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STUDI SULLA TRANSUMANZA E LALPEGGIO 1 (2006) 2 DOVE VAI, PASTORE? CENTINAIA DI MIGLIAIA DI PASSI SULLE TRACCE DEL GREGGE di Marzia Verona INTRODUZIONE La transumanza è un momento di forte attrazione per qualsiasi pubblico che abbia occasio- ne di assistervi: suscita nell’osservatore un richiamo verso un mondo sconosciuto, che immagi- na diverso da quello artificiale e caotico in cui si trova, sognando di potersi unire al pastore ed alle sue bestie per poterlo seguire in un cammino libero, respirando aria pura e vivendo gior- nate dai ritmi più naturali. La realtà è tuttavia differente, oggi più che mai il transito degli animali è soggetto a limitazioni, ma il gregge che passa continua ad avere un fascino irresisti- bile (fig. 7). Il titolo della ricerca, che coincide con quello dell’opera di prossima pubblicazione, è una duplice domanda: da un lato è l’interrogativo che si pone chiunque veda passare un gregge in transumanza, e che rivolgerà spesso al pastore, ma, nel contempo, è anche una riflessione sul futuro della pastorizia nomade. In entrambi i casi, non si può dare una risposta. Il pastore ten- de a non rivelare mai la propria meta, per tutelarsi contro chi potrebbe avere interesse a pre- cederlo o chi vorrebbe costringerlo a cambiare destinazione. Il futuro invece è incerto, tra il progresso che assorbe e trasforma il territorio, lasciando sempre meno spazio alla pastorizia nomade, e leggi e divieti atti a limitare la fruibilità delle poche risorse ancora disponibili, ren- dendo sempre più complessa un’attività tra le più antiche che esistano. Questa ricerca si occupa dei pastori che praticano il pascolo vagante in Piemonte, quantifi- cabili in 35 greggi con oltre 40.000 capi monticati in alpeggio nelle vallate delle province pie- montesi. Venti di questi sono oggetto delle interviste raccolte nella seconda parte dell’opera. È una realtà poco conosciuta, per quello che riguarda il Piemonte, tanto che spesso viene ri- cordata solo per quanto concerne il passato, mentre è ancora ben presente, con persone delle più diverse età ad occuparsene, coadiuvati da garzoni ed aiutanti. Negli ultimi anni si è assisti- to ad un progressivo aumento del numero dei capi nelle greggi e, contemporaneamente, alla ripresa degli spostamenti a piedi, senza più l’utilizzo di autotreni, essenzialmente per motivi economici. Il costo è ingente, inoltre, pascolando lungo la via, si risparmiano le risorse in pia- nura, essenziali per il superamento dell’inverno. Una delle problematiche più evidenti è proprio quella dello spostamento lungo le vie di comunicazione, che va ad intralciare altre attività ed il normale transito di auto, bus e ca- mion. Quello che in Italia è un momento difficile, caratterizzato da scontri, discussioni ed an- che sanzioni, altrove è vissuto come un momento di grande attrazione turistica. Ne sono un esempio le Feste della Transumanza che si tengono annualmente in Francia. I pastori rivendicano una visibilità ed un rispetto che forse non hanno mai avuto, etichetta- ti come zingari e ladri (ladri d’erba, s’intende). Non si parla mai di loro, se non negativamen- te, ed il loro nomadismo è visto con sospetto dagli stanziali, siano essi appartenenti al mondo rurale che ad altre classi della società.

DOVE VAI, PASTORE? CENTINAIA DI MIGLIAIA DI PASSI … · na diverso da quello artificiale e caotico in cui si trova, sognando di potersi unire al pastore ed ... da un lato è l’interrogativo

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STUDI SULLA TRANSUMANZA E L’ALPEGGIO 1 (2006)

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DOVE VAI, PASTORE? CENTINAIA DI MIGLIAIA DI PASSI SULLE

TRACCE DEL GREGGE

di Marzia Verona

INTRODUZIONE

La transumanza è un momento di forte attrazione per qualsiasi pubblico che abbia occasio-ne di assistervi: suscita nell’osservatore un richiamo verso un mondo sconosciuto, che immagi-na diverso da quello artificiale e caotico in cui si trova, sognando di potersi unire al pastore ed alle sue bestie per poterlo seguire in un cammino libero, respirando aria pura e vivendo gior-nate dai ritmi più naturali. La realtà è tuttavia differente, oggi più che mai il transito degli animali è soggetto a limitazioni, ma il gregge che passa continua ad avere un fascino irresisti-bile (fig. 7).

Il titolo della ricerca, che coincide con quello dell’opera di prossima pubblicazione, è una duplice domanda: da un lato è l’interrogativo che si pone chiunque veda passare un gregge in transumanza, e che rivolgerà spesso al pastore, ma, nel contempo, è anche una riflessione sul futuro della pastorizia nomade. In entrambi i casi, non si può dare una risposta. Il pastore ten-de a non rivelare mai la propria meta, per tutelarsi contro chi potrebbe avere interesse a pre-cederlo o chi vorrebbe costringerlo a cambiare destinazione. Il futuro invece è incerto, tra il progresso che assorbe e trasforma il territorio, lasciando sempre meno spazio alla pastorizia nomade, e leggi e divieti atti a limitare la fruibilità delle poche risorse ancora disponibili, ren-dendo sempre più complessa un’attività tra le più antiche che esistano.

Questa ricerca si occupa dei pastori che praticano il pascolo vagante in Piemonte, quantifi-cabili in 35 greggi con oltre 40.000 capi monticati in alpeggio nelle vallate delle province pie-montesi. Venti di questi sono oggetto delle interviste raccolte nella seconda parte dell’opera. È una realtà poco conosciuta, per quello che riguarda il Piemonte, tanto che spesso viene ri-cordata solo per quanto concerne il passato, mentre è ancora ben presente, con persone delle più diverse età ad occuparsene, coadiuvati da garzoni ed aiutanti. Negli ultimi anni si è assisti-to ad un progressivo aumento del numero dei capi nelle greggi e, contemporaneamente, alla ripresa degli spostamenti a piedi, senza più l’utilizzo di autotreni, essenzialmente per motivi economici. Il costo è ingente, inoltre, pascolando lungo la via, si risparmiano le risorse in pia-nura, essenziali per il superamento dell’inverno.

Una delle problematiche più evidenti è proprio quella dello spostamento lungo le vie di comunicazione, che va ad intralciare altre attività ed il normale transito di auto, bus e ca-mion. Quello che in Italia è un momento difficile, caratterizzato da scontri, discussioni ed an-che sanzioni, altrove è vissuto come un momento di grande attrazione turistica. Ne sono un esempio le Feste della Transumanza che si tengono annualmente in Francia.

I pastori rivendicano una visibilità ed un rispetto che forse non hanno mai avuto, etichetta-ti come zingari e ladri (ladri d’erba, s’intende). Non si parla mai di loro, se non negativamen-te, ed il loro nomadismo è visto con sospetto dagli stanziali, siano essi appartenenti al mondo rurale che ad altre classi della società.

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La seconda parte dell’o-pera è composta dalle inter-viste realizzate con i diversi pastori, ma soprattutto ve-de lo scorrere delle stagioni in compagnia di alcuni di loro, dal primo incontro con questa realtà fino ad adden-trarsi alla scoperta di un mondo difficile, complesso, talvolta spietato, in cui i protagonisti sono gli uomini ed i loro animali, con i quali il rapporto d’amore è fortis-simo, una passione che è il vero motore di quest’attivi-tà. In prima persona l’Autri-ce narrerà la discesa dall’alpeggio, il lungo inverno nella pianura, tra le colline astigiane e nelle stoppie incolte del mais e delle risaie, in attesa della prima erba primaverile, il pascolo lungo i corsi d’acqua e nei pioppeti, fino alla tosatura ed al momento di risalire le valli verso le montagne, in una continua transumanza fatta di centinaia di migliaia di passi. Problemi antichi e recenti vanno a rendere più difficile quest’attività: le nuove esigenze del progresso, i cambiamenti climatici, la siccità, il ritorno del lupo nelle vallate piemontesi, l’esistenza di alcune greggi ‘abusive’ che, in pianura, hanno sovvertito leggi ed accordi non scritti tra i con-tadini ed i pastori, facendo sì che anche chi lavorava in modo serio e rispettoso venisse messo al bando e pagasse per colpe non sue.

MATERIALE E METODI

La ricerca nasce in modo casuale, per interesse personale dell’Autrice: durante il «Censimento delle strutture d’alpe» per conto della Regione Piemonte, scopre il ‘pascolo va-gante’ e le persone che ancora lo praticano. Inizia pertanto a seguire alcuni di questi pastori e, parallelamente, si documenta sulle origini storiche dell’allevamento ovino transumante in Piemonte e nella confinante Francia. Per meglio comprendere la realtà del pascolo vagante, compie una ricerca sulle normative che lo regolano dal punto di vista sanitario, ma anche per quello che concerne la movimentazione delle greggi e l’utilizzo delle risorse foraggiere nei diversi periodi dell’anno. Viene inoltre dimostrata la validità del pascolamento razionale come forma di gestione del territorio, sia per quanto riguarda l’area di alpeggio che le fasce di me-dia montagna e collina, attraversate durante la transumanza qualora questa avvenga ancora a piedi.

Si esamina inoltre il tema del ritorno del lupo, dal momento che la ricomparsa di questo predatore in molte delle valli alpine piemontesi ha radicalmente mutato il sistema di condu-zione delle greggi, richiedendo una costante presenza del pastore, utilizzo di recinzioni elet-trificate ed impiego di cani da difesa opportunamente addestrati.

Nello stesso tempo lo studio procede sul campo, attraverso le interviste con la maggior

Fig. 1 - Alpe Tour, Val Cenischia, agosto 2005

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parte dei pastori che ancora praticano il pascolo vagante salendo in alpeggio nelle valli delle province di Torino e Cuneo. Due di essi vengono seguiti costantemente per oltre un anno: il primo si sposta a piedi sia in salita che in discesa dall’alpeggio con circa 700-800 animali, ma nella stagione invernale affitta anche una cascina in cui ricoverare le fattrici con gli agnelli, pertanto sfrutta un’area limitata di pascoli nella pianura pinerolese e ricorre anche a foraggio secco. Il secondo ha un gregge di dimensioni molto maggiori (oltre 1.500 unità), con il quale si sposta fin nell’area astigiana ed alessandrina, ricorrendo al trasporto via camion nella stagione tardo-primaverile per tornare in alpeggio. Questo secondo gregge non ha un’area fissa di pa-scolamento invernale, ma si sposta continuamente a seconda delle esigenze.

L’incontro con gli altri pastori avviene in diversi momenti dell’anno, privilegiando in alcuni casi le fasi più significative del lavoro (transumanza, tosatura, ecc.) o dando maggior spazio alla storia personale (come nasce l’amore per questa vita, la passione per gli animali, le vicen-de del passato, aneddoti, la famiglia)(fig.1).

Quasi mai si tratta di vere interviste, ma piuttosto di dialoghi dove le testimonianze vengo-no riportate integralmente nell’inquadramento spontaneo colto dall’Autrice al momento del-l’incontro con i diversi personaggi. Il mondo dei pastori viene presentato così dalla voce dei protagonisti, ma, nello stesso tempo, reso più accessibile al pubblico attraverso le immagini, le descrizioni e le impressioni suscitate nell’Autrice che, poco alla volta, da osservatrice ester-na si trova ad essere sempre più coinvolta nelle dinamiche del lavoro quotidiano e delle pro-blematiche che questa vita comporta.

BREVE STORIA DELLA PASTORIZIA NOMADE

Il pascolo vagante è una realtà dalle origini remote ed antichissime. L’attualità dell’alleva-mento ovino transumante è una tematica che viene raramente trattata, ma che riveste grande importanza dal punto di vista sociale, culturale, ambientale in tutto il bacino del Mediterrane-o. Ben più di una pratica di allevamento ordinaria, la transumanza è una cultura. Prima di par-lare della situazione attuale in Piemonte, si è dato spazio alle origini di questo fenomeno ed alle sue caratteristiche in un’area di grandi tradizioni come la Francia. D’altra parte, è a questa Nazione che si sono rivolti molti de-gli emigranti che, dalle val-late alpine piemontesi, sono andati a cercare fortuna nel secolo scorso. Alcuni di que-sti andavano Oltralpe a lavo-rare proprio come pastori, e conducevano le greggi in alpeggio fino alle terre d’o-rigine, nelle vallate cuneesi.

La pastorizia è una prati-ca antica di 11.000 anni: gli uomini hanno inventato l’a- Fig. 2 — Candia Lomellina, novembre 2005

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gricoltura e l’allevamento ad oriente del bacino del Mediterraneo. La consuetu-dine di portare pecore e capre dove l’erba è più nu-triente (in pianura d’inver-no, d’estate in montagna) ha la sua origine in quei tempi lontani. Per lungo tempo, la pecora è stata una risorsa molto importan-te per l’uomo, a cui forniva alimenti, lana e pelli. Con la parola ‘transumanza’, si evoca abitualmente un si-stema di allevamento esten-sivo, caratterizzato soprat-tutto dallo spostamento ciclico degli animali e degli uomini in funzione della stagione e del clima. Nella storia, l’allevamento transumante ha avuto un grande sviluppo ed un’importanza economico-sociale rimarchevole, richiedendo anche leggi per un suo corretto funzionamento. Nell’area mediterranea, la transumanza è un fenomeno ricorrente, ancora praticato oggigior-no, pur anche con modalità differenti e talvolta in forma ridotta rispetto al passato.

IL PASCOLO VAGANTE IN PIEMONTE NEL XXI SECOLO

Forse è soltanto in questi ultimi anni che il fenomeno del ‘pascolo vagante’ ha iniziato a far parlare di sé, anche perché si è modificato nelle modalità di attuazione. Le greggi sono aumentate nelle dimensioni, pur essendo diminuite nel numero. L’urbanizzazione e lo sviluppo delle opere di viabilità ha ridotto gli spazi a disposizione, portando così sempre più spesso la civiltà dei pastori a scontrarsi con quella dal ritmo frenetico del XXI secolo (fig.8).

Recentemente, del pascolo vagante e della transumanza spesso si è parlato in occasioni negative, anche attraverso articoli dove le notizie sono state riportate in modo parziale, fa-cendo risaltare alcuni aspetti piuttosto che altri. Manca una corretta informazione su questa realtà, di cui oggi si discute erroneamente come di un fenomeno nuovo:

C’era una volta la transumanza, quella delle greggi che in autunno scendevano dai monti in pianu-

ra. Oggi, però, anche la tradizionale arte della pastorizia conosce nuove frontiere: il ‘pascolo

vagante’.1

Se parlare di ‛pastore errante’ evoca alla mente la poesia di Leopardi e …

[...] la vita del pastore. Sorge in sul primo albore; muove la greggia oltre pel campo, e vede greg-

gi, fontane ed erbe; poi stanco si riposa in su la sera: altro mai non ispera. Dimmi, o luna: a che

vale al pastor la sua vita, la vostra vita a voi? […].

Fig. 3 — Die, dipartimento della Drôme, giugno 2005

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Il ‘pascolo vagantÈ è una voce giuridica, regolata da precise norme in merito fin dal 1954 (D.P.R. 320/54). La transumanza ed il nomadismo sono sempre esistiti, anche in Piemonte. Il fenomeno è stato segnato dal progresso, si è evoluto e, nello stesso tempo, ha avuto contatti con la società tecnologica in continua espansione. Non sempre ciò è avvenuto in modo pacifi-co: cosa succede quando mille pecore sono costrette ad attraversare una strada trafficata? Un tempo questa non esisteva e le greggi sono sempre transitate in quel luogo senza arrecare dan-no, ma oggigiorno la sosta di dieci minuti rappresenta un costo per tutta la società. Come comportarsi quando, tra un pascolo e l’altro, vi è una trafficata linea ferroviaria? Tranquilli villaggi si trasformano in aree turistiche dove gli animali sono, a torto, considerati un fastidio anziché una risorsa: perché si è costretti ad aggirarli anziché attraversarli camminando con orgoglio alla testa del gregge, come accade in Francia durante le feste della transumanza? (foto 3).

C’è poi anche chi infrange la legge, ed allora i colpevoli devono pagare, ma è necessario evitare le generalizzazioni e cercare di conoscere a fondo questo mondo, prima di giudicare. Qualche volta allora ci si potrà anche soffermare a riflettere sull’assurdità di alcune norme: come fa il pastore ad andare a far vidimare i documenti necessari allo spostamento prima an-cora di aver deciso dove e quando spostarsi? Quante persone sarebbero necessarie per trasferi-re un gregge, dal momento che i conduttori «sono, altresì, tenuti a frazionare e separare i gruppi di animali superiori al numero di cinquanta ad opportuni intervalli al fine di assicurare la regolarità della circolazione»? 2

I comportamenti scorretti (danneggiamenti di fondi privati, animali morti abbandonati, ecc.) che portano all’emanazione di ordinanze comunali che vietano il passaggio e/o la sosta delle greggi sono deplorati dagli stessi pastori, in quanto le restrizioni imposte colpiscono tutta la categoria e non soltanto quei ‘colleghi’ che hanno agito illegalmente. Nello stesso tempo, come già detto, appaiono quantomeno anacronistiche quelle norme che imporrebbero al pa-store di comunicare l’ingresso in un territorio 15 giorni prima che ciò avvenga, i divieti di pa-scolo in certe aree di parco o riserva, le modalità con cui dovrebbe avvenire lo spostamento degli animali lungo le strade. L’attività del pascolo vagante è strettamente vincolata da due fattori primari, che sono anche le uniche leggi che il conduttore degli animali non infrangerà mai: il bisogno inderogabile di trovare il sostentamento per i propri animali ed i tempi imposti dalle condizioni climatiche ed atmosferiche. Tutte le altre norme e leggi create dall’uomo sono secondarie, possono essere disattese ogniqualvolta lo impongano le condizioni preceden-temente esposte.

PASCOLO, TERRITORIO E PAESAGGIO

Dal punto di vista tecnico e scientifico, è provata quale sia la grande importanza del pasco-lamento ovicaprino in un territorio in precario equilibrio, fino a diventare una risorsa fonda-mentale per aree potenzialmente a rischio a causa dell’abbandono e dello spopolamento.

Quelli che vengono comunemente definiti ambienti «naturali» ed incontaminati, spesso sono frutto del lavoro umano, che si è perpetuato per secoli, soprattutto attraverso l’agricol-tura e la zootecnia. Lo svolgersi delle attività tradizionali teneva conto dei cicli naturali e cer-cava di utilizzare l’ambiente in modo ottimale, traendone i prodotti di cui l’uomo necessitava ma, nello stesso tempo, garantendone la continuità e la salvaguardia. Escludere la presenza umana dall’ambiente, in questo caso, non significa conservarlo, bensì indirizzarlo verso un

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progressivo declino. Il pae-saggio è la forma che un ambiente assume sommando un insieme di elementi na-turali e/o costruiti dall’uo-mo, nel tentativo di amalga-marli e farli coesistere. Un paesaggio è formato da bo-schi, montagne, prati, laghi, fiumi, cioè dalle conforma-zioni naturali che il terreno assume, ma anche da popo-lazioni, villaggi, dalle comu-nità sociali e dalle economie locali che concorrono a ca-ratterizzarlo ed identificar-lo. Il paesaggio è il prodotto di elementi naturali statici e

al contempo animati da una lenta e continua evoluzione, con flussi dinamici che ne provocano continui cambiamenti e trasformazioni. Esso è, prima di tutto, risorsa economica e l’agricoltu-ra, più di ogni legge, è lo strumento migliore per governarlo. Parlando di agricoltura, si fa rife-rimento a quella ecocompatibile, all’agricoltura ‘artigianalÈ, che per secoli ha fatto delle sue conoscenze l’arte di custodire il paesaggio. Questo ha subito, di conseguenza, le trasformazio-ni che lo hanno portato a cambiare il suo aspetto nel corso degli anni. Numerosi studi hanno dimostrato come la vegetazione stessa della montagna sia completamente stravolta oggi ri-spetto a cent’anni fa. Ad esempio, l’abbandono del pascolo ovicaprino ha trasformato il pasco-lo alberato in bosco e molti alpeggi, a causa del non utilizzo, da pascoli sono stati trasformati in arbusteto a ontano verde. Un pascolamento razionale, sia nella realtà d’alpeggio d’alta montagna che in altre aree cosiddette ‘marginali’, può rappresentare un ottimo strumento di gestione e conservazione del paesaggio, svolgendo un’azione positiva che va a sommarsi con la valenza paesaggistica e turistica che, al stesso tempo, tali risorse possiedono.

Negli ultimi anni alcuni fenomeni hanno portato ad una parziale trasformazione nell’eserci-zio della pastorizia: il ritorno del lupo ha costretto i guardiani delle greggi ad organizzare di-versamente il proprio lavoro, richiedendo una loro presenza costante insieme agli animali e la chiusura degli stessi in recinzioni elettrificate durante il periodo di riposo notturno. Tale pre-datore è stato attirato anche da una presenza ingente di ovicaprini domestici a disposizione, ben più facili da cacciare rispetto alla fauna selvatica (di cui ha però anche regolato l’espan-sione, in quanto predatore naturale).

Se si confrontano i dati numerici relativi all’entità dei capi monticati in alpeggio, si nota come il numero complessivo sia sicuramente diminuito, per stabilizzarsi in questi ultimi anni, ma è fortemente aumentata la composizione di ogni singolo gregge, soprattutto per quelli che praticano il pascolo vagante. Ciò è dovuto alla combinazione di una serie di fattori: una situa-zione economica di generale crisi, in cui un ridotto numero di capi non è più sufficiente al sostentamento di un’azienda da carne, i contributi concessi agli allevatori in funzione del nu-mero di animali e delle superfici di alpeggio utilizzate, ma anche una situazione climatica mu-tata rispetto al passato, che consente di mantenere l’intero gregge all’aperto anche durante

Fig. 4 — Novalesa, Val Cenischia, giugno 2005

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la stagione invernale, senza dover ricorrere a stalle e cascine (fig. 6).

DUE ANNI AL SEGUITO DI 20 PASTORI E DELLE LORO GREGGI IN PIEMONTE

Questa, in sintesi, è la realtà in cui va ad inserirsi il pascolo vagante agli inizi del XXI seco-lo. Pastori, figure fuori dal tempo, ma anche personaggi moderni. Dai 20 capitoli dedicati ad altrettanti greggi ed ai loro guardiani, emerge lo spaccato di un mondo sospeso tra la volontà di rivendicare la sua esistenza e la necessità di passare inosservati, al fine di non suscitare critiche, malumori ed incorrere addirittura in denunce o sanzioni. Vengono riportate le testi-monianze dirette dei protagonisti, che narrano la loro storia, aneddoti del passato, riflessioni sul destino di tale attività, ma è sempre presente anche la visione dell’Autrice, che non si limita ad intervistare, ma osserva, accompagna, fotografa e si presta anche a dare una mano in situazioni d’emergenza.

C’è chi capisce l’importanza dei mezzi di comunicazione, chi prova ad immaginare un futu-ro ed un’evoluzione per la propria attività e chi invece la vede avviata al tramonto, mancando un ricambio generazionale.

Nel nostro caso è tutta la famiglia che continua, i figli fanno questo lavoro ed è la nostra salvezza.

I garzoni possono essere più o meno bravi, ma comunque le bestie non sono le loro, non è la stessa

cosa.

Anziani che rimpiangono i tempi andati, giovani che lottano per iniziare: per tutti, vale il tema della passione, la vera motivazione che permette loro di portare avanti questa vita. È la passione che fa parlare in prima persona: il pastore è il suo gregge, per cui chiunque dirà sem-pre «abbiamo mangiato l’erba, abbiamo pascolato».

Tutti parlano di sé e del proprio lavoro con grande orgoglio. C’è chi vanta origini antiche ed accampa pertanto una superiorità perlomeno simbolica nei confronti di altri. «Siamo pasto-ri da generazioni, nella nostra famiglia». Oppure chi parla con malcelata soddisfazione di co-me abbia ottenuto i risultati attuali.

Ho iniziato con poche be-

stie, ed adesso ne ho 1.500.

Due volte ho dovuto abbat-

tere tutto il gregge a causa

della brucellosi, ma ne sono

sempre venuto fuori con le

mie forze. Già i miei aveva-

no un po’ di animali, ma

era un’altra cosa. Da ragaz-

zo ho fatto il garzone, sono

andato anche al pascolo

delle vacche, ma con le

feje (le pecore) è un lavoro

diverso, dà più soddisfazio-

ne anche se è difficile. Fig. 5 — Vallone della Rho, Bardonecchia, luglio 2006

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Dalle testimonianze di-rette emergono i singoli personaggi, le loro storie di vita, le ragioni delle loro scelte, i legami tra ‘colleghi’ in bilico tra soli-darietà, unione e conflittua-lità.

Tra di noi siamo amici, con

qualcuno di più, con altri di

meno, ma solo quando sia-

mo ad almeno cento chilo-

metri di distanza e non

corriamo il rischio di rubarci

l’erba a vicenda.

Questo è il fattore primario che fa sì che la categoria sia quasi sconosciuta e priva di rap-presentanti a livello decisionale.

Tra di noi c’è troppa gelosia, siamo impegnati a guardarci uno con l’altro e non riusciamo a met-

terci d’accordo su niente, pur di non fare uno il favore all’altro. E così non contiamo nulla. Sia per

la questione del lupo, che per i problemi che ci sono in pianura, dove la vita sta diventando sem-

pre più difficile ed ogni comune decide in modo diverso. Hai le firme dei proprietari che ti lascia-

no pascolare i loro terreni, ma il Comune non ti dà il permesso di entrare.

Qualche volta, è preferita la strada del silenzio. «Meglio non far vedere dove vai, dove passi, preferisco che non sappiano niente di me, che non se ne accorgano nemmeno! Se io non do fastidio a nessuno, nessuno verrà a dare fastidio a me.» Il pastore sa di essere una figura guardata con sospetto, soprattutto in ambito rurale.

Una volta i contadini chiamavano il pastore per mangiare l’erba e per concimare, era uno scam-

bio, adesso vogliono soldi. Non riesci più a cavartela solo con un agnello, un pezzo di toma. Siamo

nomadi, siamo come gli zingari, dormiamo nella roulotte, passiamo, andiamo, ci fermiamo, di noi

non si fidano. Ci vedono con tante bestie, allora credono che siamo ricchi, ma non è così. Si cerca

di sopravvivere, non è un lavoro da diventar signori.

Talvolta la diffidenza è giustificata, perché i ‘ladri d’erba’entrano in azione non appena sanno di non essere osservati. «Una volta i pastori li chiamavano i gratta, perché si cercava sempre di rubare l’erba, un po’ qua, un po’ là. Magari anche di notte, e poi si scappava via». C’è però un codice di comportamento non scritto, tra coloro i quali svolgono la propria attività coscienziosamente.

Il vero pastore cerca di non fare danni. Magari mangia l’erba senza permesso, ma se fa dei danni,

li paga. Altrimenti l’anno dopo lì non ti lasceranno più passare! Invece, se ti sei comportato bene,

potrai continuare a venire nelle stesse zone, stagione dopo stagione. Sono quasi vent’anni che noi

Fig. 6 — Verrua Savoia, dicembre 2005

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giriamo da queste parti.

Il gregge in transumanza risveglia l’attenzione dell’-osservatore, ma è un attimo fugace, una curiosità pas-seggera, uno scambio talvol-ta troppo breve perché vi sia una reale comunicazio-ne.

Ci chiedono sempre dove

andiamo, quasi non credono

alle nostre risposte. Molte

volte poi non c’è tempo per

rispondere, hai mille cose a

cui pensare. Va bene quan-

do sei fermo vicino ad una strada, allora puoi chiacchierare con chi si ferma, ma anche lì… Devi

fare attenzione alle macchine che passano a tutta velocità, che qualche agnello non salti in là. La

gente chiede e si stupisce, sembra quasi incredibile che noi siamo veri. E poi tutti ci invidiano,

pare che la nostra sia una vita facile ed affascinante.

È il senso di libertà che evoca la transumanza, il veder passare il gregge, oppure osservarlo in montagna in una bella giornata di sole.

Succede sempre. Dicono che noi pastori siamo fortunati, che facciamo una bella vita. Ma loro, i

turisti, ci vedono in montagna nei giorni di sole, quando tutto sembra una meraviglia. Quando

piove, di gente ne passa poca. E quei pochi che passano, lo sai cosa dicono? Povere bestie! E il

pastore? Fermo per ore sotto l’ombrello, con il vento, l’erba bagnata, il freddo? Non sanno com’è

la realtà (fig. 5).

Una realtà che consiste soprattutto in lunghi mesi di spostamenti tra pianura e collina, a seconda delle zone che vengono utilizzate nel resto della stagione. Si cerca di sfruttare l’al-peggio più a lungo possibile, salendo in montagna non appena ciò è consentito e rimanendo sino alla fine della stagione, quando le risorse pascolive sono esaurite o è il maltempo e la neve a costringere alla discesa. Si sfruttano strade secondarie dove è possibile, le principali dove non esistono alternative, causando temporanei disagi alla circolazione.

Abbiamo ripreso a poco a poco ad andare a piedi, soprattutto in autunno. In primavera è più diffi-

cile, tutta la campagna è seminata, non sai dove passare. Invece, a fine stagione, scendi poco per

volta lungo la valle, poi nella pianura, fino ad arrivare giù nell’astigiano, dove andavo già prima.

Ho iniziato a farlo quando ho visto che i camion mi costavano sempre di più e, soprattutto, non

riuscivo a far bastare l’erba giù per tutto l’inverno. Invece così vado avanti poco per volta, magari

ci metto anche più di un mese ad arrivare dalle mie parti, è un bel risparmio!

In questo modo, si sfruttano anche quelle zone marginali di media montagna e fondovalle

Fig. 7 — Val Chisone, novembre 2005

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dove più forte è stato l’ab-bandono e lo spopolamento. Qui talvolta il gregge è ac-colto positivamente proprio per il ruolo di manutentore dell’ambiente e del paesag-gio. Ma è nel periodo suc-cessivo che avviene lo scon-tro tra la pastorizia ed i molteplici aspetti della ci-viltà contemporanea. Nel mondo rurale, sono mutate le coltivazioni ed i ritmi di utilizzo dei terreni. «In que-sta zona del Canavese va ancora bene che mettono tanto mais, così per un lun-go periodo noi giriamo nelle stoppie». Diversa è la situa-zione in alcune aree del Monferrato, tradizionale meta dei pastori transumanti: «Qui stanno lavorando tutti gli incolti, mettono delle piante, pioppi, noccioli». La pianura viene sfruttata più intensamente:

I primi anni che passavo di qui era tutto mais e prati, adesso invece arano subito e seminano altre

cose. Dove mi fermavo più di una settimana, dieci giorni, adesso riesco a malapena a fare una

sosta prima di ripartire (fig. 2).

L’inverno è un continuo spostamento tra stoppie (del mais e del riso), incolti e prati appo-sitamente affittati, con tutto il gregge al seguito. In qualche caso, si ricorre ad una struttura dove ricoverare fattrici ed agnelli, altrimenti questi vengono trasportati a dorso degli asini, in appositi basti, o su carri di vario tipo, al seguito dei mezzi motorizzati. È una transumanza infinita, giorno dopo giorno, lontani dalle grandi rotte di traffico per settimane, oppure tra colline e piccoli borghi, con il mare di schiene bianche che si allunga in un fiume infinito, per poi ridistribuirsi nel pascolo successivo. Sono mesi in cui la neve, il freddo intenso, la siccità prolungata possono rappresentare un problema sempre maggiore, fino al caso estremo di do-ver ‘fermarÈ il gregge per un periodo più o meno lungo, alimentandolo ricorrendo a fieno ed insilati. «Se non ci fossero gennaio e febbraio, chiunque sarebbe buono a fare il pecoraio!» Quando viene il disgelo e le prime piogge, finalmente torna ad esserci foraggio a sufficienza. «C’è erba, ma il terreno viene molle; ci sono delle volte che, se non fai attenzione, le bestie rimangono piantate nel fango e si pestano una con l’altra.» Sembra dunque che non esista un momento veramente facile, nel corso di tutto l’anno. Comunque, con l’arrivo della primavera, finiscono le ristrettezze ed il periodo più critico può ormai dirsi superato, fatti salvi i divieti imposti nelle aree di parco o riserva o su tutto il territorio di alcuni comuni. «In primavera però i prati sono poi destinati al fieno, i campi sono seminati. Si gira lungo i fiumi, sotto i pioppeti, finché viene l’ora di salire di nuovo in montagna.» La situazione è ben più complessa di quella che potrebbe apparire ad un osservatore esterno, dal momento che lo scontro con i

Fig. 8 — Volpiano, dicembre 2005

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parchi assume una rilevanza non indifferente.

Dicono che roviniamo le piante, i nidi, spaventiamo gli animali. Ci mandano via e, se non lo faccia-

mo, arrivano i verbali. Però spesso, appena fuori dai cartelli del parco, ci sono i cacciatori… E

l’immondizia? In certi posti trovi di tutto: lavatrici, frigoriferi, e poi lo chiamano parco! I nidi li

fanno sugli alberi, nelle canne, e lì le pecore non vanno. Invece, dove sono passate le pecore,

dopo vedi tantissimi uccelli, perché trovano più roba da mangiare.

Questa è una controversia di difficile soluzione, che vede le aree protette ed i conduttori di greggi schierati su fronti opposti, con scarsa volontà di dialogo.

Quando non sono i guardaparco, i problemi li abbiamo con i cercatori di tartufi o con i cacciatori. In-

somma, quasi nessuno ha piacere che passi il gregge! Sono rimasti in pochi anche i contadini che ven-

gono a portarti il caffè caldo o una bottiglia di vino. Una volta era diverso […].

La salita in alpeggio (fig. 4) è vista come il momento di massima gioia.

Quando vedi le prime farfalle, ti viene già voglia di partire. Giù di qua inizia a far caldo, ci sono le

zanzare, inizi a sognare quei mesi su con l’aria fresca, il sole, le pecore tutte belle allargate sul

pendio, l’erba buona.

Anche i mesi estivi sono però costellati di imprevisti ed incidenti: la difficoltà nell’affittare un alpeggio, la siccità prolungata, le cavallette che devastano i pascoli, gli attacchi del lupo, in un continuo succedersi di piccoli e grandi eventi che vengono narrati talvolta con rabbia, talvolta con rassegnazione. Gli eventi naturali fanno parte del mestiere, sono ricorrenti, inevi-tabili, accettati. Diverso invece l’approccio nei confronti della burocrazia e dei controlli:

Quando abbiamo scaricato questa primavera, hanno preteso di contarle tutte. Però, invece di

mettersi uno per camion, stavano in gruppo davanti a ciascuno, così le ultime bestie sono rimaste

tre ore rinchiuse, sotto il sole. Avremmo potuto metterci molto meno tempo ed era meglio per

tutti.

Talvolta manca ogni forma di dialogo tra il pastore e le istituzioni.

«Qui hanno fatto gli abbeveratoi nuovi, ne hanno posizionati diversi, sui pascoli. Solo che non vanno bene per le pecore: sono alti, gli agnelloni cadono dentro e, se non sei lì subito a tirarli fuori, annega-no. Servirebbero delle vasche molto più basse e lunghe, con l’acqua corrente. Potevano chiedere la mia opinione, prima di farli… Non avrò studiato, ma faccio questo mestiere da sempre».

Figure apparentemente sole, ma mai solitarie. «Non sono solo qui, ci sono le mie bestie, le guardi tutto il giorno e non ti annoi mai.» Il pastore ha spesso una cerchia di amici e di appas-sionati, gente che un tempo aveva anch’essa degli animali, o che ancora alleva qualche capo che viene dato ‘in guardia’ per il periodo di alpeggio.

Vengono su a trovarmi, specialmente alla domenica. Portano su da mangiare, la miscela per la

moto, mi tengono un po’ compagnia. Qualche volta ci mettiamo lì a contrattare, scambiamo

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gli animali uno con l’altro, è tutta gente che ha proprio la passione delle pecore.

Il telefono permette inoltre di mantenere i contatti con la famiglia o con altri pastori.

Sono arrivato su in cresta ed ho subito guardato dall’altra parte della valle con il binocolo. Ho

visto il gregge di mio fratello ancora nel recinto ed allora gli ho telefonato. «Sono le undici, com’è

che non le hai ancora aperte?» Eh, si è arrabbiato!

Appoggiato al proprio bastone dal manico ricurvo, solo apparentemente schivo e riservato, il guardiano degli animali è solitamente felice di scambiare informazioni e notizie con il visita-tore, anche se casuale ed inatteso. «Tu che hai girato un po’ da tutti… dov’è che ci sono le montagne 3 più belle? E le bestie?».

Un fenomeno relativamente recente sta fortemente condizionando la pratica della pastori-zia nomade nelle campagne e nelle colline dove le greggi si trovano a svernare. Tutti gli inter-vistati hanno lamentato la presenza di cosiddette ‘greggi abusivÈ, cioè gruppi di animali di proprietà di commercianti di bestiame, che hanno iniziato a praticare il pascolo vagante senza rispettare né le leggi né le consuetudini. Si tratta di gruppi di animali condotti da garzoni e-xtracomunitari, temporaneamente al pascolo all’aperto prima di essere rivenduti o trasferiti altrove.

Hanno rovinato tutto. Non guardano né confini né coltivazioni, così i comuni dove siamo sempre

andati hanno iniziato a mettere i cartelli di divieto. Per colpa di uno, ci rimettiamo tutti, anche

quelli che si sono sempre comportati correttamente.

Ciò che contraddistingue tutte le testimonianze raccolte, oltre alla passione per gli animali e per questa vita, è l’orgoglio dei protagonisti, il desiderio di dare un’immagine positiva di sé e del proprio mestiere, troppo a lungo dimenticato o disprezzato «perché una volta, su di un vocabolario, alla voce pastore diceva: persona rozza ed ignorante. Magari andremo comunque tutti a perdere, noi ed il nostro lavoro, ma non deve più essere così».

CONCLUSIONI

Non c’è una vera risposta alla domanda iniziale. Il pastore anziano afferma che non c’è futuro per lui, ma lo diceva già suo padre, con le stesse parole e le stesse motivazioni trenta anni fa. In alcuni casi manca il ricambio generazionale, in altri vi sono dei giovani che iniziano quest’attività, con coraggio e determinazione. Questo studio non può e non vuole fornire delle risposte o delle soluzioni, ma si limita ad offrire una fotografia di una realtà che lotta per so-pravvivere. Il mondo si evolve intorno ad essa, ma solo aspetti marginali del progresso riesco-no a sfiorarla. Qualche comodità in più, fuoristrada e roulotte al posto degli asini, recinzioni elettrificate leggere e facili da trasportare, telefoni cellulari. Ma niente più di questo, perché altrimenti le pecore hanno fame d’erba 365 giorni l’anno, con qualsiasi condizione atmosferi-ca. Ed il pastore deve provvedere a loro senza guardare il calendario, le festività, gli intoppi burocratici, anteponendo il loro benessere a qualsiasi necessità personale. In nome di una grande passione...

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«perché altrimenti andresti a fare altro. Ma cosa? A volte ti viene da pensare di piantar lì, di venderle tutte. Ma dopo, cosa vai a fare? Ci sono dei pastori che l’hanno fatto, hanno venduto tutto il gregge, ma dopo… Non ce l’hanno fatta a sopravvivere, la tua vita è questa».

Lo scopo di questo lavoro è far conoscere il mondo del pascolo vagante, dare una dignità ai suoi protagonisti, parlare di loro affinché i loro problemi si facciano più concreti, più reali, e forse si provi a trovare una soluzione. Il fenomeno esiste e merita di essere considerato, sicu-ramente non deve essere dimenticato. La sua scomparsa sarebbe una gravissima perdita: uma-na e sociale innanzitutto, ma anche ambientale, com’è stato detto a proposito del ruolo svolto nella manutenzione del paesaggio. Talvolta si cercano emozioni, immagini e personaggi con viaggi dal sapore esotico in terre lontane e si ha un moto di nervosa impazienza di fronte ad un gregge che attraversa la strada che stiamo percorrendo, costringendoci ad una sosta. La ricerca e le immagini che verranno pubblicate vogliono far sì che si diventi maggiormente con-sapevoli di una realtà poco conosciuta.

Le fotografie sono dell’autrice

NOTE

1. 27 ottobre 2004 «La Stampa» di Torino , pagine provinciali.

2.Codice della Strada. DL n.285/92 art. 184-6.

3. Il termine dialettale montagna fa riferimento all’alpe, al territorio di alpeggio.

RIASSUNTO

Uno studio di quasi due anni sulla realtà del pascolo vagante nelle province di Torino e Cuneo:

dopo un’analisi storica e tecnica del fenomeno, che comprende le origini della pastorizia nomade,

una breve panoramica su tale realtà in Piemonte, le normative vigenti sul «pascolo vagante»,

l’utilità della pastorizia nella manutenzione del territorio e del paesaggio, si passa alle

testimonianze dirette. Vengono intervistati 20 pastori, alcuni dei quali accompagnati per un anno

intero nei vari momenti della vita e del lavoro.

ABSTRACT

WHERE ARE YOU GOING, SHEPHERD? HUNDREDS OF THOUSANDS STEPS ON FLOCK’S TRACK. A

two-year research on the «wandering pasturage» in Turin and Cuneo districts: after an historical

and technical analysis about this phenomenon, including the origins of nomadic sheep-breeding, a

brief overview on this reality in Piedmont, the current regulations on «wandering pasturage», the

utility of sheep-breeding in territory and landscape maintenance, follow direct oral testimonies.

Twenty shepherds were interviewed, some of them followed by the Author during a whole year in

the various moments of the every-day life and work.

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BIBLIOGRAFIA

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