettata da tutti come principio, ma la conseguenza giuridica che ne deriva è una regola che va bene per i paesi più potenti e più ricchi, ma non molto bene per gli altri. Ecco perché anche se si è accettato il principio non è sicurissimo che la conseguenza giuridica logica cioè la reazione sia necessaria(secondo il professor Davì si). Analizzando i lavori di codificazione di alcuni decenni sul diritto della responsabilità internazionale degli Stati, è facile vedere che c'è stato una specie di passo indietro nel corso dei lavori perché mentre nel primo testo elaborato dalla commissione nel 1996 non si rifiuta di trarre questa conseguenza logica cioè, che anche gli Stati non materialmente lesi sono però lesi in un loro diritto perché vi è diritto di rispetto da parte di tutti di questi valori fondamentali e quindi possono anche reagire, invece questa idea è quasi esclusa anche se in forma piuttosto ambigua dal progetto del 2001. Il progetto di articoli del ‘96 definiva questi illeciti come crimini internazionali dello Stato, e sul piano delle conseguenze giuridiche era esplicito perché nell'articolo 40 che definiva cosa dovesse intendersi per stato offeso dall'illecito, indicava che se l'atto internazionalmente illecito costituisce un crimine internazionale, lo stato offeso è qualunque Stato. L'articolo 51 poi precisa che un crimine internazionale comporta tutte le conseguenze giuridiche di qualsiasi altro atto internazionalmente illecito(in particolare le contromisure). Il progetto del ‘96 è stato molto criticato sia dalla dottrina ma anche dagli stessi Stati perchè la commissione del diritto internazionale conclude i suoi lavori e poi manda il prodotto ai governi degli Stati perché possano esprimere la loro opinione prima che si decida se il progetto va o no trasfuso in una convenzione internazionale. Molti Stati, soprattutto alcuni paesi più potenti del mondo avevano sollevato delle riserve, maggiormente sul piano del linguaggio diplomatico poiché è difficile da far accettare il crimine internazionale dello Stato(infatti molti di questi usano la forza un po' al di sopra di quanto permesso

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dal diritto quindi non erano convinti di questa idea e sia sotto questo aspetto che sotto altri sono state fatte diverse critiche). Il progetto del 2001 è decisamente più cauto anzitutto già sul piano della definizione di Stato leso, perché il precedente progetto diceva che qualsiasi stato del mondo è uno stato leso e affermava quindi un diritto soggettivo di tutti gli Stati a che siano rispettati gli obblighi erga omnes. L'attuale articolo 32 invece indica, che uno Stato è legittimato in quanto Stato leso a invocare la responsabilità di un altro Stato se l'obbligo violato sussiste nei confronti di quello Stato individualmente oppure(lettera b)) quando si tratta della comunità internazionale nel suo insieme, occorre però che la violazione dell'obbligo riguardi specialmente quello Stato. Quindi lo Stato è leso uti singolus e non uti univesus.Questo ha conseguenze sul piano della responsabilità perché è specificato negli articoli che riguardano le contromisure, articolo 49:" uno stato leso può adottare contromisure nei confronti di un altro Stato che sia responsabile di un atto internazionalmente illecito" quindi solo lo stato leso può apportare le contromisure; per stato leso si intende quello che individualmente è stato leso dall'illecito. L'articolo 48:" ogni Stato diverso da uno Stato leso è legittimato a invocare la responsabilità di un altro Stato ai sensi dell'articolo 2, se l'obbligo internazionale si pone nei confronti della comunità internazionale nel suo complesso, ma può adottare soltanto le misure di cui all'articolo 54" Articolo 54:" Il presente capitolo non pregiudica il diritto di ogni Stato legittimato ai sensi dell'articolo 48 par 1 di invocare la responsabilità di un altro Stato, di adottare le misure lecite contro quello stato per assicurare la cessazione della violazione". Quindi può adottare solo misure lecite, non la rappresaglia, al massimo si potrebbe trattare di ritorsioni che possono essere adottate sempre anche di fronte ad un atteggiamento non amichevole di un altro Stato. Questo porta alla conclusione che tutti gli altri Stati non hanno nemmeno un diritto a pretendere il rispetto degli obblighi erga omnes(al contrario sarebbero lesi) anche loro. La dottrina ha iniziato a cercare una figura diversa dal diritto soggettivo, l'interesse giuridico sarebbe un interesse e non un diritto(secondo il professor Davì il diritto internazionale non ha una struttura così sofisticata, negli ordinamenti interni abbiamo figure anche molto più complesse tipo il diritto potestativo, di interesse legittimo. Mentre il diritto internazionale ha una struttura piatta puramente orizzontale). In realtà però questo progetto del 2001 ha un certo grado di ambiguità perché c'è una regola non molto chiara, l'articolo 41 par 3(riguardo le conseguenze dell'illecito erga omnes):" Questo articolo non reca pregiudizio alle altre conseguenze previste nella presente parte e alle ulteriori conseguenze che una violazione cui si applica il presente capitolo può comportare ai sensi del diritto internazionale".gli articoli 40 e 41 non parlano più di crimini internazionali ma con formula più diplomatica di "gravi violazioni di obblighi derivanti da norme imperative nel diritto internazionale generale".Il paragrafo 3è una Without or Prejudice clauses cioè una clausola che dice che la violazione non è senza pregiudizio. Quindi quando si dice "senza pregiudizio delle altre conseguenze che possono derivare ai sensi del diritto internazionale" non solo la formula è ambigua, ma soprattutto, è in qualche maniera autolimitazione dell'idea di codificazione perché stiamo facendo un progetto che vuole codificare il diritto della responsabilità internazionale degli Stati; però rinviamo al diritto internazionale non indicando come invece dovrebbe essere in maniera esaustiva le conseguenze prodotte dall'atto internazionalmente illecito dello Stato. L'articolo rappresenta uno sforzo diplomatico di rendere accettabile alla maggioranza degli Stati questo testo come base di un accordo internazionale di codificazione, cercando di prevenire le molte obiezioni fatte soprattutto dai paesi deboli. Queste obiezioni erano in parte, dal loro punto di vista, giustificate non al riguardo del rigore dei concetti giuridici perché se si ammette una categoria di obblighi a cui tutti devono portare un certo rispetto non si può poi sostenere che nessuno può reagire alla violazione di questi obblighi perchè evidentemente è un modo di arretrare; però questa difficoltà a far accettare questa categoria nasce dall'esperienza precedente in cui si è visto che c'era un gruppo di Stati in grado di ergersi, contro quelli politicamente ed economicamente più deboli, a paladino del rispetto internazionale mentre gli altri non possono fare altrettanto. Esempio negli anni 80 quando c'era ancora la guerra fredda anche gli Stati europei hanno adottato misure di questo genere contro misure di carattere economico, diplomatico ecc. in maniera selettiva perché quando l'unione sovietica aveva aggredito l'Afghanistan o provocato il colpo di Stato in Polonia sono state applicate delle sanzioni; quando gli Stati Uniti a loro

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volta hanno violato il divieto dell'uso della forza siccome erano alleati, non applicavano le stesse misure.questo spiega che nei lavori di codificazione sono stati fatti vari tentativi, per esempio negli anni 70 nel primo progetto, il relatore pensò di stabilire che le procedure previste della carta delle Nazioni Unite(parte dell'alleanza difensiva) siano estese a queste ipotesi; questa idea però non venne accettata da altri perché gli altri Stati non vogliono arrivare a vincolare la loro libertà di azione sino a questo punto. L'assemblea generale organo in cui sono rappresentati gli Stati del resto non ha il potere di adottare sanzioni, ma può fare solo raccomandazioni(articolo 11 carta delle Nazioni Unite). Vero è che leggendo l'articolo che apre il capitolo VII della carta, cioè l'articolo 39, vediamo che dice che il Consiglio di sicurezza può adottare misure incluse quelle dell'articolo 41 e financo quelle dell'articolo 42 non solo se c'è violazione delle raccomandazioni ma anche quando c'è una minaccia alla pace. Violazioni molto gravi in casi estremi possono arrivare a rappresentare una minaccia alla pace, ed è anche vero che c'è una discrezionalità del consiglio nel decidere cosa è,e cosa non è una minaccia della pace, e quali misure sono opportune. La competenza del consiglio non è sanzionare la violazione ma prevenire o reprimere le minacce alla pace(tra l'altro quando è stata fatta la Carta non c'èrano gli obblighi erga omnes). Quindi in sostanza la struttura del diritto internazionale è fatta in maniera tale che non c'è una possibilità nello stesso tempo di affermare l'esistenza di principi inviolabili ai quali tutti gli Stati hanno il diritto di reagire, e però d’ altro canto riuscire a trovare un modo di compensare gli inconvenienti della reazione anarchica. Il professor Davì ritiene che l'esame della prassi sia sufficiente ad andare oltre questo progetto del 2001 e riconoscere che ormai non c'è dubbio che esista questa categoria di obblighi particolari ma che anche gli Stati senza violare il divieto dell'uso della forza possono reagire. A volte anche in paesi in via di sviluppo quelli del sud che hanno presentato maggiori dubbi hanno fatto ricorso a questo tipo di misure. Per esempio negli anni ‘80 vi hanno fatto ricorso in Sudafrica contro il regime che praticava l'apartheid. C’è stato addirittura un caso in cui è stata usata anche la forza militare contro la violazione dei diritti umani da parte di uno Stato nel proprio ordine interno; lo ha fatto anche l'Italia violando il diritto internazionale quando c'è stato l'intervento della Nato non autorizzato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in Kossovo quando la Serbia violava gravemente i diritti, usando la violenza contro la popolazione albanese. In quel caso anche l'Italia è intervenuta bombardando una capitale europea (Belgrado) ed è stata la prima volta dopo la seconda guerra mondiale che veniva bombardata una capitale e in questo caso le condanne da parte del resto della comunità sono state abbastanza moderate.

10 12 2009

PRESENTAZIONE GENERALE DELLA PROBLEMATICA DEL DIRITTO INTERNAZIONALELe scorse settimane, abbiamo fatto un giro di orizzonte rapido per presentare, i caratteri dell’ordinamento internazionale paragonati con quelli degli ordinamenti interni per quello che riguarda i 3 elementi fondamentali sui quali si articola il funzionamento di un sistema giuridico e cioè:

La creazione delle norme, Le garanzie di accertamento e quindi la soluzione delle controversie; Le garanzie di attuazione del diritto,il diritto internazionale si fonda essenzialmente su

elementi come l’accordo quindi la consuetudine, il consenso degli stati e l’autotutela.

Abbiamo dunque visto i limiti rispetto ad ordinamenti giuridici dove c’è un autorità superiore e quindi un organizzazione verticale,ciò non toglie che il diritto internazionale riesca a svolgere il compito di assicurare una coesistenza sufficientemente pacifica e ordinata degli Stati. Quindi è un diritto che presenta caratteristiche diverse da quelle degli ordinamenti statali perché la società,la sfera sociale del diritto internazionale, presenta caratteristiche tali da avere un tipo di sistema normativo adatto

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alle sue esigenze,che sono diverse dalle esigenze della vita associata degli individui delle comunità statali. Questi elementi di diversità e di maggiore debolezza, sono spesso stati considerati di tale natura da indurre, anche studiosi autorevoli, ad un certo scetticismo anche sulla stessa possibilità di poter qualificare il fenomeno del diritto internazionale come vero e proprio diritto. Per molto tempo c’è stata la polemica dei negatori del diritto internazionale anche se oggi il problema è tramontato,molti addirittura non parlano più. Il dubbio sulla giuridicità del diritto internazionale, era pregnante nel periodo che va dalla seconda metà dell’ottocento,in Italia fino alla metà del novecento,con l’affermarsi del positivismo giuridico il quale, aveva in sostanza il centro nell’esaltazione esagerata del ruolo dello Stato,ma si basava anche su una concezione fortemente imperativistica del diritto.In un sistema di questo genere,partendo da premesse generali di questo tipo un sistema come quello del diritto internazionale può sembrare un fenomeno diverso dai fenomeni giuridici ai quali si è abituati a pensare(guardando al diritto statale come frutto del comando di un’autorità che impone ordini ai destinatari del comando).Probabilmente in queste tesi, oltre a premesse di teoria generale,oggi largamente superate,c’era anche una specie di impedizione di concilio in partenza,cioè l’idea di cercare di spiegare il fenomeno giuridico partendo dall’osservazione delle società statali e del diritto statale senza tenere conto del fatto che possono anche esistere fenomeni giuridici di tipo diverso;quindi in ogni altro tipo di realtà in cui non si riscontravano gli stessi caratteri dell’ordinamento giuridico dello Stato si era portati a vedere qualche cosa di diverso dal fenomeno giuridico. In realtà non è così, perché oggi si ammette largamente che esistono sistemi di norme di tipo diverso anche al di fuori del diritto internazionale. Queste tesi negazioniste nell’ottocento ebbero due influenze.La prima fu sostenuta dall’inglese James Austin che scrisse un famoso libro di teoria generale del diritto nel 1832.”Lectionary of jurisprudence”(Lezioni di teoria generale del diritto).Austin definiva in sostanza in maniera imperativistica il diritto,che per lui era il comando dato da un’autorità superiore a soggetti o entità subordinate assistito dalla minaccia di una sanzione. Su queste premesse imperativistiche e volontaristiche si formò la teoria tedesca,dalla fine dell’ottocento,del diritto internazionale che è anche una dottrina che studia il diritto internazionale;la dottrina tedesca era influenzata dal pensiero di Hegel negatore del diritto internazionale,perché tutto l’idealismo si basava sull’enfatizzazione del valore della volontà e potenza dello Stato incarnazione dello Spirito Assoluto e quindi onnipotente per definizione, che vedeva il diritto internazionale come diritto statale esterno. I positivisti tedeschi si ponevano il problema di come era possibile che lo Stato può essere sottoposto al diritto internazionale dato che non c’è niente sopra la volontà dello Stato.Questo problema simultaneamente si mostrava alle origini del costituzionalismo moderno,che si poneva il problema di come fosse possibile che lo Stato potesse incontrare, non solo rapporti internazionali con altri Stati,ma anche nei rapporti giuridici con i singoli dei limiti giuridici,dato che il diritto lo crea lo Stato con la sua volontà e quindi lo può anche cambiare perché lui stesso lo fa. Uno dei grandi studiosi del diritto pubblico di quel periodo,Gerard Irnec,scrisse due libri in cui si poneva questo problema applicandolo o al diritto internazionale (diritto dei trattati) o ai così detti diritti soggettivi (diritti che in base alle costituzioni gli individui singoli hanno nei confronti dello Stato). Questi due libri di argomento diversissimo sono:”La natura giuridica dei trattati internazionali”del 1880 e “il sistema dei diritti pubblici soggettivi” del 1892. Il problema comunque era lo stesso;per i trattati Irnec diceva che, se la volontà dello Stato non aveva nulla al di sopra di se,come può essere vincolato dallo stipulare un trattato internazionale? Quindi il trattato è frutto della volontà dello Stato che essendo sovrano può cambiarla quando vuole,non può ammettersi l’esistenza di un vincolo a rispettare il trattato anche se lo Stato cambia idea e non vuole più rispettarlo. Stessa cosa per i diritti dei singoli,questi sono riconosciuti dalla legge che è fatta dallo Stato che può dunque cambiarla quando vuole. La garanzia giuridica del singolo,secondo Irnec,era uguale sia per il diritto pubblico interno che per il diritto internazionale e cioè la teoria della autolimitazione. Questo è un sofismo,sostiene infatti che poiché la volontà dello Stato può tutto,può anche decidere di auto vincolarsi. La spiegazione dell’obbligatorietà dei trattati per lo Stato,per quanto riguarda i rapporti con gli altri Stati sul piano internazionale,e dei diritti pubblici del singolo è rappresentata dalla autolimitazione. È un sofismo

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perché la volontà non può imporre obblighi a se stessa e conseguentemente cambiare idea, già il fatto che lo stesso problema era posto per entrambi i casi, dimostra che il problema era posto male in questi termini, con un esasperazione dell’idea della volontà dello Stato ed un esagerazione dell’importanza attribuita alla sanzione. Non si può spiegare tutto il diritto con le sanzioni,non ci sarebbe nessuno Stato con un accettazione spontanea delle regole che governano l’ordinamento che potrebbe funzionare con la sola sanzione;tutti i sistemi dittatoriali che ci sono stati prima o poi sono stati rovesciati.Il fatto che il diritto internazionale abbia caratteristiche diverse da quelle del diritto interno,cioè che manchi un autorità superiore agli Stati,è il prodotto del fatto che la sfera di convivenza degli Stati si è effettivamente organizzata così,e gli Stati vogliono in sostanza mantenere questa loro situazione di autorità e non avere entità di governo superiore. Ciò attribuisce al diritto internazionale la qualifica di: ius inter potestatis. Motivo per cui il diritto internazionale funziona è anche la possibilità dell’autotutela,quindi la sanzione esiste, sia pure in questa forma più debole e meno organizzata. In realtà gli Stati non rispettano il diritto internazionale tanto perché si preoccupano della sanzione che potrebbe colpirli qualora non lo rispettassero,ma hanno anche altri motivi chiamati: fattori di osservanza spontanea del diritto,che hanno spesso importanza maggiore di quella della minaccia della sanzione. Rispetto al diritto interno, il diritto internazionale ha il vantaggio di essere prodotto dagli stessi soggetti di base, cioè è il prodotto dell’autonomia delle persone che sono poi i destinatari delle norme perché le creano loro,o perché accettano in via consuetudinaria l’esistenza di certi principi e regole di coesistenza,oppure perché stipulano degli accordi internazionali e dunque hanno interesse reciproco a rispettarli. Oltre a questo ci sono altri fattori verso i quali gli Stati sono sensibili,per esempio il ruolo delle opinioni pubbliche interne nei Paesi democratici,ma anche all’opinione pubblica internazionale. Nelle comunità interne, in sostanza c’è un gruppo di persone che sono i detentori del potere,questi però, sono sotto il controllo dell’opinione pubblica interna e internazionale e hanno quindi tendenza a cercare di rispettare gli impegni assunti. Oltre questo assume importanza il rapporto che c’è tra il diritto internazionale e gli ordinamenti giuridici interni. C’è un rapporto di funzionalità,lo Stato si auto legittima,si dà la sua costituzione è indipendente da poteri esterni,quindi la conseguenza è che c’è un rapporto di complementarità, in tanto il diritto internazionale ha questi caratteri in quanto il diritto interno ha i caratteri che ha,e viceversa. La complementarità dipende anche dal fatto che il diritto internazionale viene attuato poi dagli Stati e quindi beneficia indirettamente delle garanzie che ci sono negli ordinamenti interni, perché il rapporto tra diritto interno dello Stato e diritto internazionale, è fatto in maniera tale che gli organi interni dello Stato non vengano a contatto diretto col diritto internazionale. Le norme giuridiche internazionali,si rivolgono allo Stato nel suo complesso come ente reale che non è penetrato dalle norme internazionali,poi però il giudice non è chiamato direttamente ad applicare la legge,ma applica la legge dello Stato come le strutture amministrative,fino alle forze di polizia obbediscono alla legge dello Stato,però se questa fosse sempre in contraddizione con obblighi internazionali,si creerebbe una contraddizione permanente. In realtà non funziona così,infatti perché lo Stato possa adempiere i suoi obblighi è necessario che imponga ai suoi individui di fare ciò che il diritto internazionale impone allo Stato nel suo complesso. Questo avviene con quei meccanismi detti di “adattamento”del diritto interno a quello internazionale;nel nostro sistema questo adattamento è rappresentato dalla norma costituzionale fondamentale,cioè l’art 10 che stabilisce il principio del rispetto da parte dell’Italia del diritto internazionale consuetudinario(che è dunque vincolante per tutti gli organi dello Stato)e delle norme di adattamento ai trattati internazionali in base all’art 80 Cost.(legge che dà il così detto “ordine di esecuzione”).Gli Stati considerano un valore supremo il rispetto del diritto internazionale,tanto è vero che oggi quasi tutte le costituzioni moderne, fanno le norme di adeguamento ai trattati un rango superiori alla legge ordinaria. In Italia questa modifica è avvenuta con la modifica del titolo V della Costituzione che ha modificato l’art117. Il fatto che gli Stati sentano di dover adottare delle tecniche giuridiche, nel loro diritto pubblico nazionale per assicurare il rispetto dei loro obblighi internazionali, dimostra che gli Stati si sentono obbligati a rispettare il diritto internazionale,sarebbe dunque esagerato vedere la fonte dell’obbligatorietà del diritto internazionale nel diritto costituzionale degli Stati, è invece il contrario cioè vi sono regole costituzionali per poter rispettare gli obblighi internazionali.

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PARTE GENERALEI quattro temi fondamentali sono:

Lo studio dei soggetti del diritto internazionale che comprende: gli stati; le organizzazioni internazionali; la Santa sede; i partiti insurrezionali che hanno acquistato indipendenza; la posizione dell'individuo;

Le fonti; Le controversie; La responsabilità.

Un piccolo cenno sull'organizzazione storica della comunità internazionale: problema storico del diritto internazionale. Il problema fondamentale è cercare di capire è nato il diritto internazionale; esistono due modelli possibili di organizzazione giuridica del mondo:il modello universalista e il modello internazionalista.Il modello universalista non si è ancora mai realizzato nella storia dell'umanità, si basa sull'idea di una società universale degli uomini, che in realtà, esiste in senso biologico morale e sociale ma non giuridico. Il modello internazionalista è quello attuale, in cui ci sono una serie di enti indipendenti sovrani che non hanno un'autorità comune ma un sistema di relazioni giuridiche orizzontali. In questo tipo di sistema non c'è spazio per l'individuo che non è sovrano ma appartiene ad una comunità di base. Questo modello domina oggi in tutto il mondo e gli storici lo fanno risalire alla crisi dell'unità giuridica del mondo medievale che c'era in Europa; momento decisivo in cui le strutture medievali si sono dissolte definitivamente alla fine della guerra dei trent'anni 1618 1648 conclusa con la pace di Vestfalia. Questa comunità a partire dall'Europa a poco a poco si universalizza fino ad abbracciare tutto il mondo, in modo che oggi non c'è nessuna parte del mondo in cui non esiste uno Stato sovrano che partecipa della vita giuridica delle relazioni internazionali (circoli polari a parte). Ci sono però altre idee su com'è nata la comunità, anzitutto non tutti sono d'accordo sul fatto che ci sia discontinuità giuridica tra la vita di relazione internazionale degli Stati sovrani e la comunità giuridica medievale; altri ancora fanno notare che le relazioni giuridiche orizzontali ci sono state sempre anche in epoca antichissime tant'è vero che il primo trattato di cui si ha conoscenza risale al 3100 a.C. ed è un trattato di pace tra due società mesopotamiche. Quindi anche l'idea di stabilire una data di nascita della comunità internazionale non ha molto senso, ci sono state varie epoche e fasi in cui si sono alternate situazioni storiche diverse, ma questo tipo di rapporti c'è sempre stato. Alexander Roix scrive un libro: “Motivi storici del diritto internazionale” che uscì nel 1923 e divideva la storia del diritto internazionale in cinque epoche:Ellenica,Romana, medievale,moderna, Società delle Nazioni.La tesi più tradizionale, è quella che vede il fenomeno principalmente europeo e solo poi internazionalizzato; c'è la comunità medievale che era comunità gerarchizzata, e al vertice c’erano il papa e l'imperatore(diarchia: potere bicefalico); era la cosiddetta RES PUBBLICA GENTIUM CRISTIANARUM. Si dice che il diritto internazionale nasce quando questa struttura piramidale viene meno. Ci sono comunque altre tesi, che sostengono, che oltre ai rapporti verticali vi erano anche dei rapporti orizzontali. La tesi intermadia è probabilmente la più persuasiva. Oggi un po' esagerando alcuni parlano di struttura unipolare della comunità,una struttura tripolare fino alla fine della guerra fredda con il mondo diviso in tre blocchi: Stati uniti e Europa; blocco sovietico; terzo mondo. Adesso questa struttura sarebbe stata sostituita da un'altra in cui c'è un solo Paese dominante cioè gli Stati Uniti, quindi c'è un certo grado di egemonia politica che però rimane compatibile con la struttura orizzontale paritaria. Probabilmente siamo oggi in una fase in cui si può dire di nuovo che si sta un po' realizzando l'idea della coesistenza di due modelli diversi, il modello federale e il modello della sovranità degli Stati legati tra loro da obblighi pattizi.Alla fine dunque risulta corretta l'interpretazione che fa nascere la comunità internazionale dalla crisi delle strutture giuridiche medievali, però è anche giusto dire che all'interno della comunità interindividuale ordinata gerarchicamente del medioevo, c'erano spazi abbondanti di intensità crescente con il tempo di coesistenza e compresenza degli elementi del modello internazionalistico.

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TEMA DELLA SOGGETTIVITA’ INTERNAZIONALEI soggetti fondamentali del diritto internazionale sono gli Stati. Siccome la caratteristica della statualità, o le vicende dello Stato soprattutto nei momenti di crisi politiche e istituzionali possono presentare una serie di problemi, è importante studiare, per capire come lo Stato si pone e come viene considerato dal diritto internazionale, le caratteristiche che presenta sotto questo profilo la soggettività internazionale e quindi la qualificazione di un ente come soggetto internazionale. Questo problema, di definire gli elementi,i caratteri, che un ente deve presentare per essere soggetto internazionale, è naturalmente condizionato dalle considerazioni generali già fatte sulla struttura della comunità internazionale; in particolare è condizionato dal fatto che manca nel diritto internazionale un'autorità superiore agli Stati in grado di stabilire a livello generale normativo quali sono le condizioni della soggettività internazionale ,e al livello più specifico quello di accertare in concreto nella presenza di un singolo ente l'esistenza o meno di quei requisiti. Quindi la situazione è diversa dal diritto interno il quale, contiene delle norme sia che definiscono le condizioni dell'acquisto della soggettività da parte delle persone giuridiche (e lo stesso vale anche per le persone fisiche, perché i diritti interni hanno norme di questo genere che fissano i caratteri della soggettività), sia le condizioni necessarie per accedere alla soggettività, oppure, quando la soggettività ha inizio e anche quando un fine. Nel diritto internazionale non abbiamo la situazione di questo genere, ci troviamo anzi di fronte alla impossibilità per il diritto internazionale di regolare giuridicamente la formazione e il contenuto, la struttura e il funzionamento dello Stato perché, lo Stato, è organizzato dal suo proprio ordinamento giuridico, che si auto organizza poichè trae da se stesso la sua giuridicità, la sua soggettività. Se così non fosse, se fosse invece il diritto internazionale a poterlo o regolare con le sue norme, ovviamente gli Stati non sarebbero sovrani e originari, e ci sarebbe un rapporto di continuità giuridica tra le norme internazionali e quelle di diritto interno dello Stato che sarebbero la stessa cosa e finirebbero per partecipare ad un ordine unico, mentre invece non è così. La conseguenza è dunque, che per decidere se un ente è o non è, soddisfa o non soddisfa le condizioni necessarie per partecipare alla vita giuridica di relazioni internazionali in qualità di soggetto internazionale, unico elemento che ha il diritto internazionale è quello di osservare e dedurre l'esistenza o meno dei caratteri della soggettività internazionale dalla realtà delle relazioni giuridiche internazionali, quindi il modo in cui realmente si svolgono i rapporti giuridici internazionali. Da questa considerazione si ricava che il principio unico, che ha il diritto internazionale è quello della effettività. Effettività in duplice senso, il fatto che si abbia a che fare con una entità che è effettivamente indipendente è un fatto storico per il diritto internazionale; ed effettività nel senso di effettiva partecipazione di quell'ente alla vita di relazioni

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internazionali. Quindi alla base del fenomeno della soggettività internazionale c'è essenzialmente una situazione di fatto, cioè il dato che storicamente un'entità sovrana e indipendente, si presenta tale e come tale riconosciuta dagli altri e partecipa alla vita di relazione internazionale e che effettivamente si è affermata come indipendente. A partire da questo dato storico quindi si constata l'esistenza della soggettività internazionale di un ente. In definitiva quindi la soggettività internazionale di un ente non è condizionata o regolata da norme internazionali. D'altro canto la comunità internazionale contemporanea si è formata come fenomeno di fatto, anche se questo dato di fatto è stato riconosciuto dai trattati di Vestfalia in cui definitivamente le autorità della comunità giuridica medievale cioè il papa e l'imperatore smisero di avere la pretesa che gli Stati sovrani fossero sottoposti alla loro autorità giuridica,quindi quando questo cessò, si è realizzata su un piano di fatto storico questa coesistenza di enti che hanno tra loro relazioni regolate da norme consuetudinarie; oppure relazioni che volontariamente sono accettate stipulando accordi internazionali che si considerano giuridicamente obbligatorio nei rispettivi rapporti. Questo è il modo in cui la soggettività internazionale si manifesta. Dato che c'è il requisito dell'indipendenza, gli Stati membri di uno Stato federale non sono, anche se si chiamano “Stati”, soggetti del diritto internazionale perché mancano del requisito dell'indipendenza. Anche sotto questo profilo possono sorgere delle complicazioni, per esempio ci sono degli Stati federali in cui gli Stati membri della federazione hanno la competenza di stipulare trattati internazionali; però quando lo fanno non lo fanno in proprio, presentandosi nei confronti degli Stati che sono le controparti come soggetti autonomi, ma in qualità di organi della federazione dello Stato complessivo al quale appartengono. Del resto abbiamo anche in Italia, da quando c'è stata la riforma del titolo V della Costituzione, questa stessa possibilità per le regioni anche se non si chiamano stati; anche in Svizzera che è stato federale non si chiamano stati ma cantoni oppure come in Germania Lander. Non è quindi la denominazione che conta. Problemi principali che riguardano la qualificazione dello Stato, e che sono importanti per capire anche altre cose del funzionamento del diritto internazionale, si riferiscono poi anche al problema di stabilire come si presenta lo Stato dal punto di vista del diritto internazionale, perché ci sono varie possibili definizioni dello Stato; nel diritto costituzionale, lo Stato, è suscettibile di essere definito in vari modi. Ci sono tre definizioni:

Stato apparato, come complesso degli organi che costituiscono la persona statale nel senso fisico;

Stato comunità come l'intera comunità giuridica organizzata in Stato; Stato ordinamento che si identifica con l'ordinamento giuridico, l'ordinamento della persona

statale. Bisogna domandarsi dal punto di vista del diritto internazionale, quale sia quella corretta. La soluzione è che lo Stato va inteso in senso stretto, come Stato apparato, cioè come insieme degli organi ,delle articolazioni dello Stato più o meno estese che rappresentano il suo apparato di governo, ma non il governo in senso stretto e quindi la presidenza del consiglio dei ministri i ministri, ma tutte le strutture di governo quindi anche il potere legislativo, l'apparato giudiziario gli organi periferici. In sostanza l'apparato di potere che include tutti i poteri dello Stato quindi il legislativo,l’ esecutivo, giudiziario, amministrativo e organi periferici cioè province e comuni. Però la comunità giuridica organizzata in Stato, quindi gli altri elementi della popolazione come i governanti in contrapposto ai governati, non fanno parte della persona statale dal punto di vista del diritto internazionale. Questo è abbastanza facile da dimostrare se si analizza per esempio il problema della responsabilità internazionale dello Stato. Lo Stato che viola i propri obblighi internazionali incorre in responsabilità internazionale, ma conduce lo Stato alla violazione l'organo dello Stato che agisce in qualità di organo dello Stato, mentre le persone che stanno al di fuori dell'organizzazione del potere statale, non possono fare agire lo Stato, perché la loro azione non è per il diritto internazionale azione dello Stato, e poiché le persone fisiche private non sono nemmeno soggetti di diritto internazionale il loro agire non è nemmeno un atto giuridico. Per esempio un organo dello Stato che compie un atto illecito, come maltrattare un cittadino straniero, fa come allo Stato un illecito internazionale e quindi lo Stato risponde per il fatto che un organo dello Stato ha agito. Se invece agisce un privato, ad esempio c'è un capo di Stato estero in visita in Italia e un privato italiano compie un attentato contro il capo di Stato estero, con successo o meno, in questo caso lo Stato italiano non ha ancora commesso un atto illecito

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perché non c'è un agire dell'apparato Stato; per dimostrare che lo Stato ha commesso questo illecito bisogna dimostrare che non ha ad esempio adottato le misure necessarie per prevenire l'illecito o non ha adottato misure repressive successive al compimento dell'atto. Quindi lo Stato risponderebbe di un agire proprio per la negligenza dei propri organi che avrebbero dovuto agire.Nel caso di un comportamento illecito nei confronti di uno Stato estero commesso da un organo dello Stato italiano, ad esempio un aereo da guerra delle nostre forze armate che sorvola senza permesso il territorio di uno Stato straniero, il comportamento è diretto e quindi lo Stato risponde subito e non sarebbe sufficiente per esonerare dalla responsabilità provare che erano state adottate tutte le misure necessarie o che l'organo dello Stato avesse trasgredito alle indicazioni, perché il fatto che operi in nome dello Stato vuol dire che lo Stato ha già direttamente commesso l'illecito. Questo risulta anche dagli articoli delle norme della commissione internazionale sulla responsabilità internazionale degli Stati,ad esempio l'articolo 4, secondo il progetto di articoli della commissione del diritto internazionale è dedicato all'attribuzione di un comportamento allo Stato. Articolo4:" il comportamento di un organo dello Stato, sarà considerato come atto dello Stato ai sensi del diritto internazionale, sia che tale organo eserciti funzioni legislative, esecutive, giudiziarie o altre qualsiasi posizione abbia nell'organizzazione dello Stato e quale che sia la sua natura come organo del governo centrale o una unità territoriale anche periferica,un organo comprendente qualsiasi persona o ente che rivesta tale posizione secondo il diritto interno dello Stato." Aggiungeva l'articolo 7:" il comportamento di un organo dello Stato, di una persona, o di un ente abilitati ad esercitare prerogative dell'autorità di governo, sarà considerato come atto dello Stato ai sensi del diritto internazionale se quell'organo, persona o ente agisce in tale qualità anche se eccede di competenza o contravviene ad istruzioni".Un altra dimostrazione è data dalla disciplina dell'immunità diplomatica,il diritto internazionale stabilisce una serie di immunità che riguardano gli Stati, i loro organi tra i quali capi di Stato e ministri degli esteri, e riguardano anche gli agenti diplomatici, gli organi consolari in misura minore; questa materia è regolata da norme del diritto internazionale consuetudinario e queste norme sono state codificate in due convenzioni internazionali importanti: la Convenzione di Vienna nel 1961 sulle relazioni sulle immunità diplomatiche e la Convenzione di Vienna del 1963 sulle relazioni e immunità consolari.Ci sono due tipi di immunità:

diplomatiche Statali.

L'agente diplomatico, oltre ad essere una persona fisica agisce anche come organo dello Stato, allora è diverso se l'agente diplomatico agisce come organo dello Stato o a titolo privato. Se nella sua sfera privata, ad esempio investe una persona, è responsabile del danno che ha causato e c'è il problema di sapere se può o non può essere convenuto davanti al giudice territoriale. Se agiva perché stava andando al cinema, si applicano le norme sulle immunità diplomatiche, cioè l'immunità in questo caso vale per coprire l'attività privata dell'agente diplomatico ma non la sua attività in qualità di organo dello Stato; se invece l'agente diplomatico si presenta al ministero degli esteri e tira fuori un documento pieno di insulti gravi al ministro del governo dello Stato straniero, in questo caso agisce in quanto agente diplomatico e allora non si applicano le immunità diplomatiche ma le regole dell'immunità degli Stati esteri alla giurisdizione dello Stato perché questa volta l'agente diplomatico non stava agendo come persona fisica ma come organo dello Stato. Questo vuol dire, che chi agisce sul piano internazionale è lo Stato, non il diplomatico, quindi l'immunità diplomatica riguarda unicamente l'attività privata dell'agente diplomatico ( questo non vuol dire, che sul piano del diritto internazionale l'agente diplomatico non è una persona fisica che come tale non è un soggetto del diritto internazionale, sia pure che gode di particolare protezione da parte degli ordinamenti interni) infatti sul piano internazionale il diritto a pretendere il rispetto delle immunità diplomatiche, è dello Stato ed è rinunciabile, ma non da parte del singolo agente, poiché è stata attribuita nell'interesse dello Stato che protegge la funzione. Le immunità sono nate perché altrimenti nessuno avrebbe voluto fare l'ambasciatore, infatti in epoche molto antiche si manda l'ambasciatore in uno Stato con cui c'erano cattivi rapporti e il sovrano locale poteva fargli tagliare la testa; per cui dato che gli Stati hanno un

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interesse reciproco a mantenere relazioni diplomatiche, si è stabilito il principio che quelli che fanno questo lavoro non debbono correre pericoli di nessun genere.Le regole dunque sulle immunità diplomatiche sono un gruppo diverso dalle regole sull'immunità degli Stati esteri dalla giurisdizione; questo ci fa vedere cos'è la persona dello Stato per il diritto internazionale quindi questi due esempi, responsabilità e immunità diplomatiche dimostrano che non è lo Stato come unità (popolo organizzato in Stato) il soggetto del diritto internazionale, ma è l'apparato di governo dello Stato. Per il diritto internazionale lo Stato non solo non è Stato comunità, ma nemmeno stato persona cioè lo Stato ordinamento.Lo Stato nel diritto interno ha personalità giuridica, soggetto di diritti e obblighi; il fatto che sia una persona giuridica dipende dal fatto che è regolato come tale da norme giuridiche, da norme del nostro diritto pubblico che stanno in parte nella Costituzione e in parte nelle norme della legislazione. Per il diritto internazionale ciò non è possibile, se lo fosse vorrebbe dire che il diritto internazionale potrebbe regolare giuridicamente lo Stato, cioè avrebbe anche il potere di farlo, sarebbe una situazione in cui l'ordinamento giuridico statale sarebbe una derivazione, un componente di un ordinamento giuridico più grande superiore che lo comprende; questo è quello che si verifica negli ordinamenti interni, nei rapporti giuridici interindividuali, sia le persone giuridiche private sono regolate da un quadro normativo(statuto, atto costitutivo) che fa parte di un ordine giuridico unico totale che è l'ordinamento dello Stato. Lo Stato nel diritto interno è una cosa diversa dallo Stato nel diritto internazionale perché, se non fosse così lo Stato non sarebbe sovrano, l'esistenza di questa separazione fa sì che in sostanza c'è un vuoto giuridico normativo tra gli ordinamenti interni e il diritto internazionale. Lo Stato quindi si presenta per il diritto internazionale come ente reale, è un ente di fatto; sotto questo aspetto si presenta più come nel diritto interno è la persona fisica che non giuridica. Cerchiamo di dimostrare questo concetto in maniera più analitica; il problema in sostanza si può porre così: dal punto di vista del diritto dello Stato, esistono delle corporazioni territoriali minori ad esempio, le regioni ,province e comuni che sono regolati da norme giuridiche e sono elementi che fanno parte della persona statale e quindi fanno parte di un ordinamento unico. Se noi vediamo il rapporto che c'è, per il diritto statale, tra lo Stato e i suoi organi; lo Stato e i suoi sudditi; lo stato e le sue articolazioni territoriali minori, vediamo quanto invece è diverso il rapporto che c'è nel diritto internazionale tra gli Stati da una parte e il diritto internazionale dall'altra. Per esempio noi siamo cittadini del comune di Roma, però questo non lo decide da solo l'ordinamento del comune di Roma, ma lo decide l'ordinamento dello Stato italiano nel suo complesso il che, ha una serie di conseguenze tutte le ovvie: prima di essere cittadini del comune di Roma, siamo cittadini dello stato italiano; in secondo la nostra qualità giuridica di cittadini del comune di Roma non la decide il diritto del comune di Roma, ma la decide il diritto italiano, il diritto dello Stato che controlla dall'alto il diritto del comune. Lo Stato italiano ad esempio stabilisce quali sono i confini del comune di Roma quindi quelli che abitano anche 10 m più in là sono cittadini di Viterbo e non di Roma, e le conseguenze giuridiche collegate alla qualità giuridica di cittadino del comune di Roma le stabilisce il diritto dello stare italiano(ad esempio il diritto italiano che stabilisce che abbiamo il diritto di votare alle elezioni di Roma ma non di Viterbo o di Latina). Per il diritto internazionale la situazione non è questa, per esempio la questione di sapere se una persona è cittadino italiano invece che francese o tedesco, non lo decide il diritto internazionale ma il diritto italiano, francese, tedesco. Può anche darsi che ci siano casi di doppia cittadinanza quindi che il diritto italiano per conto suo dice che una persona è cittadina italiana mentre il diritto francese dal canto suo dice che è cittadina francese; il diritto internazionale a questo punto può solo prendere atto di questo fatto ma non può risolvere il conflitto. È vero che la cittadinanza rileva nel diritto internazionale a certi fini, per esempio se una persona che per l'Italia è cittadina italiana e per la Germania cittadina tedesca, trovandosi in Spagna viene arrestato ingiustamente, maltrattata e torturata dalla polizia spagnola, lo Stato italiano andrà dalla Spagna e dirà:" tu hai torturato un mio cittadino, hai violato un diritto che io avevo rispetto ai miei cittadini all'estero quindi esercito la protezione diplomatica per il mio cittadino" viene la Germania dice:" il cittadino è il mio quindi lo Stato leso sono io e ho il diritto di fare le mie dimostranze, esigere la riparazione". In questo caso il diritto internazionale trovandosi di fronte a queste due pretese, stabilisce in sostanza che due cittadinanze che sono basate sulla effettività, cioè su

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una pretesa internazionalmente ragionevole, tutte e due possono essere prese in considerazione e quindi ciascuno dei due Stati ha ragione, ed ha il diritto di pretendere il rispetto della immunità diplomatica; però non risolve il conflitto perchè non ha norme giuridiche per farlo,semplicemente prende atto di un legame di fatto sufficientemente stretto tra l'Italia e la Germania che hanno la stessa pretesa. Quindi mentre un comune,una provincia, uno Stato membro, un cantone svizzero, sono una parte dell'ordinamento giuridico totale e quindi persona giuridica di diritto pubblico dell'ordinamento dello Stato nel suo complesso, invece cittadini di uno Stato di diritto internazionale non sono parte di un ordine giuridico. Questo dimostra l'esistenza di discontinuità giuridica e cioè che lo Stato non è regolato giuridicamente da norme internazionali.Lo stesso avviene per i rapporti tra lo stato e i suoi organi, infatti ad esempio il diritto nazionale decide la modalità e i requisiti per essere sindaco, non è invece il diritto internazionale che decide chi è il capo dello Stato italiano ma lo decide sempre il diritto dello stato italiano da solo. Questi sono elementi chiarissimi che ci fanno vedere che lo Stato non è una persona giuridica per il diritto internazionale perché il diritto internazionale non legittima l'esercizio delle sue funzioni, non ne organizza giuridicamente la struttura, non attribuisce alle persone qualità di suoi organi, non è in grado di legittimarlo giuridicamente al governo delle comunità umane su cui i vari governi imperano; quindi l'organizzazione giuridica dello Stato di diritto internazionale è un dato di fatto, se ciò non fosse lo Stato non avrebbero ordinamento originario, non sarebbe sovrano indipendente. Questa situazione ha come conseguenza per il diritto internazionale il problema della identificazione di uno Stato, che sorge nelle situazioni di crisi; ad esempio se c'è una lotta tra due fazioni interne di uno Stato che può arrivare alla guerra civile, il diritto internazionale può trovarsi in difficoltà perché non ha criteri o norme giuridiche distintive per stabilire quale di questi enti è quello che effettivamente è soggetto del diritto internazionale infatti, potrebbero esserlo entrambi. Alla fine l'unico criterio che conta è quello della effettività, cioè il fatto che questi enti effettivamente esistano e si sono affermati, non importa se in maniera legale o illegale dal punto di vista dell'ordinamento interno dello Stato; il diritto internazionale può solo riconoscere la realtà di fatto e adattarvisi. Questo ha delle conseguenze giuridiche anche per la soluzione di certi problemi giuridici; un problema che è durato molti anni nelle Nazioni Unite molto indicativo di questo stato di fatto è la questione che venne lasciata in sospeso per 20 anni concernente la rappresentanza cinese alle Nazioni Unite. Il problema fu impostato giuridicamente in maniera contraria a tutto quello che adesso abbiamo visto, perché c'erano dietro motivi politici, non perché ci fossero dubbi dal punto di vista giuridico su cosa è lo Stato dal punto di vista del diritto internazionale. Quando nel 1995 fu fatta la carta delle Nazioni Unite, il governo legittimo che c'era allora in Cina era quello della Cina cosiddetta nazionalista che era presieduto da Chiang Kai-Shek ,questo governo,fu uno dei membri originari della Carta delle Nazioni Unite (articolo tre carta delle Nazioni Unite); l'articolo4 prevede che successivamente possano essere ammessi nuovi membri, secondo la procedura di ammissione, cioè gli Stati devono domandare di essere ammessi, devono essere giudicati dall'organizzazione sempre che siano disposti ad adempiere agli obblighi della Carta e amanti della pace. L’ ammissione è effettuata con decisione dell'assemblea generale su proposta del consiglio di sicurezza; l'assemblea generale deve in particolare decidere con la maggioranza dei due terzi (come indicato dall'articolo 18).Serve poi la proposta del consiglio di sicurezza, quindi tutti e due gli organi devono essere d'accordo sull'ammissione di un nuovo membro; l'articolo 27 contiene la famosa regola del diritto di veto, perché stabilisce che ogni membro del consiglio di sicurezza dispone di un voto e le decisioni del consiglio su questioni di procedura sono prese con un voto favorevole di nove membri, mentre le decisioni su questioni di sostanza sono prese con quello favorevole di nove membri ma tra questi devono essere compresi i voti favorevoli di tutti i cinque membri permanenti del consiglio di sicurezza. I membri permanenti sono indicati dall'articolo 23:" il consiglio di sicurezza si compone di 15 membri delle Nazioni Unite, la Repubblica di Cina, la Francia, l'Unione Sovietica, il Regno Unito e gli Stati Uniti sono membri permanenti".La Cina non soltanto era uno dei membri originari perché aveva partecipato alla conferenza di San Francisco, ma è anche membro permanente del consiglio di sicurezza. Pochi anni dopo che le Nazioni Unite cominciarono a funzionare, nel 1949 ci fu la rivoluzione di Mao che (era la guerra civile in

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sostanza) ebbe successo e quindi Mao prese il potere del Paese però, il governo di Chiang Kai-Shek non fu completamente debellato, si ridusse sull'isola di Formosa Taiwan, dove fondò (era lo stesso governo di prima che era diventato il più piccolo) Taiwan e la Repubblica cinese continua ad esistere. Si era dunque formata una sorta di scissione di quello che era un Paese unico: la Repubblica di Cina, in due entità,uno molto più grande la Repubblica popolare cinese e una molto più piccola cioè la Repubblica cinese che era quella in origine membro delle Nazioni Unite. Politicamente, la questione era resa grave dal fatto che quelli erano gli anni della guerra fredda, per cui l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti non andavano d'accordo su niente e questo era uno dei motivi per cui il consiglio di sicurezza in quegli anni non funzionava quasi mai; in più c'era questo problema della Cina che secondo gli Stati Uniti era sempre quella di Chiang Kai-Shek mentre secondo l'Unione Sovietica il rappresentante legittimo della Repubblica della Cina era il governo di Mao Zedong. Il governo di Chiang Kai-Shek di fatto c’era e non aveva intenzione di andarsene sostenendo che il nuovo governo era illegittimo perché con la violenza si era preso un potere che non gli spettava.Fino al 1991, la Repubblica della Cina ha continuato attivamente a sostenere di essere l'unico governo legittimo della Cina, e durante gli anni cinquanta e sessanta la sua pretesa venne accettata dagli Stati Uniti e da alcuni dei suoi alleati. Essendo la Repubblica Popolare Cinese un alleato dell'Unione Sovietica, gli USA cercarono di impedire al blocco comunista di ottenere un altro seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Per protestare contro l'esclusione della Cina comunista, i rappresentanti sovietici boicottarono l'ONU dal gennaio all'agosto del 1950, e la loro assenza permise l'intervento di una forza militare ONU in Corea.La Repubblica della Cina usò il suo potere di veto una volta nel 1955: il rappresentante di Taiwan espresse l'unico voto contrario del Consiglio di sicurezza, bloccando l'ammissione della Repubblica Popolare della Mongolia alle Nazioni Unite, sulla base del fatto che tutta la Mongolia faceva parte della Cina. Questo fatto ritardò l'ammissione della Mongolia fino al 1960, quando l'Unione Sovietica annunciò che se la Mongolia non fosse stata ammessa, avrebbe bloccato l'ammissione di tutti i nuovi stati indipendenti dell'Africa. Di fronte a questa pressione, la Repubblica della Cina si arrese pur continuando a protestare.Dagli anni '60 in avanti, nazioni amiche nei confronti della Repubblica Popolare, guidate dall'Albania, proposero una risoluzione annuale all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, per trasferire il seggio della Cina dalla Repubblica della Cina alla Repubblica Popolare Cinese. Ogni anno gli Stati Uniti furono in grado di radunare una maggioranza di voti per bloccare questa risoluzione. Ma l'ammissione delle nuove nazioni indipendenti in via di sviluppo, nel corso degli anni '60, portò l'Assemblea generale dall'essere dominata dalle nazioni occidentali ad essere dominata da nazioni che avevano simpatie per Pechino. Inoltre, il desiderio dell'amministrazione Nixon, di migliorare le relazioni con Pechino per controbilanciare l'URSS, ridussero la volontà statunitense di supportare la Repubblica della Cina.Come risultato di queste tendenze, il 25 ottobre 1971, venne approvata dall'Assemblea generale la Risoluzione 2758, che ritirava il riconoscimento di Taiwan e riconosceva la Repubblica Popolare come unico governo legittimo della Cina.La risoluzione dichiarava "che i rappresentanti del Governo della Repubblica Popolare Cinese sono gli unici rappresentanti legali della Cina alle Nazioni Unite". Poiché questa risoluzione era su una questione di credenziali, piuttosto che di appartenenza, fu possibile tagliare fuori il Consiglio di sicurezza, dove USA e Taiwan potevano far valere il loro diritto di veto.

17 12 2009

Lo Stato per il diritto internazionale è un ente reale non è una persona giuridica, non si identifica con la comunità statale ma si identifica con l’apparato di governo. Lo stato è un ente reale perché gli stati sono enti autonomi e indipendenti e quindi non sono regolati da norme giuridiche internazionali nella loro formazione, nella loro struttura, nel loro funzionamento ma si autoregolano in base al loro diritto pubblico interno, al loro diritto costituzionale;se così non fosse gli stati difetterebbero del requisito di sovranità e di indipendenza che invece li caratterizza;questo significa che l’organizzazione giuridica

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dello stato non ha valore giuridico internazionale(DIFETTO DI GIURIDICITA’ INTERNAZIONALE DELL’ORGANIZZAZIONE STATALE).Questo fatto rappresenta la premessa di una soluzione dei problemi giuridici che si presentano nella pratica delle relazioni internazionali. Il primo problema giuridico sul quale rileva questa situazione di difetto di giuridicità internazionale è la questione della formazione valida della volontà dello stato quando esso compie atti giuridici internazionali. L’atto giuridico internazionale più importante è il trattato internazionale ;con l’accordo internazionale si creano relazioni giuridiche di diritto/obbligo tra gli stati così come nel diritto interno con negozi giuridici privati si creano relazioni giuridiche tra i privati, e per il negozio giuridico ci sono delle condizioni di validità. Quando si tratta di un atto che non è compiuto da una persona fisica ma da una persona giuridica la validità riguarda la completezza dell’organo, il fatto che l’organo abbia agito nei limiti delle sue funzioni, che le procedure siano state rispettate;tutto questo è un problema che lo stato risolve con le sue norme di diritto interno, il diritto pubblico che stabilisce quali sono gli organi competenti , quali sono le regole procedimentali che devono essere osservate. Per l’assicurazione dei trattati ogni stato ha le sue regole di diritto costituzionale interno;i trattati possono essere stipulati in varie maniere:ci possono essere delle procedure semplici in cui basta una firma per vincolare lo stato, ma per i trattati più importanti sono richieste forme più complesse. Nel diritto italiano ci sono delle regole a livello di Costituzione(artt.80e87). Art.87 Cost.:la competenza a ratificare il trattato internazionale è del Capo dello Stato;è necessario che ci sia la manifestazione di volontà del Capo dello Stato che si chiama ratifica, atto successivo alla firma del trattato che conclude la fase della sua negoziazione.Per le categorie di trattati più importanti l’art.80 Cost. stabilisce che non basta l’intervento del Capo dello Stato ma occorre una legge con cui il Parlamento autorizza il Capo dello Stato a ratificare(legge di autorizzazione alla ratifica). Questa legge è richiesta solo per le categorie di trattati più importanti elencate nell’art.80 Cost.:-trattati che comportano modificazioni di legge-trattati che comportano reazioni di territorio o oneri alle finanze-trattati di natura politica-trattati che prevedono arbitrati o regolamenti giudiziariQuesto è l’esempio dello stato italiano;ogni stato ha le sue regole. Se una di queste regole viene violata o non viene rispettata dal punto di vista del diritto costituzionale dello stato ci può essere invalidità;dal punto di vista del diritto internazionale la questione della provenienza della dichiarazione di volontà da parte dello stato è una questione di fatto perché l’organizzazione giuridica statale è di fatto;questo significa che non è detto che il diritto internazionale si rifaccia alla posizione del diritto interno, infatti il diritto internazionale non fa così perché esiste un principio generale del diritto internazionale secondo cui uno stato non può opporre il suo diritto interno ad un altro stato come causa di giustificazione per il fatto di aver violato i suoi obblighi internazionali. Questa regola si trova nella Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati che all’art.27 dice che una parte non può invocare le disposizioni del suo diritto interno per giustificare la mancata esecuzione del trattato(principio che vale per qualunque obbligo internazionale). Nel caso di violazione delle norme di diritto pubblico interno sulla competenza a stipulare i trattati la Convenzione di Vienna dà una soluzione(artt.45e46). Art.46 2°comma:”Il fatto che il consenso di uno stato a vincolarsi a un trattato sia stato espresso in violazione di una disposizione del suo diritto interno riguardante la competenza a concludere i trattati non può essere invocato dallo stato in questione come viziante il suo consenso a meno che tale violazione non sia stata manifesta e non riguardi una norma del suo diritto interno d’importanza fondamentale”. Per manifesta s’intende una violazione obbiettivamente evidente per lo stato. Il fatto che la valutazione sia fattuale e non giuridica è confermato dall’art.45 che riguarda tutte le cause di invalidità dei trattati e non solo la formazione difettosa della volontà dello stato;”Uno stato non può invocare una causa di invalidità del trattato o esercitare un diritto di recesso o sospenderlo se dopo aver avuto conoscenza di fatti irrilevanti ha esplicitamente accettato di considerare che il trattato secondo i casi invalido resta in vigore e continua ad essere applicato oppure a causa del suo comportamento si deve considerare che esso abbia fatto acquiescenza alla validità del trattato col suo mantenimento in vigore o alla continuazione della sua applicazione”. C’è l’ipotesi

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dell’acquiescenza:l’organizzazione giuridica dello stato non è direttamente rilevante per il diritto internazionale , esso valuta il problema su un piano di puro fatto. Ci sono manifestazioni nella prassi internazionale:un caso deciso da un tribunale arbitrale costituito da due stati africani limitrofi, Senegal e Guinea Bissau(ex colonia portoghese);il caso riguardava una controversia relativa alla delimitazione delle frontiere marittime degli stati marittimi fronti stanti le loro coste e hanno deciso di costituire un tribunale arbitrale che ha reso una sentenza su questo problema nel 1989 e in questo caso aveva rilevanza, per risolvere questi problemi, l’esistenza di un trattato che per la Guinea Bissau era stato stipulato quando era ancora una colonia portoghese dal presidente del Portogallo e la Guinea Bissau eccepiva l’invalidità di questo trattato perché diceva che il diritto interno applicabile dal trattato necessitava di un’autorizzazione del Parlamento che non era stata data, però il tribunale arbitrale rilevò che questo era previsto dalla costituzione formale del Portogallo e la prassi dimostrava che il dittatore portoghese(Salazar)se ne fregava dalla costituzione e questo non dava luogo a reazioni da parte di altri organi costituzionali perché essi accettavano questa situazione con rassegnazione e il Parlamento interveniva sporadicamente, il dittatore non lo consultava quasi mai quindi questa analisi da parte del tribunale arbitrale porta a dire che sul piano del diritto internazionale la manifestazione di volontà data dal Capo dello Stato era valida per il diritto internazionale anche se non era formalmente valida per il diritto interno(esempio del fatto che il giudizio internazionale della provenienza giuridica di atto di volontà dello stato non si fonda sulle procedure del diritto interno ma è una valutazione puramente fattuale).Sentenza della Corte di Giustizia del 2002 che riguardava la delimitazione della frontiera marittima e della terra ferma tra due stati africani, Camerun e Nigeria;la questione riguardava un accordo stipulato tra i due governi, la Nigeria fece valere il fatto che la costituzione nigeriana richiedeva la ratifica; la corte dice che questo non era opponibile in base all’art.7 della Convenzione di Vienna e cioè se il Capo dello Stato si assume un obbligo l’altro stato non è tenuto a fare indagini complesse sullo stato del diritto costituzionale dell’altro stato per decidere se si deve fidare o meno che la dichiarazione sia stata resa da chi aveva il potere di renderla. La sentenza conferma che la questione della formazione della volontà dello stato non è una questione giuridica, sarebbe molto diverso nel diritto interno tipo un contratto stipulato dalla p.a., devono essere seguite molte procedure altrimenti il contratto non è valido, è nullo;per il diritto internazionale non è così perché non prende in considerazione l’organizzazione dello stato come questione di diritto ma si limita solo a stabilire se c’è sul piano di fatto un rapporto organicistico tra chi esprime la volontà dello stato e la persona reale dello stato.La responsabilità viene imputata allo stato sulla base dell’imputabilità dello stato del comportamento che ha causato la violazione della norma internazionale;lo stato agisce sul piano internazionale attraverso i suoi organi, non ha importanza per il diritto internazionale se la persona che agiva fosse un organo dello stato in senso formale o un organo di fatto, quello è sufficiente a far agire lo stato;questa regola si trova nelle norme del Progetto di articoli della Commissione del diritto internazionale sulla responsabilità internazionale dello stato che all’art.4 dispone:”Il comportamento di un organo dello stato sarà considerato come atto dello stato ai sensi del diritto internazionale sia che tale organo eserciti funzioni legislative, esecutive, giudiziarie o altro qualsiasi posizione abbia nell’organizzazione dello stato e quale che sia la sua natura come organo del governo centrale oppure di un’unità territoriale;un organo comprende qualsiasi persona o ente che assume una posizione secondo il diritto interno dello stato”;questo è lo stato che agisce attraverso il suo organo che è dato sul piano formale però l’art.8 dice che:”Il comportamento di una persona o di un gruppo di persone sarà considerato un atto dello stato ai sensi del diritto internazionale anche quando la persona o gruppo di persone di fatto agiscono su istruzioni o sotto la direzione e il controllo di quello stato e pongono in essere quel comportamento”;per il diritto internazionale è irrilevante che chi fa agire di fatto lo stato rivesta o no la qualità di organo dello stato, se riveste questa qualità(art.4)è di più facile accertamento la provenienza dell’atto dello stato, se non la riveste(art.8)è lo stesso per il diritto internazionale.Un esempio di imputazione dello stato è quello della crisi degli ostaggi dell’ambasciata americana a Teran nel 1980;questa crisi dipendeva dal fatto che c’era stata in Iran la rivoluzione comeinista guidata

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contro il governo dello Scia;lo Scia viene cacciato e il potere viene preso da questo movimento rivoluzionario integralista islamico e lo Scia si rifugia in USA, inoltre egli era malato e nel paese c’era un forte clima di antiamericanismo per cui ad un certo punto ci fu un movimento di piazza di studenti islamici(del corano)i quali pretendevano l’estradizione dello Scia perché volevano processarlo, gli USA non glielo davano perché non erano tenuti a darlo, non c’era un trattato di estradizione, allora con la violenza attaccarono e occuparono l’ambasciata americana a Teran prendendo come ostaggi il personale dell’ambasciata;si trattava di una violazione grava del diritto internazionale, ma le persone che avevano agito non erano organi dello stato ma un movimento di piazza, non era il governo che li aveva mandati sicchè la violazione da parte dell’Iran del diritto internazionale avrebbe dovuto dipendere dalla negligenza del governo iraniano di prevenire, reprimere e impedire il fatto;il governo non solo non fece questo, ma approvò l’occupazione dei comeni e mostrò di proteggerli e di essere d’accordo con quello che avevano fatto e quindi, quando si andò davanti alla Corte internazionale di giustizia sulla base delle norme contenute nella Convenzione di Vienna del 1961 sulle relazioni di immunità diplomatiche che stabilisce per gli stati che lo accettano l’obbligo di risolvere le controversie relative al trattamento delle rispettive missioni diplomatiche deferendo la controversia alla corte internazionale di giustizia, gli USA si rivolsero alla corte contro l’Iran e allora la corte nella sua sentenza individuò nella responsabilità dell’Iran due momenti diversi:la prima fase, trattandosi di un movimento di piazza, la responsabilità delle autorità iraniane dipendeva dal fatto che non avevano adottato le misure necessarie per prevenire l’aggressione e per reprimerla;in una seconda fase il comportamento dell’Iran è cambiato e si è aggravato perché ha fatto proprio il comportamento degli studenti islamici perché avendolo approvato e sostenuto è finito per diventare un comportamento dello stato, si è creato il rapporto di fatto tra lo stato e chi agisce per sua volontà. Molti anni dopo la Commissione del diritto internazionale delle Nazioni Unite, che ha fatto il progetto di articoli sulla responsabilità internazionale degli stati, ha messo una norma precisa che riproduce l’ipotesi di questo caso, l’art.11 che dispone:”Un comportamento che non è attribuibile ad uno stato ai sensi degli articoli precedenti sarà non di meno considerato un atto di quello stato ai sensi del diritto internazionale se e nella misura in cui quello stato riconosca che adotti quel comportamento in questione come proprio”.Il diritto internazionale non penetra dentro l’organizzazione interna dello stato, altrimenti lo stato non sarebbe sovrano e indipendente e l’ordinamento no sarebbe originario ma una derivazione dell’ordinamento internazionale. Da questo deriva un’altra regola cioè che il giudizio che da il diritto internazionale sull’esistenza o meno di uno stato è un criterio di effettività perché il diritto internazionale non controlla giuridicamente l’ordinamento giuridico degli stati né può con le su norme decidere se uno stato è illegittimo o no perché questa è una questione che riguarda il diritto costituzionale dello stato, quindi non è un requisito dell’esistenza dello stato perché l’esistenza è un dato di fatto, e nemmeno lo è la questione di sapere se questo stato è democratico o meno;questo vale anche per il giudizio sull’esistenza di un’entità statuale anche quella situazione si sia creata in violazione di norme internazionali. Questo secondo aspetto è più delicato perché può dare l’idea di una mancanza di sistematicità del diritto internazionale. Il diritto internazionale, a differenza del diritto interno, è meno organizzato, meno efficiente. In situazioni violente o sovvertimenti illegali dell’ordine costituzionale dello stato il giudizio di effettività dipende da due aspetti:-effettività dell’indipendenza-effettività della partecipazione alla vita di relazione internazionaleSulla base di questi criteri anche situazioni che sono state acquisite in maniera che violava il diritto costituzionale o norme del diritto internazionale non escludono che il soggetto che esista come ente di fatto che si è affermato esista come soggetto, anche se la sua affermazione ha avuto luogo in maniera illegittima o dal punto di vista del diritto costituzionale dello stato o anche attraverso la violazione di norme e di principi del diritto internazionale. Il criterio unico per l’esistenza della soggettività internazionale è quello dell’effettività;ciò significa riconoscere che è il fatto compiuto, purché si consolidi. Il giudizio sulla liceità o illiceità di comportamenti per i quali l’effettività si è costituita è un’altra cosa e da luogo a reazioni che sono quelle del diritto internazionale(ex. legittima difesa, Consiglio delle Nazioni Unite che può intervenire quando c’è una situazione di violazione della pace ma anche di minaccia alla pace, sanzioni economiche o diplomatiche);il valore di questo tipo di strumenti

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dipende dalla disponibilità degli stati ad intervenire e dalla possibilità pratica di riuscire ad ottenere il risultato di ripristinare la situazione preesistente;ciò significa sostituire un’effettività ad un’altra, quindi il giudizio sull’esistenza di un soggetto sulla base dell’effettività è un giudizio sulla legittimità o illegittimità dei comportamenti e dei mezzi di reazione di cui il diritto internazionale risponde per reagire all’illecito sono due cose separate;nel diritto interno questa separazione si vede di meno, anche qui non c’è una sicurezza assoluta di impedire che situazioni illegali si affermino e poi si consolidino e poi si auto legittimino e quindi diventino giuridiche. Nel diritto internazionale, non disponendo di un apparato coercitivo capace di imporsi per forza propria sugli stati, si possono formare delle coalizioni militari che possono esercitare il diritto di legittima difesa oppure con l’approvazione delle Nazioni Unite possono intervenire a ripristinare situazioni, ma siamo sempre nell’ordine di fatti storici che finiscono per prevalere nella misura in cui sono in grado di imporsi. La formazione dello stato non è regolata da norme giuridiche internazionali e il giudizio che dà il diritto internazionale è puramente quello dell’effettività. L a questione della legalità o illegalità interna o internazionale di certi comportamenti è un’altra, ma le due cose non coincidono. Ci sono stati dei tentativi di porla in maniera diversa, ci sono stati alcuni casi in cui di fronte a violazioni di norme internazionali , il diritto internazionale, le Nazioni Unite o altri stati hanno voluto reagire sostenendo che una nuova situazione che si era creata era nulla e non era avvenuta;quali sono le norme internazionali che uno stato può violare quando si afferma?Il divieto internazionale dell’uso della forza che non riguarda la nascita di un nuovo stato ma riguarda l’acquisizione da parte di uno stato di territori non suoi e quindi si parla di un’annessione di un territorio e quindi è la situazione territoriale ma non la nascita della persona statale;la situazione territoriale nuova comporta l’estinzione della persona statale esistente:nel 1990 l’Iraq trattava con il Cuweit con l’idea di annetterselo, in questo caso si sarebbe determinata se il tentativo avesse avuto successo e se si fosse stabilizzato si sarebbe determinata l’estinzione di un soggetto internazionale che c’era, questo non è avvenuto perché si è formata una coalizione internazionale che sotto legge delle Nazioni Unite amministra nell’esercizio della legittima difesa e con l’intervento e l’approvazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha obbligato l’Iraq ad abbandonare il Cuweit e l’ha liberato dall’invasore. Ci possono essere dei casi in cui il meccanismo non funziona;recentemente ci sono stati casi in cui gli USA hanno attaccato l’Iraq, ed è stato costituito un governo provvisorio, ma la debellatio del governo dell’Iraq che è stata una forma di violazione del diritto internazionale da parte degli USA, in questo caso si è consolidato il governo dell’Iraq pre-esistente.Altre norme internazionali che possono essere violate oltre quella sul divieto dell’uso della forza nelle relazioni internazionali tra stati sono le norme sull’autodeterminazione dei popoli;principio nato all’inizio come valore politico sostenuto soprattutto dopo la prima guerra mondiale quando c’era il problema della dissoluzione dell’impero austro-ungarico si formarono dei nuovi paesi;dopo la seconda guerra mondiale il principio è diventato un principio giuridico tra i più importanti del diritto internazionale. Autodeterminazione dei popoli significa il diritto di un popolo di scegliere liberamente il proprio regime politico e di non essere sottoposto con la violenza alla dominazione altrui;diritto di un popolo viene usato in senso politico e non giuridico perché i popoli non sono soggetti di diritto internazionale, quindi dire che gli stati sono obbligati a rispettare il principio dell’autodeterminazione dei popoli significa che gli stati hanno diritti ed obblighi reciproci tra di loro;la stessa costruzione giuridica vale anche per l’obbligo di rispettare i diritti umani. Il diritto di autodeterminazione dei popoli nel diritto internazionale si riferisce all’autodeterminazione esterna e non a quella interna, significa cioè che un popolo deve essere libero da una dominazione straniera che gli viene imposta dall’esterno ma non un popolo che ha un regime dispotico e quindi un’autodeterminazione interna e nemmeno quella forma di autodeterminazione sempre interna del diritto alla secessione, cioè di un popolo che fa parte di una comunità internazionale la quale vorrebbe essere indipendente. Questo principio si è affermato in chiave anticoloniale come diritto ad ottenere l’indipendenza dalla madrepatria che l’aveva conquistato con la forza delle armi, e in chiave di altre situazioni che sono state assimilate a quella coloniale:-il regime razzista-la questione di Israele(Palestina)

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Ciò si è affermato con una prassi imposta in Assemblea generale delle Nazioni Unite dei paesi in via di sviluppo a partire dal 1970 con la norma sull’autodeterminazione dei popoli. Questo principio si è affermato non solo in via consuetudinaria internazionale ma quando si è affermata la nozione, a partire dagli anni ’70, degli obblighi internazionali erga omnes si è affermata come norma che crea obblighi internazionali particolari. Alcuni governi che si sono affermati in violazione di questo principio fondamentale delle relazioni pacifiche internazionali hanno dato luogo a reazioni che sembrano smentire tutto quello che abbiamo detto sulla posizione in cui si trova la struttura giuridica dello stato dal punto di vista internazionale.Il primo caso interessante è stato quello della Rodesia, in origine colonia britannica, dove la minoranza bianca governava sulla comunità indigena con un regime oppressivo;dopo la prima guerra mondiale diventò uno stato del Commonwelt. Nel periodo di decolonizzazione la maggioranza della popolazione nera premeva per ottenere l’indipendenza dalla minoranza bianca e con un colpo di stato si separò e dichiarò l’indipendenza dalla madrepatria;si trattava di un illecito alla costituzione inglese perché parte del territorio inglese e si instaurò un regime razzista della minoranza bianca contro la popolazione nera. Il risultato fu che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite disse che la proclamazione d’indipendenza era nulla e non avvenuta perché era illegale, tutto il contrario di quello che abbiamo detto perché il diritto internazionale non può decidere se la proclamazione d’indipendenza è valida o nulla perché non ci sono norme giuridiche internazionali che stabiliscono cosa è valido e cosa non lo è. Di fatto la Rodesia si era affermata, stava violando l’autodeterminazione dei popoli, c’era una repressione molto violente quindi erano tutti atti internazionali illeciti però il diritto internazionale non poteva dire che la proclamazione era nulla e non avvenuta, certo era invalida e illegittima dal punto di vista del diritto costituzionale inglese ma non dal punto di vista del diritto internazionale. Il Consiglio di sicurezza adottò delle sanzioni nei confronti della Rodesia, prima di tutto l’embargo di armi;destinatario di queste sanzioni era lo stato che esisteva e che aveva di fatto acquistato l’indipendenza.Altri casi riguardavano la Namibia, uno stato est-africano che era una colonia tedesca;dopo la prima guerra mondiale la Germania e altri imperi centrali furono sconfitti le loro colonie furono sottoposte attraverso il patto delle società delle Nazioni ad un regime al quale corrispose, dopo la seconda guerra mondiale quando furono create le Nazioni Unite, il regime dell’amministrazione fiduciaria;quando dopo la seconda guerra mondiale la società delle Nazioni si estinse il sud-Africa approfittò della situazione per appropriarsi della Namibia, si chiamava allora sud-est-africano quando era una colonia tedesca;oggi è uno stato sovrano perché gli obblighi della società delle Nazioni si estinsero con questa;il popolo namibiano non ne voleva sapere di essere parte integrante del sud-Africa anche perché quest’ultimo aveva un regime razzista, allora le Nazioni Unite dissero di essere succedute alla società delle Nazioni e quindi il sud-Africa per gli obblighi che aveva in base agli accordi di mandato nei confronti della società delle Nazioni adesso doveva rendere conto alle Nazioni Unite;il sud-Africa non era d’accordo e le Nazioni Unite reagirono dichiarando che l’annessione da parte del sud-Africa della Namibia era nulla e non avvenuta, quindi giuridicamente non esisteva, non doveva essere riconosciuta e crearono un organo sussidiario delle Nazioni Unite che si chiamava il Consiglio delle Nazioni Unite per la Namibia il quale dice che dato che il sud-Africa non vuole rispettare nei loro confronti gli obblighi che già aveva nei confronti della società delle Nazioni adesso le Nazioni Unite dichiarano che la sua occupazione è nulla e non avvenuta e se ne assumono l’amministrazione e fanno un organo, il Consiglio delle Nazioni Unite per la Namibia, che lo amministra; Il consiglio di sicurezza e l’Assemblea generale dichiararono che gli stati avevano l’obbligo di considerare come inesistente il potere di governo del Sud-Africa sulla Namibia, come se la realtà dei fatti fosse giuridicamente inesistente per il diritto internazionale, e si stabilì l’obbligo degli stati membri di considerare tutti gli atti ufficiali provenienti dal governo sud-africano relativi alla Namibia come giuridicamente inesistenti. Il Consiglio delle Nazioni Unite per la Namibia decise di sottoporre a sequestro le risorse naturali nell’interesse del popolo namibiano perché la Namibia è molto ricca di miniere; si possono adottare dei mezzi di pressione per cercare di evitare che una situazione effettiva che si è creata in violazione di norme internazionali si consolidi, però il livello in cui agisce il livello internazionale è quello dei diritti e degli obblighi internazionali tra gli stati.

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Le norme del diritto internazionale che riguardano gli obblighi erga omnes e la loro violazione prevedono un principio generale espresso nel Progetto di articoli del 2006 della Commissione delle Nazioni Unite, c’è l’obbligo degli stati di fronte ad una violazione grave di un obbligo internazionale di non riconoscerne la legittimità, questo non vuol dire non riconoscere l’esistenza o negare l’effettività delle situazioni che ci sono; l’art.41 (che fa parte del capitolo di quel progetto della Commissione che è intitolato “Gravi violazioni di obblighi derivanti da norme imperative di diritto internazionale generale”) dice quali sono le conseguenze di una grave violazione di un obbligo ai sensi di un eventuale capitolo: “Gli stati hanno l’obbligo di cooperare tra di loro con mezzi leciti per porre fine ad ogni grave violazione ai sensi dell’art.40;il paragrafo 2 dell’art.41 dice:”Nessuno stato riconoscerà come legittima una situazione creata attraverso una grave violazione ai sensi dell’art.40 né presterà aiuto o assistenza nel mantenere tale violazione”; la dimensione attraverso la quale il diritto internazionale agisce è quella di creare un rapporto obbligo/diritto tra gli stati;se c’è una grave violazione di un obbligo internazionale gli stati possono reagire con certi mezzi ma questo non significa che il criterio per l’acquisto della soggettività internazionale da parte di uno stato oppure il determinarsi di una situazione territoriale non è sempre l’unico di cui il diritto internazionale dispone e cioè quello dell’effettività. Si può impedire che una situazione effettiva si consolidi anche con l’uso della forza, la legittima difesa.Un caso di legittima difesa individuale è quello delle isole Scottland che vennero attaccate dall’Argentina, ma l’Inghilterra recuperò queste isole esercitando la legittima difesa; in questo caso il diritto internazionale offre questa possibilità ma non obbliga gli stati a reagire con la legittima difesa collettiva. Il successo di un azione di legittima difesa dipende dai rapporti di forza che ci possono essere tra una parte e l’altra e quindi non è detto che la legittima difesa abbia successo. La seconda possibilità è quella dell’intervento delle Nazioni Unite, del Consiglio di sicurezza che può adottare misure che comportano l’uso della forza in caso di violazione della pace, minaccia della pace o altre aggressioni in base all’art. 42 della Carta delle Nazioni Unite; anche qui il Consiglio di sicurezza non è sempre in grado di funzionare perché è paralizzato dalla possibilità del diritto di veto che è esercitato molto spesso; anche qui si tratta di vedere contro chi il Consiglio di sicurezza deve agire perché numerose violazioni dell’uso della forza sono state commesse in alcuni casi da stati grandi e potenti come l’Unione Sovietica,la Russia e l’USA; nessuno a mai pensato di usare la forza contro questi stati. Per quanto riguarda la Russia, quando c’è stata la dissoluzione dell’Unione Sovietica, c’erano anche lì delle situazioni territoriali che si erano create con l’uso della forza, quando il divieto dell’uso della forza non era così radicato nel diritto internazionale, alcuni paesi hanno ottenuto l’indipendenza con l’accordo della Russia; la Cecenia non solo non l’ha ottenuta ma per due volte è stato represso con la forza militare il movimento indipendentista. Il diritto internazionale dà un giudizio su cosa è lecito e illecito, però c’è un sistema di possibili sanzioni e reazioni tra gli stati ma il criterio dell’effettività è l’unico per decidere se un ente è legalmente o illegalmente dal punto di vista costituzionale pre-esistente rimane un dato di fatto e alla fine se una situazione di fatto si consolida, poiché la legittima difesa deve essere esercitata nell’immediatezza, anche alcune situazioni che sono sorte illegittimamente continuano a mantenersi(ex Israele).

18 12 2009

Il diritto internazionale non possiede criteri di legittimità, nel senso che anche una formazione dello stato in maniera illecita o contraria alle norme internazionali non impedisce, una volta che la situazione si è consolidata, che quello stato acquisti la soggettività internazionale anche se poi può essere destinatario di sanzioni e di contromisure da parte di altri stati a causa della violazione di norme internazionali. Il fatto che la soggettività continua si giustifica sulla base del fatto che un soggetto di diritto ha dei diritti nei confronti degli altri ma anche degli obblighi, allora la negazione della soggettività dello stato non migliorerebbe la situazione perché farebbe venire meno anche i suoi obblighi e la responsabilità relativa a quegli obblighi nei confronti degli altri.

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IL RICONOSCIMENTOIl problema del riconoscimento ha a che vedere con la caratteristica del diritto internazionale che ha nell’atteggiamento con lo stato cioè di prendere atto di una situazione di fatto, l’effettività della sua esistenza. Poiché non vi sono dei criteri per stabilire la soggettività vi sono alcune situazioni che sono dubbie, per esempio l’ipotesi di un movimento rivoluzionario in cui c’è una situazione di contesa dove due entità rivali che si proclamano entrambe come detentori del potere, di averlo conquistato in maniera definitiva mentre l’altra parte non è d’accordo;in questi casi la situazione può essere dubbia perché non sempre ci sono notizie sicure ed affidabili e perché l’atteggiamento di molti stati può essere condizionato da considerazioni politiche, quindi la questione dell’accertamento che si è formato un nuovo ente come realmente esistente e indipendente può essere controverso. Sono ancora più complesse altre vicende che riguardano lo stato e non le crisi interne, come per esempio il distacco di un territorio o lo scioglimento di un paese oppure l’ipotesi dell’annessione da parte di uno stato ad un altro;in questi casi può essere dubbia l’esistenza di un nuovo soggetto o la persistenza del precedente. Ex. quando si formò il regno d’Italia nel 1861 la questione riguardò anche il nostro paese perché era possibile sostenere che si trattava di un ingrandimento territoriale del regno di Sardegna e quindi era sempre lo stesso soggetto, c’era continuità della persona statale, oppure si poteva ritenere che il regno d’Italia fosse una nuova entità, diversa dal regno di Sardegna. Entrambe le tesi vennero accettate e nel ‘900 ci fu una polemica tra i due giuristi pubblicisti Santi Romano e Angiolitti;Angiolitti sosteneva che il regno di Sardegna aveva incorporato le altre regioni e quindi c’era continuità della persona statale mentre Santi Romano sosteneva il contrario. La questione è a livello giuridico per la continuità dei trattati in quanto se uno stato si è estinto quello nuovo non è vincolato dai trattati che aveva stipulato lo stato precedente.Fenomeno opposto si è avuto quando c’è stata l’unificazione delle due Germanie;il problema è stato risolto dalle stesse parti con il trattato del 1990 definito Trattato di adesione con il quale la repubblica democratica dell’est aderiva alla repubblica federale tedesca(ipotesi di incorporazione). La questione però non va valutata dal punto di vista del diritto costituzionale interno ma del diritto internazionale.Il problema è ancora più complesso nei casi in cui c’è dissolvimento dell’unità dello stato come è successo dopo la caduta dei regimi socialisti dell’Unione Sovietica nei paesi dell’Europa orientale in alcuni casi in modo irruento come è successo per l’ex Jugoslavia, in altri in maniera pacifica come l’ex Cecoslovacchia. In questo caso ci sono due possibilità:l’ipotesi del distacco, cioè un ente rimane in se stesso però si rimpicciolisce ma continua ad esistere, oppure l’ipotesi dello scioglimento. Nel caso della Russia e della Jugoslavia si è posto il problema alle Nazioni Unite;in Jugoslavia ci fu prima il distacco della Slovenia e della Croazia poi quello della Bosnia e quella che è oggi la Serbia - Montenegro continuò a chiamarsi Jugoslavia pretendendo di essere il continuatore di questa;questa situazione non venne accettata dalle Nazioni Unite perché ritenevano che la Jugoslavia non c’era più;alla fine ha abbandonato la pretesa di essere la continuatrice della originaria Jugoslavia anche perché ha cambiato nome ed ora è la Repubblica di Serbia – Montenegro e come tale è stata ammessa nelle Nazioni Unite. Nel caso della Russia fu seguita la prassi contraria;ci fu un accordo tra i paesi che facevano parte dell’ex Unione Sovietica che hanno creato una specie di organizzazione internazionale tra di loro, accordo firmato nel 1991 con cui hanno riconosciuto che la Russia doveva essere considerata il continuatore dell’Unione Sovietica;soluzione accettata da tutti i paesi membri delle Nazioni Unite.Quando ci sono formazioni di stati nuovi o cambiamenti della persona statale gli altri stati lo devono riconoscere. La questione del riconoscimento è sorta molto presto, si è formata per effetto della graduale universalizzazione della comunità internazionale che in origine aveva avuto luogo in Europa e poi attraverso le scoperte geografiche e la decolonizzazione e colonizzazione si è universalizzata. Per tutto l’800 quando i paesi europei avevano preso il sopravvento sul piano giuridico economico e militare avevano una pretesa giuridica ad ammettere questo club ristretto di potere da parte di altri stati, cioè a formulare un diritto di ammissione sull’idoneità di altre entità ad essere parte di questi club ristretto di potere. Per esempio la Turchia non ebbe un riconoscimento pieno di parità diplomatica, lo ottenne poi nella guerra di Crimea quando i paesi dell’Europa occidentale trovarono utile allearsi con la Turchia contro la Russia. La guerra si concluse con la pace di Guerigi nel 1856 nella

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quale vi fu questo atto formale di riconoscimento dell’art.7 del trattato di Parigi che diceva che il governo del regno ottomano viene ammesso a godere dei benefici del diritto pubblico europeo.Altri paesi ebbero una certa difficoltà ad ottenere questa parità di trattamento diplomatico, il riconoscimento della loro soggettività;per esempio al Giappone per molto tempo non venne riconosciuto dall’Inghilterra il diritto di neutralità nella guerra marittima e dunque le flotte inglesi nella guerra franco-prussiana non consideravano le flotte giapponesi come neutrali in quanto non riconoscevano il Giappone come soggetto di diritto internazionale;la situazione poi si sbloccò con un trattato con il quale ci fu un riconoscimento nel 1894.Inoltre sono note le difficoltà diplomatiche di riconoscere l’Unione Sovietica quando ci fu la rivoluzione di ottobre nel 1917 contro lo zar;quando l’Unione Sovietica si consolidò i paesi occidentali non ne vollero sapere di riconoscere;anche qui non c’erano dubbi sull’esistenza effettiva di un nuovo ente ma c’era la paura di un contagio della rivoluzione anche per i paesi capitalisti occidentali. La politica che fu adottata per molti anni nei confronti dell’Unione Sovietica fu la politica del cordone sanitario;questo è il motivo per cui l’Unione sovietica venne ammessa nella società delle Nazioni molto tardi. C’è una sentenza della corte federale americana degli USA del 1923 in cui, proprio perché l’Unione Sovietica non era riconosciuta dal governo americano, la corte suprema disse che non era uno stato riconosciuto, non aveva personalità giuridica non solo sul piano internazionale ma anche nell’ordinamento interno degli USA, non aveva la personalità di diritto interno e quindi in una causa civile dove l’Unione Sovietica faceva valere la voce in giudizio non aveva diritto a rappresentarsi in giudizio perché non era riconosciuta giuridicamente.La sentenza del tribunale di Bolzano del 1971 venne resa in Italia l’anno dopo che venne introdotto il divorzio;molti cittadini italiani che avevano ottenuto il divorzio all’estero non potevano ottenere il riconoscimento del loro divorzio straniero in Italia perché considerato contrario al nostro ordine pubblico, si precipitarono ad ottenere questo riconoscimento. La sentenza, poiché si trattava di un divorzio che veniva dalla repubblica democratica tedesca che per molto tempo non venne riconosciuta dai paesi occidentali e che ottenne il riconoscimento dell’Italia nel 1963, ne negava l’esistenza giuridica in quanto la sentenza straniera non era riconosciuta dall’Italia e quindi non aveva rapporti diplomatici.Alla fine dei regimi socialisti nell’Europa orientale i paesi dell’UE pensarono di gestire politicamente il fenomeno di transizione e stabilirono dei criteri in una riunione internazionale a Bruxelles nel 1991(Dichiarazione di Bruxelles)con cui vennero rese le indicazioni alle quali i paesi che nascevano dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica dovevano rispondere per poter ottenere il riconoscimento dai paesi occidentali, per esempio il rispetto dei diritti dell’uomo, il rispetto delle frontiere, l’obbligo della denuclearizzazione ecc…;questa dichiarazione stabilì che le Repubbliche che si formavano e chiedevano il riconoscimento potevano fare domanda per ottenerlo dai paesi europei entro una certa data e i paesi europei accettavano o meno a seconda del rispetto dei requisiti.(dal punto di vista politico)Dal punto di vista giuridico per l’atto di riconoscimento di uno stato nuovo da parte di altri stati ci sono diverse teorie:-teoria secondo cui il riconoscimento è costitutivo;c’è un giudizio che serve perché l’acquisto della personalità internazionale è condizionato dal riconoscimento degli altri stati. Questa idea si basa sul fatto che poiché non c’è un’autorità superiore in grado di stabilire quando si forma una persona giuridica, allora l’unico modo è che siano gli altri stati a decidere. Il riconoscimento come atto costitutivo è stato qualificato come atto bilaterale(tutto il diritto internazionale deve essere formato da accordi perché non c’è niente di superiore alla volontà dello stato;questi accordi possono essere espliciti, i trattati, o taciti, la consuetudine)o unilaterale:poiché quando nasce un nuovo paese non tutti lo riconoscono subito, allora il risultato sarebbe che lo stato sarebbe soggetto solo nei confronti di chi lo riconosce, mentre la soggettività è una situazione generale nei confronti dell’intero ordinamento. Il riconoscimento ha solo valore politico, cioè intenzione di trattenere rapporti diplomatici con uno stato, cosa che gli altri stati non sono obbligati a fare, ma questo non impedisce che rapporti giuridici anche tra due stati che non si riconoscono possono esistere lo stesso.-teoria secondo cui il riconoscimento ha solo efficacia dichiarativa, non ha valore costitutivo;lo stato effettivamente esiste come ente indipendente, è soggetto del diritto internazionale , però siccome ci

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vuole qualcuno che accerta questa situazione che è dubbia, allora il riconoscimento ha efficacia dichiarativa. Poiché uno stato quando è nuovo può affermarsi in maniera diversa, pacifica, contrattata, incontrattata, per motivi interni o esterni, il riconoscimento è un fattore che indirettamente coopera a consentire l’affermarsi di un fatto di questa nuova entità;ha importanza sotto il profilo del raggiungimento dell’effettività. Se nessuno riconosce uno stato e tutti ne negano l’esistenza alla fine l’effettiva partecipazione di questo stato alla vita di relazione internazionale viene messa in dubbio e quindi questo stato ha più difficoltà ad affermarsi.Ci sono delle norme internazionali che riguardano il riconoscimento;le più importanti sono quelle che prevedono il principio che è vietato il riconoscimento prematuro, cioè quando c’è una situazione di insurrezione, una crisi interna in uno stato;fino a quando il partito insurrezionale non è riuscito a rendersi indipendente dal governo legittimo contro cui è in lotta, questo governo ha diritto di trattare gli insorti come dei comuni delinquenti;quando la nuova entità che lotta si è affermata, il conflitto da situazione giuridica interna si internazionalizza. Il riconoscimento prematuro che favorisce l’affermarsi come entità indipendente un’entità che ancora non è indipendente è vietato dal diritto internazionale perché è considerata illecita ingerenza negli affari interni di un altro stato;un esempio di riconoscimento prematuro è quando gli stati europei hanno riconosciuto la Croazia e la Slovenia.Nel riconoscimento di una nuova situazione territoriale, lo stato che potrebbe avere la possibilità giuridica di contestarla nel momento in cui la riconosce sta prestando acquiescenza quindi il riconoscimento può avere valore giuridico;in una contesa territoriale uno stato riconosce la sovranità dell’altro. Questa regola del riconoscimento che equivale a rinuncia a contestare e che quindi consolida una situazione giuridica che era dubbia è un’applicazione del principio della acquiescenza che è una regola che esiste nel diritto internazionale come esiste nel diritto interno, la quale può essere un’acquiescenza fatta formalmente con una dichiarazione di voler riconoscere una situazione e quindi rinunciare a contestarla oppure può anche essere implicita ed è una regola che trova applicazione non solo nelle questioni territoriali ma in tutti i casi(art.45 Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati:”La responsabilità di uno stato non può essere invocata se lo stato leso ha validamente rinunciato al reclamo oppure se si debba ritenere che in ragione della propria condotta abbia validamente prestato acquiescenza …”;principio generale che vale anche per una nuova situazione territoriale );nel Progetto di articoli della Commissione di diritto internazionale sulla responsabilità internazionale degli stati troviamo la stessa regola per la perdita di un diritto di uno stato che ha subito un illecito per far valere la responsabilità di un altro stato. Uno stato che non riconosce un altro, se l’altro si è affermato lo stesso di fatto, è obbligato a rispettare le regole del diritto internazionale anche se non lo vuole riconoscere però c’è il problema di sapere che cosa succede se vuole stipulare un trattato e se implica riconoscimento;la questione va distinta a seconda che si tratti di un trattato bilaterale che richiede un negoziato tra le parti che implicitamente si riconoscono, ma se è un trattato unilaterale?L a questione è risolta dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati nell’art.74 che stabilisce che rapporto c’è tra un’esistenza o meno delle relazioni diplomatiche tra gli stati e la conclusione dei trattati:”La rottura delle relazioni diplomatiche o consolari oppure l’assenza di tali relazioni tra due o più stati non costituisce ostacolo alla conclusione di trattati tra gli stessi e viceversa la conclusione di un trattato di per sé non ha effetto per quanto riguarda le relazioni diplomatiche tra stati”;cioè si può stipulare un trattato con uno stato senza riconoscerlo e viceversa.Quando il trattato è bilaterale questa cosa qualche volta è stata possibile farla in assenza di relazioni diplomatiche con intermediazione di terzi;ad esempio la crisi degli ostaggi:Iran e USA non avevano relazioni diplomatiche e l’accordo fu fatto ad Algeri tra Algeria e Svizzera una per conto dell’Iran e l’altra per gli USA e con questo accordo l’Iran accettò di rilasciare gli ostaggi dell’ambasciata.Dato che non riconoscere un governo non significa negare l’esistenza di quello stato e dei suoi atti giuridici o negare la sua personalità giuridica, per quello che riguarda il diritto interno degli stati perché è solo una manifestazione di non voler avere rapporti diplomatici.

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21 01 2010

Ci occupiamo adesso della soggettività internazionale d enti che non sono stati ma sono soggetti che rispettano comunque queste condizioni generali, cioè sono enti che partecipano effettivamente in condizioni d’indipendenza dagli altri alla vita delle relazioni giuridiche internazionali. Una prima categoria è quella dei partiti o movimenti insurrezionali, ipotesi in cui in un paese inizia per un motivo o per l’altro una ribellione, una sommossa che produce inizialmente una situazione di guerra civile che ancor prima è una situazione di disordine interno che le autorità dello stato tendono a reprimere con azioni di polizia:si tratta di un fenomeno interno all’ordinamento dello stato in cui gli insorti non hanno una rilevanza internazionale;questi insorti non sono uno stato ma aspirano a diventarlo, aspirano a sostituire il governo esistente contro il quale si sono ribellati con un altro governo e aspirano a diventare loro il governo dello stato, oppure possono aspirare, se si tratta di un movimento secessionistico, a sottrarsi al potere di controllo del governo dello stato e costituirsi in uno stato autonomo, come è successo in Jugoslavia con la dissoluzione. Finché il fenomeno è interno le sole norme internazionali che possono venire in considerazione sono quelle che per esempio riguardano il rispetto dei diritti dell’uomo;proprio perché sul piano internazionale il fenomeno non ha acquistato alcuna rilevanza questo implica che il governo legittimo, contro il quale l’insurrezione ha luogo, può chiedere l’aiuto di altri stati per aiutarlo nella repressione, per esempio inviando armamenti. Se il movimento insurrezionale si afferma può trasformarsi in un’entità che ha acquistato di fatto una posizione di indipendenza rispetto al governo locale, e si crea così una situazione in cui ci sono due enti locali in lotta per il potere, ciascuna delle quali controlla una parte del territorio e si crea una situazione in cui non è chiaro quale di questi due enti sia quello che effettivamente controlla la situazione. Man mano che il governo contro cui è avvenuta l’insurrezione perde il controllo della situazione possono sorgere interessi giuridici per diversi stati e la situazione comincia ad acquistare rilievo per i terzi. In certi casi non necessariamente gli stati terzi sono obbligati a non intervenire fino a quando il conflitto non si è internazionalizzato perché devono rispettare la sovranità dello stato territoriale, quindi non possono violare il principio del non intervento negli affari interni di un altro stato; ma man mano che il partito insurrezionale prende sussistenza e che la situazione si internazionalizza questo principio comincia a prendere di vigore per lo stato. Ci possono essere anche degli interessi politici, per esempio paesi che per ragioni ideologiche non sono favorevoli al governo che c’era ma sono più vicini al movimento insurrezionale;quindi il movimento insurrezionale raggiunge una posizione di consistenza e diventa internazionale perché si è reso indipendente e controlla una parte del territorio e può avere relazioni giuridiche sul piano internazionale ;per esempio la guerra d’indipendenza americana contro l’Inghilterra che cominciò nel 1774 e durò dieci anni, ad un certo punto questa guerra era diventata una vera e propria guerra tra gli eserciti nella quale i terzi avevano interessi; o ancora in America la guerra di secessione dal 1861 al 1865 nata come guerra civile che divenne una guerra in senso stretto, ad un certo punto il governo nordista riconobbe implicitamente il carattere internazionale della situazione perché il presidente Lincoln aveva stabilito un blocco navale con tutte le conseguenze nel commercio dei neutrali. In Europa la guerra civile spagnola che durò dal 1936 al 1939 per la quale i paesi europei avevano fatto un accordo di neutralità che poi venne violato con l’invio di sedicenti volontari da parte del governo fascista italiano. In tutti questi casi è evidente che a partire da una certa soglia la situazione si è ormai internazionalizzata.La dottrina distingue due fasi del fenomeno dell’insurrezione:-la fase in cui si ottiene un riconoscimento internazionale dell’insorgenza-la fase della belligeranzaL’insorgenza come unico effetto giuridico non produce ancora effetti giuridici sul sorgere di un nuovo soggetto del diritto internazionale ma ha come risultato l’esonero dal governo, che era una volta in carica, dalla responsabilità su quello che avviene nella parte del territorio che non controlla più;nella seconda fase si cominciano ad applicare le norme di diritto di neutralità ai terzi e le norme del diritto

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di guerra tra i due partiti contendenti; a questo punto quale dei due è quello legittimo non ha più tanta importanza perché ci sono due entità in lotta tra di loro e c’è un atteggiamento dei terzi stati che attribuiscono la responsabilità all’uno o all’altro quindi cominciano ad applicarsi le norme del diritto internazionale e i rapporti tra soggetti internazionali cominciano a funzionare quindi si applica il diritto di guerra di neutralità, il diritto dei trattati perché gli insorti possono fare degli accordi anche con lo stesso governo contro il quale stanno lottando per stabilire armistizi, limitazione di confini ecc…, si applicano anche le norme sull’immunità degli organi e quindi il partito insurrezionale, quando l’esito della lotta è ancora incerto, comincia ad affermarsi come soggetto internazionale riconosciuto. Questa è l’ipotesi di un ente che assurge alla soggettività internazionale senza essere uno stato. La dottrina tradizionale riconosce questo fenomeno ma qualifica questa soggettività degli insorti come una soggettività che è particolare, perché è limitata;gli insorti hanno una soggettività limitata solo ad alcune norme e sono un soggetto precario, che ha un’esistenza effimera perché destinato ad estinguersi perché i casi sono due:o l’insurrezione ha successo o viene repressa;se viene repressa quell’ente si estingue e quando lo stato recupera con la forza il suo territorio può anche punire l’insurrezione. Nel caso in cui l’insurrezione ha successo il risultato è lo stesso perché il partito insurrezionale o si sostituisce al governo dello stato oppure crea il governo di un nuovo stato. Inoltre si tratta di una soggettività limitata perché gli insorti sono destinatari solo del diritto di guerra e della norma che gli consente di stipulare accordi;quindi soggettività precaria, limitata e speciale non equiparabile a quella degli stati. Questa è una maniera sbagliata di definire il fenomeno che non ha molta valenza sul piano giuridico perché anche nel governo contro cui gli insorti stanno lottando si potrebbe dire la stessa cosa;si tratta dunque di una constatazione di fatto e non di una valutazione giuridica. Ne abbiamo una conferma nell’art.10 del Progetto della Commissione del diritto internazionale sulla responsabilità dello stato del 2001:”Il comportamento di un movimento insurrezionale che divenga il nuovo governo dello stato sarà considerato un atto di quello stato ai sensi del diritto internazionale”;se ci fosse una discontinuità del soggetto l’art.10 avrebbe dovuto dire che lo stato risponde giuridicamente degli atti compiuti da un diverso soggetto;è evidente che c’è una continuità.Il problema dei partiti insurrezionali va visto sulla base di una categoria per la quale valgono regole diverse che sono i movimenti di liberazione nazionale:partiti che sono enti che rappresentano un popolo il quale sta lottando per la sua autodeterminazione. Per autodeterminazione dei popoli si intende il diritto che hanno i popoli, che quindi sono soggetti di diritto internazionale. L’idea di autodeterminazione dei popoli si è affermata prima come principio generale, poi ha assunto un connotato specifico che si è ristretto a tre situazioni particolari.La convenzione di Ginevra riguarda la protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali e regola il diritto umanitario di guerra e gli usi di guerra che sono passati anche nel diritto consuetudinario oltre a quelli che dovrebbero consentire di rendere la guerra più civile. C’è un protocollo che indica che cosa s’intende per guerre di liberazione nazionale;l’art.1 paragrafo4 del primo protocollo del 1977 aggiunto alle quattro convenzioni di Ginevra dice che:”..rientrano nella nozione di conflitti armati internazionali i conflitti armati nei quali i popoli lottano contro la dominazione coloniale, l’occupazione straniera e contro i regimi razzisti nell’esercizio dei diritti dei popoli a disporre di sé stessi…”, consacrata nella Carta delle Nazioni Unite e menziona la Dichiarazione relativa ai principi di diritto internazionale che riguardano le relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli stati del 1970. Qui si parla di autodeterminazione dei popoli e di movimenti di liberazione nazionale e riguarda tre situazioni:-la decolonizzazione-la lotta contro un regime razzista che pratica l’apartheid- l’occupazione stranieraLe prime due situazioni sono in declino; i movimenti di liberazione nazionale sono stati molti subito dopo la guerra. Il primo è stato quello algerino degli anni ’50 e poi in tutta l’Africa;anche in Asia, il più famoso è quello del Vietnam, uno degli ultimi è stato quello di Timorès che fa parte delle isole dell’Indonesia, colonia danese che ha ottenuto l’indipendenza solo con l’intervanto delle Nazioni Unite. Sono rimaste solo due situazioni:

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-l’OLP(organizzazione della liberazione della Palestina),fondata nel 1969;-il fronte Polisario(fronte popolare per la liberazione di Saguia el hamra e del rio de oro):movimento di liberazione nazionale che si è creato nella zona che una volta si chiamava Sahara spagnolo, colonia spagnola tra il Marocco e la Mauritania, che quando alla decolonizzazione venne lasciato dalla Spagna, da una parte il Marocco e dall’altra la Mauritania se lo annessero, la popolazione locale voleva rivendicare l’autodeterminazione e voleva essere uno stato autonomo; la Mauritania si convinse presto a mollare la presa e fece un accordo con il fronte Polisario con cui rinunciava alle sue pretese territoriali;il Marocco invece ha continuato ad esercitare la sua sovranità;quindi il movimento Polisario ha lottato contro il Marocco e oggi controlla una buona parte del Sahara e il governo del Marocco ha accettato di concedergli l’autodeterminazione subordinata però ad un plebiscito che non è mai stato ottenuto;si continua a trattare perché non si riesce a mettersi d’accordo sulle modalità di organizzazione e sulla questione fondamentale di sapere chi sono quelli che hanno il diritto di partecipare al plebiscito.Si comincia a parlare del principio di autodeterminazione dei popoli dopo la prima guerra mondiale, era uno dei 14 punti fondamentali del presidente americano Wilson;gli USA avevano una forte tradizione anti-coloniale e allora Wilson disse:”..dobbiamo ricostruire l’Europa e basarci su questo principio del rispetto delle nazionalità”. Questo principio aveva importanza per quello che riguardava l’impero austro-ungarico che era l’ultimo residuo del potere imperiale che governava da straniero su una serie di popoli che erano ribelli e non ci volevano stare;d’accordo con Wilson era anche Lenin perché la dottrina politica sovietica vedeva l’autodeterminazione in maniera diversa secondo l’idea che i governi esistenti fino alla prima guerra mondiale erano governi che rappresentavano solo gli interessi della classe dominante che teneva asserviti i lavoratori, invece autodeterminazione significava democratizzazione interna, affrancamento o liberazione delle classi sottoposte alle classi che dominavano e che erano espresse dai governi conservatori;e poi c’era l’elemento anti-coloniale, quindi il principio di autodeterminazione dei popoli era un principio che aveva una forza dirompente enorme sul diritto internazionale.Si afferma il diritto internazionale del principio che gli stati devono rispettare la volontà dei loro popoli sia nel senso di autodeterminazione esterna, quindi per esempio il diritto a non essere sottoposti alla colonia straniera, sia nel senso di un’autodeterminazione interna cioè il governo deve esprimere il volere del popolo ed essere suo rappresentante, quindi deve essere un governo democratico. Il principio venne attuato nella prima guerra mondiale a senso unico sia per gli stati europei che per le colonie, per quest’ultime c’era un lungo articolo nel patto della società delle Nazioni Unite, l’art.22 che stabiliva il regime dei mandati: l’idea di sottoporre a mandato di una potenza mandataria sotto il controllo della società delle Nazioni per governare nell’interesse delle popolazioni governate quindi sotto un controllo internazionale gli stati o le colonie sottoposte a quelli che avevano perso la guerra. L’art.22 parlava di una missione sacra di civiltà:”Alle colonie e ai territori che in seguito all’ultima guerra hanno cessato di trovarsi sotto la sovranità degli stati che prima li governavano e che sono abitati da popoli non ancora in grado di reggersi da sé per le difficili condizioni del mondo moderno si applicherà il principio che lo sviluppo e il benessere di tali popoli è un compito sacro di civiltà e le garanzie di attuazione di questo compito dovranno essere incluse nel presente;il metodo migliore per dare effetto pratico a questo principio è di affidare la tutela di questi popoli alle nazioni progredite e garanzie ai loro mezzi e alla loro esperienza e alla loro posizione geografica possano meglio assumere questa responsabilità e siano disposti ad accettare tale compito, questa tutela dovrebbe essere esercitata dalle medesime come mandatarie della società e per suo conto. Il carattere del mandato dovrà variare secondo il grado di sviluppo del popolo, la posizione geografica del territorio, le sue condizioni economiche e altre circostanze simili”. Poi vengono indicati i tre gruppi di mandato:il mandato di tipo A, di tipo B e di tipo C;quello di tipo A riguardava i territori che facevano parte dell’impero ottomano:”… alcune comunità che appartenevano all’impero turco hanno raggiunto un grado di sviluppo tale che la loro esistenza come nazioni indipendenti può essere provvisoriamente riconosciuta, salvo il consiglio e l’assistenza amministrativa di una potenza mandataria, finché non saranno in grado di reggersi da sé”;il tipo B riguardava i paesi dell’Africa centrale che venivano amministrati dalla potenza mandataria in maniera più consistente; e poi il tipo C

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riguardava i territori dell’Africa sud-occidentale e talune isole del Pacifico australe che per la scarsa densità della popolazione , la piccola superficie, la lontananza dai centri della civiltà, la contiguità geografica allo stato mandatario e per altre circostanze possono essere meglio amministrate secondo le leggi di detto stato come parti integranti del suo territorio salvo la garanzia predetta nell’interesse della popolazione indigena.Il sistema dei mandati fu tutto quello che la società dei mandati realizzò;dopo la seconda guerra mondiale questo principio venne posto alla base della decolonizzazione, cioè le ex colonie hanno acquistato l’indipendenza;a poco a poco il movimento della decolonizzazione è divenuto travolgente ed ha avuto come conseguenza la formazione di norme generali del diritto internazionale(in via consuetudinaria)che hanno stabilito questo principio:gli stati devono rispettare l’autodeterminazione dei popoli. Di fatto si sono create in maniera tumultuosa queste norme consuetudinarie che si sono basate su questo principio pratico di autodeterminazione dei popoli;l’autodeterminazione si è affermata in maniera molto limitata, cioè dal principio sono state tolte delle regole concrete perché l’autodeterminazione interna non era un’ idea che gli stati potevano accettare. Il principio di autodeterminazione si è affermato dopo la seconda guerra mondiale sulla base della nozione che non era retroattivo. Da questo principio si sono affermate tre regole:1.il diritto di autodeterminazione dei popoli sottoposti a dominio coloniale;2.il diritto di autodeterminazione dei popoli sottoposti a regimi razzisti;3.l’occupazione straniera(è stato un modo di applicare questo principio all’indipendenza della Palestina).L’autodeterminazione che mette in pericolo i confini di uno stato sovrano esistente, quindi il diritto alla secessione , non è consentito dal diritto internazionale ma le Nazioni Unite lo condannano.Si tratta di un principio che tutti gli stati sono obbligati a rispettare quindi crea un rapporto di diritto/obbligo tra gli stati che rientra nella categoria degli obblighi erga omnes, obblighi che ciascuno stato ha nei confronti di tutti gli altri stati, cioè nei confronti della comunità internazionale nel suo insieme;gli stati hanno l’obbligo di rispettare l’autodeterminazione, quindi di non occupare stati stranieri o di colonizzarli e se l’hanno fatto di andarsene e di consentire ai popoli l’autodeterminazione esterna e cioè il diritto di scegliere il regime politico che vogliono. Tutto questo riguarda indirettamente i popoli che in quanto tali, non essendo soggetti del diritto internazionale sono solo beneficiari di fatto dei rapporti di diritto/obbligo degli stati. Nel caso di autodeterminazione negata in cui un popolo si organizza mediante un movimento di liberazione nazionale bisogna vedere se con questo movimento diventa un soggetto di diritto internazionale.La differenza rispetto alla soggettività di uno stato, la cui soggettività non è in discussione, dei casi dei movimenti insurrezionali sta nel fatto che il soggetto statale è una situazione statale consolidata e indiscutibile mentre un movimento di liberazione nazionale è caratterizzato dall’incertezza della situazione di fatto ed è per questo motivo che diventa più importante il ruolo del riconoscimento da parte degli stati terzi e dallo stesso stato contro cui sono state prese le armi dagli insorti. Per i movimenti di liberazione nazionale il grande impegno politico degli stati e delle organizzazioni internazionali universali che raggruppano gli stati si cominciò ad affermare il principio che i popoli in lotta per la loro libertà sono titolari di un diritto alla loro autodeterminazione e come tali sono già soggetti del diritto internazionali;non si può dire giuridicamente che un popolo è un soggetto, lo si può dire come slogan politico;e allora si afferma l’idea che a differenza degli altri partiti insurrezionali che hanno bisogno del riconoscimento dell’effettività per i movimenti di liberazione nazionale vale una soluzione diversa, l’elemento sufficiente per fargli assurgere la soggettività internazionale è il fatto in sé di essere un’autorità che rappresenta un popolo per l’autodeterminazione:la legittimazione politica sostituirebbe la necessità di requisiti di effettività, cioè di aver assunti una certa consistenza;lo scopo politico dell’operazione è quello di favorire l’affermarsi del movimento di liberazione nazionale, c’è un automatico acquisto della soggettività. Tesi sostenuta dai paesi in via di sviluppo e da una parte della dottrina quindi non ci sarebbe bisogno di altri requisiti, basterebbe il fatto in sé;ma qual è l’autorità competente a rappresentare il popolo? Chi lo decide?

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Le Nazioni Unite negli anni ’60 risposero a questo quesito sostenendo che tale funzione viene esercitata dalle organizzazioni regionali(Lega araba, NATO, Unione africana, OAS:organizzazione degli stati americani).Fino a quando il partito insurrezionale non assume una tale consistenza da poter dire che è un nuovo soggetto internazionale, il governo insediato lo può considerare come un’associazione di delinquenti che turbano l’ordine pubblico e quindi lo può reprimere, può persino farsi aiutare dagli altri stati;mentre in una situazione di autodeterminazione la situazione è diversa, siccome in questo caso il governo che conculca il diritto all’autodeterminazione sta commettendo un illecito internazionale, questo ha delle conseguenze giuridiche e gli altri stati non lo possono aiutare, possono solo aiutare il movimento di liberazione nazionale perché stanno reagendo alla violazione di un obbligo erga omnes;invece aiutare un movimento insurrezionale è un’ingerenza negli affari interni di uno stato straniero che è vietato dal diritto internazionale. C’è l’obbligo internazionale di non aiutare il governo che viola il diritto dell’autodeterminazione;lo troviamo nell’art.41 del Progetto di articoli sulla violazione degli obblighi erga omnes, conseguenze particolari di una grave violazione di obblighi derivanti da una norma imperativa del diritto internazionale generale:”Gli stati devono cooperare tutti per porre fine con mezzi leciti ad una grave violazione ai sensi dell’art.40, inoltre nessuno stato deve riconoscere come legittima una situazione creata attraverso una grave violazione ai sensi dell’art.40 né può prestare aiuto o assistenza nel mantenere tale situazione”. Questo non ha ancora a che vedere con il problema della soggettività; per quanto riguarda la soggettività non è difficile dimostrare che non c’è una differenza , ci vuole sempre l’effettività, però si può dire che la legittimazione internazionale che deriva dal riconoscimento, dall’aiuto e dal sostegno che tutti gli stati danno ad uno stato che sta lottando per liberarsi da un regime coloniale, razzista o da un’occupazione violenta straniera è in sé un elemento di effettività, perché l’effettività può poggiarsi su elementi di vari tipi. Il movimento di liberazione per il fatto di godere di un ampio sostegno da parte di tutti gli stati lo aiuta. Quindi l’effettività può basarsi su elementi diversi però occorre dimostrare che si è di fronte ad un ente che è indipendente, che è considerato un interlocutore sovrano indipendente dagli stati e che partecipa alla vita di relazioni internazionali. Dal punto di vista giuridico non c’è una ragione giuridica persuasiva che conduce a fare eccezione, l’autodeterminazione dei popoli funziona nel senso di creare dei rapporti di diritto/obbligo tra gli stati, ma i requisiti dell’effettività internazionale sono sempre gli stessi; questa effettività può essere raggiunta e valutata in vari modi, in alcuni casi la valutazione è dubbia.

22 01 2010

Vi sono due trattati internazionali che riguardano il diritto internazionale umanitario, cioè quelle regole minime di umanità e di civiltà che gli stati si impegnano a rispettare,con convenzioni, nel caso ci siano delle operazioni belliche. C’è un corpus di regole del diritto internazionale che si sono venute articolando anche in varie convenzioni internazionali; un corpus importante che venne fatto dopo la seconda guerra mondiale e si tratta delle 4 Convenzioni di Ginevra del 1949, le quali regolano rispettivamente quattro aspetti del diritto umanitario di guerra:-il trattamento dei feriti e dei malati delle forze armate in campagna;-il trattamento dei feriti, dei malati e dei naufragi nella guerra sul mare;-il trattamento dei prigionieri di guerra;-il trattamento delle popolazioni civili.Queste convenzioni erano già uno sviluppo ulteriore rispetto al movimento codificatore che era cominciato con le Convenzioni dell’Aja all’inizio del ‘900, le due grandi conferenze della pace del 1899 e del 1907 convocate dalla regina Guglielmina d’Olanda all’Aja che aveva dato luogo ad un corpus di regole che codificavano e cercavano di umanizzare il diritto di guerra, però queste regole sono state ampliate e precisate con le convenzioni del 1949 e a queste ultime sono stati aggiunti due Protocolli

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che rafforzano i principi di umanità e civiltà durante lo svolgimento di operazioni militari. I due Protocolli sono stati negoziati dai governi a Ginevra tra il 1974 e il 1977;il primo riguarda la protezione delle vittime dei conflitti armati di carattere internazionale;il secondo Protocollo riguarda la protezione delle vittime dei conflitti armati non internazionali(conflitti interni , come il caso di movimenti insurrezionali). C’è una differenza di trattamento perché nei conflitti armati internazionali si fronteggiano due eserciti regolari di due stati; nel conflitto armato che si svolge sul territorio di uno stato con delle forze armate dissidenti la situazione è diversa perché spesso si tratta di combattenti che fanno la guerriglia, che non portano stabilmente le armi e che quindi non sono sempre riconoscibili e che possono confondersi con la popolazione civile;poiché sono situazioni interne uno dei problemi che venne trattato a Ginevra era quello di cercare un minimo di norme che civilizzassero la violenza armata anche nei conflitti di carattere non internazionale.Poiché questi due protocolli sono stati negoziati in un contesto in cui c’era una prevalenza dei paesi in via di sviluppo, i sostenitori dell’anticolonialismo e dell’autodeterminazione dei popoli hanno avuto come conseguenza che questi paesi hanno voluto il massimo impegno per ottenere i movimenti di liberazione nazionale e quindi hanno finito per ottenere in queste norme un trattamento diverso per i partiti insurrezionali che lottano per l’esercizio del diritto dei popoli per l’autodeterminazione e i partiti insurrezionali semplici.Artt.1 e 96 del primo Protocollo sono le norme che ci interessano per vedere come i movimenti di liberazione nazionale sono trattati da questo Protocollo.L’art.3 comune alle 4 Convenzioni di Ginevra stabilisce un minimo di comportamento civile relativo alla situazione dei conflitti armati interni ad uno stato e non internazionali; la differenza fondamentale è che nei conflitti armati internazionali i combattenti legittimi che portano le armi sono inquadrati in un esercito statale e quindi sono legittimati a combattere e devono essere trattati come prigionieri di guerra nel caso in cui vengono catturati; nei conflitti armati non internazionali gli stati non hanno accettato che un movimento di insorti vengano riconosciuti legittimi combattenti o prigionieri di guerra, poiché stanno esercitando la violenza in maniera illegale benché organizzata. Ci sono anche delle norme di carattere sanzionatorio per chi viola questo corpus di norme.Art.1paraggrafo 1 del primo Protocollo:”Le alte parti contraenti si impegnano a rispettare e a fare rispettare il presente protocollo in ogni circostanza ”;paragrafo 4:”Nelle situazioni di conflitto armato di carattere internazionale sono compresi i conflitti armati nei quali i popoli lottano contro la dominazione coloniale, l’occupazione straniera e i regimi razzisti nell’esercizio del diritto dei popoli a disporre di sé stessi consacrato nella carta delle Nazioni Unite e nella Dichiarazione relativa ai principi di diritto internazionale che riguardano le relazioni amichevoli e la cooperazione tra stati conformemente alla Carta delle Nazioni Unite ”(se un popolo lotta per l’autodeterminazione la lotta condotta da questa popolazione è parificata ai conflitti armati internazionali quindi si applicano tutte le norme che riguardano una guerra tra eserciti regolari di stati).Art.1 secondo Protocollo:”Il presente protocollo che sviluppa e completa l’art.3 comune senza modificarne le attuali condizioni di applicazione si applica a tutti i conflitti armati che non sono coperti dall’art.1 del primo protocollo e che si svolgono sul territorio di un’altra parte contraente tra le sue forze armate e delle forze armate dissidenti o dei gruppi armati organizzati i quali sotto la condotta di un comando responsabile esercitano su una parte del suo territorio un controllo tale da permettergli di condurre delle operazioni militari continue e concertate e di applicare il presente protocollo ”. Si chiamano conflitti armati di carattere non internazionale quelli in cui c’è un qualunque partito insurrezionale che non è qualificato per quel fine;il conflitto viene degradato a quello dei semplici conflitti armati di carattere interno. Paragrafo 2:”Il protocollo non si applica a situazioni di tensioni interne di disordini interni come le sommosse o gli atti isolati e sporadici di violenza e altri atti analoghi che non sono considerati come conflitti armati”. Tutto questo nel primo protocollo non viene richiesto ha movimenti di liberazione nazionale, non viene richiesto nessun requisito, solo il fine per i quale agiscono anche se sono sprovvisti di tutte queste condizioni, ma hanno diritto alla tutela dei conflitti armati internazionali; viceversa gli altri partiti internazionali benché dotati di queste condizioni non hanno lo stesso diritto. Lo scopo quindi era da una parte di rafforzarne la tutela cioè di stabilire i movimenti di liberazione nazionale a prescindere dal grado di effettività che hanno

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raggiunto e hanno diritto di essere trattati come legittimi combattenti e come prigionieri di guerra come se fossero soldati di un esercito ufficiale, viceversa tutti gli altri movimenti di liberazione nazionale anche se moto più consistenti sono degradati a questo livello di regole minime stabilite dal secondo protocollo ; quindi un diverso trattamento sul piano della tutela sostanziale, poi un trattamento di favore sotto un altro profilo. Ciò vuol dire che questo tipo di conflitti armati sono già conflitti internazionali equiparati alla lotta tra due eserciti regolari di due stati sovrani e che è un modo di promuovere il riconoscimento della personalità internazionale dei movimenti insurrezionali perché si dice che è una situazione internazionale quindi questo presuppone il riconoscimento della qualità di soggetto internazionale, questi erano gli obbiettivi politici.I movimenti di liberazione nazionale in quanto tali non ratificano il trattato, non sono parti del trattato e quindi com’è stato risolto il problema di vedere quale effetto giuridico nei confronti dei movimenti di liberazione nazionale questo primo protocollo può produrre; è stato risolto nell’art. 96 che si occupa dei rapporti tra le parti delle convezioni: “Quando le parti delle convezioni sono anche parti del presente protocollo le convezioni si applicano così come sono integrate dal protocollo” (Paragrafo 1); il paragrafo 2 regola una situazione particolare: “se una delle parti al conflitto armato internazionale non è parte al protocollo, le parti del presente protocollo resteranno vincolate al protocollo nei loro rapporti reciproci”. E’ una regola che si è imposta col passare del tempo nel diritto umanitario di guerra perché è l’esclusione della clausola contraria “si omnes” , che diceva di fare una convezione di questo tipo; la convezione si applica soltanto se tutte le parti che partecipano al conflitto sono vincolate dalla convezione, perché chi non ne faceva parte era favorito in quanto non doveva rispettare queste norme e quindi si doveva assicurare la parità delle regole applicabili allo scontro; questa clausola rendeva di minore impatto pratico queste norme elaborate da questa convenzioni, oggi invece si stabilisce il contrario cioè accettiamo che nei rapporti reciproci non con il terzo le applichiamo lo stesso, e aggiunge che saranno vincolate anche nei confronti della parte che partecipa al conflitto ma che non ha ratificato le convenzioni se questa parte accetta di applicarne le disposizioni(per favorire la diffusione del diritto internazionale umanitario).”L’autorità che rappresenta un popolo impegnato contro un’altra parte contraente in un conflitto armato del carattere menzionato nell’art.1par.4(internazionale)può impegnarsi ad applicare le convenzioni del presente protocollo relativamente a questo conflitto indirizzando una dichiarazione unilaterale al depositario della Convenzione; dopo che il depositario ha ricevuto questa dichiarazione, essa avrà i seguenti effetti:a. le convenzioni e il protocollo prendono immediatamente effetto per questa autorità;b. l’autorità esercita gli stessi diritti e adempie alle stesse obbligazioni che qualsiasi altra parte contraente alle convenzioni e al protocollo;c. la convenzione e il protocollo vincolano in maniera identica tutte le parti al conflitto.”Il paragrafo 3 lettere a b c applica ai movimenti li liberazione nazionale la stessa soluzione che il paragrafo 2 prevedeva per gli stati che sono parti del conflitto ma che non hanno ratificato convenzioni e protocollo. Quindi si dice che c’è stata l’assunzione da parte dell’autorità che rappresenta il popolo in lotta per l’autodeterminazione di un obbligo internazionale. Perché ci sia questa assunzione questo presuppone la qualità di un soggetto perché solo chi è soggetto di diritto internazionale può assumersi un obbligo internazionale. E’ possibile interpretare in modo diverso , se partiamo dalla premessa che non è vero che quel movimento di liberazione nazionale è già un soggetti di diritto internazionale. L’art.96 può produrre lo stesso il suo effetto però la situazione giuridica va costruita in maniera diversa:la dichiarazione del movimento di liberazione nazionale è una semplice condizione per l’entrare in opera dei rapporti di diritto/obbligo tra gli stati contraenti della convenzione;il movimento di liberazione nazionale non solo non è parte della convenzione ma non è nemmeno soggetto di diritto internazionale quindi facendo quella dichiarazione non assume né obblighi internazionali né acquista diritti;però siccome gli stati contraenti della convenzione hanno rapporti di diritto/obbligo perché sono soggetti e perché l’hanno ratificata l’art.96 dice:”Dal momento in cui il movimento di liberazione nazionale rende questa dichiarazione tra di noi parti contraenti abbiamo il diritto e l’obbligo reciproco a pretendere il rispetto di queste norme nel conflitto da parte dello stato contraente che ha ratificato il trattato e che è parte del conflitto”. Il movimento di liberazione nazionale in questa costruzione è soltanto beneficiario di

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fatto, non essendo soggetto, di diritti e di obblighi che intercorrono tra altri soggetti relativamente alla conduzione delle operazioni militari da parte dello stato che è parte del protocollo.La scelta tra queste due possibilità, cioè che anche nei confronti del movimento di liberazione nazionale c’è l’obbligo oppure no, è un’opzione aperta che l’art.96 lascia aperta la cui soluzione dipende dalla risposta che diamo noi alla domanda e cioè:il movimento di liberazione nazionale è soggetto o non è soggetto?Se è soggetto anche lui è obbligato e quindi lo stato deve essere obbligato nei suoi confronti, l’art.96 potrebbe essere interpretato come un’offerta che gli stati contraenti fanno ad un terzo accettando quell’obbligo di assumere i diritti correlativi;se invece non è vero che è soggetto allora i rapporti di diritto/obbligo si creano solo tra gli stati. Questo tipo di soluzione ha consentito l’elaborazione dei trattati e la ratifica da parte degli altri stati senza che si litigasse. Dal punto di vista pratico poiché nessuno può obbligare gli stati a ratificare un trattato internazionale, quegli stati che negli anni in cui è stato elaborato il protocollo temevano di trovarsi in una situazione di questo tipo si sono guardati bene dal ratificarlo.Un accordo internazionale non ha potenzialità di produzione giuridica sufficiente a poter creare soggetti internazionali, quindi la pretesa di una posizione particolare ai movimenti di liberazione nazionale che fa il primo protocollo indipendentemente dalla richiesta di qualsiasi condizione di effettività, il valore che ha è principalmente politico, sul piano giuridico produce ben poco; i soggetti del diritto internazionale non possono essere creati da un accordo per vari motivi:l’inidoneità strutturale dell’accordo come strumento di creazione di norme giuridiche, perché l’accordo può creare diritti ed obblighi tra gli stati, quindi sotto il profilo della soggettività al massimo tutto quello che si potrebbe fare con l’accordo è che gli stati si obbligano tra di loro internazionalmente a riconoscere la soggettività di un ente ma non può creare l’ente, perché l’ente si auto costituisce come fenomeno di fatto, la sua esistenza o inesistenza è un dato di fatto materiale, storico, quindi non può dipendere dal fatto che è scritto in una norma del trattato internazionale;per di più il trattato internazionale non crea situazioni reali ma crea solo rapporti di diritto/obbligo, quindi per definizione non può creare un soggetto.

28 01 2010

SOGGETTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE DIVERSI DAGLI STATI - LA SANTA SEDE:

La SANTA SEDE,intesa non come comunità,ma come Governo della Chiesa,ossia l’insieme del Pontefice e della Curia Romana (complesso di dicasteri che coadiuva il pontefice nel governo della Chiesa Romana). La Santa Sede è riconosciuta come soggetto del diritto internazionale sin dall’inizio,ed ha attraversato diverse fasi:

1. Nella FASE DELLO STATO PONTIFICIO la Santa Sede era una vera e propria comunità di governo,poiché presentava una struttura di governo territoriale come quella degli altri Stati,in quanto presentava la caratteristica della territorialità,disponeva di un ordinamento giuridico e di proprie leggi,partecipava a guerre. Differentemente dagli altri Stati rivendicava una particolare autorità morale derivante dalle sue finalità spirituali e dalla sua autorità spirituale nei confronti della comunità dei cattolici.

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2. DAL 1870 AL 1929: Con la Breccia di Porta Pia (Ripesa di Roma) nel 1870 la Chiesa perde il potere temporale dei pontefici. Con la perdita di tale potere lo Stato della Chiesa si è trovato nella stessa situazione di uno Stato debellato,oggetto della debellatio bellica (secondo il diritto internazionale) che generalmente porta alla sua estinzione in quanto lo Stato che lo ha debellato si annette nel suo territorio e si sostituisce a questo nel governo della comunità umana stanziata su quel territorio. Tuttavia la Santa Sede non si è estinta,ma ha continuato ad esistere come soggetto di diritto internazionale in virtù di una serie di fattori:

Autolimitazione da parte dello Stato italiano del suo potere di governo astenendosi dall’estendere nei confronti della Santa Sede la sua sovranità (ad esempio: i suoi poteri coercitivi,la giurisdizione dei suoi tribunali). Con la Legge delle Guarentigie (legge interna dello Stato italiano del 1871) l’Italia garantiva unilateralmente al pontefice il rispetto della sua indipendenza. Anche gli altri Stati e la stessa Comunità Internazionale mantengono nei confronti della Santa Sede lo stesso atteggiamento,in quanto la Santa Sede continua ad essere considerata un ente che fa parte delle relazioni internazionali in posizione di indipendenza,volta ad avere relazioni diplomatiche,a stipulare accordi con gli Sati,a partecipare a trattati internazionali oltre che a stipulare concordati (categorie particolari di accordi) con altri Stati. Casi analoghi hanno riguardato anche Paesi sconfitti ed esiliati che pur trovando ospitalità in territori di altri Stati,hanno comunque mantenuto la loro esistenza e definizione di Stato continuando a mantenere relazioni internazionali e la capacità di prendere provvedimenti e adottare misure e atti normativi per la loro popolazione.

Riconoscimento dell’autorità spirituale della Santa Sede, in quanto gli altri Stati hanno come base personale i cittadini,mentre la Santa Sede ha come base personale i fedeli. Questo conferisce alla base personale della Santa Sede una dimensione transnazionale che eccede le frontiere degli Stati.

3. DAL 1929: Nel 1929 con i Patti Lateranensi la Santa Sede recupera in maniera limitata la base territoriale con lo Stato della Città del Vaticano (che è lo Stato più piccolo del mondo,occupa 44 ettari ed ha circa 500 cittadini). Il recupero della base territoriale pone il problema di sapere quale rapporto vi sia tra la Santa Sede come organo supremo della Chiesa Cattolica e lo Stato della Città del Vaticano,che apparentemente sembra uno stato come tanti altri. Le condizioni di cittadinanza vaticana sono particolari,in quanto riguardano i funzionari ecclesiastici o laici della Santa Sede e prevedono la permanenza di residenza in tale Stato. Perciò,nel caso in cui un cittadino sposti la propria residenza in un altro Stato,perde di conseguenza la cittadinanza. Generalmente questi hanno una seconda cittadinanza in uno Sato vero e proprio.

La Santa Sede ha sempre rivendicato una speciale autorità ultraterrena superiore a quella degli Stati. Nel medioevo si poneva al di sopra dello stesso Re,in quanto era questa che lo investiva dei suoi poteri. Tale superiorità si manifestava anche nelle relazioni con gli altri Stati. Un esempio riguarda le normali relazioni diplomatiche tra gli Stati,che vengono tenute attraverso gli ambasciatori. L’insieme degli ambasciatori accreditati presso un governo di un determinato Paese forma il CORPO DIPLOMATICO presieduto dal Decano. La Chiesa non li definisce ambasciatori,ma Nunzi o Internunzi o Legati. Il massimo grado è quello del Nunzio Apostolico o Nunzio Pontificio da sempre considerato nei Paesi cattolici il Capo del Corpo diplomatico per la superiore autorità della Santa Sede rispetto agli altri Stati.

Nei Paesi non cattolici che non riconoscono l’autorità superiore della Santa Sede,La Santa Sede stessa non invia i nunzi,ma invia gli Internunzi,ossi ambasciatori che hanno una qualifica di grado secondario

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così che la Santa Sede possa accettare che il corpo diplomatico sia presieduto da un decano (che può essere il più anziano tra i diplomatici anche degli altri Stati) senza che venga posta diplomaticamente in discussione la pretesa della Santa Sede ad una propria superiorità nei confronti dell’autorità degli altri Stati.

Diversa posizione assume la Santa Sede anche per quanto riguarda i mezzi di soluzione delle controversie internazionali (dei quali quello per eccellenza è l’arbitrato). La Santa Sede ha sempre ritenuto di non potersi assoggettare alla giustizia umana per la sua posizione di sovra-nazionalità e autorità di tipo universale. Ad esempio la seconda versione del Concordato tra Italia e Santa Sede,ossia il nuovo Accordo di Villa Madama del 1984 prevede per la soluzione delle controversie la formazione di una Commissione Mista composta da persone nominate dalla Santa Sede e persone nominate dallo Stato,che negoziano per raggiungere una soluzione concordata della controversia.

I PATTI LATERANENSI sono composti da 3 accordi giuridici:

Il Concordato; Il Trattato (che istituisce lo Stato della Città del Vaticano); La Convenzione Finanziaria (che regola accordi finanziari tra i due Paesi).

Il Trattato contiene due articoli (artt.2-26) con i quali lo Stato italiano riconosce la Santa Sede come soggetto internazionale (art.2) e riconosce lo Stato della Città del Vaticano (art.26). Con ciò viene ammessa implicitamente l’esistenza di due diversi soggetti:

- Un soggetto (Santa Sede) a fini spirituali con la sua pretesa ecumenica.- Uno Stato,ente territoriale che ha interessi temporali.

Anche all’interno delle organizzazioni internazionali c’è la tendenza della Santa Sede a distinguere la propria posizione. Delle organizzazioni internazionali che riguardano attività di tipo materiale di uno Stato,ad esempio l’Unione Postale Universale che si occupa della collaborazione degli Stati in materia postale e l’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (ITU) è membro lo Stato della Città del Vaticano.

Per quanto riguarda le altre organizzazioni internazionali,ad esempio l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) oppure quelle che si occupano di aiutare i Paesi in via di sviluppo,ad esempio l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale (UNIDO) o la Commissione delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo Internazionale (UNCTAD) è membro la Santa Sede,in quanto l’aiuto ai Paesi poveri del mondo e il controllo dell’energia atomica usata potenzialmente per fini bellici riguarda le finalità spirituali della Chiesa.

Da questa differenziazione tra Stati e Santa Sede sorge il problema consono alla natura giuridica dei concordati tra Stato e Chiesa. L’opinione generale prevede che,siccome un trattato internazionale tra gli Stati può avere qualsiasi oggetto,che abbia un oggetto o un altro,si tratta sempre di un accordo tra gli Stati regolato dal diritto internazionale.

Gli Accordi di Sede tra uno Stato e un’organizzazione internazionale sono accordi con i quali lo Stato accetta di ospitare sul suo territorio la sede di un’organizzazione internazionale e stabilisce il trattamento che userà. Tali accordi sistemano e organizzano i rapporti tra lo Stato che ospita fisicamente e materialmente sul suo territorio l’organizzazione internazionale. Anche questi sono accordi regolati dal diritto internazionale.

Per quanto riguarda invece i Concordati,vi sono due teorie opposte:

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- Quella Laicistica,che lo considera come una concessione unilaterale che lo Stato fa alla Chiesa,quindi trova fondamento nel diritto costituzionale dello stato;

- Quella Canonista,che lo considera una concessione unilaterale che fa la Chiesa come autolimitazione della propria influenza,del proprio potere d’impero sulla comunità dei fedeli.

Di conseguenza il concordato non è giuridicamente obbligatorio,in quanto essendo unilaterale non vi è l’obbligo di entrambe le parti.

Da questo scaturisce la tesi di un ordinamento Stato-Chiesa autonomo che non appartiene né al diritto internazionale,né al diritto dello Stato,né al diritto della Chiesa. Questa tesi fu sostenuta negli anni dei Patti Lateranensi da Santi Romano. Altri (tra cui Davì) sostengono che il fatto che un accordo tra enti sovrani e indipendenti che partecipano alla vita delle relazioni internazionali può avere qualunque tipo di oggetto,rende inutile la necessità di creare nuovi tipi di ordinamenti.

La supremazia spirituale della Chiesa crea sul piano giuridico il problema di sapere se vi siano due soggetti del diritto internazionale (uno è lo Stato di Città del Vaticano che è un soggetto terreno e un ente con fini speciali i quali poteri provengono dall’alto e che governa sui fedeli con una forma di personalità giuridica diversa perché destinata a realizzare finalità ultraterrene).

Alcuni sostengono che la Santa Sede sia un soggetto,in quanto tale inizialmente aveva potere temporale (periodo dello Stato Pontificio) che perde in seguito (Breccia di Porta Pia) e nel momento in cui si forma lo Stato di Città del Vaticano diviene un soggetto nuovo e a sé stante. Si pone perciò anche un problema giuridico del rapporto tra questi due enti in quanto hanno in comune l’organo supremo di governo,perché la Santa Sede governa sia la Chiesa Cattolica che lo Stato della Città del Vaticano. Questa situazione è definita UNIONE REALE DI DUE STATI.E’ accaduto nella storia che tale unione si sia verificata tra due Stati (è perciò possibile che riguardi anche Sati diversi dalla Santa Sede).Nel 1815,all’epoca del Congresso di Vienna,ebbe inizio l’Unione tra la Svezia e la Norvegia che durò fino al 1905.Accadde anche tra Austria e Ungheria durante l’evoluzione dell’impero asburgico. L’Ungheria,mediante una legge costituzionale del 1877,con la quale fu fatta la Legge di Equiparazione,equiparò l’Ungheria all’Austria a differenza di tutti gli altri Popoli sottoposti alla Corona.

Negli anni del dopoguerra,l’italiano Salvatore Palmieri sostenne la tesi secondo la quale vi sono due soggetti internazionali diversi ma vi è un’Unione Reale,ossia hanno l’organo in comune. Perciò il Pontefice è Capo della Chiesa Cattolica e Capo del Governo dello Stato di Città del Vaticano.

Secondo Davì questa duplicazione dei soggetti è artificiale,fittizia;in quanto in realtà il soggetto è uno solo.La base territoriale non è strettamente necessaria per la partecipazione di un ente alla vita di relazioni internazionali come ente sovrano e indipendente. Ci sono di fatto altre categorie di soggetti internazionali che non sono enti territoriali,come ad esempio le organizzazioni internazionali che stipulano accordi,hanno relazioni diplomatiche con gli Stati e le Nazioni Unite. Ciò non esclude che un’organizzazione internazionale possa assumere il controllo di un territorio,quindi possa esercitare per periodi di tempo più o meno lunghi un’autonomia territoriale.

Ad esempio in Kosovo c’è stata per alcuni anni un’amministrazione internazionale in cui il controllo sotto il profilo militare era rappresentato dalle truppe della NATO,mentre l’amministrazione civile era quella delle Nazioni Unite sotto il controllo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.Le Nazioni Unite hanno anche amministrato in propri territori per un certo periodo. L’organizzazione internazionale può anche esercitare tale tipo di attività,comunque partecipa in posizione di indipendenza dagli Stati alla vita di relazioni internazionali,essendo un interlocutore politico degli Stati;quindi effettivamente fa parte della sfera di convivenza giuridica degli Stati.

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Il fatto che vi sono soggetti (i cui fattori di potenza ne giustificano la qualità di membri della comunità internazionale) che non sono uno Stato,non significa che giuridicamente questi hanno una posizione speciale,quindi non sono qualificati in maniera particolare.

Lo Stato non è giuridicamente organizzato da una norma internazionale,ma si auto-organizza in base alla sua Costituzione in quanto è un ente indipendente e sovrano. Questi due requisiti sono necessari per poter essere membri della comunità internazionale. Lo Stato indipendente e sovrano non è regolato da norme internazionali,poiché se così fosse,non sarebbe sovrano e indipendente. Perciò se il diritto internazionale è ius inter potestatis,ossia un diritto tra enti sovrani,vuol dire che ogni ente si auto organizza. Perciò i fini che l’ente persegue e i limiti della propria autonomia (quindi delle situazioni giuridiche che può avere svolgendo la propria attività giuridica) sono decisi dall’ente stesso con la sua Costituzione in quanto non sono affari del diritto internazionale che non contiene norme che lo regolano.Perciò non vi sono categorie di enti speciali per i quali sono riservate determinate funzioni.Di conseguenza se la Santa Sede ha finalità spirituali,non sono queste attribuite in via speciale dal diritto internazionale,ma sono proprie della Santa Sede in quanto è questa che le vuole avere.Per questo non si può affermare (come fece Cesare Morelli) che la Santa Sede ha una capacità giuridica limitata alla cura degli interessi di cui si occupa e quindi non è destinataria delle norme del diritto internazionale di guerra. La Santa Sede non fa la guerra,non ha un esercito,non minaccia l’indipendenza degli altri Stati solo perché non vuole farlo,poiché qualora lo decidesse potrebbe farlo. Non c’è nessuna differenza né sul piano giuridico,né su quello di fatto.Ad esempio per quanto riguarda il problema di destinazione delle norme del diritto internazionale del mare degli Stati,vi sono Stati come l’Italia che avendo sbocchi sul mare ne sono destinatari e Stati che non avendo coste non ne sono destinatari. Questo non indica che vi siano condizioni speciali riservate ad alcuni Stati.

Il fatto che la Santa Sede abbia conquistato una base territoriale (sebbene piccola) che utilizza in senso funzionale non già per governare comunità umane,occupandosi del loro benessere (questo lo fa nei confronti dei fedeli),non significa che ci sia motivo di costruire artificialmente due soggetti di diritto internazionale diversi,in quanto il soggetto di diritto internazionale è uno solo,ossia la Santa Sede,che ha una base territoriale e in più ha certi fini perché il suo ordinamento interno (che si è dato da sola) indirizza la sua attività verso certi fini.L’ente è regolato dalla propria Costituzione e in più partecipa alla vita delle relazioni internazionali,quindi è soggetto destinatario di tutte le norme giuridiche e situazioni giuridiche delle quali realizza la fattispecie.

Un altro soggetto di diritto internazionale la cui soggettività, a differenza di quella della Santa Sede (per la quale è incontestabile) è dubbia,in quanto la maggior parte della dottrina,sia italiana che straniera,tende a negarla,è l’ORDINE DI MALTA.Il cosiddetto Sovrano e Militare Ordine di Malta (SMOM) è un ente,che come la Santa Sede ha avuto una fase dal 1870 al 1929 in cui è rimasta senza una base territoriale di potere materiale.L’Ordine di Malta era un ordine religioso di cavalieri che combattevano per la fede (parteciparono anche alle crociate) come anche altri ordini religiosi,ad esempio quello dei templari.L’Ordine di Malta ha raggiunto abbastanza presto una situazione di governo su un territorio,perché intorno all’inizio del 1300 conquistò con le armi l’isola di Rodi strappandola ai turchi e cominciò ad esercitarvi la sovranità a partire dal 1310. Questa situazione durò per un paio di secoli,fino a quando nel 1522 i turchi a loro volta li cacciarono da Rodi riconquistandola. Perciò i Cavalieri di Malta intrapresero la conquista di Malta e vi si insediarono stabilmente,ottenendo nel 1530,con il diploma del Sacro Romano Impero di Carlo V il riconoscimento,con l’investitura imperiale,della loro sovranità su Malta. Regnarono su Malta fino al 1798,quando durante le guerre napoleoniche,Napoleone strappò Malta a tale ordine e vi si insediarono i francesi per 3 anni.

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I francesi stessi furono cacciati in maniera bellica dagli inglesi e al termine delle guerre napoleoniche l’appartenenza di Malta fu riconosciuta a questi ultimi. Malta è rimasta inglese fino a quando non è stata riconosciuta come Stato sovrano e indipendente.

Perciò anche l’Ordine di Malta,come la Santa Sede,è stato privato della territorialità,pur avendo per secoli avuto una base territoriale,avendo fatto varie guerre e avendo avuto una loro organizzazione di governo sul territorio.In questa situazione i Cavalieri di Malta erano un’autorità di governo sul territorio,quindi avevano un’autorità statale ed erano riconosciuti come tali soggetto di diritto internazionale relativamente a tutti gli interessi che riguardavano la gestione del loro territorio e avevano relazioni diplomatiche. Erano comunque sempre sotto ad una particolare autorità morale e spirituale della Santa Sede.Con la perdita della loro condizione territoriale,hanno continuato ad accampare la pretesa di continuare ad essere comunque soggetto di diritto internazionale e ad avere quindi relazioni diplomatiche con gli Stati e ad avere diritto alle prerogative dei soggetti di diritto internazionale.Col passare del tempo la dipendenza giuridica dell’Ordine di malta dalla Chiesa Cattolica (stabilita sia dal diritto canonico che dalla Costituzione interna dell’Ordine) si è accentuata,in quanto l’Ordine di malta ha subito nel tempo un indebolimento del riconoscimento da parte degli Stati della sua qualità di soggetto internazionale.Dopo la guerra, Pio XII prese l’iniziativa di istituire nel 1951 una Commissione Cardinalizia che aveva come compito la riorganizzazione giuridica (secondo il diritto canonico) dell’Ordine di Malta e la sua democratizzazione interna. Tale commissione studiò il modo migliore di organizzare la condizione giuridica dell’Ordine dal punto di vista del diritto interno della Chiesa (quindi del diritto canonico).Nel 1953 la Commissione rese una sentenza della Commissione dei Cardinali,i quali,tra gli altri problemi giuridici relativi all’organizzazione giuridica interna dell’Ordine,si erano posti anche il problema di sapere se era o no soggetto internazionale.Tale sentenza è ambigua,in quanto afferma che l’Ordine di Malta ha tradizionalmente alcune prerogative della sovranità degli stati,ma non si può propriamente definire un ente sovrano pienamente soggetto del diritto internazionale.Tuttavia queste prerogative devono essergli riconosciute nella misura in cui servono a consentirgli di perseguire le sue finalità.Per quanto riguarda le finalità,inizialmente l’Ordine di Malta era un governo che faceva la guerra e che governava territori e popolazioni;oggi è un ente che ha come fine la santificazione dei suoi membri e finalità caritatevoli e assistenziali,prevalentemente svolge un tipo di attività ospedaliera (ci sono infatti molti ospedali,anche in Italia,gestiti dall’Ordine di Malta). Perciò le finalità dell’Ordine di Malta non sono lontane da quelle della Chiesa.La sentenza cardinalizia (come la maggior parte della dottrina riconosce) è in sostanza un elemento che tende a svalutare l’indipendenza dell’Ordine. Come lo è in sé l’istituzione da parte del Papa di una Commissione Cardinalizia volta ad organizzare giuridicamente l’Ordine. Perciò l’Ordine,essendo organizzato dall’esterno,non è un ente sovrano e indipendente.

Per quanto riguarda i rapporti con lo Stato italiano,l’Ordine di Malta ha stipulato con questo un certo numero di accordi internazionali (ossia 5).

Il primo (Accordo di base) risale al 1960,è un accordo di carattere generale,uno scambio di note diplomatiche tramite il ministro degli esteri e le ambasciate (ha perciò una minore solennità rispetto a quelli conclusi con la partecipazione dei Capi di Stato).

Questo scambio di note riguardava la regolamentazione dei reciproci rapporti. Includeva dalla parte italiana il riconoscimento di una serie di prerogative all’Ordine di Malta che riguardava in particolare la concessione di una serie di immunità,cioè di trattamenti tipici che gli Stati si riservano reciprocamente. Ad esempio l’immunità equiparata a quelle diplomatiche delle due sedi dell’Ordine dei Malta a Roma,ossia l’immunità di carattere fiscale.

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Si ebbe con questo accordo il riconoscimento all’Ordine di Malta dell’applicabilità di una legge italiana (oggi non più in vigore,in quanto dichiarata incostituzionale) secondo la quale l’esecuzione forzata e i provvedimenti cautelari sui beni degli Stati esteri non potevano avere luogo senza l’autorizzazione preventiva del ministero della giustizia.

Questo accordo non fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale né fu sottoposto per l’approvazione al Parlamento.

L’art.80 della Costituzione indica alcune categorie di trattati internazionali per i quali è necessaria la ratifica del Capo dello Stato previa legge di autorizzazione delle Camere. In questa categoria sono compresi trattati che prevedono modificazioni di leggi,per evitare che attraverso l’attività diplomatica di stipulare accordi internazionali,il Governo usurpi le funzioni del Parlamento. La mancanza di autorizzazione è una violazione della Costituzione da parte del Governo.

Sul piano internazionale sorge il problema giuridico di sapere cosa accade se uno Stato nello stipulare un accordo internazionale violi una regola del suo diritto interno sulla competenza e sulle condizioni necessarie per poterlo stipulare.

Gli accordi successivi riguardano unicamente le attività che l’ordine svolge in Italia,che sono essenzialmente di natura ospedaliera.

Siccome per i primi accordi era sorto il problema dell’assenza dell’autorizzazione alla ratifica del Parlamento e della loro pubblicazione,gli ultimi due fecero fronte a questo inconveniente in quanto furono autorizzati dal Parlamento e pubblicati. Questo anche perché ci fu nel 1984 una legge generale in Italia che assicurava da una parte la trasparenza sul piano della possibilità per il controllo democratico,dell’attività diplomatica del nostro Governo nei rapporti con gli altri Stati esteri e dall’altra parte la possibilità alla persona interessata di sapere quali sono i trattati stipulati dall’Italia e il loro contenuto. Tale legge perciò stabilisce che tutti gli accordi internazionali,anche quelli che non passano per il Parlamento,devono comunque essere pubblicati.

Ogni anno dovrebbe essere pubblicata nella Gazzetta Ufficiale un’appendice che contiene l’indicazione esatta (contenente perciò tutte le informazioni necessarie) degli accordi stipulati dall’Italia.

Se l’Ordine di Malta è un soggetto internazionale,questi sono accordi internazionali regolati dal diritto internazionale;se non lo è,queste sono intese alle quali si può dare una qualificazione di vario tipo.

Ciò che rende dubbia la natura dell’Ordine di Malta,oltre all’atteggiamento del nostro Governo,è anche il riconoscimento internazionale che lo Sato italiano attribuisce all’Ordine quando ci sono relazioni diplomatiche nelle quali viene riconosciuto l’ambasciatore straordinario dell’Ordine come membro del Corpo Diplomatico che ha nel nostro Paese relazioni diplomatiche.

L’atteggiamento della nostra giurisprudenza riguarda un altro aspetto molto importante,ossia tutti gli Stati e gli altri soggetti del diritto internazionale hanno diritto di immunità,soprattutto dalla giurisdizione,ma non solo. Nel caso dell’Ordine di Malta c’è anche il problema dell’immunità fiscale e tributaria. L’immunità,per quanto riguarda l’aspetto giurisdizionale,pone dei problemi in quanto è una regola che riguarda i rapporti degli enti sovrani;siccome l’organizzazione interna di un ente sovrano è indipendente da quella degli altri,gli altri Stati devono astenersi dall’esercitare la propria giurisdizione nell’attività sovrana di uno Stato. Se si riconosce che l’Ordine di Malta è un soggetto di diritto internazionale,ha diritto alle stesse immunità degli altri soggetti del diritto internazionale,quindi ha un’immunità della giurisdizione.

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L’immunità della giurisdizione presenta nei sistemi costituzionali degli Stati il problema di conciliarla con il diritto di tutela giurisdizionale delle persone. Si crea perciò un conflitto tra due principi importanti del nostro diritto costituzionale (artt.10-24 Cost) perché l’immunità sacrifica il diritto di tutela giurisdizionale.

Per quanto riguarda l’Ordine di Malta,la giurisprudenza italiana ha sempre riconosciuto a questo,sia da prima della guerra mondiale che dopo (con varie manifestazioni) l’immunità alla giurisdizione del nostro Stato e le immunità fiscali e tributarie. L’immunità concessa all’Ordine si ha anche in campo ospedaliero,in quanto lo Stato italiano non può ingerirsi nella gestione di questo campo e dei dipendenti (ad esempio per i licenziamenti).

Lo stesso vale anche per i funzionari delle organizzazioni internazionali. In genere le organizzazioni internazionali risolvono questo problema a livello interno,in quanto presentano un organo di giustizia interna,ossia un tribunale interno al quale i funzionari per le loro controversie di lavoro si possono rivolgere. Il rapporto di lavoro del funzionario dell’organizzazione internazionale è regolato dai regolamenti interni dell’organizzazione,quindi vi sono delle norme interne sul piano sostanziale e sul piano processuale c’è un tribunale interno al quale è possibile rivolgersi. Le organizzazioni più grandi hanno addirittura dei loro sindacati.

L’Ordine di Malta ha un tribunale interno al quale è possibile accedere. Questa esistenza del tribunale interno è oggi considerata (anche dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) la maniera migliore di conciliare le due esigenze inconciliabili che sono: il riconoscimento dell’immunità degli Stati e delle organizzazioni internazionali e la tutela del diritto alla tutela giurisdizionale. Perciò si ha una soluzione dall’interno. Quindi vi è il Tribunale Magistrale dell’Ordine al quale possono ricorrere i dipendenti dell’Ordine di Malta.

Vi sono diverse sentenze dei giudici italiani che hanno delibato in Italia (quando il c.p.c. prevedeva la delibazione,oggi la legge di diritto internazionale privato del 1995 rende automaticamente efficaci le sentenze straniere che rispondono alle condizioni del riconoscimento e l’intervento della Corte d’Appello è necessario solo per la condizione forzata) ossia hanno attribuito efficacia come se fossero sentenze statali (provenienti da un ordine statale) alle sentenze del Tribunale Magistrale dell’Ordine. Ciò non è mai avvenuto per nessun altro ente che abbia un suo tribunale interno ma non sia uno Stato.

L’immunità degli Stati ha subito nel corso dei secoli un processo di restrizione,perché gli Stati hanno iniziato ad occuparsi sempre più spesso di cose che non riguardano l’attività sovrana di uno Stato,ma attività di tipo privatistico (investire soldi,comprare azioni,emettere titoli sul mercato). Perciò ci si chiede se sia giusto riconoscere immunità agli Stati nei confronti dei giudici degli altri. Dato che il motivo è quello del rispetto della loro organizzazione sovrana,non vale per qualunque tipo di attività dello Stato,ma solo per quel tipo di attività dello Stato che è in manifestazione della sua sovranità. Perciò è ormai da tempo affermata sul piano internazionale la distinzione tra attività iure imperi dello Stato e attività iure gestionis. Questo vuol dire che se lo Stato agisce come ente munito della sovranità di impero,la sua attività è insindacabile e i giudici degli altri Stati non se ne possono occupare. Se invece lo Stato compie attività di tipo privatistico normale,come un ente dotato normalmente di personale giuridico,non c’è nessuna offesa alla sovranità degli altri Stati ad esercitare la giurisdizione e quindi ad assicurare una ragionevole tutela giurisdizionale alle persone nei confronti dello Stato straniero.

Questo significa che,dato che le attività che compie l’Ordine di Malta per le quali si pone il problema dell’immunità non sono quasi mai attività iure imperi,si può senza alcun impedimento esercitare la giurisdizione.

Un altro campo interessante è quello riguardante l’attività filatelica. L’Ordine di Malta ha un’attività filatelica importantissima che risale agli anni ’60 e un servizio postale. Negli anni ’60 viene stipulata una convenzione con lo Sato italiano. Questo accordo non fu sottoposto all’autorizzazione del

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Parlamento né fu pubblicato. La distribuzione della posta internazionale funziona attraverso un’organizzazione amministrativa internazionale degli Stati che è l’Unione Postale Universale con cui i vari servizi postali sono obbligati a collaborare gli uni con gli altri. Poiché l’Ordine di Malta non è membro dell’Unione Postale Universale,lo Stato italiano gestisce la posta dell’Ordine come se fosse posta italiana. Con il convoglio dell’Ordine di Malta i francobolli vengono stampati direttamente dal servizio poligrafico dello Stato italiano,l’importante è che vengano spediti dalla cassetta postale del’Ordine di Malta (situata in Via Condotti a Roma). Fino al 2005 la valuta di tali francobolli non era in lire,ma in scudi o tarì,ossia nella valuta dell’Ordine. Dal 2005 anche l’Ordine ha adottato come moneta l’euro.

L’Ordine di Malte ha anche rapporti diplomatici (quindi è riconosciuta un’esistenza della vita di relazioni diplomatiche) con altri Paesi del mondo;in Europa con i Paesi molto cattolici (Italia,Portogallo,Spagna e Austria),mentre nel mondo con i Paesi cattolici e con quelli in via di sviluppo (anche se non cattolici) che traggono beneficio dalle attività dell’Ordine di Malta. Il sito dell’Ordine di Malta indica relazioni diplomatiche con 104 Paesi. Tuttavia non si tratta di vere e proprie relazioni con tutti i Paesi,perché per molti di questi la relazione è fittizia,in quanto l’Ordine di Malta non partecipa a nessuna organizzazione internazionale,né alle convenzioni internazionali universali importanti (a differenza della Santa Sede). L’Ordine di Malta stipula essenzialmente degli accordi bilaterali con gli Stati sempre sui soliti argomenti (accordi postali e accordi ospedalieri).

Data la esiguità delle manifestazioni di questa personalità internazionale,è logico dubitare dell’esistenza di una personalità internazionale. A questa conclusione aderisce la maggioranza della dottrina italiana,mentre i Paesi che non hanno relazioni con l’Ordine di Malta non si pongono nemmeno il problema della soggettività internazionale di tale ordine. In Italia questi sviluppi politici,diplomatici,che riguardano il nostro diritto tributario,il sistema postale,ecc … sono principalmente spiegabili con il fatto che il partito di maggioranza relativa al governo di quegli anni è un partito fortemente legato alla Chiesa Cattolica.

In generale si ritiene che ‘Ordine di Malta non ha un’entità tale di partecipazione alla vita di relazioni internazionali di sistema sostanziale da poter essere definito soggetto di diritto internazionale. Per di più è discutibilissimo che sia indipendente,in quanto probabilmente è dipendente dalla Chiesa,dato che questa lo ha organizzato giuridicamente. L’Ordinamento di Malta dipende dalla Chiesa solo sul piano interno (in quanto non vi dipende sul piano esterno). Tuttavia,siccome le attività dell’Ordine non sono comunque attività sovrane,anche se si riconosce a questo la soggettività internazionale,non vuol dire che questo sia immune alla giurisdizione per l’attività iure gestionis che non toccano la sua organizzazione giuridica interna. Per le controversie relative al rapporto di lavoro si ritiene che l’Ordine di Malta possa essere indotto a pagare un’indennità nel caso di licenziamento,ma non lo si può obbligare alla riassunzione.

QUESTIONE DELLA CONDIZIONE GIURIDICA INTERNAZIONALE DELL’INDIVIDUO:

L’INDIVIDUO non è un ente sovrano;tuttavia nella storia ci sono stati individui con poteri sovrani (ad esempio Napoleone,quando fuggito dall’esilio di S.Elena tornò in Francia). Vi è un’enorme quantità di norme di diritto internazionale (a partire soprattutto dalla fine della seconda guerra mondiale) che a vario titolo e in vario modo prendono in considerazione attività,comportamenti o interessi umani individuali;ad esempio le norme sulla tutela internazionale dei diritti dell’uomo,le norme sui crimini internazionali (oggi esistenti ed operanti nei tribunali penali internazionali).

L’individuo nel diritto internazionale occupa una posizione che nel diritto internazionale classico è diversa rispetto a quella del diritto contemporaneo.

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Nel diritto classico l’individuo poteva (e può ancora,in quanto tale concezione non è stata superata) venire in considerazione sotto due aspetti,ossia ci sono due categorie di individui:

1. Gli INDIVIDUI CHE RIVESTONO LA QUALITA’ DI ORGANO DI UNO STATO,ossia quelli che permettono allo Stato di agire. La loro condizione di organo dello Stato conferisce loro il diritto di immunità.Esistono due tipi di immunità:

- IMMUNITA’ PERSONALE;- IMMUNITA’ SOSTANZIALE: immunità in realtà dello Stato.

E’ inesatto parlare di immunità per gli individui che rivestono la qualità di organo dello Stato,in quanto a godere dell’immunità è in realtà lo Stato stesso. Nel caso in cui l’individuo rappresentante l’organo dello Stato compia attività in qualità non ufficiali,ma private,per il solo fatto di essere o un organo supremo o un agente diplomatico dello Stato,ha diritto ad un certo trattamento.Comunque entrambe le immunità riguardano l’individuo,perché nel caso in cui l’individuo agisce in rappresentanza dello Stato,gode di un’Immunità Funzionale;nel caso in cui compia attività non ufficiali ma personali,gode di un’Immunità Personale.Questa immunità della persona può essere fatta valere in giudizio (tuttavia questo caso non riguarda il diritto internazionale ma quello civile,interno allo Stato).La norma internazionale agisce nel diritto interno mediante il FENOMENO DI ADATTAMENTO DEL DIRITTO INTERNO AL DIRITTO INTERNAZIONALE,ossia le norme internazionali creano rapporti di diritto-obbligo tra gli Stati mediante il diritto internazionale consuetudinario oppure i trattati internazionali o da altre fonti di norme internazionali.Siccome gli Stati devono rispettare il diritto internazionale anche in qualità di gestori dei loro ordinamenti interni,quando si scende sul piano dell’ordinamento interno,siamo sul piano di un altro diverso ordinamento. Questo è un ordinamento interindividuale che crea situazioni interindividuali e non si è più sul campo del diritto-obbligo tra Stati del diritto internazionale. Qualunque norma internazionale,nella misura in cui per poterla attuare c’è bisogno di svolgere attività nel campo del diritto interno degli Stati,deve essere attuata nel diritto interno.Sotto questo aspetto bisogna distinguere due situazioni:

- IMMUNITA’ DIPLOMATICA (anche quella che riguarda le attività private del diplomatico);- IMMUNITA’ DELLO STATO (che agisce attraverso il suo organo).

L’Immunità Diplomatica è un diritto che gli Stati (quello che invia l’agente diplomatico e quello accreditatario) hanno sul piano del diritto internazionale,mentre l’agente diplomatico ne beneficia su quello interno.L’ADATTAMENTO AL DIRITTO INTERNAZIONALE consiste nella produzione di norme giuridiche interne (che riguardano quindi la vita giuridica interna dei rapporti interindividuali regolati dal diritto interno) volte a consentire allo Stato di rispettare gli obblighi internazionali che nella sfera interstatale lo Stato ha con gli altri Stati.Il diritto all’immunità sul piano del diritto internazionale è dello Stato e non dell’individuo.Nel caso di rinuncia dell’immunità,non è l’individuo a rinunciare,ma è lo Stato.

2. INDIVIDUO IN QUANTO PERSONA FISICA . In questo caso l’individuo è considerato come suddito e cittadino di uno Stato,il quale ha un diritto soggettivo nei confronti dell’altro Stato a che quest’ultimo lo tratti in una certa maniera (norme sul trattamento degli stranieri).Quindi l’individuo viene considerato nell’ottica della delimitazione tra le diverse sfere di sovranità statuale. Perciò l’individuo cittadino di uno Stato che si trova in un altro Stato è sottoposto a due sfere di poteri (da una parte lo Stato nazionale,che ha su di lui sovranità nazionale,dall’altra lo Stato ospite,che esercita su di lui una sovranità territoriale).L’uomo è perciò oggetto di situazioni giuridiche interstatali,si tratta di stabilire l’esercizio delle sovranità statuali possibili sull’individuo,in maniera da evitare conflitti tra le sovranità statuali.

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Lo Stato territoriale che maltratta gli stranieri,commette un illecito internazionale nei confronti dell’altro Stato (di cui lo straniero è cittadino).

Ci fu un caso,subito dopo la guerra, in cui l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite chiese un parere alla Corte Internazionale di Giustizia. Questo fu il caso Bernardot; Bernardot era un conte svedese il quale era un mediatore per conto delle Nazioni Unite nei conflitti tra arabi e israeliani. Trovandosi ad esercitare le sue funzioni di mediazione venne aggredito e assassinato dai terroristi israeliani. Lo Stato di Israele,che si era appena formato in quel periodo,fu disponibile a risarcire il danno. Poiché si trattava di uno svedese che agiva come organo delle Nazioni Unite,l’Assemblea delle Nazioni Unite che si chiedeva a chi spettasse il risarcimento,chiese un parere alla Corte Internazionale di Giustizia.

29 01 2010

POSIZIONE GIURIDICA INTERNAZIONALE DELL’INDIVIDUO:

Nel diritto internazionale classico la posizione giuridica internazionale dell’individuo è vista nell’ottica della delimitazione delle sfere rispettive di sovranità degli Stati sulle persone (sovranità personale e sovranità territoriale) e delle regole che riguardano il loro coordinamento. A partire dalla fine della seconda guerra mondiale,il diritto internazionale si è riempito di molte norme che prendono in considerazione l’essere umano in maniera più diretta e non mediata sotto la logica della delimitazione delle sfere di sovranità degli Stati sugli altri Stati. Ci sono dei gruppi significativi di norme (alcune delle quali rappresentano il risultato di svolgimenti recenti del diritto internazionale) che hanno reso più complessa e articolata la posizione dell’individuo rispetto al diritto internazionale.

Il PRIMO GRUPPO di queste norme è costituito dalle norme che riguardano la TUTELA INTERNAZIONALE DEI DIRITTI DELL’UOMO. Inizialmente tali diritti non erano tutelati. Dopo la rivoluzione francese e con lo Stato di diritto a poco a poco hanno iniziato ad esistere,ossia ad ottenere un riconoscimento mediante il costituzionalismo moderno degli ordinamenti nazionali. A partire dalla seconda guerra mondiale,a causa delle sciagure provocate e del mancato rispetto da parte del potere pubblico degli Stati della persona umana,ci fu una spinta di passaggio nella storia della tutela della protezione giuridica dei diritti dell’uomo alla fase della sua internazionalizzazione. Di tale internazionalizzazione si parla già nella Conferenza di San Francisco,durante la quale si organizzò la Carta delle Nazioni Unite,la quale muove i primi passi verso la tutela dei diritti dell’uomo. Questa non prevede una vera e propria tutela,in quanto non obbliga gli Stati Membri a rispettare i diritti dell’uomo in via generale. Questo perché la tutela internazionale dei diritti dell’uomo rappresenta un colpo all’idea del diritto internazionale della sovranità degli Stati come diritto che regola esclusivamente la coesistenza fra sfere sovrane. Lo stesso era accaduto alla fine della prima guerra mondiale con l’affermazione del principio di autodeterminazione dei Popoli. La Carta delle Nazioni Unite prevede nell’art.1 (riguardante i fini delle Nazioni Unite) che tra i fini delle Nazioni Unite c’è anche quella di conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico,sociale,culturale e umanitario e nel promuovere e incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti,senza distinzioni di razza,sesso,lingua o religione. Poiché si parla di “promuovere e incoraggiare” il rispetto,si è molto lontani dall’imposizione agli Stati di un obbligo di carattere generale in questa materia. Nel capitolo nono della Carta,che riguarda la “Cooperazione internazionale economica e sociale”, c’è un accenno più specifico previsto dall’art.55 il

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quale prevede che al fine di creare le condizioni di stabilità e benessere,che sono necessarie per avere rapporti pacifici notevoli tra le Nazioni,basati sul rispetto e l’eguaglianza dei diritti dell’autodecisione di Popoli,le Nazioni Unite promuoveranno il rispetto e l’osservanza universale dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzione di razza, sesso,lingua o religione. L’art.56 aggiunge che i membri si impegnano (in questo caso vi è un obbligo giuridico,anche se molto modesto) ad agire collettivamente,singolarmente o in cooperazione con l’organizzazione per raggiungere i fini indicati dall’art.55. L’impegno degli Stati Membri che prevede la Carta delle Nazioni Unite è quello di agire collettivamente o singolarmente o in cooperazione con l’organizzazione per assistere l’organizzazione nella sua attività che tende al rispetto e all’osservanza universale dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Tuttavia gli Stati non volevano assumersi impegni troppo onerosi in questa materia,in quanto molti Stati (sia allora che ancora oggi) non hanno regimi particolarmente democratici e rispettosi dei diritti civili e politici e delle libertà fondamentali degli esseri umani senza distinzioni. Il 10 Dicembre 1948 venne adottata con una risoluzione (atto non vincolante) dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite,nota come Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo,una base di assunzione di obblighi di portata molto più ampia degli Stati a livello regionale e non universale. Nel 1950 con la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo gli Stati si sono assunti degli obblighi di portata molto più precisa nell’impegno di riconoscere a tutte le persone (indipendentemente dalla loro nazionalità) un catalogo dei diritti fondamentali,alcuni dei quali vanno oltre il contenuto della nostra Costituzione (come ad esempio il diritto alla tutela giurisdizionale contenuto nell’art.6 di tale Convenzione è più preciso di quello previsto dall’art.24 della Costituzione italiana,mentre il diritto al rispetto della vita privata verso ingerenze dello Stato contenuto nell’art.8 della Convenzione è assente dalla nostra Costituzione). La Convenzione Europea ha anche aggiunto un meccanismo di controllo procedurale (il quale negli anni è stato ulteriormente ampliato) che prevede la possibilità dell’individuo di rivolgersi ad un organo internazionale per ottenere giustizia contro il proprio Stato nazionale che non rispetta i suoi diritti. Anche a livello universale le Nazioni Unite hanno adottato dei Patti in questa materia nel 1966;il primo riguarda i diritti civili e politici,il secondo quelli economici,sociali e culturali (anche questi ultimi muniti di un meccanismo internazionale di controllo,anche se non della stessa portata di quelli previsti dalla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo). Questo modello dei Paesi d’Europa è stato seguito da altri. Ad esempio i Paesi americani si sono riuniti nell’Organizzazione degli Stati Americani (OAS:Organization of American States),nel 1989 hanno fatto la Convenzione di San Josè di Costarica che ha istituito degli organi di controllo (una Commissione Interamericana dei Diritti dell’Uomo e una Corte Interamericana dei Diritti dell’Uomo) sostanzialmente basata sulla falsariga del sistema di controllo che era stato organizzato in Europa con la Convenzione di Roma del 1950. Nel continente africano c’è invece una Carta Interafricana del Diritti dell’Uomo. Dato che nel diritto internazionale tradizionale l’individuo si vedeva riconosciuta questa posizione puramente indiretta,essendo considerato in qualità di cittadino di uno Stato (che aveva il diritto di pretendere dagli altri Stati delle regole sul trattamento dei propri cittadini),sorgeva il problema nei confronti dell’apolide,il quale mancando il legame di cittadinanza con uno Stato,non avendo uno Stato nazionale che possa proteggerlo dalle malefatte o attentati ai suoi diritti minimi che può subire dagli altri Stati,si è deciso di stipulare delle convenzioni internazionali per la sua protezione. La prima Convenzione riguardava un’altra categoria simile a quella dell’apolide,che è quella del rifugiato politico,ossia colui che non è apolide ma siccome è perseguitato dal suo Stato (tanto da essere costretto a fuggire e a chiedere riparo in un altro Stato) non si può avvalere della posizione del suo Stato nazionale a causa dei rapporti che ha con questo.

Perciò sotto le leggi delle Nazioni Unite sono state fatte queste due Convenzioni di carattere universale,ossia la Convenzione di Ginevra nel 1951 sulla protezione dei rifugiati e quella del 1954 sulla condizione giuridica e sulla protezione degli apolidi. Ci sono poi anche altri tipi di convenzioni,come quelle che tutelano la persona umana dagli attentati più gravi,ad esempio la Convenzione contro il genocidio del 1948 con cui gli Stati si obbligano a cooperare per reprimere il crimine di genocidio,la Convenzione contro la tortura (compiuta da persone che hanno la qualità di rappresentante del potere pubblico) del 1984,quella contro la discriminazione razziale del 1965,quella riguardante la protezione delle categorie più deboli,la Convenzione contro la discriminazione della

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donna nel 1979,quella sui diritti del minore del 1989 (non di carattere puramente teorico in quanto è applicata a volte dai tribunali per risolvere problemi che riguardano l’affidamento dei minori,l’adozione,l’esercizio della potestà su questi,ecc…). Si ha perciò un movimento internazionale per la protezione della persona umana in base a norme internazionali indipendentemente dalla qualità della persona come cittadino dello Stato,in quanto non importa di quale Stato sia cittadino né se non sia cittadino di alcuno Stato (come nel caso dell’apolide). Questo movimento è stato definito Processo di umanizzazione del diritto internazionale,perché il diritto internazionale inizia a prendere in considerazione la posizione dell’essere umano in quanto tale anziché come cittadino.

Il SECONDO GRUPPO è costituito da norme che riguardano i CRIMINI INTERNAZIONALI. Riguarda perciò il diritto penale internazionale,parte del diritto internazionale che ha conosciuto uno sviluppo rapidissimo negli ultimi anni. L’origine del diritto penale internazionale è molto antica e risale alle norme consuetudinarie che si sono formate già fin dagli albori della società internazionale moderna,in materia ad esempio della repressione della pirateria. I pirati erano considerati (come già nel diritto romano) hostes humanis generis (nemici del genere umano) perché senza discriminazione,in alto mare si davano ad atti di violenza contro chiunque. Di conseguenza si formò fin da epoche molto antiche una norma consuetudinaria internazionale secondo la quale qualunque Stato ha il diritto di catturarli e punirli secondo le sue leggi. Questo è un caso in cui il diritto internazionale consuetudinario contiene un divieto sanzionato,di tipo penale nei confronti dell’individuo. Quindi il diritto internazionale viene direttamente a contatto con l’individuo. Queste regole sulla pirateria sono codificate nella grande Convenzione delle Nazioni Unite di codificazione del diritto internazionale del mare che è la Convenzione di Montego Bay del 1982. Tale regola sul diritto del mare che riconosce l’esistenza del delictum iuris gentium rappresentato dalla pirateria è contenuta nell’art.105. L’art.101 dà una definizione di pirateria: ”Si intende per pirateria uno qualsiasi degli atti seguenti: ogni atto illecito di violenza o di sequestro e ogni atto di rapina commesso a fini privati dall’equipaggio o dai passeggeri di una nave o di un aeromobile privati rivolti in alto mare contro altre navi o altri aeromobili, contro persone o beni da essi trasportati,oppure contro una nave o un aeromobile contro persone o beni che si trovino fuori dalla giurisdizione di qualunque Stato”. Tale definizione è molto ampia. L’art.105 prevede che in alto mare o in qualunque altro luogo fuori dalla giurisdizione di qualunque Stato,ogni Stato può sequestrare una nave o aeromobile pirata o una nave o aeromobile catturati con atti di pirateria e tenuto sotto il controllo dei pirati,può arrestare le persone a bordo e rifuggirne i beni. Gli organi giurisdizionali dello Stato che ha disposto il sequestro hanno il potere di decidere la pena da infliggere nonché le misure da adottare nei confronti delle navi e aeromobili o beni nel rispetto dei diritti dei terzi in buona fede (quindi anche se si tratta di navi che portano la bandiera di uno Stato straniero e anche in alto mare). La materia in tema di pirateria riguarda il primo nucleo del diritto internazionale penale. Lo sviluppo del diritto internazionale penale è comunque molto ampio.

E’ necessaria la distinzione tra diritto penale internazionale e diritto internazionale penale.

Per DIRITTO PENALE INTERNAZIONALE si intende la parte che riguarda i rapporti internazionali di diritto penale interno di uno Stato (ad esempio i limiti dell’applicazione della legge penale italiana o la cooperazione giudiziaria con le autorità giudiziarie straniere in materia penale).

Il DIRITTO INTERNAZIONALE PENALE è diritto internazionale e non statale e costituisce una parte del diritto internazionale.

Il diritto internazionale penale si è sviluppato a partire dalla seconda guerra mondiale in quanto anche questo è stato una reazione alle sciagure provocate dalla guerra. Perciò anche in questo campo ci si adoperò a livello internazionale per rendere più umana la vita giuridica di relazione,non soltanto internazionale ma anche quella degli individui nelle comunità interne nella misura in cui si potessero trovare alla mercé di governi non solo tirannici o dispotici,ma addirittura sanguinari o dediti alla

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pratica dello sterminio per motivi razziali. L’origine si ha col Processo di Norimberga e col Processo di Tokio.

Il Processo di Norimberga venne organizzato sulla base di un accordo internazionale tra le quattro maggiori potenze vincitrici della guerra (Stati Uniti,Francia,Inghilterra e Russia,che divisero la Germania in settori e ciascuna ne occupò militarmente una parte),ossia l’Accordo di Londra dell’8 Agosto 1945,col quale stabilirono di sottoporre la Germania nazista ad un processo,anziché passare direttamente alle armi. Tale processo aveva il fine di stabilire quali fossero i reati commessi e le norme penali incriminatrici.

L’Accordo di Londra conteneva le categorie principali di atti illeciti divisi in tre categorie:

Crimini di guerra; Crimini contro la pace; Crimini contro l’umanità.

Questo è il nucleo dal quale si è poi sviluppato il diritto internazionale penale moderno,che ha dato luogo ad alcuni fenomeni più recenti,tra cui la costituzione dei tribunali per la Ex Jugoslavia,il Ruanda,ecc…

I CRIMINI DI GUERRA erano una categoria già nota,perché già le convenzioni di diritto umanitario di guerra stabilivano che la violazione delle leggi e consuetudini di guerra e delle norme contenute nel corpus delle convenzioni internazionali del diritto umanitario,davano agli Stati,anche durante la guerra agli Stati che partecipavano,il diritto di processare e condannare secondo le loro leggi i militari nemici catturati che avevano commesso dei crimini di guerra,ossia delle violazioni delle norme di guerra di una certa gravità.

Per quanto riguarda i CRIMINI CONTRO LA PACE,ciò che era innovativo all’interno dell’Accordo di Londra era la considerazione della guerra di repressione come un crimine internazionale.

I CRIMINI CONTRO L’UMANITA’ sono una categoria nuova che viene istituita in quanto la punizione dei crimini di guerra (già prevista dalle convenzioni internazionale) non era sufficiente (dal momento che i nazisti si erano macchiati di crimini nei confronti delle stesse popolazioni civili).

C’erano perciò problemi nel risolvere dei principi di civiltà giuridica del diritto penale,ad esempio il Principio nullum crimen sine legem o al Principio della non retroattività della legge penale,perché i criminali di guerra durante il Processo di Norimberga si difesero (tramite i loro avvocati) da queste accuse affermando di non aver violato alcuna norma penale e di aver osservato le leggi tedesche (anche se ingiuste) alle quali erano soggetti,la cui inosservanza era pretesa con l’assistenza di altre sanzioni penali nei confronti dei quali sarebbero state applicate. Questi erano perciò assoggettati al Principio dell’ordine del superiore (previsto anche nel nostro c.p. tra le cause di giustificazione). Tale processo aveva perciò dei punti di debolezza nella costruzione giuridica,perciò si ritenne la necessità di affermare definitivamente l’esistenza di regole di civiltà,di principi di umanità che hanno valore così generale e assoluto che non vi è alcun principio di diritto penale che possa giustificare tali crimini.

A partire da queste tre categorie essenziali di crimini, si è sviluppato tutto il diritto internazionale penale moderno,che ha subito un’accelerazione improvvisa,quando in occasione della guerra civile in Jugoslavia si è deciso di creare quel tribunale penale internazionale,creato con una risoluzione del Consiglio di Sicurezza e non con un trattato (perché per fare un trattato sarebbe occorso molto più tempo). E’ tuttavia difficile accettare che la creazione di un tribunale penale internazionale,che abbia come funzione quella di punire i crimini contro l’umanità,rientri tra le competenze del Consiglio di Sicurezza. Con una Convenzione Internazionale fatta a Roma nel 1998 si è creata una Corte Penale Internazionale di carattere generale non avente per obiettivo la punizione dei crimini commessi in un singolo luogo. Il nucleo delle norme sul diritto internazionale penale prende in considerazione

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comportamenti umani in maniera ancor più diretta rispetto al diritto internazionale tradizionale nel quale tra l’individuo e il diritto internazionale c’è il diaframma della sovranità statale.

Il TERZO GRUPPO di norme è collegato al FENOMENO DELL’ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE,un fenomeno antico risalente alla seconda metà dell’800 che ha avuto nel tempo uno sviluppo enorme. Oggi esistono più organizzazioni internazionali che Stati;gli Stati sono intorno a 200,mentre le organizzazioni internazionali intergovernative,che hanno come membri gli Stati e che sono state create con trattato internazionale sono minimo 5-600.

L’Organizzazione Internazionale è costituita da persone,funzionari,impiegati,dipendenti … ed ha con queste un rapporto di lavoro poiché attribuisce a questi delle funzioni,dei compiti,delle competenze. Tutto questo non è opera delle norme di diritto interno statale ma del diritto interno dell’organizzazione internazionale,quindi gli individui che lavorano nell’organizzazione internazionale hanno un’attività che è regolata non solo per quello che riguarda il rapporto di lavoro,ma anche per quello che riguarda l’esercizio delle funzioni e competenze,da norme dell’organizzazione. Le organizzazioni godono della immunità dalla giurisdizione degli Stati e spesso hanno dei propri tribunali interni ai quali il dipendente il quale ritiene che la norma dell’organizzazione che governa la sua attività sia stata violata (ad esempio sia stato licenziato ingiustamente) può rivolgersi. Le organizzazioni hanno perciò dei loro Tribunali Amministrativi Interni. Ad esempio nelle Nazioni Unite c’è il Tribunale Amministrativo Interno delle Nazioni Unite (TANU),l’Organizzazione Interna del Lavoro (che ha sede a Ginevra) ha il Tribunale Amministrativo dell’OIL. Questi tribunali vengono prestati talvolta anche alle altre organizzazioni internazionali che fanno parte della famiglia delle Nazioni Unite (cosiddetti “Istituti Specializzati”) che difettano di un proprio tribunale amministrativo,per cui possono rivolgersi a quello delle Nazioni Unite o a quello dell’OIL. Molte altre organizzazioni hanno i propri tribunali. Poiché gli individui si possono rivolgere direttamente ai vari tribunali,si ha un contatto diretto con l’individuo.

Le organizzazioni internazionali nell’esercizio delle loro funzioni e attività possono anche svolgere a molti altri titoli attività che coinvolgono direttamente l’individuo che si colloca al di fuori degli ordinamenti statali. In certi casi,un’organizzazione internazionale può anche assumere un tipo di funzioni e di attività che sono propri degli Stati,ossia possono governare popolazioni stanziate su un territorio ed assumere in proprio (anche se per periodi di tempo limitati o in occasioni di crisi o per ragioni particolari) la gestione e l’amministrazione del territorio. Quindi nel territorio non c’è più un ordinamento statale che è un ordinamento di uno Stato,in quanto è direttamente amministrato dall’organizzazione internazionale. Le Nazioni Unite lo hanno recentemente fatto a Timor e in Kosovo. C’è stata un’amministrazione che era per la parte militare garantita dalla Nato e per la parte dell’amministrazione civile (che non c’era date le condizioni in cui il Kosovo si trovava) era garantita dalle Nazioni Unite.

Questa ipotesi non è molto nuova,perché del resto anche le norme della Carta delle Nazioni Unite,per quanto riguarda la parte sull’amministrazione fiduciaria,prevedevano che oltre che dagli Stati,questa potesse essere assunta direttamente anche dalla stessa Organizzazione delle Nazioni Unite. Anche questo fenomeno risale alla fine dell’800,ad esempio con il Trattato di Parigi del 1856 (che concluse la guerra di Crimea) venne istituita la Commissione Europea del Danubio . Il Danubio ha spesso dato luogo a conflitti internazionali per quanto riguarda la sua navigazione. Si decise perciò di creare un’organizzazione internazionale,la Commissione Europea del Danubio,che aveva il potere di amministrare,gestire,controllare ed emanare regolamenti e normative come organizzazione internazionale,per la quale la dottrina tedesca alla fine dell’800 aveva coniato il termine di Stato Fluviale perché era un ente che governava un fiume che passava per diversi Paesi. Le Comunità Europee col passare del tempo acquistano sempre più maggiori competenze e potere e una struttura sempre più forte e sono a contatto in maniera sempre più diretta con l’individuo. Tutti questi sviluppi

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del diritto internazionale creano il problema di qualificare meglio giuridicamente la posizione in cui la persona umana si trova di fronte al diritto internazionale.

04 02 2010

POSIZIONE GIURIDICA DELL’INDIVIDUO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE:

Nel diritto internazionale classico l’individuo appare come oggetto di situazioni giuridiche interstatali perché appare come suddito o come cittadino di uno stato,quindi i rapporti tra gli stati relativi all’individuo si collocano nella logica della delimitazione delle sfere di sovranità statale,territoriale,personale,ecc.. Questo mette in maniera chiara in evidenza che l’individuo è semplicemente oggetto di un rapporto di diritto-obbligo tra stati.

Il diritto internazionale contemporaneo invece mostra forme varie di considerazione più diretta della persona umana. I settori principali sono:

La tutela internazionale dei diritti dell’uomo; Il diritto internazionale penale (norme internazionali che prevedono crimini internazionali

dell’individuo); Il contatto nel quale l’individuo entra con l’organizzazione internazionale.

CONTENUTO DELLA DISCIPLINA INTERNAZIONALE DI QUESTE DIVERSE SITUAZIONI (IN CUI L’INDIVIDUO SI TROVA RISPETTO AL DIRITTO INTERNAZIONALE):

1.NORME DI DIRITTO INTERNAZIONALE CLASSICO SUI TRATTAMENTI DEGLI STRANIERI:

Tali norme riguardano quell’istituto del diritto internazionale della protezione diplomatica,cioè lo Stato nei suoi rapporti diplomatici con gli altri Stati ha il diritto di proteggere i propri cittadini all’estero qualora lo Stato locale violi le regole internazionali sul trattamento degli stranieri. Questo è un capitolo centrale del diritto della responsabilità internazionale,perché la violazione di queste norme,come avviene per la violazione di qualsiasi altra norma internazionale dà loro responsabilità internazionale. Tali norme comportano per lo Stato un obbligo di protezione per i cittadini stranieri che riguarda la persona e i beni dello straniero,quindi tutti i diritti dello straniero e comporta dei doveri di prevenzione e di repressione,risarcimento,indennizzo e riparazione qualora siano stati recati danni alla persona e ai beni dello straniero.

Per DOVERE DI PREVENZIONE si intende che lo stato deve avere una normale attività di polizia e delle funzioni di mantenimento dell’ordine pubblico alla base sociale tali da garantire il rispetto delle persone. Se i diritti dello straniero vengono violati,lo Stato territoriale deve,nel proprio ordinamento interno,punire le violazioni,ossia i reati di persone private e dei funzionari dello Stato e garantire allo straniero l’accesso alla giustizia. Qualora l’accesso alla giustizia fosse negato si ha il diniego di giustizia, che è una delle forme tipiche della responsabilità dello Stato per la violazione dei diritti dello straniero. Il contenuto delle norme sui diritti che lo Stato deve assicurare allo straniero si deve trattare di un contenuto minimo,di un nucleo che in sostanza riguarda la normalità della tutela giuridica della persona e dei beni degli esseri umani. Oggi si parla di International minimum standard (standard minimo richiesto dal diritto internazionale). Non c’è un obbligo internazionale di equiparare pienamente gli stranieri ai cittadini,cioè di riconoscere loro tutti i diritti e le prerogative. La nostra stessa Costituzione e il nostro stesso ordinamento riservano certi diritti agli stranieri e certi ai

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cittadini. L’obbligo internazionale riguarda i diritti dell’uomo,i diritti inviolabili della persona umana,perché gli esseri umani sono tutti uguali sotto il profilo dei diritti fondamentali della persona.

Per tutto quello che eccede la dimensione dei diritti fondamentali della persona,ossia i diritti politici che sono riservati ai cittadini in quanto presuppongono il vincolo di cittadinanza ed anche alcuni diritti civili,non vi è obbligo di equiparazione piena. In Italia si ha il fenomeno del diritto dell’UE che stabilisce un trattamento privilegiato per i cittadini dell’UE in quanto il Trattato dell’UE contiene il principio fondamentale che vieta nell’ambito di applicazione del diritto comunitario le discriminazioni fondate sulla cittadinanza,quindi tutti i diritti che lo stato italiano riconosce ai suoi cittadini,che riguardano materie incluse nell’ambito di applicazione del Trattato (i trattati promulgati riguardano comunque tutte le materie) devono essere in egual misura assicurati anche agli stranieri cittadini membri dell’UE. Per i cittadini dei Paesi Terzi invece non c’è bisogno di riconoscere la pienezza dei diritti attribuiti ai cittadini,quindi la discriminazione è ammessa,salvo il limite dei dritti fondamentali e del trattamento civile della persona umana. Oggi perciò si ritiene che il contenuto dell’International minimum standard che il diritto impone agli Stati per tutti i cittadini stranieri è largamente coincidente con la sfera dei diritti dell’uomo,anche perché i diritti dell’uomo si sono ampliati e non riguardano più solo il nucleo dei diritti civili e politici,ma anche di quelli economici,sociali e culturali che hanno ormai una certa ampiezza.

Una regola internazionale fondamentale che riguarda il trattamento dello straniero è la Regola del previo esaurimento dei ricorsi interni,principio secondo cui la responsabilità internazionale sorge soltanto dopo che sia stato esaurito da parte dell’individuo l’esperimento di tutti i mezzi di ricorso interni che il diritto interno dello Stato concede. Siccome l’obbligo che il diritto internazionale di trattamento degli stranieri impone agli Stati è un obbligo di risultato, qualora ci sia stato un maltrattamento degli stranieri,una violazione dei loro diritti e sono ancora possibili nell’ordinamento mezzi di ricorso fino all’ultimo grado (Cassazione se si parla di un ricorso giudiziario),finché questi ricorsi non vengono esperiti,l’illecito non è stato ancora consumato,perché lo stato ha ancora la possibilità con i normali mezzi del suo diritto interno di riparare. Soltanto quando ormai lo Stato abbia preso una posizione definitiva sorge l’illecito,quindi la responsabilità internazionale.

La dottrina ha discusso a lungo se questa Regola del previo esaurimento sia una condizione sul piano sostanziale per il sorgere della responsabilità oppure condizione procedurale per poter agire per le vie diplomatiche (quindi per far valere la responsabilità). Su tale questione vi sono opinioni diverse. Davì propende per la prima soluzione;tuttavia la questione non è centrale,perché come la si voglia risolvere il risultato non cambia. In ogni caso finché vi sono i mezzi di ricorso disponibili,non sorge la responsabilità poiché l’illecito non è ancora consumato. I problemi più frequenti riguardano gli interessi patrimoniali degli stranieri. Su questa materia per molti anni vi è stato un forte contrasto tra Paesi industrializzati dell’occidente e Paesi in via di sviluppo in quanto moralmente lo sviluppo del commercio internazionale (oggi più che mai in epoca di globalizzazione) fa sì che persone fisiche e giuridiche,società commerciali,imprese di tutti i Paesi investano ampiamente nei territori degli altri Stati entrando in contatto con l’ambiente giuridico del legislatore locale (ossia del potere di governo dello Stato locale) il quale ha una serie di strumenti giuridici di gestione della propria economia ch e a volte eliminano e comprimono i diritti dei privati (ad esempio l’espropriazione,la nazionalizzazione di beni che potrebbero appartenere agli stranieri,gli inasprimenti fiscali,dei mutamenti sfavorevoli del regime giuridico).

Questa materia ha creato contrapposizioni durate per decenni ed oggi attenuate in quanto i Paesi sviluppati,basati su una politica liberale sono tendenzialmente recettori di investimenti,mentre l’opposto è per i Paesi in via di sviluppo. I Paesi sviluppati hanno sempre insistito sul Principio di Intangibilità dei diritti dei propri cittadini e delle proprie imprese,quindi sulla sicurezza degli investimenti,mentre i Paesi in via di sviluppo,usciti dalla decolonizzazione e in cerca di conquista di un nuovo benessere,avevano interesse a rivendicare la loro sovranità,quindi l libertà di gestire la loro economia secondo i loro criteri senza incontrare troppi vincoli nel rispetto dei beni degli stranieri. La

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materia alla quale questo atteggiamento si è maggiormente riferito sono i casi limite dell’espropriazione e della nazionalizzazione,in quanto molte espropriazioni e nazionalizzazioni sono state fatte senza indennizzo (perciò con violazione dei beni dello straniero,che equivale a requisirli,a confiscarli). Di conseguenza l’obbligo dell’indennizzo era affermato dal diritto internazionale classico e i Paesi sviluppati non volevano assolutamente rinunciarvi (dal momento che era sicuramente una regola esistente nel diritto internazionale). Il principio dell’indennizzo era perciò sicuramente incontestabile. Nonostante questo molti Paesi lo hanno contestato.

Tale contestazione ha inizio con l’Unione Sovietica,con la Rivoluzione di Ottobre subito dopo la prima guerra mondiale. Poiché l’Unione Sovietica era un regime collettivista,non riconosceva la proprietà privata nell’ordinamento interno e non la tutelava nemmeno per i cittadini,di conseguenza non riteneva di tutelarla nemmeno per gli stranieri. Dalla reazione contraria dei Paesi dell’occidente nacquero delle controversie. Anche il Messico essendo un regime collettivista espropriò negli anni ’30 territori americani senza prevedere alcun indennizzo;questo causò la rivolta degli americani. L’ondata di nazionalizzazione ed espropriazione riguarda gli anni successivi alla seconda guerra mondiale con il fenomeno della decolonizzazione. I Paesi usciti dalla decolonizzazione avevano molte rivendicazioni. Molti di questi avevano un regime marxista che non riconosceva o riconosceva in misura minima la proprietà privata,sostenendo e rivendicando il fatto di essere stati oggetto di sfruttamento coloniale. Di conseguenza avevano diritto ad essere compensati di questo sfruttamento,essendo la politica delle potenze coloniali volta a strumentalizzare al massimo l’economia delle colonie in funzione degli interessi della madrepatria. Ad esempio,sin dalle prime colonizzazioni,la regole delle colonie spagnole era che i territori coloniali potevano commerciare ed importare prodotti soltanto con e dalla madrepatria. Vi era perciò il divieto di commerciare con Paesi Terzi e di essere aperti ad un mercato internazionale. Questo modello che frenava enormemente lo sviluppo delle colonie venne utilizzato per secoli.

Ci sono altri settori in cui lo Stato dispone di strumenti di controllo di vario genere;è il caso della nazionalizzazione e dell’espropriazione. Per Nazionalizzazione si intende che con provvedimenti astratti e generali si nazionalizza un intero settore,non una singola impresa;è perciò un provvedimento generale. L’Espropriazione riguarda invece un singolo bene.

La nazionalizzazione è legittima in Italia;molte volte sono state fatte leggi con cui sono stati nazionalizzati dei settori ed altre con cui sono stati nuovamente dismessi e privatizzati.

Altro settore è dato dalla Leva Fiscale,ossia si possono creare degli inasprimenti fiscali considerevoli che non c’erano nel momento in cui l’investimento è stato fatto,oppure norme valutarie (ad esempio il divieto di conversione di una valuta internazionalmente accettata o altre restrizioni volontarie che danneggiano l’investitore economico straniero che decide di riportare in patria i risultati della sua attività in una valuta spendibile sul piano internazionale). Molte volte i Paesi in via di sviluppo hanno fatto delle leggi con le quali obbligavano le imprese straniere che lavoravano nel loro territorio e realizzavano investimenti a rinvestirli nel loro stato locale non potendoseli riportare indietro,in quanto i Paesi in via di sviluppo,per far decollare la loro economia,non potevano permettere che i profitti realizzati con lo sfruttamento della loro economia venissero portati fuori. Ci sono stati inoltre casi di ripudio dei debiti pubblici nei contratti di uno Stato,ad esempio nel caso in cui un nuovo governo che fa un colpo di stato rivoluzionario e non riconosce gli obblighi assunti con contratto o i debiti assunti dal governo precedente in quanto erano di questo e non di quello nuovo. Per questa serie di motivi c’è stata per molto tempo tra Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo una sostanziale inconciliabilità di posizioni;i Paesi sviluppati difendevano le regole del diritto internazionale classico,ossia l’obbligo di rispettare gli interessi patrimoniali dello straniero e la possibilità di espropriare o nazionalizzare settori della propria economia pagando un indennizzo che secondo questi era la Formula di Cordell Hull,da Cordell Hull segretario di Stato americano (ministro degli esteri) che negli anni ’30 quando ci fu la controversia col Messico per l’espropriazione

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messicana,trattò tale questione sul piano diplomatico con l’autorità messicana e affermò che la regola del diritto internazionale è che l’indennizzo deve essere pronto , adeguato ed effettivo . Questa formula deve comprendere sia il danno emergente che il lucro cessante. Questa era la pretesa dei Paesi occidentali. Questa regola consuetudinaria esisteva,in quanto già nell’800 (quando ancora non vi era il divieto dell’uso della forza) era stata molte volte imposta. I Paesi in via di sviluppo hanno contestato queste regole di diritto internazionale consuetudinarie ed anche altre,dicendo che queste si erano formate quando ancora tali Paesi non esistevano,perciò riflettono esclusivamente gli interessi dei Paesi occidentali. I Paesi in via di sviluppo hanno tentato di far progredire il diritto internazionale a favore dei propri interessi,basato su idee abbastanza opposte a quelle del diritto internazionale classico,affermando tra i principi del diritto internazionale classico di un diritto dello sviluppo.

Dal momento che la maggioranza dell’umanità vive in condizioni di sottosviluppo ed ha vissuto per secoli in condizione di sfruttamento,è necessario creare nuove regole,nuovi principi,nuove istituzioni del diritto internazionale ispirate al principio che nelle risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite è stato chiamato il Principio della ineguaglianza compensatrice,ossia non vi è nel diritto internazionale una situazione di eguaglianza tra tutti gli Stati in materia di rapporti economici;poiché alcuni sono stati sfruttati,colonizzati,sottomessi con la forza e sfruttati economicamente per secoli,ora devono essere compensati. Anche il movimento dei diritti umani ha questa idea,in quanto anche i diritti degli esseri umani sono compressi e limitati da questa situazione di diseguaglianza. Con le risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite è stata propugnata l’idea di un nuovo ordine economico internazionale. La risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite “sul Nuovo Ordini Economico Internazionale” (NOEI) prevede una serie di nuovi principi volti a compensare questa diseguaglianza. I Paesi sviluppati hanno accettato alcune di queste rivendicazioni. Oggi il diritto internazionale dello sviluppo costituisce un capitolo del diritto internazionale. Le Nazioni Unite e le altre organizzazioni internazionali si occupano di favorire lo sviluppo dei Paesi delle parti del mondo meno avvantaggiate. Anche nel commercio internazionale sono previste delle regole particolari,in quanto sono previsti dei principi di trattamento preferenziale che ad esempio nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) consentono delle deroghe a favore dei Paesi in via di sviluppo con il Principio della Nazione più favorita,cioè della non discriminazione in materia commerciale per favorire gli scambi e le economie di questi Paesi.

Le norme internazionali favorevoli ai Paesi in via di sviluppo sono tuttavia poche rispetto a quanto sia necessario. Il diritto internazionale dello sviluppo,nonostante l’azione delle Nazioni Unite (e non solo) duri da più di mezzo secolo,non ha conseguito dei grandi risultati,di fatto negli ultimi 20-30 anni i dati statistici affermano che il gap (divario) tra i Paesi ricchi e quelli più poveri ha subito anziché una restrizione,un allargamento. Anche nelle società interne del mondo occidentale si ha lo stesso fenomeno,in quanto tende ad aumentare il divario tra la parte più ricca e quella più povera della popolazione. Questo vuol dire che molti principi dello Stato sociale nelle società interne,come pure le regole del diritto internazionale dello sviluppo non funzionano tanto bene quanto sarebbe desiderabile. Probabilmente il diritto riflette oltre che gli ideali anche i rapporti di forza,che si riflettono in misura considerevole sia nella formazione che nell’applicazione delle norme giuridiche. Quindi i detentori del potere continuano a migliorare la loro posizione con più facilità (questo è almeno ciò che sta accadendo negli ultimi decenni).

C’è stata una fase in cui le norme del diritto internazionale sul trattamento degli stranieri hanno iniziato ad essere molto incerte,perché la norma consuetudinaria è una norma esistente e il giurista può rilevarne l’esistenza fino a quando questa sia sufficientemente diffusa nella comunità,ossia sufficientemente applicata. Perciò fondamentalmente la norma deve essere accettata e rispettata. Nel momento in cui una norma consuetudinaria sia contestata da alcuni Paesi perde di effettività. Quindi si è venuta a creare una situazione di incertezza,in cui i Paesi in via di sviluppo non erano in grado di porre nuove regole,e i Paesi sviluppati non erano più sicuri che effettivamente le norme vecchie fossero ancora sufficientemente accettate dopo averle considerate vigenti. In sostanza,il diritto consuetudinario pone dei ricambi giuridici complessi,perché è ovvio che se non vi è sufficiente

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uniformità di vedute tra i membri della comunità,la vecchia norma ormai contestata tende ad essere non più effettiva,e non essendo più possibile conseguirla,si crea un vuoto giuridico. Il vuoto giuridico in un sistema come quello internazionale,si può colmare con l’accordo.

Allora gli Stati hanno iniziato a stipulare degli accordi in questa materia. Per quello che riguarda gli investimenti stranieri,a partire dagli anni ’60 (già negli anni ’70 si è intensificata molto) è nato un movimento di stipulazione di accordi bilaterali degli Stati per la promozione e la protezione degli investimenti dei propri cittadini,delle proprie imprese all’estero,definiti Bilateral Investiment Treates (BIT). Nonostante i due gruppi di Stati (sviluppati e in via di sviluppo) perseguivano interessi diversi,erano tuttavia favorevoli alla stipulazione di tali accordi. Infatti i Paesi sviluppati hanno bisogno di sbocchi di mercato sul mercato internazionale per la loro economia,per i loro capitali … i Paesi in via di sviluppo hanno bisogno di ricevere investimenti,dato che i capitali di cui dispongono sono insufficienti a far funzionare la loro economia. Perciò l’interesse ad avere un flusso regolare di investimenti che funzionano è reciproco,altrimenti vi sarebbe un collasso dell’economia di entrambi i blocchi (Paesi sviluppati e in via di sviluppo).

Se i Paesi in via di sviluppo non garantiscono la tutela degli investimenti,l’investitore straniero investe il proprio capitale altrove. Se i Paesi sviluppati e le loro aziende non hanno possibilità di investire in altri Paesi,non sono in grado di lavorare a loro volta. Quindi la soluzione a questi problemi,qualora le norme consuetudinarie non sono più sicure e sono oggetto di contestazione,si ha mediante questa serie di accordi.

Ogni Paese sviluppato aveva il suo modello di clausole,perciò per ogni Paese si crea un accordo standard. Oltre a questo,il diritto internazionale dell’economia è andato avanti con una serie di tecniche,metodi per assicurare la protezione degli investimenti;per esempio molti Paesi sviluppati hanno fatto ricorso al sistema dell’assicurazione delle proprie imprese all’estero,ossia un Ente di Stato assicura le imprese del proprio Paese che vogliono investire in certi Paesi dei rischi giuridici,economici e politici. In Italia esiste la SACE (Servizio Assicurativo del Commercio Estero), originariamente sezione autonoma dell’INA (Istituto Nazionale delle Assicurazioni), divenuto da qualche anno una s.p.a. pubblica,quindi scorporata dall’INA. Il meccanismo dell’assicurazione consiste in un investitore che vuole investire in un altro Paese e si rivolge all’Ente di Stato che lo assicura dai rischi commerciali inerenti all’attività imprenditoriale e dai rischi politici. L’impresa paga una piccola assicurazione (spesso a prezzi inferiori a quelli di mercato,poiché tenta di promuovere l’attività del’impresa all’estero) e lo Stato si fa cedere,tramite il diritto di surroga,gli eventuali diritti che l’impresa che lavora sul mercato estero può avere nei confronti dello Stato straniero. Il diritto do surroga è normalmente previsto nei contratti di assicurazione. Lo Stato a sua volta stipula un accordo BIT con quel Paese,che accetta il diritto di surroga.

Questo tipo di accordo è definito nel linguaggio internazionale Umbrella Agreement (Accordo Ombrello) perché c’è l’accordo bilaterale tra lo Stato di appartenenza e quello straniero,quindi l’investimento diventa sicuro perché la SACE (nel caso italiano) assicura l’impresa che investe all’estero. Nel caso in cui vi siano problemi,l’impresa viene tenuta indenne dal proprio Stato,mentre il rapporto tra i vari Stati (di appartenenza e straniero) è regolato dall’eventuale accordo bilaterale stipulato. Questo sistema comporta una canonizzazione di certi investimenti,perché ci sono dei Paesi sicuri (garantiti dalla SACE) e dei Paesi sprovvisti di tale garanzia,perciò pericolosi. Gli Stati in via di sviluppo hanno interesse a stipulare accordi di questo tipo per evitare di rimanere fuori dal circuito internazionale degli investimenti internazionali.

In Germania l’equivalente della SACE è la compagnia ERMES,in America (è stata la prima ad adottarla) è l’OPIC (Oversize Private Investiment Corporation).

Dal punto di vista dei Paesi in via di sviluppo,il fatto di stipulare accordi di questo genere presenta un inconveniente,in quanto una controversia che si svolge sul piano del loro ordinamento giuridico interno con il privato,tendenzialmente davanti ai loro tribunali,salvo il ricorso a clausole arbitrarie

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internazionali,viene ad essere politicizzata,portata al livello del diritto internazionale;quindi eventuali controversie vedono i governi l’uno rispetto all’altro sul piano del diritto internazionale. Siccome i Paesi sviluppati sono molto protettivi a livello economico e politico,esercitano pressioni di tutti i tipi su quelli in via di sviluppo. Per questo si è pensato di internazionalizzare e istituzionalizzare questo meccanismo,evitando il rapporto bilaterale tra lo Stato più forte e quello più debole e si è creato un sistema di assicurazione su base internazionale con un’agenzia internazionale chiamata MIGA (Mountylederal Investiment Garantee Agency : Agenzia Internazionale per la Garanzia degli Investimenti), creata nel 1985 con la Convenzione di Seoul,entrata in vigore nel 1988. La MIGA è un’organizzazione internazionale in cui sono rappresentati in maniera paritaria negli organi dell’organizzazione Paesi sviluppati e in via di sviluppo che fa a livello di organizzazione internazionale multilaterale la garanzia assicurativa degli investimenti. L’impresa che vuole investire in uno Stato membro della MIGA,che ha accettato perciò lo statuto di questa organizzazione,presenta un piano di investimenti che deve essere accettato sia dall’organizzazione sia dal Paese recettore dell’investimento. Perciò tale Stato viene assicurato dalla MIGA dai rischi coperti dall’assicurazione e nel caso in cui vi siano problemi,è la MIGA che si occupa di risolverli con lo Stato recettore del’investimento. Il vantaggio che si trae è la depoliticizzazione della controversia,poiché la MIGA è un’organizzazione internazionale che agisce con criteri di obiettività e imparzialità,non essendo uno Stato che agisce solo nel proprio interesse ed è controllata dagli organi dell’organizzazione,dalla quale tutti gli Stati sono rappresentati.

Le imprese hanno fatto ricorso anche a tecniche complesse di denazionalizzazione, delocalizzazione dei contratti. Il problema del contratto tra uno Stato e un’impresa straniera (definiti State Contracts : Contratti di Stato), poiché l’impresa molte volte non svolge un’attività puramente privata,ma ad esempio riceve appalti pubblici,concessioni dello sfruttamento delle risorse naturali del Paese,dell’estrazione di petrolio,delle miniere … comporta dei rischi per l’impresa,poiché pone lo Stato in una posizione forte,in quanto è simultaneamente sia contraente in un contratto privatistico sia gestore e sovrano (del suo ordinamento). Lo Stato perciò può,modificando il suo ordinamento interno,modificare i rapporti con le imprese;perciò l’impresa non ha garanzie.

La soluzione a questo problema è il ricorso all’arbitrato internazionale (una clausola arbitrale). L’arbitro internazionale presuppone il ricorso a tecniche di vario tipo,definite tecniche di delocalizzazione o denazionalizzazione dei contratti. Con le clausole di arbitrato i giuristi hanno cercato di indicare delle regole per le quali l’arbitro internazionale non deve applicare il diritto dello Stato che ospita l’investimento,ma altre regole. Anzitutto si applica il contratto;è nota la Teoria del contratto senza legge,cioè se il contratto contiene delle clausole tanto precise da prevedere tutto ciò che c’è da prevedere,l’arbitro applica il contratto dal momento che non vi è bisogno di cercare altre norme giuridiche che lo regolano. Oppure si è iniziato a scrivere:”Il presente contratto è regolato dal diritto internazionale” … oppure:”Dai principi di diritto internazionale” … oppure:”Dai principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili” …

A queste clausole arbitrali e clausole di denazionalizzazione,sono state a volte inserite delle clausole di stabilizzazione,in cui lo Stato si obbliga per contratto a non introdurre modifiche nella propria legislazione o provvedimenti amministrativi che possono interferire con il contenuto di diritti-obblighi così come le parti nel contratto le hanno indicate. Un contratto deve necessariamente essere regolato da un ordinamento interno,anche se vi è una clausola arbitrale (come avviene nell’arbitrato commerciale tra privati) ,in quanto l’arbitro,non essendo organo di nessuno Stato,non è soggetto ad un particolare ordinamento giuridico,perciò il potere delle parti di sottoporre una controversia all’arbitro deriva dall’ordinamento giuridico che glielo riconosce. Dopo che il lodo arbitrale è stato reso,se una delle parti (sia essa un privato o uno Stato) non vuole eseguirlo,occorre che l’ordinamento giuridico di quello Stato riconosca l’esistenza del lodo arbitrale e sia disposto a considerarlo valido ed efficace e dargli effetto. Clausole di contratto che rinviano al diritto internazionale,possono rinviare al diritto internazionale con un sistema di contenuti normativi,non come un ordinamento giuridico nell’ambito del quale si situa il contratto. Per quanto riguarda l’esecuzione del lodo arbitrale contro uno

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Stato,sorge il Problema dell’immunità degli Stati dalla giurisdizione degli altri Stati;questa immunità (per quanto riguarda il processo esecutivo) riguarda secondo la regola del diritto internazionale consuetudinario da tutti accettato,solo i beni dello Stato destinati all’esercizio delle funzioni pubbliche. Nel caso in cui lo Stato possegga dei beni a titolo privato non destinati all’esercizio delle funzioni pubbliche,in questo caso l’esecuzione forzata è possibile,anche se in alcuni casi in questi contratti è stata inserita una clausola di rinuncia da parte dello Stato ad eccepire l’immunità,dal momento che l’immunità non è un diritto irrinunciabile dello Stato.

Il diritto internazionale pubblico è intervenuto anche in questo campo,in quanto gli Stati attraverso una grande convenzione internazionale,hanno creato un centro di arbitrato regolato da una Convenzione Internazionale per gli Investimenti (Convenzione di Washington del 1965 che ha creato l’ICSID (International Center for the Settlement of the Investiment Disputes),ossia un centro di arbitrato (ratificato dalla maggior parte degli Stati del mondo) al quale gli Stati possono rivolgersi se c’è una clausola ICSID in un contratto. La caratteristica dell’ICSID è che gli Stati parti,in presenza di una clausola arbitrale di questo tipo,rinunciano (almeno in maniera provvisoria) a far valere la protezione diplomatica. La caratteristica particolare della sentenza ICSID è che è automaticamente efficace in tutti gli stati contraenti come se fosse una sentenza allestita dallo stesso giudice. Nel caso in cui gli investimenti siano fatti non da una persona fisica cittadina dello Stato,ma da una persona giuridica (perché può accadere che la società abbia nazionalità diversa da quella degli azionisti), è necessario risolvere il problema nel rapporto tra la tutela della società (protezione diplomatica di uno Stato e della sua società) e la tutela delle persone fisiche. In questo caso si ha il problema di sapere se,nel caso in cui siano stati violati i diritti di una società commerciale appartenente ad uno Stato costituito da azionisti di un altro Paese (i quali realmente hanno subito il danno),lo Stato può agire in società di protezione diplomatica o no. La regola internazionale è contraria.

Negli Accordi Bilaterali (BITS) gli Stati possono negoziare ciò che vogliono. Una delle differenze principali tra i BITS e le regole del diritto internazionale consuetudinario è che quest’ultimo si basa sulla cittadinanza,mentre i BITS si basano sulla residenza.

Il problema della persona giuridica è stato risolto a livello di diritto internazionale consuetudinario (salvo restando che nell’accordo bilaterale si possono inserire cose diverse) in senso negativo;cioè è lo Stato nazionale della società e non degli azionisti che può far valere il danno e chiedere la riparazione del danno. Questa regola è stata chiarita dalla Corte Internazionale di Giustizia con la sentenza Barcelona Traction del 1970. Barcelona Traction era una società canadese con sede a Toronto i cui azionisti erano quasi tutti belgi. Questa società aveva il monopolio della produzione elettrica a Barcellona. Tale società dopo una serie di vicende giudiziarie avverse fu dichiarata fallita. L’opinione dl Belgio era che tutte queste procedure giudiziarie contro questa società erano state adottate dal governo spagnolo che voleva nazionalizzare senza pagare l’indennità,la produzione dell’energia elettrica a Barcellona,perciò aveva creato abusivamente il fallimento della società. Il Belgio si rivolse contro la Spagna alla Corte Internazionale di Giustizia (dal momento che il Canada non ne aveva interesse,in quanto la maggior parte del capitale era di provenienza belga) la quale negò al Belgio la legittimità della richiesta di tutela della società,in quanto spettante al Canada.

Un caso simile riguarda l’Italia,in quanto la società ELSI (Elettronica Sicula) con sede a Palermo,della quale il capitale era sostanzialmente americano, a seguito delle nazionalizzazioni,subì delle violazioni dei diritti,perciò gli Stati Uniti si rivolsero alla Corte di Giustizia contro l’Italia. In questo caso la Corte diede ragione agli Stati Uniti in quanto non si trattava di diritto internazionale consuetudinario,ma di un vecchio accordo bilaterale tra Italia e USA,stretto subito dopo la seconda guerra mondiale,di amicizia,commercio e navigazione. In conclusione,i paesi in via di sviluppo hanno riconosciuto il Principio dell’indennità (ossia l’indennità è dovuta).

Per molto tempo c’è stato il contrasto tra la Formula di Cordell Hull (l’indennizzo è sempre dovuto agli stranieri) e i Paesi in via di sviluppo,che non negano l’indennizzo ma la concessione di questi è di competenza dei tribunali locali (perciò l’impresa che lamenti l’indennizzo deve rivolgersi ai tribunali

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locali,i quali comunque riconoscono sempre un indennizzo di portata minore,facendo valere la Teoria dei profitti eccessivi e la necessità di compensarli). Il principio di indennità oggi è ammesso da tutti,perciò questa deve essere equa,cioè si deve tener conto delle circostanze.

Lo Stato può in alcuni casi pagare a rate o in natura;in quest’ultimo caso si hanno accomodamenti che si fanno spesso con accordi bilaterali nei casi di controversia tra gli stati,definiti Lumpsum Agreement (Accordi di Compensazione Globale) in cui ci si accorda on forfè e non con la Formula di Cordell Hull.

TUTELA INTERNAZIONALE DEI DIRITTI UMANI:

Il processo della tutela internazionale dei diritti umani ha inizio dopo la seconda guerra mondiale come reazione agli orrori dati da questa. Il movimento internazionale per la tutela dei diritti del’uomo rappresenta un capovolgimento della maniera del diritto internazionale classico di vedere il rapporto dello Stato con i propri cittadini.

Per il diritto internazionale classico,il rapporto dello stato con i propri cittadini era affare interno dello stato in cui gli altri Stati o le organizzazioni internazionali non avevano il diritto di ingerirsi;perciò tale materia era definita Dominio Riservato Dello Stato (Domestic Jurisdiction).

La nozione “Dominio Riservato”;che si trova nella Carta delle Nazioni Unite,si trovava già nel Patto della Società delle Nazioni (art.15 paragrafo 18) ed era un limite alla possibilità delle organizzazioni internazionali di ingerirsi negli affari dello Stato. Perciò,per “Dominio Riservato Dello Stato” si intende che questo non ha obblighi internazionali per quello che riguarda il suo ordinamento interno e i suoi affari interni e che né gli altri Stati né le organizzazioni internazionali hanno il diritto di interferire. La Carta delle Nazioni Unite (art.2 paragrafo 7) prevede la stessa regola contenuta nel Patto della Società delle Nazioni,tuttavia con conseguenze meno sfavorevoli alla possibilità delle organizzazioni internazionali di intervenire.

La tutela dei diritti del’uomo nasce oltre che dal punto di vista umanitario,anche da quello ideologico,perché subito dopo la seconda guerra mondiale si creò una divisione tra occidente ed oriente,ossia tra i Paesi che si ritenevano i depositari della tradizione di uno Stato liberale e democratico e i Paesi socialisti che avevano una tradizione diversa. Quindi tale tutela fu utilizzata sul piano politico come orma ideologica dei Paesi occidentali su quelli orientali,i quali a loro volta riconoscevano diritti economici e sociali (mentre i primi riconoscevano quelli politici e civili).

Le Nazioni Unite stipularono perciò nel 1966 due Convenzioni di Base in materia dei diritti dell’uomo di valore universale che sono il Patto dei Diritti Civili e Politici e il Patto dei Diritti Economici Sociali e Culturali. Entrambi nell’art.1 affermano il Principio di Autodeterminazione dei Popoli. Questa materia è considerata di interesse internazionale (international concern),in quanto il rispetto dei diritti dell’uomo è indispensabile per il mantenimento della pace.

Per quanto riguarda i diritti dell’uomo nel corso della storia:

Lo Stato Assoluto negava i diritti del’uomo che erano confinati nelle opere dei giuristi e dei filosofi,i quali ne parlavano ma non trovavano riconoscimento nel diritto positivo degli Stati.Durante la fase dello Stato di Diritto,basato sulla soggezione del potere pubblico al diritto,il quale tutela la persona umana,tale tutela è circoscritta al diritto interno.

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Nella terza fase dell’Internazionalizzazione dei diritti dell’uomo si passa dalla tutela internazionale dei diritti dell’uomo ad una tutela più ampia,in quanto si ha una internazionalizzazione della tutela giuridica dell’uomo.

In quest’ultima fase si distinguono i diritti politico e civili da quelli economici e sociali.

Effettuata la distinzione tra diritti politici e civili e diritti economici e sociali,oggi si parla anche di Diritti dell’Uomo della Terza Generazione.

La prima è quella dei DIRITTI CIVILI E POLITICI;

La seconda è quella dei DIRITTI ECONOMICI E CULTURALI;

La categoria dei Diritti dell’Uomo della Terza Generazione riguarda:

- DIRITTO ALLA PACE ;- DIRITTO DELL’AMBIENTE ;- DIRITTO ALLO SVILUPPO ; …

Questi diritti riguardano l’uomo come collettività e non come singolo individuo,per questo sono difficilmente individuabili.

La prima e la seconda categoria hanno invece una differenza strutturale,perché i primi,in quanto diritti alla libertà,prevedono un comportamento astensivo dello Stato (che non li deve violare),perciò un obbligo negativo; i secondi invece richiedono un’azione positiva,in quanto lo Stato deve assicurare il rispetto di questi,che può essere garantito solo in maniera graduale e progressiva.

Questa differenza strutturale è perciò relativa per due ragioni:

1. Perché per assicurare il pieno godimento dei diritti civili e politici si presuppone l’esistenza di condizioni ambientali adeguate;

2. Per assicurare il godimento dei diritti civili e politici lo Stato non può assumere un comportamento meramente astensivo,ma deve adoperarsi per garantirli.

05 02 2010

PROBLEMI DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DEO DIRITTI DELL’UOMO:

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Questa materia è caratterizzata da una sovrabbondanza di norme,convenzioni internazionali,attività e interventi di organizzazioni internazionali su scala universale (Nazioni Unite) e in alcuni istituti specializzati delle Nazioni Unite come : OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) per quanto riguarda i diritti dei lavoratori,UNESCO per altre materie,organizzazioni regionali; sistemi di protezione regionale,Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (elaborata nell’ambito del Consiglio d’Europa,che è un’organizzazione internazionale europea che ha i suoi organi di controllo,distinta dalle comunità europee),sistemi regionali di protezione in altri continenti (America,Africa, … ),attività degli organi delle Nazioni Unite sia principali che sussidiarie.

Secondo alcuni commentatori questa sovrabbondanza è sospetta;dal momento che la protezione dei diritti dell’uomo è data quasi per scontata,ci si chiede per quale motivo sia così ribadita.

Dal punto di vista tecnico,l’enorme quantità di convenzioni internazionali o di altri dati vincolanti emanati da organizzazioni internazionali diverse la cui attività non sempre è perfettamente coordinata,crea il fenomeno della potenzialità del conflitto tra convenzioni internazionali (quindi tra obblighi internazionali degli Stati) o il conflitto tra competenze di organi di controllo predisposti dalle varie convenzioni. Questo problema in materia dei diritti dell’uomo è stato da tempo studiato. Vi è di fatti anche una normativa specifica;ad esempio se una persona ritiene che i suoi diritti fondamentali garantiti dalle convenzioni internazionali siano stati violati,esauriti i mezzi di ricorso interni (condizione generale di tutela dei diritti individuali su scala internazionale valida sia per la protezione diplomatica dei cittadini all’estero,sia per la tutela dei diritti dell’uomo) è possibile ricorrere alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ed è anche possibile rivolgersi (anche se si tratta di una procedura di controllo più blanda,perciò con effetti giuridici di minore portata) al Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Uomo. Tra queste due istanze c’è un sistema di coordinamento.

L’art.35 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo prevede che un ricorso presentato dall’individuo ad un’istanza internazionale diversa dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo diviene automaticamente preclusivo della possibilità di rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. L’Italia ha ratificato un protocollo facoltativo che prevede il diritto di ricorso individuale al Comitato; tale protocollo prevede all’art.5 che il Comitato non prende in considerazione alcuna comunicazione proveniente dall’individuo senza aver accertato che la stessa questione non sia già in corso di esame in base ad un’altra procedura internazionale di inchiesta del regolamento pacifico.

Le due discipline sono perciò diverse,perché il Comitato deve astenersi dal giudicare se la questione è attualmente in corso di esame presso l’altra istanza;se invece non è più in corso d’esame presso l’altra istanza (che l’ha già esaminata),può essere presa in considerazione dal Comitato. Ciò è definito Forma d’indispendenza sospensiva,ossia l’esame è sospeso. Invece nel caso della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è Preclusiva,in quanto chi si rivolge prima al Comitato delle Nazioni Unite perde la possibilità di rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo;se si rivolge prima alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo il Comitato delle Nazioni Unite non può in pendenza del procedimento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo esaminare la comunicazione individuale,ma deve attendere la conclusione del procedimento.

Dal punto di vista politico,la sovrabbondanza di produzione normativa e di istituzione di organi di controllo ha aspetti positivi in quanto rivoluzionari del diritto internazionale costituendo un avanzamento della civiltà giuridica umana nel suo complesso. Tuttavia vi è anche retorica dei diritti dell’uomo,perché gli Stati,che ratificano volentieri le convenzioni internazionali in questa materia per migliorare il più possibile la loro immagine,hanno comunque una tendenza a sottrarsi alle procedure internazionali di controllo e relativamente poco interesse ad ingerirsi nei rapporti tra gli altri Stati e i propri cittadini (questo perché gli Stati tendono a mantenere buoni rapporti tra loro ed evitano di ingerirsi per evitare a loro volta l’intervento di altri stati nei propri interessi). Per questo motivo i mezzi di ricorso individuale sono fondamentali per garantire efficacia a questi sistemi,dal momento

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che l’individuo interessato è la vittima e di conseguenza lo Stato non è direttamente interessato. I Paesi promuovono la messa in opera di meccanismi di controllo quando ne hanno interesse politico. I rimedi trovati a questi elementi di debolezza negativi per la protezione internazionale dei diritti dell’uomo consistono essenzialmente nella Regionalizzazione (perché i meccanismi universali sono più deboli) e nell’Opzionalizzazione delle Procedure di Controllo.

Regionalizzazione significa che è sostituito il sistema regionale all’azione universale,che si svolge in ambito di Nazioni Unite e che è debole perché la maggioranza degli Stati (alcuni dei quali non hanno una particolare dimestichezza nel loro ordinamento interno col rispetto dei diritti dell’uomo) ratificano una convenzione fino a che questa non comporta l’assoggettamento a mezzi di non propria efficacia o di tipo giurisdizionale,essendo restii ad accettare questi mezzi. Nei settori regionali quindi si ha a che fare con gruppi di Stati che hanno maggior omogeneità politica,si può ottenere di più.

Opzionalizzazione si ha quando tutti gli Stati accettano di ratificare la convenzione e di assumersi degli obblighi sul problema sostanziale,però l’accettazione degli Stati di sottoporsi ai meccanismi di controllo internazionali è opzionale. L’opzionalizzazione della partecipazione degli Stati porta due vantaggi nella politica generale:

1. Ottenere il massimo possibile dagli Stati disponibili a sottoporsi a tali meccanismi;2. Esercizio della pressione politica sugli Stati che non hanno accettato tale sottoposizione.

Anche al Convenzione Europea dell’Uomo era basata sul sistema opzionale. Per quanto riguarda i Patti delle Nazioni Unite,il Patto sui diritti economici sociali e culturali non prevede un meccanismo di controllo di questo tipo,perché l’obbligo assunto dagli Stati è quello di promuovere la realizzazione graduale e progressiva dei diritti economici,sociali e culturali. Perciò basandosi su meccanismi diversi,gli Stati sono solo tenuti ad assoggettarsi ad un sistema di rapporti periodici al Comitato dei Diritti Economici Sociali e Culturali (fondato successivamente nel 1985).

Nel 2008 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha predisposto una convenzione (un protocollo da aggiungere a questo patto non ancora entrato in vigore perché licenziato solo nel 2008) che consente anche un diritto di comunicazione individuale al Comitato dei Diritti Economici Sociali e Culturali,il quale però può solo fare dei rapporti tra i vari Paesi,constatando qual è lo Stato di attuazione di questo diritto nei vari Paesi.

Per i diritti civili e politici (cioè il nucleo duro dei diritti dell’uomo,ossia diritti fondamentali inerenti alla dignità umana che lo stato può violare) il Patto delle Nazioni Unite prevede l’istituzione del Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’uomo e prevede due tipi di ricorso: Statale e Individuale.

- Ricorso Statale : Ricorso di uno Stato nei confronti di un altro Stato che non rispetti i diritti dell’uomo stabiliti dal Patto delle Nazioni Unite (1966). Tale ricorso è possibile in quanto tali patti,essendo convenzioni internazionali,creano un rapporto di diritto-obbligo tra Stati,quindi tutti gli Stati hanno nei confronti degli altri Stati il diritto di pretendere il rispetto di questi diritti perché tutti gli Stati si sono tra di loro obbligati sul piano internazionale a rispettarli.

Il Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Uomo è composto da 18 esperti indipendenti eletti dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che si rinnova ogni 4 anni. Gli organi delle organizzazioni internazionali sono essenzialmente di due tipi: Organi internazionali composti da Stati e Organi internazionali composti da individui. Entrambi sono essenzialmente composti da individui;tuttavi8a si hanno differenze in quanto:

1. Organi Internazionali Composti da Stati : Gli Stati mandano i loro rappresentanti,ma essendo rappresentanti governativi,esprimono la loro posizione ufficiale dei loro governi e non la loro posizione personale;

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2. Organi Internazionali Composti da Individui : Gli individui vengono eletti dagli organi delle organizzazioni internazionali ma siedono nell’organo quali esperti indipendenti rispondendo della loro coscienza senza prendere istruzioni dagli Stati. Per questo dovrebbero essere obiettivi e normalmente vengono scelti per la loro competenza.

Nel caso dell’UE,un organo composto da individui che agiscono indipendentemente dalle istruzioni politiche del governo,è la Commissione. Il Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Uomo,istituito nel 1966 con il Patto sui Diritti Civili e Politici,può ricevere comunicazioni dagli Stati e dagli individui.

Per quanto riguarda gli Stati,lo stesso Patto prevede le procedure nell’art.41. Il meccanismo utilizzato è quello dell’opzionalizzazione,perché quando gli Stati ratificano la convenzione,devono esprimere facoltativamente un’ulteriore accettazione a sottoporsi al controllo del Comitato.

Art 41: Ogni Stato parte del presente patto può dichiarare in qualsiasi momento (non necessariamente nel momento in cui ratifica,ma anche successivamente) in base al presente articolo,che riconosce la competenza del Comitato a ricevere ed esaminare comunicazioni nelle quali un altro Stato parte pretenda che lo Stato non adempia agli obblighi derivanti dal presente Patto. Le comunicazioni di cui il presente articolo possono essere ricevute ed esaminate soltanto se provenienti da uno Stato parte che abbia a sua volta dichiarato anche lui (perciò vi è meccanismo di reciprocità) di riconoscere la competenza del Comitato per quanto lo concerni.

In realtà questo meccanismo è debole,in quanto su scala mondiale non si può ottenere l’accettazione della competenza di un giudice internazionale che condanna gli Stati per non aver rispettato anche un solo diritto di un singolo individuo. Inoltre il Comitato agisce a porte chiuse per non recare danni di immagine gravi ai Paesi che non abbiano rispettato i diritti dei singoli.

Il procedimento consiste nello Stato che si rivolge al Comitato mediante una procedura scritta in cui indica le contestazioni e gli elementi di prova disponibili; l’altro Stato ha un termine di tempo per rispondere e far valere le sue difese ed obiezioni. Dopo ciò,se le parti davanti al Comitato che segue la vicenda raggiungono un accordo,il Comitato ne dà atto. Tale procedimento è trattato in maniera precisa nelle lettere h e seguenti dell’art.41.

- Ricorso Individuale : Ricorso di individui o di gruppi di individui che si ritengono lesi in uno dei diritti.

In questo caso vi è un protocollo facoltativo (quindi anche questo è opzionale) perché gli Stati possono ratificare la convenzione senza ratificare il protocollo o senza rendere la dichiarazione che accettano di sottoporsi alla procedura dell’art.41.Il ricorso individuale previsto da tale protocollo si svolge più o meno sulla falsariga di quello statale,in quanto anche questo si svolge a porte chiuse,l’individuo fa valere le proprie ragioni,il Comitato ne tiene conto,lo stato risponde. Può anche esservi una fase orale riservata e confidenziale davanti al Comitato ed infine il Comitato trasmette le proprie constatazioni allo Stato parte interessato e all’individuo che potrà farle valere pubblicamente sui giornali.

La procedura di controllo più importante ed efficace del rispetto dei diritti dell’uomo è quella istituita in Europa fin dalla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali,ossia la Convenzione di Roma del 4 Novembre 1950 fatta dagli Stati membri del Consiglio d’Europa.

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Il Consiglio d’Europa è un’organizzazione internazionale che raggruppava inizialmente tutti i Paesi dell’Europa occidentale e si è accresciuta con il crollo dei Paesi dell’Europa orientale,includendo in seguito anche questi ultimi. Il Consiglio d’Europa comprende attualmente 47 Stati. Tra le sue finalità istituzionali che risultano dal suo statuto del 1949,vi è quello di promuovere il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali come elemento essenziale dell’identità culturale politico giuridica europea. Difatti gli Stati che vengono colti in flagranza di mancato rispetto di questi principi,possono essere sanzionati fino all’espulsione.

Il meccanismo sanzionatorio previsto dall’art.8 dello Statuto del Consiglio d’Europa prevede,nel caso in cui a seguito di eventuali sospensioni dei diritti di partecipazione degli organi di uno Stato colto in flagranza di violazione dei principi non si ottiene nulla,che il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa a maggioranza di due terzi può decidere che lo Stato deve dimettersi (ossia recedere) dal Consiglio d’Europa. Se lo Stato non recede,allora il Comitato dichiara che questo cessa di appartenere al Consiglio d’Europa. Fino ad oggi c’è stato un unico caso di questo tipo che ha riguardato la Grecia.

La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo contiene un catalogo dei diritti che tutti gli Stati si obbligano a rispettare corrispondenti a quelli contenuti nelle carte costituzionali. Tale Convenzione ha contribuito a modificare la procedura di controllo,la quale fu mitigata con il meccanismo dell’opzionalizzazione,cioè gli Stati che partecipavano alla Convenzione potevano facoltativamente rendere una dichiarazione con la quale accettavano la competenza di due organi di controllo: la Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo (ormai abolita) e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo,entrambe con sede a Strasburgo.

L’Italia accettò il diritto del ricorso individuale alla Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo solo nel 1973 (per un periodo rinnovabile di tre anni,che poi ha sempre rinnovato) in quanto si trovava in una situazione di controversia con l’Austria per il trattamento delle minoranze tedesche in Alto Adige.Questo meccanismo originario non poneva l’individuo sullo stesso piano dello Stato,in quanto favoriva quest’ultimo. L’individuo aveva diritto di accesso solo qualora fosse stata accettata dallo Stato la norma facoltativa e fossero esauriti i mezzi di ricorso interni.C’era perciò un ricorso alla Commissione (organo indipendente composto da individui esperti giuridici,normalmente professori di diritto o giuristi). Dinanzi a questa si svolgeva una fase conciliativa simile a quella svolta dinanzi al Comitato delle Nazioni Unite,se la Commissione Conciliativa non raggiungeva un risultato,ossia non vi era conciliazione tra Stato e individuo,la Commissione aveva due alternative nel caso in cui riteneva che la violazione fosse avvenuta:

- Poteva portare il caso dinanzi al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (organo non tecnico ma politico) che deliberando a maggioranza di due terzi poteva rendere noto allo Stato ciò che esso avrebbe dovuto fare per riparare;

- Poteva portare il caso dinanzi alla Corte,alla quale poteva rivolgersi non solo la Commissione,ma anche lo Stato steso parte del procedimento che preferiva la corte al Comitato,in quanto composta da giudici giudicanti con criteri giurisdizionali e non da ministri. Poteva inoltre rivolgersi alla Corte lo Stato di appartenenza dell’individuo qualora la controversia si sia avuta tra uno Stato e un cittadino straniero.

L’individuo leso ha perciò diritto di accesso alla sola Commissione,ossia può rivolgersi direttamente alla sola commissione.Questo sistema è stato superato a partire da uno dei numerosi protocolli aggiunti alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (che sono in totale 14),ossia dal Protocollo n°11 del 1994 entrato in vigore nel 1998,il quale ha introdotto una serie di modifiche:

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- Abolendo la Commissione e lasciando la Corte ha concesso una parità di armi tra l’individuo e lo Stato,permettendo anche all’individuo di accedere direttamente alla Corte;

- Eliminando il carattere opzionale è obbligatorio per tutti gli Stati parte della Convenzione essere soggetti automaticamente alla giurisdizione della Corte e al diritto di ricorso individuale;

- La Corte può funzionare anche in appello.

Ogni Stato membro del Consiglio d’Europa designa un giudice (oggi ve ne sono perciò 47). A causa dell’eccessivo lavoro della Corte,vi è un Comitato ristretto a tre giudici che valuta la ricevibilità del ricorso. Superata questa fase si procede dinanzi ai giudici che entrano in merito,giudicano in sezioni composte ciascuna da 7 giudici. Deve esservi un giudice nella sezione della nazionalità dello Stato accusato,se non vi è,lo Stato ha il diritto di eliminare un giudice e sostituirlo con un esperto giuridico nominato da lui della propria nazionalità che siede con gli altri giudici della Corte.Se si tratta di questioni di particolare importanza,la sezione può scegliere di non decidere chiamando a deliberare la Grande Camera composta da 17 giudici. Se a decidere è invece la sezione di 7 giudici,è possibile chiedere un ricorso alla Grande Sezione entro un termine di tre mesi,la quale però accetta discrezionalmente di pronunciare il secondo grado.

Per quanto riguarda gli Effetti delle sentenze della Corte,questi non hanno efficacia diretta negli ordinamenti degli Stati. La sentenza della Corte è una sentenza di accertamento,la quale accerta che,nel caso da questa considerato ci sia stata una violazione dell’individuo.L’art.41 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo prevede l’Equa Soddisfazione,in quanto prevede che: Se viene accertata una violazione della convenzione o dei suoi protocolli e il diritto interno dell’altra parte contraente interessata non consente che una parziale riparazione delle conseguenze della violazione,allora la Corte accorda se del caso (ossia se lo ritenga) un’equa soddisfazione alla parte lesa (cioè una somma in denaro).

L’Equa Soddisfazione è molto utilizzata,in quanto l’individuo per poter accedere alla Corte,deve aver esaurito tutti i mezzi di ricorso interno,che vuol dire arrivare ad una sentenza passata in giudicato. La somma di equa soddisfazione è perciò accordata quasi sempre.

La sentenza della Corte diviene efficace negli ordinamenti degli Stati mediante le Procedure di Adattamento che si hanno accoppiando la norma internazionale efficace nell’ordinamento interno che crea l’obbligo con lo strumento che esiste nell’ordinamento per farlo funzionare.

11 02 2010

Stavamo esaminando la tutela internazionale dei diritti dell’uomo,avevamo detto alcune cose generali e avevamo cominciato ad esaminare il sistema della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo,avevamo visto che era organizzato originariamente con i due organi(Commissione e

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Corte),come adesso è stato modificato con il Protocollo n.11 del 1994,avevamo visto in maniera sommaria come si svolge il procedimento davanti alla Corte ed il meccanismo con controllo ulteriore sulla istituzione delle sentenze.Le sentenze della Corte non hanno efficacia interna nel diritto interno degli Stati,le uniche sentenze di tribunali di origine internazionale che hanno direttamente efficacia negli ordinamenti interni degli Stati sono quelle della Corte di Giustizia dell’UE,invece tutte le sentenze dei tribunali internazionali non hanno efficacia diretta negli ordinamenti interni,gli Stati hanno naturalmente l’obbligo di rispettarle.Questo meccanismo dell’obbligo di rispettarla può essere sottoposto,come avviene nel caso della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo,anche a procedure di controllo internazionali nel rispetto degli obblighi:e qui la procedura di controllo è rappresentata dall’intervento possibile del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa(che è un organo politico)alla cui possibilità d’intervento accenna nel testo attuale della Convenzione europea dei diritti dell’uomo l’art.46 par.2.Questo articolo è piuttosto laconico,dice semplicemente che la sentenza definitiva della Corte è trasmessa al comitato dei ministri che ne vigila l’esecuzione.Quanto poi ai poteri del Comitato dei Ministri,questi risultano non dalla Convenzione,ma in maniera indiretta dallo Statuto del Consiglio d’Europa che in particolare stabilisce il principio che gli Stati membri devono rispettare i diritti dell’uomo come condizione essenziale per la partecipazione al Consiglio d’Europa(art.3 della norma Fondamentale)i principi dello stato di diritto,e poi l’art.8 stabilisce che uno Stato che non rispetta in maniera grave(secondo l’accertamento rimesso alla valutazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa)questo obbligo essenziale per la partecipazione all’organo,può essere per esempio sospesa la partecipazione all’organo,il diritto di voto e nei casi più gravi può addirittura essere costretto a recedere dall’organizzazione,in sostanza una vera e propria forma di espulsione come costatazione dell’incompatibilità alla sua partecipazione all’organizzazione per la sua condotta sotto il profilo essenziale del rispetto dei diritti dell’uomo,questo è il sistema.La giurisprudenza della corte Europea nel corso degli anni è andata sempre più prendendo coraggio:all’inizio la Corte era molto prudente nell’accertare violazioni dei diritti umani perché il fenomeno è evidentemente rivoluzionario,quest’idea di un controllo internazionale sul rispetto da parte degli Stati europei dei diritti dell’uomo.Ha preso abbastanza coraggio le procedure di controllo così come oggi sono organizzate e,come si progetta con un nuovo Protocollo,sono cominciate ad abbondare anche per i fini originari del controllo giurisdizionale.Il principio è che la Corte non ha la funzione di esercitare un controllo di carattere generale sul rispetto dei diritti dell’uomo negli ordinamenti interni degli Stati e neppure di verificare la loro legislazione,le loro prassi amministrative alla Convenzione.Quello che la Corte può fare è verificare se nella controversia specifica sottoposta al suo esame c’è stata o no in quel caso una violazione del diritto.Questo ha anche a che vedere con il problema dei limiti del giudicato.Il giudicato pronuncia non sul problema generale,ma sulla singola questione che il tribunale doveva verificare.In realtà questo meccanismo si è scontrato con una serie di difficoltà:anzitutto perché se lo Stato non modifica la propria legislazione,la propria prassi,i diritti dell’uomo,sembrano ripetersi.In certi casi,ci sono casi di violazione strutturale(un caso notissimo che riguarda l’ordinamento italiano è quello della lentezza dell’amministrazione della giustizia per il quale si è arrivati a quella famosa legge che istituisce un automatico sistema di risarcimento,è stata fatta per evitare centinaia di migliaia di condanne per l’Italia da parte della Corte:ci si rivolge alla sezione specilizzata della Corte d’Appello la quale liquida un danno.Anche per quello l’Italia è stata ulteriormente deferita alla corte perché i criteri di calcolo delle indennità a carico del contribuente erano state giudicate dalla corte insufficienti e non in linea con le esigenze di riparare,sia pure per equivalente,il ritardo nel rendere giustizia alle persone).Ci sono anche altri paesi che hanno questo sistema,questa situazione di violazione strutturale e per di più il tutto è aggravato dal fatto che con il massiccio ingresso nel Consiglio d’Europa dei Paesi dell’Europa dell’Est(ormai i membri sono 47)la Corte è subissata di ricorsi.Questo è stato uno dei motivi che ha spinto la Corte e il Comitato dei Ministri(che decide a maggioranza dei 2/3)se ci sono violazioni su quali sono le misure da prendere,ma il comitato dei ministri si può imbattere in resistenze politiche,sicchè,siccome entrare negli affari interni di uno stato è complesso,allora il comitato ha chiesto aiuto alla Corte per essere aiutato ad avere un accertamento giurisdizionale più autorevole delle valutazioni politiche.La Corte a sua volta ha bisogno di sfoltire la quantità di ricorsi da cui è subissata,e per farlo è stato creato il Tribunale di Prima Istanza.Sono dunque in corso procedimenti di miglioramento della situazione,però probabilmente c’è anche una diminuzione della

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tutela individuale,perché ormai è più importante consentire alla Corte di sbrigare il suo lavoro e riuscire ad esercitare una pressione sugli Stati.Risulta noto che in Italia la tutela giurisdizionale(per i tempi)è un’utopia.E allora è stato introdotto il Protocollo n.14 che però non è ancora entrato in vigore(perché i protocolli che modificano il sistema possono entrare in vigore solo sotto la condizione di essere ratificati unanimemente da tutti gli Stati).Questo protocollo 14 prevede anzitutto una maggiore selettività all’inizio sui ricorsi,il merito non viene valutato.Dunque c’è una restrizione del controllo della violazione del caso singolo di una persona che ha subito un torto,mentre vengono trattenuti solamente i casi più importanti e che non sono già stati trattati.Un miglioramento è previsto perché viene istituita una procedura che ricalca un po’la procedura d’infrazione che è stata istituita nel sistema comunitario a partire dal Trattato di Maastricht.In questa procedura c’è il vantaggio dell’accertamento giudiziario dell’inadempimento.Questo sistema è riprodotto dal Protocollo n.14 con la differenza che non c’è la condanna con una penale,quindi l’accertamento non ha altro valore se non quello di accertamento.L’accertamento serve al comitato dei ministri che è vincolato al fatto di dover decidere a maggioranza dei 2/3.In sostanza il meccanismo si sta spostando gradatamente dal controllo giurisdizionale della violazione del diritto del singolo e quindi dalla protezione della persona verso un controllo generale sulla osservanza generale da parte dello Stato delle norme della Convenzione.La Corte Europea dei diritti dell’uomo è diventata coraggiosa,sia perché le sue sentenze esorbitano da quelli che sarebbero i limiti del giudice che deve pronunciarsi sulla base della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato,non su questioni di carattere generale,ma sotto il singolo caso.Poi anche perché la Corte come tutti gli organi internazionali,ha la possibilità di darsi un regolamento interno.Con questo può solo specificare alcune competenze già attribuitele,ma non se ne può autoattribuire.Un modo possibile di derogare ad una norma è più facile nel diritto internazionale perché i destinatari delle norme sono anche gli autori delle stesse.In teoria non potrebbero farlo,ma in realtà mantengono questo potere.Questo compensa la difficoltà di ricambio giuridico.L’aquiescenza è riconosciuta come un principio che regola i rapporti internazionali di diritto-obbligo,anche perché è collegata al principio della buona fede.Questo è in sintesi il sistema regionale Europeo,che è il più avanzato di tutti;ci sono anche altri sistemi regionali di protezione dei diritti dell’uomo,per es.un po’ ad imitazione di questo europeo che ha dato il via alla proliferazione di convenzioni protettive in questa materia dato che i pesi europei hanno più facilità ad assumere obblighi internazionali.Ci sono stati altri sistemi regionali,alcuni anni dopo la Convenzione europea del 1950 per es.in America è stato creato un sistema anlogo con la Convenzione di San Josè di Costa Rica nel 1969 è stata stipulata tra gli Stati membri della organizzazione degli Stati Americani.Della organizzazione degli Stati americani fanno parte gli U.S.A. che però non l’hanno voluta ratificare perché in genere non amano molto sottoporsi a controlli internazionali in questa materia come anche in altre e quindi l’hanno ratificata altri paesi più disposti ad accettare controlli internazionali in materia di diritti dell’uomo.Non ne fa parte nemmeno il Canada perché il Canada non fa parte proprio dell’Organizzazione degli Stati Americani:non ne è voluta entrare a far parte perché riteneva che l’organizzazione era uno strumento di egemonia politica più o meno naturale ed esplicita degli Stati Uniti sul continente.Quindi di fatto i paesi che sono membri di questa organizzazione interamericana sono sostanzialmente i paesi dell’America latina,centrale e meridionale.Il sistema della convenzione interamericana è ricalcato sul vecchio sistema originario della Convenzione Europea con i due organi:Commissione interamericana dei diritti dell’uomo che ha sede a San Josè di Costa Rica e Corte Interamericana dei diritti dell’uomo che ha sede a Washinghton.Il sistema è lo stesso:comunicazione alla Commissione e possibilità poi della Commissione di ricorrere alla Corte.Questo sistema era avanzato solo apparentemente:non c’era infatti la clausola facoltativa di accettazione:era automatica la soggezione al potere diritto di ricorso individuale dell’individuo.C’era ancora la possibilità che viene utilizzata abbastanza nella pratica dei Tribunali Nazionali di chiedere un parere consultivo alla Corte Europea dei diritti dell’uomo su una questione che riguarda l’interpretazione della Carta interamericana dei diritti dell’uomo.Perchè solo apparentemente era superiore?Perchè il sistema manca di mordente,perché mentre il sistema europeo ha il controllo politico con la possibilità di sanzioni da parte del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa,quindi non si esaurisce con la sentenza internazionale non direttamente efficace negli ordinamenti interni,viceversa il sistema interamericano non è integrato da questo sistema,non c’è controllo internazionale.La Corte accerta che lo Stato ha violato i diritti dell’uomo.Questa

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sentenza,come tutte le sentenze internazionali,non ha direttamente efficacia nei diritti interni:se lo Stato non lo osserva ,indubbiamente viola un obbligo internazionale,però solo gli altri Stati membri del sistema possono reagire,perché è solo nei loro confronti che ha commesso un illecito internazionale.Siccome gli altri Stati non sono normalmente molto interessati a prendere a cuore la sorte di un individuo danneggiato dall’ordinamento interno di uno Stato,anche perché a loro volta gli altri Stati farebbero lo stesso,quindi alla fine il sistema è più debole.Anche in Africa è stato creato un sistema di questo genere:c’è un’organizzazione regionale africana analoga all’OS in America e cioè l’Unione Africana(una volta si chiamava Organizzazione dell’Unità Africana OUA,adesso si chiama Unità Africana)e c’è anche una carta africana dei diritti dell’uomo e che ci aggiunge anche i doveri che è la Carta di Nairobi del 1981 che ha istituito un organo di controllo(Commissione africana dei diritti dell’uomo)alla quale è possibile inviare comunicazioni individuali.Però non è un sistema efficace perché questa Commissione tutto quello che può fare è un rapporto sulle indagini di natura confidenziale.C’è poi da dire qualcosa sulla protezione dei diritti dell’uomo in ambito comunitario,nel sistema dell’UE.Il problema qui viene da lontano,perché nel momento in cui gli Stati avevano creato degli organi o controllati direttamente dai governi,o di autorità indipendenti,ma comunque amministrative,che erano in grado di esercitare poteri,di emanare atti normativi o decisioni direttamente efficaci negli ordinamenti interni,ma sottratti alla procedura di controllo degli ordinamenti interni(primato dell’applicabilità diretta dell’ordinamento comunitario),ovviamente l’individuo si trovava sottoposto ad un potere che non era più sottoposto agli strumenti giudiziari e di controllo,per di più con l’aggravante del deficit democratico.E allora la Corte di giustizia quando ha cominciato ad avere i primi ricorsi con i quali si sosteneva la violazione dei diritti della persona umana,ha sostenuto una tesi negativa,nel senso che un controllo non poteva essere fatto.Le altre Corti Costituzionali(soprattutto quella tedesca)a loro volta adite,cominciarono ad emettere dubbi seri sullo sviluppo dell’integrazione(sent.Solange).Dopo questa sollecitazione la Corte di giustizia cambiò la sua giurisprudenza sostenendo di poter provvedere in base alla norma che la Corte assicura il rispetto del diritto nell’applicazione del Trattato.Tra i principi generali di diritto di cui la Corte è tenuta a pretendere il rispetto ci sono i principi relativi alla tutela dei diritti dell’uomo che sono principi comuni a tutti gli Stati membri.Quindi questa è la prima fonte:i principi generali di diritto.La seconda fonte è rappresentata dalla Carta di Nizza elaborata nel 2000,dapprima come atto di soft-law(semplice accordo istituzionale,non obbligatorio),poi si era pensato di inserirla nel trattato UE,poi nella Costituzione europea e adesso è stata inserita in maniera indiretta nell’Art.6 del Trattato dell’UE.Nel sistema comunitario abbiamo tre fonti di tutela dei diritti dell’uomo:i principi generali di diritto(che la Corte può continuare ad applicare)(Par.3 art.6),le tradizioni costituzionali degli Stati Membri e dunque la Convenzione europea dei diritti dell’uomo ,la Carta di Nizza e(ancora da realizzare)la possibilità dell’adesione dell’UE(quasi fosse uno Stato)allaConvenzione europea dei diritti dell’uomo.Dato che gli Stati membri si sono sottoposti al controllo della Corte europea dei diritti dell’uomo ,ma hanno trasferito alcune loro competenze capaci di incidere negativamente sui diritti dell’uomo alla Comunità europea,si era posto il problema di sapere se in questo modo si stanno indirettamente sottraendo ai loro obblighi.C’è stato un caso a Strasburgo in cui uno Stato era chiamato a rispondere di una violazione di un atto comunitario.Lo Stato però non è responsabile dell’emanazione dell’atto,ma comunque,in applicazione di un atto della CE,non rispettava la Convenzione.La soluzione fu quella di far aderire l’UE alla Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo(Parere del 1996).Oggi è dunque possibile,dopo un’iniziale reticenza,l’adesione dell’UE alla Convenzione,grazie all’art.6 par.2.Naturalmente perché l’adesione avvenga devono essere d’accordo anche il sistema della Convenzione e gli altri Stati che ne fanno parte.Anche il protocollo n.14prevede la possibilità di adesione per l’UE che modificherà la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e probabilmente questa modifica porterà anche alla designazione di un giudice da parte dell’UE.Sostanzialmente,per come è strutturara l’UE,la Corte di Giustizia controlla il rispetto dei diritti umani da parte degli Stati anche nei loro ordinamenti interni.Si viene a creare un sistema di circolarità,di parallelismo tra una fase ascendente(la Corte ricostruisce i principi fondamentali del diritto comunitario relativi al diritto dell’uomo sulla base dell’analisi degli ordinamenti interni) e una discendente(pretende di imporre regole di ordine comunitario agli Stati ).Dunque fino ad ora abbiamo analizzati i sistemi regionali europeo,americano ed africano.Oltre questo poi c’è il sistema universale che è quello delle Nazioni

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Unite.Gli organi delle nazioni Unite,l’Assemblea generale è l’organo di competenza generale che può fare tutto e gli organi di competenza più specifica hanno il potere di esercitare una serie di funzioni,potere che però non si traduce nella emanazione di atti vincolanti per gli Stati .é soltanto il Consiglio di sicurezza,quando agisce nell’ordine del Cap.VII che può adottare decisioni vincolanti per gli Stati in base principalmente all’art.41 della Carta.L’unico caso in cui l’Assemblea generale ha la competenza per adottare atti vincolanti per gli Stati è quando determina il c.d.Barrén de contribution,cioè il contributo finanziario per le spese dell’organizzazione che deve dare ciscuno Stato in base a certi parametri(gli U.S.A.pagano da soli il 30-40%).La ripartizione da parte dell’Assemblea generale è obbligatoria per gli Stati.Siccome promuovere il rispetto dei diritti dell’uomo è una competenza generale delle Nazioni Unite(art.1,55,56)e siccome tutti gli organi principali delle Nazioni Unite hanno in base alla Carta la competenza ad istituire organi sussidiari per lo svolgimento delle loro funzioni,sia il Consiglio economico e sociale sia l’Assemblea generale,hanno creato quegli organi sussidiari competenti in materia di diritti dell’uomo.La storia del Consiglio economico e sociale è più antica :aveva creato un organo sussidiario con una su delibera ,una commissione delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo.Questa aveva una sottocommissione per la prevenzione della discriminazione e la tutela delle minoranze alla quale potevano fare delle setgnalazioni anche gruppi di individui o singoli.E dunque il sottocomitato aveva un potere d’inchiesta e poteva fare un rapporto come organo sussidiario del consiglio economico e sociale.Il consiglio economico e sociale poteva discutere la questione e adottare raccomandazioni in questa materia(previste dall’art.62 della Carta delle Nazioni Unite).Questa è una procedura blanda,però gli Stati sono preoccupati da una cattiva pubblicità,quindi è comunque un mezzo di pressione.Quando le violazioni dei diritti dell’uomo raggiungono una proporzione grave(gross violations)normalmente sono gli Stati che hanno dei regimi totalitari,chi lo fa sistematicamente si arriva alla violazione dell’obbligo erga omnes sul terreno de diritto consuetudinario,quindi sono poi possibili reazioni di vario tipo come,ad es.,sanzioni economiche internazionali ecc….Sul piano delle Nazioni Unite il fatto nuovo che risale al 2006 è che nel 2006 l’Assemblea generale ha preso le redini rispetto al Consiglio economico e sociale sulla materia perché ha creato un organo che è una nuova Commissione delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo che si chiama il Consiglio dei diritti dell’uomo:ha il potere di ricevere comunicazioni ed intraprendere inchieste;è previsto un sistema di collaborazione degli Stati.Anzitutto questo Consiglio è composti di stati(47 Stati Membri eletti dall’assemblea generale)ed ha un sistema di controllo basato su alcuni procedimenti:c’è anzitutto un sistema di esame periodico universale(universal periodic review)nel quale a turno periodicamente tutti gli Stati membri si devono sottomettere(il 2010 è il turno dell’Italia).Lo Stato è tenuto a cooperare e deve accettare ispezioni.Poi avviamente stende un rapporto che va all’Assemblea generale:se questa nota un comportamento negativo dello Stato può esercitare una pressione politica.Altra procedura del Consiglio è la possibilità di procedure speciali(special procedure)che riguardano situazioni particolari di uno stato segnalate o da uno Stato membro o da un’organizzazione non governativa.Poi ci sono le procedure individuali che si chiamano complienc procedure.L’unico modo che hanno le Nazioni Unite per intervenire e sindacare il comportamento degli altri Stati è sostenere che siamo di fronte a comportamenti che creano una minaccia alla pace(come è successo per l’Apartheid).L’evoluzione importante che c’ès tata è che è caduto il limite dell’art.2 par.7.e quindi anche organi come il Consiglio economico e sociale e l’Assemblea generale possono occuparsi di questa materia che non è più considerata una questione di affari interni degli Stati.Quindi il rapporto che c’è tra gli Stati e le popolazioni che gli Stati amministrano è una materia ormai di general conserve ,cioè gli Stati devono rendere conto alla comunità internazionale.Gli obblighi internazionali non hanno di per sé un valore risolutivo,ma è efficace la pressione che l’ordinamento internazionale può esercitare sul modo di essere di un ordinamento interno.Altro argomento riguarda la posizione in cui si trova l’individuo di fronte al diritto internazionale e quello del c.d.diritto internazionale penale,ossia delle norme internazionali sia di origine convenzionale sia di origine consuetudinaria che si sono formate essenzialmente a partire dal dopoguerra con un’accelerazione notevole nell’ultimo paio di decenni che prevedono la repressione penale degli illeciti internazionali più gravi e quindi che destano maggiore preoccupazione su scala internazionale nei Tribunali che hanno appunto la funzione di punire il crimine internazionale dell’individuo.Si può dire,inoltre,che c’è un nesso,anzi,la prevenzione dei crimini internazionali è l’altra faccia della protezione internazionale

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della persona umana.Bisogna distinguere tra crimini internazionali individuali e crimini internazionali dello Stato(terminologia oggi superata,perché prima c’era la distinzione tra delitto e crimine).Il progetto del 1996 della Commissione di diritto internazionale contiene l’art.19 che è significativo perché conteneva anche una spiegazione dei casi riconosciuti da tutti di illecito internazionale dello Stato particolarmente grave e lo definiva appunto come crimine internazionale.Tra gli es.indicava la schiavitù,il genocidio,l’apartheid.Oggi a quella terminologia se ne è sostituita una più soft che è quella del nuovo progetto del 2001 che parla di violazione di importanza fondamentale per un obbligo derivante da una norma imperativa del diritto internazionale(art.46 attuale progetto della Commissione).Il crimine internazionale dell’individuo è un illecito penale di carattere particolarmente grave e che ha la caratteristica di non essere una tappa occasionale che riguarda la singola persona,ma di avere un legame con una politica generalizzata da parte di un governo.La nozione non è nuova perché c’era già in passato l’idea che il diritto internazionale in alcuni casi prevedesse direttamente con norme internazionali senza l’intermediazione degli ordinamenti internidegli illeciti da parte degli individui era praticata e nasce con le norme che hanno origine antica quanto lo è la comunità internazionale e per es.la norma sulla pirateria(delicta iuris gentium).Bisogna distinguere i pirati dai corsari.I corsari nel ‘600 erano privati cheavevano un’autorizzazione governativa,mentre i pirati erano hostes humani generis.Nel diritto moderno,a partire dalla fine della II Guerra mondiale si sono create delle nuove fattispecie e si ritiene che ormai ci siano delle norme consuetudianarie che considerano crimini internazionali dell’individuo certi atti particolarmente gravi(coor crime)in opposizione ai treety crimes.I coor crimes sono ormai previsti dal diritto internazionale consuetudinario e sono il genocidio,i crimini di guerra,i crimini contro la pace,i crimini contro l’umanità(gli ultimi tre prendono avvio dal Processo di Norimberga e l’Atto di Londra del 1945).La tendenza attuale porta ad includere nei coor crimes anche il terrorismo.Già negli anni ’60 ci furono convenzioni per i treety crimes :i trattati sono basati sul principio”aut dedere,aut iudicare”.Dall’insieme di queste norme è venuta fuori l’idea della cooperazione della comunità internazionale per sconfiggere i crimini più gravi.Sul piano del diritto consuetudinario le norme in questa materia dicono:il primo principio è quello della universalità della giurisdizione penale:questo è un principio contenuto nell’art.105 della Convenzione di Montigo Bay:oggi è un principio riconosciuto e che si applica anche ai crimini internazionali dell’individuo.Però l’universalità è condizionata:è condizionata alla presenza del reo sul territorio.La seconda regola che si è affermata nel diritto consuetudinario è quella dell’imprescrittibilità di certi crimini.Queste norme sono facoltizzanti:cioè lo Stato lo Stato ha la facoltà di esercitare su scala universale la propria giurisdizione,ma non ne ha l’obbligo.Per i crimini commessi da organi di Stato c’è il problema dell’immunità che hanno gli organi di Stato:queste immunità sono di due tipi:c’è l’immunità dello Stato compiuta per atti ufficiali e poi c’è l’immunità personale di Capi di Stato e di Governo e Ministri degli Esteri.Ci si domanda cpmunque se gli atti rivelatisi crimini,pur commessi in veste ufficile siano coperti da immunità,considerando anche che le peggiori atrocità sono state commesse dagli Stati.La Corte internazionale di Giustizia ha recentemente preso una posizione negativa(sent.2001 Belgio contro Congo).Ci sono comunque dei precedenti contrari:uno dei più famosi è il processo Aikman negli anni ’60.Comunque la tendenza internazionale è che prima o poi verrà accettata la norma che fa eccezione al principio dell’immunità degli organi edi Stato secondo il ragionamento che gli atti sovrani dello Stato(acta iuri imperii)sono immuni dal controllo degli altri Stati,però se si tratta di un crimine internazionale,questo non è un atto di attività sovrana che può essere civilmente indicato come tale.

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12 02 2010

Uno sviluppo recente è l’idea dei Tribunali penali internazionali che hanno la competenza specifica di provvedere alla repressione dei più gravi crimini internazionali dell’individuo.Di questi tribunali il prototipo è rappresentato dal Tribunale di Norimberga creato con l’accordo di Londra dell’8/8/1945 tra le quattro potenze vincitrici(U.S.A.,Francia,Inghilterra e Russia),seguito da un altro Tribunale di Tokyo dei criminali di guerra giapponesi,anche questo creato con un trattato internazionale.Nonostante i giudici erano di provenienza internazionale,questi tribunali non erano organi internazionali,erano un organo comune delle quattro potenze che occupavano allora la Germania,quindi in realtà si muoveva nell’ambito dell’ordinamento giuridico interno.Lo stesso vale per quello di Tokyo,all’epoca il Giappone era occupato dagli U.S.A.,quindi erano loro che ne rispondevano.Viceversa Tribunali Penali internazionali sono stati costituiti in due occasioni specifiche:per la repressione dei crimini internazionali commessi sul territorio della ex-Jugoslavia(Tribunale penale internazionale per la ex-Jugoslavia che è all’Aja)e uno costituito per il Ruanda(che funziona in Tanzania).Questi due Tribunali hanno una costituzione a monte:sono stati costituiti con un procedimento sul quale dubbi giuridici possono essere sollevati per quanto riguarda la legittimità della loro costituzione perché non sono stati costituiti con un Trattato internazionale,ma con una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ai sensi del Cap.VII della Carta.Quindi il dubbio è se al Consiglio di Sicurezza è attribuita anche la facoltà di istituire Tribunali internazionali.Allora si scelse questa via perché il progetto di Tribunali per i reati più gravi era emerso appena dopo la II° Guerra mondiale,quindi appena vennero costituite le Nazioni Unite,ed era stato dato l’incarico alla Commissione del diritto internazionale delle Nazioni Unite di studiare sia l’idea di preparare un progetto di statuto di Tribunale penale internazionale permanente,sia di preparare un codice dei crimini internazionali individuali.La prima parte ristagnò,mentre un codice non vincolante per i crimini internazionali l’aveva fatto la Commissione del diritto internazionale.Ormai c’è un catalogo sufficientemente ampio che deriva da tutte le fonti indicate.Quando fu presa questa iniziativa politica di costituire il Tribunale per la ex-Jugoslavia,ovviamente si sarebbe dovuto fare un Trattato che ne prevedeva la costituzione e ne regolava tutti gli altri aspetti,ma per fare un Trattato multilaterale tra gli Stati di questo tipo ci vogliono anni e quindi non c’era tempo e allora si pensò di farlo con una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.In realtà probablimente il Consiglio di Sicurezza non ha questa competenza.Si riteneva che la aveva in base al Cap.VII della Carta dove agli artt.41 e 42 sono stabilite le competenze.Intanto può essere messa in discussione una violazione della pace internazionale(può sostenersi un’internazionalizzazione del conflitto solo se si ammette che alcuni Stati della Federazione Jugoslava si fossero staccati,ma la guerra in Jugoslavia,in particolare in Bosnia-Erzegovina,dove erano state commesse le atrocità più gravi,era in realtà una guerra civile).Però si può ritenere che il Consiglio di Sicurezza abbia un margine di discrezionalità per decidere che alcune situazioni,per la loro gravità,possono essere una minaccia alla pace internazionale.Per quello che riguarda le misure che il Consiglio di Sicurezza può adottare,sono quelle agli artt.41 e 42.C’è inoltre da tenere in considerazione una norma generale all’art.24,il quale,si potrebbe sostenere che attribuisca al Consiglio di Sicurezza a nome degli Stati membri,un potere generale.Però c’è da dire che la repressione può avvenire quandi i crimini hanno già avuto luogo,non si tratta di prevenire,si tratta di una fase successiva di repressione che non dovrebbe essere di sua competenza.Ma poi c’è di più:perché il par.2 art.24 precisa un principi che equivale nel diritto0 comunitario al principio di attribuzione e specifica anche che i poteri sono espressamente nominati.Di fatto nei processi che si sono svolti,ancora sono in corso di svolgimento all’Aja,è sata sollevata la questione della regolarità giuridica di costituzione del tribunale e lo stesso tribunale ha ritenuto di dover rendere conto di questo:e allora nel caso Dairitch si è riferito,per fondare la sua competenza,sull’art.41,sostenendo che le misure degli Stati nei confronti di altri Stati(sanzioni economiche o diplomatiche)sono indicate in maniera esemplificativa e che quindi il Consiglio di Sicurezza ha un potere di carattere più generale.Altri hanno sostenuto che il potere gli è ststo conferito non secondo la Carta,ma per un accordo tra gli Stati.Anche questa tesi è debole perché la procedure di emendamento e di revisione della Carta devono passare per il procedimento formale indicato dagli artt.108 e 109 della Carta delle Nazioni Unite.Quindi in sostanza è possibile sostenere che alla base

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della risoluzione del Consiglio di Sicurezza del 1993 come pure quella del 1994 per il Tribunale creato per il Ruanda,si può dubitare della legittimità della loro costituzione.Comunque siccome l’idea di creare una giustizia penale internazionale è affidata ad organi internazionali che affiancassero,non sostituissero,quella dei tribunali nazionali,è andata a vanti da allora perché nello stesso momento in cui per fare prima viene fatto ricorso a questo espediente di dubbia legalità,nello stesso tempo vennero creati negoziati per una Corte penale internazionale permanente che è stata effettivamente creata con un trattato firmato a Roma nel 1998,entrato in vigore nel 2002.Questa ha sede all’Aja ed ha già cominciato a funzionare in relazione a crimini internazionali commessi in alcuni Paesi africani(Congo e altri).Su che principi funzionano questi organi?Anzitutto è stata stabilita per tutti loro l’universalità della giurisdizione penale degli Stati condizionata alla presenza del reo.La Corte internazionale rispetto agli altri ha un grande pregio:rispetta il principio della precostituzione del giudice.C’è il problema dei loro rapporti con la giurisdizione degli Stati perché non esclude,ma la integra.Il rapporto è quello del principio di complementarità che però funziona in maniera invertita:mentre per i due tribunali speciali costituiti dal Consiglio di Sicurezza la complementarità è a favore di questi organi(cioè i tribunali degli Stati sono tenuti a collaborare),nella Corte penale internazionale la complementarità opera all’inverso(si può andare avanti a questa soltanto se lo Stato sul cui territorio si trova il colpevole non decide di processarlo).Per quello che riguarda la competenza ratione personae e ratione materiae ci vuole un collegamento con gli Stati membri parti dello Statuto(Roma 1998).Per quelli che lo hanno ratificato la situazione è questa:il Tribunale penale internazionale è competente a punire i crimini internazionali compresi in un elenco:per quelle categorie occorre o che l’atto illecito sia stato commesso sul territorio dello Stato parte della Convenzione oppure commesso da un cittadino di uno Stato contraente.Quanto all’iniziativa processuale:può essere presa o dal procuratore della Corte o da uno Stato membro o,ancora,dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.Negli ultimi due casi ci vuole il consenso dello Stato Nazionale del reo.Lo statuto contiene anche le norme che devono essere applicate e poi si rinvia a principi generali di diritto penale.C’è anche una possibilità d’intervento del Consiglio di Sicurezza,il quale può,con una sua risoluzione,chiedere al tribunale di soprassedere per un periodo non superiore a 12 mesi.Già questa norma ha subito un tentativo di abuso,ad es.da parte degli U.S.A.Questo tipo di giustizia penale internazionale ha dei vantaggi e degli svantaggi:il vantaggio che ha è quello della maggiore visibilità rispetto alla giustizia interna(quindi anche esemlarità).C’è un altro tipo ancora di tribunali:in alcuni paesi dove sono successi dei massacri,sono stati creati dei tribunali interni ,a composizione mista(es.Sierra Leone,Timorest,Cambogia,Libano,Kosovo).Questi non sono organi internazionali,ma sono interni,assomigliano più al Tribunale di Norimberga.Non ha alcuna importanza che sia stato stabilito con un accordo internazionale che ai giudici locali si affiancano giudici designati dalle Nazioni Unite. Vengono chiamati Tribunali misti,ma è mista soltanto la composizione. Si pone a questo punto il problema di sapere se è proprio vero quello che abbiamo detto e cioè che soltanto gli Stati ed eventualmente altri tipi di enti indipendenti che hanno relazioni paritarie con gli stati sono i soggetti del diritto internazionale oppure se anche l’individuo a sua volta si può dire che in conseguenza di tutti questi sviluppi in buona parte contemporanei del diritto internazionale attuale ha soggettività almeno limitata,se non proprio piena,una destinatarietà di norme internazionali. Oggi l’idea che il diritto internazionale non ammette alcun tipo di soggettività dell’individuo è messa in discussione,anche da parte della rigorosa dottrina italiana.

18 02 2010

La questione è vedere se l’individuo non è mai soggetto di diritto internazionale,oppure se si può sostenere una soggettività almeno parziale.Ammettere la soggettività internazionale dell’individuo comporterebbe l’accettazione di una modifica strutturale del sistema di norme che regola i rapporti tra

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enti sovrani che hanno tra loro relazioni di tipo diplomatico:l’individuo,invece,non stipula trattati,non ha immunità,non ha agenti diplomatici che lo rappresentano ecc….Quindi per poter ammettere fenomeni anche parziali dell’individuo,bisognerebbe ammettere che il diritto internazionale può anche subire modificazioni strutturali.Oggi la tesi della soggettività,almeno parziale,dell’individuo,è prevalente nella dottrina straniera e,da qualche anno,anche in quella italiana.Dal punto di vista storico c’è una tesi che risale al grande giurista Kelsen,il quale sosteneva che l’individuo sarebbe,seppure in via mediata,attraverso la mediazione giuridica del suo Stato,il solo destinatario del diritto internazionale.Questa tesi è basata su alcune premesse dalle quali prende luce un ragionamento che si può considerare perfettamente logico dal punto di vista deduttivo,a condizione che si ammetta che le premesse siano fondate nella realtà.Kelsen parte dall’idea che soltanto la persona umana può essere destinataria di norme giuridiche.Gli Stati come persone giuridiche agiscono tramite gli individui.Poi Kelsen sostiene,ancora,che mentre negli ordinamenti interni la norma interna che fanno gli Stati si rivolge direttamente agli individui,le norme internazionali si rivolgono agli individui attraverso la mediazione dell’ordinamento giuridico statale.Questa posizione presuppone che c’è continuità giuridica tra l’ordinamento giuridico statale e l’ordinamento internazionale.Gli ordinamenti giuridici statali sarebbero,dunque,parziali di un ordinamento giuridico totale(ord.giur.internazionale).Quindi questo significa che la capacità dello stato di controllare i propri organi deriva da una legittimazione di una norma internazionale.La teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici,ciascuno indipendente dall’altro,corrisponde all’osservazione della realtà(es.Santi Romano).Quindi l’idea della soggettività internazionale mediata è satta superata da molto tempo.In verità la soggettività indiretta presuppone una soggettività diretta perché presuppone che anche dal punto di vista del diritto internazionale,l’individuo abbia la qualità giuridica di organo dello Stato.Dobbiamo esaminare separatamente il problema della soggettività eventuale dell’individuo di fronte alle norme internazionali sotto tre profili:le norme internazionali consuetudinarie,diritto convenzionale e negli ordinamenti interni degli organi internazionali(soprattutto dei tribunali internazionali)ai quali l’individuo può rivolgersi.Cominciamo dalle norme del diritto internazionale consuetudinario:ci sono vari gruppi di norme del diritto internazionale consuetudinario che riguardano l’individuo:il 1°gruppo delle norme dei crimini internazionali :queste sono presentate come norme che obbligherebbero direttamente l’individuo,anche indipendentemente dall’ordinamento statale cui è sottoposto.Per quello che riguarda queste norme,l’idea che l’individuo verrebbe obbligato con la minaccia di sanzioni internazionali,fa a pugni con la realtà:in realtà è lo Stato a sottoporre un individuo ad un processo penale.Ci sono comunque delle norme internazionali che stabiliscono diritti e obblighi tra gli Stati circa comportamenti che gli Stati possono o devono tenere nei confronti degli individui,ma sempre nell’ambito dei loro ordinamenti interni.Quello che si può dire è che lo Stato quando esercita il potere di punire individui che hanno commesso crimini internazionali sta agendo per esercitare una funzione internazionale,ma è comunque difficile sostenere che agisce per conto della comunità internazionale,perché sono norme facoltizzanti e non obbligatorie.Ci sono poi le norme che riguardano il trattamento dello straniero:qui la risposta è ancora più facile ed evidente:queste norme attribuiscono allo Stato nazionale il diritto di pretendere il rispetto dei cittadini stranieri.In Italia è soltanto dal 1981 che c’è una norma di carattere generale che stabilisce che in linea generale tutte le volte che lo Stato Italiano abbia ottenuto una somma a titolo di risarcimento da Stati stranieri per violazione di nostri cittadini,vengano istituite commissioni al Ministero dell’economia alle quali le persone materialmente danneggiate possono rivolgersi.A partire da fine ‘800 si era diffuse(soprattutto in America latina) la prassi di inserire nei contratti la c.d.clausola Calvo con la quale il cittadino straniero rinunciava a chiedere la protezione diplomatica al proprio paese.Tutti i tribunali hanno affermato l’invalidità di questa clausola,in quanto l’individuo rinuncia non ad un suo diritto,ma ad un diritto dello Stato.Per quello che riguarda le norme consuetudinarie sui diritti dell’uomo che creano obblighi erga omnes,anche lì è la stessa cosa:c’è un rapporto di diritto-obbligo tra gli Stati,ma non tra Stato ed individuo,perché il diritto internazionale è un diritto interstatale.Veniamo adesso agli accordi:ci sono autori che sostengono che alcuni trattati possono conferire una soggettività limitata al Trattato e quindi conferire dei diritti direttamente all’individuo se gli Stati che hanno fatto il Trattato vogliono fare così.Siccome gli Stati con il Trattato finchè non violano norme di ius cogens possono fare quello che vogliono,volendo potrebbero decidere di conferire diritti ai soggetti.Questa tesi incontra

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obiezioni notevoli:il primo motivo è che i Trattati non producono effetti per i terzi ma solo tra le parti,e poi perché se l’individuo fosse considerato dal trattato potrebbe voleci partecipare,ma non può perché non è titolare dello ius contrahendi internazionale.E ancora:gli Stati possono modificare i trattati,e allora come può l’individuo vedersi attribuiti diritti che possono essere modificati?Nel diritto internazionale non vige il principio lex facit regem,non è il trattato internazionale che attribuisce agli Stati i loro doveri,ma sono loro che ne dispongono.C’è ancora un altro argomento di carattere giuridico:è possibile essere soggetti all’interno di un sistema convenzionale di norme giuridiche internazionali senza essere anche soggetto del diritto internazionale generale?Probabilmente no.Il Trattato internazionale è obbligatorio perché certe norme del diritto internazionale penale attribuiscono obbligatorietà alle norme.Rimane la questione della soggettività eventuale dell’individuo negli obblighi internazionali creati dagli accordi i9nternazionali.Abbiamo dimostrato che l’individuo non può essere destinatario del diritto internazionale consuetudinario e neanche delle norme contenute negli accordi internazionali,però poi è anche vero che questi accordi creano organi internazionali(Tribunali internazionali)ai8 quali l’individuo si può rivolgere o può essere processato da questi.La terza possibilità è quella delloe organizzazioni internzaionali,i cui dipendenti possono rivolgersi ai Tribunali per controversie in ambito lavorativo.Allora quando l’individuo si rivolge ad un organo internazionale ed è parte di un procedimento,allora non solo l’individuo sembra essersi elevato al rango di interlocutore diretto dei soggetti internazionali,ma è anche destinatario delle norme procedurali che regolano questa procedura.Il dubbio da porsi è il seguente:siamo sicuri che quando ci troviamo di fronte ad un Tribunale internazionale siamo nel campo del diritto internazionale?oppure siamo nell’ordinamento interno dell’organo?In effetti la verità è che l’ordinamento interno dell’organo,benchè l’organo sia stato creato con un Trattato,non è diritto internazionale.Sembrerebbe esserci,almeno in apparenza,una continuità normativa tra l’ordinamento interno dell’organo ed il Trattato di diritto internazionale che l’ha creato.Cosa possono fare i Trattati internazionali?Posono creare organi?La creazione di un organo che esiste in base ad un Trattato supera l’effetto che normalmente i trattati possono creare,che è creare diritti ed obblighi tra gli Stati.Rispettando questi diritti ed obblighi,gli Stati compiono delle azioni materiali.La realizzazione dell’organo internazionale è un processo di fatto,e questo potrebbe essere vero anche per uno Stato:a volte la sua creazione deriva da un Trattato(es.Versaillés e Saint-Germain previdero anche la creazione di Jugoslavia,Serbia ecc..).Esattamente come La Corte Europea dei diritti dell’uomo e la Corte Penale Internazionale,ma c’è qualcuno che potrebbe sostenere che,siccome la Jugoslavia è stata creata con un Trattato internazionale,ha un ordinamento che fa parte del diritto internazionale?Evidentemente no.(Altro esempio RAU=Repubblica Araba Unita).Il Trattato è in questi casi è un antecedente storico.Dunque è tutto da dimostrare se quando un trattato prevede la formazione di un organo internazionale,l’ordinamento dell’organo sia o meno derivato dal Trattato.Altra considerazione:la creazione di uno Stato può essere prevista anche da un ordinamento costituzionale(es.La Jugoslavia aveva una norma che garantiva alle 6 Repubbliche parte della Federazione il diritto di recesso),si pensi alla decolonizzazione:molte colonie hanno acquistato l’indipendenza pacificamente,grazie ad una legge dello Stato coloniale.Anche qui è l’ordinamento giuridico di uno Stato che prevede la formazione di un altro Stato,ma questo non vuol dire che il secondo sia dipendente dal primo.La spiegazione di tutti questi fenomeni è sempre la stessa:la costituzione dell’ente è un processo di autocostituzione ed è un fenomeno di fatto(non deriva dal Trattato per essere opponibile a tutti,dato che il Trattato è valido solo tra le parti).Cosa può fare un Trattato?Può creare solo diritti ed obblighi solo tra gli Stati.Proviamo a fare un parallelo tra quello che può fare un Trattato e quello che può fare un contratto:un contratto nel diritto civile italiano crea effetti obbligatori,però può creare anche effetti reali.E può produrre questi effetti perché c’è una norma di legge che glieli attribuisce(art.1376 C.c.).Nel diritto internazionale,la norma consuetudinaria sull’obbligatorietà dei Trattati(pacta sunt servanda),essendo consuetudianria,produce effetti nei confronti di tutti,quindi quella norma potrebbe ettribuire al Trattato un effetto erga omnes,e quindi di tipo reale,se ci fosse una norma consuetudinaria di questo contenuto nel diritto internazionale,ma questa norma non c’è.Questo comporta che i Trattati non possono creare enti internazionali.Altro esempoi è quello delle cessioni territoriali:queste nel diritto internazionale non hanno effetto reale;e allora come si acquista la sovranità sul territorio?oggi non ci sono più i trattati di cessione territoriale,ma quando c’erano,non

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era il Trattato che faceva acquistare la sovranità,ma era l’effettività(il Trattato solo diritti ed obblighi).Esempio:Trattato di Napoleone III e l’Austria.Nell’organo internazionale il Trattato è nello stesso tempo fonte di norme internazionali che valgono per gli Stati contraenti parte di un Trattato che creano tra di loro situazioni di diritto-obbligo;poi però è una seconda e diversa cosa:è la costituzione del nuovo ente,il quale ha la sua attività regolata da due categorie di fatto:la costituzione che è il Trattato e il regolamento interno.Qualche volta norme di un Trattato incorporate nella costituzione possono esistere anche in un ordinamento statale(es.art.7 Cost.in cui sono costituzionalizzati i Patti lateranensi,altro es.il Trattato di Stargas,che è parte integrante della Costituzione austriaca,ed era il Trattato che permetteva all’Austria di scacciare la dominazione russa,ma le imponeva di rimanere neutrale,altro es.,si pensi al diritto U.E.:è un diritto interindividuale).Arriviamo alla dimostrazione finale del rapporto di discontinuità normativa che c’è tra l’ordinamento interno della Corte europea dei diritti dell’uomo ed il diritto internazionale:è vero che l’individuo che ricorre contro l’Italia davanti alla Corte è destinatario della sentenza.La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo normalemnte accerta una violazione,poi c’è l’art.41 della Convenzione(indennità).E allora non siamo nel campo del diritto internazionale:quello che succede è che l’ordinamento italiano riconosce il diritto all’art.41,ma nell’ordinamento interno.Dunque la mia soggettività si esaurisce lì,nel diritto internazionale:questa è la riprova che l’ordinamento interno non è internazionale.Quindi è dimostrato che la soggettività internazionale dell’individuo non può darsi per un fatto puramente strutturale:fino a quando la struttura della comunità internazionale sarà di enti indipendenti e sovrani,l’individuo non avrà niente a che vedere con questi,fino a quando la struttura non cambierà,l’individuo non può essere destinatario di norme internazionali.L’individuo può essere preso in considerazione soltanto in maniera oggettiva:come oggetto di situazioni giuridiche altrui(come ad es.la protezione degli animali nella nostra legge).Ora parliamo delle organizzazioni internazionali:sono un mezzo di collaborazione tra gli Stati,e sono create da questi con un Trattato.Gli Stati collaborano tra loro in maniera sempre più intensa e frequente perché oggi la mondializzazione dei problemi degli Stati ha come conseguenza che uno Stato isolatamente non può risolvere nessuno problema serio.Quindi per cooperare tra loro,col passare dei decenni,gli Stati hanno creato sistemi,strumenti e mezzi di cooperazione sempre più sofisticati.La cooperazione viene creata sempre con accordo perché è volontaria.Esiste infatti una nota distinzione tra diritto internazionale consuetudinario e diritto internazionale convenzionale:il primo è il diritto della coesistenza,il secondo è il diritto della cooperazione.Un accordo(bilaterale o multilaterale)con cui gli Stati decidono di cooperare tra loro può creare una forma di cooperazione istituzionalizzata oppure non istituzionalizzata(non si crea una struttura,ma collaborano semplicemente,es.cooperazione giudiziaria).La cooperazione può essere anche di fatto senza avere norme giuridiche.La cooperazione è istituzionalizzata quando ci sono degli organi che cooperano.Questi organi possono essere comuni.Questo organo comune può essere un organo che fa agire gli Statie può essere di attività interna o esterna agli Stati.Un organo comune di attività esterna è per es un comando militare alleato.Un organo di attività interna non si esprime sul piano delle relazioni internazionali,ma all’interno(es.Convenzione del 1885 per la proprietà industriale)è stato creato l’ufficio Internazionale Brevetti.Altro es.Tribunale di Norimberga.Ci sono anche altre possibilità:gli Stati possono organizzare la loro cooperazione creando per es.una persona giuridica interna,ad es.una società commerciale prevista dal Trattato con azioni detenute da uno Stato(es.Eurofirm).Altre volte con un Trattato è stata prevista la creazione di un ente di diritto pubblico(es.Aereoporto di Basilea).Ancora è possibile creare un organo internazionale isolato(non organizzazione)es.organo di funzione:è un organo di nessun soggetto,es.un trattato che crea un tribunale internazionale.Dunque la possibilità della creazione di un’organizzazione internazionale è la più complessa.A certe condizioni(ci sono degli standard)alcune organizzazioni assumono la soggettività internazionale.Le organizzazioni internazionali sono nate con l’esigenza sempre più pressante di istituire forme di cooperazione efficienti,imparziali ed indipendenti.Le prime organizzazioni internazionali sono state quelle tecniche(es.unione internazionale delle comunicazioni ecc…).Inizialmente non si poneva il problema della loro soggettività internazionale,ma venivano chiamate unioni amministrative,ed erano organi comuni.Il problema della loro eventuale soggettività internazionale ha cominciato a porsi dopo la II guerra mondiale.Quindi nella storia dell’organizzazione internazionale ci sono stati due filoni fondamentali:1°=unioni amministrative e 2°=organizzazioni

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politiche.Il primo trae origine dalla cooperazione amministrativa in settori tecnici tra gli Stati,il secondo,invece,trae origine dai Trattati di alleanze difensive e quindi dall’idea della sicurezza collettiva.L’evoluzione di questa idea in un’organizzazione politica trae origine da un’altra idea che è quella dell’accordo tra le principali potenze europee che risale al Congresso di Vienna(con le conferenze periodiche che le potenze europee si impegnavano a tenere).In questa epoca il problema era difendersi dall’aggressore comune che era Napoleone.Dopo alcuni anni il problema era diventato difendere i regimi assoluti contro le rivoluzioni liberali e si stabilì un principio di intervento amichevole.Successivamente si estese anche geograficamente(questione dei Balcani),successivamente con il processo di colonizzazione,continuò l’estensione geografica.Finchè il sistema era di conferenze periodiche non era stata creata una organizzazione.Però cominciò a venir fuori l’idea di un segretariato amministrativo delle conferenze.Poi la conferenza periodica si trasforma in conferenza permanente e abbimo l’organo plenario.Dunque questa evoluzione ha portato ad assumere la struttura tipica tripartita delle organizzazioni internazionali:segretariato,conferenza generale e un organo a composizione degli stati che si chiama generalmente Consiglio.Sebbene il filone della organizzazione politica sia successivo,ha finito per prevalere.Spesso nelle organizzazioni internazionali si pone anche il significativo problema di coordinamento.Comunque si è capito che c’è un rapporto molto stretto tra la tutela della pace e la cooperazione internazionale tra gli Stati.Questo è successo anche con la comunità europea:mettere in comune alcune attività e non fare la guerra.Questo è successo in modo abbastanza simile per quanto riguarda la Società delle Nazioni Unite:cooperare per mantenere un clima pacifico e la giustizia(concetto inseparabile da quello di pace).La cooperazione internazionale permette di superare le ingiustizie e le organizzazioni internazionali settorialmente si occupano di risolvere i problemi.E poi c’è bisogno di coordinare le attività delle organizzazioni internazionali particolari:lo fa l’organizzazione delle Nazioni Unite.Poi c’è il terzo filone:quello delle organizzazioni del sovranazionalismo:è una situazione di pre-federalismo.

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I principali organi previsti dalla Carta delle Nazioni Unite, all’art.7, sono sei.

Il sesto organo è la Corte Internazionale di Giustizia. Lo stesso articolo prevede inoltre la possibilità, se necessario, per gli organi principali, di istituire degli organi sussidiari.

La struttura dell’Unione Europea rispecchia quella delle Nazioni Unite. Anche qui è presente un organo dove sono rappresentati gli Stati membri, che è il Consiglio, il quale presenta una struttura amministrativa di tipo burocratico, con funzioni penetranti nella Commissione. E’ presente inoltre un tribunale, la corte di Giustizia, e il Parlamento europeo che è un elemento (originariamente denominato Assemblea) legato alle origini dell’organizzazione, nata a favore nazionale, dotata di poteri e di competenze particolarmente significativi,basata su un progetto che a poco a poco si sta realizzando, con un integrazione più consistente tra gli stati membri. La caratteristica dell’assemblea o meglio Parlamento Europeo, è quella di essere un organo che non è costituito da rappresentanti di governi ma da rappresentanti che inizialmente erano parlamentari dei parlamenti nazionali(c.d.

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doppio mandato). Successivamente è stato introdotto il procedimento di elezione diretta che ha contribuito a conferire poteri sempre più penetranti; oggi il Parlamento partecipa al procedimento di formazione degli atti comunitari ed è perciò un elemento che concorre a togliere alla unione Europea il carattere intergovernativo poiché nel parlamento europeo si formano delle maggioranze parlamentari che non necessariamente rispecchiano le maggioranze politiche dei governi degli stati membri e tendono invece a crearsi delle maggioranze di tipo transnazionali. E’ un organo che sostanzialmente sfugge al controllo degli stati nazionali per questo non si parla di governo con organizzazione intergovernativa perché il parlamento non è espressione dei governi e partecipa al potere decisionale senza essere in alcun modo controllato dai governi nazionali. Il carattere dell’intergovernatività pura invece caratterizza per definizione tutte le altre organizzazioni internazionali che infatti vengono definite organizzazioni internazionali intergovernative per distinguerle da un altro tipo di organizzazione, quelle di carattere privato, non governative, come ad es. Amnesty International, Croce Rossa Internazionale (organizzazioni internazionali che prendono le distanze da quelle prese in esame, essendo persone giuridiche di diritto interno,composte da individui e non da stati, e non sono soggetti di diritto internazionale).

Questi organi sono di due tipi, si possono distinguere strutturalmente in: organi composti di stati e organi composti di individui. In senso materiale, tutti gli organi delle organizzazioni internazionali sono composti di individui ma negli organi internazionali dove il componente è lo stato e non l’individuo, l’individuo si presenta come delegato dello stato, riceve istruzioni dal proprio governo, normalmente tramite il ministero degli esteri o dal governo, così lo stato tramite questi partecipa al processo decisionale dell’organizzazione. Viceversa, ci sono degli organi che sono composti ad individui i quali siedono a titolo personale, non come rappresentanti dello stato anche se dagli stati designati, che partecipando alle attività dell’organizzazione esprimono la personale volontà. Non ricevono, d’obbligo, istruzioni dal proprio governo nazionale perché devono esercitare una funzione che è obiettiva, imparziale, nell’interesse dell’organizzazione internazionale. Esempio di organo composto di individui è la Commissione della Comunità Europea e per i commissari accade quanto appena spiegato. Lo stesso per altri soggetti, dal Presidente della Commissione al giudice internazionale che rappresenta del resto il massimo grado di libertà necessario, il quale per necessità deve essere obiettivo ed imparziale; lo stesso ancora per il personale burocratico ed amministrativo delle organizzazioni internazionali, il quale deve, per cosi dire, dimenticare la propria nazionalità per eseguire nell’imparzialità la propria funzione internazionale.

In tutte le organizzazioni internazionali le più importanti competenze sono riservate agli organi composti di stati non a quelli composti di individui che normalmente esercitano delle competenze minori come il segretariato o il personale del segretariato. Nell’Unione Europea la Commissione ha delle competenze importanti che non sono allo stesso livello di quelle del Consiglio. Non ha in sostanza un potere decisionale fondamentale, esercita il potere di proposta, di iniziativa, può emanare degli atti di rango subordinato, ma gli atti normativi di portata generale sono riservati al Consiglio e cioè l’organo controllato dai governi. Il consiglio è però oggi associato al Parlamento europeo, trattandosi di un organizzazione che dispone di poteri normativi particolarmente importanti. C’era difatti da risolvere il problema del deficit demografico con l’esigenza di una maggiore partecipazione democratica alle decisioni. Il problema del deficit è però uno dei nodi dello sviluppo dell’integrazione perché più si attribuiscono poteri decisionali a organi che godono di propria legittimazione democratica e non sono più controllati dai governi più si accentua il carattere federale dell’integrazione, e meno questi organi hanno potere e più si accentua il carattere intergovernativo, con il contrappeso della mancanza della democraticità del processo decisionale. Si tratta di uno dei nodi perché se si perde in democrazia gli stati membri guadagnano in sovranità e se invece si guadagna in democrazia si perde in sovranità nazionale.normalmente quindi, gli organi composti di individui, sono quelli che hanno i minori poteri decisionali.

Oltre a questa struttura generale, che varia da organizzazione a organizzazione, ma segue queste grandi linee, ci sono sono gli organi sussidiari che possono essere numerosi.

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In un organizzazione come le Nazioni Unite, non solo geograficamente universale ma che si occupa di tutti gli aspetti fondamentali della cooperazione internazionale tra gli stati, gli organi sussidiari sono molti, centinaia. Presentano spesso un ulteriore suddivisione che rispecchia la struttura ripartita già vista. Le più note sono quelle che riguardano uno degli aspetti più importanti di cui si occupano le Nazioni Unite e cioè la cooperazione allo sviluppo, l’assistenza e l’aiuto dei paesi in via di sviluppo. Ci sono due organizzazioni, due organi sussidiari che hanno particolare importanza in materia, uno è l’UNCTAD United Nations Conference on Trade and Development ( Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo) e l’altro è l’UNDP(PNUD in italiano) Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo. Sono i due organi che rappresentano un centro di coordinamento delle varie attività in materia di sviluppo. La differenza è che l’UNCTAD si occupa più di progettare, programmare e mettere a raccomandazione. Ha funzioni in senso lato normative e non operative. L’UNDP gestisce i fondi che gli stati mettono volontariamente a disposizione dell’organizzazione per aiutare lo sviluppo e perciò stabilisce dei programmi è in grado di attuarli, collabora con gli istituti specializzati che si occupano dei diversi settori. In qualche determinato caso, alcuni degli organi sussidiari che si occupava di sviluppo ha acquistato notevole importanza da essere successivamente trasformato da organo sussidiario in organizzazione internazionale autonoma come nell’esempio dell’UNIDO United Nations Industrial Development Organization (Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale). Nata come organo sussidiario è diventata poi un organizzazione internazionale a se stante. C’è in sostanza una burocrazia vastissima e costosissima che svolge tutte queste funzioni delle organizzazioni internazionali.

Le funzioni delle organizzazioni internazionali possono essere organizzate in tre categorie.Ci sono funzioni di tipo normativo; organizzazioni internazionali che emanano atti normativi. E’ di norma la funzione dell’organo plenario, dell’assemblea generale, o della conferenza generale in cui è rappresentato il plenum degli stati membri. Ci sono poi funzioni di carattere operativo e funzioni internazionali di controllo; il controllo è affidato ai vari organi delle organizzazioni internazionali o eventualmente a organi sussidiari o ancora a commissioni di esperti indipendenti che controllano l’adempimento da parte degli stati degli obblighi che assumono con la partecipazione all’organizzazione.

Funzione normativa: Normalmente le organizzazioni internazionali non hanno grandi poteri normativi, perché gli stati ricercano con la costituzione delle organizzazioni internazionali un equilibrio difficile tra due esigenze opposte, l’esigenza di attribuire efficacia all’azione dell’organizzazione per il raggiungimento dei compiti che le sono stai affidati e l’esigenza di mantenere la loro sovranità nazionale e perciò liberta di azione e non vogliono trasferire all’organizzazione internazionale competenze di tale importanza da finire poi per esserne sopraffatti. Si tratta perciò di trovare un equilibrio. Ciò spiega il perché ci sono poche organizzazioni in grado di emanare atti giuridici normativi con efficacia obbligatoria per gli stati. Quando hanno tali funzioni, emanano quel tipo di atti che la dottrina giuridica italiana internazionalistica chiama “procedimenti di produzione giuridica di terzo grado”. Sarebbe di terzo grado, nel sistema delle fonti internazionali, perché al primo posto c’è la consuetudine, al secondo il trattato, il cui fondamento di forza obbligatoria si fonda sulle norme consuetudinarie che lo regolano, e al terzo, queste fonti che hanno efficacia normativa per gli stati, perché sono fondati sull’accordo perchè la competenza dell’organizzazione di adottare atti che producono effetti obbligatori per gli stati si fonda sul consenso che gli stati hanno prestato con l’accordo, di istituire questo procedimento; è perciò un procedimento normativo derivato dall’accordo, ecco perché è definito di terzo grado. Atti con efficacia normativa, delle organizzazioni internazionali sono piuttosto rari, eccetto il particolare caso dell’Unione Europea. Per quanto riguarda le Nazioni Unite, ad esempio, l’assemblea generale può emanare un solo atto che ha efficacia normativa per gli stati e ciò la delibera prevista dall’art 17, paragrafo 2, della carta che suddivide le spese tra gli stai membri. L’assemblea generale stabilisce quanto ciascuno stato è tenuto a versare; ciascuno stato è obbligato perciò a contribuire alle spese dell’organizzazione. Per quanto riguarda invece il Consiglio di sicurezza, il potere di emanare atti

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normativi è previsto dall’art 41 e 42. Per le altre organizzazioni internazionali sono pochi i casi in cui possono emanare atti con efficacia obbligatoria per gli stati membri. Nella generalità dei casi, l’attività normativa si esprime attraverso un atto tipico: la raccomandazione internazionale che non ha efficacia obbligatoria ma ha efficacia meramente esortativa. L’organizzazione raccomanda quello che sarebbe opportuno che gli stati facessero per far funzionare bene l’organizzazione e per raggiungere i fini dell’organizzazione. Questi atti, non solo non hanno effetti obbligatori per gli stati, ma non hanno nessun altro tipo di effetto giuridico.

Funzioni operative. Sono di vario genere e dipendono dalla funzione generale della singola organizzazione, ad es. per le Nazioni Unite è funzione operativa, prevista dall’art 42 della carta, l’opera dei caschi blu che compiono operazioni di mantenimento della pace; per le organizzazioni che si occupano di assistenza allo sviluppo, sono funzioni operative i compiti concreti che assumono i diversi settori, es. formazione di personale e attività cooperative di vario genere.

Funzione di controllo. La funzione di controllo è un’affiliazione dei procedimenti internazionali di soluzione delle controversie. Gli stati creano degli organi che devono essere indipendenti dagli stati, con funzioni che possono mirare a risolvere le loro controversie. Questi organi fungono da tribunali internazionali con i quali si ha un procedimento giudiziario vero e proprio per arrivare ad una sentenza con esito vincolante, come avviene di fronte a qualunque tribunale. Man mano che però si sviluppava il fenomeno delle organizzazioni internazionali in tutti i settori possibili della vita economica e sociale, gli stani hanno cominciato a sentire la necessità di creare delle procedure di controllo degli adempimenti da parte degli stati. Si voleva evitare però di arrivare fino al punto di instaurare procedimenti di risoluzione delle controversie ad esisto obbligatorio, quindi tribunali davanti ai quali gli stati potevano chiamarsi gli uni con gli altri per controllare le varie questioni. Si è cercato però di creare sistemi che potessero avere il vantaggio di essere attivanti non ad istanza degli stati, ma anche d’ufficio, su denuncia di individui, da associazioni di privati. Per certi settori, ad esempio per quello che riguarda l’organizzazione internazionale del lavoro, dei sindacati, ci sono dei procedimenti internazionali di controllo che si aggiungono a quelli nazionali.

Le procedure di controllo dell’organizzazione internazionale possono essere di vario tipo. La più debole è quella dell’obbligo che gli stati hanno di presentare rapporti alle varie organizzazioni internazionali in cui riferiscono sullo stato di attuazione del diritto interno delle convenzioni che vengono stipulate su iniziativa degli organi dell’organizzazione o su impegni che hanno assunto. I rapporti vengono presentati a degli organi che hanno il potere di esaminarli e possono sfociare o in una raccomandazione o in un altro rapporto che questi organi fanno all’organo generale, l’assemblea, che a sua volta può fare delle raccomandazioni. Nei casi in cui è prevista la possibilità di adottare sanzioni nei confronti degli stati che non rispettano gli obblighi, il rapporto è un elemento sul quale ci si può basare per determinare la realtà della situazione. Procedura maggiormente penetrante è quella dell’ispezione. Ci sono degli organi che hanno il potere di fare ispezioni, anche recandosi sul posto interessato dove necessario. E’ necessario il permesso dello stato quando è necessario entrare nel territorio nazionale, permesso che può essere d’obbligo. Caso abbastanza noto di ispezioni, sono quelle che fa la IEA (International Energy Agency), che è un organizzazione internazionale specializzata nel settore dell’energia atomica. Tra le sue principali funzioni ha quella di controllare che gli stati, ai quali viene trasferito da altri stati la tecnologia necessaria per la produzione di energia nucleare, si limitino alla produzione di energia nucleare e non vadano dotandosi di armi nucleari, soprattutto quando si tratta di stati che hanno firmato il trattato di non produzione nucleare. In altri casi, ci sono delle procedure di controllo che si svolgono in contraddittorio e che ricordano il procedimento giudiziale che non sfociano però in una sentenza. Un esempio è il comitato delle Nazioni Unite dei diritti umani istituito nel 1966 da patto sui diritti politici e civili. Gli individui possono indirizzare comunicazioni al comitato che emette un rapporto il quale può anche essere reso pubblico.I controlli possono essere preventivi per prevenire l’inadempimento degli obblighi. Un esempio sono le procedure preventive di controllo in ambito europeo previste dall’EURATOM. Avvolte sono previste

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da trattati bilaterali tra gli stati come nel caso di uno stato, che fornisce materiale fissile per la produzione di energia nucleare, può, prima di consegnare la merce, mandare i propri esperti a controllare gli impianti dell’altro stato.

Si può quindi passare ad analizzare le principali delle organizzazioni internazionali, iniziando sicuramente dalle Nazioni Unite e dalle funzioni dei sui principali organi.L’assemblea generale è l’organo nel quale sono rappresentati tutti gli stati, può occuparsi di qualunque questione che sia di competenza dell’organizzazione (soluzione delle controversie tra gli stati, mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, rispetto dei diritti dell’uomo, aiuto allo sviluppo, cooperazione internazionale in tutti i diversi settori della vita economica e sociale). Al carattere generale della competenza, per l’assemblea, si contrappone il non avere abbastanza poteri. Può adottare delle raccomandazioni, non muniti di efficacia obbligatoria, salvo l’unica eccezione della ripartizione dei contributi degli stati all’organizzazione prevista dall’art.17 par.2. Le competenze dell’assemblea sono genericamente indicate dagli art. 10-11-12(lettura degli art.):Articolo 10 L’Assemblea Generale può discutere qualsiasi questione od argomento che rientri nei fini del presente Statuto, o che abbia riferimento ai poteri ed alle funzioni degli organi previsti dal presente Statuto e, salvo quanto disposto dall’articolo 12, può fare raccomandazioni ai Membri delle Nazioni Unite od al Consiglio di Sicurezza, o agli uni ed all’altro, su qualsiasi di tali questioni od argomenti.Articolo 11 1. L’Assemblea Generale può esaminare i princìpi generali di cooperazione per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, compresi i princìpi regolanti il disarmo e la disciplina degli armamenti, e può fare, riguardo a tali principi, raccomandazioni sia ai Membri, sia al Consiglio di Sicurezza, sia agli uni ed all’altro. 2. L’Assemblea Generale può discutere ogni questione relativa al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale che le sia sottoposta da qualsiasi Membro delle Nazioni Unite in conformità all’articolo 35, paragrafo 2 e, salvo quanto disposto nell’articolo 12, può fare raccomandazioni riguardo a qualsiasi questione del genere allo Stato o agli Stati interessati, o al Consiglio di Sicurezza od agli uni ed all’altro. Qualsiasi questione del genere per cui si renda necessaria un’azione deve essere deferita al Consiglio di Sicurezza da parte dell’Assemblea Generale, prima o dopo la discussione. 3. L’Assemblea Generale può richiamare l’attenzione del Consiglio di Sicurezza sulle situazioni che siano suscettibili di mettere in pericolo la pace e la sicurezza internazionale. 4. I poteri dell’Assemblea Generale stabiliti in quest’articolo non limitano la portata generale dell’articolo 10.

Il limite nella risoluzione delle controversie però sta nel fatto che se c’è necessità di un azione da parte delle Nazioni Unite che non sia di indirizzare raccomandazioni, allora l’assemblea generale deve deferire la questione al consiglio di sicurezza, essendo questo l’unico organo competente ad intraprendere azioni per il mantenimento della pace e della sicurezza in base al capito settimo della carta.

Articolo 12 1. Durante l’esercizio da parte del Consiglio di Sicurezza delle funzioni assegnategli dal presente Statuto, nei riguardi di una controversia o situazione qualsiasi, l’Assemblea Generale non deve fare alcuna raccomandazione riguardo a tale controversia o situazione, a meno che non ne sia richiesta dal Consiglio di Sicurezza. 2. Il Segretario Generale, con il consenso del Consiglio di Sicurezza, informa l’Assemblea Generale, ad ogni sessione, di tutte le questioni relative al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale di cui stia trattando il Consiglio di Sicurezza ed informa del pari l’Assemblea Generale, o i Membri delle Nazioni Unite se l’Assemblea Generale non é in sessione, non appena il Consiglio di Sicurezza cessi dal trattare tali questioni.

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Riassumendo, l’Assemblea generale può occuparsi di qualunque questione, anche di una controversia tra stati, ma laddove è richiesta un azione, non è più l’organo competente ma deve deferire la questione al Consiglio di Sicurezza. Inoltre, se già il Consiglio di Sicurezza si sta occupando di una determinata questione, l’Assemblea generale non può intervenire, avendo la precedenza il Consiglio.

Il Consiglio di Sicurezza, come già visto, si occupa della soluzione delle controversie internazionali tra gli stati e del mantenimento della pace. Le sue competenze sono di due tipi e sono affrontate in due capitoli distinti della carta: il cap.VI riguarda la “soluzione pacifica delle controversie” (collaborazione tra gli stati per risolvere la situazione), il cap.VII “Azione rispetto alle minacce alla pace, alle violazioni della pace ed agli atti di aggressione” (sono azioni da intraprendere). Nella parte da cap.VI il Consiglio di Sicurezza ha funzione di mediazione. La disciplina della modalità di attuazione di questa competenza, è minuziosa, contenuta negli art. da 33 a 38. Il Consiglio non può fare proposte, nella fase iniziale, ma se le parti si sono a quest’organo rivolte, può raccomandare metodi e procedure. L’art. 33 contiene difatti un elenco delle procedure (lettura):

Articolo 33 1. Le parti di una controversia, la cui continuazione sia suscettibile di mettere in pericolo il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, devono, anzitutto, perseguirne una soluzione mediante negoziati, inchiesta, mediazione, conciliazione, arbitrato, regolamento giudiziale, ricorso ad organizzazioni od accordi regionali, od altri mezzi pacifici di loro scelta. 2. Il Consiglio di Sicurezza ove lo ritenga necessario, invita le parti a regolare la loro controversia medianti tali

Il Consiglio di sicurezza quindi in una prima fase può solo raccomandare alle parti il ricorso a procedimenti di risoluzione ma non entrarne nel merito presentando soluzioni possibili alla loro controversia. Soltanto se le parti non sono riuscite, o non hanno voluto, regolare la controversia in questa maniera, il Consiglio può allora raccomandare quelli che vengono definiti nel linguaggio della carta “termini di regolamento”, non più “metodi”. Quando invece il Consiglio agiste in termini del cap.VII, differisce la situazione di presupposto, essendoci una minaccia più concreta alla pace o la pace è stata già violata. L’art. 39 prevede la possibilità del Consiglio di agire concretamente.

Articolo 39 Il Consiglio di Sicurezza accerta l’esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di aggressione, e fa raccomandazioni o decide quali misure debbano essere prese in conformità agli articoli 41 e 42 per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale.

La funzione qui non è più quella conciliativa, di mediazione, di assistenza alle parti, ma diventa funzione operativa. I poteri del Consiglio di Sicurezza sono indicati in due fondamentali articoli, art.41 e 42. Nell’art.41 il Consiglio, ma può adottare delle risoluzioni obbligatorie per gli stati; ciò viene definito “sanzione internazionale”, per cui il C.d.S. può adottare una decisione, atto del C.d.S. con efficacia obbligatoria per gli Stati. (lettura art.41)

Articolo 41 Il Consiglio di Sicurezza può decidere quali misure, non implicanti l’impiego della forza armata, debbano essere adottate per dare effetto alle sue decisioni, e può invitare i membri delle Nazioni Unite ad applicare tali misure. Queste possono comprendere un’interruzione totale o parziale delle relazioni economiche e delle comunicazioni ferroviarie, marittime, aeree, postali, telegrafiche, radio ed altre, e la rottura delle relazioni diplomatiche.

La funzione operativa consiste invece nell’intervenie materialmente con forze militari, c.d. caschi blu delle Nazioni Unite, prevista dall’art.42. (lettura).

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Articolo 42 Se il Consiglio di Sicurezza ritiene che le misure previste nell’articolo 41 siano inadeguate o si siano dimostrate inadeguate, esso può intraprendere, con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Tale azione può comprendere dimostrazioni, blocchi ed altre operazioni mediante forze aeree, navali o terrestri di Membri delle Nazioni Unite.

25 02 2010

Stavamo esaminando le Nazioni Unite perchè stiamo parlando delle Organizzazioni internazionali e quindi delle attività, delle funzioni degli organi, avevamo visto l'Assemblea Generale e stavamo parlando del Consiglio di Sicurezza che è quello che esercita le funzioni, sotto molti aspetti, più rilevanti per lo studio dei problemi che ci sono e quindi è significativo, io cercherò di fare una sintesi il più possibile completa, ma nei limiti di una sintesi naturalmente, del resto poi voi studiate le Nazioni Unite come parte speciale e quindi avrete tempo di approfondire ampiamente tutte queste questioni. Per quello che concerne il Consiglio di Sicurezza avevamo visto l'altra volta le funzioni per le soluzioni delle controversie, molto sinteticamente, e quelle per il mantenimento della pace, avevamo visto che si basavano essenzialmente sui due tipi di misure degli artt. 41 e 42. Misure dell'art 41 sono le misure di reazione contro uno Stato che minaccia la pace o che ha compiuto un atto di agressione che il Consiglio di Sicurezza può imporre agli Stati con una decisione, quindi con un atto vincolante, di prendere, mentre l'art 42 riguarda le misure vitali, concrete nell'esercizio di quella che potremmo definire una funzione di polizia internazionale affidata al Consiglio di Sicurezza, che il Consiglio di Sicurezza può adottare direttamente, quindi in sostanza le misure dell'art 41 rientrano in una funzione di tipo normativo, mentre quelle dell'art 42 in una funzione di tipo operativo, questo nello schema che abbiamo visto l'altra volta del tipo di attività e delle funzioni che in generale esercitano le Organizzazioni internazionali, ricordate abbiamo fatto una tripartizione: funzioni normative, funzioni operative, funzioni di controllo. Questa attività del Consiglio di Sicurezza per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale ha avuto due fasi storiche: la prima dalla fondazione delle Nazioni Unite, 1945, fino alla fine della guerra freda, cioè se vogliamo dare una data precisa, il 1989 l'anno in cui è caduto il regime dell'Unione Sovietica e poi il muro di Berlino e la fase successiva. Nella prima fase le attività del Consiglio di Sicurezza sono state molto modeste quantitativamente perchè era quasi sempre bloccato dalla regola di decisione, come tutti conoscete, già dal così detto diritto di veto, vale a dire da quella regola secondo cui il Consiglio di Sicurezza non può adottare decisioni se non con l'unanimità dei membri permanenti, questa divisione in due campi dei membri permanenti aveva come conseguenza che non solo il Consiglio di Sicurezza non poteva ovviamente adottare decisioni contro un membro permanente perchè non avrebbe certamente votato a favore o contro sè stesso ma nemmeno contro Governi che erano alleati o che per un motivo o per un'altro uno dei due campi aveva interesse a sostenere o a coprire nel caso che ci fosserò delle magagne e di conseguenza il Consiglio di Sicurezza funzionava pochissimo per cui le misure dell'art 41 quelle che si chiamano, con una terminologia non molto esatta giuridicamente, comunque si usa definirle le sanzioni economico doplomatico di altra natura decise dal Consiglio di Sicurezza i casi di applicazione sono stati pochissimi, essenzialmente ci fu il caso della Rodesia, dove c'era stato quel Governo razzista che si era

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installato con un colpo di stato, si era separato dalla Gran Bretagna e si era instaurato da un Governo razzista, e poi contro il sud Africa anche lì per lo stesso motivo, per la sua politica di apartheid. A partire invece dalla guerra freda gli interventi del Consiglio di Sicurezza con misure di cui all'art 41 si sono intensificati moltissimo, c'è ne stato si può dire praticamente da allora quasi uno ogni anno, si cominciò nel 1990 con l'embargo totale nei confronti dell'Iraq quando l'Iraq aggredì Kuwait con l'intenzione di annetterselo burtalmente, l'anno dopo ci furono delle sanzioni nei confronti della Jugoslavia per l'intervento in Bosnia Erzegovina poi nelle parti della Croazia non abitate da serbi ecc, poi l'anno dopo ancora, nel 1992 le sanzioni contro la Libia per l'assistenza data dalla Libia al terrorismo, c'erano stati degli episodi terroristici, l'attentato di Locker e altri attentati organizzati e portati dal Governo libico e poi ci sono stati negli anni successivi una serie di misure di questo tipo nei confronti di varie situazioni relativi a Paesi africani, poi c'è stato L'Afganistan, L'Iraq più recentemente, adesso c'è L'Iran, la Corea del Nord ecc, quindi l'attività del Consiglio di Sicurezza e diventata molto intensa. In una prima fase storica il problema principale è stato quello del rapporto che esisteva tra queste competenze del Consiglio di Sicurezza che riguardano il mantenimento della pace e abbiamo visto che in particolare riguardano un'azione che il Consiglio di Sicurezza può chiedere agli Stati di intraprendere o intraprendere lui stesso, a seconda se siamo all'art 41 o 42, quando c'è una minaccia alla pace oppure addirittura quando già c'è stato un agressione, c'è già una rottura della pace. Ora, queste funzioni non sono funzioni che hanno come destinazione quella di reagire alla violazione del diritto internazionale, in sostanza non si tratta di una funzone, centalizzata di reazione all'illecito internazonale perchè il Consiglio di Sicurezza ha, in base alla funzione istituzionale, di agire nell'ambito di un sistema di sicurezza collettiva per gestire le crisi e per reagire a minacce imminenti alla pace o addirittura agli atti di aggressione, però siccome in quegli stessi anni si è cominciata a affermare quella categoria della quale abbiamo già parlato degli obblighi erga omnes, cioè gli illeciti più gravi che sono contemporaneamente illeciti nei confronti di tutti i membri della Comunità internazionale e allora si è acceso, proprio nel periodo in cui il Consiglio di Sicurezza cominciava a funzionare di più, un dibattito che ancora oggi non è stato del tutto risolto circa il rapporto che c'è tra la reazione all'illecito nei confronti di tutta la comunità internazionale e le funzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Un dibattito nel quale ci sono posizioni diverse perchè i Paesi in via di sviluppo hanno sempre cercato di far affermare la regola di una reazione all'illecito centralizzata, fatta quindi sotto leggi delle Nazioni Unite per evitare la disparità di mezzi di cui dispongono rispetto ai Paesi occidentali, agli Stati Uniti, agli altri Paesi industrializzati dell'occidente perchè è chiaro che in un sistema in cui la reazione dell'illecito è decentralizzata, i Paesi più forti hanno ovviamente , anche più forti economicamente, qui stiamo parlando non di misure che comportano l'uso della forza armata ma anche di sanzione economica, di misure diplomatiche ecc, è evidente che i Paesi più forti hanno molte maggiori possibilità di fare valere il loro punto di vista nei confronti dei più deboli, mentre quando sono i più forti a commettere violazioni gravi del diritto internazionale, gli Stati Uniti diverse volte ne hanno commesse, incluse le violazioni del divieto dell'uso della forza anche in anni recenti come nel caso dell'Afganistan, dell'Iraq ecc. In questi casi evidentemente la sproporzione di forze che c'è fa sì che soltanto una parte può agire efficacemente nei confronti dell'altra e non viceversa, però bisognerebbe evitare di confondere quelle che sono le funzioni del Consiglio di Sicurezza con la reazione all'illecito perchè il Consiglio di Sicurezza non è un giudice, non è nemmeno un organo super partes o un organo imparziale e non ha, sopratutto, avute assegnate dalla Carta delle Nazioni Unite le funzioni di reagire, essere custode del rispetto del diritto internazionale o di reagire alle violazioni del diritto internazionale. A maggior ragione se si considera che quando la Carta delle Nazioni Unite fu creata molte delle norme relative agli obblighi erga omnes ancora non esistevano, non esisteva nemmeno a livello consuetudinario, come oggi invece esiste, un divieto generalizzato del ricorso alla forza militare da parte degli Stati e nè esistevano e si erano ancora affermati i principi sull'autodeterminazione dei popoli, sulla tutela internazionale dei diritti dell'uomo e tutto il resto, e comunque la Carta delle Nazioni Unite non attribuisce questo compito al Consiglio di Sicurezza, nè, del resto, il Consiglio di Sicurezza è in grado di esercitare una particolare efficienza, non solo non è imparziale e comunque non può nemmeno lui reagire contro gli illeciti commessi dai 5 Paesi che sono membri permanenti o da qualcuno dei Paesi che è uno dei 5 membri permanenti decida di voler coprire, quindi ha già un limite operativo e in secondo luogo appunto non essendo un giudice non è

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nemmeno in grado di assicurare un azione obiettiva internazionale che sia realmente imparziale. Oggi probabilmente la regola secondo cui ogni Stato che si ritenga vittima di un illecito, anche degli illeciti erga omnes, può reagire anche in forma decentralizzata è probabilmente l'unica conclusione alla quale si può arrivare, del resto la prassi internazionale degli ultimi decenni dimostra che in molti casi anche al di fuori delle misure adottate dal Consiglio di Sicurezza ci sono state reazioni all'illecito di questo tipo, quindi probabilmente perfino quel termine che viene utilizzato normalmente nelle pratica di sanzioni economiche, sanzioni diplomatiche, il termine sanzione è già ambiguo perchè si tratta soltanto di misure che tendono a fare pressione su uno Stato anche in casi di minaccia alla pace, la minaccia alla pace poi dovrebbe essere ragionevolmente imminente, dovrebbe essere grave perchè, almeno, la lettura della Carta non autorizza conclusioni diverse perchè se c'è una controversia tra Stati, dice il capitolo sesto, la cui continuazione sia suscettibile di mettere in pericolo la pace, il Consiglio di Sicurezza può soltanto agire con metodi relativi alla soluzione delle controversie e non può adottare le misure del capitolo settimo, è vero che la formula utilizzata al capitolo settimo è abbastanza generica:"una minaccia alla pace", ed è anche vero che violazioni gravi del diritto internazionale, per esempio dei diritti dell'uomo, dell'autodeterminazione dei popoli possono creare situazione di tensione con gli altri Stati però una minaccia alla pace che non è ragionevolmente imminente probabilmente non autorizzerebbe il ricorso delle misure di cui al capitolo settimo, quindi in una interpretazione letterale, forse se volete un pò tradizionalistà, bisognerebbe tenere distinte le reazione di illecito erga omnes dalle funzioni del Consiglio di Sicurezza, è naturalmente vero il fatto che il Consiglio di Sicurezza con una certa discrezionalità politica può consentire in certi casi di considerare come situazioni di minaccia alla pace anche situazioni in cui la minaccia non è ancora particolarmente imminente, del resto un caso è quello di cui si legge in questi giorni sui giornali, la questione dell'arricchimento dell'uranio, reale o presunto da parte dell'Iran che tutto sommato sta dando luogo a delle misure di sanzione che sono già state in parte messe in atto, in parte ancora soltanto minacciate, anche qui si può dubbitare che sia una minaccia alla pace così grave, sopratutto se si considera che ci sono molte altre decine di Stati sovrani che le armi nucleari c'è le hanno e in fondo come c'e le hanno gli altri, alcuni non è nemmeno sicuro che abbiano intensioni molto pacifiche in sostanza, quindi come c'è le hanno gli altri non si vede perchè anche l'Iran non possa averle dato che non è più parte del trattato di non proliferazione nucleare. C'è adesso una seconda fase che è più interessante, più nuova, delle sanzioni del Consiglio del Sicurezza, sanzioni appunto con tutte le riserve che abbiamo fatto sull'uso di questo termine, che riguarda la possibilità di adottare misure non nei confronti di uno Stato ma nei confronti di singoli individui e di singoli gruppi di individui e che è uno sviluppo nuovo che si è cominciato a realizzare, e che ormai è abbastanza consolidato, da quando è cominciato una reazione massiccia ed intensa della Comunità internazionale guidata dagli Stati Uniti contro il terrorismo internazionale, in particolare contro gli Stati accusati di dare aiuto o sostegno o rifugio ai terroristi perchè dalla idea delle reazioni, delle misure contro gli Stati si è passato all'idea di cercare di colpire in maniera selettiva gli individui interessati, sono quelle che sono state chiamate le Smart sanctions cioè le sanzioni intelligenti, intelligenti nel senso di mirate, perchè le sanzioni economiche indiscriminate spesso, sopratutto se fatte contro Paesi in via di sviluppo, colpiscono gravemente le popolazioni civili che magari sono del tutto innocenti e che possono anche trovarsi ad essere già sfavorite dal fatto di essere vittime di regimi totalitari despoitici o addirittura sanguinari e in più di essere colpite economicamente dalle sanzioni internazionali, quindi finiscono per essere danneggiati due volte invece che aiutati, è invece l'idea di colpire proprio gli individui, per esempio è stata adottata una risoluzione addirittura di carattere generale del Consiglio di Sicurezza, che è la risoluzione nr 1373 del 2001 con la quale il Consiglio di Sicurezza, non in relazione ad una crisi determinata quindi ad un caso specifico, ma in generale ha voluto adottare delle regole generali che tutti gli Stati dovrebberò, nelle loro legislazioni, nei loro ordinamenti interni, applicare, che impediscono il finanziamento, l'accumulo e l'utilizzazione dI risorse finanziarie da parte dei terroristi o di persone, di Organizzazioni che sono legate al terrorismo, quindi l'idea di passare dalle sanzioni contro gli Stati alle sanzioni contro individui o gruppo di individui. Questa idea è stata attuata, in particolare, nei confronti di persone legate ad al Qaeda, questo movimento integralista islamico che è responsabile del attentato famoso del 2001 alle torri gemelle. Per queste tipo di sanzioni si sono presentate anche una serie di problemi giuridici di varia natura perchè, in sostanza, l'individuazione degli individui contro i quali vengono

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adottate misure del tipo per esempio del blocco dei conti correnti o di sequestro di risorse di vario tipo, assilare questa attività agli Stati su richiesta del Consiglio di Sicurezza ha posto anche dei problemi di legalità e di tutela dei diritti della persona, il diritto di difendersi per esempio, perchè normalmente vengono formate delle liste di persone che il Consiglio di Sicurezza nomina un Comitato, ci sono sempre stati dei Comitati come organi sussidiari del Consiglio di Sicurezza che sorvegliano l'attuazione delle sanzioni, si chiamano nel gergo diplomatico inglese watch dog comiti, cioè dei Comitati che fanno il watch dog e cioè il cane da guardia perchè sono i Comitati delle sanzioni, oltre di esperti che verificano che gli Stati effettivamente adempiano agli obblighi che risultano dalle decisioni del Consiglio di Sicurezza. Allora questi Comitati nel caso delle sanzioni indirizzate contro individui, società, naturalmente, persone fisiche o giuridiche, e non più contro Stati, le liste vengono formate su indicazione degli Stati i qualli normalmente queste indicazioni le danno perchè hanno i servizi segreti, i servizi di informazioni che sospettano o dichiarano di avere prove che determinati individui fiancheggiano il terrorismo o certi conti correnti bancari per esempio o certe risorse economiche finanziarie di vario tipo sono destinate a finanziare il terrorismo. In realtà un procedimento di accertamento delle prove non c'è, e ci sono stati casi di persone che hanno fatto ricorsi davanti a giudici interni per esempio contro queste inclusione nelle liste sostenendo di essere vittime di informazioni che non erano esatte. Per cercare di migliorare la situazione è stato introdotto dal Consiglio di Sicurezza un procedimento che si chiama di DELISTING in inglese e cioè togliere dalla lista quell'individuo che presentava un ricorso e che dicono: " ma, mi avete bloccato i miei conti correnti perchè ditte che fiancheggio il terrorismo, io non ne sò niente, sono completamente innocente, chi lo ha detto, su quale base, quali prove ci sono?", insomma l'esigenza di difendersi, e questo procedimento però è un procedimento anche questo che garantisce poco perchè siccome ovviamente questi meccanismi funzionano sulla base della segretezza, delle informazioni fornite con metodi ovviamente non sempre trasparentissimi dei servizi di sicurezza e poi viene affidata anche la procedura eventuale di delisting ai rappresentanti dei Governi in seno a questi organismi costituiti dal Consiglio di Sicurezza, addirittura lo stesso individuo ricorrente non viene nemmeno sentito, non ha nemmeno il diritto di essere convocato di dire la sua, di dire le sue ragioni, di essere informato di quali sono i mezzi di prova che vengono adotti contro di lui, quindi è un procedimento poco garantista. Questo ha fatto sì che ci sono stati anche dei ricorsi giurisdizionali, ci sono stati una serie di casi interessanti che hanno coinvolto anche la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, il Tribunale di Primo Grado naturalmente cioè gli organi di giustizia europea perchè le sanzioni economiche decise dalle Nazioni Unite, quando si tratta di misure di carattere commerciale o finanziario, siccome la così detta politica commerciale e quindi la relazione economica con l'esterno dell'Unione Europea non è più materia di competenza degli Stati ma è materia di competenza della Comunità, queste misure non vengono adottate da noi, nell'Unione Europea, le decisioni del Consiglio di Sicurezza non vengono eseguite dagli Stati con provvedimenti nazionali ma dall'Unione Europea perchè è l'Unione Europea che è competente in materia di politica commerciale e c'è una norma che era una volta l'art 301 del trattato CE e oggi è l'art 215 del trattato di funzionamento dell'Unione che prevede un procedimento di questo genere, bisogna innanzi tutto ricordare questo: che l'Unione Europea non è membro delle Nazioni Unite come gli Stati e siccome è un soggetto di diritto internazionale distinto sia dagli Stati sia dalle Nazioni Unite, non è vincolato dalle decisioni delle Nazioni Unite perchè le decisioni delle Nazioni Unite vincolano gli Stati membri, che sono membri delle Nazioni Unite, che quindi sono sottoposti agli obblighi risultanti dall'art 41 ma l'Unione Europea in quanto tale no. Però siccome poi gli Stati membri hanno trasferito all'Unione Euopea le competenze in materia di relazioni commerciali con l'estero e allora non possono poi più attuarle loro e le deve attuare l'Unone Europea e allora all'interno del sistema dell'Unione Europea si è creato un meccanismo complesso che si articola in due fasi: ci vuole prima di tutto una decisione, una deliberazione adottata dagli Stati membri in sede di politica estera e di sicurezza comune dal momento che la decisione riguarda la politica estera e non la politica commerciale in senso stretto, sulla base di questa decisione poi la decisione viene attuata dall'Unione Europea con un atto comunitario, nomalmente un regolamento comunitario, per esempio un regolamento che blocca l'esportazione e l'importazione con i Paesi terzi, quindi come vedete la procedura di attuazione è molto complessa, c'è la decisione presa dal Consiglio di Sicurezza in base all'art 41 obbligatorio per gli Stati, gli Stati membri dell'Unione Europea che in sede di politica estera e di sicurezza comune adottano una

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decisione di principio e sulla base di questa poi la Comunità può adottare un regolamento comunitario. Ora, ovviamente gli atti comunitari sono sottoposti al controllo della Corte di Giustizia e devono ovviamente osservare una serie di cose tra cui i diritti fondamentali della persona umana, voi sapete che un atto comunitario che non tutela i diritti fondamentali, quali risultano oggi da tutte quelle fonti che oggi abbiamo già indicato e abbiamo già visto, può essere annullato dal Tribunale di Primo Grado o dalla Corte di Giustizia ed è quello che è avvenuto appunto ci sono stati due ricorsi di due signori che si chiamavano Kadie, Yusuf i quali si erano visti congelare dei fondi con questo provvedimento comunitario adottato sulla base dell'iter che vi ho descritto e che hanno detto noi vogliamo difenderci, non ci sono prove, voi non ci avete dato la possibilità di difenderci, noi non siamo affato colpevoli, non abbiamo niente a che vedere col terrorismo e quindi i nostri conti correnti bancari non c'è nessuna ragione di sottoporceli a sequestro e il Tribunale di Primo Grado gli diede torto sostenendo che siccome la decisione veniva dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il Tribunale di Primo Grado non era competente a sindacare le decisioni del Consiglio di Sicurezza, non c'era difesa giurisdizionale in questo caso. Una sentenza che è stata criticatissima e che era assolutamente assurda dal momento che qui non si trattava di sindacere le decisioni del Consiglio di Sicurezza ma si trattava di agire contro un regolamento comunitario e la giustizia comunitaria ovviamente è competente a sindacare i regolamenti comunitari, il regolamento comunitario adotta delle misure restrittive a carico di una persona fisica o giuridica senza che ci sia la possibilità di difendersi, contestarle in giudizio, che ci siano dei motivi considerati giustificati evidentemente viola diritti fondamentali della persona. E infatti la Corte di Giustizia in sede di appello con una sentenza del 2008 ha riconosciuto la fondatezza di queste censure e quindi ha annullato le due decisioni di primo grado in questi due casi Kadie e Yusuf. Tra l'altro è anche interessante che la mancanza di trasparenza giuridica e quindi di rispetto delle garanzie giurisdizionali in questa materia è stata riconosciuta fin'ancho dallo stesso organo delle Nazioni Unite, perchè sempre nel 2008, due anni fa, c'è stato un caso analago che si chiamava Sayadi il ricorrente che ha fatto ricorso al Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell'uomo, cioè quello istituito dal patto del 1966 sui diritti civili e politici, di cui abbiamo parlato, il quale ha riconosciuto che effettivamente il ricorrente avava perfettivamente ragione a protestare per la violazione dei suoi diritti, questo quindi significa che uno stesso organo di tutela dei diritti fondamentali delle Nazioni Unite ha riconosciuto che questa procedura viola i diritti fondamentali della persona. Adesso il trattato sul funzionamento dell'Unione che, come sapete, è entrato in vigore da pochissimo tempo tiene infatti conto di queste esigenze perchè ha modificato quello che era una volta l'art 301 del trattato CE introducendo poi una previsione più specifica. Adesso lo leggiamo, art 215, il paragrafo 1 riflette sostanzialmente l'ex art 301 del trattato CE e dice :" quando una decisione adottata conformemente al capo 2 del titolo quinto del trattato sull' Unine Europea, cioè su una decisione in sè di politica estera e sicurezza comune, prevede l'interruzione o la riduzione totale o parziale delle relazioni economiche e finanziarie con uno o più Paesi terzi, il Consiglio deliberando a maggioranza qualificata su proposta congiunta dell'Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e della Commissione, adotta le misure necessarie e informa il Parlamento Europeo", il paragrafo 2 aggiunge "quando una decisione adottata conformemente al capo 2 del titolo quinto ecc lo prevede, il Consiglio può adottare, secondo la procedura di quel paragrafo 1, anche misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche, di gruppi o di entità non statali", quindi aggiunge questa possibilità che allora non c'era e il paragrafo 3 specifica ulteriormente che "gli atti di quel presente articolo contengono le necessarie disposizioni sulle garanzie giuridiche", quindi si è riconosciuto che anche se il Consiglio di Sicurezza non si occupa delle garanzie giuridiche direttamente, salva questa procedura di delisting, che come vi ho detto è una procedura con finalità intergovernativa alla quale l'individuo non ha accesso diretto per far valere le sue ragioni, però comunque sono gli stessi regolamenti comunitari di attuazione che devono garantire la necessaria possibilità di difesa, tra l'altro quest'art 215 prevede espressamente l'ipotesi di restrizioni finanziarie contro gli individui perchè uno degli attacchi che era stato mosso a questi regolamenti comunitari nei casi Kadie e Yusuf riguardava non soltanto la violazione dei diritti della difesa, il diritto di fare valere le proprie ragioni, di essere ascoltato, ma riguardava anche il fatto che la Comunità era probabilmente incompetente, e io credo che fosse giusto perchè la competenza della Comunità in questa materia riguarda la relazione economica con gli Stati terzi mentre invece bloccare un conto corrente all'individuo non c'entra con le

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competenze in materia di politica commerciale di relazioni economiche con l'esterno, con gli altri Stati, infatti alla Corte di Giustizia era stato presentano anche questo gravame, la Corte di Giustizia che è sempre estremamente restia, anche troppo anzì secondo me, nel riconoscere che la Comunità non è competente a fare tutto, che la competenza comunitaria ha dei limiti, invece non ha voluto riconoscere che c'era anche questo limite perchè questa sanzione intelligente essendo una sanzione di tipo diverso, non sono sanzioni contro gli Stati ma appunto misure di blocco di averi di persone private nelle banche, ecc evidentemente era un tipo di attività che non era di competenze comunitarie e che quindi esorbitava dall'art 301, la Corte di Giustizia però ha detto di no. Adesso questo art 215 si è quindi, nuovo, conformato a questa nuova prassi del Consiglio di Sicurezza ed è stata attribuita all'Unione Europea questa competenza che invece non aveva, anche se lo ha esercitata per alcuni anni. In sostanza la discussione di questo problema serve a mettere in evidenza un'altra cosa che è importante vedere e cioè l'internazionalizzazione di certe competenze statali, il trasferimento di certe competenze dal piano degli ordinamenti interni al piano di organi internazionali crea sempre dei problemi di tutela del diritto e delle ragioni, degli interessi delle persone coinvolte perchè si tratta di trasferire poteri decisionali a organi che sono spesso politici, che sono intergovernativi e contro i quali una tutela giurisdizionale diretta non c'è. In sostanza tutte le attività di politica estera che riguardano il diritto internazionale presentano questo genere di problemi , qundo ci sarà negli ordinamenti interni sia il diritto di rivolgersi a un giudice sia a che fare con provvedimenti interni ovviamente esistono più garanzie, invece il carattere intergovernativo internazionale dell'esercizio di poteri pubblici e poi si ritornano nei confonti degli individui ovviamente presenta sempre questi limiti. E allora direi che per l'art 41 abbiamo detto abbastanza, adesso art 42 quindi le misure che comportano l'uso della forza, anche qui vale quello che abbiamo detto poco fa, cioè fino agli anni della guerra freda, quando cioè l'attività del Consiglio di Sicurezza era ostacolata dai veli incrociati che regolarmente, sopratutto Stati Uniti e Unione Sovietica ma qualche volta anche altri Paesi, la Cina, la Francia, L'Ingilterra, a seconda dei casi potevano farsi valere gli uni con gli altri, il Consiglio di Sicurezza ha funzionato poco e quindi anche queste misure hanno funzionato pochissimo. Originariamente la Carta delle Nazioni Unite prevedeva, e questo lo abbiamo già detto ma lo ricordiamo, che subito dopo la sua entrata in vigore nel 1945 avrebbero dovuto essere stipulati degli accordi, che erano regolati dall'art 43 in particolare, tra Consiglio di Sicurezza e gli Stati membri delle Nazioni Unite con il quale alcuni Stati membri avrebbero fornito al Consiglio di Sicurezza delle forze armate in maniera da costiture una specie di esercito permanente delle Nazioni Unite che avrebbe potuto intervenire tutte le volte che c'era una situazione di crisi, un pò come la protezione civile di Bertolaso per intenderci, questo sistema permanente però non venne costituito proprio perchè siccome scoppiò quasi subito la guerra freda gli stati non di misero d'accordo e quindi questa parte della Carta è rimasta sempre inattuata. Oggi dato che questa fase storica dei rapporti internazionali è finita, è stata superata, si comincia a riparlare della possibilità eventualmente di ricrearlo, come pure si sta parlando di cercare di riformare la Carta delle Nazioni Unite perchè la Carta della Nazioni Unite con questa composizione che ha il Consiglio di Sicurezza riflette i rapporti di forza che si crearono alla fine della seconda guerra mondiale, quindi venne data una posizione di privilegio alle potenze vincitrici che tra l'altro a quell'epoca erano i 5 Paesi, almeno tra quelli che avevano vinto la guerra, più importanti del mondo, sennonchè oggi le situazioni sono cambiate sotto vari aspetti, intanto la messa in quarantena degli sconfitti non può durare, evidentemente, per secoli, ormai sono passati tanti anni e in secondo luogo ci sono Paesi che sono diventati anche più importanti politicamente, economicamente, militarmente rispetto a quelli che erano una volta e quindi ci sono dei Paesi che hanno una situazione di privilegio all'interno della Carta, anche il meccanismo del diritto di veto, cioè questa posizione di particolare vantaggio conferita a 5 Paesi rispetto a tutti gli altri Stati membri della Comunità internazionale, oggi si giustifica poco, quindi sono stati fatti una serie di tentativi, di proposte per modificare la composizione del Consiglio di Sicurezza, sennonchè non ci si riesce perchè ogni proposta aveva degli Stati a favore ma aveva degli Stati contrari,quali invece avrebbero potuto trovare una soluzione diversa ed è molto difficile che si possa riuscire a modificare la situazione quindi rimane quella che è una situazione che oggi, mentre poteva essere considerata più accettabile 50, 40 anni fà, appare sicuramente discuttibile e continua a rappresentare un ostacolo al funzionamento del Consiglio di Sicurezza e anche un ostacolo alla sua imparzialità, uno dei problemi in un sistema di questo tipo è quello che nella prassi, nel linguaggio

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diplomatico si chiama il Doctor Standard e coè ci sono delle regole di collocazione diversa a seconda che la stessa cosa venga fatta da un Paese o venga fatto da un'altro, ci sono Paesi che sono, per definizione, esenti dalle reazioni della Comunità internazionale finchè queste reazioni avvengano all'interno del sistema delle Nazioni Unite, possono però venire naturalmente al di fuori al sistema delle Nazioni Unite, però questo qui è un problema. Ad ogni modo, l'idea che dicevo era quella di creare queste forze permanenti che non sono mai state create. Nei vari casi in cui il Consiglio di Sicurezza ha funzionato, per molto tempo, le attività, gli interventi delle Nazioni Unite per ristabilire la pace sono state piuttosto blandi, piuttosto limitati, c'è stata tutta una prima fase in cui si è parlato di operazioni di mantenimento della pace ma non di ristabilimento della pace, terminologicamente si distingue nella terminologia inglese tra Peace Keeping- mantenere la pace, cioè la pace c'è e noi lo manteniamo però già c'è, e il Peace Inforcing- cioè invece imporre la pace e quindi intervenire contro l'aggressore per costringerlo a desistere dall'offensiva, la seconda funzione comporta evidentemente uno sforzo bellico, militare, comporta la guerra insomma, operazioni di tipo militare, mentre il Peace Keeping è un operazione sostanzialmente pacifica, per molti anni le Nazioni Unite si sono limitate quasi soltanto al Peace Keeping. Le operazioni di Peace Keeping hanno come caratteristica quella di essere in sostanza operazioni di garanzia e di controllo di cessare il fuoco, quando si è riusciti a convincere le parti di un conflitto militare a cessare le ostilità, allora intervengono le forze della Nazioni Unite come forze cuscinetto, si dice, cioè si interpongono tra una e l'altra parte per garantire la tregua, per evitare che le operazioni militari riprendano, quindi è un operazione puramente passiva che ha una serie di caratteristiche: avviene normalmente con il consenso degli Stati interessati, quindi l'ingresso di queste truppe non è fatto con la forza, non c'è uso della forza ma avviene con il consenso, in secondo luogo hanno le istruzioni di non usare le armi se non per difendersi se attaccate, quindi non c'è uso della forza militare e infine si tratta di forze neutrali tra le parti a prescindere dalla questione di sapere chi ha ragione e chi ha torto, chi è aggressore e chi è aggredito, hanno comunque una funzione neutrale, di puro mantenimento di una situazione pacifica, questo è il solo tipo di intervento che per molto tempo è stato possibile. Queste forze vengono messe di volta in volta in disposizione di base volontaria dagli Stati, sono contingenti forniti volontariamente dagli Stati anche se poi le spese di queste operazioni che sono spesso ingenti, ammontano certe volte a miliardi di dollari, fanno parte del bilancio delle Nazioni Unite perchè sono spese legittimamente deliberate sulla base di delibere legittime del Consiglio di Sicurezza quindi gli Stati devono contribuire, devono pagare. In questo momento ci sono 19 Paesi del mondo in cui ci sono truppe delle Nazioni Unite nel senso che vi ho detto, cioè messe a disposizione agli Stati dalle Nazioni Unite che fanno operazioni di vario genere nel mondo, i tipi di operazioni possibili si distinguono in: peace keeping, poi c'è il così detto peace keeping multifunzionale e che può diventare un pò di più, può diventare peace building e cioè ricostruzione della pace, le attività di ricostruzione si verificano in quei Paesi nei quali ci sono state delle guerre interne, anche guerre civili, con o senza intervento militari dall'esterno o anche guerre internazionali che hanno avuto conseguenze sufficientemente catastrofiche da creare una situazione di disastro in cui c'è anche bisogno non soltanto del semplice mantenimento della pace, della semplice interposizione per garantire la cessazione delle ostilità ma c'è bisogno di una ricostruzione, quindi c'è bisogno per esempio di assistenza umanitaria, sanitaria, alimentare, di aiuto alle popolazioni colpite, di favorire per esempio l'ingresso dei rifugiati, qualche volta c'è anche il controllo per esempio delle elezioni quando si tratta di conflitti interni quindi garantire che le elezioni vengano fatte in maniera corretta, in maniera democratica, quindi favorire, diciamo, la reinstaurazione di un Governo legittimo e pacifico, quindi questa è un operazione più complessa e si chiamano operazioni multifunzionali perchè c'è una parte militare e una parte invece di attività civile di assistenza alle popolazioni. Il terzo tipo è il peace inforcing e cioè l'uso della forza per respingere l'aggressione, di questi casi ci sono stati ad oggi pochissimi, direi 3 o forse 2 e mezzo. Il primo che è abbastanza antico fu in Congo, fu il primo caso storico nel 1961 quando c'era stata la secessione di una provincia che era di proprietà del Catanga che era poi spalleggiata in realtà dalle vecchie compagnie minerarie Belghe, dato che il Congo una volta era colonia Belga che sfruttavano le ricchezze minerarie e quindi avevano interesse, hanno trovato un governo favorevole, questa secessione era stata fatta essenzialmente con il concorso di truppe mercenarie, combattenti privati, pagati per questo scopo e allora in quella occasione il Consiglio di Sicurezza fu la prima volta che autorizzò il Segretario Generale delle Nazioni Unite che viene spesso

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delegato, è stato diverse volte delegato dal Consiglio di Sicurezza a sopraintendere lui, a dirigere lui le operazioni per il mantenimento della pace a liberare con la forza il Catang, quindi quella fu una vera e propria offensiva militare fatta da tutte le Nazioni Unite. Il secondo caso è stata la crisi della ex Jugoslavia in cui venne consentito dal Consiglio di Sicurezza l'uso della forza per difendere l'aeroporto di Saraievo dal quale c'erano persone che cercavano di fuggire alla violenza della quale erano oggetto ma in realtà la forza militare è stata usata in maniera molto sporadica, solo in pochi casi. E il terzo caso riguarda la Somalia in cui ci fu un aggressione da parte di una delle sanzioni di lotta in Somalia le truppe delle Nazioni Unite,i caschi blu i quali reagirono a loro volta altretanto cruenta con molto spargimento di sangue e anche molte perdite di vite umane nelle popolazioni civili incolpevoli, quindi ci sono stati operazione militari anche puittosto brutali, sono stati pochissimi i casi. Quindi in sostanza abbiamo questi tipi di operazioni: il peace keeping; il peace building; il peace inforcing, oggi si comincia a parlare di una quarta generazione possibile e cioè la creazione di nuovo di questo esercito permanente, cioè di queste truppe permanenti di cui le Nazioni Unite possono disporre, che era previsto originariamente dall'art 43 della Carta e che invece non è mai stato fatto nonostante siano passati più di 60 anni, l'art 43 diceva:" gli accordi saranno negoziati al più presto possibile" nel 1945 su iniziativa del Consiglio di Sicurezza, non sono stati ancora conclusi. Una fase nuova, importante, di questo genere di attività è questa: siccome il Consiglio di Sicurezza, non essendo mai riuscito a disporre delle truppe e non potendo disporre sempre con facilità in molti casi anche di urgenza, ha cominciato a partire dal primo caso importante, c'erano dei precedenti più antichi ma non avevano creato una modificazione normativa, e cioè quello dell'aggressone dell'Iraq nel 1990 al Kuwait, per la prima volta il Consiglio di Sicurezza, dopo molti anni, adottò una risoluzione in cui invece di costituire lui le forze armate, quindi sotto il controllo del Consiglio di Sicurezza o il Segretario Generale delle Nazioni Unite da lui delegato, invece autorizzò gli Stati a usare la loro forza e autorizzò in particolare una condizione internazionale capeggiata dagli Stati Uniti ma parteciparono anche altri paesi Inghilterra, Olanda e altri a usare la forza, in sostanza armata, per liberare il Kuwait, il che avvenne effettivamente. Questa risoluzione è la risoluzione nr 678 del 1990 della quale poi la dottrina discusse a lungo della sua legittimità cioè della corrispondenza del potere di autorizzazione che il Consiglio di Sicurezza aveva esercitato alle norme della Carta perchè la Carta della Nazioni Unite dice che il Consiglio di Sicurezza può lui intraprendere, con forze marittime, terrestre ecc ecc come dice l'art 42, delle azioni militari ma non dice che può utilizzare gli Stati a intraprenderla. Per molto tempo si è ritenuto che il Consiglio di Sicurezza non lo potesse fare perchè si era detto che non è la stessa cosa, perchè un'azione che ha fuoco sotto il controllo del Consiglio di Sicurezza viene garantita, data la dichiarazione di carattere internazionale, l'obiettività e l'imparzialità, mentre se viene affidata agli Stati questo la Carta non lo prevede, non lo consente, sennonchè dato che non ci furono reazioni significative che, dopo che allora le autorizzazioni si sono moltiplicate, oggi è dato per scontato che si è creato una norma consuetudinaria nuova che modifica la Carta e che consente al Consiglio di Sicurezza, invece che essere lui a intraprendere direttamente queste azioni, di autorizzare gli Stati a farlo. Bisogna sempre ricordare che i trattati internazionali possono essere modificati da una consuetudine quindi con processi informali, occorre naturalmente accertare se esistono le condizioni che consentono di dire che una consuetudina si è formata. In questo campo oggi si ritiene che la consuetudine esiste, quindi c'è questa doppia possibilità, il che significa che, qui, il Consiglio di Sicurezza quando autorizza gli Stati o delega come alcuni dicono, si discute se si tratta di autorizzazione o di delega, in fondo non c'è un enorme differenza, si ritiene quindi che il Consiglio oggi abbia questa seconda possibilità il chè vuol dire che si affianca ad una attività che è operativa dell'Organizzazione in quanto tale perchè è l'Organizzazione che agisce, invece ad un'attività meramente direttiva, quindi alla fine si finisce per fare somigliare questo tipo di attività in base all'art 42 a quello in base all'art 41 dove il Consiglio di Sicurezza dice agli Stati quello che devono fare ma non decide lui, comunque l'esistenza di una decisione adottata dal Consiglio di Sicurezza rimane, con tutti i limiti che ha, il sistema di un organo politico che ha questa composizione ineguale che abbiamo visto, rimane sempre comunque una garanzia internazionale che migliora le cose rispetto alle reazioni disordinate degli Stati fatti ciascuno per conto proprio. Questo direi che basta perchè più di tanto non si può dire su questo argomento. Allora con il Consiglio di Sicurezza abbiamo finito, rapidamente gli altri organi delle Nazioni Unite, che ovviamente sono meno importanti del Consiglio di Sicurezza e

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dell'Assemblea Generale, sono: il Consiglio Economico e Sociale che ha funzioni anche normative ma normative nel senso attenuate di cui quasi sempre c'è li hanno gli organi delle Organizzazioni internazionali quindi può adottare raccomandazioni o predisporre progetti di Convenzioni e poi ha funzioni anche di tipo operativo e la cosa più importante che fà questo Consiglio è il coordinamento, abbiamo visto che esiste un problema di coordinamento, oggi è uno dei problemi più importanti dell'Organizzazione internazionale proprio perchè esistono centinaia di Organizzazioni internazionali il cui lavoro deve essere coordinato e che le Nazioni Unite, data la loro competenza generale ad occuparsi di tutti i settori della cooperazione internazionale degli Stati, hanno appunto questa funzione di coordinamento che esercitano rispetto alle Organizzazioni settoriali che si occupano di settori specifici, alcune di queste Organizzazioni si chiamano Istituti Specializzati delle Nazioni Unite perchè hanno un legame nelle Nazioni Unite che è rappresentato da un vero e proprio accordo che si chiama, appunto, Accordo di collegamento che viene negoziato proprio dal Consiglio Economico e Sociale e sulla base del quale, quindi, si instaurano dei rapporti tra due Organizzazioni. Se vediamo rapidamente insieme le norme della Carta relative sono: per l'adozione degli Istituti Specializzati delle Nazioni Unite sono l'art 57che è inserito ne capitolo 9 che riguarda la Cooperazione internazionale economica e sociale. L'art 57 dice " I vari Isituti Specializzati costituiti con accordi inter governativi, quindi Organizzazioni internazionali autonome, ed aventi, in conformità ai loro statuti, vasti compiti internazionali nei campi economico, sociale, culturale,educativo, sanitario e simili sono collegati con le Nazioni Unite in conformità alle disposizioni dell'art 63. Gli istituti così collegati con le Nazioni Unite sono qui di seguito indicati con l'espressione "Istituti Specializzati", e sono attualmente una quindicina, credo 16 se non sbaglio. L'art 63 prevede che il Consiglio Economico e Sociale possa negoziare questi accordi tra inter-organizzazioni, tra le Nazoni Unite e i singoli Istituti Specializati che rappresentano, appunto, la base delle loro relazioni che consentono le Nazioni Unite di coordinare. L'art 63 dice: " Il Consiglio Economico e Sociale può concludere accordi con qualsiasi istituto di quelli indicati all'art 57 per definire le condizioni in base alle quali l'istituto considerato sarà collegato con le Nazioni Unite. Tale accordi sono soggetti all'approvazione dell'Assemblea Generale. Esso, cioè il Consiglio Economico e Sociale, può coordinare le attività degli istituti specializzati mediante consultazioni con tali istituti e raccomandazioni ad essi come mediante raccomandazioni all'Assemblea Generale ed ai membri delle Nazioni Unite", quindi in sostanza sono accordi internazionali stipulati da Organizzazioni internazionali che sono soggetti internazionali e che quindi anche loro come gli Stati possono stipulare accordi internazionali tra di loro o con gli Stati, questo accordo è negoziato dal Consiglio Economico e Sociale però poi viene stipulato e cioè il consenso, l'atto di conclusione dell'accordo da parte della Nazioni Unite c'è l'ha l'Assemblea Generale, quindi c'è una ripartizione di competenze interne tra gli organi, che è un pò come quello che ci può essere in un ordinamento statale in cui anche lì il Governi, con soggetti diplomatici o attraverso altri organi, negozia i trattati internazionali però poi ci vuole, come voi sapete, l'autorizzazione ,la retifica del Parlamento, quindi è un po la stessa cosa, un pò come avviene nell'Unione Europea che anche lì è la Commissione che negozia gli accordi internazionali dell'Unione Europea e poi è il Consiglio che decide di concluderli. Questi accordi prevedono in sostanza che gli Istituti si impegnano a fare dei rapporti periodici alle Nazioni Unite sulla loro attività e sui problemi che sorgono nella loro attività, ci sono scambi di osservatori per esempio, consultazioni, quindi c'è una serie di relazioni che consentono alle Nazioni Unite di coordinare l'attività dei vari Istituti Specializzati. Addirittura anche il bilancio di questi Istituti Specializzati, benchè siano autonomi, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite approva anche il loro bilancio, quindi c'è ancora una ingerenza delle Nazioni Unite, benchè si tratti di soggetti internazionali autonomi nel loro funzionamento proprio per assicurare al massimo il coordinamento delle varie attività che compiono le varie Organizzazioni internazionali. L'altro organo è il Consiglio di Amministrazione Fiduciaria che era previsto dalla Carta, che ormai è rimasto disoccupato perchè non c'è più l'amministrazione fiduciaria, non c'è più nessun territorio di amministrazione fiduciaria già dal 1994 e infatti si parla anche della possibilità di abolirlo, anche se è una delle varie modifiche della Carta che si potrebbero fare perchè, o per lo meno magari lasciarlo lì ma affidarli funzioni diversi, ma in sostanza darli qualche cosa da fare perche ormai il Consiglio di Amministrazione Fiduciaria non è più da molti anni non ha più niente da fare, rimane però previsto dalla Carta formalmente. Poi c'è la Corte Internazionale di Giustizia che è qualificata dall'art 7, che abbiamo letto la settimana scorsa, tra i 6 organi principali

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delle Nazioni Unite. In realtà la Corte Internazionale di Giustizia soltanto in senso indiretto e forse non molto tecnico può essere definito veramente un organo delle Nazioni Unite perchè innanzi tutto ha uno statuto autonomo, è vero che lo statuto delle Corte Internazionali di Giustizia è allegato alla Carta delle Nazioni Unite ed è anche vero che il fatto di essere membro delle Nazioni Unite significa essere automaticamente anche dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia però uno stato può essere membro dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia anche se non è membro delle Nazioni Unite, per esempio la Svizzera che è entrata, solo relativamente di recente, a fare parte delle Nazioni Unite, per molto anni siccome era neutrale non voleva entrare a farne parte, è però sempre stata sin dall'inizio parte contrente dello Statuto della Corte. In secondo luogo alcuni giuristi dubitano che sia esatta tecnicamente l'espressione, la nozione che la Corte non solo è un organo delle Nazioni Unite non solo perchè essendo stata creata con un trattato distinto che può avere teoricamente anche in pratica Stati membri diversi da quegli delle Nazioni Unite ma anche perchè le Nazioni Unite non hanno un potere di controllo sulla Corte, per esempio un potere sui giudici, un potere sulla Corte, nè possono modificare lo Statuto, per esempio, che viene modificato con dei procedimenti a sè stanti, quindi probabilmente l'espressione non è molto esatta, comunque la Corte Internazionale di Giustizia ha un rapporto di cooperazione con gli organi delle Nazioni Unite perchè oltre alle sue funzioni contenziose, cioè come organo internazionale a disposizione degli Stati per risolvere le controversie tra gli Stati, cosa questa alla qualle abbiamo già accennato ma poi ne parleremo più ampiamente alla fine del corso qundo studieremmo le controversie in particolare, oltre quindi a questa funzione di tipo giurisdizionale c'è anche una funzione consultiva, come può il Consiglio di Stato, per esempio, nel nostro ordinamento giuridico, nel senso che gli organi delle Nazioni Unite possono chiedere alla Corte dei pareri che si chiamano Avvisi consultivi, pareri consultivi, la possono in sostanza consultare su questioni giuridiche che gli organi delle Nazioni Unite debbano affrontare nella loro attività, quindi la Corte ha due funzioni, la funzione giurisdizionale di soluzione delle controversie tra gli Stati, e la funzione consultiva. Questa funzione consultiva può essere esercitata su richiesta o dell'Assemblea Generale o del Consiglio di sicurezza, che possono chiedere pareri alla Corte, oppure dagli altri organi delle Nazioni Unite diversi dall'Assemblea Generale e del Consiglio di Sicurezza, ma in questo caso devono essere autorizzati dall'Assemblea Generale a chiedere il parere, oppure anche dagli Istituti Specializzati, i quali pure per poter chiedere un parere alla Corte hanno a loro volta bisogno dell'autorizzazione dell'Assemblea Generale, tutto questo che stò dicendo risulta dall'art 96 che dice :" L'Assemblea Generale o il Consiglio di Sicurezza possono chiedere alla Corte Internazionale di Giustizia un parere consultivo su qualunque questione giuridica. Gli altri organi delle nazioni unite e gli istituti specializzati, che siano a ciò autorizzati in qualunque momento dall'Assemblea Generale, hanno anch'essi la facoltà di chiedere alla Corte pareri su questioni giuridiche che sorgano nell'ambito delle loro attività". Il parere della Corte non è vincolante, spesso è stato chiesto nella prassi da maggioranze politiche le quali vogliono un pò forzare la mano per farsi prevalere i loro punti di vista e allora chiedono alla Corte un parere per ottenere dalla Corte uno statement che ovviamente, benchè non vincolante, è però particolarmente autorevole dal fatto che la loro posizione corrisponde al diritto internazionale. In molti casi però è anche successo che pareri della Corte, dato che non sono vincolanti, non sono stati in pratica seguiti, questo è successo anche abbastanza spesso, c'è anche un uso indiretto dei pareri consultivi, che pur non essendo obbligatori, vengono però usati per ottenere pronunce obbligatorie perchè in alcuni casi viene usato questo espediente che è servito a risolvere alcuni problemi. Il primo problema è questo: qundo la Corte di Giustizie esercita le sue funzioni di risoluzione delle controversie, e cioè agisce in sede giurisdizionale può essere adita soltanto dagli Stati, questo è un limite che risulta esplicitamente dall'art 34 dello Statuto della Corte che dice " solo gli Stati possono essere parti nei procedimenti davanti alla Corte", ora siccome controversie internazionali possono sorgere non solo tra gli Stati ma anche tra Stati e Organizzazioni internazionali oppure tra Organizzazioni internazionali tra di loro, e pensate, per esempio, all'ipotesi delle Organizzazioni internazionali che hanno sempre un accordo di sede con lo Stato che li ospita, che stabilisce le loro condizioni, i loro privilegi, le loro funzioni ecc, possono sorgere controversie tra lo Stato e l'Organizzazione relativamente a questo, ma anche per altri tipi di rapporti giuridici internazionali che uno Stato può avere con un Organizzazione internazionale come soggetto autonomo, distinto dagli Stati. E allora siccome non è possibile risolvere queste controversie davanti alla Corte Internazionale

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di Giustizia perchè le Organizzazioni non hanno accesso alla Corte quando la Corte agisce in sede contenziosa e allora si è trovato un'escamotage certe volte, per esempio, nel mettere in certi accordi una clausola, per esempio negli accordi di sede tra Organizzazione e lo Stato che la ospita secondo la quale se sorgono problemi relativi all'interpretazione o all'applicazione del presente accordo, l'Organizzazione chiederà un parere alla Corte Internazionale di Giustizia, perchè lo può fare come abbiamo visto, e c'è però la clausola che le parti si impegnano tra di loro a conformarsi al parere, a considerarlo obbligatorio, quindi viene in questo modo agirata la impossibilità di andare direttamente davanti alla Corte. Un secondo uso che è stato fatto di questa possibilità riguarda una questione diversa e di minore importanza e cioè le controversie relative allo Statuto del personale dell'Organizzazione, abbiamo già visto che le Organizzazioni internazionali, ovviamente, hanno il loro personale interno, i loro funzionari, i loro organi i quali hanno un rapporto di lavoro con l'Organizzazione e relativamente al rapporto di lavoro possono sorgere delle controversie, queste controversie non possono andare davanti ai Tribunali degli Stati, come avviene per un rapporto di lavoro pubblico o privato all'interno di un ordinamento statale, perchè l'Organizzazione è immune dalla giurisdizione degli Stati, e allora ci sono dei Tribunali interni ai quali possono avere accesso i funzionari e allora per quello che riguarda questi Tribunali, i più importanti sono quello delle Nazioni Unite che si chiama Tribunale Amministrativo delle Nazioni Unite abbreviato TAMU, e quello dell'OIL tribunale organizzativo dell'Organizzazione internazionale del lavoro che vengono spesso prestati ad altre Organizzazioni, ce ne sono alcuni degli Istituti Specializzati delle Organizzazioni della famiglia delle Nazioni Unite che non hanno il proprio Tribunale internazionale però quello delle Nazioni Unite, quello dell'OIL gli viene prestato quindi i loro funzionari possono ricorrere a questi Tribunali, e allora ad un certo punto si è deciso perchè non isitutiamo anche un procedimento di appello di secondo grado della causa che riguarda il funzionario contro il Tribunale Amministrativo delle Nazioni Unite e allora si può chiedere una revisione alla Corte Internazionale di Giustizia sempre con la stessa formula: l'organo dell'Organizzazione chiede un parere alla Corte e poi il parere però è obbligato a conformarsi nei rapporti interni con il funzionario, però questa procedura si è deciso di abolirla per il Tribunale Amministrativo delle Nazioni Unite qualche anno fa e quindi questo secondo grado che era solo di legittimità perchè è ovvio che il parere può essere chiesto solo su una questione giuridica, quindi era un secondo grado di legittimità istituita con questo procedimento indiretto è stato abolito. L'altro organo principale indicato come tale dall'art 7 della Carta è il Segretario Generale che viene eletto dall'Assemblea Generale su raccomandazione del Consiglio di Sicurezza, questo maccanismo quindi consente una decisione doppia perchè gli Stati più importanti, i membri delle Nazioni Unite che sono membri permanenti, che hanno quindi questo status particolare in seno al Consiglio di Sicurezza, volevano riservarsi la possibilità di avere una voce in capitolo consistente per la soluzione delle questioni almeno più importanti, per la presa delle decisioni più importanti delle Nazioni Unite, però siccome ci vuole anche un procedimento un pò più democratico che tiene conto, che sono 5 e gli altri sono 190 quindi sono 5 su 200, anche del parere degli altri e allora si è trovato una soluzione di compromesso per cui ci vuole questa doppia elezione, il Consiglio di Sicurezza fa la proposta ma l'Assemblea Generale deve votarlo pure e così viene eletto il Segretario Generale che è normalmente una personalità politica di spicco secondo la Carta e dice l'art 97 il funzionario amministrativo più alto in grado dell'Organizzazione, quindi in sostanza il capo di tutto la staff del segretariato, sicchè ha fondamentalmente funzioni amministrative, però è una persona importante e può esercitare dice l'art 98 oltre alle funzioni sue proprie che sono appunto quello di essere il capo nell'amministrazione e quindi di tutto il personale, su delega degli altri organi delle Nazioni Unite anche le loro funzioni, quindi possono esserli assegnate altre funzioni e come vi ho detto il Consiglio di Sicurezza lo delega spesso anche ad esercitare funzioni relative al mantenimento della pace, oltre poi a questo, proprio perchè si tratta di una personalità politica autorevole certe volte gli Stati stessi hanno fatto ricorso, quindi questo al di fuori delle funzioni che la Carta li attribuisce al Segretario delle Nazioni Unite, per esempio, per chiederli di fare funzioni di mediatore per aiutarli a risolvere le loro controversie, anche controversie puramente di carattere politico, certe volte addirittura il Segretario Generale a sua volta ha delegato ad un'altra persona nominata da lui proprio per esercitare compiti di mediazione di puro uffici, di intervento nelle controversie tra gli Stati, quindi è una figura naturalmente importante dell'Organizzazione. Ecco, questi sono i 6 organi principali. Delle Nazioni Unite abbiamo visto

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abbastanza, questo ci serviva anche a far vedere, quell'esempio di quella che è l'Organizzazione internazionale più importante di tutte, un po un quadro di come funziona, che cosa fanno le Organizzazioni internazionali. Adesso qualche cosa vorrei dire anche per gli Istituti Specializzati, abbiamo già detto che sono una quindicina, se i miei calcoli non sono sbagliati in questo momento sono 16, ce ne uno però, la AIEA, di cui dirò subito che non ha formalmente lo statuto di Istituto Specializzato. Questi Istituti Specializzati agiscono in campi settoriali, ce ne sono alcuni che hanno funzioni di tipo, principalmente operativo, altri hanno invece funzioni normative, quindi che si occupano, per esempio, di predisporre progetti, Convenzione internazionali relativi alle loro materie, altri hanno funzioni, come per esempio nel campo alla cooperazione dello sviluppo oppure in settori tecnici in cui c'è bisogno di cooperazione tra gli Stati, come può essere l'Unione Internazionale delle Telecomunicazioni, Organizzazione Meteorologica Mondiale poi c'è l'Organizzazione Marittima Internazionale, l'Organizzazione dell'Aviazione Civile Internazionale, l'Organizzazione Mondiale della Sanità, Unesco cioè l'Organizzazione delle Nazioni Unite per la scienza, l'occupazione, la cultura, l'Organizzazione Internazionale del Lavoro poi ci sono quelle finanziarie, la Banca Internazionale e il Fondo monetario Internazionale, insomma tutti insieme sono 16 Istituti Specializzati che si chiamano così,con le Nazioni Unite lo abbiamo già visto per quale motivo, perchè hanno questo accordo di collegamento con le Nazioni Unite. La AIEA che sarebbe Agenzia Internazionale per L'Energia Atomica si occupa degli usi pacifici del regime nucleare ma ha anche funzioni di controllo importanti, cioè di monitorare che gli Stati che dispongono di centrali nucleari ai quali vengono, per esempio, trasferite da altri Stati con accordi bilaterali tecnologia, materiale missile per costruire impianti nucleari per usi pacifici poi li destinino veramente a usi pacifici, per cui ci sono degli Ispettori della AIEA che esercitano questa funzione internazionale di controllo. L'AIEA sta a Vienna ed è vincolata alle Nazioni Unite da un accordo di collegamento analogo a quello degli altri Istituti Specializzati che è stato fatto nel 1957 ma non ha formalmente lo status di Istituto Specializzato perchè, dato il settore politicamente sensibile, suscettibile anche di usi militari, le funzioni rispetto che agli altri Istituti Spacializzati vengono esercitati dall'Assemblea Generale, riguardo alla AIEA invece le esercita il Consiglio di Sicurezza che vuole tenere direttamente sotto controllo, in maniere da poter anche intervenire, questioni che possono riguardare gli arsenali atomici, gli arsenali nucleari degli Stati. La struttura di questi Istituti Specializzati è quella ternaria tipica delle Organizzazioni internazionali, anche se possono avere degli organi sussidiari, naturalmente c'è l'organo assembleare, l'Assemblea di tutti i membri, il Consiglio più ristretto e che si riunisce più frequentemente, il Segretariato. c'è qualche caso di composizioni particolari, per esempio, un caso interessante è quello dell'OIL, Organizzazione internazionale del lavoro che ne è una tra le più antiche perchè l'Organizzazione internazionale del lavoro fu creata subito dopo la prima guerra mondiale, alla Conferenza di Versaglia con i trattati di pace e ha una Conferenza Generale che è l'organo assembleare l'equivalente dell'Assemblea Generale della Nazioni Unite in sostanza, ha una composizione particolare perchè non è una composizione solamente intergovernativa, ogni Stato invia alla Conferenza Generale dell'OIL 4 rappresentanti, di cui due sono rappresentanti governativi e quindi esprimono ovviamente la posizione dello Stato che li manda, del Governo che li manda, poi uno è rappresentante delle Organizzazioni sindacali nazionali e le Associazioni dei lavoratori e l'altro è rappresentante delle Associazioni dei datori di lavoro, dei sindacati dei datori di lavoro, quindi sono 4 rappresentanti di questo genere. Questa struttura è interessante perchè ha come conseguenza che , questo è l'unico degli Istituti Specializzati in cui il voto, la formazione della volontà della Conferenza Generale non è controllata dai Governi perchè, ovviamente, i due rappresentanti che ogni Stato manda delle associazioni sindacali di categoria esprime gli interessi e la posizione della sua categoria che non è detto che coincida con quello del Governo e possono naturalmente anche allearsi, mettersi d'accordo su scala transnazionale, in maniera trasversale con i rappresentanti delle Associazioni sindacali degli altri Paesi dalla conseguenza che si possono formare maggioranze che i Governi non controllano, un pò quello che nell'ambito dell'Unione Europea avviene con il Parlamento Europeo. Quindi è chiaro che un'Organizzazione internazionale quando perde il suo carattere intergovernativo, come avviene per un organo come il Parlamento Europeo o come la Conferenza Generale dell'OIL, ovviamente è in grado di esercitare una politica propria che gli Stati non controllano più, tutto questo vale naturalmente per gli Stati democratici perchè negli Stati totalitari, per esempio l'Unione Sovietca mandava sì,

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formalmente due rappresentanti governativi uno dei sindacati dei lavoratori e uno dei sindacati dei datori di lavoro, però erano tutti e quattro rappresentanti governativi direttamente e questo valeva e vale ancora oggi per tutti i Paesi che hanno sistemi totalitari, però per quelli che non ce li hanno c'è questa perdita di controllo da parte del Governo sulle decisioni dell'Organizzazioni internazionale, almeno parziale. In realtà però poi che cosa può fare la Conferenza Generale? La cosa importante che fa, e lo fa da molti anni sono gli progetti dei testi di Convenzione internazionali in materia di diritto del lavoro, questi progetti sono moltissime, più di 100, però gli Stati non sono obbligati a ratificarle però molte hanno avuto amplissime ratifiche internazionali e anche l'Italia quindi oggi anche nel nostro sistema del diritto del lavoro le Convenzioni dell'OIL rappresentano una fonte significativa come è una fonte significativa anche il diritto dell'Unione Europea. Questi testi di queste Convenzioni vengono elaborati a maggioranza di due terzi ma in questa maggioranza di due terzi, appunto sono compresi la Associazioni sindacali e non soltanto i rappresentanti governativi, è ovvio poi che i Parlamenti Nazionali hanno l'ultima parola, se vogliono le ratificano se non vogliono no. La costituzione dell'OIL impone degli obblighi agli Stati perchè gli Stati hanno l'obbligo, questo succede anche per altre Organizzazioni internazionali, per esempio per l'Unesco, queste Convenzioni che vengono approvate a maggioranza di due terzi devono poi essere sottoposte, c'è l'obbligo dello Stato di sottoporle al Parlamento per la ratifica, il Parlamento poi può anche decidere di non ratificarle però il Governo gliele deve presentare entro un certo termine e poi deve fare un rapporto all'Organizzazione e deve anche dire quali ha ratificato a quali no ese non ha ratificato deve motivare, non è obbligato a non farlo ma deve fornire una motivazione in maniera che c'è un po di pressione politica sullo Stato. Ora, quello che è interessante di questi testi internazionali, è chiaro che il Parlamento ha l'ultima parola però bisogna sempre ricordare che mentre se il Parlamento decide di fare un progetto di legge nazionale lo può emendare in Commissione, l'opposizione può presentare gli emendamenti e tutte la altre cosa che sapete invece nel testo di una Convenzione internazionale il Parlamento può dire solo sì o no, può prendere o lasciare, quindi in realtà, benchè sia esagerato parlare di legislazione internazionale perchè non è così ovviamente, sono proposte, progetti di Convenzione, però il fatto che non possano essere modificati alla fine un certo effetto lo produce sopratutto quando si tratta di materie tecniche nei quali i Parlamenti Nazionali non hanno nemmeno moltissima competenza, in sostanza se il Governo decide di sottporre a ratifica un testo di questo genere alla fine un qualche impatto il fenomeno dell'Organizzazione internazionale sulla legislazione interna, sia pure indiretto, con questa formule ce l'ha, comunque non c'è dubbio che siamo sempre nall'ambito di un'attività non vincolante. L'OIL poi ha anche un procedimento di controllo che può essere attivato non solo dagli Stati sul rispetto di queste Convenzioni, anche questo è piuttosto blando però una certa efficacia politica c'è l'ha, non soltanto gli Stati ma anche le Associazioni sindacali possono rivolgersi all'Organizzazione se uno Stato non rispetta le Convenzioni dell'OIL o non rispetti i diritti sindacati dai lavoratori, anche gli stessi rappresentanti sindacali che sono membri della Conferenza Generale possono rivolgersi all'Grganizzazione, la quale può istituire una Commissione d'inchiesta che poi redige un rapporto e se c'è stato una violazione lo Stato è chiamanto a giustificarsi entro un termine e deve dire se accetta o non accetta il rapporto della Commissione d'inchiesta, se non lo accetta può rivolgersi alla Corte Internazionale di Giustizia ma comunque la Conferenza Generale può poi adottare dei provvedimenti o dei mezzi di pressione nei confronti dello Stato, quindi una forma di pressione politica esiste. Ci sono anche dei casi in cui le Organizzazioni internazionali, sempre gli Istituti Specilizzati di questi stimo parlando, pur non potendo adottare delle vere e proprie norme obbligatorie per gli Stati però ha fatto ricorso a delle tecniche sofisticate, complesse per renderle semi obbligatorie, diciamo così, facendo ricorso ad una tecnica che, adesso vi illustrerò, viene definita la tecnica del contracting out, che significa chiamarsi fuori in sostanza negoziare il proprio rifiuto, è il contrario del contracting in che vuol dire accettare una norma, per esempio ratificare una convenzione internazionale, contracting out invece significa esprimere una volontà contraria, di dissociarsi, ma se uno Stato non esprime, entro un certo termine, la volontà di dissociarsi allora è obbligato. Sono due i casi in cui gli Istituti Specializzati possono ricorrere a questa forma in adozione di norme relativo al loro campo di attività semi obbligatorie diciamo, il primo caso riguarda l'Organizzazione Mondiale della Sanità abbreviato in italiano OMS oppure in inglese WHO World Health Organization, e il secondo caso è quello della OACI in francese Organisation de l'Aviation Civile Internationale oppure ICAO in inglese International Civil Aviation

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Organization. Per quello che riguarda l'OMS, l'Organizzazione Mondiale della Sanità, il meccanismo è questo: l'Assemblea della Organizzazione Mondiale della Sanità, la Conferenza Generale può a maggioranza semplice adottare dei regolamenti in materia sanitaria, questi regolamenti possono avere come oggetto o questioni puramente tecniche, per esempio le nomenclature delle malattie o delle medicine ecc per garantire che le statistiche internazionali siano uniformi quindi questi sono cose molto dettagliate, molto tecniche, oppure anche il così detto il regolamento sanitario internazionale che è atato fatto nel 1951 e poi modificato varie volte che riguarda le misure minime che gli Stati hanno il diritto di adottare per la lotta alle epidemie, alla diffusione delle epidemie, delle malattie contagiose. In questi settori viene adottata questa tecnica particolare del contracting out che funziona così: i regolamenti vengono approvati dall'Assemblea a maggioranza semplice e notificati dagli Stati contraenti che hanno un termine della durata di 9 mesi entro il quale possono comunicare all'Organizzazione che non accettano il regolamento, ma se lasciano decorrere il termine senza avere comunicato che non accettano sono vincolati, ecco perchè si chiama contracting out. Uno potrebbe dire beh ma in realtà l'obbligatorietà della norma elaborata in sede internazionale per lo Stato dipende sempre dalla sua volontà perchè la sua volontà sia richiesta per dire sì sia richiesta che dica no comunque è sempre la sua volontà in gioco. Non è in realtà proprio così perche uno Stato che ha una burocrazia più o meno efficiente potrebbe aver fatto passare i 9 mesi semplicemente per dimenticanza, per inosservanza del periodo, qualche volta succede perchè c'è stato pure qualche caso in cui qualche Stato contro questo regolamento sanitario internazionale aveva detto " ah sono passati 9 mesi, ma io non lo voglio accettare però non ho avuto il tempo, ho avuto difficoltà", ma è stato detto no, ormai lo deve accattare, quindi il contracting out è una forma, sia pure attenuante, di obbligatorietà dell'atto dell'Organizzazione. Per l'Organizzazione dell'Aviazione Civile Internazionale, per ICAO, questo meccanismo è ancora più sofisticato e un pochino più stringente, più vincolante di quello dell'OMS. Intanto bisogna dire che questi atti dell'ICAO ci sono in due categorie, ci sono gli Allegati Tecnici che l'Assemblea può deliberare, può adottare alla stessa Convenzione istitutiva e si dividono in due categorie: le pratiche raccomandate, che hanno valore di raccomandazione quindi non sono di per sè stesse obbligatorie, e poi gli standard che riguardano una serie di cose importanti, per esempio la sicurezza negli aeroporti, il funzionamento di molte questioni importanti dell'aviazione civile internazionale quindi sono dei regolamenti che contengono delle disposizioni importanti. Questi Standard ICAO vengono elaborati da una maggioranza di due terzi e poi vengono notificati dagli Stati contraenti i quali hanno 3 mesi di tempo per fare il contracting out, per dire che non vogliono essere vincolati però lo standard ICAO entra in vigore per tutti gli Stati membri se entro il termine di 3 mesi la maggioranza non ha dichiarato di non accettare quindi non conta la volontà individuale questa volta, ci vuole la maggioranza che gli respinge, il che normalmente non succede mai anche perchè il termine è molto breve, solo 3 mesi, quindi praticamente qui siamo ad una forma di obbligatorietà ancora un pò più consistente. Come vedete tecniche molto complesse per cercare da parte degli Stati di conciliare la doppia esigenza che c'è sempre nel fenomeno delle Organizzazioni internazionali intergovernative e cioè garantire un pò l'efficacia della loro azione per risolvere i problemi internazionali di cui si occupa cercando però poi da parte degli Stati di salvaguardare la loro sovranità e quindi non crearsi, con la partecipazione al fenomeno della cooperazione internazionale organizzata, vincoli troppo forti alla loro libertà, per questo si studiano tutte queste soluzioni così articolate e così complesse. Ci sono poi tutte le Organizzazioni internazionali la cui attività è prevalentemente un attività operativa e tra queste le più importanti sono quelle che si occupano di quello che oggi è uno dei più grandi, più importanti problemi con cui la Comunità internazionale ha a che fare e cioè la cooperazione allo sviluppo, l'aiuto ai Paesi in via di sviluppo. Anche qui c'è un attività di coordinamento delle Nazioni Unite che si esercita sopratutto attraverso quel'organo sussidiario, che vi ho già indicato, Il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, UNDP in inglese United Nations Development Programme, che è un'organo sussidiario dell'Assemblea Generale e che quello che raccoglie anche i contributi finanziari che gli stati danno attraverso le Nazioni Unite, che non sono obbligatori naturalmente, sono su base volontaria però gli Stati ricchi del mondo, queli che se lo possono permettere a dare aiuto allo sviluppo dei Paesi più poveri, in realtà questo contributo è limitatissimo, già molti anni fa venne stabilito, con una risoluzione non vincolante dell'Assemblea Generale che la quota ottimale che gli Stati avrebbero dovuto dare avrebbe dovuto essere pari ogni anno a 0,70%, questo era il tetto che era stato fissato, del

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loro bilancio nazionale. In realtà poi quasi nessuno raggiunge lo 0,70, l'Italia è sempre notevolmente al di sotto e almeno qualche anno fa, l'ultima volta che avevo guardato dei dati in materia, erano quasi soltanto i Paesi Scandinavi che erano un po più generosi degli altri, qualquno magari superava anche questo 0,7, inefetti basterebbe che i Paesi più ricchi del mondo fossero appena un pochino meno egoisti per risolvere quasi tutti i problemi della fame nel mondo nei Paesi meno sviluppati con un aiuto molto modesto, basterebbe veramente pochissimo, però non ci si riesce, c'è poi della verità anche la parte degli stessi Paesi in via di sviluppo, spesso hanno Governi che sono corrutissimi, inefficientissimi e quindi uno dei problemi dell'auito internazionale dello sviluppo è di fare andare l'aiuto dello sviluppo alle popolazioni veramente beneficiaria e non invece ai loro Governi che poi gli usano per arricchimento personale e non per gli scopi per cui dovrebbero essere utilizzati. La quantità di dispiegamento di mezzi burocratici, amministrativi e tecnici dell'Organizzazione internazionale in materia è semplicemente collossale, tra l'altro c'è un'ulteriore problema e cioè l'Organizzazione internazionale in questo settore è a sua volta costosissima e quindi già la crezione di strutture internazionali dell'aiuto allo sviluppo assorbe risorse finanziarie per pagare la gente che ci lavora anche perchè le Organizzazioni internazionali pagano sempre stipendi piuttosto generosi rispetto a quelli che pagano le amministrazioni statali, per esempio, che alla fine costa talmente tanto mantenere l'organizzazione che anche quelle spese già basterebbero, se andassero effettivamente in aiuto allo sviluppo, a risolvere a loro volta una quantità enorme di problemi. Lo sviluppo poi può essere anche bilaterale perchè c'è l'assistenza multilaterale data tramite le Organizzazioni internazionali e queli che gli Stati danno direttamente, bilateralmente, quella bilaterale certe volte può essere un modo per esercitare l'influenza politica di uno Stato, quindi quella multilaterale fatta tramite le Organizzazioni internazionali presenta il vantaggio di essere depoloticizzata e quindi di non essere un possibile strumento di influenza anche politica, gli Stati Uniti, per esempio sono piuttosto generosi come donatori però poi molte volte minacciano e certe volte effetuano il ritiro degli'aiuti allo sviluppo ad un momento repressione politica nei confronti Paesi e quindi l'Organizzazione internazionale ha questa intermediazione, diciamo, tra Paesi donatori e Paesi bisognosi di assistenza ed ha insomma una funzione significativa. Il tipo fondamentale di assistenza allo sviluppo è di due tipi diversi, c'è l'assistenza tecnica e cioè quella materiale data e dei settori specifici, per esempio l'Organizzazione Mondiale della Sanità costruisce ospedali, per esempio, o invia medici o forma personale sanitario in paesi dove c'è bisogno di formazione di personale o la FAO aiuta a risolvere i problemi alimentari,anche lì finanzia programmi alimentari quindi razionalizzazione delle culture, applicazione di tecnologie moderne nei Paesi in via di sviluppo ecc, e poi c'è invece l'assistenza finanziaria, che è forse la parte più importante, il finanziamento di attività, di infrastrutture, interventi produttivi,prestiti agli Stati oppure operatori economici privati, anche i Paesi sviluppati che però vanno con questi finanziamenti a investire o a realizzare opere nei Paesi in via di sviluppo, quindi ci sono queste due forme di assistenza: tecnica e finanziaria, il tutto coordinato essenzialmente al livello centrale delle Nazioni Unite. Poi c'è il settore delle Organizzazioni internazionali che sono quelle che si occupano di degli aspetti economici e finanziari della cooperazione internazionale, non limitatamente all'aiuto allo sviluppo perchè anche questo naturalmente gli aspetti finanziari più importanti come è logico, ma invece della cooperazione degli Stati per creare un sistema economico e finanziario monetario internazionale efficiente e queste istituzioni sono state create dopo la seconda guerra mondiale e sono sostanzialmente: il Fondo Monetario Internazionale, che fu creato addirittura prima ancora che finisse la guerra con l'accordo di Bretton Woods nel 1944, e la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo e poi quello che una volta era il GATT, General Agreement On Tariffs and Trade che è stato oggi assorbito, incorporato nel OMC, L'Organizzazione Mondiale del Commercio che è stata creata nel 1994 quindi relativamente da poco tempo don l'accordo di Marrakech.

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26 02 2010

Stavamo allora facendo questa panorama delle Organizzazioni internazionali che ovviamente sono numerosissime e quindi è possibile soltanto accennare poi i problemi generali e le categorie principali di Organizzazioni, non si può fare tutto. Abbiamo visto le Nazioni Unite, gli Istituti Specializzati delle Nazioni Unite e oggi vediamo, rapidamente le Organizzazioni Economiche internazionali che sono importanti, quelle più importanti sono: L'OMC l'Organizzazione Mondiale del Commercio, che non ha lo status di Istituto Specializzato delle Nazioni Unite, e poi le altre due, che gli abbiamo già nominate ieri, e cioè Il Fondo Monetario Internazionale e La Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo che invece sono tutte e due Istituti Specializzazti delle Nazioni Unite. L'Organizzazione Mondiale del Commercio, come tale, è stata creata recentemente nel 1994 con l'accorda di Marrakech però rappresenta una evoluzione di una cosa che c'era già, subito dopo la guerra, e cioè il così detto GATT che sarebbe General Agreement On Tariffs and Trade e cioè Accordo Generale sulle Tariffe ed il Commercio. Questo GATT fu fatto nel 1947 come accordo internazionale che venne fatto entrare provvisoriamente in vigore in attesa che venisse istituita la programmata Organizzazione Internazionale del Commercio, questa Organizzazione internazionale del commercio poi non fu creata perchè poi gli Stati non si dichiararono più disposti ad assumersi gli impegni molto considerevoli che comportava e quindi è stato soltanto nel 1994 che poi questa Organizzazione è stata costituita non si chiama più Organizzazione internazionale ma mondiale del commercio però l'idea è sempre la stessa. Quindi queste tre Organizzazioni che sono quelle che hanno organizzato la liberalizzazione degli scambi internazionali sono state create dopo la seconda guerra mondiale quindi il Fondo Monetario Internazionale, la Banca e cioè International Bank for Riconstruction and Development sono state create addirittura prima che finisse la seconda guerra mondiale con l'accordo Bretton Woods del 1944, poi nel 1947 è stato creato il GATT, il GATT era un trattato internazionale che era stato sottoposto alla clausola di provvisoria esecuzione, certe volte il trattato internazionale viene negoziato e al momento della firma, benchè per l'entrata in vigore sia necessario la ratifica quindi sia un accordo che per sua importanza ha questa riserva di ratifica quindi finchè non c'è la ratifica non c'è ovviamente la manifestazione dello Stato a consentire definitivamente la sua entrata in vigore, qualche volta però i negoziatori al momento della firma, se sono naturalmente muniti del potere di farlo dallo Stato che rappresentano, possono stabilire un accordo di provvisoria esecuzione cioè lo mettiamo in esecuzione anticipata salvo che però finchè non lo ratifichiamo e se non lo ratifichiamo l'impegno non è definitivo. Ora la cosa curiosa del GATT è che venne messo in provvisoria esecuzione perchè l'idea era che si aspettava la negoziazione di questo trattato istitutivo dell'Organizzazione Internazionale del Commercio, siccome l'Organizzazione internazionale del commercio non è rimasto, l'esecuzione è rimasta provvisoria dal 1947 fino a quando è stato trasfuso nell'OMC. Al di la di questa caratteristica particolare comunque queste tre strutture, il GATT non era un Organizzazione internazionale me era un'accordo, si riunivano gli Stati membri in conferenze periodiche, i famosi raund cioè dei cicli di incontri, di conferenze tra gli esperti governativi o anche Ministri dell'economia dei vari Paesi per negoziare delle riduzioni progressive e generalizzate delle barriere di vario tipo che ci sono alla libertà degli scambi internazionali, comunque queste tre istituzioni, le due Organizzazioni internazionali e il GATT, rispondevano tutte e tre all'idea di ricostruire, dopo il disastro, sopratutto dell'Europa, nella Russia, della seconda guerra mondiale che le aveva completamente devastate, l'economia internazionale, sulla base della liberalizzazione degli scambi del commercio e poi prograssivamente, perchè è stata attuata con maggiore consistenza molti anni dopo quella del rimovimenti finanziari, questa è stata attuata più recentemente con i belli effetti che sono sotto gli occhi di tutti, invece la liberalizzazione del commercio ha trovato degli effetti migliori fortunatamente perchè si veniva da un periodo, gli anni 30, subito dopo la crisi di Wall Street e gli Stati avevano reagito alla crisi di Wall Street con misure di accenntuato protezionismo, protezionismo sia contro le merci straniere quindi barriere doganali, restrizione agli scambi, sia anche con le svalutazioni competitive perchè la svalutazione naturalmente favorisce l'economia di un Paese però se tutti si mettono a svalutare con competizione gli uni con gli altri naturalmente c'è il rischio di un disastro e per questo appunto gli anni 30 erano stati un periodo difficilissimo sotto questo aspetto. Il protezionismo era poi legato anche alla Power

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Politics, la politica di potenza dei Paesi che si riarmavano e quindi in europa sopratutto si cominciavano già a guardare cagnesco e si preparavano a farsi la guerra. Viceversa l'idea, dopo la seconda guerra mondiale, è stata quella che la liberalizzazione del commercio internazionale è fondamentale per il progresso economico dell'umanità perchè il protezionismo ha come conseguenze di fare salire i prezzi per i consumatori, pensate al protezionismo che noi abbiamo ancora in Europa perchè l'Europa ha una politica fortemente protezionistica, per esempio negli agricola nei confronti dei Paesi in via di sviluppo per cui poi tutti quanti paghiamo certe cose 4, 5, 6, 8 volte di più di quanto le pageremmo se non ci fossero queste barriere e quindi il risultato è che non si riesce a realizzare nè la divisione del lavoro sul piano internazionale nè quella che gli economisti chiamano la allocazione ottimale delle risorse e cioè l'idea che chi riesce a produrre meglio, a prezzi più bassi, certi prodotti è meglio comprare da lui perchè i prezzi sono più bassi. Quindi l'apertura in sostanza dei mercati alla concorrenza, la concorrenza poi faceva l'innovazione tecnologica naturalmente quindi faceva il benessere generale, sulla base di questa convinzione quindi gli Stati Uniti sopratutto gli Stati Uniti perchè poi cercavano naturalmente degli sblocchi per la loro capacità di produzione industriale, norme, anche perchè gli Stati Uniti non erano stati direttamente toccati dalla guerra quindi alla fine si assunsero un pò il compito di puntellare la ricostruzione dell'economia mondiale a spese loro perchè erano l'unica grande economia che non era stata devastata come era avvenuto per le altre, la Russia, il Jappone ecc, e allora l'idea quindi fu quella della liberalizzazione massima degli scambi che poi è un idea che è anche adagie in quelli stessi anni per l'integrazione europea perchè è uno degli elementi, dei fattori, anche se non il solo, che hanno portato poi alla creazione del mercato comune in Europa quindi c'è un legame tra tutte queste cose. Il GATT oggi è stato trasfuso nell'OMC, l'OMC ha assorbito il GATT, infatti c'è il GATT 47 che è il testo originario e il GATT 94 che è quello attuale nel quale è stato trasfuso con delle modifiche il testo originario del 47 e che è questo grande accordo sulla liberalizzazione del commercio, di cui ora vi dirò il contenuto, il qualle costituisce giuridicamente un'allegato alla costituzione dell'OMC, tutte le Organizzazioni internazionali, come sapete, come la Carta della Nazioni Unite, il trattato dell'Unione Europea, hanno un trattato istitutivo della loro costituzione e alla costituzione dell'OMC, è costituita quindi con questo accordo di Marrakech, è allegato il GATT cioè , quello nuovo del 94, e poi altri tre allegati importanti che sono: il GATS cioè General Agreement On Trade in Services, mentre il GATT riguarda le merci il, il GATS riguarda la liberalizzazione, che è parziale, della circolazione dei servizi, poi c'è il TRIPS che riguarda la protezione dei diritti di proprietà intellettuale, TRIPS significa Trade Related Intellectual Property Rights quindi diritti di proprietà intellettuale connessi al commercio e con il quale quindi, in sostanza, tutti i Paesi aderenti all'OMC che sono oggi circa i tre quarti sono 140, 150 stati, su 200, rappresentano in sostanza il 90% del commercio mondiale, si sono impegnati, cosa che è sempre stata difficile ottenere con i Paesi, una volta quando c'erano, con i Paesi socialisti proietati dall'Unione Sovietica ma poi anche con i Paesi in via di sviluppo, il riconoscimento della tutela dei diritti di proprietà intellettuale. I diritti di proprietà intellettuale , ovviamente, sul piano internazionale sono detenuti, quasi esclusivamente, dai Paesi industrializzati, dai Paesi ricchi, i quali li proteggono perchè, come sapete tutti, nella proprietà intellettuale si favorisce la ricerca, questa quindi è una materia che è oggetto di discussioni tra i Paesi sviluppati e i Paesi in via di sviluppo perchè i Paesi in via di svilupo vorrebberò poter accedere, naturalmente ai brevetti, alla conoscenza, alla tecnologia a costi per loro non esorbitanti. Quindi abbiamo GATT, GATS, TRIPS e poi c'è TRIMS che invece sono le misure relative agli investimenti, Trade Related Investiment Measures, misure relative agli investimenti collegati al commercio. Questi 4 accordi internazionali sono quindi gli allegati alla costituzione all'OMC, questa Organizzazione si basa su livelli di liberalizzare il più possibile gli scambi commerciali e quindi eliminare il protezionismo o ridurle al minimo nel interesse comune di tutti i Paesi. Quindi i principi fondamentali di cui si basa sono i seguenti: la concezione generalizzata della clausola della nazione più favorita che è una clausola che viene inserita negli accordi, normalmente bilaterali ma la cosa più importante dell'OMC, del GATT è che qui è generalizzata, è automatica, diciamo, con la quale se un Paese fa delle concessioni in un certo settore, dato che ci interessa, concessioni commerciali ad un'altro Paese, l'accordo ha un contenuto materiale in cui stabilisce art 1, 2, 3, 4... tutte le concessioni reciproche che si fa, poi c'è una clausola, fino ad una norma quindi strumentale non materiale che contiene la clausola della nazione più favorita che consiste, in sostanza, nello stabilire che se in futuro una delle parti contraenti

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concederà ad uno Stato terzo delle concessioni commerciali più ampie, quindi la favorisce di più, si chiama per questo la nazione più favorita, automaticamente queste maggiori concessioni si estendono al beneficiario della clausola. La clausola della nazione più favorita può essere condizionata o incondizionata, condizionata cioè si io faccio queste concessioni maggiori ad un terzo sono obbligato dal trattato, dalla clausola ad estenderlo automaticamente anche a te però a condizione che anche tu a tua volta poi mi estendi le concessioni, oppure incondizionata quindi puramente unilaterale, il GATT sin dalle origini, quello del 47, si è basato sulla clausola incondizionata e generalizzata a tutti, quindi questo serve proprio a garantire la libertà, in condizioni di parità di concorrenza, la libertà di commercio a livello internazionale perchè non è possibile privilegiare, favorire un Paese rispetto a un altro, questa è l'idea della clausola della nazione più favorita generalizzata. Il secondo principio è la clausola del trattamento nazionale in materia fiscale e cioè trattare le merci provenienti dall'estero, da tutti gli Stati che fanno parte del sistema, nella stessa maniera in cui si trattano le proprie, quelle nazionali, quindi per evitare che aggravi fiscali siano un modo indiretto di restringere le importazioni, avrebberò l'effetto di barriere doganali. Il terzo principio è l'abolizione delle restrizioni quantitative agli scambi, la maniera in cui gli Stati difendono, attuano politiche protezionistiche, difendono il loro commercio dall'esterno sono o i dazi doganali quindi fare pagare un dazio che evvidentemente svantaggia la merce straniera o se la merce straniera è prodotta ad un prezzo più basso, come appunto avviene in Europa per la politica agricola comunitaria, mettere dei dazi compensativi, diciamo, oppure l'altro modo sono le restrizioni quantitative e cioè i contingentamenti, il contingente all'importazione, in Europa si decide per esempio che possiamo importare dal Giappone non più di un certo numero annuo di automobili prodotti in Giappone, le restrizioni quantitative sono abolite mentre invece per quelle che riguardano le restrizioni tariffarie sono quindi i dazi doganali sono gli unici che sono permessi, naturalmente però viene negoziato periodicamente, c'è un negoziato perenne all'interno dell'OMC per una riduzione bilanciata e concordata tra i vari Paesi che partecipano al sistema. Questi sono i principi fondamentali, poi c'è il divieto di altre misure di protezione, per esempio, c'è il divieto di vendita a prezzi più bassi all'estero per rivale ai mercati stranieri, la concorrenza fatta scorrettamente, c'è il divieto per gli aiuti degli Stati all'importazione e all'esportazione, per esempio, in Europa invece noi le facciamo le sovvenzioni agricole non solo per le esportazioni ma anche di prodotti nazinali per consentire agli agricoltori europei di rimanere occupati perchè se non ci fosse invece una politica protezionistica nei confronti dei prodotti agricoli che vengono prodotti nei Paesi in via di sviluppo, pensate all'altra parte del mediterraneo, in particolare Nord africa, Medio Oriente ecc, tutti gli agricoltori europei vorrebbero cambiare mestiere il giorno dopo perchè quello che noi oggi paghiamo 10 € lo pagheremo 2€. Questi più o meno sono i principi sui quali si basa il sistema, il sistema naturalmente, a questa liberalizzazione incondizionata, prevede sia delle clausole di salvaguardia di eccezione sia la possibilità di deroghe che le stesse parti contraenti dell'OMC riunite negli organi, nelle conferenze, nel consiglio dell'Organizzazione possono concordare, per esempio, in momenti di emergenza, di crisi dell'esportazioni, di crisi di bilancio dei pagamenti, difficolta di un settore, uno Stato può essere autorizzato temporaneamente, quindi è un sistema è flessibile perchè c'è l'insieme delle parti contraenti che possono decidere a maggioranza, secondo lo statuto, però in pratica in questa Organizzazione, come in moltissime altre, c'è la pratica della decisione mediante consensus, ci torneremo meglio le prossime settimane quando cominciamo a parlare delle fonti, me il consensus, in sostanza, è un esperiente per riuscire a creare l'accordo quando ci sono alcuni Paesi che non sono d'accordo su qualche cosa e però si vuole evitare di fare fallire il negoziato e allora c'è un voto favorevole quando uno vota a favore di una cosa, quindi c'è il consenso però poi c'è il consensus che invece è una cosa diversa e cioè è la accettazione, l'approvazione da parte di una assemblea dei rappresentanti di Stati che è riunita in maniera quindi unanime, all'unanimità, di un testo in assenza di obiezioni cioè non è che si vota a favore, non si vota, ma il Presidente dell'Assemblea legge il testo e dice ci sono obiezioni? Nesuna obieta, però non dice votate a favore, e allora quindi il consensus è l'accettazione di un testo perchè ciascuno dei rappresentanti riconosce di non avere obiezioni così gravi da dovere votare contro e il non voto contro, piuttosto che il voto a favore diciamo così, è una tecnica escogitata dalla diplomazia per riuscire a ottenere l'approvazione e di solito quello che succede nalla prassi dell'OMC è che gli accordi che vengono assunti sono mediante il consensus. Ci sono poi delle clausole di salvaguardia in materia specifica, per esempio la clausola della sicurezza, la protezone

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dell'ambiente ecc, poi ce ne sono altre di due tipi fondamentali: il primo riguarda le eccezioni delle unioni doganali, come l'Unione Europea naturalmente oppure per le zone di libero scambio perchè, ovviamente, si crea l'unione doganale in una zona di libero scambio qui la clausola generalizzata della nazione più favorita non può funzionare perchè è chiaro che in un ambito in cui gli Stati hanno stipulato un'accordo con il quale hanno vincoli tra di loro molto più stretti si fanno una liberalizzazione completa, totale, come è ormai da tanto tempo in Europa tanto che noi ci siamo abituati in Europa, ma non può essere dello stesso livello di quella che c'è stato in tutto il resto del mondo naturalmente. La differenza tra unione doganale e libero scambio è questa: nell'area di libero scambio vengono aboliti i dazi interni, quindi si crea un territorio doganale unico, diciamo, nei rapporti interni, però non c'è una tariffa doganale comune verso l'esterno, quando c'è anche una tariffa doganale comune verso l'esterno c'è unione doganale, quindi unione doganale è zona di libero scambio all'interno più tariffa doganale comune verso l'esterno, zona di libero scambio sono gli Stati, di cui avrete sentito parlare credo sia quando avete studiato diritto dell'Unione Europea sia anche da me qualche volta, cioè European Free Trade Association (EFTA) o Associazione Europea di diritto allo scambio in italiano, ed è una zona di diritto allo scambio anche il NAFTA che fu creta negli Stati Uniti d'America, North American Free Trade Agreement che comprende Canada, Stati Uniti e Messico. L'unione doganale è l'Unione Europea, l'UE è molto di più, ovviamente, la CE che era l'unine doganale, ma era già di più perchè era un mercato comune, il mercato comune c'ha ancora un elemento in più e cioè delle politiche nel settore economico e commerciale comune, non soltanto l'abolizione delle restrizioni dell'esportazione e l'importazione interne e una tariffa dogananale unica verso l'esterno ma in più ha anche delle politiche comuni in diversi settori, politica commenciale verso l'esterno, politica monetaria, politica, per esempio, in materia fiscale, in materia sociale ecc, ecc, vi era in sostanza l'idea propria della CE, quella originaria, prima che venisse trasformate col passare del tempo in qulche cosa di più. L'altra cosa importante è che oltre a questa clausola di esenzione per le unioni doganali e le zone di libero scambio, c'è anche una clausola di deroga, di accentuazione per l'aiuto dei Paesi in via di sviluppo perchè quando vennero create questi istituzioni economiche internazionali, di cui stiamo parlando, ancora non c'era l'idea dell'aiuto dello sviluppo perchè era nemmeno completato, era appena agli albori, subito dopo la seconda guerra mondiale, il processo di decolonizzazione, la vera decolonizzazione cominciò proprio in quei anni, agli anni 50, quindi inizialmente l'idea era liberalizzazione degli scambi del commercio mondiale per favorire la libertà di concorrenza, la divisione del lavoro internazionale, le economie di scala per le imprese ecc, quindi la ricostruzione e basta. A partire dagli anni 60 i Paesi in via di sviluppo hanno cominciato a premere invece per la cooperazione allo sviluppo e allora hanno chiesto gran voce delle deroghe e quindi hanno ottenuto, già dagli anni 60 che venisse inserita nel GATT, perchè allora c'era solo il GATT, oggi in tutti i vari testi dell'OMC, una clausola che consente un trattamento un pò più favorevole, più privilegiato per questi Paesi, e questa clausola si chiama clausola di abilitazione, che abilita, cioè che consente agli Stati che fanno parte dell'OMC di concedere dei trattamenti preferenziali, sottratti alla clausola della nazione più favorita, quindi di carattere non reciproco o comunque preferenziale, ai paesi in via di sviluppo per favorire la loro economia. Sulla base di questa clausola di abilitazione è stato poi creato il così detto Sistema Generalizzato di Preferenze(SGP), e cioè quel sistema di, appunto, di preferenze concesse ai Paesi in via di sviluppo, sopratutto l'U.E ha fatto uso di questo Sistema Generalizzato di Preferenze sulla base dei vari accordi multilaterali che ha concluso, da una parte Comunità europea oggi Unione, naturalmente, dall'altra un gruppo molto nutrito dei Paesi in via di sviluppo che si chiamano i paesi ACP significa African, Caraibi e Pacifico, con i quali l'U.E ha stipulato una serie di convenzioni, con le quali accordava, appunto, una serie di preferenze sulla base dell'autorizzazione che quindi non vengono estese agli altri Paesi. Questi accordi sono rappresentati dalle famose Convenzioni di Lomè, di cui sono state fatte 5 diverse poi sostituite successivamente dalla Convenzione di Cotonou con questo gruppo di paesi ACP Countries, qualche volta l'Unione Europea è andata al di là di quello che consente il SGP accettato a livello del GATT, quindi c'erano state delle controversie, c'è atata la guerra delle banane, altre guerre di altri prodotti agricoli, tra Unione Europea e Stati Uniti e qualche volta il GATT, l'OMC ha dato torto all'Unione Europea pare che, appunto, ha un pochino esagerato. Questi accordi sono particolarmente interessanti perchè hanno costruito una serie di sistemi anche complessi, per esempio, di stabilizzazione dei prezzi delle materie prime, che sono i più interessanti, perchè i Paesi in

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via di sviluppo, il funzionamento globale dell'economia mondiale ancora oggi è così, i Paesi industrializzati hanno economia di trasformazione, cioè comprono le materie prime a basso prezzo poi le trasformano, creano prodotti industriali, ci mettono i capitali, la tecnologia, tutte le cose che hanno, e le rivendono a prezzo più alto, il prezzo delle materie prime è basso quindi i Paesi in via di sviluppo vendono materie prime e comprono prodotti industriali ad alta tecnologia fondamentalmente, ovviamente non è del tutto così perchè anche i Paesi in via di sviluppo, hanno anche loro producono prodotti industriali però più o meno le due direzioni sono queste e allora molti Paesi in via di sviluppo dipendono da un solo prodotto, ci sono Paesi la cui economia, pensate ai Paesi petroliferi per esempio se gli togliete il petrolio non hanno più niente oppure pensate allo zucchero cubano, Cuba vive dallo zucchero praticamente, e allora le oscillazione, gli sbalzi dei prezzi delle materie prime possono mettere in ginocchio questi Paesi con una notevole facilità, per cui l'U.E, ha costruito, allora non si chiamava ancora così, all'inizio con le Convenzioni di Lomè un sistema interessante di stabilizzazione dei prezzi, sono due meccanismi di stabilizzazione che si chiamano meccanismi di stabilizzazione e il Sismin che riguarda i prodotti minerari per diverse categorie di prodotti, il cacao, il caffè, la gomma, il legno ecc, che si basano sulla creazione di stock che si chiamano gli stock compensativi, cioè in sostanza si crea un sistema al quale l'U.E prima contribuiva con dei prestiti poi alla fine anche a titolo gratuito metteva dei soldi che dava ai Paesi in via di sviluppo per aqcuistare sul mercato mondiale questi beni e creare quindi uno stocaggio di questi prodotti su scala internazionale in maniera che se i prezzi scendono troppo e allora con questo fondo di riserva interviene il meccanismo di stabilizzazione e gli compra sul mercato mondiale, comprando fa salire il prezzo e quindi il prezzo è salito abbastanza e stabilisce un prezzo minimo al di sotto del quale il meccanismo ha intervento automatico. Quando il prezzo è salito abbastanza allora vengono rivenduti così si ricreano riserve monetarie per potere continuare a intervenire. Con questo sistema c'è un vantaggio anche per i Paesi industrializzati in realtà perchè si assicurano l'approvvigionamento delle materie prime, che qualunque cosa succede c'è uno stock esistente, conservato, e nello stesso tempo si assicurano un prezzo ragionevole però a loro volta garantiscono, quindi, con questo contributo finanziario, i Paesi in via di sviluppo. Oggi questo sistema è stato sostituito da un sistema moderno da qualche anno che si chiama Flex proprio perchè è più flessibile, che prevede maggiore flessibilità quindi degli interventi meno rigidi di quelli che invece erano rigidamente programmati con valori monetari, quantità ecc, dei primi sistemi di stabilizzazione e sismin. Quindi questo più o meno è la base, diciamo, della liberalizzazione degli scambi commerciali internazionali. Vediamo adesso le altre due Organizzazioni importanti, cioè il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo. Il Fondo Monetario Internazionale venne creato per garantire la stabilità monetaria, proprio per evitare quello che era successo negli anni 30 e cioè svalutazioni che avevano provocato tutta la destabilizzazione che ha sul commercio internazionale la mancanza di stabilità delle monete. Il Fondo Monetario Internazionale funziona così: gli Stati sottoscrivono una certa quota, ognuno a seconda di quello che si possono permettersi di sottoscrivere e c'è anche un sistema di voto tollerato come c'è, come sapete benissimo, nel Consiglio dell'U.E, cioè a secondo delle quantità di quote che uno Stato detiene, come nelle società in cui nell'assemblea degli azionisti, quelli che hanno più azioni, ovviamente hanno più.., quindi lo stesso meccanismo, in sostanza, di una società. E il sistema del Fondo si basa sulla garanzia della stabilità monetaria delle monete, in origine tutto il sistema monetario internazionale dalla fine della guerra fino al 1971 era tutto sulle spalle dell'dollaro americano perchè il dollaro americano era obbligato dagli accordi del fondo di mantenere una emerita aurea rigida del dollaro, non lo svalutaro o rivalutare nemmeno di un centesimo, quindi era un valore preciso che era ancorato al prezzo dell'oro, ovviamente il prezzo dell'oro può oscillare e allora il dollaro oscillava al prezzo internazionale dell'oro. Gli Stati Uniti hanno tenuto questo peso fino al 1971, tutte le altre monete non erano convertibili in oro, voi sapete la storia della moneta, la moneta all'inizio era convertibile, no? e poi a un certo punto ha smesso di essere e gli Stati Uniti si sono impegnati e quindi garantivano da soli la stabilità monetaria mondiale per i Paesi che aderivano al sistema, per esempio, l'Unione Sovietica non faceva parte del sistema e quindi tutti i Paesi che non facevano parte del sistema della loro valuta potevano fare quello che volevano naturalmente, e lo facevano, invece quelli che appartenevano alla moneta internazionale no. Allora gli Stati Uniti sopportavano questo peso e ogni volta che un Paese aveva degli squilibri valutari aveva bisogno di aquistare valuta straniera,

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normalmente dollari ma anche altre eventualmente, poteva acquistarli dal Fondo Monetario Internazionale, cioè si va dal fondo prendiamo un certo numero di lire, quando ancora noi avevamo la lira per esempio, in cambio di dollari con l'obbligo di restituirli ad un certo punto, con questi dollari che abbiamo riusciamo a non dovere svalutare troppo e c'è un margine di oscillazione più piccolo, più consentito, nel 1971 gli Stati Uniti hanno avuto una crisi economica, non c'è lo hanno fatta più e hanno detto noi molliamo e quindi anche gli Stati Uniti hanno abbandonato la convertibilità in oro. Il Fondo Monetario Internazionale però continua oggi ad esercitare un'altra funzione che è importante e cioè quella di garantire l'equilibrio della bilancia dei pagamenti, cioè quando nostro Paese spende molto di più per le sue esportazioni di quanto ricava dalle sue importazioni si trova in una situazione di squilibrio quindi questo rende difficile la situazione per la sua moneta e allora può fare questo meccanismo che vi ho detto con i diritti speciali di prelievo che possiede che rappresentano in sostanza l'ammontare delle quote di cui dispone nel Fondo perchè un Paese può prelevare dal fondo valuta per esempio, dollaro, euro o quello che volete, soltanto nei limiti della quota in cui dispone quindi gli Stati Uniti ne possono prelevare tantissimo, gli altri Paesi, invece, più sono piccoli, meno quote hanno, meno possono prelevare, però il tutto è rapportato, ovviamente, alle dimensioni della loro economia, entro quei limiti, entro quella somma, i Paesi che si trovano in difficoltà della bilancia dei pagamenti per raddrizzarla possono acquistare valuta estera, tecnicamente non è un prestito, tecnicamente, io non me ne intendo molto di queste cose ma quelli che se ne intendono spiegano che si tratta di un acquisto con patto, però, poi di riscatto, diciamo, con l'obbligo di restituire in valuta straniera, quindi non è un prestito perchè vari Paesi hanno versato le quote quindi il Fondo c'ha le sue quote, allora portano la loro valuta e prendono in cambio la valuta straniera con la quale quindi sistemano la bilancia dei pagamenti. Ci sono accordi, che normalmente hanno breve durata, si chiamano stand by agreements appunto perchè hanno una breve durata in cui si dà al fondo la propria valuta e si prende in cambio quella straniera che c'è bisogno per riequilibrare le bilancia , funziona così il meccanismo. Adesso, poi, da alcuni anni invece il fondo ha creato un extended facility che consente invece dei prestiti più a lungo termine comunque il meccanismo è sempre questo, voto ponderato, possibilità di prelevare valuta estera dal Fondo fino a concorrenza massima della quota di Fondo che ogni Stato possiede. Uno dei problemi per cui il Fondo è stato criticato abbastanza è quello che per concedere queste somme agli Stati, gli Stati non è che le ottengono in cambio di niente perchè altrimenti si farebbe questo, seguendo l'autorizzato, e poi l'economia si sfasca lo stesso e quindi alla fine sono tutti gli altri Stati partecipanti al sistema che pagano il peso delle dissolutezze dell'economia dei singoli Paesi membri quindi per evitare questo il Fondo condiziona ad una Lettera di Intenti, come si chiama, che viene negoziata di volta in volta, cioè il prelievo viene consentito, viene negoziato però lo Stato deve assumersi degli impegni, degli obblighi relativamente al risanamento, delle misure restrittive naturalmente, misure di risanamento della propria economia, cioè io te li dò i soldi però tu devi fare questo, devi fare quello, non devi fare quell'altro e sono misure di governo dell'economia molto rigide. Lo Stato che si impegna, è obbligato a sottoscrivere una Lettera di Intenti, si chiama Letter of Intent, che è sostanzialmente un'accordo in forma semplificata, diciamo, che ci sono i Ministri finanziari, i Ministri economici sottoscrivono con il Fondo per avere queste somme. Ecco perchè i Paesi in via di sviluppo hanno criticato molto il Fondo sia perchè c'è il voto ponderato quindi praticamente i Paesi sviluppati, gli Stati Uniti sopratutto, che hanno ovviamente la maggiore voce sul capitolo, addirittura c'è una tradizione, una regola non scritta, una tradizione che viene rispetatta per cui il Presidente del bord dei governatori è sempre americano, non è mai stato di nessun altro Paese, in secondo luogo perchè lo hanno accusato in sostanza di praticare una specia di, quasi, sfruttinagio perchè ogni volta che un Paese si trova mal ridotto per potere ottenere questi soldi gli fanno sottoscrivere lettere di intento con le quali assume degli impegni di enorme rigore nella sua economia e quindi poi deve adottare misure restrittive e quindi affamere la sua popolazione per far pagare, per non fare rovesciare,diciamo, sulle spalle degl altri il peso delle sue leggerezze economiche o monetarie o fonanziarie, questo più o meno è il Sistema del Fondo Monetario. Poi c'è la Banca Internazionale per Ricostruzione e lo Sviluppo che finanzia investimenti produttivi quindi non finanzia investimenti che non sono produttiva, per esempio infarastrutture è stata creata sempre con gli accordi di Bretton Woods del 1944 unitamente al Fondo Monetario Internazionale, e l'origine ha, appunto, questa funzione di ricostriure e funziona con lo stesso schema cioè anche lì c'è il voto ponderato in

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proporzione delle quote che sono state versate dagli singoli Paesi che aderiscono e gli investimenti devono essere produttivi e la Banca opera senza fare favori a nessuno, opera con la stessa logica esatta di una Banca privata, sana naturalmente, quindi innanzi tutto valuta la convenianza e la produttività dell'investimento perchè la concessione del prestito è legata a un giudizio positivo sulle possibilità di produttività reali dell'investimento che dà la Banca e anche lì c'è questa prevalenza del voto dei Paesi sviluppati, questo è il motivo per cui queste istituzione finanziarie internazionali, e anche il GATT del resto quando c'era il GATT e poi l'OMC, sono state attaccate e criticate dai Paesi in via di sviluppo i quali hanno detto queste Organizzazioni riflettono in sostanza gli interessi dei Paesi occidentali noi vogliamo di più e allora dall'OMC hanno ottenuto il SGP, dalla Banca hanno ottenuto poco perchè la Banca, ripeto, valuta la produttività dell'investimento e poi vuole garanzie, la Banca o presta agli Stati, se presta a un privato,a una persona giuridica, una societa, un ente privato vuole la garanzia dello Stato e valuta, appunto, la produttività dell'investimento, per di più il prestito viene fatto a condizioni bancarie normali non a condizioni particolarmente favorevoli. I Paesi in cia di sviluppo dalle loro contestazioni hanno ottenuto dalla Banca alcune cose: innanzi tutto hanno ottenuto un leggero sconto, cioè ai Paesi sviluppati viene prestato il denaro con un certo tasso che è quello del medio bancario, i Paesi in via di sviluppo hanno un pò di meno, ma credo che sia lo 0,5% di meno qunidi non è una grande agevolazione però poi ha fatto delle altre cose, innanzi tutto la Banca ha creato due strutture che aiutano molto i Paesi in via di sviluppo e che abbiamo già raccontato quando abbiamo parlato della protezione degli interessi economici degli stranieri e cioè l' ICSID, il Centro Internazionale per la Soluzione delle Controversie relative agli Investimenti, oggetto di arbitrato se ricordate questa convenzione di Washington del 1965 e poi nel 1985 il sistema MIGA cioè Multilateral Investment Guarantee Agency che protegge gli investimenti assicurando, principalmente, contro i rischi non commerciali, gli incidenti sugli investimenti nei Paesi dove ci possono essere rischi di vario genere, ne abbiamo già parlato. Oltre questo ha creato una struttura parallela che si chiama Società Finanziaria Internazionale e accorda con essi dei Paesi in via di sviluppo in maniera più favorevole, la Società Finanziaria Internazionale accorda con essi i privati che investono nei Paesi in via di sviluppo e in sostanza interviene per integrare se c'è un progetto considerato valido e i prestatori privati o gli investitori privati non hanno tutti i soldi neccessari interviene la Società Finanziaria Internazionale presta i soldi a tassi agevolati, questa volta agevolati in maniera abbastanza sostanziosa. Oltre a questo poi è stata creata da parte della Banca, oltre alla Società Finanziaria Internazionale, l'Associazione Internazionale per lo Sviluppo IDA e cioè International Development Association, che come la Società Finanziaria Internazionale, è un Organizzazione internazionale vera e propria, autonoma, distinta. Questa Associazione concede ai Paesi in via di sviluppo, non a chi investe nei Paesi in via di sviluppo, dei prestiti a condizioni molto favorevoli questa volta quindi con contributi volontari degli Stati essenzialmente oppure con capitale reperibile sul mercato internazionale dei capitali perchè sono prestiti a lungo termine, normalmente 30 anni, che normalmente per i primi 10 anni non c'è interesse che soltanto dopo i primi 10 anni c'è un tasso di interesse che comunque è un tasso di interesse modesto, quindi queste sono più o meno, adesso le abbiamo dette in maniera rapida per darvi un idea dei vari Organizzazioni internazionali che assicurano la liberalizzazione degli scambi per l'economia e un pò di ombrello, diciamo, contro le crisi mondiali, quindi storicamente abbiamo avuto due fasi: dalla fine della seconda guerra mondiale agli anni 70, diciamo, in cui il problema era quello della ricostruzione della liberalizzazione degli scambi e la metà degli anni 60 inizio degli anni 70 invece è cominciato anche alcuni intervento quindi una differenzziazione , un trattamento modesto però quello è che si è riusciti di ottenere dei Paesi in via di sviluppo, questo è quello più o meno come funziona attraverso le Organizzazioni internazionali il Sistema internazionale. Ci sono poi le Organizzazioni di Integrazione Economica i cui prodotti, naturalmente, sono le Comunità Europee. L'Integrazione Economica è il tipo di organizzazione è il tipo di Organizzazione internazionale più evoluto, tant'è vero che non si parla più di Organizzazione internazionale ma si parla di Organizzazione sovranazionale, il sovranazionalismo perchè sono Organizzazioni alle quali gli Stati attribuiscono poteri normativi, poteri vincolanti molto più forti perchè tutte le altre che abbiamo visto adesso non hanno poteri di tale entità, di tale consistenza per esercitare veramente un'impatto di tipo limitativo, di tipo restrittivo, significativo sulla sovranità degli Stati, che l'unica cosa che abbiamo visto che ha un potere tale è il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che però intanto è stato cretao per risolvere il problema di

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tutti i problemi, il problema più importante di tutti e cioè garantire la sicureza, la pace e la sicurezza mondiale contro agressioni, in secondo luogo ha quel sistema, quella regola di voto, che conosciamo, che lo rende tutto sommato non particolarmente efficiente come sistema decisionale perchè c'è il diritto di veto e quindi ben 5 Paesi che non sempre, non neccessariamente sono d'accordo su tutto, anzì per molti anni ha funzionato poco, appunto, proprio perchè gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica non erano d'accordo, praticamente, mai su niente. Al di là di questo l'Organizzazione internazionale ha delle competenze, dei poteri abbastanza più ampi, sopratutto sul piano normativo, diversa è invece l'idea dell'Integrazione Economica. L'Integrazione economica in Europa era basata su varie idee, c'era alla base il pacifismo e quindi l'idea della federazione europea quando fu creata, che è un idea antichissima ai sogni di Kant che aveva scritto il famoso volumetto sulla pace eterna in cui proponeva, appunto, una federazione per i Paesi europei, quindi l'idea della federazione dei Paesi europei è molto antica, diciamo. Quando finì la seconda guerra mondiale, c'era il movimenta federalista molto forte e allora si contrapponevano due movimenti: l'idea della federazione, facciamo l'Unione politica e basta così smettiamo di farci la guerra e invece un'idea un pochino più prudente pensava che non era possibile, non c'erano le condizioni politiche perchè i Paesi europei rinunciasserò alla loro sovranità ma si poteva operare con un metodo diverso, il metodo funzionale, il così detto Funzionalismo che è il metodo alla base del sovranazionalismo e quindi della creazione dell'U.E, cioè l'idea di costruire l'Europa a partire dal basso, partiamo dall'economia, mettiamo in comune l'economia, creiamo un'integrazione, diventi una solidarietà economica molto forte, creiamo progressivamente un mercato unico, quando si sarà creata ormai un'interdipendenza tale dell'economia da rendere molto difficile, se non impossibile e comunque normalmente costoso in termini economici per gli Stati di rinunciare a questi vincoli a poco a poco verrà l'idea dell'Unione politica qunidi mantenere l'unità dell'Europa delle patrie, come si chiamava allora, era priorità del funzionalismo. Questa significava, in sostanza, mettere l'economia al servizio della politica, cominciare dall'economia per ricostruire poi una sempre più stretta integrazione tra i popoli europei. L'interpretazione marksista era diversa, loro dicevano non è vero niente, non è l'economia al servizio della politica e la politica al servizio dell'economia cioè si trattava unicamente di creare dei benefici, dei vantaggi per la cumulazione delle grandi imprese le quali potevano, appunto, realizare l'economia di scala, aprirsi i mercati alla concorrenza quindi abbatere le barriere e quindi evitare la sovracumulazione di ricchezza e sopratutto c'era l'interesse degli Stati Uniti, infatti tutto il movimento delle varie Organizzazioni internazionali europee, non soltanto la Comunità Europea ma anche tutte le altre, il Consiglio d'Europa, le Alleanze Difensive, la Nato ecc, nascono tutte in sostanza dal piano Marshal e cioè gli Stati Uniti aiutarono l'Europa economicamente la ricostruzione però con l'idea di mantenere un certo controllo politico, per lo meno mantenerlo nel campo occidentale e poi anche l'idea di avere dei vantaggi economici perchè la produzione industriale americana voleva un mercato di sbocco e voleva anche avere, invece di una serie di interlocutori politici divisi tra di loro, averne uno solo, quindi anche l'idea dell'Europa politica alla fine per gli Stati Uniti era considerata in quell'epoca un vantaggio, quindi c'erano in sostanza, secondo me, luci e ombre nella nella costruzione dell'integrazione europea, c'erano anche vantaggi economici, benefici economici sono enormi, si è rivisto in questi ultimi 20 anni nell'America Latina quando i Paesi americani hanno cominciato a creare sistemi di integrazione hanno avuto tassi di crescita 3, 4, 5% l'anno tutti quanti quindi si vede che c'è un beneficio gigantesco, gli scambi sono aumentati di 4, 5 volte l'anno in proporzione geometrica tra i vari Paesi che hanno fatto i vari sistemi di integrazione latino-americana che, ovviamente, sono molto più blandi dell'U.E perchè non ci sono tutte le cose che abbiamo noi, in privato il diritto comunitario, l'applicazione diretta, la Corte di Giustizia con quella sua giurisprudenza che ha promosso con tanta energia lo sviluppo dell'integrazione però ci sono degli enormi benefici economici, dal punto di vista politico c'è infatto una maggiore concentrazione di potere di prendere le decisioni, quelle che contano, come si dice, lontano dai cittadini, quindi ci sono dei vantaggi e dei svantaggi però questo indubiamente è il tipo di Organizzazione internazionale più sviluppato, più importante a tal punto che ormai per l'U.E io non mi sentirei nemmeno più di dire che sia ancora in un livello di Organizzazione internazionale sia pure ha questa dimensione sovranazionale ma ormai sta creando un'entità che comincia a spostarsi, lo spostamento è progressivo dal livello internazionale dei rapporti internazionali tra gli Stati quindi una struttura controllata dagli Stati verso il diritto costituzionale e sempre è uno spostamento lento perchè

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sono 60 anni che il processo è stato messo in moto però, per quanto lentissimo, però è uno spostamento in quella direzione. E questo si riflette anche nell'insegnamento universitario perchè mentre il diritto comunitario fino ancora un paio di decenni fa era un capitolo del diritto internazionale, o massimo un corso secondario al diritto internazionale oggi è diventato sempre più, tan'è vero che oggi miei colleghi, prof di diritto costituzionale cominciano a dire dovremmo cominciare a prendere pure noi gli appelli internazionalisti, gli internazionalisti continuano a dire ma i professori di diritto costituzionale, di diritto comunitario ci capiscono molto di meno di noi, noi lo capiamo molto meglio perchè noi abbiamo la mentalità dell'internazionalista, vediamo i problemi in una maniera diversa loro ancora devono a imperare a capire come funziona, più o meno questa è oggi la fase storica in queste materie. Oltre questi tipi di Organizzazioni poi ce ne sono altre, c'è il Regionalismo per esempio in Europa abbiamo una serie di organizzazioni regionali che sono tutte state create dalla seconda guerra mondiale che ormai ce ne sono troppe perchè c'è l'U.E che si sta cominciando ad avere una dimensione di politica estera e quindi una dimensione militare, sul piano militare c'è l'Unione Europea Occidentale e la Nato che più o meno sono, quasi, la stessa cosa salvo che nella Nato hanno fatto parte sin dall'inizio Stati Uniti e Canada, infatti è North Atlantic Treaty Organization quindi un patto difensivo che riguardava questa area che geograficamente non aveva molta omogeneità, c'è l'aveva politica quindi è stata battezzata Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord per comprendere i due versanti dell'atlantico, quello americano e quello europeo e poi c'è il Consiglio d'Europa che aveva la valenza principale dato il suo legame, di cui abbiamo già parlato, con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, oggi nessun Paese, può essere ammesso al Consiglio d'Europa se non ratifica simultaneamente, assumendosi quindi tutti gli impegni incluso il controllo della Corte di Strasburgo, può entrare a fare parte del Consiglio d'Europa, non è una norma scritta, non è che c'è scritto nello Statuto del Consiglio d'Europa che è obbligatorio però di fatto, siccome, un Paese non può aderire, deve essere ammesso, l'ammissione normalmente è condizionata, dal punto di vista politico, diciamo, non giuridico, di fatto obbligatorio, quindi, alla adesione Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Quindi c'era questa dimensione di creare, infatti la prima è stata fatta nel 1949, di creare una Organizzazione che garantisse il mantenimento della tradizione di stato del diritto dell'Europa occidentale dopo la barbaria della guerra quindi creando un'Organizzazione che si basava sulla cooperazione giuridica, sulla fedeltà di questi valori, sulla adesione, appunto, ad un sistema di protezione come quello creata dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, dei diritti fondamentali della persona, è una delle poche Organizzazione che hanno un'Assemblea Parlamentare perchè così come l'U.E ha il Parlamento Europeo anche il Consiglio d'Europa c'ha l'Assemblea Parlamentare, cioè c'ha l'organo governativo che è il Consiglio e poi l'Assemblea Parlamentare nella quale sono rappresentati dei parlamentari, 4 rappresentanti per ogni Stato membro di ogni parlamento nazionale, quindi è composta da parlamentari nazionali proprio per l'idea, quindi, di cercare di portare, almeno a livello simbolico perchè poi le competenze dell'Assemblea sono modestissime, sono varie raccomandazioni e non ha competenze incisive però, l'idea che in un Organizzazione internazionale venisse simbolicamente rappresentati anche i parlamenti e quindi la democrazia in sostanza, del resto come probabilmente sapete, dai vostri studi del diritto dell'Unione Europea, anche nella Comunità Europea all'inizio, prima di arrivare al 1979 dell'elezione diretta, i parlamentari europei anche nel sistema comunitario erano dei parlamentari nazionali. Poi c'è ancora l'OCSE, c'è l'OCSE e l'OSCE ecco le ultime due. OCSE è l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, invece l'OSCE è l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in europa. L'OCSE è una Organizzazione anche quella economico che non ha grandi poteri però fa degli studi molto rigorosi, molto severi sull'economia dei vari Paesi affidate a commissioni di esperti i quali poi fanno i famosi rapporti che in sostanza fanno un pò la guardia sul fatto che i vari Paesi europei si comportino bene quindi garantiscono il buon funzionamento della sua economia perchè le interdipendenze delle economie di tutti i vari Paesi anche gli altri possono pagare le conseguenze della leggerezza di governo dell'economia dei singoli Stati. Invece l'OSCE in origine era un CSCE che era Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, questa conferenza fu proposta ancora negli anni della guerra freda, negli anni 70, fù proposta dall'Unione Sovietica e i Paesi Europei come un meccanismo di consultazione per garantire la sicurezza, e i Paesi Europei accettarono di consultarsi, era una specie di foro con il quale si discuteva con i Paesi dell'Europa dell'est e nel quale quindi erano esclusi gli Stati

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Uniti, a condizione però che l'Unione Sovietica in cambio accettasse di discutere anche le questioni che riguardavano i diritti umani perchè, come vi ho detto, una delle idee a base dell'Organizzazione internazionale anche delle Nazioni Unite e anche delle varie Organizzazioni, istituzioni europee è quella del rapporto che c'è tra il mantenimento di relazioni pacifiche tra i popoli quindi scongiurare il pericolo della guerra e il manenimento dello stato di diritto, rispetto della democrazia e dei diritti dell'uomo nei Paesi, perchè c'è l'idea, probabilmente giusta se non altro perchè fondata su secoli di esperienza storica che i Paesi democratici normalmente sono pacifici, non aggrediscono gli altri mentre di solito lo fanno di più i paesi totalitari. E allora i Paesi europei chieserò in cambio che l'Unione Sovietica accettasse di discutere con loro lo stato delle questioni relative ai diritti dell'uomo, il cui stato in Unione Sovietica e nell'Europa orientale era particolarmente lamentevole e allora si cominciarono a creare queste conferenze periodiche, prima quella di Helsink che durò alcuni anni e che si concluse con l'atto finale di Helsink nel 1975, tutte le dichiarazioni delle riparazioni erano adottate mediante consensus e non erano obbligatorie, quindi non c'erano atti obbligatori, poi si stabilì fare delle conferenze periodiche di controllo in cui si monitorava che gli impegni assunti a livello politico, non a livello giuridico, che riguardavano gli aspetti militari, gli aspetti anche della sicurezza economica, ambientale, tecnologica ecc, si facessero alle conferenze di revisione, c'è stato quello del 77, poi c'è stata quella di Madrid, a un certo punto dalla conferenza si è deciso di trasformarla in Organizzazione quindi da CSCE e diventata OSCE, quello che ha di particolare la OSCE è che è l'unica Organizzazione internazionale che io conosca che non ha un trattato istitutivo perchè è stata sempre creata attraverso il consenso, attraverso questi accordi come si chiamano nel gergo i soft law cioè gli imegni puramente politici e anche per questo, pur avvendo degli organi creati sempre senza un trattato però non ha probabilmente personalità giuridica internazionale autonoma rispetto agli Stati membri perchè non ha gli organi capaci di esprimere verso l'esterno una volontà autonoma quindi non ha ius contraendi, non stipula accordi internazionali, non è un soggetto internazionale. Ci sono poi le Alleanze Militari, l'U.E occidentale e Nato che sono basate sull'idea dell'alleanza difensiva classica e cioè se uno Stato che fa parte dell'alleanza viene aggredito da uno Stato terzo gli altri devono correre in suo aiuto, l'Unione Europea Occidentale include anche una cooperazione in materia di armamenti che si è sviluppata e oggi è ormai, quasi, destinata a finire perchè da quando si è sviluppata il secondo pilastro, oggi non è più esistente come tale, dell'Unione Europea cioè la cooperazione politica in materia di politica estera dei Paesi europei, ormai la politica estera di sicurezza comune include anche la ideologia di organizzare a livello dell'Unione Europea una politica estesa e si comincia anche a parlare dell'idea di un'esercito comune, già perchè forse gli interventi comuni esistono quelle che stanno con le così dette missioni di Wederberg cioè le missioni di mantenimento della pace e quindi a poco a poco sta per finire di soppiantare complettamente l'Unione Europea occidentale, stanno continuando a coesistere soltanto perchè hanno Paesi membri non perfettamente cioncidenti perchè ci sono alcuni Paesi che fanno parte dell'Unione Europea occidentale e non dell'Unione Europea, la Turchia per esempio, e viceversa, al contrario, però è destinata probabilmente a finire, invece rimarrà la Nato perchè alla Nato hanno aderito moltissimi paesi dell'Europa dell'est, come è successo per il Consiglio d'Europa dopo la fine dell'Unione Sovietica, dei Paesi socialisti dell'Europa orientale e quindi Nato e Consiglio d'Europa coprono un'area geografica molto più vasta della sola Europa occidentale. Ecco, questo era quello che potevamo dire in poche ore per dare un'idea dell'Organizzazione internazionale delle Nazioni Unite, la prossima volta in maniera conclusiva vedremo il problema della soggettività internazionale delle Organizzazioni internazionali poi chiudiamo con questa parte e passiamo a studiare le fonti.

04 03 2010

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Oggi tiriamo un pò le conclusioni sulla funzione della soggettività delle Organizzazioni internazionali, dato che abbiamo, nelle 3 o 4 ore di lezioni scorse, cercato di descrivere il fenomeno più completamente possibile per quanto con la neccessaria inevitabile sinteticità. Il problema della soggettività delle Organizzazioni internazionali si pone non soltanto, naturalmente, nei confronti degli stati che sono membri dell'Organizzazione ma anche nei confronti degli stati terzi e è un problema che si è posto con una certa gradualità perchè, abbiamo già accennato, che all'inizio del fenomeno dell'Organizzazione la tendenza generale era considerare le Organizzazioni internazionali organi comuni degli stati che facevano parte all'Organizzazione. A misura che il fenomeno si espandeva e che quindi era sempre più necessario per rassicurare l'efficienza del funzionamento delle Organizzazioni internazionali, dotarle di maggiori competenze quindi sopratutte munirle degli strumenti neccessari che il diritto internazionale mette a disposizione degli enti che sono soggetti, attori, come si suol dire, della vita giuridica di relazione internazionale quindi agiscono per esempio sull'accordo, trattato internazionale oppure proteggerlo, per esempio, con le immunità dall' interferenza degli stati che non solo per gli stati contraenti, gli stati membri dell'Organizzazione, ma naturalmente anche gli stati terzi, a poco a poco è diventata, e sopratutto nella necessità di assicurargli una cosposizione di indipendenza come attori rispetto agli Stati membri, è diventato sempre più necessario cominciare a riconoscergli la titolarità di questi strumenti quindi la possibilità di stipulare accordi internazionali, di avere relazioni, anche di tipo diplomatico tra gli stati, di rivendicare l'immunità e quindi il problema della soggettività internazionale si è posto sempre di più ma ha cominciato a porsi seriamente, in sostanza, più o meno dopo la seconda guerra mondiale, ancora prima della seconda guerra mondiale la tendenza generale, quello della dottrina internazionale era di o non porsi il problema della soggettività oppure di escluderla almeno dal dizionario. In proposito gli stati hanno sempre tenuto un'atteggiamento in una certa misura ambiguo, da una parte perchè c'è l'esigenza di riconoscere, appunto, alle Organizzazioni internazionali una posizione, un ruolo nella sfera della relazione internazionale che implica necessariamente l'accettazione, il riconoscimento che le Organizzazioni possono essere improprie o titolari di situazioni giuridiche di diritti e obblighi del diritto internazionale, d'altro lato però gli stati sono preoccupati in qualche misura di perdere un pò la loro condizione di monopolio, di attori principali, diciamo, del sistema, di soggetti che ne dispongono e quindi c'è la tendenza di cercare di fargli uno status, una posizione in qualche misura no uguale a quella degli stati subordinati, è questo che rende quindi la questione della soggettività dell'Organizzazione internazionale non semplicissima da qualificare, questo sul piano, già, dell'atteggiamento politico degli stati che ovviamente è importante. Ma al di là di questo profilo politico già anche sul piano giuridico, dato che noi sappiamo che il presupposto essenziale della soggettività internazionale è l'indipendenza cioè quando Stati sono sovrani, indipendenti, reciprocamente hanno quindi rapporti orizzontali, rapporti paritari tra di loro, così anche gli altri soggetti che fanno parte di questa sfera che è la sfera del ius interpotestates nel diritto internazionale con relazioni di traenti capitali che non hanno niente al di sopra di loro e questo requisito deve valere anche per le Organizzazioni internazionali però sul piano giuridico, l'indipendenza delle Organizzazioni internazionali dagli stati non è la stessa di quella di uno stato sovrano perchè in qualche misura sono sottoposti ad un condizionamento da parte degli stati sia interno che esterno, gli Stati possono condizionarla dall'interno perchè negli organi che hanno le competenze più estese, più ampia, normalmente quelli che votano e che quindi decidono, che tengono il potere decisionale interno sono gli organi rappresentati dagli Stati, ma anche dall'esterno perchè, per esempio, gli stati possono disporre delle competenze dell'Organizzazione internazionale attraverso il trattato istitutivo, modificando il trattato istitutivo, ancora oggi, pensate al fenomeno dell'Unione Europea in cui nonostante il grado notevole di effettività che ha già raggiunto ormai l'Unione Europea però per gli stati, con le varie modifiche, con i vari accordi che si succedono nel tempo, periodicamente, possono cambiare, modificare, aggiungere formule, sottrarle ecc, quindi anche l'U.E in realtà è sottoposta, certo ci vuole l'unanimità naturalmente, ci vogliono i consensi poi la ratifica dei parlamenti nazionali d'accordo con gli stati però gli stati anche dall'esterno in qualche misura hanno comunque la possibilità di modificare. L'unione europea, per esempio, adesso ha avuto un rafforzamento notevole con il trattato di Lisbone però, per esempio, il trattato di Lisbona ha introdotto per la prima volta la libertà di recesso di ciacuno stato sia pure stipulando degli accordi ecc, ecc, però oggi il trattato dell'U.E prevede che gli stati possono recedere mentre a partire dal 1957 quando fu

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fondata la Comunità Europea questa possibilità non era mai stata prevista da nessuna delle revisioni succedutesi nel tempo del trattato istitutivo originariamente della CEE, quindi c'è questo elemento, poi gli stati la condizionano in parte anche sul piano di fatto, per esempio, anche senza bisogno di modificare le norme che ne regola la competenza ecc, possono rifiutare di finanziarla pechè le Organizzazioni internazionali hanno un budget, si regolano con i loro finanziamento per gli stati, ci sono state molte volte anche nelle stesse Nazioni Unite me anche in molte altre Organizzazioni internazionali delle situazioni, dei periodi più o meno lunghi di crisi per cui l'Organizzazione cominciava a boccheggiare un pochino perchè stati che non erano contenti della linea politica seguita dalla Organizzazione smettevano di dare finanziamenti, sopratutto uno stato grosso come gli Stati Uniti che normalmente nelle Organizzazioni internazionali unversali alle quali partecipa da solo si assume l'onere del 20, 30% dell'intero budget, basta che interrompa il pagamento per 2 o 3 anni ed è in gardo di strangollare quasi tutte le Organizzazioni internazionali più importanti. Quindi il problema è difficile, sul piano sia politico che giuridico c'è una certa ambiguità è questo che rende la situazione, le Organizzazioni internazionali come soggetti sì della Comunità internazionale ma come soggetti che hanno una posizione non identica a quella di uno stato sovrano. Su questa spiegazione in termini giuridici della soggettività ci sono due toerie: la prima che è la più diffusa e secondo me quella più difficilmente sostenibile, per i motivi che adesso vi esporrò, però la tesi che è cominciata ad essere sostenuta per prima e che ha avuto, tutto sommato ancora oggi probabilmente, più successo quantitativamente sul piano internazionale è quella che fonda la soggettività internazionale dell'Organizzazione sul trattato, sull'accordo, questa tesi venne, tra l'altro, anche accreditata dalla stessa Corte Internazionale di Giustizia nel suo famoso parere nel 1949 relativo alla questione dei danni sofferti al servizio delle Nazioni Unite, mi pare che della fattispecie di questo parere avevo già accennato, ma vi ricordo rapidamente che il fatto era questo che c'era un mediatore tra Arabi e Palestinesi, per conto delle Nazioni Unite, che si trovava in Palestina e il conte svedese Folke Bernadotte che lui, insieme ad altri funzionari delle Nazioni Unite e un'altro funzionario di nazionalità francese, era stato ucciso dai terroristi israeliani in Palestina e allora Israele, preoccupatissimo della difficoltà sul piano internazionale in cui questa situazione lo metteva, si era dichiarato disposto a risarcire il danno e la questione era chi lo doveva risarcire, alla Svezia perchè la Svezia era lo Stato nazionale della vittima oppure le Nazioni Unite e allora l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite decise di chiedere un parere, vi ho già detto che la Corte Internazionale di Giustizia rende pareri per conto delle Nazioni Unite, su questa questione giuridica, se le Nazioni Unite avevano o no la capacità internazionale per potere presentare reclami sul piano internazionale per i danni subiti per la perdita di un proprio funzionario, questa è la questione giuridica. La Corte ritenne di dovere preliminarmente affrontare la questione preliminare della soggettività internazionale dell'Organizzazione perchè la Carta delle Nazioni Unite non ha una norma che dice le Nazioni Unite hanno personalità giuridica internazionale, c'è soltanto una norma che parla della personalità giuridica di diritto interno che è l'art 104 " l'Organizzazione gode, nel territorio di ciascuno dei suoi membri delle Nazioni Unite,della capacità giuridica necessaria per l'esercizio delle sue funzioni e per il conseguimento dei suoi fini", è però vero che ci sono delle norme quà e là nella carta che sembrano presuporre la capacità internazionale perchè ci sono norme che parlano esplicitamente della capacità dell'Organizzazione di concludere accordi, per esempio, degli accordi di cui all'art 43 che il Consiglio i Sicurezza avrebbe dovuto stipulare: " l'accordo o gli accordi, dice l'art 43 per la messa a disposizione del consiglio di sicurezza di forze armate da parte dei Stati membri saranno negoziate al più presto possibile su iniziativa del Consiglio di Sicurezza e saranno conclusi tra il Consiglio di Sicurezza e i Singoli membri ecc, ecc oppure quell'art 63 che avevamo visto che il Consiglio Economico e Sociale può negoziare accordi con altre Organizzazioni internazionali, accordi di collegamento con gli Istituti Specializzati oppure ancora l'art 105che dice che l'Organizzazione gode nel territorio dei suoi membri dei privilegi e delle immunità necessarie per il conseguimento dei suoi fini quindi in sostanza attribuisce delle immunità alle Organizzazioni che normalmente sono la prerogativa di un soggetto internazionale, quindi ci sono elementi già alla Carta però la Carta formalmente non dice che le Nazioni Unite hanno la personalità giuridica. Invece il trattato CEE e il trattato CECA, il trattato euroatomo quando avevano una norma di questo tipo, e oggi una norma di questo tipo la ritroviamo nel trattato dell'U.E nell'art47che dice l'Unione è personalità giuridica intendendo con ciò dire personalità giuridica

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internazionale, come, per esempio, una norma di questo tipo c'è nello Statuto della Corte Penale Internazionale lo Statuto di Roma del 1998, l'art 4 dice la Corte Penale Internazionale ha personalità internazionale quindi può negoziare accordi con gli stati. Comunque la corte internazionale di giustizia nel 1949 si pose questo problema e allora la corte dissi sì, le Nazioni Unite sono un soggetto di diritti internazionale e giustificò la soggettività con l'accordo, con la Carta cioè con l'intenzione che gli Stati membri delle Nazioni Unite avevano avuto di attribuirle. La Corte disse " ben potevano 50 stati rappresentanti la grande maggioranza dei membri della Comunità internazionale, oggi 50 non sarebbe più la maggioranza perchè ormai sono 200, ma allora erano di meno perchè non c'era stata la regolarizzazione, ben potevano creare un ente dotato di soggettività internazionale non solo nei loro stessi confronti ma anche nei confronti degli altri membri della Comunità internazionale, dei terzi", un'affermazione che, ovviamente, sul piano giuridico è come minimo rischiata perchè sappiamo che i trattati internazionali non creano effetti giuridici nei confronti dei terzi quindi gli Stati membri della Comunità internazionale siano molti o pochi, siano 50, 10, 20 o 30 non possono creare, dato che il trattato internazionale per definizione produce diritti e obblighi solo tra le parti, non possono per definizione creare effetti giuridici nei confronti degli altri, quindi questa posizione della Corte Internazionale di Giustizia, il fatto che ci sono alcuni trattati istitutivi di Organizzazioni internazionali, ne abbiamo appena visto qualche esempio, che è il trattato che dice l'Organizzazione ha personalità internazionale è stato inteso quindi nel senso che la personalità deriverebbe dall'accordo. Questa tesi, benchè sia stata abbracciata da una parte notevole della dottrina nei vari paesi del mondo presenta delle evidenti falle, nonchè proprio logica di tecnica giuridica: la prima lo abbiamo già vista: il trattato produce diritti e obblighi solo tra le parti, non può produrre effetti nei confronti dei terzi, mentre se l'Organizzazioni internazionale deve essere un soggetto deve esserlo anche nei confronti dei terzi quindi non può dipendere dal trattato. In secondo luogo, per essere precisi se è un effetto giuridico lasciando per dei terzi che per lo meno deve potersi produrre nei confronti della stessa Organizzazione internazionale ma pure organi della Organizzazione internazionali è terza rispetto al trattato che la istituisce perchè non è parte, non solo perchè non è parte ma addirittura nemmeno esiste quando il trattato istituisce la nomina, quindi anche volendo non potrebbe essere destinatario di nessun tipo di effetto che deriva da quel trattato. Per di più poi rimane il problema dei terzi e allora la maniera che si è pensato di risolvere il problema dei terzi è stata questa: per i terzi, la personalità nei confronti dei terzi dipende dal loro riconoscimento e quindi è stata rispolverata per le Organizzazioni internazionali quella teoria, che abbiamo già visto quando abbiamo parlato del riconoscimento degli Stati, dei Governi o degli Stati di nuova formazione, del riconoscimento costitutivo. Anche la toria del riconoscimento costitutivo sappiamo che ha poche probabilità di convincere, infatti è stata abbandonata da molto tempo, innanzi tutto perchè non risolve il problema della soggettività nei confronti di quelli che non vogliono riconoscere un nuovo Stato, quando si forma un nuovo Stato, quel nuovo Stato non c'è dubbio che è soggetto nei confronti di tutti non di alcuni sì, di altri no e quindi se qualquno non lo vuole riconoscere lo Stato se è un soggetto del diritto internazionale lo è anche nei confronti di quel qualquno. Abbiamo visto che il riconoscimento ha un valore giuridico molto limitato che in realtà è semplicemente una dichiarazione della volontà di essere disposti ad intrattenere, su base volontaria, relazioni diplomatiche quindi relazioni volontarie con un nuovo Stato, uno può anche non essere disposto a trattenerlo e quindi non lo riconosce però questo non vuol dire che questo Stato non esiste, che ho il diritto di non rispettare la sua sovranità territoriale oppure non rispettare i suoi cittadini, i suoi organi ecc, ecc, quindi il fatto di riconoscere o non riconoscere non cambia niente quindi il riconoscimento non è costitutivo e non vale nemmeno per i terzi. La seconda obiezione, altretanto significativa, è questa: che nella pratica, mentre la prassi internazionale dimostra che dichiarazioni di voler riconoscere o non riconoscere un nuovo Stato sono frequenti e numerose, dichiarazioni di riconoscimento delle Organizzazioni internazionali, uno può andare a sfogliare tutti i repertori ecc, non se ne trova quasi nessuna quindi probabilmente non è vero che sia così e moltissimi Stati che non sono parte dell'Organizzazione internazionale, dello Statuto e che non lo hanno riconosciuta tuttavia, per esempio, i loro giudici hanno normalmente riconosciuto, per esempio, l'immunità della giurisdizione dell'Organizzazione come fondata sul diritto internazionale generale. L'unico caso noto, di una certa importanza sulla questione del riconoscimento delle Organizzazioni internazionali, che è noto nella prassi è stata la questione annosa che è durata molti anni dei rapporti

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proprio della Comunità Europea, quando le tre Comunità vennero create negli anni 50 e l'Unione Sovietica, siccome l'Unione Sovietica vedeva il fenomeno dell'integrazione europea di cattivo occhio perchè era un modo di rafforzare il gruppo dei paesi occidentali nei suoi confronti in Europa, diciamo, e allora si era rifiutata di conoscerle e aveva continuato a dire io non voglio avere a che fare con la Comunità Europea, per me non esiste, per esempio allora i paesi occidentali non riconoscevano la Repubblica democratica tedesca, non ci volevano aver a che fare nemmeno loro, per loro non esisteva . Come vedete questo esempio conferma quello che abbiamo già studiato, il riconoscimento è un atto di carattere politico, tant'è vero che benchè l'Unione Sovietica per molti anni non volle sapere di averci rapporti, questo non ha impedito che la Comunità Europea era considerata un soggetto internazionale da tutti rimanenti 150 passa Stati del mondo ai quali il fatto che l'Unione Sovietica non lo voleva riconoscere non importava niente. Il problema del non riconoscimento diede luogo a delle complicazioni per un diverso motivo e cioè siccome la Comunità Economica aveva delle competenze esterne, come sapete, in materia di politica commerciale e quindi anche la competenza a concludere accordi commerciali è della Comunità da molti anni a non degli Stati e la Corte di Giustizia con la sua giurisprudenza, più o meno fondata, aveva comunque stabilito che questa competenza era esclusiva, e allora tutte le volte che, per esempio, i paesi dell'occidente volevano negoziare un accordo con un paese dell'Europa dell'est o con l'Unione Sovietica stessa, c'erano dei problemi perchè la Comunità era competente lei quindi i paesi membri non lo potevano fare, l'Unione Sovietica, i paesi socialisti totalitari non ne volevano sapere della Comunità e allora si inventò la pratica che il Consiglio autorizzava gli Stati membri a negoziare, non in conto proprio, ma in nome e per conto della Comunità e così si è risolto il problema. Dopo una 15 di anni di questo stato di cose, siccome nel frattempo i paesi dell'Europa dell'est avevano creato una loro Organizzazione internazionale economica, il così detto Comecon cioè il Consiglio per la Mutua Assistenza Economica e allora si risolsse il problema sul piano diplomatico con un accordo di riconoscimento reciproco in cui l'Unione Sovietica disse va beh io riconosco la Comunità se voi però riconoscete il Comecon e in fatti a quel punto gli accordi commerciali, gli scambi con l'est Europeo, l'Unione Sovietica, cominciarono ad essere fatti con accordi CE e Comecon, funzionò in questa maniera. Come vedete era tutta una questione di carattere politico e non aveva, assolutamente, niente a che vedere con l'idea che la soggettività della Organizzazione internazionale si fonda sul trattato e nei confronti tei terzi sul riconoscimento dei paesi. Il fatto che, come vi ho detto, anche i riconoscimenti delle Organizzazioni internazionali siano pressochè ignoti alla pratica internazionale era stato superato da questa dottrina diciendo il riconoscimento è implicito nel fatto in sè di accettare di avere rapporti, però, voi sapete che, quando si comincia a mettere cose implicite ecc così, l'implicito in realtà è una finzione e si ricorre normalmente a finzioni giuridiche quando si vuole rimanere coerenti con le premesse della propria posizione, però poi la propria posizione fa a pugni con la realtà, per renderla conciliabile con la realtà si trovano le cose implicite, le finzioni ecc ecc. Quindi, come vedete, non è assolutamente possibile, sostenere se si vuole rimanere nei limiti della buona tecnica, della buona logica, del buon senso della logica giuridica, che sia possibile giuridicamente fondare la soggettività delle Organizzazioni internazionali sull'accordo, c'è ancora un pochino di più da dire e cioè che in realtà questa tesi è una tesi che ha uno scopo, una ragion d'essere precisa e cioè quella di giustificare, proprio per le remore politiche che hanno gli Stati a consentire alle Organizzazioni internazionali, per usare un'espressione romanesca, di allargarsi troppo, sono costretti a riconoscere la personalità internazionale per renderle efficienti, per consentire il funzionamento però senza che si allarghino eccessivamente, e allora l'idea di fondare sul trattato, sull'accordo istitutivo la personalità internazionale si basa sul tentativo di spiegare la personalità in termini funzionali, cioè il limite della capacità giuridica della soggettività internazionale dell'ente è rappresentato dall'esercizio delle sue funzioni, serve soltanto per l'esercizio delle sue funzioni. Per esempio, ci sono delle formule giuridiche di questo tipo, quando è stato fatto il trattato CE, il trattato CE ha una norma sulla personalità internazionale dell'allora CE poi oggi l'U.E identica a quella dell'attuale art 47 del trattato sull'U.E, in origine era mi pare 210 trattato CE, e ci dice la comunità ha personalità giuridica. Viceversa, quando ancora solo pochi anni prima nel 1951 era stata fatta la CECA cioè la Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio, oggi estinta perchè era stata stipulata per 50 anni e poi non è stata più rinnovata, quindi si è estinta, l'art 6 del trattato CECA, ha una formula diversa, diceva " la CECA, ha personalità giuridica internazionale, necessaria per consentirle il raggiungimento

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delle sue funzioni" e quindi qui si spiega quello che volevamo dire e cioè la personalità sì, ma senza esagerare, questa è l'idea di fondarla sul trattato. Troviamo una espressione di questo genere anche in un recente parere della Corte Internazionale di Giustizia, che è molto più recente, del 1996 in cui era stato chiesto di esprimersi, di pronunciarsi sul, niente di meno che, sulla liceità dell'uso, ad parte di uno stato, delle armi nucleari nel corso di un conflitto armato, questo parere della Corte è stato considerato da tutti piuttosto insoddisfacente perchè in sostanza è un parere un pò vago, come la prima sentenza della Corte Costituzionale sul primo logo Berlusconiano, ma al di là della posizione assunta sul merito però la Corte Internazionale di Giustizia ha scritto questa cosa qui: si è interrogata sulla questione di sapere se la Organizzazione internazionale che lo aveva chiesta questo parere era o non era competente, perchè in origine quello che lo aveva richiesto lo ammesse che si occupa di questioni sanitarie e non di questioni di usi di armi nucleari e allora la Corte quando un'Organizzazione internazionale gli chiede un parere la prima cosa che deve controllare è, se secondo lei, l'Organizzazione era competente a chiederlo in maniera da decidere se le è stato chiesto in maniera giusta e quindi se lei a sua volta era competente a rispondere, e alora la Corte dice in questo punto, ci interessa il paragrafo 25 della decisone, e allora la Corte dice:" le Organizzazioni internazionali sono soggetti di diritto internazionale che a differenza degli Stati non possegono una competenza generale, quindi di nuovo quest'idea della competenza limitata che si riflette anche sulla soggettività, esse si informano al principio di specialità nel senso che i poteri che sono ad essi attribuiti dagli Stati che le hanno istituite incontrano limiti stabiliti in funzione degli interessi comuni che le Organizzazioni devono promuovere su affidamento degli Stati membri", quindi come vedete questa formula della della Corte Internazionale di Giustizia in questo suo parere del 1996 mi sembra che sia molto fortemente indicativa del legame che c'è tra l'idea di fondare la soggettività delle Organizzazioni sul trattato istitutivo e l'idea quindi di spiegarla ma anche limitarla, controllarla, diciamo così, in termini puramente funzionali. In realtà anche questo tentativo, se uno esamina un pò la prassi, quello che succede, che è successo nella storia delle principali Organizzazioni internazionali, non funziona gran chè perchè moltissime Organizzazioni internazionali, ovviamente con il consenso degli Stati membri, hanno sempre dato luogo a prassi espansive molto abbondanti, per la Comunità europea, oggi U.E, il fenomeno è notissimo, per fare un'esempio che attiene direttamente alla capacità giuridica internazionale nei rapporti con l'esterno basta pensare a quello che è successo in materia di competenze a stipulare accordi dalla Comunità europea, voi sapete tutti che a patrire dalle famosissime sentenza Vettier della corte di giustizia la competenza della Comunità a concludere accordi internazionali venne normalmente ampliata e poi quello che disse allora la Corte nel suo parere gli Stati avrebberò potuto anche non essere d'accordo, invece gli Stati lo accettarono, quindi le prassi espansive che vanno al di là dei limiti stabiliti dal trattato istitutivo delle competenze fissate dal trattato si sviluppano sempre con l'accordo degli Stati, che cosa succese?, è successo che la Corte disse tutte le volte, in tutte le materie che la Comunità ha una competenza interna a regolare certe materie, anche quella più sviluppata moltissimo altrettanto con prassi ampiamente espansive, tra l'altro, deve avere anche la competenza per l'esterno, anche se il trattato non glielo aveva attribuita e quindi la Comunità ha acquistato una competenza a stipulare accordi con l'esterno fin da subito, molto generale, con limiti anche materiali, competenze materiali molto vaghe proprio perchè i limiti delle competenze materiali della Comunità continutistici, sono sempre stati altrettanto veghi, tant'è vero che ad un certo punto gli Stati terzi hanno cominciato a porsi il problema di dire ma chi è responsabile quando noi facciamo un'accordo con la Comunità, per esempio un'accordo misto, sapete che cosa sono gli accordi misti, no? sono materie di competenze statali, di competenza comunitarie quando gli Stati terzi stipulano un'accordo con la comunità per la parte di sua spettanza e con gli Stati per la parte di tutte e due, a un certo punto gli stati terzi hanno cominciato a dire ma a me chi me lo dice se c'è un'inadempimento con chi me la devo prendere, con la Comunità o con gli Stati se non ho delle idee precise? E allora questo problema venne risolto in maniera sintomatica, direi, con il famoso Annesso 9 della Convenzione di Montego Bay del 1982 sul Diritto del Mare perchè la Comunità ha certe competenze in materia di pesca, di conservazione di forze marittime però ovviamente non in materia di mari territoriali degli Stati membri per esempio, quindi una parte delle questioni che rigurda il diritto del mare, generale sono di competenza comunitaria, un'altra parte significativa sono di competenza degli Stati e allora l'Annesso 9 disse può entrare a fare parte della convenzione sul diritto

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del mare anche un'Organizzazione a cui gli Stati che ne fanno parte abbiano trasferito delle competenze in questa materia però stabiliame delle regole. E allora c'è l'art 4 di questo Annesso 9 della convenzione di Montego Bay, io qui non c'e l'ho l'Annesso 9 e non ve lo posso leggere però quello che dice più o meno è questo: innanzi tutto dice in caso di conflitto tra le norme dell'ordinamento dell'Organizzazione che che fissano i limiti delle sue competenze e le norme della convenzione di Monego Bay, prevale la convenzione di Montego Bay, quindi non ce ne importa di quello che dice lo Statuto dell'Organizzazione quanto ai limite delle sue competenze. In secondo luogo gli Stati che non sono parte dell'Organizzazione hanno il diritto in qualsiasi momento di domandare sia all'Organizzazione sia agli Stati membri, a tutte due, per una determinata questione che è competente e se riceve risposte diverse, se cioè l'Organizzazione dice sono competente io e gli stati membri dicono no siamo competenti noi, allora ha diritto di considerarli tutte e due obbligatti suoi. Quindi come vedete questa cosa qui dimostra molto che riuscire a mantenere nella camicia di forza delle competenze stabilite dai trattati, i limiti della soggettività internazionale verso l'esterno dell'Organizzazione non funziona. Pensiamo anche alle Nazioni Unite è successo la stessa cosa, il Consiglio di Sicurezza sopratutto negli ultimi anni quando gli Stati sono d'accordo più o meno le Organizzazioni internazionali fanno quello che gli pare, per esempio il Consiglio di Sicurezza, sicuramente, non aveva affatto la competenza a creare con una propria risoluzione tribunali penali internazionali, non si può ricavare da nessuna norma della carta per quanto ci si voglio cervellare, però più stati sono messi d'accordo e gli hanno fatto creare il tribunale penale della ex Jugoslavia e il tribunale penale per Luanda e nassuno ha protestato, se qualquno avesse protestato o avessero protestato molti non l'avrebbero fatto, quindi è stato fatto più o meno con un accordo, oppure qualche volta il Consiglio di Sicurezza ha assunto, in sostanza truppe delle Nazioni Unite che agivano sotto leggi delle Nazioni Unite e quindi del Consiglio di Sicurezza, il controllo e l'amministrazione anche di fatto di territori, anche le Nazioni Unite hanno amministrato fiduciariamente territori, in quel caso evidentemente se chi esercita in quel momento il potere effettivo di controllo sul territorio è un'Organizazione internazionale, le Nazioni Unite, tutti i poteri internazionali connessi al rispetto della sovranità da parte degli Stati terzi, ovviamente, non possono che spettare all'Organizzazione però il trattato istitutivo non ha affatto detto che l'Organizzazione è uno stati sovrano come gli altri e può avere una sovranità territoriale, ci sono una serie di sentenze interessanti, tra l'altro, della Corte Europea dei diritti dell'uomo in una serie di casi in cui prima era stata sollevata ad un certo punto la questione della responsabilità degli Stati membri che violano i diritti dell'uomo perchè eseguono un regolamento comunitario e allora gli Stati hanno cercato di giustificarsi, hanno andato davanti alla Corte dicendo che non è colpa nostra è colpa della Comunità che ha fatto il regolamento, la Corte ha detto no, perchè siete voi che lo state attuando e comunque con la Comunità non me la passo prendere e lo stesso è successo nei casi in cui soggetti di truppe delle Nazioni Unite erano accusati di avere anche loro violato il diritto umanitario di guerra e allora hanno detto prendetevela con le Nazioni Unite perchè in questo momento queste truppe lo Stato le ha messe a disposizione delle Nazioni Unite ma non sono sotto il controllo della Stato, sono sotto il controllo delle Nazioni Unite, purtroppo la Corte dei diritti dell'uomo, in un paio di casi, questa giustificazione sembra averla accolta in alcune sentenze che infatti sono state molto criticate. Quindi alcuni anni fa, ad un certo punto ci si era posto il problema giuridico, una questione molti anni fa, agli anni 60, 70, vienne chiesto ad una commissione di giuristi se era possibile che esistesse una bandiera marittima delle Nazioni Unite, quindi se delle navi potesserò, battendo bandiera delle Nazioni Unite, avere poi il diritto che hanno le navi straniere in alto mare nei confronti degli altri Stati. E questi giuristi hanno detto sì, in linea di principio non c'è niente di male se si decide che le Nazioni Unite possono avere una nave hanno la loro bandiera marittima e quindi quando la nave circola nelle acque territoriali di altri Stati o in acque internazionali è una nave delle Nazioni Unite, le Nazioni Unite hanno i poteri sovrani su quella nave, quindi, in sostanza, come vedete la realtà è che, di fatto, le competenze, le manifestazioni di soggettività internazionale delle Organizzazioni internazonali non possono esere circoscritte, limitate alle competenze dello Statuto. In più ci sarebbe da fare una precisazione: mentre in un'Organizzazione come le Nazioni Unite, che non ha un tribunale competente per sindacare la legittimità dei suoi atti in via generale, queste prassi espansive potrebberò ancora spiegarsi con una consuetudine che si è formata tra gli Stati membri quindi una norma di diritto non scritto che ha derogato, modificato, integrato le norme del trattato, per

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un'Organizzazione come la Comunità Europea questo impossibile perchè la consuetudine che modifica il trattato non ha diritto di cittadinanza in un sistema come quello comunitario, in un sistema come quello comunitario la corrispondenza degli atti al trattato deve essere sindacata dalla corte per esigenza di tutela dei principi dello stato di diritto dal momento che gli atti comunitari sono immediatamente applicabili o muniti di effetto diretto a seconda dei casi nei confronti degli individui quindi ci vuole un sindacato e allora le prassi nel diritto comunitario, a differenza delle prassi nelle altre Organizzazioni internazionali, non possono per definizione avere il valore di una consuetudine che modifica il trattato, il trattato è rigido e può essere modificato solo con i procedimenti di revisione previsti nelle varie versioni che ci sono susseguite nel corso del tempo. Quindi mi pare che abbiamo dimostrato abbastanza che vincolare in senso funzionale la soggettività internazionale al trattato è impossibile ma ne possiamo trovare anche delle conferme, per esempio, abbiamo già parlato qualche volta e abbiamo trovato conferme, che ricorderete, della irrilevanza giuridica di principi dell'Organizzazione giuridica interna degli Stati, per il diritto internazionale, vi ricordate abbiamo detto la costituzione e quindi Organizzazione giuridica interna dello Stato dipende dallo Stato, per il diritto internazionale è un dato di puro fatto, al diritto internazionale non gli importa niente, e abbiamo dimostrato con una serie di argomenti, alcuni dei quali gli abbiamo dedotti dal diritto dei trattati, lo stesso discorso vale anche per le Organizzazioni internazionali perchè oltre alla Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati di cui abbiamo parlato molte volte, c'è una seconda Convenzione di codificazione del diritto dei trattati che è la Convenzione anch'essa di Vienna del 1986 che riguarda i trattati stipulati dalle Organizzazioni internazionali o tra di loro o con gli Stati, perchè la prima convenzione, quella del 69, riguarda solo i trattati fatti dagli Stati poi a un certo punto si è detto faciamo una seconda Convenzione, dato che ormai anche le Organizzazioni internazionali hanno un'attività molto estesa di stipulare trattati internazionali, faciamo una seconda Convenzione. E allora questa Convenzione del 1986 ha una norma, l'art 46della Convenzione ha affrontato e risolto questo problema, l'art 46 paragrafo 1:" il fatto che il consenso di un'Organizzazione internazionale a vincolarsi a un trattato sia stato espresso in violazione delle regole dell'Organizzazione riguardanti la competenza dell'Organizzazione a concludere trattati non può essere invocato dall'Organizzazione in questione come viziante il suo consenso, a meno che questa violazione non sia stata manifesta e non riguardi una regola di importanza fondamentale", è la stessa regola che abbiamo già studiato nell'art corrispondentemente numerato sempre 46, la Convenzione di Vienna del 1969 per lo Stato, paragrafo 3 precisa " una violazione è manifesta se è obiettivamente evidente per qualsiasi Stato, qualsiasi Organizzazione internazionale che si comporti in materia secondo la pratica abituale degli Stati, e se del caso dell'Organizzazioni internazionali, è in buona fede". Ora quindi questa regola ha un'importanza fondamentale dell'Organizzazione, è anche interessante che cosa vuol dire regola dell'organizzazione? L'art 2 della Convenzione che è una norma definitoria che definisce alcuni dei termini impiegati dalla Convenzione e dice " ai fini della presente Convenzione l'espressione regola dell'Organizzazione designa in particolare gli atti costitutivi dell'Organizzazione quindi il trattato, le decisioni o risoluzione adottata in conformità degli atti e la pratica ben stabilita dall'Organizzazione, l'espressione pratica ben stabilita dall'Organizzazione è come minimo dubbio che voglia per forza dire che si deve essere formata una norma consuetudinaria che ha integrato, modificato in via consuetudinaria il trattato è una prassi quindi basta la prassi. Il che quindi dimostra in maniera evidente che almeno in questo caso per quello che riguarda, nei rapporti con gli Stati terzi, la competenza dell'Organizzazione a concludere trattati con l'esterno, anche se l'Organizzazione sta agendo al di là dei limiti che il trattato aveva fissato le sue competenze, il trattato è valido lo stesso, non può essere messo in discussione e gli Stati terzi hanno diritto di considerarlo vincolante, mi pare una dimostrazione molto consistente, in termini rigorosamente giuridici, del fatto che non è possibile sostenere la soggettività dell'Organizzazione internazionale possa essere spiegata in termini funzionali e possa essere fondata sul trattato. Il risultato finale, conclusivo allora qual'è? Il risulatato finale è questo: anche la soggettività dell'Organizzazione internazionale si fonda sui presupposti generali della soggettività internazionale che abbiamo già studiato a proposito degli Stati e di tutti gli altri enti e cioè i presupposti sono quello della Indipendenza, della Effettività, della Effettiva partecipazione, come attore, indipendente e in posizione paritaria con gli altri alla vita di relazione internazionale. Non c'è dubbio che il requisito della effettività per le Organizzazioni internazionali è un pochino più

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problematico, appunto, per il rapporto di condizionamento che hanno in qualche misura con gli Stati membri che la possono in qualche modo condizionare, però quello che succede è, siccome si tratta di una questione di fatto, non di una questione di diritto, dal punto di vista fattuale bisogna tenere conto: innanzi tutto che tutto l'apparato burocratico dell'Organizzazione e cioè quegli organi che abbiamo visto, vi ricordate abbiamo distinto organi composti di Stati, organi composti di individui, tutto quella parte dell'apparato burocratico, che è la così detta burocrazia internazionale, non è condizionabile dagli Stati, per esempio, nelle Comunità Europee, la commissione, anche la Corte di Giustizia sono attori interni al sistema che i Governi non sono assolutamente in grado di controllare, anche per il Parlamento Europeo è la stassa cosa , quindi per l'Unione Europea ormai, 3 delle 4 istituzioni fondamendali, corte, commissione, Parlamento Europeo non sono controllabili dagli Stati, nelle altre Organizzazioni internazionali invece no, essenzialmente il Segretariato, insomma la burocrazia in senso stretto, quindi normalmente anche minori competenze, minori poteri, l'Unone Europea è un fenomeno a parte, infatti si parla di Organizzazione sovranazionale. Per quello che riguarda gli organi controllati dagli Stati, è vero che gli Stati la controllano però è anche vero che gli Stati per controllarla devono essere unanimi o per lo meno quando è possibile prendere delle decisioni in maggioranza anche qualificata ci vuole un'accordo molto consistente e una maggioranza molto forte. Ora, non sempre questo accordo è possibile raggiungerlo, quindi in realtà gli Stati si trovano molto spesso, possono trovarsi rispetto alle Organizzazioni internazionali nelle stessa condizione del famoso apprendista stregone che non era più in grado di, quello di fantasia di Walt Disney, controllare le risorse che lui stesso aveva suscitato, aveva evocato, e allora sono questi gli elementi che , benchè è vero le Organizzazioni internazionali non sono sovrani e non sono nemmeno Stati, questo è vero però, normalmente, generalmente, hanno una misura di indipendenza tale da potersi ritenere che sono dei soggetti, sono degli enti giuridici. Quello che è vero è che gli Stati non le mettono sul loro stesso piano, anche di questo la prassi ci dà delle prove interessanti, per esempio, tornando a questa Convenzione del 1986 sui trattati stipulati dalle Organizzazioni internazionali , quando si fece questa Convenzione ci si cominciò a domandare ma chi convochiamo come soggetti che hanno il diritto di dire la loro, di partecipare al negoziato, per negoziare il testo del trattato, solo gli Stati sembra strano perchè se devono riguardare le Organizzazioni internazionali come soggetto del diritto internazionale devono partecipare pure loro, e allora studio una soluzione di compromesso perchè l'idea di ammettere che le Organizzazioni internazionali avevano la possibilità di dire la loro in condizioni di parità con gli Stati, sulla creazione di norme giuridiche internazionali del diritto dei trattati sembrava un poco forte e allora si è trovato il compromeso politico: possono partecipare anche loro, le convochiamo tutte, quindi come vengono i rappresentianti degli Stati, a discutere alle conferenze, vengono anche rappresentanti delle Organizzazioni internazionali e le Organizzazioni internazionali possono pure loro fare le proposte, per esempio, però per ottenere che la proposta deve essere messa in discussione, l'Organizzazione lo può fare però deve essere uno Stato a chiedere che venga messa in discussione, almeno uno, ma il principio è che deve essere uno Stato, la cosa più interessante poi era quella della ratifica. Chi deve firmare, ratificare la convenzione? Mi sembrava strano che, dato che la convenzione riguardava i trattati di Organizzazione internazionale, le Organizzazioni internazionali non dovevano essere messe parti contraenti insieme agli Stati e allora si è detto bene, anche le Organizzazioni internazionali possono ratificarla come se fosserò Stati però il numero minimo di ratifiche necessario per l'entrata in vigore della Convenzione, che è di 35, per quel numero minimo si contano soltanto le ratifiche degli Stati, entrano in vigore non quando ci saranno 35 ratifiche, indipendentemente se sono Stati o Organizzazioni internazionali ma ce ne vogliono 35 tutte di Stati. Quindi in sostanza l'idea che come soggetti che partecipano alla creazione, ai processi di formazione del diritto internazionale generale, le Organizzazioni internazionali hanno il loro locus standi, la loro dignità però un gradino, un pezzettino al di sotto degli Stati, questa è l'idea, se voi andate a leggere le ratifiche di questa Convenzione vedrete che questa Convenzione dal 1986, anno in cui è stata aperta la ratifica, non solo è entrata in vigore adesso insomma fino a uno o due anni fa ancora non lo era, però è stata ratificata non solo da numerosi Stati ma anche di numerose e di vario tipo Organizzazioni internazionali però ancora mancano 35 ratifiche degli Stati, anche se siamo abbastanza vicini. Un'altro esempio ancora prima di questa era stata fatta nel 1975 la Convenzione, sempre delle Nazioni Unite, sulle rappresentanze diplomatiche degli Stati nelle loro relazioni con le Organizzazioni

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internazionali di carattere universale perchè gli Stati hanno dei loro rappresentanti, rappresentanti diplomatici non solo presso altri Stati ma anche presso Organizzazioni internazionali, qui a Roma ne abbiamo tanti per esempio perchè ci sono i rappresentanti degli Stati stranieri presso il Governo Italiano, poi ci sono quelli presso la Santa Sede, poi ci sono alcune presso alcune Organizzazioni internazionali che hanno sede a Roma per esempio la FAO, quindi ne abbiamo tantissime, ci sono altre città europee, per esempio Ginevra che è sede di moltissime Organizzazioni internazionali importanti dove praticamente, quasi, metà della gente che c'è li ha uno status diplomatico, però non hanno voluto ammettere la reciprocità, le Organizzazioni internazionali non hanno il loro rappresentante diplomatico presso gli Stati, solo gli Stati hanno rappresentanti diplomatici presso le Organizzazioni, per di più una regola fondamentale, basilare del diritto diplomatico, della relazione diplomatica è la così detta Richiesta di Gradimento, cioè la lettera di accreditamento se io mando come ambasciatore italiano, da Gheddaffi, una certa persona, gli mando una lettera di accreditamento, le credenziali e però ci vuole il gradimento, il Governo Libico deve dire questa persona mi va bene e quindi la deve accettare, le Organizzazioni internazionali questo non c'è l'hanno, non c'è una richiesta di gradimento, se io voglio mandare come rappresentante una certa persona le Nazioni Unite se la devono tenere, non possono se gli sta bene o non gli sta bene. Quindi come vedete c'è sempre l'idea di fare uno status un pò diverso, un pò come la discriminazione tra cittadini di seria A e di serie B, come del resto nel nostro ordinamento ci sono i cittadini comunitari che hanno uno status pieno di diritti, gli extracomunitari un pò meno diritti, ecco, le Organizzazioni internazionali sono un pò come gli extracomunitari nella Comunità internazionale della Comunità internazionale, del diritto internazionale, cioè sono sogetti, la soggettività internazionale gli è riconosciuta ma non è proprio precisa, identica a quella degli Stati e quanto al requisito della indipendenza si può discutere. Rimane però che sul piano della spiegazione giuridica del fenomeno, non c'è e non ci può essere giuridicamente, per i motivi di struttura della Comunità internazionale che abbiamo tante volte descritto, tra i vari modi possibili, tra le varie categorie di soggetti internazionali, primo, i soggetti del diritto internazionale sono tutti uguali, secondo, la struttura, la costituzione interna dell'ente per il diritto internazionale è irrilevante, così come la costituzione dello Stato è il irrilevante il fatto è non è diritto per il diritto internazionale generale, cosi la costituzione dell'Organizzazione internazionale non è, per il diritto internazionale generale, diritto, e non è nemmeno vero che le Organizzazioni internazionali hanno una soggettività limitata, cioè sono soggetti a capacità ridotte o limitato, le Organizzazioni internazionali, come per tutti gli altri soggetti, sono in grado di essere soggetti di tutte quello norme del diritto internazionale delle quali sono per un motivo o per l'altro in via di fatto in grado di realizzare la fattispecie, per esempio, si dice gli Stati possono fare la guerra, hanno gli eserciti, le Organizzazioni internazionali, no, è vero fino ad un certo punto perchè le Nazioni Unite per esempio, quando sono truppe delle Nazioni Unite che vanno in giro a mettere la pace o a cercare di imporlo ecc, ecc le norme del diritto umanitario di guerra pacificamente, che sono norme consuetudinarie, si applicano anche alle truppe delle Nazioni Unite e quindi le Nazioni Unite ne diventano destinatari, così anche se amministrano un territorio sono ovviamente destinatari anche di quelle norme, così come per la Santa Sede, lo abbiamo visto, alcuni dicono la Santa Sede, siccome è un ento con finalità spirutuali, non è destinatario delle norme del diritto di guerra. Innanzi tutto la chiesa la guerra lo ha fatta per centinaia e cantinaia di anni e poi potrebbe un giorno decidere, magari questo ripugna la sua essenza però se ci fosse un Padre dai sentimenti più bellicosi e decidesse di mandare le guardie svizzere all'assalto di uno Stato straniero, le norme di diritto unanitario di guerra, che è un diritto consuetudinario, tranquillamente si potrebbero benissimo applicare per le guardie svizzere, non vedo perchè non dovrebbero potersi applicare, quindi le regole, i principi sono sempre gli stessi per tutti e soltanto che il requisito della indipendenza e quindi della effettività della partecipazione alla vita di relazione internazionale per ogni tipo di soggetto, come è ovvio sempre, va valutata in conformità a quelle che sono le sue caratteristiche fattuali, ma non ci sono altre esperienze giuridiche. C'è una piccola cosa, che poi la chiariremo meglio studiando un pò meglio le fonti ma per complettare il discorso, è: anche quando le Organizzazioni internazionali hanno la competenza ad emanare atti obbligatori nei confronti degli Stati, l'emanazione dell'atto obbligatorio di per sè non è manifestazione di soggettività per il ottimo motivo giuridico che gli Stati sono obbligati a rispettare gli atti con efficacia obbligatoria delle Organizzazioni internazionali non nei confronti dell'Organizzazione ma nei confronti degli latri Stato perchè il motivo giuridico per il

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quale sono obbligati qual'è? Molto semplice, perchè se ne sono assunti l'obbligo con il trattato, ma il trattato lo hanno fatto con gli altri Stati quindi se c'è un atto dell'Organizzazione internazionale che obbliga uno Stato, lo stato è obbligato a rispettarlo verso gli altri Stati ma non verso l'Organizzazione, il chè poi equivale a dire che l'atto con efficacia obbligatoria dell'Organizzazione internazionale non è menifestazione di soggettività giuridica. Dimostrazione: la Corte Internazionale di Giustizia non è un soggetto internazionale, è un organo delle Nazioni Unite, non ha personalità giuridica internazionale o se non volete la Corte Internazionale di Giustizia, in maniera ancora più evidente un organo arbitrale costituito ad hoc: due Stati si accorgono, per risolvere una controversia tra di loro, di deferire un collegio arbitrale di giuristi di cui lo Stato A ne designa uno, lo Stato B un'altro e quie due d'accordo il terzo, evidentemente questo tribunale non è un'Organizzazione internazionale però la sentenza che rende è obbligatoria per gli Stati, ma perchè è obbligatorio? Perchè gli Stati si sono obbligati tra di loro con l'accordo a rispettarla, quindi non è che l'obbligo è nei confronti del Tribunale Arbitrale o della Corte Internazionale di Giustizia. Essattamente lo stesso, per esempio, diciamo, per una decisione del Consiglio di Sicurezza adottato l'ex art 41, è obbligatoria ma ci vuole essere coerenti e dare una spiegazione giuridicamente plausibile del fenomeno, non è che è obbligatorio nei confronti del Consiglio di Sicurezza, quindi non è che il Consiglio di Sicurezza ha un potere normativo, un potere giuridico nei confronti degli Stati, tant'è vero che, dato che il fondamento del potere è il trattato, quando il trattato è stato fatto il Consiglio di Sicurezza ancora manco esisteva evidentemente il trattato non può avere attribuito a lui un diritto del Consiglio di Sicurezza, quindi un diritto delle Nazioni Unite, nei confronti degli Stati, quindi, secondo me, è semplicemente sbagliato a sostenerlo. Quelli che lo sostengono infatti, come al solito, fanno ricorso alle finzioni giuridiche, quando l'Organizzazione si costituisce aderisce, sempre tacitamente, sempre implicitamente, al trattato e quindi in questa maniera diventa parte del trattato anche lei e quindi anche lei desume diritti nei confronti dello Stato al trattato. L'ultima cosa che riguarda questo elemento, fin qui abbiamo parlato di un tipo di Organizzazioni internazionali, forse lo avevo detto all'inizio, non me lo ricordo, che si chiamano Organizzazioni Internazionali Intergovernative e cioè intergovernative perchè costituite da Governi, cioè da Stati e costituite dagli Stati con lo strumento del trattato internazionale. Poi ci sono le famosissime ONG cioè Organizzazioni non Govenative, le ONG sono una cosa diversa, le più note sono: la Croce Rossa Internazionale, che è anche la più antica perchè è stata fondata nel 1863 da quel famoso Henry Dunant che trovandosi spettatore per puro caso della battaglia risorgimentale italiana di Solferino, vide tutte queste persone che si ammazzavano l'una con l'altra, rimase così impressionato che si affretto immediatamente a fondare la Croce Rossa internazionale cercando di dare un contributo, appunto, a livello ONG, all'umanizzazione e ai rapporti tra gli esseri umani, quindi è nata così, e poi ci sono quelle, a tutti note, M.S International, per esempio, nel campo dei diritti dell'uomo, il Peace, poi ce ne sono anche con finalità completamente diverse, sportive, il Comitato Olimpico Internazionel, per esempio oppure ancora Medici senza Frontiere con compiti quindi assistenziali nel campo umanitario ecc, le ONG, ovviamente sono una cosa diversa però hanno una dimensione internazionale, normalmente una ONG deve avere almeno sedi in due Stati diversi, per esempio, spessa è una federazione di Organizzazione dotata di personalità giuridica interna a uno Stato, però sono in sostanza, normalmente, dotate di personalità giuridica all'interno di uno Stato. Esiste una Convenzione del Consiglio d'Europa del 1986 che obbliga gli Stati che lo hanno ratificata, l'Italia non è tra questi, se una di queste Organizzazioni ha la personalità giuridica in almeno due Stati, ha riconoscerne la personalità giuridica, ma di diritto interno, naturalmente, è ovvio che le ONG tendenzialmente non sono soggetti del diritto internazionale perchè non sono attori delle relazioni internazionali, appunto, non stipulano trattati, non hanno relazione diplomatica, non sono destinatari del diritto internazionale consuetudinario, fanno parte di quella che viene definita con un'espressione ormai generalmente accettata, utilizzata, la così detta Società Civile Internazionale che quindi è una cosa diversa dalla Comunità internazionale,Comunità internazionale quella dei, dipendenti, di quelli che fanno la pace, la guerra, i trattati e tutte quelle altre cose mentre la Società Civile Internazionale sta al di sotto, però sul piano, almeno, politico sono degli attori e spesso partecipano, ma a livello che stiamo dicendo e cioè non a livello di soggetti quindi è una partecipazione materiale, diciamo, una attività che qualche volta è di lobbying, come si suol dire, sopratutto per quelle che hanno funzioni umanitarie, in senso buono naturalmente, anche gli sviluppi della cooperazione internazionale tra gli Stati, possono promuoverla,

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per esempio, Organizzazioni di vario tipo, come possono fare del resto anche gli individui isolatamente considerati, rivolgersi a organi internazionali che tutelano i diritti dell'uomo, segnalare situazioni di questo genere, lo può fare un ONG e spesso lo ha fanno, alcune hanno anche riconosciuto lo status di osservatore presso Organizzazioni internazionali, presso le Nazioni Unite, per esempio, ma il fatto di essere un'osservatore non è di per sè manifestazione o indizio di soggettività internazionale perchè l'osservatore appunto osserve quindi non ha poteri, non ha diritti di partecipazione se non appunto quella di osservare quindi non è necessariamente manifestazione di soggettività internazionale. Per la Croce Rossa internazionale alcuni sostengono che invece un pochino di soggettività internazionale bisognerebbe riconoscerglielo perchè ci sarebbero alcune manifestazioni, queste manifestazioni sono per la maggior parte dubbie, è vero che ha stipulato un'accordo di sede già direttamente con la Svizzera però ne ha stipulate alcune decine con diversi altri paesi e alcuni sostengono che questi accordi sarebberò accordi internazionali, è un pochino come la situazione che abbiamo già descritto nell'ordine di Malta, insomma, ci sarebbero secondo alcuni altre manifestazioni che si deducono dai casi della prassi, per esempio si ricorda un caso, abbiamo discusso poco fa il caso dei danni subiti al servizio delle Nazioni Unite del conte Bernadotte, c'è stato un caso simili, non molti anni dopo, anche per la Croce Rossa perchè c'era un funzionario della Croce Rossa che si chiamava Andre Olivet, il quale, nel mentre la Croce Rossa internazionale prestava la sua opera umanitaria in Catang, e un ambulanza era stata colpita da una bomba sparata dall'esercito, dalle truppe delle Nazioni Unite, insieme ad altri suoi due colleghi che erano di nazionalità diverse dalla sua che erano francesi, erano morti e allora la riparazione dei danni con le Nazioni Unite la negoziò la Croce Rossa Internazionale direttamente con astensione degli Stati nazionali, che erano tre paesi diversi delle tre vittime, di intervenire nella vicenda. Però questo tipo di negoziato si può benissimo collocare a un livello interindividuale e non necessariamente a livello internazionale. Poi è anche vero che quei due Protocolli aggiunti alle Convenzioni di Ginevra del 49, quei due Protocolli del 1977, di cui abbiamo già parlato, attribuiscono alla Croce Rossa internazionale delle competenze, per esempio la Croce Rossa internazionale è competente a promuovere eventuali revisioni, in senso migliorativo, di ampliamento della tutela dei Protocolli del 1977, però ha un potere di proposta e una proposta può venire da chiunque, non è una dimostrazione di soggettività internazionale nemmeno quella. Però, insomma, nella dottrina si dividono, c'è chi lo ammette e chi lo nega, teoricamente non c'è un'ostacolo di principio o di fatto, a che un ente che non abbia origine nella sua composizione intergovernativa oppure che non abbia il governo di un territorio, che non sia un'entità territoriale, possa anche assurgere alla soglia a livello della soggettività internazionale, essattamente come, per esempio, abbiamo visto nell'ordine di Malta o come abbiamo visto per la Santa Sede in quella fase tra il 1870 e il 1929 in cui è rimasta priva di base territoriale ma era riconosciuta pacificamente da tutti gli Stati del mondo che la sua soggettività internazionale persisteva perchè era considerata non necessariamente legata al mantenimento della sovranità territoriale, quindi astrattamento è possibile però, siccome come al solito, l'accertamento della esistenza, in capo ad un determinato ente, della qualità di soggetto internazionale dipende sempre dai soliti presupposti, che conosciamo e tutto sommato, è prima di tutto la valutazione di fatto se cioè sul piano di fatto un ente non solo è indipendente ma che partecipa in condizioni di parità, è accettato dagli altri attori nella vita giuridica internazionale come un loro pari, diciamo, probabilmente è un pò esagerata secondo me sostenere questa tesi della Croce Rossa internazionale, comunque è l'unica per la qualle l'idea di una eventuale possibilità di ammettere la soggettività internazionale è stata prospettata, alcuni autori, anche se è una tesi minoritaria glielo riconoscono, tutte le altri invece non c'entrano niente sono, appunto, questi esponenti della Società Civile internazionale che esercita un'attività di lobbying però con la soggettivita internazionale non c'entra niente e sopratutto questo tipo di Organizzazioni non vanno confuse, e spero che nessuno di voi lo faccia, con le Organizzazioni internazionali che sono quelle intergovernative, di cui abbiamo parlato fin ora, che sono create con un trattato e che non sono soggetti, persone giuridiche di diritto interno ma sono soggetti di diritto internazionale, poi hanno anche la personalità giuridica di diritto interno ma come riflesso di quella internazionale così come tutti gli Stati stranieri hanno anche la personalità giuridica di diritto interno negli ordinamenti degli altri Stati, non perchè c'è una norma dell'ordinamento che glielo attribuisce ma perchè altrimenti non sarebbe possibile rispettare, come gli Stati sono enti sovrani, sono tenuti a fare alcune nei confronti degli altri, le rispettive prerogative e quindi a riconoscergli i diritti e le

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prerogative che hanno negli ordinamenti interni dei paesi. Allora, con questo, abbiamo finito il capitolo dei soggetti e adesso passiamo a trattare delle fonti del diritto internazionale, del sistema delle fonti. La maniera tradizionale di affrontare il problema delle fonti del diritto internazionale è partire da una disposizione famosa e cioè l'art 38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia il quale poi corrisponde, salvo qualche piccola modifica, qualquna non importante, qualquna forse un pò più significativa di dettaglio, corrisponde all'art 38 dello Statuto della Corte Permanente di Giustizia Internazionale e cioè prima porta internazionale che fu creata all'epoca delle Società delle Nazioni e lo Statuto venne elaborato da un Comitato Consultivo di Giuristi che era stato nominato dalla Società delle Nazioni nel 1920, quindi quest'art 38 risale al 1920. L'art 38 è diviso in due paragrafi, il primo paragrafo dice " La Corte, la cui funzione è di decidere, in base al diritto internazionale, le controversie che le sono sottoposte applica e segue un elenco a, b, c, d che in sostanza è, appunto, il punto di partenza che viene di solito preso per descrivere il sistema della fonti internazionali. Allora, lettera a, la prima cosa che la corte deve applicare per risolvere le controversia in base alla legge internazionale: " Le convenzioni internazionali, sia generali che particolari, stabiliscono norme espressamente riconosciute dagli stati in vite" quindi quelli stati, parti della controversia, hanno tra di loro stipulato un'accordo internazionale o bilaterale o sono parti di un medesimo accordo multilaterale, le prima cosa che la Corte guarda è se c'è o non c'è un accordo, lettera b " La consuetudine internazionale, come prova di una pratica generale, è accettata come diritto", quindi la lettera b contiene una definizione anche della consuetudine, che poi analizzeremo meglio, che risale, appunto, al 1920, lettera c " I principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni Civili, terza porta, lettera d " Con riserva della disposizione dell'art 59 che è la norma sul giudicato, le decisioni giudiziarie e la dottrina degli autori più qualificati delle varie nazioni, come mezzi sussidiari per la determinazione delle norme giuridiche". Quindi abbiamo 4 letere a, b, c e d con la menzione di 4 categorie di fonti, la prima di tutte è la Convenzione Internazionale, la seconda è la Consuetudine, la terza i Principi Generali del diritto riconsciuti dalle Nazioni Civili, la quarta è la Dottrina degli Autori più qualificati delle varie nazioni e la decisione giudiziaria, come mezzi sussidiari per la determinazione delle norme giuridiche. C'è poi, per completare la lettura dell'art 38, un paragrafo 2 che non riguarda più le fonti del diritto internazionale, le riguarda indirettamente come vedremo, me riguarda un'altra questione e che dice " Questa diposizione non pregiudica il potere della Corte di decidere una controversia secondo equità e non secondo diritto, qualora le parti siano d'accordo", quindi il paragrafo 1 dice: la Corte deve decidere le controversia in base al diritto internazionale, il paragrafo 2 dice: se le parti sono d'accordo, la Corte può anche decidere secondo eqiutà e non più secondo il diritto, se però decide secondo il diritto le fonti menzionate all'art 38 sono queste che abbiamo visto: gli accordi, le consuetudini, i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili, che poi vedremo che cosa sono, e, come mezzo sussidiario per la determinazione delle norme giuridiche, la dottrina degli autori più qualificati dei vari paesi e la giurisprudenza internazionale. Questa norma, evidentemente, non è nè completa perchè, per esempio, mancano le fonti derivati dall'accordo, mancano i famosi atti dell'organizzazione internazionale con efficacia vincolante per gli Stati membri, non sono menzionati però non c'è dubbio che fanno parte del diritto internazionale che la Corte deve applicare. Per la verità è proprio quel paragrafo 2 sul potere di decidere secondo equità che menzione indirettamente proprio una fonte derivata dall'accordo, la sentenza internazionale che decide secondo equità è fonte di diritto, perchè non è che accerta o applica il diritto che c'era, il giudice che decide secondo equità crea lui la norma del caso singolo da applicare e quindi è una sentenza creativa, crea una nuova norma, per definizione, il giudice non decide secondo le norme che c'erano ma decide secondo equità, e siccome l'autorità della sentenza secondo equità è fondata sull'accordo delle parti di cui parla questo paragrafo 2, quella è proprio un ipotesi di fonte derivata dall'accordo esattamente come lo è un atto di Organizzazione internazionale. Però di per sè il paragrafo 1 in queste lettere a, b, c e d le fonti derivate dall'accordo non le menziona, quindi non è completo, oltre a non essere completo non è nemmeno omogeneo perchè mentre a, b e c, cioè accordi, consuetudini e principi generali di diritto sono fonti di produzione, sono norme applicabili, regole applicabili, viceversa, la dottrina e la giurisprudenza, quello che riguarda la lettera d invece è una fonte cognizione, non è una fonte di produzione perchè non è che la dottirina e la giurisprudenza è fonte, la dottrina è particolarmente vivente ma lo è anche la giurisprudenza ma è soltanto, infatti lo dice la lettera d, un mezzo sussidiario per la determinazione

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delle norme giuridiche, quindi mette insieme fonti di produzione e fonti di cognizione. Oltre questo poi l'elenco a, b, c, e d non esprime un'ordine gerarchico, la questione è resa evidentissima dal fatto che c'è prima l'accordo e poi la consuetudina e evidente che non è che la consuetudine sia una fonte derivata dall'accordo, anzi, mostreremo, più in là, molto facilmente che è il contrario. Quello che indica l'art 38 è soltanto un'ordine di applicazione successivo, cioè in pratica dà delle istruzioni pratiche su quello che la Corte deve fare, detto così, allora l'ordine acquista la sua logica, cioè prima di tutto la Corte controlla se c'è una Convenzione che le parti hanno concluso, se le parti sono incollate da un trattato, la prima cosa, per risolvere la controversia si deve applicare il trattato, se non c'è un trattato perchè il trattato manca e allora si va a guardare che cosa dice il diritto consuetudinario, ecco perchè è messo prima l'accordo e poi la consuetudine perchè è l'ordine pratico, in concreto in cui si va a ricercare le fonti applicate, se manca anche una consuetudine applicabile e allora la lettera c, a questo punto, rende, manifesta la sua natura di fonte integrativa dice la lettera c " i principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni Civili", quindi se non c'è un'accordo , non c'è neanchè una consuetudine, siccome si voleva evitare che la Corte dovesse rifiutarsi di pronunciare per mancanza di norme appliccabili, accordi non ne avete stipulati, una norma consuetudinaria che risolve il problema non la trovo, non c'è più niente da applicare e allora in questo caso però, come fonte integrativa, i principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni Civili. Quindi come vedete questo elenco lascia impregiudicata la questione della gerarchia delle fonti, per intenderci, questo art'38 non è come l'art 1 del nostro codice civile quando dice: la legge, il regolamento, le norme corporative e gli usi invece gli sta mettendo in ordine gerarchico, manca la costituzione perchè a quei tempi ancora non c'era però noi lo integriamo mettendo al primo posto la costituzione, ma è una gerarchia, questa invece dell'art38 non è una gerarchia, soltanto una, delle regole pratiche di applicazione, istruzioni per l'uso, diciamo così. La lettera d poi dice con riserva della disposizione dell'art 59, cos'è l'art 59? L'art 59, leggiamolo, tanto è breve, è la norma sul giudicato, dice " La decisione della Corte non ha valore obbligatorio e fra le parti in lite e riguardo al caso deciso", quindi limiti soggettivi del giudicato vale solo per le parti, il limite oggettivo del giudicato vele solo nei limiti della contraversia che le parti avevano sottoposto alla Corte, salva questa questa riserva la lettera d però dice alla Corte che deve tenere conto della dottrina, degli autori più qualificati intenazionalmente delle varie nazioni e poi anche delle decisioni giudiziarie, come mezzo sussidiario per l'accertamento dei casi. Queste fonti, che negli altri ordinamenti non sono fonti, mi pare che solo, se lo ricordo bene, nel codice civile svizzero, nel famoso art 1 del codice civile svizzero c'è una menzione alla dottrina come elemento in cui la Corte di Giustizia lo deve tenere conto per rilevare lo stato del diritto consuetudinario e poi c'è quella famosa norma di chiusura, che forse la conoscete, cioè se non trova norme nè nel diritto scritto, nè nel diritto consuetudinario allora il giudice deve decidere come se fosse lui il legislatore questo la Corta Internazionale di Giustizia non lo può fare, se le parti non gli hanno conferito il potere con un'accordo, può però tenere conto della dottrina e della giurisprudenza internzionale, la dottrina, il diritto internazionale ha una importanza molto superiore a quella che ha nel diritto interno per il semplice motivo che il diritto internazionale, tolti i trattati che, naturalmente, sono norme di diritto scritto, quindi non c'è che da interpratarle ed applicarle però quando mancano i trattati, la ricostuzione del contenuto del diritto consuetudinario invece è più complicata perchè il diritto consuetudinario è spesso incerto, è spesso frammentario, e poi per definizione è un diritto che non è statico, evolve nel tempo e quindi accertarne precisamente il suo contenuto è difficile e allora l'opera di analisi, di sistemazione, di raccolta dei dati e di interpretazione che fa la dottrina internazionale, ovviamente ha particolare importanza quindi la dottrina è più importante per ricostruire il contenuto del diritto internazionale di quanto avvenga nel diritto interno, c'è poi anche un'altro motivo, nel diritto interno la giurisprudenza ha un ruolo molto superiore da quello che nel diritto internazionale, anche qui, per motivi ovvi, mentre nel diritto interno esiste un sistema di organi giudiziari, tra l'altro gerarchicamente ordinati che mettono capo ad un organo supremo, una corte di cassazione, una corte costituzionale, le quali corte supreme fanno giuriprudenza con la loro decisione perchè quello che loro hanno deciso , finchè non cambino idea, vale come diritto vivente, viceversa nel diritto internazionale non c'è un sistema di questo genere, innanzi tutto perchè il funzionamento della giustizia internazionale è molto più sporadico perchè gli Stati preferiscono, nella grande maggioranza dei casi, risolvere la loro controversia politica con mezzi di cui mantengono il controllo, senza rivolgersi al giudice internazionale, quindi con i negoziati, si sentono con i diplomatici,

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ministeri degli esteri, negoziano oppure fanno ricorso a procedimenti di soluzione di carattere non vincolante, quindi sono pochi i casi, sulla massa delle controversie internazionali tra stati, dalle quali tra l'altro si può anche stabilire qual'è il contenuto del diritto che poi viene applicato. E per di più, siccome alla fine risolvono le loro controversie con l'accordo anche la soluzione dai quali arrivano è tutto da dimostrare che corrisponde allo stato del diritto consuetudinario esistente, che non sia invece basata su compromessi, su accordi ecc, ecc. In secondo luogo poi non c'è nessuna gerarchia tra gli organi internazionali, la giurisprudenza della Corte Internazionale di Giustizia è piuttosto autorevole però, per esempio, un'altro giudice internazonale può decidere che non è d'accordo nella stessa questione di diritto internazionale consuetudinario, ha torto o ragione la può risolvere in una maniera diversa perchè non è vincolato. Nel diritto interno l'importanza della giurisprudenza è enormemente superiore, nel diritto interno c'è la gerarchia, quando si arriva alla cassazione, se, una norma di legge può essere interpretata in un modo o nell'altro, la cassazione ha deciso che la interpreta in quel modo e allora i giudici interni dei gradi inferiori possono anche sostenere il contrario perchè hanno la libertà di farlo, possono anche motivare ecc però si sa già he le parti impugnerano, la cassazione annullerà, a meno che i giudici di merito non hanno introdotto delle considerazioni così nuove, così brillanti e così convincenti da convincere la cassazione a cambiare idea e rimangiarsi la propria giurisprudenza, infatti la sentenza della cassazione quando la leggete, la leggete sempre : insegnamento costante di questa suprema corte, comunque finchè non cambia idea non c'è niente da fare. Non parliamo poi dei paesi di common law dove il precedente è addirittura vincolante quindi la forza è ancora superiore. E non parliamo del sistema comunitario della giurisprudenza della Corte di Giustizia che si impone su tutti e che è rispettatissima anche dalle Corti Costituzionali interne, anche dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo. Quindi nel diritto internazionale il valore della giurisprudenza è molto inferiore e per di più i precedeni giurisprudenziali sono sporadici e spesso si trovano soltanto precedenti molto antichi quindi magari il diritto consuetudinario nel frattempo, magari quella sentenza era giustissima nel 1920 ma oggi siamo nel 2010 e il diritto consuetudinario non può rispondere più. Ecco perchè l'accertamento del contenuto del diritto internazionale è complicato, anche perchè il diritto internazionale ha un'altra caratteristica che la sappiamo, il diritto internazionale lo fanno gli Stati, non lo fanno i giudici, mentre nel diritto interno il diritto lo fanno molto più i giudici che i destinatari delle norme giuridiche. Quindi anche il valore delle varie manifestazioni della prassi internazionale, da cui è possibile desumere il significato del diritto internazionale consuetudinario e piuttosto veriabile, ci sono manifestazioni che valgono molto e manifestazioni che valgono poco. Tra parentesi anche la giurisprudenza interna è una manifestazioni di prassi che vale nel diritto internazionale, non è che quella interna sia necessariamente da scartare o meno importante della giurisprudenza internazionale, anche se la lettera c menziona principalmente la giurisprudenza dei giudici internazionali perchè i giudici interni dovrano applicare pure loro il diritto internazionale, lo sapete, noi in Italia abbiamo l'art 10 della costituzione quindi la cassazone italiana tante volte lo deve applicare, per applicarlo lo deve interpretare, essattamente come dovrebbe fare un giudice internazionale come la Corte Internazionale di Giustizia o anche un'altro e la sentenza della Corte di Cassazione non è vincolante, ovviamente, per altri Stati, è manifestazione di prassi dello Stato Italiano però è una manifestazione di prassi altrettanto quanto è la sentenza di un giudice internazionale, e non è detto che la decisione della cassazione possa essere più accurata, più giusta, più significativa anche nella scelta fatta da un giudice internazionale ecco perchè la giurisprudenza ha un ruolo più limitato e che a differenza di quella interna si fonda non sull'autorità del precedente, perchè il precedente non c'è, si fonda sulla sua persuasività intrinseca , cioè sul valore persuasivo delle considerazioni, dell'analisi della questione giuridica che è stata fatta dal giudice internazionale, quindi ha lo stesso velore persuasivo sotto questo aspetto che potrebbe avere la concordanza, per esempio, della dottrina, degli autori più qualificati dei diversi paesi i quali concordano nel ricosturire che il contenuto di una norma internazionale è quello e non un'altro, non vale molto di più. Fatta questa premessa allora, quello che l'art 38 quindi ci dà una buona indicazione già di una serie di cose però non ci dice qual'è la gerarchia delle fonti internazionali. Oggi la tendenza generale è a ritenere che le fonti internazionali significative sono: la consuetudine e l'accordo, diciamo, sono modi ordinari di produzione del diritto internazionale, un pò quello che è la legge ordinaria all'interno degli Stati, il diritto internazionale è fatto dagli accordi, dai trattati e dalle consuetudini, la questione dei principi generali di diritto, che

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parla la lettera c, le esamineremo dopo, però possiamo anticipare subito, del resto risulta già all'art 38, che la sua fondamentale natura è di fonte integrativa, come vi dicevo, quando si è fatto lo statuto della vecchia Corte Permanente nel 1920, epoca un cui c'erano alcune miliaia di trattati e forse decine di miliaia in meno di quelli che ci sono oggi e lo stato di diritto consuetudinario era ancora molto più vago, più incerto su tanti punti, l'idea era quella di una fonte integrativa, la vedremo dopo. Rimangono quindi consuetudini e accordo, dal punto di vista gerarchico la posizione di consuetudine ed accordo per consenso unanime di tutti è che le consuetudini sono sopra e gli accordi sono sotto, questo per un motivo giuridico che è di ordine generale e cioè l'accordo, come fonte di norme giuridiche, questo lo abbiamo già detto, lo ripetiamo, non si può spiegare da solo, non può spiegare da solo la sua obbligatorietà, qualche cosa sopra ce l'ha deve avere per forza, così come nel diritto statale il contratto produce effetto obbligatorio tra le parti, non per forza del consenso dato ma perchè c'è una norma di legge che gielo attribuisce, la famosa norma dell'art 1372 del nostro codice civile che dice " il contratto stipulato ha forza di legge tra le parti" e in più l'art 1134 del codice di Napoleone, il code civil francais che diceva che hanno il valore della legge, sono la legge delle parti. In sostanza il nostro 1372 e poi l'art1134 del codice di Napoleone sono, per il diritto interno, il fondamento della forza obbligatoria dell'accordo. Perchè l'accordo non può spiegare la sua obbligatorietà da sè? Perchè l'accodo e l'incontra delle volontà delle parti, ma la volontà delle parti non è che incontrandosi si lega indissolubilmente, si vincolano l'una con l'altra, nemmeno quello delle parti che fanno quel negozio giuridico che è il matrimonio crea un legame dissolubile perchè si può sempre cambiare idea e sciogliersi però perchè la legge, di nuovo, lo attribuicse questo potere quindi alla fine è sempre la legge che decide le condizioni limiti dell'impegno del consenso delle parti, ma se al di sopra dell'accordo non ci fosse niente le parti, così come hanno consentito, si sono vincolate potrebberò svincolarsi perchè sarebbe sempre possibile cambiare idea se la volontà si fosse voncolata da sola. Quindi il vincolo giuridico alla volontà deve necessariamente deve nascere da una norma di grado superiore. C'è un secondo motivo e cioè che l'accordo ha bisogno di norme che lo regolano, perchè un'accordo non può pretendere di dettare norme agli altri accordi perchè potrebbe, sempre, essere cambiato implicitamente dopo con un'accordo successivo e quindi quelle norme non sarebberò obbligatorie. L'accordo non soltanto obbliga perchè lo dice l'art1372 del c.c, ma obbliga anche perchè è valida, perchè è efficace, perchè è stata regolamentata, ma le norme sulle condizioni di validità, di efficacia ecc,ecc devono pur stare da qualche parte e quindi devono in ogni caso stare al di fuori dell'accordo e, siccome lo giustificano la obbligatorietà per le parti, devono stare anche al di sopra. Quindi le norme dei diritti dei trattati sono norme consuetudinarie e quindi così come la consuetudine contiene un principio Factas un servanda , che è il principio che costituisce il fondamento della obbligatorietà dell'accordo, nello stesso modo la consuetudine contiene le norme così detto del diritto dei trattati e poi per la verità un'altro accordo ma è un accordo di codificazione, che poi studieremo la questione del loro valore, ha codificato a Vienna nel 1969. Quindi questo è il motivo,come vedete motivi strettamente logici e giuridici per i quali è ragionevole ritenere che il diritto consuetudinario, nella gerarchia delle fonte, sta sopra e l'accordo sta sotto perchè deriva dalla consuetudine, questo del resto oggi è riconosciuti da tutti. In sostanza l'accordo essendo un processo di produzione, formalizzato, di norme giuridiche di carattere formale ha necessità di norme che lo regolano. La consuetudine ha di diverso dall'accordo che non è un procedimento formale, quindi non ha bisogno di norme che lo regolano, può spiegarsi da sola e addirittura si potrebbe fin'anche sostenere che non solo non ha questa necessità, e invece l'accordo lo ha, ma addirittura non c'è nemmeno la possibilità di regolare veramenete il fenomeno consuetudine perchè, proprio perchè è informale, per definizione, non può essere regolata perchè sfuggie, per definizione, a una regolamentazione perchè è un procedimento di fatto per cui la maggioranza delle teorie moderne del diritto internazionale dicono il diritto consuetudinario, il diritto internazionale è un diritto spontaneo, si forma spontaneamente in una società tra eguali e il diritto si può foramere soltanto così: o perchè ci si mette d'accordo oppure perchè si accettano, con procedimanti spontanei, di fatto, delle regole che vengono considerate vissute e accettate come obbligatorie e quindi non ci sono fonti al di sopra. Primo grado consuetudine, secondo grado accordo, terzo grado fonti derivati dall'accordo, questo lo abbiamo già visto e lo sapiamo, quindi la gerarchia delle fonti internazionali potrebbe essere esurita così: consuetudine, accordo e fonti derivanti dall'accordo, salvo questa questione dei principi generali che sono queste

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fonti integrative speciali di cui parla l'art 38 richiede un discorso a parte. Ci sono però, invece, degli autori, ormai c'è ne talmente di meno che vedo che la maggior parte dei manuali moderni, italiani o stranieri di diritto internazionale nemmeno discutono più questa questione però c'è ancora qualche nostalgico e la tesi che invece non è così, non c'è soltanto consuetudine e accordo e finito il sistema delle fonti internazionali ma ci si domanda: ma c'è qualche cosa al di sopra della consuetudine? Queste teorie sono le teorie che in sostanza ricercano nel diritto internazionale l'esistenza di una costituzione, sabilito che i modi normali, ordinari di produzione delle norme giuridiche sono accordo e consuetudine, come nel diritto statale il modo normale per la produzione delle norme è la legge, nei paesi del common law il diritto giurisprudenziale, è anche quello consuetudinario, sebbene una consuetudine di tipo particolare, una consuetudine giurisprudenziale. Ci sono quelli che si domandano ma c'è qualche altra cosa al di sopra, cioè ogni comunità deve avere una costituzione. Questa idea da una parte corrisponde alla esigenza logica di vedere se è sufficiente dire che la consuetudine si spiega da sola e che non c'è nient'altro nel diritto internazionale, d'altra parte si identifica con quel problema, anche questo ormai superato, non più di moda come è stato per secoli, del così detto problema del fondamento della forza obbligatoria del diritto internazionale. Quindi ci sono degli autori che si pongono il problema di sapere se sopra l'accordo non c'è qualche altra cosa. Questo lo vedremo domani.

05 03 2010

Stavamo parlando, abbiamo lasciato a metà, bisognerebbe cercare di non lasciare mai argomenti, sopratutto quelli complicati, a metà, ma purtroppo, siccome le scadenze orarie sono quelle. Allora l'argomento di cui ci stavamo occupando era quello del sistema delle fonti del diritto internazionale, avevamo visto che le fonti principali, anche se non esclusive, diciamo le fonti ordinarie del diritto internazionale sono : la consuetudine e l'accordo e ieri avevamo cominciato a sostenere con argomenti che sembrano ragionevoli, del resto generalmente accettati anche se non sono tutti, che mentre l'accordo non è in grado di spiegare da sè la sua forza obbligatoria perchè essendo un'atto di volontà, la volontà non può auto-obbligare, non può obbligarsi da sola quindi ha bisogno di una spiegazione della sua forza obbligatoria, così non è per la consuetudine e quindi questo è il motivo per cui l'opinione prevalente, che io condivido, è che è ormai abbastanza consolidata è che c'è questo rapporto gerarchico tra consuetudine e accordo. La consuetudine spiega da sè la sua forza obbligatoria, l'accordo dipende sia per quello che riguarda la regolamentazione sia per quanto riguarda il fatto in sè, il fondamento dell'obbligatorietà in una norma consuetudinaria che viene convenzionalmente definita

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con l'esspressione latina Factas un servantes. Ci sono però tesi che vedono il sistema delle fonti del diritto internazionale più articolato, con gerarchia ulteriore, e che pensano che al di sopra della consuetudine ci debba ancora avere qualche cosa e cioè i principi di ordine gerarchicamente superiore che rappresenterebbero in sostanza i principi supremi, diciamo, i principi normativi giuridici che determinano l'assetto costituzionale diciamo della Comunità internazionale. Di queste tesi che si fondano su vari argomenti, che ora vedremo, ma tra l'altro anche sull'argomento secondo il quale non è vero che la consuetudine internazionale è in gradi di spiegare da sè la sua forza obbligatoria, la sua efficacia, ha essa stessa di una norma di grado superiore che ne spiega l'efficacia, e vedremo questo quando esaminiamo la consuetudine più in particolare. Di queste tesi ce ne sono varie, una tesi tradizionale, che ormai sono passati gli anni e quindi viene meno discussa nelle aule universitario di quanto lo era quando io avevo la vostra età, è la famosa teoria di Kelsen, la costruzione gradualistica dell'ordinamento giuridico, ormai si studia, credo, forse, soltanto nel filosofia del diritto, neanchè più nei corsi di diritto costituzionale, il quale, come voi sapete, voleva costruire una teoria pura del diritto e cioè depurare il diritto da tutto quello che non fosse giuridico, e per giunta definiva tutto quello che era giuridico e quindi tutto quello che vede rappresentare il solo oggetto nella considerazione del giurista, il mondo normativo. Quindi il diritto è soltanto il mondo delle norme e il giurista deve ricercare in ogni norma il fondamento della validità. Il fondamento della validià della norma è il fatto che la norma viene emanata da un'autorità competente, dell'autorità competente perchè ci voule un'altra norma che la rende competente, quindi la legge vale come legge perchè la fa il parlamento, il parlamento ha il potere di fare la legge perchè lo dice la costituzione, il regolamento è legittimo perchè lo dice la legge ecc, ecc. Quindi in sostanza la costruzione di Kelsen è la così detta costruzione gradualistica dell'ordinamento giuridico, piramidale che arriva alla fine alla costituzione del sistema, quindi c'è questa specie di progressione, norma- autorità, norma- autorità, norma- autorità fino a quando si arriva alla norma base che è la base del sistema, la norma base del sistema è la costituzione. Secondo Kelsen nel diritto internazionale bisognerebbe ipotizzare che la norma base del sistema è la norma consuetudinaria, cioè l'accordo è obbligatorio perchè lo dice la consuetudine e la consuetidine è obbligatoria perchè la norma base dell'ordinamento li ha dato questo potere. Kelson proprio nel tentativo di costruire una teoria del diritto più pura dice il giurista deve occuparsi solo della norma, e il resto non sono affari suoi, sono afffari del sociologo, dello storico, dell'economista ecc, è il giurista non deve occuparsene, però riconosce che anche la norma base deve a sua volta, con lo stesso principio, avere bisogno di qualche cosa che sia il fondamento della sua validità. A questo punto Kelsen si arresta e dice bisogna distinguere la validità della norma e quindi dell'intero ordinamento, dell'intero sistema, dal problema della efficacia dell'ordinamento, certo l'ordinamento deve essere effettivo, però bisogna distinguere il problema della validità da quello dell'efficacia. L'ordinamento deve essere efficace però il motivo per cui è efficacie non sono affari del giurista, non è compito suo, dietro alla Grundnorma, al di sotto della Grundnorma, dice Kelsen, si c'era la gorgone del potere e siccome lui questo gorgone non lo vuole guardare in faccia perchè si sà che se uno guarda il gorgone in faccia rimane pietrificato, e allora lui dissolve lo sguardo e dice il giurista a quel punto ha esaurito il suo compito. Quindi, per esempio è vero che gli ordinamenti non possono essere sospesi nel vuoto, devono essere effettivamente efficaci, nel diritto internazionale la norma base è la norma consuetudinaria. Questa teoria Kelseniana, voi sapete tutti che ha una serie di punti deboli, in particolare ha una contraddizione, cioè non si capisce perchè ci si deve arrastare, nella costruzione gradualistica del sistema, a un certo punto e non si capisce perchè è proprio quello e non altro il punto e non si capisce perchè il giurista si deve limitare a rendere ipotetica una mera ipotesi che l'efficacia del sistema, le sua validità si fondi su una norma dedotta razionalmente quando invece il giurista ben può e anzi deve estendere la sua analisi anche alla considerazione di altri elementi dell'ordinamento. Ecco qual'è il punto debole di questa teoria, comunque è una costruzione formale, Kelsen però dice anche, ha dato anche il suo contributo allo studio della consuetudine, che non è affatto vero che la consuetudine può spiegare da sola la sua forza obbligatoria e ora vedremo perchè. Ci sono invece degli autori che hanno considerato degli effetti più sostanziali per costruire il sistema delle fonti del diritto internazionale ma che non sono d'accordo che le sole fonti sono la consuetudine e l'accordo, oltre che quelle eventualmente derivate dalla consuetudine e dall'accordo, ma ci sono altri giurisiti che hanno detto no, un momento, ci sono dei principi di struttura del diritto internazionale, per esempo, quelli che stabiliscono le condizioni di

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acquisto della soggettività internazionale degli Stati, il principio dell'autotutela, il principio dell'eguaglianza degli Stati, adesso che c'è perchè una volta non c'era, il principio del divieto del uso della forza nei rapporti internazionali, alcuni allungano, acconciano l'elenco a seconda delle loro preferenze personali, insomma una serie di principi di struttura che sono più importanti e che stano a un livello più elevato. Questi autori sono insieme di costituzionalisti cioè tutti gli ordinamenti, anche il diritto internazionale hanno una loro costituzione, hanno dei principi di struttura i quali hanno una un rango superiore, anche perchè questi giuristi osservono che le consuetudini internazionali e i trattati in realtà sono derogabili uno rispetto all'altro e quindi non c'è un motivo preciso di dire che per forza la consuetudine deve avere un rango superiore alle norme del diritto dei trattati, tan'è vero che tutte le norme consuetudinarie, si diceva una volta, sono derogabili. Oggi da un pò di tempo non lo si può dire più perchè da una trentina o una quarantina di anni, ma il fenomeno è nuovo, la comunità internazionale ha accettato il principio dell'esistenza di norme di diritto consuetudinario che sono norme di ius cogens, norme inderogabili dai trattati e rispetto alle quali un trattato internazionale che non lo rispetti è nullo. Quindi, oggi non è più così, ma una volta, prima di questi sviluppi che sono recenti: l'uso della forza, la determinazione dei popoli, tutela di almeno un minimo standard decente di rispetto dei diritti umani, una volta che questi principi non avevano assunto la loro vigenza, tutte le norme cosuetudinarie erano derogabili e allora questi giuristi dicono che ci sono dei principi superiori e la consuetudine e l'accordo sono sullo stesso piano. Queste tesi sono state basate toricamente su varie concezioni di teoria generale del diritto che, per esempio, gli istituzionalisti: Santi Romano, anche prof Monaco tra gli altri, sostenevano che alla base dell'ordinamento c'è l'istituzione, cioè c'è un dato strutturale e che le norme fondamentali del sistema fanno corpo, fanno tutt'uno con le istituzioni. Si sono state date anche spiegazioni diverse, questi spiegazioni diverse, per farla breve, sostengono che non tutti i principi del diritto internazionale non scritto sono uguali, ce ne sono alcuni che sono principi costituzionali e altri che invece sono le consuetudini, quelle semplici, quelle comune, che stanno in una posizione gerarchica inferiore. Per esempio, alcuni autori, in particolare un'autore italiano, che ha insegnato in questa università, Quadri ha in qualche modo pensato che sull'elenco di fonti del diritto internazionale, contenuto nell'art38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia, che avevamo in mano ieri, andrebbe rovesciato perchè l'art 38, vi ricordate, dice lettera a: gli accordi, lettera b: la consuetudine, lettera c: i principi generali di diritto e allora Quadri diceva no, va rovesciato, al primo posto stanno i principi generali di diritto perchè sono i principi fondamentali, costituzionali della Comunità internazionale che rappresentano, secondo l'esspressione di Quadri, la espressione immediata e diretta della volontà del corpo sociale che si è dato dei principi di struttura, poi consuetudine e accordo stanno in una posizione inferiore. Queste tesi in realtà sono ispirate, ovviamente da concezioni teoriche di quelli che le sostengono, ma sostanzialmente si basano tutte su un presupposto comune e il presupposto è che ogni ordinamento deve per forza avere una costituzione e che il diritto internazionale la deve. E quindi siccome una costituzione ci vuole, non bastano le norme consuetudinarie e gli accordi che sono fondati sulla consuetudine, ma ci voule qualche cosa di più. L'idea quindi che ci sono dei principi che esprimono l'organizzazione, la struttura di un sistema, di un ordinamento, ora, questa tesi non è logicamente necessaria, non è affatto detto che l'ordinamento internazionale, con sistema come quello internazionalistico, abbia per forza bisogno di una costituzione e probabilmente non è nemmeno storicamente realistico sostenere che la Comunità internazionale ha una costituzione, innanzi tutto perchè una costituzione è un qualche cosa che organizza un ordinamento giuridico e abbiamo già visto che nella Comunità internazionale di organizzazione giuridica generale c'è poco, lo abbiamo già visto all'inizio del corso che non c'è un sistema di organizzazione paragonabile a quello delle società statali. In secondo luogo una costituzione è il prodotto di una scelta costituente, di un processo costituente, ci si può dare una costituzione di tipo diverso monarchica, repubblicana, ispirata al marksismo, totalitarià o rispettosa dei diritti dell'uomo, di tipo presidenziale, di tipo parlamentare, è però una scelta. Ora, la Comunità internazionale così com'è non è il frutto di una scelta costituente di qualquno che si è messo al tavolino come quei famosi autori della costituzione americana o quelli cella costituzione francese, all'epoca la rivoluzione francese, per stabilire un ordinamento, è semplicemente il puro dato di fatto, è il fatto storico, materiale che si è verificato quando, sia pure dopo lotte e guerre durate secoli, gli Stati si liberavano dalla supremazia di un autorità superiore, dell'imperatore per esempio, e venne alla fine accettata

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quella che è una realtà di fatto, cioè una convivenza di fatto tra enti, nessuno dei quali era in grado di imporre nei confronti degli altri la propria supremazia, nessuno dei quali pretendevano, avevano smesso di pretendere, di avere sugli altri una supremazia giuridica, avevano accettato il dato di fatto che coesistevano, è un fatto che si era verificato come fatto storico e quindi la sua formazione, più che il prodotto di una scelta di un processo costituente è quasi il contrario, cioè è il prodotto della scienza, di un fatto costituente, di un fatto organizzativo, della coesistenza storica come dato materiale, come esistono una serie di stelle una indipendente dall'altra, che coesistono uno accanto all'altro. E allora non c'è bisogno, per forza, di dire che questo è il prodotto di una scelta costituente e che ci sono dei principi di carattere costituzionale accettati dagli Stati. Anche perchè la consuetudine non ha bisogno di essere spiegata, nè di avere una norma di rango superiore che la spiega o che la legittima perchè è essa stessa atto normativo che si produce di fatto. La consuetudine è un fenomeno di fatto, certo è fatto che si fa diritto, ad un certo punto, superato un certo stadio è diventata diritto, però proprio perchè è un processo di fatto, un processo non formalizzato e quindi nemmeno giuridicamente regolato e forse nemmeno giuridicamente regolabile proprio perchè non formale, può essere regolato giuridicamente solo un processo formale in cui si stabilisce quali sono le condizioni, come si forma ecc, è semplicemente anche quello un fatto storico. Quindi, in definitiva, anche quei principi che alcuni autori ritengono portanti della costituzione della Comunità internazionale, in realtà quasi tutti, se ci si riflette, sono di contenuto meramente tautoligico, sono la mera descrizione di un dato di fatto e sono queli e non potrebberò essere altri quindi non c'è la possibilità di una scelta costituente, scegliere una forma di organizzazione giuridica invece di un'altra, semplicemente come dato di fatto. Proprio in conseguenza dell'assenza di una costituzione, di un potere costituente riconsciuto da tutti, si è creata una sfera di convivenza basata proprio su i mezzi di creazione delle norme e cioè l'accordo o la consuetudine, l'accettazione spontanea, la norma di formazione spontanea, i metodi, come l'autotutela, la rappressaglia che in sostanza è la legge del taglione, quindi la regola più antica che ci può essere come mezzo di attuazione coercitiva del diritto, la soluzione delle controversia essa stessa è basata sull'accordo, quindi sulla buona volontà e sullo spirito di cooperazone, quindi, alla fine, si può benissimo sotenere che non c'è veramente questo bisogno logico di costruire, per forza, una costituzione della Comunità internazionale. E io direi che oggi questa tesi, lo ho voluto discutere perchè è giusto discuterla, ma direi che oggi questa tesi è talmente accettata che ormai anche i manuali moderni italiani o stranieri nemmeno si pongono più il problema della costruzione gerarchica delle fonti del diritto internazionale e dicono tutti che le fonti del diritto internazionale sono la consuetudine e l'accrdo, non ritengono di dovere nemmeno affrontare in termini teorici questo problema. Del resto una volta il problema era vissuto in una maniera diversa perchè non si trattava solo di costruire il sistema delle fonti del diritto internazionale ma si trattava anche di spiegare il fondamento della forza obbligatoria del diritto internazionale, o si cercava. Oggi si è rinunciato anche a questo perchè si ritiene sufficiente riconoscere, constatare, la constatazione di fatto che il diritto internazionale c'è e che siccome c'è non ha bisogno di essere spiegato come non abbiamo bisogno di spiegare l'esistenza attorno a noi di tutti gli altri soggetti che ci circondano, è sufficiente descriverlo bene piuttosto che spiegarlo, non c'è bisogno di una spiegazione, c'è bisogno di studiarlo, come tutte le altre cose che abbiamo intorno a noi, a cominciare dall'esistenza della vita umana. Ecco, stabilito questo, possiamo cominciare a parlare della consuetudine. La consuetidine si dice, normalmente, tradizionalmente, questo vale per qualsiasi forma di consuetudine e non per quella internazionale, anche per quelle di diritto interno, che si fonda sul concorso di due elementi: l'elemento oggettivo e l'elemento, così detto, soggettivo, questo lo sapete tutti, il primo è l'esistenza di un comportamento che rappresenta il contenuto della regola, perchè è una regola è che si forma di fatto attraverso la ripetizione di un comportamento, quello che si chiama la repetitio factis in vari modi, insomma quindi l'elemento fattuale, oggettivo rappresentato dal comportamento conforme alla regola e poi l'elemento soggettivo, la così detta opinio iuris o opinio iuris et necesitatis, cioè il convincimento, la diffusione del convincimento, all'interno della comunità giuridica, del carattere giuridicamente obbligatorio di quel comportamento. Questi elementi, secondo la spiegazione tradizionale, ci vogliono tutti e due, ma sapete sicuramente benissimo perchè è una cosa che si comincia a studiare subito nei corsi di diritto, che questa costruzione, quindi dualistica, della consuetudine fondata su due elementi e quindi oggettivo e soggettivo, è stata contestata e tra i contestatori ci sono proprio alcuni di quelli autori così

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detti costituzionalisti, di cui parlavamo prima e c'era anche Kelsen, è stata contestata perchè si è detto che questa questione dell'esigenza dell'elemento soggettivo era poco persuasiva. Kelsen è arrivato a tal punto di spingersi ad affermare che se fosse vero che la consuetudine, per esistere, ha bisogno dell'elemento soggettivo, della opinio iuris, bisognerebbe allora, per forza, concludere che tutte le consuetudini si sono formate per sbaglio, per errore. Perchè? Perchè Kelsen dice questo ragionamento, mettendo la cosa in temini di pura logica formale, teorica, speculativa, Kelsen dice se fosse vero che l'opinio iuris è un'elemento costitutivo della consuetudine, bisognerebbe allora concludere che la consuetudine ancora non esiste finchè non c'è l'opinio, perchè l'opinio è un'elemento costitutivo, in tanto c'è fin quanto c'è l'opinio, finchè l'opinio non si è formata la consuetudine non c'è. Bene, ma allora, dato che l'opinio deve formarsi quando ancora la consuetudine non c'è e l'opinio consiste invece, appunto, nel convincimento che la consuetudine c'è, cioè della norma già obbligatoria perchè consiste in quello, vuol dire che è una rappresentazione sbagliata, i membri della comunità ritengono, per errore, che la norma sia obbligatoria quando invece ancora non lo è e come frutto di questo errore la norma si forma, dice Kelsen. E allora se voi volete fondare tutto il diritto internazionale sulla consuetudine, come norma di grado superiore e per di più sostenete che la consuetudine presupponga opinio, bisogna concludere che tutto il discorso sul tema del diritto internazionale è frutto di errore e che gli Stati hanno dato vita al sistema della Comunità internazionale come frutto di un errore collettivo, il ragionamento è logicistico perchè è difficile creare una tecca, non so se è chiaro, no? Effettivamente è logicistico, vista così, effettivamente è vero cioè la consuetudine ancora non c'è quando c'è l'opinio, vuol dire che l'opinio è sbagliata. Per rispondere a questa obiezione, molti autori hanno risposto, anche alcuni autori italiani, anche in alcuni dei manuali oggi migliori tra l'altro e più diffusi, come quello di Conforti ecc, vi è computata questa obiezione con un'argomento che a me sembra addirittura, quasi, il peggiore, per evitare il danno di questa argomento, per superarlo, secondo me, cade in equivoco ancora peggiore. Cioè questi autori dicono che dove non ha ragione di Kelsen è questo: la norma consuetudinaria si forma non come frutto di un errore collettivo ma si forma per effetto del convincimento della doverosità sociale, da parte dei membri della comunità, del comportamento, non della obbligatorietà giuridica che è un'altra cosa. E allora con questa formula pretendono di avere superato l'obiezione. Ora questa formula innanzi tutto è un gioco di parole, invece che convincimento dell'obbligatorietà guridica, il convincimento è una doverosità sociale, però questa risposta non può essere una risposta, non basta la doverosità sociale perchè il problema che noi siamo chiamati a risolvere, non è quello della doverosità sociale, è quello dell'obbligatorietà giuridica. Se la risposta che diamo è che basta il convincimento della doverosità sociale come facciamo a distinguere una norma giuridica da una norma che non è giuridica, una consuetudine che è giuridica e una che non lo è? La doverosità sociale non basta, questo vale anche nei rapporti tra le persone, per esempio si ritiene socialmente doveroso, educato salutare una persona quando la si incontra,però a me, sopratutto, quando ero giovane, più impulsivo, ma siccuramente sarà capitato anche a voi di avere rapporti così cattivi con qualquno, che benchè lo conoscete invece di salutarlo cambiate strada, no? Ecco, non stiamo violando nessun obbligo giuridico, ma siamo semplicemente offesi con qualquno che ci ha fatto del male e non lo salutiamo, sarebbe socialmente doveroso, lo possiamo fare ma non incorriamo sanzioni, però se siamo talmente arrabbiati che quando lo incontriamo invece di non dignarsi di salutare gli diamo una coltellata allora siamo violando un'obbligo giuridico che è una cosa diversa, quindi c'è un criterio di distinzione che è necessario per distinguere la doverosità sociale dalla obbligatorieta giuridica, c'è poco da fare, è evidente. E questo vale anche nei rapporti internazionali tra gli Stati, per esempio un uso normale, che se le navi da guerra di stati diversi, che risale a epoche molte antiche, si incontrano in alto mare, si salutano con la bandiera, ugnuno inalza la sua bandiera e poi lo abbassa ecc, si danno un segnale e si salutano, quindi anche le navi degli Stati sovrani si salutano come le persone, se però non si salutano non succede niente, non viene violato il diritto internazionale, se però gli spara una cannonata c'è differenza, e allora sì. Quindi, come vedete, c'è una differenza evidente tra l'obbligo sociale e l'obbligo giuridico e del resto anche la di là del problema specifico delle norme consuetudinarie è cosi, secondo me, per qualunque norma giuridica, il problema della distinzione tra norme sociale e norme giuridiche, norme etiche ecc, ecc, è un problema del quale la filosofia del diritto si è sempre occupata. Quindi non basta dire risolviamo l'obiezione di Kelsen dicendo che basta il sentimento della doverosità sociale, il

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sentimento della doverosità sociale basta per dire che la norma è specialmente obbligatoria ma quello che noi dovevamo fare era ben altro, dovevamo dimostrare che era obbligatoria giuridicamente è che è tutto un'altra storia. Kelsen proprio perchè dice che non c'è bisogno della opinio, è proprio per questo che ad un certo punto arriva a pensare di aver dimostrato, ecco perchè io vi dico che ci vuole la norma consuetudinaria, perchè non è vero che la consuetudine è in grado di giustificare da sè stessa la sua obbligatorietà giuridica perchè tutto quello che noi constatiamo, quello che noi vediamo è che c'è un comportamento, una pratica, una prassi uniforme, bene, vediamo che c'è una prassi uniforme, però come facciamo a vedere che quella prassi corrisponde ad una norma giuridica? Ci vuole una norma superiore che lo giustifica e anche alcuni costituzionalisti o istituzionalisti dicono la stessa cosa, per esempio Flave, Flave dice la stessa cosa, c'è un principio giuridico che stabilisce per esigenze di stabilità, di armonia della vita sociale c'è un principio secondo il quale le prassi consolidate devono essere rispettate perchè c'è un'affidamento in sostanza, c'è un'assetto di interessi di relazioni umane, di relazioni sociali che sono state conformate da determinate norme, però ci vuole un principio superiore. Quindi per questi autori le consuetudini e gli accordi starebbero sullo stesso piano, questo spiegerebbe agevolmente il fatto che possono derogarsi a vicenda, perchè, normalmente il rapporto tra consuetudine e accordo è il rapporto basato sul principio che la legge posteriore prevale sulla legge anteriore e però sul principio di specialità secondo cui se la legge anteriore è speciale e la legge poteriore è generale invece non prevale. In realtà, noi abbiamo visto che non è così per lo meno perchè l'accordo non può spiegare la sua forza obbligatoria perchè è una volontà e la volontà non può auto vincolarsi mentre la possibilità della creazione spontanea sulla base dell'accettazione di detereminate regole di convivenza tra i membri di una società con procedimenti non formali, è invece in grado di auto spiegarsi. E allora come la metttiamo con la obiezione di Kelsen, è proprio vero che tutte le consuetudini internazionali sono formate per sbaglio? La risposta, tutto sommato non è difficile perchè il ragionamento di Kelsen è un sofismo, tutto questo aspetto che presuppone di cristallizzare in una singola frazione di secondo un procedimento che per definizione è graduale. Il mio vecchio maestra di diritto civile per spiegarmi questa cosa quando ero molto giovane, molti anni fa, prese a prestito, per spiegare la cosa, quella terminologia usata dal filosofo francese Blombel che ha studiato questi fenomeni sociali, il quale distingueva due momenti: il momento del passaggio cioè lui dice c'è il momento in cui si vive una realtà implicitamente senza essere ancora consapevoli di quello sta succedendo, che si sta facciendo e poi ad un certo punto c'è la presa di coscenza esplicita di quello che è successo, che si è verificato. In sostanza lui dice i fenomeni di questo genere sono fenomeni che non sono il frutto di una scelta consapevole, la consuetudine è un procedimanto inconsapevole, o almeno in parte in misura maggiore o minore, inconsapevole di creazione di una norma giuridica, all'inizio non si ha in mente che stiamo agendo perchè abbiamo l'intenzione di creare una norma giuridica però a poco a poco, man meno che la pratica si diffonde e viene accettata perchè viene considerata una soluzione equilibrata del problema che riguarda la convivenza dei membri della comunità, quindi a poco a poco accettato da tutti perchè giusta, perchè ragionevole, alla fine si aggiunge a poco a poco, il processo si compie gradualmente. E allora, dicono questi autori, se il processo si compie gradualmente non è che succede per sbaglio, è semplicemente che ad un certo punto il processo termina. In realtà, questo è vero per alcune norme consuetudinarie me non per tutte, proprio perchè il procedimento di formazione della consuetudine non è formalmente regolato da nessuna norma giuridica e neppure può esserlo, perchè è puro fenomeno di fatto, si può formare in tanti modi, alcuni comportamenti possono non essere diretti specificamente all'idea di creare una norma giuridica però altri certe volte sì, si può creare in tanti modi, insomma, sopratutto per il fenomeno della creazione di una nuova norma, diversa da quella che c'era prima perchè il problema del ricambio giuridico riferito al diritto comunitario pone un'altro problema simile a quello che faccieva cervelare Kelsen e molti altri, e cioè il problema della norma che non è il frutto di allora, come dice Kelsen, però questo è il frutto di una serie d'illeciti che poi a un certo punto diventa un fatto lecito, perchè se noi vogliamo cambiare una consuetudine che c'è, e certe consuetudini sono cambiate nel tempo, i primi comportamenti iniziali che corrispondono ad una nuova norma, diversa da quella che c'era prima, nella misura in cui sono contrarie a quella che c'era prima evidentemente sono illecite perchè stanno rappresentando una violazione, per esempio, molti fenomeni del genere si sono verificati in materia di diritto del mare, una volta il diritto del mare era basato sull'idea che c'era il mare territoriale, relativamente ristretto, oggi si è accettata

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internazionalemente la regola delle 12 miglia ma una volta erano ancora di meno 3 o 6, comunque oggi sono state accettate le 12 miglia ma man mano che, per esmpio, le possibilità di sfruttamento delle risorse, con l'accrescersi della tecnologia, delle risorse marine, anche la semplice pesca, oggi la pesca con i mezzi moderni, rispetto a quello dei tempi dei fenici ovviamente, si può fare in maniera molto più estesa, a maggiore distanza dalla costa, a maggiore profondita ecc,ecc, e poi oggi c'è la possibilità di sfruttare alcune risorse anche, addirittura, del sottosuolo marino, pensate ai minerari che ci sono sul fondo del mare, e allora a poco a poco gli Stati hanno cominciato ad aumentare le loro pretese. All'inizio queste pretese vennero avanzate con proclami che gli stati destinavano ad altri stati " da oggi questo qui è mio e non si tocca, voi non potete più venire a pescare ", fino a ieri era mare territoriale e quindi gli altri stati potevano andare a pescare e allora si sono fatte delle legislazioni, io faccio una legge con cui estendo il mio potere oltre un determinato confine marittimo e guardate ve lo comunico, sapiatelo perchè egli che si avvicina lo sparo, e allora, ovviamente, all'inizio questo tipo di pretese, i comportamenti corrispondenti sono una violazione del diritto che c'era prima. Quindi qualche volta la consuetudine si forma con dei comportamenti che non sono il prodotto di un processo implicito e fatto in stato di semi coscenza , ma piuttosto sono una scelta consapevole di compiere un comportamento che ha proprio come fine quello di cercare di imporre una norma nuova che contraria a quella che c'era prima, se gli altri lo accettano perchè alla fine si rassegnano o finiscono per convincersi che anche se non sono stati loro di avere per primi l'idea di cambiare lo stato del diritto consuetudinario in una certa matera, però l'idea alla fine è valida, è giustificata e su base di reciprocità si può accettare, beh, se fai così tu, faccio così anche io, lo facciamo tutti e concordiamo un nuovo e diverso assetto degli interessi. Quindi ci sono dei comportamenti che, effettivamente, hanno una intenzione normativa, diciamo, alla loro base, ce ne sono altri che non c'è l'hanno, ma comunque il fenomeno del diritto consuetudinario può spiegarsi da solo e comunque il nostro problema è di spiegare l'esistenza del fenomeno consuetudinario e non la mera cooperazione sociale come dicono questi altri autori di cui parlavo prima. Del resto, la necessità dell'esistenza dell'elemento soggettivo dell'opinio iuris è dimostrata proprio delle nacessità di poter stabilire che la norma esiste come norma giuridica perchè se si tiene conto del solo elemento obiettivo, del solo comportamento, uno stato si può comportare in un modo o nell'altro non perchè pensa di essere giuridicamente tenuto ma semplicemente perchè li va di fare così. Quindi il comportamento da solo non basta per dimostrare l'esistenza della norma, questo è chiaramente percepito da molte giurisprudenze internazionali. Uno dei casi giurisprudenziali più famosi che ha dimostrato che non si può rinunciare all'elemento soggettivo della opinio, come Kelsen, Quadri e gli altri autori che vi ho indicato proponevano, perchè basterebbe l'elemento oggettivo, per esempio, il caso deciso molti anni fa dalla Corte Permanente di Giustizia Internazionale, l'antennata della Corte Internazionale di Giustizia, nel 1927 che era relativa al caso di un motore francese, il motore Lotus, questo motore Lotus, era una nave francese che in acque internazionali di notte navigando nella semi oscurità era entrato in collisione con una nave turca a bordo della nave turca c'erano stati non solo danni ma ci erano stati anche dei morti, delle vittime ecc. Le due navi in avaria avevano riparato in un porto turco e neanchè in tempo di attraccare che la polizia turca era già salita a bordo della nave francese arrestando il capitano, il secondo ufficiale di bordo e mettendogli in prigione accusandogli, con l'intenzione di processarli immediatamente, per le vie brevi, per omicidi, lesioni copose ecc, ecc perchè ritenevano che la colpa era tutta dei francesi, erano stati loro i responsabili dell'incidente. La Francia protesto immediatamente dicendo no, la Turchia questa cosa non la può fare perchè non può estendere la sua giurisdizione ad una nave francese che navigava in acque internazionali perchè le navi francesi in acque internazioneli non sono sottoposte alla giurisdizione delle autorità turca. L'autorità turca rispondeva non è vero, la Francia ha torto perchè qui non siamo in acque internazionali, la nave francese è venuta spontaneamente nelle acque territoriali turche ed è venuta spontaneamente a rifugiarsi in un porto turco, non lo aveva obbligata nessuno, quando noi abbiamo arrestato gli ufficiali francesi e fermato la nave, la nave era in un porto turco non era affatto nelle acque internazionali e quindi era sottoposta alle autorità Turche, quello che noi stiamo faciendo è di applicare l'efficacia della nostra legislazione penale a fatti avvenuti in acque internazionali ma questo non significa esercitare la coercizione su navi francesi in alto mare, la nostra legislazione penale si estende anche a questo. E allora la questione era di distinguere i limiti giuridici internazonali stabiliti dal diritto consuetudinario su queste due diverse faccie, su questi due diversi aspetti della

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sovranità degli stati: quella forma di sovranità che gli americani chiamano jurisdiction to prescribe , cioè la competenza a prescrivere, la pretesa sovrana a dettare ordine, a impartire ordine con norme giuridiche, e la jurisdiction to inforce, quella ad attuarla coercitivamente. Sono due cose diverse, una cosa è il potere coercitivo, un'altra cosa è il potere normativo. Ora, al Turchia sosteneva, davanti alla Corte Permanente di Giustizia Internazionale, che il diritto internazionale non obbliga gli Stati a limitare l'efficacia della loro legislazione, inclusa quella penale, infatti avvenuta sul loro territorio, ma che gli Stati se vogliono, purche abbiano i criteri ragionevoli, possono anche estendere la previsione delle loro norme penali a fatti avvenuti all'estero, per esempio perchè commessi da loro cittadini o contro loro cittadini ecc, ecc, quello che il diritto internazionale, diceva la Turchia, impone agli Stati un'altra cosa e cioè di non esercitare la coercizione materiale, di non arrestare in alto mare i cittadini stranieri su navi stranieri, questo non lo possono fare però siccome qui eravamo in acque territoriali turche, la Francia ha torto. Gli avvocati della Francia avevano portato davanti alla Corte tutta una serie di casistica, di legislazione, di giurisprudenza di vari paesi del mondo in cui dimostravano che praticamenti tutti o quasi tutti gli Stati del mondo non puniscono gli illeciti penali avvenuti a bordo di navi straniere in acque internazionali, non lo fanno, quindi c'è una prassi universalmente accettata che non si può prevedere di punire con la loro legislazione penale fatti avvenuti su navi straniere in alto mare. La Corte disse no, la Francia non ha ragione perchè è vero che un buon numero di Stati, molti stati, non estendono l'efficacia della loro legislazione penale a una fattispecie di questo tipo però se ben possibile che lo facciano, non perchè sono convinti di avere l'obbligo giuridico verso gli altri Stati di rispettare la loro sovranità su le loro navi in acque internazionali, è possibilissimo che non lo fanno semplicemente perchè non hanno interessi a farlo, perchè, normalmente gli Stati, utilizzano i loro diritto penale, la loro giurisdizione penale per tenere l'ordine pubblico a casa propria perchè vi hanno interesse, di quello che succede sulla nave straniera nelle acque internazionali non gli importa niente, non sono affari loro ed ecco perchè non sentono il bisogno di estendere l'efficacia della loro normativa a queste situazioni se però uno di questi stati decidesse di farlo non viola nessun obbligo internazionale perchè la Francia non mi ha fornito la prova che questo comportamento, per quanto abbastanza diffuso, questa astenssione, corrisponde al sentimento giuridico degli Stati di obbligo giuridico. Ecco perchè ci vuole l'opinio iuris perchè non è possibile distinguere una regola di condotta che è praticata semplicemente perchè è una pratica da una regola che invece è giuridicamente obbligatoria, è questo appunto il motivo per cui quella spiegazione di Conforti che basta il convincimento della doverosità sociale non funzone perchè ci può essere il convincimento socialmente doveroso di non andare a infastidire gli altri ma non è detto che questo corrisponda ad un'obbligo giuridico. Senza l'opinio iuris non è possibile distinguere regole di cortesia, regole del costume sociale, comportamenti spontanei e altro tipo dalle regole giuridiche, ecco perchè l'opinio ci vuole. L'opinio si rcava, però proprio anche quello, dall'esame della prassi, dice allora come facciamo a scoprirlo, non possiamo trasformarci in psicologi e quindi metterci a scavare negli stati d'animo dei governi o dei loro rappresentanti per sapere essattamente che cosa pensano, qual'è il loro sentimento giuridico, però si ricostruisce anche l'opinio proprio dall'esame della prassi perchè, per esempio basta andare a vedere che cosa dicono gli Stati quando qualche cosa succede. Tutte le norme giuridiche, quelle internazionali come quelle interne vengono generalmente rispettate e ogni tanto violate. Quando la norma viene violata che cosa succede? Se nella prassi risulta che gli Stati, per esempio dicono " è vero che io tenuto questo comportamento, me l'ho tenuto perchè non avevo l'obbligo di fare il contrario", e allora vuol dire che questo è un'elemento di prassi che ci dice che quello Stato sta sosenendo quella norma internazionale, ma se uno stato invece Stato dice sì lo so che bisognerebbe tenere quel comportamento, tu mi accusi di aver fatto questa cosa, non è vero, o per lo meno non sono stato io sarà stato un'altro oppure dice sì lo fatto però perchè era uno stato di necessità, perchè non c'era altra possibilità, oppure lo fatta per rappresaglia perchè tu a tua volta avevi violato un'altra norme nei miei confronti. E allora dalla prassi è possibile anche ricostruire se una norma è considerata dagli stati come obbligatoria oppure no, ma è soltanto quando si è ottenuto la prova che la norma è considerata come obbligatoria che si può dire che la norma consuetudinaria esiste.

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11 03 2010

CONSUETUDINELa concezione classica,nonostante varie critiche, vede come necessari per l'esistenza della consuetudine due elementi: l'elemento oggettivo, cioè l'elemento materiale, la concreta manifestazione del comportamento corrispondente al contenuto della norma e l'elemento soggettivo, cioè la convinzione dell'obbligatorietà giuridica della norma, la cosiddetta opinio iuris. L'elemento soggettivo è necessario innanzitutto per distinguere gli usi giuridicamente obbligatori da quelli che non lo sono, e poi anche per distinguere fra l'obbligatorietà giuridica e la semplice doverosità sociale. L'elemento oggettivo invece è necessario perché permette di constatare l'effettività della consuetudine, e poi perché consente di determinarne esattamente il contenuto. L'accertamento dell'esistenza della consuetudine richiede quindi la sussistenza di questi due elementi che sono riscontrabili dall'esame della prassi. La norma consuetudinaria è molto diversa dalla norma di diritto scritto, cioè le norme dei trattati, perché non si interpreta ma si rileva cioè si constata. Il giurista nel ricostruire l'esistenza della consuetudine, si quasi trasforma in storico, fa un lavoro a metà strada tra quello dello storico e del giurista, proprio perché deve rilevare l'esistenza di un fenomeno sociale, in definitiva un fatto. Per accertare l'esistenza della norma consuetudinaria, si deve analizzare la prassi degli Stati, la prassi internazionale è costituita da una serie di elementi di varia natura, anzitutto i comportamenti dei governi cioè degli organi che conducono le relazioni interne degli Stati quindi governi e i loro rappresentanti,il ministero degli esteri e agenti diplomatici (per esempio la corrispondenza diplomatica dei governi). Oltre alla prassi dei governi poi c'è la prassi dei tribunali internazionali a cui gli Stati si rivolgono per risolvere le loro controversie; c'è ancora la giurisprudenza degli organi interni,infatti, non va dimenticato che il diritto internazionale ha due dimensioni: la dimensione della sua applicazione, osservanza o inosservanza da parte degli Stati nei rapporti internazionali propriamente detti quindi a livello intergovernativo; e la dimensione della sua applicazione negli ordinamenti giuridici interni per effetto dei meccanismi di adattamento del diritto interno al diritto internazionale(adattamento al diritto consuetudinario che avviene in via automatica nel nostro ordinamento, l' adattamento ai trattati con le leggi di adattamento). Questo significa che anche la giurisprudenza interna è un elemento rilevante, e altro vantaggio è che, il giudice agisce in posizione di indipendenza, il suo accertamento della norma è condotto con il rigore del metodo di accertamento giudiziale (invece il governo di uno Stato sostiene le tesi che ha interesse a sostenere, quindi i governi non sono imparziali, cioè se hanno commesso una violazione del diritto internazionale cercheranno di difendersi o se vogliono che una norma si modifichi, avranno interesse a sostenere che il contenuto della norma è uno invece che un altro in base a questo interesse). C'è poi tutta la prassi delle organizzazioni internazionali, che oggi è diventata abbondantissima,nelle quali gli Stati hanno modo di prendere posizioni ufficiali rispetto a questioni di diritto internazionale. Questi elementi della prassi sono raccolti da molto tempo, per quanto riguarda la prassi dei governi, molti Paesi soprattutto quelli occidentali con maggiore tradizione giuridica, hanno cominciato a raccoglierli e spesso sono gli stessi ministeri degli esteri o anche i privati o istituti di ricerca universitari a svolgere questo lavoro. Sulla corrispondenza diplomatica dei governi, ad esempio in Italia era cominciato un processo che è incompiuto, di raccolta negli archivi del ministero degli esteri della prassi diplomatica in materia di diritto internazionale a partire dall'unità d'Italia 1861 pubblicata in una serie di volumi a cura della SIOI(società italiana per l'organizzazione internazionale). Sono stati pubblicati alcuni volumi che sono divisi in tre serie e partono dal 1861 e fino ad oggi quello che si è raccolto finisce con il 1925; c’è anche una raccolta in più volumi della giurisprudenza italiana di diritto internazionale, che è cominciata dal 1960 con tutte le massime e le citazioni dei luoghi in cui le sentenze sono pubblicate per esteso ed arriva al 1997. Anche gli altri Paesi principali del mondo hanno queste raccolte di prassi gli Stati Uniti per esempio hanno tre raccolte che chiamano Digest (i digesti della prassi degli Stati Uniti in materia di diritto internazionale) la prima raccolta è stata fatta nei primi anni del 900 da Muur e riguarda la prassi a partire dalla guerra d'indipendenza americana; poi è stato fatto durante la guerra quello di un altro studioso Hekworc e poi c'è quello più recente della Whitman.In Francia c'è il repertorio francese fatto da keys.

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Per quanto riguarda la giurisprudenza internazionale, c'è una pubblicazione che fanno le Nazioni Unite: RIAA "report or international arbitral awords" che contiene tutta la prassi che le sentenze dei tribunali arbitrali adottano, mentre le sentenze della Corte permanente di giustizia internazionale e quelle della Corte internazionale di giustizia sono pubblicate dalle due corti. La Corte permanente di giustizia internazionale aveva quattro serie di volumi:

serie A: le sentenze; serie B: i pareri; serie C :le memorie e le difese delle parti e serie D :i regolamenti della Corte e tutte le cose che riguardavano l'organizzazione della Corte.

La Corte internazionale di giustizia invece ha due serie:o recus des arretes consultatif e ordainnance(cioè sentenze pareri) e o memoir plevourir douvement(memorie scritte e resoconti delle difese orali fatte davanti alla

Corte). Ci sono poi anche le raccolte di giurisprudenza interna, per esempio c'è una famosa raccolta inglese:"international law cases" da un famoso studioso inglese Lautertac che raccoglie la giurisprudenza non solo internazionale ma anche quella più importante dei giudici interni di parecchi Paesi del mondo. Più modernamente c'è un periodico pubblicato a cura dell'America's society international law e si chiama"international legal materials" che raccoglie tutti i documenti di prassi; esce ogni tre mesi, è quindi aggiornato, ed è dedicato interamente alla pubblicazione dei materiali rilevanti per ricostruire la prassi internazionale. Le Nazioni Unite hanno poi tutti i loro "official records" e inoltre pubblicano un'altra preziosissima raccolta annuale:Annier giuridique, che raccoglie tutte le attività sia delle Nazioni Unite sia delle altre organizzazioni che hanno lo status di istituti specializzati delle Nazioni Unite. Per i trattati internazionali, va ricordato che già all'epoca della Società delle Nazioni (art18) e poi adesso con l'articolo 102 della carta delle Nazioni Unite, tutti i trattati internazionali multilaterali o bilaterali stipulati dagli Stati devono essere depositati presso il segretariato delle nazioni unite a Ginevra, il quale ne cura la pubblicazione, questo per evitare la cd"diplomazia segreta" e assicurare in sostanza la trasparenza e la possibilità del controllo da parte dell'opinione pubblica dell'attività diplomatica internazionale. I trattati registrati vengono pubblicati in una raccolta:"united nations treaty series" UNTS che ha raggiunto la cifra di tre mila volumi(oggi consultabili da internet).I Paesi in via di sviluppo si sono spesso lamentati del fatto che dato che tutte queste raccolte riguardano prevalentemente la prassi dei Paesi occidentali, quindi hanno contestato il fatto che la consuetudine viene ricostruita unicamente sulla prassi dei Paesi del nord del mondo, mentre non ci sono raccolte analoghe di prassi dei Paesi dell'Africa subsahariana ,dei Paesi dell'estremo oriente, non ci sono perché nessuno ha pensato a farli;però oggi questa obiezione vale di meno innanzitutto perché nella prassi diplomatica degli Stati Uniti, della Francia,dell'Inghilterra e dell’Italia ci sono anche i rapporti con tutti questi altri Paesi (quindi non è unilaterale) e,in secondo luogo perché oggi la diplomazia è multilaterale, da qualcuno definita" diplomazia parlamentare" e cioè appunto quella che si svolge nell'ambito delle organizzazioni internazionali soprattutto nell'ambito delle Nazioni Unite dove tutti gli Stati possono partecipare perché tutti hanno il diritto di dire il loro punto di vista sul contenuto del diritto internazionale e sulle questioni giuridiche che vengono discusse; quindi oggi tutti i Paesi possono lasciare traccia scritta delle loro disizioni.Negli ultimi due o tre decenni del secolo scorso, si è cominciato ad assistere ad un fenomeno definito della crisi del diritto consuetudinario, cioè il diritto consuetudinario ha cominciato a presentare dei problemi sia di formazione della consuetudine, sia anche poi di accertamento del contenuto, soprattutto, per effetto dell'ampliamento della comunità internazionale che ha portato ad una contrapposizione ideologica e politica in certi momenti tra gruppi di Stati. La comunità internazionale tradizionale a partire dall'800, era composta da pochi Stati sufficientemente omogenei, in cui le consuetudini erano difficilmente contestate e rimanevano a lungo, quindi facilmente accertabili. Questa situazione di relativa tranquillità, ha poi subito dei colpi forti anzitutto con la rivoluzione russa, quindi con l'ingresso nella comunità internazionale di uno Stato che contestava molte regole e che aveva idee sui rapporti giuridici anche internazionali oltre che dell'assetto delle società statali interne

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completamente diverso da quello degli altri Paesi; poi ancora di più con la decolonizzazione, quel processo che ha portato in un paio di decenni a triplicare i membri della comunità internazionale(siamo passati da 60 alla fine della seconda guerra mondiale ai quasi 200 di oggi). Si è creato poi, un fenomeno di contestazione massiccio del diritto consuetudinario, che non soltanto riguardava il contenuto di un certo numero delle norme generalmente accettate soprattutto in materia di rapporti economici, ma che ha finito col portare all'idea di contestare l'esistenza stessa del diritto consuetudinario cioè di un diritto che si impone una volta che l'accettazione delle norme è sufficientemente generalizzata all'interno della comunità anche agli Stati nuovi che vengono ad esistenza. Addirittura si è rispolverata l'idea, superata da molto tempo nelle opere dei giuristi, della consuetudine come accordo tacito e si è cominciato a negare che la consuetudine si manifestasse attraverso i due elementi:opinio e diuturnitas, intendendosi per opinio iuris il convincimento sufficientemente diffuso tra i membri della comunità internazionale dell'esistenza di una norma, senza che sia necessario dimostrare puntualmente l'accettazione da parte di ciascuno di essi e quindi opponibile ai nuovi Stati i quali, si affacciano alla vita di relazioni internazionali e trovano già un corpus di norme giuridiche stabilito. Questo sistema è stato contestato sostenendo che acquistando l'indipendenza e cominciando a partecipare alla vita di relazione internazionale tutte le norme che c'erano non erano opponibili a loro se non le avessero accettate una ad una. Questa idea era un veicolo politico per sostenere la necessità di rinegoziare tutto, e quindi serviva per sostenere le posizioni di certi Paesi che non volevano accettare alcune norme che non ritenevano confacenti ai propri interessi. Sul piano giuridico però, l'idea della consuetudine come accordo tacito è un idea antichissima sostenuta per secoli, e che ha avuto o una matrice nel pensiero giusnaturalista e poi una matrice nel pensiero positivista dell'800. I primi studiosi del diritto internazionale erano dei giusnaturalisti ,che sostenevano che ripugnava all'essenza libera dei soggetti ,essere sottoposti a norme giuridiche che non avevano in qualche modo accettate essendo l'uomo allo stato di natura era libero. Così nelle società interne questo accordo potrà anche essere il"pactum subiectionis"di cui parla Hobbes, cioè l'idea che i sudditi si sottopongono al potere del sovrano che gli darebbe in cambio la sua protezione(ci sarebbe quindi un sinallagma),nel diritto internazionale l'idea era che i principi,i sovrani,tra di loro erano legati da un patto e che quindi tutte le norme internazionali si dovevano fondare sull'accordo,questo accordo poteva essere espresso(trattato)oppure tacito e cioè la consuetudine. La consuetudine vista come tacita conventio, come diceva Grozio e gli altri autori giusnaturalisti del 600-700.Quando poi al giusnaturalismo si sostituisce il positivismo giuridico, i positivisti sostenevano che non c'è niente, basandosi sulla concezione hegeliana per cui lo Stato è l'incarnazione dello Spirito Assoluto sulla terra, di superiore alla volontà dello Stato; si doveva riuscire quindi a dimostrare che nonostante non ci fosse nulla superiore alla volontà dello Stato tuttavia, lo Stato, è soggetto di diritto internazionale. La spiegazione si trovava nel fatto che il diritto internazionale, è un insieme di accordi degli Stati, quindi tutto il diritto è ricondotto dal gius positivismo alla volontà dello Stato, la legge è la volontà dello Stato individuale, che individualmente fa leggi per i suoi sudditi ,e il diritto internazionale è la volontà collettiva degli Stati che si manifesta attraverso il loro accordo. Quindi questa idea secondo la quale si vuole l'accordo degli Stati per creare il diritto internazionale è vecchissima ed era stata superata con la crisi del positivismo giuridico; ma i Paesi in via di sviluppo ed anche alcuni giuristi sovietici l’hanno ripresa sotto la formula della tabula rasa cioè della consuetudine come accordo tacito. Questa tesi, non solo non regge nella pratica perché non si può pensare che uno Stato che viene al mondo può rifiutarsi di riconoscere tutte le norme internazionali esistenti, lo può fare ma gli altri Stati reagiranno con diritto perché quello Stato viola e quindi non rispetta il diritto internazionale. Anche dal punto di vista teorico è facilmente criticabile, infatti l'accordo, la volontà ,non può pretendere di spiegare l'obbligatorietà giuridica del diritto perché,da una parte la volontà o l'accordo hanno bisogno di norme dalle quali risulta la vincolatività dell'accordo; dall’altra porterebbe ad una parcellizzazione del diritto internazionale, infatti,poiché l'accordo non può obbligare che quelli che vi partecipano si dovrebbe negare la possibilità stessa di creare un sistema di norme di diritto internazionale generale, e tutte le norme varrebbero esclusivamente per gli Stati che si può dimostrare che hanno dato il loro consenso; quindi per ogni norma ci sarebbe una sfera di

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destinatari diversa e non ci sarebbe un sistema unitario di regole del diritto internazionale opponibile a tutti. Si trattava dunque di una pretesa politica che è stata oggi ampiamente abbandonata, tra l'altro la posizione di questi Paesi in via di sviluppo era sotto tanti aspetti contraddittoria, perché da una parte riguardo al diritto vecchio sostenevano che senza il loro consenso prestato da ciascuno soggetto per ciascuna singola norma non era opponibile, d'altra parte però per il diritto nuovo che proponevano, sostenevano l'opposto perché i Paesi in via di sviluppo hanno fatto un tentativo di imporre il principio del valore obbligatorio delle risoluzioni dell'Assemblea generale delle nazioni unite, poiché con l'aumento del numero degli Stati non sono più gli Stati del Nord ad avere la maggioranza ma in Assemblea generale i Paesi in via di sviluppo hanno quel tipo di maggioranza detta automatica cioè su qualunque questione se si vota a maggioranza hanno sempre il sopravvento(non per tutte ma solo per determinate questioni). Quindi hanno cercato di fare accettare il principio che le dichiarazioni di principio dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite erano vincolanti per tutti gli Stati e anche per i dissenzienti. Lo stesso hanno fatto per la nozione introdotta negli anni 60 di "ius cogens" cioè l'esistenza di norme consuetudinarie cogenti, vincolanti per tutti gli Stati, delle quali è stata ottenuta la codificazione almeno del principio all'articolo 53 della convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati.Articolo 53:" è nullo qualsiasi trattato che al momento della sua conclusione è in conflitto con una norma imperativa del diritto internazionale generale, ai fini della presente convenzione è norma imperativa del diritto internazionale generale una norma accettata e riconosciuta dalla comunità internazionale degli Stati nel suo insieme come norma alla quale non è consentita alcuna deroga e che può essere modificata soltanto con una successiva norma del diritto internazionale generale avente lo stesso carattere".Questa norma è un pochino tautologica perché in pratica, dice che una norma imperativa è una norma che non può essere derogata e che una norma che non può essere derogata è una norma imperativa; però dice anche un'altra cosa piccola ma significativa e cioè" una norma accettata dalla comunità internazionale degli Stati nel suo insieme" quindi non è possibile che una maggioranza,un gruppo di Stati, imponga agli altri una norma che non vogliano perché mancherebbe il riconoscimento della comunità internazionale nel suo insieme(si vuole il riconoscimento diffuso generalizzato che comprenda l’ accettazione diffusa da parte di tutti i gruppi geopolitici). L'articolo 53 parla di una particolare norma di diritto internazionale generale, e cioè una norma che è anche imperativa e non può essere derogata. L'idea di norma imperativa, è stata sostenuta soprattutto dai Paesi in via di sviluppo perché anche in questa nozione hanno visto un veicolo che li esponeva di meno nei trattati bilaterali(negoziati bilaterali con Stati più forti, in grado di far prevalere più facilmente il loro punto di vista)quindi, il principio che non tutto si può fare con un trattato, perché quelli che fanno parte dello ius cogens sono valori fondamentali, e cioè: autodeterminazione dei popoli, il rispetto dei diritti fondamentali della persona umana, il divieto di ricorso alla forza armata e l'uso della violenza. I rapporti internazionali che evidentemente hanno una funzione protettiva e quindi è chiaro che la nozione di ius cogens che sono norme consuetudinarie è incompatibile con l'idea che ci voglia l'unanimità all'accettazione da parte di tutti gli Stati se no nessun ius cogens potrebbe essere possibile.Questo fenomeno di contestazione,poi è sfumato solo perché si è visto, che le norme del diritto consuetudinario tradizionale che giustificavano di essere rivedute non erano molte, e quindi alla fine la maggioranza sono state accettate e riconfermate. Qui in sostanza il diritto internazionale non si fa né a maggioranza né all'unanimità, l'unanimità non è necessaria ma non basta nemmeno che una maggioranza di Stati possa imporre a una minoranza che non è d'accordo una regola.Non è invece necessaria la prova, per dimostrare che c'è una norma consuetudinaria che il singolo Stato che non è d'accordo l'abbia personalmente accettata, la tesi contraria è stata qualche volta sostenuta anche se in maniera limitata sotto forma del "persistent objector", cioè lo Stato che si impone persistentemente all'accettazione di una norma. Una versione più moderata sostiene che il singolo Stato che individualmente non è d'accordo con una norma consuetudinaria, non potrebbe impedire l'entrata in vigore nei confronti di tutti gli altri però potrebbe, se si è sempre opposto, impedire che questa norma valga nei suoi confronti; questa tesi è oggi respinta in maniera unanime ma

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è stata sostenuta in anni passati a partire da due decisioni, obiter dicta, contenuti in due sentenze della Corte internazionale di giustizia. La sentenza relativa al diritto d'asilo nel 1950 tra il Perù e la Colombia, e una relativa al caso delle pescherie norvegesi del 1951 in cui la Germania e l'Inghilterra, agivano davanti alla Corte internazionale di giustizia contro la Norvegia. Il caso del diritto, d'asilo riguardava una consuetudine regionale, perché oltre ad esistere consuetudini generali che valgono per tutti gli Stati del mondo possono esistere delle consuetudini particolari ad esempio consuetudini locali che viggono solo in una certa regione del mondo, oppure perché riguardano solo gli Stati membri di un organizzazione internazionale, è ammissibile perfino una consuetudine bilaterale. Era una controversia relativa all'interpretazione dei dettagli di una norma, si sosteneva che in America Latina si sarebbe creata una consuetudine particolare di diritto regionale tra gli Stati dell'America Latina che accordava agli Stati che hanno un'ambasciata in un altro Stato il diritto di asilo diplomatico dell'ambasciata. Siccome in America Latina i rivolgimenti, più o meno violenti, di governo sono più frequenti che in altre parti del mondo, quasi sempre gli oppositori dei regimi venivano perseguitati e questi si rifugiavano nelle ambasciate straniere. L'ambasciata deve rispettare le leggi della comunità locale ma ha l'immunità,cioè la forza pubblica dello Stato territoriale deve rispettare l'ambasciata, non può entrare senza il consenso dell'ambasciatore però questo non vuol dire che se nell'ambasciata si è rifugiato un ricercato dalla polizia locale l'ambasciatore ha diritto di non restituirlo, ma al contrario lo deve restituire perché deve osservare le leggi dello Stato. In America Latina si sarebbe formata una consuetudine derogatoria, il cosiddetto asilo politico e la controversia era dunque che nell'ambasciata colombiana di Lima si era rifugiato un ricercato dall'autorità peruviana il quale secondo l'ambasciatore della Colombia doveva essere qualificato come rifugiato politico mentre il Perù sosteneva che fosse un delinquente comune. Quindi il problema, era definire se lo Stato nella cui ambasciata si è rifugiata la persona ricercata ha diritto di qualificare come politico l'asilo oppure questo diritto spetta all’altro Stato.La Corte internazionale di giustizia in questa sentenza diede torto alla Colombia e ragione al Perù, e disse nell'obiter dictum, che questa regola secondo cui è lo Stato dell'ambasciata che ha il diritto di qualificare unilateralmente se si tratta di asilo politico o meno, è una regola che non esiste e non è nemmeno riconosciuta dagli altri Paesi latinoamericani ma, anche se lo fosse, non sarebbe opponibile alla Colombia perché la Colombia si è sempre opposta a questa regola. Quindi sulla base di questo obiter dictum( cioè che anche se la norma ci fosse siccome la Colombia non aveva mai voluto accettarla per la Colombia non è opponibile),si sarebbe creato il principio del persistent objector:se lo Stato si oppone alla formazione di una norma non può impedire che la norma esiste però nei suoi confronti non vale. Nel ‘51 la Corte ebbe a che fare con un caso simile sotto questo aspetto, riguardava il caso della Norvegia nelle cui acque territoriali andavano molte navi da pesca inglesi e tedesche, e per questo, aveva stabilito di chiudere le sue acque per uno spazio di 10 miglia a partire dalla costa. La Germania e l'Inghilterra, andarono davanti alla Corte di giustizia sostenendo che la Norvegia commetteva un abuso poiché si era oltre il limite delle sue acque territoriali e inoltre avevano pescato lì da secoli. La Corte internazionale di giustizia doveva dunque discutere se era vero che c'era una regola del diritto internazionale che vietava ad uno Stato di chiudere una zona, per l’ estensione di 10 miglia a partire dalla costa, alla libertà di pesca degli altri. Di nuovo la Corte disse che questa norma non esisteva e che se anche ci fosse stata, non si sarebbe potuta imporre alla Norvegia la quale si era sempre opposta alla sua formazione. In realtà la teoria del persistent objector sarebbe un modo quindi di recuperare la nozione che la consuetudine può essere qualificata come accordo tacito e quindi ci vuole la prova che ogni Stato singolarmente l'abbia accettato per poter essere opposta a lui. Questa tesi come è stato già detto non è accettabile e oltre queste due decisioni della Corte non ci sono elementi della prassi in questo senso, anzi ce ne sono in senso contrario. Quello che si può dire è una cosa diversa e cioè, che è possibile che se si crea una norma, si può anche creare una deroga per uno Stato e che gli altri la accettino e quindi fanno quiescenza. La quiescenza è cosa diversa, non significa dire che una norma non è opponibile tutti gli Stati, ma sarebbe una norma ad hoc individuale che fa eccezione; questo in alcuni casi può succedere perché nel diritto internazionale non abbiamo un principio come quello espresso dall'articolo 3 della Costituzione che stabilisce che non si può creare una regola speciale per una situazione speciale; allora in questo caso il fenomeno è quello della quiescenza prestata da certi Stati al fatto che ad uno Stato, si riconosce un diritto che agli altri non è riconosciuto.

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Un esempio riguarda le cosiddette baie storiche, si è stabilito che il mare territoriale comprende 12 miglia, ma non partono dalla bassa marea poiché alcuni Stati presentano una costa frastagliata e quindi lo Stato, al fine di stabilire le linee di base da cui quest'ampiezza si misura, può tracciare le cosiddette linee rette di base purché non si discostino apprezzabilmente dall'andamento generale della costa, quindi può chiudere delle parti e le parti chiuse, si chiamano acque interne ed hanno un regime giuridico leggermente diverso da quello del mare territoriale( ad esempio non vi è il cosiddetto diritto di transito inoffensivo delle navi che battono bandiera straniera) e da queste linee di base si misura l'ampiezza di 12 miglia. Per le baie vale una regola ancora diversa, e cioè le baie possono essere chiuse e quindi rappresentare il punto di partenza delle acque interne se non superano l'ampiezza alla bocca della baia di 24 miglia, se la baia è più grande lo Stato è autorizzato dal diritto internazionale consuetudinario a tracciare nelle carte nautiche una linea retta per un'ampiezza della baia di 24 miglia. Alcuni Stati invece hanno sostenuto di avere un titolo storico su delle baie nelle quali sin da tempi immemorabili hanno esercitato questo controllo assoluto(diritti di pesca sovranità sulle acque) senza che gli altri Stati si fossero opposti, quindi si tratta di una regola derogatoria che ormai si era formata.Proprio perché in tempi moderni soprattutto per questo grande fenomeno rivoluzionario della decolonizzazione alcune norme erano diventati incerte e contestate, ha preso molto vigore nell'ultima metà del secolo scorso, l'idea di modificare il diritto internazionale consuetudinario per via di accordi, benché l'accordo sia una fonte del diritto internazionale di rango subordinato alla consuetudine cioè sarebbe come codificare le norme della Costituzione con una legge ordinaria;nonostante questo l'accordo di codificazione ha dei vantaggi perché mette per iscritto le regole e quindi risolve il problema dell'incertezza del diritto consuetudinario sia quando il diritto è incerto perché contestato, sia quando c'è bisogno di una disciplina che tenga conto degli sviluppi moderni o di fenomeni nuovi(come per il diritto dello spazio atmosferico).L'idea della codificazione del diritto internazionale consuetudinario è un'idea vecchia e del resto anche nel campo del diritto interno l'idea di codificare forme di diritto non scritto c'è sempre stata, nel diritto internazionale sono esistiti anche tentativi di codificazione dottrinale, già nell'800 alcuni autori avevano redatto delle opere in forma di codice tra cui anche Pasquale Fiore un giurista italiano che insegnava all'Università di Napoli"droit internationale codifié"; poi ci sono stati anche tentativi di codificazione di istituzioni come la Harward law school. che ha avuto un progetto importante negli anni 30"harvard review international law". Vi sono poi anche associazioni scientifiche di studiosi ,la più importante ed autorevole in questa materia è l'Institute du droit international che è stato fondato da uno studioso italiano Pasquale mancini nel 1873, ed è un'associazione di professori di diritto internazionale di tutti Paesi del mondo; questo mette allo studio degli argomenti, poi viene nominato un relatore e dopo l’Istituto nel suo insieme adotta risoluzioni che hanno un valore di consigli per gli Stati sul modo in cui alcune questioni del diritto internazionale dovrebbero essere risolte. Qualcosa di questo genere c'è anche negli Stati Uniti con l'American law institute, associazione di giuristi americani, poiché il diritto americano è diritto non scritto come tutti Paesi di common law, sotto forma di cosiddetti rivetmens law(riveted cioè ribadire) e questo lavoro è fatto per il diritto interno ed anche per alcuni temi del diritto internazionale. La codificazione di cui stiamo parlando noi non è la codificazione astratta dottrinale fatta per fini scientifici, ma è invece la codificazione fatta con accordi internazionali quindi con dei trattati veri e propri aperti alla ratifica degli Stati, e se gli Stati li ratificano almeno quelli che hanno partecipato all'accordo, si impegnano a considerare regole del diritto internazionale consuetudinario in determinate materie quelle contenute nell'accordo. L'accordo quindi ha il vantaggio sia di mettere per iscritto il diritto consuetudinario sia di poter fissare delle regole di dettaglio, perché uno dei problemi del diritto consuetudinario è che per definizione è vago cioè può stabilire un principio ma i dettagli precisi di una regola dettagliata come quelle che sono scritte in un testo di legge evidentemente non li può contenere(ad esempio per quanto riguarda i termini, e quindi il tempo a disposizione per pronunciarsi degli Stati che non sono d'accordo ad un trattato). L'idea della codificazione, ha avuto grande sviluppo negli anni del dopoguerra, anche per l'esigenza avvertita da alcuni Stati di rinegoziare o chiarire, e quindi di aggiungere, delle regole quelle a che c'erano in conseguenza a questo fenomeno di allargamento della comunità internazionale, di pluralismo ideologico e diversità di interessi degli

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Stati. I primi accordi di codificazione del diritto consuetudinario hanno riguardato il diritto di guerra, fin dall'800, si cominciò nel 1856 con la pace di Parigi che fu quella che concluse la guerra di Crimea in cui tra le altre cose vennero fissate alcune regole sulla guerra marittima; poi siccome la questione che gli Stati hanno sempre avvertito con maggior urgenza è quella della risoluzione pacifica delle controversie, ci si è concentrati moltissimo su questo settore, prima con convenzioni che vietavano armi particolarmente distruttive e poi con le due conferenze generali della pace tenute tutte e due all'Aja nel 1899 e 1907 convocate dalla regina Guglielmina di Olanda su iniziativa dello zar Alessandro III di Russia particolarmente animato da sentimenti pacifisti. Da allora poi ci sono state le convenzioni di Ginevra del 1949 e poi due protocolli allegati del 1977 che fissano le regole del diritto umanitario di guerra. Quindi questo è il primo nucleo della codificazione del diritto internazionale. Poi con l'epoca della Società delle Nazioni, si erano anche create delle commissioni di giuristi incaricate di predisporre progetti di accordi internazionali di codificazione nelle materie allora interessate cioè la cittadinanza; alcuni aspetti del diritto della responsabilità internazionale degli Stati, soprattutto per la violazione delle regole del trattamento degli stranieri; e poi il diritto del mare. I risultati furono però modesti. Invece dopo le Nazioni Unite, per esigenze politiche, la codificazione del diritto internazionale ha assunto un'importanza molto più ampia, già la carta delle Nazioni Unite stabiliva all'articolo 13il principio che tra le cose che l'Assemblea generale deve fare c'è anche questa:" l'Assemblea generale intraprende studi e fa raccomandazioni allo scopo di promuovere la cooperazione internazionale nel campo politico e incoraggiare lo sviluppo progressivo del diritto internazionale e la sua codificazione". Quindi l'articolo 13 già mette sullo stesso piano questi due obiettivi diversi e cioè codificazione e sviluppo progressivo; codificare significa mettere per iscritto nell'accordo internazionale le norme di diritto consuetudinario già esistenti, sviluppo progressivo significa che nell'accordo ci si possono anche introdurre delle norme che non c'erano prima. Questo pone un problema interpretativo poiché le norme consuetudinarie già esistenti valgono per tutti, anche per quelli che non hanno ratificato l'accordo, e ancora prima che l'accordo entri in vigore perché espone lo stato del diritto quale esso è, mentre la parte innovativa non ha lo stesso regime giuridico, ma quello di normale trattato e quindi vale da quando il trattato è in vigore e per gli Stati che lo hanno ratificato. L'Assemblea generale che ha il potere di creare organi sussidiari per l'esercizio delle sue funzioni già nel 1947 creò un organo sussidiario specializzato per assistere l'Assemblea in questa funzione di promuovere la codificazione: commissione del diritto internazionale delle Nazioni Unite, composta di 34 giuristi eletti dall'Assemblea generale scelti normalmente tra giuristi di notoria competenza nel campo del diritto internazionale. La commissione del diritto internazionale, ha preparato vari progetti di convenzioni di diritto internazionale, e funziona come funzionano questo tipo di organi cioè si decide quale argomento mettere all'ordine del giorno, si nomina un relatore che fa una ricerca,uno studio accurato che viene poi pubblicato e si procede ad una serie di proposte formulate in articoli. Questo rapporto è discusso dal plenum della commissione e vengono inviati dei questionari agli Stati per conoscerne il punto di vista; dopo la risposta degli Stati, si discute in Assemblea generale e si arriva a un progetto di trattato che la commissione licenzia e consegna all'Assemblea generale che lo discute nella sua sesta commissione(commissione affari giuridici). Sono possibili vari esiti, il progetto può diventare un trattato internazionale,una convenzione di codificazione che l'Assemblea generale adotta e viene aperto alla firma e alla ratifica degli Stati. Questo vale se si tratta di una materia di carattere particolarmente tecnico oppure non vi sono grandi contrasti politici, perché più o meno tutti quanti sono d'accordo, se invece si tratta di una materia in cui c'è da fare scelte politiche non basta l'adozione della Assemblea generale, ma in questo caso si convoca una conferenza ad hoc, nella quale i delegati governativi discutono sulla base del progetto della commissione, è un negoziato vero e proprio. Poi c'è l'ipotesi che invece si rinunci all'accordo e ci si accontenti del lavoro come semplice opera scientifica di raccolta e sistemazione di dati e analisi della prassi e quindi ci si limita alle proposte della commissione. Poi c'è una quarta possibilità, in materia fortemente politica in cui non si tratta tanto di codificare quanto di elaborare un nuovo diritto,gli Stati rinunciano al lavoro tecnico della commissione e si dedicano solo al lavoro politico, quindi si convoca una conferenza internazionale dove i delegati governativi creano il diritto internazionale in una certa materia. Questo recentemente è accaduto per quanto riguarda il diritto del mare elaborato dalla convenzione di Montego Bay in Giamaica nel 1982,(i negoziati sono iniziati nel 1974) la quale poi ha dato luogo ad attriti politici perché alcune delle regole,

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non erano accettate da alcuni dei Paesi industrializzati soprattutto dagli Stati Uniti, e allora si è rinegoziato un secondo accordo definito:“ accordo applicativo della parte undicesima della convenzione di Montego Bay" nel 1994 che ha consentito poi che si arrivasse a quel numero minimo di ratifiche necessarie per la sua entrata in vigore che erano 35.Per quanto riguarda il lavoro delle Nazioni Unite e della commissione del diritto internazionale dal dopoguerra ci sono state sempre in materia di diritto del mare un gruppo di quattro convenzioni, convenzioni di Ginevra nel 1958, oggi completamente superate dalla convenzione di Montego Bay ,che riguardavano:

Il mare territoriale, La pesca, La cosiddetta piattaforma continentale, L’alto mare.

Altra convenzione che ha avuto un successo importante, perché ratificate dalla grande maggioranza degli Stati del mondo, è la convenzione di Vienna del 1961 sulle relazioni e sulle immunità diplomatiche. Poi nel 1963 s'è fatta la stessa operazione per le relazioni e le immunità consolari sempre a Vienna e poi l'importantissima convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati che riguardava solo i trattati tra gli Stati, vi si è aggiunta poi la convenzione del 1986 che se ne discosta solo per alcuni dettagli relativa ai trattati stipulati dalle organizzazioni internazionali o tra di loro o con gli Stati. Sempre sul diritto dei trattati e ancora a Vienna, sono state fatte altre due convenzioni una nel 1978 e una nel 1983 che riguardano una materia estremamente delicata sia perché la prassi è intricatissima, sia perché la materia è di per se difficile, e cioè quella della successione degli Stati nei trattati internazionali(quando cambia il governo di un territorio, oppure quando gli Stati si formano,oppure quando c'è uno smembramento di Stati; e quindi cosa succede per i trattati stipulati dal predecessore). La convenzione del 1978 è entrata in vigore pochi anni fa e ha avuto un numero minimo di ratifiche,17 su quasi i 200 membri, perché in quella convenzione i Paesi in via di sviluppo hanno preteso delle regole che li favorivano rispetto agli altri.Poi c’è stata la grande convenzione di Montego Bay negoziata direttamente dai governi senza l’intermediazione del lavoro tecnico scientifico fatto dai giuristi della commissione del diritto internazionale.Ce ne sono state poi diverse altre di minore importanza una delle ultime del 2004 sulle immunità degli Stati dalla giurisdizione, convenzione di New York aperta alla firma ma non ancora entrata in vigore.

PROBLEMI DEGLI ACCORDI DI CODIFICAZIONE

Questi problemi attengono alla questione di sapere fino a che punto l'accordo codifica il diritto consuetudinario e a partire da quale punto invece crea nuovo diritto e quindi come tale, essendo innovativo non è opponibile agli Stati che non partecipano all'accordo. In secondo luogo si pone il problema tra una norma scritta che quindi cristallizza il contenuto di una regola e il diritto consuetudinario che invece evolve nel tempo perché per definizione il diritto consuetudinario non è statico dunque metterlo per iscritto può porre un problema di rapporto con quello che succede dopo.Per il primo problema, l'accordo internazionale produce effetti soltanto tra le parti, quindi questo significa che l'accordo di codificazione ratificato da certi Stati è sicuro che vale per quelli, però per quanto riguarda i rapporti con terzi, occorre fare un'indagine giuridica per cercare di stabilire se l'accordo rispecchia il diritto consuetudinario e quindi vale anche per i terzi. La questione può complicarsi ulteriormente nel caso in cui, in un determinato rapporto giuridico, sono parti simultaneamente Stati vincolati dagli accordi e Stati che non sono vincolati perché non hanno ratificato. Sotto quest'aspetto si può dire che l'accordo di codificazione benché abbia come scopo principale quello di rendere certo e incontestabile lo stato del diritto consuetudinario, in realtà non risparmia all'interprete l'accertamento del contenuto della norma consuetudinaria(a meno che non si tratti di una controversia tra Stati che abbiano tutti ratificato), quindi quello che l'interprete può fare è assumere la norma scritta come punto di partenza dell'indagine. Una situazione classica di questo genere riguarda il caso deciso dalla Corte internazionale di giustizia nel 1969 a proposito della delimitazione della piattaforma continentale nel Mare del Nord. La piattaforma continentale è quella

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specie di zoccolo sul quale le terre emerse poggiano e che si degrada lentamente fino a quando c'è il brusco salto e quindi le terre si inabissano; questa non ha né la stessa estensione né,la stessa consistenza in tutti i Paesi. A partire da una certa epoca, subito dopo la guerra, certi Paesi hanno cominciato a rivendicare delle pretese economiche sulla piattaforma continentale, mentre la regola generale classica del diritto internazionale era che dove finisce il mare territoriale degli Stati è mare libero; a poco a poco che lo sviluppo della tecnica consentiva uno sfruttamento più intenso delle ricchezze del mare, si è cominciato a porre il problema delle ricchezze del mare oltre il limite delle acque territoriali per esempio per la possibilità di sfruttare giacimenti di idrocarburi(il Mare del Nord è ricchissima di petrolio) oppure la possibilità di pescare in maniera più intensa, o sfruttare le risorse del suolo e del sottosuolo marino. Quindi gli Stati hanno iniziato a vantare pretese sulla piattaforma continentale, ma la piattaforma continentale era una scusa, infatti sostenendo che si trattava di un prolungamento della terra emersa, si trovava un argomento giuridico per sostenere che lo Stato costiero aveva il diritto, non alla sovranità come sul mare territoriale, ma allo sfruttamento esclusivo di quelle risorse economiche. Lo hanno sostenuto soprattutto i Paesi dell'America Latina e i Paesi più poveri in conflitto di interessi con i Paesi più industrializzati che hanno capitali e flotte molto più organizzate. Comunque la convenzione di Ginevra del 1958 già riteneva esistente la piattaforma continentale, quindi si è affermata molto presto. I criteri di ripartizione della piattaforma continentale sono complessi, non sono chiari sia quando si tratta di ripartirla tra Stati che si fronteggiano sia quando si deve ripartire tra Stati adiacenti; la convenzione del 1958 aveva stabilito una regola all'articolo 6 che sembrava la più equa,e cioè quella della equidistanza:si deve tracciare una linea retta i cui punti, sia nella delimitazione tra Stati che si fronteggiano sia che siano adiacenti,devono essere equidistanti ciascuno dalla costa dell'altro. Questa regola incontra però una serie di eccezioni, come nel caso di uno Stato con delle isole o di un andamento particolare della costa che giustifica delle deviazioni. Nel Mare del Nord c'era una controversia tra la Germania da una parte e dall'altra l'Olanda e la Danimarca. Le coste della Danimarca e dell'Olanda sono sporgenti mentre quelle della Germania che è presa in mezzo sono rientranti. Se si fosse seguito questo criterio dell'articolo 6, man mano che si va verso il largo si allarga la parte di pertinenza a ovest olandese e a est danese e si restringe quella tedesca, quindi la Germania che è un Paese con un'importanza economica non inferiore ma notevolmente superiore agli altri due praticamente di quella zona non prende nulla. La Germania dunque non era d'accordo sulla convenzione e non l'aveva ratificata e non era d'accordo sul fatto che questo criterio fosse imposto dal diritto internazionale consuetudinario al quale doveva sottostare in quanto norma consuetudinaria anche se non aveva ratificato. La questione fu portata davanti alla Corte internazionale di giustizia che stabilì che effettivamente la Germania aveva ragione, e che la convenzione di Ginevra sotto questo aspetto non aveva codificato lo stato del diritto consuetudinario esistente, ma creava una norma accettata dagli Stati che avevano ratificato la convenzione e quindi non opponibile ai terzi. Questa sentenza dimostra come l'accordo di codificazione se non si dimostra che rispecchia il diritto consuetudinario, non è opponibile ai terzi. Dato che non è possibile trovare un criterio astratto generale, anche la convenzione di Montego Bay ha dovuto eliminare questa regola della equidistanza che era stata accettata nel 58, poiché si è dimostrato che in molti casi non è giusta, e quindi è finita che l'articolo 83 contiene poco più che un "pactum de contraendo". Articolo 83 convenzione di Montego Bay:" la delimitazione della piattaforma continentale tra Stati a coste opposte oppure adiacenti viene effettuata per accordo sulla base del diritto internazionale come previsto dall'articolo 38 dello statuto della Corte internazionale di giustizia allo scopo di raggiungere una equa soluzione. Se non si raggiunge un accordo entro un ragionevole periodo di tempo gli Stati interessati ricorrono alle procedure previste dalla parte quindicesima" cioè le procedure di soluzione delle controversie; dunque praticamente non è stato codificato nulla. Unico contenuto precettivo della norma è che questo accordo dovrebbe avere lo scopo di raggiungere una equa soluzione, però se è equa o non equa lo decidono gli Stati. Del resto questo limite riconosciuto anche dalla convenzione di Vienna per quanto riguarda il diritto dei trattati all'articolo 4: "senza pregiudizio per l'applicazione di qualsiasi regola enunciata nella presente convenzione alla quale i trattati sarebbero soggetti in base al diritto internazionale e indipendentemente dalla convenzione, la convenzione si applica unicamente ai trattati conclusi dagli Stati dopo la sua entrata in vigore nei confronti dei medesimi".

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Il secondo problema è quello dell'evoluzione del diritto, di cosa succede quando l'accordo di codificazione cristallizza una certa regola che risponde allo stato del diritto consuetudinario ma poi lo stato consuetudinario evolve; anche qui sono possibili diverse interpretazioni. Ragionando in maniera formalistica si potrebbe pensare che siccome gli Stati sono vincolati da un accordo, se poi c'è una norma consuetudinaria diversa che cambia lo stato del diritto rispetto a quelle norme finché l'accordo non è esplicitamente abrogato gli Stati continuano ad essere vincolati da quella norma che è diritto speciale applicabile inter partes. Questo modo di ragionare però è scorretto, infatti la norma generale si forma, in quanto generale, con il concorso di tutti gli Stati quindi anche di quelli che hanno fatto l'accordo di codificazione dunque nella misura in cui è dimostrabile che questi Stati hanno partecipato alla formazione della nuova consuetudine implicitamente è abrogato l'accordo del quale erano parti. Si tratta di vedere se si è formata una nuova consuetudine, e analizzare lo stato della prassi degli Stati che ha portato a questa consuetudine, per vedere se hanno partecipato anche quelli vincolati dall'accordo,e in questo caso, non c'è bisogno della rinuncia dell'accordo oppure della sua abrogazione perché implicitamente si intende superato. Questo fatto è successo proprio con il diritto del mare le convenzioni di Ginevra del 1958 non sono mai espressamente abrogate però si cominciò a partire dagli anni 70 a negoziare la nuova convenzione perché c'era una serie di problemi che riguardavano questioni lasciate in sospeso(ad esempio sull'esatta ampiezza del mare territoriale) e c'erano conflitti su due punti fondamentali: il primo era quello della libertà di navigazione, le grandi potenze marittime hanno sempre avuto interesse ad ammettere e fare accettare agli altri Stati la libertà di navigazione come più ampio possibile mentre quelli più deboli volevano cercare di limitarla; il secondo è quello sulla possibilità dello sfruttamento economico, la teoria della piattaforma continentale è nata per cercare di estendere da parte degli Stati più poveri che cercavano di conservare le loro risorse naturali e impedire che venissero estensivamente sfruttate da Stati che avevano flotte marine più potenti. Poi però è cominciata nascere, subito dopo che venne accettato il principio della piattaforma continentale, quella che si chiama zona economica esclusiva rivendica dagli Stati, e cioè uno spazio poi fissato nell'estensione di 200 miglia marine a partire dalle linee di base del mare territoriale indipendentemente dalla piattaforma continentale. Gli Stati che avevano una piattaforma continentale di un'estensione maggiore, decisero di tenerla comunque perché ormai era stata acquisita. Quindi oggi la regola è questa e cioè che il mare territoriale è zona di sovranità dello Stato e in questa zona di 200 miglia che è zona economica esclusiva lo Stato ha i diritti allo sfruttamento economico e basta; la zona economica esclusiva lo Stato la deve dichiarare con un suo atto legislativo(l'Italia non ce l'ha perché non è stata proclamata e non è possibile perché 200 miglia non ci sono da nessuna parte).il diritto del mare è stato riformulato a poco a poco dagli Stati non soltanto per gli aspetti già detti, ma ad esempio si è riusciti a raggiungere un accordo in sede di convenzione di Montego Bay,sulla estensione del mare territoriale e anche sulla zona economica esclusiva infatti erano tutti istituti nuovi e allora mentre l'accordo era negoziato, dato che ormai c'era una larga accettazione, alcuni Paesi hanno cominciato con leggi nazionali a stabilire che il proprio mare territoriale si estendeva per 12 miglia, mentre una volta era considerato meno esteso e incerto oppure hanno cominciato a fare delle leggi in cui stabilivano la loro zona economica esclusiva, o fare accordi di delimitazione tra di loro. Il risultato quindi è stato che qui abbiamo il caso di un accordo di codificazione che prima ancora di essere formalizzato rappresenta una manifestazione, coagula il consenso degli Stati in maniera tale che a poco a poco si crea parallelamente ai negoziati dell'accordo la prassi, e quindi il diritto del mare si è creato in via consuetudinaria superando le convenzioni del ‘58 senza che venissero formalmente abrogate e anche senza il bisogno di aspettare che l'accordo internazionale venisse formalizzato. Poi la convenzione dei Montego Bay entra in vigore nel 1994 e quindi codifica delle norme consuetudinarie che si sono sviluppate durante e per effetto dei lavori preparatori. Tutto questo dunque chiarisce qual è il rapporto tra la cristallizzazione della norma scritta e lo sviluppo del diritto consuetudinario e poi fa vedere un terzo aspetto,un altro problema, è cioè che in fondo l'accordo di codificazione può produrre il suo effetto senza nemmeno il bisogno di essere formalizzato come tale, quindi ci si può anche domandare se non sarebbe meglio almeno in certi casi rinunciare all'impegno formale dell'accordo del trattato e limitarsi semplicemente ad un testo che non è vincolante per gli Stati. Comunque, si può dire oggi che l'epoca delle grandi codificazioni, che ha caratterizzato la

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seconda metà del secolo scorso, probabilmente volge verso la fine perché sono state le condizioni storiche (come la decolonizzazione) in cui la comunità internazionale si è venuta a trovare, che ha fatto crescere questo bisogno di codificazione; si è visto inoltre recentemente un altro svantaggio della codificazione e cioè che finisce per rischiare di tradursi in una ecatombe vera e propria di norme esistenti perché con questo procedimento descritto,con gli Stati che fanno le loro osservazioni, la commissione internazionale è sempre preoccupata di fare delle norme che poi gli Stati non accetteranno e si finisce per codificare soltanto ciò che non ha bisogno di essere codificato perché scontato, mentre a tutte le questioni incerte si rinuncia.

12 03 2010

Problema del valore delle cosiddette dichiarazioni di principio dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha secondo la Carta, la competenza di adottare atti con valore di mera esortazione cioè raccomandazioni; l'Assemblea ha dunque una competenza generale, per tutte le materie che rientrano negli scopi dell'organizzazione però, limitata agli atti che hanno valore esortativo. Questo risulta con chiarezza da una norma di base in materia,l’art 10 della Carta delle Nazioni Unite che dice: "L'Assemblea Generale può discutere qualsiasi questione o argomento che rientri nei fini del presente statuto" e siccome i fini sono vastissimi perché riguardano la pace; la giustizia internazionale; la sicurezza e la cooperazione tra gli Stati;e la promozione dei diritti dell'uomo, ha praticamente una competenza pressoché illimitata. "E può fare raccomandazioni ai membri delle Nazioni Unite o al Consiglio di Sicurezza o agli uni e all' altro su qualsiasi di tali questioni od argomenti." In realtà l'Assemblea Generale può fare raccomandazioni agli Stati sia su questioni di carattere particolare, quindi su una questione concreta, sia occuparsi di questioni di carattere generale con riferimento ai grandi temi delle relazioni internazionali tra gli Stati (quindi in definitiva a questioni che riguardano il diritto internazionale e che possono quindi avere rilievo sia allo stato del diritto internazionale quale esso è, sia all'idea di promuovere sviluppi considerati politicamente opportuni e necessari dagli Stati delle norme che regolano i rapporti tra gli Stati). Per rendersi conto che questa competenza si limita a raccomandazioni di mero carattere esortativo, basta osservare la differenza con l'articolo 25 della Carta che riguarda invece, le decisioni adottate dal Consiglio di Sicurezza : "I Membri delle Nazioni Unite convengono di accettare e di eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza in conformità alle disposizioni del presente Statuto" quindi le decisioni del Consiglio di Sicurezza sono obbligatorie e le risoluzioni dell'Assemblea Generale no. l'Assemblea Generale quindi rappresenta in realtà un foro, il foro più importante che esiste a livello mondiale, di discussione pubblica dei grandi temi che riguardano le relazioni internazionali tra gli Stati,ed ha cominciato ad essere utilizzato soprattutto dai Paesi in via di sviluppo man mano che assumevano la maggioranza in seno all'Assemblea Generale per cercare di promuovere sviluppi del diritto internazionale o modificazioni, revisione di norme del diritto consuetudinario cercando di spingerlo nella direzione che consideravano più equa nei loro confronti e favorevole ai loro interessi; hanno in sostanza anche cercato di far passare in questo modo l'idea della obbligatorietà o semi obbligatorietà delle risoluzioni dell'Assemblea Generale. Questo tipo di risoluzioni prendono il nome di dichiarazione di principi, perché sono dichiarazioni molto generali su questioni importanti della vita di relazione internazionale, ad esempio una risoluzione di questo genere è stata adottata nel 1948 prima che i Paesi in via di sviluppo acquistassero la maggioranza ed è la dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dell'uomo, poi presa come punto di partenza per tutte le convenzioni di diritto internazionale in materia; quella europea del 1950 e quelle universali delle Nazioni Unite nel 1966; oppure le dichiarazioni che hanno insistito per condurre anche gli Stati occidentali all'accettazione del principio della decolonizzazione, cioè la famosa dichiarazione del 1960 n 1514 sulla concessione dell'indipendenza ai popoli coloniali. I Paesi in via di sviluppo, fecero passare

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il principio che il mantenimento del regime coloniale era contrario alla Carta delle Nazioni Unite, nonostante la Carta in realtà non prevedesse l'obbligo degli Stati membri di concedere l'indipendenza, ma prevedeva negli articoli 73e seguenti degli obblighi di portata molto minore. Poi si è andato avanti così ad enunciare principi su quasi tutti gli aspetti importanti del diritto internazionale ad esempio sui rapporti economici tra gli Stati, la Carta dei diritti e doveri economici degli Stati del 1974; le varie dichiarazioni sulla sovranità permanente degli Stati sulle loro risorse naturali.Il valore di queste dichiarazioni, è un meramente esortativo, però le dichiarazioni di principio di questo genere, assumono un valore come elemento della prassi creatrice del diritto consuetudinario(ed è questa proprio l'intenzione degli Stati che votano a favore di queste dichiarazioni). Come ha scritto un autore americano Henkin, in un importante libro" Come le nazioni si comportano" ,per la formazione delle norme consuetudinarie bisogna prestare attenzione sia a quello che gli Stati fanno, sia a quello che gli Stati dicono perché sono importanti tutte e due le cose. Ora, i Paesi in via di sviluppo, proprio per la grande maggioranza che hanno in seno all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, quando si tratta del parlare di questa fase di prassi formativa della consuetudine hanno una grande prevalenza cioè, sono quantitativamente prevalenti quindi vincono sempre loro. I Paesi dell'Occidente invece che sono più potenti economicamente, finanziariamente, militarmente e politicamente, è nella parte del fare, che sono più facilmente in grado di orientare l'agire degli Stati nelle direzioni che loro giudicano conformi alla loro visione dei rapporti giuridici internazionali o comunque ai loro interessi. Ecco perché i Paesi in via di sviluppo si sono affidati molto a questo elemento della prassi, fino a cercare di far passare in sostanza una specie di principio generale,un valore quasi legislativo delle dichiarazioni dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite prese a maggioranza ,ciò avrebbe finito per trasformare l'Assemblea Generale in una cosa molto simile a quella che in uno Stato è il Parlamento che fa le leggi a maggioranza. In realtà non è così, perché anche le manifestazioni formali di accettazione formale di un principio necessitano, perché abbia luogo la norma consuetudinaria, di essere supportate da una prassi corrispondente. Sotto certi aspetti il loro valore è simile agli accordi di codificazione, salva la differenza che gli accordi di codificazione rappresentano un impegno formale degli Stati, mentre le risoluzioni dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite no, per esempio la Corte internazionale di giustizia nel 1969, in una sentenza sulla piattaforma continentale del Mare del Nord, fece una distinzione sul valore che possono avere gli accordi di codificazione riguardo al formazione del diritto consuetudinario, che può essere mutatis mutandis trasferita anche alle dichiarazioni di principio della Assemblea Generale. La corte diceva riguardo alla formazione del diritto consuetudinario, che il valore può essere di tre tipi:

Di consacrazione di una norma consuetudinaria che già esiste, Di cristallizzazione della norma, cioè una norma che è in status nascendi, in via di formazione e

allora questo elemento della prassi del riconoscimento da parte degli Stati la aiuta nascere, Promozionale, di impulso al formarsi di una norma che ancora non c'è ma che la maggioranza

degli Stati vorrebbe che si formasse. Questi sono i tre tipi di valore che una risoluzione di questo genere può avere, però poi per giudicare qual è l'effetto che la norma produce bisogna guardare caso per caso e tenere presenti due dati cioè: che non basta che gli Stati dicano una cosa perché serve che la mettano realmente in pratica, e che il diritto internazionale consuetudinario non si può formare a maggioranza, sulla base della maggioranza di un gruppo di Stati che ha interessi omogenei o posizioni politiche omogenee su un certo argomento se c'è un altro gruppo di Stati anche se minoritario che non è d'accordo. C'è da aggiungere, che c'è una tesi sostenuta nella dottrina italiana dal professor Conforti, il quale sostiene che è vero che le risoluzioni dell'Assemblea Generale in genere ( quindi anche queste dichiarazioni di principi) non hanno valore formalmente obbligatorio perché la Carta non glielo attribuisce, però ci sarebbero alcune dichiarazioni, quelle nelle quali gli Stati dichiarano in maniera espressa che il principio che stanno ponendo è un principio imposto dal diritto internazionale o dalla Carta delle Nazioni Unite e che quindi è obbligatorio per gli Stati,che potrebbero avere un valore giuridico obbligatorio perlomeno per quelli che votano a favore. Cioè siccome nel diritto internazionale vige il principio di libertà delle forme, allora se degli Stati votano a favore di una risoluzione la quale dice che un certo comportamento è obbligatorio oppure vietato dal diritto internazionale o dalla Carta delle Nazioni Unite, stanno

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dichiarando che lo considerano tale. Quindi in questi casi la risoluzione pur non essendo obbligatoria in quanto tale, cioè come atto dell'organizzazione,lo sarebbe però almeno per gli Stati che hanno espresso voto favorevole come accordo internazionale fra essi. Quest'idea incontra almeno due obiezioni abbastanza evidenti. La prima, è che perché i rappresentanti degli Stati in seno all'organizzazione internazionale possano obbligare lo Stato con un accordo internazionale, devono avere questa competenza, cioè lo Stato deve averli mandati per stipulare un accordo e devono avere questo potere, ora invece gli Stati,li hanno mandati a discutere nell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite che emette atti non vincolanti dunque non hanno nemmeno la competenza a vincolare il loro Stato. L'esistenza di questo principio è esplicitamente codificata dalla convenzione di Vienna del 1969 all'articolo 7: "Una persona è considerata rappresentante dello Stato per l'adozione o l'autenticazione di un testo di un trattato, per esprimere il consenso dello Stato ad essere obbligato da un trattato: a). Se essa esibisce i dovuti pieni poteri, b).Se risulta dalla pratica degli Stati interessati o da altre circostanze, che essi avevano l'intenzione di considerare quella persona come rappresentante dello Stato a quei fini e di non richiedere la presentazione dei pieni poteri". Il paragrafo 2 aggiunge che :"Se risulta dalla pratica degli Stati interessati o da altre circostanze che essi avevano l'intenzione di considerare quella persona come rappresentante dello Stato a quei fini e di non richiedere la presentazione dei pieni poteri. Capi di Stato, i Capi di governo e i Ministri degli affari esteri, per tutti gli atti relativi alla conclusione di un trattato ". Non hanno bisogno di esibire i pieni poteri perché rappresentano già lo Stato per le loro funzioni. "i capi di missione diplomatica, per l'adozione del testo di un trattato fra lo Stato accreditante e lo Stato accreditatario (quindi per i trattati bilaterali); i rappresentanti degli Stati accreditati a una conferenza internazionale o presso una organizzazione internazionale o uno dei suoi organi, per l'adozione del testo di un trattato in quella conferenza, organizzazione o organo." Quindi devono essere mandati dallo Stato e accreditati perché stanno andando a rappresentare lo Stato per stipulare un trattato, se invece vanno a rappresentare lo Stato per discutere dei problemi generali all'ordine del giorno dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, non avrebbero nemmeno la competenza a vincolare lo Stato. La seconda obiezione, altrettanto consistente,è che non è vero che gli Stati quando votano a favore di una risoluzione intendono obbligarsi sul piano del diritto internazionale, votano a favore proprio perché sanno che la soluzione non è obbligatoria.Altro punto sulle consuetudini è questo, che oggi si può dire che un effetto di questi sviluppi è che il dosaggio rispettivo dell'elemento soggettivo e dell'elemento oggettivo, come elementi che concorrono alla formazione della norma consuetudinaria si è modificato probabilmente a favore dell'elemento soggettivo; diventa sempre più importante l' opinio e sempre meno importante la prassi che resta comunque necessaria per dimostrare l'effettiva della norma. A questa direzione concorrono una serie di fattori,un fattore generico che è l'accelerazione della storia umana, il progresso che oggi passa più velocemente e il fatto che alla diplomazia cioè i rapporti di scambio tra gli Stati che prima erano prevalentemente bilaterali e spesso segreti oggi si è diffusa sempre di più questa forma di diplomazia detta parlamentare dove gli Stati hanno molta più possibilità e frequenza di manifestare le proprie posizioni giuridiche sulle varie questioni che si pongono; poi c'è anche il fatto che in alcuni specifici settori la consuetudine si forma più rapidamente proprio per la natura dei settori, quando c'è un fenomeno nuovo non regolato che esige di essere regolato rapidamente spesso le regole si formano così velocemente che qualche anno fa uscì un articolo diventato famoso di un noto professore cinese Bing Cheng che parlava della consuetudine moderna come instant costum,questo era un modo di parafrasare la consuetudine istantanea cioè la consuetudine senza prassi, e l'esempio principale era quello della formazione dei principi relativi allo sfruttamento da parte degli Stati degli spazi cosmici, quando cioè a partire dagli anni 60 del secolo scorso lo stato della tecnica consentì agli Stati di mettere in orbita le prime astronavi, satelliti artificiali ecc..ci si pose il problema dei principi giuridici applicabili in questa materia che non coincidono con quelli della navigazione aerea, infatti l’idea era di mantenere il principio che nel loro territorio e anche sul mare territoriale gli aerei degli Stati stranieri non potevano entrare senza il loro permesso, quindi l'idea che la sovranità territoriale dello Stato riguarda anche la colonna aerea; però quando poi si cominciò con la navigazione cosmica erano posti altri problemi sia per il carattere orbitale delle rotte

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sia perché erano ad un'altezza che la sovranità dello Stato non era gran che disturbata. Questa idea che la sovranità dello Stato si oppone alla navigazione aerea, al sorvolo degli aeromobili ma non al sorvolo ad altezze siderali degli oggetti spaziali è stata accettata molto rapidamente e proprio negli anni 60 si è fatta una risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite che accettò questo principio,e quasi subito i pochissimi Stati realmente interessati, cioè quei tre o quattro che erano in grado di mettere in orbita oggetti spaziali, e si è formata subito con il solo consenso la regola consuetudinaria. La regola poi venne codificata subito perché gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica fecero un trattato aperto agli altri Stati, poi ratificato da moltissimi tra cui anche l'Italia ed è il trattato di Londra Washington e Mosca del 1967 sull'esplorazione e sfruttamento degli spazi atmosferici inclusa la Luna e gli altri spazi celesti.Questa è quella che viene chiamata la consuetudine istantanea, comunque il dosaggio tra elemento oggettivo e soggettivo può essere diverso ma ci vogliono sempre tutti e due e quindi la consuetudine deve comunque essere supportata da un minimo di prassi, la pratica effettiva degli Stati che consente di stabilire la vigenza effettiva della norma. Un autore francese ha parlato in maniera più modesta che rispetto a quella di instant costum è più facilmente accettabile,distinguendo tra"coutume sage" e"coutume suavage"(?) cioè consuetudine saggia (come quelle di una volta che si facevano poco a poco) e consuetudine selvaggio che si crea rapidissimamente.

LE CONSUETUDINI SPECIALIEsistono norme giuridiche generali speciali e questo vale anche per la consuetudine, c'è un diritto consuetudinario generale che vale per tutti gli Stati, ma possono però esistere delle consuetudini particolari che valgono soltanto all'interno di un gruppo ristretto di Stati. Questa questione pone anche un problema sull'interpretazione del nostro articolo 10 della Costituzione, quando dice che “l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute” perché presa alla lettera potrebbe far sorgere il dubbio, se il regime che stabilisce l'articolo 10 vale solo per le consuetudini generali e cioè quelle che hanno una sfera di efficacia pressoché universale, o anche per le eventuali consuetudini particolari di diritto speciale accettate dall'Italia; di solito si propende per la seconda interpretazione, non ci sarebbe motivo di distinguere sulla base della ratio della norma tra l'uno e l'altro tipo di consuetudine.Le consuetudini speciali sono di due tipi: geografiche, perché valgono per un'area geografica limitata, per esempio esistono delle consuetudini che si sono stabilite tra gli Stati dell'America latina; e quelle che si formano tra gli Stati membri di un'organizzazione internazionale, è questo il caso più frequente di consuetudine particolare, ed è particolare perché vale solo per chi è membro dell'organizzazione, infatti molte volte all'interno di un'organizzazione internazionale possono crearsi delle prassi che modificano le norme che regolano la vita dell'organizzazione. Questo può dipendere dal fatto che spesso i trattati istitutivi delle organizzazioni sono incompleti, cioè non contengono delle ipotesi; oppure la regolamentazione è incerta; oppure si avverte la necessità di adattare il funzionamento dell'organizzazione ad esigenze pratiche. Normalmente il trattato prevede dei procedimenti formali per la sua modifica e se non ne prevede, allora unica possibilità è la modifica all'unanimità che è difficile da ottenere soprattutto quando si tratta di un'organizzazione internazionale della quale fanno parte molti Stati. Per questo motivo,spesso i trattati, prevedono dei procedimenti semplificati, come per la Carta delle Nazioni Unite che in materia contiene due regole, gli articoli 108e 109 ,che prevedono due procedimenti diversi.L’art 108 prevede la procedura di emendamento, l’art 109 le revisioni; c'è una differenza solo quantitativa poiché l'emendamento è una questione specifica (ad esempio aumentare da 27 a 54 il numero dei membri del consiglio economico e sociale), mentre la revisione è una cosa che riguarda elementi più importanti; però alla fine la procedura è molto simile. Articolo 108: "gli emendamenti al presente statuto entreranno in vigore per tutti i membri delle Nazioni Unite quando saranno stati adottati alla maggioranza dei due terzi dei membri dell'Assemblea Generale e ratificati in conformità alle rispettive norme costituzionali da due terzi dei membri delle Nazioni Unite ivi compresi tutti i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza", la revisione prevista dall'articolo 109 prevede uno stesso procedimento con la sola differenza che si deve convocare una conferenza ad hoc al posto dell'Assemblea Generale. Una modifica fatta in via consuetudinaria quindi,attraverso la prassi, vuol

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presentare dei vantaggi appunto perché non c'è bisogno di questa procedura così complicata e qualche caso c'è stato; il caso più famoso è quello della regola di voto dei membri permanenti del consiglio di sicurezza. L'articolo 27 dice: "ogni membro del consiglio di sicurezza dispone di un voto e le decisioni del Consiglio di Sicurezza su questioni di procedura sono presa con il voto favorevole di nove membri" il terzo paragrafo però specifica che:"Le decisioni del Consiglio di Sicurezza su ogni altra questione sono prese con un voto favorevole di nove Membri, nel quale siano compresi i voti dei Membri permanenti; tuttavia nelle decisioni previste dal Capitolo VI e dal paragrafo 3 dell’articolo 52, un Membro che sia parte di una controversia deve astenersi dal voto".Il fatto che ci voglia l'unanimità, significa che se un membro permanente decide di astenersi non c'è l'unanimità quindi l'adozione di una decisione può essere bloccata non soltanto votando contro ma anche con l'astensione; potrebbe anche bloccarla non presentandosi o uscendo nel momento in cui si vota. Nella prassi del Consiglio di Sicurezza, soprattutto negli anni della guerra fredda in cui tra il rappresentante degli Stati Uniti e quello dell'Unione Sovietica vi erano continue scintille, sono successe entrambe le cose cioè sia l'assenza, ci fu un periodo in cui l'Unione Sovietica per protestare per il fatto che la Cina di Mautze Zedonghe non era ammessa al Consiglio delle Nazioni Unite, per un periodo lo disertò e non si presentò , se non che a un certo punto gli Stati Uniti approfittando dell'assenza fecero passare una delibera che l'Unione Sovietica non avrebbe gradito e da quel giorno il rappresentante dell'Unione Sovietica capì che non gli conveniva essere assente. Nella prassi degli anni, ad un certo momento, per motivi politici si è cominciata ad affermare l'idea che si poteva distinguere politicamente tra l'ipotesi in cui un membro permanente non voleva bloccare una decisione, ma siccome il suo Stato non aderiva al 100% si asteneva(si astenevano con l'idea di farla passare) in realtà però era una prassi contraria al dettato dell'articolo 27; però questa prassi siccome consentiva di padroneggiare politicamente le situazioni politicamente difficili a poco a poco si è affermata e poiché da una certa epoca nessuno l’ha più contestata, si è cominciato a dire che si è affermata come norma consuetudinaria. Questo è l'ipotesi della consuetudine particolare che vale solo tra gli Stati membri dell'organizzazione internazionale e che modifica il trattato cioè modifica una norma scritta contenuta nell'accordo.L'esistenza di questa regola, è stata testimoniata anche dalla Corte internazionale di giustizia che si trovò ad affrontare il problema in una parere del 1971, che gli era stato chiesto dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite, e che riguardava le conseguenze giuridiche per gli Stati della presenza illegale secondo le Nazioni Unite, del Sudafrica in Namibia. Quindi le Nazioni Unite, ritenevano che il Sudafrica doveva concedere l'autodeterminazione al popolo namibiano, e questa controversia durò 20 o 30 anni e ad un certo punto, le Nazioni Unite iniziarono ad applicare sanzioni e allora c'era questa pressione politica di tutta la comunità internazionale sul Sudafrica che cedette negli anni 90 e quindi consentì la formazione della Namibia come Stato sovrano e alcune risoluzioni del Consiglio di Sicurezza erano state prese con l'astensione degli Stati Uniti che avevano una politica in favore del Sudafrica. Il Sudafrica contestò davanti alla Corte internazionale di giustizia la validità di queste risoluzioni perché non c'era l'unanimità dei membri permanenti, ma la Corte, riconobbe che ormai vi era una prassi che dimostrava sufficientemente che questa regola era stata accettata come diritto consuetudinario dagli Stati dell'organizzazione. Quindi questa interpretazione ha avuto il suffragio della corte.Il problema delle prassi modificative degli atti delle organizzazioni internazionali, però è molto complesso, perché se l'accordo dovesse essere modificato con un altro accordo vorrebbe l'unanimità, mentre la modifica consuetudinaria richiede una larga accettazione ma non l'unanimità e quindi in qualche modo può apparire come una maniera di aggirare la condizione del consenso di tutti; altro problema possibile è quello di aggirare competenze dal punto di vista del diritto costituzionale degli Stati, però il diritto internazionale ammette anche questo quindi l'unica cosa che può succedere,è che il Parlamento nazionale con una mozione richiami il proprio governo e le esorti ad opporsi a tale prassi.

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18 03 2010

PRINCIPI GENERALI DI DIRITTO:

Un’altra fonte di diritto non scritto sono i PRINCIPI GENERALI DI DIRITTO riconosciuti dalle Nazioni civili,previsti nell’art.38 (paragrafo 1,lettera c) dello statuto della Corte Internazionale di Giustizia. L’art.38 prevede che la Corte,la cui funzione è di decidere in base al diritto internazionale le controversie che le sono sottoposte,deve applicare le convenzioni internazionali (lettera a),la consuetudine internazionale (lettera b) e i Principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili (lettera c).

I Principi Generali di Diritto sono una fonte problematica sulla quale moltissime letterature giuridiche sono state prodotte,in quanto vi sono idee diversissime al riguardo. Anzitutto bisogna chiarire se questi Principi generali di diritto sono principi originariamente presenti nel diritto internazionale,quindi ricavati per astrazione delle norme esistenti nel diritto internazionale,cioè la consuetudine,gli accordi e i trattati; oppure se si tratta di principi desunti dagli ordinamenti giuridici nazionali interni degli Stati. La seconda ipotesi è quella accettata.

Ci sono autori che addirittura ne negano l’esistenza,mentre altri affermano che questa fonte,essendo prevista solo dallo statuto della Corte Internazionale di Giustizia,può essere applicata solo dalla Corte (e non da altri giudici), in quanto è una fonte istituita in maniera speciale per risolvere le controversie sottoposte alla sola Corte Internazionale di Giustizia. Altri ritengono che nel diritto internazionale ci sono dei principi costituzionali di ordine superiore (ai quali si riferisce la lettera c dell’art.38), quindi nella gerarchia delle fonti tali principi sarebbero superiori alla consuetudine.

All’impegno sullo studio di tale problema,non fa riscontro una corrispondente rilevanza pratica del problema; perché in effetti il ruolo dei Principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili è piuttosto marginale sia nella giurisprudenza della Corte Internazionale di Giustizia,sia nella giurisprudenza internazionale in genere. Mai nessuna controversia è stata decisa unicamente sulla base di questi principi,ossia senza utilizzare in via principale le norme consuetudinarie o i trattati stipulati tra le parti contraenti della controversia.

La maniera migliore per orientarsi in questo groviglio di teorie,di supposizioni e di ricostruzioni diverse,consiste nel ricostruire dal punto di vista storico la nascita di questa formula. Perché nell’art.38 dello statuto della Corte ,oltre alle fonti di diritto internazionale più comuni ed importanti (ossia la consuetudine e l’accordo),è indicata la possibilità della Corte di decidere secondo i Principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili.

L’origine storica di questa regola si ha nel 1920,quando il Consiglio delle Nazioni Unite decise di istituire una Commissione Internazionale di giuristi con il compito di redigere ed elaborare lo statuto

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di quello che avrebbe dovuto essere un futuro tribunale internazionale collegato alla Società delle Nazioni,al quale tutti gli Stati (in quell’epoca di pacifismo successiva alla prima guerra mondiale) avevano potuto e dovuto rivolgersi per risolvere le loro controversie. La Commissione Internazionale di giuristi (composta da 10 persone,tra cui l’italiano Adriano Ricci Busatti) si pose il problema di sapere come la Corte avrebbe dovuto risolvere una controversia tra Stati che le fosse stata deferita dagli Stati,se si fosse trovata in una situazione in cui non c’era nessun trattato applicabile (perché gli Stati non avevano tra di loro stipulato accordi che regolassero la questione sottoposta alla Corte) e non c’era neanche una norma consuetudinaria di cui era possibile dimostrare l’esistenza. Si trattava perciò del Problema delle lacune,ossia del problema posto dall’assenza di una norma quando si tratta di risolvere una controversia dinanzi al giudice. Ci si chiede perciò quale comportamento debba adottare il giudice. I vari ordinamenti danno soluzioni diverse. Ad esempio il nostro diritto (che è strettamente vincolato all’idea della soggezione del giudice alla legge) indica delle soluzioni possibili nell’art.12 delle Disposizioni Preliminari al Codice Civile,ossia il giudice può ricorrere all’analogia o altrimenti ai principi generali dell’ordinamento giuridico. Ci sono altri sistemi che attribuiscono al giudice un ruolo più creativo; per esempio la soluzione adottata dal C.C. svizzero del 1907,il quale prevede in assenza di norme scritte applicabili e di norme consuetudinarie il giudice deve comportarsi come se fosse lui stesso il legislatore,quindi deve creare lui stesso la norma da applicare. Questa soluzione sarebbe definita da un giurista di diritto positivo come “Soluzione secondo equità”,poiché vi è differenza tra il giudizio secondo diritto (secundum ius) in cui il giudice applica una norma esistente e il giudizio secondo equità in cui il giudice crea la norma da applicare. Il giudizio secondo equità è perciò definito anche “giustizia del caso singolo” in quanto il giudice crea una regola del caso singolo per non lasciare la controversia irrisolta.

Nel 1920 nella Commissione Internazionale di giuristi,che doveva elaborare lo statuto della Corte Permanente,il presidente (un giurista belga,il barone Descands,che era un giusnaturalista) propose di inserire (essendo prevista l’esigenza di evitare il non liquet) una formula diversa da quella prevista nella lettera c dell’art.38. Tale formula prevedeva nella lettera c i Principi generali di diritto riconosciuti dalla coscienza giuridica della Nazioni civili. L’idea della coscienza giuridica aveva un carattere giusnaturalistico e prevedeva in mancanza di norma positiva,di consuetudine positivamente vigente o di accordo,il subentro della coscienza giuridica dell’uomo nel quale sono radicati i principi della giustizia e del diritto. Questa formula trovò immediatamente delle opposizioni; uno degli oppositori fu l’italiano Ricci Busatti (strettamente legato al positivismo),secondo il quale non sorgeva il problema del non liquet perché nel diritto internazionale,come in quello interno,deve vigere il principio secondo cui c’è la norma di chiusura che colma le lacune. Secondo i positivisti è la volontà del legislatore che conta,mentre il compito dell’interprete è secondario,in quanto deve limitarsi ad applicare la volontà positivamente manifestata dallo Stato. Il positivista nega perciò l’esistenza delle lacune,in quanto esiste in tutti gli ordinamenti la norma di chiusura implicita secondo la quale tutto ciò che non è vietato è permesso. Se cioè il legislatore o lo Stato o la volontà degli Stati nel diritto internazionale non considerati nel loro insieme non ha indicato che gli Stati hanno il dovere di tenere un certo comportamento o di astenersi dal fare qualcosa,siccome sono sovrani e possono fare ciò che vogliono,la lacuna non esiste.

Se non è positivamente dimostrabile l’esistenza di un limite di un obbligo o di un divieto,non c’è nessuna norma.

Riguardo alla formula,si aveva anche una posizione intermedia,ispirata da un positivismo meno spinto,basato su considerazioni pratiche del membro americano (Root) e di quello inglese (Phillimore) della Commissione Internazionale dei giuristi. Questi due membri,poiché appartenevano alle due potenze mondiali più importanti dell’epoca (che influenzavano giuridicamente e politicamente il diritto internazionale),si preoccupavano dell’idea della creazione di una corte che avrebbe avuto giurisdizione su tutti gli Stati e avrebbe ottenuto il potere di creare essa stessa il diritto internazionale affiancandosi e qualche volta anche sostituendosi agli Stati. Questo

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avrebbe comportato una perdita di influenza e di potere di due grandi potenze come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna,che invece influenzavano moltissimo la formazione e il contenuto del diritto consuetudinario tra gli Stati. Inoltre,quando in epoca di pacifismo negli anni successivi alla prima guerra mondiale si era pensato di fare questa Corte,il programma originario e anche il progetto di statuto che venne elaborato da questa Commissione,prevedeva un ruolo molto più incisivo della Corte con l’idea che tutti gli Stati,per il fatto in sé di aver ratificato lo statuto,sarebbero stati automaticamente sottoposti alla giurisdizione di questa. Qualunque Stato membro della società delle Nazioni avrebbe avuto il diritto (come avviene nei tribunali interni) di rivolgersi unilateralmente alla Corte Permanente di Giustizia Internazionale ogni volta che avesse avuto una controversia con un altro Stato. Questo programma utopistico non funzionò; infatti quando il progetto redatto dai membri della Commissione fu presentato al Consiglio della Società delle Nazioni,la prima modifica che gli Stati fecero,fu quella di inserire quella regola che oggi è nell’art.36 dello statuto della Corte Internazionale di Giustizia,ma che era già identica a quella dello statuto della Corte Permanente,secondo cui è necessaria o una dichiarazione unilaterale di accettazione della giurisdizione facoltativa che uno Stato può rendere o no per essere sottoposto alla giurisdizione della Corte,oppure un compromesso,ossia un accordo arbitrale. Lo statuto originario invece prevedeva questa sottoposizione automatica.

La Corte avrebbe avuto perciò un enorme potere,perciò il membro inglese e quello americano proposero una formula intermedia,cioè alla lettera c dell’art.38 dello statuto erano previsti i principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili. Quindi in assenza nel diritto internazionale di una norma consuetudinaria chiara o di un accordo applicabile,la Corte avrebbe potuto utilizzare questi principi per interpretare la mancanza di una regola chiara come criterio di soluzione della controversia,ma avrebbero dovuto essere principi riconosciuti dagli ordinamenti interni degli Stati,quindi ricavati dall’esame degli ordinamenti interni. Quindi non radicati nella coscienza giuridica,così da attribuire alla Corte una funzione creativa di norme. Root e Phillimore fecero quindi sì che le controversie internazionali non fossero decise in base a dei principi giuridici che il loro ordinamento non riconosceva. Si decise in sostanza,nel caso in cui non vi fosse né accordo né consuetudine,di attribuire alla Corte il potere limitato di decidere la controversia secondo Principi generali di diritto,purché di quei principi la Corte fosse in grado di apprestarne l’esistenza negli ordinamenti interni degli Stati principali del mondo (se non per forza di tutti,almeno della maggioranza o dei principali).

Interpretata in tale maniera,la norma introduce nel diritto internazionale una fonte (sia pure di rango subordinato e di mera integrazione) che non è presente a titolo originario nel diritto internazionale né è una fonte che si ricava dal contenuto del diritto internazionale. Non ha lo stesso valore del contenuto dell’art.12 delle Disposizioni Preliminari,il quale afferma che nell’ordinamento italiano un problema si risolve sulla base dei principi generali desumibili dall’analisi del contenuto dello stesso diritto italiano e non di un altro ordinamento. L’art.38 prevede invece che non si tratta di principi generali ricostruibili per astrazione dell’esame del contenuto delle norme internazionali esistenti,ma di principi desunti dagli ordinamenti interni degli Stati. Per questo motivo questa fonte venne qualificata da alcuni internazionalisti italiani dell’epoca (che si ispiravano ad un positivismo molto rigoroso) come un tipo particolare di equità,in quanto questa fonte essendo istituita dall’accordo,non c’è nel diritto internazionale generale,né c’è una norma consuetudinaria nel diritto internazionale generale che rende applicabile al diritto internazionale i principi desunti dagli ordinamenti interni degli Stati. Quindi questa norma è presente solo nell’art.38 dello statuto della Corte ,il che vuol dire che ha valenza esclusivamente per la Corte e per le controversie sottoposte alla Corte.

Questa norma va qualificata anche come una norma che attribuisce alla Corte il potere di decidere non in base a norme positivamente esistenti nell’ordinamento internazionale,ma in base a una norma che crea essa stessa. La deve creare in maniera vincolata perché deve comunque analizzare il contenuto della maggioranza dei principali ordinamenti giuridici interni per desumerla da questi; però,benché il procedimento che la Corte deve seguire sia vincolato,questa esercita comunque un’attività creativa,in quanto crea una norma inesistente nel diritto internazionale come criterio di decisione. Di

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conseguenza è un giudizio secondo equità,dal momento che non si ha un giudizio secondo norme preesistenti (come nel caso del giudizio secondo diritto). Tuttavia si ha un’equità particolare in quanto l’esercizio di questa è vincolato.

Ciò non vuol dire che l’art.38 prevede,secondo questa spiegazione,due forme di equità diversa:

1. Una è quella che si basa sull’accordo delle parti nel paragrafo 2 (dell’art.38) che dice: Questa disposizione non pregiudica il potere della Corte di decidere una controversia ex equo et bono (secondo equità) qualora le parti siano d’accordo. Quindi le parti possono chiedere alla Corte di decidere secondo equità. In questo caso la Corte può derogare anche agli accordi e alle consuetudini,ossia a tute le fonti del diritto internazionale.

2. In assenza di accordo delle parti c’è una forma di equità particolare. In primis perché ha un ruolo meramente integrativo,cioè è applicabile solo in assenza di consuetudini e di accordi e non costituisce (come nel primo caso) deroga alle consuetudini e agli accordi. In secondo luogo perché è un’equità limitata.

Altri autori hanno sostenuto che in realtà la fonte del potere del giudice di fare ricorso in via integrativa a questi principi generali,in origine era l’accordo e in seguito è divenuta la consuetudine.Altri sostengono invece che la consuetudine era già esistente in quanto anche i tribunali arbitrari molto più antichi della fine dell’800 qualche volta ne avevano fatto riferimento per pronunciarsi sulle controversie che gli Stati gli avevano presentato.Se la norma è consuetudinaria,può essere applicata da qualunque giudice internazionale,in quanto fa parte delle regole generali del diritto internazionale; se si basa unicamente sull’art.38 dello statuto,può essere applicata solo dalla Corte.Ci sono autori (come lo stesso Conforti) che hanno sostenuto una tesi diversa corrispondente ad una specie di interpretatio-abro della lettera c,ossia la rende nulla. Secondo Conforti questi Principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili non sono altro che una categoria speciale di norme consuetudinarie che differisce dalle norme consuetudinarie normali per il fatto che la diuturnitas,cioè l’elemento della prassi degli Stati da cui si ricostruisce la norma,si ricava dagli ordinamenti interni (quindi dalla giurisprudenza e dalla legislazione) degli Stati e non dal diritto internazionale.

L’opinio iuris sarebbe sul piano internazionale,si forma a poco a poco. Questa è necessaria in quanto se non vi fosse sul piano internazionale nel rapporto tra Stati,non esisterebbe al norma. Questa tesi ha come risultato quello di privare di autonomia la lettera c rispetto alla lettera b.Questa tesi può essere tuttavia smentita,in quanto l’art.38 prevede che,anche se non è possibile dimostrare la prassi dell’opinio iuris,cioè gli elementi della consuetudine,questi principi sono applicabili lo stesso. Ci si domanda inoltre perché per Conforti debba essere possibile che la norma formi il contenuto di una consuetudine. Per Conforti,diversamente da prima,quando il diritto internazionale si occupava maggiormente delle relazioni internazionali e in maniera minore dei problemi che si pongono gli ordinamenti degli Stati,in particolare del rapporto tra lo Stato e i cittadini (definiti inizialmente “sudditi”),le consuetudini internazionali si formavano per collegare la vita di relazione esterna degli Stati,oggi il diritto internazionale moderno si è sviluppato in senso favorevole allo sviluppo della civiltà umana,perché si sono iniziati a tutelare i diritti dell’uomo e il principio di autodeterminazione dei popoli.

I principi dello Stato di Diritto (che riguardano il diritto interno degli Stati) a poco a poco iniziano a formare il contenuto di norme obbligatorie per gli Stati sul piano internazionale. Perciò Conforti afferma che,siccome nella fase attuale di sviluppo del diritto internazionale consuetudinario sono penetrati soltanto i valori minimi della civiltà giuridica umana,quindi il divieto delle violazioni gravi dei diritti umani della persona (ad esempio il divieto della tortura,il genocidio, … ),mentre negli ordinamenti interni si diffondono standard più elevati,si potrebbe utilizzare questa categoria dei Principi generali di diritto per promuovere un ulteriore sviluppo del diritto internazionale.

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Anche in questo ragionamento vi è una contraddizione,in quanto se la tesi consiste nel pretendere che esista già l’opinio,e quindi la norma già esista,non si può promuovere alcuna norma. Si potrebbe promuovere soltanto se si rilevasse il bisogno che la consuetudine sia già stabilita; se invece se ne possono stabilire delle nuove,sorge la contraddizione con la posizione iniziale,secondo la quale quando la prassi interna degli Stati che sia sufficientemente omogenea nei vari ordinamenti (per lo meno nella maggioranza dei Paesi del mondo) propone questa soluzione,può aiutare a ricostruire il principio. Perciò non è giustificato sottoporre la lettera c ad un’interpretazione che la priva del suo significato.

Un’altra obiezione (non meno grave delle precedenti) nega che i principi relativi al trattamento umano delle persone negli ordinamenti interni degli Stati siano ricostruibili sulla base di una prassi ricavabile soltanto dagli ordinamenti interni,in quanto esiste da tempo una prassi abbondantissima in materia di rispetto dei diritti fondamentali della persona umana e dei valori della civiltà umana non solo negli ordinamenti interni (legislazione e giurisprudenza interna) ma anche nelle relazioni internazionali. Ci sono trattati che tutelano i diritti dell’uomo in tutti i campi,risoluzioni e attività di organizzazioni internazionali,delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni che se ne occupano quotidianamente,controversie tra Stati,ricorsi ad organi internazionali di Stati ed individui in questa materia,casi in cui gli Stati hanno applicato contromisure e sanzioni (a volte decise anche dal Consiglio di Sicurezza) nei confronti di Stati che non rispettavano gli standard minimi di umanità. Perciò non è affatto vero che la prassi esiste solo negli ordinamenti interni; è almeno altrettanto abbondante anche nel diritto internazionale. Quindi la tesi secondo cui i Principi generali di diritto sarebbero una consuetudine particolare caratterizzata dal fatto che la prassi è solo del diritto interno,non è accettabile.

In realtà bisogna riconoscere che la funzione di questi principi,con il trascorrere del tempo dal 1920 ad oggi,è andata a poco a poco affievolendosi. Nel 1920 era più giustificato rispetto ad oggi preoccuparsi del problema delle lacune nel diritto internazionale perché le norme consuetudinarie dell’epoca e i trattati erano pochi. Il diritto consuetudinario internazionale si è sviluppato e perfezionato e nei suoi settori più importanti è stato codificato da accordi di codificazione multilaterali. Oggi può accadere che vi siano questioni giuridiche rilevanti tra gli Stati che potrebbero non trovare una soluzione nel diritto internazionale consuetudinario quando vi sia non tanto un difetto della norma consuetudinaria,ma che la norma sia contestata e che sia incerto ricostruirne il contenuto. Ciò può accadere per le norme per le quali c’è una contestazione,ossia non vi è più un’accettazione generale e non sia ancora stata sostituita da una norma nuova.

I Principi generali di diritto comuni alle Nazioni civili oggi sono molto più difficilmente ricostruibili rispetto a prima,perché la Comunità Internazionale degli Stati del 1920 era molto più omogenea sia per cultura giuridica sia politicamente,perché era rappresentata essenzialmente dai Paesi occidentali europei,ai quali si aggiungevano gli USA e alcuni Paesi dell’America latina,di tradizione giuridica essenzialmente analoga a modelli europei e alcuni Paesi del medi oriente e dell’estremo oriente.Oggi perciò è più difficile ricostruire principi comuni tra i vari ordinamenti,anche perché è probabile che quando manca la norma internazionale consuetudinaria perché gli Stati non hanno raggiunto un accordo o la soluzione del problema sul piano internazionale,è probabile che anche i loro stessi ordinamenti interni non sono d’accordo,perché se fossero d’accordo sarebbero riusciti a mettersi d’accordo sul piano internazionale. In realtà oggi il problema delle lacune è meno giustificato ed è più difficile ricostruire i Principi generali di diritto comuni; anche perché effettuando un’analisi sui Principi generali di diritto,è più facile ricostruire la posizione degli ordinamenti degli Stati più emergenti. Questi sono i motivi per i quali non vi è questo pluralismo ideologico e di cultura giuridica tra i vari ordinamenti del mondo.

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Ad esempio negli anni ’60,uno dei più importanti nazionalisti sovietici (Tunkin) sostenne che non esistevano principi generali di diritto interno comuni agli Stati occidentali,agli Stati borghesi,a quelli liberali e a quelli socialisti; tranne pochi principi di carattere meramente formale,di mera struttura dell’ordinamento,ad esempio il principio della sovrana uguaglianza degli Stati e pochi altri. Per sostenere la sua tesi negazionista,secondo cui la norma sarebbe caduta in desuetudine per l’inconciliabilità delle posizioni dei vari gruppi di Stati nella Comunità Internazionale,Tunkin si avvalse di una piccola differenza tra l’art.38 dello statuto della Corte attuale e l’art.38 dello statuto della Corte Permanente di Giustizia Internazionale. L’art.38 attuale (che reca un’aggiunta significativa ai fini della soluzione di questi problema) recita: “La Corte,la cui funzione è di decidere in base al diritto internazionale le controversie che le sono sottoposte … “; questo inciso non c’era nel vecchio statuto. Tunkin perciò pone in risalto tale differenza. La Corte deve decidere in base a norme internazionali,perciò non può decidere in base ai principi generali di diritto desunti dagli ordinamenti interni (che non sono norme internazionali). La Corte può decidere in base a principi internazionali di diritto che esistono nel diritto internazionale.

Questa tesi è anche avvalorata dal fatto che la stessa espressione “Principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili” è contestabile,in quanto potrebbe essere interpretata come una distinzione tra Nazioni civili e Nazioni incivili. Alcuni Paesi del terzo mondo si sono ribellati all’idea colonialista che negli anni della Società delle Nazioni qualificavano Stati di serie A e di serie B (in quanto avevano un livello di civiltà giuridica inferiore). Difatti negli anni ’20 (in cui era stata escogitata tale formula) nello statuto della Società delle Nazioni era stato previsto quel regime dei mandati della Società delle Nazioni (antenati dell’amministrazione fiduciaria delle Nazioni Unite) nei quali si parlava del sistema dei mandati come missione sacra di civilizzazione,che i Paesi occidentali nei confronti dei Paesi ex coloniali si auto attribuivano,venivano investiti di questa missione o si auto investivano del Patto della Società delle Nazioni perché avevano il compito di assistere,nell’accedere a poco a poco all’indipendenza e nell’acquisire capacità di autogovernarsi i Paesi di minore civiltà. Un giudice di questi Paesi manifestò la sua idea contraria nei confronti di una classificazione di Paesi più civili e meno civili affermando l’eguaglianza sostanziale di questi (ossia non vi sono Nazioni più civili e altre meno civili). Perciò la cattiva accoglienza della formula “i Principi generali del diritto riconosciuti dalle Nazioni civili” è dimostrata dal raffronto tra la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo fatta nel 1950 dai Paesi europei,che utilizza questa formula e il Patto delle Nazioni Unite sui Diritti Civili e Politici del 1966 in cui questa formula è stata evitata.

L’art.7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo enuncia al primo comma il principio Nulla pena sine legem,per cui nessuno può essere condannato per un’azione od omissione che al momento in cui fu commessa non costituisse reato secondo una disposizione del diritto vigente. Al secondo comma aggiunge che il presente articolo non ostacolerà il rinvio a giudizio della condanna di una persona colpevole di un’azione o di un’omissione che al momento in cui fu commessa era criminale secondo i Principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili. Quindi era una formula che manteneva la possibilità di uno sviluppo del diritto internazionale consuetudinario in materia di crimini internazionali dell’individuo.

Quando nel 1966 venne redatto a livello universale di Nazioni Unite (perciò a livello non solo europeo) il Patto Internazionale dei Diritti Civili e Politici,la norma corrispondente all’art.7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo in quanto contenente lo stesso principio è prevista nel Patto nell’art.15,che prevede una formula diversa,secondo il quale al secondo paragrafo prevede che nulla nel presente articolo preclude il deferimento in giudizio alla condanna di qualsiasi individuo per atti od omissioni,che al momento in cui furono commessi costituivano reati secondo i Principi generali di diritto riconosciuti dalla Comunità delle Nazioni. Per “Comunità delle Nazioni” si indicano tutte le Nazioni senza distinzione in base alla loro civiltà.

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Per quanto riguarda il rilievo pratico di tali principi,si può notare che non vi è alcuna controversia che sia stata decisa unicamente sulla base del ricorso ai Principi generali di diritto. Tutte le volte che i tribunali hanno deciso una controversia,l’hanno decisa sempre in base ai trattati o alle consuetudini.Il richiamo ai Principi generali di diritto è abbastanza frequente nella giurisprudenza di tutti questi tipi di tribunali,ma è sempre utilizzato o a scopo confermativo o a scopo argomentativo. Si tratta perciò sempre di principi generalissimi di logica,appartenenti alla base ragionevole di qualsiasi ordinamento giuridico. Perciò,per quanto riguarda i Principi generali di diritto,si può affermare che questi esistono come fonte di diritto e che hanno la loro natura consuetudinaria (perciò non soltanto la Corte pone la sua giurisprudenza a richiamarsi ai Principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili). Questi hanno tuttavia un valore limitato,in quanto non si possono sostituire alla consuetudine o all’accordo internazionale.

Nei limiti in cui si ammette l’esistenza di questa fonte,è necessario distinguere le due categorie di principi che la formano:

- Principi previsti nella lettera c dell’art.38 ,desumibili dalla considerazione di ordinamenti interni degli Stati,non originariamente presenti nel diritto internazionale. Naturalmente anche nel diritto internazionale non è da escludere la possibilità di ricostruire per astrazione delle sue norme un principio generale,come avviene per qualsiasi ordinamento,in quanto tutti gli ordinamenti giuridici hanno un certo grado di sistematicità,che nella ricostruzione di un sistema è compito dell’interprete,quindi anche del giudice che applica la norma,mentre non lo è il legislatore. Sia negli ordinamenti interni,come anche nel diritto internazionale,le consuetudini si formano ad una ad una,perché le norme giuridiche singole si formano in maniera pratica per risolvere problemi pratici.

DIRITTO DEI TRATTATI:

I Trattati sono una fonte di diritto essenzialmente scritto,anche se non necessariamente. Dato che nel diritto internazionale vige il principio di libertà assoluta delle forme,un accordo può anche manifestarsi per facta concludentia. In genere i trattati sono accordi tra gli Stati regolati dal diritto internazionale. Il diritto dei trattati è stato codificato dalla Convenzione di Vienna del 1969.

Ci sono due Convenzioni di Vienna sul diritto dei trattati; una sui trattati conclusi tra gli Stati e l’altra del 1986 sui trattati conclusi dalle organizzazioni internazionali (o dalle organizzazioni internazionali tra di loro o dalle organizzazioni internazionali con gli Stati).Ci sono anche delle Convenzioni internazionali più specifiche,che sono quella di Vienna del 1978 sul problema specifico in materia dei trattati di cui non si occupa la Convenzione del 1969,cioè la sola successione degli Stati nei trattati (ad esempio nel caso di fusione tra Stati o al contrario,nel caso di smembramento di uno Stato).

La Convenzione di Vienna del 1978 ha avuto poche ratifiche (17 o poche più) in quanto si ritiene che non rifletta (sotto alcuni aspetti) lo Stato del diritto internazionale generale in materia,perché fu una convenzione con cui i Paesi in via di sviluppo imposero la formulazione di norme favorevoli alla loro posizione,che non riflettevano il diritto internazionale generale,com’è dimostrato dal fatto che il numero di ratifiche che la Convenzione ha avuto è molto limitato.

La Convenzione del 1969 invece,salvo alcuni dettagli regolati in maniera specifica a livello convenzionale,la rispecchia almeno per il 90 %. Questo è stato riconosciuto nel corso degli anni dalla Corte Internazionale di Giustizia in molte occasioni.

Con la Convenzione del 1986 si aveva lo scopo di risolvere una questione considerata controversa (anche in dottrina,quindi un po’ oscura) e di sapere se il trattato stipulato dall’organizzazione internazionale vincola o no gli Stati membri dell’organizzazione,oppure vincola solo l’organizzazione

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in quanto soggetto internazionale distinto e autonomo rispetto agli Stati membri. In realtà era questo il motivo principale che giustificava l’idea di fare una convenzione a parte per questo caso.Si tradusse comunque in un nulla di fatto,perché le posizioni degli Stati in materia erano così diverse che non si riuscì nel 1986 a risolvere questo problema. Tant’è vero che la Convenzione del 1986 prevede nelle sue disposizioni finali,all’art.74 paragrafo 3 che il problema non è risolto.

Le disposizioni della presente Convenzione non pregiudicano alcuna questione che potrebbe porsi a proposito della creazione di obblighi e di diritti degli Stati membri di un’organizzazione internazionale nei confronti di un trattato del quale l’organizzazione è parte.Oggi non ci sono dubbi che sulla base del diritto internazionale generale,se gli Stati membri dell’organizzazione non si sono espressamente assunti l’impegno nei confronti di un terzo,il trattato dell’organizzazione vincola solo l’organizzazione e non gli Stati membri.Per quanto riguarda l’organizzazione internazionale che conclude più accordi internazionali rispetto alle altre,ossia l’UE,oggi la norma del trattato (che ha cambiato numero nelle varie versioni) che è attualmente l’art.216 Trattato di Funzionamento dell’Unione (prima era l’art.300 del Trattato CEE) contiene una formula (che è sempre la stessa,contenuta anche nell’art.300 TCEE del 1957) secondo la quale i trattati stipulati dalla Comunità Europea sono obbligatori per le istituzioni e per gli Stati membri.Questa formula ( … e gli Stati membri) è stata intesa dalla dottrina degli anni ’60-’70 nel senso che le istituzioni comunitarie erano degli organi comuni che agivano per gli Stati membri,quindi “obbligatori per gli Stati membri” significava obbligatoria verso gli Stati terzi con cui la Comunità ha stipulato il trattato. Quindi gli Stati membri erano considerati come vincolati.Oggi però la soggettività autonoma che è separata dalle organizzazioni internazionali (in particolare dall’UE) rispetto agli Stati membri,si è affermata in maniera pienissima nella società internazionale. La norma viene interpretata (anche dalla Corte di Giustizia) in senso completamente diverso; in quanto questa è obbligatoria per gli Stati membri sul piano del diritto interno della Comunità dell’Unione,ma non nei rapporti con il terzo,ossia con l’esterno.Ciò significa che l’accordo stipulato dalla Comunità è considerato come una fonte di diritto comunitario alla pari delle fonti interne,del regolamento e delle direttive e quindi è direttamente applicabile negli Stati membri e obbligatorio per gli Stati membri.

Salvo il caso dell’UE,per quanto riguarda le altre organizzazioni internazionali (almeno quelle principali) non c’è nessuna norma negli statuti che vincoli in qualche maniera gli Stati membri.Quindi non vi era la necessità di fare una nuova convenzione nel 1986; però se si effettua un confronto tra quella del 1969 e quella del 1986,si può notare che sono pressoché identiche. Perciò si ha in sostanza una riproduzione della convenzione precedente,salvo adattamenti di tali regole all’organizzazione.

La Convenzione dà una definizione generale del trattato nell’art.2 lettera c : Ai fini della presente Convenzione,il termine “trattato” significa un accordo internazionale concluso in forma scritta tra Stati e regolato dal diritto internazionale contenuto sia in un unico strumento,sia in due o più strumenti connessi,qualunque ne sia la particolare denominazione.Per “strumenti connessi” si intende lo “scambio di note diplomatiche” in cui vi sono due documenti separati in cui ciascuna delle parti rende una dichiarazione che unendosi con quella dell’altra parte dà luogo all’incontro dei consensi. Si tratta di una prassi che si usa soprattutto nei rapporti bilaterali,quando un trattato viene negoziato dal governo di uno Stato attraverso il suo ministero degli esteri e con l’ambasciatore (rappresentante diplomatico) dell’altro Stato che porta ad una nota diplomatica. Dallo scambio delle note diplomatiche si ha una perfezione dell’incontro dei consensi.

Quindi la Convenzione di Vienna dichiara in sostanza di volersi applicare soltanto ai trattati conclusi in forma scritta. Questo però non toglie che le regole che essa enuncia siano applicabili anche agli altri trattati,quando si tratta di regole che rispecchiano lo stato del diritto internazionale generale di diritto consuetudinario,quindi sono applicabili a tutti i trattati indipendentemente dal fatto che la

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Convenzione di Vienna debba formulare le premesse per iscritto,perché sono applicabili comunque,in quanto norme di diritto internazionale consuetudinario.

Terminologicamente esistono varie maniere di definire i trattati,in quanto si parla di: trattati, convenzioni,protocolli,trattati che istituiscono organizzazioni internazionali,statuto,carta.Il termine “carta” è talvolta utilizzato per definire un trattato di particolare importanza,che enuncia dei principi di carattere generale,come avviene ad esempio per le carte costituzionali.Il termine “convenzione” si usa in genere per i trattati riguardanti materie regolate dal diritto interno degli Stati,ossia gli Stati adottano regole comuni per risolvere problemi giuridici di diritto interno; ad esempio le convenzioni di diritto materiale uniforme,quelle di diritto internazionale privato,quelle sull’imposizione fiscale,quelle sull’estradizione,quelle sull’assistenza giudiziaria,quelle sul riconoscimento dell’esistenza.Il termine “protocollo” ha un significato particolare (pur essendo sempre un trattato) in quanto può assumere il significato di un accordo aggiunto,quindi modificativo di un accordo preesistente (ad esempio la Convenzione dei Diritti dell’Uomo è stata integrata con vari protocolli aggiunti,fino ad oggi sono 14) oppure di un protocollo modificativo,col quale si decide di modificare una convenzione già esistente (ad esempio si pensi ai vari protocolli aggiunti che nei vari trattati hanno modificato il Trattato CEE,il Trattato istitutivo della comunità europea, … ).In sostanza il protocollo è un accordo internazionale tra gli Stati,regolato da norme internazionali di tipo consuetudinario,produttivo di obblighi giuridici dipendente dalla volontà delle parti,cioè dal fatto che ci sia la volontà degli Stati di obbligarsi giuridicamente; perché a volte gli Stati possono invece decidere di stipulare un accordo intendendo che non si stanno obbligando sul piano del diritto internazionale,ma che stanno semplicemente assumendo un impegno politico.Sorge perciò il problema di accertamento della volontà degli Stati,che di solito si ricava dalle dichiarazioni delle parti nel momento in cui hanno stipulato il loro accordo.

L’impegno politico è diverso da quello giuridico. Ci sono degli accordi di carattere politico che possono avere un’importanza eccezionale (anche se gli Stati non si vogliono applicare giuridicamente possono essere presi in considerazione lo stesso).Un esempio è dato dall’Accordo di Yalta che fu alla base delle organizzazioni giuridiche del mondo (o per lo meno di una buona parte). Tale accordo consiste nell’incontro (summit) tra i tre Paesi alleati che combattevano contro la Germania,organizzato da Stalin e al quale parteciparono Roosevelt e Churchill. Durante tale incontro Stalin mostrò un elenco (stilato in un pezzetto di carta) dei Paesi,indicando la percentuale di influenza sovietica e inglese su questi. Non si trattava di un vero e proprio accordo giuridico,ma di un impegno politico preso da questi e osservato scrupolosamente.

Un altro caso molto importante fu l’Atto finale di Helsinki nel 1975 che concluse la CSCE (Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), con la quale venne minutamente regolata una serie di principi importanti che riguardavano lo Stato nelle relazioni sotto il profilo militare,della tutela dei diritti dell’uomo,delle relazioni economiche tra i Paesi del gruppo socialista dell’Europa orientale e i Paesi dell’Europa occidentale.Si riteneva che tale Atto finale di Helsinki non fosse produttivo di effetti giuridici obbligatori tra le parti,ma che fosse un vero e proprio impegno politico.La distinzione tra impegno giuridico e politico è prevista nell’Accordo.

Conforti ricorda il caso di un accordo tra USA e Comunità Europea per regolare il problema dell’efficacia extraterritoriale delle norme sulla concorrenza (materia che ha dato luogo ad attriti internazionali tra gli Stati).Ci sono spesso interessi economici ingenti tra li Stati che entrano in conflitto in questa materia.Ad esempio uno Stato che vuole evitare operazioni di concentrazione che alterano la concorrenza restringendola sul suo mercato,può colpire di sanzioni le imprese,mentre gli Stati nazionali di quelle imprese hanno interesse contrario perché quelle operazioni di concentrazione facevano assumere alle

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loro imprese nazionali delle dimensioni economiche tali da metterle in grado di operare con maggior efficacia sul mercato mondiale della concorrenza internazionale.Sorgono perciò degli scontri.

Si è discusso molto sull’esistenza o meno di principi giuridici che delimiterebbero il diritto degli Stati di regolare questa materia attribuendo efficacia extraterritoriale,cioè anche ad altri accordi compiuti all’estero,ma che producono effetti sul loro rispettivo mercato.Si giunge perciò all’idea di raggiungere accordi.Questi sono degli accordi per cui gli Stati non se la sentono di prendere veri e propri impegni giuridici,ma si limitano a consultarsi ed accordarsi prima di adottare delle misure.

L’art.1 dell’Accordo tra USA e CE dispone che: Il presente memorandum non costituisce un accordo internazionale.Per questi accordi non giuridicamente vincolanti c’è una letteratura e una serie di elementi per gli accordi stipulati tra i governi degli Stati membri dell’UE,perché l’UE ha progredito per gradi e le norme molto generali dei trattati comunitari che stabilivano le competenze e gli scopi dell’azione della Comunità,essendo molto generali e molto vaghe,erano suscettibili di interpretazioni più o meno ampie.Perciò gli Stati hanno spesso utilizzato la tecnica di accordarsi tra di loro prendendo delle decisioni collegiali con le quali decidevano di promuovere delle iniziative in certi campi,oppure facevano dei programmi di azione,oppure accettavano un’interpretazione delle competenze comunitarie che consentiva alla Comunità di sviluppare la sua azione in certi settori o in altri.Tutti questi accordi sono quasi sempre accordi politici,definiti dalla dottrina “accordi in forma semplificata”.E’ necessario distinguere due tipi di accordi,decisioni prese normalmente quando i rappresentanti dei governi degli Stati membri si riuniscono a Bruxelles nel Consiglio dell’UE; decisioni che sono a volte realmente accordi internazionali stipulati in forma semplificata (ossia senza bisogno di ratifica) che vincolano giuridicamente lo Stato,perché a volte vi sono dei settori di azione comune in cui le competenze comunitarie coprono solo alcuni aspetti.

- Il Consiglio prevede un atto comunitario o un regolamento o una direttiva per quanto riguarda la parte che rientra nella competenza comunitaria.

- Per la parte al di fuori dalla competenza comunitaria,il Consiglio stipula un accordo in forma semplificata. Questo accordo,nei limiti in cui le costituzioni nazionali consentono una stipulazione di questo genere è legittimo e giuridicamente vincolante e si chiama Atto dei rappresentanti degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio.

Quando si tratta di accordi che hanno ad oggetto lo sviluppo dell’azione comunitaria in settori di sua competenza,l’accordo non è giuridico ma è puramente politico,perché la materia delle competenze comunitarie è una materia di cui i governi non dispongono con accordi stipulati tra di loro,poiché il trattato esiste e deve essere rispettato e può solo essere modificato col procedimento di revisione,che è un procedimento complesso che richiede l’intervento della Commissione e del Parlamento Europeo e per motivi di tutela della democraticità interna della sottrazione delle competenze nazionali agli Stati e di sviluppo delle competenze comunitarie,richiede l’autorizzazione e la ratifica dei Parlamenti nazionali,quindi non si può fare.In questo caso si parla di accordi politici.

In alcuni casi,salvo il problema della violazione delle costituzioni interne,in base al diritto internazionale in cui vige il principio della libertà delle forme lo potrebbero giuridicamente fare,però se lo facessero violerebbero il principio dello Stato di diritto che ha un ruolo importante nel sistema comunitario.Secondo la Corte di Giustizia gli Stati membri non possono nemmeno giuridicamente farlo,perché ormai il sistema comunitario è un ordinamento originario basato sul trasferimento definitivo e irreversibile di competenze ad una nuova entità che ha creato un nuovo ordinamento di cui i governi

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nemmeno collettivamente interessati,nemmeno dall’interno possono ancora disporre con gli strumenti del diritto internazionale.Sulla base di questa disposizione,se i governi decidessero di fare un accordo con l’intenzione di modificare le competenze comunitarie,la Corte di Giustizia lo annullerebbe immediatamente,in quanto costituirebbe una violazione del trattato oppure lo dichiarerebbe invalido o inefficace,ossia dato che i governi non hanno la competenza e non lo possono fare,è come se non lo avessero fatto.

In realtà accordi politici di questo genere ne sono stati fatti molte volte,a partire dall’Accordo di Lussemburgo.Con l’Accordo di Lussemburgo,siccome già da allora il Trattato CEE prevedeva una serie di materie in cui il Consiglio poteva deliberare regolamenti,direttive e atti obbligatori a maggioranza e non all’unanimità e alcuni Paesi (tra cui la Francia) si opponevano,i governi fecero un accordo politico.Se tale accordo fosse stato giuridico sarebbe stato illegale nell’ottica della Corte di Giustizia.Perciò,quando nel 1966 la Francia si oppose a sviluppi eccessivi dell’integrazione europea,che questa non poteva controllare più,per cui non mandò più un rappresentante,questa fu convinta a partecipare nuovamente mediante un accordo politico.

Gli accordi politici sono definiti Gentlement’s Agreements perché vengono adottati dai capi di governo,dai rappresentanti diplomatici,i quali non impegnano giuridicamente lo Stato ma si impegnano personalmente.Perciò con l’Accordo di Lussemburgo del 1966 si stabilì che anche nei casi in cui il trattato prevede che si possa deliberare a maggioranza,se un governo in base ad un importante interesse nazionale si oppone ad accettare la delibera a maggioranza,la discussione proseguirà fino a quando non è stato possibile raggiungere un accordo.Questo è un metodo molto democratico in quanto non tende a porre in minoranza lo Stato in opposizione.Questo Accordo è stato considerato un notevole ostacolo allo sviluppo lento e progressivo dell’UE.E’ necessario perciò distinguere tra l’accordo giuridicamente vincolante (che è il trattato vero e proprio) e il mero impegno politico che esiste anche nei rapporti internazionali. L’unico elemento di distinzione è l’intenzione delle parti.In alcuni casi l’intenzione delle parti può essere dubbia e ci sono dei casi in cui viene lasciata deliberatamente dubbia per motivi politici.

Oggi è stata creata dalla dottrina una figura giuridica che molti (tra cui Davì) considerano inconsistente,ossia l’idea del Soft Law.Il Soft Law consiste in una via di mezzo tra l’accordo politico che non è law e l’accordo giuridicamente vincolante che sarebbe diritto puro (hard law).Nella categoria di Soft Law rientrano sia gli accordi costituiti da un’intenzione delle parti dubbia,sia la risoluzione e gli atti non obbligatori delle organizzazioni internazionali,che sarebbero semiobbligatori o quasi obbligatori.Tale categoria non ha consistenza in quanto l’obbligo giuridico o c’è o non c’è.

Per quanto riguarda la Formazione dei Trattati,i procedimenti di stipulazione sono vari poiché vi è libertà assoluta delle forme. Tuttavia la pratica internazionale a poco a poco ha creato delle categorie generali.I tipi più frequenti di formulazione di un accordo sono:

- Il Procedimento Formale o Solenne: quello riservato ai trattati più importanti;- L’Accordo in Forma Semplificata.

Il Procedimento Formale ha quattro fasi. La prima fase è quella della Negoziazione,cioè le parti attraverso i loro rappresentanti elaborano un accordo. Alla fine di questi negoziati si ottiene un testo dell’accordo.

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La seconda fase è quella della Firma. La firma nel procedimento di stipulazione solenne non è sufficiente a manifestare la volontà dello Stato ad obbligarsi. Quindi per concludere il procedimento occorre la Ratifica,di cui nella nostra Costituzione parlano gli artt. 80-87.

Il valore giuridico della firma,nel caso in cui questa non è sufficiente ad obbligare lo Stato (ossia nel procedimento in forma solenne,differentemente da quello in forma semplificata che non necessita della ratifica),la firma ha semplicemente il valore di autentica del testo (da parte di chi ha condotto le trattative).Dopo di che è prevista la ratifica,che ogni Stato fa secondo i suoi procedimenti costituzionali interni.

Nel nostro caso secondo gli artt.80-87 Cost.,il Presidente della Repubblica previa quando occorre l’autorizzazione delle Camere,e ancora il trattato non si è concluso (perché la ratifica è un atto unilaterale al singolo Stato,non ancora l’incontro delle volontà),il trattato si conclude con lo scambio delle ratifiche,perché in quel momento i consensi vengono scambiati.Quindi lo strumento di ratifica viene scambiato tra i due Paesi (questo se l’accordo è bilaterale). La ratifica nasce storicamente in epoca molto antica e aveva un valore diverso da quello che ha nel diritto moderno degli Stati.Riguarda le esigenze del diritto interno degli Stati e non di quelle del diritto internazionale,proprio perché nel diritto internazionale vige il principio di libertà delle forme,l’importante è che ci sia una manifestazione valida di consenso dello Stato ad assumersi l’obbligo giuridico.Inoltre perché l’organizzazione interna dello Stato non è direttamente rilevante per il diritto internazionale,in quanto è affare interno dello Stato.Anticamente i rapporti internazionali riguardavano i monarchi che esprimevano da soli la persona statale. Non essendo perciò lo Stato un’entità giuridica,i rapporti internazionali erano rapporti personali tra i sovrani.Generalmente i sovrani negoziavano direttamente tra di loro (in questo caso non era necessaria alcuna ratifica). Nel caso in cui inviavano dei negoziatori del trattato,si riservavano il diritto di verificare che il negoziatore inviato a loro conto avesse adempiuto al suo dovere,cioè avesse adempiuto al mandato conformemente alle istruzioni. Quindi si ratificava l’operato dell’inviato personale del sovrano. Questo era il significato della ratifica. A quell’epoca si riteneva che la ratifica era,per una questione di buone fede,obbligatoria.Oggi la ratifica ha un senso completamente diverso,in quanto serve nello Stato di diritto in cui i vari organi hanno funzioni diverse l’una dall’altra e complesse.

La negoziazione avviene o da parte di organi tecnici competenti nel discutere quella materia o da agenti diplomatici che per mestiere fanno ciò.Per i trattati più importanti occorre che il potere decisionale spetti ad altri; al governo in generale,in quanto è l’organo competente a condurre le relazioni internazionali dello Stato.Sempre per i trattati più importanti c’è un problema di separazioni di poteri,quindi di controllo,anche da parte del Parlamento,dell’attività del governo. Questo controllo ha due significati:

1. Far sì che il Parlamento non venga aggirato nelle sue competenze nelle materie che nel diritto interno sarebbero riservate alla competenza legislativa;

2. Controllo politico che il Parlamento si riserva di esercitare sull’attività politica dei governi nelle materie non riservate dal sistema costituzionale alla competenza legislativa del Parlamento.

Il procedimento solenne di stipulazione dei trattati (che richiede quindi ratifica) che serve a tutelare le esigenze indicate,risponde quindi più alle esigenze degli Stati che a quelle del diritto internazionale. Questo procedimento è riservato soprattutto per le categorie dei trattati più importanti.Per le categorie per le quali ci possono essere dei trattati in materia tecnica e in questioni secondarie che non hanno rilevanza politica,anche per motivi di celerità,si stipulano dei trattati non in forma

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solenne ma in forma semplificata,cioè è sufficiente la firma di chi ha il potere di rappresentare lo Stato nelle relazioni internazionali perché l’impegno si intenda assunto.Chi ha il potere di rappresentare lo Stato varia da situazione a situazione,in quanto il trattato può essere negoziato attraverso gli agenti diplomatici,può essere negoziato direttamente tra i governi,tra i ministri degli esteri.

L’art.7 della Convenzione di Vienna contiene la norma sui Pieni Poteri . I Pieni Poteri sono le credenziali,cioè la persona che viene inviata dallo Stato a negoziare un trattato oppure a fare qualunque altra attività diplomatica internazionale anche diversa da questa,deve sempre esibire i suoi pieni poteri. La lettera di credenziali viene rilasciata normalmente dal ministro degli esteri. Perciò tale articolo specifica che una persona è considerata rappresentante di uno Stato per l’adozione o per l’autenticazione (quando c’è riserva di ratifica) del testo di un trattato o per esprimere il consenso dello Stato ad essere obbligato dal trattato.

Il Procedimento Solenne è definito anche Procedimento Ordinario in quanto quello Semplificato è definito Speciale.In realtà con lo sviluppo delle relazioni diplomatiche internazionali non è ormai vero che il procedimento solenne sia quello ordinario.L’art.7 prosegue che il rappresentante di uno Stato deve esibire i dovuti pieni poteri oppure se risulta alla pratica degli Stati interessati da altre circostanze che avevano l’intenzione di considerare quella persona come rappresentante di quello Stato a quei fini senza bisogno di richiedere la rappresentanza dei pieni poteri.Quando si ha una liberalità delle forme,basta che sia chiara l’intenzione della volontà in buona fede di considerare quella persona abilitata.

Sono considerati in particolare rappresentanti dello Stato in virtù delle loro funzioni senza essere tenuti ad esibire pieni poteri (può essere ormai una consuetudine internazionale):

- Il Capo di Stato,il Capo di Governo e il Ministro degli Esteri. Non vi è bisogno di domandare i pieni poteri perché la loro qualifica,essendo gli organi supremi della conduzione dell’attività politica dello Stato,sono comunque sempre impegnabili a rappresentare lo Stato;

- I Capi delle Missioni Diplomatiche per l’adozione di un trattato tra lo Stato presso cui la missione è accreditata e lo Stato che la avvia;

- I Rappresentanti degli Stati accreditati ad una conferenza internazionale o presso un’organizzazione internazionale per l’adozione di un testo di un trattato.

La persone che è munita di pieni poteri,se si tratta di un trattato che deve essere concluso in forma semplificata,può impegnare direttamente lo Stato,se invece no,può soltanto firmare con riserva di ratifica che lo Stato fa in base alle regole del suo diritto costituzionale interno.

19 03 2010

DIRITTO DEI TRATTATI:

I trattati si dividono in tre parti:185

1. Preambolo;2. Testo (dispositivo) del trattato;3. Disposizioni finali (Disposizioni Protocollari): che riguardano l’entrata in vigore,la ratifica,le

eventuali adesioni, …

Ad esempio le disposizioni finali della Convenzione di Vienna sono contenute negli artt. 81 ss.Tutte queste parti hanno identico valore giuridico.Normalmente il preambolo non contiene norme giuridiche,ossia non contiene i diritti e gli obblighi che le parti si assumono,previsti invece nel testo (nel quale vi è perciò il contenuto del trattato).Il preambolo perciò contiene l’indicazione dei motivi che hanno indotto le parti a concludere il trattato.Questo non conferisce un valore giuridico minore rispetto al testo,in quanto il valore è lo stesso. L’unica differenza tra teso e preambolo è che quest’ultimo si limita ad esporre i motivi ed è utilizzato soprattutto per l’interpretazione. Perciò non è escluso che anche il preambolo possa contenere norme giuridiche.L’ordinamento italiano ha poca familiarità con il preambolo; però in molti ordinamenti (ad esempio in quello francese) anche i testi legislativi hanno un preambolo.

Anche gli atti comunitari,sia i regolamenti che le direttive,hanno un preambolo che contiene sia l’indicazione della base giuridica,sia i motivi necessari per chiarire il significato delle disposizioni.In realtà la prassi dei regolamenti comunitari recenti prevede un allungamento del preambolo.In alcuni atti comunitari recenti è divenuto lunghissimo; spesso occupa intere pagine e molte volte contengono vere e proprie regole.Ad esempio gli ultimi adottati in materia di diritto internazionale privato,come Roma 1 e Roma 2,contengono una serie di regole. Anche gli allegati annessi al trattato costituiscono normalmente parte integrante. Questo conferisce loro la stessa importanza della altre parti del trattato.

Per quanto riguarda il processo di negoziazione e stipulazione dei trattati,c’è un procedimento solenne nel quale la firma non impegna lo Stato in quanto è necessaria la ratifica e che si perfeziona con lo scambio delle ratifiche.Tale procedimento è definito anche procedimento ordinario,anche se oggi tende a non essere sempre il più comune; per cui anche quello che dovrebbe essere straordinario o meno ordinario tende in certi settori a prendere il sopravvento.Quest’ultimo è il processo di conclusione in forma semplificata,che si distingue dal processo solenne per il fatto che la firma fatta da chi ha negoziato il trattato è sufficiente a vincolare lo Stato.A volte alla firma si sostituisce la Parafatura,ossia sono di per sé sufficienti le iniziali ad impegnare lo Stato.

Per quanto riguarda la stipulazione solenne,viene usata in maniera minore per quanto riguarda i trattati unilaterali che vengono negoziati o in seno ad un’organizzazione internazionale,quando l’organo di un’organizzazione internazionale (ad esempio l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite o l’Assemblea Generale di un istituto specializzato per le materie di sua competenza) prevede una negoziazione nell’ambito dell’organizzazione,oppure quando vengono negoziati da una conferenza multilaterale degli stati convocata ad hoc.

Nei trattati multilaterali perciò il procedimento di formazione è diverso,poiché non c’è lo scambio delle ratifiche (in quanto si avrebbero tanti scambi quanti sono i Paesi,perciò l’operazione sarebbe molto complessa) viene sostituito dal deposito presso un depositario.Il depositario può essere l’organo di un’organizzazione delle Nazioni Unite se si tratta di una convenzione adottata sotto legge delle Nazioni Unite,oppure se si tratta di una conferenza internazionale ad hoc che non è collegata in modo specifico a nessuna organizzazione può essere il governo di uno Stato,normalmente il governo di uno Stato che ha ospitato la conferenza.

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Il depositario ha il compito di custodire gli strumenti di ratifica e ha l’obbligo di informare tutti gli Stati Parte dell’esistenza del deposito della ratifica.Naturalmente le convenzioni multilaterali entrano in vigore quando c’è un numero minimo di ratifiche che la convenzione stessa stabilisce nelle sue disposizioni finali.Raggiunto il numero minimo di ratifiche il trattato entra in vigore,mentre gli altri Stati possono depositare la propria ratifica successivamente e per questi il trattato entra in vigore successivamente. Alcuni trattati sono aperti all’adesione di terzi Stati.

La differenza tra ratifica ed adesione si ha in quanto per Ratifica si intende l’atto dello Stato che ha partecipato attraverso i suoi rappresentanti a negoziare il testo,quindi partecipa alla negoziazione e a tutte le fasi successive del procedimento di conclusione; l’Adesione consiste nell’adesione di uno Stato che non ha partecipato alla negoziazione del testo,quindi non è parte originaria del trattato ma è parte che si aggiunge.Diversa dall’adesione è l’Ammissione,la quale significa che il trattato prevede una clausola che ammette l’adesione di terzi,quindi il terzo può aderire con una dichiarazione unilaterale esattamente nella stessa maniera in cui può ratificare come uno Stato che ha partecipato ai negoziati.L’ammissione richiede una delibera favorevole,quindi gli Stati che sono parte originaria del trattato si riservano il diritto di decidere se uno Stato che fa domanda di essere ammesso a fare parte di quel trattato ha o meno i requisiti.Normalmente l’ammissione riguarda i trattati che istituiscono organizzazioni internazionali,ad esempio la Carta delle Nazioni Unite all’art.4 prevede tali possibilità di ammissione: “Possono diventare membri delle Nazioni Unite tutti gli altri Stati amanti della pace che accettino gli obblighi del presente statuto e che a giudizio dell’organizzazione siano capaci di adempiere questi obblighi e siano disposti a farlo”.Quindi ad una domanda di ammissione corrisponde un giudizio di ammissione.Sempre secondo l’art.4,l’ammissione quale membro delle Nazioni Unite di uno Stato che adempia a tali condizioni è effettuata con decisione dell’Assemblea Generale su proposta del Consiglio di Sicurezza. La stessa cosa è prevista per il Trattato istitutivo dell’UE nell’art.49,il quale prevede la possibilità che uno Stato europeo possa domandare di diventare membro. La formula è vaga,ma si parla sempre di un’ammissione,perché ci vuole anzitutto una delibera a favore del Consiglio su parere favorevole del Parlamento Europeo e una stipulazione (che rende il procedimento ancora più complesso) di un accordo tra gli Stati membri attuali dell’UE e lo Stato che domanda di aderire,il quale precisa tutte le condizioni.La terminologia comunitaria non è molto precisa in quanto è stato adottato fin dagli anni ’70 un atto relativo alle condizioni di adesione riguardante la negoziazione di questo accordo in cui si utilizzava il termine adesione,che invece non era esatto dal momento che si trattava di un procedimento di ammissione,per di più anche particolarmente complesso.

La negoziazione dei trattati multilaterali presenta anche dei problemi diversi sotto un altro aspetto. Già nella fase della negoziazione,mentre se un trattato viene fatto tra due Stati o tra un numero limitato di Stati,normalmente il testo deve essere concordato da tutti,quindi viene adottato all’unanimità.Nei trattati multilaterali,ai quali partecipano a volte tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite,quindi quasi tutti gli Stati del mondo,concordare in maniera unanime tutte le singole clausole sarebbe impossibile,quindi si ricorre a procedimenti diversi; ossia alla maggioranza dei due terzi.Si ha inoltre un’altra tecnica moderna dell’adozione mediante consensus,utilizzata per semplificare ulteriormente il procedimento. Il consensus è una specie del contrario del consenso,in quanto il Consenso è il consenso positivo (accettazione),mentre il Consensus è l’approvazione del testo da parte di una Conferenza Internazionale o di un organo plenario dell’organizzazione internazionale in assenza di obiezioni,cioè il presidente legge il testo e afferma che se nessuno ha obiezioni di portata tale da opporsi all’entrata in vigore del testo,lo dà per approvato.Queste tecniche (approvazione a maggioranza e Consensus) servono per lo stesso scopo (già indicato).

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Esistono anche altre tecniche negoziali dello stesso genere,ad esempio la Negoziazione per pacchetti,inventato per la prassi sindacale degli Stati Uniti,cioè degli accordi all’inizio del ‘900 tra le organizzazioni sindacali e quelle dei datori di lavoro,sempre per la stessa idea che siccome in ogni negozio su ogni singola clausola c’è sempre una parte disposta ad accettare ed una no,anziché votare ogni singola norma,si vota un gruppo di clausole (un pacchetto),per cui ogni parte fa una concessione su una norma che non accetta pienamente perché è interessato ad un’altra norma contenuta nel pacchetto ad essa conveniente.Questo metodo è perciò uno dei metodi volti a rendere più facile la formulazione del consenso.In realtà il problema della formazione del consenso ha importanza; perché gli Stati non sono obbligati (anche quando il trattato è uscito) a ratificare,in quanto possono ancora scegliere se farlo o no,soprattutto quando vi è la riserva dell’autorizzazione di ratifica da parte dei Parlamenti; sono perciò i Parlamenti nazionali a decidere.Però è anche vero che il parlamento si trova dinanzi a un testo ormai concordato; non può perciò modificare alcuna parte,ma può solo esprimersi positivamente o negativamente.

Quindi la fase di formazione del trattato è molto importante. Questo è il motivo per cui la tecnica moderna del Consensus,che è quella che facilita più di tutti la convergenza su un testo (quindi il fatto che il testo possa essere dato per approvato e licenziato dalla Conferenza Internazionale),spesso non fa altro che spostare i problemi.Se c’erano dei problemi politici di dissenso (almeno parziale,ma anche su questioni sostanziali),la tecnica del Consensus consente di scavalcare l’ostacolo ma non di superarlo.Quindi può accadere che il trattato non entra in vigore perché gli Stati decidono di non ratificarlo,dal momento che nessuno li obbliga a farlo.

Per quanto riguarda la Tecnica di stipulazione in forma semplificata,il problema di sapere se il consenso dello Stato ad essere vincolato dal trattato richiede la ratifica oppure se sia sufficiente la firma,è una questione che non dipende dal diritto internazionale ma dalla scelta dello Stato; a volte questa scelta può essere vincolata dal diritto costituzionale che ha certe esigenze in questa materia.Quindi si può variare da uno Stato all’altro,sicché è effettivamente possibile che in un trattato tra due o più Stati,per qualcuno di questi Stati sia sufficiente la cosiddetta forma semplificata (cioè sia sufficiente la firma),per altri invece è necessaria oltre alla ratifica anche la legge di autorizzazione alla ratifica da parte del Parlamento in quanto richiesta dal suo diritto costituzionale.

In Italia la situazione costituzionale risulta dalla combinazione degli artt. 80 e 87 Cost.L’art.87,che contiene la norma che enuncia le funzioni del Presidente della Repubblica afferma che questo tra le varie funzioni che ha,ratifica i trattati internazionali previa quando occorre l’autorizzazione delle Camere.L’art.80 elenca i casi in cui sia necessaria l’autorizzazione delle Camere che viene data con legge; ossia i trattati di natura politica,quelli che implicano modificazioni di leggi,quelli che comportano oneri delle finanze,quelli che implicano modificazioni di territorio e quelli che prevedono obblighi di arbitrato o di regolamento giudiziario (cioè i mezzi di soluzione delle controversie sono deferite al giudice internazionale).Il regolamento delle controversie può avvenire in via arbitrale,cioè con un accordo arbitrale delle parti o in via giudiziaria,quando esiste un tribunale internazionale che può essere adito unilateralmente da un solo Stato.

La Costituzione non menziona la possibilità per il Governo di stipulare accordi in forma semplificata,perché l’art.87 (preso alla lettera) afferma che il Capo dello Stato deve ratificare i trattati internazionali previa quando occorre l’autorizzazione delle Camere; perciò anche al di fuori delle materie dell’art 80,in cui per poter ratificare deve essere autorizzato,quando non occorre ratifica lo stesso.Quindi,se interpretato letteralmente,si desume che la ratifica occorre sempre,sia nelle materie importanti di cui parla l’art.80,sia in tutte le altre.

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In realtà non è così,perché c’è una prassi consolidata in Italia (come in tutti i Paesi) ancor prima dell’esistenza dello Statuto Albertino,secondo la quale è possibile per i trattati considerati meno importanti,che il Governo scelga di ritenere sufficiente di impegnare lo Stato mediante la firma del trattato,senza bisogno della ratifica.

La dottrina,dopo l’entrata in vigore della Costituzione,si è domandata come si poteva giustificare questa prassi.Secondo alcuni si sarebbe creata una consuetudine costituzionale che legittima questa prassi. In realtà è difficile rilevare questa consuetudine dalla prassi poiché questa è varia,in quanto comprende casi di rispetto dell’art.80 e casi in cui è intenta a violare in maniera palese tale articolo,in quanto sono stati stipulati in forma semplificata accordi che avrebbero richiesto l’autorizzazione parlamentare.Altri hanno sostenuto (anche questa sembra una finzione giuridica molto tortuosa) che la ratifica sia competenza del Presidente della Repubblica,ma poiché questo nomina il Governo,tale nomina comprenderebbe una delega implicita da parte di questo al Governo a ratificare.

Probabilmente non c’è bisogno di alcuna tesi giuridica,ma è sufficiente interpretare la Costituzione.La Costituzione non ha affatto inteso,quando nell’indicare le varie funzioni del Capo dello Stato,ha detto che ratifica i trattati quando si sceglie di ratificarli,ma con questo non intende dire che quando non c’è bisogno dell’autorizzazione delle Camere i trattati devono essere ratificati per forza,perché se è sufficiente,soprattutto in un trattato o in un accordo tecnico,che siano gli stessi ministri a farlo,non c’è alcun bisogno di impegnare anche il Capo dello Stato.Dall’interpretazione della Costituzione si ricava che non può essere stipulato in forma semplificata un trattato che rientra nelle cinque categorie dell’art.80 perché violerebbe una competenza parlamentare (che è perciò competenza sostanziale),viceversa,per tutti gli altri trattati sia che ci sia la ratifica del Presidente della Repubblica oppure sia il Governo a vincolare lo Stato,non fa alcuna differenza perché si tratta solo di una formalità.Anche la ratifica da parte del Presidente della Repubblica,nei casi in cui non c’è bisogno dell’intervento del Parlamento,in realtà è un atto del Governo e non dello Stato (in quanto di quest’ultimo lo è solo formalmente) in quanto vi è una regola costituzionale secondo la quale gli atti del Presidente della Repubblica,salvo il numero modestissimo di eccezioni,sono controfirmati dal ministro preponente o dal Capo del Governo (se è questo a proporlo) che se ne assume la responsabilità.Quindi che si ricorra alla procedura formale della ratifica o no,non cambia la sostanza,perciò è sufficiente questo a giustificare questa prassi della stipulazione degli accordi in forma semplificata.

Il problema dibattuto da qualche decennio in Italia è quello dell’ammissibilità dei trattati segreti. Se si tratta delle materie coperte dall’art.80 Cost.,il trattato per definizione non può essere segreto,in quanto il Parlamento deve poter intervenire e discutere per deliberare sull’adozione della legge di autorizzazione alla ratifica.In questi casi perciò si avrebbe una violazione della Costituzione.

Esiste tuttavia una legge del 1977 sul segreto di Stato che può derogare nei casi eccezionali da questa specificamente indicati.Dalla Costituzione non risulta l’idea che il trattato segreto sia vietato dal nostro ordinamento. Può però risultare dalla legge del 1984 che ha riordinato la materia delle pubblicazioni di tutti i nostri atti normativi nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica ed è la prima legge che ha menzionato ufficialmente per prima la nozione di “accordo in forma semplificata” (in quanto né la Costituzione né le leggi fino a quella data lo menzionavano).Secondo questa legge del 1984 devono essere pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica oltre alle leggi e ai decreti dello Stato,anche i trattati internazionali e aggiunge ivi compresi gli accordi stipulati in forma semplificata. Il fatto che la legge dica che devono essere pubblicati,significa che non è ammesso il segreto.C’è tuttavia la legge del 1977 sul segreto di Stato secondo la quale tutti gli atti,i comportamenti e i fatti dello Stato possono essere tenuti segreti quando l’interesse dello Stato lo esige in quei casi particolari

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per garantire l’indipendenza dello Stato,per esigenze di difesa … Perciò in questi casi il segreto,purché autorizzato da tale legge,può ammettersi,in quanto la legge è considerata conforme alla Costituzione.Ciò che si rivela contrario alla Costituzione sono gli abusi che i governi hanno fatto.

Si è discusso molto su alcuni accordi di concessioni agli Stati stranieri (spesso gli USA) di basi militari segrete. La segretezza di questi accordi nasce da esigenze di difesa dello Stato (segreto militare).Inoltre sul piano costituzionale l’Italia,con la legge di autorizzazione alla ratifica ha aderito nel 1949 al Trattato NATO (che è un trattato di difesa) con il quale ha assunto l’obbligo di cooperazione con gli altri Stati (inclusi gli USA).Alcuni sostengono che l’Italia sia andata al di là di queste esigenze,quindi occorrerebbe informare maggiormente il Parlamento.Inoltre per certe scelte politiche,ad esempio in materia di armamenti,di inquinamento,di radioattività,si ritiene sia necessaria l’approvazione dell’opinione pubblica.Comunque la messa a disposizione nel nostro territorio di basi straniere per armamenti nucleari è una scelta politica molto importante che non è necessariamente implicita con gli obblighi assunti col trattato NATO,quindi sarebbe legittimo sostenere che si tratti di accordi politici; perciò il Parlamento in base all’art.80 dovrebbe poter dire se è d’accordo o meno ad ospitare basi nucleari.Di conseguenza il Parlamento ha diritto ad essere consultato per tali scelte.

I trattati segreti non sono vietati dal diritto internazionale generale,anzi,un tempo la diplomazia segreta era normale.L’art.5 dello Statuto Albertino prevedeva che l’autorizzazione del Parlamento era richiesta soltanto per le variazioni del territorio e per gli oneri delle finanze,mentre per tutti gli altri trattati il Re,che li concludeva attraverso i suoi ministri,doveva darne comunicazione al Parlamento,tosto che l’interesse dello Stato gli consenta.Quindi se il Re riteneva che l’interesse dello Stato non rendesse opportuna la divulgazione del trattato,era esonerato dall’obbligo di informare il Parlamento (quindi poteva tenerlo segreto).

Il diritto internazionale generale non dice nulla al proposito,però vi è un movimento importante a favore della pubblicità della diplomazia dei governi,per consentire il controllo non solo sul piano democratico delle opinioni pubbliche,ma anche di quello internazionale (mondiale) sulle scelte politiche dei governi e sulla loro azione di politica internazionale.E’ considerato oggi un elemento molto importante dello Stato di diritto e garanzia del rispetto dei principi fondamentali del diritto internazionale (a maggior ragione oggi che si è formato un corpus di norme di diritto internazionale congiunte che gli Stati sono impegnati dal diritto internazionale a rispettare anche nella loro attività di stipulazione dei trattati).L’idea è molto antica e risale al presidente americano Harold Wilson che fu uno dei protagonisti più importanti della pace dopo la prima guerra mondiale che al Trattato di Versailles si basò su quel suo famoso programma politico articolato in 14 punti.Uno di questi 14 punti riguarda l’abolizione della diplomazia segreta per garantire meglio che le opinioni pubbliche possono verificare che i governi non combinino guai senza la possibilità di controllo parlamentare.Dopo la prima guerra mondiale venne istituito il Patto della Società delle Nazioni,che conteneva una norma molto severa in materia di garanzia della pubblicità dell’attività diplomatica dei governi,che era l’art.18 il quale prevedeva che ogni trattato o impegno internazionale concluso d’ora in pio da un membro della Società,dovrà essere immediatamente registrato presso il segretariato e a cura di questo pubblicato nel più breve termine.Per la trasgressione di questo impegno era prevista la sanzione,che era la seguente: Nessun trattato o convenzione internazionale sarà obbligatorio finché non sia registrato.Quindi tale articolo stabiliva l’inefficacia dei trattati nel caso di mancata registrazione.Questa norma diede subito luogo ad una serie di obiezioni teoriche di difficile applicazione nella pratica anzitutto perché il Patto della Società delle Nazioni era un altro trattato (come tutti gli altri) e perciò produceva effetti solo tra le parti.

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Siccome molti Stati (tra cui anche quelli più importanti come ad esempio gli USA) non entrarono a far parte della Società delle Nazioni,ogni volta che anche un membro della Società l’avesse stipulato con uno Stato terzo,questa regola (del Patto della Società delle Nazioni) non poteva essere opposta ad uno Stato terzo.A questo punto si affermò che l’art.18 non distingueva giuridicamente tra l’ipotesi che un membro abbia stipulato un trattato al quale partecipano anche gli Stati terzi e l’ipotesi in cui l’abbia stipulato con un altro membro.Quindi si è detto che siccome il trattato può essere tra le parti sempre derogato da un trattato successivo,se due Stati decidono di obbligarsi tra di loro a considerare obbligatorio il trattato che stipulano senza volerlo registrare,lo possono fare.Alla fine si riconobbe che l’art.18 era troppo pretenzioso,in quanto pretendeva di attribuire al Patto della Società delle Nazioni un valore di superiore trattato,quindi in realtà non aveva questo valore giuridico. Perciò fu interpretato in maniera più modesta,in quanto l’unico valore giuridico che veniva ad esso attribuito era quello di un trattato registrato presso la Società delle Nazioni e questo tipo di trattato non può essere invocato davanti agli organi della società.Questa interpretazione riduttiva dell’art.18 è stata accolta esplicitamente dall’art.102 della Carta delle Nazioni Unite,che prevedeva pure la registrazione di tutti i trattati,però con questo effetto più modesto.L’art.102 prevede che: Ogni trattato ed ogni accordo internazionale stipulato da un membro delle Nazioni Unite dopo l’entrata in vigore del presente statuto deve essere registrato al più presto possibile presso il segretariato e pubblicato a cura di quest’ultimo (questo paragrafo è identico al primo comma dell’art.18 del Patto delle Nazioni Unite).Il secondo paragrafo prevede che: Nessuno dei contraenti di un trattato o accordo internazionale che non sia stato registrato in conformità alle disposizioni del paragrafo uno,potrà invocare detto trattato o accordo davanti a un organo delle Nazioni Unite.I trattati registrati presso il Segretariato delle Nazioni Unite sono poi pubblicati a cura di quest’ultimo in una raccolta chiamata United Nation’s Treaty Series (UNTS).Il fatto che non possono essere invocati davanti agli organi delle Nazioni Unite ha come conseguenza quella prevista dall’art 7 della Carta delle Nazioni Unite,secondo il quale siccome tra gli organi delle Nazioni Unite è compresa la Corte Internazionale di Giustizia,l’art.102 si applica anche in questo caso; perciò se gli Stati non hanno registrato un trattato la Corte Internazionale di Giustizia non può prenderlo in considerazione né basare su quel trattato la sua decisione.Ci sono stati dei casi in cui si è tentato di aggirare tale norma.In realtà non tutti i trattati possono essere registrati (ad esempio un accordo tacito),perciò la Corte Internazionale di Giustizia ne deve tener conto. Poi ci sono dei casi dubbi se un certo atto è o non è un trattato internazionale; in questo caso si ritiene che se gli Stati erano in buona fede e non avevano intenzione di nasconderlo,quindi vi sia stato il rispetto dell’esigenza di pubblicità diplomatica,la norma può essere interpretata con maggior elasticità.

25 03 2010

PROCEDIMENTI D I STIPULAZIONE DEI TRATTATII trattati possono essere stipulati essenzialmente, a parte gli accordi taciti, mediante un procedimento solenne che include la ratifica, quindi non basta la firma alla conclusione del negoziato;per alcune categorie di trattati molte costituzioni prevedono che la ratifica venga preceduta da una legge di autorizzazione del Parlamento che comporta un controllo sulla giuridicità politico - diplomatica del

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Governo. Queste regole sulla competenza a stipulare di certi organi interni rispetto ad altri possono qualche volta non essere rispettate, a volte viene fatto deliberatamente per motivi di celerità altre volte invece può essere fatto involontariamente perché per esempio ci sono delle norme di interpretazione vaga che possono essere interpretate in un modo o nell’altro, questo per esempio in Italia avviene per l’art.80 cost., avviene soprattutto per una delle cinque categorie indicate da questo articolo e cioè per gli accordi di natura politica che è soggetta a interpretazioni di vario genere. Nella nostra prassi costituzionale ci sono stati molti casi in cui il Governo è stato accusato di non aver rispettato queste regole;ci sono stati dei casi più dubbi, altri più sicuri come per esempio l’adesione alle Nazioni Unite dell’Italia che come altri paesi che avevano perduto la seconda guerra mondiale, l’Italia venne tenuta per un periodo in quarantena in cui l’ammissione avvenne molti anni dopo che le Nazioni Unite avevano cominciato a funzionare; la domanda di ammissione era stata presentata dal nostro Governo nel 1947, pochi mesi prima che entrasse in vigore la Costituzione, ma l’ammissione ebbe luogo nel 1955; poiché la Costituzione era entrata in vigore dopo che la domanda di ammissione era stata presentata, alcuni sostennero che sarebbe stato necessario rinnovare la domanda di ammissione in modo da rispettare le regole dell’art.80 e dell’art.87 cost. . La stessa questione è stata posta in un altro caso dubbio e cioè quando l’Italia, dopo aver ratificato la Convenzione europea dei diritti dell’uomo che nel testo originario prevedeva che la sottoposizione agli organi di controllo(Commissione e Corte europea dei diritti dell’uomo)non era automatica per il fatto in sé di aver ratificato la Convenzione ma occorreva rendere una dichiarazione unilaterale con la quale lo stato poteva accettare di sottoporsi alla competenza degli organi di controllo;questa dichiarazione unilaterale era un atto che comportava obblighi di regolamento giudiziario di controversie possibili e quindi rientrava nell’art.80, inoltre il Parlamento aveva autorizzato la ratifica alla Convenzione quindi ci si è domandato se fosse necessaria un’autorizzazione del Parlamento perché il governo rendesse l’atto unilaterale poiché l’Italia solo nel 1973 accettò per la prima volta questa competenza degli organi di controllo. Il motivo politico consisteva nel fatto che c’era la controversia per l’Alto Adige con l’Austria e questo rendeva l’Italia dubbiosa su questa possibilità perché c’era il dubbio che gli impegni assunti in quella materia con l’Austria non fossero integralmente rispettati dal nostro governo. Questa dichiarazione venne resa senza l’autorizzazione del Parlamento, ma siccome il Parlamento aveva già autorizzato la ratifica del trattato che prevedeva la possibilità per il governo di rendere la dichiarazione unilaterale anche qui si può pensare che si tratta di un’interpretazione un po’ troppo rigoristica;è però vero che siccome questa dichiarazione venne resa per tre anni e poi con la clausola di rinnovo successivo l’Italia continuò ogni tre anni a rinnovarla la prassi si orientò che dopo i primi tre anni ci fu sempre una legge di autorizzazione del Parlamento a rendere la dichiarazione unilaterale, quindi in questo caso il rispetto formale dell’art.80 c’è stato. Viceversa ci sono stati dei casi in cui si trattava di trattati per i quali ci voleva la ratifica alla legge di autorizzazione mentre il governo li stipulò in forma semplificata impegnandosi solo con la firma, alcuni erano trattati anche molto importanti per esempio il memorandum di Londra del 1954 con cui si fece una vera e propria spartizione del territorio di Trieste tra l’Italia e la Jugoslavia perché dopo la seconda guerra mondiale siccome era una zona di confine contestata era stato creato un sistema di amministrazione internazionale sottoposto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, cosiddetto territorio libero di Trieste(TLT)che doveva essere amministrato sotto la supervisione di un commissario nominato dal Consiglio di sicurezza; poi successe che tale Consiglio non funzionava, era paralizzato per effetto della guerra fredda tra USA e Unione Sovietica perché quando gli USA volevano proporre qualche cosa l’Unione Sovietica poneva il veto e viceversa e il Consiglio di sicurezza non era in grado di deliberare; e allora utilizzando il principio rebus sic stantibus gli stati interessati insieme agli USA e all’Inghilterra a Londra fecero un nuovo accordo con il quale stabilirono che una parte era amministrata dall’Italia e un’altra dalla Jugoslavia. L’impegno dell’Italia venne deciso con la firma del nostro ambasciatore a Londra che firmò questo accordo e l’Italia estese la sua sovranità su Trieste e sulla parte che non è jugoslava adesso e quindi questo fu un caso in cui non venne rispettato l’art.80 cost. . Sempre in materia territoriale un altro caso di violazione fu un accordo tra Italia e Francia per la determinazione di alcune zone di frontiera che erano contestate (le falde ai piedi del Monte Moncenisio );anche qui c’erano contestazioni di territorio quindi doveva intervenire il Parlamento perché l’Italia delimitando il confine con la Francia accettava di rinunciare a zone di territorio su cui avrebbe potuto accampare

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delle pretese. La contestazione riguardava alcune concessioni di basi militari agli USA che erano trattati di natura politica importanti perché al tempo della guerra fredda comportavano l’esposizione dello stato italiano a possibili attacchi nucleari quindi il Parlamento sarebbe dovuto intervenire. Di questi trattati ce ne sono stati vari, uno è quello della concessione di basi degli USA all’isola della Maddalena e poi il caso dei missili perscing cuse per i quali in Germania intervenne la Corte costituzionale, erano missili da teatro cioè dei missili particolari che avevano la caratteristica di avere un effetto distruttivo mirato , questi missili vennero immessi nel territorio tedesco e italiano puntati contro i paesi dell’Unione Sovietica e anche questo fu fatto dal Governo senza consultare il Parlamento. Il Governo è stato criticato per anni di questo comportamento, soprattutto i governi degli anni ’70, che si sono sempre difesi con un argomento giuridicamente inconsistente e cioè dicendo che si trattava di meri accordi esecutivi del trattato NATO che prevede un sistema di difesa militare concordata, e siccome il Parlamento aveva autorizzato il trattato NATO questi accordi erano mera attuazione di impegni già presi;ciò non era vero perché il trattato NATO non prevede l’assunzione di accordi di questo tipo, i soli poteri che conferisce è quello di emanare raccomandazioni di carattere non vincolante. In tutti questi casi si pone il problema di sapere quale effetto giuridico produce sulla validità del trattato;per il diritto internazionale l’ordinamento dello stato in via di principio è di fatto, la sua organizzazione giuridica non ha rilievo diretto nel diritto internazionale anzi esiste un principio che in materia di diritto dei trattati indicato dall’art.27 della Convenzione di Vienna:”Una parte non può invocare le disposizioni del suo diritto interno per giustificare la mancata esecuzione del trattato”cioè non c’è un rilievo giuridico diretto della violazione delle norme di diritto interno sul piano del diritto internazionale questo non esclude che si possa formare una norma consuetudinaria del diritto internazionale secondo cui entro certi limiti lo stato può invocare come causa suscettibile di iniziare il suo consenso a vincolarsi, quindi come elemento di invalidità del trattato anche sul piano internazionale, il fatto che non si è impegnato attraverso l’organo che era competente a vincolare. Art.46 della Convenzione di Vienna:”Il fatto che il consenso di uno stato a vincolarsi ad un trattato sia stato espresso in violazione di una disposizione del suo diritto interno riguardante la competenza a concludere trattati non può essere invocato dallo stato in questione come viziante del suo consenso a meno che tale violazione non sia stata manifesta e non riguardi una norma del suo diritto interno di importanza fondamentale . Una violazione è manifesta se essa è obbiettivamente evidente per qualsiasi stato e …”;norma di importanza fondamentale è quella dell’art.80 cost. che stabilisce che per le categorie più importanti dei trattati il Governo non ha il potere di vincolare lo stato se non dopo essere stato debitamente autorizzato dal Parlamento che deve autorizzare la ratifica; al di fuori delle materie dell’art.80 il problema non si pone perché in questo caso è una questione formale puramente procedurale se il governo stipula in forma semplificata cioè la firma che impegna lo stato oppure se c’è la riserva di ratifica però la ratifica non richiede l’autorizzazione del Parlamento. Oggi ci possono essere altri problemi che riguardano per esempio il trasferimento di molte materie e competenze da parte del nostro stato all’UE perché anche quelle sono norme del nostro diritto interno;da quando nel 2001 è stato modificato il titolo V della Costituzione anche le Regioni possono stipulare trattati nelle materie di loro competenza e qui si pone il problema della ripartizione delle competenze tra stato e regioni.L’art.46, come avviene per tutte le cause di invalidità dei trattati, funziona in connessione con un’altra norma, l’art.45 che è intitolato“perdita del diritto di invocare una causa di invalidità di un trattato o per un motivo di fuor di termine o per sospendere l’applicazione”:” Uno stato non può invocare una causa di invalidità di un trattato o un motivo per recederne o sospenderlo fuor di termine se dopo aver avuto conoscenza dei fatti irrilevanti ha esplicitamente accettato di considerare che il trattato sia valido o resta in vigore o continua ad essere applicato oppure a causa del suo comportamento si deve considerare che abbia fatto acquiescenza alla validità del trattato o al mantenimento in vigore o alla continuazione della sua applicazione”;questo è successo in molti casi perché il Parlamento benché le sue prerogative fossero state violate ha successivamente adottato delle leggi che davano la copertura finanziaria alle spese necessarie e che quindi mostravano a posteriori che lo stato sul piano internazionale non aveva l’intenzione di invocare quella causa di invalidità possibile quindi la situazione sul piano internazionale veniva sanata. Dal punto di vista del diritto interno la situazione

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può non essere la stessa, per esempio il fatto che il Parlamento intervenga tardivamente con delle leggi di esecuzione e quindi dimostri di accettare non sana la violazione della Costituzione perché tali violazioni non sono sanabili. Per l’obbligatorietà dei trattati la giurisprudenza di fronte ad un trattato stipulato in forma semplificata quando invece ci sarebbe voluta l’autorizzazione del Parlamento non applica il trattato, non lo applica perché se si tratta di materie per cui ci sarebbe voluta una legge di esecuzione quando manca la legge di autorizzazione manca anche una legge di esecuzione, se poi la legge di esecuzione viene data tardivamente la violazione della Costituzione rimane però di fronte ad un trattato che sul piano del diritto internazionale è valido non può più essere contestato e sul piano del diritto interno ha ottenuto le leggi di esecuzione necessarie la giurisprudenza non ha motivo di non applicarlo, ma in questo caso la violazione della Costituzione viene sanata dall’acquiescenza del Parlamento, l’acquiescenza vale solo sul terreno del diritto internazionale ma non produce effetto giuridico nella misura in cui l’accordo può essere eseguito e questo anche attraverso il meccanismo dell’art.10 cost. che poiché richiama nel nostro ordinamento le norme di diritto internazionale consuetudinario richiama anche la norma che stabilisce che ormai la situazione è sanata nel senso che non può essere più invocata l’invalidità quindi il trattato è efficace e obbligatorio per l’Italia e si ci sono le norme interne di esecuzione previste nel rango del nostro sistema delle fonti non c’è ragione di non applicarlo.Oggi la questione della competenza a stipulare è stata resa più complessa e la sovranità dello stato italiano, la libertà di azione politica del Governo, oggi è diminuita perché tende ad essere più compressa dalle comunità minori cioè dalle regioni che acquistano nuove competenze e che erodono le competenze dello stato e per effetto del fenomeno dell’integrazione europea; oggi la nostra possibilità di determinarci nel campo della politica estera è compressa da tutte e due le parti. Per quello che riguarda l’ UE ci sono problemi perché le competenze dell’ UE stipulare accordi internazionali sono oggi molto accresciute perché originariamente il trattato istitutivo della comunità europea prevedeva solo pochi casi limitati della competenza della comunità a stipulare, poi ci fu la celeberrima giurisprudenza della Corte di Giustizia inaugurata nel 1971 con la sentenza A.E.T.S. nella quale la corte enunciò per la prima volta il principio del parallelismo che deroga il principio di attribuzione che era discutibile perché il trattato prevedeva il principio di attribuzione e prevedeva che nei casi in cui era necessario un’azione della Comunità per realizzare uno degli obbiettivi della comunità senza che il trattato avesse previsto i poteri di azione a ciò necessari era il Consiglio che a unanimità poteva adottare i provvedimenti necessari, invece la Corte di Giustizia riteneva che la comunità nelle materie di competenza ad adottare atti interni ha anche la competenza vincolare la Comunità sul piano internazionale; questa giurisprudenza ha allargato molto i confini dell’azione comunitaria in questa materia e ciò è stato accettato dai governi la Comunità ha visto allargare le sue competenze ed è sorto il problema dell’incertezza dei confini di queste competenze; adesso il Trattato di Lisbona ha una norma che modifica le regole che esistevano nel tratto CE prima della sua trasformazione in UE, ma anche qui si tratta di regole che sono altrettanto vaghe nella delimitazione delle competenze tra gli stati membri e UE. L’art. 216 dice che: “ L’Unione può concludere un accordo con uno o più paesi terzi oppure con organizzazioni internazionali qualora i trattati lo prevedano oppure quando la conclusione di un accordo sia necessaria per realizzare nell’ambito delle politiche dell’Unione uno degli obbiettivi fissati ai trattati oppure sia prevista in un atto giuridico vincolante dell’Unione oppure possa incidere su norme comuni”, quindi i confini sono molto vaghi. Quando la competenza è incerta o in caso di materie che prevedono in parte la competenza dell’Unione e in parte quella degli stati membri c’è la prassi di concludere accordi misti, l’accordo ha come contraente da una parte l’unione per le materie di sua competenza e dall’altra gli stati membri. Per quanto riguarda la competenza stipulare la questione può essere ancora più dubbia può essere la questione di sapere se c’è stata o non c’è stata una violazione delle norme sulla competenza stipulare in casi del genere; non trattandosi di situazione in cui la violazione è manifesta nessuno stato potrebbe far valere come causa di invalidità del trattato il fatto di aver agito in una materia di competenza dell‘Unione.Il problema diverso che riguarda gli accordi stipulati in forma mista è che questi accordi comportano una perdita di sovranità dello stato in misura maggiore di quella che risulta dal fatto che certe materie sono di competenza dell’Unione perché quando si fa il negoziato la corte di giustizia ha detto che c’è un

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principio di unicità di rappresentanza dell’Unione nei rapporti con l’esterno che bisogna osservare anche quando l’accordo è stipulato in forma mista e poiché gli stati membri sono vincolati dal diritto dell’unione al rispetto del principio di lealtà comunitaria cioè del principio di leale collaborazione e allora devono condurre il negoziato con delle direttive unitarie e in alcuni casi si è dato alla Commissione la delega da parte del Consiglio a negoziare non solo nella parte della competenza comunitaria ma anche per la parte di competenza degli stati;il risultato è che questa negoziazione unitaria fa si che anche nelle materie di competenza degli stati gli stati perdono buona parte della loro possibilità di avere sul piano individuale di avere delle posizioni proprie durante il negoziato e quindi anche in materie che sarebbero di competenza dello stato italiano alla fine accettiamo di stipulare in forma collettiva degli accordi per cui non abbiamo voce in capitolo oppure non siamo in grado di far valere le nostre posizioni.L’aspetto del federalismo di quella parte che è stata realizzata con legge del 2001 che ha modificato il titolo V della Costituzione introducendo delle competenze in materia degli stati;questa legge costituzionale del 2001 senza che ci fosse un grande accordo tra tutte le forze politiche del Parlamento è stata adottata con una certa ambiguità;la norma di riferimento è l’art.117cost. che stabilisce come principio generale al secondo comma che l’attività internazionale dello stato nei rapporti con l’UE sono di competenza del governo centrale poi nei commi successivi indica quali sono le materie di competenza regionale, quali sono quelle di competenza statale e quali quelle di competenza ripartita;per quanto riguarda la stipulazione dei trattati c’è una disposizione specifica nel comma8 che dice:”Nelle materie di sua competenza la regione può concludere accordi con stati e intese con enti territoriali interni ad un altro stato nei casi e con le forme disciplinate dalle leggi dello stato”, si può dire che anche qui c’è un principio di parallelismo come quello che la Corte di giustizia ha enunciato per l’UE;questo comma inoltre deve coesistere con il principio enunciato all’inizio dalla norma e cioè che le relazioni internazionali dello stato sono di competenza dello stato e non della regione, quindi la norma è molto limitata nella sua portata.Nella legge di attuazione(legge 5 giugno 2003 n.131)viene precisato quali sono i casi in cui la regione ha competenza a concludere accordi internazionali e quali sono le modalità alle quali la regione si deve assoggettare; l’art6 di tale legge dice che:”..le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano nelle materie di propria competenza legislativa possono concludere con altri stati accordi dei seguenti tre tipi:-accordi esecutivi e applicativi di accordi internazionali regolarmente entrati in vigore-accordi di natura tecnico-amministrativa -accordi di natura programmatica finalizzati a favorire lo sviluppo economico sociale e culturale delle regioni”; poiché la regione non è un soggetto internazionale ma un organo dello stato italiano, l’accordo stipulato dalla regione non vincola la regione ma vincola lo stato e quindi invece di essere concluso dal potere centrale è concluso da un organo territoriale locale ma è concluso in nome dello stato italiano.Altro problema è quello delle disposizioni finali del trattato, disposizioni relative all’entrata in vigore del trattato se ci vuole o meno la ratifica ecc..;una volta ci si domandava se queste disposizioni fossero giuridicamente obbligatorie o fossero solo osservate di fatto(problema oggi risolto dalla Convenzione di Vienna);tali disposizioni sono efficaci perché viene previsto che possono negoziare e possono vincolare lo stato quindi anche quando c’è bisogno della ratifica hanno già effetto obbligatorio e quindi hanno effetto giuridico fin da subito; problema oggi risolto dalla Convenzione di Vienna che dice all’art.24:”Un trattato entra in vigore secondo le modalità allegate e fissate dalle sue disposizioni o concordate tra gli stati che hanno partecipato alla negoziazione”, ancora più specifico è il paragrafo 4:”le disposizioni di un trattato che disciplinano l’autenticazione del testo, la formazione del consenso degli stati a vincolarsi, le modalità e la data dell’entrata in vigore, le riserve, le funzioni depositarie,nonché le altre questioni che si pongono necessariamente prima dell’entrata in vigore del trattato sono applicabili a partire dal momento dell’adozione del testo ”;quindi l’art.24 dice che sono disposizioni giuridiche e si applicano sin dall’adozione anche se il trattato non è entrato in vigore.Altra questione riguarda l’applicazione in via provvisoria, in alcuni casi gli stati concordano che in attesa della ratifica cioè dal momento in cui lo stato si è internazionalmente obbligato e dunque è

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tenuto a rispettare il trattato, i negoziatori concordano l’applicazione provvisoria;qualche volte questo succede quando ci sono motivi di urgenza, per esempio in Italia è successo per i casi in cui ha stipulato accordi relativi alla partecipazione di truppe italiane alle missioni di pace delle Nazioni Unite all’estero.L’applicazione provvisoria ha effetto giuridico ma tale effetto è particolare perché siccome lo stato non si è ancora vincolato e ha sempre la libertà di decidere se accettare o no un trattato, non ha l’effetto giuridico pieno di un trattato già in vigore e allora la spiegazione che si da è che è un effetto giuridico non vincolante, cioè lo stato può sempre decidere di non voler praticare il trattato ma in questo caso l’applicazione provvisoria poi prende fine;se lo stato dichiara che non intende ratificare il trattato e quindi l’acquisizione provvisoria cessa però non retroagisce;questa disciplina è contenuta nell’art.25 della Convenzione di Vienna.LE RISERVE AI TRATTATILa riserva è una clausola che lo stato appone al momento in cui si impegna a osservare il trattato , nel momento della ratifica o dell’adesione o della firma, con cui lo stato inserisce una limitazione cioè esclude nei suoi confronti l’applicazione di una parte del trattato, si parla in questo caso di riserva eccettuativa;ci possono essere riserve diverse, c’è la riserva interpretativa e la riserva modificativa. La riserva interpretativa è quella in cui uno stato dice fin da subito che lui accetta una certa norma del trattato ma la accetta a condizione che quella norma sia interpretata a modo suo;la riserva modificativa è quella che un trattato in uno stato quella norma nei suoi confronti è in vigore per una modificazione. Le riserve accedono solo nei trattati multilaterali;lo scopo delle riserve è di favorire la partecipazione degli stati alle grandi convenzioni internazionali multilaterali. Se si abbonda troppo nelle riserve si rischia di minare la consistenza degli obblighi che si sono raggiunti e quindi anche la possibilità del trattato multilaterale di raggiungere il suo obbiettivo perché se molti stati fanno molte riserve importanti alla fine il trattato viene ridotto a poco e quindi il progetto di realizzare certi risultati con l’accordo internazionale finisce per essere realizzato solo in maniera parziale. In materia di riserve c’è stata un’evoluzione della prassi che ha portato a modifiche notevoli del regime giuridico delle riserve tant’è vero che anche la Convenzione di Vienna ha codificato il diritto dei trattati in questa materia così com’era nel 1969 ma è già stata superata dalla prassi sotto molti aspetti a tal punto che già nel 1995 la Commissione del diritto internazionale ha deciso di riprendere gli studi in materia di riserve e ha previsto di adottare nuove regole ma non ha ancora raggiunto nessun risultato. L’evoluzione ha riguardato l’ammissibilità delle riserve:il diritto internazionale classico partiva dal principio dell’integrità dei trattati che implicava che il testo del trattato dovesse essere uguale per tutti gli stati contraenti e quindi le riserve erano ammesse difficilmente ed era necessario che fossero già previste dal testo dell’accordo che veniva negoziato; se l’accordo non prevedeva questa possibilità e uno stato al momento della ratifica faceva una riserva non prevista dal testo dell’accordo questa riserva era ammissibile solo se fosse stata accettata all’unanimità da tutti gli stati contraenti;questa regola aveva già un’eccezione a livello regionale in America latina perché i paesi membri dell’Unione Panamericana(oggi organizzazione degli stati americani creata dopo la seconda guerra mondiale)avevano la prassi secondo cui se uno stato voleva apporre una riserva al trattato poteva farlo anche se non era previsto originariamente e non era necessario che l’accettassero tutti perché se alcuni l’accettavano il trattato entrava in vigore tra lo stato che aveva fatto la riserva e gli stati che l’accettavano se altri non l’accettavano nei loro confronti il trattato non entrava in vigore con lo stato che aveva proposto la riserva quindi veniva meno l’idea dell’integralità e vi era una differenziazione che era possibile a seconda del tipo di obbligo, doveva trattarsi di un obbligo suscettibile di adempimento separato;dopo la seconda guerra mondiale la consuetudine latino americana ha finito per essere accettata su scala universale e la sua accettazione risale ad un famoso parere reso dalla Corte internazionale di giustizia all’assemblea generale delle Nazioni Unite del 1951 che era il caso delle riserve alla convenzione sul genocidio, una delle prime convenzioni importanti di diritto umanitario con la quale gli stati si obbligavano a reprimere un crimine così barbaro e così grave; questa convenzione conteneva una regola che stabiliva per le controversie tra gli stati che ratificavano il trattato relative alla sua interpretazione e applicazione una clausola di accettazione della giurisdizione obbligatoria della Corte internazionale di giustizia, a quell’epoca i paesi dell’Unione

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Sovietica e dell’est europeo essendo in polemica con i paesi maggioritari dell’occidente non accettavano obblighi di soluzione internazionale delle controversie da parte del giudice internazionale però avrebbero voluto ratificare la convenzione sul genocidio ma c’era questa norma, il testo della convenzione non prevedeva la possibilità di fare una riserva a questo articolo e allora in Assemblea generale si decise di chiedere un parere alla Corte internazionale di giustizia la quale disse che la regola generale era quella generale del trattato ma che ci possono essere dei casi particolari, come questo, e quindi la riserva si poteva ammettere perché non era contraria con lo scopo essenziale del trattato. Questa regola divenne una regola consuetudinaria accettata da tutti gli stati;la Convenzione di Vienna ha codificato queste regole che troviamo negli artt.19 e ss..L’art.20 prevede l’accettazione delle riserve da parte degli stati e le obiezioni alle riserve;la disciplina contenuta in tale articolo è che lo stato che vuole fare una riserva non prevista dal trattato deve notificarlo a tutti gli altri stati contraenti che hanno 12 mesi di tempo per decidere se l’accettano o se fanno obiezione, se fanno obiezione il trattato non entra in vigore per lo stato che ha reso l’obiezione . L’art.20 par.4 lettera b dice:”l’obiezione fatta ad una riserva da parte di un altro stato contraente non impedisce che il trattato entri in vigore tra lo stato che ha fatto l’obiezione e lo stato che è stato autore della riserva a meno che lo stato che ha formulato l’obiezione non abbia espresso un’intenzione nettamente contraria all’entrata in vigore”;perché si verifichi l’effetto giuridico dell’obiezione occorre un’obiezione netta.La dottrina si è domandata che funzione giuridica ha l’obiezione alla riserva non accompagnata alla netta manifestazione di volontà contraria all’entrata in vigore del trattato;non ha nessun effetto giuridico perché se non impedisce l’entrata in vigore del trattato tra le parti con gli effetti stabiliti dalla riserva la riserva ha avuto successo, quindi lo stato ha obbiettato ma non essendosi nettamente espresso in senso contrario all’entrata in vigore l’obiezione non produce alcun effetto giuridico. Questa regola è stata poi accettata anche dalla prassi successiva per esempio il caso della sentenza di un tribunale arbitrale che avevano creato Francia e Inghilterra per delimitare le rispettive piattaforme continentali nel mare del Nord e poiché c’era una riserva che era stata fatta dall’Inghilterra, l’art.6 della Convenzione di Ginevra del 1958 sul diritto del mare, e la Francia aveva fatto una obiezione a questa riserva non netta il tribunale arbitrale ha interpretato nel senso che la convenzione era entrata in vigore ugualmente nonostante la riserva perché non c’era questa netta opposizione all’entrata in vigore.Per quanto riguarda l’effetto della riserva essa ha un effetto di reciprocità ciò significa che gli stati non riservanti tra di loro sono obbligati a rispettare tutto il trattato inclusa la parte su cui è caduta la riserva nei rapporti reciproci, lo stato riservante non è obbligato nei loro confronti ma neanche questi sono obbligati nei suoi; questo effetto di reciprocità delle riserve può differenziarsi a seconda del tipo di obbligo contenuto nel trattato:ci sono obblighi che sono scindibili nel senso che sono suscettibili di essere adempiuti o meno separatamente per fasce di stati contraenti, ci sono invece obblighi di tipo integrale che uno stato o li adempie o non li adempie non può differenziare il suo comportamento nei confronti di alcuni o non di altri. Sul piano giuridico l’effetto di reciprocità per queste due diverse categorie di obblighi opera in maniera diversa, opera in maniera identica sul piano della responsabilità per inadempimento, perché sia che l’obbligo è differenziabile sia che non lo è, in ogni caso se c’è un inadempimento dell’obbligo lo stato che ha fatto la riserva non può far valere la responsabilità per chi non l’ha adempiuto possono farla valere solo gli altri però sul piano dell’esecuzione se l’obbligo non è differenziabile non c’è la possibilità di diversificare il proprio comportamento se invece c’è la possibilità di diversificare il comportamento l’effetto di reciprocità produce effetti più penetranti perché non è solo una questione di responsabilità per inadempimento ma è una questione che nei confronti di alcuni va adempiuta nei confronti di altri no, quindi i comportamenti da tenere nei confronti degli stati riservanti e non riservanti sono diversi;questo ha rilievo nell’applicazione interna del trattato.

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Vediamo che cosa succede se la riserva è invalida cioè che lo stato appone ma che non poteva apporre perché il trattato la vietava espressamente oppure perché era incompatibile con lo scopo e con l’oggetto del trattato, si tratta dunque di una riserva che non può produrre il suo effetto. Lo stato consentiva a vincolarsi all’accordo con quella riserva, quindi la riserva era per lo stato condizione essenziale per la sua partecipazione all’accordo, la conseguenza è che se la riserva non è ammissibile e quindi non può produrre effetto lo stato non diventa parte dell’accordo perché non ha dato il suo consenso; questa è la soluzione che si ricava dalla stessa struttura della situazione. Su questo punto c’è una prassi contestata che riguarda un settore specifico delle convenzioni internazionali in materia di protezione dei diritti dell’uomo perché queste convenzioni sono convenzioni nelle quali oltre agli stati contraenti i quali possono esprimere la loro posizione riguardo all’accettabilità o meno di una riserva ci sono degli organi di controllo come la Corte europea dei diritti dell’uomo, il Comitato delle Nazioni Unite, la corte interamericana dei diritti dell’uomo i quali amministrano e gestiscono la convenzione e possono dire la loro; questi organi ad un certo punto hanno cominciato a sostenere una tesi diversa. Aveva iniziato ad inaugurare questa prassi la corte interamericana dei diritti dell’uomo la quale ha una competenza che non hanno gli altri due organi e cioè può in base al trattato istitutivo rilasciare dei pareri su richiesta dei giudici nazionali; in alcuni pareri che risalgono agli anni 80 la corte interamericana aveva sostenuto la tesi che se uno stato appone ad una convenzione in materia dei diritti dell’uomo una riserva che non è ammissibile il risultato è che lo stato non solo è parte della convenzione ma è obbligato anche alla norma alla quale voleva apporre la riserva. Questa stessa idea è stata applicata dalla corte europea dei diritti dell’ uomo in due sentenze che riguardano la norma della convenzione sulle riserve che prevede dei limiti alla possibilità degli stati di fare delle riserve, l’art.64 della convenzione ora art.57 dice :” Ogni stato dal momento della firma della presente convenzione o del deposito del suo strumento di ratifica può formulare una riserva che riguarda una particolare disposizione della convenzione nella misura in cui una legge in quel momento in vigore nel suo territorio non sia conforme a quella disposizione, le riserve di carattere generale non sono autorizzate dal presente articolo in oltre ogni riserva emessa in conformità del presente articolo comporta un breve esposto della legge in questione”.Il primo caso di questo genere che si presentò davanti alla corte era il caso Belilos, cittadina svizzera che faceva delle manifestazioni insieme ad altre persone non autorizzate e le autorità svizzere avevano fermato e trattenuto questi manifestanti e le autorità svizzere avevano inflitto a questa signora Belilos una sanzione pecuniaria per aver partecipato a questa manifestazione non autorizzata; il diritto svizzero ha una tradizione in cui per alcuni settori per le funzioni che in altri paesi vengono affidate all’autorità giudiziaria sono affidate in Svizzera all’autorità amministrativa e le prime fasi del procedimento di inflizione di sanzioni pecuniarie per violazioni amministrative si svolgono davanti a questa autorità amministrativa; contro le decisioni assunte da tale autorità è possibile ricorrere all’autorità giudiziaria ma solo per motivi di legittimità; di conseguenza la Svizzera aveva fatto una riserva all’art.6 della convenzione europea dei diritti dell’uomo che stabilisce il principio del diritto di ogni persona di avere un processo davanti ad un giudice indipendente, questa prima parte del procedimento si svolge in pubblico davanti al giudice amministrativo e allora la svizzera aveva fatto questa riserva di carattere generale che riguarda il procedimento di sanzionamento delle sanzioni pecuniarie amministrative in secondo luogo mancava quest’ esposto della sua legislazione di

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conseguenza la riserva fatta dalla Svizzera non era conforme all’art.57 e quindi non era autorizzata dalla convenzione; la corte ha detto che la riserva era invalida e quindi non poteva essere accolta però la conseguenza giuridica che ne ha tratto suonò alquanto stupefacente della dottrina di quell’epoca, però questo non vuol dire che la Svizzera non è parte della convenzione o non è vincolata al rispetto dell’art.6 perchè si può presumere che la svizzera anche se questa riserva non fosse stata possibile la convenzione l’avrebbe accettata lo stesso e quindi là dove la riserva non è valida non può essere presa i considerazione dalla corte ma consideriamo la Svizzera vincolata da questa disposizione.Qualche anno dopo c’è stato un secondo caso davanti la corte europea dei diritti dell’uomo, il caso loizidou che riguardava la Turchia che aveva occupato militarmente una parte dell’isola di Cipro e la signora Loizidou era proprietaria di una casa in quella zona e i militari che avevano occupato quella parte dell’isola di Cipro gli avevano impedito di accedere alla sua abitazione e allora questa signora riteneva che le autorità turche avevano violato il primo protocollo aggiunto alla convenzione europea dei diritti dell’uomo che tutela il diritto di proprietà e quindi aveva ritenuto ingiustificato questo provvedimento e si era rivolto alla corte.La Turchia aveva fatto la riserva aderendo alla convenzione europea dei diritti dell’uomo in cui diceva che la voleva applicare soltanto al territori nazionale turco e non al territorio di Cipro poiché l’art.1 della convenzione europea dei diritti dell’uomo dice che gli stati contraenti sono obbligati a rispettare i diritti dell’uomo in qualunque situazione in cui una persona è sottoposta al loro potere e non soltanto quando questo avviene nel loro territorio metropolitano ma in qualunque altra circostanza allora dato che i requisiti per la legittimità dell’apposizione di questa riserva previsti dal’art.57 non erano rispettati la corte disse che questa riserva non era ammissibile e arrivò la conclusione che la Turchia doveva intendersi obbligata a rispettare la convenzione anche per quanto riguardava l’occupazione militare di Cipro anche se la Turchia non aveva competenze in questa materia. A questa posizione della corte europea ha fatto riscontro la posizione del comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’uomo che nel 1994 ha emesso un primo parere sul funzionamento in generale del patto delle Nazioni Unite in cui ha sostenuto questa stessa tesi che le riserve inammissibili dovevano considerarsi come non apposte ma non impedivano l’obbligatorietà delle norme della convenzione per gli stati che avevano partecipato. Nel 1999 il comitato delle Nazioni Unite prese una sua decisione in questa materia nel caso Kennedy contro Trinidad & Tobago, questo era un cittadino di questo stato condannato a morte in questo paese e tale stato aveva fato una riserva con la quale diceva che i diritti che gli artt.5 e 6 della convenzione riconoscono ai detenuti ,gli accusati ecc… loro facevano la riserva che non volevano applicarla ai detenuti condannati a morte; anche qui il comitato sostenne che la riserva non era ammissibile per le condizioni richieste dal patto e la conseguenza dell’inammissibilità era che Trinidad & Tobago era lo stesso vincolata alle disposizioni per la quale avevano dichiarato di non voler prestare il loro consenso; il risultato fu che Trinidad & Tobago ha immediatamente denunciato il fatto alle Nazioni Unite e si è ritirato dal patto. Per le convenzioni dei diritti dell’uomo c’è un’ esigenza sul piano internazionale di tutela dei diritti dell’uomo e se le riserve sono troppe s ‘indebolisce la funzione di tutela della convenzione il risultato è che oggi nelle convenzioni più recenti relativi a settori particolari sta cominciando a prendere piede una prassi di vietare ogni riserva il pericolo è che li stati non accettino questo. Il caso che è stato molto discusso è stato quello della convenzione del 1979 sulla tutela dei diritti della donna perché a questa convenzione hanno aderito buona parte dei paesi di diritto musulmano i quali però hanno fatto una quantità enorme di riserve perché il diritto musulmano non dà alla donna una condizione uguale a quella dell’uomo, anzi la tratta male; i musulmani però difendono la convenzione perché secondo loro non c’è una violazione dei diritti dell’uomo.Un altro elemento della nuova prassi che ha dato luogo a discussioni è che la riserva deve essere presentata dallo stato nello stesso momento in cui dà il suo consenso definitivo ad essere vincolato dalla convenzione; però adesso c’è una nuova prassi che viene definita delle riserve tardive per cui alcuni stati in alcune occasioni dopo che erano parte della convenzione introducono delle riserve ad un articolo e in alcuni casi tale riserva è stata accettata in alcuni stati e in questo caso si parla della norma consuetudinaria che ammette delle riserve tardive ma non si tratta di una riserva è un nuovo accodo che modifica la situazione precedente.

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Dal punto di vista del diritto interno la competenza ad apporre delle riserve pone il problema del rapporto tra le competenze internazionali dell’esecutivo nella conduzione delle relazioni internazionali delle relazioni esterne dello stato e il controllo parlamentare sulle competenze internazionali sull’esecutivo quindi nel nostro ordinamento riguarda l’interpretazione dell’art.80 cost. ; la questione molto dibattuta in dottrina e il caso in cui il governo non appone una riserva che il parlamento gli aveva chiesto di apporre ma il governo aggiunge riserve che il governo non aveva previsto, l’opinione prevalente è che questo il governo lo può fare perché la legge di autorizzazione a ratificare il trattato non obbliga a ratificare ma autorizza il governo che ha la discrezionalità politica di ratificare o no e dunque può ratificare apponendo una riserva che può essere sempre revocata, in secondo luogo può sempre essere opportuno perché certe volte gli uffici competenti possono anche scoprire che c’è un motivo che al Parlamento era sfuggito o motivo di opportunità politica o motivo giuridico di incompatibilità. Non sempre l’apposizione di una riserva si limita semplicemente a limitare l’impegno internazionale dello stato, può anche alterare l’equilibrio delle varie disposizioni del trattato perché il trattato con o senza quella riserva assume un significato diverso e quindi la volontà del Parlamento non viene tenuta in considerazione del Governo soprattutto se il caso è stato visto non tanto per le riserve di valore eccettuativo ma per gli altri tipi particolari di riserve, modificative o interpretative. Il Governo può legittimamente apporre qualsiasi tipo di riserva al trattato anche se il Parlamento non l’ha previsto; un caso famoso a questo riguardo è il caso Locched, scandalo della nostra vita politica, nel quale c’era allora in Italia il giudizio di responsabilità penale per i reati commessi dal presidente del Consiglio e dagli altri ministri era di competenza della corte costituzionale e a quell’epoca questo comportava che il giudizio davanti alla corte era di unico grado e quella regola aveva come conseguenza un’attrazione davanti alla corte per cui non soltanto gli imputati che avevano rango ministeriale ma anche eventuali coimputati che venivano chiamati laici, che non erano ministri, anche loro andavano a giudizio davanti alla corte, allora in quel caso, che era un caso di tangenti pagate dalla società americana che produce aerei locched che aveva venduto alla nostra aeronautica militare i famosi ercules C130, tra gli imputati c’era un generale dell’aereonautica militare che si chiamava il generale Fanali i cui difensori cercavano tesi giuridiche per cercare di difenderlo;il governo aveva detto che si poteva obbligare a osservare il doppio grado di giurisdizione come esige l’art.14 del patto delle Nazioni Unite dei diritti civili e politici ma per i processi in stato d’accusa dei ministri e del presidente del Consiglio davanti alla corte costituzionale perché non era possibile, quindi era ragionevole apporre questa riserva e allora i difensori avevano detto di voler ricorrere al Comitato delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo perché era stata violata la garanzia del doppio grado di giurisdizione per il generale Fanali e allora il Governo si era difeso dicendo di aver fatto la riserva quindi questa garanzia non si applica a questo tipo di processo davanti alla corte costituzionale e i difensori sostenevano che siccome il Parlamento quando autorizzava la ratifica della convenzione da parte del Governo non ha previsto l’apposizione di questa riserva ma il governo l’ha fatta di sua iniziativa e non ha rispettato la volontà del Parlamento quindi la riserva è invalida quindi lo stato italiano potrebbe in base all’art.46far valere l’invalidità e siccome è invalida il comitato delle Nazioni Unite ne deve tener conto;ma il Comitato disse che ciò non era vero e che l’Italia aveva apposto legittimamente questa riserva, il governo lo poteva fare e quindi la riserva era perfettamente valida ed efficace.

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Interpretazione dei trattati.

L’interpretazione dei trattati solleva un problema di rilevanza pratica perché i trattati vengono interpretati da diversi tipi di attori. In primo luogo sono interpretati da tutti quelli che li applicano, che può avere luogo nei rapporti internazionali tra gli Stati, per es. nei Tribunali internazionali per la soluzione di controversie; dalle organizzazioni internazionali che hanno la propria attività regolata dai trattati che le hanno istituite. In secondo luogo sono interpretate dagli operatori giuridici interni e allo stesso modo, possono essere interpretati da parte dei giudici,quando un Trattato è rilevante per la decisione di una causa, o dagli organi dell’amministrazione che hanno la propria attività regolata, anch’essi, dai trattati; ancora, da organi politici, dallo stesso Parlamento. L’interpretazione dei trattati è regolata da norme presenti nella Convenzione di Vienna, e riflettono quello che è oggi il diritto internazionale generale, agli art.31-32-33. Prima della Convenzione, l’interpretazione del Trattato era disciplinata da regole diverse, poiché la cooperazione tra gli stati era un fenomeno più limitato e perché c’era l’idea che i rapporti internazionali tra gli stati,anche quelli regolati dai trattati, fossero rapporti di natura politica e la competenza quindi ad interpretarli fosse quindi riservata agli organi politici; il ruolo degli operatori giuridici interni era più limitato e più limitato era anche il ruolo dei tribunali internazionali anche perché questi non erano istituzionalizzati come oggi. Oggi, molti trattati importanti hanno persino un organo giurisdizionale, istituiti dal Trattato, con competenze di interpretazione. Per esempio, la Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo, gli stessi trattati istitutivi dell’Unione Europea hanno il loro giudice specializzato. In sostanza, oggi, il ruolo degli organi politici è più limitata e si riflette sulle regole di interpretazione dei trattati. Una volta c’era il principio dell’ in dubio mitius, in sostanza, poiché gli stati limitano la propria sovranità, i trattati andrebbero interpretati in maniera restrittiva senza ritenere che gli stati hanno rinunciato alla loro libertà di agire. Ci sono casi celebri di tentativi di interpretazione restrittiva, ad esempio nel 1716, conclusa la guerra di successione spagnola, la Francia, si impegnò con il Trattato di Utrecht a non fortificare la città di Dunkerque, ma fortificò una città vicina, rispettando il Trattato interpretando in maniera restrittiva ma agendo al limite della mancanza di buona fede. Una simile interpretazione non sarebbe oggi ammissibile poiché l’art.31 della Convezione di Vienna dice che il Trattato deve essere interpretato in buona fede, seguendo il senso ordinario da attribuire al senso del Trattato e alla luce del suo oggetto o suo scopo. Si enuncia così il principio dell’interpretazione oggettiva e teleologica che non ammette interpretazioni restrittive ma al contrario implica che la norma deve essere interpretata con una espansione sufficiente a consentire la realizzazione del suo scopo nella figura più ampia possibile poiché l’obbiettivo tra le parti era appunto quello di realizzare lo scopo del Trattato. Uno dei principali problemi che riguardano l’interpretazione dei Trattati è la questione linguistica; i Trattati sono spesso redatti in più lingue e i testi linguistici possono non essere perfettamente corrispondenti sia per incidenti dovuti ad interpretazioni approssimative ed inesatte ma anche per il fatto che utilizzando termini giuridici, nel passaggio da una lingua all’altra, al confronto dei testi, questi presentino sfumature di significato da diverse da Stato a Stato. Inizialmente valeva il principio per cui per ogni stato valesse il testo nella propria lingua. I trattai bilaterali sono spesso stipulati nelle due lingue, i trattati multilaterali sono invece stipulati in più lingue, solitamente francese ed inglese e i trattati importanti sono spesso stipulati nelle lingue più diffuse. La Carta delle Nazioni Unite è, ad esempio, scritta in cinque lingue, le cinque lingue più parlate a livello mondiale: inglese, francese, spagnolo, russo e cinese. E’ stato poi aggiunto recentemente l’arabo, senza modificare però la Carta che invece riconosce solo i cinque testi. L’art. 33 della Convenzione di Vienna, in materia, specifica che dove sono presenti diversità tra i testi linguistici occorre confrontarli in maniera da individuare il significato che permette di

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conciliare meglio i testi in questione sempre tenendo conto dell’oggetto e dello scopo del Trattato. Anche qui l’interpretazione teleologica prevale e uno Stato non può pretendere di far valere il testo nella sua lingua come preferibile all’altro testo. E’ in reclino la prassi, una volta frequente, in Francia e nei pesi di common law, per cui quando il giudice doveva interpretare il Trattato, era tenuto in certi casi o in altri casi era il Governo che aveva la possibilità di intervenire in giudizio, per segnalare al giudice che l’interpretazione nazionale doveva essere prevalente. Questa prassi formava un obbligo in questi paesi, il giudice nazionale, in caso di dubbio, doveva chiedere il parere del Ministero degli Esteri; prassi condannata da un certo periodo, dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo nel 1994, in un processo in cui il Governo francese era parte del processo contro un privato. Lo stesso governo non può imporre al giudice la sua interpretazione, poiché così viene meno il principio introdotto dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che sancisce il principio del fair trial, il diritto ad un processo equo. Lo stesso termine fair è però tradotto con equo che ne sminuisce il significato, intendendosi per fair non soltanto equo ma leale. L’art.32 (lettura)

32. Mezzi complementari di interpretazioneSi può fare ricorso ai mezzi complementari di interpretazione, e in particolare ai lavori preparatori e alle circostanze nelle quali il Trattato è stato concluso, allo scopo, sia di confermare il senso che risulta dall'applicazione dell'art. 31, sia di determinare il senso quando l'interpretazione data in conformità all'articolo 31: lascia il senso ambiguo o oscuro; oppure conduce ad un risultato che è manifestamente assurdo o irragionevole.

L’interpretazione restrittiva può essere al più ammessa per i Trattati conclusi in condizioni ineguali. Nei Trattati di pace, in cui il vincitore è in grado di imporre delle clausole che sono sfavorevoli al vinto, l’ineguaglianza può essere bilanciata mediante interpretazione restrittiva.

Problemi più importanti in materia di interpretazione dei Trattati riguardano due categorie di Trattati: i Trattati istitutivi di organizzazioni internazionali e i Trattati che sono suscettibili di applicazioni nel diritto interno perché regolano questioni giuridiche che si ripongono nel diritto interno davanti ai Tribunali nei vari rami del diritto, per esempio le Convenzioni di Diritto materiale uniforme, le Convenzioni di diritto Internazionale Privato, quelle di estradizione. Sono accordi che gli Stati fanno a livello internazionale ma che riguardano una disciplina di problemi che vengono amministrati dai giudici negli ordinamenti interni. Per queste due categorie di trattati si pongono più problemi.Per quanto riguarda i problemi relativi ai Trattati istitutivi di organizzazioni internazionali c’è innanzi tutto il problema della competenza ad interpretarli. Gli organi che desumono dai Trattati i loro poteri, ogni volta che adottano una misura, una decisione, si trovano a dover interpretare il Trattato per individuare in primo luogo i limiti della propria competenza, in secondo luogo il contenuto dei poteri esercitati, non solo l’ampiezza. L’interpretazione è ovviamente guidata dallo scopo del Trattato e dell’organizzazione stessa. Gli organi che interpretano il Trattato in certi casi possono decidere all’unanimità o a maggioranza e allora possono esserci posizioni in una maggioranza diverse e non condivise da altri Stati ma tali Stati sono obbligati alla decisione della maggioranza se il Trattato prevede la possibilità di stabilire a maggioranza. Ci si domanda a questo punto quanto si è vincolati all’interpretazione. Non esistete un potere sovrano dell’organo dell’organizzazione internazionale in grado di interpretare sovranamente le norme del Trattato istitutivo. Così anche nel diritto interno accade che gli organi pubblici dello Stato interpretano la legge che devono applicare ma il privato, laddove non sia d’accordo, ad esempio di fronte ad un atto amministrativo che considera illegittimo, può ricorrere al giudice. Nel diritto internazionale invece, non sempre è disponibile un giudice. Quando c’è un interprete la questione è semplice come accade nell’esempio dell’Unione Europea dove è presente la Corte di Giustizia che ha il compito di verificare che gli atti adottati dall’Unione Europea siano conformi, sia nel loro contenuto sia per il limite delle competenze, alle prescrizioni dei Trattati e nei casi in cui le hanno eccedute, la Corte può annullare gli atti dell’istituzione. L’art. 263, sulla validità degli atti in via diretta, del Trattato sul funzionamento dell’Unione E. e art. 277.

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Art. 263, comma 2: A tal fine, la Corte è competente a pronunciarsi sui ricorsi per incompetenza, violazione delle formesostanziali, violazione dei trattati o di qualsiasi regola di diritto relativa alla loro applicazione, ovveroper sviamento di potere, proposti da uno Stato membro, dal Parlamento europeo, dal Consiglio o dallaCommissione.

In base all’art. 277 è invece previsto un giudice, la situazione quindi è analoga a quella che accade negli ordinamenti interni. Nella maggior parte delle situazioni però non è prevista la figura del giudice, come nelle Nazioni Unite, e in questo caso l’interpretazione è fatta dagli organi previsti dalla Carta ed è un interpretazione non necessariamente che non deve essere condivisa necessariamente da tutti gli altri membri delle Nazioni Unite. La Corte internazionale di Giustizia ha qui un ruolo limitato perché può emettere soltanto pareri, in base all’art. 96 della Carta delle Nazioni Unite e non è vincolante, ne per gli organi che hanno richiesto il parere, ne per gli Stati considerati individualmente. Se uno stato non si trova in accordo la situazione è la stessa di una controversia internazionale tra gli Stati e può essere quindi risolta o tramite l’accordo o tramite ricorso a giudice internazionale per esempio costituendo un tribunale arbitrale. Le interpretazioni che gli organi delle organizzazioni internazionali danno dei loro poteri, non essendo vincolanti, possono essere oggetto di riserve da parte degli Stati. Per le Nazioni Unite, ma anche per le altre organizzazioni internazionali, è regola che se gli Stati prestano quiescenza hanno diritto di far valere l’eventuale legittimità di un atto dell’organizzazione internazionale ma se la quiescenza non c’è stata possono benissimo contestarle. Ci sono stati numerosi casi di contestazioni da parte degli Stati di osservare atti, adottati da organi previsti dalla Carta delle Nazioni Unite, che erano da questi ritenuti illegittimi. Uno dei casi più famosi è quello delle spese sostenute dalle N.U. per alcuni casi di missioni di truppe che erano stati decisi dall’Assemblea Generale. In particolare, i due casi, riguardavano le truppe che le Nazioni Unite avevano mandato nel 1956 a Suez, nel periodo della crisi del Canale di Suez, per interporsi tra le parti litiganti, poiché l’Egitto aveva chiuso la navigazione del canale ed erano intervenuti Israele, Francia e Inghilterra. C’era un Trattato di base per cui l’Egitto lasciava libera la navigazione del Canale a questi paesi, così gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, avevano minacciato la Francia e l’Inghilterra, di intervenire a loro volta contro di loro. Fu una crisi internazionale gravissima, il Consiglio di Sicurezza era paralizzato dai veti reciproci, così l’Assemblea generale delle Nazioni Unite decise di sostituirsi al Consiglio di Sicurezza e di mandare le truppe cuscinetto che potevano garantire che cessassero il fuoco e che rimasero stazionarie nella zona. Un intervento dello stesso genere ci fu nel 1960 in Congo a causa di un veto dell’Unione Sovietica, il Consiglio di Sicurezza non riuscì a delibere e l’Assemblea Generale si sostituì anche in questo caso, prima in termini generali con una risoluzione a carattere generale, agendo contrariamente alla Carta art.11 par.2 che stabilisce che l’Assemblea Generale può occuparsi di questioni che riguardano il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale ma non può decidere azioni concrete.

Art 11, comma2, par2: Qualsiasi questione del genere per cui si renda necessaria un’azione deve essere deferita al Consiglio di Sicurezza da parte dell’Assemblea Generale, prima o dopo la discussione.

Decisioni di agire concretamente possono essere prese soltanto dal Consiglio di Sicurezza in base all’art. 42 della Carta. In molti casi però, come visto, può essere paralizzato dal veto di alcuni Stati. La Carta non prevede che, a causa del diritto di veto, il Consiglio di Sicurezza non possa adottare una risoluzione e disporre di un azione, e perciò l’Assemblea sostituirsi, anzi, afferma il contrario poiché la responsabilità per azioni di questo tipo è esclusiva del Consiglio di Sicurezza. L’Assemblea Generale aveva adottato nel 1949, in un ulteriore caso analogo, quando la Corea del Nord aveva invaso la Corea del Sud con l’appoggio della Russia, una famosa risoluzione definita “Uniting for Peace” con la quale aveva stabilito che quando il Consiglio di Sicurezza fosse paralizzato nel suo funzionamento l’Assemblea Generale lo poteva sostituire. La risoluzione contraria a ciò che stabiliva la Carta fu per alcuni anni sostenuta; la stessa dottrina riteneva si stesse formando una consuetudine poiché la Carta, essendo un Trattato, può essere modificata con la consuetudine. Ma la consuetudine necessita di accettazione da parte di tutti gli Stati, necessita di opinio iuris e di altri elementi che però mancavano.

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La controversia nacque dal rifiuto di alcuni Stati, Francia ed Unione Sovietica, di partecipare alle spese sostenute per gli aiuti già dati ad Egitto e Congo. L’Assemblea Generale, cui spetta, in base all’art.17, ripartire le spese dell’organizzazione tra gli Stati, fu colpevolizzata da questi Stati d’aver adottato risoluzioni illegittime e si rivolse, chiedendo un parere, alla Corte Internazionale di Giustizia. Questa sostenne che le spese dovevano essere pagate perché l’azione rientrava nella competenza dell’organizzazione , prendendo le distanze dall’interpretazione dell’art.42, che stabilisce i limiti e le competenze del Consiglio di Sicurezza e prevede misure coercitive, poiché in questa precisa situazione non si trattava di adottare appunto misure coercitive. Gli Stati non d’accordo seguitarono a non pagare sostenendo di non essere vincolati al parere della Corte e la questione rimase per anni in sospeso, finché non fu deciso che le spese sarebbero state pareggiate con contributi volontari dello Stato per porre fine alla controversia.

Il secondo importante problema è la tendenza della giurisprudenza degli organi delle organizzazioni internazionali di applicare all’interpretazione delle norme che definiscono i loro poteri la c.d. teoria dei poteri impliciti. La teoria ha le sue origini nelle Costituzioni degli Stati federali in cui c’è una ripartizione di competenze tra le entità federate e il potere centrale. In molte di queste Costituzioni viene seguito il sistema, accolto anche in Italia con la riforma del Titolo V, di enumerare i poteri del Governo centrale con una norma di chiusura che attribuisce tutte le altre competenze all’entità federale. La teoria dei poteri impliciti serve ad espandere, interpretando largamente i poteri enumerati dell’organo centrale,ad espanderne le competenze a danno degli Stati membri. Per esempio, nella costituzione degli Stati Uniti, all’art.10 sono enumerati i poteri che spettano allo Stato federazione ma l’art.1 contiene una clausola definita elastic clause che però dice che i poteri in base all’art.10 sono conferiti allo Stato, sono quelli specificamente enumerati, ma anche tutti quelli che sono necessari e appropriati per consentirgli di esercitare i poteri esplicitamente attribuiti. In sostanza, i poteri esplicitamente attribuiti, non devono essere interpretati in maniera cavillosa perché si corre il rischio della paralisi.; bisogna riconoscere un’estensione ragionevole a quei poteri collaterali che servono per poter esercitare le funzioni che l’apparato centrale si vede attribuiti dall’art.10 della Costituzione. La giurisprudenza della Corte Suprema degli Stati Uniti ha sempre ampiamente interpretato questa elastic clause ed ha perciò attribuito spesso poteri impliciti con una certa larghezza. C’è poi una seconda versione della teoria dei poteri impliciti per cui, per il raggiungimento degli scopi stabiliti dalla Costituzione o dal Trattato, tutti i poteri necessari per il loro raggiungimento devono intendersi come implicitamente attribuiti. Questa tesi è sostenuta da una sentenza storica del 1803 , Marbury-Madison della Corte Suprema degli Stati Uniti che sostenne la possibilità di esercitare un potere purché lo scopo sia legittimo. Quando si ha a che fare con uno Stato che è un ente a fini generali o con organizzazioni internazionali che hanno a loro volta fini molto ampi, si possono occupare di molte cose esercitando i poteri e le competenze che le sono state attribuite. Lo stesso accade per l’Unione Europea, anche qui le norme generali, art.3 del Trattato dell’Unione Europea, esprimono i fini dell’Unione che sono altrettanto ampi perciò, se si dice che qualsiasi potere può essere esercitato purché a vantaggio degli scopi, non ci sono più limiti all’ampiezza delle competenze esercitabili o relative al contenuto dei poteri che possono essere esercitati. Per quello che riguarda le Nazioni Unite la Corte di Giustizia si avvalse della teoria dei poteri impliciti per il parere del 1962 e dato queste avevano la competenza ad intraprendere operazioni mirate al mantenimento della pace, i poteri che mancavano dovevano intendersi implicitamente attribuiti. Nell’Unione Europea accade la stessa cosa, c’è il principio di attribuzione e una norma che stabilisce che cosa succede quando uno scopo dell’organizzazione deve essere raggiunto ma i Trattati non muniscono l’organizzazione dei poteri necessari. La norma, ex art.235, ora art. 352 ( Se un'azione dell'Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite nella parte III, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai Trattati, senza che quest'ultima abbia previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio dei ministri, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta le misure appropriate) prevede un procedimento che consente di trovare una soluzione nel rispetto del principio di attribuzione che richiede l’unanimità del Consiglio e anche il supporto dell’assunzione di poteri non conferiti dal Trattato e

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perciò non approvati dai Parlamenti nazionali. Se c’è unanimità degli Stati membri, il Parlamento europeo è d’accordo, l’Unione può attribuirsi un potere che non avrebbe per raggiungere il proprio scopo. La teoria dei poteri impliciti è esclusa da questa norma che invece la Corte di Giustizia ha più volte applicato in più di una circostanza e non si è limitata ad interpretare in maniera larga le disposizioni in relazione all’oggetto e allo scopo da art.31 della Convenzione di Vienna, far uso di un interpretazione teleologica, piuttosto ha preferito utilizzare l’effect utile (effetto utile) della disposizione, seguendo l’antico ut res magis valeat quam pereat per cui bisogna interpretare le norme in maniera conducente al raggiungimento dello scopo. L’ampliamento dei poteri dell’Unione avviene a discapito delle esigenze degli Stati. La Corte di Giustizia ha però fatto spesso uso della teoria dei poteri impliciti che dovrebbe invece ritenersi positivamente esclusa dal Trattato dalla presenza dell’art.352. Il caso più famoso dell’applicazione della teoria del parallelismo, benché il trattato avesse attribuito all’Unione e originariamente alla Comunità europea il potere di stipulare accordi internazionali soltanto in campi e in materie definite, non in qualsiasi materia, è stato utilizzato dalla Corte in una celebre sentenza del 1971, sent. Aetr, dov’è enunciata la teoria del parallelismo per cui in tutti i casi in cui l’Unione Europea ha delle competenze in materia interna parallelamente può anche stipulare accordi internazionali nonostante la norma del Trattato che prevede il procedimento che ha la garanzia dell’unanimità dei membri del Consiglio. Tale tesi è stata in parte ridimensionata dal successivo parere 1/94 che stabilisce che l’Unione deve aver già cominciato ad esercitare le sue competenze interne in una certa materia. Questa teoria dei poteri impliciti viene generalmente criticata e respinta alla dottrina dei paesi perché ha come risultato il trasferimento surrettizio delle competenze a organi internazionali con una conseguente sottrazione di competenze anche ad una serie di controlli di democraticità perché i Trattati internazionali sono Trattati in cui gli Stati si impegnano a degli obblighi che consistono anche nella partecipazione, entro certi limiti, e nella collaborazione con gli altri Stati. Nei rapporti internazionali tra gli Stati ciò che ha particolare importanza è l’atteggiamento stesso degli Stati poiché quando gli organi interpretano in maniera estensiva i propri poteri bisogna vedere qual è la reazione degli altri Stati, se c’è l’accettazione il fenomeno si svolge indisturbatamente, quando invece gli Stati si oppongono le organizzazioni internazionali non dispongono poi della possibilità di realizzare in concreto le proprie decisioni.

Un altro importante problema è quella relativo alla categoria di convenzioni che devono essere applicate dai giudici interni. Il caso più significativo riguarda le Convenzioni di diritto materiale uniforme, quanto gli Stati ritengono di avere non solo il diritto materiale ma anche il diritto internazionale privato, gli Stati ritengono di avere un interesse comune ad elaborare una disciplina uniforme di certe materie per evitare che ci siano conflitti tra le posizioni accolte nei vari ordinamenti che rende complicata la vita giuridica internazionale delle persone. Il principale problema è perciò quello di garantire uniformità d’interpretazione. L’art.31 della Convenzione di Vienna dice che i Trattati devono essere interpretati alla luce del loro oggetto e del loro scopo. Tutto ciò è ampiamente riconosciuto poiché molte convenzioni contengono questo principio definito “dell’autonomia interpretativa” delle Convenzioni internazionali di diritto uniforme, cioè la Convenzione, una volta immessa nell’ordinamento interno degli Stati, non deve essere sottoposto in ogni Stato a regole di interpretazione che quello Stato adotta normalmente per interpretare i suoi testi legislativi ma è autonoma; il significato delle situazioni giuridiche che usa la Convenzione deve essere unico e uguali per tutti. La formula più antica in materia ha avuto successo nella legge uniforme sulla vendita internazionale di cose mobili che fu fatta nel 1964. La stessa formula è stata ripresa poi dall’art. 7 della Convenzione di Vienna del 1080: “ai fini dell'interpretazione della presente Convenzione, sarà tenuto conto del suo carattere internazionale e della necessità di promuovere l'uniformità della sua applicazione, nonché di assicurare il rispetto della buona fede nel commercio internazionale.”. La stessa formula è contenuta nella Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali che è stata oggi sostituita dal regolamento 593/2008. L’art. 18 della Convenzione di Roma dice:

“Nell'interpretazione e applicazione delle norme uniformi che precedono, si terrà conto del loro carattere internazionale e dell'opportunità che siano interpretate e applicate in modo uniforme”.

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Ancora la stessa legge italiana di diritto internazionale privato, l.218 del 1995 all’art.2 regola i rapporti della legge con le Convenzioni internazionali in materia di diritto internazionale privato il quale dice: “Nell'interpretazione e applicazione delle norme uniformi che precedono, si terrà conto del loro carattere internazionale e dell'opportunità che siano interpretate e applicate in modo uniforme”.

Il principio dell’autonomia interpretativa delle Convenzioni di diritto materiale uniforme o di diritto internazionale privato uniforme o di tutte le Convenzioni è chiaramente stabilito. Anche riguardo altre categorie di Convezioni di frequente utilizzo, come le Convenzioni che riguardano i diritti dell’uomo, vale la stessa cosa. In quest’ultimo caso, la Corte dei diritti dell’uomo ha più volte affermato che i termini affermati dalla Convenzione devono essere interpretati in maniera svincolata dalle posizioni dei singoli ordinamenti interni ed in maniera autonoma.

Vista l’esistenza di questo altro problema, collegato già con il fattore delle diverse interpretazioni dei Trattati e Convenzioni da Stato a Stato, possono crearsi delle tradizioni interpretative giurisprudenziali che variano da un paese all’altro e soprattutto, l’operatore giuridico non è nemmeno consapevole della esistenza della possibilità di interpretare un’espressione giuridica in un senso o nell’altro perché ciascuno automaticamente si basa sulla propria esperienza.

Generalmente le Convenzioni internazionali adottano degli espedienti di varia natura come ad esempio il metodo di adottare norme definitorie o norme che indicano quali sono le categorie di questioni incluse o escluse dall’ambito di applicazione della Convenzione in modo da risolvere alcuni dei problemi d’interpretazione. Possono esserci delle soluzioni più semplici o più complicate, la migliore è quella di prevedere un giudice comune che gli Stati quando, creando la Convenzione, prevedono in un organo internazionale competente ad interpretare in maniera uniforme le disposizioni della Convenzione, che funge da Cassazione comune. La soluzione è stata utilizzata dalla Comunità Europea quando venne istituito negli anni ’50 la corte di Giustizia del Lussemburgo. Si è pensato dunque di approfittare di avere un organo giurisdizionale comune per demandargli questa competenza, tramite la Convenzione di Bruxelles del 1968 , trasfusa ormai in un regolamento 44/2001., stabilendo che la Corte di Giustizia aveva la competenza ad interpretare le norme della Convenzione sui limiti della giurisdizione, sulla competenza giurisdizionale e sul riconoscimento dell’esecuzione reciproca delle decisioni in materia civile e commerciale, competenza ad interpretare in maniera obbligatoria per gli Stati membri. Quando è stata fatta la Convenzione di Roma, per una serie di motivi di ordine politico, è stato difficile arrivare allo stesso risultato. Furono fatti due protocolli che attribuivano questa competenza, ma soltanto più tardi nel 1988 e con il gravissimo limite che non esiste per la Convenzione di Bruxelles, che neanche per gli organi di ultima istanza era obbligatoria ma facoltativa. Nonostante questo i protocolli entrati in vigore solamente nel 2004, non c’è stato nessun caso di interpretazione giudiziale.Il problema della difficoltà di arrivare a garantire che un testo elaborato sul piano uniforme dagli Stati viene veramente interpretato in maniera uniforme negli ordinamenti interni è molto difficile da risolvere completamente. Da poco il Belgio ha sottoposto a giudizio davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, la Svizzera, proprio per l’interpretazione della Convenzione di Lugano, Convenzione parallela alla Convenzione di Bruxelles, per le modalità lesive secondo il Belgio , dei propri diritti in cui i giudici dei Tribunali Svizzeri hanno applicato questa Convenzione che riguarda questioni di carattere privatistico.

Effetti dei Trattati nei confronti di terzi.

I Trattati non producono normalmente effetti nei confronti di terzi perché il Trattato per definizione è fonte di norme giuridiche che si crea sulla base del consenso. E’ stabilito dall’art.34 della convenzione di Vienna che “Un trattato non crea né obblighi né diritti per uno Stato terzo senza il suo consenso.”. E’

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però possibile che un Trattato possa prevedere, da parte degli Stati che lo stipulano, diritti per i terzi i quali possono prodursi a condizioni che il terzo lo accetti. I terzi possono, rimanendo all’esterno del Trattato, accettare gli effetti benefici o degli obblighi che il Trattato prevede ma che sono subordinati alla sua accettazione. Si tratta di ipotesi piuttosto rare perché sono abbastanza frequenti i Trattati in cui gli Stati prevedono una disciplina che può essere favorevole anche per Stati terzi. Il problema è di vedere se avevano o no l’intenzione di attribuire al terzo un diritto oppure se intendevano che il terzo rimanesse un beneficiario di puro fatto in una situazione di diritto-obbligo creatasi solamente tra di loro, senza che intendessero attribuire al terzo un diritto con la conseguenza che possono poi continuare a disporre della situazione tra di loro. Questa prima ipotesi è la più frequente. La Convenzione di Vienna regola sia gli accordi che prevedono obbliche che quelli che prevedono diritti agli art.35 e 36.

Articolo 35: Un obbligo per uno Stato terzo sorge da una disposizione di un trattato se le parti a questo trattato intendono creare l'obbligo per mezzo della suddetta disposizione e se lo Stato terzo accetta espressamente per iscritto l'obbligo suddetto.

Articolo 36 Trattati che prevedono diritti per Stati terziUn diritto per uno Stato terzo sorge da una disposizione di un trattato se le parti a questo trattato intendono, per mezzo di tale disposizione, conferire tale diritto vuoi allo Stato terzo vuoi a un gruppo di Stati di cui esso faccia parte, vuoi a tutti gli Stati, e se lo Stato terzo vi consente. Il consenso è presunto fin tanto che non vi sia un'indicazione contraria, a meno che il trattato non disponga altrimenti.

Cruciale in questa materia è vedere se gli Stati veramente intendevano offrire al terzo un diritto che il terzo, con l’accettazione, ha la possibilità di trasformare in situazione giuridica. Disposizioni di questo tipo sono molto frequenti nei Trattati che riguardano il regime delle vie d’acqua navigabili. Per esempio il Trattato di Belgrado, relativo alla navigabilità del Danubio, del 1948 o il Trattato di Strasburgo del 1963, sono convenzioni, che sono state stipulate tra gli stati in cui passano dei fiumi che vengono utilizzati per la navigazione a scopo commerciale, che normalmente hanno delle clausole con le quali viene stabilito che saranno disponibili per la navigazione a tutti i paesi del mondo. Questi Trattati non sono fatti per attribuire vantaggi ai paesi che non sono parte del Trattato ma perché gli stessi contraenti hanno un interesse al fatto che anche navi di bandiera diversa possano trasportare merci di interesse per l’economia del paese coinvolto. E’ evidente nel caso della Convenzione di Strasburgo sulla navigazione del Reno che è stata poi modificata nel momento in cui l’inquinamento del fiume è diventato un problema, restringendo la libertà di navigazione per i terzi, mettendo in evidenza come con tale Convenzione non si intendeva attribuire il diritto a terzi. Casi dello stesso tipo possono essere i Trattati di garanzia della neutralità di uno Stato che comportano un assunzione di obbligo nei confronti di un particolare Stato di rimanere neutrale, ma gli Stati terzi garantiscono la neutralità. Qui ci sono diritti e obblighi reciproci ma ci sono stati dei casi in cui il problema veniva regolato da altri Stati senza la partecipazione al Trattato. Caso più classico è quello del Trattato di Parigi del 1856, dopo la Guerra di Crimea, Francia Inghilterra e Austria si impegnarono a garantire l’inviolabilità territoriale della Turchia la quale era minacciata dalla Russia. Lo scopo politico era quello di evitare l’espansionismo verso occidente della Russia, problema che l’Europa ha sempre avuto sia prima che dopo la Rivoluzione russa del 1927. Normalmente quindi questi Trattati non intendono attribuire ai terzi un diritto.Lo stesso accade per gli obblighi. La Carta delle Nazioni Unite, a cui partecipano 192 Stati del mondo, stabilisce degli obblighi che non sono opponibile a Stati terzi che non vi partecipano. L’art.2 par.6 della Carta dice “L’Organizzazione deve fare in modo che Stati che non sono Membri delle Nazioni Unite agiscano in conformità a questi principi, per quanto possa essere necessario per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale”. I Problemi spesso sorgono quando si vogliono creare dei regimi che per funzionare dovrebbero valere per tutti gli Stati per es. circa la situazione attuale dell’Antartide che è regolata dal Trattato di Washington del 1959, a cui partecipano un certo numero di Stati, non tutti, che venne stipulato originariamente tra Stati che avevano degli interessi territoriali i quali

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decisero di mettersi d’accordo per congelare le rispettive pretese ed organizzare una serie di attività, come la salvaguardia dell’ambiente, coordinandosi tra di loro e rinunciando alle loro pretese in materia. L’art. 10 del Trattato “Ciascuna Parte contraente si obbliga ad adottare provvedimenti adeguati, compatibili con la Carta delle Nazioni Unite, per impedire, nell’Antartide, qualsiasi attività contraria ai princìpi o alle intenzioni del presente Trattato”, molto simile all’art 2 appena visto della Carta O.N.U., prevede l’obbligo di adottare misure lecite nei confronti dei terzi ma non c’è la possibilità di imporre loro la partecipazione al Trattato. Ancora, l’art.35 della Carta delle Nazioni Unite: “Ogni Membro delle Nazioni Unite può sottoporre qualsiasi controversia o situazione della natura indicata nell’articolo 34 all’attenzione del Consiglio di Sicurezza o dell’Assemblea Generale. Uno Stato che non sia Membro delle Nazioni Unite può sottoporre all’attenzione del Consiglio di Sicurezza o dell’Assemblea Generale qualsiasi controversia di cui esso sia parte, se accetti preventivamente, ai fini di tale controversia, gli obblighi di regolamento pacifico previsti dal presente Statuto. I procedimenti dell’Assemblea Generale rispetto alle questioni sottoposte alla sua attenzione in virtù di questo articolo, sono soggetti alle disposizioni degli articoli 11 e 12.”Anche qui non si intende conferire al terzo un diritto ma si vuole soltanto stabilire che l’Assemblea è l’organo di competenza a prendere in considerazione la situazione senza che gli Stati della carta abbiano conferito a tale organo questa competenza. I casi in cui con Trattati e Convenzione si sia voluto attribuire diritti ed obblighi agli Stati terzi sono normalmente rarissimi.Il principio dell’inefficacia dei Trattati nei confronti di terzi pone però un problema giuridico molto complesso e che si presenta al giorno d’oggi con enorme frequenza a causa del grande numero dei Trattati che regolano tutti i settori possibili della vita giuridica, economica e sociale, sia degli Stati che degli individui degli organi interni, è quello relativo alla presenza di Trattati incompatibili. Se uno Stato A stipula con uno Stato B un Trattato e successivamente ne stipula, con lo stesso Stato, un secondo Trattato, che contiene norme incompatibili con il primo, è ovvio che il secondo Trattato prevale sul primo che è abrogato implicitamente nella parte in cui contiene disposizioni incompatibili. Esattamente come accade negli ordinamenti interni per la successione delle leggi nel tempo o cosa che succederebbe in un contratto tra due privati. Il problema diventa più complesso se il Trattato stipulato tra A e B contiene una certa disciplina che confligge con il contenuto di un Trattato stipulato da A con C. In questo caso, il principio dell’inefficacia dei trattati nei confronti di Terzi, crea un problema complesso poiché nessuno dei due trattati è in grado di prevalere sull’altro. Sorge il problema delle incompatibilità tra norme convenzionali che può dare luogo a difficoltà sia sul piano dei rapporti internazionali tra gli Stati sia sul piano dei rapporti interni nei confronti degli organi giudiziari.

09 04 2010

Conflitto tra accordi internazionali.

Il problema del conflitto si pone nella sola ipotesi in cui due Trattati presentano parti comuni e non comuni. Ci sono degli Stati che si trovano ad aver assunto, con due Trattati diversi, degli obblighi internazionali che sono incompatibili perché sono stati assunti nei confronti di parti diverse. Lo schema classico prevede lo Stato A che ha preso accordi con lo Stato B, con cui si è obbligato a fare qualche cosa, ed ha preso allo stesso tempo un accordo con lo Stato C di fare la cosa opposta. Il meccanismo può essere più complesso, l’ipotesi presa in esempio è la più semplice, ma può accadere anche nel caso di accordi multilaterali. L’ipotesi di incompatibilità di impegni convenzionali non è necessariamente deliberata ma può essere anche volontaria. Nella prassi internazionale ci sono casi di questo genere abbastanza noti come nel caso del conflitto che si venne a creare a proposito del progetto che avevano gli Stati Uniti di tagliare l’America centrale con un canale che avrebbe messo in comunicazione i due oceani, l’Atlantico e il Pacifico, cosa che è stata poi fatta con il canale di Panama,

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per cui originariamente ci fu il dibattito se farlo a Panama o in Nicaragua. I Paesi del centro America, preoccupati del fatto che gli Stati Uniti, attraverso il canale di Panama, non soltanto avessero realizzato una via di comunicazione interessante generale per tutti ma avessero anche esteso la loro influenza politica in maniera sgradita da alcuni Paesi avevano stipulato accordi. In particolare il Nicaragua nel 1858 visti i primi progetti per il canale, aveva stipulato con il Costa Rica il Trattato “Cañas-Jerez”, con cui il Nicaragua si impegnava a non concedere a Stati terzi genericamente intesi, la disponibilità del proprio territorio ne per installare basi militari ne per aprire canali che potessero mettere in comunicazione. Nel 1914 fu stipulato un secondo trattato “Bryan-Chamorro” con il quale il Nicaragua concesse il proprio territorio agli Stati Uniti al fine dell’apertura del canale. Il Costa Rica convenne davanti ad un organo di giurisdizione comune internazionale che oggi non c’è più, la Corte di Giustizia Centro-Americana, sostenendo la nullità del secondo Trattato del Nicaragua perché incompatibile con il precedente. La Corte, in una sentenza, discutibile sul piano giuridico per entrambe i profili che pronunciò, sostenne la nullità del Trattato perché con il primo Trattato il Nicaragua aveva limitato la sua capacità internazionale ed era incapace giuridicamente, determinando la nullità dell’atto e inoltre, e sostenne che poiché il Trattato era stato stipulato con un altro Stato, diverso dal Costa Rica, con gli Stati Uniti, non soggetti alla giurisdizione della Corte di Giustizia Centro-Americana, non poteva essere pronunciata la nullità con effetto per gli questi ultimi. Il caso citato è uno dei casi di incompatibilità volontaria e così come questo ne possono essere citati degli altri. Sempre relativamente al Canale di Panama, nel 1901, gli Stati Uniti si erano obbligati con l’Inghilterra, in previsione della realizzazione del Canale, a trattare per il pagamento del pedaggio per l’attraversamento del Canale, stabilendo che tutte le navi del mondo fossero condizioni di parità per garantire libertà di navigazione e di concorrenza. Nel 1903 ancora gli Stati Uniti stipularono un secondo Trattato con Panama che esonerava dal pagamento del pedaggio di un loro particolare tipo di navigazione. Resero esecutivo l’accordo con una legge interna ma l’Inghilterra protestò e la legge fu abrogata. Il caso appena visto però non era in senso tecnico di incompatibilità di accordi poiché l’incompatibilità vera e propria si ha quando gli accordi generano obblighi. Oltre questi casi, nemmeno molto frequenti, è più frequente l’ipotesi in cui l’incompatibilità sia inattesa, accidentale o occasionale, perché gli accordi non riguardano la stessa questione ma riguardano questioni diverse che entrano in conflitto; ciò perché anche tra materie diverse possono crearsi punti di contatto. La prassi è molto più ricca di queste ipotesi. Caso esemplare è il caso Delgado di un signore che doveva testimoniare su certe cose che erano avvenute in Angola dove c’era stata una repressione da parte del Portogallo, con violazione dei diritti umani, per cui le Nazioni Unite si erano interessate della questione. Delgado era ricercato per motivi politici dal governo portoghese e quando le Nazioni Unite lo cercarono per testimoniare diede la propria disponibilità, ma a conoscenza del trattato di estradizione con il Portogallo, chiese protezione dal rischio di essere arrestato dagli Stati Uniti. Si pose dunque un problema per l’O.N.U. poiché questi avevano stipulato con gli Stati Uniti un accordo di sede con cui si stabilivano diritti e obblighi relativi alla libertà di svolgere nella sede le proprie funzioni. L’accordo di sede stabiliva l’obbligo degli Stati Uniti con l’O.N.U, di lasciare libero accesso alle persone dirette alla sede delle Nazioni Unite. Il servizio giuridico delle Nazioni Unite però non diede la certezza a Delgado, non sapendo quale dei due Trattati, in una situazione di conflitto, sarebbe dovuto essere rispettato e prevalere sull’altro. Delgado quindi non poté giungere negli Stati uniti a testimoniare. Molti sono stati i casi simili in quanto spesso i trattati di estradizione configgono con le norme interne che tutelano i diritti fondamentali della persona. Un ulteriore esempio si presentò davanti ai giudici tedeschi, di un cittadino turco ricercato per motivi politici, rifugiato in Germania. La Germania aveva un trattato di estradizione e chiese l’estradizione per questo soggetto, che venne arrestato e recluso in attesa del giudizio. Lo stesso però si rivolse alla Commissione europea dei diritti dell’uomo, affermando la violazione, poiché in Turchia si era stabilito un regime militare dispotico, del suo diritto ad essere sottoposto ad un processo equo poiché il processo nel suo Stato sarebbe stato celebrato in maniera che non garantiva libertà di difesa con l’aggiunta del pericolo di essere sottoposto a torture e maltrattamenti, vietati dalla Convenzione dei diritti dell’uomo. Il conflitto presente era quindi tra la Convenzione dei diritti dell’uomo e il trattato di estradizione. La Commissione riconobbe l’esistenza del conflitto e che quindi la Germania avrebbe violato la

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Convenzione dei diritti dell’uomo. Il problema si risolse automaticamente e tragicamente, perché il cittadino turco si suicidò in carcere e non si arrivò ad una soluzione definitiva.

Come si risolve in definitiva il problema del conflitto?Il problema nasce dal principio di inefficacia dei trattati nei confronti dei terzi. Nessuno dei due accordi può prevalere sull’altro dal momento che non può essere abrogato con un accordo successivo al quale il terzo non partecipa. Questo tipo di situazioni, possono essere considerate come conflitti tra norme, poiché l’accordo internazionale crea norme giuridiche, ma anche come conflitti tra situazioni giuridiche soggettive, che sono la stessa cosa. E’ facile intuirlo nel diritto internazionale poiché gli stati creano norme attraverso lo strumento dell’accordo che è l’equivalente di quello che nei rapporti tra privati è il contratto, accordo e norma giuridica sono la stessa cosa. Nel diritto interno questi problemi vengono studiati o come problemi di conflitto tra norme giuridiche, o come conflitti tra diritti e obblighi che vengono studiati nel diritto privato. Nel diritto internazionale c’è coincidenza perché l’accordo e la norma oggettiva sono la stessa cosa. Il diritto interno ha elaborato dei principi per risolvere questo problema. Per quello che riguarda i conflitti tra norme giuridiche il problema è semplice perché manca l’intervento dei terzi. La stessa autorità legislativa che fa le leggi ha il potere di modificarle senza il permesso di nessuno. Nei rapporti tra norme giuridiche di diritto oggettivo il problema è facile salvo che non ci sia un rapporto gerarchico, dove naturalmente la norma di rango superiore prevale, la soluzione è semplice prevalendo la legge posteriore a meno che quella anteriore non sia speciale e allora prevale la legge speciale anche se anteriore. Per i conflitti tra diritti soggettivi, dati per esempio con contratti, ci sono delle norme che risolvono questi problemi, per esempio con la trascrizione, l’anteriorità della trascrizione ecc. Ciò perché esistono delle norme alle quali tutti siamo sottoposti. Nel diritto internazionale, astrattamente, anche il diritto internazionale con norme consuetudinarie potrebbe risolvere il problema ma tali norme non si sono formate. La regola internazionale è che nessuno dei due trattati può prevalere sull’altro per l’esistenza del principio di inefficacia dei trattati nei confronti di terzi., ricordato dalla Convenzione di Vienna al’art.30. Il diritto internazionale non avendo norme che risolvono il conflitto sul piano normativo, lo risolve sul piano della responsabilità. E’ ovvio che lo Stato destinatario di obblighi incompatibili ha la scelta di adempiere ad uno solo dei trattati violando l’altro. Il fulcro del problema si trasferisce quindi al piano della responsabilità. Ma in realtà, dire che il problema, dal livello normativo si sposta al livello della responsabilità, non equivale ad enunciare una regola giuridica perché la scelta di adempiere o non adempiere lo Stato ce l’ha sempre. Semplicemente, non c’è soluzione al conflitto. Nell’art. 30 al par. 4 “Quando le parti ad un trattato anteriore non sono tutte parti al trattato posteriore: nei rapporti fra gli Stati parti ai due trattati la regola applicabile è quella enunciata al paragrafo 3; nei rapporti fra uno Stato parte ai due trattati e uno Stato parte ad uno soltanto di essi, il trattato al quale i due Stati sono parti regola i loro diritti e obblighi reciproci.” si usa una formula complessa per dire che per ognuno vale l’obbligo che si è preso. Aggiunge al par. successivo che “Il paragrafo 4 si applica fatto salvo quanto disposto dall'art. 41, e senza pregiudicare qualsivoglia problema di estinzione o sospensione dell'applicazione di un trattato ai sensi dell'articolo 60(inadempimento) o qualsivoglia questione di responsabilità che possa sorgere per uno Stato dalla conclusione o dall'applicazione di un trattato le cui disposizioni siano incompatibili con gli obblighi di cui sia destinatario nei confronti di un altro Stato per effetto di un altro trattato”. Il problema può diventare di responsabilità internazionale. L’illecito non riguarda lo stipulare un secondo trattato incompatibile con il precedente, tanto più che l’incompatibilità può verificarsi anche senza che fosse prevedibile che si venisse a creare un punto di contatto tra i due trattati. L’art. 41 riguarda un problema che può presentare un problema analogo e cioè l’emendamento e la modificazione degli accordi multilaterali, poiché spesso accade che accordi multilaterali vengono modificati nei rapporti tra alcuni soltanto degli stati impegnati. Nel caso in cui l’adempimento separato è possibile si può stipulare un accordo di questo genere senza

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che si venga a creare una situazione di incompatibilità. L’art 41:“Accordi che modificano trattati multilateralilimitatamente ai rapporti fra alcune parti1. Due o più parti a un trattato multilaterale possono concludere un accordo avente per oggetto di modificare il trattato nelle loro relazioni reciproche soltanto se: la possibilità di una tale modifica è prevista dal trattato; ola modifica in questione non è proibita dal trattato, a condizione che essa: i) non pregiudichi il godimento da parte delle altre parti dei diritti che esse ricavano dal trattato né l'adempimento dei loro obblighi; e ii) non riguardi una disposizione alla quale non si possa derogare senza che vi sia incompatibilità con la realizzazione dell'oggetto e dello scopo del trattato considerato nel suo complesso. 2. A meno che, nel caso previsto dal paragrafo 1, lettera a) il trattato non disponga diversamente, le parti in questione devono notificare alle altre parti la loro intenzione di concludere l'accordo e le modifiche che quest'ultimo apporta al trattato.”L’articolo è criticabile nella sua formulazione perché dice che due o più parti possono concludere un trattato modificativo a determinate condizioni che se mancano impediscono la sua conclusione. Quello che in realtà la norma vuole dire è che lo possono fare senza dare luogo ad una situazione di incompatibilità e ciò che è illecito è violare un accordo non stipularne uno che prevede la possibilità della violazione, a meno che uno Stato, con un accordo internazionale, si sia assunto l’obbligo di non stipulare accordi incompatibili. In questo caso c’è l’obbligo, la sola stipulazione è un atto illecito perché si era obbligato a non farlo. Un esempio lo si può trovare nel Patto delle Società delle Nazioni che all’art. 20 aveva una norma contenente l’obbligo di non assunzione di accordi incompatibili. Stabilito che il diritto internazionale è avaro di soluzioni a questo problema che invece si presente molto frequentemente sorge l’esigenza di muoversi nella ricerca di una soluzione. Spesso gli accordi stessi prevedono in anticipo la soluzione al problema e a risolverlo, con delle clausole apposite c.d. clausole di compatibilità o di subordinazione. Tali clausole sono oggi molto comuni specialmente nelle materie in cui i problemi possono porsi. Una prima clausola è presente nell’appena visto art. 20 del Patto delle Società delle Nazioni. Un secondo esempio si trova nel Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea all’art. 351:

“Le disposizioni dei trattati non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse,anteriormente al 1o gennaio 1958 o, per gli Stati aderenti, anteriormente alla data della loro adesione,tra uno o più Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall'altra.Nella misura in cui tali convenzioni sono incompatibili coi trattati, lo Stato o gli Stati membriinteressati ricorrono a tutti i mezzi atti ad eliminare le incompatibilità constatate. Ove occorra, gli Statimembri si forniranno reciproca assistenza per raggiungere tale scopo, assumendo eventualmente unacomune linea di condotta.Nell'applicazione delle convenzioni di cui al primo comma, gli Stati membri tengono conto del fattoche i vantaggi consentiti nei trattati da ciascuno degli Stati membri costituiscono parte integrantedell'instaurazione dell'Unione e sono, per ciò stesso, indissolubilmente connessi alla creazione diistituzioni comuni, all'attribuzione di competenze a favore di queste ultime e alla concessione deglistessi vantaggi da parte di tutti gli altri Stati membri”

Questo tipo di conflitto può crearsi anche per quei trattati che prevedono la competenza alla giurisdizione del tribunale internazionale per risolvere le controversie tra Stati, e assume la specie del conflitto tra giurisdizioni che però è un conflitto tra accordi. Anche qui sono presenti clausole di subordinazione. Un esempio è presente ancora nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea all’art. 344 “Gli Stati membri si impegnano a non sottoporre una controversia relativa all'interpretazione o all'applicazione dei trattati a un modo di composizione diverso da quelli previsti dal trattato stesso” cioè si impegnano a sottoporre la situazione unicamente alla Corte di Giustizia e questa a sua volta si

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vede attribuire una competenza di tipo esclusivo. Un recente caso riguardava il problema del concorso tra l’ipotesi della competenza della corte che secondo il Trattato è esclusiva e quella del Tribunale internazionale per il diritto del mare istituito nel 1982, il quale ha una clausola di subordinazione. La Carta delle Nazioni Unite ha una norma che sostiene il contrario, ammettendo la supremazia in ogni caso: “In caso di contrasto tra gli obblighi contratti dai Membri delle Nazioni Unite con il presente Statuto e gli obblighi da essi assunti in base a qualsiasi altro accordo internazionale, prevarranno gli obblighi derivanti dal presente Statuto”. Tale norma non ha grande valore giuridico ma soltanto politico perché non rende illecita la stipulazione di altri accordi. Si potrebbe concludere interpretando letteralmente l’articolo che esiste una gerarchia tra norme e le norme della Carta prevalgono sempre, essendo una fonte superiore. In realtà la Carta è un trattato come gli altri e non può dettare legge agli altri trattati, tanto più che non ha validità nei confronti degli Stati che non partecipano alle Nazioni unite. Ciò è confermato dall’art. 2 par.6 della Carta: “L’Organizzazione deve fare in modo che Stati che non sono Membri delle Nazioni Unite agiscano in conformità a questi principi, per quanto possa essere necessario per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.” che riconosce che i terzi non sono obbligati. La cosa importante è che spesso le clausole di compatibilità possono entrare in conflitto tra di loro. Un esempio riguarda due convenzioni internazionali di diritto privato. La Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, oggi sostituito da un regolamento comunitario, conteneva nell’art. 21 “La presente convenzione non pregiudica l'applicazione delle convenzioni internazionali di cui uno Stato contraente è o sarà parte”.Resta però il problema più serio per l’operatore giuridico interno. Per lo Stato vincolato alla convenzione incompatibile, quando non c’è possibilità di risoluzione in via interpretativa, il diritto internazionale prevede che lo Stato adempia ad uno dei trattai, violando l’altro, con il rischio di incorrere nella relativa responsabilità internazionale. La scelta però è di tipo politico e dovrebbe essere riservata da un organo superiore, non al giudice, ma questo può risolvere il problema, essendoci norme interne di adattamento dei trattati, affidandosi alla soluzione relativa alla successione della legge nel tempo.

15 04 2010

Vediamo di completare le cose che abbiamo detto sul diritto dei trattati, adesso parliamo del tema dei limiti oggettivi nel diritto dei trattati. I trattati, questo lo abbiamo già detto, sono una fonte del diritto internazionale che è subordinata alla consuetudine,e quindi ha una fonte, un sistema di norme gerarchicamente sopraordinate, però almeno fino a un certo numero di anni fa, diciamo a una cinquantina di anni fa le consuetudini erano tutte norme derogabili, quindi pur essendo norme di rango superiore nella gerarchia delle fonti non impedivano alle norme di un trattato di derogarle disponendo obblighi reciproci. Ora le norme del diritto consuetudinario sono state fino ad un certa epoca considerate tutte norme derogabili, quindi nonostante questo rapporto di subordinazione gerarchica, in pratica, i trattati potevano derogare tutte le norme. Nel diritto moderno invece si è finito per affermare un nucleo duro di norme del diritto consuetudinario che invece sono ormai considerate non derogabili, queste norme sono quelle che fanno parte del così detto ius cogens internazionale, di cui abbiamo già parlato che significa appunto la traduzione latina del termine norme imperative, significano norme che non possone essere derogate con la conseguenza che il trattato che pretenda di derogarle è nullo. Queste norme hanno cominciato ad affermarsi più o meno una cinquantina di anni fa sostanzialmente proprio durante i negoziati, che sono durati alcuni, o per lo meno la fase preparatoria,

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da parte della Commissione del diritto internazionale, della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati perchè in quella occasione i Paesi in via di sviluppo, che erano usciti dal processo della decolonizzazione hanno una visto una buona occasione per l'affermazione di un certo nucleo di norme in quanto tutelano i valori considerati fondamentali, essenziali, irrinunciabili dalla Comunità internazionale non possono essere derogati dagli Stati, attraverso l'affermazione di questo principio ha ritenuto di poter, di questo principio fare il veicolo per l'affermazione da una parte i nuovi valori, i nuovi valori che i Paesi in via di sviluppo volevano imporre, nonostante l'atteggiamento conservatore degli Stati occidentali, i quali erano conservatori perchè il diritto internazionale lo avevano fatto loro con i loro interessi mentre i Paesi di nuova formazione avevano invece un atteggiamento rivoluzionario, per esempio, insistevano per affermare principi come l'autodeterminazione dei popoli, in materia di diritto internazionale economico il principio della sovranità, così detta sovranità permanente oppure per quel'altra parte del diritto economico che riguarda, non le zone sottoposte alla sovranità degli Stati, ma le zone che non sono oggetto della sovranità di nessuno, per esempio l'alto mare, il fondo dei mari, le terre polari, che erano sempre state considerate dal diritto internazionale tradizionale come patrimonio comune dell'umanità dal quale era possibile, per esempio dello sfruttamento economico disporre solamente nell'interesse dell'umanità e con il consenso di tutti, questo per evitare che i Paesi sviluppati che dispongono di tecnologia in misura molto superiore riescono ad appropriarsi con lo sviluppo economico di queste risorse, con lo sviluppo tecnonlogico naturalmente, industriale. Quindi c'era questa idea di affermare una seria di valori, una serie di principi, la seconda idea, poi, era quella di cercare di compensare, affermando l'esistenza di principi di ius cogens internazionale, la posizione negoziale di maggiore forza, di maggiore vantaggio di cui, nella stipulazione dei trattati, si trovano i Paesi più potenti nei confronti dei Paesi più deboli. Un fenomeno che, come voi sapete, esiste anche nel diritto interno in cui il contraente debole possono subire delle condizioni più svantaggiose con la conseguenza che anche nel diritto interno il diritto provvede a emanare le norme che li tutelano, quindi questi erano i due motivi che spingevano i Paesi in via di sviluppo a premere perchè nella Convenzione di Vienna fosse inclusa la nozione che esistevano delle norme considerate ius cogens dalla Comunità internazionale per gli Stati con la conseguenza che che il trattato che intendesse derogare queste norme era nullo. A questa tendenza si opponevano in parte i membri dei Paesi occidentali il chè ha avuto come conseguenza che negoziasse in materie fondamentali piuttosto duri e che alcuni Paesi, per esempio, la Francia finì addirittura per rifiutare di firmare la Convenzione proprio perchè non voleva accettare questa idea di che ci fossero le norme di ius cogens, proprio per il suo contenuto non specifico, non determinato i Paesi ocidentali ritenevano che questo avrebbe potuto determinare anche una causa di incertezza del diritto per cui una volta che il trattato è stipulato il Paese avrebbe detto ah ma io sono contrario al ius cogens e quindi per me non vale, lo considero nullo e non ritengo di dovere rispettare questo trattato, questa era la loro preoccupazione. Del resto anche altri Paesi occidentali ancora oggi non hanno ratificato la Convenzione di Vienna, non lo hanno ratificata per esempio gli Stati Uniti. Gli altri Paesi adottarono un atteggiamento più soft, più conciliante, del resto anche qui ci potrebbe essere un'interesse politico, per esempio i Paesi occidentali lo usavano come argomento anche di pressione politico diplomatica o addirittura come strumento propagandistico nella controposizione che gli vedeva opposti, nei Paesi dell'Unione Sovietica, i diritti dell'uomo per esempio di cui questi Paesi almeno dal punto di vista politico non erano perfettamente in regola. E allora però questi Paesi negoziarono nella Convenzione di Vienna una cosa e cioè accettiamo l'inserimanto della previsione dell'ius cogens come causa di nullità dei trattati nella Convenzione però vogliamo inserire nella Convenzione una norma che stabilisce che se c'è una controversia in materia tra due Stati che fanno parte del trattato, che se uno dice questo trattato e contrario alle norme dello ius cogens quindi è nullo, non lo devo rispettare, l'obbligo di sottoporre anche mediante ricorso unilaterale alla Corte Internazionale di Giustizia la relativa controversia, cioè questi chiedevano una garanzia in maniera che c'era comunque la certezza del diritto perchè sarebbe stata la Corte poi a decidere se era fondata o non era fondata questa pretesa. Infatti se voi vedete la Convenzione di Vienna, che prevede un sistema di risoluzione delle controversie, che vedremmo meglio più avanti, l'art 56 sottopone a uno trattamento differenziato le norme di ius cogens, l'art 56, lettera a, se le parti non riescono a mettersi d'accordo nel caso di una controversia, lettera a "qualsiasi parte della controversia riguardante l'applicazione o

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l'interpretazione degli artt 53, 64 che sono quelli che riguardano il ius gogens appunto, può con richiesta scritta sottoporre la controversia, quindi anche unilateralmente, senza il bisogno di un compromesso, di un accordo arbitrale con la contro parte, alla decisione della Corte Internazionale di Giustizia", mentre nella lettera b dice che " qualsiasi altra controversia in materia del diritto dei trattati, tranne questo è invece sottoposta ad un sistema di risoluzione delle controversie blando perchè è un procedimente conciliativo non vincolante, tutte le altre controversie quindi sono differenziate proprio perchè ci voleva questa garanzia. Naturalmente questa garanzia vale solo per gli Stati che hanno ratificato la Convenzione di Vienna e quindi hanno accettato la clausola dell'art 66 per la giurisdizione della Corte, per tutti gli altri, per questi che non fanno parte nella Convenzione di Vienna, come tra l'altro anche l'Italia naturalmente, la tutela si dovrà trovare da un'altra parte perchè nel frattempo per effetto dei lavori preparatori, del consenso degli Stati, della prassi successiva, il principio del ius cogens è diventato a poco a poco, ovviamente, come un principio di diritto consuetudinario che ormai, certamente, è accettato da tutti, la Corte Internazionale di Giustizia lo ha riconosciuto diverse volte, per gli altri Stati la tutela è data dalla norma di ius cogens che nell'art 53, quindi fatta questa premessa storica sull'origine della norma andiamo finalmente a leggere la norma, l'art 53 dice" è nullo qualsiasi trattato che al momento della sua conclusione è in conflitto con una norma imperativa del diritto internazionale generale", quindi ius cogens è una norma imperativa, diritto internazionale generale vuol dire fini consuetudinari e poi dà la definizione di ius cogens perchè appunto si voleva dare una definizione precisa della categoria e viene definito così " ai fini della presente Convenzione è norma imperativa del diritto internazionale generale una norma accettata e riconosciuta dalla Comunità internazionale degli Stati nel suo insieme come norma alla quale non è consentita alcuna deroga e che può essere modificata soltanto da una successiva norma del diritto internazionale generale avente lo stesso carattere", leggendo questa definizione si ha l'impressione che sia una una definizione assolutamente tautologica e e che in fondo ripeta la stessa cosa perchè praticamente dice nella prima frase" un trattato che pretende di derogare una norma del ius cogens è nullo", quindi dice" le norme del ius cogens sono inderogabili e nella seconda frase dice" le norme di ius cogens sono quelle che non possono essere derogate" , quindi sembra in sostanza ripetere due volte la stessa cosa però il valore che ha la norma è in quella piccola frasetta che è importantissima che è decisiva e cioè quando dice " è riconosciuta dalla Comunità internazionale degli Stati e poi dice nel suo insieme, nel testo inglese "on its hole" questo " nel suo insieme" è stata proprio considerata la garanzia minima che i Paesi occidentali volevano che fosse inserita nella Convenzione, perchè nel suo insieme significa che tutte le componenti, tutti i gruppi di Stati che fanno parte nella Comunità internazionale debbono averla accettata se no non è più la Comunità degli Stati nel suo insieme perchè ne manca una componente, ne manca un pezzo. Quindi all'epoca in cui la Convenzione fu fatta, in cui la Comunità degli Stati aveva e ha mentenuto per alcuni decenni, fino alla crisi dell'Unione Sovietica e dei Paesi socialisti dell'Europa orientale, una strutture tripolare che la caratterizzava, tra i Paesi occidentali, i Paesi comunisti e Paesi in via di sviluppo, ciascuna delle delle tre componenti, questa era la garanzia, doveva avere prestato il suo consenso, quindi perchè fosse consentito, per esempio, alla Corte Internazionale di Giustizia, competenze a risolvere un'eventuale controversia in base all'art 66, di accertare l'esistenza di ius cogens bisognava dimostrare che tutte le componenti e tutti gli Stati componenti la Comunità internazionale lo avevano accettata e che quindi non era possibile che un solo gruppo di Stati forzasse, diciamo così, la situazione pretendendo di imporre come norma di ius cogens una norma che non fosse riconosciuta come tale dagli altri. Del resto abbiamo visto che questa idea" nel suo insieme", è importante non solo per il caso specifico di cui ci stiamo occupando per lo ius cogens ma più in generale per il diritto internazionale consuetudinario in genere perchè una norma consuetudinaria esiste, venga accettata come tale, tutti i gruppi di Stati, in particolare quelli direttamente interssati alla norma, ovviamente, tutti gli Stati debbono averla accettata se no non è una norma generalmente accettata e quindi non è una norma che si può considerare generalmente valida per tutti gli Stati. Stabilito questo, quindi una volta creato il contenitore, la nozione di ius cogens, bisognava poi riempirla di contenuto, per riempirla di contenuto sono poche le norme che hanno questo carattere, che sono considerate come rispondenti a valori essenziali, considerati come tali da tutti gli Stati. Essenzialmente queste norme rientrano in tre categorie e cioè 1. il pricipio di divieto dell'uso della forza, quindi un trattato internazionale che prevede la possibilità per uno Stato che

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ricorre alla forza, o contro altre parti del trattato o nei confronti addirittura degli Stati terzi, è considerato nullo, 2. le norme fondamentali in materia di diritti inviolabili della persona umana, almeno quelle più importanti, abbiamo già detto la nozione di gross violation cioè la responsabilità di uno Stato, di uno Stato del diritto internazionale consuetudinario non è una sigola violazione in una singola occasione che può succedere qualche volta, può succedere sempre, nel nostro Paese ce ne sono in continuazioni, qualche volta qualcuno di noi magari lo avrà subita ma qui c'è l'idea di violazioni gravi di uno Stato che fa discriminazioni razziali, uno Stato totalitario che tortura i politici, gli imprigiona ecc, e poi 3. il principio dell'autodeterminazione dei popoli, di cui abbiamo già parlato. Queste norme hanno avuto uno sviluppo parallelo con la categoria, della quale abbiamo pure parlato, che non riguarda il diritto dei trattati ma riguarda la responsabilità internazionale, degli obblighi erga omnes, c'è un rapporto stretto perchè gli obblighi erga omnes sono quegli obblighi che riguardano la Comunità internazionale nel suo insieme come dice l'art 53, cioè a tutti gli altri Stati, in maniera che una violazione di uno di questi obblighi non è una violazione di un obbligo solo nei confronti di chi ne è direttamente vittima della violazione ma dell'intera Comunità internazionale, abbiamo già visto questa situazione, per esempio, nel caso dell'uso della forza, lo sappiamo, uno Stato che ne aggredisce un altro, non viola il diritto internazionale e il principio di uso della forza solo nei confronti dell'aggredito ma nei confronti di tutti gli altri Stati perchè è un principio che la Comunità internazionale considera fondamentale dato che la pace è un bene essenzialmente indivisibile, al quale tutti gli Stati hanno interesse e tutti gli Stati hanno interesse al rispetto di queste norme. Infatti lo sviluppo delle due categorie è stato anche cronologicamente contemporaneo perchè come nei lavori della Convenzione di Vienna, si cominciò a parlare di norme cogenti, quindi negli anni 60 in definitiva, così anche negli anni 60, 70 si portarono a termine i lavori, sono cominciati subito dopo la fine della guerra, per la codificazione del diritto internazionale sulla responsabilità internazionale degli Stati e il primo pregetto provisorio che venne redatto per la prima volta, nel 1976, quindi pochi anni dopo la conclusione dei lavori della Convenzione di Vienna, e che poi venne inserito dalla Commissione del diritto internazionale nel suo progetto provvisorio in questa materia che è del 1996, c'era un'art, l'art 19 che parla della responsabilità degli Stati per i più gravi delitti che quell'art gli qualificava come crimini internazionale degli Stati, questo art 19 indicava proprio quali erano gli illeciti più gravi degli Stati che erano appunto gli illeciti riguardo erga omnes e sono proprio coincidenti con queste 3 categorie di norme che vengono oggi considerate norme di ius cogens internazionale, art 19 dice " costituisce crimine internazionale dello Stato un atto internazionalemente illecito che risulta da una violazione da parte di uno Stato di un obbligo internazionale così essenziale per la protezione di interessi fondamentali della Comunità internazionale, che la sua violazione è riconosciuta come un crimine da tale Comunità nel suo insieme, costituisce un crimine internazionale", come vedete è facile vedere delle analogie dalla definizione di crimine internazionale che dà l'art 19 dalla definizione di ius cogens che abbiamo detto poco fa nell'art 53, e poi il paragrafo 3 di questo art 19 specifica in particolare quali sono i casi riconsciuti dalla norma, in particolare un crimine internazionale può, tra l'altro, risultare da:..... quindi un elenco non esaustivo però l'elenco di quelli che per il momento erano considerati come riconsciuti, e cioè a) una violazione grave di un obbligo internazionale di importantanza essenziale per il mantenimanto della pace e della sicurezza internazionale come quello che vieta l'aggressione, quello dell'uso della forza, oppure lettera b) una violazione grave di un obbligo internazionale di importanza essenziale per la salvaguardia del diritto all'autodeterminazione dei popoli, come quello che vieta l'istituzione, il mantenimanto con la forza di un regime di dominazione coloniale, quindi l'autodeterminazione, lettera c) una violazione grave e su larga scala di un obbligo internazionale di importanza fondamentale per la salvaguardia dell'essere umano come quelli che vietano la schiavitù, il genocidio e l'apartheid quindi come vedete diritti fondamentali della persona umana, poi c'è un'aggiunta, d) una violazione grave di un obbligo internazionale di importanza essenziale per la salvaguardia e la preservazione dell'ambiente umano, come quelli che vietano l'inquinamento massiccio dell'atmosfera e dei mari, ovviamente qui si tratta dell'inquinamento intenzionale perchè l'inquinamento fatto da navi private che scaricano ecc, così, non è un crimine internazionale dello Stato però uno Stato che intenzionalmente reca un danno all'ambiente al qualle l'umanità ha interesse, può commettere un crimine di questo genere, ci andò molto vicino, per esempio, Sadam Hussein quando, dopo avere invaso il Kuwait ed essere poi stato costretto, dalla

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coalizione che andò in difesa del Kuwait, a liberarlo, andando via incendiarono deliberatamente i pozzi di petrolio, e questo incendio dei pozzi di petrolio rischiò di creare un danno significativo all'ambiente ma rischiò di trasformarsi in una catastrofe, quindi quello è un crimine intenzionale di danneggiamento grave all'ambiente, ma comunque sono casi rari. Questa norma è stata poi cancellata nel progetto attuale del 2001 perchè, nel 96 il progetto è stato adottato dalla commissione del diritto internazionale in prima lettura poi è stato comunicato agli Stati e, molti Stati hanno espresso riserve alla nozione che gli Stati possono essere considerati criminali, l'idea di crimine di uno Stato è piaciuta poco, sembrava sul piano diplomatico un pò forte, un pò eccessiva e allora il progetto attuale del 2001, quello quindi adottato dalla Commissione in seconda lettura agli artt 40 e ss ha rinunciato a qualificare gli Stati come criminali ma ha mantenuto questa categoria degli obblighi erga omnes e ha anche rinunciato a quelli esempi che c'erano all'art 19 e invece adesso il capitolo 3, parte 2 contenuta della responsabilità internazionale dello Stato parla di gravi violazioni, di obblighi derivanti da norme imperative del diritto internazionale generale, come vedete adesso che si parla di norme imperative secondo la Commissione del diritto internazionale, le norme imperative sono le norme di ius cogens, viene addirittura equiparata la nozione di obbligo erga omnes alla nozione di ius cogens, soltanto si parla di gravi violazioni, quindi le due categorie coincidono, si può dire che la violazione di un obbligo erga omnes deve essere una violazione grave di una di queste norme, quindi c'è un rapporto anche funzionale tra il principio della nullità del trattato che prevede l'assunzione da parte degli Stati di obblighi reciproci di non violare norme di ius cogens e la responsabilità aggravata nei confronti di tutti gli Stati della Comunità internazionale se si passa dalla fase dell'assunzione del obbligo alla fase dell'attuazione, quindi è evidente che c'è un legame funzionale, il diritto internazionale, la Comunità internazionale ha un sistema di valori che gli Stati devono comunque rispettare, e siccome sono obbligati a rispettarle nei confronti di tutti gli altri Stati della Comunità internazionale nel loro insiemo, non possono nemmeno disporrne per trattato, quindi c'è un parallelismo delle due categorie, il parallelismo non è casuale perchè dipende dal fatto che gli Stati se hanno un obbligo di cui non possono disporre, per esempio, bilateralmente e nemmeno individualmente perchè c'è un interesse riconosciuto come tale, tutelato dal diritto internazionale di tutti gli Stati del mondo messi nel loro insieme non ne possono disporre. Tornando alle norme della Convenzione di Vienna, la Convenzione di Vienna dedica 2 art al ius cogens, l'art 53 che abbiamo letto e l'art 64 che prevede l'ipotesi in cui un trattato, quando viene stipilato non è contrario a una norme di ius cogens perchè non c'era ancora una norma di ius cogens, però quella norma sopravviene successivamente e l'art 53 è inserito nella parte della Convenzione che riguarda la nullità dei trattati invece l'art 64 è inserito nella parte che riguarda l'estinzione dei trattati, perchè lo ius cogens sopravvenuto rispetto alla data di stipulazione del trattato rende il trattato inefficace e quindi lo estingue, lo leggiamo art 64 Sopravvenienza di una nuova norma imperativa del diritto internazionale generale( ius cogens), " in caso di sopravvenienza di una nuova norma imperativa di diritto internazionale generale, qualsiasi trattato esistente che sia in conflitto con tale norma diviene nullo e si estingue", dal punto della terminologia tecnica questa espressione non è felice perchè "si estigue" va bene, "diviene nullo" va molto meno bene perchè se il trattato era valido quando è stato fatto non può diventare nullo successivamente, perchè non è che viene nullo l'esistente ma diventa inefficace, comunque questo è un formalismo tecnico, un pò di imprecisino di concetti. La Convenzione di Vienna ,infine, per marcare l'interesse fondamentale che hanno gli Stati al rispetto di questi principi e quindi la gravità della causa di invalidità del trattato determinato dalla violazione di una norma di ius cogens ha stabilito nell'art 44 che riguarda la divisibilità delle disposizioni di un trattato sotto il profilo della sua validità, che se un trattato è soltanto parzialmente, anche se solo in un solo art, contrario ad una norma di ius cogens, mentre per il resto non ha problemi di validità, di efficacia di nessun altro genere, però la nullità derivante dalla contrarietà allo ius cogens anche di quel solo art, investe radicalmente tutto il trattato e quindi subito il trattato è nullo anche se la rimanente parte avrebbe benissimo potuto stare in piedi anche senza la norma di ius cogens, questo lo potete vedere nell'art 44, nei casi contemplati dagli artt 51, 52, 53, 51 e 52 li vedremo poi ma adesso continuamo con questa norma, non è ammessa alcuna divisione delle disposizioni del trattato. Questa norma, sicuramente, vale solo per gli Stati che fanno parte nella Convenzione di Vienna, che lo hanno accettata, ma non è, probabilmente, una norma di diritto consuetudinario perchè non c'è nessuna ragione se le disposizioni di un trattato sono funzionalmente stabili, cioè il trattati sta in piedi,

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mantiene i suoi effetti anche senza quella clausola, non c'è bisogno che venga travolto nella sua nullità. In realtà, la dichiarazione della nullità di un trattato per la contrarietà allo ius cogens interessa i terzi fino ad un certo punto perchè i terzi sono già protetti dall'inefficacia dei trattati nei confronti dei terzi, vale solo per le parti, sono cioè le parti che possono avere interesse di sostenere che il trattato è contrario ad una norma i ius cogens. Detto questo e fatto questo quadro, uno si può domandare ma in pratica quale impatto pratico o uso sulle relazioni tra tutti, tra gli Stati è compreso lo ius cogens? Il fatto pratico è stato certamente uno, e si capisce subito perchè, dal momento che è ovvio che è piuttosto rara l'ipotesi che gli Stati stipulino trattati in cui si obbligano a commettere violazioni gravissime dei principi di umanità fondamentali oppure a violare il principio di autodeterminazione di popoli sono ipotesi, evidentemente, poco verosimili, però qualche caso, la dottrina che studia i trattati lo ha identificato, non ci sono stati casi di applicazione giurisprudenziale, non c'è stato nessun Tribunale internazionale che ha mai dichiarato un trattato nullo perchè violasse una norma di ius cogens, però qualche caso si è trovato. Per esempio, dei casi ovviamente antichi, una volta quando il diritto internazionale ammetteva il ricorso alla guerra da parte degli Stati, moltissimi trattati sono stati fatti alleanze di aggressione, per aggredire un altro Stato, allora però non solo ancora non c'era lo ius cogens ma non era stata nemmeno l'uso della forza militare nei rapporti internazionali e quindi il problema non c'era, però c'era qualche trattato superstite, per esempio, c'era un trattato stipulato subito dopo la prima guerra mondiale, nel 1919, tra Russia con l'Iran con il quale la Russia preoccupandosi dell'Iran che era in una situazione politica un pò confusa, in questo trattato aveva preteso attraverso una norma che stabiliva che se l'Iran fosse stato invaso da un Paese terzo o comunque in qualsiasi altro modo, la sicurezza delle frontiere russe con l'Iran fosse stata minacciata, la Russia aveva il diritto unilateralmante, anche senza il consenso dell'Iran di intervenire militarmente in Iran, comunque l'Iran qualche anni dopo l'entrata in vigore della convenzione di Vienna, nel 1979, lo dichiarò decaduto questo trattato perchè era incompatibile con il divieto dell'uso della forza. In altri casi può essere un problema di interpretazione, per esempio, nel 1960 quando ebbe fine l'amministrazione della Gran Bretagna, dell'Inghilterra su Cipro perchè Cipro dopo la seconda guerra mondiale fu amministrato dagli inglesi, rimase sotto il controllo inglese fino al 1960 quando gli inglesi lo lasciarono nel 1970 c'erano le due comunità greche-cipriole e turche che non hanno mai avuto tanti buoni rapporti tra di loro e allora fu stipulato un trattato tra Inghilterra Grecia e Turchia, che si chiamava trattato di garanzia su Cipro con il quale si stabilì che la situazione politico amministrativa di Cipro doveva rimanere così com'era e non il mutamento della situazione rese giustificato il diritto individualmente, collettivamente dei tre Paesi di intraprendere azioni per riportare la situazione nello stato in cui era, intraprendere azioni è un termine molto generico perchè lo stesso linguaggio diplomatico è tale, è un pò soft, però può benissimo essere interpretato, probabilmente quando e stato fatto nel 1970 doveva riguardare le azioni militari, invece oggi c'è un problema di interpretazione, cioè il trattato deve essere interpretato nel senso di intraprendere azioni civili, quindi non l'uso della forza perchè l'uso della forza non è ammesso, quindi questa è un ipotesi in cui la validità del trattato si salva interpretandola conformemente al ius cogens. Un altro caso che è stato discusso è stato il caso dell accordo di Camp David, del 1978 con cui con la mediazione del Presidente americano Carter, l'Egitto e l'Israele fecero pace, l'accordo del 78 venne seguito da un trattato di pace nel 1979 che concluse quindi la situazione che si era creata dopo le due guerre del 1967, del 1973 e siccome l'Israele aveva continuato ad occupare territori che erano occupati per tanto tempo e cioè intanto il Sinai e poi Gaza e la Giordania e allora fece un accordo con il quale in cambio del riconoscimento da parte dell'Egitto abbandono il Sinai e poi fece un accordo, un trattato con cui riconsentì a concedere, sai pure gradualmente, progressivamente, un'amministrazione autonoma, un autogoverno ai palestinesi nella strisca di Gaza. Una parte della dottrina, professori che sono in questa università, ritengono che questo trattato è contrario allo ius cogens perchè siccome Israele sta violando l'autodeterminazione del popolo palestinese continuando a mantenere sotto dominazione militare Giordania e Gaza e allora dovrebbe lasciarli immediatamente quindi non è ammissibile che lui dica che il massimo che possa riconoscerli è una gradualmente auto-amministrazione, dovrebbe proprio rilasciarlo, io credo che questo opinione fosse un pò esagerata perchè comunque è un miglioramento della situazione e d'altro canto lì non c'era soltanto in questione l'autodeterminazione legittimo, ovviamente, dei palestinesi ma c'era anche in questione la sicurezza dell'Israele, dei suoi confini che era minacciata. Sta di fatto che gli

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uomini politici che firmavano questo accordo Menachem Begin( Israele) e Anwar El Sadat(Egitto), ottenero nel 1978 il premio nobel per la pace, quindi è difficile pensare che sia contrario al ius cogens un trattato per il quale è stato ottenuto il premio nobel per la pace. Quindi in sostanza la categoria ha questo valore preventivo ma alla fine i casi sono molto rari. Invece può essere interessante ricordare che dei casi ci sono stati nella giurisprudenza interna perchè non va dimenticato che i trattati non vengono in considerazione soltanto nelle relazioni internazionali diplomatiche tra gli Stati ma vengono anche in considerazione nel diritto interno, e qui ci sono stati diversi casi, la maggioranza hanno riguardato i trattati di estradizione in cui molte volte è successo che i giudici interni hanno rifiutato di dare corso a un trattato di estradizione per conflitto del trattato, definendo che ci fosse un conflitto del trattato con le norme del ius cogens, anche quelli ovviamente, attraverso un meccanismo di addatamento del diritto interno al diritto internazionale, come avviene da noi all'art 11 della cost, anche qui diventa direttamente efficace nel diritto interno, perchè si trattava di trattati di estradizione stipulati con Paesi che avevano un regime dispotico, totalitario che non garantiva il diritto di difesa agli imputati, anche quando questi imputati non fossero ricercati per reati comuni. Il primo caso che ha dato l'avvio a questa giurisprudenza, ci sono molte sentenze nei Paesi europei, in Svizzera, in Germania e anche in altri Paesi, è stata una sentenza svizzera del 1982, che riguardava due imputati, che erano due appartenenti di un gruppo oppositorio al regime militare argentino che c'era allora, che era un regime come voi sapete sanguinario, i quali, come era nota a quell'epoca, per finanziare la loro Organizzazione politica di resistenza, di opposizione si dedicavano ai sequestri e avevano sequestrato un banchiere e un finanziere argentino e uruguaiano rispettivamente per chiedere il riscatto, quando poi stavano per ottenere questo riscatto la polizia svizzera gli aveva arrestati e c'era un trattato di estradizione con la Svizzera e l'Argentina e loro si opposero all'estradizione dicendo che se veniamo consegnati alle autorità argentine noi non abbiamo nessuna garanzia di avere un trattamento umano, prima di tutto i nostri diritti di difenderci a un processo non saranno rispettati perchè in argentina non fanno difendere in un processo gli oppositori del regime e probabilmente verremmo anche torturati e chissà che fine faremo, insomma i nostri diritti dell'uomo non sono garantiti e allora il Tribunale federale svizzero fece una sentenza che è appunto la sentenza del Tribunale svizzero del 1982 in cui disse" effettivamente io non posso applicare il trattato nei confronti dell'Argentina però c'è il problema che qui c'è il principio di ius cogens che è a favore, che superiore al diritto internazionale a cui lo stesso trattato è sottoposto e la Svizzera è obbligata a rispettare anche quello e quindi non può concorrere con uno Stato che tortura le persone, che viola i diritti della persona umana. E ci sono stati molti casi di questo tipo quindi questo dimostra che l'applicazione del ius cogens ha la possibilità di contribuire alla civilizzazione dei rapporti internazionali attraverso l'applicazione che può esserne fatta negli ordinamenti interni. L'ultima cosa sull'argomento, il libro di Conforti sostiene una tesi che, siccome molti lo studiano ne parliamo, che per identificare la categoria di norme ius cogens per la quale io ho provato ad identificarle facendo questo parallalismo tra obblighi erga omnes e norme di ius cogens, che è contestato da alcuni, per esempio nella nostra facoltà è contestata da prof. Picone, ma comunque il manuale di Conforti dice in realtà le norme del ius cogens possono essere definite dalla Carta delle Nazioni Unite e addirittura dovrebbero essere agganciate sul piano sistematico, sul piano normativo all'art 103 della Carte delle Nazioni Unite, l'art 103 dice "in caso di conflitto tra obblighi derivanti dalla presente Carta e altri obblighi internazionali, i primi prevarranno", il libro di testo di Conforti sostiene che questa prevalenza dei principi della Carta andrebbero legati alla nozione del ius cogens internazionale perchè i principi del ius cogens internazionale sono contenuti nella Carta perchè effettivamente la Carta contiene il principio del divieto dell'uso della forza nell'art 2 paragrafo 4, fa degli acenni al auto-determinazione dei popoli ecc e quindi dice che l'art 103 in realtà dà la prevalenza della Carta. Ora mi sembra che questa tesi sia difficilmente sostenibile ma sopratutto che sia inutile, è inutile perchè il ius cogens non ha nessun bisogno di essere previsto dalla Carta per esistere perchè siccome sono norme consuetudinarie esistono anche indipendentemente e fuori dalla Carta per il fatto che sono ammesse come dice l'art 53 dalla Comunità internazionale degli Stati nel suo insieme e poi il ius cogens rende i trattati nulli mentre la Carta no e infine la Carta non era così nel 1969 per esempio, ma ormai, praticamente, quasi tutti gli Stati del mondo fanno parte della Sarta, ce ne serebbero ancora un paio che non ne fanno parte, la Carta non produce effetti nei confronti dei terzi mentre il ius cogens, come insieme di norme consuetudinarie, produce effetti nei confronti di tutti gli Stati, anche quelli che

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non fanno parte delle Nazioni Unite ma poi anche come contenuto non è vero, non è dimostrabile che tutte le norme della Carta sono tutte di ius cogens, l'art 103 dice che tutti gli obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite sono quelli risultanti dai negoziati dei trattati ma non è che sono tutti di ius cogens, evidentemente molti non lo sono, quindi non c'è affatto coincidenza e viceversa possono esserci obblighi del ius cogens ma che non sono previsti dalla Carta delle Nazioni Unite, è certamente così per l'auto-determinazione dei popoli che si è affermato successivamente su base consuetudinaria quando è cominciato il movimento della regolarizzazione perchè non era previsto dalla Carta delle Nazioni Unite. Allora, altro tema di diritto dei trattati è un problema che non è trattato dalla Convenzione di Vienna ma è trattato da un'altra Convenzione di codificazione del diritto internazionale consuetudinario che è quello della successione degli Stati nei trattati. Il problema della successione si pone perchè gli Stati hanno delle vicende di varia natura che possono riguardare per esempio distacco di parte del territorio oppure di avvicizioni di nuove parti del territorio per annessione, per incorporazione, ci possono essere fusioni, ci possono essere smembramenti, oppure ci può essere anche senza modifiche di territorio il cambiamento di un regime, di un governo per cui, normalmente, la sostituzione di un governo con un altro comporta continuità dello Stato però ci possono essere dei casi in cui la sostituzione di tale entità è così traumatica perchè altera completamente la struttura dello Stato, pensate alla rivoluzione di ottobre che ha sostituito il regime sovietico che era talmente diverso che si poteva dire che era uno Stato nuovo, insomma anche senza modificazioni territoriali. In tutti questi casi, naturalmente, gli obblighi e i diritti che derivano agli Stati dal diritto consuetudinario siccome sono uguali per tutti gli Stati perchè è un diritto generale, non creano problemi perchè sono norme generali che valgono per tutti gli Stati, è però diverso per i trattati perchè per i trattati il problema giuridico, ovviamente, si pone, il vecchio Stato aveva stipulato un trattato ma oggi a quello Stato se ne è susseguito un altro o perchè questo Stato si è estinto o perchè, appunto, è avvenuto un distacco e si è rimpicciolito, oppure al contrario quando uno Stato si estende ad un nuovo territorio e allora ci si può domandare che sorte hanno i trattati che erano stati stipulati dal predecessore. Questo è il problema della successione nei trattati, è un problema che è complesso perchè i dati della prassi internazionale in materia non sono mai stati chiarissimi per cui è stata interpretata diversamente, bisogna ricordare però che le norme generali del diritto internazionale in questa materia sono derogabili, quindi sopratutto nella prassi recente tende sempre di più a diffondersi l'uso che in questi casi sono gli Stati stessi interessati che stipulano accordi tra di loro e quindi risolvono il problema, ovviamente questi accordi devono essere ratificati, per essere efficaci, tutti gli stati interessati. Le ipotesi che in particolare che dobbiamo considerare sono queste: i mutamenti territoriali possono essere riconducibili a 4 ipotesi fondamentali: 1. c'è l'ipotesi del distacco quando parte del territorio si stacca da un altro perchè diventa per esempio uno Stato indipendente, l'ipotesi classica è quella della decolonizzazione in cui tutti gli Stati che avevano delle colonie, queste colonie, ovviamente, sono parte del territorio dello Stato quindi normalmente i suoi trattati si applicavano anche al territorio coloniale, non tutti hanno necessariamente però validità, ancora oggi, vi ricorderete per esempio, che il trattato C.E adesso è diventato trattato U.E ha delle norme specifiche sui Paesi con territori oltre mare che avevano un regime giuridico particolare, questa è una delle classiche ipotesi di distacco ma ce ne possono essere altre, naturalmente, per esempio in Europa ci sono stati vari casi, quando l'Irlanda è diventata indipendente, si è staccata dalla Gran Bretagna ecc.La seconda ipotesi è che il distacco arrivi addirittura a configurare un vero e proprio smembramento, la differenza è che nel distacco, lo Stato dal quale il distacco avviene continua a esistere, ovviamente, quindi continuano a esistere i suoi trattati , il caso del distacco dell'Irlanda, l'Inghilterra non è sparita, ha continuato ad esistere, si è solo rimpicciolita un pochino, quindi questo è il mero distacco, ci può essere invece il vero e proprio smembramento cioè una entità statale originaria si riduce in una serie di altri Stati indipendenti l'uno dall'altro ma sparisce come tale, non c'è più, pensate per esempio, di queste ipotesi ce ne sono state tante,anche in Europa, dopo prima guerra mondiale c'è stato lo smembramento dell'ipero Austro-Ungarico, tutte le varie entità che si sono formate, Austria, Ungheria, Slovacchia ecc, erano tutti Stati nuovi, nemmeno l'Austria era più continuazione politica dell'impero Asburgico. La stessa cosa è stato probabilmente quando dopo la seconda guerra mondiale il Reischt tedesco, la Germania si scisse in Germania occidentale, Germania dell'est perchè nessuna delle due poteva essere considerata il continuatore dello Stato Hitleriano,

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certamente la Germania questo lo ha sempre negato, non ha mai voluto sapere e riconoscerlo politicamente, tant'è vero che gli studiosi tedeschi di diritto internazionale privato sostenevano che il diritto nel riguardare i rapporti con la Germania orientale non era diritto internazionale privato perchè non erano rapporti internazionali tra Stati diversi ma un diritto inter-locale, soltanto che non essendoci norme tedesche di diritto inter-locale dovevano applicare per analogia le norme di diritto internazionale privato e quindi in realtà si risolveva in nulla. Cè stato smembramento nalla Jugoslavia per esempio perchè ormai è evidente che le sei originarie Repubbliche: Slovenia, Croazia, Bosgna-Erzegovina, Serbia, Montenegro e Macedonia oramai sono 6 stati indipendenti, lo stesso Serbia, Montenegro hanno accettato di cambiare nome non si chiamano più nemmeno Repubblica Jugoslavia, quindi ha accettato di essere uno nuovo Stato e come tale per esempio è stata riammessa alle Nazioni Unite come nuovo Stato, non più in rapporto di continuità, quindi queste sono le prime due ipotesi cioè il mero distacco e lo smembramento. Le due ipotesi un pò opposte, un pò contrarie sono, il contrario dell'ipotesi dello smembramento è la fusione, mentre con lo smembramento da uno Stato se ne costituisce una pluralità, con la fusione più Stati si riuniscono in uno, l'ipotesi contraria in qualche modo a quella del distacco è invece quella della incorporazione di uno Stato da parte di un altro che può avvenire per varie vicende, una volta, anticamente, quando, appunto, la guerra di conquiste era ammessa questi eventi spesso avvenivano con una maggiore entità, oggi non si può più fare perchè il diritto internazionale contemporaneo lo vieta. Ci possono essere anche qui varie modalità, vari procedimenti, spesso sono delle decisioni di carattere pacifico, per esempio in Texas se decise a un certo punto prima di essere indipendenti dal Messico e successivamente decise di aderire agli Stati Uniti come Stato degli Stati Uniti, queste sono le ipotesi in cui si hanno modificazioni territoriali. Poi c'è l'ipotesi che vi ho detto che tratteremo a parte perchè non è nemeno sicuro che sia una vera e propria ipotesi di successione tra Stati, del mutamento di governo che intimava a cambiare proprio una persona statale e quindi a prospettare un problema giuridico di continuità se c'è o non c'è la continuità. Tutte queste ipotesi presentano un certo margine di dubbio, sono dubbie nella loro consisitenza perchè non sempre è facile stabilire, anche perchè spesso si interseccano motivi politici, problemi politici alla valutazione giuridica dei casi ma spesso perchè le situazioni sono difficili da qualificare, non sempre è chiaro quale di queste ipotesi sia presente nella pratica anche per l'Italia è stata così, perchè mi pare che vi ho già ricordato, che quando ci fu il Regno d'Italia negli anni tra 1861 fu tra i giuristi un ampio discussione, dibatito, se si è trattato di un annessione che il Regno di Sardegna aveva fatto quindi i casi di corporazione oppure se si trattava invece di fusione e quindi se l'Italia unita nel 1861 non era la continuazione giuridica del Regno di Sardegna, naturalmente la risposta buona è che era la continuazione giuridica, questo, ovviamente, fa differenza sul piano giuridico perchè è chiaro che se noi diciamo che il Regno di Sardegna che si è allargato, i trattati del Regno di Sardegna non c'è dubbio he si estendono anche alle nuove parti, nel territorio perchè è sempre lui e i trattati sono sempre i suoi, mentre in una ipotesi in cui c'è fusione, cioè nasce uno Stato nuovo che prima non c'era la questione va discussa perchè lo Stato nuovo potrebbe dire quei trattati riguardavano lo Stato vecchio e non riguardano me e quindi questo principio che, come vedremo, è il principio generlamente applicabile a questa materia è in sostanza un applicazione a una situazione di diritto inter-temporale di successione di norme giuridiche del principio normale della inefficacia dei trattati nei confronti dei terzi e il terzo dice quel trattato lo ha fatto un altro Stato, non l'ho fatto io che sono terzo, quindi non sono vincolato, quindi c'è differenza giuridica e non sempre la situazione di fatto è chiara per esempio è altamente discutibile ed è stata altamente discussa la situazione che si è creata in seguito alla risoluzione dei Paesi socialisti quando l'Unione Sovietica si è separata una serie di entità che oggi sono Stati sovrani, si è discusso se c'è continuità della Russia con l'Unione Sovietica, quindi c'è stato una pluralità di distacchi oppure se c'è stata un definitivo smembramento e quindi la Russia attuale di Putin è una cosa diversa dall'Unione Sovietica pre 1990. Lo stesso è stata discussa in una certa fase, secondo me discutibilissima, la questione della Jugoslavia perchè è stato un processo graduale, quando all'inizio ci fu il distacco della Slovenia e della Croazia anche se non tutti gli autori sono d'accordo, secondo me si trattava dell'inizio di un distacco, poi in seguito a vari distacchi alla fine si è arrivato allo smembramento, ma è stato un processo graduale, non è stato un processo istantaneo. Quindi il processo di cui stiamo parlando è un processo di fatto, non è un processo giuridico, perchè, vi ricordate che abbiamo già ampiamente discusso questo problema all'inizio del nostro corso e abbiamo

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visto che la formazione dello Stato è per il diritto internazionale un fenomeno di fatto, non è un fenomeno giuridico, quasi paragonabile, direi, alla nascita o alla morte della persona fisica, quindi si tratta di dare una valutazione di questi fatti. Però, detto questo, la domanda è che cosa succede per i trattati? Il principio generale in sostanza è questo: che ogni volta che si ha l'estinzione di uno Stato, i suoi trattati si estinguono con lui e quindi ogni volta che nasce un nuovo Stato, questo Stato nasce libero da obblighi derivanti dai trattati del suo predecessore, appunto, perchè è uno Stato nuovo quindi è una conseguenza abbastanza logica, questo significa anche che non ha diritti che il predecessore aveva nei confronti degli Stati terzi, perchè anche gli Stati terzi, che erano parte di quei trattati e che non sono interessati da queste vicende ma erano controparte nei trattati, si trovano nella stessa posizione, non hanno più diritti da pretendere ma non hanno più nemmeno obblighi. Questo principio si dice della tabula rasa, il nuovo Stato ha una tabula rasa, non ci sono trattati che valgono per lui e nemmeno obblighi. Questo è il principio, ma il principio ha una serie di temperamenti, un temperamento che è generalmente accolto sono i Trattati così detto Localizzabili, Localizzati quelli che cioè stabiliscono dei diritti e dei obblighi che riguardana non lo Stato come persona statale, nella sua interezza ma una parte specifica del suo territorio, ovviamente, si tratta quasi sempre di zone di frontiera, quindi per eempio pensate ai trattati che fissano i confini controversi tra due Stati oppure sui trattati che operano una servitù di passaggio ecc, per questi trattati c'è una norma consuetudinaria accettata che se un nuovo Stato si sostituisce nella sovranità territoriale, in quel territorio al quale si riferiscono convenzioni di questo tipo, il trattato vale anche per lui, è una norma consuetudinaria, una norma che si è consolidata, direi, essenzialmente nel periodo della fine della seconda guerra mondiale, ci furono dei casi in cui fu discussa questa questione che andarono di fronte alla Corte Permanente di Giustizia Internazionale che era l'antenata della Corte Internazionale di Giustizia. Il primo caso era il caso delle isole Allaand che riguardavano queste isole che erano sotto la sovranità russa e la Russia aveva degli obblighi convenzionali con i Paesi Scandinavi di mentenere pulite d'estate, quando subito dopo la prima guerra mondiale la Finlandia si rese indipendente dalla Russia, esercitò lei la sovranità delle isole Allaand e la Finlandia contestò di avere questo obbligo internazionale perchè prima c'era la Russia e non lo fatto io e chiese un parere alla Corte Permanente di Giustizia Internazionale che invece disse no, siccome il trattato doveva proteggere il regime territoriale che era l'obiettivo, il regime territoriale si poneva anche al successore. L'altro caso deciso anche questo dalla Corte Permanente di Giustizia Internazionale però questo è una sentenza e quindi non un parere e quindi è una controversia, una controversia tra la Francia e la Svizzera riguardava le zone franche dell'alta Savoia e del Paese di Gex, in cui la Francia si rivolse alla Corte Permanente di Giustizia Internazionale la quale pronunciò di nuovo il principio che il regime territoriale obiettivo si impone anche al successore, quindi c'è questa regola, questa regola è però limitata soltanto a questi trattati localizzati. Come vi dicevo, i manuali sopratutto quelli stranieri di diritti internazionale dicono che questo vale anche per i trattati he fissano i confini, una volta che il confine è stato fissato non può più essere contestato, in realtà dal punto di vista giuridico non è tanto esatta questa affermazione perchè il trattato che fissa i confini ha effetto istantaneo e una volta prodotto il suo effetto si estingue, per lo stesso motivo per cui un contratto di compravendita nel diritto intrno, una volta che la cosa è stata venduta, è stata venduta e basta, il diritto del proprietario sulla cosa venduta vale erga omnes nei confronti dei terzi perchè è sua e quindi è una situazione reale, lo stesso succede con il trattato che fissa i confini, stabilisce quali sono i confini, cioè dice questo è mio, questo è tuo, dopo di chè ciascuno dei due occupa la parte sua, una volta che lo ha occupata esercita la sovranità territoriale, mentre la sovranità territoriale è una situazione che è tutelata dal diritto consuetudinario e non dai trattati e che si impone ai terzi perchè si basa sull'effettività dell'esercizio della sovranità di quello Stato quindi è ovvio che se poi un nuovo stato si sostituisce al primo in quel territorio, i confini sono quelli perchè si sta sostituendo la sovranità territoriale non perchè il trattato originario vale nei suoi confronti. La sola eccezione del principio dei trattati localizzabili, che sono a loro volta un'eccezione al principio per cui i trattati stipulati dal predecessore non vincolano il successore, è rappresentata dai trattati che concedono basi militari per i quali bisogna vedere perchè possono essere compatibili con il nuovo regime perchè per esempio c'erano rapporti politici, alleanza di amicizia tra uno Stato e un altro che invece il nuovo Stato non ha, perchè è uno Stato diverso che ha rapporti politici diversi. Quindi più che un eccezzione al principio della successione dei trattati localizzabili piuttosto è la clausola così detta rebus circostantibus e cioè il

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mutamento delle circostanze, mutate le circostanze alle quali era condizionato il trattato, il trattato si estingue perchè è incompatibile con la nuova situazione che si è venuta a creare. Fatta questa premessa su questa eccezione per i trattati localizzati, la regola generale è quella della tabula rasa ma c'è ancora qualche piccolo temperamento, intanto che vuol dire tabula rasa, vediamo le 4 ipotesi che abbiamo poco fa delineato, nell'ipotesi della annessione, della incorporazione è ovvio che soltanto uno dei due Stati si estingue, quello incorporato, quello invece che lo ha incorporato, quello che lo ha annesso diventa più grande ma non si estingue quindi questo vuol dire che i suoi trattati continuano a valere, come è ovvio, perchè siccome non si è estinto come era vincolato prima continua ad esserlo normalmente, si estinguono invece quelli dell'altro, questo principio è definito tradizionalmente con una terminologia che è stata inventata all'inizio del 900 dalla dottrina tedesca, il principio della mobilità delle frontiere dei trattati, cioè spostandosi le frontiere degli Stati anche le aree delle sovranità rispettive, naturalmente, al quale il trattato si applica si spostano corrispondentemente. Quindi come vi dicevo poco fa quando il Regno di Sardegna ha annesso, perchè di una annessione si trattò, i trattati del Regno di Sardegna continuarono a essere in vigore, mentre i trattati degli ex Stati una volta indipendenti e poi annessi si estinguevano perchè si estingueva lo Stato, mentre il Regno di Sardegna non si estingueva affatto, questo è il principio della mobilità delle frontiere. Per lo Stato che invece, nel caso opposto che è quello dello Stato che si distacca per esempio, lo Stato che si distacca è un nuovo Stato, uno Stato sovrano, uno Stato che prima non esisteva e che ora esiste, negli esempi che abbiamo fatto poco fa quando l'Irlanda nel 1922 si rese indipendente dalla Gran Bretagna, l'Irlanda fino al giorno prima non c'era, adesso c'è ed è uno Stato nuovo, questo Stato nuovo quindi non è vincolato dai trattati della Gran Bretagna. Quindi lo Stato nuovo nasce tabula rasa, non ha diritti e obblighi, ovviamente questo non esclude poi che tutti i trattati che sono stati stipulati dal predecessore siano rinegoziati però ci si deve mettere d'accordo e normalmente ci si mette d'accordo con le controparti quando c'è l'interesse reciproco, però ci vuole il consenso sia dello Stato nuovo, sia delle controparti. Anche qui c'è un piccolo temperamento che la prassi internazionale ha in qualche modo accettato e cioè i trattati multilaterali, non i trattati bilaterali, che possono essere due tipi, ci sono dei trattati che possono essere chiusi cioè sono fatti solo tra gli Stati che gli hanno stipulati, poco fa abbiamo fatto l'esempio del trattato di garanzia del Cipro che era stato fatto dagli Stati interessati, che erano Grecia e Turchia e basta, però molti trattati multilaterali, la Carta delle Nazioni Unite, i trattati che istituiscono Organizzazioni internazionali in genere, le Convenzioni di diritto internazionale privato ecc, sono spesso aperte all'adesione dei terzi, questo quindi vuol dire che un nuovo Stato, anche se nuovo, potrebbe sempre aderire perchè il trattato permette ai terzi di aderire. E allora però l'adesione che cosa avrebbe come conseguenza? Avrebbe come conseguenza una discontinuità temporale, nel momento in cui si forma il nuovo Stato, il nuovo Stato non è più parte del trattato perchè ancora non ha aderito, quando aderisce lo diventa però dal momento dell'adesione, nelle more si creerebbe una frattura temporale, una situazione di discontinuità, per esempio all'Irlanda i trattati dell'Ighilterra non si applicano più, magari per due mesi, per sei mesi dopo fino a quando non ha deciso di aderire ma siccome è possibile aderire a un trattato senza il bisogno del consenso delle parti contraenti originarie, perchè quelle parti contrenti hanno già detto che a quel trattato qualunque stato che lo desideri aderire può sempre aderire, e allora per evitare gli inconvenienti tecnici della discontinuità che poi possono creare problemi giuridici ovviamente e di interpretazione e allora la prassi ha inventato questo istitutio che sostituisce la normale procedura di adesione, sempre possibile, con la così detta notificazione di successione, lo Stato notifica unilateralmente, dato che non c'è bisogno del consenso degli altri che hanno già detto chiunque può partecipare, notifica la successione e attraverso questa notifica si evita la discontinuità. Si può dire che più di un ipotesi di successione di trattati, non è una successione perchè l'adesione non è automatica perchè ci vuole una notificazione quindi vuol dire che se lo Stato non la fa la notifica di successione, vuol dire che non succede, quindi deve essere lui a decidere se vuole o se non vuole, se fosse successione sarebbe automatica quindi più che altro vuol dire che è una particolare regola consuetudinaria, è un altro modo particolare di entrare a fare parte di un trattato. Questo che abbiamo detto per l'ipotesi del distacco vale anche per quello di smembramento, c'è però una differenza, nell'ipotesi del distacco, lo Stato dal queli lo si distacca continua a esistere e quindi continua ad essere responsabile per gli obblighi che derivano dai trattati, l'Irlanda si distacca, quindi i trattati inglesi non valgono più a Dublino, però continuono a valere a

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Londra. Nel caso dello smembramento invece la situazione è diversa perchè non esiste più un continuatore perchè non c'è il nuovo Stato, perchè è continuatore degli altri, quindi la situazione giuridica complessiva è leggermente diversa perchè non c'è più nessuno che risponde degli obblighi derivanti dal trattato. Nonostante questo, la regola generale è la tabula rasa e cioè i nuovi Stati proproi perchè nuovi vengono in essere senza obblighi e diritti. Questo può creare naturalmente dei problemi giuridici e molte volte questi problemi vengono risolti con accordi nella prassi, i problemi giuridici sono di due tipi: innanzi tutto, appunto, il fatto che non c'è nessuna responsabilità, pensate ad esempio ai prezzi internazionale contratti on questi Stati, chi paga, se nessuno è responsabile? Molte volte però negli accordi bilaterali c'è l'interesse a garantire la continuità e quindi gli Stati normalmente se gli accollano, anche al di fuori di queste ipotesi di solito se ne accollano perchè rimarrebbero malissimo e cioè i nuovi Stati vengono al mondo pur accettando questo fatto e quindi normalmente se li ripartiscono. La prassi internazionale in materia è stata, dopo la guerra, prima la prassi della decolonizzazione che ha riguardato centinaia di Paesi e poi quella europea della fine dei regimi socialisti, si sono divise la Ceco- Slovacchia pacificamente in Repubblica Ceca e in Slovacchia, la Jugoslavia pacificamente si è divisa pure, quindi ci sono stati casi in questa materia e ci sono stati anche molti porblemi, molti di questi problemi si sono risolti con accordi tra le parti interessati. I problemi sono di due tipi, il 1. è di decidere, qualche volta ci sono state controversie, se era smembramento e quindi non c'era più continuità oppure quando veniva riconosciuto dai terzi oppure dalla stessa Comunità internazionale la continuità c'era, questi problemi hanno riguardato molto Jugoslavia perchè inizialmente, per esempio, la Serbia pretendeva di essere continuatore della ex Jugoslavia però i terzi non erano d'accordo, per esempio pretendeva di continuare ad essere membro delle Nazioni Unite. Le Nazioni Unite adottarono in quel caso un atteggiamento ambiguo perchè finchè si trattava di pagare i contributi finanaziari annuali, lo riconsceva e continuava ad essere parte delle Nazioni Unite, quando poi ci furono le sanzioni del Consiglio di Sicurezza per via di tutte le violenze che ci sono state e che vedevano imputata la Serbia allora dissero che non lo era più perchè era uno Stato nuovo e non faceva parte delle Nazioni Unite, quindi questo è stato un caso, l'altro caso ha riguardato la Russia, si potrebbe benissimo sostenere che la nuova Russia non fosse più la continuazione dell'Unione Sovietica, era giuridicamente sostenibile come tesi anche perchè i Paesi nuovi che si sono costituiti, credo che erano una decina che si sono costituiti, fanno parte della così detta Comunità degli Stati indipendenti, e anche lì c'era un problema molto delicato, e cioè la Russia era membro permanente del Consiglio di Sicurezza, perchè a stabilire che la Russia non è più continuatore dell'Unione Sovietica significava dire che bisognava decidere chi sarebbe stato il membro permanente, però era un argomento scotantissimo che nessuno voleva toccare perchè siccome la situazione attuale delle Nazioni Unite in cui i 5 Paesi usciti vincitori dalla seconda guerra mondiale hanno il diritto di veto al Consiglio di Sicurezza che quindi crea una situazione di forte ineguaglianza, però ci sono molti Paesi che non sono più d'accordo perchè dicono che questa è stata fatta 60 anni fà, ormai non è più giustificato, ci sono Paesi che avrebbero il diritto di avere il veto altrattanto, sopratutto per esempio negli anni scorsi ci sono state la Germania e il Giappone, oppure ci sono altri Paesi che dicono togliamo il diritto veto, altri che dicono ma no aumentiamo il numero, per esempio cerchiamo delle soluzioni che creino un equilibio geo-politico non così sbilanciato a favore di soli 5 Stati che quindi hanno questa posizione di disuguaglianza non più giustificata, che si giustificò come risultato del secondo conflitto mondiale ma che oggi non è più giustificata, siccome è un argomento in cui gli Stati non riescono a mettersi d'accordo, si è fatto finta che fosse sicurissimo che la Russia è il continuatore dell'Unione Sovietica e quindi tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno accetato questa soluzione e gli stessi Paesi degli Stati dipendenti hanno stipulato tra di loro l'accordo di Almahatan nel 1991 con il quale hanno creato la Comunità degli Stati indipendenti con il quale dichiaravano innanzi tutto l'adempimento degli obblighi che derivavano dai trattati, per cominciare da quegli di carattere finanziario e in secondo luogo hanno accettato di considerare la Russia come continuatore dell'Unione Sovietica e di accettare che tutti loro facevano parte delle Nazioni Unite. Comunque i problemi, come nel caso di Almahatan, vengono risolti con accordo, gli accordi possono essere di solito tra gli Stati nuovi, oppure tra quello nuovo e quello vecchio che rimane rimpicciolito, però naturalmente il loro accordo si carattizzerebbe dall'efficacia dei terzi, cioè dalle controparti dei trattati, deve essere accettato da loro insomma. Per quello che riguarda la colonizzazione di questi

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accordi si sono fatti tantissimi, si chiamano Accordi di Devoluzione che sono stati regolati una volta che il processo di decolonizzazione si è concluso. Questi accordi di devoluzione sono accordi che devono essere accettati dai terzi, quindi questa materia che è molto complessa perchè c'è la difficoltà di definire la fattispecie, alla fine, la maggioranza dei problemi si risolvono con accordo dalle parti proprio perchè le norme del diritto internazionale consuetudinario in queste materie possono essere derogati, quindi anche per motivi di certezza del diritto. Le altre ipotesi che rimangono sono quelle contrarie, c'è la fusione oppure l'incorporazione, in questi casi di nuovo abbiamo le stesse alternative che abbiamo visto per il distacco e per lo smembramento. Cioè nell'ipotesi di incorporazione, lo Stato incorporante non si estingue ma solo si estendono i suoi territori, mentre i vecchi trattati, i vecchi trattati dello Stato che si è estinto naturalmente spariscono e il nuovo Stato non è responsabile, sempre salvo i compromessi con i terzi sulla base di libera contrattatzione. Nel caso invece di fusione, di nuovo, vale il principio della tabula rasa, la nuova entità, il nuovo Stato che non c'era, che non esisteva, ovviamente, i trattati di nessuno che si fondano sono validi, salvo accordi possibili, negoziabili. La sola regola, e anche questo è un temperamento del principio della tabula rasa, è questo: se per effetto della fusione si crea uno Stato in cui le varie entità, come avviene normalmente con gli Stati federali , mantengono una notevole autonomia, sul piano anche politico, certe volte anche dell'Organizzazione esterna, allora non c'è la tabula rasa, non c'è l'estinzione di tutti i trattati perchè anche se è uno Stato nuovo, ciascuna delle sue entità mantiene su base territoriale i vecchi trattati. Questo è successo in vari casi, per esempio è successo con la Svizzera che era una confederazione di vari cantoni, poi a un certo punto, con la costituzione del 1848 è diventata uno Stato federale, anche se si continua ancora oggi a chiamare confederazione Svizzera ma non è più confederazione da tanto tempo e i cantoni hanno una notevole autonomia, per fare un esempio quando un caso riguarda il diritto interno, in Svizzera c'è un diritto civile unico che è stato fatto in due tappe, nel 1907 e nel 1911, il codice delle obbligazioni e il codice del tutto il resto del diritto civile, sono due codici invece di uno, è uguale per tutti, però ancora oggi non c'è un unificazione della procedura civile Svizzero, oggi non esiste un codice di procedura civile ma esistono tanti codici di procedura civile quanti sono i cantoni. E quindi naturalmente i trattati che attengono alla procedura civile o una materia sostanziale, ovviamente sul piano internazionale è la Svizzera responsabile per l'adempimento o l'inadempimento, però questi trattati rimangono in qualche modo in una situazione non di unificazione, per ognuno vale il suo. Quindi volendo sintetizzare quello che abbimo detto, il principio è la tabula rasa, l'eccezione, che abbiamo visto, che consuetuinariamente si sono formate sono queste: i trattati localizzati non si estinguono; per i trattati multilaterali aperti all'adesione vale questa possibilità di notificazione di successione; e poi nel caso di fusione, di incorporazione dei vari entità territoriali che mantengono una notevole grado di autonomia anche in questo caso i trattati tendono a non estinguersi secondo il diritto internazionale generale; queste sono le regole particolari in questa materia. Rimane poi l'ultimo caso che è quello del mutamento di governo, qui non ci sono camiamenti di territorio però cambia totalmente la natura dello Stato, la rivoluzione francese, la rivoluzione russa insomma è cambiato tutto. Qui il problema si pone in questi termini: noi abbiamo già detto, del resto, che anche i mutamenti territoriali possono produrre delle conseguenze giuridiche. Abbiamo visto anche che le vicende costituzionali interno allo Stato sono quelle che riguardano il suo diritto interno e non il diritto internazionale, siccome abbiamo a che fare con Stati indipendenti questo vuol dire che la sua Organizzazione giuridica dipende da sè e non dal diritto internazionale, questo vuol dire che l'Organizzazione giuridica di uno Stato per il diritto internazionale è indifferente. Questo principio poi può produrre delle conseguenze perchè siccome mutamenti della stessa Organizzazione di uno Stato sono affari suoi, se noi da repubblica parlamentare diventiamo repubblica presidenziale per esempio, nel diritto internazionale non succede niente, è ovvio che non c'è nemmeno un problema di successione dello Stato. Il problema è però, che l'Organizzazione giuridica di uno Stato dal punto di vista del suo diritto internazionale è un fatto, però è anche vero che questo fatto può cambiare le cose perchè quando il cambiamento è molto rivoluzionario, quando è la stessa struttura dello Stato che è completamente cambiata e susseguita da un'altra si può dire che è una persona diversa in qualche modo, non so, se una persona fisica si fa un operazione plastica o si fa il taglio dei capelli rimane sempre lei però se succede quello che si vede nel libro di Cafca in cui la pesona si sveglia la mattina e si trova trasformato in un insetto, in questo caso non è più lui, è un insetto, è un'altra cosa, ecco, quindi è

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una modificazione di fatto. E allora se lo Stato diventa un'altra cosa, e allora si prospetta ragionevolmente il problema giuridico di successione. Questa è la maniera esatta di vedere il problema per chi riconsce che lo Stato per il diritto internazionale è insieme uno Stato con il suo governo, per questi che sono fermi alle teorie dell'800 secondo cui il cambiamento di governo non è sufficiente a cambiare lo Stato per questo lo Stato non cambia mai, per questi per esempio l'Unione Sovietica nata nella rivoluzione di ottobre era sempre lo stesso Stato sovietica che c'era allora. Quindi ci sono delle linee diverse, per chi accetta, io accetto, la prima teoria i cambiamenti del genere si possono avere anche senza aversi cambiamenti territoriali, in questo caso si pone il problema di successione però siccome questo concetto non è chiaro nell'ambito internazionale la regola che si è formata consuetudinariamente è che il nuovo Stato non può ripudiare i trattati del predecessore perchè i terzi dicono, sono affari vostri, avete fatto la rivoluzione, benissimo, però vogliamo tutti i diritti e pretendiamo tutti gli obblighi, quindi anche questa è un'eccezione della successione automatica della nuova entità statale che ha sostituito la precedente che il diritto internazionale ammette con l'eccezione alla regola della tabula rasa. C'è però un'altra cosa e cioè l'onere del principio Rebus Circostantibus e cioè il mutamento delle circostanze, per cui tutti i trattati che sono incompatibili con il nuovo regime politico perchè non vanno più bene, può richiamarsi alla clausola rebus circostantibus e quindi può sostenere che lo Stato non ha esistito perchè le circostanze che esistevano nel momento in cui venne stipulato, adesso non ci sono più e quelle circostanze avevano una parte giuridica essenziale che i diritti e gli obblighi per le parti erano nulle. Però, alla fine, l'esistenza di questa possibilità finisce per rendere, praticamente, meno accuto il problema di decidere quando un nuovo ente è così diverso che uno nuovo Stato in realtà non lo è, perchè tanto o c'è continuità, salvo il principio rebus circustantibus o se successione, salvo il principio rebus circustantibus, più o meno si finsce per arrivare a risultati abbastanza sovraponibili all'insieme e quindi nella pratica poi il problema difficile che certi casi presentano all'identificazione se c'è stato un mutamento o meno quando invece prendiamo in considerazione il fatto che uno si è cambiato in un rettile, alla fine diventa facilmente controllabile con questo principio del mutamento delle circostanze.

16 04 2010

Oggi concludiamo il tema delle clausole di invalidità e l'estinzione dei trattati. Le clausole di invalidità si distinguono in: Assolute e Relative. Un caso di invalidità assoluta si ha quando il trattato è in conflitto con una norma imperativa dello ius cogens, un altro caso di invalidità assoluta è indicata nella Convenzione di Vienna, il trattato nel quale il consenso dello Stato sia stato esposto con la violenza, sia che si tratti di violenza esercitata sul rappresentante dello Stato( art 51 della Convenzione), sia se si tratti di violenza esercitata sullo Stato, in entrambi i casi la nullità è considerata assoluta. Queste sono le due ipotesi, la violenza e lo ius cogens. Le ipotesi di nullità relativa sono invece, un caso che abbiamo già visto e discusso ampiamente e cioè le violazione del diritto interno sulla competenza a stipulare che consente a uno Stato di invocare, a certe condizioni che abbiamo visto, questa violazione (art 46), sia in quelle ipotesi che sono i casi noti nella teoria generale delle fonti giuridiche, quindi anche dei

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contratti nel diritto interno, e cioè l'errore( art 48), il dolo e la corruzione del rappresentante di uno Stato, artt 49 e 50, queste sono le ipotesi di nullità relativa. Quindi in sostanza abbiamo sei cause di invalidità del trattato. Questa distinzione tra nullità assoluta e nullità relativa terminologicamente è un pò diverso da quello del diritto italiano ma in sostanza è quello che, in grosso modo, nel nostro diritto è la differenza tra nullità e annullabilità, nullità relativa è una terminologia francese relativa al contratto. Le differenze quindi di regime giuridico sono non molto diverse dal nostro diritto civile interno a proposito della nullità del contratto, cioè la nullità assoluta, innanzi tutto opera di diritto, è automatica e in secondo luogo non può essere sanata, che opera di diritto lo potete constatare leggendo gli artt che ne parlano e che sono formulati in questi termini, vedete l'art 51- violenza esercitata sul rappresentante di uno Stato, " l'espressione del consenso di uno Stato a vincolarsi a un trattato che sia stata ottenuta attraverso la violenza esercitata sul suo rappresentante per mezzo di atti o di minaccie dirette contro di lui, è privo di qualsiasi effetto giuridico", quindi come vedete l'effetto è automatico, lo stesso per la violenza sullo Stato e per il ius cogens, è nullo e non ha effetto giuridico. La seconda differenza è che non può essere sanata, cioè non è possibile per le parti, nemmeno con la dichiarazione espressa di volere sanare l'invalidità, non è possibile sanarla, questo risulta, nella Convenzione di Vienna, dall'art 45, che dice che uno Stato che ha fatto acquiescenza, non può più invocare una clausola di invalidità del trattato nei casi degli artt da 46 a 50 o 70 e 72 che riguardano l'estinzione, quindi sono esclusi gli artt 51, 52, 53, per i quali quindi non si aplica questo regime di perdita del diritto, di invocare l'invalidità. In realtà l'invalidità non ha nemmeno bisogno di essere invocata perchè l'invalidità assoluta non deve essere invocata, opera di diritto, opera automaticamente. La terza differenza è, in base all'art 44, sulla divisibilità delle disposizioni di un trattato, mentre la nullità relativa può colpire solo alcune disposizioni del trattato ma non l'intero trattato, la nullità assoluta colpisce l'intero trattato anche se la violenza o la contrarietà allo ius cogens rigurdano soltanto una o alcune clausole del trattato e non il trattato nella sua interezza, queste sono le tre differenze di regime giuridico. Come vedete sono differenze, tranne questa forse della divisibilità delle disposizioni, che ci sono anche nel diritto interno dei contratti che si distinguono l'annubillità dalla nullità. Di queste cause di nullità dei trattati, di alcune ne abbiamo già parlate in maniera particolare e cioè della violazione delle disposizioni del diritto interno sulla competenza a stipulare e dello ius cogens, quindi quelle che rimangono sono: l'errore, il dolo e la violenza, come vedete sono i classici vizi del negozio giuridico. Quindi per esempio sull'errore e sul dolo non c'è molto da dire, tanto più che poi sono elementi che, sono abbastanza rari naturalmente, e riguardano principalmente i trattati con più supporto non codificato, perchè i trattati per il quale si ricorre al processo di stipulazione solenne che richiede l'intervento del parlamento con la legge di autorizzazione e di ratifica ecc, ovviamente c'è tempo per accorgersi dell'errore e anche per accorgersi del dolo o la corruzione di un rappresentante dello Stato poi non sarebbe sufficiente perchè poi sarebbe corrotto anche il parlamento che certamente non è d'accordo, non autorizzerà la ratifica del trattato, il Presidente della Repubblica non lo ratificherà, quindi non hanno un'importanza particolare, quello che merita invece un pò di trattazione è la violenza, perchè sulla violenza anche la Convenzione di Vienna ha esercitato un pò di modifica della situazione anteriore. Una volta è sempre stato riconosciuto che la violenza sul rappresentante dello Stato, cioè la minaccia, la violenza, la coercizione fisica sul rappresentante dello Stato è causa di invalidità del trattato, viceversa la minaccia del ricorso alla forza nei confronti dello Stato, almeno fino a quando la guerra non era illecita nemmeno sul piano del diritto internazionale, non era considerata, ovviamente, una causa di nullità. Tant'è vero che per esempio, quando si è cominciato a parlare della possibilità di considerare la minaccia del ricorso alla forza, alla violenza delle armi nei confronti dello Stato come una cause di nullità, si è cominciato ad obiettare, ma allora se fosse così i trattati di pace sarebbero tutti nulli, cosa che nessuno ha mai sostenuto perchè nel trattato di pace il vincitore, ad un certo punto, costringe lo sconfitto all'arresa e a stipulare un trattato di pace che normalmente fa delle condizioni, come è ovvio, più favorevoli al vincitore che ha vinto. In realtà anche la nullità del trattato di pace non è mai stata sostenuta perchè nel trattato di pace un consenso c'è sempre, innanzi tutto non ci sono soltanto trattati di pace imposti con la violenza da parte del vincitore, si possono anche essere trattati di pace tra parti di cui nessuno è riuscito a prendere il sopravento sull'altro e decidono di fare la pace, quindi in condizioni sostanzialmente di parità. In secondo luogo, una certa possibilità di negoziare le clausole c'è l'ha anche lo sconfitto, ma comunque al

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di là di questo è certo che oggi il diritto internazionale considera una delle violazioni massime, più gravi del principio del sicorso alla guerra di aggressione, alle forze armate e quindi è normale che la violenza sullo Stato venga considerata contraria al diritto internazionale. Anche prima che si affermasse il divieto dell'uso della forza come norma generale del diritto internazionale, il chè è avvenuto dopo la seconda guerra mondiale, come ormai sapete, c'era già stato qualche precedente. Un precedente abbastanza significativo è considerato per esempio il caso del trattato imposto dalla Germania alla Cecoslovacchia alla vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale, la Cecoslovacchia venne costretta a cedere alla Germania il territorio dei Sudeti, sapete com'era la storia dei Sudeti, c'era una minoranza, una popolazione di minoranza tedesca e allora la Germania nella sua mira espansionistica, dopo avere realizzato la grande Germania con l'Austria, nel 1938 si prese di mira questa zona della Cecoslovacchia e ci furono i famosi accordi di Monaco che Mussolini celebrò il suo successo diplomatico per avere masso d'accordo la Francia e l'Inghilterra con la Germania ed evitato lo scoppio della guerra che poi ne è ritardato solo un anno il realtà, dopo che Hitler non era contento e si voleva prendere anche la Polonia, e allora in seguito all'accordo di Monaco, il giorno dopo che Hitler, aveva trattato il consenso all'annessione dei sudeti, convocò praticamente il Presidente della Repubblica Cecoslovacco dell'epoca che si chiamava Hacha a Berlino e gli estorse, appunto, il consenso alla cessione del territorio dei Sudeti e minacciando simultaneamente, sia sullo lo Stato che sull'organo, minacciandolo apertamente con la morte se non firmava e che inoltre sarebbe stata immediatamente bombardata Praga, così fu costretto a dare il suo consenso. Il risultato fu che per effetto dell'annessione tutti gli abitanti del Sudeti, sia quelli che erano realmente tedeschi di origine, sia quelli che invece non lo erano vennero poi dichiarati cittadini del Reischt, cittadini tedeschi. La conseguenza di tutto questo fu la seguente: che quando alla fine della seconda guerra mondiale, dopo che la Germania fu sconfitta, i Paesi vincitori o quelli che avevano subito danni di guerra con l'occupazione tedesca come era il caso dell'Olanda che era stata occupata militarmente dalla Germania, avevano cominciato una serie di procedimenti di confisca dei beni posseduti dagli ex cittadini tedechi nel loro Paese per rifarsi su quei beni dei danni di guerra che la Germania gli aveva provocato. E tra questi cittadini tedeschi, c'erano, appunto, cittadini tedeschi della zona Cecoslovacca dei Sudeti i quali erano stati dichiarati cittadini tedeschi. Allora le giurisprudenza Olandese difronte alla situazione di ingiustizia di questi signori che non soltanto erano stati annessi con la violenza ma per altro essendo stati trasformati, senza essere, cittadini tedeschi, e in quanto tali avrebbero anche dovuto subire la espropriazione dei loro beni da parte degli Olandesi, la giurisprudenza Olandese disse no, ci sono poi state varie sentenze che dissero no, siccome la cittadinanza tedesca dipende dal trattato di Berlino e il trattato di Berlino è nullo perchè è stato estorto con la violenza, il risultato è che per noi non sono cittadini tedeschi perchè questo è conseguenza di un trattato che era nullo. Quindi anche prima che si affermasse, come poi è avvenuto con le Nazioni Unite, poi come il diritto consuetudinario formatasi dopo la seconda guerra mondiale, il principio del divieto della violenza armata, militare nei rapporti internazionali, si cominciò a formare questo precedente, questa idea che il trattato il cui consenso è estorto con la minaccia della violenza militare è nullo ed è anche un caso, come vi dicevo, di nullità assoluta. C'è anche una sentenza recente della Corte Internazionale di Giustizia del 1973 che riguardava una controversia tra Inghilterra e Germania da una parte e tra l'altra l'Islanda per le zone di pesca islandesi, in cui l'Islanda volendo proteggere i suoi cittadini che pescavano nelle sue acque trote inglesi e tedesche, i pescherecci erano molto più organizzate, consistenti ecc andavano a pescare tutto il pesce, allora c'è stata una controversia che è durata decenni perchè man mano che il diritto del mare conosceva lo sviluppo, che vi ho raccontato, e cioè di estendere anche geograficamente il limite delle zone riservate allo stato costiero, l'Islanda è sempre stata in testa nel promuovere questi sviluppi quindi all'inizio cominciò, dopo la guerra, a riservarsi una zona che era di 4 miglia di pesca, poi dopo un pò lo portò a 12, man mano che la tecnologia migliorava, ovviamente, c'era bisogno di difendere meglio i propri pescatori, la propria economia, perchè l'economia Islandese è basata in maniera significativa su questo, poi a un certo punto arrivò a 50. Allora l'Inghilterra e la Germania ritenendo che queste misure erano contrarie allo stato del diritto internazionale del mare dell'epoca fecero pressioni sull'Islanda e poi la convinsero a stipulare un compromesso per andare davanti alla Corte Internazionale di Giustizia per decidere se era giusto, non era giusto che l'Islanda pretendeva di riservare ai propri pescarecci la bellezza di 50 miglia marine di zona. E allora l'Islanda contestò la

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competenza della Corte perchè sostenne che questo compromesso era nullo perchè era stato fatto con la minaccia dell'uso della forza, illegittimo, perchè le flote militari questa volta, non più le pescarecci mercantili ma le flote militari, inglesi e tedesche si erano affacciati dalle parti del suo mare territoriale con aria minacciose, la Corte escluse che la pretesa fosse fondata perchè escluse che la minaccia ci fosse stata però conobbe comunque il principio come se fosse stato e lo affermò come un principio di diritto che certamente, in questo caso, il consenso Islandese non era valido, sarebbe stato nullo, quindi non sarebbe stato produttivo di effetto. Il vero problema interessante che riguarda e sul quale ci sono state per parecchio tempo dispute tra gli Stati sulla violenza come causa di nullità dei trattati è di definire questa violenza, cioè è soltanto la violenza militare o la minaccia del ricorso alla violenza armata oppure anche la violenza economica, cioè l'uso di pressioni economiche di tale portata da costringere uno Stato che economicamente è più debole a cedere in sostanza, per esempio con misure di imbargo, con restrizioni economiche, ecc. In realtà, bisogna dire subito che sul piano di fatto, il problema va ridimensionato moltissimo perchè è estremamente difficile che il ricorso a mezzi di pressione economica possa veramente essere così efficace da ridurre uno Stato nella condizione di non potersi difendere, certamente uno Stato può avere dei danni alla propria economia, tutta la prassi e l'esperienza di molti decenni di soluzioni economiche dimostra che le sanzioni economiche, anche quelle multilaterali, quelle attuate dalle Nazioni Unite o prima ancora dalla Società delle Nazioni, in realtà hanno molto più un valore morale di segnalare l'opinione pubblica la grave disapprovazione della Comunità internazionale degli Stati per il comportamento di uno Stato che non rispetta il diritto internazionale piuttosto che avere l'efficacia veramente di ridurlo alla ragione soltanto con questi mezzi. Innanzi tutto perchè le misure economiche, le sanzioni economiche sono molto più facilmente aggirabili perchè anche quando partecimmo, in teoria dovrebbero partecipare tutti gli Stati, c'è sempre quello che fa il contrabando e ci si arricchisce tra l'altro, oppure ci sono gli Stati che lo favoriscono perchè hanno una certa solidarietà politica con altri Stati, oppure perchè hanno interessi economici o perchè ricevono qualche cosa in cambio a loro volta. E anzi gli studi fatti in questa materia dimostrano che quasi sempre l'economia più danneggiata non è quella di chi riceve, subisce la così detta sanzione economica ma è quella di chi lo applica perchè ovviamente i suoi operatori economici, che per esempio esportano, importano, insomma fanno affari con quello Stato perdono la possibilità di farli e spesso ci sono conseguenze gravi anche di lungo termine, nel senso che si modificano le correnti commerciali, per esempio quando gli Stati Uniti decisero di fare un embargo di cereali contro l'Unione Sovietica che aveva bisogno di molti cereali, era un Paese importatore, il risultato fu che i veri danneggiati furono i produttori e gli esportatori di cereali americani perchè l'Unione Sovietica se ne andò a prenderle da un'altra parte, in Argentina o altrove e alla fine poi orami si erano instaurati buoni rapporti commerciali con altri fornitori e gli Stati Uniti persero definitivamente i loro clienti. Quindi bisogna innanzi tutto ridimensionare molto il problema nella sua portata pratica. Detto questo, c'è però stata sempre un contrasto tra i Paesi in via di sviluppo che sono quegli che hanno l'economia debole naturalmente e che hanno sempre vissuto le pressioni, non solo quelle militari che ci sono sempre state nel corso dei tempi, ma anche quelle economiche che ovviamente sono sempre più un modo di metterle in una posizione di inferiorità diplomatica nei rapporti diplomatici internazionali, i quali hanno premuto sempre per ottenere che la violenza economica venisse parificata alla violenza militare e quindi venisse bandita, vietata dal diritto internazionale però questo risultato non sono riusciti mai ad ottenerlo. Che cos'è successo alla Conferenza di Vienna che ha elaborato il testo della Convenzione? Tutto quello che si è riuscito ad ottenere è stato una soluzione di compromesso politico in cui la definizione della violenza esercitata sullo Stato, ve lo potete leggere nell'art 52, rinvia la Carta delle Nazioni Unite perchè dice "è nullo ogni trattato la cui conclusione sia stata ottenuta con la minaccia o l'impiego della forza in violazione dei principi di diritto internazionale incorporati nella Carta delle Nazioni Unite", quindi dobbiamo andare alla Carta delle Nazioni Unite. Si è aggiunto però una dichiarazione politica che è stato un allegato non vincolante, che è stato un allegato dell'atto finale della Conferenza di Vienna, di condanna delle pressioni economiche esercitate sugli Ctati al fine di ottenerne il consenso a stipulare il trattato, la condanna è una condanna politica di valore morale, la quale non è nemmeno un allegato alla Convenzione di Vienna, è soltanto un allegato all'atto finale della Conferenza. E allora dato che si è rinviato alla Carta delle Nazioni Unite bisognerebbe andare alla Carta delle Nazioni Unite, nella Carta delle Nazioni Unite già art 2 paragrafo 4 che conosciamo che dice "i

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membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall'uso della forza, sia contro l'integrità territoriale, quindi qui stiamo parlando di forza armata ovviamente sia contro l'indipendenza politica di qualsiasi Stato, l'indipendenza politica è già un pò più generale, un pò più ambiguo perchè, ovviamente, l'indipendenza politica e quindi l'autonomia decisionale dello Stato può essere messo in discussione, ovviamente, la pressione economica è talmente irresistibile da metterla in discussione, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite", quindi l'art 2 paragrafo 4 è sufficientemente generale. Se uno va ai lavori preparatori dell'art 2 paragrafo 4 della Carta delle Nazioni Unite, trova che alla Conferenza di San Fransisco in un emendamento di testo presentato dal Brasile, quindi da un Paese latino americano non a caso perchè sono proprio i Paesi latino americano tra quelli che hanno il più possibile premuto per la messa in bando in maniera esplicita, chiara, dalla Comunità internazionale della pressione conomica, c'è un emendamento Brasiliano che voleva includere una disposizione precisa in questa materia che venne respinto in largissima maggioranza, e questo è il primo segnale. Il secondo segnale, si può pensare che l'art 2 paragrafo 4 ha un nesso sistematico con l'art 51 e cioè sul diritto di legittima difesa individuale o collettiva che è l'unica eccezione che ammette la Carta al principio del divieto dell'uso della forza poichè questo porterebbe, consentire di interpretare il divieto dell'uso della forza come forza amata, in definitiva. Ma oltre a questo sono sopratutto gli sviluppi della prassi ulteriore perchè molte volte gli Stati hanno continuato a produrre documenti, a negoziare in sedi multilaterali documenti sui principi che devono regolare i rapporti giuridici internazionali tra gli Stati. Tra questi documenti, uno dei più importanti prodotto dopo la Carta delle Nazioni Unite, è sicuramente una risoluzione dell'Assemblea Generale famosa cioè la Dichiarazione sui Principi delle Relazioni Amichevoli tra gli Stati, è la risoluzione 2625 del 1970 dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Dichiarazione Relativa ai Principi di Diritto Internazionale concernenti le relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati in conformità con la Carta delle Nazioni Unite dove, chiaramente, sono indicati i principi uno dopo l'altro e questi principi sono specificati, non soltanto elencati ma c'è una lunga descrizione del contenuto esatto del principio e la risoluzione si basa sull'idea di distinguere due cose:1. il divieto dell'uso della forza, che riguarda la forza armata e poi 2. il principio del non intervento di uno Stato negli affari interni degli altri Stati nel quale sono mensionate le pressioni economiche come una delle possibili modalità di violazione del principio di non intervento. Quindi c'è questa netta sistematica, uso della forza è soltanto alla minaccia dell'uso della forza armata, pressione economica invece è il principio del non intervento che anche quello è illecito, l'intervento negli affari interni di uno Stato da parte di un altro, intervento autoritativo, con pressioni, però è un illecito diverso e di minore genere. Questa sistematica è confermata da altri documenti internazionali, per esempio dall'atto finale di Helsink che, come vi ho detto concluse la così detta Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa e che contiene anche esso la enunciazione di una serie di principi di soft law che devono reggere le relazioni amichevoli tra gli Stati ha la medesima distinzione, il principio 2 . divieto dell'uso della forza, principio 4. principio del non intervento. Ma è ancora forse più significativo di tutti il fatto la Carta di Bobotacker istituita dalle Organizzazioni degli Stati americani, la Carta del OAS del 1948, benchè proprio gli Stati americani o almeno quelli del centro, sud america, sono quelli che hanno sempre premuto il più possibile per limitare le pressioni che possono in qualche modo limitare il contenuto effettivo della sovranità degli Stati, distinguono egualmente, nella stessa maniera gli artt, rispettivamente, 18 e 19, il divieto dell'uso della forza e il principio di non intervento e quindi il divieto di pressione economica in maniera tale da forzare la volontà sovrana di uno Stato. Quindi direi che nonostante che c'è una certa ambiguità letterale nelle disposizioni sia della Convenzione di Vienna che nella Carta delle Nazioni Unite, la tendenza generalmente accolta dalla Comunità internazionale è di non mettere la violenza economica sullo stesso piano di quella militare, tanto più che il divieto della violenza militare è assoluto e incontra tendenzialmente l'unica eccezione nella legittima difesa che in realtà non è neanche violenza militare in senso stretto perchè usa la forza per respingere l'aggressione quindi è una cosa diversa, è fatto per resistere, diciamo, non per aggredire gli altri, che è vietato in maniera assoluta. Mentre per esempio la violenza economica è vietata come violazione del principio del non intervento e quindi è un'altra regola, una norma diversa, è vietata in maniera relativa, in relazione allo scopo che si persegue, per esempio se si vogliono attuare rappressaglie contro uno Stato che ha violato il diritto internazionale è lecito usare rappressaglia economica, anche la violenza economica per

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indurre uno Stato a rispettare i diritti degli altri, mentre non è lecito usare la violenza militare, quindi sono due norme di contenuto diverso. Direi che questo può bastare per le cause di invalidità dei trattati. Vediamo adesso le cause di estinzione. Anche le cause di estinzione le possiamo raggruppare in due gruppi diversi, in due categorie diverse: 1. le cause di estinzione che si fondano sul trattato e 2. le cause di estinzione che si fondano sul diritto internazionale generale. Anche qui c'è una certa similitudine in qualche modo tra le cause di estinzione dei trattati e le cause di estinzione del contratto nel diritto interno perchè in fondo stiamo sempre parlando di accordi che producono effetti giuridici che sono il prodotto di autonomia, quindi le linee giuda, i principi giuridici generale, anche se un trattato tra Stati, ovviamente, è una cosa diversa da un contratto di diritto interno però alcuni principi giuridici sono comuni. Le cause fondate sull'accordo sono il termine finale, se l'accordo ha un termine, sono per esempio, il trattato CECA è stato concluso per 50 anni e non per un tempo indeterminato, era stato concluso nel 1951 e nel 2001 si è estinto perchè non è stato più rinnovato, quindi questo è il termine, ovviamente, ci può anche essere una condizione risolutiva, come c'è il termine c'è la condizione, ovviamente, se il trattato lo prevede e quindi si estingue, oppure l'altra causa fondata sul trattato, che è molto frequente perchè moltissimi trattati sono così, il diritto di recesso, molti trattati stabiliscono la possibilità, con un termine di preavviso, per gli Stati di recedere, per esempio sono tutte così, quasi, le Convenzioni che riguardono materie tecniche, come il diritto internazionale privato, trattati di estradizione, ecc,ecc, in questo caso uno Stato deve rispettare il termine di preavviso, ovviamente, non c'è nessun problema giuridico, sono cose semplici. Poi ci sono quelle che dipendono dal diritto internazionale generale, una prima causa di estinzione che dipende dal diritto internazionale generale, anche questa semplicissima, è il mutuo dissenso e cioè un nuovo accordo con il quale le parti decidono di di porre nel nulla, di estinguere l'accordo che avevano prima, la possono sempre fare perchè, ovviamente, la parti dell'accordo ne dispongono, coma è ovvio. E, come al solito questo mutuo dissenso puo essere un fatto meramente negativo, quindi convenire di porre termine al trattato oppure può invece essere il prodotto dell'abrogazione anche implicita derivante dal fatto che le stesse parti stipulano un nuovo trattato incompatibile col primo. Le altre cause di estinzione da ricordare sono, l'ipotesi dell'impossibilità sopravvenuta di eseguire un trattato, per esempio un trattato che riguarda la sudivisione della sovranità su un'isola che sta in mezzo a un fiume che separa due Stati, se a un certo punto l'isola sparisce, ovviamente, viene meno l'oggetto. Oltre all'impossibilità, c'è l'eccessiva onerosità sopravvenuta, come la chiamano nel nostro diritto interno che viene definita dalla Convenzione di Vienna il mutamento fondamentale delle circostanze, art 62 della Convenzione e l'inadempimento, quando l'inadempimento è sostanziale dice l'art 60 della Convenzione di Vienna, specificando che per inadempimento sostanziale si deve intendere o l'inadempimento che pregiudica la possibilità di raggiungere l'oggetto e lo scopo del trattato oppure il ripudio completo, totale del trattato da parte di uno Stato, lo potete vedere nell'art 60 paragrafo 3. L'estinzione di un trattato per inadempimento va tenuta distinta, anche se poi nella pratica la differenza non è facilissima da fare, dalla rappressaglia cioè uno Stato ha violato un obbligo nei confronti di un trattato, lo Stato che subisce la violazione ha il diritto a sua volta di reagire con una contromisura, il diritto di reagire con una contromisura è una cosa, l'stinzione del trattato come conseguenza di inadempimento sostanziale invece è un'altra cosa perchè è semplicemente la applicazione del principio della correspetività delle prestazioni tra le parti, quindi venendo meno la prestazione di una parte viene meno, ovviamente, l'obbligo dell'altra. Quindi il regime delle contromisure le quali possono consistere nella violazione, come risposta, come rappressaglia di un obbligo derivante dallo stesso trattato ma potrebbero anche consistere alla violazione di un altro obbligo internazionale, diverso, purchè venga rispettato il principio della proporzionalità. Sono quindi due cose diverse che andrebbero distinte, questo è un fatto puramente oggettivo di equilibrio tra le posizioni negoziali delle parti. Per l'estinzione del trattato la cosa che si deve ricordare, che è una regola importante è il paragrafo 5 dell'art 60 che vieta l'estinzione del trattato come conseguenza della violazione per i trattati di carattere umanitario, quelli in particolare che proibiscono qualsiasi forma di rappressaglia nei confronti delle persone che sono protette da tali trattati. Per trattato di carattere umanitario in senso stretto si dovrebbe intendere il diritto umanitario di guerra, quindi il divieto di rappressaglia sulla popolazione civile o regole sul trattamento umano dei prigionieri di guerra ecc, però la tendenza internazionale è di interpretare questa norma in maniera larga e a ritenere che anche i trattati sui diritti umani in genere non sono

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sottoposte a questa regola quindi il fatto che uno Stato non abbia in mente di rispettarne, per esempio un Paese membro del Consiglio d'Europa per effetto di un colpo di stato viene ad essere sottoposto ad u governo dittatoriale repressivo, che reprime gravissimamente la popolazione civile è un motivo che gli altri Stati reagiscono con misure dello stesso genere. Quindi questo è un principio che è andato forse oltre, l'art 60 ormai si tende ad ammettere che in materia di Convenzioni dei diritto dell'uomo la reciprocità non deve essere fatta valere in questo modo perchè non devono stare in mezzo i diritti dell'uomo. La norma più importante invece è il cambiamento fondamentale delle circostanze che è l'art 62 che è l'applicazione di quel principio che nel nostro codice civile è il principio della eccessiva onerosità cioè quando le situazioni che esistevano al momento in cui l'accordo è stato raggiunto, si sono talmente modificate che sulla base delle nuove situazioni non è più possibile, perchè non sarebbe equo diciamo, considerare lo Stato ancora vincolato a quella situazione. Questa regola è una regola che è piuttosto contestata e contrastata lo era anche nel diritto interno dei contratti, per esempio nel commercio internazionale, e del resto anche nel diritto interno non tutti i codici civili hanno norme di questo genere, il codice civile italiano che è un pò più moderno di molti altri codici storici europei ha questa regola nel noto art 1467, però il codice civile francese non c'è l'ha, il codice civile svizzero non c'è l'ha, in realtà è però un'elaborazione giurisprudenziale che portava alla stessa idea. Nel diritto internazionale quindi il principio è ammesso anche, ma è ammesso, ovviamente, con molta circospezione perchè in qualche maniera sono incompatibili, si è detto, i principi factas un servanda e il principio rebus circostantibus perchè se i dati devono essere rispettati allora devono essere rispettati sempre e non rebus circostantibus, quindi bisogna trovare un compromesso diciamo. Leggiamo quest'art 6 e vediamo che cosa dice "Un mutamento fondametale delle circostanze intervenuto rispetto alle circostanze esistenti al momento della conclusione di un trattato e che non era stato previsto dalle parti, quindi occore l'imprevisione, non può essere invocato, se cioè era prevedibile in partenza non può essere invocato dopo, come motivo di estinzione o di recesso, al meno che:( è stato fatto apposta di scegliere la forma negativa per dire che deve essere un caso di eccezione, non è che dice " può essere invocato se...", ma dice " non può essere invocato, a meno che ..") a. l'esistenca di tali circostanze non abbia costituito una base essenziale del consenso delle parti a vincolarsi al trattato; e che b. tale mutamento non abbia per effetto di trasformare radicalmente la portata degli obblighi che rimangono da adempiere in base al trattato; poi ancora viene specificato che comunque in nessun caso può essere invocato il mutamento delle circostanze come una causa di estinzione del trattato se si tratta di un trattato che fissa un confine oppure se il cambiamento fondamentale delle circostanze deriva da una violazione, ad opera della parte che l'invoca, sia di un obbligo del trattato, sia di qualsiasi altro obbligo internazionale a danno di qualsiasi altra parte del trattato, la prima eccezione non è una vera eccezione per i motivi che abbiamo già spiegato ieri e cioè se se trattasse di un trattato che fissa i confini ormai il confine è fissato e quindi si è già estinto perchè già ha svolto la sua funzione, poi il confine è fissato e ovviamente la pluralità territoriale degli Stati sulle zone confinarie che sono state stabilite dal trattato è ormai un diritto che si fonda sulla effettività territoriale rispettivamente esercitato, sul principio di effettività e non sul trattato. Invece il caso della lettera b, cioè dice che se lo Stato lo ha provocato lui stesso il mutamento delle circostanze non lo può invocare se il comportamento attraverso il quale lo ha provocato era illecito, se però non era illecito ma era lecito lo può invocare, questa è la regolamentazione dell'art 62. Questo principio è noto come principio Rebus Circostantibus, in realtà questa espressione è criticabile, se uno parla di principio no, è un principio, ma se uno dice la clausola rebus circostantibus e allora l'espressione può essere forviante perchè come se fosse una clausola risolutiva implicita che è stata inserita nel trattato. In effetti quando questo principio venne studiato nella teoria del negozio giuridico, venne studiato dalla pandettistica tedesca la quale aveva una concezione fortemente soggettiva, allora, del negozio giuridico, non oggettiva come oggi, c'è il famoso esempio di Windscheid di quello che aspettava in balcone per vedere passare la parada dell'esercito prussiano e poi la parada veniva rinviata e allora perdeva, la causa veniva meno no? e allora diceva è una clausola implicita, da qui l'espressione rebus circostantibus. In realtà non è una clausola, non conta che le parti abbiano previsto o non previsto una certa situazione, è il fatto puramente oggettivo, bisogna valutare i termini oggettivi come il mutamento delle circostanze influisce sull'assetto degli interessi delle parti. Quindi uno Stato non è che siccome si è vincolato con un trattato per perde la sua libertà di tenere comportamenti leciti però le circostaze possono influire.

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Vediamo qualche esempio di prassi, per esempio l'Italia una volta ha invocato, in un caso abbastanza famoso, il mutamento fondamentale di circostanze insieme ad altri Stati per risolvere la controversia in questione di Trieste, ve l'ho già ricordato in passato, c'è stato questo memorandum di Londra del 1954 perchè dopo la seconda guerra mondiale il trattato di pace con l'Italia che fu fatto nel 1947, prevedeva che in quella zona ci sarebbe stato un'amministrazione internazionale sottoposta al controllo delle Nazioni Unite e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite doveva designare il Commissario per Trieste che avrebbe avuto la supervisione e l'amministrazione di queste due zone di Trieste, zona a e zona b, perchè queste zone di Trieste una è sottoposta all'amministrazione italiana ma controllata dalle Nazioni Unite e l'altra sottoposta all'amministrazione Jugoslava. Senonchè, siccome l'Unione Sovietica poi a quell'epoca boicotava regolarmente il funzionamento del Consiglio di Sicurezza perchè metteva il veto su tutto e allora questo Memorandum di Londra, Francia, Inghilterra, Italia e Jugoslavia si misero d'accordo e invocarono, appunto, il principio rebus circostantibus e cioè qui il regime di amministrazione stabilito dal trattato di pace con l'Italia non funziona perchè la Russia non lo fa funzionare, dato che non può funzionare, qualcosa dobbiamo fare, facciamo un trattato con il quale risolviamo tra di noi la questione e la risolsero spartendo tra l'Italia e la Jugoslavia, come ancora oggi è la situazione e siccome alcuni problemi non erano stati del tutto risolti poi vennero definitivamente risolti con il trattato del 1975, fu fatto quindi 30 anni dopo tra Italia e Jugoslavia per risolvere definitivamente tutte le questioni che erano state lasciate in sospeso. Un altro esempio abbastanza noto è il caso in cui venne invocato dagli Stati Uniti il mutamento fondamentale delle circostanze durante la seconda guerra mondiale perchè c'erano degli accordi internazionali che fissavano il tonelaggio e la capacità massima delle petroliere perchè c'è sempre stata la preoccupazione dell'inquinamento marino provocato dalle petroliere e siccome era scoppiata la guerra e gli Stati Uniti rifornivano l'Inghilterra che era assediata allora dalla Germania e quindi l'Inghilterra ha bisogno di più petrolio perchè c'era una circostanza eccezionale, quello della guerra , e allora venne invocato il principio rebus circostantibus agli Stati Uniti per non rispettare queste norme perchè c'era bisogno di intensificare la fornitura di petrolio all'Inghilterra perchè si doveva difendere naturalmente essendo in guerra. Come pure il principio rebus circostantibus allo scoppio della guerra venne invocato dagli Stati che avevano sottoscritto nel 1929 il Patto di rinuncia alla guerra proprio perchè una volta che la Germania aveva aggredito alcuni Paesi ed è scoppiata la guerra e allora certi Paesi si sono tutelati in questo modo, ecco, questi sono alcuni esempi in cui è stato invocato. Il mutamento delle corcostanze non dovrebbe includere il mutamento delle circostanze politiche e cioè, per esempio, non so se avete studiato nel diritto comunitario la sentenza Rache della Corte di Giustizia della Comunità europea, oggi dell'U.E, che è del 1998 e che riguarda la denuncia che fece la Comunità europea nell'accordo di cooperazione economica con la Jugolavia con la quale faceva alcune concessioni in materia doganale, di importazione, di esportazione ecc, un regime insomma favorevole alla Jugoslavia con la conseguenza per fare pressione sul governo Jugoslavo all'epoca della prima secessione della Slovenia, della Croazia, per motivi politici, per fare pressione sul governo Jugoslavo, lì è probabile che ancora il governo Jugoslavo non aveva violato nessun obbligo erga omnes, direi, nè l'autodetermenazione del popoli perchè il diritto della seccessione non è compreso nell'autodeterminazione dei popoli. Quindi quella era in quel momento, in grosso modo, la situazione, non c'era nemmeno probabilmente ancora una situazione di gross violation e quindi violazione dei diritti della persona umana, infatti la Comunità europea, la argomentò in questo modo, disse che invocò il principio rebus cicostantibus perchè disse che le condizioni ormai non più di pace che c'erano in Jugoslavia rappresentavano la premessa delle concessioni economiche che le erano state fatte, cosa che secondo me è piuttosto dubbia come invocazione della clausola rebus circostantibus. La conseguenza è stata che qualche anno dopo un'operatore economico danneggiato, appunto, questo Rache sostenne in un giudizio che queste misure di regolamento che il Consiglio aveva sospeso l'applicazione dell'accordo di cooperazione economica con Jugoslavia era illegittimo perchè non c'era nessuna giustificazione sufficiente. La Corte di Giustizia ha ritenuto invece di giustificarlo dicendo che il principio rebus circostantibus in questo caso era invocabile. Una questione che ha a che fare con il principio rebus circostantibus è quella degli effetti della guerra sui trattati perchè è chiaro che se due Stati si stanno facendo la guerra, che cosa succede dei loro trattati? Anticamente, la regola del diritto internazionale più risalente, più antico era che i trattati si estinguevano per effetto dello stato di

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guerra poi si potevano rinegoziare alla fine, quando si rifaceva la pace. Era un'epoca in cui gli Stati facevano più guerre rispetto a oggi e meno trattati, oggi fanno molti più trattati e molte meno guerre, quindi a poco a poco questa regola ha finito per cominciare affievolirsi. Intanto quando ha cominciato ad esistere un gruppo di trattati, i trattati sul diritto di guerra, sul diritto internazionale di guerra e sul diritto umanitario è ovvio che quelli non si estinguono sono fatti, anzi, apposta per applicarsi durante la guerra, pensate alle Convenzioni di Ginevra del 1949 con i Protocolli aggiunti del 77 per esempio con tutte le altre, numerose, norme convenzionali sulla conduzione delle ostilità, è evidente che essendo fatti proprio per i casi della guerra non si estinguono di sicuro. Per tutti gli altri si è cominciato per esempio a poco a poco ad amorbidire questa regola per i trattati multilaterali, si è detto, quindi bilaterali, ma in fondo quelli multilaterali gli Stati li possono applicarli anche senza avere, alcuni trattati vengono applicati lo stesso in certi casi, quindi forse nemmeno si sospendono, ormai si ammette che l'effetto è sostitutivo e cioè una volta che le attività sono cessate, riprende a funzionare come al solito il principio rebus circostantibus, tutti quelli che non sono incompatibili con la nuova situazione, cessata la situazione di ostilità, riprendono rigore, perchè tutte le cause di estinzione dei trattati che vi ho menzionato, sia il principio rebus circostantibus che tutte le altre sono tutte cause di estinzione ma che possono essere invocate anche per sospendere l'efficacia del trattato. Quindi si può pensare che tutto sommato anche questa questione degli effetti delle guerra sui trattati altro non è che un'applicazione dello stesso principio del mutamento essenziale delle circostanze. In realtà, forse, quasi tutte le altre cause di estinzione dei trattati altro non sono che un'applicazione di questo principio, benchè lo è probabilmente anche l'estinzione del trattato come conseguenza della sua violazione, quello dell'art 60, anche quello è un mutamento delle circostanze che provoca, ovviamente, dal diritto invocare l'estinzione del trattato e lo è probabilmente anche l'impossibilità completa sopravvenuta di esecuzione perchè anche quella è una circostanza che rende impossibile continuare a dare senso al trattato e quindi il trattato si estingue. Quindi, come vedete, il principio del mutamento fondamentale delle corcostanze o il principio rebus circostantibus, come lo volete chaimare, è un'estenzione molto diversa di quella che è la sua tradizionale determinazione. Ecco, quindi queste cause di invalidità e cause di estinzione. Ci sono ancora due problemi da trattare, che sono entrambi interessanti: il primo è un problema procedurale che cosa deve fare uno Stato che ritiene, in ragione o torto, che c'è una causa di invalidità o di estinzione di un trattato da invocare. La Convenzione di Vienna ha predisposto un procedimento di risoluzione delle possibili controversie in questa materia che è piuttosto soft e quindi non è del tutto risolutivo perchè meglio di così non si è riusciti a fare, non si è riusciti ad ottenere il consenso degli Stati per l'accettazione di mezzi più efficaci di soluzione delle cotroversie, con la sola eccezione, che vi ho già detto l'altra volta, l'art 66 lettera a del ius cogens. Per il ius cogens è stato invece stabilito, lo abbiamo visto ieri, che gli Stati occidentali erano disposti a riconscere questa causa di invalidità dei trattati sotto la condizione che però fosse accettata la possibilità di ricorrere anche unilateralmente alla Corte Internazionale di Giustizia per ottenere una sentenza della Corte ogni volta che ci fosse una contestazione in materia. Per tutti gli altri casi il procedimento regolato dagli artt 65 e 66, c'è una procedura molto più blanda che è una procedura di tipo conciliativo, l'art 65 stabilisce che una parte che ritiene, a torto o a ragione, di poter invocare una causa di invalidità del trattato, di nullità relativa o di estinzione deve notificare la sua intenzione all'altra parte, la quale ha 3 mesi di tempo per prendere posizione, se in tre mesi di tempo non obietta, anche non dice niente e allora a questo punto la parte che voleva adottare quella misura, di dichiarare il trattato estinto ecc, lo può fare, se invece c'è un'obiezione e quindi sorge una controversia in materia, allora le parti hanno 12 mesi di tempo per risolverla, nello spazio di 12 mesi con qualsiasi mezzo di loro scelta, debbono comportare una risoluzione della controversia efficace e possono essere messe d'accordo o con un accordo sul merito, raggiungere un accordo di diritto oppure se non riescono a raggiungere un accordo in merito, allora dovranno raggiungere un accordo sul mezzo da utilizzare, rivolgersi all'arbitrato, alla Corte Internazionale di Giustizia, convocare una commissione di accertamento dei fatti o di conciliazione sperando che riesca mettergli d'accordo, se sono trascorsi in vano i 12 mesi, allora si apre una ulteriore fase che è quella prevista dall'art 66 lettera a, lo sappiamo per lo ius cogens si può a quel punto rivolgersi direttamente alla Corte, quindi si arriva ad una decisione vincolante e il problema si risolve. Per tutti gli altri casi, lettera b, invece c'è un secondo procedimento che è organizzato da un allegato alla Convenzione che voi potete vedere alla fine della

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Convenzione, dopo l'art 85 c'è questo allegato. Questo procedimento è un procedimento di conciliazione che viene gestito, funziona sotto leggi delle Nazioni Unite. Ogni Stato che fa parte della Convenzione deve designare due persone, due conciliatori che fanno parte di una lista che è custodito dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, che devono essere dei giuristi competenti in questa materia. Una volta che la lista è stata formata se entro 12 mesi le parti non hanno ancora risolto la loro controversia allora entra in funzione questo procedimento, ciascuna parte deve nominare due conciliatori, uno è un proprio cittadino e può essere compreso nella lista o anche scelto al di fuori della lista, il secondo invece non deve essere suo cittadino e deve essere scelto tra le persone che sono presente nella lista, l'altra parte designa altrattanto i suoi due conciliatori e questi quattro di comune accordo designano il quinto, scelgono loro una persona che ritengono affidabile in maniera che si è composto un colleggio di 5 persone, è prevista la possibilità che una delle due parti in controversia non voglia collaborare quindi rifiuti di designare la propria coppia di conciliatori a questo punto la coppia viene costituita dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, un'autorità imparziale diciamo che fa la designazione, la costituzione della coppia quella parte, in maniera da impedire di boicotare il funzionamento del maccanismo. Quando i 5 concilitori sono insediati poi le parti possono, con la garanzia del contraddittorio, presentare ai conciliatori le loro opinioni, quindi c'è un contraddittorio analogo a quello che ci sarebbe in un procedimento arbitrale giudiziario con la differenza che il procedimento arbitrale giudiziale si conclude con una decisione vincolante, con una sentenza, mentre qui si conclude con una raccomandazione, con un rapporto della commissione, la quale descrive i fatti, spiega quello che è successo, qual'è il problema e fa delle proposte, raccomanda una soluzione alle parti, le parti però, ovviamente, dato che è una raccomandazione, possono non accettare, se non lo hanno accettato significa che la controversia non è stata risolta e a questo punto alcuni hanno sostenuto, alcuni autori anche italiani, che siccome la Convenzione non prevede altra possibilità la controversia rimane in sospeso, cioè non si sblocca e quindi la contestazione rimane non risolta. Ora, certo non è stata risolta la controversia, perchè le parti continuano a non essere d'accordo ma questo non è che vuol dire che la parte che voleva adottare una misure, cioè dichiarare che per lei il trattato è estinto oppure non lo applica più, se lo vuole fare lo può fare lo stesso perchè il principio del diritto internazionale è che ogni Stato è arbitrio delle proprie ragioni e quindi lo farà, quell'altra parte che pensa è un'illecito, un'inadempimento del trattato, potrà applicare delle contro misure. L'altro punto che mi pare interessante è questo: che cosa deve fare il giudice interno perchè i trattati sono non soltanto applicati dagli Stati nei loro rapporti internazionali ma sono anche oggetto, una volta che sono stati resi esecutivi con i procedimenti di adattamento del diritto interno al diritto internazionale, ovviamente vengono applicati, normalmente dai giudici, se un giudice ritiene contrastato e viziato da una causa di nullità, oppure ritiene che un trattato che è ormai estinto per esempio perchè opera il principio del mutamento fondamentale delle circostanze, che cosa deve fare? Il libro di Conforti sostiene una tesi che a me non sembra molto facile da condividere e distingue due ipotesi, c'è l'ipotesi in cui il governo denuncia lui il trattato, fa valere lui sul piano internazionale la causa di invalidità o di estinzione e questa posizione del governo ha valore generale. Poi Conforti dice" il giudice applica il trattato in casi singoli", in relazione a una singola controversia e quindi se per esempio ritiene in relazione a quella singola controversia che il trattato non può essere applicato, non lo applica in un caso, però questo non esclude nè che altri giudici possono avere opinioni diverse in altri casi, nè che gli Stati , i Governi, ecc, nel loro complesso continuano a considerare il trattato valido o estinto, quindi distingue queste due ipotesi. A me sembra che il giudice non abbia affatto il potere di decidere da solo di non applicare un trattato perchè ritiene che c'è una causa di invalidità, una causa di estinzione se non per quelle causa di invalidità e di estinzione che operano automaticamente, cioè di pieno diritto, se per esempio il trattato è estinto perchè è spirato il termine finale, il giudice non lo applica, questo è evidente, ma se invece il giudice ritiene che c'è un mutamento fondamentale delle circostanze tale da determinare la caducazione del trattato a me non sembra affatto che questo giudice d'ufficio possa decidere lui di non applicarlo per il motivo semplissimo, che sul piano giuridico il meccanismo per fare valere una causa di estinzione di questo tipo non opera automaticamente, occorre che lo Stato interessato che ritiene, a torto o a ragione, di poter invocare questa causa, la invochi, segua quel procedimento di risoluzione delle controversie, che abbiamo visto, e per di più lo Stato potrebbe prestare acquiescenza come ci dice l'art 45 della Convenzione, cioè lo Stato potrebbe decidere, anche

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se sà, se è consapevole che potrebbe fare valere l'invalidità o l'estinzione del trattato per motivi politici o di opportunità, di non farlo, e se non lo fa il trattato sul piano internazionale è sicuramente vincolante, quindi bisogna distinguere una causa da un'altra. Noi abbiamo per esempio la nostra giurisprudenza che dice che, lo abbiamo ricordata per esempio in materia dei trattati di estradizione, che un trattato di estradizione che urta contro la norma di ius cogens secondo cui gli Stati devono rispettare i diritti inviolabili della persona, può non essere applicato, lo abbiamo già visto, ma perchè il ius cogens opera automaticamente. Viceversa se il giudice ritiene che il trattato è viziato da un errore oppure dalla corruzione del rappresentante dello Stato, non può decidere lui, perchè il trattato continua ad essere ancora sul piano internazionale perfettamente in vigore, del resto basta ricordare, per convincerci, la situazione che c'è nella distinzione tra nullità assoluta e annullabilità, come la chiama il nostro codice civile, nel diritto interno. Anche nel diritto interno se il giudice è convinto che un contratto, sul quale deve basarsi per prendere la sua decisione, è viziato da una causa di annullabilità, perchè è viziato dall'errore per esempio o della incapacità naturale di chi lo ha sottoscritto, non può sollevare la questione d'ufficio, è la parte che lo deve sollevare, e allora se questo vale per il contratto tra privati non c'è ragione perchè non possa valere anche per i trattati. Quindi la differenza non è tra applicazione in un caso singolo che è riservato al potere giudiziario e scelta definitiva, posizione assunta una volta per tutte da parte del governo. La distinzione è tra cause che operano de legis, automaticamente in cui quindi il giudice può prendere conoscenza è anche tenuto a prendere conoscenza perchè è una norma giuridica di diritto internazionale che attraverso l'art 10 della nostra costituzione è applicabile e il giudice la applica, ma se invece è una causa che non opera automaticamente il giudice non ha il potere di fare quello che invece è riservato agli Stati nei loro rapporti diplomatici internazionali. Per concludere definitivamente con le fonti volevo dire qualche cosa sull'ultima categoria di fonti e cioè, quelli che la dottrina italiana chiama Procedimenti di Produzione Giuridica di Terzo Grado, si tratta delle fonti fondate sul trattato. Il primo livello della gerarchia delle fonti nel diritto internazionale è la consuetudine, il secondo è l'accordo, e questo ormai lo abbiamo studiato ampiamente, solo però che l'accordo può qualche volta oltre a contenere norme materiali, con cui gli Stati regolano diritti e obblighi reciproci, può anche contenere delle norme strumentali che istituiscono fonti ulteriori. L'ipotesi di gran lunga più importante quantativamente, è quella degli atti dell'organizzazione internazionale che hanno effetti obbligatori per gli Stati, è il trattato istitutivo dell'Organizzazione che crea la fonte, cioè che crea organo, al quale attribuisce il potere di adottare atti che vincolano gli Stati perchè gli Stati si sono obbligato con l'accordo a essere vincolati, per esempio nella Carta delle Nazioni Unite, l'art 41 che dice che il Consiglio di Sicurezza può decidere per i motivi che voi conoscete, o l'art 17 paragrafo 2 che dice che l'Assemblea Generale ha il potere di determinare con atti vincolanti per gli Stati l'ammontare del contributo di ciascuno di essi deve pagare annualmente per ogni bilancio dell'Organizzazione, questa è la categoria più importante. In certi casi però anche un trattato può essere fonte di terzo grado non per gli Stati che lo stanno ratificando, che per questi Stati è fonte di secondo grado, vale come accordo, però se c'è uno Stato terzo con il quale invece a obbligarsi a essere sottoposto all'efficacia obbligatoria dell'atto di un organo internazionale, invece ha accettato di obbligarsi a rispettare delle determinazioni contenuti in un trattato di cui non è parte, per lui quel trattato funzione come fonte di terzo grado o come diritto derivato. L'esempio classico di questa situazione e di cui abbiamo già parlato è la clausola della nazione più favorita e una clausola che accela i trattati in materia commerciale o di navigazione o di stabilimento, uno Stato fa certe concessioni a un altro e poi stipula la clausola della nazione più favorita con la quale si stabilisce che lo Stato che lo ha concessa, si stabilisce questo: che se farà con Stati terzi, con altri accordi stipulati con loro, un trattamento, su quella stessa materia, più favorevole allora quel il trattamento si estenderà automaticamente allo Stato beneficiario della clausola. Queste norme servono in genere a garantire, per esempio, condizioni di concorrenza equilibrata, tant'è vero che il trattato OMC prevede la concessione generalizzata della clausola della nazione più favorita nei rapporti tra tutti gli Stati che ne fanno parte perchè se ci sono concessioni commerciali diverse, certi Stati hanno un trattamento più favorevole e altri meno, ovviamente, la concorrenza sul mercato internazionale non è più garantita. Ovviamente, dal punto di vista giuridco che succede? Il nuovo trattato vale come trattato per queli che lo stipulano è ovvio, però produce effetti giuridici favorevole, in questo caso, nei confronti del terzo come fonte subordinata all'accordo perchè si fonda su una

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norma strumentale che lui ha stabilito. In certi casi può succedere che un trattato funzioni come trattato per alcuni Stati contraenti dell'accordo e per altri come fonte di rango subordinato, questo succede, se ci pensate bene, per i procedimenti di emendamento o di revisione di un trattato quando sono fatti a maggioranza, perchè per la maggioranza l'emendamento vale come trattato, per la minoranza che non lo accetta, la minoranza è obbligata perchè si era obbligata con il trattato iniziale ad accettarlo per cui vale come fonte subordinata all'accodo, se andate a guardare gli artt 108, 109 della Carta delle Nazioni Unite che prevedono rispettivamente la procedura di emendamento e di revisione, questa è un ipotesi classica, vedete l'art 108 dice " gli emendamenti al presente statuto entreranno in vigore per tutti i membri delle Nazioni Unite quando saranno adottati dalla maggioranza dei due terzi dei membri dell'Assemblea Generale e ratificati, in conformità alle rispettive norme costituzionali, da due terzi dei membri delle Nazioni Unite, ivi compresi tutti i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza", quindi ci vuole una maggioranza dei due terzi, per i due terzi è un nuovo accordo che modifica l'accordo precedente, per il terzo che non è d'accordo è obbligato lo stesso come fonte di grado subordinata che trae la sua efficacia nei loro confronti dall'art108. L'ultima ipotesi del genere è la sentenza del giudice internazionale di Tribunale arbitrale o anche nella Corte internazionale di Giustizia che è emmessa secondo equità quando gli Stati gli hanno dato il potere. Mentre la sentenza secundum ius accerta il diritto, quindi non crea diritto nuovo, crea una norma concreta che si sostituisce a quella astratta, come avviene per il giudicato di diritto interno e può anche essere sbagliata e quindi in realtà non riflettere lo stato di diritto esistente, però comunque ha efficacia preclusiva, preclude in parte sulla situazione giuridica anteriore e sostituisce il comando concreto contenuto nella sentenza a quello astratto che era contenuto nella norma astratta e generale, quindi teoricamente ha comunque un'effetto novativo però è sempre in funzione di accertamento del diritto. Se invece noi diamo al giudice il potere di decidere secondo equità e allora noi dal giudice ci attendiamo una funzione creativa, di creare una norma e quindi di nuovo è una fonte di terzo grado perchè si crea una nuova norma che è fondata sull'accordo, quindi queste sono le fonti di rango subordinato all'accordo. Queste fonti hanno ovviamente come limiti soggettivi la stessa sfera indentificata dall'accordo, non possono mai valere per i terzi, e come limiti oggettivi quelli che si che fissa l'accordo sia di competenza che di contenuto.

22 04 2010

Rapporti tra diritto internazionale e diritto interno degli stati

Questo problema può essere posto da un punto di vista teorico e da un punto di vista pratico. L’aspetto teorico riguarda il tipo di rapporto in cui il dir internazionale e il diritto interno degli stati in generale si trovano. L’aspetto pratico riguarda lo studio delle modalità con le quali il dir int può essere reso efficace negli ordinamenti interni, quindi le condizioni giuridiche della sua efficacia negli ordinamenti interni, le quali dipendono da scelte fatte dagli ordinamenti giuridici degli stati e non dal dir int, e poi la posizione che le norme cd. di adattamento (cioè di adeguamento degli ordinamenti giuridici statali al dir int) occupano nella gerarchia delle fonti rispetto cioè alle fonti proprie del diritto degli stati.

L’aspetto teorico riguarda la definizione della posizione reciproca degli ordinamenti giuridici degli stati e del diritto int. e’ una disputa ormai fuori di moda, cominciata nella seconda metà dell’800, e cioè la questione di sapere se il dir dello stato e il dir int sono due ordinamenti separati e indipendenti oppure se c’e’ una rapporto di dipendenza e quindi di subordinazione dell’uno rispetto all’altro. Le posizioni teoriche in materia si distinguono tra l’orientamento cd. monista (secondo cui il dir int e quello interno sono legati, fanno parte di un unico sistema) e la teoria dualista (che sostiene la separazione dei due ordinamenti). Questa teoria dualista dovrebbe più propriamente essere definita pluralista dal momento che non c’e’ un unico diritto dello stato ma ce n’e’ una pluralità, tanti quanti sono gli stati. I monisti vedono la possibilità di ridurre ad unità tutto l’universo giuridico e tutte le

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teorie moniste da un po’ di tempo a questa parte parlano del primato del diritto int sul diritto interno dello stato. Nell’800 era sostenuta anche l’idea per cui il dir int era derivato dal diritto dello stato, questa teoria era stata espressa anche da un grande pensatore che però non era un giurista tecnico, Hegel, il quale vedendo nello stato l’incarnazione dello spirito assoluto sulla terra, e quindi la massima autorità possibile, definiva il diritto int come quella parte del diritto interno dello stato che regola i suoi rapporti con gli altri stati e quindi lo definiva come diritto statale esterno. Ancora a metà dell’800, quando Stanislao Mancini ebbe la prima cattedra di diritto internazionale a Torino, tale cattedra si chiamava diritto pubblico esterno, quindi c’era quest’idea che oggi e’ abbandonata da tempo intanto perchè escluderebbe l’idea della soggezione dello stato al dir int: dato che lo stato regola i suoi rapporti con gli altri stati con una parte del suo diritto pubblico, appunto quello esterno, sarebbe un modo di negare la sottoposizione dello stato agli obblighi che derivano dal diritto internazionale. In secondo luogo dato che ci sarebbero tanti diritti internazionali quanti sono gli stati, perchè ognuno avrebbe il suo diritto pubblico interno, ciò e’ una variante delle teorie positiviste dell’800 che negavano l’esistenza del diritto internazionale come un sistema di norme giuridiche obbligatorie per gli stati. Il monismo più recente e’ stato sostenuto gia dalla fine dell’800 ma elaborato come sistema coerente principalmente da Kelsen, ma e’ stato poi ancora sostenuto da altri autori …..(05.17). L’idea del monismo e’ che dato che il diritto int e’ obbligatorio per lo stato e lo stato e’ sottoposto al dir int, soprattutto per chi come Kelsen definisce lo stato nel suo aspetto puramente normativo senza tenere conto del suo aspetto cd. istituzionale come Santi Romano lo definiva, l’idea e’ che c’e un unico ordinamento giuridico che abbraccia tutta l’umanità’ che e’ il dir int. Quest’idea si fonda sul fatto che gli stati non governano sulle comunità umane sulle quali esercitano il loro potere per forza, ma sono delegati a ciò dal dir int. Quindi in sostanza finisce per negare il concetto di sovranità dello stato come noi oggi la intendiamo che significa indipendenza sul piano politico e originarietà dell’ordinamento dello stato. L’ordinamento dello stato viene ad essere in questa visione una parte dell’ordinamento giuridico complessivo, col risultato del riconoscimento della soggettività internazionale sia pure indiretta e mediata dell’individuo, della non originarietà e quindi non indipendenza dell’ordinamento dello stato e con la conseguenza che le contraddizioni normative tra dir int e dir interno sono escluse perchè una norma dell’ordinamento interno dello stato contraria al dir int e’ invalida e quindi il dir int potrebbe direttamente renderla invalida. In sostanza ci sarebbe tra l’ordinamento giuridico dello stato, come ordinamento giuridico parziale nella definizione di Kelsen, e il dir int più o meno lo stesso rapporto che negli stati federali c’e’ tra l’ordinamento dell’intero stato e l’ordinamento delle entità federate con la conseguenza che le norme interne incompatibili sono invalide. Questa teoria e’ facile da criticare, però e’ stata sostenuta dalla corte di giustizia del Lussemburgo nei rapporti tra diritto comunitario e diritto interno degli stati membri gia da molto tempo. Sentenze del ’63 e del ’64 Van Gend en Loos e costa contro Enel e poi ancora più marcatamente nel ’78 nella sentenza Simmenthal. La corte sostenne in quei casi una serie di cose che non stanno nei trattati comunitari. Nel 1963 il principio dell’efficacia diretta, quindi della mancanza di soluzione di continuità, cioè della continuità normativa, quello Kelsen sostiene per i rapporti tra dir int e dir interno (l’ordinamento dello stato come una parte dell’ordinamento internazionale e quindi la soggettività diretta). Nella sentenza Van Gend en Loos la corte disse che i trattati hanno creato un ordinamento di nuovo tipo nel quale l’individuo e’ direttamente destinatario delle norme, quindi non c’e’ il diaframma della sovranità statale tra il diritto comunitario e il diritto interno, dice la corte, e ciò e’ basato su una cessione di sovranità degli stati alla comunità. Nella sentenza costa conto Enel il principio della supremazia, che e’ lo stesso principio che negli ordinamenti federali c’e’ tra il diritto federale e quello degli ordinamenti parziali. Nella sentenza Simmentahl sostenne tout court che una norma interna di contenuto contrario ad una norma europea nasce gia invalida perchè contraria al diritto comunitario, e quindi che il diritto comunitario avrebbe la capacità di rendere invalide per forza propria le norme degli ordinamenti statali incompatibili. Questa tesi non e’ stata accolta soprattutto in Italia e Germania dalle due corti costituzionali le quali hanno detto che l’ordinamento interno che e’ separato e indipendente dall’ordinamento comunitario si adatta al diritto comunitario e ne riconosce in automatico l’efficacia diretta, ma lo fa per una propria scelta che e’ perfettamente reversibile, scelta che la nostra corte costituzionale ha basato sull’art 11, che era il fondamento costituzionale della legge ordinaria che aveva dato attuazione al trattato CEE e ha riconosciuto quindi la possibilità di questi effetti, con la

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conseguenza che la nostra corte costituzionale ha detto che il diritto italiano e il diritto comunitario sono due ordinamenti separati e noi riconosciamo l’efficacia interna del diritto comunitario per una scelta fatta dal nostro ordinamento alla cui base c’e’ una nostra scelta politica. La corte di giustizia invece sostiene che ormai c’e’ stato un trasferimento di sovranità, che c’e’ una rapporto di continuità normativa, non c’e frattura, non ci son più due ordinamenti separati, tante’e’ vero che, sostiene sempre la corte, il diritto comunitario e’ in grado di far nascere direttamente invalida la norma interna contraria alle norme comunitarie e questo vorrebbe anche per le norme costituzionali perchè neanche quelle sarebbero opponibili al principio del primato del diritto comunitario. Quindi la corte ha assunto un atteggiamento monista.

Hanno ragione i monisti o i dualisti?

Sul piano normativo e’ facile dimostrare che i monisti hanno torto perchè stanno rappresentando una realtà di fatto e quindi poi anche giuridica che non esiste. Anzitutto non si può certo sostenere che lo stato non tragga da se il proprio potere di governare le comunità umane sulle quali esercita il proprio potere. Lo stato evidentemente deriva il suo potere da se stesso, dalla sua costituzione e dalla sua forza, cioè dal principio di effettività, cioè della sua esistenza come realtà storica. Come pure e’ evidente che il sistema delle fonti del diritto statale e del diritto interno sono completamente diversi: il diritto int e’ costituito dalle consuetudini che si sviluppano nei rapporti tra stati e dai trattati internazionali e ha come destinatari gli stati. Il diritto interno e’ rappresentato da costituzione, leggi etc. e ha come destinatari gli individui. Quindi c’e’ una separazione sul piano sociologico tra le due sfere di convivenza, quella internazionale degli stati e quella interna delle comunità di individui e ci sono delle fonti diverse. Soprattutto e’ facilissimo dimostrare che le contraddizioni tra dir interno e dir int sono possibilissime: per es in Italia la corte costituzione ha detto molte volte che siccome il parlamento con legge di autorizzazione alla ratifica aveva autorizzato la ratifica di certi trattati e il governo aveva ratificato questi trattati e la legge interna di esecuzione li aveva immessi nell’ordinamento interno, ma questi trattati contenevano norme contrarie alla costituzione, la corte costituzionale ha dichiarato che dato questo conflitto che c’era tra norme del trattato (e quindi anche della legge di esecuzione) e costituzione, ha dichiarato incostituzionale la legge di esecuzione del trattato perchè contraria alla costituzione, quindi faceva prevalere la costituzione. Come anche la cassazione ha detto molte volte che se l’Italia si impegna sul piano internazionale a rispettare un trattato internazionale ma poi le norme interne di esecuzione non vengono immesse nell’ordinamento interno perchè il parlamento non vi provvede, il trattato e’ obbligatorio sul piano internazionale ma non può essere preso in considerazione sul piano interno perchè mancano le norme interne di esecuzione e questo dimostra da un lato la separazione ma dall’altro anche la possibilità di contraddizione sia astratta e teorica che concreta. Nello stesso modo si può vedere come l’efficacia che le norme internazionali producono negli ordinamenti interni dipende non dal diritto int direttamente, che e’ in grado di imporsi per forza propria, ma dipende invece da norme interne degli stati tant’e’ vero che c’e’ una varietà di soluzioni negli ordinamenti degli stati in questa materia. Per esempio il diritto italiano riconosce a livello costituzionale l’efficacia delle norme consuetudinarie in base all’art 10 mentre ai trattati riserva un rango diverso, che oggi e’ stato modificato con la riforma del 2001 che ha introdotto il nuovo art 117, ma che comunque e’ diverso e di minore rilievo rispetto alla posizione che occupa il diritto consuetudinario. Ci sono stati che fanno al contrario. Per esempio la costituzione francese ha una norma, l’art. 55 che dice che i trattati stipulati dalla Francia, una volta pubblicati sulla gazzetta ufficiale francese hanno una forza superiore a quella delle leggi, mentre la consuetudine non ha la stessa posizione rispetto alle fonti del diritto francese perchè può essere presa in considerazione dal giudice a condizione che non sia in contraddizione con una legge francese, e quindi la legge posteriore prevale. Quindi nel diritto francese si assiste ad una specie di capovolgimento del sistema internazionale delle fonti perchè nel diritto int viene prima la consuetudine e poi i trattati mentre nel diritto francese il trattato prevale sulla legge ma la consuetudine no. La stessa situazione c’e’ negli USA. Nel diritto inglese invece per motivi che non riguardano i rapporti tra diritto inglese e diritto int, ma per motivi che riguardano la ripartizione di poteri tra organi costituzionali inglesi, non esiste la possibilità di adattamento al diritto int tramite rinvio perchè, dato che il parlamento e’ sovrano nella

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costituzione inglese, esso deve riformulare articolo per articolo i trattati internazionali altrimenti essi non hanno alcun valore nel diritto inglese. Nel diritto olandese invece addirittura la nuova costituzione del 1983 mette i trattati non solo al di sopra delle leggi ma addirittura al di sopra della costituzione, salva la precisazione che se un trattato comporta delle modifiche di principi costituzionali il parlamento la può approvare lo stesso ma con la maggioranza dei due terzi prevista per la modifica della costituzione. Il fatto che la realtà e’ che ogni ordinamento adotta rispetto al diritto int l’atteggiamento che vuole e può anche ammettere la prevalenza di norme interne rispetto al dir int esclude che esista un rapporto di continuità giuridica tra il dir int e il dir interno e anche la pretesa che lo stato non deriverebbe da se stesso la sua sovranità ma sarebbe invece a ciò legittimato dal diritto internazionale. Il diritto int non fa altro che prendere atto della realtà. Quindi per quello che riguarda i rapporti normativi tra i due sistemi e’ sicuro che il regime e’ di separazione e che hanno ragione i dualisti.

Questo però non può comportare come conseguenza che il diritto int non sia obbligatorio per gli stati: lo stato deve rispettare comunque il dir int e non può nemmeno opporre come scusa per il mancato rispetto dei suoi obblighi internazionali lo stato del proprio diritto interno. C’e’ una norma specifica in questo senso, tra l’altro, nella conv di Vienna sul diritto dei trattati come c’e’ una norma analoga nel progetto di articoli della commissione del dir int del 2001 relativa alla possibilità che il diritto interno dello stato non consenta allo stato stesso di adempiere ai suoi obblighi internazionali, che prevede che in questo caso lo stato e’ responsabile lo stesso. Anche questa e’ una dimostrazione del regime di separazione che sul piano normativo c’e’ tra il diritto degli stati e il diritto internazionale. Però lo stato e’ sottoposto al dir int e la contraddizione che può esistere tra norme statali e internazionali non potrebbe avere un carattere istituzionale e generalizzato, perché se fosse così (se osservasse solo raramente le norme del diritto int) lo stato non sarebbe in grado di vivere nella comunità internazionale. In realtà gli stati sono consapevoli di essere sottoposti all’obbligo di dover rispettare le norme internazionali e le rispettano normalmente, e questo vuol dire che le contraddizioni sono rare ed eccezionali. Ciò non desta meraviglia visto che gli stati fanno le loro norme interne e fanno loro stessi anche il dir int dei trattati e partecipano alla formazione delle consuetudini. Quindi sono sempre gli stessi attori che fanno il dir interno e quello internazionale e quindi normalmente questa contraddizione non c’e’.

Quindi non si può essere esageratamente dualisti: sul piano normativo hanno ragione i dualisti, sul piano però strutturale lo stato e’ sottoposto al dir int. Quadri sosteneva la tesi del cd. monismo strutturale, secondo la quale sul piano normativo i due ordinamenti sono distinti, però sul piano strutturale lo stato e’ sottoposto al diritto int. E questa secondo Davì e’ una rappresentazione abbastanza corretta dei rapporti tra i due ordinamenti interno ed internazionale.

Fatta questa premessa sul piano teorico, risulta che questi due sistemi normativi separati entrano in contatto. Però entrano in contatto con norme dell’uno che fanno riferimento all’altro, cioè attraverso tecniche di rinvio. Questi rinvii esistono dal diritto interno al diritto internazionale (art 10 della costituzione e ordine di esecuzione del trattato) e possono anche esistere dal dir int al dir interno. Per esempio il dir int può fare forme di rinvio al dir interno che possono essere di tipo recettizio o non recettizio. Per rinvio non recettizio si intende quel tipo di rinvio che consiste non nel determinare attraverso il rinvio ad un altro ordinamento il contenuto dell’intera norma applicabile ma solo un elemento. Per esempio le norme sull’immunità dei capi di stato esteri rinviano alle norme interne per sapere chi e’ il capo di stato. Qualche volta ci possono essere rinvii anche piu’ completi, per esempio lo statuto della corte penale internazionale, lo statuto di Roma del 1998, quando indica quali sono le norme che la corte deve applicare per giudicare le persone accusate di crimini internazionali di fronte alla corte, dato che il diritto int non contiene un sistema completo di norme penali, fa un rinvio a i principali ordinamenti giuridici del mondo, inclusi in particolare gli ordinamenti degli stati con i quali la situazione e’ legata, per esempio quello dove il fatto e’ stato commesso, o quello di cui e’ cittadino l’imputato. Quindi sono possibili rinvii del dir interno al dir int e del dir int al dir interno esattamente come sono possibili rinvii degli ordinamenti statali fra loro, per es col diritto internazionale privato

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che rinvia al diritto straniero o con altre forme di rinvio che lo stato può fare ad altri sistemi, per es al dir canonico che non e’ ne’ dir int ne’ dir statale.

Sul piano pratico il problema fondamentale, dato che lo stato deve adempiere ai suoi obblighi internazionali e per farlo deve attribuire una certa efficacia alle norme internazionali nel proprio ordinamento, il problema si identifica col problema del cd. adattamento del dritto interno al diritto int. Cioè quegli elementi di apertura del sistema normativo interno che e’ autonomo e separato ma non e’ chiuso e quindi si può aprire, al dir int appunto per poter garantire l’osservanza da parte dello stato dei suoi obblighi internazionali. Quindi l’adattamento può essere definito come quel processo di produzione negli ordinamenti interni statali di quelle norme che sono necessarie e sufficienti per consentire allo stato adempiere ai suoi obblighi internazionali ma anche di esercitare i suoi diritti che derivano dal dir int perchè a volte ci sono norme di adattamento relative all’esercizio dei diritti (anche se la grande maggioranza delle norme di adattamento riguardano l’adempimento di obblighi). Un esempio abbastanza classico e’ quello della riforma dell’art 2 del cod della navigazione che quando venne fatto nel 1942 stabiliva che il mare territoriale aveva una ampiezza di 6 miglia dalla costa, poi col passare del tempo le regole consuetudinarie in questa materia si sono precisate ed oggi e’ accettato il principio che l’ampiezza del mate territoriale e’ di 12 miglia dalla costa, principio che e’ stato codificato nella conv delle nazioni unite sul diritto dl mare, cioè la conv di Montigo Bay del 1982 e che si impose come principio consuetudinario durante il lungo processo di elaborazione della convenzione, perchè gia nel corso dei lavori il fatto che gli stati avessero manifestato la loro posizione in materia aveva fatto si che si fosse determinato un consenso anche se non ancora formalizzato nella convenzione su questa ampiezza di 12 miglia. Allora negli anni 70 molti stati fecero delle leggi nazionali che portassero il loro mare territoriale a 12 miglia. In questo caso la norma consuetudinaria e’ permissiva, autorizza lo stato ad estendere il proprio mare territoriale a 12 miglia, ma lo stato potrebbe dire che a lui ne sono sufficienti 10 e accontentarsi di 10, ecco perchè ci vuole una norma interna. Perchè il procedimento di adattamento alla norma int che immetta nell’ordinamento dello stato una norma internazionale immetterebbe una norma permissiva quindi la norma interna non ci sarebbe, ci vuole ancora una manifestazione di volontà normativa dello stato nel suo ordinamento interno. Ecco perchè l’adattamento può a volte servire ad esercitare un diritto dello stato, perchè se non ci fosse stata questa modifica della norma dell’art 2 del cod della navigazione la norma int diceva che gli stati se vogliono possono estendere il loro mare territoriale fino a 12 miglia ma noi continuavamo ad avere il vecchio art 2 che diceva che l’ampiezza del nostro mare territoriale e’ di 6.

L’adattamento può avere luogo in vari modi.

Bisogna chiarire che la funzione dell’adattamento non e’ richiesta da esigenze proprie del dir int, ma da esigenze proprie dell’ordinamento interno. E ciò proprio in virtù del principio della separazione secondo cui il diritto int e’ una cosa e il diritto interno e’ un’altra. Il diritto int si rivolge agli stati e crea tra gli stati degli obblighi internazionali o dei diritti che gli stati possono esercitare. Al dir int, proprio perchè l’organizzazione giuridica interna e’ un dato di mero fatto non ha valore giuridico dato che non e’ il dir int che organizza giuridicamente gli stati, il risultato e’ che al diritto int ciò che interessa e’ il comportamento concreto dello stato, non quello che lo stato ha nel suo ordinamento interno, perché quello in linea di principio non interessa ad dir int. Al dir int interessa che lo stato adempia ai suoi obblighi internazionali, se poi adempie perchè ha una norma interna che dice agli organi dello stato di regolasi in un certo modo o perchè in via di fatto gli organi dello stato si regolano in quel modo al diritto int non interessa, l’importante e’ il comportamento concreto. Per es se gli organi dello stato rispettano il dir int in violazione della norma interna, il dir int non ha nulla di cui dolersi perchè gli obblighi internazionali dello stato vengono adempiuti.

Ed allora perchè l’adattamento corrisponde ad un’esigenza del diritto interno? Perchè nel dir interno esiste come principio generalissimo il principio della legalità secondo cui gli organi pubblici devono agire rispettando la legge e non come gli pare. Il che significa che se non ci fossero norme interne con cui lo stato prescrive agli organi pubblici ma anche alle persone private sottoposte al loro potere di

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agire in maniera tale da fa rispettare allo stato i suoi obblighi internazionali, queste persone non potrebbero agire in questa maniera. In sostanza l’adattamento serve a prescrivere agli organi pubblici e alle persone private di comportarsi cosi come il dir int vuole dallo stato, e non dai privati o dagli organi dello stato, che lo stato si comporti. In sostanza i soggetti del dir int non entrano in contatto diretto col dir int. Il dir int si rivolge allo stato nel suo complesso come soggetto del dir int, non agli organi dello stato, ne’ alle persone fisiche o giuridiche private. A queste si rivolge il dir interno. Quindi l’adattamento serve per un’esigenza dello stato.

Ci può essere un’eccezione. Dato che al dir int interessa il comportamento concreto dello stato e basta, a volte il comportamento concreto che il dir int impone allo stato consiste proprio nell’immettere nel proprio ordinamento determinate norme, ed in questo caso e’ diverso perchè quello e’ proprio il contenuto dell’obbligo internazionale. L’esempio più classico e’ quello delle convenzioni internazionali di diritto uniforme. Se gli stati partecipano alla conv di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale, l’obbligo internazionale, dato che gli stati hanno fatto quella conv perchè sono mossi dall’interesse comune di creare un diritto uniforme valido per tutti, lo scopo e’ che gli stati abbiano nel loro ordinamento interno quelle norme uniformi. In realtà non basta che le abbiano, le devono anche applicare, quindi i comportamenti richiesti allo stato sono due: introdurle nel proprio ordinamento e poi applicarle. Però qui il dir int prescrive direttamente proprio di introdurre quelle norme nel proprio ordinamento. Lo stesso avviane per le conv di diritto internazionale privato che sono anche loro di diritto uniforme, solo invece che essere un diritto sostanziale uniforme e’ un diritto internazionale privato uniforme, ma sempre diritto uniforme e’! Ci possono essere dei casi in cui per altri tipi di conv il dir int per essere ben certo che gli stati faranno del loro meglio per adempiere agli obblighi imposti dalla conv int, esige che lo stato introduca quelle norme della conv così come sono nel suo dir interno. Per es il patto delle nazioni unite del 1966 sui diritti civili e politici, che a differenza della conv europea sui diritti dell’uomo, ha una regola di questo tipo nell’art 2, par 2: “ciascuno degli stati parti del presente patto si impegna a compiere in armonia con le proprie procedure costituzionali e con le procedure del presente patto, i passi necessari per l’adozione delle misure legislative o di altro genere che possano occorrere per rendere effettivi i diritti riconosciuti nel presente patto, qualora non vi provvedano gia in misura legislativa o di altro genere in vigore”. Questo “qualora non vi provvedano” gia mette in luce un altro elemento dell’adattamento e cioè che esso e’ indispensabile solo nella misura in cui non ci siano gia nell’ordinamento dello stato le norme necessarie ad adempiere agli obblighi internazionali, perchè ci potrebbero gia essere. Può darsi cioè che prima che l’obbligo internazionale sorgesse lo stato aveva delle norme conformi al comportamento che il dir int pretende dallo stato, anche se prima dell’entrata in vigore della norma int non era obbligatorio. Sopravviene la norma int che lo rende obbligatorio però nel dir interno ci sono gia le norme necessarie e quindi non occorre procedere all’adattamento. C’e’ solo l’esigenza di non abrogarle o modificarle perchè altrimenti si corre il rischio di mettersi in contraddizione con l’obbligo internazionale. Anche questa considerazione avvalora il fatto che l’adattamento risponde ad un’esigenza propria del dir interno e non ad un’esigenza propria del dir internazionale.

Detto questo come avviene l’adattamento? Ci sono due tipi fondamentali di adattamento:

a) c’è un procedimento di adattamento che è fatto con norme di legge o anche di altro livello, costituzione, regolamento, ecc, con norme interne che non hanno nulla di diverso dalle altre, che sono norme materiali come tutte le altre dalle quali non traspare dal tenore della norma che l’intento per cui la norma è stata inserita nell’ordinamento era quello di adempiere ad un obbligo internazionale, se non c’è scritto. Per esempio quando quella legge del 1974 ha detto modifichiamo l’articolo 2 del codice di navigazione da oggi il limite massimo interno territoriale italiano è portato da 6 a 12 miglia, uno che non sapeva che il diritto internazionale era cambiato, non se ne accorgeva, vede che c’è questa norma interna e basta. Questo tipo di adattamento si chiama procedimento ordinario di adattamento, ordinario perché non c’è niente di diverso dal procedimento legislativo ordinario, notate che questa

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differenza in Italia è più vistosa di altri paesi perché noi non abbiamo l’abitudine di mettere nelle leggi un preambolo che specifica la motivazione che ha spinto il legislatore a fare la legge e nemmeno nei regolamenti dove al massimo c’è scritto visto l’articolo “x” e c’è un lungo elenco di decreti che nessuno va mai a guardare quando vede che e’ un atto amministrativo, ma non c’è la motivazione; mentre invece si trovano dei preamboli nei trattati comunitari o nelle direttive comunitarie, si trovano nei trattati internazionali e nelle leggi di altri paesi, per esempio la legge francese ha sempre questa motivazione che serve come elemento di interpretazione, aiuta a interpretare la legge. Siccome da noi questa motivazione non c’è, una norma di legge che formula direttamente norme interne necessarie per adempiere agli obblighi internazionali, è una legge come tutte le altre dal momento che il motivo non traspare dal testo della legge.

b) viceversa l’adattamento si chiama procedimento speciale quando è fatto con tecniche di rinvio al diritto internazionale. Il procedimento speciale di adattamento si ha nel diritto italiano sia relativamente alle consuetudini internazionali, che ai trattati. Per le consuetudini c’e’ l’art. 10 della costituzione. Non vengono formulate norme interne conformi agli obblighi internazionali fatti all’Italia dal diritto consuetudinario c’è un unico art., l’art. 10, anzi c’è un unico comma che dice “l’ordinamento italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute” e basta, quindi in un colpo tutte le norme consuetudinarie sono richiamate, però chi vuole sapere quale è la norma consuetudinaria che deve essere applicata deve andare a guardare il diritto internazionale perchè non c’e’ una norma scritta. Questo procedimento é un procedimento speciale di adattamento. Lo stesso succede per i trattati internazionali, anche lì si fa ricorso al procedimento speciale di adattamento che è dato dal famoso ordine di esecuzione. Quando una legge italiana autorizza, perché l’art. 80 prevede in una serie di materie (quelle più importanti elencate nell’art. 80 della costituzione), che il capo dello stato non può ratificare i trattati se non c’è stata la legge di autorizzazione del parlamento, la legge di autorizzazione è integrata dall’ordine di esecuzione. Questo e’ quindi un provvedimento legislativo di solito di due articoli: art. 1 “il presidente della repubblica è autorizzato a ratificare il trattato tal dei tali”, art. 2 “piena e intera esecuzione sia data al trattato”. Questa formula, che si chiama ordine di esecuzione e viene fatta di volta in volta per ogni singolo trattato, ha rispetto ai trattati, lo stesso valore che, rispetto al diritto consuetudinario, ha l’art. 10 della costituzione. Cioè richiama le norme internazionali contenute nel trattato e quindi comporta la produzione nell’ordinamento interno delle norme necessarie e sufficienti per rispettare gli obblighi internazionali dell’Italia stabiliti dal trattato. Esattamente come le norme del diritto internazionale privato fanno la stessa operazione, cioè stabiliscono per esempio che la proprietà e i diritti reali sui beni che si trovano in un determinato paese sono regolati dalla legge di quel paese. Quindi anche qui c’è un rinvio alle norme straniere per risolvere nel nostro ordinamento un problema giuridico che riguarda la condizione proprietaria o in genere la condizione giuridica di un bene che si trova all’estero: viene richiamato il diritto straniero, quindi il metodo è lo stesso, il metodo del rinvio, del richiamo da un ordinamento all’altro.

Quando vengono utilizzati rispettivamente il procedimento ordinario, cioè quello della formulazione diretta da parte del legislatore delle norme necessarie per rispettare il diritto internazionale e quando invece si usa il procedimento del rinvio?

Il procedimento mediante rinvio non si può usare sempre, si può usare soltanto nei casi in cui il mero rinvio alla norma internazionale è sufficiente a consentire a chi deve applicare poi le norme interne, di determinare esattamente il contenuto delle norme interne necessarie. Questo non sempre è possibile perché ci sono dei casi in cui invece è necessario formulare delle norme di adattamento perché altrimenti il rinvio da solo non basterebbe. Abbiamo visto un esempio poco fa nel famoso art. 2 del codice della navigazione, cioè non bastava dire che l’ordinamento italiano, come dice l’art. 10 della costituzione, si conforma al diritto internazionale consuetudinario, perché il diritto internazionale consuetudinario diceva che lo stato, se vuole, può estendere il suo mare territoriale, però ci vuole una norma che lo faccia perché altrimenti lo stato non ha manifestato la sua volontà, quindi ci voleva una norma di adattamento ordinario altrimenti non sarebbe stato possibile. Le norme internazionali che hanno la caratteristica di non richiedere intervento di formulazione diretta di norme, perché sono

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formulate in modo tale che è già possibile mediante il rinvio ricostruire il contenuto del diritto interno necessario, si chiamano norme self-executing, cioè auto esecutive, che si eseguono da sole. Si chiamano non self-executing quelle norme che non possono da sole consentire all’interprete di ricavare il contenuto delle norme interne di adattamento. Ciò corrisponde a quello che nel diritto comunitario avviene con regolamenti e direttive, cioè quando la norma comunitaria è sufficientemente completa e precisa da poter essere applicata senza norme interne di attuazione e quando invece ha bisogno di essere integrata. I casi principali in cui la norma non è self-executing sono:

- quando la norma non impone allo stato obblighi ma al contrario gli crea diritti. In questo caso siccome l’esercizio dei diritti è facoltativo, ci vuole la norma che esprima la volontà.

- quando la norma internazionale richiede che esistano nell’ordinamento interno procedimenti o organi appositi per esercitare determinate funzioni: se non ci sono occorre crearli. L’esempio classico sono le convenzioni che stabiliscono che lo stato deve designare una autorità competente alla quale gli organi degli altri stati si devono rivolgere per la cooperazione internazionale creata con un accordo. Per esempio la convenzione di Londra del 1967 sullo scambio di informazioni relative al diritto straniero stabilisce che gli stati quando ratificano la convenzione devono indicare qual è la loro autorità alla quale gli altri stati si devono rivolgere per ottenere informazioni sul contenuto del loro diritto. L’Italia ha designato il ministero della giustizia, per esempio. Occorre attribuire quindi ad un organo la competenza a fare qualcosa, appunto per il principio di legalità interno per cui gli organi dello stato agiscono in base alle competenze che hanno. Altro esempio: in Italia fino al 1989 il giudizio penale per reati ministeriali per il capo del governo e i ministri era riservato alla corte costituzione. L’Italia aveva firmato il patto delle nazioni unite del 1966 sui diritti civili e politici con cui aveva assunto una serie di obblighi di garantire la tutela giurisdizionale alle persone nel processo penale, civile e amministrativo. Per il processo penale il patto delle nazioni unite prevedeva l’obbligo di due gradi di giurisdizione per assicurare una difesa migliore. Siccome davanti alla corte costituzionale il processo si svolgeva in un unico grado perché non esiste nel nostro ordinamento nessun organo che possa essere competente a pronunciare in grado di appello sulle pronunce della corte costituzione, allora l’Italia aveva fatto una riserva. Se non avesse fatto la riserva non sarebbe stato possibile con l’ordine di esecuzione delle nazioni unite risolvere il problema del secondo grado di giurisdizione dal momento che non esisteva l’organo al quale potesse andare. Tutti questi sono casi in cui quindi bisogna creare l’organo, attribuire la competenza all’organo o creare il procedimento.

- quando c’e’ bisogno di adempimenti costituzionali richiesti dal dir costituzione dello stato. Al dir int non importa, ma noi dobbiamo anche rispettare la nostra costituzione. Per esempio se si tratta di una norma int che comporta per lo stato delle spese, c’e’ l’art 81 della costituzione che dice che qualunque norma che comporti degli oneri aggiuntivi rispetto alla previsione di spesa a carico dello stato, deve avere la copertura finanziaria, cioè deve indicare da dove si prendono le risorse finanziarie per attuare le disposizioni di legge. Quindi per ogni trattato che comporta spese occorre reperire le fonti finanziarie e indicarle legislativamente perchè altrimenti la nostra costituzione non sarebbe rispettata.

- tutte quelle norme int che fanno parte del dir int penale contenute in molti casi nelle conv int, con cui gli stati si obbligano in certe materie a cooperare nell’interesse comune degli stati alla repressione internazionale di certi crimini che sono di particolare allarme per la comunità internazionale, con cui gli stati si obbligano a reprimere certi reati con “pene severe”. Per es la conv per il dirottamento aereo, sulla presa di ostaggi, sul genocidio, sulla tortura etc. in questi casi non basta l’ordine di esecuzione perchè l’art 25 della costituzione impone che vengano rispettati una serie di principi: nullum crimen sine lege, nulla poena sine lege etc. quindi non basta dire che la pena sia severa, occorre che lo stato specifichi quella fattispecie di reato in maniera precisa, che specifichi qual e’ il minimo e qual e’ il massimo della pena etc. tutte cose che la norma int non dice. Quindi anche qui l’ordine di esecuzione sarebbe incostituzionale e quindi c’e’ bisogno di un intervento legislativo ulteriore.

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Per tutte queste categorie di trattati, meglio di norme internazionali in genere (perchè potrebbero anche essere consuetudini), serve l’adattamento ordinario. Ci possono essere altri casi ma i principali sono questi tre:

1) norme che prevedono solo un diritto

2) norme che richiedono l’introduzione di procedure, di organi o attribuzione ad organi di competenze

3) norme che richiedono adempimenti imposti dalla costituzione al legislatore.

Ci può essere anche il caso misto, nel caso in cui si fa l’ordine di esecuzione del trattato, ma poi si introducono degli articoli coi quali si emanano le norme specifiche italiane di adattamento ordinario che sono necessarie.

Va aggiunto che questa distinzione tra norme self-executing e non self-executing, così come e’ stata formulata, e come viene normalmente formulata, sembra una distinzione che riguarda la norma internazionale: cioè e’ la norma internazionale che non e’ sufficientemente completa da avere bisogno di norme di esecuzione interne. In realtà non e’ esattamente vero, perché le norme interne di esecuzione statali potrebbero non essere necessarie se lo stato gia ce l’ha. Ed infatti il carattere self-ex e non self-ex di una stessa norme può variare da stato a stato: in uno stato richiede norme di adattamento perché non ci sono mentre nell’altro non le richiede perché gia c’erano. Quindi in uno e’ self-executing e nell’altro no: questo dimostra che non e’ una caratteristica della norma internazionale, ma e’ un problema di confronto tra com’e’ la norma internazionale e le esigenze specifiche, il modo di essere e i contenuti dell’ordinamento interno. Quindi in realtà dipende più dall’ordinamento dello stato che dalla norma internazionale in se. Lo stesso vale del resto anche per il dir comunitario, anche qui non e’ che la norma non e’ completa. Per esempio la norma contenuta in un trattato che dice che gli stati si obbligano a reprimere certi comportamenti con pene severe, e’ una norma gia completa, perché alla norma internazionale basta che la pena sia severa, non le importa di stabilire esattamente il minimo e il massimo. Quindi anche una norma di questo tipo e’ completa: e’ completa rispetto a quelle che sono le esigenze del dir int. Quindi e’ piuttosto dal dir interno che dipende il carattere self-executing o no della norma.

Come avviene l’adattamento alle varie categorie di norme internazionali?

Cominciamo col diritto consuetudinario.

La regola generale del nostro ordinamento, che vale per tutte le consuetudini che possono essere considerate self-executing, e’ contenuta nell’art. 10 che rinvia una volta per tutte all’intero corpus del dir int consuetudinario: “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del dir int generalmente riconosciute”.

Questa formula e’ ripresa da una delle prima costituzioni dell’età’ moderna, la costituzione di Weimar del 1919 che aveva questa tessa formula nel suo famoso art 4. Questa formula delle norme generalmente riconosciute subì, una volta arrivato Hitler al potere in Germania, un trattamento interpretativo che suoi autori nel 1919 non si sarebbero mai immaginati: alcuni giuristi favorevoli alle posizioni di Hitler (che aveva un governo particolarmente aggressivo e che non rispettava molto il dir int nei confronti degli altri stati) per giustificare l’idea della mancanza di soggezione della Germania ad alcune norme di dir int che gli altri stati riconoscevano, e anche la Germania stessa riconosceva prima che arrivasse al potere Hitler, sostennero che se la Germania non le riconosceva allora voleva dire che il riconoscimento non era generale e quindi non potevano essere opposte alla Germania: quella che oggi si definisce la interpretatio abrogans, cioè una interpretazione che finisce per abrogare la norma

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giuridica. Ed allora la costituzione tedesca attuale, quella di Bonn del 1949, e’ stata più prudente ed ha sostituito questa formula ”le norme generalmente riconosciute” con l’espressione “le norme generali”. Questo termine “generali” poi ha fatto sorgere il dubbio interpretativo che siccome nel dir int esistono non solo consuetudini generali, che sono per la verità la maggior parte, ma anche consuetudini particolari o perchè sono particolari geograficamente e quindi locali, oppure particolari perchè limitate ad un numero di stati particolare (per es i soli stati membri di una organizzazione internazionale che riguarda appunto il funzionamento dell’organizzazione) ed allora ci si e’ domandati se non dovessero essere ricompresse nella locuzione “consuetudini generali”, però evidentemente non e’ stata questa la volontà del legislatore e a voler essere pignoli si può sempre sostenere che la consuetudine locale e’ comunque generale nel senso che e’ generalmente riconosciuta da tutti gli stati che fanno parte di quell’ambito territoriale. Quindi nei suoi limiti di applicazione, per circoscritti che siano, e’ comunque generale lo stesso. Questa e’ l’interpretazione che viene data da loro.

Con questa regola dell’art 10 il nostro sistema costituzionale ha accolto rispetto alla consuetudine int, un atteggiamento di notevole apertura perchè lo richiama a livello costituzionale e quindi gli da una posizione superiore a quella della legge. Ed in più lo rende direttamente applicabile da parte dei giudici. Giuridicamente ciò, a voler essere precisi, non significa che la norma int e’ direttamente applicabile nel dir interno. Quello che e’ direttamente applicabile sono le norme di adattamento interne che non sono identiche alle norme internazionali, almeno per un motivo: i destinatari delle norme internazionali sono gli stati che sono soggetti internazionali, mentre i destinatari dell’ordinamento interno sono gli individui o gli organi dello stato che sono i soggetti del dir interno. Ed allora se la determinazione dei destinatari della norma e’ un elemento che fa parte del contenuto precettivo della norma, la norma interna per definizione non può mai essere identica a quella internazionale. Chi e’ tenuto nel diritto interno a rispettare la norma e’ una cosa, chi e’ tenuto nel diritto internazionale e’ lo stato. Ed anche il diritto corrispondente sul piano internazionale all’obbligo di uno stato ce l’hanno gli altri stati, mentre sul piano del diritto interno, i rapporti di diritto/obbligo creati dalla norma riguardano anche individui che sul piano internazionale non avrebbero nessuna pretesa da far valere. Anche un cittadino italiano verso lo stato italiano può fare valere la norma internazionale: per esempio se ci obblighiamo con uno stato straniero a non sottoporre a dazi doganali certi suoi prodotti all’ingresso in Italia, sul piano internazionale c’e’un rapporto di diritto/obbligo tra lo stato italiano e un altro stato, però poi se c’e’ un importatore italiano che importa quelle merci e lo stato viola quella norma il soggetto può far valere quella norma in giudizio, non perchè quella norma era stata fatta nel suo interesse, ma perchè la norma interna di adattamento e’ obbligatoria per lo stato ed e’ azionabile da qualunque privato. Almeno questo elemento della norma interna non coincide mai con l’elemento della destinatarietà della norma internazionale.

Rispetto al dir consuetudinario abbiamo un atteggiamento di grande apertura. Lo statuto albertino non aveva una norma come l’art. 10 della nostra costituzione, anzi non ne aveva nessuna, però siccome non era una costituzione rigida, si riteneva comunque che il dir int fosse implicitamente richiamato, quindi le norme di adattamento prodotte automaticamente per effetto di questo richiamo implicito, la giurisprudenza le applicava lo stesso in Italia anche allora.

Ci sono paesi che riservano uno status al dir int consuetudinario meno elevato rispetto alle fonti interne e che si limitano a richiamarlo a livello di norma legislativa. Per es ciò avviene in Francia, che tra l’altro ha una situazione anomala perchè tratta meglio i trattati e peggio la consuetudine il che e’ anomalo sotto vari aspetti. Anche perchè per i trattati un problema di tutela dei valori costituzionali ci può essere perchè le maggioranze parlamentari che autorizzano la ratifica, potrebbero aggirare la garanzia di revisione di una costituzione rigida inserendo norme. Quindi mettere i trattati a livello costituzionale e’ sotto questo aspetto un rischio per il rispetto dei principi di democraticità nella formazione del diritto negli ordinamenti interni degli stati, mentre per la consuetudine la cosa e’ meno rischiosa intanto perchè sono poche e poi perché sono norme generali accettate da tutti gli stati, universalmente riconosciute, sicchè ci sono meno pericoli.

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Ci sono anche paesi che hanno trattato a lungo la consuetudine int ancora peggio. Per es in Belgio, siccome la cassazione belga e’ competente a giudicare se la sentenza e’ conforme alla legge, e quindi non può applicare che la legge, la cassazione aveva detto che non poteva applicare la consuetudine int e quindi non poteva valutare se un giudice di merito avesse o no rispettato la consuetudine int perchè non era legge.

Anche negli USA c’e’ una situazione in parte simile a quella francese perchè la costituzione americana del 1787 all’art 6 dice che i trattati int, dovutamente ratificati dal presidente della repubblica con l’assenso del senato “shall be the supreme law of the land”, quindi sono messi a livello delle leggi federali, prevalgono sulle leggi dei sister states, mentre la consuetudine può essere derogata dalla legge.

Questa nostra norma dell’art 10 ha come risultato che se c’e’ una legge interna che e’ contraria ad una consuetudine internazionale, questa legge e’ incostituzionale. Questa e’ una classica ipotesi di incostituzionalità mediata, e quindi la legge può essere dichiarata incostituzionale, questo e’ stato messo in pratica una sola volta dalla corte costituzionale. Nel 2001 ci fu una sentenza che ha dichiarato incostituzionale una legge italiana che stabiliva l’obbligo del servizio militare non solo per i cittadini italiani, ma anche per gli ex cittadini italiani che avessero perduto la cittadinanza italiana per il fatto di averne acquistato una straniera, con il risultato che secondo questa legge erano soggetti lo stesso all’obbligo del servizio militare. E’ stato fatto ricorso dicendo che questa legge viola il diritto consuetudinario internazionale (e quindi l’art 10 della costituzione), perchè il diritto consuetudinario int fa divieto agli stati di imporre obblighi di servizio militare ai cittadini di altri stati: gli stati possono obbligare solo i propri cittadini. La corte ha detto che quella legge era contraria al diritto consuetudinario internazionale e quindi incostituzionale per violazione dell’art 10. Questa regola dell’art 10 e’ stata definita da Tomaso Perassi (professore di diritto internazionale, membro dell’assemblea costituente e della prima composizione della corte costituzionale) un “trasformatore permanente”. Intendeva dire che il richiamo alla consuetudine int ha per effetto che, man mano che il dir internazionale consuetudinario cambia, automaticamente si intendono prodotte le norme interne necessarie di adattamento a livello costituzionale. “Trasformatore” perchè egli faceva parte di quegli studiosi molto attenti che dicevano che il fenomeno dell’adattamento comporta sempre una trasformazione nel senso che la norma interna e’ per definizione diversa da quella internazionale perchè ha dei destinatari diversi. In realtà il termine trasformatore non e’ esatto perchè non e’ che la norma internazionale viene modificata, rimane quello che e’, e’ solo che la norma interna di adattamento e’ una norma di contenuto conforme che però e’ in parte diversa per il fatto di avere dei destinatari diversi.

L’idea di questo genere di adattamento e’ un adattamento automatico ed infatti si parla, riferendosi all’art 10 della costituzione, di adattamento automatico del diritto italiano, a livello costituzionale, al diritto internazionale. Questo automatismo nasce dal fatto che c’e’ questo rinvio che quindi crea un collegamento permanente tra il nostro sistema e quello internazionale. Questo e’ tipico di tutte le forme di adattamento attraverso il cd. procedimento speciale, sia che si tratti di adattamento automatico come quello previsto dall’art 10 della costituzione (cioè una volta per tutte), sia che venga fatto con l’ordine di esecuzione.

Questa tecnica di adattamento ha un vantaggio sul piano pratico molto importante rispetto all’adattamento ordinario (quello cioè che consiste nella riformulazione delle norme necessarie): il vantaggio consiste nel fatto che istituendo questo legame e’ sempre possibile per l’interprete adattarsi a tutte le vicende che può subire la norma internazionale. Per esempio la consuetudine può cambiare, può modificarsi. Oppure al trattato possono succedere una serie di vicende: anzitutto non e’ detto che entri in vigore nel momento in cui l’Italia lo ratifica (se una convenzione int per la sua entrata in vigore richiede un certo numero di ratifiche) però avendo detto l’ordine di esecuzione “piena ed intera esecuzione sia data al trattato” si intende dal momento in cui entrerà in vigore sul piano internazionale; la convenzione si applica nei confronti di certi stati e non di altri però il numero delle

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parti contraenti può cambiare perchè si aggiungono nuovi stati, perchè uno recede o ci possono essere delle riserve che vengono ritirate; oppure la norma internazionale si estingue per altre cause; oppure il trattato internazionale si estingue perchè sopravviene una norma di ius cogens che e’ incompatibile. Per la consuetudine il problema e’ quello della evoluzione nel tempo ma anche quello della sua interpretazione, perchè una norma di legge o di costituzione che formula direttamente le norme interne per far rispettare l’obbligo internazionale, le interpreta una volta per tutte e gli attribuisce più o meno esattamente un certo contenuto, quindi l’interprete e’ obbligato ad applicare la norma interna perchè non entra in contatto diretto con la norma internazionale.

Viceversa il procedimento speciale di adattamento consente di volta in volta di valutare meglio, di tenere in considerazione la giurisprudenza internazionale, che secondo Davì non e’ direttamente obbligatoria per l’interprete sul piano dell’ordinamento interno, però e’ un elemento di cui l’interprete deve tenere conto per ricostruire esattamente il contenuto del dir int consuetudinario. Ecco perchè il procedimento speciale e’ piu’ efficace come modo di adattamento del diritto interno al diritto internazionale, rispetto alla formulazione diretta delle norme interne necessarie. Per di piu’ ci sarebbero anche dei periodi di vacatio legis: se per es la consuetudine int cambia, e’ un processo che si verifica poco a poco e prima che la modifica si consolidi e prima che il legislatore italiano se ne accorga possono passare anni e intanto noi avremmo la nostra norma interna che non rispecchia piu’ lo stato del dir int. Invece il rinvio mobile e’ il mezzo piu’ efficiente per assicurare la conformità del nostro ordinamento agli obblighi internazionali.

L’adattamento quindi ha luogo per il diritto consuetudinario a livello costituzionale mentre per i trattati no.

C’e’ un problema di rapporto con la legge ordinaria che e’ semplice: la legge ordinaria contraria alla consuetudine int e’ incostituzionale perchè viola l’art 10.

C’e’ poi anche un problema di rapporto con le altre norme della costituzione, perchè ci si deve domandare cosa succede se una consuetudine int e’ contraria ad un principio della nostra costituzione. Il rinvio che fa l’art 10 ci mette nella posizione di dover recepire qualunque tipo di consuetudine internazionale che si formi anche se presenti dei problemi seri di compatibilità con la nostra costituzione, oppure c’e’ un limite? Questo problema e’ difficile che si presenti nella pratica perchè e’ improbabile che ottengano il necessario consenso della generalità degli stati del mondo norme che urtano contro la nostra costituzione; e poi anche perchè ratione materiae non ci sono grandi spazi di coincidenza perchè la costituzione si occupa dell’organizzazione interna dello stato italiano il dir int non si occupa di questo ma si occupa dei rapporti internazionali tra gli stati; e poi anche perchè il dir int moderno ormai dopo la fine della seconda guerra mondiale e’ evoluto nel senso di imporre il rispetto dei valori fondamentali propri degli stati progrediti sotto questo aspetto, quindi il rispetto dei diritti dell’uomo, l’autodeterminazione dei popoli, il divieto dell’uso della forza sono tutte norme che fanno parte del dir int e della nostra costituzione. L’unico caso che ha importanza e che e’ stato oggetto di analisi, giurisprudenza e casi pratici e che costituisce il punto di frizione tra il dir costituzionale degli stati moderni (quindi anche il nostro) e il diritto consuetudinario, sono le norme del dir int relative alle immunità, soprattutto quelle dalla giurisdizione ma non solo quelle, degli stati e delle organizzazioni internazionali che sono immunità molto estese perchè riguardano: gli stati, gli organi supremi degli stati anche per le loro attività private, gli agenti diplomatici e rappresentanti diplomatici degli stati, i corpi di truppa che stazionino nei territori di uno stato straniero col consenso di quest’ultimo (incidente del Cermise, caso Calipari) e poi anche le organizzazioni internazionali. In Italia ci sono moltissime persone che hanno l’immunità diplomatica, a Roma ci sono per esempio, oltre alle ambasciate presso lo stato italiano, molte ambasciate presso la santa sede, poi c’e’ la santa sede stessa, secondo alcuni l’ordine di malta etc. insomma c’e’ un’abbondante quantità di persone che sono protette da queste regole internazionali sull’immunità dalla giurisdizione, la quale ha come conseguenza il fatto che viene messo in discussione il diritto delle persone di agire in giudizio per difendere i propri diritti contro possibili abusi. Tra l’altro gli abusi sono tutt’altro che rari, perchè molti

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agenti diplomatici o funzionari delle organizzazioni internazionali hanno una forte tendenza all’abuso. C’e’ quindi questo conflitto: lo stato e’ tenuto dal dritto internazionale a rispettare l’organizzazione sovrana degli stati stranieri nonché l’autonomia e l’indipendenza di funzionamento delle organizzazioni internazionali, però sarebbe anche tenuto dalla costituzione (e del resto anche da altre norme internazionali inclusa la c.e.d.u. e il patto delle nazioni unite del 1966) a garantire la tutela giurisdizionale dei propri diritti alle persone. Che cosa succede allora in questo caso?

La prima sentenza della nostra corte costituzione in questa materia e’ il caso Rusel del 1969. Rusel era l’addetto militare dell’ambasciata canadese in Italia, il quale non pagava l’affitto (e’ successo spesso che dei soggetti coperti dalle immunità diplomatiche non pagassero gli affitti). L’attore ha agito per ottenere lo sfratto e l’inquilino moroso ha detto che lui era coperto dall’immunità diplomatica che risulta dalla convenzione di Vienna del 1961 sulle relazioni diplomatiche degli stati. Venne sollevata la questione di costituzionalità e la corte costituzione disse che non era solo un problema di conv di Vienna dato che i trattati int non sono richiamati dal nostro ordinamento a livello costituzionalee (se fosse stata quindi la convenzione ad attribuire questa immunità sarebbe stato diverso). La conv di Vienna non fa altro che codificare una regola consuetudinaria. Questa consuetudine e’ richiamata dall’art 10 della costituzione e quindi prevale sull’art 24. Qui in sostanza c’era conflitto tra l’art 10 e l’art 24 indirettamente. Prevale, secondo la corte, per il principio di specialità, perchè la regola dell’art 24 e’ una norma generale (tutela il diritto di tutti i privati di agire in giudizio) mentre l’art 10 e’ una norma speciale che riguarda solo una categoria particolare, cioè quella dei diplomatici e che e’ giustificata dall’obbligo internazionale dello stato italiano di rispettare l’organizzazione sovrana degli stati stranieri e quindi prevale.

La corte costituzionale in questa sentenza fece una distinzione criticata generalmente da tutti i suoi commentatori tra le norme del diritto consuetudinario anteriori all’entrata in vigore della costituzione e quelle successive con l’idea che quelle anteriori prevalevano tutte per il principio di specialità perchè erano state richiamate tutte in blocco dall’art 10, quelle posteriori invece, non erano state richiamate in bianco dall’art 10 (qualunque cosa il diritto internazionale consuetudinario dirà prevale sempre sulle garanzie costituzionali dei singoli) ma dovevano rispettare il nucleo di valori essenziali della costituzione. Nelle costituzioni moderne esiste un nucleo di valori che sono considerati più costituzionali degli altri, che sono il nucleo dei principi essenziali, in sostanza i principi fondamentali dello stato di diritto ed il rispetto dei diritti fondamentali della persona. Nel nostro ordinamento i costituzionalisti di solito si riferiscono per il primo gruppo di principi all’art 139 che dice che la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale e interpretano il termine repubblicana non come sinonimo di democrazia parlamentare per cui non si può passare per esempio al presidenzialismo, ma come sistema dei principi dello stato di diritto e quindi il principio della rule of law (sottoposizione del potere pubblico al rispetto della legge); mentre si riferiscono per la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo a quella norma dell’art 2 che e’ formulata nei termini “la repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”, esprimendo così l’idea che ci sono dei diritti fondamentali dell’uomo che preesistono, che non sono stati creati dalla costituzione e che quindi la costituzione non può modificare a suo piacimento, che sono intangibili. La corte costituzionale ha detto che tutte le consuetudini che gia c’erano quando e’ stato fatto l’art 10 della costituzione sono tutte recepite in blocco, per quelle che eventualmente si formino in futuro c’e’ questo limite del rispetto di questi valori essenziali, supercostituzionali. Questa sentenza e’ stata criticata perchè nessuna delle due affermazioni probabilmente e’ vera: non e’ vera l’affermazione per cui l’art 10 distinguerebbe tra consuetudini formate prima e dopo, perchè non c’e’motivo perchè ne tratti alcune in un modo e alcune in un altro; nemmeno la cosa del principio di specialità sembra convincente a Davì perchè il rapporto tra principi costituzionali egualmente essenziali non può essere quello di generale/speciale per cui uno prevale sull’altro, questo va bene per le leggi ordinarie ma quando si tratta di valori costituzionali sono tutti importanti e quindi devono essere rispettati tutti. Nessuno deroga agli altri se non in casi eccezionali tanto e’ vero che la dottrina costituzionalistica quando discute di conflitto tra norme della costituzione non lo fa sulla base delle regole classiche che valgono per la legge ordinaria (successione della legge nel tempo, principio gerarchico e principio di specialità) ma discute in termini di qualità

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delle norme giuridiche: si può ammettere che ci sono principi costituzionali di qualità differente, se invece hanno tutti lo stesso valore qualitativo non e’ che uno può prevalere sull’altro ma, nei limiti del possibile (e di solito e’ possibile), devono essere contemperati perchè tutti e due devono essere rispettati. L’idea che a Davì pare emergere dal raffronto tra l’art 10 e l’art 24 della costituzione e’ che lo stato italiano e’ obbligato dalla costituzione a garantire a tutti la tutela giurisdizionale dei propri diritti, e poi e’ obbligato sempre dalla costituzione a rispettare le immunità giurisdizionali degli stati stranieri, ma deve trovare il contemperamento. Il contemperamento e’ largamente possibile: basta che gli stati, invece di abusare delle immunità che hanno, non ne abusino e si comportino responsabilmente nei confronti dei cittadini e questo si può ottenere in vari modi. Questa idea ormai si e’ affermata nel diritto internazionale e anche nella prassi degli stati, anche se non si e’ ancora realizzata completamente, anche perché quella che Jering chiamava “la lotta per il diritto” e’ sempre lunga e faticosa.

Da una trentina d’anni si e’ conciato ad affermare il principio che bisognerebbe avere una tutela equivalente (cd. principio della garanzia per equivalente). E’ giusto che lo stato italiano rispetti l’organizzazione sovrana dello stato straniero per cui non lo sottopone alla propria giurisdizione, però lo stato straniero dovrebbe garantire che quella tutela venga offerta dai propri tribunali, dato che ce li ha. Lo stesso vale per le organizzazioni internazionali le quali hanno spesso un tribunale interno amministrativo che può provvedere a rendere giustizia. Questo contempera i valori, risolve la situazione perchè lo stato italiano non pretende di sindacare le situazioni giuridiche dello stato straniero o dell’organizzazione coperte da immunità, però poi l’individuo può rivolgesi agli organi giurisdizionali dello stato straniero o ai tribunali speciali delle organizzazioni. Con l’organizzazione per altro si può anche stabilire un accordo di arbitrato, che non e’ sottoposto alla giurisdizione del giudice statale. In alcuni casi e’ stato sostenuto che se una organizzazione int vanta una immunità dalla giurisdizione o basata su un accordo ad hoc (per accordo di sede o statuto), o basata sulla consuetudine internazionale e non garantisce una tutela alternativa, non si munisce per es di un tribunale amministrativo interno (questo succede soprattutto per il rapporto di impiego con i dipendenti) allora lo stato potrebbe revocare l’immunità, cioè considerare l’immunità condizionata all’esistenza di un sistema di tutela alternativo. Questa regola e’ stata affermata in Italia diverse volte dalla cassazione, la prima sentenza che l’ha affermata dovrebbe essere (ma Davì non ne e’ sicuro) un caso del 1994 dell’istituto di alti studi astronomici mediterranei di Bari che vantava l’immunità dalla giurisdizione, ed e’ stato addirittura affermato da una sentenza della corte europea dei diritti dell’uomo in una sentenza del 1999 in cui i ricorrenti dicevano che lo stato tedesco non gli dava la garanzia giurisdizionale dicendo che non poteva sindacare il trattenimento di una parte della retribuzione dei dipendenti di una organizzazione internazionale che aveva sede in Germania. La corte europea dei diritti dell’uomo ha detto che lo stato può far valere il suo obbligo di rispettare le immunità giurisdizionali, ma lo stato non dovrebbe accordare l’immunità, se non dopo aver controllato che quella organizzazione ha un tribunale interno che provvede a offrire una garanzia equivalente, e se lo fa (se accorda l’immunità senza che l’organizzazione abbia un tribunale interno a ciò deputato) viola la c.e.d.u. Anche quando nel 1961 fu fatta la conv di Vienna sulle relazioni diplomatiche fu fatto il tentativo di inserire una norma che dicesse che i rappresentanti diplomatici hanno il diritto ad essere esonerati dalla giurisdizione in una serie di casi, però gli stati dovrebbero allora obbligarsi ad offrire comunque l’accesso alla giurisdizione dei propri giudici in tutti quei casi in cui questo accesso non c’e’. Questo obbligo però gli stati non se lo sono voluto assumere, per questo ora non viene riconosciuta la parità di dignità di questi valori giuridici che invece devono entrambi essere rispettati perchè e’ possibile conciliarli. Ci si limitò ad aggiungere una norma in cui si precisa che l’immunità e’ dalla giurisdizione e non dalla legge e cioè i titolari delle immunità stesse hanno l’obbligo di rispettare la legge dello stato della sede anche se immuni dalla giurisdizione; e ancora che gli stati di invio dovrebbero esercitare tutta la loro vigilanza per ottenere dai loro agenti diplomatici che rispettino la legge del paese ospitante. In pratica questo non succede.

In realtà la garanzia per equivalente, che e’ gia un passo avanti, non e’ l’unica possibilità. Ce ne sono delle altre. Per esempio per le infrazioni del traffico ed anche per i danni che possono essere arrecati

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per questo motivo ai terzi, gli USA hanno una legge interna con cui obbligano gli stati a stipulare comunque una assicurazione obbligatoria, la quale non e’ immune dalla giurisdizione e quindi ci si può rivolgere a lei. Ciò e’ una cosa molto semplice che potrebbe essere fatta da tutti gli stati per evitare almeno questo tipo di abusi che non ha evidentemente nessun tipo di giustificazione e chiaramente non può essere coperto dalla costituzione. In Italia era stato tentato di fare ancora meglio quando nel 1988 era stato presentato un progetto di legge che poi si e’ perduto che diceva che nei casi in cui l’immunità esiste (e quindi lo stato la deve rispettare) e però non c’e’ la tutela equivalente e quindi i diritti dei privati sono scoperti, il limite di questa giurisprudenza e’ quello di fare carico al singolo individuo del danno. A Davì sembra che questo sia il giusto modo di risolvere la questione perchè gli sembra che ciò che la costituzione veramente non ammette e’ che l’individuo debba pagare lui il conto. Se lo stato non può garantire in quel caso la tutela giurisdizionale pagherà lo stato stesso. Questo si basa sul principio che e’ stato elaborato dal consiglio di stato francese della equa ripartizione dei carichi pubblici tra i cittadini. L’esigenza di rispettare il diritto internazionale può creare dei carichi pubblici di vario tipo. Un esempio analogo e’ quello delle sanzioni economiche internazionali che comportano l’interruzione dei rapporti commerciali, in certi casi anche quando ci sono contratti che sono gia stati stipulati e che sono in corso di esecuzione, e che in questi casi reca danni ai privati, ed allora ci si può domandare se sia giusto che i privati debbano sopportare loro il danno. Sarebbe normale e ragionevole che se ne facesse carico lo stato. Gli stati dovrebbero riconoscere che la loro discrezionalità nel condurre le relazioni internazionali debba essere sottoposta a delle regole e dei limiti giuridici precisi, mentre gli stati preferiscono conservarsi libertà illimitata in questa materia. In realtà e’ possibile conciliare i problemi che derivano dalle garanzie internazionali col necessario rispetto delle garanzie individuali. Questo disegno di legge dell’88 diceva che se c’e’ l’immunità dalla giurisdizione e il giudice accerta che c’e’ e quindi non ha giurisdizione, lo stato deve essere lui ad assumersi l’onere di indennizzare l’individuo i cui legittimi diritti sono stati pregiudicati. Perchè bisogna lasciare senza tutela le posizioni giuridiche individuali? Non c’e’ nessuna giustificazione. Questo progetto prevedeva che il giudice decide se c’e’ o non c’e’ giurisdizione (e questi sono affari del potere giudiziario) però una volta che ha deciso che c’e’ l’immunità il disegno di legge istituiva presso il ministero della giustizia delle commissioni che accertavano amministrativamente se la pretesa fosse o no fondata (perchè il giudice non aveva potuto entrare nel merito perchè aveva detto che non poteva pronunciare), e se la riteneva fondata allora indennizzava lui. Secondo Davì questa e’ la soluzione giusta. Quindi non e’ affatto vero che c’e’ una incompatibilità tra le immunità internazionali e la garanzia giurisdizionale dei diritti dei singoli. Basta avere la buona volontà di contemperare questi due valori costituzionali di pari dignità. Ciò che urta la costituzione non e’ il riconoscimento delle immunità degli stati, ma il fatto di non voler provvedere in altro modo, per equivalente, a soddisfare i diritti delle persone.

Cosa succede se si constata che la costituzione esige che una norma consuetudinaria non venga applicata? Per es questo può succedere con una norma consuetudinaria attualmente dai contorni incerti, in via di formazione, che attribuisce immunità giurisdizionale anche alle organizzazioni internazionali e non solo agli stati. Quello che e’ sicuro e’ che le organizzazioni internazionali godono di queste immunità quando lo prevede l’accordo di sede o il trattato istitutivo, però siamo a livello di diritto convenzionale che e’ subordinato rispetto alla costituzione. Se però questo principio si consolida come norma consuetudinaria, allora questa norma, come norma consuetudinaria, sta allo stesso livello della costituzione. Quindi questo crea il conflitto potenziale con l’art 24 (che pure si potrebbe risolvere con la buona volontà nel modo visto). E’ possibile che questa norma si formi perché la tendenza della giurisprudenza dei vari paesi e’ quella di dire che si riconosce l’immunità’ all’organizzazione internazionale se ha dei sistemi di tutela alternativi, altrimenti non gliela riconosciamo. Quindi in questo caso sarebbe possibile anche disapplicare la norma consuetudinaria. Cosa succede? Se si tratta di un trattato, il trattamento rispetto a quello della consuetudine e’ diverso, perché il trattato e’ stato reso esecutivo da una legge interna, altrimenti non può essere applicato, ed allora se la legge interna e’ contraria alla costituzione, il giudice solleva la questione di legittimità costituzionale e la corte costituzionale annulla la legge di esecuzione del trattato nella parte in cui rende esecutive in Italia norme contrarie alla costituzione. Se invece abbiamo a che fare con una

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norma consuetudinaria, non si può andare dalla corte costituzione, perché la corte costituzione può sindacare la legittimità costituzionale delle leggi ordinarie italiane, ma non delle norme internazionali. In questo caso e’ il giudice italiano che può disapplicarla, e qualche caso di questo genere c’e’ stato.

Quindi, come si e’ visto, i procedimenti di adattamento del diritto int possono produrre come risultato di rendere direttamente applicabile dal giudice italiano una norma della costituzione, cosa che normalmente il giudice ordinario non può fare perché e’ soggetto alla legge e deve rivolgersi alla corte costituzionale che e’ il giudice delle leggi, però per la consuetudine int, nonostante essa sia messa allo stesso livello della costituzione dall’art 10, potrebbe in qualche caso farlo, e quindi potrebbe applicare direttamente la costituzione e farla prevalere sulla norma consuetudinaria. Sarebbe un’ipotesi di disapplicazione. Quello che può succedere anche con un atto amministrativo quando non ci sia una norma di legge da dichiarare incostituzionale: il giudice considera che l’atto amministrativo e’ contrario alla costituzione ma non lo può annullare perché non gli compete, però lo può disapplicare. Quindi questo ingresso delle norme internazionali nell’ordinamento dello stato può anche alterare la ripartizione normale delle competenze tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione costituzionale.

23 04 2010

Adattamento del diritto interno al diritto internazionale.

Ieri abbiamo parlato dell’adattamento al diritto consuetudinario, oggi parliamo dell’adattamento ai trattati.

L’adattamento può essere di tipo cd. ordinario, cioè con la formulazione delle norme necessarie a realizzare l’adattamento da parte del legislatore interno, oppure speciale con il procedimento che consiste nel rinvio alla norma internazionale che nel caso dei trattati avviene con la legge interna che contiene il cd. ordine di esecuzione. Questo tipo di adattamento e’ tecnicamente preferibile come procedimento perché consente un adattamento permanente, continuo, istantaneo delle norme interne alle varie vicende che può subire la norma internazionale alle quali l’ordinamento interno si deve adattare, quindi e’ il metodo migliore. Però non sempre e’ possibile perché ci sono dei casi in cui occorre formulare direttamente le norme di adattamento, ciò avviene quando ci si trova davanti a norme internazionali non self-executing. Ovviamente in certi casi il procedimento può essere misto cioè ci può essere l’ordine di esecuzione ed in più l’emanazione delle norme di adattamento ordinario che sono necessarie.

Il rango delle norme interne di adattamento e’ in linea di principio quello dell’atto interno che le rende esecutive. Se per esempio fosse necessaria una modifica di una norma costituzionale perché il trattato internazionale la richiede, sarebbe necessaria la legge costituzionale. C’e’ stato, che Davì sappia, un solo precedente di questo genere nella pratica italiana che si riferiva alla convenzione delle nazioni unite per la prevenzione e la repressione dei crimini di genocidio, la quale prevedeva tra gli altri obblighi per gli stati contraenti l’obbligo di procedere in certi casi all’estradizione dei colpevoli del crimine di genocidio. Questa convenzione che e’ del 1948 venne eseguita in Italia con legge ordinaria nel 1952. Poi ci si pose però il problema della compatibilità dell’obbligo di estradizione col fatto che la nostra costituzione prevede il divieto di estradizione per reati politici (anzi ha 2 norme su questa materia l’art 10, 3 co. e l’art 26). Il problema verteva sull’interpretazione della nozione di reato politico. Il reato politico e’ definito dal cod. pen. in termini molto ampi: un reato che ha per oggetto un bene politico oppure un reato comune commesso per fini politici. Si decise nel 1967 di sanare la situazione con una legge di revisione costituzionale. Oggi si ritiene che non ci sia bisogno della legge costituzionale, perché la dottrina penalistica ha lavorato sulla interpretazione della nozione di reato politico ai fini dell’estradizione, perché la cost si occupa della definizione del reato politico solo a questi fini negli articoli 10, 3 co. e 26. La dottrina penalistica ha rilevato che ciò che la costituzione vuole impedire e’ che venga concessa l’estradizione ad una persona la quale e’ ricercata per fini che

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hanno attinenza alle sue posizioni politiche e rischierebbe di essere sottoposto a processo in condizioni non eque. E siccome oggi c’e’ invece una larga tendenza internazionale alla cooperazione contro il terrorismo (che tra l’altro e’ giustificata perché uno può avere idee politiche diverse da quelle di altri, però non può in nome di quelle idee darsi ad atti di violenza efferata nei confronti del prossimo) ed allora oggi si ritiene che sia perfettamente possibile con la legge ordinaria assumere obblighi in questa materia.

Se l’ordine di esecuzione manca o le norme di esecuzione interna mancano, il trattato internazionale anche se e’ stato ratificato dall’Italia e quindi e’ impegnativo sul piano internazionale, non può produrre effetti sul piano interno. Questo e’ stato riconosciuto diverse volte sia dalla corte costituzionale che dalla cassazione. In realtà e’ molto difficile che ciò accada perché tutti i trattati che rientrano nelle categorie dell’art. 80, e quindi anche quelli che comportano modificazioni di legge e che quindi esigono di essere eseguiti con un atto di rango legislativo, devono essere autorizzati dal parlamento per essere ratificati. E quando il parlamento li autorizza fa anche l’ordine di esecuzione e quindi in pratica l’ordine di esecuzione viene fatto quasi sempre. Il problema potrebbe darsi per accordi stipulati in forma semplificata, senza l’autorizzazione del parlamento, ma allora dovrebbe trattarsi di accordi che non comportando modificazioni di legge ne’ quindi intervento parlamentare e possono essere resi esecutivi anche con un regolamento, con un atto di rango subordinato alla legge.

Quindi i problemi sono rari, tuttavia qualora una simile eventualità si verificasse, il trattato obbliga l’Italia, che quindi e’ responsabile per l’inadempimento se non adempie, però i giudici non lo possono applicare perché manca il ponte interno che ha dato esecuzione. Questi sono in generale i principi in materia.

E’ stata proposta una tesi abbastanza facile da criticare che non e’ mai stata accolta dalla dottrina e poi e’ stata espressamente rigettata dalla corte costituzionale e dalla cassazione. Secondo questa tesi l’atto interno di esecuzione dei trattati internazionali non sarebbe necessario. Si e’ detto che basterebbe l’art. 10 della costituzione, il quale richiama automaticamente nell’ordinamento italiano tutte le norme del diritto internazionale consuetudinario e siccome tra queste norme c’e’ la norma pacta sunt servanda che e’ una norma che fa parte del diritto internazionale consuetudinario, allora il risultato sarebbe che anche quella norma e’ richiamata, sicché una volta che il trattato e’ stato stipulato sul piano internazionale, automaticamente le norme interne di esecuzione si produrrebbero senza bisogno che intervenga il legislatore con l’ordine di esecuzione perché già la norma pacta sunt servanda può produrre automaticamente questo effetto. Questa tesi non e’ difficile da criticare. In realtà questa tesi, sostenuta da Quadri, non e’ una tesi sua originale perché c’era un autore tedesco che aveva sostenuto la stessa tesi a riguardo della costituzione tedesca che pure richiama solo la consuetudine a differenza di altre costituzioni moderne che invece richiamano esplicitamente i trattati e a volte gli danno un rango anche superiore a quello della legge. Per criticare questa tesi basterebbe già il tenore letterale dell’art 10, perché se l’art 10 ha richiamato solo le norme consuetudinarie generalmente riconosciute, evidentemente non voleva attribuire anche ai trattati la stessa posizione nello stabilire l’adattamento automatico ai trattati perché se lo avesse voluto fare non avrebbe avuto che da farlo. Tanto piu che risulta che durante i lavori preparatori dell’assemblea costituente era stato presentato un emendamento in questo senso da due professori di diritto internazionale famosi Roberto Ago e Gaetano Morelli e l’assemblea costituente non lo prese in considerazione. Quindi il problema era noto e si decise di risolverlo in questa maniera.

C’e’ poi un argomento aggiuntivo contro questa tesi, che e’ persuasivo ma non del tutto. Si dice che il richiamo che l’art 10 fa alle norme internazionali consuetudinarie comprende essenzialmente le norme materiali, quelle che creano diritti ed obblighi per lo stato italiano, mentre una norma strumentale come la norma pacta sunt servanda, destinata a produrre effetti solo nell’ordinamento internazionale in quanto norma strumentale, di per se non crea obblighi materiali e quindi non e’ richiamata. Questa tesi e’ persuasiva a metà perché il problema rimane sempre di interpretazione della volontà del costituente che avrebbe benissimo potuto voler includere tra le norme consuetudinarie del

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diritto internazionale che richiama anche la norma pacta sunt servanda: non e’ affatto escluso che ci siano nel diritto internazionale delle norme strumentali di questo tipo alle quali viene attribuita efficacia negli ordinamenti interni. Vale per tutti l’esempio del richiamo che sta all’attuale art. 288 del trattato sul funzionamento dell’unione ai regolamenti comunitari, ai cui sensi i regolamenti hanno effetti diretti negli ordinamenti interni e questa norma e’ richiamata dall’art. 10 ed e’ sufficiente a fare si che i regolamenti non richiedano atti di esecuzione perché sono immediatamente applicabili. Quindi e’ un procedimento che si può fare. Quindi l’argomento non e’ decisivo.

In realtà ci sono nella costituzione degli argomenti piu importanti sul piano sistematico anche se non sempre vengono richiamati. Intanto bisogna premettere che, se fosse vero che questo meccanismo potrebbe indirettamente rendere efficaci le norme dei trattati, dato che ha garanzia costituzionale nell’art. 10 questo vorrebbe dire che i trattati sarebbero richiamati allo stesso rango delle norme consuetudinarie, quindi sarebbero superiori alla legge e sarebbero a livello costituzionale. Però la costituzione, guardata sistematicamente, ci dimostra che ci sono solo dei casi limitati in cui il costituente ha voluto offrire ai trattati una piu ampia garanzia. Per esempio l’art 10, 2 co., che dice “la condizione giuridica dello straniero e’ regolata dalla legge in conformità ai trattati”, quindi per i trattati sulla condizione dello straniero l’Italia uscita dalla guerra voleva offrire garanzia al resto del mondo. L’art. 11, che offre garanzia costituzionale a quei trattati che creano organizzazioni internazionali che sono volte ai fini di pace e giustizia fra le nazioni di cui parla l’art. 11. L’art. 7 che costituzionalizza i patti lateranensi che sono un accordo internazionale con la santa sede. Quindi il legislatore solo per alcuni tipi di trattati ha voluto fare uno status privilegiato e per altri no.

Ma sul piano sostanziale e’ la ragion d’essere di questa soluzione che e’ comune anche alla costituzione tedesca: tutti e due i paesi uscivano dalla guerra e venivano dall’esperienza di un regime totalitario ed entrambi avevano il problema di stipulare il trattato di pace. Quello della Germania non venne mai stipulato perché rimase divisa in due parti e ci furono altre vicende. Quello con l’Italia venne fatto nello stesso anno in cui si svolgevano i lavori per la costituzione, il 1947. Allora l’idea di offrire garanzie costituzionali ai trattati era vista come un pericolo perché c’era il rischio che nei trattati di pace, come già era accaduto dopo la prima guerra mondiale agli sconfitti, venissero imposte condizioni molto dure. Quindi la possibilità di poter poi modificare le cose con legge ordinaria sembrava prudente volersela mantenere.

In secondo luogo la nostra costituzione era un sistema di compromesso basato sulle tre forze politiche predominanti a quel epoca e cioè i partiti cattolici, comunisti e laici che avevano raggiunto un faticoso compromesso. Allora l’idea di consentire a maggioranze parlamentari variabili, stipulando i trattati internazionali, di aggirare i principi e il contenuto delle regole che erano stati concordati in sede di assemblea costituente e che rappresentavano la forma generale del nostro sistema, probabilmente era vista con sospetto anche perché si veniva da una esperienza di totalitarismo e sopraffazione. Probabilmente in Germania hanno valso le stesse considerazioni. Quindi fu una precisa scelta politica adottata dal costituente di dare ai trattati solo il rango della legge ordinaria con la conseguenza che si potevano fare venire meno le norme contenute nella legge di esecuzione con una legge diversa.

Oggi la nostra situazione costituzionale si e’ modificata con la legge costituzionale. del 2001 che ha modificato il titolo V della costituzione perché oggi il nuovo art 117 ha cambiato le cose. L’art. 117 infatti dice che sia il parlamento che le regioni quando esercitano le loro competenze normative devono farlo nel rispetto degli obblighi comunitari ed internazionali dell’Italia. Questo ha cambiato lo status delle norme di adattamento ai trattati nel nostro ordinamento.

Intanto una cosa e’ comunque sicura anche dopo l’introduzione del nuovo art. 117 (ed a maggior ragione prima) e cioè qual e’ il rapporto delle norme interne di esecuzione del trattato con la costituzione: se sono contrarie alla costituzione, vuol dire che la legge interna che ha dato esecuzione al trattato e’ incostituzionale perché il trattato non e’ equiparato alla costituzione, come invece avviene in base all’art. 10 per la consuetudine internazionale. Ed in effetti ci sono stati vari casi in cui la corte costituzionale e’ intervenuta con questa tecnica. Ovviamente non si può dichiarare incostituzionale il

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trattato perché non e’ una fonte dell’ordinamento italiano ma una fonte di un altro ordinamento, così come non si può dichiarare incostituzionale una legge di uno stato straniero, però quello che si può fare e’ dichiarare incostituzionale la legge che ha dato esecuzione al trattato e di conseguenza una volta che la legge e’ dichiarata incostituzionale, il trattato non e’ piu esecutivo nel nostro ordinamento, e quindi si può ottenere questo risultato. In alcuni casi e’ stato adottata, ormai adottata dalla corte costituzionale, la tecnica della dichiarazione di illegittimità costituzionale parziale della legge di esecuzione nella misura in cui rende esecutivo non l’intero trattato ma eventualmente anche una sua singola norma, se soltanto una singola norma e’ contraria alla costituzione. Anche per il diritto comunitario la corte costituzionale ha adottato la stessa tecnica perché nella sentenza Granital 170/1984 ha detto che la corte può dichiarare incostituzionale una legge con cui lo stato italiano ha dato esecuzione ai trattati comunitari nella parte in cui consente l’ingresso nel nostro ordinamento anche di una sola norma che…. 09.30.

Per i trattati e’ la stessa cosa e ci sono stati vari casi.

Il piu antico riguardava una convenzione di estradizione tra l’Italia e la Francia del 1870 (ancora in vigore) che era stata stipulata nell’epoca in cui entrambi i paesi ammettevano la pena di morte. La Francia ancora nel 1979 la ammetteva e l’ha abolita circa una decina di anni fa. Siccome la nostra costituzione non la ammette (salvo che nei casi consentiti dalle leggi penali di guerra che poi non la consentono nemmeno loro e quindi non la ammette mai) c’era questo problema per l’estradizione che era stata chiesta dalla Francia per una persona condannata a morte e la corte costituzionale ha detto no. La legge interna di esecuzione del trattato urta contro la costituzione e quindi non la possiamo eseguire perché non possiamo consegnare una persona ad uno stato straniero se sappiamo che lo stato straniero quella persona la metterà a morte perché noi questo non lo ammettiamo. Ovviamente la dichiarazione di incostituzionalità di una legge che da esecuzione ad un trattato, nella misura in cui comporta poi l’inadempimento del trattato, espone lo stato italiano a responsabilità internazionale ma appunto il nostro sistema costituzionale ritiene che e’ piu importante tutelare i valori costituzionali piuttosto che rispettare a tutti i costi gli obblighi assunti coi trattati internazionali: questa secondo noi e’ la gerarchia dei valori. Nel caso del trattato del 1870 con la Francia e’ possibile sostenere che comunque l’Italia non stava nemmeno violando il diritto internazionale perché era possibilissimo in quel caso fare valere il principio rebus sic stantibus (=mutamento fondamentale delle circostanze) nel senso cioè che quando era stato stipulato il trattato (=era stato assunto l’obbligo), cioè nel 1870 il presupposto era che entrambi i paesi ammettessero la pena di morte. Siccome poi noi non la ammettevamo piu e ritenevamo che il diritto alla vita delle persone deve essere protetto anche se una persona ha commesso dei delitti, veniva meno questa condizione e quindi era un mutamento fondamentale delle circostanze capace di determinare l’estinzione del trattato in base all’art. 62 della convenzione di Vienna.

Poi ci sono stati ancora altri casi.

Due riguardano ancora l’estradizione, questa volta con gli USA. Nel primo caso si trattava di un imputato minorenne ricercato dalla giustizia americana. La nostra costituzione e la nostra legislazione penale trattano gli imputati minorenni un po’ meglio sotto vari aspetti, mentre nel diritto americano (per il quale tra l’altro si diventa maggiorenni a 16 anni) invece non si ammetteva questa distinzione di trattamento e allora la corte costituzionale ritenne che anche in quel caso la legge di esecuzione del trattato era incostituzionale. Qui forse, secondo Davì si e’ un po’ esagerato.

Il secondo caso con gli USA, che e’ l’ultimo in ordine di tempo, e’ il caso Venezia del 1996. Questo caso ha attirato molto l’attenzione dei costituzionalisti. In questo caso era successo che gli USA e l’Italia hanno fatto un nuovo trattato di estradizione nel 1983 nel quale, dato che c’era la questione della pena di morte, era stato stabilito che gli USA avrebbero potuto ottenere l’estradizione di persone anche imputate di reati per i quali e’ prevista la pena di morte, ma alla condizione che ci assicurassero che in quel caso non sarebbe stata applicata. Ed era stata anche introdotta questa norma nel nuovo c.p.p. Una norma che cercava di contemperare gli obblighi internazionali in materia di estradizione con questo

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nostro principio costituzionale. Però la corte costituzionale disse che non andava bene nemmeno così perché negli USA la magistratura e’ indipendente dall’esecutivo (come del resto in tutti i paesi democratici!), ed allora le assicurazioni che da il governo americano non sono sufficienti perché il governo americano non e’ in grado di garantirci quello che faranno i giudici, ed una volta consegnato l’imputato i giudici che sono indipendenti dal governo decidono loro secondo i loro criteri. Di conseguenza ha dichiarato incostituzionale sia la norma del c.p.p., che la legge di esecuzione del trattato.

Altri casi ancora ci sono stati.

Per esempio c’e’ una vecchia convenzione dell’organizzazione internazionale del lavoro sul lavoro notturno delle donne. Questa e’ una convenzione antica ed allora la protezione del lavoro femminile veniva posta in essere dicendo “e’ vietato far lavorare le donne di notte”. In realtà così invece di proteggerle si discriminavano perché ci sono tanti tipi di lavoro nelle quali le donne come gli uomini in condizione di parità possono lavorare. Proteggerle significa magari riservargli condizioni di lavoro protettive che tengano conto delle loro situazioni e non vietargli di lavorare. Anche li la corte costituzionale ha dichiarato la norma incostituzionale.

L’ultimo caso, non in ordine di tempo, e’ una sentenza del 1985 in cui forse avrebbe potuto operare come scusa per giustificare la mancata osservanza della norma internazionale il principio rebus sic stantibus. Si trattava della convenzione di Varsavia del 1929 sul trasporto aereo la quale e’ stata fatta in un’epoca nella quale il trasporto aereo era ancora agli albori e quindi era considerato pericoloso ed era economicamente molto oneroso per le compagnie di trasporto aereo (queste sono le motivazioni ufficiali, poi magari c’era stato il lobbismo delle compagnie aeree che era molto vivo nel 1929), e si stabilì allora che il vettore aereo era responsabile a titolo oggettivo per i danni cagionati (la responsabilità oggettiva per le attività pericolose oggi e’ una cosa normale però nel 1929 era qualche cosa di straordinario), ma in cambio di questa agevolazione sul piano probatorio alle vittime di danni, si stabiliva un tetto all’ammontare della responsabilità. Questo tetto era piuttosto bassino: 125.000 franchi oro. Questa somma forse poteva andare bene nel 1929 ma nel 1980 era diventata pochissimo, tant’e’ vero che era stata fatta una nuova convenzione negli anni 50 che li aveva raddoppiati a 250.000, che erano sempre pochissimi, poi era stata fatta la terza ma gli stati non la ratificavano. Oggi c’e’ la convenzione di Montreal che ha sostituito la convenzione di Varsavia. Questo limite era talmente basso che le compagnie aderenti all’agenzia IATA, e la stessa IATA su base volontaria dava molto di piu, però fissava sempre un tetto che all’epoca era 90.000 dollari (ma Davì non ne e’ sicuro), comunque era sempre poco. La corte costituzionale disse che la legge interna di esecuzione dell’art. 22 della convenzione di Varsavia e’ incostituzionale perché viola il diritto alla vita che deve intendersi rientrante tra i diritti fondamentali riconosciuti dall’art. 2 della costituzione italiana. Quindi viola l’art. 2 perché il diritto alla vita e’ il piu importante di tutti e la convenzione lo tratta male mentre invece deve essere garantito e riparato nella sua integralità. Anche qui si può pensare che la vecchia norma della convenzione di Varsavia era superata per effetto dell’operare del principio rebus sic stantibus, perché ormai nel 1985 l’attività di trasporto aereo non era affatto così pericolosa (l’aereo stando ai dati e’ considerato uno dei mezzi di trasporto piu sicuri) e per di piu, dato che e’ un’attività redditizia ormai collaudata i vettori aerei possono assicurarsi e se succede qualcosa risponde l’assicurazione. Tanto piu che il costo dell’assicurazione non lo pagano loro ma viene ovviamente redistribuito con meccanismi di mercato su tutti quelli che pagano il biglietto.

Abbiamo fatto una ricognizione della giurisprudenza, ma il principio e’ chiaro: il trattato internazionale e la legge interna di esecuzione devono rispettare la costituzione.

Per quello che riguarda invece i rapporti con le leggi ordinarie, fino al 2001 la situazione era diversa perché dato che la costituzione non faceva uno status privilegiato ai trattati, non solo ci voleva la legge di esecuzione ma per di piu essi avevano lo stesso rango della norma di esecuzione (o per lo meno ce lo avevano sicuramente fino al 2001). Il risultato era che le norme successive alla legge di esecuzione del trattato di contenuto diverso, tecnicamente prevalevano sulla legge anteriore che aveva dato

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esecuzione al trattato, perché erano fonti di pari grado, a meno che il trattato non contenesse norme speciali, però se la legge disciplinava una pari materia e non c’era un rapporto di specialità implicitamente avrebbe abrogato il trattato esponendo così l’Italia a responsabilità internazionale. In piu il problema che creava questa regolamentazione era che in molti casi ciò può avvenire inconsapevolmente, perché vengono stipulati migliaia di trattati l’anno e vengono fatte migliaia di leggi l’anno, e quindi una incompatibilità può scappare anche se uno non ha la volontà di violare il diritto internazionale. Questo spiega perché la dottrina e la giurisprudenza si erano un po’ arrampicate sugli specchi per cercare di salvare la legge di esecuzione da abrogazioni involontarie. E si era ricorsi al principio di specialità e di presunzione di conformità. Sul criterio di specialità niente da dire perché esso vale sempre. Il criterio di presunzione di conformità in molti casi era anche un po’ manipolato per cui anche se era chiaro che la conformità non c’era si faceva finta che ci fosse per salvare il risultato, ed effettivamente non poggiava secondo Davì su basi giuridiche consistenti. Il principio della presunzione di conformità e’ giustificato tra una fonte di rango subordinato, per la quale quindi c’e’ l’obbligo di rispettare quella di rango superiore, e una di rango superiore. Si può dire per esempio che c’e’ presunzione di conformità agli atti comunitari forse. Si può dire, e la corte costituzionale questo spesso lo fa nelle cd. sentenze interpretative di rigetto, che se una norma di legge e’ possibile interpretarla in maniera tale da non essere contraria alla costituzione rigetta però stabilendo che deve essere interpretata in quel modo e sotto la condizione che venga interpretata in quel modo. Questo si capisce perché siccome il legislatore ha l’obbligo di rispettare la costituzione e quindi c’e’ un’esigenza di sistematicità, di coerenza dell’ordinamento, per cui la legge va interpretata in modo conforme alla costituzione finché e’ possibile. Se non e’ possibile si dichiara incostituzionale. E questo e’ ragionevole. Ma invece, stabilito che la volontà del nostro costituente era quella di mettere la legge di esecuzione del trattato sullo stesso piano nella gerarchia delle fonti di ogni altra legge, e che quindi una disposizione legislativa poteva benissimo superare una normativa di esecuzione del trattato internazionale, se una legge lo faceva, l’aveva fatto, e quindi non c’era una grande giustificazione al principio di presunzione di conformità.

Oggi le cose sono ormai cambiate perché la legge costituzionale del 2001 ha come conseguenza che oggi il legislatore, se non rispetta gli obblighi internazionali nel legiferare viola l’art. 117 della costituzione. Questo e’ quindi il caso classico di incostituzionalità mediata, come avviene per l’eccesso di delega (art 76, la legge delegata supera i criteri della legge delega). Questo e’ stato recentemente anche riconosciuto dalla corte costituzionale in due sentenze del 2007 che riguardavano la c.e.d.u., sentenze numero 348 e 349, che hanno detto che una legge contraria alla c.e.d.u. viola indirettamente la costituzione perché la c.e.d.u. va qualificata come norma interposta. Quindi e’ un caso di incostituzionalità mediata o indiretta. La corte ha specificato che però per sottoporre al suo giudizio questa questione, la corte stessa deve valutare anche la conformità a costituzione della norma del trattato. Infatti ha scritto testualmente che sarebbe paradossale che venisse dichiarata incostituzionale una legge perché viola una norma interposta che e’ essa stessa a sua volta incostituzionale. Quindi ha delineato la gerarchia delle fonti: viene prima la costituzione, poi le leggi di esecuzione dei trattati che godono di garanzia costituzionale indiretta e poi vengono le leggi ordinarie. Questa situazione salva sia la costituzione sia i trattati internazionali però crea un problema: nel caso in cui c’e’ conflitto tra la norma di esecuzione del trattato e una norma successiva, il giudice ordinario e’ costretto a sospendere il giudizio e andare alla corte costituzionale, non potendo disapplicare lui la legge come avviene per esempio nei rapporti col diritto comunitario in cui non c’e’ bisogno di andare alla corte costituzionale. Quindi questo rallenta il processo e comporta un’attività giurisdizionale piu complessa. Anche qui limite c’e’ e cioè in certi casi non c’e’ bisogno di andare alla corte costituzionale quando il problema può essere risolto direttamente dal giudice o sulla base del principio di specialità o sulla base della presunzione di conformità che non si giustificava prima ma ora si giustifica. Ora si giustifica perché i trattati godono della garanzia dell’art. 117. Quindi e’ solo quando il giudice non può conciliare il conflitto sul piano interpretativo che deve andare dalla corte costituzionale.

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FONTI SUBORDINATE AI TRATTATI

Sono i procedimenti di produzione giudica di terzo grado, cioè le fonti che derivano dai trattati.

Come si adatta l’ordinamento interno a queste fonti?

Queste fonti sono quasi esclusivamente gli atti delle organizzazioni internazionale muniti di effetti obbligatori per gli stati.

Il caso piu importante di questi atti, che poi non sono molti, sono ovviamente i regolamenti comunitari. Per i regolamenti comunitari però il problema dell’esecuzione nell’ordinamento interno e’ risolto dal principio della diretta applicabilità per cui al massimo quello che il legislatore può dover fare e’ emanare norme di integrazione quando ce n’e’ bisogno, oppure norme che recepiscono le direttive ma non c’e’ il problema dell’efficacia dell’atto in quanto tale, tanto piu che almeno per i regolamenti l’art. 288 del trattato sul funzionamento dell’unione dice che sono direttamente applicabili.

Per gli altri casi, il principale e’ quello delle risoluzioni del coniglio di sicurezza dell’ONU, in particolare delle risoluzioni adottate a norma dell’art. 41 della carta, cioè quelle che dispongono sanzioni economiche, l’interruzione dei rapporti commerciali con certi stati, il congelamento dei beni appartenenti a certi stati o a certe persone. Questo problema per noi europei e’ stato risolto da anni con l’estensione della competenza dell’UE in questa materia. Oggi le risoluzioni sanzionatorie del consiglio di sicurezza dell’ONU vengono attuate con un regolamento comunitario. Questa prassi si e’ affermata poco a poco, all’inizio secondo Davì in maniera illegittima, perché all’inizio era chiaro che la comunità non aveva competenza in materia, però vennero fatti ad un certo punto dei regolamenti sulla base della norma del trattato CEE (?) sulla politica commerciale, l’art. 133. In realtà la politica commerciale comunitaria non poteva contemplare questa possibilità per diverse ragioni: anzitutto perché questa non era piu politica commerciale, perché ci sono le sanzioni economiche decise dal consiglio di sicurezza, ed ora stiamo parlando di queste, ma ci sono anche quelle che gli stati possono decidere per conto proprio al di fuori del consiglio di sicurezza. In questo caso si tratta di una scelta politica degli stati, si tratta di politica estera che a quell’epoca non rientrava nelle competenze comunitarie. Poi perché la politica commerciale comunitaria deve essere favorevole agli scambi, non di restrizione, quindi sarebbe andato addirittura contro gli scopi del trattato. Per di piu ancora, gli atti comunitari in materia di politica commerciale vengono adottati a maggioranza dei due terzi, mentre in questa materia ci vuole l’unanimità perché trattandosi di politica estera, anche oggi la politica estera e di sicurezza comune si può fare solo all’unanimità. Allora ad un certo punto, dato che lo strumento del regolamento comunitario aveva dei vantaggi anche pratici, perché le sanzioni entrano in vigore simultaneamente in tutti gli stati membri, hanno lo stesso contenuto etc., si adottò nella prassi la soluzione di condizionare l’adozione del regolamento comunitario di politica commerciale da prendere a maggioranza alla previa adozione in sede di cooperazione politica, come allora si chiamava (oggi si chiama politica estera comune) di una decisione presa all’unanimità la quale veniva richiamata nella motivazione del regolamento. Quindi in sostanza una specie di competenza a due scalini, prima la decisione in sede di pesc e poi il regolamento comunitario che la eseguiva. Tutto questo era illegale dal punto di vista del diritto comunitario perché gli atti comunitari non possono essere esecutivi delle volontà dei governi prese al di fuori del sistema comunitario, ne’ utilizzati per fini diversi da quelli dei trattati, però fu un adattamento della prassi e alla fine quest’adattamento e’ stato poi consacrato dai trattati perché e’ stata inserita nel trattato di Maastricht per la prima volta una norma in questa materia che poi era diventato l’art. 301 e oggi e’ l’art. 215 del trattato sul funzionamento dell’UE “quando una decisione adottata conformemente al capo 2 del titolo 5 del trattato sull’UE (cioè una decisione di pesc) prevede l’interruzione o la riduzione totale o parziale delle relazioni economiche o finanziarie con uno o piu paesi terzi (cioè sanzioni economiche, sia che ci sia alla base una decisione del consiglio di sicurezza, sia che non ci sia. NB: la decisone del consiglio di sicurezza e’ obbligatoria per gli stati membri dell’UE perché essi sono tutti membri dell’ONU, ma non e’ obbligatoria per l’UE perché l’UE e’ un soggetto internazionale a se stante e non e’ membro dell’ONU, quindi non e’ giuridicamente vincolata dalle decisioni del consiglio di sicurezza.) il consiglio deliberando a

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maggioranza qualificata (come la regola per la pesc, però sulla base di una decisione adottata prima all’unanimità) su proposta congiunta dell’alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza e della commissione adotta le misure necessarie e ne informa il parlamento”. Questa prassi poi e’ ulteriormente andata debordando, anche quando era finalmente stata legittimata dal trattato di Maastricht del 1993 con una norma specifica perché poi il consiglio di sicurezza a sua volta ha modificato la sua prassi perché mentre prima si limitava ad adottare sanzioni contro gli stati, per reprimere il terrorismo internazionale ha cominciato ad adottare misure contro individui e non stati, in particolare misure di congelamento di beni di persone che vengono incluse in liste che vengono redatte su indicazione degli stati (in sostanza della CIA). Il consiglio di sicurezza decide che gli stati devono congelare i beni di queste persone, perché sono beni che potrebbero essere usati per fiancheggiare il terrorismo. Questo e’ stato fatto anche con un regolamento comunitario che sulla base della norma letta, l’attuale primo comma dell’art. 215, sembra debordare chiaramente dalle competenze comunitarie ratione materiae perché non si trattava di atti di politica commerciale (interrompere i rapporti commerciali con uno stato), ma di congelare gli averi che una persona può avere in banca per esempio, e questo non e’ di competenza comunitaria. La corte di giustizia però, come al solito, ha giustificato anche questo. Adesso con il trattato sul funzionamento dell’unione, dato che c’e’ questa prassi nuova del consiglio di sicurezza e’ stato aggiunto un secondo comma che legittima, a posteriori come al solito, questa prassi all’inizio illecita. Art. 215, par 2: “quando una decisione adottata conformemente al capo 2 del titolo 5 del trattato sull’UE lo prevede, il consiglio può adottare secondo la procedura del par. 1 misure restrittive nei confronti di persone fisiche e giuridiche di gruppi o di entità non statali”. E siccome c’era stato un caso, il caso Kadi, in cui era stata fatta valere la violazione del diritto alla difesa delle persone perché questo procedimento avveniva nel seguente modo: liste di persone formate dagli stati che sono accusate a torto o a ragione di essere fiancheggiatori del terrorismo o di essere essi stessi terroristi, i loro averi vengono congelati. Queste persone vorrebbero potersi difendere, vorrebbero che gli fossero comunicate le ragioni, i motivi etc., ed in base a tutto questo vorrebbero potersi difendere. Siccome il consiglio di sicurezza questa possibilità non la prevede, allora Kadi nel 2008 si era rivolto al tribunale di primo grado dicendo di essere innocente. Il tribunale di primo grado ha detto che quello dipende da una risoluzione del consiglio di sicurezza che un regolamento comunitario si e’ limitato ad attuare e quindi il tribunale non lo può sindacare. Allora il Kadi ha fatto appello alla corte di giustizia che ha detto che Kadi aveva ragione: intanto l’UE non e’ vincolata direttamente dalle risoluzioni delle nazioni unite e comunque il fatto di prestarsi ad attuarle non significa che l’UE debba rinunciare ad osservare i principi dello stato di diritto ed ha annullato al decisione chiedendo al tribunale di provvedere a fornire queste garanzie. Nel frattempo e’ stato fatto il trattato di Lisbona che ha introdotto un terzo comma all’art. 215 che dice “gli atti di cui al presente articolo contengono la necessaria disposizione….(37.04)”. Quindi a tappe il legislatore costituente dell’UE e’ sempre venuto dietro a legittimare prassi variamente abusive.

Comunque il risultato di tutto questo e’ che ormai anche il problema dell’esecuzione degli atti obbligatori del consiglio di sicurezza delle nazioni unite e’ stato risolto in questo modo e quindi non riguarda piu il legislatore interno.

Prima, quando ancora questa prassi non si era sviluppata, si provvedeva con decreti legge perché c’e’ l’urgenza: se il consiglio di sicurezza decide sanzioni economiche devono entrare in vigore immediatamente. Questa era la prassi precedente.

Quindi alla fine, esclusi gli atti dell’UE (che sono direttamente applicabili), escluse le sanzioni decise dal consiglio di sicurezza o decise dagli stati per affari propri al di fuori delle nazioni unite (per le quali vige ora questa procedura a doppio livello, unanimità e poi maggioranza, che ha un’origine storica. Si potrebbe dire, ma se la prima deve essere all’unanimità che senso ha che la seconda sia a maggioranza? Appunto per rispettare questo aggiustamento che nella prassi si era creato e che poi e’ stato tradotto nella norma introdotta per legittimarla ex post), i casi che rimangono sono pochi perché non ci sono molte organizzazioni internazionali che hanno questo tipo di poteri, ma alcuni casi ci sono:

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a) gli standard dell’ICAO, le norme sull’aviazione civile b) regolamenti dell’OMCc) altri atti di questo tipo (ne abbiamo già parlato).

Per tutti questi l’adattamento deve avvenire con l’ordine di esecuzione, e quindi con una legge o anche con un atto regolamentare quando si tratta di questioni di ordine regolamentare. In assenza dell’atto di esecuzione queste norme non sono applicabili anche se sono vincolanti sul piano internazionale per lo stato italiano: esattamente come avviene per i trattati. La prassi e’ in tal senso e quindi dovrebbe essere una cosa abbastanza sicura, però il Professor Conforti nel suo libro sostiene invece che non ci sarebbe bisogno dell’atto di esecuzione, anche se riconosce che la prassi e’ così, perché la norma strumentale dello statuto dell’organizzazione internazionale che attribuisce all’organo la competenza ad adottare atti obbligatori per gli stati e’ contenuta nel trattato istitutivo dell’organizzazione, ed il trattato e’ già stato reso esecutivo nell’ordinamento interno. Quindi Conforti dice che non ce ne sarebbe bisogno perché basta la norma del trattato a rendere automatico l’adattamento. Questa tesi però non e’ accettata per una serie di argomentazioni secondo Davì ragionevoli. Quella principale e’ l’esigenza di garanzia che c’e’ nello stato di diritto. Anzitutto già Conforti un po’ si contraddice perché prima critica la tesi di Quadri che diceva la stessa cosa per i trattati basandosi sulla norma pacta sunt servanda, però poi la applica invece ai rapporti tra trattato e atto obbligatorio dell’organizzazione internazionale ed e’ lo stesso ragionamento, quindi se non va bene nel primo caso non dovrebbe andar bene nemmeno nel secondo se uno vuole essere coerente. Ma al di là di questo che riguarda il ragionamento personale dell’autore, c’e’ il fatto che i trattati comunitari questa cosa la prevedono da molto tempo, ma perché c’e’ una garanzia e cioè la corte di giustizia alla quale ci si può rivolgere per far verificare se l’atto adottato eventualmente a maggioranza dall’organizzazione sia o no conforme alle regole del trattato, ai limiti di competenza, se rispetta i diritti dell’uomo e tutte le altre cose che deve rispettare (poi la corte da sempre ragione, però almeno c’e’). Tant’e’ vero che le due corti costituzionali italiana e tedesca hanno insistito sul punto che finché c’e’ la corte che provvede va tutto bene, ma se la corte non fa il suo lavoro come lo deve fare, allora le corti costituzionali si riservano di intervenire, con metodi procedurali diversi: la nostra corte con questo meccanismo della dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge di esecuzione; la corte costituzionale tedesca, siccome il diritto costituzionale tedesco prevede il ricorso individuale alla corte per la tutela del diritto della persona e poi prevede che la corte e’ competente a giudicare su qualunque tipo di atto del pubblico potere da cui una persona ritenga che i suoi diritti garantiti dalla costituzione non sono stati rispettati, la corte può fare molte piu cose della nostra corte, tra le quali emettere misure cautelari. Poi nell’ordinamento tedesco, come in vari altri ordinamenti tra cui quello europeo, alla corte si può chiedere un parere preventivo circa la costituzionalità o meno di una legge che si vuole fare. Questo sarebbe molto utile proprio per quello che riguarda il tema dell’adattamento ai trattati perché dato che la nostra corte ha già dichiarato incostituzionali leggi di esecuzione ai trattati una mezza dozzina di volte col risultato di farci eventualmente incorrere in una responsabilità internazionale per l’inadempimento dei nostri obblighi, ed allora se abbiamo il dubbio, chiediamoglielo prima. Questo sistema e’ previsto nel diritto comunitario proprio per i trattati stipulati dall’UE all’art. 216, ultimo co. (una volta art 300) che prevede che se se ci sono dei dubbi sulla compatibilità di un accordo che l’UE intende stipulare con l’esterno, il consiglio e il parlamento europeo possono chiedere un parere alla corte e se la corte da un parere negativo allora il trattato può essere stipulato solo previa modifica del trattato costituzione, cioè del trattato istitutivo dell’UE. Quindi ci sono dei sistemi che aiuterebbero a risolvere meglio questi problemi.

Comunque tornando al nostro ragionamento l’idea dell’efficacia automatica degli atti delle organizzazioni internazionali diverse dall’UE che non hanno un giudice che valuta il rispetto da parte dell’organo dell’organizzazione stessa delle regole del trattato, dei limiti di competenza, del limiti di contenuto di quello che può fare o non può fare e dei principi costituzionali degli stati in cui poi gli atti devono essere eseguiti, lasciandoli in preda a maggioranze politiche piu o meno affidabili, e’ troppo pericoloso, non offre nessuna garanzia del rispetto dei principi fondamentali dello stato di diritto. E’ vero che se si accettasse questa tesi dell’automatico adattamento dell’ordinamento a tutto quello che e’ stato deciso dall’organizzazione internazionale ci sarebbe sempre la possibilità per il giudice che la

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deve applicare di disapplicarla, come per il diritto consuetudinario, però e’ anche vero che e’ molto meglio lasciare prendere una decisione una volta per tutte per garantire la certezza del diritto perché il giudice decide il caso singolo e ci può essere un giudice che pensa una cosa e uno che ne pensa un’altra, in secondo luogo perché il giudice non e’ l’organo piu adatto. E’ molto meglio far decidere al nostro parlamento se ritiene o non ritiene che l’atto sia conforme a costituzione, e quindi anche gli organi che conducono le relazioni esterne dello stato: se il governo dice che lo hanno messo in minoranza e che l’atto e’ un atto ultra vires perché l’organizzazione non aveva la competenza ad adottarlo, noi siamo in grado di proteggerci. Quindi questa tesi non semplifica le cose ed e’ pericolosa per la certezza del diritto. Ci sono già stati due casi proprio con le risoluzioni del consiglio di sicurezza delle nazioni unite: uno e’ il caso Kadi in cui il consiglio di sicurezza non offriva direttamente le garanzie che e’ giusto offrire perché prima di bloccare i beni di una persona perché e’ accusata di terrorismo ci vuole un serio accertamento giurisdizionale (non e’ che si può lasciar decidere alla CIA!); un caso che riguardava gli usa negli anni 60 quando vennero adottate delle sanzioni contro la Rodesia. La Rodesia oggi si chiama Zimbabwe ed era un paese colonizzato dai bianchi e i bianchi praticavano l’apartheid. Quando iniziò la decolonizzazione l’Inghilterra trattava ed era disposta a concedere alla Rodesia l’indipendenza col nuovo nome di Zimbabwe. Ma la minoranza bianca che era li fece un colpo di stato, si ribello alla madre patria inglese e si insediò in maniera da poter continuare a praticare lo sfruttamento delle popolazioni indigene e la pratica dell’apartheid e le nazioni unite reagirono. Gli USA accettarono di non porre il veto al consiglio di sicurezza contro la Rodesia in un contesto in cui il consiglio di sicurezza decise che questa situazione rappresentava una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale. C’era ovviamente l’interesse politico a condannare un atto di prepotenza, però non c’era una minaccia alla sicurezza e alla pace internazionale, era una questione interna, anche se di grave violazione dei diritti dell’uomo, ma sempre interna. Quindi si poteva discutere se era vero o no che il consiglio di sicurezza stava agendo nei limiti di competenza dell’art. 41. Gli USA dissero di si e la risoluzione venne adottata, e vennero adottate le misure economiche contro la Rodesia (in particolar modo era stata vietata l’importazione di cromo rodesiano, perché era una delle fonti piu importanti di reddito per questo paese che e’ il principale produttore mondiale di cromo). Nel ’71 gli USA cambiarono il loro atteggiamento politico e dissero che non erano piu d’accordo e fecero una legge con cui dissero che erano consentite le importazioni di cromo dalla Rodesia negli USA. Sfidarono apertamente il consiglio di sicurezza perché dissero che secondo loro la risoluzione del consiglio di sicurezza era illegittima e quindi non la volevano piu applicare.

Quindi ci possono essere dei casi, e ci sono stati, nei qual succede che la risoluzione dell’organo adottata a maggioranza trova gli altri stati che non sono d’accordo. Possono avere ragione o torto, ma dato che non c’e’ un giudice competente per le nazioni unite competente a risolvere questo problema, come avviene per l’UE, e’ giusto lasciare al legislatore questa possibilità. Anche la prassi e la giurisprudenza sono in questo senso.

Quindi anche questi atti non sono automaticamente efficaci, c’e’ bisogno, come avviene per i trattati, di un atto interno.

06 05 2010

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Trattiamo l’argomento dei mezzi di soluzione pacifica delle controversie. La disciplina internazionale.La materia delle controversie rappresenta uno dei punti di maggiori debolezza del diritto internazionale, soprattutto se paragonato al diritto interno per il fatto dell’inesistenza di un’autorità superiore e imparziale che abbia la competenza di accertare e risolvere le problematiche.

Tutto si basa sull’accordo.

Negli ordinamenti interni le controversie relative all’ordine sociale non sono rimesse ai privati, ma rientrano nel diritto penale, lo stato si assume il compito di comporre la controversia attraverso organi proprio. Viceversa nel diritto internazionale tutta la materia delle controversia è gestita in una società di tipo orizzontale

Gli stati non sono soltanto i destinatari delle norme giuridiche ma sono anche i creatori, ecco perché in ogni tipo di controversia l’aspetto giuridico non è mai separato dall’aspetto politico, anche perché uno stato parte della controversia può sempre fare pressione sull’altro, soprattutto se è uno stato capace di fare pressione, perché si abbandoni la prospettiva giuridica della controversia per una prospettiva di tipo politico.Quindi è chiaro che tutta la materia presenta notevoli elementi di debolezza che si riflettono soprattutto sulla soluzione delle controversia.

Nonostante la debolezza del funzionamento del diritto internazionale. Vi sono comunque ampi mezzi.

Non esistono norme consuetudinarie, quasi tutto viene lasciato all’accordo. Tuttavia vi è un principio che agisce nel settore dell’ “obbligo degli stati di risolvere pacificamente le loro controversie” internazionali.

Questo principio è espresso dalla Carta Onu all’art. 2 par 3. Norma specifica in materia è l’art 33 Carta Onu.

Gli stati quindi devono perseguire una soluzione pacifica e vengono elencati, dall’art 33, i mezzi da utilizzare per perseguire questo fine.

La ratio si basa sul fatto che la pace è un bene indivisibile fra gli stati e quindi c’è un interesse generale degli stati a mantenere buone relazioni e risolvere pacificamente le controversie.

Si ritiene oggi che questo obbligo, la cui origine è individuabile nella carta della società delle nazioni, sia una norma di carattere consuetudinario. Questo carattere consuetudinario è stato riconosciuto anche dalla Corte Internazionale di giustizia nella sentenza del 1986 Usa Vs Nicaragua.

Si ritiene oggi che l’obbligo riguardi tutte le controversie fra gli stati che potenzialmente potrebbero minare alla pace internazionale. In realtà il Prof. Ha sempre dubitato di questa estensione. Bisogna dire che dall’art 33 risulta una delimitazione al principio della soluzione pacifica delle controversie. Temperamento dovuto al fatto che gli Stati non sono obbligati ad accettare un determinato mezzo ma possono scegliere uno dei mezzi elencati dall’art 33 (Principio libera scelta dei mezzi).

Quindi vi è anche la probabilità di controversie sul mezzo da utilizzare per la soluzione della controversia. Per esempio l’Italia ha avuto una controversia con l’Austria sulle minoranze tedesche in Alto Adige, l’Austria riteneva che l’Italia non attuasse in toto l’accordo. L’Italia proponeva di andare davanti alla Corte Internazionale di Giustizia mentre l’Austria proponeva di andare davanti all’assemblea generale dell’ Onu. Oppure ancora la controversia fra Gran Bretagna Vs Argentina, dove la Gran Bretagna voleva andare davanti alla Corte Internazionale di Giustizia mentre l’Argentina davanti all’assemblea.

Al di là degli esempi, si potrebbe pensare che per le controversie la cui consistenza sia tale da far correre dei rischi per la pace e sicurezza internazionale vi sia l’obbligo generale di soluzione della

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controversia pacificamente, obbligo generale che vale nei confronti di tutti gli stati membri dell’Onu non solo quelli parte della controversia quando vi siano rischi per la pace e sicurezza internazionale, mentre per le controversie minori fra stati l’obbligo nei confronti di stati terzi alla controversia, è difficile da sostenere, si potrebbe parlare di obbligo fra le parti stesse della controversia. C’è un obbligo di negoziare in buona fede fra gli stati parte della controversia ma sempre con il limite del principio della Libera scelta dei mezzi. In quanto uno stato non può sottostare senza il suo consenso a un imposizione di mezzi da parte di un altro stato.

La Carta Onu quindi disciplina una seria di mezzi che avrebbero il fine di facilitare la soluzione delle controversie.

Bisogna inoltre distinguere la soluzione della controversia dall’estinzione. Se una delle due parti decide di abbandonare la sua posizione, questa non ha risolto la controversia ma la controversia si estingue.

La soluzione è un procedimento giuridico che tecnicamente si può definire come la sostituzione alla norma generale e astratta, il cui contenuto è contestato o la cui applicazione al caso di specie è contestata, con la norma giuridica completa che risolve la controversia. La soluzione è un fatto giuridico mentre l’estinzione è un’altra cosa. La soluzione avviene sempre con un mezzo giuridico, una sentenza del giudice internazionale piuttosto che una soluzione offerta dall’assemblea generale.

Nozione Giuridica di Controversia Internazionale.

Questa nozione è stata spetto controversa perché ha un rilievo giuridico, perché quando esistono come spesso esistono trattati bilaterali o unilaterali che prevedono il ricorso a mezzi di soluzione delle controversie, è importante sapere se c’è o non c’è una controversia. O ancora capire quando la controversia sorga o meno. Spesso anche davanti al Tribunale internazionale è stata spesso dibattuta la nozione di Controversia. Altra questione riguarda la distinzione fra Controversie politiche e giuridiche.

La definizione di controversia è stato oggetto di un approfondita analisi da parte della dottrina italiana (importante fu Gaetano Morelli). Per un certo periodo, e ancora oggi nei manuali stranieri la definizione è molto varia. La corte permanente di giustizia internazionale in una sentenza del 1924 definì la controversia come un contrasto su un punto di diritto o di fatto fra gli stati con una divergenza di interessi o opinioni. Definizione imprecisa, per il prof, come imprecise sono sempre le definizioni generiche, perché per esempio un contrasto di opinioni è difficile qualificarlo come una controversia in senso tecnico. Ad esempi opinioni differenti fra i delegati di un progetto di codificazione internazionale. Anche il contrasto di interessi è sbagliato, in quanto ci può essere un contrasto di interessi senza controversia, anche perché uno stato pur avendo interessi diversi può evitare per motivi politici una controversia. O ancora ci può essere una controversia senza contrasto di interessi quando uno stato crea una controversia con un altro soltanto come scusa per fare per esempio la guerra.

La definizione più adeguata, studiata dalla dottrina italiana e poi accetta anche dalla corte internazione di giustizia in una sentenza del 1962, si basa sull’idea che ci deve un contrasto tra una pretesa avanzata da uno stato e una resistenza a questa pretesa. Resistenza che può manifestarsi in vari modi:

- Nel contrasto- Nell’opposizione- Nel rifiuto formale di accettare la pretesta dell’altro- Nella resistenza che si può manifestare anche senza uno scambio diplomatico

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- Nell’ignorare la pretesa altrui

E’ necessario che vi sia questa coppia di elementi:

1) Pretesa di uno Stato2) Resistenza di un altro Stato

Inoltre è necessario capire come si definisce il carattere Politico o giuridico della controversia. La differenza si basa sulla motivazione adottata da chi avanza la pretesa a sostegno della sua pretesa. Ma in una certa misura collabora anche a definirla la motivazione su cui si basa la resistenza.

La difficoltà sta nel fatto di capire se sia solo la pretesa o anche la resistenza collaborano nel definire il carattere politico o giuridico della controversia.

Quello che conta per il professore riguardo alla definizione della controversia sono le ragioni della pretesa, e non della resistenza che potrebbe per ovviare alla pretesa giuridica porla sul piano politico.Le ragioni politiche addotte a sostegno della resistenza potrebbero valere quando l’altra parte che fonda la sua pretesa su argomenti giuridici accetta di porla sul piano politico e quindi di rinunciare.

Quali sono i mezzi di soluzione delle controversie?

Tutti i mezzi sono caratterizzati dal fatto che si basano sull’accordo, cioè sul consenso delle parti. Questo risulta già dalla norma dell’art 33 Carta Onu “Principio Libera scelta dei mezzi”.Questo vuol dire inevitabilmente che gli stati devono essere d’accordo sul mezzo da utilizzare. Questo accordo può essere fatto dopo la nascita della controversia o anteriormente. Tuttavia è necessario sempre l’accordo.Il consenso è sempre necessario, e tuttavia può avere un oggetto di due tipi diversi. Può avere come oggetto anche direttamente la soluzione della controversia, le parti negoziano e alla fine stipulano un trattato con il quale si risolve la controversia. Nel diritto interno possiamo individuare un istituto simile nella transazione. Accordo Materiale

Oppure ci può essere un altro tipo di accordo fondato nell’individuazione di un procedimento di soluzione della controversia dal quale arriverà l’accordo finale. Accordo strumentale

CI sono due categorie di mezzi per la soluzione delle controversie:

- Mezzi risolutivi- Mezzi non risolutivi

I mezzi non risolutivi sono quelli che possono facilitare l’accordo ma di per se stessi non sono in grado di risolvere la controversia. Ricordiamo, la mediazione, la concilazione, la creazione di una commissione d’inchiesta. Non sono risolutivi, in quanto per risolvere la controversia è necessario l’accordo sul merito delle parti.

I mezzi risolutivi sono due di tipo giudiziario:

- Arbitrato- Regolamento giudiziario

In questo caso l’accordo crea la norma strumentale che determina la competenza del giudice internazionale il quale poi prenderà la propria decisione risolvendo la controversia. Le parti con l’accordo si obbligano a rispettare la decisione del giudice.

L’art 33 elenca i mezzi, rimane fuori solo il mezzo dei “Buoni uffici”:

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- Negoziati- Inchiesta- Mediazione- Conciliazione- Arbitrato- Regolamento giudiziario- “Ricorso a organizzazioni internazionali o regionali ( non è un mezzo autonomo, in quanto poi

queste organizzazione poi utilizzano gli stessi mezzi elencati dal 33)”

A questi vanno aggiunti i buoni uffici.

Il negoziato si basa su una trattativa sulle parti. Appunto esiste questo obbligo di negoziare. Il negoziato è inoltre spesso previsto come obbligatorio anche da trattati che prevedono mezzi di risoluzione più impegnativi.

I Buoni uffici sono quelli che prevedono la presenza di un terzo che si inserisce fra le parti per indurle a negoziare o a non desistere dal negoziato ( un capo di stato per esempio).

La differenza fra i buoni uffici e la mediazione riguarda l’intensità di partecipazione. Nei primi la partecipazione è meno intensa, perché il terzo si limita a incitare o invitare a negoziare o desistere dal negoziato, ma senza partecipare attivamente alle trattative. Nella mediazione, il mediatore partecipa. Senza arrivare a spingere a suggerire una soluzione netta alle parti, però partecipa e per esempio può indicare punti di intesa possibile o le direzioni di trattativa percorribili.

Questi mezzi oltre a non essere risolutivi, sono mezzi che hanno un carattere politico accentuato perché è chiaro che nella mediazione o buoni uffici non vengono esercitati da una persona tecnicamente preparata ma si tratta appunto di un altro stato, una parte che è in grado di esercitare una persuasione di tipo politico.

Invece la concilazione o l’inchiesta che sono ancora mezzi non risolutivi sono basati su considerazione diversi. Metodi non politicizzati, per cui nonostante non si arrivi alla soluzione finale, però la commissione di conciliazione o commissione d’inchiesta è comunque un terzo che intraprende un procedimento obbiettivo e imparziale e inoltre prevedono l’ascolto delle parti, in conclusione c’è un procedimento che assomiglia abbastanza quello del procedimento giudiziario. Esempio Allegato alla convenzione di vienna del 1969 sul diritto dei trattati. Questa prevede l’obbligo degli stati di ricorrere alla corte internazionale di giustizia solo per le controversie relative alla nullità di un trattato per violazione di una norma di Jus Cogens. Per le altre è prevista una procedura di semplice conciliazione gestita dal segretario delle Nazioni Unite.

L’inchiesta si differenzia perché invece di essere limitata a una presa di posizione sulle regioni giuridiche, ha per oggetto l’accertamento dei fatti. L’inchiesta internazione è importante perché in una controversia spesso non sono solo controverse le norme giuridiche ma anche i fatti. E quindi verificare se il fatto esiste o non esiste. Una definizione di controversia giuridica si trova abbastanza precisa nell’art 36 par 2 dello Statuto della corte internazionale di giustizia. Questo art 36 ha specificato cosa si intenda per controversia giuridica.

La lettera c dimostra il motivo per il quale gli stati accettano la creazione di commissioni d’inchiesta. Questo accertamento è una parte che può essere decisiva per la soluzione della controversia. La commissione d’inchiesta svolge la sua funzione con imparzialità. La commissione d’inchiesta è regolata oggi intermini abbastanza generale, salvo modifiche decise di comune accordo dagli stati. E’ regolata da due convenzioni dell’Aja del 1899 e del 1907 che vennero stipulate in due grandi conferenza per la pace.

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La conciliazione rappresenta un evoluzione della commissione d’inchiesta ed è forze il mezzo al quale gli stati ricorrono più volentieri perché ha un esito non obbligatorio e quindi consente agli stati di non perdere il controllo sull’andamento della controversia. La conciliazione rappresenta un evoluzione dell’inchiesta. Storicamente nasce da un’inchiesta, istituita dopo la conferenza sulla pace dell’Aja del 1899, sull’incidente del Doggerbenk, un incidente che si verificò nel 1904 durante la guerra Russo Giappone. Navi mercantili inglesi furono attaccate durante la notte dai russi. Allora gli inglesi pretendevano la riparazione del danno subito e ci fu una controversia con la Russia. Decisero di comune accordo di creare una commissione d’inchiesta basata sulle regole dell’Aja, commissione d’inchiesta che accertò la responsabilità della Russia, però aggiunse che i russi non agirono violando i principi militari e nemmeno in violazione dei sentimenti di umanità. Tale risultanza riuscì a convincere le parti a mettersi d’accordo e la Russia decise di procedere al risarcimento nei confronti della Gran Bretagna. Questa interposizione della commissione d’inchiesta fece apprezzare i vantaggi della conciliazione, secondo cui la commissione non si doveva limitare all’accertamento dei fatti ma anche ad esprimere delle valutazione e quindi elementi che potevano facilitare la composizione fra le parti.

Questa idea della conciliazione fu accolta positivamente dagli Americani e a partire dal 1912 gli Usa stipularono con altri paesi trattati bilaterali di conciliazione (Trattati Bryan).

L’accertamento dei fatti diventa più flessibile in quanto la commissione deve anche fornire le valutazioni finale per far arrivare le parti a una soluzione. La commissione ascolta valuta e decide quale secondo lei è la soluzione migliore per le parti. Non è un metodo rigido ma flessibile e quindi più facile da far accettare alle parti.

Questi trattati Bryan erano basati sempre sullo stesso schema, cioè si costituiva una commissione, ciascuna composta da 3 o 5 membri. Nei trattati Bryan gli Usa e la controparte nominavano un giudice per parte o 2 per parte e i due stati poi nominavo il giudice terzo fra le parti. Il vantaggio stava nel fatto che la commissione era già precostituita. Una parte si poteva rivolgere alla commissione e l’altra era obbligata ad andare in commissione. Una volta che la commissione di conciliazione fosse arrivata alle sue deduzioni le parti avevano l’obbligo di non ricorrere alla guerra. I trattati Bryan sono il precedente dei metodi di soluzione pacifica che sono stati adottati prima con la società della Nazioni e poi con l’Onu.

La società delle nazioni ha aggiunto inoltre l’elemento del multilateralismo come pressione esercitata dagli altri stati nello svolgimento dell’attività della commissioni conciliativa.

La materia regolata dagli art 33 e seguenti della Carta Onu, era regolata dall’art 12 e seguenti della Società delle nazioni, secondo cui era raccomandato per le controversie tra stati di tipo giuridico tra stati ,di delegare la soluzione alle corte permanente di giustizia internazionale. Invece per le controversie politiche oltre alla possibilità di negoziare, le parti avevano l’obbligo di deferirle al consiglio della società delle nazioni la situazione controversa.

Il consiglio poteva rendere la sua decisione che aveva valore di una proposta di soluzione. Se la decisione era presa unanimemente, scattavano le garanzie del patto e per questo lo stato soccombente non poteva ricorrere alla guerra, se lo faceva subiva sanzioni economiche o addirittura il consiglio poteva raccomandare l’utilizzo delle armi agli stati per difendere i propri interessi. SE invece il consiglio non raggiungeva l’unanimità, l’art 15 stabiliva la possibilità degli stati di adottare quei mezzi utili per la tutela del diritto (e quindi anche la guerra). Di fatto era un meccanismo debole proprio per l’impossibilità de facto del raggiungimento dell’unanimità nel consiglio. Questa situazione di lacune del

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patto, come chiamato nel gergo, coinvolse tutti gli studiosi del settore allo scopo di rendere efficace questo meccanismo.

Il pacifismo che aveva favorito, dopo la prima guerra mondiale, i rapporti tra Francia e Germania sollecitò una serie di tentativi diplomativi finalizzati a risolvere le lacune del patto. Si ebbero diversi accordi.

Per esempio l’accordo di Ginevra del 1924, mai entrato in vigore, che prevedeva due tipi di obblighi l’assunzione da parte degli stati di Obblighi di due tipi. Per le controversie giuridiche di rivolgersi alla Corte permanente internazionale. Mentre per le controversie politiche l’obbligo di accettare una commissione di conciliazione e in caso di esito negativo l’obbligo di sottoporre la controversia a un terzo.

L’atto generale del 1928 stipulato sempre a Ginevra invece entrò in vigore perché era più ragionevole e prevedeva soltanto per le controversie giuridiche l’obbligo di rivolgersi alla corte permanente internazionale di giustizia mentre non vi era l’obbligo ma solo la facoltà, per gli stati, di perseguire la strada della conciliazione o dell’arbitrato per le controversie politiche.

Nel 1957 con la convenzione del regolamento pacifico delle controversie internazionali si riprende il sistema dell’atto generale del 1928.

La convenzione di Stoccolma del 1992 fatta dall’OCSE, questa convenzione ha istituito una corte di conciliazione e arbitrato che ha sede a Ginevra. Questo sistema è diverso in quanto da un lato abolisce in termini formali e sostanziale fra la controversia di tipo giuridico e politico, non li distingue in sostanza invece distingue soltanto i regolamenti che sono la Conciliazione e l’arbitrato, stabilendo che gli stati facenti parte della convenzione possono ricorrere unilateralmente alla conciliazione mentre per l’arbitrato ci vuole l’accordo. L’arbitrato può essere fatto normalmente secondo diritto o secondo equità se le parti sono d’accordo.

A parte questi tentativi, era stata approvata la carta Onu che aveva ripreso i sistemi della Società delle nazioni ma in modo diverso. La Carta Onu principalmente si distingue dal sistema che abbia visto vietando qualsiasi mezzo di violenza militare. Per ciò che riguarda in particolare la soluzione delle controversie, il sistema regolato principalmente dal capitolo VI della carta è diverso perché prevede la possibilità del ricorso unilaterale al Consiglio di sicurezza non solo da uno stato parte della controversia ma anche da parte di uno stato terzo.

Articolo 35 1. Ogni Membro delle Nazioni Unite può sottoporre qualsiasi controversia o situazione della natura indicata nell’articolo 34 all’attenzione del Consiglio di Sicurezza o dell’Assemblea Generale. 2. Uno Stato che non sia Membro delle Nazioni Unite può sottoporre all’attenzione del Consiglio di Sicurezza o dell’Assemblea Generale qualsiasi controversia di cui esso sia parte, se accetti preventivamente, ai fini di tale controversia, gli obblighi di regolamento pacifico previsti dal presente Statuto. 3. I procedimenti dell’Assemblea Generale rispetto alle questioni sottoposte alla sua attenzione in virtù di questo articolo, sono soggetti alle disposizioni degli articoli 11 e 12. 

Inoltre per quello che riguarda gli stati parte dell’Onu prevede la possibilità di rivolgersi al consiglio di sicurezza o all’assemblea generale per segnalare una controversia o anche solo una situazione pericolosa per la pace e la sicurezza internazionale. Uno stato membro quindi può sottoporre al Consiglio di sicurezza una controversia anche quando non è parte. Per di più non c’è nemmeno bisogno che sia attivata da uno stato l’attenzione del Consiglio di sicurezza in quanto quest’ultimo può controllare anche d’ufficio la questione. Inoltre il consiglio di sicurezza in base all’art 34 ha anche il potere d’indagine.

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Articolo 34 Il Consiglio di Sicurezza può fare indagini su qualsiasi controversia o su qualsiasi situazione che possa portare ad un attrito internazionale o dar luogo ad una controversia, allo scopo di determinare se la continuazione della controversia o della situazione sia suscettibile di mettere in pericolo il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. 

Ma anche l’assemblea generale ex art 14 ha funzioni di questo tipo.

Articolo 14 Subordinatamente alle disposizioni dell’articolo 12, l’Assemblea Generale può raccomandare misure per il regolamento pacifico di qualsiasi situazione che, indipendentemente dalla sua origine, essa ritenga suscettibile di pregiudicare il benessere generale o le relazioni amichevoli tra nazioni, ivi comprese le situazioni risultanti da una violazione delle disposizioni del presente Statuto che enunciano i fini ed i princìpi delle Nazioni Unite. 

Importante è inoltre la riserva dell’art 12 perché delimita le rispettive competenze di consiglio e assemblea Onu.

Articolo 12 1. Durante l’esercizio da parte del Consiglio di Sicurezza delle funzioni assegnategli dal presente Statuto, nei riguardi di una controversia o situazione qualsiasi, l’Assemblea Generale non deve fare alcuna raccomandazione riguardo a tale controversia o situazione, a meno che non ne sia richiesta dal Consiglio di Sicurezza. 2. Il Segretario Generale, con il consenso del Consiglio di Sicurezza, informa l’Assemblea Generale, ad ogni sessione, di tutte le questioni relative al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale di cui stia trattando il Consiglio di Sicurezza ed informa del pari l’Assemblea Generale, o i Membri delle Nazioni Unite se l’Assemblea Generale non é in sessione, non appena il Consiglio di Sicurezza cessi dal trattare tali questioni. 

Per quello che riguarda il Consiglio di sicurezza, che tipo di funzione ha? E’ una via di mezzo fra le mediazione e la conciliazione perché il Consiglio di sicurezza ha una specie di gradualità. Perché il Consiglio di sicurezza in una prima fase, la fase disciplinata dall’art 33 Carta onu, può intervenire solo raccomandando alle parti quale mezzo può essere utilizzato per la soluzione della controversia non entrando nel merito. SE le parti non sono riuscite, combinato 36 e 37, a risolvere la controversia devono deferire al consiglio di sicurezza la questione. Constatato quindi il fallimento dei primi tentativi di soluzione della controversia, il Consiglio di sicurezza assorbe una funzione di conciliazione entrando nel merito e raccomandando alle parti i termini di regolamento. Mentre nella prima parte aveva più una funzione di mediazione.

Questo è il sistema previsto dalla carta. Questa gradualità prevista dal capitolo 6° nella prassi non è stata seguita dal consiglio di sicurezza.

MEZZI Dì SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE RISOLUTIVI:

- Arbitrato- Regolamento giudiziario

Nell’arbitrato il tribunale internazionale viene adito sulla base dell’accordo delle parti. Sono le parti che attraverso il compromesso stabiliscono i quesiti da sottoporre al tribunale arbitrale, le questioni sulle quali il tribunale deve decidere, di comune accordo. La procedura entra in funzione con la notificazione del compromesso al tribunale arbitrale.

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Viceversa il regolamento giudiziario è un procedimento di risoluzione della controversia in via giudiziaria, nel quale il giudice internazionale può essere adito unilateralmente. Ovviamente alla base deve esserci il consenso che preveda il mezzo di soluzione delle controversie del regolamento giudiziario.

Molte volte i trattati prevedono entrambe le possibilità, quella dell’arbitrato e quella del regolamento giudiziario.

L’arbitrato dal punto di vista storico ha origine antichissime, era abbastanza diffuso nel medioevo anche se completamente differente rispetto a quello moderno in relazione al contesto organizzativo di tipo gerarchico della comunità. Una delle competenze dell’Imperatore era quello di arbitrare fra le controversie. E allora nella comunità giuridica medioevale era quindi anche possibile il ricorso unilaterale all’autorità superiore.

Invece l’arbitrato moderno si basa sul consenso delle parti. Con la formazione graduale della comunità moderna basata su un organizzazione orizzontale l’arbitrato cadde in disuso, in virtù del fatto che gli stati non volevano riconoscere la superiorità di altri stati.

Ha iniziato a rivivere nel 700’ su iniziativa degli Usa e dell’Inghilterra per la soluzione di alcune pendenze legate all’indipendenza degli Usa. Questi si accordarono con il Trattato Jay di ricorrere all’arbitrato con esito obbligatorio qualora la conciliazione avesse fallito. Con i trattati Jay nasce il fenomeno dell’arbitrato moderno.Un secondo passo avanti importante fu fatto con le Regole dell’Alabama. L’Alabama era una nave da guerra. Durante la guerra civile gli inglesi aiutarono gli stati del Sud. In particolare accettarono di far armare in un porto inglese la nave Alabama, un caso questo vietato dal diritto internazionale. Dopo la conclusione della guerra Stati Uniti e Inghilterra stipularono un altro accordo importante per far svolgere l’arbitrato sull’Alabama e inoltre venne creata una commissione mista. Le regole dell’Alabama sono importanti perché ha previsto regole dettagliate per la procedura arbitrale. Questa commissione mista dell’Alabama lavorò per tanti anni.

Il passo avanti successivo fu fatto con le conferenza dell’Aja del 1899 e del 1907. La prima conferenza aveva pensato all’idea di costituire un tribunale internazionale permanente. Si doveva chiamare corte permanete di arbitrato. Il progetto tuttavia fallì per l’opposizione Tedesca.

Nel 1907 il risultato fu uguale e il fallimento fu dovuto ai paesi più piccoli, i quali non apprezzavano le regole in base alle quali i giudici della corte sarebbero stati nominati.

La corte permanente di arbitrato fu creata quindi con un progetto molto più ridimensionato, esiste ancora adesso, in realtà  si limita a fornire agli stati un elenco di giudici e un'infrastruttura amministrativa se essi decidono di risolvere la loro controversia per via arbitrale.

L’idea di un tribunale quindi falli ma venne ripresa successivamente dalla Società delle nazioni con la Corte permanente di giustizia internazionale.

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Stavamo parlando dell’arbitrato internazionale. Esso si istituisce con un accordo delle parti che è il compromesso, come avviene anche nel diritto interno: qualche volta il compromesso può essere reso obbligatorio in partenza da parte degli Stati comportando l’obbligo di risolvere le controversie mediante il ricorso all’arbitrato. Questo può avvenire o con una clausola compromissoria contenuta in un trattato internazionale nella quale si stabilisce che le controversie relative a quel trattato saranno risolte dalle parti mediante arbitrato, quindi c’è l’assunzione dell’obbligo di istituire successivamente un procedimento arbitrale oppure può essere stabilito con un trattato generale di arbitrato che prevede un obbligo generale svincolato da uno specifico trattato. Uno dei problemi principali che crea l’arbitrato è che poi può succedere che nel momento in cui la controversia sorge poi le parti si rifiutano di collaborare al funzionamento, una delle due parti alla quale conviene sottrarsi: occorre che le parti collaborino perché dato che l’arbitro deve essere investito dalle parti di comune accordo, esse devono redigere il compromesso che contiene una serie di cose: innanzitutto la creazione del collegio arbitrale, poi occorre che le parti concordino su quale sia l’oggetto della controversia e anche qui ci vuole la collaborazione e devono anche decidere le regole procedurali ad esempio se una procedura scritta o orale, se un giro di memorie o due. Una parte può rifiutarsi e non collaborare, perché si fuoriesce dagli obblighi che si era assunti per esempio, e quindi bisogna studiare gli espedienti che consentono di risolvere questi problemi. La cosa più importante è la costituzione del collegio arbitrale: i giudici devono essere dispari, ogni parte designa i suoi arbitri in una condizione di parità e poi occorre designare il super arbitro di comune accordo. Se una delle parti si rifiuta di designare l’arbitro, se ne può occupare un terzo imparziale ad esempio il segretario generale delle Nazioni Unite, il Presidente della Corte internazionale di giustizia o un Governo terzo. Ci sono tutta una serie di metodi che consentono di risolvere questo problema. Esso potrebbe essere risolto se ci fosse un sistema di arbitrato permanente che ha già le sue regole di procedura e ha già gli arbitri ai quali è possibile rivolgersi. Cosi se le parti non si mettono d’accordo è possibile rivolgersi all’arbitrato unilateralmente se esso è precostituito. Tutto quello che stiamo dicendo può succedere anche negli arbitrati interni o per quanto riguarda l’arbitrato tra Stato e privati, in cui ci sono delle norme procedurali stabilite. Un altro problema è quello dell’arbitrarietà della controversia, cioè di capire se la controversia da risolvere rientra nella limiti della competenza dell’arbitro: qui c’è una regola internazione e cioè il principio secondo cui l’arbitro è il giudice della propria competenza (cioè un arbitro giudica se è competente per la controversia oppure no). Questo succede anche per il giudice interno (La competenza della competenza). Il principio è espresso nell’art. 36 par. 6 dello Statuto della Corte Internazionale di giustizia:” In caso di contestazione sulla competenza della Corte, la corte decide”.Questa regola della competenza della competenza si pensa abbia carattere consuetudinario però si può pensare sia implicita nell’assunzione dell’obbligo arbitrale assunto in buonafede.La questione può essere complicata in caso di nullità dell’accordo arbitrale di compromesso, se una parte invoca la nullità dell’accordo arbitrale. Perché se l’accordo non è valido non può produrre effetti e quindi non può individuarsi nessuna competenza. Il problema può giuridicamente essere spostato in un momento successivo cioè l’arbitro può ritenere qualora sia contestata la sua competenze che la competenza c’è (se afferma che non c’è il problema è risolto): la parte soccombente in questo caso potrà contestare la validità della sentenza per eccesso di potere. In questo caso nasce una nuova controversia. Una cosa che può aiutare è il principio della autonomia della clausola compromissoria, cioè essa è un accordo autonomo distinto anche se contenuto nello stesso testo, quindi ciò significa che se un accordo o trattato è nullo ciò non comporta di conseguenza la nullità della clausola compromissoria.

La sentenza arbitrale è obbligatoria per le parti che si erano assunte l’obbligo. C’è un rapporto di diritto e obbligo delle parti di considerarla obbligatoria per la soluzione delle controversie. Si può parlare di giudicato nella sentenza internazionale come avviene nel diritto interno, ma li c’è la distinzione tra giudicato formale e sostanziale, mentre nel diritto internazionale esiste solo quello sostanziale. Non ci può essere nel diritto internazionale il giudicato formale perché non c’è possibilità di appello alla Cassazione come avviene nel diritto interno. Le parti possono disporre di questo giudicato sostanziale senza problemi potrebbero raccordarsi di nuovo per risolvere la controversia con altri metodi. In una zona dell’America del sud c’è stata una controversia tra il Cile e l’Argentina per

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la sovranità territoriale: nel 1977 si rivolsero all’arbitrato della regina Elisabetta che dava molto più ragione al Cile che all’Argentina e quindi ci fu un negoziato tra le parti che si concluse con la mediazione di papa Giovanni Paolo II il quale riuscì a fare stipulare alle parti un nuovo accordo con il quale il Cile rinunciava ad una parte dei principi che gli erano stati riconosciuti dalla sentenza arbitrale. Possono farlo solo sul piano sostanziale a differenza del diritto interno. Adesso parliamo della Corte internazionale di giustizia e del suo antenato che è la Corte permanente di giustizia internazionale che era stata creata nel 1920 dalla società delle nazioni e ha funzionato fino alla fine della seconda guerra mondiale ed è stata istituita la corte internazionale di giustizia. Essa è definita come organo principale delle nazioni unite anche se però il suo statuto è un trattato distinto che viene allegato alla carta delle nazioni unite. Una questione importante è quella della composizione della Corte, cioè come si compongono i giudici: c’è un procedimento molto complesso perché è necessario riuscire a trovare un equilibrio soddisfacente tra i Paesi più importanti che sono quelli che hanno il diritto di veto e gli altri che si trovano in una situazione di svantaggio e poi bisogna anche trovare un equilibrio geo-politico. Il meccanismo è molto complesso: i giudici della Corte sono quindici e vengono eletti sia dall’Assemblea Generale che dal Consiglio di Sicurezza: c’è una doppia elezione,cioè gli stessi nomi votati dall’una devono essere votati anche dall’altra. I gruppi nazionali della Corte permanente di arbitrato designano un numero doppio di persone rispetto alle quindici che devono essere elette, infatti ne scelgono trenta; quindi l’assemblea e il Consiglio di sicurezza ne devono scegliere quindici sui trenta proposti: l’elezione avviene separatamente ed è necessario che vengano scelte le stesse persone da tutte due a maggioranza assoluta. Se non c’è accordo nella prima votazione, ci può essere una seconda o una terza votazione; se le tre votazioni non sono bastate si forma una commissione mista, tre membri dall’Assemblea e tre dal Consiglio, che deve anch’essa decidere a maggioranza assoluta; se nemmeno la commissione mista riuscirà a scegliere, saranno i giudici eletti a scegliere gli altri che mancano. Il giudice ad hoc è il giudice per la singola controversia: ogni Stato che non ha nella composizione ordinaria della corte i giudici, può designare un giudice ad hoc per quella singola controversia. Lo può scegliere solo lo Stato che non ce l’ha o entrambi se non ce l’hanno nessuno dei due. Alla base di tale istituto sono diverse le ragioni, quella centrale è basata sul contributo che altre esperienze giuridiche sia rappresentate di volta in volta nel giudizio su una controversia.Caratterizza inoltre la Corte internazionale di Giustizia l’istituto delle opinioni individuali e dissidenti. E’ un istituto che ha importanza nei sistemi di Common Law. Sono delle opinioni diverse all’interno della corte. Le opinioni dissidenti comportano la contrarietà del giudice rispetto alla decisione presa. Mentre le opinioni individuali riguardano giudici che sono d’accordo ma sulla base di osservazioni giuridiche diverse che vengono inserite nella sentenza. Per tale motivo le sentenze della Corte Internazionale di giustizia raggiungono un numero elevato di pagine.

I modi di instaurazione del processo dinanzi alla corte sono tre:- Il ricorso unilaterale- Il compromesso, cioè l’accordo fra le parti- Forum Provocatum, accettazione tacita della giurisdizione

Questa terza opzione non è detta esplicitamente ma risulta implicitamente dal combinato dell’art 36 Par 6 e dell’art 53 Par 2.

6. “In caso di contestazione circa il sapere se la Corte sia o non sia competente, decide la Corte.”2 “ Prima di accogliere questa domanda, la Corte deve cerziorarsi non solo della sua competenza secondo gli articoli 36 e 37, ma altresì della fondatezza in fatto ed in diritto delle conclusioni.”

Se la parte rimane contumacia la corte non può pronunciare in merito, ma se una parte compare dinanzi alla corte, la corte decide sulla competenze se è contestata.L’ipotesi normale sono quelle del ricorso unilaterale e del compromesso.L’articolo chiave è il 36 dello Statuto.

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Art. 36

1.  La competenza della Corte si estende a tutti gli affari che le parti le sottoporranno, come pure a tutti i casi specialmente previsti nella Carta delle Nazioni Unite1 e nei trattati e convenzioni in vigore.

Ci deve essere un accordo fra le parti. Questo accordo può stabilire che le parti di comune accordo, compromesso, si rivolgano alla corte oppure in modo unilaterale. Per quello che riguarda il ricorso unilaterale lo Statuto della Corte prevede un sistema di Dichirazione Unilaterale e di Accettazione in via unilaterale della clausola facoltativa ex Art.36 par 2“2.  Gli Stati parti del presente Statuto possono in qualsiasi momento dichiarare di riconoscere come obbligatoria, di pieno diritto e senza convenzione speciale, in confronto di ogni altro Stato che accetti lo stesso obbligo, la giurisdizione della Corte su tutte le divergenze di ordine giuridico aventi per oggetto,

a.l’interpretazione di un trattato;

b.qualsivoglia questione di diritto internazionale;

c.l’esistenza di qualunque fatto il quale, se fosse provato, costituirebbe violazione di un impegno internazionale;

d.la natura o la portata della riparazione dovuta per la violazione di un impegno internazionale.”

3.  Le surriferite dichiarazioni possono essere fatte puramente e semplicemente o sotto condizione di reciprocità da parte di parecchi o di certi Stati ovvero anche per un dato termine.

4.  Queste dichiarazioni sono consegnate al Segretario generale delle Nazioni Unite il quale ne trasmette copia alle parti del presente Statuto come pure al Cancelliere della Corte.

Una volta accettato lo statuto, questa clausola consente agli stati di rendere una dichiarazione unilaterale facoltativamente con cui si accetta la giurisdizione della Corte nel rapporto con gli altri stati, a patto che questi a loro volta abbiano fatto la stessa dichiarazione.Queste dichiarazioni possono essere sottoposte a riserva. Sono fonti di produzione giuridica di 3 grado, provenienti dall’accordo. Queste dichiarazioni sono atti che producono effetti giuridico perché ciò è previsto dall’accordo. Prima di tutto queste dichiarazioni non possono essere accordi in quanto ogni stato delimita la materia oggetto della giurisdizione della corte, in sostanza manca la reciprocità con le dichiarazioni degli altri stati. Sono quindi fonti derivate dall’accordo che permettono agli stati di ricorrere contro altri stati, che abbiano fatto dichiarazioni, alla Corte Internazionale per le materie in cui vi è coincidenza d’oggetto fra le dichiarazioni dello stato che ricorre alla corte e dello stato contro cui si ricorre.Fra gli stati aderenti allo statuto solo un terzo di questi hanno effettuato una dichiarazione unilaterale. Di queste dichiarazione circa un terzo è stato reso senza riserve. Uno dei tipi di riserve meritevole di interesse è la RISERVA AUTOMATICA. Venne introdotta quando gli Usa accettarono la giurisdizione della Corte. Essi accettano la giurisdizione della Corte escludendo materie che secondo gli Usa, quindi a giudizio degli Stati Uniti, rientrano nell’ambito di competenza Usa. Il problema è questo carattere di automaticità della riserva, riserva che in questi termini pone problemi di tipo giuridico. E’ valida o non è valida? Prima di tutto questa riserva collide con l’art 36 par 6 che attribuisce alla Corte la decisione sulla competenza in caso di contestazione. Secondo il prof si può dire che l’effetto giuridico di queste dichiarazione e delle riserve che comprendono si fonda sull’art 36 e sono valide ed efficace in quanto previste dall’art 36 e quindi di conseguenza devono rispettare i limiti ex art 36. Se l’art 36 dice che la corte deve decidere sulla competenza o meno, quella riserva va in contrasto con lo Statuto e quindi non è valida.La Corte però dalla fine della guerra in poi non si è mai pronunciata sulla validità della riserva automatica.Oltre a questa modalità di istituire la competenza di merito della corte esiste tutto

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un altro gruppo di competenze della corte che derivano direttamente dallo statuto e che si chiamano competenze incidentali, cioè c’è una competenza principale che è quella che le parti hanno sottoposto alla corte secondo i modi che abbiamo visto; però poi ci sono delle competenze accessorie che derivano direttamente dallo Statuto e si chiamano incidentali perché non richiedono un’accettazione delle parti. Una competenza accessoria l’abbiamo già vista ed è la competenza delle competenze, cioè la competenza che la Corte risolve la competenza sulla controversia. Nell’accordo arbitrale si può ritenere implicito da parte degli Stati che hanno stipulato l’accordo di riconoscere che il giudice che loro stessi hanno creato possa decidere sulla controversia. Nel caso della Corte internazionale di giustizia questa competenza non deriva dall’accordo ma direttamente dallo statuto come scritto nell’art. 36 par.6 : siccome gli Stati hanno accettato lo Statuto, accettano che la Corte eserciti la competenza perché lo Statuto lo prevede. La seconda è la competenza a indicare alle parti misure cautelari che deriva anche questa direttamente dallo Statuto cioè dall’art 41: La Corte ha il potere di indicare le misure cautelari che debbono essere prese a salvaguardia dei diritti di ciascuna, in attesa di decisione definitiva deve essere data alle parti e al consiglio di sicurezza. Si è dibattuto se questo era obbligatorio per gli Stati o no: la dottrina propende per il no. C’è stata una controversia tra Germania e Stati Uniti: riguardava un cittadino tedesco che era stato condannato a morte negli Stati Uniti, ma secondo la Germania non si era rispettata la Convenzione di Vienna del 1963 perché egli non era stato informato dei propri diritti. Secondo il suo difensore se fosse stato informato avrebbe potuto difendersi meglio e allora la Germania fece una protesta nei confronti degli Stati Uniti davanti alla Corte dicendo che gli Stati Uniti avevano violato le regole stabilite dalla Convenzione di Vienna del 1963 e la Corte aveva deciso come misura cautelare di bloccare quella sentenza di morte. Ci fu un altro caso che riguardava gli Stati Uniti e dei cittadini messicani in cui di nuovi gli Stati uniti non avevano rispettato la Convenzione del 1963 e allora il Messico chiamò gli Stati Uniti davanti alla Corte che bloccarono anche in questo caso la sentenza. Le misure cautelari servono a preservare i diritti delle parti in attesa del giudizio di merito quindi è normale che devono essere obbligatorie. C’è però un’obiezione: se la Corte non si sa ancora se sia competente o meno perché gli Stati dovrebbero attenersi alle misure cautelari. Però per il momento ha prevalso questa tesi. Nella Corte europea dei diritti dell’uomo che funziona ormai da 50 anni non aveva la possibilità di dare misure cautelari perché il suo Statuto non lo prevedeva ma si attribuiva comunque questa competenza senza che lo Statuto la prevedeva ma forse è andata oltre i limiti. E’ comunque sostenibile che l’art. 41 crei una competenza obbligatoria perché molto spesso queste misure sono obbligatorie. Un’altra competenza incidentale è prevista dall’art. 60 per l’interpretazione delle sentenze della Corte: gli Stati possono non soltanto essere in disaccordo sulla competenza ma dopo che la sentenza è stata pronunciata possono ancora essere in disaccordo sulla sua interpretazione. Per evitare il rischio che l’attuazione della sentenza possa essere paralizzata con un’accusa di questo genere, allora l’art. 60 completa la competenza della Corte per il merito. L’art. 61 prevede l’ipotesi della revisione, cioè può essere presentata alla Corte una istanza di revisione della sentenza se viene scoperto un fatto da risultare decisivo. L’art .94 della Carta delle nazioni unite prevede una cosa del genere: ciascun membro delle nazioni unite si impegna a conformarsi alle decisioni della Corte di giustizia in ogni controversia in cui essi sia parte. Significa che si assume questo impegno davanti a tutti i membri della nazioni unite perché la Carta riguarda tutti gli stati che fanno parte delle Nazioni Unite. Il paragrafo 2 dell’art. 94. C’è l’obiezione del diritto di veto: fino al 1986 quando ci fu la sentenza tra Stati Uniti e Nigaraua. Gli Stati Uniti contestarono la competenza della Corte e allora il Nigaraua si rivolse alla Corte di giustizia. Il diritto internazionale si può definire il civilizzatore delle Nazioni. La competenza incidentale più interessante e quella che ha dato più problemi è quella della possibilità che prevede lo Statuto dell’intervento: ci sono alcune norme (art. 62 e 63) che prevedono l’intervento del terzo nella controversia. ART. 62: Se uno Stato ritiene di avere un interessa di natura giuridica può presentare alla Corte un’istanza per poter intervenire. Questa norma è abbastanza anomala in un processo che si forma sul consenso delle parti. Quindi l’intervento considerato come competenza incidentale vorrebbe dire che il fatto che le parti abbiano accettato la competenza della Corte implicitamente avrebbero accettato anche che uno Stato terzo possa intervenire. Il problema sorge quando sul terzo non c’è l’accettazione delle parti e l’art. 62 è chiaro nell’introdurre una deroga molto forte al principio generale. In realtà il fatto che ci sia l’art. 62 e l’art 63 dipende dalla stratificazione storica delle cose: nel 1920 si pensava che non c’era bisogno di

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accettazione ulteriore ma che questa fosse automatica. Nel processo arbitrale l’intervento di un terzo non è ammesso perché riguarda soltanto le due parti che hanno fatto un compromesso. La situazione è rimasta invariata fino al 1980 quando gli stati scoprirono l’art. 62 dello statuto. La prima controversia fu tra Libia e Tunisia che avevano fatto un compromesso che riguardava la delimitazione della piattaforma continentale nel Mediterraneo, ricca di giacimenti di petrolio. Malta ricorse all’art. 62 presentandosi davanti alla Corte ma Libia e Tunisia non avevano fatto il compromesso con Malta. Malta allora decise di intervenire nella Corte solo per esprimere delle opinioni. Nel procedimento consultivo (art. 66) c’è un terzo che dice la sua ma non esercita un’azione nei confronti delle parti. Quello di Malta è solo un intervento informativo prima che la Corte decida. La Corte respinse questa domanda di Malta perché non la ritenne un intervento; poi si favorirebbe Malta perché non sarebbe poi vincolata dalla sentenza e potrebbe trarne dei vantaggi. Nel 1984 Libia e Malta fanno un compromesso tra di loro per chiedere alla corte di delimitare la piattaforma continentale alle aree sottomarine di relativa pertinenza tra Libia e Malta. A questo punto era l’Italia ad essere tagliata fuori: se faceva come Malta la Corte sicuramente l’avrebbe respinta. Allora i giuristi del Ministero degli esteri pensarono che invece di far valere una domanda positiva, di farne una in negativo non pretendendo che la Corte giudichi sulle mie pretese, quindi in negativo. Ma la Corte respinse anche questa domanda perché non c’era un legame tra Italia e Libia e Tunisia. Poi nel 1986 però la Corte decise di non giudicare su quelle questioni perché avrebbe potuto danneggiare l’Italia che non aveva partecipato. Nel 1990 c’è stata un’altra controversia tra Honduras e Salvador in cui chiedeva di intervenire il Nigaraua: in questo caso quella che decise era una camera della Corte perché l’art. 26 dello Statuto prevede che su richiesta degli Stati parte della controversia la Corte può costituire una sezione e trattare una controversia determinata se le parti lo richiedono e quindi era stata solo una camera di tre giudici. Nel 2000 c’è stata una controversia tra il Camerun e la Nigeria nella quale chiedeva di intervenire la Nuova Guinea sempre relativa alla delimitazione delle frontiere marittime e la Corte ammise questo intervento di carattere interpretativo: è pur vero che le parti non si opposero a questo intervento. Un ultimo caso c’è stato nel 2001 e riguardava l’intervento delle Filippine in una controversia. L’art. 63 riguarda un’ipotesi di una convenzione multilaterale, cioè tra più Stati. Mentre nell’art. 62 non si ammetteva l’intervento, qui c’era un vero e proprio diritto. L’interpretazione di un trattato può essere in causa o perché è necessario per risolvere una controversia specifica relativa ad una contestazione specifica o perché le parti si sono rivolte alla Corte per chiedere come va interpretato il trattato. L’art. 63 sembra andare in questo senso perché il giudicato internazionale ha come oggetto soltanto la questione che le parti hanno deferito alla Corte perché sono loro che decidono cosa vogliono deferire. Questo risulta anche nell’art. 59 dello Statuto, cioè la decisione della Corte non ha valore obbligatorio nei limiti del caso deciso. Quindi la corte decide su ciò che da le parti gli viene sottoposto. L’art. 63 dice che la decisione della Corte è obbligatoria anche, del pari è obbligatoria per esso. Questa norma non è mai stata applicata nella pratica: il motivo è che uno Stato terzo che sia o non sia d’accordo sull’interpretazione che la Corte potrebbe dare nella controversia tra altri due, siccome per lui non è obbligatorio, non ha particolare interesse a rivolgersi alla Corte, a pagare le spese processuali e a sottoporsi all’obbligatorietà della sentenza. Gli art 62 e 63 stanno nello Statuto perché quando venne concepito l’idea era che tutti gli Stati che facevano parte dello Statuto erano tutti già in partenza sottoposti alla giurisdizione della Corte cosa che invece poi non è. Un solo aspetto giuridico particolare che queste norme hanno è che rendono possibile una pronuncia della Corte nei rapporti tra Stati anche per esempio quel presupposto che normalmente è richiesto per il funzionamento della giustizia internazionale cioè che ci sia una controversia tra le parti perché se c’è giurisdizionalmente uno Stato terzo può intervenire anche se tra lui e gli altri non c’è una controversia; se c’è una controversia queste norme sarebbero inutili perché è sempre possibile per quello Stato presentare richiesta davanti alla Corte. Il periodo delle due guerre fu un periodo caratterizzato dal pacifismo e quindi ebbe fortuna l’arbitrato. Dopo la seconda guerra mondiale invece la situazione era peggiorata perché si era creata una situazione di struttura tripolare che aveva avuto la comunità internazionale con i Paesi occidentali, Unione Sovietica e Paesi del terzo mondo. Erano tre gruppi di Paesi che avevano una concezione diversa del diritto internazionale e del diritto in genere: alcuni Paesi contestavano il diritto internazionale generale perché dicevano che era stato fatto dai Paesi occidentali secondo i loro interessi e i loro principi. La Corte internazionale era formata in prevalenza da membri

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dei Paesi occidentali, quindi questi Paesi non volevano andarci volentieri davanti alla Corte e quindi la Corte di giustizia funzionava poco e aveva pochissimi clienti. Man mano che i Paesi in via di sviluppo presero il sopravvento numerico, cambiò anche la composizione della Corte e cominciarono ad esserci più giudici dei Paesi comunisti e più giudici dei Paesi in via di sviluppo. Quindi cominciarono i Paesi occidentali a non avere più fiducia nel diritto internazionale e a partire dagli anni settanta ci fu una profonda crisi: innanzitutto gli Stati iniziarono a prendere delle brutte abitudini ad esempio in due casi: uno riguardava la Francia e l’altro gli Stati Uniti; quello della Francia era il caso degli esperimenti nucleari decisi dalla Corte nel 1974: la Francia faceva degli esperimenti nel pacifico che però inquinavano e facevano danno e quindi fu chiamata davanti alla Corte sia dall’Australia che dalla Nuova Zelanda. La Francia riteneva che la Corte non fosse competente a redimere questa controversia e nemmeno si presentò davanti alla Corte ma rimase fuori, ma siccome l’art. 53 ci dice che la Corte prima di giudicare deve verificare d’ufficio se ha la competenza, la Francia era tecnicamente contumace ma mandava delle lettere per spiegare perché non era competente e si prendeva i due vantaggi: il vantaggio di presentare la sua posizione alla Corte in maniera non formale non accettando la sentenza della Corte e per protesta revocò la dichiarazione di accettazione che aveva reso in base all’art. 36 par. 2. Qualche anno dopo, nel 1976, fecero la stessa cosa gli Stati Uniti contro il Nigaraua che protestava per l’intervento armato: ne restarono fuori e revocarono immediatamente la dichiarazione di accettazione. Proprio perché c’era questa contestazione tra gli Stati in via di sviluppo e gli altri Stati, essi presero una seconda abitudine anch’essa distruttiva: dato che l’art. 26 stabiliva che la Corte poteva costituire delle camere anche costituite solo da tre giudici e può farlo su richiesta degli Stati, gli Stati cominciarono a scegliersi i giudici; se c’era una controversia tra gli Stati occidentali, si sceglievano giudici occidentali, se era una controversia tra Paesi in via di sviluppo si sceglievano tre giudici di quei Paesi che avevano la stessa concezione del diritto di quegli Stati. L’art. 26 dice che è la Corte che deve scegliere i giudici anche se essa seguiva l’indicazione degli Stati nella scelta dei tre giudici. Decidendo queste controversie solo tre giudici di Paesi occidentali o in via di sviluppo, esse non costituivano giurisprudenza internazionale significativa. Ci fu quindi una fase di grande crisi. Questa crisi si manifestò anche in altri campi: ad esempio quando negli anni settanta venne fatta la convenzione delle nazioni unite sul diritto del mare a Montego Bay venne elaborato un sistema di soluzione delle controversie che era molto complesso perché prevedeva quattro organi, cioè quattro diversi modi di soluzione delle controversie: intanto venne istituito il tribunale internazionale del diritto del mare che ha sede ad Amburgo; poi venne istituita la possibilità di creare un tribunale arbitrale; poi era anche possibile rivolgersi se gli stati volevano alla Corte internazionale di giustizia; oppure era sempre possibile istituire tra gli Stati un tribunale arbitrale ad hoc. La convenzione prevede che ogni Stato nel momento in cui ratifica o aderisce alla convenzione deve scegliere una di queste quattro possibilità. Se i due Stati hanno scelto lo stesso sistema tra i quattro vanno davanti a quel sistema se ne scelgono due diversi hanno l’obbligo di ricorrere ad un arbitrato ad hoc. Questo avveniva perché gli Stati non si fidavano della composizione dei giudici della Corte. Adesso la situazione è di nuovo migliorata perché non ci sono più i tre gruppi: il gruppo dei Paesi socialisti è sparito e i Paesi in via di sviluppo hanno oggi un atteggiamento in cui la loro contrapposizione ai Paesi industrializzati è meno netta; quindi non c’è più quel contrasto netto che c’era in precedenza. Il risultato è che la Corte ha ripreso a lavorare con un ottimo ritmo, infatti anche i Paesi in via di sviluppo si rivolgono molto alla Corte per risolvere le loro controversie e poi sono stati istituiti tribunali internazionali di diverso tipo: Corte penale internazionale, il potenziamento della Corte europea dei diritti dell’uomo per esempio. E’ stato soprattutto creato un sistema di risoluzione delle controversie molto efficace per risolvere tutte le controversie del diritto internazionale dell’economia tra gli Stati nell’ambito del sistema OMC che sarebbe una via di mezzo tra la conciliazione e l’arbitrato.

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