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DISCIPLINA E COMPORTAMENTO DI VOTO DEI MEPs. IL CASO DELLA GUE/NGL.
Panel «Rappresentanza e partiti nell’Unione Europea»
Fabio Sozzi Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali - Università di Genova
[email protected] Abstract. Secondo alcuni autori (Hix et al. 2007; Lindberg 2008) la coesione di voto dei gruppi parlamentari al PE può essere spiegata attraverso la loro capacità di disciplinare il comportamento di voto dei propri MEPs per mezzo di incentivi positivi (distribuzione di cariche) e negativi (revoca delle cariche). Obiettivo di questo paper è capire se questa spiegazione possa essere applicata anche ad un gruppo parlamentare come quello della GUE/NGL caratterizzato da una struttura organizzativa di tipo confederale che, in quanto tale, non presuppone una «coalizione dominante» in grado di sanzionare i MEPs devianti ovvero premiare quelli virtuosi. A tal fine verranno testate empiricamente sul caso specifico della GUE/NGL diverse teorie sul comportamento di voto dei parlamentari cercando di individuare quella che possa spiegare meglio gli elevati livelli di coesione raggiunti dal gruppo oggetto di esame.
2
Introduzione.
Lo studio sul comportamento di voto all’interno del Parlamento Europeo (PE), a partire dal
lavoro pionieristico di Attinà (1990), si è sviluppato come uno degli strumenti metodologici più
utilizzati per indagare il grado di sviluppo e di istituzionalizzazione raggiunto dai partiti europei
(Bardi 1994; Hix e Lord 1997; Raunio 1997; Hix 2002; Kreppel 2002; Faas 2003; Hix et al.
2007), sebbene questa particolare tecnica di ricerca presenti alcuni problemi sia di carattere
teorico che metodologico (Carrubba et al. 2006, 2008; Hug 2010).
Nel PE le votazioni avvengono con tre modalità diverse: alzata di mano, in cui il
Presidente si limita ad osservare quale opzione ha ottenuto la maggioranza (si, no o astenuti),
voto elettronico, in cui la conta dei voti avviene attraverso un sistema elettronico che però non
registra le modalità di voto di ciascun MEPs e, infine, i c.d. «roll-call votes» (RCVs), dove il
voto di ciascun MEPs è registrato e reso pubblico. Il regolamento del PE prevede come sistema
di voto classico l’alzata di mano, ma se richiesto da almeno 37 MEPs o da un gruppo
parlamentare si procede al roll-call (art. 160, PE). Nel complesso, solo un terzo delle votazioni
al PE sono roll-call. Il loro utilizzo limitato e strategico da parte dei gruppi parlamentari li rende
uno strumento analitico dalle limitate capacità euristiche, in quanto non costituisce un campione
rappresentativo dell’universo delle votazioni. Inoltre, i gruppi è presumibile che utilizzino i
RCVs, da un lato, come strumento di disciplina interna sfruttando il possibile «effetto
pubblicità» prodotto dalla registrazione delle votazione e, dall’altro, per evidenziare la divisione
degli altri gruppi oppure per rimarcare le differenti posizioni dei vari gruppi1. Queste limitazioni
possono produrre un «selection bias» facendoci osservare un comportamento da parte dei MEPs
che non è rappresentativo del loro comportamento generale. In altre parole, i gruppi
parlamentari sarebbero in realtà molto meno coesi di quanto non appaiano dallo studio dei
RCVs.
L’analisi dei roll-call resta, comunque, uno degli strumenti principali a nostra disposizione
per comprendere il comportamento dei MEPs e attraverso cui indagare le linee evolutive dei
partiti europei. Anche ammettendo che i RCVs sovrastimino la coesione effettiva dei gruppi
parlamentari, questi sono utilizzati nelle questioni politiche di maggiore rilevanza2. Di
conseguenza, per quale motivo i MEPs dovrebbero seguire una linea politica diversa da quella
preferita su questioni importanti che avranno, probabilmente, una risonanza maggiore nei
rispettivi paesi e tra i loro elettori? Quindi il metodo di analisi dei RCVs, se utilizzato con le
dovute precauzioni metodologiche e consapevoli dei limiti euristici, può rilevarsi molto utile per
comprendere il gioco delle lealtà all’interno dei gruppi parlamentari europei.
1 In particolare, come suggerisce Kreppel (2002), quest’ultima strategia è spesso utilizzata dal gruppo dei
liberaldemocratici al fine di manifestare – polemicamente – la collusione tra socialisti e popolari. 2 Il numero dei RCVs è andato crescendo dalla prima legislatura (886) alla quinta (5265).
3
Obiettivo di questo lavoro è quello di individuare i fattori che favoriscono il voto in blocco
da parte dei MEPs della Sinistra Europea Unitaria/ Sinistra Verde Nordica (GUE/NGL)
nonostante alcuni ostacoli che, come vedremo, dovrebbero spingere verso una maggiore
divisione interna. La scelta del gruppo della sinistra radicale a livello europeo è dettata da due
fattori distinti: il primo, riguarda un vulnus interno alla letteratura politologica al riguardo,
infatti le indagini che riguardano in modo specifico questo gruppo politico (o uno dei suoi
“antenati”) sono molto limitate e, soprattutto, non è mai stato condotto alcun studio specifico sul
comportamento di voto dei loro membri (quasi tutte le ricerche riguardano o tutti i gruppi
presenti al PE ovvero PPE, PSE e, in alcuni casi, l’ALDE); in secondo luogo, il gruppo della
GUE/NGL presenta alcune caratteristiche organizzative particolari che la rendono un
interessante test per le teorie prevalenti sul comportamento di voto. Infatti, il gruppo della
GUE/NGL per sua stessa ammissione nella “Dichiarazione Costitutiva” del 1994 è un gruppo
“confederale” e in quanto tale non presenta una leadership forte, coesa e in grado di sanzionare
eventuali comportamenti devianti rispetto alla linea di partito. Inoltre, al suo interno convivono
realtà politiche e culturali piuttosto differenti tra di loro che rendono maggiormente complesso il
raggiungimento di un accordo.
Uno dei vantaggi legati all’analisi dei casi studio è sicuramente quello di poter testare più
nello specifico la validità delle teorie più generali e di precisare e articolare alcune
generalizzazioni promosse dalla letteratura (Lijphart 1985; Peters 2001). Di conseguenza,
appare interessante verificare la capacità esplicativa di alcune teorie piuttosto diffuse in
letteratura soprattutto in conseguenza del fatto che, come abbiamo già accennato e vedremo
meglio successivamente, il gruppo della GUE/NGL sembra essere un «caso deviante» rispetto
alle aspettative consolidate.
Il paper è articolato in 5 parti. Le prime tre sono prevalentemente di carattere teorico e
seguono una logica espositiva che potremmo definire a “imbuto”. Nella prima parte verranno
presentte le principali teorie e prospettive di analisi attraverso le quali si è tentato di spiegare il
fenomeno della coesione di voto nei parlamenti nazionali. Nella seconda parte, si cercherà di
applicare se queste teorie sono applicabili al caso specifico del Parlamento Europeo e dei gruppi
in esso presenti. Infine, cercheremo di testare prima logicamente (sezione 3) e poi
empirircamente (sezione 4) se queste teorie sono applicabili al caso concreto della GUE/NGL.
Nella quinta e ultima parte verrà proposta una spiegazione alternativa che attiente
prevalentemente agli aspetti processuali della politica a livello europeo.
4
1. Le teorie sulla disciplina partitica.
In letteratura sono state individuati due diversi meccanismi logici che producono coesione di
voto nei partiti all’interno dei parlamenti. Il primo considera la coesione il risultato di un’azione
da parte della leadership del partito; il secondo, invece, vede la capacità da parte dei partiti a
votare in blocco come un moto spontaneo, o per meglio dire, non necessariamente indotto. Nella
tabella 1 sono riassunte le diverse prospettive teoriche con le relative variabili indipendenti
utilizzate per spiegare la coesione di voto dei parlamentari (variabile dipendente)3.
Tabella 1. Modelli esplicativi comportamento di voto.
fattore esplicativo variabile indipendente meccanismo logico variabile dipendente
agenda power sistema partitico istituzioni interne offices' control
sistema elettorale selezione dei candidati
relazioni esecutivo/legislativo
istituzioni esterne
federalismo
disciplina
giochi di cooperazione reiterati reiterazione delle votazioni
preferenze omogeneità ideologica coesione
coesione di voto
Secondo la prima prospettiva teorica i membri di un partito sono spinti a votare in blocco in
seguito a promesse di benefici futuri (ricandidatura) e di incentivi selettivi positivi (cariche
parlamentari, extra-parlamentari, di governo o all’interno del partito), ovvero sulla base di
(possibili) sanzioni immediate e future. In questo caso i parlamentari votano uniti «nonostante il
loro disaccordo» poiché traggono beneficio dal loro comportamento o, quanto meno, non
subiscono delle perdite in termini di potere. Senza la minaccia di possibili sanzioni o la
promessa di benefici futuri, la coesione dei partiti non è così scontata. Quindi, i parlamentari
votano in blocco perché sono «obbligati» e/o «incentivati» a farlo.
In letteratura sono stati individuati due diversi tipi di istituzioni che possono produrre
coesione partitica:
3 Spesso in letteratura i termini «coesione», «disciplina di partito» e «fedeltà di partito» sono utilizzate come
sinonimi anche se come sottolinea Hazan (2003): «se l’obiettivo è l’unità d’azione tra i rappresentanti del partito in parlamento, questo può essere raggiunto attraverso la coesione o la disciplina».
5
a) le istituzioni esterne, ossia la struttura di relazioni tra il palamento e il governo, il
sistema elettorale, il processo di selezione dei candidati e la struttura federale/unitaria (Huber
1996; Shugart e Carey 1992; Cox 1997; Bowler et al. 1999; Tsebelis 2002; Carey 2007);
b) le istituzioni interne e più precisamente la struttura di incentivi interni ad un
parlamento: l’«agenda-control», il sistema partitico e la distribuzione delle cariche all’interno
del Parlamento (Cox e McCubbins 1993, 2005; Damgaard 1995; Giannetti e Benoit 2009). Ma
vediamo più nel dettaglio gli incentivi e i vincoli prodotti da queste istituzioni sul
comportamento di voto dei parlamentari.
Partiamo con le istituzioni esterne. L’assetto istituzionale dei sistemi parlamentari fornisce
maggiori incentivi per la coesione dei partiti rispetto ad un sistema presidenziale. La fusione tra
il potere legislativo e quello esecutivo, tipica dei sistemi parlamentari, lega a doppio mandato la
sopravvivenza del governo alla fiducia di una maggioranza parlamentare. Questa condizione di
interdipendenza fa sì che i partiti che compongono la maggioranza siano tendenzialmente coesi
nel sostenere il governo poiché avrebbero molto da perdere in termini di potere in caso di una
caduta preventiva del governo, sia nel breve periodo – con la perdita di posizioni di governo –
sia nel lungo periodo – con possibili emorragie di voti alle elezioni successive. Al contrario, i
partiti di opposizione hanno tutto da guadagnare da un’azione coesa poiché da un lato
costringono i partiti di governo ad una coesione «forzata» che non sempre è raggiungibile e,
dall’altro, si presentano agli occhi degli elettori come una valida alternativa di governo. Nei
sistemi a separazione dei poteri, invece, il governo e il parlamento non dipendono l’uno
dall’altro, rendendo meno determinante la coesione dei partiti all’interno del parlamento poiché
anche qualora venisse meno la maggioranza parlamentare a sostegno del governo (vedi casi di
«governo diviso» negli USA) quest’ultimo non decade e può continuare ad esercitare il proprio
mandato. Inoltre, poiché le elezioni presidenziali e quelle parlamentari non si svolgono
contemporaneamente, la relazione tra le performance dei partiti al governo e la probabilità di
rielezione dei parlamentari è meno diretta rispetto ai sistemi parlamentari laddove, invece, i
giudizi spesso coincidono (Cox 1997).
Anche i sistemi elettorali possono fornire un utile strumento ai partiti al fine di disciplinare
i propri membri (Bowler et al. 1999; Cox 1997; Hix 2004). In particolare, i sistemi
proporzionali a lista chiusa favoriscono la disciplina di partito in quanto le (ri)candidature e
l’ordine di lista sono decise dagli organi dirigenti del partito, i quali possono sanzionare i
membri poco disciplinati e favorire al contrario i più diligenti. Questo tipo di sistema elettorale
spinge, di conseguenza, i parlamentari a seguire «fedelmente» la linea politica del partito non
avendo alcun incentivo e beneficio futuro dal distinguersi rispetto ai propri colleghi di partito. I
sistemi maggioritari incentrati sul voto alla persona e non al partito oppure i sistemi
6
proporzionali con liste aperte, invece, riducono la capacità da parte dei partiti di «serrare le fila»
poiché creano un legame diretto tra il parlamentare e la constituency, bypassando il partito. In
questo contesto, il deputato può avere il vantaggio a distinguersi dagli altri membri del partito
qualora pensasse di ottenere maggiori benefici in termini elettorali alle elezioni successive.
La stessa procedura di selezione dei candidati può aumentare o meno il controllo da parte
della leadership di partito sui propri parlamentari: tanto più la selezione dei candidati è
centralizzata tanto più i deputati saranno controllati dal partito, anche in presenza di un sistema
elettorale maggioritario, quindi tanto più tenderanno a votare «fedelmente» (Carey e Shugart
1995; Depauw e Martin 2009)4.
Poiché la struttura organizzativa dei partiti tende a rispecchiare la distribuzione del potere
istituzionale (Panebianco 1982; Hix 1998; Deschouwer 2006), nei sistemi federali sarà il livello
sub-nazionale dei partiti a svolgere un ruolo centrale nella vita politica interna dei partiti, con la
conseguente possibilità di frizioni e divergenze strategiche tra il livello nazionale e quello sub-
nazionale. Nei sistemi federali aumentano quindi le probabilità di una defezione da parte dei
parlamentari essendo questi controllati da due «principali»: il partito a livello nazionale e quello
a livello sub-nazionale (Carey 2007).
Gli assetti istituzionali interni che favoriscono una disciplina di partito riguardano
prevalentemente la possibilità da parte dei partiti di assegnare oppure rimuovere importanti
cariche all’interno del parlamento (Presidente, vice- Presidente del parlamento o di
commissione) (Damgaard 1995; Cox e McCubbins 1993, 2005). La coalizione dominante in
questo caso dispone di uno strumento efficace di controllo sia ex- ante, poiché può posizionare i
seguaci più fedeli nei posti di maggiore rilevanza, sia ex- post poiché ha la possibilità di
rimuovere dagli incarichi coloro i quali non si sono dimostrati sufficientemente leali nei
confronti della leadership di partito. Di conseguenza, i parlamentari al fine di soddisfare la
propria (legittima) ambizione politica tendono a seguire la linea di partito, aspettandosi in
cambio cariche istituzionali di maggior rilievo. In altre parole, i parlamentari votano in blocco
perché sono obbligati a farlo, se non vogliono perdere cariche di prestigio o se, al contrario, vi
ambiscono.
Più recentemente, Cox e McCubbins (2005) hanno proposto una teoria sui partiti politici
basata sul concetto di «negative agenda- power». Sebbene questa teoria non rivolga la propria
attenzione direttamente alla coesione dei partiti è possibile considerare il potere di agenda
interno al parlamento come uno strumento nelle mani dei partiti per disciplinare il
comportamento dei propri membri. Seguendo questa prospettiva teorica, se una questione
4 Shomer (2011) utilizza una «teoria integrata» degli effetti dei sistemi elettorali e di selezione dei candidati,
anziché utilizzare le due variabili in modo distinto e complementare.
7
politica è in grado di lacerare il partito che detiene il «potere di agenda», questo ha la possibilità
di evitare che tale issue venga posta all’ordine del giorno e quindi di evitare una votazione in
grado di manifestarne la divisione interna, garantendo al partito (o alla coalizione di partiti) una
maggiore coesione.
Una terza prospettiva teorica individua nel livello di competitività e di polarizzazione del
sistema partitico due fattori che possono aiutarci a spiegare il livello di coesione dei partiti.
Golembiewski (1958) affermava che «la coesione partitica è una funzione diretta del grado di
competizione tra i partiti politici»: ovvero tanto più i partiti sono in competizione uno con
l’altro, tanto più tendono a votare in modo coeso al loro interno. Secondo questa prospettiva di
studi la non-competitività del sistema partitico riduce i costi legati alla defezione da parte dei
parlamentari (soprattutto di quelli al governo) favorendo il «free-riding» (Giannetti e Benoit
2009). Non solo, a partire da Epstein (1967), alcuni studi hanno cercato di mettere in relazione
la distanza ideologica tra i partiti (la loro polarizzazione) con il livello di coesione nel
comportamento di voto: tanto più diminuisce la distanza ideologica tra i vari partiti, tanto più la
probabilità di defezione da parte di un parlamentare aumenterà. La teoria che spiega questa
evidenza empirica è legata a una visione euclidea della politica: i potenziali «traditori» avranno
costi crescenti legati alla defezione se la distanza dal potenziale «nuovo partito» aumenta in
termini ideologici. Una maggiore polarizzazione del sistema tende quindi ad aumentare i costi
della defezione e quindi favorisce la coesione dei partiti.
Il secondo paradigma individua come variabile esplicativa l’affinità ideologica (Krehbiel
1993; Kreppel 2002). Krehbiel in particolare critica la letteratura precedente che cerca di
misurare la capacità da parte dei partiti di influenzare il comportamento legislativo dei propri
membri attraverso l’analisi della coesione di voto. Secondo Krehbiel la disciplina è un elemento
necessario ma non sufficiente, infatti i deputati potrebbero votare in blocco perché condividono
la linea politica espressa dal partito e non perché hanno paura di una possibile sanzione o perché
ambiscono ad una carica pubblica di prestigio (Krehbiel 1998). In altre parole, il partito non
conta da un punto di vista organizzativo e disciplinare perché fornisce un contenitore «non
vuoto» al cui interno si concentrano attori che condividono una stessa impostazione ideologica e
valoriale. In un tale contesto i membri del partito sono portati a votare in blocco spontaneamente
senza che vi sia la necessità di un incentivo alla cooperazione: votano in modo simile perché
hanno posizioni ideologiche e valoriali simili, ossia voterebbero allo stesso modo anche se non
fossero parte di una organizzazione partitica. In altre parole, votano allo stesso modo perché
credono sia «giusto» farlo.
Una seconda linea teorica che non fa ricorso alla disciplina partitica e che ci può aiutare a
capire il comportamento dei membri di un partito deriva dalla teoria dei giochi e in particolare
8
dai «giochi di cooperazione reiterati» (Axelrod 1984; Hardin 1982; Aldrich e Rohde 2001).
Questa particolare linea teorica si basa sui benefici che i membri di un partito, anche in assenza
di un leadership forte, possono ricavare da una cooperazione reiterata nel tempo («costo-
opportunità»). L’aspettativa di interagire nuovamente nel futuro modifica la logica strategica
della situazione dal momento che gli altri attori devono tener conto degli effetti a lungo termine
delle loro scelte. Inoltre, la natura sequenziale della relazione implica che essi possano adottare
strategie contingenti, che dipendono cioè dal comportamento che ha caratterizzato le precedenti
tornate del gioco. La teoria dei giochi ripetuti ha individuato due diverse strategie che possono
condurre a una «cooperazione condizionale»: la strategia «tit-for-tat» e «grim trigger»
(Giannetti 2002). In base alla prima strategia un attore coopera nella prima tornata e in quelle
successive replica con una mossa identica a quella dell’altro attore, cioè coopera finché l’altro
coopera e risponde con la defezione se l’altro defeziona. Nel secondo tipo di strategia l’attore
risponde alla defezione con la defezione in tutte le tornate future del gioco, cioè induce la
cooperazione con la minaccia di ritorsione perpetua. In questo caso i membri di un partito
votano in blocco perché gli conviene farlo (almeno nel lungo periodo).
2.La disciplina di partito nel Parlamento Europeo.
Fin qui abbiamo ripercorso a grandi linee la letteratura sulla disciplina di partito all’interno
dei parlamenti. Ora focalizzeremo la nostra analisi sui gruppi al PE, cercando di capire se e in
quale misura le teorie precedenti siano applicabili al contesto europeo e, soprattutto, se possano
aiutarci a comprendere il comportamento di voto dei MEPs.
L’Unione Europea ha le caratteristiche di un sistema federale a separazione dei poteri (Hix
1998; Hix et al. 2007; Fabbrini 2008) in cui l’esecutivo (la Commissione) non dipende dal
sostegno di una maggioranza parlamentare e non può porre, come ad esempio nel caso italiano,
la fiducia su una questione politica che ritiene centrale nell’indirizzo politico da esso adottato.
Non può neppure sciogliere anticipatamente il parlamento, come avviene nel sistema inglese.
All’opposto, il Parlamento Europeo ha la possibilità de jure di votare una mozione di sfiducia
nei confronti della Commissione ma è prevista una doppia maggioranza (2/3 dei voti espressi e
maggioranza assoluta del plenum) che de facto rende molto difficile lo scioglimento anticipato
dell’esecutivo5. Nemmeno i sistemi elettorali e le procedure di selezione dei candidati
favoriscono la disciplina di partito, nonostante siano adottati sistemi di lista. Infatti, le
candidature sono stabilite dai partiti nazionali rendendo nulla la capacità dei gruppi di
incentivare la coesione attraverso questo strumento (Hix 2004). Anzi, la struttura delle
5 Hix (2004) paragona la mozione di sfiducia nei confronti della Commissione alla procedura di impeachment nei
confronti del Presidente negli Stati Uniti.
9
opportunità fornisce maggiori incentivi ai partiti nazionali, piuttosto che ai gruppi parlamentari,
riducendo la capacità disciplinatoria di quest’ultimi. Inoltre, il voto espresso dai cittadini alle
elezioni europee non si basa sul giudizio inerente l’attività dei partiti e dei MEPs a livello
sovranazionale ma esprime, piuttosto, un giudizio nei confronti dell’operato dei governi
nazionali. In conclusione, la capacità dei gruppi parlamentari di disciplinare i propri membri
non deriva dal sistema istituzionale esterno.
Gli incentivi istituzionali interni rappresentano l’unico strumento utile per i gruppi
parlamentari al fine di disciplinare i propri membri (McElroy 2006; Hix et al. 2007; Lindberg
2008). Da un lato, come abbiamo visto nel primo capitolo, la distribuzione delle principali
cariche all’interno del PE è nelle mani dei gruppi parlamentari, i quali si vedono attribuiti gli
incarichi in proporzione alla loro grandezza: spetteranno ai MEPs più fedeli gli incarichi
principali (meccanismo ex-ante) (Lindberg 2008). Inoltre, essendovi una rotazione dei posti alla
metà di ogni legislatura, i gruppi hanno la possibilità di sanzionare i membri «ribelli»,
declassandoli nelle cariche ricoperte oppure non assegnando loro incarichi direttivi, ovvero
premiare i MEPs più disciplinati (meccanismo ex-post)(McElroy 2006; Lindberg 2008).
La letteratura però non appare concorde sulle conclusioni a cui sono giunte queste analisi.
Kreppel (2002), ad esempio, attraverso uno studio sulla capacità effettiva da parte del PPE e del
PSE di disciplinare il comportamento dei propri membri attraverso il controllo sulla selezione
dei Presidenti di Commissione e dei rapporteur ha notato come i MEPs a cui erano stati affidati
tali incarichi non mostravano una lealtà nel comportamento di voto maggiore rispetto alla media
del gruppo6. Kreppel, pertanto, conclude che la coesione dei gruppi parlamentari è da spiegarsi
attraverso l’affinità ideologica dei membri che li compongono.
In parte queste conclusioni sono state confermate, seppur indirettamente, da altri studi che
sottolineano la predominanza dell’aspetto ideologico nel comportamento di voto dei MEPs
(Kreppel e Tsebelis 1999; Noury 2002). In media, la dimensione sinistra- destra è in grado di
predire circa il 90% dei voti dei MEPs (Noury 2002, p. 40), mentre la dimensione riguardante
l’integrazione europea che, come abbiamo visto nel secondo capitolo, divide maggiormente i
partiti all’interno dei gruppi riguarda meno del 10% delle votazioni. Quindi i gruppi
parlamentari essendo ideologicamente affini sull’asse sinistra- destra ed essendo quest’ultima
dimensione la frattura predominante all’interno del PE riescono ad agire come attori unitari.
Abbiamo visto che oltre alla distribuzione delle cariche all’interno del Parlamento Europeo
e dei gruppi parlamentari un altro fattore che potrebbe aiutarci a comprendere la disciplina di
partito a livello europeo è il processo di agenda setting. A livello sovranazionale l’agenda
6 Anche Whitaker (2001) critica questa impostazione poiché dall’indagine che ha condotto sulla distribuzione
delle cariche all’interno delle commissioni è emerso che non sono i gruppi parlamentari ad avere il controllo su questa risorsa organizzativa ma le delegazioni nazionali.
10
setting in ambito legislativo è esterna al Parlamento Europeo, poiché il parlamento non ha
potere di iniziativa ma può solamente emendare i progetti di legge promossi dalla Commissione.
Senza ripercorrere nei dettagli il processo di agenda setting interno al PE sulle proposte
legislative7, esso si può riassumere in 4 passaggi chiave:
1)la Commissione invia una proposta di legge al Consiglio e al Parlamento;
2)la Conferenza dei Presidenti del PE attribuisce l’esame della proposta alla commissione
competente in materia;
3)una volta che la proposta è stata assegnata ad una commissione, questa nomina al proprio
interno un rapporteur che ha il compito di relazionare la commissione e l’aula sugli aspetti
tecnici della proposta di legge e di preparare un report sui possibili emendamenti e sulle loro
motivazioni;
4)dopo che la proposta di legge è stata votata in commissione nella sua versione
modificata, questa viene inviata in plenaria dove è possibile emendarla nuovamente oppure
approvarla in via definitiva.
In sintesi, nessun partito o coalizione di partiti è in grado di controllare in via esclusiva
l’agenda setting all’interno del PE, limitando di conseguenza la capacità da parte dei partiti
europei di incrementare la propria coesione interna. Da un lato, essendo l’iniziativa nelle mani
della Commissione i partiti non possono esimersi dal votare su questioni «ostili» e, dall’altro, la
proposta di emendamenti sia in commissione che in plenaria è libera, lasciando il potere di
agenda disperso tra i diversi gruppi parlamentari. Quindi, sulla base della teoria dell’agenda
setting, i partiti avranno maggiori probabilità di votare in blocco gli emendamenti appoggiati dal
gruppo, considerati «amici», oppure quelli in cui il rapporteur è di un partito ideologicamente
«ostile» (Hix et al. 2007), ma comunque non hanno la possibilità di controllare l’agenda politica
e di conseguenza di eliminare le votazioni potenzialmente disgreganti8.
Infine, Hix et al. (2009) hanno applicato, seppur indirettamente, la logica della reiterazione
dei voti come possibile spiegazione della coesione di voto dei partiti a livello europeo. Secondo
gli autori i partiti nazionali, pur essendo i «principali» dei MEPs, sono sottoposti a forti
incentivi istituzionali che li spingono a cooperare stabilmente con altri partiti ad essi affini
ideologicamente al fine di condividere informazioni (riducendone i costi di raccolta ed
elaborazione), allocare «agenda-setting rights» e influenzare il policy-making. Come
conseguenza, i partiti nazionali possono essere spinti a votare contro le proprie «vere
7 Per un’analisi dettagliata si rimanda a Hix et al. (2007) e Tsebelis (2002). 8 I gruppi parlamentari hanno, comunque, all’interno del PE un potere di agenda autonomo dalle altre istituzioni
per quanto concerne le risoluzioni e i reports. Le prime sono delle indicazioni d’intenti su problemi politici rilevanti (ad esempio la guerra in Iraq o la crisi economica e finanziaria), i secondi sono delle sollecitazioni nei confronti della Commissione a redigere una bozza di direttiva su questioni che il PE ritiene rilevanti.
11
preferenze» su un numero limitato di issues ma, nel complesso, voteranno in modo «sincero»
poiché, innanzitutto, condividono le stesse (simili) preferenze con gli altri partiti del gruppo e,
in secondo luogo, perché hanno maggiori possibilità di veder modificato lo status quo in modo
ad essi favorevole se votano in modo unitario. In altre parole, data la natura reiterata delle
votazioni un partito nazionale, sebbene possa avere un vantaggio competitivo contingente dal
defezionare, rischia di perdere in termini assoluti nel lungo periodo in conseguenza delle
possibili strategie «tit-for-tat» o «grim trigger» implementate dagli altri partiti. quindi, la paura
di future rappresaglie induce alla cooperazione. Secondo gli autori, però, questa «logica della
consequenzialità» può essere applicata solo nel caso in cui il risultato del voto sia scontato, cioè
quando un singolo partito nazionale non è «pivotale».
Riassumendo, in letteratura non è possibile riscontrare un mainstream per quanto riguarda
le possibili spiegazioni sulla coesione dei gruppi parlamentari europei e, nonostante l’utilizzo di
metodologie sempre più sofisticate, rimane ancora un «oggetto non (del tutto) spiegato».
Dall’analisi condotta in precedenza sembrano essere tre le possibili spiegazioni della coesione di
voto nei partiti europei: la leadership partitica, l’omogeneità ideologica e la reiterazione di voto.
Nel proseguo del capitolo cercheremo di applicare le diverse teorie al caso specifico della
GUE/NGL, cercando di capire che cosa spinga i membri della sinistra radicale a livello europeo
a votare in blocco nonostante tutte le circostanze sembrino ostacolare questa tendenza.
3. La coesione della GUE/NGL.
Abbiamo visto in precedenza che la letteratura sulla coesione ha individuato
essenzialmente tre possibili spiegazioni a tale fenomeno. Il primo gruppo di teorie individua in
una serie di istituzioni esterne la variabile esplicativa, in particolare nei rapporti tra esecutivo e
legislativo e nei sistemi elettorali. Questo tipo di spiegazione non può essere applicata al caso
europeo e, quindi, al caso specifico della GUE/NGL, poiché l’Unione Europea si presenta
simile a un sistema di tipo presidenziale a separazione dei poteri in cui non è necessario il
sostegno parlamentare al governo in carica e la selezione dei candidati è una prerogativa dei
partiti nazionali. I gruppi parlamentari, di conseguenza, non hanno strumenti esterni a loro
disposizione al fine di disciplinare il comportamento dei MEPs.
Il secondo gruppo di teorie ha tentato di spiegare la coesione dei partiti europei attraverso
istituzioni interne al Parlamento Europeo, tra cui la distribuzione delle cariche e l’agenda-
setting. Partiamo da quest’ultima. L’agenda-setting nel processo legislativo europeo è esterna al
Parlamento, nel senso che il potere di iniziativa legislativa è di competenza esclusiva della
Commissione. Al PE è lasciata la possibilità, nel caso di materie sottoposte a codecisione e
cooperazione, di emendare le proposte della Commissione. Inoltre, all’interno del PE nessun
12
partito o coalizione di partiti è in grado di controllare le procedure di agenda-setting in
commissione e in plenaria per quanto concerne gli emendamenti e l’ordine delle votazioni a cui
sono soggetti. Un vantaggio in questo senso è attribuito al gruppo a cui è affidato l’incarico di
rapporteur, ma l’attribuzione di tali incarichi avviene in proporzione alla grandezza dei gruppi,
limitando le possibilità per un gruppo abbastanza piccolo come quello della GUE/NGL di avere
un maggiore controllo sul processo decisionale all’interno del PE. Di conseguenza, la
GUE/NGL costituisce un’agenda-taker e in quanto tale non è in grado di evitare votazioni su
emendamenti potenzialmente disgreganti. Pertanto, neppure la teoria dell’agenda-setting può
essere utilizzata come variabile esplicativa per la coesione manifestata dal gruppo.
Un secondo tipo di teorie ha individuato nel controllo da parte dei gruppi parlamentari sulla
distribuzione delle cariche parlamentari e interne al gruppo una possibile spiegazione della loro
capacità di disciplinare i membri. Secondo questi autori i MEPs, così come ogni altro politico ad
ogni latitudine, ambiscono a ricoprire cariche politicamente rilevanti in sé o per il valore
attribuitogli. All’interno del PE sono i gruppi a controllare la distribuzione di tali cariche
(Presidente e vice- Presidente del PE, Presidente di commissione, rapporteur) e attraverso il
controllo di queste risorse organizzative le leadership dei gruppi politici sono in grado di
disciplinare il comportamento dei MEPs: coloro i quali cooperano e seguono la linea politica
dettata dal gruppo saranno premiati con cariche politicamente rilevanti, chi defeziona, invece,
non ricoprirà cariche importanti o sarà «retrocesso» in posizioni di minor valore politico e
istituzionale. Se si tiene conto, inoltre, che le principali cariche del Parlamento Europeo sono
distribuite all’inizio e alla metà di ogni legislatura i gruppi hanno a loro disposizione un valido
strumento di controllo ex- ante ed ex- post: possono infatti collocare, a inizio legislatura, nelle
cariche che ritengono più importanti i MEPs maggiormente fedeli alla linea di partito o che
reputano tali (ex- ante) e monitorare il loro lavoro durante la prima metà della legislatura per poi
punire o premiare i MEPs a seconda della loro condotta leale o meno nei confronti del gruppo
parlamentare (ex- post). Questo tipo di spiegazione non può però essere applicata al gruppo
della GUE/NGL poiché al suo interno non esiste una coalizione dominante in grado di
controllare in via esclusiva la distribuzione delle cariche (Sozzi 2011). Il gruppo comunista
essendo di natura confederale cerca di attribuire a ciascuna delegazione partitica nazionale pari
rappresentanza all’interno degli organi dirigenti del gruppo e nella distribuzione delle cariche9.
9 Inoltre, come suggerisce Kam (2009), non sempre la possibilità di una «promozione» in termini di «poltrone» da
occupare è un incentivo sufficiente per disciplinare i membri di partito, in quanto alcuni posti possono essere meno appetibili di altri, oppure oltre una certa soglia non sono possibili altre promozioni. In particolare, per quanto concerne il contesto europeo, le cariche di prestigio all’interno del PE sono (solo) relativamente vantaggiose per i MEPs, poiché sicuramente preferiscono (escluse alcune eccezioni) «far carriera» a livello nazionale, rispetto a ricoprire cariche a livello sovranazionale. Di conseguenza, ai MEPs «office- seeking» ambiziosi conviene seguire i partiti nazionali piuttosto che i gruppi parlamentari europei se vogliono migliorare il proprio «status politico».
13
Una terza serie di teorie ha cercato di spiegare, invece, la coesione dei gruppi parlamentari
europei come conseguenza della loro affinità ideologica. La loro tendenza a votare assieme non
è il prodotto di uno scambio politico interno al gruppo in cui i termini dello scambio sono da un
lato le cariche e dall’altro la disciplina di partito, ma piuttosto una sorta di naturale tendenza
prodotta dall’affinità ideologica. Alcune ricerche precedenti hanno dimostrato che il gruppo del
PSE e del PPE (Hix et al. 2007; Lindberg 2008) hanno aumentato la propria coesione interna
pur in presenza di un aumento della differenza ideologica al loro interno. Secondo questi autori
di conseguenza i gruppi sono stati in grado di mantenere degli elevati standard di coesione
poiché hanno la capacità di disciplinare il comportamento dei propri MEPs e non perché sono
ideologicamente omogenei. Anche il gruppo della GUE/NGL, come si può ben vedere dalla
figura 1, ha visto aumentare la propria coesione interna pur in presenza di un aumento
dell’eterogeneità ideologica. Ma, a differenza degli altri gruppi, la GUE/NGL non ha una
leadership in grado di sanzionare i propri membri. Come è possibile spiegare questa (apparente)
contraddizione?
Fin qui la teoria. Nel prossimo paragrafo testeremo se effettivamente quanto affermato
finora abbia un riscontro empirico.
Figura 1. Coesione e diversità ideologica GUE/NGL (1979-2009).
Note: la linea continua rappresenta l’andamento della diversità ideologica; la linea tratteggiata quello della coesione. La diversità ideologica interna al gruppo è stata calcolata come segue:
ID = Σ |NPj - PGi| Sji dove NPj è la posizione del partito nazionale j, PGi è la posizione media del gruppo i ponderata rispetto al numero di MEPs di ciascuna delegazione nazionale, Sji è il numero di seggi del partito j all’interno del gruppo i.. Fonte: i valori relativi alla posizione media dei partiti nazionali sono stati ricavati dal dataset CMP (Budge et al. 2006); per la coesione Hix et al. (2007).
14
4. Determinanti del comportamento di voto dei MEPs.
Al fine di testare nel migliore dei modi le teorie presentate abbiamo elaborato una serie di
modelli esplicativi che verranno controllati attraverso una sequenza di regressioni lineari
multiple. Sulla base di quanto emerso dalla ricerca condotta nei paragrafi precedenti le ipotesi e
i risultati attesi sono essenzialmente tre:
H1: il ricoprire cariche all’interno del gruppo o del PE non favorisce la
propensione di un MEPs a votare seguendo la linea politica del gruppo poiché
all’interno della GUE/NGL non esiste una leadership di gruppo in grado di
controllare ed eventualmente sanzionare comportamenti devianti, ovvero premiare
la fedeltà. Quindi in questo caso ci aspettiamo di trovare una non significatività dei
coefficienti legati a queste variabili esplicative;
H2: all’aumentare della distanza ideologica tra i MEPs e il gruppo, la fedeltà verso
la GUE/NGL diminuisce e ci aspettiamo che sia anche statisticamente significativa.
Questa aspettativa deriva dal fatto che se i MEPs sono controllati e disciplinati,
principalmente, dai rispettivi partiti nazionali, all’aumentare della distanza
ideologica tra gli attori coinvolti (partiti nazionali e gruppo) la propensione dei
MEPs a votare contro il gruppo aumenta. Al contrario, se i MEPs sono disciplinati
dal gruppo parlamentare allora la loro propensione a votare con il gruppo non
dovrebbe essere intaccata (quindi statisticamente non significativa).
H3: all’aumentare della presenza dei MEPs in plenaria aumenta la loro fedeltà al
gruppo (meccanismo della reiterazione di voto).
4.1. Dati e variabili.
L’analisi è stata condotta sui 41 membri che hanno fatto parte del gruppo durante la VI
legislatura (2004- 2009) e sul totale dei RCVs chiamati nello stesso arco di tempo (tot. 6200).
La nostra variabile indipendente è data dalla percentuale di volte in cui ciascun MEPs della
GUE/NGL ha votato seguendo la maggioranza del gruppo10. Le variabili indipendenti principali
sono: a) la distanza ideologica tra il MEPs e il gruppo rispetto alle dimensioni «sinistra- destra»
e «pro/anti UE»; b) il ricoprire cariche rilevanti all’interno del gruppo e del PE. Al fine di
10 Vista l’enorme mole di votazioni in esame, con la conseguente difficoltà (impossibilità) di risalire alla linea
politica effettiva su ciascuna votazione da parte del gruppo, si è deciso di utilizzare la maggioranza del gruppo come proxy della linea politica del gruppo. In altre parole si suppone che la linea dettata dal gruppo sia espressa dalla maggioranza dei propri MEPs.
15
misurare la distanza ideologica tra MEPs e gruppo parlamentare ci siamo serviti del dataset
CHES (Hooghe et al. 2010), utilizzando come proxy della posizione di ciascun MEPs quella del
partito nazionale di appartenenza11, mentre come rilevatore della posizione del gruppo è stata
utilizzata la media ponderata (rispetto al numero di MEPs) dei valori espressi su ciascuna
dimensione da parte dei partiti nazionali. Quindi avremo la variabile «distanza MEP-EPG (sx-
dx)» che esprime la differenza, in valori assoluti, tra la posizione di ciascun singolo MEP e
quella del gruppo rispetto alla dimensione sinistra-destra e la variabile «distanza MEP-EPG
(pro/anti UE)» calcolata, invece, rispetto alla dimensione «pro/anti integrazione europea».
La seconda variabile indipendente concerne le cariche ricoperte da ciascun MEPs
all’interno del gruppo e del PE: innanzitutto si è visto se un MEP ricopriva cariche di leadership
all’interno del gruppo o del PE, attribuendo valore 1 se faceva parte del Bureau del gruppo,
dell’Ufficio di Presidenza del PE oppure era Presidente di Commissione e 0 in caso contrario
(bureau); in secondo luogo è stato calcolato, su dati ufficiali del PE, quante volte a ciascun
MEP è stato attribuito il ruolo di rapporteur (reports).
Inoltre sono stati introdotti due ulteriori sets di variabili di controllo. Nel primo gruppo, che
si concentra su alcune caratteristiche dei partiti nazionali, ritroviamo: a) una «dummy variable»
riguardante la partecipazione (valore 1) o meno (valore 0) del partito al governo nazionale
(partito al governo); b) la grandezza, in termini di seggi al PE, del partito nazionale (grandezza
PN). Nel primo caso, come sottolineano Hix et al. (2007), se un partito è al governo a livello
nazionale è anche rappresentato nell’altro organo legislativo principale a livello europeo: il
Consiglio, quindi è probabile che possa avere maggiori interessi da difendere in parlamento. La
grandezza del partito nazionale, invece, dovrebbe influenzare positivamente la propensione a
votare seguendo il gruppo, poiché all’aumentare della grandezza della delegazione nazionale
aumentano le possibilità di influenzare le decisioni interne al gruppo.
Nel secondo gruppo di variabili di controllo abbiamo incluso tre indicatori che riguardano
le caratteristiche personali dei MEPs: 1) età (età MEP); 2) anni da MEP calcolati al 2004
(esperienza PE); 3) presenza in plenaria (attendance). Tutte e tre le variabili dovrebbero
11 In letteratura sono stati utilizzati altri due diversi metodi al fine di individuare le posizioni dei MEPs lungo le
diverse dimensioni del conflitto: l’autocollocazione dei MEPs inferita attraverso un questionario (Farrell et al. 2006); un’analisi spaziale del comportamento di voto dei MEPs (Hix et al. 2007, 2009). Queste due metodologie, a nostro avviso, incontrano due limiti diversi: il primo, si scontra con un tasso di risposta piuttosto basso (circa il 37%) che rischia di non essere rappresentativo; il secondo non descrive le «vere preferenze» in quanto inferisce la posizione dei MEPs attraverso il loro comportamento nei RCVs che può essere in una qualche misura indotto dalla disciplina di partito, quindi condizionato da un fattore esterno. Allo stesso tempo la scelta di utilizzare la posizione dei partiti nazionali come proxy delle preferenze dei MEPs è giustificata sia teoricamente che empiricamente. Teoricamente, la scelta sembra adeguata e ragionevole poiché i MEPs è probabile che scelgano il partito a livello nazionale che più si avvicina alle proprie preferenze ideologiche. Inoltre i MEPs sono sottoposti anche a un processo di socializzazione durante la carriera(precedente) a livello nazionale, regionale e locale.
16
(parzialmente) «liberare» il MEP dal controllo dei partiti nazionali (Lindberg 2008) favorendo
la fedeltà verso il gruppo.
4.2. I risultati.
Dai dati riassunti nella tabella 2 (in cui sono presentati i coefficienti delle regressioni
multiple) emerge abbastanza chiaramente come le nostre ipotesi siano confermate. Infatti, da un
lato all’aumentare della distanza tra la posizione ideologica dei MEPs, che ricordiamo è stata
inferita dalla posizione dei rispettivi partiti nazionali, e quella del gruppo della GUE/NGL la
propensione dei MEPs a votare seguendo la maggioranza del gruppo parlamentare tende a
diminuire (come testimoniato dal valore negativo e statisticamente significativo del coefficiente
β), dall’altro, essere membro del Bureau del gruppo o ricoprire cariche di rilievo nel PE,
statisticamente sembra non avere una particolare rilevanza nel determinare il comportamento di
voto dei MEPs. Al contrario, assume particolare significato la presenza dei MEPs in seduta
plenaria: all’aumentare della partecipazione aumenta la coincidenza di voto tra MEPs e gruppo.
Come sottolineano Hix et al. (2009) e Andeweg e Thomassen (2010), la reiterazione dovuta alle
successive votazioni su diversi ambiti di policy spinge i membri dei partiti ad adottare una
strategia del tipo «tit-for-tat» ossia, riprendendo la terminologia utilizzata dalla «teoria dei
giochi ripetuti», un attore è portato a rispondere alla defezione altrui con la propria defezione
nelle tornate successive. In altre parole, l’attore coopera finché l’altro coopera e risponde con la
defezione se l’altro defeziona12.
Questi dati sembrano confermare quindi la convinzione che non si possa utilizzare un’unica
variabile esplicativa al fine di spiegare la coesione del gruppo della sinistra radicale ma,
piuttosto, appare più convincente considerare la coesione di voto del gruppo come l’esito di
diverse risorse che possono essere utilizzate alternativamente da parte del gruppo al fine di
garantire una coesione accettabile. A queste è possibile, come vdremo nel prossimo paragafo,
anche una spiegazione che prende in considerazione non solo gli aspetti strutturali del gruppo e
dei suoi componenti ma anche l’aspetto dinamico e processuale che si manifesta a livello
europeo tra PE, Commissione e Consiglio in cui è possibile leggerci in qualche modo dinamica
di tipo maggioranza- opposizione. Ma vediamo meglio questo aspetto.
12 Una spiegazione complementare può essere rintracciata nel processo di «socializzazione» a cui sono sottoposti i
MEPs che partecipano più assiduamente ai lavori del gruppo e del PE. Attraverso il processo di socializzazione, come sottolinea Kam (2009), si sviluppa una sorta di «party loyalty» che spinge il parlamentare a votare seguendo la linea del partito, anche in presenza di una divergenza di preferenze (e senza che intervenga un meccanismo disciplinatorio), poiché il deputato antepone l’interesse del partito al proprio.
17
Tabella 2. Determinanti del comportamento dei MEPs.
modello 1 modello 2
β t- stat. β t-stat.
(Constant) 0,715*** 5,123 1,008*** 33,556
distanza MEP- EPG (sx-dx) -0,644** -3,677 -0,507** -3,239
distanza MEP- EPG (pro/anti UE) -0,058 -0,368 -0,249 -1,587
bureau -0,002 -0,016
reports 0,065 0,542
età MEP -0,201 -1,681
esperienza PE 0,079 0,659
partito al governo 0,072 0,550
grandezza PN -0,332* -2,244
attendance 0,456** 3,351
adjusted R2 0,601 0,434
Note: N= 41; variabile dipendente: percentuale di volte in cui ciascun MEP ha votato seguendo la linea politica del gruppo; *** p ≤ .001; ** p ≤ .005; * p ≤ .05.
5. Il processo politico come spiegazione della coesione.
Il modello esplicativo che abbiamo preso in considerazione nel paragrafo precedente spiega
all’incirca il 60% della variazione al suo interno. Cosa può aiutarci a comprendere il restante
40%? Esistono altre possibili spiegazioni al fenomeno della coesione all’interno del PE? Una
possibile strada potrebbe essere quella di considerare l’aspetto processuale della poitica a livello
europeo e in particolare la dialettica tra PE, Commissione e Consiglio Europeo.
L’idea alla base di questa strategia di ricerca parte dalla constatazione che uno dei limiti
(riconosciuti) delle analisi statistiche è che tralasciano, per forza di cose, gli aspetti dinamici dei
fenomeni oggetto di studio (Peters 2001). Nel caso specifico della coesione a livello
sovranazionale le analisi statistiche che abbiamo condotto in precedenza e che sono state svolte
in modo simile da altre ricerche (Hix et al. 2007; Kreppel 2002; Faas 2003), tendono a prendere
in considerazione gli aspetti strutturali degli attori e dei contesti in cui agiscono (ad esempio
l’età dei MEPs, la loro esperienza all’interno del PE, la distanza ideologica, le istituzioni
elettorali), tralasciando l’aspetto processuale che, sicuramente è influenzato dalla struttura, ma
che non si esaurisce concettualmente ed empiricamente in esso. A nostro avviso è proprio nel
processo politico interno al PE che si possono rintracciare due fattori che sono in grado di
aiutarci nel comprendere i livelli di coesione raggiunti dal gruppo della GUE/NGL: la natura
18
niche del gruppo e in secondo luogo la sua natura di agenda-taker. Vediamo meglio questi
concetti.
I niche party sono quei partiti che presentano un’ideologia estremista, come i partiti
comunisti o i partiti delle destra nazionalista, oppure di «nicchia non centrista» come i partiti
verdi ed ecologisti (Adams et al. 2006)13. I partiti di nicchia, rispetto ai partiti mainstream,
hanno maggiori vantaggi a non modificare le proprie posizioni ideologiche e, soprattutto, hanno
maggiori perdite in termini di voti se tendono a moderare le proprie posizioni. Gli attivisti e gli
elettori dei partiti di nicchia sono maggiormente ideologizzati e policy oriented rispetto a quelli
dei partiti mainstream aumentando, di conseguenza, i costi in termini di voti per questi partiti
nel caso di un allontanamento dalla posizione ideologica originaria. In tale prospettiva, la
nicchia cui si fa riferimento è frutto della strategia competitiva che i nuovi partiti in questione
adottano nei confronti dei partiti established e soprattutto della reazione che questi ultimi
pongono in essere. Alla stregua dei partiti mono- issue, il partito di nicchia da enfasi a poche e
nuove issues e ne trae una collocazione spaziale che nell’interazione con la risposta dei partiti
sfidanti può assicurargli un significativo vantaggio competitivo. Pertanto, i partiti di nicchia
sono maggiormente avversi al cambiamento e, soprattutto, alla moderazione dei propri
orientamenti ideologici.
A livello sovranazionale è possibile riscontrare una competizione e uno scontro dialettico
tra partiti mainstream e di governo da un lato e partiti di nicchia e di opposizione dall’altro. I
primi confluiscono prevalentemente nel PSE, nel PPE e nell’ELDR e sono partiti che per la
maggior parte fanno parte dei governi nazionali e in quanto tali compongono il Consiglio
Europeo e nominano i commissari europei; mentre i secondi confluiscono nei gruppi comunista
e regionalista e assumono una funzione di opposizione interna al PE e più in generale al
processo decisionale europeo. Pertanto, anche a livello europeo è possibile fare una distinzione
tra gruppi mainstream e di nicchia. I niche groups, in particolare, tenderanno a estremizzare la
propria posizione ideologica e il proprio atteggiamento di dissenso nei confronti dei partiti
principali al fine di mantenere la propria natura di opposizione e la propria impostazione
ideologica. I mainstream groups, invece, assumeranno una posizione nello spazio politico
13 Meguid (2005) ha definito i niche party sulla base di tre caratteristiche distintive: a) i partiti di nicchia non
seguono la tradizionale dimensione di classe, ma piuttosto tendono a politicizzare questioni che prima erano fuori dalla competizione partitica; b) le issues perseguite dai niche party non solo non coincidono con le tradizionali dimensioni del conflitto ma sono trasversali a queste; c) i niche party perseguono un limitato range di policies, non presentano dei manifesti programmatici ampi e generali ma piuttosto settoriali e limitati nelle issues poste in rilievo. Meguid, diversamente da Adams et al. (2006), tende quindi a escludere dai partiti di nicchia i partiti comunisti. A nostro avviso sembra corretto, anche da un punto di vista storico, considerare i partiti comunisti a tutti gli effetti come dei partiti di nicchia. Questa nostra convinzione si basa su quanto emerso dal dibattito tra Mair e Panebianco (1979) sulla natura settaria dei partiti comunisti dell’epoca.
19
tendenzialmente centrista e più vicina ideologicamente alle posizioni assunte dal Consiglio e
dalla Commissione
Il gruppo della GUE/NGL, come abbiamo visto nel capitolo precedente, è composto in
parte da partiti con una impostazione ideologica prevalentemente radicale (partiti comunisti e
post- comunisti) e, in parte, da partiti verdi ecologisti ex- comunisti (sottogruppo della Sinistra
Verde Nordica- NGL). Questi partiti tanto a livello nazionale quanto a livello sovranazionale
assumono una posizione di opposizione nei confronti dei governi nazionali e delle strategie
politiche da essi implementati. Questo comportamento produce loro dei benefici in termini di
voti o, quanto meno, un mantenimento dei consensi. Allo stesso tempo la natura reattiva del
Parlamento Europeo rispetto agli inputs provenienti dalla Commissione Europea e dal Consiglio
Europeo, prevalentemente composti da partiti mainstream, spinge i gruppi di nicchia verso un
atteggiamento di opposizione nei confronti delle proposte di direttiva avanzate dalle altre due
istituzioni comunitarie coinvolte nel processo legislativo. I partiti che compongono la
GUE/NGL sfruttano questa loro posizione a livello europeo per proseguire la loro strategia di
opposizione a livello nazionale e più in generale contro l’impostazione neoliberista e
monetarista assunta dall’Unione Europea e guidata dai partiti mainstream.
La posizione di nicchia che definisce il gruppo della GUE/NGL si caratterizza per una
diversa combinazione di due fattori: il carattere ideologico- identitario e le opportunità
competitive. Questa doppia faccia consente ai partiti interni al gruppo di coltivare la propria
autonomia politica, culturale e organizzativa e allo stesso tempo di manifestare una lealtà nei
confronti del gruppo parlamentare europeo. Il funzionamento e i vantaggi dei partiti in quanto
organizzazioni sono legati entrambi alle risorse costitutive la nicchia: la risorsa ideologica è un
importante veicolo elettorale, mentre l’appartenenza al gruppo parlamentare garantisce accesso
a spoglie istituzionali.
Non solo, questi gruppi possono essere considerati come «agenda-taker» rispetto ai gruppi
mainstream poiché, da un lato, sono composti da partiti ed esponenti politici che difficilmente
fanno parte di coalizioni di governo a livello nazionale (nel caso della GUE/NGL ad esempio
nella legislatura oggetto di analisi solo RC e l’AKEL erano partiti di governo14) e, in quanto tali,
non hanno esponenti nella Commissione o nel Consiglio Europeo. Dall’altro, in conseguenza
delle loro dimensioni in termini di seggi piuttosto ridotte si vedono assegnati pochi ruoli in
grado di condizionare l’agenda-setting parlamentare, con una conseguente riduzione nella
capacità di influenzare il processo decisionale a proprio vantaggio.
Mettendo assieme queste due caratteristiche del gruppo («niche group» e «agenda-taker»)
è possibile comprendere, a nostro avviso, i livelli di coesione raggiunti dal gruppo. Più nel
14 Nel caso di RC l’esperienza di governo fu limitata ai soli anni 2006- 2008.
20
dettaglio, la GUE/NGL sfrutta le votazioni come mezzo di comunicazione (Castanheira 2004)
delle proprie preferenze ideologiche, prevalentemente in contrasto con quelle espresse dai partiti
principali che compongono la Commissione e il Consiglio15. Le votazioni rappresentano per i
partiti che compongono la GUE/NGL l’occasione per sottolineare la propria diversità ideologica
e valoriale rispetto agli altri gruppi del Parlamento Europeo e soprattutto rispetto alla
Commissione. La natura di agenda-taker favorisce questa tendenza poiché il gruppo reagisce
unitariamente alle proposte che provengono (prevalentemente) da attori politici ideologicamente
distanti e utilizza il canale europeo come strumento di opposizione a livello nazionale.
Hix e Noury (2011) affermano che attraverso il modello spaziale classico («floor agenda
model») è possibile comprendere nel migliore dei modi il comportamento di voto dei
parlamentari inseriti in contesti istituzionali in cui le coalizioni vincenti sono costruite «issue-
by-issue» all’interno dei parlamenti, ossia in sistemi presidenziali con governi di coalizione
(come il caso del PE) e in sistemi parlamentari con governi di minoranza. Seguendo questo
modello teorico, su ciascun voto ogni legislatore ha di fronte a sé due possibili scelte: o votare
per la proposta di legge che modifica lo status quo, oppure mantenere lo status quo. Se la
distanza tra il punto ideale del legislatore e la nuova legge è minore rispetto alla distanza tra il
punto ideale del legislatore e lo status quo allora il parlamentare voterà per la legge, altrimenti
voterà per mantenere lo status quo. Nella figura 2 è rappresentato un esempio che può chiarire le
idee al riguardo.
Figura 2. Floor agenda model con due soli attori.
I punti SQ, A e V costituiscono, rispettivamente, lo status quo, il punto ideale del partito A
(l’agenda-setter) e quello di un «veto-player» V16. L’agenda-setter A proporrà la nuova politica
sq* in modo tale che V la accetti, poiché è equidistante da SQ (|SQ-V| = |V-sq*|), mentre
15 Questi gruppi è più probabile che utilizzino il proprio voto a fini strategici (Piketty 2000) piuttosto che
comunicativi. I gruppi mainstream votando in modo coeso aumentano la propria probabilità di ottenere una maggioranza a loro più favorevole.
16 Si assume che la proposta di legge per passare deve ottenere il consenso di due partiti (A e V). Questa ipotesi si avvicina al contesto europeo poiché una proposta di legge, così come un emendamento, per passare deve ottenere la maggioranza dei consensi all’interno del PE e, poiché, nessun gruppo parlamentare ha la maggioranza assoluta in parlamento, su ciascuna votazione è necessario trovare un accordo tra due o più partiti.
SQ
V SQ*
A SQ**
21
qualsiasi altra opzione a destra di sq* (ad esempio sq**) verrebbe rigettata da V poiché |SQ-V|<|
V-sq**|. Sq* costituisce quindi il compromesso che meglio soddisfa sia A (che si vede avvicinare
lo status quo verso il proprio punto ideale) che V (che non vede peggiorare la propria
condizione di partenza17).
Cosa succede se inseriamo nel nostro modello un nuovo attore (B) alla destra di A (vedi
figure 3a e 3b)?
Nel primo caso, l’attore A (l’agenda-setter) può decidere (mantenendo l’assunto che sia
sufficiente una maggioranza di due voti su tre) o di coalizzarsi con V o con B, però se decide di
coalizzarsi con V potrà al massimo spostare lo status quo fino a SQ*, ossia nel punto in cui |V -
SQ| = |V - SQ*|. Se invece si coalizza con B può spingere lo status quo fino al proprio punto
ideale (A;SQ**) poiché la distanza |B - SQ| > |B - SQ**|. Data la posizione di A (attore pivotale
nello spazio politico rappresentato) e la sua natura di agenda-setter, la situazione non cambia se
modifichiamo la posizione di partenza dello status quo (figura 4.4b). Anche in questo caso
l’attore A è in grado di spostare lo status quo fino al suo punto ideale se si coalizza con B.
Figura 4.4a. Floor agenda model con tre attori.
Figura 4.4b. Floor agenda model con tre attori.
17 Un altro assunto del modello è che i giocatori preferiscono un nuovo status quo a quello precedente anche se in
termini euclidei risultano indifferenti l’uno all’altro.
SQ
V SQ*
A SQ**
B
SQ
V SQ*
A SQ**
B
22
Cerchiamo ora di declinare nel nostro caso concreto il modello appena esposto.
Innanzitutto, il gruppo della GUE/NGL, come si può vedere dalla figura 4 occupa una posizione
nello spazio politico all’interno del PE all’estrema sinistra, quindi difficilmente la proposta di
modifica dello status quo sarà sufficientemente vicina al suo punto ideale. Se prendiamo come
riferimento il modello presentato nelle figure 2 e 3 è probabile che le proposte di modifica allo
status quo siano collocate a destra di SQ poiché l’agenda-setter A (la Commissione) è composto
da partiti (prevalentemente) centristi appartenenti al PPE, al PSE e all’ALDE (i MEPs cerchiati
in figura). La GUE/NGL (V), per contro, preferirà mantenere lo status quo. Non solo, anche
nelle procedure di emendamento le proposte avanzate dovranno collocarsi intorno al punto
mediano del parlamento in quanto dovranno essere accettate dalla Commissione e dal Consiglio
(Hix 2005; Tsebelis 2002), posizionando ancora una volta il nuovo status quo lontano dal punto
ideale della GUE/NGL. Come conseguenza, i partiti e i membri che compongono la GUE/NGL
saranno spinti a votare in modo unito contro le proposte provenienti dai partiti mainstream.
Figura 4. Posizione dei MEPs, Parlamento Europeo (2004-2009).
Note: i punti in figura corrispondono alla posizione dei MEPs su ciascuna delle due dimensioni principali all’interno del Parlamento Europeo calcolata attraverso il metodo W-NOMINATE. Per una descrizione del metodo e delle sue possibili applicazioni si rimanda a Hix et al. (2007 e 2009) e alla letteratura ivi citata. Fonte: Hix et al. (2009).
GUE/NGL
governo
23
Due sono le possibili prove (sebbene non definitive) a sostegno del nostro modello: da un lato la
frequenza con cui il gruppo della GUE/NGL vota insieme agli altri gruppi ideologicamente
vicini (tabella 3); dall’altro, la frequenza con cui il gruppo si trova in maggioranza all’interno
del PE (figura 5). Nel primo caso, si può vedere come il gruppo tenda a votare più spesso in
«coalizione» con i gruppi che gli sono più vicini ideologicamente, a testimonianza di una
dinamica di coalizione basata prevalentemente sulla dimensione «sinistra-destra» e in sintonia
con il «floor agenda model». Nel secondo caso, invece, i partiti centristi tendono a trovarsi in
maggioranza un numero di volte superiore a quelli più defilati ideologicamente, come la
GUE/NGL.
Tabella 3. Frequenza di voto con altri gruppi della GUE/NGL (2004-2009).
Vota con N %
V/ALE 4553 74,04
PSE 3813 62,01
ALDE 3169 51,54
UEN 2781 45,23
PPE 2543 42,36
IND/DEM 2515 40,90
Note: N (totale) = 6149; i gruppi politici sono ordinati in base alla loro collocazione sulla dimensione «sinistra-destra» calcolata in base alla media ponderata (rispetto alla grandezza in termini di seggi al PE) delle posizioni dei partiti nazionali che compongono il gruppo. Fonte: per le frequenze di voto vedi http://www.votewatch.eu; per le posizioni dei partiti nazionali vedi Budge et al. (2006).
Figura 5. Numero di volte in cui ciascun gruppo è in maggioranza.
0
20
40
60
80
100
GUE/NGL V/ALE PSE ALDE UEN PPE IND/DEM
Note e fonti: vedi tabella 3.
24
6. Conclusioni.
L’analisi condotta in questo capitolo ci ha permesso di comprendere più a fondo quelli che
possiamo definire come «giochi verticali» all’interno dei gruppi parlamentari a livello europeo e
che vedono come attori principali le delegazioni partitiche nazionali e il gruppo parlamentare. In
particolare, ci si è concentrati sul comportamento dei MEPs e si è cercato di spiegare come sia
possibile che un gruppo come quello della GUE/NGL, in cui è assente una coalizione dominante
in grado di disciplinare il comportamento dei propri MEPs, possa raggiungere dei livelli di
coesione così elevati.
Nella letteratura tradizionale sulla disciplina di partito sono diversi i fattori che sono stati
individuati come possibili variabili esplicative: le istituzioni esterne, le istituzioni interne, la
reiterazione del voto e l’affinità ideologica. Le teorie che utilizzano come variabile esplicativa le
istituzioni esterne affermano che la disciplina di partito può essere spiegata dalla natura
istituzionale del sistema politico preso in considerazione. In particolare, queste teorie rilevano
che nei sistemi parlamentari a fusione dei poteri i partiti in parlamento hanno una tendenza
maggiore, rispetto ai loro omologhi nei sistemi presidenziali a separazione dei poterei, a votare
in modo coeso poiché è dalla loro fiducia che dipende il mantenimento in carica del governo.
Altre istituzioni esterne che possono influire positivamente sulla disciplina interna dei partiti
sono state individuate nei sistemi elettorali: i sistemi con voto di lista (proporzionali) in cui le
candidature e la posizione all’interno delle liste elettorali sono attribuite dalle leadership
partitiche tendono a sviluppare delle strutture di lealtà maggiori rispetto ai sistemi maggioritari
in cui la lealtà principale del candidato è nei confronti del proprio elettorato/ collegio.
Le teorie che utilizzano, invece, come variabile esplicativa le istituzioni interne
individuano nella distribuzione delle cariche e nel potere di agenda le cause principali della
disciplina di partito. Nel primo caso, i partiti possono favorire la coesione interna attraverso un
sistema di incentivi selettivi materiali18 costituiti prevalentemente dalle cariche interne al partito
o all’interno del parlamento. I partiti tenderanno a posizionare nelle cariche politicamente più
rilevanti i membri più fedeli e leali alla linea di partito e, allo stesso tempo, saranno propensi a
punire i membri che invece dalla linea di condotta indicata dal partito. Nel secondo caso, invece,
i partiti sono in grado di aumentare la propria coesione interna se sono in grado di controllare
l’agenda- setting all’interno del parlamento. In questo caso, il partito o la coalizione di partiti
che controlla l’agenda del parlamento è in grado di evitare che vengano votate delle proposte di
legge o degli emendamenti che possono dividere il partito o la coalizione. Queste teorie
considerano la coesione come un esito a cui il partito giunge attraverso una serie di incentivi
18 Per una teoria degli incentivi all’interno dei partiti vedi Lange (1977) e Panebianco (1982; 1989).
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selettivi e di vincoli comportamentali che è in grado di porre, pena la frammentazione del partito
stesso.
Il terzo tipo di teorie individua, invece, la coesione come un risultato non indotto ma frutto
dell’affinità ideologica oppure della reiterazione di voto. Secondo la prima prospettiva i membri
di partiti ideologicamente affini voterebbero in modo unitario anche in assenza di incentivi
selettivi materiali, quindi anche in assenza di un partito in grado di punire o premiare i più leali.
I membri di un partito ideologicamente coeso, in altre parole, votano in blocco poiché
condividono il giudizio sulla policy in discussione. Nel secondo caso, invece è la reiterazione di
voto a spingere verso una maggiore coesione essendo possibile il verificarsi di una condizione
di tipo “tit- for tat”.
Questi modelli teorici non sono in grado di aiutarci a spiegare in toto il comportamento dei
MEPs e più nello specifico dei membri della GUE/NGL. Infatti, mentre alcune teorie non sono
applicabili in generale al sistema politico dell’Unione Europea - l’UE è un sistema a separazione
dei poteri in cui l’esecutivo (la Commissione) non dipende dalla fiducia del legislativo
(Parlamento Europeo); il sistema di selezione dei candidati per le elezioni europee è demandato
in via esclusiva ai partiti nazionali e nessun partito o coalizione di partiti controlla l’agenda-
setting –; altre, non sono applicabili nel caso specifico della GUE/NGL – la distribuzione delle
cariche all’interno del gruppo e del Parlamento Europeo è a carico dei partiti nazionali, poiché
all’interno del gruppo dell’estrema sinistra non è presente una colazione dominante in grado di
controllare ed eventualmente punire i MEPs che defezionano. Quindi ciò che spinge i MEPs
della GUE/NGL a votare in modo coeso è da ricercarsi in altre motivazioni.
Dall’analisi empirica condotta sono due le teorie che reggono alla prova dei fatti e sono la
reiterazione di voto e l’affinità ideologica. Non solo, a livello europeo sembra manifestarsi una
dialettica tra partiti mainstream e niche party che fa sì che quest’ultimi si trovino in posizione
minoritaria e marginale rispetto ai partiti principali non solo all’interno del PE ma anche in
Commissione e nel Consiglio Europeo (spesso – ed è il caso della GUE/NGL – non fanno parte
nemmeno di questi organi). Le proposte avanzate dalla Commissione oppure le proporste di
modifica devono essere tendenzialmente centriste, quindi ideologicamente distanti rispetto ai
partiti della sinistra radicale, rendendole poco appetibili e auspicabili per questi partiti. Da
questo quadro emerge una condizione per cui i partit che compongono il gruppo della
GUE/NGL pur essendo non molto affini dal punto di vista ideologico, come abbiamo visto in
precedenze, sono comunque più vicini rispetto a quanto non lo possano essere rispetto a partiti
centristi, di ispirazione cattolica o peggio di destra.
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