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ANNO XVII maggio 2012 Elisabetta Girelli Maddalena Girelli Due donne un carisma 2

Due donne un carisma

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n. 2 del 2012

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ANNO XVII maggio 2012

Elisabetta Girelli Maddalena Girelli

Duedonne

uncarisma

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Page 2: Due donne un carisma

g s h g s hSommario

1) “Prestiamo attenzione gli uni agli altri”: la responsabilità verso ogni fratello .........pag 3

2) “Prestiamo attenzione gli uni agli altri”: l’ impegno costante di Maddalena ed Elisabetta Girelli ..............................................................................» 5

3) Benedetto xvi Amore di dio e amore del prossimo .................................» 8

4) La preghiera rivela la carità ................................................» 13

5) Un racconto di Elisabetta Girelli La vittoria della carità ..................................................................» 14

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Pubblicazione sulla spiritualità delle sorelle Girelli - Anno XVII, 2012, n. 2a cura della Compagnia S. Orsola

Via F. Crispi, 23 - 25121 BresciaTel. 030 295675 - 030 3757965

Direttore Responsabile: D. Antonio FappaniIn copertina: paesaggio primaverile

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g s h“Prestiamo attenzione

gli uni agli altri”:la responsabilità

verso ogni fratelloNel suo messaggio per la quaresima 2012 il santo Padre sollecitava

tutti noi a rendere concreto nei rapporti quotidiani il grande comanda-mento dell’ amore. Oggi è abbastanza diffusa una sensibilità verso il bene fisico e materiale degli altri, che si esprime in molteplici opere di carità, ma non altrettanto si può dire della consapevolezza della responsabilità spirituale verso i fratelli: essa infatti ci interpella più profondamente e in maniera continua, ci impone di rifuggire dal male, denunciandolo con chiarezza senza compromessi, e di imparare a leggere con verità nel nostro animo per migliorarci ed essere così di esempio e di incoraggiamento.

La mentalità diffusa è invece quella di chi si chiude in se stesso, at-tento al proprio interesse e al proprio benessere, alle proprie piccole o grandi necessità: agli altri basta dare, se si può senza troppo sacrificio, un aiuto materiale. Si è perso il senso dell’ essere fratelli in umanità, amati tutti e ciascuno da Dio in modo infinito. Si è persa la consapevolezza che “l’ altro mi appartiene, la sua vita, la sua salvezza riguardano la mia vita, la mia salvezza”. Il santo Padre nel suo messaggio si chiede: “Che cosa im-pedisce questo sguardo umano e amorevole verso il fratello?” e la risposta è quella che tutti conosciamo: “Sono spesso la ricchezza materiale e la sa-zietà, ma anche l’ anteporre a tutto i propri interessi e le proprie preoccu-pazioni”.

Se vogliamo approfondire ancor più la nostra riflessione, ci rendia-mo conto che in questi anni di progressivo allontanamento dai valori spi-rituali è andata affievolendosi la coscienza della centralità della persona: ogni uomo ha un valore in se stesso, a prescindere da qualsiasi caratteri-stica esteriore, proprio per il suo essere persona, unico e irripetibile og-getto dell’ amorosa creazione del Padre, del quale porta impressa la somi-glianza.

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g s h g s hIn una pagina del Vangelo di Giovanni c’ è un particolare a cui non

sempre si presta attenzione e che può invece indurci a un significativo confronto con il nostro modo di intendere e di giudicare. Giovanni (ma lo fanno anche Matteo e Marco) riferisce l’ episodio di Maria che duran-te la cena di Gesù a Betania, la settimana precedente la passione, versa sui piedi del Signore un vasetto di profumo preziosissimo, suscitando la rea-zione di Giuda: “Si poteva vendere questo unguento per trecento denari d’ argento e distribuirli ai poveri” (Giovanni 12, 1 - 2). Ma meno di una settimana dopo lo stesso Giuda consegna il suo Maestro per trenta dena-ri, il prezzo che di solito veniva pagato per uno schiavo.

Questa enorme differenza tra il valore attribuito a un profumo, sia pure raro e prezioso, e il prezzo pagato per un uomo non è una immora-le valutazione lontana da noi nel tempo e nei luoghi. Noi infatti vediamo anche oggi uomini oppressi, violentati, uccisi, affamati in nome di enor-mi interessi materiali e politici, ma soprattutto sperimentiamo quotidia-namente, di persona, una arroganza, una supponenza, una intolleranza sempre più diffuse, e una incapacità non solo di sentirsi responsabili dell’ altro, ma di rendersi conto della sua esistenza e delle sue esigenze, che in-vece sono importanti quanto le nostre.

Nell’ ottica di una riflessione più matura su questo “prestare atten-zione agli altri” ribadito dal Papa, si può continuare con apertura di cuore la lettura del Vangelo di Giovanni: al capitolo 13 egli descrive come Ge-sù, prima della cena, abbia lavato i piedi ai suoi apostoli; nel silenzio del nostro animo si può così far risuonare meglio la domanda del Signore, fi-no a incrinare la nostra tranquillità di persone che hanno tutto: “Capite quello che ho fatto per voi?”

Irma Bonini Valetti

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Desiderosa di consacrarsi completamente a Dio, ma nell’impos-sibilità concreta di entrare in convento, Maddalena Girelli pronuncia nel suo cuore il voto di castità perpetua: ha venticinque anni e stende un programma di vita spirituale a cui sarà sempre fedele. Tra le altre co-se annota: “Mi studierò di giovare alle anime: 1- con il buon esempio, superando ogni umano riguardo, dichiarandomi apertamente cristiana seguace del Vangelo e mostrandomi sempre allegra, affinché gli altri sia-no allettati dalla felicità che godono i servi di Dio e si consacrino anch’ essi al suo servizio; 2- con l’ istruire le fanciulle alla dottrina cristiana nelle massime e nei precetti di nostra santa religione; eserciterò poi que-sta pratica con assiduità e perseveranza conoscendola così utile a tante anime innocenti che amano il Signore con semplicità e tenerezza invi-diabili; 3- in ogni occasione che mi si presenti non lascerò mezzo inten-tato per la loro salute e miglioramento; 4- la carità corporale cercherò di usarla specialmente con gli infermi e con i poveri. Verso i primi non mancherò di servirli o consolarli oppure in qualche altro modo. Per i secondi impiegherò molta parte di quel denaro che mi è dato dai miei genitori per soddisfare ai miei desideri e bisogni.”

Anche Elisabetta traccia le linee di un metodo di vita in occasione del suo diciottesimo compleanno e lo articola in diversi punti, propo-nendosi di rileggere spesso queste annotazioni perché l’ impegno assun-to sia continuamente richiamato. Nel decimo punto si legge: “Non mi contenterò di donar qualcosa ai poveri, donerò l’ amor mio a tutti gli uomini, stimando tutti nel mio cuore, parlando bene di tutti, compa-tendoli nei loro difetti, scusandoli se ne udissi parlar male, oppure ta-cendo se la convenienza mi vietasse di parlare. Non negherò alcun ser-vizio a me possibile che mi venga chiesto per amore di Dio. A tutti use-

“Prestiamo attenzionegli uni agli altri”:

l’impegno costante di Maddalena ed Elisabetta Girelli

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rò buon garbo e se alcuno mi offendesse gli perdonerò subito e gli farò un servigio o un piccolo dono o dimostrazione d’ affetto. Pregherò sem-pre per tutti, specialmente per gli afflitti, per i peccatori e per le povere anime del Purgatorio.”

Questa attenzione agli altri, che non è fatta di beneficenza un po’ distratta e molto paga di sé, ma di rispetto e di consapevolezza della propria responsabilità, accompagnerà sempre le due sorelle divenendo una caratteristica costante del loro stile di vita. Nella regola mericiana esse trovano motivazione e sostegno per questa consapevolezza di dover donare in un certo modo costruttivo ed efficace, di non poter trascura-re mai la testimonianza dell’ esempio e del saper dispensare il dono del consiglio e dell’ esortazione. Per questo Maddalena prega intensamente, rivolgendosi a Gesù: “Non lasciate ch’ io più riguardi alla mia sanità,ai miei comodi, all’ utile mio in nessuna cosa, quando si tratta di opere di carità....Donatemi questo spirito di generosità e di sacrificio che mi fac-

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cia dedicare unicamente e costantemente all’ utilità spirituale e tempo-rale del mio prossimo.”

La testimonianza di tutta la loro vita dimostra quanto i propositi giovanili siano stati custoditi, meditati e applicati. In modo particola-re essi hanno animato l’ attenzione alle novizie, la materna premura per tutte le giovani, l’urgenza sempre avvertita di una dimensione educativa in ogni gesto delle loro giornate. La loro è sempre una carità vigile, co-struttiva, mai delegata ad altri: ogni iniziativa intrapresa viene condotta avanti con un personale coinvolgimento, che le fa essere presenti nelle tante opere richieste dall’ urgenza dei tempi. Il segreto di questo sguar-do profondo e di questa capacità di rispettoso amore è quello che ogni cristiano dovrebbe custodire nel suo cuore: l’ abitudine amata, educata e vissuta fedelmente di attingere con quotidiana riflessione alla Parola di Dio, per non dimenticare mai che tutti noi siamo creati dal Padre a Sua immagine e che in questo sta la realtà più profonda di ciascuno.

Irma Bonini Valetti

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È veramente possibile amare Dio pur non vedendolo? E: l’amore si può comandare? Contro il duplice comandamento

dell’amore esiste la duplice obiezione, che risuona in queste domande. Nessuno ha mai visto Dio - come potremmo amarlo? E inoltre: l’amore non si può comandare; è in definitiva un sentimento che può esserci o non esserci, ma che non può essere creato dalla volontà.

La Scrittura sembra avallare la prima obiezione quando afferma: «Se uno dicesse: “Io amo Dio” e odiasse il suo fratello, è un mentito-re. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 Gv, 4, 20). Ma questo testo non esclude affatto l’amo-re di Dio come qualcosa di impossibile; al contrario, nell’intero conte-sto della Prima lettera di Giovanni ora citata, tale amore viene richiesto esplicitamente.

Viene sottolineato il collegamento inscindibile tra amore di Dio e amore del prossimo. Entrambi si richiamano così strettamente che l’af-fermazione dell’amore di Dio diventa una menzogna, se l’uomo si chiu-de al prossimo o addirittura lo odia. Il versetto giovanneo si deve inter-pretare piuttosto nel senso che l’amore per il prossimo è una strada per incontrare anche Dio e che il chiudere gli occhi di fronte al prossimo rende ciechi anche di fronte a Dio.

In effetti, nessuno ha mai visto Dio così come Egli è in se stesso. E tuttavia Dio non è per noi totalmente invisibile, non è rimasto per noi semplicemente inaccessibile. Dio ci ha amati per primo, dice la Lettera di Giovanni citata (4, 10) e questo amore di Dio è apparso in mezzo a noi, si è fatto visibile in quanto Egli «ha mandato il suo Figlio unigeni-to nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui» (1 Gv, 4,9). Dio si è fatto visibile: in Gesù noi possiamo vedere il Padre (cfr Gv 14,9).

Di fatto esiste una molteplice visibilità di Dio. Nella storia d’amo-

Benedetto xviAmore di Dio

e amore del prossimo

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re che la Bibbia ci racconta, Egli ci viene incontro, cerca di conquistarci - fino all’Ultima Cena, fino al Cuore trafitto sulla croce, fino alle appa-rizioni del Risorto e alle grandi opere mediante le quali Egli, attraverso l’azione degli Apostoli, ha guidato il cammino della Chiesa nascente. Anche nella successiva storia della Chiesa il Signore non è rimasto as-sente: sempre di nuovo ci viene incontro - attraverso uomini nei qua-li Egli traspare; attraverso la sua Parola, nei Sacramenti, specialmente nell’Eucaristia. Nella liturgia della Chiesa, nella sua preghiera, nella co-munità viva dei credenti, noi sperimentiamo l’amore di Dio, percepia-mo la sua presenza e impariamo in questo modo anche a riconoscerla nel nostro quotidiano. Egli per primo ci ha amati e continua ad amarci per primo; per questo anche noi possiamo rispondere con l’amore. Dio non ci ordina un sentimento che non possiamo suscitare in noi stessi. Egli ci ama, ci fa vedere e sperimentare il suo amore e, da questo «pri-

El Greco “Gesù Cristo guarisce il cieco nato” c. 1567

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ma» di Dio, può come risposta spuntare l’amore anche in noi.Nello sviluppo di questo incontro si rivela con chiarezza che l’amo-

re non è soltanto un sentimento. I sentimenti vanno e vengono. Il sen-timento può essere una meravigliosa scintilla iniziale, ma non è la tota-lità dell’amore… È proprio della maturità dell’amore coinvolgere tutte le potenzialità dell’uomo ed includere, per così dire, l’uomo nella sua interezza.

L’incontro con le manifestazioni visibili dell’amore di Dio può su-scitare in noi il sentimento della gioia, che nasce dall’esperienza dell’es-sere amati. Ma tale incontro chiama in causa anche la nostra volontà e il nostro intelletto. Il riconoscimento del Dio vivente è una via verso l’amore, e il sì della nostra volontà alla sua unisce intelletto, volontà e sentimento nell’atto totalizzante dell’amore. Questo però è un proces-so che rimane continuamente in cammino: l’amore non è mai «conclu-so» e completato; si trasforma nel corso della vita, matura e proprio per

questo rimane fedele a se stesso. Idem velle atque idem nolle:

volere la stessa cosa e rifiutare la stessa cosa, è quanto gli antichi hanno riconosciuto come au-tentico contenuto dell’amore: il diventare l’uno simile all’al-tro, che conduce alla comunan-za del volere e del pensare.

La storia d’amore tra Dio e l’uomo consiste appunto nel fatto che questa comunione di volontà cresce in comunione di pensiero e di sentimento e, così, il nostro volere e la volontà di Dio coincidono sempre di più: la volontà di Dio non è più per me una volontà estranea, che i comandamenti mi impongo-

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g s hno dall’esterno, ma è la mia stessa volontà, in base all’esperienza che, di fatto, Dio è più intimo a me di quanto lo sia io stesso Allora cresce l’ab-bandono in Dio e Dio diventa la nostra gioia.

Si rivela così possibile l’amore del prossimo nel senso enunciato dalla Bibbia, da Gesù. Esso consiste appunto nel fatto che io amo, in Dio e con Dio, anche la persona che non gradisco o neanche conosco. Questo può realizzarsi solo a partire dall’intimo incontro con Dio, un incontro che è diventato comunione di volontà arrivando fino a toccare il sentimento. Allora imparo a guardare quest’altra persona non più sol-tanto con i miei occhi e con i miei sentimenti, ma secondo la prospet-tiva di Gesù Cristo. Il suo amico è mio amico. Al di là dell’apparenza esteriore dell’altro scorgo la sua interiore attesa di un gesto di amore, di attenzione, che io non faccio arrivare a lui soltanto attraverso le orga-nizzazioni a ciò deputate, accettandolo magari come necessità politica. Io vedo con gli occhi di Cristo e posso dare all’altro ben più che le cose esternamente necessarie: posso donargli lo sguardo di amore di cui egli ha bisogno.

Qui si mostra l’interazione necessaria tra amore di Dio e amore del prossimo, di cui la Prima Lettera di Giovanni con tanta insistenza. Se il contatto con Dio manca del tutto nella mia vita, posso vedere nell’altro sempre soltanto l’altro e non riesco a riconoscere in lui l’immagine divi-na. Se però nella mia vita tralascio completamente l’attenzione per l’al-tro, volendo essere solamente «pio» e compiere i miei «doveri religiosi», allora s’inaridisce anche il rapporto con Dio. Allora questo rapporto è soltanto «corretto», ma senza amore.

Solo la mia disponibilità ad andare incontro al prossimo, a mo-strargli amore, mi rende sensibile anche di fronte a Dio. Solo il servi-zio al prossimo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama. I santi - pensiamo ad esempio alla beata Teresa di Calcutta - hanno attinto la loro capacità di amare il prossimo, in modo sempre nuovo, dal loro incontro col Signore eucaristico e, reciprocamente que-sto incontro ha acquisito il suo realismo e la sua profondità proprio nel loro servizio agli altri. Amore di Dio e amore del prossimo sono insepa-rabili, sono un unico comandamento. Entrambi però vivono dell’amo-

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re preveniente di Dio che ci ha amati per primo. Così non si tratta più di un «comandamento» dall’esterno che ci impone l’impossibile, bensì di un’esperienza dell’amore donata dall’interno, un amore che, per sua natura, deve essere ulteriormente partecipato ad altri. L’amore cresce at-traverso l’amore. L’amore è «divino» perché viene da Dio e ci unisce a Dio e, mediante questo processo unificante, ci trasforma in un Noi che supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola, fino a che, alla fine, Dio sia «tutto in tutti» (1 Cor 15,28).

(Benedetto XVI, Enciclica Deus caritas est, nn. 16-18)

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La parola “carità” può essere fraintesa. Parecchi, quando sentono questa parola, la riferiscono soltanto ad alcuni gesti, a qualche servizio di assistenza o di aiuto al prossimo. La carità comprende tutto questo. Ma va molto al di là. Essa riguarda l’atteggiamento profondo dell’uo-mo, che è fatto per amare e si realizza soltanto nella donazione di sé. In questo uscire da sé e dei propri interessi egoistici, o privati, offrendo la sua vita (e non solo qualche gesto della sua vita) per gli altri, ciascu-no di noi sente che sta realizzando in sé l’immagine di Dio che è ca-rità (1 Gv 4, 8) che si manifesta a noi nella dedizione incondizionata (Mt, 20,28). Questa realtà è così profonda e così misteriosa che ci vuo-le molto tempo per capirla. Finché non la comprendiamo, non saremo capaci di capire noi stessi, e la vita degli uomini e delle donne di questo mondo ci apparirà come un enigma.

La preghiera silenziosa e profonda ci mette di fronte alla verità di noi stessi e alla carità di Dio. La verità di noi stessi è che siamo fatti per amare e abbiamo bisogno di essere amati (Redemptor hominis, n. 10). La verità di Dio è che Dio è amore, un amore misterioso ed esigente, ma insieme tenerissimo e misericordioso.

Questo amore con cui Dio ci avvolge è la chiave della nostra vita, il segreto di ogni nostro agire. Noi siamo chiamati ad agire per amore, a spendere volentieri la nostra vita per i nostri fratelli e sorelle, e lascia-re esplodere la nostra operatività e ad esercitare la nostra intelligenza nel servizio degli altri (1 Gv, 4,7-21).

(Card. Carlo Maria Martini)

La preghierarivela la carità

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Vari anni or sono viveva in Parigi una donna, senza fede e senza amore né per Iddio, né per il prossimo. Anzi peggio ancora; perché nu-triva un odio mortale ed un’invidia diabolica specialmente verso i ricchi e potenti, bestemmiando di continuo la Provvidenza, che l’aveva posta in bassa fortuna. In questi perversi sentimenti allevava i suoi figlioli, che ne aveva parecchi, e si era proposta di renderli i nemici più feroci della Chie-sa, della società. Il parroco zelante, alla cui cura apparteneva questa di-sgraziata famiglia, s’adoperò con ogni industria per ridurre a migliori sen-timenti quella pessima madre con preghiere, correzioni, e tutto fu vano. Ma confidando nella misericordia di Dio, pensò di espugnare quel cuore con un dolce assalto di carità. Comandò ad una giovane sua parrocchia-na, dotata di esemplare pietà di visitare sovente quella povera donna e fare del bene. Da principio ella non ottenne, che un ricambio delle più villane ingiurie ai suoi benefici; ma animata dallo spirito del Signore, le soffriva in pace, continuava visitarla, accarezzava i suoi figlioli e coglieva ogni menoma occasione di mostrarle l’interessamento d’amore. Così con-tinuò alcuni mesi senza poterle mai far entrare una buona parola.

Ma dovendo per non so quale accidente assentarsi da Parigi, volle prima di partire, visitare quella donna: ed entrandole in casa con volto più che mai lieto e benigne: “Sono venuta a salutarti - le disse - perché dovendo stare per qualche tempo lontana da qui, non mi pativa il cuore d’abbandonarti senza prima vederti e prometterti che non ti dimentiche-rò mai; ma anzi pregherò sempre il Signore, acciò ti aiuti e ti salvi”.

Nel dire questo le stringe la mano e vi lascia la sua elemosina; poi, l’abbraccia con un trasporto di ardentissima carità, le dice: “Arrivederci”; e parte. Credereste? in quell’abbraccio dell’amore di Gesù Cristo s’inte-nerì quell’anima così dura, e, illuminata dalla grazia, conobbe se stessa ed inorridì del suo stato: corse dal suo parroco, promise di mutar vita, e vive

Un raccontodi Elisabetta Girelli

La vittoria della carità

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tuttora da fervorosa cristiana. Il parroco scrisse alla giovane la bella vittoria della grazia ottenuta

per mezzo delle sue opere di carità, con queste parole, che dovrebbero accendere una fiamma di santo zelo nel cuore di ognuno: “Voi foste più fortunata di me, o signorina, nella conversione di quest’anima. Noi sacer-doti spendiamo sudori e fatiche predicando il Vangelo; ma le conversioni sono poche; a voi invece fu dato di convertire un’anima con un abbrac-cio: perché la verità è potente, ma la carità è onnipotente! E con ciò vole-va dire, che le opere della carità cristiana non cascano indarno nemmeno nella terra più ingrata e che al mondo sordo alla voce di Dio, non resta altra lezione salutare, che quella delle buone opere.

(Da E. GIRELLI, Indirizzo e pascolo alla pietà delle giovani)

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O SS. Trinità,sorgente di ogni bene,

profondamente Vi adoroe, con la massima fiducia,Vi supplico di glorificare

le vostre fedeli ServeVenerabili Maddalena ed Elisabetta Girelli

e di concedermiper loro intercessione

la grazia...Padre nostro, Ave Maria e Gloria

N.B.: 1) Chi si rivolge al Signore con la suddetta preghiera, specie in caso di novena, affidi la propria intenzione all’intercessione di entrambe le venerabili sorelle.

2) Ottenendo grazie per intercessione delle Venerabili Serve di Dio Madda-lena ed Elisabetta si prega darne sollecita comunicazione a: Compagnia S. Orsola - Figlie di S. Angela - Via Crispi, 23 - 25121 Brescia.

Chi desiderasse avere questo inserto da distribuire in Parrocchia, può richiederlo telefonando allo 030.295675.

Preghiera alle VenerabiliSorelle Girelli

per ottenere grazie!

Supplemento a “la Voce della compagnia di S. angela. BreScia”, maggio 2012, n. 2

Elisabetta Girelli Maddalena Girelli