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L’OSSERVATORE ROMANO aprile 2016 numero 45 Sua madre confrontava tutte queste cose nel suo cuore donne chiesa mondo Lo sguardo delle donne ebree Siamo a una svolta nei rapporti tra cristiani ed ebrei, una svolta segnata dal recente documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili, un documento a carattere teologico secondo per importanza, credo, solo alla dichiarazione Nostra aetate. «Nella ricerca di un giusto atteggiamento verso Dio — ha detto Papa Francesco — i cristiani si rivolgono a Cristo quale fonte di nuova vita, gli ebrei all’insegnamento della Torah». Parole che devono ancora essere assimilate dal mondo ebraico, come pure da quello cristiano, anche se dalle due parti alcune importanti prese di posizione ne hanno segnalato da subito la novità. In questo momento, che auspichiamo rappresenti per tutti una svolta, ci è parso importante riflettere sui testi ebraici, e in particolare sul modo in cui sono stati letti e interpretati in un’ottica che ci interessa illuminare, quella delle donne. Uno spaccato di riflessioni e analisi testuali al femminile che ci segnalano la capacità delle donne di farsi interpreti, di leggere in modo nuovo, di porre ai testi domande che tengano conto dei bisogni delle donne, alle quali anche è stata data sul Sinai la Torah. Cogliere insomma anche la lettura femminile dei testi, quei testi che, come dice Papa Francesco, rappresentano il modo in cui gli ebrei si avvicinano al divino. L’altro taglio che abbiamo voluto dare a questa nostra riflessione guarda indietro, al dialogo, e al ruolo che tante donne, ebree come cristiane, hanno avuto nell’iniziare, far crescere, approfondire quello scambio iniziato in anni lontani, prima ancora che il concilio Vaticano II ne recepisse le prime suggestioni. Lo abbiamo fatto raccontando la vita di una straordinaria figura di studiosa ebrea, Lea Sestieri. La storia del dialogo ebraico-cristiano — dai suoi vertici alle figure di minor fama — è fitta di nomi femminili. Anche qui le donne hanno portato impegno e passione. Capacità di affrontare il cambiamento senza timore, di aprirsi al mondo senza conformismi. Una storia che non ha solo un passato dietro di sé, ma un futuro da inventare. (anna foa) L’importante è l’azione Alla scoperta di Lea Sestieri, pioniera del dialogo ebraico-cristiano Fino a che le forze declinanti di una vecchiaia tanto prolungata non gliel’hanno impedito la sua attività condotta con grande libertà intellettuale e ascolto dell’altro non si è mai interrotta donne chiesa mondo Lea con il figlio Claudio Scazzocchio in occasione dei festeggiamenti per il suo novantesimo compleanno Antonietta Raphaël Mafai «Mia madre che benedice le candele» 1932 Lea a Montevideo (archivio privato) di ANNA FOA eGIOVANNA GRENGA L ea Sestieri è nata a Roma il 31 maggio 1913, nella casa di via Catalana, poi ceduta alla comu- nità ebraica, dove ha successi- vamente abitato Elio Toaff. Di una famiglia della borghesia ebraica roma- na, Lea è stata una donna di grande cul- tura, versata in molti e diversi campi. Dopo aver frequentato il liceo classico al Visconti, ha studiato lingue semitiche alla Sapienza, dove è stata allieva di Um- berto Cassuto e di Giuseppe Ricciotti. Ed è per volontà di Cassuto che ha poi fre- il Portogallo, dove infine poterono imbar- carsi. Gli anni in America latina, durati fino al 1967, furono anni di intensa attività tan- to intellettuale che politica. Durante la guerra, suo marito fu vicepresidente dell’associazione degli esuli antifascisti, L’Italia Libera, e successivamente entrò nella carriera diplomatica. Lea insegnò let- teratura greca all’università di Montevideo oltre che cultura biblica presso diverse isti- tuzioni, fondò e diresse la rivista sefardita «Amanacer» in giudeo-spagnolo e pubbli- cò numerosi scritti: Manuscritos del Mar Muerto (1960), Los libros deuterocanónicos y los manuscritos extrabíblicos de Qumrán (1961), Lengua y civilización micénica y el mundo de Homero (1966) e La poesia épica en la Biblia: el canto de Debora (1967). Nell’insegnamento aveva una grande ca- pacità di trasmettere ed esercitava un grande carisma. Solo alcuni anni fa, in oc- casione dei suoi cento anni, suo figlio Claudio raccontava di incontrare ancora persone a Montevideo che ricordano le sue lezioni. Nel dopoguerra, Lea affiancò all’inse- gnamento universitario l’impegno appas- sionato nel nascente dialogo ebraico-cri- stiano. A quanto riferisce Marco Cassuto Morselli, uno dei suoi allievi più cari, fre- quentò anche — non senza qualche diffi- denza — Monsieur Chouchani, uno dei più misteriosi personaggi dell’ebraismo novecentesco, venerato maestro di Talmud di Emmanuel Lévinas e Elie Wiesel, mor- to nel gennaio 1968 a Montevideo, la cui tomba reca un epitaffio dettato da Wiesel. Lea collaborò anche con l’Adei, l’asso- ciazione delle donne ebree, ma senza enfa- si al femminile. Parlandole negli anni più tardi, si aveva l’impressione che fosse al di là del femminismo, che lo considerasse su- perato e stantio. Dal 1968 al 1970 insegnò lingua e lette- ratura greca all’università di Beer Sheva e italiano all’università di Tel Aviv, mentre per l’ultimo decennio dell’attività profes- sionale del marito visse con lui a Locarno. Nel 1979 rientrarono a Roma dove Um- berto morì due anni dopo. L’attività di Lea Sestieri si intensificò ulteriormente: insegnò ebraismo postbiblico alla Pontifi- cia università Lateranense, diresse la colla- na «Radici» per la casa editrice Marietti, fu tra i fondatori dell’Amicizia ebraico-cri- stiana di Roma, oltre a tenere conferenze e a svolgere un’intensa attività pubblici- stica. Padre Innocenzo Gargano, monaco ca- maldolese, fu tra le persone più vicine a Lea nella nascente organizzazione dei col- loqui ebraico-cristiani di Camaldoli. Per circa dieci anni Lea e padre Innocenzo animarono un vivaio di studio romano fat- to di incontri settimanali. Si leggevano i testi dei maestri ebrei e dei Padri della Chiesa. «Lo spirito di amicizia creato da Lea ci consentiva nuove prospettive di let- tura — ricorda padre Innocenzo — da cui ricavavo un arricchimento straordinario». Appartengono al periodo romano gli al- tri suoi numerosi scritti: Gli ebrei nella sto- ria di tre millenni (1980), Le chiese cristiane e l’ebraismo (1983, in collaborazione con Giovanni Cereti), La spiritualità ebraica (1987), David Reubeni. Un ebreo d’Arabia in missione segreta nell’Europa del Cinquecento (1991). Un libro, quest’ultimo, anomalo nell’insieme della sua produzione, studio storico dedicato a ricostruire con rigore la figura del pretendente profeta David Reu- beni, avventuriero giunto in Italia dall’Oriente nel 1524 e morto, dopo incre- dibili vicende, nel 1538 per mano dell’In- quisizione spagnola. Un libro privo di in- dulgenza verso gli aspetti messianici dell’avventura di Reubeni e del suo com- pagno Molho, addirittura un po’ ironico, ispirato da spirito quasi illuministico. l’ebraismo che pratichiamo e viviamo, sia ortodossi che laici, è che dovremo affron- tare ancora animosità e conflitti; sento tut- tavia, con la mia sensibilità di persona im- pegnata, che i passi tremanti del Papa in Israele sono stati passi le cui orme non celebrazione dei suoi novant’anni. «L’im- portante per me è stato compiere nel mio lungo cammino gli insegnamenti che ave- vo ricevuto allora nel dialogo con i miei maestri, con i miei compagni, sia che tali insegnamenti siano di origine umana o di origine divina. L’importante è l’azione». Un’azione che Lea Sestieri non si è mai fatta mancare, fino a che le forze declinan- ti di una vecchiaia tanto prolungata non gliel’hanno impedito. Nella sua continua e costante attività nel dialogo interreligioso, in primo luogo, portato avanti con grande libertà intellettuale e ascolto dell’altro. Ma anche nella profondità dei suoi studi stori- ci e biblici, che divenivano nelle sue paro- quentato i corsi del Collegio Rabbinico, diventando così la prima donna a esservi ammessa, sia pur soltanto come uditrice. Nello stesso periodo, al collegio lavorava come bibliotecaria. Nel 1935 sposò Umberto Scazzocchio, e si trasferì con lui in Eritrea. Suo marito la- vorava come avvocato, mentre lei insegna- va lettere al liceo italiano di Asmara, rico- prendo anche l’incarico di conservatrice dei manoscritti etiopici della Biblioteca statale. Il figlio Claudio nacque nel 1938 pro- prio mentre, con l’entrata in vigore in Ita- lia delle leggi razziste, Lea veniva licenzia- ta. Fu un periodo per lei di grande soffe- renza, da cui emerse con difficoltà. Rifiutò però sempre di dare lezioni private ai figli di esponenti del regime. Raccontava: «Se non mi volevano a insegnare nella scuola, io non andavo certo a insegnare a casa lo- ro». Riuscì infine a emigrare e, con il ma- rito e il figlio, raggiunse suo fratello Giu- seppe, già stabilitosi in Uruguay. Fu una delle ultime partenze, nel 1941, a guerra già iniziata, in treno da Roma attraverso la Francia di Vichy, la Spagna franchista e L’ultimo lavoro di Lea è stato Ebraismo e cristiane- simo. Percorsi di mu- tua comprensione (2000), libro che raccoglie le sue conferenze e lezio- ni, pensate per raf- forzare e, in alcuni casi, creare un rap- porto di compren- sione e di avvicina- mento. Il culmine di questo cammino fa- ticoso è per Lea la visita di Giovanni Paolo II in Israele il 23 marzo 2000, au- spicio di un dialo- go sempre più in- tenso da entrambe le parti. In quella occa- sione scrisse: «Il punto di vista mio, che da circa cin- quant’anni dedico molta parte del mio tempo alla riconci- liazione tra ebrei e cristiani, cercando di far conoscere ai non ebrei chi siamo noi e che cosa è le supporti del dialogo, dell’incontro, sen- za mai perdere la loro profondità. Una donna — e crediamo che quanti co- me noi l’hanno conosciuta e frequentata non possano non convenirne — davvero eccezionale, uno spirito libero e aperto al mondo intero. possono essere cancella- te e debbono entrare a far parte intrinseca della Chiesa cristiana in gene- rale nella sua riconcilia- zione con chi le ha for- nito le radici senza le quali non avrebbe potu- to nascere». Il suo interesse per i testi biblici e l’ebraismo, quella che lei chiamava la sua «ebraicizzazio- ne», non si trasformò però mai in un percorso religioso di vita. Si sentiva ed era profondamente laica, e sapeva anche trovare le parole per dirlo: «Più si radicalizzava la mia ebraicità e più prendeva consistenza la mia laicità» dice- va, ricordando i suoi studi al Collegio rab- binico tanti anni prima, in occasione della

donne chiesa mondo tutte queste cose nel suo cuore · L’OSSERVATORE ROMANO aprile 2016 numero 45 Sua madre confrontava donne chiesa mondo tutte queste cose nel suo cuore Lo sguardo

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L’OSSERVATORE ROMANO aprile 2016 numero 45

Sua madre confrontavatutte queste cose nel suo cuoredonne chiesa mondo

Lo sguardo delle donne ebree

Siamo a una svolta nei rapporti tra cristiani ed ebrei, una svolta segnatadal recente documento della Commissione per i rapporti religiosi conl’ebraismo Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili, undocumento a carattere teologico secondo per importanza, credo, solo alladichiarazione Nostra aetate. «Nella ricerca di un giusto atteggiamentoverso Dio — ha detto Papa Francesco — i cristiani si rivolgono a Cristoquale fonte di nuova vita, gli ebrei all’insegnamento della Torah». Paroleche devono ancora essere assimilate dal mondo ebraico, come pure daquello cristiano, anche se dalle due parti alcune importanti prese diposizione ne hanno segnalato da subito la novità. In questo momento, cheauspichiamo rappresenti per tutti una svolta, ci è parso importanteriflettere sui testi ebraici, e in particolare sul modo in cui sono stati letti einterpretati in un’ottica che ci interessa illuminare, quella delle donne.Uno spaccato di riflessioni e analisi testuali al femminile che ci segnalanola capacità delle donne di farsi interpreti, di leggere in modo nuovo, diporre ai testi domande che tengano conto dei bisogni delle donne, allequali anche è stata data sul Sinai la Torah. Cogliere insomma anche lalettura femminile dei testi, quei testi che, come dice Papa Francesco,rappresentano il modo in cui gli ebrei si avvicinano al divino. L’a l t rotaglio che abbiamo voluto dare a questa nostra riflessione guarda indietro,al dialogo, e al ruolo che tante donne, ebree come cristiane, hanno avutonell’iniziare, far crescere, approfondire quello scambio iniziato in annilontani, prima ancora che il concilio Vaticano II ne recepisse le primesuggestioni. Lo abbiamo fatto raccontando la vita di una straordinariafigura di studiosa ebrea, Lea Sestieri. La storia del dialogoebraico-cristiano — dai suoi vertici alle figure di minor fama — è fitta dinomi femminili. Anche qui le donne hanno portato impegno e passione.Capacità di affrontare il cambiamento senza timore, di aprirsi al mondosenza conformismi. Una storia che non ha solo un passato dietro di sé,ma un futuro da inventare. (anna foa)

L’importante è l’azioneAlla scoperta di Lea Sestieri, pioniera del dialogo ebraico-cristiano

Fino a che le forze declinantidi una vecchiaia tanto prolungatanon gliel’hanno impeditola sua attività condottacon grande libertà intellettuale e ascolto dell’a l t ronon si è mai interrotta

donn

e chi

esa m

ondo

Lea con il figlio Claudio Scazzocchio in occasione dei festeggiamenti per il suo novantesimo compleanno

Antonietta Raphaël Mafai«Mia madre che benedice le candele»1932

Lea a Montevideo (archivio privato)

di ANNA FOA e GI O VA N N A GRENGA

Lea Sestieri è nata a Roma il 31maggio 1913, nella casa di viaCatalana, poi ceduta alla comu-nità ebraica, dove ha successi-vamente abitato Elio Toaff. Di

una famiglia della borghesia ebraica roma-na, Lea è stata una donna di grande cul-tura, versata in molti e diversi campi.

Dopo aver frequentato il liceo classicoal Visconti, ha studiato lingue semitichealla Sapienza, dove è stata allieva di Um-berto Cassuto e di Giuseppe Ricciotti. Edè per volontà di Cassuto che ha poi fre-

il Portogallo, dove infine poterono imbar-carsi.

Gli anni in America latina, durati finoal 1967, furono anni di intensa attività tan-to intellettuale che politica. Durante laguerra, suo marito fu vicepresidentedell’associazione degli esuli antifascisti,L’Italia Libera, e successivamente entrònella carriera diplomatica. Lea insegnò let-teratura greca all’università di Montevideooltre che cultura biblica presso diverse isti-tuzioni, fondò e diresse la rivista sefardita«Amanacer» in giudeo-spagnolo e pubbli-cò numerosi scritti: Manuscritos del MarMuerto (1960), Los libros deuterocanónicos ylos manuscritos extrabíblicos de Qumrán(1961), Lengua y civilización micénica y elmundo de Homero (1966) e La poesia épicaen la Biblia: el canto de Debora (1967).

Nell’insegnamento aveva una grande ca-pacità di trasmettere ed esercitava ungrande carisma. Solo alcuni anni fa, in oc-casione dei suoi cento anni, suo figlioClaudio raccontava di incontrare ancorapersone a Montevideo che ricordano lesue lezioni.

Nel dopoguerra, Lea affiancò all’inse-gnamento universitario l’impegno appas-sionato nel nascente dialogo ebraico-cri-stiano. A quanto riferisce Marco CassutoMorselli, uno dei suoi allievi più cari, fre-quentò anche — non senza qualche diffi-denza — Monsieur Chouchani, uno deipiù misteriosi personaggi dell’ebraismonovecentesco, venerato maestro di Talmuddi Emmanuel Lévinas e Elie Wiesel, mor-to nel gennaio 1968 a Montevideo, la cuitomba reca un epitaffio dettato da Wiesel.

Lea collaborò anche con l’Adei, l’asso-ciazione delle donne ebree, ma senza enfa-si al femminile. Parlandole negli anni piùtardi, si aveva l’impressione che fosse al dilà del femminismo, che lo considerasse su-perato e stantio.

Dal 1968 al 1970 insegnò lingua e lette-ratura greca all’università di Beer Sheva eitaliano all’università di Tel Aviv, mentreper l’ultimo decennio dell’attività profes-sionale del marito visse con lui a Locarno.

Nel 1979 rientrarono a Roma dove Um-berto morì due anni dopo. L’attività diLea Sestieri si intensificò ulteriormente:insegnò ebraismo postbiblico alla Pontifi-cia università Lateranense, diresse la colla-na «Radici» per la casa editrice Marietti,fu tra i fondatori dell’Amicizia ebraico-cri-stiana di Roma, oltre a tenere conferenzee a svolgere un’intensa attività pubblici-stica.

Padre Innocenzo Gargano, monaco ca-maldolese, fu tra le persone più vicine aLea nella nascente organizzazione dei col-loqui ebraico-cristiani di Camaldoli. Per

circa dieci anni Lea e padre Innocenzoanimarono un vivaio di studio romano fat-to di incontri settimanali. Si leggevano itesti dei maestri ebrei e dei Padri dellaChiesa. «Lo spirito di amicizia creato daLea ci consentiva nuove prospettive di let-tura — ricorda padre Innocenzo — da cuiricavavo un arricchimento straordinario».

Appartengono al periodo romano gli al-tri suoi numerosi scritti: Gli ebrei nella sto-ria di tre millenni (1980), Le chiese cristianee l’e b ra i s m o (1983, in collaborazione conGiovanni Cereti), La spiritualità ebraica(1987), David Reubeni. Un ebreo d’Arabia inmissione segreta nell’Europa del Cinquecento(1991). Un libro, quest’ultimo, anomalonell’insieme della sua produzione, studiostorico dedicato a ricostruire con rigore lafigura del pretendente profeta David Reu-beni, avventuriero giunto in Italiadall’Oriente nel 1524 e morto, dopo incre-dibili vicende, nel 1538 per mano dell’In-quisizione spagnola. Un libro privo di in-dulgenza verso gli aspetti messianicidell’avventura di Reubeni e del suo com-pagno Molho, addirittura un po’ i ro n i c o ,ispirato da spirito quasi illuministico.

l’ebraismo che pratichiamo e viviamo, siaortodossi che laici, è che dovremo affron-tare ancora animosità e conflitti; sento tut-tavia, con la mia sensibilità di persona im-pegnata, che i passi tremanti del Papa inIsraele sono stati passi le cui orme non

celebrazione dei suoi novant’anni. «L’im-portante per me è stato compiere nel miolungo cammino gli insegnamenti che ave-vo ricevuto allora nel dialogo con i mieimaestri, con i miei compagni, sia che taliinsegnamenti siano di origine umana o diorigine divina. L’importante è l’azione».

Un’azione che Lea Sestieri non si è maifatta mancare, fino a che le forze declinan-ti di una vecchiaia tanto prolungata nongliel’hanno impedito. Nella sua continua ecostante attività nel dialogo interreligioso,in primo luogo, portato avanti con grandelibertà intellettuale e ascolto dell’altro. Maanche nella profondità dei suoi studi stori-ci e biblici, che divenivano nelle sue paro-

quentato i corsi del Collegio Rabbinico,diventando così la prima donna a esserviammessa, sia pur soltanto come uditrice.Nello stesso periodo, al collegio lavoravacome bibliotecaria.

Nel 1935 sposò Umberto Scazzocchio, esi trasferì con lui in Eritrea. Suo marito la-vorava come avvocato, mentre lei insegna-va lettere al liceo italiano di Asmara, rico-prendo anche l’incarico di conservatricedei manoscritti etiopici della Bibliotecastatale.

Il figlio Claudio nacque nel 1938 pro-prio mentre, con l’entrata in vigore in Ita-lia delle leggi razziste, Lea veniva licenzia-ta. Fu un periodo per lei di grande soffe-renza, da cui emerse con difficoltà. Rifiutòperò sempre di dare lezioni private ai figlidi esponenti del regime. Raccontava: «Senon mi volevano a insegnare nella scuola,io non andavo certo a insegnare a casa lo-ro». Riuscì infine a emigrare e, con il ma-rito e il figlio, raggiunse suo fratello Giu-seppe, già stabilitosi in Uruguay. Fu unadelle ultime partenze, nel 1941, a guerragià iniziata, in treno da Roma attraversola Francia di Vichy, la Spagna franchista e

L’ultimo lavorodi Lea è statoEbraismo e cristiane-simo. Percorsi di mu-tua comprensione(2000), libro cheraccoglie le sueconferenze e lezio-ni, pensate per raf-forzare e, in alcunicasi, creare un rap-porto di compren-sione e di avvicina-mento.

Il culmine diquesto cammino fa-ticoso è per Lea lavisita di GiovanniPaolo II in Israele il23 marzo 2000, au-spicio di un dialo-go sempre più in-tenso da entrambele parti.

In quella occa-sione scrisse: «Ilpunto di vista mio,che da circa cin-quant’anni dedicomolta parte del miotempo alla riconci-liazione tra ebrei ecristiani, cercandodi far conoscere ainon ebrei chi siamonoi e che cosa è

le supporti del dialogo, dell’incontro, sen-za mai perdere la loro profondità.

Una donna — e crediamo che quanti co-me noi l’hanno conosciuta e frequentatanon possano non convenirne — d a v v e roeccezionale, uno spirito libero e aperto almondo intero.

possono essere cancella-te e debbono entrare afar parte intrinseca dellaChiesa cristiana in gene-rale nella sua riconcilia-zione con chi le ha for-nito le radici senza lequali non avrebbe potu-to nascere».

Il suo interesse per itesti biblici e l’ebraismo,quella che lei chiamavala sua «ebraicizzazio-ne», non si trasformòperò mai in un percorso religioso di vita.Si sentiva ed era profondamente laica, esapeva anche trovare le parole per dirlo:«Più si radicalizzava la mia ebraicità e piùprendeva consistenza la mia laicità» dice-va, ricordando i suoi studi al Collegio rab-binico tanti anni prima, in occasione della

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Mensile dell’Osservatore Romanoaprile 2016 numero 45

A cura di LU C E T TA SCARAFFIA (coordinatrice) e GIULIA GALEOTTIRedazione: CAT H E R I N E AUBIN, ANNA FOA, RI TA MBOSHU KO N G O, SI LV I N A PÉREZ

(www.osservatoreromano.va, mail:[email protected], per abbonamenti: info@ o s s ro m .v a )

Forse era necessarioLa sterilità di Sara, Rebecca e Rachele serve a dirci l’importanza del suo contrario

di MARIE-LUCILE KUBACKI

Delphine Horvilleur è rabbino delMovimento ebraico liberale diFrancia dal 2008. Giornalista,caporedattrice della rivista dipensiero e di arte ebraica «Te-

nou’a», ha appena pubblicato il saggio Com-ment les rabbins font les enfants (Grasset,2015). L’abbiamo incontrata a Parigi.

Il nazionalismo, il comunitarismo, lo spet-tro della non appartenenza: i sintomi dellanostra epoca sembrano tutti legati a un di-sturbo dell’identità e della trasmissione. Co-me lo spiega? «È più che evidente che la no-stra epoca è molto sensibile a questo proble-ma, visto che è onnipresente nei discorsi po-litici, religiosi e familiari. Da un lato c’è undiscorso iper-individualista, tipico delle no-stre società che si ritengono libere da ideolo-gie rigide; questo discorso ci fa credere chepotremmo crearci al di fuori delle nostre ori-gini e inventarci lontano dalla nostra eredità.Alcuni genitori dicono: non voglio imporrenulla ai miei figli, mi sono liberato della miaascendenza e vorrei che la mia discendenza sicreasse come se fosse una tabula rasa. Il cheè, chiaramente, pura fantasia. Dall’altro lato,a questo mondo ultra-individualista, che puòessere molto ansiogeno, il discorso fonda-mentalista risponde che non siamo altro chela nostra appartenenza, che dice tutto di noie che, per esserle fedele, occorrerebbe rispon-dere in modo identico. La società oscilla traquesti due estremi. Il fatto è che ognuno dinoi è ciò che è perché è appartenuto. Biso-gna prima appartenir per poter à-part-tenir»(è un gioco di parole: appartenir si pronunciacome à part tenir, dunque appartenere permettersi da parte).

«La nascita stessa del soggetto — p ro s e g u eHorvilleur — dipende dal fatto che si è detto“sì” per lui, prima che potesse dire “io”, chelo si è fatto appartenere a un gruppo, a unacultura, a un sistema dal quale potrà emerge-re come soggetto».

Come può l’esplorazione delle nostre tra-dizioni religiose aiutare a uscire da questaduplice impasse? «Una tradizione religiosa cioffre una poesia, un universo, qualcosa che cipermette di costruirci e di avviare un proces-so di rilettura. Si pensa spesso che “re l i g i o -so” venga da re l i g a re (legare), ma altri diconoche viene da re l i g e re , che significa rivisitare,rileggere. Devo quindi intendere la religiositàcome un modo di legarmi alla mia storia maanche un invito a rileggerla e a rivisitare i te-sti della mia tradizione».

Allora come spiega che, nella Bibbia, ilprimo ad ascoltare l’ordine di lasciare il pa-dre e la madre è Adamo, l’unico uomo a nonavere un padre e una madre? «È un vero mi-stero. Vi si può vedere un potente monitofatto all’umanità fin dai suoi albori a nonfondersi con il mondo delle origini, monitoche nella Bibbia viene ripetuto quasi a ognigenerazione. Nella Bibbia la necessità delviaggio esprime l’imperativo di lasciare ilmondo delle origini: è molto diverso daquanto accade soprattutto nella mitologiagreca, dove i personaggi viaggiatori, comeUlisse, partono per tornare a casa. La visionebiblica è che si lascia il mondo da dove si

viene per non tornarci più, sull’esempio diAbramo che lascia Ur in Caldea o degli ebreiche lasciano l’Egitto. Non si tratta di un ri-torno alle fonti, ma di un mettersi in cammi-no rispetto alla terra che ci ha visto nascere,la matrice della nostra storia. È interessanteper le nostre società monoteiste ricordare chehanno scelto come modello un uomo-padre,Abramo, che ha lasciato suo padre perché gliè stato detto di farlo e ha avuto un destinoincredibile perché si è messo in cammino. Daallora dobbiamo porci la domanda: che cosasignifica essere fedeli alla nostra eredità senon essere figli di Abramo? L’identità nasceda un’uscita dall’identità. Nel mio libro scri-vo che è per non trasmettere in modo identi-co che gli ebrei fanno figli, perché qualcosasmetta di riprodursi».

Uscita dall’identità che non significa nega-zione dell’origine. «Siamo ciò che siamo per-ché siamo nati da una matrice da cui siamostati tagliati. La matrice è una fonte di vitama se non la si lascia, è una tomba. Nei no-stri testi c’è l’ossessione del taglio, particolar-mente forte nell’ebraismo, che ne fa addirit-tura il segno dell’entrata nell’Alleanza. Inebraico, si dice tagliare un’alleanza. È il ge-sto della circoncisione: l’entrata nell’Alleanzapassa per un taglio nella carne, che è un lin-guaggio simbolico di separazione e di rifiutodella fusione con il mondo materno».

Una perenne uscita dall’Egitto, che lei pre-senta come la madre di tutte le madri ebree.«Povere madri ebree, quante cose gravanosulle loro spalle! Ma in effetti l’Esodo puòessere molto facilmente letto con metaforeostetriche: il seme di Giacobbe popola l’Egit-to che tiene il suo popolo prigioniero. Il po-polo poi cresce fino a provocare le doglie delparto, le dieci piaghe che colpiscono la ma-

trice egiziana fino a quando questa lascia gliebrei perforare il sacco amniotico per metter-si in cammino verso la libertà. È chiaramenteun rapporto matriciale con l’Egitto dal qualeè stato necessario tagliarsi per mettersi incammino verso una terra promessa».

Quali sono le implicazioni teologiche diquesta metafora ostetrica? «C’è il rifiuto del-la teologia del pas-touche, non toccare: nontoccare il mio testo, le mie letture, la mia ere-dità. Proprio di una religione viva è toccarele letture passate. Impuntura ciò che è statofatto da altri prima di lei. Non disfa le cuci-ture, ma riprende il filo».

In che modo il taglio è, a sua volta, unmovimento di alleanza? «Ogni taglio creauno spazio vuoto, una faglia in qualcosa cheera completo. Lo spazio vuoto crea la possi-bilità dell’incontro. La condizione dell’incon-tro è l’incontro dell’alterità e la condizionedell’alterità è lo spazio. Non c’è alleanza sen-za alterità e senza spazio vuoto».

Niente monoteismi dunque senza un veroriconoscimento dell’alterità femminile? «Ladonna è sempre, in tutti i sistemi e non soloin quelli religiosi, portatrice dell’alterità prin-cipale. È l’altro. Simone de Beauvoir dicevache il femminile è sempre l’altro, persino perla donna! Il femminile, che non è un attribu-to esclusivo delle donne, è il genere dell’inte-riorità ancora nascosta, di ciò che resta da ri-velare della vulnerabilità. Non sorprendequindi che tutti i sistemi abbiano in comuneun problema con il femminile come elementosovversivo. Avanzare nella questione del fem-minile e delle donne è la condizione prin-cipale per avanzare nella questione dell’alteri-tà, del non credente, del diverso, di ciò che èalla periferia. La donna è il sintomo del po-sto che si è pronti — o non pronti — a fareall’a l t ro » .

Lei stabilisce un legame tra la sofferenzadelle madri e la violenza dei figli nella Bib-bia. «Esaminando i personaggi violenti dellaBibbia, mi ha colpito constatare che c’è unelemento ricorrente: Caino, Ismaele, Simeo-ne, Levi e Assalonne hanno in comune l’averavuto madri non amate, non ascoltate, noncomprese. Agar, la madre d’Ismaele, è man-data nel deserto, Lia non è amata rispetto asua sorella Rachele, la madre di Assalonne èun bottino di guerra. La cosa è ancora piùcomplessa per Eva, la madre di Caino. Al

momento della sua cacciata dal giardinodell’Eden, Eva è condannata a una perdita dicontrollo, «verso tuo marito sarà il tuo istin-to, ma egli ti dominerà», che, secondo i com-mentatori, ha qualcosa a che vedere con l’en-trata nel mutismo. Eva perde la parola e di-viene un essere senza voce. La posta in gioconel rapporto tra Caino e Abele è legata allastrana relazione creatasi tra Adamo ed Eva.Caino significa “p osseduto”: è come posse-duto dalla storia della donna che gli ha datoun nome, sua madre. È posseduto da unamadre che nel suo mutismo fa di lui una me-dicazione alla sua sofferenza. Ciò riecheggiain molte storie di legami madre-figlio, di sof-ferenze di madri che vedono nella nascita del

Inquisizionee impurità

di ANNA FOA

Nella seconda metà delQuattrocento, le conversioniforzate degli ebrei nella penisola

iberica portarono all’adozione da parte dimolti dei c o n v e rs o s di un sistema dipratiche e credenze definitodall’Inquisizione marranesimo o “e re s i agiudaizzante”, cioè l’osservanza segretadell’ebraismo coperto dalla maschera dellareligione cattolica. In realtà, soprattuttocon il trascorrere delle generazioni e laconseguente perdita di molte conoscenze,a cominciare dalle date esatte stesse dellefeste ebraiche, il marranesimo assunsecaratteristiche sempre più sincretistiche,mescolando credenze e pratiche cristianecon quelle ebraiche e dando vita a quellache è stata definita la “religione marrana”.Ne è un esempio significativo laparticolare devozione dedicata a santaEsther, protagonista della festa ebraica delPurim e festeggiata dalla Chiesa cattolicail 1° luglio come santa, ma celebrata conparticolare devozione dai marrani, chevedono in lei la prima “marrana” (Estherin ebraico vuol dire colei che sinasconde), e che la festeggiavano per tregiorni con parziali digiuni a ricordarequelli di Esther nel testo biblico.Di notevole interesse è anche una praticadi cui resta memoria in un processodell’Inquisizione in Messico, che portò alrogo nel Cinquecento un c o n v e rs o diorigine spagnola stabilitosi nelleAmeriche. Egli era accusato di averimposto alla moglie di non andare inchiesa e di non assistere alla messadurante i periodi mestruali, rivelando così,come diceva la sentenza, di agire «inobbedienza alla legge di Mosé».L’accusato era forse convinto di agire dabuon cristiano, imponendo alla mogliel’astensione dalle pratiche religiosedurante il periodo mestruale. Nel sistemaebraico, in questi giorni la donna è niddà,cioè impura, e le è proibito di accostarsi almarito, di toccare oggetti sacri in sinagogae anticamente di entrare nel tempio.Dopo il parto, resta impura per quarantagiorni nel caso abbia dato vita a unmaschio, ottanta nel caso di una femmina.In ambedue i casi, il periodo di impuritàè diviso in due parti, la prima delle quali— sette o quattordici giorni a seconda delsesso del nascituro — è considerata nelLevitico un periodo di impurità pari aquello mestruale, mentre nel periodosuccessivo, di purificazione, la donna devesolo astenersi dal contatto con il sacro.Mentre il sistema dell’impurità ritualelegata alle mestruazioni fu abolito nelcristianesimo già nel III secolo, è rimastoin atto fino a pochi decenni fa quellodell’impurità dopo il parto, dove la donnadoveva sottoporsi a un periodo diquaranta giorni di purificazione, altermine dei quali doveva ricevere labenedizione dal sacerdote. Di qui, data lastretta analogia nel sistema ebraico fral’impurità mestruale e quella post partum el’analogia fra i due sistemi post partum,quello ebraico e quello cristiano, derivavala possibilità di una simile confusionenella mente dell’accusato, o forse anchedell’intero gruppo a cui apparteneva, siache si trattasse di una confusione volutain obbedienza alla “legge di Mosé” siache si trattasse di un involontariosincretismo. Comunque fosse, il poveroc o n v e rs o bruciò sul rogo per questacommistione religiosa, che gli dovevaforse sembrare del tutto naturale. La suavedova, lasciata libera perché aveva agitoin obbedienza al marito e non alle normedell’ebraismo, imparò che la frequenzaalla messa non era legata al suo ciclomestruale, e l’Inquisizione messicanacelebrò con un rogo la vittoria sull’e re s i agiudaizzante.

Abitare il mondo, generarloChe siano madri o meno, laiche o credentiquesto da sempre fanno le donneNon è un destino imposto dalla geneticané una vocazione innataMa piuttosto un’abilità preziosa

Ava Gardner interpreta Saranel film «The Bible: in The Beginning...» (1966)

di John Huston

Ed Eva perse la parolaA colloquio con Delphine Horvilleur, rabbino del Movimento ebraico liberale di Francia

In tutti i sistemie non solo in quelli religiosila donna è sempre portatricedell’alterità principaleÈ l’a l t ro

Povere madri ebreequante cose gravano sulle loro spalle!Ma in effetti l’Esodopuò essere molto facilmente lettocon metafore ostetriche

proprio figlio una medicazione, la possibilitàche possa “d i re ” al loro posto, cosa che luiperò può fare solo attraverso la violenza. Inebraico la parola che significa violenza è lastessa che significa mutismo».

Di fronte all’avanzare degli integralismi, ri-solvere la violenza dei figli passerà per unarisposta alla sofferenza delle madri? «Occor-re chiedersi in che misura si potrà placare laviolenza dei figli se non si presta attenzioneal dolore delle madri. Il posto del femminilenelle nostre società è critico e cruciale. Biso-gna anche porsi la domanda della resilienza:come accompagnare i figli ed eventualmenteaiutarli a rompere con le madri in ciò che lepossiede? Come smettere di considerarsi vit-time? Nella Bibbia, Dio interroga Caino perchiedergli che cosa conta di fare della suasofferenza, come agirà per far sì che non locondizioni. La domanda è rivolta a tutti noi.Siamo tutti portatori di una storia di benedi-zione o di maledizione. La questione è sape-re che cosa ne facciamo».

di IAIA VA N TA G G I AT O

Abitare il mondo, generarlo: che sia-no madri o no, laiche o credenti,questo da sempre fanno le donne.Non è un destino imposto dallagenetica né una vocazione innata

quanto piuttosto un’abilità preziosa con cui ledonne, al mondo, si rapportano. L’attualità,certo, richiama ben altri scenari. Quale fede,

quale vita, quale mondo ha nel cuore una ma-dre che piange felice di fronte al figlio avviatoal martirio?

Del ruolo della vita e della morte all’internodella fede e della cultura nonché degli esizialiequivoci che intorno a questo nodo cruciale sisono, nel corso dei secoli, ingenerati, vorreiparlare. Lo faccio da donna e da ebrea. Attin-gendo agli insegnamenti dei miei maestri edelle mie maestre.

«Quando gli angeli videro che il Signoreaveva ascoltato la preghiera di Abramo e gua-rito il re dei filistei della sua infermità, levaro-no alte grida a Dio: “Signore del mondo! Pertutti questi anni Sara è rimasta sterile, e cosìanche la moglie di Abimelec. Ma ora, appenaAbramo ti ha invocato, quest’ultima ha conce-pito un figlio: sarebbe dunque giusto che ti ri-cordassi anche di Sara!”. Era il giorno del ca-podanno, quando in cielo si decidono le sorti

essere sradicati). È su questa base che l’esegesirabbinica interpreta il lungo periodo di sterili-tà delle matriarche — tutte sradicate da unaterra “impura” — come un tempo necessarioaffinché si realizzi un reale distacco dal mon-do panteistico.

Un’interpretazione che tuttavia poco aiuta asciogliere i nodi che la sterilità crea persinoall’interno di una lettura del testo biblico: co-me la mettiamo, per esempio, con la mitzvà(precetto) del perù urvù (prolificate e moltipli-catevi)? E che senso diamo alla benedizionefatta ad Abramo, «farò di te una grande na-zione (...) si benediranno in te tutte le fami-glie della terra»? Anzi, che senso diamo a tut-te le benedizioni che, nella Torah, sono sem-pre dono di fecondità e di vita?

Hashèm (il Nome) benedice ma le matriar-che restano sterili. Certo: verrà il momento incui aprirà il loro grembo ma per l’intanto Sa-ra, Rebecca e Rachele soffrono chiuse nellaloro “incompiutezza”. Incompiute, non ancora“edificate”, così si sentono.

Dice Sara ad Abramo: «Ecco, il Signore miha impedito di generare, vieni dunque dallamia schiava, forse sarò edificata da lei» (Genesi16, 2). E Rachele: «Ecco la mia ancella Bilhà,vieni da lei, così che partorisca sulle mieginocchia e anche io sia edificata da lei» (Ge-nesi 30, 3). Maternità surrogate, diremmo oggi,che non servono però a lenire il dolore e lasofferenza. Sara, Rebecca e Rachele restanosterili.

Perché? Forse perché era necessario. La lorosterilità serve a dirci l’importanza del suo con-trario. Sia chiaro: non stiamo parlando di oro-logi biologici che battono l’ora impazziti nédella tanto decantata vocazione femminile allamaternità.

La nascita è, qui, una categoria necessaria apensare il mondo. Il piano su cui ci si muoveè, piuttosto, teologico-esistenziale: precetti ebenedizioni rischiano di cadere nel vuoto sinoa che non si dischiuda ventre di donna. Lostesso creato teme per la propria vita e ride diun riso liberatorio solo nel momento in cuiIsacco viene al mondo: il pericolo è scongiu-rato. Il grembo di Sara ha (ri)messo al mondoil mondo.

Con un passaggio fondamentale — la nasci-ta come cardine del mondo e della sua dicibi-lità — la Torah scarta qualsiasi altra tradizione,nullifica il valore del martirio e ritorna nelmondo terreno. Un mondo non sempre incontrasto con quello celeste, come qualcunosarebbe portato a credere. «In cielo come interra» recita il Padre nostro ed è lo stesso Ge-sù a presentarsi come «la via, la verità e la vi-ta». Di morte non parla. Da Sara, dunque,non nasce solo Isacco.

Se la realtà non è l’insieme di fatti nudi ecrudi ma piuttosto l’ordine simbolico che ilpensiero (il linguaggio, la cultura, i codici so-ciali) attribuisce al mondo, allora — con la na-scita — Sara dà vita a un imprevisto ordinesimbolico femminile. Un ordine al cui internosi staglia serena una forma di autorità femmi-nile che, lungi dal contrapporsi alla forma ma-schile del potere, l’aggira sottraendosi alle suere g o l e .

La nascita è il luogo da cui quell’autoritàorigina perché senza nascita non c’è mondo. È

questo che ci dice Hashèm (il Nome) dischiu-dendo il grembo incredulo di Sara e ponendola nascita al centro del mondo stesso.

Siamo nel cuore di una vera e propriarivoluzione gnoseologica. Scrive HannahArendt ne La vita della mente: «Lungo tutta lastoria della filosofia [occidentale] persistel’idea davvero singolare di un’affinità tra la fi-losofia e la morte». Gran bel paradosso! Esi-sterebbero due mondi: uno reale e uno che èsolo mera apparenza. Qualsiasi persona dotatadi buon senso sarebbe portata a pensare che ilmondo reale è quello in cui si nasce e si muo-re, ci si innamora, si stringono amicizie, si fapolitica, si costruiscono famiglie.

E invece no. Il mondo reale è quello che ifilosofi hanno definito «il mondo delle idee»e che altri hanno preferito chiamare inferno oparadiso. Per gli uni è il mondo del pensiero,per gli altri quello dell’anima. In un caso co-me nell’altro è il mondo che ha separato l’ani-

degli uomini per il tempo successivo, e perquesto le parole degli angeli sortirono il loroeffetto: sette giorni dopo, nel primo giornodella Pasqua, Isacco vide la luce. La nascita diIsacco non fu un lieto evento soltanto per lacasa di suo padre: oltre che di Sara, infatti,Dio si ricordò allora di tutte le donne sterili,facendo felice il mondo intero. E non soloqueste divennero feconde, ma i ciechi acqui-starono la vista e gli zoppi l’andatura normale,i muti parlarono e i matti tornarono savi».

Così Louis Ginzberg, nell’opera Le leggendedegli ebrei, racconta la nascita di Isacco, unanascita attraverso cui il Signore fece felice ilmondo intero. Ma come può un singolo even-to — peraltro intimo, privato, familiare — farfelice il mondo intero?

Spiega il Midrash Tanchumà che tutto ilcreato — la terra, i cieli, il sole, la luna — furallegrato dalla nascita di Isacco, perché senzaquesto evento il mondo avrebbe cessato diesistere. E in Bereshit Rabbà leggiamo:«Chiunque sente parlare della nascita ne

gioisce — esclamò Sara — perché Hashèm(il Nome) ha benedetto il mondo intero

grazie a me».Una nascita, non un martirio. E

non una nascita qualsiasi, mala nascita. Quella che non

solo dischiude il ventre diSara ma che sostiene ilmondo e lo fa esistere.Nella Torah, lo sappia-mo, nulla è detto né ac-cade per caso. Dunquenon può essere un casoche la sterilità affligga eaccomuni le nostre ma-

triarche con la sola ec-cezione di Lia.

Il termine 'aqarà(sterile) deriva da

una radice ebrai-ca che esprimeanche il sensodello sradica-mento (laa-q o r, sradica-re; l e ì a a q e r,

ma dal corpo condannando quest’ultimo all’ir-rilevanza. Apparente e caduco il corpo. E allo-ra cosa vuoi che sia un martirio? Reali l’animae il pensiero.

In tutt’altra direzione va la tradizioneebraica perché la nascita di Isacco hariscattato quel mondo dall’irrealtà e ha messola prassi al posto di un pensiero che infrut-tuosamente, e per secoli, ha pensato solo sestesso.

Il cambio di prospettiva è totale. La nascitaconsente il radicamento nella realtà, chiamaalla vita soggetti singolari che ricuciono inces-santemente quei corpi e quei pensieri che l’o c-cidente voleva separati e inconciliabili. Ed èper questo che il mondo ride.

Questo mondo, e con esso le creature che viabitano, può essere finalmente pensato e detto— reso reale, insomma — all’interno di un nuo-vo ordine simbolico che nasce da corpo didonna.

Non è un caso, del resto, che proprio graziealla riflessione di una donna — di una donnaebrea — la categoria della natalità abbiaassunto una posizione assolutamente centralenella filosofia del Novecento. Si deve infattiad Hannah Arendt il merito di aver messo incampo una categoria critica — quella dellanatalità, appunto — in grado di far saltarel’intero apparato metafisico costruito sullamorte e sulla “mortificazione” dell’a p p a r i restesso.

Nasce dunque il mondo, quando il Signorene dischiude il grembo. Rinasce il mondo,sotto lo sguardo accogliente ma sempre auto-revole delle donne. Nasce e si mette in cam-mino.

Delphine Horvilleur

Ebrea in preghieraal muro occidentale

di Gerusalemme (Epa)

IN CINA PRIMA LEGGECONTRO LA VIOLENZA D OMESTICA

È rivolta a fermare gli abusi fisici epsicologici la prima legge emanata in Cinacontro la violenza domestica. Secondoquanto riferisce l’agenzia Xinhua, lanormativa — che si applica anche allecoppie conviventi — definisce le vessazionicome «una ferita fisica o psicologica infertada parenti, a partire da aggressioni,ingiurie, costrizioni o limiti forzati allalibertà fisica, ma anche ricorrenti minacceverbali e abusi». In caso di pericoloimmediato, entro settantadue ore iltribunale deve emettere un ordine diprotezione personale; in presenza di atti dinotevole gravità, i tempi si riducono aventiquattro ore. Se la vittima ha limitatecapacità di presentare una denuncia, o nesia impedita dalla forza o da minacce, essadovrà essere effettuata dalla polizia, daiservizi sociali o dalle organizzazionifemminili. La nuova normativa tiene contodelle statistiche: secondo la Federazionenazionale delle donne cinesi, un quartodella popolazione femminile ha subito

violenza domestica. L’88,3 per cento dellesole cinquantamila denunce annue riguardamariti che maltrattano le mogli, il 7,5 percento genitori violenti verso i figli e l’1,3per cento figli che maltrattano i genitori.Ma i dati sarebbero sicuramente più altiladdove venissero prese in considerazioneanche le aree rurali del Paese, dove lacultura tradizionale è ancora molto forte edove diminuiscono le denunce. Anche se inCina le relazioni domestiche sonoconsiderate un affare privato, la sensibilitàcollettiva verso il tema della violenza stacambiando. Un caso emblematico è statoquello di Li Yan, una giovane donna di cuila corte cinese ha sospeso per due anni lacondanna a morte per l’assassinio delmarito, che la picchiava e la umiliava: se altermine dei quarantotto mesi Li Yan nonavrà commesso reati, la sospensionediventerà ergastolo. La decisione ha tenutoconto delle pressioni esercitate dalleorganizzazioni civili che si battono per idiritti delle donne, e parrebbe la spia di unnuovo atteggiamento verso la violenza.

PASSEGGINO PER MAMME IN SEDIA A RUOTE

Il problema di Sharina Jones, unamamma con disabilità fisica, era complesso.Il suo sogno irrealizzabile era quellodi fare una passeggiata da sola con suofiglio: dovendo spingere la sedia a ruotesu cui si muoveva, le era impossibilespingere anche il passeggino del bebé.Ma Alden Kane, un ragazzino di sedicianni che frequenta la Jesuit High School,un college di ingegneria e scienze aDetroit, dopo sei mesi di tentativi, hatrovato la soluzione: ha infatti inventatoil passeggino che può essere spinto dachi vive in carrozzina. Si tratta di un ovettomunito di due ruote aggiuntive che vacollegato con un tubo alla sediaa ruote. Come ha spiegato alla stampalocale, «è stato bello incontrare Sharinae parlare con lei di ciò che vuole enon vuole. È stato un grande aiutoper determinare la fattibilità deldispositivo, dove mettere la borsa per ipannolini ad esempio». Ora manca soloil brevetto.

LE D ONNE KENIOTE SPINGONOL’ECONOMIA DEL PAESE

L’economia del Kenya è retta dalle donne:stando ai dati, infatti, la popolazioneeconomicamente attiva è al sessanta percento rurale e femminile. Per far sì che ilPaese cresca ulteriormente, dunque, la sfidapiù importante è quella di rafforzare lafigura femminile. Tuttavia, nonostante ladonna sia capo famiglia in un nucleo sutre, nel Paese, secondo una inchiesta del2014, risulta ancora un alto grado diviolenza contro questa fascia dellapopolazione. Quattro donne su dieci, nellafascia di età compresa tra i 15 e i 49 anni,hanno subito aggressioni fisiche da parte difamiliari. Inoltre, a causa delle gravidiscriminazioni di genere che ancorasussistono in Kenya, spesso con la violenzale bambine vengono allontanate dallascuola e le donne dal mercato del lavoro.La metà delle keniote ha solo unaeducazione primaria, il che a lungo andarecostituisce un ostacolo per la loropartecipazione all’attività socio-economicadel Paese.

SUOR DOROTHYUCCISA UNDICI ANNI FA IN BRASILE

Numerose famiglie di agricoltori di Anapu,nel sud del Pará in Brasile, si sonoincontrate per ricordare l’assassinio di suorDorothy Stang, avvenuto undici anni fa. Lareligiosa settantatreenne era nota per il suocoraggio e la sua disponibilità; amica fedelee vicina ai problemi della popolazionelocale, nata negli Stati Uniti e naturalizzatabrasiliana, faceva parte della Congregazionedi Notre Dame. Suor Dorothy eraimpegnata da più di vent’anni nellaCommissione Pastorale della Terra (Cpt),accompagnando con fermezza e passione lavita dei lavoratori dei campi, specie nellaregione transamazzonica dello Stato delParà. A causa della sua denunciadell’azione violenta dei f a z e n d e i ro s e g r i l e i ro s ,sin dal 1999 aveva ricevuto numeroseminacce di morte fino a quando venneuccisa, con sei colpi sparati a bruciapelo inuna località a quaranta chilometri dalcomune di Anapu. Negli incontri e nellecelebrazioni per l’anniversario, durate unasettimana, si è parlato anche degli ultimi

crimini avvenuti in questo inizio anno aEldorado do Carajás: alla base, esattamentegli stessi motivi che portarono all’assassiniodi suor Dorothy.

RECUPERARE LE MADRI AD OLESCENTIIN MA L AW I

Il fenomeno delle ragazze madri è unarealtà che affligge molte donne in Malawi.Nella maggior parte dei distretti del suddel paese, si usa mandare le adolescenti incampi di iniziazione dove vengonoincoraggiate ad avere rapporti sessuali pertestare la loro maturità. Si tratta di unmacabro rito conosciuto come kutsatsafumbi. Nel Paese, infatti, le gravidanzeadolescenziali e i matrimoni precoci, inparticolare nelle zone rurali, sono fomentatida credenze e pratiche ancestrali. Grazie aun’iniziativa congiunta tra Stato, leaderlocali, Chiese, Onu e altre ong, come laAgenzia Avventista per l’Aiuto e loSviluppo (Adra), nel 2014 circaseicentomila adolescenti sono tornate ascuola. Inoltre, con il progetto di AdraMalawi, Quando la madre è una bambina,

vengono assistite trecento madriadolescenti.

DONNE SENTINELLE A M B I E N TA L I

Troppa o poca pioggia sta provocandoun’emergenza umanitaria progressiva:secondo un rapporto della EnvironmentalJustice Foundation, entro il 2050 i rifugiaticlimatici saranno circa mezzo miliardo, ealmeno duecentomila si sposterannodall’Africa. Su «Noi Donne», EmanuelaIrace racconta di popolazioni senza piùterra, di dati statistici e cifre che si tendetroppo spesso a dimenticare rapidamente.Tsunami, cicloni, siccità, allagamenti: interefamiglie dirottate nei campi profughi,vittime di un modello di sviluppo cheproduce rifugiati ambientali con cifre dacapogiro. Un’emergenza umanitariaprogressiva, meno eclatante della guerra,ma che, come la guerra, richiedeprotezione. Se nel 1986 venne coniatal’espressione environmental refugees p erindicare gli oltre trecentomila evacuati inseguito all’esplosione del reattore nuclearedi Chernobil, da allora in ambito

accademico la configurazione giuridica si èevoluta. «Il punto — spiega la giuristaAnna Brambilla — è trovare una categoriadi protezione umanitaria che connoti irifugiati climatici dando loro uno statusgiuridico che li differenzi da altre categoriedi migranti e richiedenti asilo». Questopopolo di invisibili è compostoprevalentemente da donne, contadini epescatori che hanno perso ogni capacità diautosostentamento. Intere comunità che inogni parte del globo sono costrette amigrare perché il mare entra dappertutto eil sale brucia la terra; perché la stagionedelle piogge dura meno, con conseguenzedrammatiche in tutta l’Africa australe e nonsolo. In Mali, nella comunità peules sono ledonne le prime sentinelle ambientali:attente ai particolari, sono le prime amonitorare il territorio perché sono loro dasempre a cercare cibo e acqua per lafamiglia. Che si abbracci la tesinegazionista o si esageri nell’allarmismo,resta un dato incontrovertibile: sono sempremeno le terre a disposizione. E senza terranon c’è cibo.

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Avvicinarsi tutti alla Scrittura

Per non mutilarela Torah

di CAT H E R I N E CHALIER

Per secoli, in paesi in cui la cultura, cristiana o musulmana,lasciava la sua impronta sullo scandire del tempo, sui pae-saggi, sui costumi e sull’esistenza quotidiana, lo studio

(limmud) ininterrotto della Torah è stato la modalità per eccellen-za di continuità della vita ebraica. Più che i cristiani e i musul-mani, gli ebrei avevano in effetti un bisogno vitale di sondare iloro testi, di interpretarli e di trasmetterli. E questo anche se i lo-ro ospiti — spesso loro persecutori — ignoravano tutto della vitadello spirito ebraico o la negavano con violenza pretendendo diridurla a una “lettera” morta o superata.

Lungi dal costituire un mondo chiuso e intoccabile, il testoscritto della Torah è stato — ed è ancora – inseparabile dalla To-rah orale (Torah shebealpeh), ossia dalla Torah “che è sulla bocca”di quanti la studiano e la interpretano in modo nuovo. Il Tal-mud, l’esegesi del Midrah, i commenti filosofici e mistici, costi-tuiscono l’immensa ricchezza della Torah orale, divenuta essastessa un’immensa bi-blioteca, in ebraico ein aramaico, e poi an-che in altre lingue:senza di essa l’ebrai-smo perde il suo sensoe la sua forza.

Questo compito èfondamentale, e questavita in sintonia con lostudio è stata quasisempre appannaggiodegli uomini: le donnevi hanno avuto pochis-simo accesso. E tuttociò con il duplice pre-testo che lo studio era un obbligo (mitzvà) solo per gli uomini ele donne non ne erano capaci (argomento misogino), e che ledonne avevano un accesso più diretto alla vera pietà (argomentoadulatorio). Imprigionando così la mente femminile in una natu-ra che le sbarrava il cammino dello studio, le donne, fino a pocotempo fa, venivano quasi sempre escluse. In una religione in cuilo studio costituisce un asse importante, ciò ha anche significatola loro subordinazione a quanti studiavano, interpretavano e legi-feravano in ogni ambito. Certo, ci sono donne che condividonoquesta ripartizione tradizionale dei ruoli e si sottomettono allaparola maschile che ingiunge loro di sostenere il proprio marito,di allevare i figli, anzi di lavorare per mantenere la famiglia inmodo che gli uomini possano dedicarsi allo studio. Ma accadeanche — e sempre più spesso — che si rifiutino di farlo.

Il desiderio di condividere il mondo dello studio con gli uomi-ni non è d’altronde solo una questione di dignità personale, siapur legittima, e ancor più importante per le donne che nei paesidemocratici sono cittadine al pari degli uomini e che spesso han-no ricevuto un’educazione nelle materie profane inconciliabilecon una condizione di minorità in seno alla loro religione. Mac’è anche un altro motivo.

Se è vero che il rinnovamento di significato dei versetti dellaTorah dipende dalle domande che gli esseri umani pongono lo-ro, è altrettanto vero che tali domande non nascono dal nulla.Provengono dalle difficoltà, non solo intellettuali, incontrate dailettori, ma anche dalle prove che attraversano (sofferenza, lutto,disgrazie) e dalle gioie (amore, nascita, successo), che sentono edesprimono. E le donne — tanto quanto gli uomini, ma anche inmodo diverso — provano tutto ciò.

Volerle allontanare dal mondo dello studio è dunque vietarsidi ascoltare le loro domande, quelle che permettono di chiarirein modo diverso il senso dei versetti. Ciò presuppone che loscambio tra gli uomini sia sufficiente e che essi non abbiano nul-la da imparare dalle interpretazioni femminili. Questo porta a unimpoverimento della Torah orale, anzi alla sua mutilazione e aun disinteresse nei suoi confronti. Constatazione ancor più im-portante in quanto i giovani e le giovani istruiti, ma che cono-scono i testi religiosi solo per sentito dire o sotto forma di pro-positi sclerotizzati, non pensano più di rivolgersi a essi per dareun qualche senso alla loro vita.

Non riconoscere il contributo delle donne sul piano dello stu-dio significa dimenticare che la Torah sul monte Sinai è stata do-nata a tutti. Laddove le donne si sono inserite nel mondo dellostudio (Israele, Stati Uniti, Europa) certo la situazione non ècambiata all’istante, come per incanto, ma è stata comunqueaperta la via a un dinamismo indispensabile. Inoltre, che gli uo-mini imparino a loro volta ad ascoltare la parola delle donne,non come qualcosa che li rende inferiori ma come qualcosa che lipone in un faccia a faccia con loro, significa anche contribuireall’avvento della pace. Nessuna pace sarà possibile tra gli uominifinché una metà dell’umanità sarà da loro screditata e costretta asottomettersi alle loro parole.

Miriam, Mosè e Aronne furono le tre guide degli ebrei nel de-serto (cfr. Michea 6, 4). La prima doveva vegliare sull’acqua vivadel pozzo destinato ad appagare la loro sete. L’acqua viva è peròassociata alle parole della Torah. Quindi dimenticare il pozzo diMiriam significa assetare anche gli uomini, benché essi sostenga-no il contrario. Il taam (gusto, sapore, significato) di quell’acquaè indispensabile per ogni uomo e per ogni donna.

Due donne per un postoEmma, santa del mese, raccontata da Lucetta Scaraffia

Lo sanno tutti: in paradiso i san-ti, insieme con gli angeli, canta-no la gloria di Dio immersi nel-la sua beatifica visione. Ma an-che lì, alla fine, ci sono proble-

mi di confusione, soprattutto quando ilnumero di santi continua ad aumentare equelli che serie ricerche storiche sulla terrahanno definito inesistenti si rifiutano diandarsene da quel posto privilegiato. Sisa, sono lì da tanto tempo, hanno strettoamicizia, hanno le loro abitudini. Peresempio, san Giorgio, che gli studiosi di-cono non esista, è diventato molto amicodell’arcangelo Michele, che non lo lasceràmai cacciare dal coro. Impossibile man-darli via, ha pensato Pietro. «Va be’, alloraalmeno mettiamo un po’ d’ordine» si èdetto allora il primo fra gli apostoli, e hadeciso che a ogni nome dovesse corrispon-dere nel coro un posto preciso, semprequello, per l’eternità.

Tutto sembrava procedere con ordine, ePietro era soddisfatto. Ma poi, improvvi-samente, si è trovato di fronte un imprevi-sto: al posto riservato a santa Emma sierano dirette, infatti, due donne, che recla-mavano entrambe di averne diritto. Certole comunicazioni fra loro erano facilitatedal fatto che parlavano entrambe tedesco,ed erano più o meno della stessa epoca,intorno all’anno Mille. Ma sul resto, eradisputa accesa, violenta per quanto pote-vano essere violente due gentildonne ben-nate e cristiane ferventi, ma entrambe si-cure, in cuor loro, di essere l’unica santaEmma.

La situazione si faceva difficile, altrisanti si avvicinavano incuriositi — le di-spute sono rare in paradiso — finché nonarrivò sant’Alfonso, insigne giurista napo-letano, che subito istituì una vera e pro-pria istruttoria. Le sante gli sembravanouguali, vestite allo stesso modo, entrambeconsapevoli del casato a cui apparteneva-no pur senza volerlo far apparire: comedevono fare le vere sante, ovviamente.

Alfonso si rivolse a quella alla sua de-stra, chiedendole da dove veniva, e perchéera stata canonizzata. Emma rispose cheera nata a Gurk, in Stiria, e dopo la mortedel marito e del figlio in battaglia — eranotempi duri per gli uomini — aveva eredita-to gli immensi beni della contea di Sann.Finalmente libera di amministrare la gran-de ricchezza come voleva, ne avevadestinato una parte ai poveri, l’altra allafondazione di due monasteri, uno per mo-naci e uno per monache. «Appena ho po-tuto — aggiunse — mi sono ritirata ancheio nel monastero femminile, nella cui chie-sa è ancora conservato e venerato il miocorp o».

Subito saltò su l’altra Emma, quasi in-dignata: «Ma quella che tu racconti è lamia vita! Sono io, Emma di Sassonia, ve-dova, che ho donato tutte le mie sostanzealla Chiesa e ai poveri, dedicandomi soloal bene del mio prossimo. Tu mi hai co-piata, vuoi essere come me! Il mio corpo èconservato nella cattedrale di Brema, euna reliquia — la mia mano incorrotta — èconservata a Werden. È una sicura provadi santità!».

Alfonso cercò allora di rifarsi alle provescritte, ai documenti — le reliquie, si sa,non sono mai affidabili — ma per nessunadelle due esistevano documenti coevi: leprime agiografie risalivano a secoli dopola loro morte, e quindi non erano moltoattendibili. Mentre il povero Alfonso fati-cava a trovare una soluzione, le due Em-ma si erano tranquillizzate, e avevano co-minciato a fare amicizia, soprattutto aspettegolare sulle donne che avevanoportato, più o meno degnamente, il loronome.

Se per la suffragetta Emma Pankhurstentrambe provavano una inquieta attrazio-ne, incerte se condannare o aderire, si di-chiaravano tutte e due fervide ammiratricidell’attrice Emma Thompson. Ma quelloche le univa di più era la feroce avversioneverso una Emma che non era mai esistitasul serio, ma che ciononostante era diven-tata molto più nota e famosa anche di lo-ro due: Emma Bovary! Che vergogna, di-cevano, il nostro nome portato così male...sulla bocca di tutti, poi...

Alfonso cercava di intervenire per rab-bonirle — in paradiso tutti cercano di esse-re buoni — per ricordare loro che non tut-te le donne erano così fortunate da rima-nere vedove giovani e molto ricche, comeera successo a loro due. Ma non c’era ver-so di farsi ascoltare.

E poi rimaneva insoluta la questionedel posto, che doveva essere uno solo. Lu-ca, il vero intellettuale del paradiso, cheleggeva sempre, si ricordò improvvisa-mente di avere letto che talvolta nelloscrivere le leggende agiografiche, nel dif-fondere i culti, due sante erano state unifi-cate in un’unica figura, che conteneva inuna sola vita entrambe le esperienze, op-pure che una sola santa, per ragioni diculto locale, era stata sdoppiata in dueluoghi di culto, ciascuna con la sua reli-

quia. Forse era questo il caso delle dueEmma, vissute nello stesso periodo, dallevite così simili.

Davanti a questa bassa insinuazione, ledue sante si allearono e risolsero da sole lasituazione: il posto sarebbe stato occupato

a turno, un giorno per ciascuna. L’altraavrebbe approfittato della libertà per farsiuna passeggiata, per riposare. Così la pacetornò in paradiso, ed entrambe le sante dinome Emma vissero felici e contente perl’eternità.

Lucetta Scaraffiaha insegnato storiacontemp oraneaall’università diRoma La Sapienza.È membro delComitato nazionaleitaliano per labioetica econsultore delPontificioConsiglio per lapromozione dellanuovaevangelizzazione.Tra i suoi libri: LaChiesa delle donne(con GiuliaGaleotti, 2015), Leporte del paradiso(2015), La santadegli impossibili(2014), Per unastoria dell’eugenetica(con OddoneCamerana, 2013),Due in una carne(con MargheritaPelaja, 2008),Francesca Cabrini.Tra la terra e il cielo(2003).

Gli uomini debbono impararead ascoltare la parola delle donnenon come qualcosa che li rende inferiorima come qualcosa che li ponein un faccia a faccia con loroE ciò contribuiràanche all’avvento della pace

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donne chiesa mondo aprile 2016

Mercedes L. García Bachmannha conseguito nel 1999 il dot-torato in teologia presso la Lu-theran School of Theology(Chicago). Pastore della Chie-sa evangelica luterana unita(Argentina e Uruguay), inse-gna Antico Testamento edebraico all’Instituto SuperiorEvangélico de Estudios Teoló-gicos (Isedet), dove è stata de-cana (2004-2008) e direttricedi studi postlaurea (2008-2015). Tra le altre istituzioniin cui ha insegnato, la facoltàvaldese di teologia di Roma,la facoltà luterana di teologiadi Chicago e la facoltà cattoli-ca di teologia dell’università diMünster. Dal 2016 è direttricedell’Istituto per la PastoraleContestuale della Chiesa evan-gelica luterana unita.

Miriam, la profetessa

di MERCEDES L. GARCÍA BACHMANN

iriam (o Maria, aseconda di comeogni versionetraduce il nomeMiryām) è unadelle figure piùinteressanti dellaBibbia. Èmenzionata in seitesti, cinque deiquali sono delPentateuco. Ma ilpiù delle volte lasua figura viene

associata al salvataggio di Mosè bambino(Esodo 2), dove però, benché prenda laparola, a differenza di molte altre donne, siparla di lei solo come di «sua sorella», senzaindentificarla. È una delle poche donne delPentateuco nominata in altri passi dellaBibbia. Vi invito qui a compiere un eserciziod’interpretazione critica e una lettura globaledella figura di Miriam. Scoprirete così unadelle principali guide del popolo d’Israele, alpari dei suoi “fratelli” Mosè e Aronne. Èmenzionata in due genealogie, una in Numeri26, 59: «La moglie di Amram si chiamavaIochebed, figlia di Levi, che nacque [da suamadre] a Levi in Egitto; essa [Iochebed]partorì ad Amram Aronne, Mosè e Maria lorosorella». Qui sono menzionate anche lamadre e la nonna di Miriam, fattostraordinario che credo sia riconducibile allafigura straordinaria della stessa Miriam.Considerato che, nel ripercorrere la storia,raramente possiamo contare su genealogiematerne, osserviamo qui che la discendenza disua madre è di una generazione più vicina aGiacobbe di quella di suo padre. Da entrambii lati (come i suoi fratelli) Miriam è levita(stirpe sacerdotale) autentica. La secondagenealogia (1 Cronache 5, 29) è anch’essasacerdotale (si noti come continua al verso 30)e include di nuovo Miriam come sorella. Legenealogie riflettono le relazioni sociali; ilfatto che Miriam sia sempre sorella, e nonfiglia o moglie, di questi due grandi leadersignifica che veniva considerata una figurainfluente al pari loro, sul loro stesso piano alivello familiare. Ora vi invito a fare unosforzo di memoria: avete mai sentito dire cheMiriam in Israele è stata tanto influentequanto Mosè e Aronne? Per poter apprezzarela sua importanza occorre immaginare un po’la situazione storica, religiosa e politicad’Israele quando i suoi sacerdoti e i suoiscribi decisero quali testi sarebbero stati sacri,in un’epoca molto successiva a quella deldeserto, dove i racconti situano Miriam.Osserviamo ora le caratteristiche principali diquesta donna: profetessa di YHWH che canta eballa in suo onore, interprete della paroladivina e intermediaria tra YHWH e il popolo.È interessante notare che non si dice nulla dei

ruoli tradizionali: non è “moglie di” né“madre di”, e non è profetessa per il suoruolo di sorella (non è un ruolo ereditario,attribuitole per parentela). Esodo 15, 20-21 èuno dei testi più fecondi. Si tratta di un cantodi lode a YHWH dopo che Israele haattraversato il mare; è il primo canto inlibertà. I versi 1-19 sono generalmenteattribuiti a Mosè e il ritornello (versi 20-21) aMiriam, ma ci sono elementi che consentonodi attribuire a lei l’intero canto (tra gli altri latestimonianza biblica che ricevere i guerrierivittoriosi con canti e balli era compito delledonne: cfr. Giudici 11, 34; 21, 21; 2 Cronache 35,25; Qoelet 2, 8 parla di cantatrici). In ognicaso, Esodo 15, 20 è il primo testo chemenziona «Maria, la profetessa, sorella diAronne». Potremmo chiederci se non siaanacronistico parlare di profezia così prestonella storia, quando Israele si stava appenaformando. La verità è che la questione delladatazione dei testi è molto controversa,sebbene, secondo l’opinione più comune, itesti poetici siano più antichi della prosa, inparticolare i canti di Debora in Giudici 5 (unaltro canto di lode di una donna a YHWH!) edi Miriam. In ogni caso, se la profezia non èdefinita dall’uso del termine ebraico nabi’(maschile) o nebi’a (femminile), che cosa ladefinisce? Ci sono vari elementi, non tuttipresenti in ogni profezia, come i miracoli diElia, Eliseo e vari uomini di Dio anonimi neilibri dei Re; l’intercessione dinanzi alledisgrazie (vedi G e re m i a 15, 1, dove Mosè,Samuele e Geremia appaiono insieme);l’interpretazione della volontà divina per lasituazione che devono vivere; e, cosa piùimportante rispetto al nostro testo di Esodo 15,20-21, l’esortazione alla fedeltà all’unico Diod’Israele. Se guardate attentamente, vedreteche Miriam sta facendo teologia, sta leggendola situazione presente — che l’intero popolopuò attraversare il mare senza morire affogatoe senza l’esercito egiziano alle calcagna — allaluce della parola divina; YHWH lo ha fatto,nessun altro. Ma c’è un segnale d’allarme che

Miriam nota: Esodo 14 termina al versetto 31dicendo che il popolo credette in YHWH e inMosè suo servo. È un cattivo segno che ilpopolo confonda un servo con il suopadrone, perciò Miriam invita a lodare soloYHWH («Cantate al Signore… ha gettato in

mare cavallo e cavaliere!»). Così il nostroprimo incontro con Miriam, la profetessa, èun invito alla lode divina, a non idolatrarenessun essere umano, neppure uno cosìimportante come Mosè il legislatore, cheparlava faccia a faccia con Dio. Parlando diquesto faccia a faccia con il Signore, passiamoa un altro testo fondamentale. Si tratta diNumeri 12. È un testo lungo, che andrebbeletto partendo dal capitolo precedente perinquadrarlo bene. È uno degli episodi cheaccadono durante i quaranta anni nel desertodove parte del popolo mormora controYHWH. Il testo sembra includere duetradizioni, una sulla sposa africana di Mosè(che poi però non svolge alcun ruolo nelcapitolo) e un’altra, più importante, sul ruolospeciale di Mosè come profeta di YHWH (o,detto in modo diverso, sul ruolo di Aronne edi Miriam come portavoce di YHWH). Ilconflitto si risolve in modo piuttostoinsoddisfacente in quanto a equilibrio dipotere tra i tre “fratelli”: la voce divinapreferisce Mosè a qualsiasi altro essereumano, Aronne il sacerdote deve verificareche sua sorella è lebbrosa e prega Mosèd’intercedere presso Dio perché guarisca; eMiriam resta isolata, per sette giorni, fuoridall’accampamento perché ha la lebbra. Ma ilpopolo non riprende il suo cammino verso laterra promessa finché lei non ritorna; ilpopolo l’aspetta. Perché Miriam subisce nellasua carne le conseguenze di un’azione chenon sembrava così terribile? In fin dei conti,[Miriam e Aronne] avevano ragione nel direche Dio parlava anche per mezzo di loro (seleggete attentamente Numeri 12, 3-9 vedeteche in realtà YHWH sta parlando direttamentea loro, pur dicendo di rivolgersi solo aMosè!). Potremmo trovare vari motivi perquesta redistribuzione di potere, ma sospettoche dietro a questo epilogo ci siano tensionitra fazioni diverse in epoca persiana, quandoalcune storie furono convertite in Bibbia ealtre restarono fuori dal canone. In quelperiodo (VI-V secolo prima dell’era cristiana)

c’erano gruppi di ebrei guidati da scribi,sacerdoti e leviti, che si riconoscevano “figli”di Mosè o di Aronne. Ma c’erano anche “figli– e figlie? – di Miriam”, che svolgevano ilministero profetico. Un segnale del suo pesonella comunità è l’esistenza stessa di questastoria, dove da un lato Miriam viene messa“fuori” dall’accampamento, ma dall’altro nonpuò essere eliminata perché gode di unappoggio popolare tale da non far muovere lasua gente finché non si reinserisce nelgruppo. Un indizio analogo appare nelracconto della sua morte, sul quale torneremoin seguito. Sembra che Numeri 12 offra unalettura piuttosto negativa di Miriam, ma èun’inezia se paragonata ad altre ribellioni neldeserto, come in Numeri 11. In modo negativoè vista anche in D e u t e ro n o m i o 24, 8-9, dove lostatus quo religioso levitico è supportatodall’esempio negativo di Miriam. Va notatoperò che il testo allude solo a «quello che [ilSignore tuo Dio] fece a Maria», senzamenzionare la lebbra (inoltre Numeri 12 nonparla di disobbedienza a YHWH ma dicontestazione verso Mosè, che, come abbiamovisto in Esodo 15, 20-21, non è la stessa cosa!).Anche se Numeri 20, 1 dedica a Miriam pocheparole, è sorprendente, perché non abbiamonotizia della morte di quasi nessun’altradonna biblica. L’intero capitolo gira attornoalla possibilità che sia morta per mancanza diacqua, e soprattutto, per la mancanza di fededi Mosè e di Aronne. Va nuovamente notatoche, a differenza dei suoi fratelli, non si dicemai di Miriam che è morta per castigo divino.È un dato molto importante, perché sarebbestato più facile farla morire per qualchedisubbidienza, soprattutto in questo capitoloin cui Dio si stanca e decide la morte diMosè e di Aronne. C’è una tradizione checollega Miriam al ritrovamento dell’acqua.Ma credo che, più che questa tradizione, adaiutarci a spiegare il malessere del popolodinanzi alla morte di Miriam sia il fatto che sisente orfano, che Miriam ha sempreinterceduto tra il popolo e i fratelli e anchetra il popolo e Dio. Questa è un’altra piccolaperla del valore che Miriam ha per Israele.Infine, l’unico testo nella letteratura profeticache la nomina rafforza il suo ruolo di guida.Michea 6, 1-8 è un tipico esempio di processoo accusa a Israele per essere stato infedele alsuo Dio. Tra i rimproveri che YHWH rivolge aIsraele, chiedendogli che cosa gli ha fatto,uno recita: «Ti ho fatto uscire dall’Egitto (…)ho mandato davanti a te Mosè, Aronne eMaria». L’azione di mandare davanti significaindicare guide e profeti per il popolo: Mosèdavanti al popolo che sale sulla montagna,Mosè e Miriam che cantano e guidano ilpopolo in adorazione a Dio mentreattraversano il mare; Mosè, Miriam e Aronneche camminano davanti al popolo verso laterra promessa. E quando Miriam muore, ilpopolo si ribella per la mancanza d’acqua (edi Miriam), Mosè e Aronne disubbidiscono aDio e colpiscono la roccia invece di parlare

con lui, e Dio decide che non entrerannonella terra promessa; finisce così lagenerazione di quanti erano stati mandatidavanti al popolo. Il breve testo di Micheamostra, da un lato, le tre figure legateall’esodo e al deserto, una delle tradizioni piùantiche d’Israele. Dall’altro, mostra Mosè eAronne come servi e Miriam come serva diDio, proprio come profeti. In terzo luogomostra che per il Dio di Michea, Mosè,Aronne e Miriam sono sullo stesso livello,senza alcuna differenza, eccetto l’ordine in cuisono nominati. Quest’ordine denota una

visione patriarcale, che pone sempre la donnaall’ultimo posto. Infine va notata l’assenza diriferimenti familiari nel testo. L’autore nondice che Miriam era la loro sorella, ma chel’unica cosa che unisce le tre figure è lavocazione profetica. Miriam dunque non èstata una figura secondaria per Israele,almeno per una parte del popolo. Le tensioniper tenerla lontana o per dissimulare la suaimportanza, in particolare in Numeri 12 e inD e u t e ro n o m i o 24, 8-9, mostrano proprio chec’erano settori per i quali era troppoimportante. La storia del popolo eletto nondovrebbe essere la storia dell’eliminazione diuna sua componente perché popolare, fedelea Dio e profetica. Ma la buona notizia è che— sebbene con un certo sforzo e con un po’d’immaginazione — abbiamo recuperato partedi quella storia del popolo di Dio, almenoper quel che riguarda una delle sue figure piùimportanti e amate.l’a

utric

e

Pippa Blackall,«Miriam the Prophetess»

(cattedrale di St Edmundsbury,Suffolk)

Miniatura dal Tomić Psalter (1360-1363)

NON TOCCARE

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