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LE DUE MISSIONI TERRESTRIAL PLANET FINDER (TPF), ora in fase di progettazione, hanno come obiettivo la ricerca di pianeti simili alla Terra in orbita intorno a stelle distanti. La prima a essere lanciata sarà il TPF-C, un telescopio singolo, la seconda missione, battezzata TPF-I, dispiegherà cinque o più satelliti in fluttuazione libera che funzioneranno come un interferometro. • Due missioni spaziali in fase Ji sviluppo cercheranno di scoprire mondi simili al nostro

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LE DUE MISSIONI TERRESTRIAL PLANET FINDER (TPF), ora in fase di progettazione, hanno come obiettivo la ricerca di pianeti simili

alla Terra in orbita intorno a stelle distanti. La prima a essere lanciata sarà il TPF-C, un telescopio singolo, la seconda

missione, battezzata TPF-I, dispiegherà cinque o più satelliti in fluttuazione libera che funzioneranno come un interferometro.

• Due missioni spaziali in fase

Ji sviluppo cercheranno

di scoprire mondi simili al nostro

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100-g

2

IL NUMERO DEI PIANETI EXTRASOLARI scoperti dagli astronomi sta

rapidamente crescendo, grazie soprattutto alla tecnica della velocità

radiale che misura l'oscillazione della luce di una stella. Questa tecnica

però stima solo il valore minimo della massa di un pianeta, e in più

presenta un errore sistematico che induce a trovare pianeti grandi che

orbitano intorno alle loro stelle centrali. Un altro motivo d'interesse delle

ricerche è se un pianeta extrasolare orbiti all'interno della «zona abitabile»

che circonda la stella centrale, definita come la regione in cui ci si aspetta

che l'acqua rimanga liquida entro un ragionevole intervallo di pressione. La

localizzazione di una zona abitabile (in verde nel grafico a destra) dipende

in modo fondamentale dalla massa della stella. L'istogramma a sinistra

mostra gli esopianeti scoperti al 17 agosto 2005.

4 5

Frequenza (x 1013hertz)

2 31

58 LE SCIENZE

8 6I i i I i i i i i I i

100 50 25 20 15 10 9Lunghezza d'onda (micrometri)

• Lente

Maschera sul piano focale

Seconda maschera

Esopianeta

Piano focale finale

IL TRUCCO PER CATTURARE I PIANETI. La luce che entra in un «coronografo di Lyot» attraversa una lente

e incontra, sul primo piano focale, una maschera di occultamento che elimina la maggior parte

della luce proveniente dalla stella osservata. La luce rimanente è diffratta intorno alla maschera, e per

schermarla occorre un'altra maschera dopo la seconda lente. A questo punto la luce della stella è quasi

completamente schermata, e si può osservare la regione più vicina alla stella alla ricerca di pianeti.

• Fino a oggi sono stati scoperti circa 200 esopianeti, cioè pianeti che orbitano intorno

a stelle al di fuori del sistema solare. La principale tecnica usata in questa ricerca

sfrutta la velocità radiale degli esopianeti, ma negli ultimi anni si impiegano anche

immagini provenienti da telescopi spaziali e telescopi terrestri.

• La NASA sta sviluppando due missioni, chiamate Terrestrial Planet Finder [TPF).

La prima, battezzata TPF-C, prevede il lancio di un telescopio attrezzato con un

coronografo. La seconda, chiamata TPF-I, userà una costellazione di cinque satelliti

che lavoreranno come un interferometro.

www.lescienzeit

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F

ino a oggi gli astronomihanno scoperto circa 200

pianeti al di fuori del sistemasolare. Molti di essi rivelanola loro presenza attraversol'influenza sulla stella attorno

a cui orbitano, che oscilla leggermente inrisposta all'attrazione gravitazionale delpianeta. Lo spostamento Doppler delle lineespettrali della luce proveniente da ciascunastella mostra la parte di questo moto cheè in avvicinamento o in allontanamentodalla Terra. Ma il metodo della «velocitàradiale» non è l'unico: negli ultimi tempisono state usate con successo molte altretecniche indirette. E cominciano ad arriva-re annunci credibili di immagini di pianeti

extrasolari - o esopianeti - ottenute contelescopi spaziali e terrestri.

Ma che mondi sono? La maggior partedegli esopianeti conosciuti sono gigantigassosi, e presumibilmente somigliano aGiove, Saturno, Urano o Nettuno, almenoalla lontana, anche se alcuni sono moltopiù grandi. Una parte di essi, in realtà,potrebbe essere grande al punto che laclassificazione più corretta sarebbe quel-la di nane brune (in pratica, delle stellemancate). La ragione di questa incertezzaè che le misure della velocità radiale nonpossono mostrare l'inclinazione dell'orbi-ta di un probabile esopianeta rispetto allalinea di osservazione, il che significa chegli astronomi riescono a stabilire solo un

limite inferiore per la massa del corpo.Questi risultati, tuttavia, non sono neces-sariamente una prova che pianeti più similiper dimensioni alla Terra siano rari, perchéla tecnica della velocità radiale favoriscela scoperta di oggetti di grande massa, e inparticolare di quelli che gravitano in orbi-te vicine intorno alle loro stelle. I pianetipiù piccoli potrebbero essere altrettantoabbondanti, ma più difficili da rivelare.

L'elenco dei pianeti extrasolari con-tiene a malapena una mezza dozzina dioggetti con massa inferiore a 20 voltequella della Terra. Tra questi, si pensa chedue abbiano massa pari a circa tre voltequella del nostro pianeta, ma non sonodi tipo terrestre: orbitano intorno a una

LE MISURAZIONI SPETTRALI DELLA LUCE

proveniente da pianeti extrasolari ci aiuteranno a

capire se le loro atmosfere sono adatte alla vita.

La misurazione della radiazione termica emessa

dalla superficie della Terra dimostra la presenza

di vapore d'acqua, anidride carbonica, metano e

ozono, che danno origine al caratteristico spettro

di assorbimento raffigurato qui a fianco (in blu).

Nel caso in cui questi effetti non fossero presenti

ci si aspetterebbe la curva caratteristica per la

radiazione di corpo nero (curva in marrone).

In particolare la firma dell'ozono, una molecola

costituita da tre atomi di ossigeno, indica che

l'atmosfera contiene ossigeno in abbondanza ed è

anche una prova indiretta del fatto che sulla Terra

vivono organismi fotosintetici capaci di generarlo.

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pulsar con un periodo di sei millisecondi,la stella di neutroni che è tutto ciò cheresta dell'esplosione di un'antica superno-va. In qualche modo, questi pianeti sonosopravvissuti all'esplosione, e ora orbitanointorno alla loro pulsar, immersi nella sua

radiazione ad alta energia. Devono esse-re mondi estremamente inospitali. Ancheun altro esopianeta relativamente picco-lo, con massa pari a 7,5 volte quella dellaTerra, si trova in una posizione scomoda.Ruota intorno alla sua stella in appena due

giorni a una distanza di tre milioni di chi-lometri: probabilmente la sua temperaturadi superficie è prossima al punto di fusionedel piombo...

Cercare un'altra Terra

Anche se le decine di giganti gassosiscoperti finora hanno fornito informazio-ni importanti sull'abbondanza e l'evolu-zione di alcuni tipi di sistemi solari, ciòche gli astronomi cacciatori di pianetivorrebbero davvero scoprire sono oggettipiù simili alla Terra. Come afferma la NewVision del presidente Bush per la NASA,l'agenzia dovrebbe intensificare la «ricercadi pianeti di tipo terrestre e di ambientiabitabili intorno ad altre stelle». L'obiettivoovviamente è affrontare un interrogativofondamentale, che affascina da secolil'umanità: c'è vita, anche in forma primi-tiva, in qualche altra parte dell'universo?Ora gli scienziati cominciano ad avere glistrumenti per cercare la risposta.

Per esempio, dopo la sua scoperta,avvenuta nel 1999, un corpo celeste notoufficialmente con il nome di HD 209458b(chiamato Osiris) è diventato il primo eso-pianeta osservato durante il passaggio difronte alla sua stella, il che ha permesso distimarne il diametro (circa il 30 per centopiù grande di quello di Giove) e la massa(circa il 70 per cento di quella di Giove). Nel2003 i ricercatori hanno stabilito che Osirisha un'atmosfera estesa, a forma di cometa,la cui analisi spettrografica ha dimostratola presenza di ossigeno e di carbonio. Maper quanto impressionante sia questo risul-tato gli astronomi vogliono fare di più. Inparticolare sperano di ottenere immaginidirette di pianeti di tipo terrestre e lo spet-tro dettagliato della loro atmosfera, duedati che potrebbero indicare l'eventualepresenza di vita su questi pianeti.

Nella ricerca di nuove terre, un fattorechiave per decidere quale stella esaminareè la dimensione della «zona abitabile», laregione in cui la temperatura alla super-ficie di un pianeta potrebbe consentire lapresenza di acqua liquida entro un certointervallo di pressioni. Nelle stelle più cal-de della sequenza principale (quelle «nor-mali», non quelle giganti) la zona abitabilesi trova nella parte più esterna, e quindi èrelativamente facile da studiare da gran-di distanze. Queste stelle hanno però vitabreve, e probabilmente non sopravvi-

LE SCIENZE 59

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Specchio primario

Specchio terziario

Pannelli solari

Strumenti scientifici

Ottica del coronografo

Schermatura solareSpecchio secondario

Luce stellare

QUESTA SEZIONE LATERALE del Terrestrial Planet Finder (a fronte in una rappresentazione artistica)

mostra il cammino ottico fuori asse. La luce che proviene da un sistema stellare è riflessa da uno

specchio primario ellittico su uno specchio secondario in posizione laterale. La riflessione dagli specchi

secondario e terziario ridirige il fascio focalizzato verso l'ottica coronografica e gli strumenti, dietro lo

specchio primario. Il telescopio sarà isolato dalle altre parti mobili del satellite, per esempio le schiere di

pannelli solari rotanti e le vele solari, per minimizzare gli effetti di sfocamento dovuti al loro movimento.

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8

vono abbastanza a lungo perché la vitasi evolva o si possano sviluppare degliecosistemi. Una strategia più ragionevoleconsiste nell'esaminare le loro «cugine»più fredde e più longeve, anche se le lorozone abitabili richiedono di cercare vicinoal bagliore di queste stelle. Un'alternativamigliore sarebbero stelle di tipo solare, ditemperatura intermedia, o leggermentepiù massicce del Sole, poiché hanno unavita lunga ed è più probabile che abbianosistemi planetari.

Per una seria ricerca di esopianeti sipotrebbero applicare anche altri criteri. Peresempio, evitare i sistemi binari (o multipli)poiché una stella compagna può espellerefacilmente pianeti che si formano vicino auna delle stelle. E il piano di ricerca dovreb-be favorire le stelle con un'alta percentua-le di atomi più pesanti dell'elio, poiché siritiene che la presenza di questi «metalli»(come li chiamano gli astronomi) favoriscala formazione di pianeti. Inoltre, si dovreb-be evitare di puntare il telescopio troppovicino al piano della Via Lattea, dove lestelle sullo sfondo sono così abbondanti daprodurre una notevole confusione.

Gli astronomi discutono da tempo suquale sia la strumentazione più adatta aquesta ricerca. Vista da una distanza di30 anni luce, la Terra apparirebbe a 0,1secondi d'arco dal Sole, che sarebbe cir-ca 10 miliardi di volte più luminoso allelunghezze d'onda del visibile. Nel medioinfrarosso, e cioè a lunghezze d'onda dicirca 10 micrometri, il rapporto è 1000volte più favorevole. Ma a questa lun-ghezza d'onda il nostro pianeta appa-rirebbe avvolto in una brillante «nubezodiacale», ovvero ciò che resta di innu-merevoli comete e asteroidi: un velo diparticelle che sarebbe alcune centinaia divolte più luminoso della Terra. Charles A.Beichman, del Jet Propulsion Laboratorydella NASA, ha paragonato il problema aquello di «trovare una lucciola accanto aun faro in una notte di nebbia». Come sipuò sperare di distinguere la debole luce diun pianeta da quella della sua stella?

Gli astronomi possono scegliere tra duestrategie che risalgono a qualche decina dianni fa. La più familiare prevede l'uso diun coronografo, un dispositivo inventatodall'astronomo francese Bernard Lyot nel1930 per osservare la corona solare e le suecaratteristiche protuberanze, fino ad alloraosservabili solo durante le eclissi di Sole. In

un coronografo standard (si veda lo schema

a p. 59) si usano due maschere di occulta-mento per bloccare la maggior parte dellaluce proveniente da una stella, lasciandopassare luce dell'area circostante.

Per contribuire alla ricerca degli eso-pianeti sono già in funzione coronografispeciali in molti osservatori ad alta quota.

Questi strumenti operano alle lunghezzed'onda del visibile e del vicino infraros-so, oltre che in una manciata di finestreatmosferiche relativamente trasparentinella regione infrarossa dello spettro. Iprincipali bersagli sono le stelle giova-ni, i cui giganti gassosi conserverebberoancora una significativa quantità di calore

risalente alla loro formazione, rendendo-li intensamente luminosi alle lunghezzed'onda dell'infrarosso.

Il più avanzato dei coronografi ter-restri probabilmente è il Lyot ProjectCoronograph installato sull'Advanc edElectro-Optical System Telescope da 3,6metri del Monte Haleakala, sull'isolahawaiana di Maui. Sviluppato dall'Aero-nautica degli Stati Uniti per seguire satelli-ti in orbita, il telescopio ha forse il sistemadi ottica adattiva più raffinato del mondo.Esso sfrutta 941 attuatori elettromeccaniciper cambiare rapidamente la forma di unpiccolo specchio deformabile disposto sulcammino ottico, compensando le distor-sioni atmosferiche. 11 coronografo dovreb-be essere in grado di rivelare un pianeta dimassa pari a molte volte quella di Giove,

400.000 volte meno luminoso della suastella, e lontano da essa di una distanzaangolare pari a soli 0,2 secondi d'arco.

La seconda strategia applicabile allaricerca di esopianeti è detta «interferome-tria ad annullamento». L'interferometriaottica è ancora più antica del coronografo erisale al 1880, quando Albert A. Michelson

sviluppò il primo interferometro. Insiemea Edward W. Morley, usò questo apparatonel famoso esperimento di Michelson-Morley che tentò di confermare, senzariuscirci, l'esistenza dell'etere, l'ipoteticomezzo che si pensava fosse necessario perla propagazione delle onde di luce.

In generale, un interferometro separa laluce proveniente da una sorgente in dueo più fasci, che viaggiano lungo differenticammini ottici finché non si incontrano dinuovo, ricombinandosi. La struttura dellefrange d'interferenza che risultano dallasovrapposizione dei due fasci può essereusata per produrre una gamma di misura-zioni molto precise di lunghezze d'onda,indici di rifrazione, distanze o spessori. Inastronomia, lo studio delle frange d'inter-ferenza da sorgenti di luce stellare ha per-

messo di determinare il diametro di alcunestelle molto grandi e piccole distanze trastelle binarie che sarebbero state impossi-bili da ottenere in altro modo.

L'interferometro ad annullamento è unaparticolare applicazione di un dispositivoche Ronald N. Bracewell della StanfordUniversity ha proposto nel 1978 per osser-

vare giganti gassosi extrasolari. Lo sche-ma di Bracewell usa fasci provenienti dadue specchi combinati in modo che la lucein arrivo dalla stella subisca interferenzadistruttiva, mentre la luce da un pianetafuori asse subirebbe interferenza costrutti-va. Nell'idea originale di Bracewell, questointerferometro dovrebbe essere lanciatonello spazio, ma molti osservatori terrestristanno per essere equipaggiati con interfe-rometri ad annullamento per cercare pia-neti giganti e studiare i dischi di polvereintorno alle stelle vicine.

Per esempio i telescopi gemelli Keckda 10 metri situati sul Mauna Kea, alleHawaii, stanno funzionando come uninterferometro da più di quattro anni, e sista integrando anche un dispositivo spe-cializzato chiamato «annullatore» (nuller,

in inglese). In fase di sviluppo è anchel'interferometro LBTI che sarà montatosul Large Binocular Telescope del MonteGraham, in Arizona, una collaborazio-ne tra università americane e tedesche el'Istituto nazionale di astrofisica italiano(INAF), che nel 2007 comincerà a cercarepianeti nel vicino infrarosso. Gli astronomicoinvolti nel progetto prevedono che nellasua modalità ad «annullamento di stella»,LBTI potrà distinguere un pianeta giovane- e perciò luminoso nell'infrarosso - cheabbia, per esempio, una massa pari a cin-que volte la massa di Giove e si trovi a 30anni luce di distanza dalla Terra.

Ripulire l'aria

Anche se l'ottica adattiva permetteràai telescopi terrestri di osservare alcunigiganti gassosi, scoprire un oggetto delledimensioni della Terra che ruota nella zonaabitabile di una stella richiede strumenti inorbita. Per di più, per stabilire che un eso-pianeta sia effettivamente di tipo terrestreserviranno misurazioni spettrali, che sonopiù semplici da eseguire fuori dall'atmosfe-ra opaca della Terra.

I telescopi spaziali oggi in funzione -Formai venerando Hubble Space Telesco-pe e il nuovo Spitzer Space Telescope -hanno già una certa capacità di vederegiganti gassosi intorno a stelle vicine. IlNear Infrared Camera and Multi-ObjectSpectrograph (NICMOS) e l'Advanc edCamera for Surveys (ACS) di Hubble han-no modalità di funzionamento coronogra-fico. NICMOS ha già prodotto una notevo-

UNA MASCHERA SAGOMATA APPOSITAMENTE PROGETTATA, come questa maschera sferoidale

(a sinistra), può essere usata in un coronografo per deflettere il bagliore lontano dalle due regioni

situate sui due lati della stella (aree scure a destra). L'impiego di maschere simili richiederebbe

un telescopio ottico in grado di ruotare intorno alla linea di osservazione, in modo che la fioca luce

di un pianeta sia rilevabile all'interno delle regioni scure.

60 LE SCIENZE

453 /maggio 2006

www.lescienzeit

LE SCIENZE 61

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LA SFERA ROSSA è un esopianeta, il primo a essere stato fotografato.

Ha una massa pari a circa cinque volte quella di Giove ed è in orbita

intorno a 2M120?, una stella che fa parte della costellazione dell'Idra,

lontana 230 anni luce dalla Terra.

o

LE

Segnale della stella annullato ' Segnale del pianeta

Luce proveniente dalla stella

Collettore Collettore E CollettoreCollettore

Combinatoredi fascio 7 Combinatore

di fascio

Luce proveniente dal pianeta

Linea di ritardo Linea di ritardo

LINTERFEROM ETRIA AD ANNULLAMENTO combina la luce raccolta da due telescopi collettori (qui

mostrati come semplici specchi) dopo aver introdotto un ritardo di mezza lunghezza d'onda in uno

dei cammini ottici. Il risultato è che la luce proveniente da una direzione perpendicolare alla linea dei

collettori produce un'interferenza distruttiva (a sinistra). La luce proveniente dalla stella su cui è

puntato l'interferometro viene annullata, ma la luce che viene da un pianeta in orbita intorno alla stella

incide sull'interferometro con un piccolo angolo rispetto alla perpendicolare, introducendo un ritardo in

un cammino ottico rispetto all'altro. Quando vengono combinati, i fasci di luce proveniente dal pianeta

interferiscono costruttivamente, dando luogo a un segnale rivelabile (a destra).

le immagine di un possibile pianeta conmassa pari a cinque volte quella di Giove,trovato recentemente in orbita intornoalla nana bruna 2M 1207. E all'inizio del2005 il telescopio Spitzer ha rivelato Osirisconfrontando le misure di luminosità dellasua stella ottenute mentre occultava il pia-neta con quelle relative sia alla stella sia alpianeta prima e dopo l'eclisse.

Le future missioni astronomiche par-tiranno da questi successi. Per esempio,sia la camera nel vicino sia quella nelmedio infrarosso del James Webb SpaceTelescope (il cui lancio è previsto per il2011) saranno dotate di coronografi cheverranno usati per ottenere immagini espettri di pianeti massicci. Tuttavia gliastronomi riconoscono che un telescopiospaziale capace di osservare una «eso-ter-ra» dovrebbe essere progettato secondospecifiche più particolari.

Quali caratteristiche dovrebbe avere?Trovare la risposta ha richiesto un'impo-nente mole di lavoro. Forse il primo seriotentativo per definire gli scopi di unamissione del genere risale al 1985, quan-do la Solar System Exploration Divisiondella NASA e il comitato di studio dellaNational Academy of Sciences istituì unacommissione per definire e valutare diver-se strategie. L'interesse nelle ricerche pla-netarie continuò a crescere, e nel 1996 ilJPL organizzò uno studio culminato conla pubblicazione di una Road Map forthe Exploration of Neighboring PlanetarySystems. Il rapporto invitava a sviluppa-re una missione che sarebbe poi divenu-ta nota con il nome di Terrestrial PlanetFinder, o TPF.

All'epoca il progetto prevedeva l'uso diun interferometro ad annullamento nel-l'infrarosso formato da quattro o più spec-chi da 1,5 metri montati su una strutturalunga circa 75 metri. Uno strumento delgenere avrebbe potuto rivelare e caratte-rizzare pianeti di tipo terrestre fino a 40anni luce di distanza. Per permettere unfunzionamento più freddo dell'ottica (eridurre così il calore strumentale di fondoche influenza le osservazioni nell'infra-rosso) e per diminuire l'impatto dell'os-servazione attraverso la nube di polvereche pervade il sistema solare, il rapportoraccomandava che lo strumento fosse col-locato su un'orbita nello spazio profondo,a una distanza fino a cinque volte mag-giore di quella tra la Terra e il Sole.

Nei tre anni seguenti, scienziati e inge-gneri del JPL costruirono dei prototipi,perfezionando ulteriormente il proget-to iniziale. I progressi nello sviluppo diun'ottica grande e leggera hanno sugge-rito di sostituire gli specchi da 1,5 metricon specchi da 3,5 metri, in grado dioperare più vicini alla Terra, evitando illungo viaggio e le conseguente difficoltàdi comunicazione. Si decise inoltre che iquattro specchi non avevano bisogno diuna struttura di collegamento: i quattrotelescopi «collettori» avrebbero potutovolare in formazione intorno a un satel-lite con la funzione di «combinatore delfascio». In questo modo, si sarebbe ottenu-ta la flessibilità necessaria per ottimizzarela lunghezza dei bracci dell'interferometroper ciascuna stella bersaglio.

I ricercatori del JPL hanno presentatola nuova versione del Terrestrial PlanetFinder nel maggio 1999, includendo unadescrizione del suo possibile modus ope-randi. La ricerca di base dovrebbe inclu-dere il monitoraggio di circa 200 stelleentro una distanza di 50 anni luce. Treo quattro sessioni di osservazione all'an-no per ciascuna stella dovrebbero essere

sufficienti per stabilire che gli oggetti chesembrano pianeti non siano stelle sullosfondo e per mappare le orbite dei pianetiscoperti. E un'osservazione più dettaglia-ta di 20 o 30 probabili pianeti potrebbefornire le informazioni necessarie per stu-diarne le atmosfere.

Per determinare quali pianeti sianoabbastanza promettenti da meritare que-sto approfondimento, la stima delle lorodimensioni dovrebbe basarsi sulla lumi-nosità e la distanza dalla loro stella: unpianeta troppo piccolo potrebbe aver persol'atmosfera originaria, mentre uno troppogrande potrebbe essere l'ennesimo gigantegassoso. Osservazioni relativamente brevi(di circa due giorni) basterebbero a ottene-re spettri con risoluzione abbastanza altada rivelare anidride carbonica o acqua.

Infine, verrebbero studiati in dettaglioi cinque o sei candidati più promettenti alruolo di esopianeta di tipo terrestre. In que-sto modo si otterrebbero spettri abbastan-za sensibili da mostrare eventuali tracce dialcune molecole che suggeriscano l'abita-bilità del pianeta o addirittura la presenzastessa di vita. I cosiddetti «biomarcatori»,infatti, lasciano linee spettrali caratteristi-

che nel visibile, nel vicino infrarosso e nelmedio infrarosso dello spettro. Le mole-cole più interessanti sono l'anidride car-bonica, il metano, l'ossigeno molecolaree il prodotto della sua fotodissociazione,cioè l'ozono. Per ottenere una risoluzionespettrale e una precisione sufficiente perquesti scopi sarebbero necessarie sessionidi osservazione di due settimane o più.

Concentrarsi

su un progetto. O due

Anche se nel 1999 i test di laboratoriodella nuova versione del progetto del JPLavevano fornito risultati incoraggianti, lascelta di un interferometro invece che diun coronografo non era affatto scontata.Nel 2000 la NASA aveva assegnato con-tratti di studio della durata di due annia quattro gruppi di ricerca, universitari eprivati, con l'obiettivo di valutare diverseconfigurazioni per la missione di ricerca di

pianeti. All'inizio erano state prese in con-siderazione circa 60 proposte; in seguito igruppi di ricerca si erano concentrati solosu quattro. Alla fine il JPL raccomandò chevenissero ulteriormente approfondite dueconfigurazioni base: un coronografo adapertura ellittica funzionante alle lunghez-ze d'onda del visibile e un interferometroad annullamento che impiegasse da tre acinque telescopi collettori, liberi o struttu-ralmente collegati.

Nell'aprile 2004 erano già disponibilisufficienti informazioni sui punti di forza edi debolezza di questi due progetti e i diri-genti della NASA erano pronti a prendereuna decisione finale: entrambi i progettisarebbero stati portati avanti. Il primo aessere lanciato, una missione coronogra-fica chiamata TPF-C, sarà una versioneridotta di quelle inizialmente studiate. Laversione più piccola e semplificata è sta-ta adottata per assicurarsi che entro unadecina d'anni possa essere lanciato nello

spazio uno strumento per cercare piane-ti di tipo terrestre. La seconda missioneprevede l'impiego di un interferometrochiamato TPF-I, in grado di fluttuare nel-lo spazio, che sarà capace di guardare piùlontano rispetto a TPF-C e che verrà lan-ciato circa sei mesi dopo il coronografo.11 TPF-I sarà sviluppato in collaborazionecon l'Agenzia spaziale europea (E SA), chefin dal 1993 ha lavorato su un proprioprogetto di interferometro a fluttuazionelibera, chiamato Darwin.

11 JPL ha formato una «squadra TPF-C»che include personale anche di altri centriNASA, università e industrie, e lo sviluppodello strumento sta procedendo spedito. 11progetto prevede la costruzione dello spec-chio primario più grande che possa entrarenel vano di carico da 5 metri di diametrodel Delta IV-H della Boeing, il vettore chelo lancerà nello spazio. Lo specchioco, con assi di 8 e 3,5 metri, ha una super-ficie collettrice quattro volte più ampiarispetto allo specchio primario di Hubble,ma pesa soltanto il 30 per cento in più. Perottenere le prestazioni ottimali del corono-grafo è necessario che il cammino otticonon sia ostruito dallo specchio secondario,

perciò lo specchio primario sarà montatocon un certo angolo, e quello secondariosarà disposto su una torre alta 12 metri inposizione laterale, realizzando un sistemaottico fuori asse. Un terzo specchio dirige laluce proveniente dallo specchio secondarioverso l'ottica coronografica e gli strumen-ti di rilevamento che saranno posti dietroallo specchio primario.

11TPF-C sarà migliore di Hubble soprat-tutto per quanto riguarda il pointing jitter,cioè quei movimenti casuali che degrada-no i dettagli più fini delle immagini. NelTPF-C questi movimenti saranno mini-mizzati isolando il telescopio dal veicolospaziale e dalle sue parti in movimento.

Come il coronografo del Lyot Project,il TPF-C farà uso di specchi deformabiliper correggere le distorsioni dell'immagi-ne che nasceranno da imperfezioni o dacattivi allineamenti delle superfici ottiche,ma non se saranno causati dai capriccidell'atmosfera.

La ricerca riguarderà i cosiddetti biomarcatori, molecoleche sono prove indirette dell'esistenza della vita,

62 LE SCIENZE

453 /maggio 2006

www.lescienze.it

LE SCIENZE 63

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Telescofoi NION

Combinatore

Telescopio 4

Telescopio 2

Telescopio 3

PER IL TPF-I SARANNO UTILIZZATI CINQUE SATELLITI che fluttueranno nello spazio secondo una delle

configurazioni proposte. La luce raccolta dal telescopi collettori 1 (rosso) e 3 (blu) converge

nel modulo combinatore di fascio, in cui si origina l'interferenza dopo che in uno dei cammini ottici è

stato introdotto un opportuno ritardo, e lo stesso procedimento viene applicato alla luce che

proviene dai telescopi 2 (viola) e 4 (verde), dopodiché le coppie che interferiscono possono essere

combinate esse stesse per un ulteriore annullamento. L'intera costellazione di satelliti può

ruotare intorno alla linea di vista in modo che l'interferometro possa rilevare un pianeta che si trovi

in un punto qualunque vicino alla stella intorno a cui orbita.

IL PLANET IMAGER, una missione attualmente nelle prime fasi di progettazione, potrà produrre

fotografie da 25x 25 pixel di pianeti extrasolari di tipo terrestre simili a questa immagine

della Terra. Per ottenere immagini del genere occorrerebbero 25 telescopi coronagrafici, ciascuno

con un diametro di 40 metri, distribuiti su una distanza di 360 chilometri.

L'AUTORE

THOMAS J. SHERRILL, laureato in astronomia all'Università della California a Berkeley, per 29

anni ha lavorato alla Lockheed (oggi Lockheed Martin) dedicandosi anche allo sviluppo dello

Hubble Space Telescope. Dal 1995 è consulente della Lockheed perle missioni TPFe Constellation-

X. Questo articolo è stato pubblicato sul «American Scientist» di novembre-dicembre 2005.

PER APPROFONDIRE

ANGELJ.R.P., CH ENG A.Y.S. e WOOLF N.J.,A space telescope for infrared spectroscopy of earth-

like planets, in «Nature», Vol. 322, pp. 341-343, 1986.

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Per contrastare il bagliore delle stel-le che osserverà, il TPF -C impiegheràmaschere a sezione sagomata, e con l'aiu-to delle altre componenti ottiche il dispo-sitivo sarà in grado di ridurre la luminositàdi 10 miliardi di volte in due aree simme-triche ai lati di una stella. Se sarà adottataquesta configurazione, la forma a cuneoe l'estensione limitata delle due aree ren-derebbero necessario osservare la stellabersaglio a diversi angoli al di sopra dellalinea di vista, in modo da non perdere uneventuale pianeta.

Oltre alle fotocamere, il TPF-C sarà dota-to anche di uno spettrografo, di uno stru-mento ancora da definire per osservazionidi carattere astrofisico e di una camera perla guida fine, necessaria per controllare ilpuntamento del telescopio. Tutta la stru-mentazione opererà nella regione visibiledello spettro elettromagnetico e forse nelvicino infrarosso, ovvero nelle lunghezzed'onda in cui è possibile rilevare la lucedella stella riflessa dal pianeta. Poiché untelescopio per la ricerca di pianeti ope-ra molto vicino a una stella bersaglio, ilcampo visivo della camera coronograficasarà di appena 3,6 secondi d'arco, mentreil campo visivo dello strumento per misuredi astrofisica sarà molto più ampio, fino aquattro minuti d'arco.

La NASA progetta di lanciare TPF -Cin un'orbita ad alone», attorno a un puntoparticolare dello spazio: il punto lagrangia-no L2 tra Sole e Terra, posto a 1,5 milioni dichilometri dalla Terra in direzione oppostaal Sole. In questa orbita, le condizioni ter-miche e di luce diretta sono relativamentefavorevoli e permettono lunghi tempi diosservazione. Un parasole innovativo pro-teggerà sia lo specchio primario sia quellosecondario dalla luce solare e dal riscal-damento che essa provoca, e permetteràl'osservazione di quasi tutto l'emisferoorientato in senso opposto al Sole. In pra-tica, ogni stella del cielo sarà visibile percirca sei mesi consecutivi.

La missione TPF-C si concentrerà sul-la ricerca di pianeti di tipo terrestre chepotrebbero orbitare intorno a 35 stelleattentamente selezionate con l'obiettivo diesaminarne altre 130 se il programma diricerca lo permetterà. Il coronografo potràregistrare lo spettro caratteristico dell'os-sigeno, dell'ozono e dell'acqua, nella spe-ranza di rilevare anche tracce di anidridecarbonica e di metano.

I progetti per l'interferometro

Mettere in funzione un interferometroper la ricerca di pianeti è ancora un obiet-tivo lontano (probabilmente sarà realtàintorno al 2020), ma i ricercatori del JPLsono già all'opera per definire l'architet-tura migliore per questo strumento e persviluppare la tecnologia necessaria. Laconfigurazione preliminare con quat-tro telescopi collettori e un combinatoredi fascio è lo standard rispetto al qualesi stanno giudicando gli altri progetti.L'intervallo di lunghezze d'onda previstoper il funzionamento è compreso tra 7 e 17micrometri nel medio infrarosso, e l'orbitapotrebbe essere ad alone intorno al puntolagrangiano L2, come per il TPF-C.

La vera sfida nel progettare una missio-

ne con un interferometro sta nella messaa punto dei dettagli. In particolare, rag-giungere e mantenere buoni annullamentida parte dello strumento richiederà che ifasci in entrata siano accuratamente col-limati e che il loro cammino ottico possaessere misurato con una precisione del-l'ordine del nanometro. L'annullamentoavrà luogo in un modulo separato, in cui isingoli fasci del collettore saranno accop-piati prima che queste coppie siano a lorovolta combinate tra loro. Infine il fascioin uscita, completamente annullato, saràinviato diversi rivelatori per l'imaging eper l'analisi dello spettro.

Durante la ricerca di esopianeti, ladistanza tra i due moduli collettori piùlontani sarà compresa tra 60 e 150 metri.In questo modo il TPF-I avrà la risoluzione

di un singolo telescopio da 60-150 metri.Tuttavia le immagini bidimensionali scat-tate da TPF-I dovranno essere costruiteelaborando il segnale variabile del pianetache si muove dentro e fuori uno schema difrange d'interferenza, mentre i razzi ruo-tano la sonda spaziale di 360 gradi intornoalla linea di vista della stella bersaglio.

Uno dei requisiti più complicati daelaborare ancora oggi è il controllo dellaformazione di volo dei telescopi collettorie del modulo combinatore con un'accu-ratezza di un centimetro, mantenendoinalterato l'allineamento del fascio. Peraffrontare la sfida gli ingegneri del JPLstanno sviluppando tre moduli roboticiche simuleranno il movimento della sondaspaziale che fa parte del TPF-I. Alla fine,questi prototipi saranno collocati su ungrande supporto appoggiato su cuscinettid'aria e saranno programmati per muo-versi autonomamente e in formazioneusando razzi e hardware del tutto similiall'equipaggiamento che sarà spedito nel-lo spazio.

I tecnici avranno pane per i loro dentinell'affrontare questi problemi tecnologi-ci, ma raggiungere questi traguardi offre

una grande ricompensa: le lunghe linee dibase dell'interferometro e l'alta risoluzioneangolare che esse permettono di ottenere.

TPF-I sarà in grado di studiare sistemistellari più distanti di quanto non riusciràa fare il TPF-C.

Per ora è previsto che l'interferometrovada alla ricerca di pianeti che potrebbe-ro orbitare intorno a circa 150 stelle; poidovrà misurare gli spettri di una trentina dipianeti e studiare con maggiore dettaglio ipiù promettenti per accertare la presenza dibiomarcatori. Di tanto in tanto la missionesarà a disposizione anche degli astrono-mi interessati ad altri studi di astrofisicaad alta risoluzione, per esempio per l'os-servazione di nubi molecolari durante laformazione stellare e planetaria e di nucleigalattici attivi.

Un impegno arduo

Le date di lancio per il TPF-C e il TPF-Isono ancora lontane e incerte, ma gli astro-nomi stanno già pensando a quale potràessere il prossimo passo se questi strumentiavranno successo nel trovare candidati ditipo terrestre. Due missioni sono nella fase

di progettazione preliminare La prima, LifeFinder, ha come scopo produrre spettri adalta risoluzione delle atmosfere dei piane-ti di tipo terrestre, che permetteranno agliastronomi di cercare i livelli dei gas bio-marcatori (metano e ossido di azoto) cheabbiamo sulla Terra. Una delle configura-zioni prese in considerazione è la versio-ne ampliata del TPF-I, che è composta daquattro telescopi collettori di 25 metri cheoperano su una linea di base interferome-trica in grado di arrivare fino a 15 chilome-tri di lunghezza. Con questa configurazioneci vorrebbe un mese per poter sviluppare larisoluzione e la sensibilità richieste.

Una seconda missione, Planet Imager, èancora più ambiziosa, perché ha l'obietti-vo di produrre immagini abbastanza det-tagliate delle superfici planetarie, quindidi eventuali oceani, masse rocciose, nubi,lune e anelli. In uno dei progetti proposti,una costellazione di 25 telescopi coro-nografici da 40 metri che volano in unaformazione circolare di 360 chilometri didiametro invierà le sue immagini a unasonda che si occuperà della combinazionedei segnali e della trasmissione telemetricaa Terra. Lavorando nella parte visibile del-lo spettro, questa costellazione satellitarepotrebbe produrre un'immagine di 25 x25 pixel di un pianeta delle dimensioniterrestri distante 33 anni luce.

Ma prima di questi grandi balzi nelfuturo occorrerà fare molti piccoli passi.Ancora prima dell'inizio delle due missio-ni Terrestrial Planet Finder, gli astronomisaranno occupati a perfezionare i lorostrumenti a terra sia per la coronograflasia per l'interferometria ad annullamento,e dovranno anche pianificare il lancio dimissioni spaziali per la verifica delle tec-nologie sviluppate. Ma senza dubbio illoro pensiero di fondo sarà che un giornopotremo vedere un mondo lontano simileal nostro.

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453 /maggio 2006

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