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DISCIPLINA E COMPORTAMENTO DI VOTO DEI MEPs. IL CASO DELLA GUE/NGL. Panel «Rappresentanza e partiti nell’Unione Europea» Fabio Sozzi Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali - Università di Genova [email protected] Abstract. Secondo alcuni autori (Hix et al. 2007; Lindberg 2008) la coesione di voto dei gruppi parlamentari al PE può essere spiegata attraverso la loro capacità di disciplinare il comportamento di voto dei propri MEPs per mezzo di incentivi positivi (distribuzione di cariche) e negativi (revoca delle cariche). Obiettivo di questo paper è capire se questa spiegazione possa essere applicata anche ad un gruppo parlamentare come quello della GUE/NGL caratterizzato da una struttura organizzativa di tipo confederale che, in quanto tale, non presuppone una «coalizione dominante» in grado di sanzionare i MEPs devianti ovvero premiare quelli virtuosi. A tal fine verranno testate empiricamente sul caso specifico della GUE/NGL diverse teorie sul comportamento di voto dei parlamentari cercando di individuare quella che possa spiegare meglio gli elevati livelli di coesione raggiunti dal gruppo oggetto di esame.

DISCIPLINA E COMPORTAMENTO DI VOTO DEI MEPs. IL … · Panel «Rappresentanza e partiti nell’Unione Europea» Fabio Sozzi Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali - Università

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DISCIPLINA E COMPORTAMENTO DI VOTO DEI MEPs. IL CASO DELLA GUE/NGL.

Panel «Rappresentanza e partiti nell’Unione Europea»

Fabio Sozzi Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali - Università di Genova

[email protected] Abstract. Secondo alcuni autori (Hix et al. 2007; Lindberg 2008) la coesione di voto dei gruppi parlamentari al PE può essere spiegata attraverso la loro capacità di disciplinare il comportamento di voto dei propri MEPs per mezzo di incentivi positivi (distribuzione di cariche) e negativi (revoca delle cariche). Obiettivo di questo paper è capire se questa spiegazione possa essere applicata anche ad un gruppo parlamentare come quello della GUE/NGL caratterizzato da una struttura organizzativa di tipo confederale che, in quanto tale, non presuppone una «coalizione dominante» in grado di sanzionare i MEPs devianti ovvero premiare quelli virtuosi. A tal fine verranno testate empiricamente sul caso specifico della GUE/NGL diverse teorie sul comportamento di voto dei parlamentari cercando di individuare quella che possa spiegare meglio gli elevati livelli di coesione raggiunti dal gruppo oggetto di esame.

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Introduzione.

Lo studio sul comportamento di voto all’interno del Parlamento Europeo (PE), a partire dal

lavoro pionieristico di Attinà (1990), si è sviluppato come uno degli strumenti metodologici più

utilizzati per indagare il grado di sviluppo e di istituzionalizzazione raggiunto dai partiti europei

(Bardi 1994; Hix e Lord 1997; Raunio 1997; Hix 2002; Kreppel 2002; Faas 2003; Hix et al.

2007), sebbene questa particolare tecnica di ricerca presenti alcuni problemi sia di carattere

teorico che metodologico (Carrubba et al. 2006, 2008; Hug 2010).

Nel PE le votazioni avvengono con tre modalità diverse: alzata di mano, in cui il

Presidente si limita ad osservare quale opzione ha ottenuto la maggioranza (si, no o astenuti),

voto elettronico, in cui la conta dei voti avviene attraverso un sistema elettronico che però non

registra le modalità di voto di ciascun MEPs e, infine, i c.d. «roll-call votes» (RCVs), dove il

voto di ciascun MEPs è registrato e reso pubblico. Il regolamento del PE prevede come sistema

di voto classico l’alzata di mano, ma se richiesto da almeno 37 MEPs o da un gruppo

parlamentare si procede al roll-call (art. 160, PE). Nel complesso, solo un terzo delle votazioni

al PE sono roll-call. Il loro utilizzo limitato e strategico da parte dei gruppi parlamentari li rende

uno strumento analitico dalle limitate capacità euristiche, in quanto non costituisce un campione

rappresentativo dell’universo delle votazioni. Inoltre, i gruppi è presumibile che utilizzino i

RCVs, da un lato, come strumento di disciplina interna sfruttando il possibile «effetto

pubblicità» prodotto dalla registrazione delle votazione e, dall’altro, per evidenziare la divisione

degli altri gruppi oppure per rimarcare le differenti posizioni dei vari gruppi1. Queste limitazioni

possono produrre un «selection bias» facendoci osservare un comportamento da parte dei MEPs

che non è rappresentativo del loro comportamento generale. In altre parole, i gruppi

parlamentari sarebbero in realtà molto meno coesi di quanto non appaiano dallo studio dei

RCVs.

L’analisi dei roll-call resta, comunque, uno degli strumenti principali a nostra disposizione

per comprendere il comportamento dei MEPs e attraverso cui indagare le linee evolutive dei

partiti europei. Anche ammettendo che i RCVs sovrastimino la coesione effettiva dei gruppi

parlamentari, questi sono utilizzati nelle questioni politiche di maggiore rilevanza2. Di

conseguenza, per quale motivo i MEPs dovrebbero seguire una linea politica diversa da quella

preferita su questioni importanti che avranno, probabilmente, una risonanza maggiore nei

rispettivi paesi e tra i loro elettori? Quindi il metodo di analisi dei RCVs, se utilizzato con le

dovute precauzioni metodologiche e consapevoli dei limiti euristici, può rilevarsi molto utile per

comprendere il gioco delle lealtà all’interno dei gruppi parlamentari europei.

1 In particolare, come suggerisce Kreppel (2002), quest’ultima strategia è spesso utilizzata dal gruppo dei

liberaldemocratici al fine di manifestare – polemicamente – la collusione tra socialisti e popolari. 2 Il numero dei RCVs è andato crescendo dalla prima legislatura (886) alla quinta (5265).

3

Obiettivo di questo lavoro è quello di individuare i fattori che favoriscono il voto in blocco

da parte dei MEPs della Sinistra Europea Unitaria/ Sinistra Verde Nordica (GUE/NGL)

nonostante alcuni ostacoli che, come vedremo, dovrebbero spingere verso una maggiore

divisione interna. La scelta del gruppo della sinistra radicale a livello europeo è dettata da due

fattori distinti: il primo, riguarda un vulnus interno alla letteratura politologica al riguardo,

infatti le indagini che riguardano in modo specifico questo gruppo politico (o uno dei suoi

“antenati”) sono molto limitate e, soprattutto, non è mai stato condotto alcun studio specifico sul

comportamento di voto dei loro membri (quasi tutte le ricerche riguardano o tutti i gruppi

presenti al PE ovvero PPE, PSE e, in alcuni casi, l’ALDE); in secondo luogo, il gruppo della

GUE/NGL presenta alcune caratteristiche organizzative particolari che la rendono un

interessante test per le teorie prevalenti sul comportamento di voto. Infatti, il gruppo della

GUE/NGL per sua stessa ammissione nella “Dichiarazione Costitutiva” del 1994 è un gruppo

“confederale” e in quanto tale non presenta una leadership forte, coesa e in grado di sanzionare

eventuali comportamenti devianti rispetto alla linea di partito. Inoltre, al suo interno convivono

realtà politiche e culturali piuttosto differenti tra di loro che rendono maggiormente complesso il

raggiungimento di un accordo.

Uno dei vantaggi legati all’analisi dei casi studio è sicuramente quello di poter testare più

nello specifico la validità delle teorie più generali e di precisare e articolare alcune

generalizzazioni promosse dalla letteratura (Lijphart 1985; Peters 2001). Di conseguenza,

appare interessante verificare la capacità esplicativa di alcune teorie piuttosto diffuse in

letteratura soprattutto in conseguenza del fatto che, come abbiamo già accennato e vedremo

meglio successivamente, il gruppo della GUE/NGL sembra essere un «caso deviante» rispetto

alle aspettative consolidate.

Il paper è articolato in 5 parti. Le prime tre sono prevalentemente di carattere teorico e

seguono una logica espositiva che potremmo definire a “imbuto”. Nella prima parte verranno

presentte le principali teorie e prospettive di analisi attraverso le quali si è tentato di spiegare il

fenomeno della coesione di voto nei parlamenti nazionali. Nella seconda parte, si cercherà di

applicare se queste teorie sono applicabili al caso specifico del Parlamento Europeo e dei gruppi

in esso presenti. Infine, cercheremo di testare prima logicamente (sezione 3) e poi

empirircamente (sezione 4) se queste teorie sono applicabili al caso concreto della GUE/NGL.

Nella quinta e ultima parte verrà proposta una spiegazione alternativa che attiente

prevalentemente agli aspetti processuali della politica a livello europeo.

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1. Le teorie sulla disciplina partitica.

In letteratura sono state individuati due diversi meccanismi logici che producono coesione di

voto nei partiti all’interno dei parlamenti. Il primo considera la coesione il risultato di un’azione

da parte della leadership del partito; il secondo, invece, vede la capacità da parte dei partiti a

votare in blocco come un moto spontaneo, o per meglio dire, non necessariamente indotto. Nella

tabella 1 sono riassunte le diverse prospettive teoriche con le relative variabili indipendenti

utilizzate per spiegare la coesione di voto dei parlamentari (variabile dipendente)3.

Tabella 1. Modelli esplicativi comportamento di voto.

fattore esplicativo variabile indipendente meccanismo logico variabile dipendente

agenda power sistema partitico istituzioni interne offices' control

sistema elettorale selezione dei candidati

relazioni esecutivo/legislativo

istituzioni esterne

federalismo

disciplina

giochi di cooperazione reiterati reiterazione delle votazioni

preferenze omogeneità ideologica coesione

coesione di voto

Secondo la prima prospettiva teorica i membri di un partito sono spinti a votare in blocco in

seguito a promesse di benefici futuri (ricandidatura) e di incentivi selettivi positivi (cariche

parlamentari, extra-parlamentari, di governo o all’interno del partito), ovvero sulla base di

(possibili) sanzioni immediate e future. In questo caso i parlamentari votano uniti «nonostante il

loro disaccordo» poiché traggono beneficio dal loro comportamento o, quanto meno, non

subiscono delle perdite in termini di potere. Senza la minaccia di possibili sanzioni o la

promessa di benefici futuri, la coesione dei partiti non è così scontata. Quindi, i parlamentari

votano in blocco perché sono «obbligati» e/o «incentivati» a farlo.

In letteratura sono stati individuati due diversi tipi di istituzioni che possono produrre

coesione partitica:

3 Spesso in letteratura i termini «coesione», «disciplina di partito» e «fedeltà di partito» sono utilizzate come

sinonimi anche se come sottolinea Hazan (2003): «se l’obiettivo è l’unità d’azione tra i rappresentanti del partito in parlamento, questo può essere raggiunto attraverso la coesione o la disciplina».

5

a) le istituzioni esterne, ossia la struttura di relazioni tra il palamento e il governo, il

sistema elettorale, il processo di selezione dei candidati e la struttura federale/unitaria (Huber

1996; Shugart e Carey 1992; Cox 1997; Bowler et al. 1999; Tsebelis 2002; Carey 2007);

b) le istituzioni interne e più precisamente la struttura di incentivi interni ad un

parlamento: l’«agenda-control», il sistema partitico e la distribuzione delle cariche all’interno

del Parlamento (Cox e McCubbins 1993, 2005; Damgaard 1995; Giannetti e Benoit 2009). Ma

vediamo più nel dettaglio gli incentivi e i vincoli prodotti da queste istituzioni sul

comportamento di voto dei parlamentari.

Partiamo con le istituzioni esterne. L’assetto istituzionale dei sistemi parlamentari fornisce

maggiori incentivi per la coesione dei partiti rispetto ad un sistema presidenziale. La fusione tra

il potere legislativo e quello esecutivo, tipica dei sistemi parlamentari, lega a doppio mandato la

sopravvivenza del governo alla fiducia di una maggioranza parlamentare. Questa condizione di

interdipendenza fa sì che i partiti che compongono la maggioranza siano tendenzialmente coesi

nel sostenere il governo poiché avrebbero molto da perdere in termini di potere in caso di una

caduta preventiva del governo, sia nel breve periodo – con la perdita di posizioni di governo –

sia nel lungo periodo – con possibili emorragie di voti alle elezioni successive. Al contrario, i

partiti di opposizione hanno tutto da guadagnare da un’azione coesa poiché da un lato

costringono i partiti di governo ad una coesione «forzata» che non sempre è raggiungibile e,

dall’altro, si presentano agli occhi degli elettori come una valida alternativa di governo. Nei

sistemi a separazione dei poteri, invece, il governo e il parlamento non dipendono l’uno

dall’altro, rendendo meno determinante la coesione dei partiti all’interno del parlamento poiché

anche qualora venisse meno la maggioranza parlamentare a sostegno del governo (vedi casi di

«governo diviso» negli USA) quest’ultimo non decade e può continuare ad esercitare il proprio

mandato. Inoltre, poiché le elezioni presidenziali e quelle parlamentari non si svolgono

contemporaneamente, la relazione tra le performance dei partiti al governo e la probabilità di

rielezione dei parlamentari è meno diretta rispetto ai sistemi parlamentari laddove, invece, i

giudizi spesso coincidono (Cox 1997).

Anche i sistemi elettorali possono fornire un utile strumento ai partiti al fine di disciplinare

i propri membri (Bowler et al. 1999; Cox 1997; Hix 2004). In particolare, i sistemi

proporzionali a lista chiusa favoriscono la disciplina di partito in quanto le (ri)candidature e

l’ordine di lista sono decise dagli organi dirigenti del partito, i quali possono sanzionare i

membri poco disciplinati e favorire al contrario i più diligenti. Questo tipo di sistema elettorale

spinge, di conseguenza, i parlamentari a seguire «fedelmente» la linea politica del partito non

avendo alcun incentivo e beneficio futuro dal distinguersi rispetto ai propri colleghi di partito. I

sistemi maggioritari incentrati sul voto alla persona e non al partito oppure i sistemi

6

proporzionali con liste aperte, invece, riducono la capacità da parte dei partiti di «serrare le fila»

poiché creano un legame diretto tra il parlamentare e la constituency, bypassando il partito. In

questo contesto, il deputato può avere il vantaggio a distinguersi dagli altri membri del partito

qualora pensasse di ottenere maggiori benefici in termini elettorali alle elezioni successive.

La stessa procedura di selezione dei candidati può aumentare o meno il controllo da parte

della leadership di partito sui propri parlamentari: tanto più la selezione dei candidati è

centralizzata tanto più i deputati saranno controllati dal partito, anche in presenza di un sistema

elettorale maggioritario, quindi tanto più tenderanno a votare «fedelmente» (Carey e Shugart

1995; Depauw e Martin 2009)4.

Poiché la struttura organizzativa dei partiti tende a rispecchiare la distribuzione del potere

istituzionale (Panebianco 1982; Hix 1998; Deschouwer 2006), nei sistemi federali sarà il livello

sub-nazionale dei partiti a svolgere un ruolo centrale nella vita politica interna dei partiti, con la

conseguente possibilità di frizioni e divergenze strategiche tra il livello nazionale e quello sub-

nazionale. Nei sistemi federali aumentano quindi le probabilità di una defezione da parte dei

parlamentari essendo questi controllati da due «principali»: il partito a livello nazionale e quello

a livello sub-nazionale (Carey 2007).

Gli assetti istituzionali interni che favoriscono una disciplina di partito riguardano

prevalentemente la possibilità da parte dei partiti di assegnare oppure rimuovere importanti

cariche all’interno del parlamento (Presidente, vice- Presidente del parlamento o di

commissione) (Damgaard 1995; Cox e McCubbins 1993, 2005). La coalizione dominante in

questo caso dispone di uno strumento efficace di controllo sia ex- ante, poiché può posizionare i

seguaci più fedeli nei posti di maggiore rilevanza, sia ex- post poiché ha la possibilità di

rimuovere dagli incarichi coloro i quali non si sono dimostrati sufficientemente leali nei

confronti della leadership di partito. Di conseguenza, i parlamentari al fine di soddisfare la

propria (legittima) ambizione politica tendono a seguire la linea di partito, aspettandosi in

cambio cariche istituzionali di maggior rilievo. In altre parole, i parlamentari votano in blocco

perché sono obbligati a farlo, se non vogliono perdere cariche di prestigio o se, al contrario, vi

ambiscono.

Più recentemente, Cox e McCubbins (2005) hanno proposto una teoria sui partiti politici

basata sul concetto di «negative agenda- power». Sebbene questa teoria non rivolga la propria

attenzione direttamente alla coesione dei partiti è possibile considerare il potere di agenda

interno al parlamento come uno strumento nelle mani dei partiti per disciplinare il

comportamento dei propri membri. Seguendo questa prospettiva teorica, se una questione

4 Shomer (2011) utilizza una «teoria integrata» degli effetti dei sistemi elettorali e di selezione dei candidati,

anziché utilizzare le due variabili in modo distinto e complementare.

7

politica è in grado di lacerare il partito che detiene il «potere di agenda», questo ha la possibilità

di evitare che tale issue venga posta all’ordine del giorno e quindi di evitare una votazione in

grado di manifestarne la divisione interna, garantendo al partito (o alla coalizione di partiti) una

maggiore coesione.

Una terza prospettiva teorica individua nel livello di competitività e di polarizzazione del

sistema partitico due fattori che possono aiutarci a spiegare il livello di coesione dei partiti.

Golembiewski (1958) affermava che «la coesione partitica è una funzione diretta del grado di

competizione tra i partiti politici»: ovvero tanto più i partiti sono in competizione uno con

l’altro, tanto più tendono a votare in modo coeso al loro interno. Secondo questa prospettiva di

studi la non-competitività del sistema partitico riduce i costi legati alla defezione da parte dei

parlamentari (soprattutto di quelli al governo) favorendo il «free-riding» (Giannetti e Benoit

2009). Non solo, a partire da Epstein (1967), alcuni studi hanno cercato di mettere in relazione

la distanza ideologica tra i partiti (la loro polarizzazione) con il livello di coesione nel

comportamento di voto: tanto più diminuisce la distanza ideologica tra i vari partiti, tanto più la

probabilità di defezione da parte di un parlamentare aumenterà. La teoria che spiega questa

evidenza empirica è legata a una visione euclidea della politica: i potenziali «traditori» avranno

costi crescenti legati alla defezione se la distanza dal potenziale «nuovo partito» aumenta in

termini ideologici. Una maggiore polarizzazione del sistema tende quindi ad aumentare i costi

della defezione e quindi favorisce la coesione dei partiti.

Il secondo paradigma individua come variabile esplicativa l’affinità ideologica (Krehbiel

1993; Kreppel 2002). Krehbiel in particolare critica la letteratura precedente che cerca di

misurare la capacità da parte dei partiti di influenzare il comportamento legislativo dei propri

membri attraverso l’analisi della coesione di voto. Secondo Krehbiel la disciplina è un elemento

necessario ma non sufficiente, infatti i deputati potrebbero votare in blocco perché condividono

la linea politica espressa dal partito e non perché hanno paura di una possibile sanzione o perché

ambiscono ad una carica pubblica di prestigio (Krehbiel 1998). In altre parole, il partito non

conta da un punto di vista organizzativo e disciplinare perché fornisce un contenitore «non

vuoto» al cui interno si concentrano attori che condividono una stessa impostazione ideologica e

valoriale. In un tale contesto i membri del partito sono portati a votare in blocco spontaneamente

senza che vi sia la necessità di un incentivo alla cooperazione: votano in modo simile perché

hanno posizioni ideologiche e valoriali simili, ossia voterebbero allo stesso modo anche se non

fossero parte di una organizzazione partitica. In altre parole, votano allo stesso modo perché

credono sia «giusto» farlo.

Una seconda linea teorica che non fa ricorso alla disciplina partitica e che ci può aiutare a

capire il comportamento dei membri di un partito deriva dalla teoria dei giochi e in particolare

8

dai «giochi di cooperazione reiterati» (Axelrod 1984; Hardin 1982; Aldrich e Rohde 2001).

Questa particolare linea teorica si basa sui benefici che i membri di un partito, anche in assenza

di un leadership forte, possono ricavare da una cooperazione reiterata nel tempo («costo-

opportunità»). L’aspettativa di interagire nuovamente nel futuro modifica la logica strategica

della situazione dal momento che gli altri attori devono tener conto degli effetti a lungo termine

delle loro scelte. Inoltre, la natura sequenziale della relazione implica che essi possano adottare

strategie contingenti, che dipendono cioè dal comportamento che ha caratterizzato le precedenti

tornate del gioco. La teoria dei giochi ripetuti ha individuato due diverse strategie che possono

condurre a una «cooperazione condizionale»: la strategia «tit-for-tat» e «grim trigger»

(Giannetti 2002). In base alla prima strategia un attore coopera nella prima tornata e in quelle

successive replica con una mossa identica a quella dell’altro attore, cioè coopera finché l’altro

coopera e risponde con la defezione se l’altro defeziona. Nel secondo tipo di strategia l’attore

risponde alla defezione con la defezione in tutte le tornate future del gioco, cioè induce la

cooperazione con la minaccia di ritorsione perpetua. In questo caso i membri di un partito

votano in blocco perché gli conviene farlo (almeno nel lungo periodo).

2.La disciplina di partito nel Parlamento Europeo.

Fin qui abbiamo ripercorso a grandi linee la letteratura sulla disciplina di partito all’interno

dei parlamenti. Ora focalizzeremo la nostra analisi sui gruppi al PE, cercando di capire se e in

quale misura le teorie precedenti siano applicabili al contesto europeo e, soprattutto, se possano

aiutarci a comprendere il comportamento di voto dei MEPs.

L’Unione Europea ha le caratteristiche di un sistema federale a separazione dei poteri (Hix

1998; Hix et al. 2007; Fabbrini 2008) in cui l’esecutivo (la Commissione) non dipende dal

sostegno di una maggioranza parlamentare e non può porre, come ad esempio nel caso italiano,

la fiducia su una questione politica che ritiene centrale nell’indirizzo politico da esso adottato.

Non può neppure sciogliere anticipatamente il parlamento, come avviene nel sistema inglese.

All’opposto, il Parlamento Europeo ha la possibilità de jure di votare una mozione di sfiducia

nei confronti della Commissione ma è prevista una doppia maggioranza (2/3 dei voti espressi e

maggioranza assoluta del plenum) che de facto rende molto difficile lo scioglimento anticipato

dell’esecutivo5. Nemmeno i sistemi elettorali e le procedure di selezione dei candidati

favoriscono la disciplina di partito, nonostante siano adottati sistemi di lista. Infatti, le

candidature sono stabilite dai partiti nazionali rendendo nulla la capacità dei gruppi di

incentivare la coesione attraverso questo strumento (Hix 2004). Anzi, la struttura delle

5 Hix (2004) paragona la mozione di sfiducia nei confronti della Commissione alla procedura di impeachment nei

confronti del Presidente negli Stati Uniti.

9

opportunità fornisce maggiori incentivi ai partiti nazionali, piuttosto che ai gruppi parlamentari,

riducendo la capacità disciplinatoria di quest’ultimi. Inoltre, il voto espresso dai cittadini alle

elezioni europee non si basa sul giudizio inerente l’attività dei partiti e dei MEPs a livello

sovranazionale ma esprime, piuttosto, un giudizio nei confronti dell’operato dei governi

nazionali. In conclusione, la capacità dei gruppi parlamentari di disciplinare i propri membri

non deriva dal sistema istituzionale esterno.

Gli incentivi istituzionali interni rappresentano l’unico strumento utile per i gruppi

parlamentari al fine di disciplinare i propri membri (McElroy 2006; Hix et al. 2007; Lindberg

2008). Da un lato, come abbiamo visto nel primo capitolo, la distribuzione delle principali

cariche all’interno del PE è nelle mani dei gruppi parlamentari, i quali si vedono attribuiti gli

incarichi in proporzione alla loro grandezza: spetteranno ai MEPs più fedeli gli incarichi

principali (meccanismo ex-ante) (Lindberg 2008). Inoltre, essendovi una rotazione dei posti alla

metà di ogni legislatura, i gruppi hanno la possibilità di sanzionare i membri «ribelli»,

declassandoli nelle cariche ricoperte oppure non assegnando loro incarichi direttivi, ovvero

premiare i MEPs più disciplinati (meccanismo ex-post)(McElroy 2006; Lindberg 2008).

La letteratura però non appare concorde sulle conclusioni a cui sono giunte queste analisi.

Kreppel (2002), ad esempio, attraverso uno studio sulla capacità effettiva da parte del PPE e del

PSE di disciplinare il comportamento dei propri membri attraverso il controllo sulla selezione

dei Presidenti di Commissione e dei rapporteur ha notato come i MEPs a cui erano stati affidati

tali incarichi non mostravano una lealtà nel comportamento di voto maggiore rispetto alla media

del gruppo6. Kreppel, pertanto, conclude che la coesione dei gruppi parlamentari è da spiegarsi

attraverso l’affinità ideologica dei membri che li compongono.

In parte queste conclusioni sono state confermate, seppur indirettamente, da altri studi che

sottolineano la predominanza dell’aspetto ideologico nel comportamento di voto dei MEPs

(Kreppel e Tsebelis 1999; Noury 2002). In media, la dimensione sinistra- destra è in grado di

predire circa il 90% dei voti dei MEPs (Noury 2002, p. 40), mentre la dimensione riguardante

l’integrazione europea che, come abbiamo visto nel secondo capitolo, divide maggiormente i

partiti all’interno dei gruppi riguarda meno del 10% delle votazioni. Quindi i gruppi

parlamentari essendo ideologicamente affini sull’asse sinistra- destra ed essendo quest’ultima

dimensione la frattura predominante all’interno del PE riescono ad agire come attori unitari.

Abbiamo visto che oltre alla distribuzione delle cariche all’interno del Parlamento Europeo

e dei gruppi parlamentari un altro fattore che potrebbe aiutarci a comprendere la disciplina di

partito a livello europeo è il processo di agenda setting. A livello sovranazionale l’agenda

6 Anche Whitaker (2001) critica questa impostazione poiché dall’indagine che ha condotto sulla distribuzione

delle cariche all’interno delle commissioni è emerso che non sono i gruppi parlamentari ad avere il controllo su questa risorsa organizzativa ma le delegazioni nazionali.

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setting in ambito legislativo è esterna al Parlamento Europeo, poiché il parlamento non ha

potere di iniziativa ma può solamente emendare i progetti di legge promossi dalla Commissione.

Senza ripercorrere nei dettagli il processo di agenda setting interno al PE sulle proposte

legislative7, esso si può riassumere in 4 passaggi chiave:

1)la Commissione invia una proposta di legge al Consiglio e al Parlamento;

2)la Conferenza dei Presidenti del PE attribuisce l’esame della proposta alla commissione

competente in materia;

3)una volta che la proposta è stata assegnata ad una commissione, questa nomina al proprio

interno un rapporteur che ha il compito di relazionare la commissione e l’aula sugli aspetti

tecnici della proposta di legge e di preparare un report sui possibili emendamenti e sulle loro

motivazioni;

4)dopo che la proposta di legge è stata votata in commissione nella sua versione

modificata, questa viene inviata in plenaria dove è possibile emendarla nuovamente oppure

approvarla in via definitiva.

In sintesi, nessun partito o coalizione di partiti è in grado di controllare in via esclusiva

l’agenda setting all’interno del PE, limitando di conseguenza la capacità da parte dei partiti

europei di incrementare la propria coesione interna. Da un lato, essendo l’iniziativa nelle mani

della Commissione i partiti non possono esimersi dal votare su questioni «ostili» e, dall’altro, la

proposta di emendamenti sia in commissione che in plenaria è libera, lasciando il potere di

agenda disperso tra i diversi gruppi parlamentari. Quindi, sulla base della teoria dell’agenda

setting, i partiti avranno maggiori probabilità di votare in blocco gli emendamenti appoggiati dal

gruppo, considerati «amici», oppure quelli in cui il rapporteur è di un partito ideologicamente

«ostile» (Hix et al. 2007), ma comunque non hanno la possibilità di controllare l’agenda politica

e di conseguenza di eliminare le votazioni potenzialmente disgreganti8.

Infine, Hix et al. (2009) hanno applicato, seppur indirettamente, la logica della reiterazione

dei voti come possibile spiegazione della coesione di voto dei partiti a livello europeo. Secondo

gli autori i partiti nazionali, pur essendo i «principali» dei MEPs, sono sottoposti a forti

incentivi istituzionali che li spingono a cooperare stabilmente con altri partiti ad essi affini

ideologicamente al fine di condividere informazioni (riducendone i costi di raccolta ed

elaborazione), allocare «agenda-setting rights» e influenzare il policy-making. Come

conseguenza, i partiti nazionali possono essere spinti a votare contro le proprie «vere

7 Per un’analisi dettagliata si rimanda a Hix et al. (2007) e Tsebelis (2002). 8 I gruppi parlamentari hanno, comunque, all’interno del PE un potere di agenda autonomo dalle altre istituzioni

per quanto concerne le risoluzioni e i reports. Le prime sono delle indicazioni d’intenti su problemi politici rilevanti (ad esempio la guerra in Iraq o la crisi economica e finanziaria), i secondi sono delle sollecitazioni nei confronti della Commissione a redigere una bozza di direttiva su questioni che il PE ritiene rilevanti.

11

preferenze» su un numero limitato di issues ma, nel complesso, voteranno in modo «sincero»

poiché, innanzitutto, condividono le stesse (simili) preferenze con gli altri partiti del gruppo e,

in secondo luogo, perché hanno maggiori possibilità di veder modificato lo status quo in modo

ad essi favorevole se votano in modo unitario. In altre parole, data la natura reiterata delle

votazioni un partito nazionale, sebbene possa avere un vantaggio competitivo contingente dal

defezionare, rischia di perdere in termini assoluti nel lungo periodo in conseguenza delle

possibili strategie «tit-for-tat» o «grim trigger» implementate dagli altri partiti. quindi, la paura

di future rappresaglie induce alla cooperazione. Secondo gli autori, però, questa «logica della

consequenzialità» può essere applicata solo nel caso in cui il risultato del voto sia scontato, cioè

quando un singolo partito nazionale non è «pivotale».

Riassumendo, in letteratura non è possibile riscontrare un mainstream per quanto riguarda

le possibili spiegazioni sulla coesione dei gruppi parlamentari europei e, nonostante l’utilizzo di

metodologie sempre più sofisticate, rimane ancora un «oggetto non (del tutto) spiegato».

Dall’analisi condotta in precedenza sembrano essere tre le possibili spiegazioni della coesione di

voto nei partiti europei: la leadership partitica, l’omogeneità ideologica e la reiterazione di voto.

Nel proseguo del capitolo cercheremo di applicare le diverse teorie al caso specifico della

GUE/NGL, cercando di capire che cosa spinga i membri della sinistra radicale a livello europeo

a votare in blocco nonostante tutte le circostanze sembrino ostacolare questa tendenza.

3. La coesione della GUE/NGL.

Abbiamo visto in precedenza che la letteratura sulla coesione ha individuato

essenzialmente tre possibili spiegazioni a tale fenomeno. Il primo gruppo di teorie individua in

una serie di istituzioni esterne la variabile esplicativa, in particolare nei rapporti tra esecutivo e

legislativo e nei sistemi elettorali. Questo tipo di spiegazione non può essere applicata al caso

europeo e, quindi, al caso specifico della GUE/NGL, poiché l’Unione Europea si presenta

simile a un sistema di tipo presidenziale a separazione dei poteri in cui non è necessario il

sostegno parlamentare al governo in carica e la selezione dei candidati è una prerogativa dei

partiti nazionali. I gruppi parlamentari, di conseguenza, non hanno strumenti esterni a loro

disposizione al fine di disciplinare il comportamento dei MEPs.

Il secondo gruppo di teorie ha tentato di spiegare la coesione dei partiti europei attraverso

istituzioni interne al Parlamento Europeo, tra cui la distribuzione delle cariche e l’agenda-

setting. Partiamo da quest’ultima. L’agenda-setting nel processo legislativo europeo è esterna al

Parlamento, nel senso che il potere di iniziativa legislativa è di competenza esclusiva della

Commissione. Al PE è lasciata la possibilità, nel caso di materie sottoposte a codecisione e

cooperazione, di emendare le proposte della Commissione. Inoltre, all’interno del PE nessun

12

partito o coalizione di partiti è in grado di controllare le procedure di agenda-setting in

commissione e in plenaria per quanto concerne gli emendamenti e l’ordine delle votazioni a cui

sono soggetti. Un vantaggio in questo senso è attribuito al gruppo a cui è affidato l’incarico di

rapporteur, ma l’attribuzione di tali incarichi avviene in proporzione alla grandezza dei gruppi,

limitando le possibilità per un gruppo abbastanza piccolo come quello della GUE/NGL di avere

un maggiore controllo sul processo decisionale all’interno del PE. Di conseguenza, la

GUE/NGL costituisce un’agenda-taker e in quanto tale non è in grado di evitare votazioni su

emendamenti potenzialmente disgreganti. Pertanto, neppure la teoria dell’agenda-setting può

essere utilizzata come variabile esplicativa per la coesione manifestata dal gruppo.

Un secondo tipo di teorie ha individuato nel controllo da parte dei gruppi parlamentari sulla

distribuzione delle cariche parlamentari e interne al gruppo una possibile spiegazione della loro

capacità di disciplinare i membri. Secondo questi autori i MEPs, così come ogni altro politico ad

ogni latitudine, ambiscono a ricoprire cariche politicamente rilevanti in sé o per il valore

attribuitogli. All’interno del PE sono i gruppi a controllare la distribuzione di tali cariche

(Presidente e vice- Presidente del PE, Presidente di commissione, rapporteur) e attraverso il

controllo di queste risorse organizzative le leadership dei gruppi politici sono in grado di

disciplinare il comportamento dei MEPs: coloro i quali cooperano e seguono la linea politica

dettata dal gruppo saranno premiati con cariche politicamente rilevanti, chi defeziona, invece,

non ricoprirà cariche importanti o sarà «retrocesso» in posizioni di minor valore politico e

istituzionale. Se si tiene conto, inoltre, che le principali cariche del Parlamento Europeo sono

distribuite all’inizio e alla metà di ogni legislatura i gruppi hanno a loro disposizione un valido

strumento di controllo ex- ante ed ex- post: possono infatti collocare, a inizio legislatura, nelle

cariche che ritengono più importanti i MEPs maggiormente fedeli alla linea di partito o che

reputano tali (ex- ante) e monitorare il loro lavoro durante la prima metà della legislatura per poi

punire o premiare i MEPs a seconda della loro condotta leale o meno nei confronti del gruppo

parlamentare (ex- post). Questo tipo di spiegazione non può però essere applicata al gruppo

della GUE/NGL poiché al suo interno non esiste una coalizione dominante in grado di

controllare in via esclusiva la distribuzione delle cariche (Sozzi 2011). Il gruppo comunista

essendo di natura confederale cerca di attribuire a ciascuna delegazione partitica nazionale pari

rappresentanza all’interno degli organi dirigenti del gruppo e nella distribuzione delle cariche9.

9 Inoltre, come suggerisce Kam (2009), non sempre la possibilità di una «promozione» in termini di «poltrone» da

occupare è un incentivo sufficiente per disciplinare i membri di partito, in quanto alcuni posti possono essere meno appetibili di altri, oppure oltre una certa soglia non sono possibili altre promozioni. In particolare, per quanto concerne il contesto europeo, le cariche di prestigio all’interno del PE sono (solo) relativamente vantaggiose per i MEPs, poiché sicuramente preferiscono (escluse alcune eccezioni) «far carriera» a livello nazionale, rispetto a ricoprire cariche a livello sovranazionale. Di conseguenza, ai MEPs «office- seeking» ambiziosi conviene seguire i partiti nazionali piuttosto che i gruppi parlamentari europei se vogliono migliorare il proprio «status politico».

13

Una terza serie di teorie ha cercato di spiegare, invece, la coesione dei gruppi parlamentari

europei come conseguenza della loro affinità ideologica. La loro tendenza a votare assieme non

è il prodotto di uno scambio politico interno al gruppo in cui i termini dello scambio sono da un

lato le cariche e dall’altro la disciplina di partito, ma piuttosto una sorta di naturale tendenza

prodotta dall’affinità ideologica. Alcune ricerche precedenti hanno dimostrato che il gruppo del

PSE e del PPE (Hix et al. 2007; Lindberg 2008) hanno aumentato la propria coesione interna

pur in presenza di un aumento della differenza ideologica al loro interno. Secondo questi autori

di conseguenza i gruppi sono stati in grado di mantenere degli elevati standard di coesione

poiché hanno la capacità di disciplinare il comportamento dei propri MEPs e non perché sono

ideologicamente omogenei. Anche il gruppo della GUE/NGL, come si può ben vedere dalla

figura 1, ha visto aumentare la propria coesione interna pur in presenza di un aumento

dell’eterogeneità ideologica. Ma, a differenza degli altri gruppi, la GUE/NGL non ha una

leadership in grado di sanzionare i propri membri. Come è possibile spiegare questa (apparente)

contraddizione?

Fin qui la teoria. Nel prossimo paragrafo testeremo se effettivamente quanto affermato

finora abbia un riscontro empirico.

Figura 1. Coesione e diversità ideologica GUE/NGL (1979-2009).

Note: la linea continua rappresenta l’andamento della diversità ideologica; la linea tratteggiata quello della coesione. La diversità ideologica interna al gruppo è stata calcolata come segue:

ID = Σ |NPj - PGi| Sji dove NPj è la posizione del partito nazionale j, PGi è la posizione media del gruppo i ponderata rispetto al numero di MEPs di ciascuna delegazione nazionale, Sji è il numero di seggi del partito j all’interno del gruppo i.. Fonte: i valori relativi alla posizione media dei partiti nazionali sono stati ricavati dal dataset CMP (Budge et al. 2006); per la coesione Hix et al. (2007).

14

4. Determinanti del comportamento di voto dei MEPs.

Al fine di testare nel migliore dei modi le teorie presentate abbiamo elaborato una serie di

modelli esplicativi che verranno controllati attraverso una sequenza di regressioni lineari

multiple. Sulla base di quanto emerso dalla ricerca condotta nei paragrafi precedenti le ipotesi e

i risultati attesi sono essenzialmente tre:

H1: il ricoprire cariche all’interno del gruppo o del PE non favorisce la

propensione di un MEPs a votare seguendo la linea politica del gruppo poiché

all’interno della GUE/NGL non esiste una leadership di gruppo in grado di

controllare ed eventualmente sanzionare comportamenti devianti, ovvero premiare

la fedeltà. Quindi in questo caso ci aspettiamo di trovare una non significatività dei

coefficienti legati a queste variabili esplicative;

H2: all’aumentare della distanza ideologica tra i MEPs e il gruppo, la fedeltà verso

la GUE/NGL diminuisce e ci aspettiamo che sia anche statisticamente significativa.

Questa aspettativa deriva dal fatto che se i MEPs sono controllati e disciplinati,

principalmente, dai rispettivi partiti nazionali, all’aumentare della distanza

ideologica tra gli attori coinvolti (partiti nazionali e gruppo) la propensione dei

MEPs a votare contro il gruppo aumenta. Al contrario, se i MEPs sono disciplinati

dal gruppo parlamentare allora la loro propensione a votare con il gruppo non

dovrebbe essere intaccata (quindi statisticamente non significativa).

H3: all’aumentare della presenza dei MEPs in plenaria aumenta la loro fedeltà al

gruppo (meccanismo della reiterazione di voto).

4.1. Dati e variabili.

L’analisi è stata condotta sui 41 membri che hanno fatto parte del gruppo durante la VI

legislatura (2004- 2009) e sul totale dei RCVs chiamati nello stesso arco di tempo (tot. 6200).

La nostra variabile indipendente è data dalla percentuale di volte in cui ciascun MEPs della

GUE/NGL ha votato seguendo la maggioranza del gruppo10. Le variabili indipendenti principali

sono: a) la distanza ideologica tra il MEPs e il gruppo rispetto alle dimensioni «sinistra- destra»

e «pro/anti UE»; b) il ricoprire cariche rilevanti all’interno del gruppo e del PE. Al fine di

10 Vista l’enorme mole di votazioni in esame, con la conseguente difficoltà (impossibilità) di risalire alla linea

politica effettiva su ciascuna votazione da parte del gruppo, si è deciso di utilizzare la maggioranza del gruppo come proxy della linea politica del gruppo. In altre parole si suppone che la linea dettata dal gruppo sia espressa dalla maggioranza dei propri MEPs.

15

misurare la distanza ideologica tra MEPs e gruppo parlamentare ci siamo serviti del dataset

CHES (Hooghe et al. 2010), utilizzando come proxy della posizione di ciascun MEPs quella del

partito nazionale di appartenenza11, mentre come rilevatore della posizione del gruppo è stata

utilizzata la media ponderata (rispetto al numero di MEPs) dei valori espressi su ciascuna

dimensione da parte dei partiti nazionali. Quindi avremo la variabile «distanza MEP-EPG (sx-

dx)» che esprime la differenza, in valori assoluti, tra la posizione di ciascun singolo MEP e

quella del gruppo rispetto alla dimensione sinistra-destra e la variabile «distanza MEP-EPG

(pro/anti UE)» calcolata, invece, rispetto alla dimensione «pro/anti integrazione europea».

La seconda variabile indipendente concerne le cariche ricoperte da ciascun MEPs

all’interno del gruppo e del PE: innanzitutto si è visto se un MEP ricopriva cariche di leadership

all’interno del gruppo o del PE, attribuendo valore 1 se faceva parte del Bureau del gruppo,

dell’Ufficio di Presidenza del PE oppure era Presidente di Commissione e 0 in caso contrario

(bureau); in secondo luogo è stato calcolato, su dati ufficiali del PE, quante volte a ciascun

MEP è stato attribuito il ruolo di rapporteur (reports).

Inoltre sono stati introdotti due ulteriori sets di variabili di controllo. Nel primo gruppo, che

si concentra su alcune caratteristiche dei partiti nazionali, ritroviamo: a) una «dummy variable»

riguardante la partecipazione (valore 1) o meno (valore 0) del partito al governo nazionale

(partito al governo); b) la grandezza, in termini di seggi al PE, del partito nazionale (grandezza

PN). Nel primo caso, come sottolineano Hix et al. (2007), se un partito è al governo a livello

nazionale è anche rappresentato nell’altro organo legislativo principale a livello europeo: il

Consiglio, quindi è probabile che possa avere maggiori interessi da difendere in parlamento. La

grandezza del partito nazionale, invece, dovrebbe influenzare positivamente la propensione a

votare seguendo il gruppo, poiché all’aumentare della grandezza della delegazione nazionale

aumentano le possibilità di influenzare le decisioni interne al gruppo.

Nel secondo gruppo di variabili di controllo abbiamo incluso tre indicatori che riguardano

le caratteristiche personali dei MEPs: 1) età (età MEP); 2) anni da MEP calcolati al 2004

(esperienza PE); 3) presenza in plenaria (attendance). Tutte e tre le variabili dovrebbero

11 In letteratura sono stati utilizzati altri due diversi metodi al fine di individuare le posizioni dei MEPs lungo le

diverse dimensioni del conflitto: l’autocollocazione dei MEPs inferita attraverso un questionario (Farrell et al. 2006); un’analisi spaziale del comportamento di voto dei MEPs (Hix et al. 2007, 2009). Queste due metodologie, a nostro avviso, incontrano due limiti diversi: il primo, si scontra con un tasso di risposta piuttosto basso (circa il 37%) che rischia di non essere rappresentativo; il secondo non descrive le «vere preferenze» in quanto inferisce la posizione dei MEPs attraverso il loro comportamento nei RCVs che può essere in una qualche misura indotto dalla disciplina di partito, quindi condizionato da un fattore esterno. Allo stesso tempo la scelta di utilizzare la posizione dei partiti nazionali come proxy delle preferenze dei MEPs è giustificata sia teoricamente che empiricamente. Teoricamente, la scelta sembra adeguata e ragionevole poiché i MEPs è probabile che scelgano il partito a livello nazionale che più si avvicina alle proprie preferenze ideologiche. Inoltre i MEPs sono sottoposti anche a un processo di socializzazione durante la carriera(precedente) a livello nazionale, regionale e locale.

16

(parzialmente) «liberare» il MEP dal controllo dei partiti nazionali (Lindberg 2008) favorendo

la fedeltà verso il gruppo.

4.2. I risultati.

Dai dati riassunti nella tabella 2 (in cui sono presentati i coefficienti delle regressioni

multiple) emerge abbastanza chiaramente come le nostre ipotesi siano confermate. Infatti, da un

lato all’aumentare della distanza tra la posizione ideologica dei MEPs, che ricordiamo è stata

inferita dalla posizione dei rispettivi partiti nazionali, e quella del gruppo della GUE/NGL la

propensione dei MEPs a votare seguendo la maggioranza del gruppo parlamentare tende a

diminuire (come testimoniato dal valore negativo e statisticamente significativo del coefficiente

β), dall’altro, essere membro del Bureau del gruppo o ricoprire cariche di rilievo nel PE,

statisticamente sembra non avere una particolare rilevanza nel determinare il comportamento di

voto dei MEPs. Al contrario, assume particolare significato la presenza dei MEPs in seduta

plenaria: all’aumentare della partecipazione aumenta la coincidenza di voto tra MEPs e gruppo.

Come sottolineano Hix et al. (2009) e Andeweg e Thomassen (2010), la reiterazione dovuta alle

successive votazioni su diversi ambiti di policy spinge i membri dei partiti ad adottare una

strategia del tipo «tit-for-tat» ossia, riprendendo la terminologia utilizzata dalla «teoria dei

giochi ripetuti», un attore è portato a rispondere alla defezione altrui con la propria defezione

nelle tornate successive. In altre parole, l’attore coopera finché l’altro coopera e risponde con la

defezione se l’altro defeziona12.

Questi dati sembrano confermare quindi la convinzione che non si possa utilizzare un’unica

variabile esplicativa al fine di spiegare la coesione del gruppo della sinistra radicale ma,

piuttosto, appare più convincente considerare la coesione di voto del gruppo come l’esito di

diverse risorse che possono essere utilizzate alternativamente da parte del gruppo al fine di

garantire una coesione accettabile. A queste è possibile, come vdremo nel prossimo paragafo,

anche una spiegazione che prende in considerazione non solo gli aspetti strutturali del gruppo e

dei suoi componenti ma anche l’aspetto dinamico e processuale che si manifesta a livello

europeo tra PE, Commissione e Consiglio in cui è possibile leggerci in qualche modo dinamica

di tipo maggioranza- opposizione. Ma vediamo meglio questo aspetto.

12 Una spiegazione complementare può essere rintracciata nel processo di «socializzazione» a cui sono sottoposti i

MEPs che partecipano più assiduamente ai lavori del gruppo e del PE. Attraverso il processo di socializzazione, come sottolinea Kam (2009), si sviluppa una sorta di «party loyalty» che spinge il parlamentare a votare seguendo la linea del partito, anche in presenza di una divergenza di preferenze (e senza che intervenga un meccanismo disciplinatorio), poiché il deputato antepone l’interesse del partito al proprio.

17

Tabella 2. Determinanti del comportamento dei MEPs.

modello 1 modello 2

β t- stat. β t-stat.

(Constant) 0,715*** 5,123 1,008*** 33,556

distanza MEP- EPG (sx-dx) -0,644** -3,677 -0,507** -3,239

distanza MEP- EPG (pro/anti UE) -0,058 -0,368 -0,249 -1,587

bureau -0,002 -0,016

reports 0,065 0,542

età MEP -0,201 -1,681

esperienza PE 0,079 0,659

partito al governo 0,072 0,550

grandezza PN -0,332* -2,244

attendance 0,456** 3,351

adjusted R2 0,601 0,434

Note: N= 41; variabile dipendente: percentuale di volte in cui ciascun MEP ha votato seguendo la linea politica del gruppo; *** p ≤ .001; ** p ≤ .005; * p ≤ .05.

5. Il processo politico come spiegazione della coesione.

Il modello esplicativo che abbiamo preso in considerazione nel paragrafo precedente spiega

all’incirca il 60% della variazione al suo interno. Cosa può aiutarci a comprendere il restante

40%? Esistono altre possibili spiegazioni al fenomeno della coesione all’interno del PE? Una

possibile strada potrebbe essere quella di considerare l’aspetto processuale della poitica a livello

europeo e in particolare la dialettica tra PE, Commissione e Consiglio Europeo.

L’idea alla base di questa strategia di ricerca parte dalla constatazione che uno dei limiti

(riconosciuti) delle analisi statistiche è che tralasciano, per forza di cose, gli aspetti dinamici dei

fenomeni oggetto di studio (Peters 2001). Nel caso specifico della coesione a livello

sovranazionale le analisi statistiche che abbiamo condotto in precedenza e che sono state svolte

in modo simile da altre ricerche (Hix et al. 2007; Kreppel 2002; Faas 2003), tendono a prendere

in considerazione gli aspetti strutturali degli attori e dei contesti in cui agiscono (ad esempio

l’età dei MEPs, la loro esperienza all’interno del PE, la distanza ideologica, le istituzioni

elettorali), tralasciando l’aspetto processuale che, sicuramente è influenzato dalla struttura, ma

che non si esaurisce concettualmente ed empiricamente in esso. A nostro avviso è proprio nel

processo politico interno al PE che si possono rintracciare due fattori che sono in grado di

aiutarci nel comprendere i livelli di coesione raggiunti dal gruppo della GUE/NGL: la natura

18

niche del gruppo e in secondo luogo la sua natura di agenda-taker. Vediamo meglio questi

concetti.

I niche party sono quei partiti che presentano un’ideologia estremista, come i partiti

comunisti o i partiti delle destra nazionalista, oppure di «nicchia non centrista» come i partiti

verdi ed ecologisti (Adams et al. 2006)13. I partiti di nicchia, rispetto ai partiti mainstream,

hanno maggiori vantaggi a non modificare le proprie posizioni ideologiche e, soprattutto, hanno

maggiori perdite in termini di voti se tendono a moderare le proprie posizioni. Gli attivisti e gli

elettori dei partiti di nicchia sono maggiormente ideologizzati e policy oriented rispetto a quelli

dei partiti mainstream aumentando, di conseguenza, i costi in termini di voti per questi partiti

nel caso di un allontanamento dalla posizione ideologica originaria. In tale prospettiva, la

nicchia cui si fa riferimento è frutto della strategia competitiva che i nuovi partiti in questione

adottano nei confronti dei partiti established e soprattutto della reazione che questi ultimi

pongono in essere. Alla stregua dei partiti mono- issue, il partito di nicchia da enfasi a poche e

nuove issues e ne trae una collocazione spaziale che nell’interazione con la risposta dei partiti

sfidanti può assicurargli un significativo vantaggio competitivo. Pertanto, i partiti di nicchia

sono maggiormente avversi al cambiamento e, soprattutto, alla moderazione dei propri

orientamenti ideologici.

A livello sovranazionale è possibile riscontrare una competizione e uno scontro dialettico

tra partiti mainstream e di governo da un lato e partiti di nicchia e di opposizione dall’altro. I

primi confluiscono prevalentemente nel PSE, nel PPE e nell’ELDR e sono partiti che per la

maggior parte fanno parte dei governi nazionali e in quanto tali compongono il Consiglio

Europeo e nominano i commissari europei; mentre i secondi confluiscono nei gruppi comunista

e regionalista e assumono una funzione di opposizione interna al PE e più in generale al

processo decisionale europeo. Pertanto, anche a livello europeo è possibile fare una distinzione

tra gruppi mainstream e di nicchia. I niche groups, in particolare, tenderanno a estremizzare la

propria posizione ideologica e il proprio atteggiamento di dissenso nei confronti dei partiti

principali al fine di mantenere la propria natura di opposizione e la propria impostazione

ideologica. I mainstream groups, invece, assumeranno una posizione nello spazio politico

13 Meguid (2005) ha definito i niche party sulla base di tre caratteristiche distintive: a) i partiti di nicchia non

seguono la tradizionale dimensione di classe, ma piuttosto tendono a politicizzare questioni che prima erano fuori dalla competizione partitica; b) le issues perseguite dai niche party non solo non coincidono con le tradizionali dimensioni del conflitto ma sono trasversali a queste; c) i niche party perseguono un limitato range di policies, non presentano dei manifesti programmatici ampi e generali ma piuttosto settoriali e limitati nelle issues poste in rilievo. Meguid, diversamente da Adams et al. (2006), tende quindi a escludere dai partiti di nicchia i partiti comunisti. A nostro avviso sembra corretto, anche da un punto di vista storico, considerare i partiti comunisti a tutti gli effetti come dei partiti di nicchia. Questa nostra convinzione si basa su quanto emerso dal dibattito tra Mair e Panebianco (1979) sulla natura settaria dei partiti comunisti dell’epoca.

19

tendenzialmente centrista e più vicina ideologicamente alle posizioni assunte dal Consiglio e

dalla Commissione

Il gruppo della GUE/NGL, come abbiamo visto nel capitolo precedente, è composto in

parte da partiti con una impostazione ideologica prevalentemente radicale (partiti comunisti e

post- comunisti) e, in parte, da partiti verdi ecologisti ex- comunisti (sottogruppo della Sinistra

Verde Nordica- NGL). Questi partiti tanto a livello nazionale quanto a livello sovranazionale

assumono una posizione di opposizione nei confronti dei governi nazionali e delle strategie

politiche da essi implementati. Questo comportamento produce loro dei benefici in termini di

voti o, quanto meno, un mantenimento dei consensi. Allo stesso tempo la natura reattiva del

Parlamento Europeo rispetto agli inputs provenienti dalla Commissione Europea e dal Consiglio

Europeo, prevalentemente composti da partiti mainstream, spinge i gruppi di nicchia verso un

atteggiamento di opposizione nei confronti delle proposte di direttiva avanzate dalle altre due

istituzioni comunitarie coinvolte nel processo legislativo. I partiti che compongono la

GUE/NGL sfruttano questa loro posizione a livello europeo per proseguire la loro strategia di

opposizione a livello nazionale e più in generale contro l’impostazione neoliberista e

monetarista assunta dall’Unione Europea e guidata dai partiti mainstream.

La posizione di nicchia che definisce il gruppo della GUE/NGL si caratterizza per una

diversa combinazione di due fattori: il carattere ideologico- identitario e le opportunità

competitive. Questa doppia faccia consente ai partiti interni al gruppo di coltivare la propria

autonomia politica, culturale e organizzativa e allo stesso tempo di manifestare una lealtà nei

confronti del gruppo parlamentare europeo. Il funzionamento e i vantaggi dei partiti in quanto

organizzazioni sono legati entrambi alle risorse costitutive la nicchia: la risorsa ideologica è un

importante veicolo elettorale, mentre l’appartenenza al gruppo parlamentare garantisce accesso

a spoglie istituzionali.

Non solo, questi gruppi possono essere considerati come «agenda-taker» rispetto ai gruppi

mainstream poiché, da un lato, sono composti da partiti ed esponenti politici che difficilmente

fanno parte di coalizioni di governo a livello nazionale (nel caso della GUE/NGL ad esempio

nella legislatura oggetto di analisi solo RC e l’AKEL erano partiti di governo14) e, in quanto tali,

non hanno esponenti nella Commissione o nel Consiglio Europeo. Dall’altro, in conseguenza

delle loro dimensioni in termini di seggi piuttosto ridotte si vedono assegnati pochi ruoli in

grado di condizionare l’agenda-setting parlamentare, con una conseguente riduzione nella

capacità di influenzare il processo decisionale a proprio vantaggio.

Mettendo assieme queste due caratteristiche del gruppo («niche group» e «agenda-taker»)

è possibile comprendere, a nostro avviso, i livelli di coesione raggiunti dal gruppo. Più nel

14 Nel caso di RC l’esperienza di governo fu limitata ai soli anni 2006- 2008.

20

dettaglio, la GUE/NGL sfrutta le votazioni come mezzo di comunicazione (Castanheira 2004)

delle proprie preferenze ideologiche, prevalentemente in contrasto con quelle espresse dai partiti

principali che compongono la Commissione e il Consiglio15. Le votazioni rappresentano per i

partiti che compongono la GUE/NGL l’occasione per sottolineare la propria diversità ideologica

e valoriale rispetto agli altri gruppi del Parlamento Europeo e soprattutto rispetto alla

Commissione. La natura di agenda-taker favorisce questa tendenza poiché il gruppo reagisce

unitariamente alle proposte che provengono (prevalentemente) da attori politici ideologicamente

distanti e utilizza il canale europeo come strumento di opposizione a livello nazionale.

Hix e Noury (2011) affermano che attraverso il modello spaziale classico («floor agenda

model») è possibile comprendere nel migliore dei modi il comportamento di voto dei

parlamentari inseriti in contesti istituzionali in cui le coalizioni vincenti sono costruite «issue-

by-issue» all’interno dei parlamenti, ossia in sistemi presidenziali con governi di coalizione

(come il caso del PE) e in sistemi parlamentari con governi di minoranza. Seguendo questo

modello teorico, su ciascun voto ogni legislatore ha di fronte a sé due possibili scelte: o votare

per la proposta di legge che modifica lo status quo, oppure mantenere lo status quo. Se la

distanza tra il punto ideale del legislatore e la nuova legge è minore rispetto alla distanza tra il

punto ideale del legislatore e lo status quo allora il parlamentare voterà per la legge, altrimenti

voterà per mantenere lo status quo. Nella figura 2 è rappresentato un esempio che può chiarire le

idee al riguardo.

Figura 2. Floor agenda model con due soli attori.

I punti SQ, A e V costituiscono, rispettivamente, lo status quo, il punto ideale del partito A

(l’agenda-setter) e quello di un «veto-player» V16. L’agenda-setter A proporrà la nuova politica

sq* in modo tale che V la accetti, poiché è equidistante da SQ (|SQ-V| = |V-sq*|), mentre

15 Questi gruppi è più probabile che utilizzino il proprio voto a fini strategici (Piketty 2000) piuttosto che

comunicativi. I gruppi mainstream votando in modo coeso aumentano la propria probabilità di ottenere una maggioranza a loro più favorevole.

16 Si assume che la proposta di legge per passare deve ottenere il consenso di due partiti (A e V). Questa ipotesi si avvicina al contesto europeo poiché una proposta di legge, così come un emendamento, per passare deve ottenere la maggioranza dei consensi all’interno del PE e, poiché, nessun gruppo parlamentare ha la maggioranza assoluta in parlamento, su ciascuna votazione è necessario trovare un accordo tra due o più partiti.

SQ

V SQ*

A SQ**

21

qualsiasi altra opzione a destra di sq* (ad esempio sq**) verrebbe rigettata da V poiché |SQ-V|<|

V-sq**|. Sq* costituisce quindi il compromesso che meglio soddisfa sia A (che si vede avvicinare

lo status quo verso il proprio punto ideale) che V (che non vede peggiorare la propria

condizione di partenza17).

Cosa succede se inseriamo nel nostro modello un nuovo attore (B) alla destra di A (vedi

figure 3a e 3b)?

Nel primo caso, l’attore A (l’agenda-setter) può decidere (mantenendo l’assunto che sia

sufficiente una maggioranza di due voti su tre) o di coalizzarsi con V o con B, però se decide di

coalizzarsi con V potrà al massimo spostare lo status quo fino a SQ*, ossia nel punto in cui |V -

SQ| = |V - SQ*|. Se invece si coalizza con B può spingere lo status quo fino al proprio punto

ideale (A;SQ**) poiché la distanza |B - SQ| > |B - SQ**|. Data la posizione di A (attore pivotale

nello spazio politico rappresentato) e la sua natura di agenda-setter, la situazione non cambia se

modifichiamo la posizione di partenza dello status quo (figura 4.4b). Anche in questo caso

l’attore A è in grado di spostare lo status quo fino al suo punto ideale se si coalizza con B.

Figura 4.4a. Floor agenda model con tre attori.

Figura 4.4b. Floor agenda model con tre attori.

17 Un altro assunto del modello è che i giocatori preferiscono un nuovo status quo a quello precedente anche se in

termini euclidei risultano indifferenti l’uno all’altro.

SQ

V SQ*

A SQ**

B

SQ

V SQ*

A SQ**

B

22

Cerchiamo ora di declinare nel nostro caso concreto il modello appena esposto.

Innanzitutto, il gruppo della GUE/NGL, come si può vedere dalla figura 4 occupa una posizione

nello spazio politico all’interno del PE all’estrema sinistra, quindi difficilmente la proposta di

modifica dello status quo sarà sufficientemente vicina al suo punto ideale. Se prendiamo come

riferimento il modello presentato nelle figure 2 e 3 è probabile che le proposte di modifica allo

status quo siano collocate a destra di SQ poiché l’agenda-setter A (la Commissione) è composto

da partiti (prevalentemente) centristi appartenenti al PPE, al PSE e all’ALDE (i MEPs cerchiati

in figura). La GUE/NGL (V), per contro, preferirà mantenere lo status quo. Non solo, anche

nelle procedure di emendamento le proposte avanzate dovranno collocarsi intorno al punto

mediano del parlamento in quanto dovranno essere accettate dalla Commissione e dal Consiglio

(Hix 2005; Tsebelis 2002), posizionando ancora una volta il nuovo status quo lontano dal punto

ideale della GUE/NGL. Come conseguenza, i partiti e i membri che compongono la GUE/NGL

saranno spinti a votare in modo unito contro le proposte provenienti dai partiti mainstream.

Figura 4. Posizione dei MEPs, Parlamento Europeo (2004-2009).

Note: i punti in figura corrispondono alla posizione dei MEPs su ciascuna delle due dimensioni principali all’interno del Parlamento Europeo calcolata attraverso il metodo W-NOMINATE. Per una descrizione del metodo e delle sue possibili applicazioni si rimanda a Hix et al. (2007 e 2009) e alla letteratura ivi citata. Fonte: Hix et al. (2009).

GUE/NGL

governo

23

Due sono le possibili prove (sebbene non definitive) a sostegno del nostro modello: da un lato la

frequenza con cui il gruppo della GUE/NGL vota insieme agli altri gruppi ideologicamente

vicini (tabella 3); dall’altro, la frequenza con cui il gruppo si trova in maggioranza all’interno

del PE (figura 5). Nel primo caso, si può vedere come il gruppo tenda a votare più spesso in

«coalizione» con i gruppi che gli sono più vicini ideologicamente, a testimonianza di una

dinamica di coalizione basata prevalentemente sulla dimensione «sinistra-destra» e in sintonia

con il «floor agenda model». Nel secondo caso, invece, i partiti centristi tendono a trovarsi in

maggioranza un numero di volte superiore a quelli più defilati ideologicamente, come la

GUE/NGL.

Tabella 3. Frequenza di voto con altri gruppi della GUE/NGL (2004-2009).

Vota con N %

V/ALE 4553 74,04

PSE 3813 62,01

ALDE 3169 51,54

UEN 2781 45,23

PPE 2543 42,36

IND/DEM 2515 40,90

Note: N (totale) = 6149; i gruppi politici sono ordinati in base alla loro collocazione sulla dimensione «sinistra-destra» calcolata in base alla media ponderata (rispetto alla grandezza in termini di seggi al PE) delle posizioni dei partiti nazionali che compongono il gruppo. Fonte: per le frequenze di voto vedi http://www.votewatch.eu; per le posizioni dei partiti nazionali vedi Budge et al. (2006).

Figura 5. Numero di volte in cui ciascun gruppo è in maggioranza.

0

20

40

60

80

100

GUE/NGL V/ALE PSE ALDE UEN PPE IND/DEM

Note e fonti: vedi tabella 3.

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6. Conclusioni.

L’analisi condotta in questo capitolo ci ha permesso di comprendere più a fondo quelli che

possiamo definire come «giochi verticali» all’interno dei gruppi parlamentari a livello europeo e

che vedono come attori principali le delegazioni partitiche nazionali e il gruppo parlamentare. In

particolare, ci si è concentrati sul comportamento dei MEPs e si è cercato di spiegare come sia

possibile che un gruppo come quello della GUE/NGL, in cui è assente una coalizione dominante

in grado di disciplinare il comportamento dei propri MEPs, possa raggiungere dei livelli di

coesione così elevati.

Nella letteratura tradizionale sulla disciplina di partito sono diversi i fattori che sono stati

individuati come possibili variabili esplicative: le istituzioni esterne, le istituzioni interne, la

reiterazione del voto e l’affinità ideologica. Le teorie che utilizzano come variabile esplicativa le

istituzioni esterne affermano che la disciplina di partito può essere spiegata dalla natura

istituzionale del sistema politico preso in considerazione. In particolare, queste teorie rilevano

che nei sistemi parlamentari a fusione dei poteri i partiti in parlamento hanno una tendenza

maggiore, rispetto ai loro omologhi nei sistemi presidenziali a separazione dei poterei, a votare

in modo coeso poiché è dalla loro fiducia che dipende il mantenimento in carica del governo.

Altre istituzioni esterne che possono influire positivamente sulla disciplina interna dei partiti

sono state individuate nei sistemi elettorali: i sistemi con voto di lista (proporzionali) in cui le

candidature e la posizione all’interno delle liste elettorali sono attribuite dalle leadership

partitiche tendono a sviluppare delle strutture di lealtà maggiori rispetto ai sistemi maggioritari

in cui la lealtà principale del candidato è nei confronti del proprio elettorato/ collegio.

Le teorie che utilizzano, invece, come variabile esplicativa le istituzioni interne

individuano nella distribuzione delle cariche e nel potere di agenda le cause principali della

disciplina di partito. Nel primo caso, i partiti possono favorire la coesione interna attraverso un

sistema di incentivi selettivi materiali18 costituiti prevalentemente dalle cariche interne al partito

o all’interno del parlamento. I partiti tenderanno a posizionare nelle cariche politicamente più

rilevanti i membri più fedeli e leali alla linea di partito e, allo stesso tempo, saranno propensi a

punire i membri che invece dalla linea di condotta indicata dal partito. Nel secondo caso, invece,

i partiti sono in grado di aumentare la propria coesione interna se sono in grado di controllare

l’agenda- setting all’interno del parlamento. In questo caso, il partito o la coalizione di partiti

che controlla l’agenda del parlamento è in grado di evitare che vengano votate delle proposte di

legge o degli emendamenti che possono dividere il partito o la coalizione. Queste teorie

considerano la coesione come un esito a cui il partito giunge attraverso una serie di incentivi

18 Per una teoria degli incentivi all’interno dei partiti vedi Lange (1977) e Panebianco (1982; 1989).

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selettivi e di vincoli comportamentali che è in grado di porre, pena la frammentazione del partito

stesso.

Il terzo tipo di teorie individua, invece, la coesione come un risultato non indotto ma frutto

dell’affinità ideologica oppure della reiterazione di voto. Secondo la prima prospettiva i membri

di partiti ideologicamente affini voterebbero in modo unitario anche in assenza di incentivi

selettivi materiali, quindi anche in assenza di un partito in grado di punire o premiare i più leali.

I membri di un partito ideologicamente coeso, in altre parole, votano in blocco poiché

condividono il giudizio sulla policy in discussione. Nel secondo caso, invece è la reiterazione di

voto a spingere verso una maggiore coesione essendo possibile il verificarsi di una condizione

di tipo “tit- for tat”.

Questi modelli teorici non sono in grado di aiutarci a spiegare in toto il comportamento dei

MEPs e più nello specifico dei membri della GUE/NGL. Infatti, mentre alcune teorie non sono

applicabili in generale al sistema politico dell’Unione Europea - l’UE è un sistema a separazione

dei poteri in cui l’esecutivo (la Commissione) non dipende dalla fiducia del legislativo

(Parlamento Europeo); il sistema di selezione dei candidati per le elezioni europee è demandato

in via esclusiva ai partiti nazionali e nessun partito o coalizione di partiti controlla l’agenda-

setting –; altre, non sono applicabili nel caso specifico della GUE/NGL – la distribuzione delle

cariche all’interno del gruppo e del Parlamento Europeo è a carico dei partiti nazionali, poiché

all’interno del gruppo dell’estrema sinistra non è presente una colazione dominante in grado di

controllare ed eventualmente punire i MEPs che defezionano. Quindi ciò che spinge i MEPs

della GUE/NGL a votare in modo coeso è da ricercarsi in altre motivazioni.

Dall’analisi empirica condotta sono due le teorie che reggono alla prova dei fatti e sono la

reiterazione di voto e l’affinità ideologica. Non solo, a livello europeo sembra manifestarsi una

dialettica tra partiti mainstream e niche party che fa sì che quest’ultimi si trovino in posizione

minoritaria e marginale rispetto ai partiti principali non solo all’interno del PE ma anche in

Commissione e nel Consiglio Europeo (spesso – ed è il caso della GUE/NGL – non fanno parte

nemmeno di questi organi). Le proposte avanzate dalla Commissione oppure le proporste di

modifica devono essere tendenzialmente centriste, quindi ideologicamente distanti rispetto ai

partiti della sinistra radicale, rendendole poco appetibili e auspicabili per questi partiti. Da

questo quadro emerge una condizione per cui i partit che compongono il gruppo della

GUE/NGL pur essendo non molto affini dal punto di vista ideologico, come abbiamo visto in

precedenze, sono comunque più vicini rispetto a quanto non lo possano essere rispetto a partiti

centristi, di ispirazione cattolica o peggio di destra.

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