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Economia e politica nel mondo Luglio 2013 luglio 2014 Per strutturare meglio le nostre discussioni ne apro una sulla situazione economica al di fuori del nostro paese. Mentre la discussione "Europa" è sulla situazione politica nell'Unione europea e sulla crisi dell'unione monetaria, in questa discussione scambieremo informazioni e commenti sull'ambiente esterno alla nostra economia: sviluppi economici nei paesi europei, negli Stati Uniti, nei paesi asiatici, ecc.. Visualizzazioni: 10 367 Risposto da Fabio Colasanti su 25 Luglio 2013 a 13:07 Un punto che a volte sembra essere dimenticato: gli Stati Uniti hanno quasi completamente superato la crisi. Il grafico che riporto qui di seguito mostra bene come il livello del PIL degli Stati Uniti (a prezzi costanti, quindi senza il contributo dell'inflazione) abbia oggi superato di gran lunga il livello di prima della crisi. Purtroppo questo non è il caso nostro. Il nostro PIL è più o meno dove era nel 2000. Gli Stati Uniti sono diventati più ricchi di oltre il venticinque per cento dal 2000 ad oggi, mentre noi siamo rimasti al palo. Quasi la metà di questa differenza era già presente nel 2009 e il resto è dovuto alla recente crisi. La crescita economica negli Stati UNiti non è fortissima, ma è sufficiente a creare posti di lavoro e si sta verificando nonostante una politica fiscale illogica (tagli di bilancio automatici) dovuta allo stallo in parlamento. Chiaramente le forti immissioni di liquidità della Fed e i tassi di interesse molto bassi (ma non più bassi che nel nord Europa) aiutano parecchio. Visto che l'economia sta crescendo, i mercati hanno avuto paura che la FED smettesse le immissioni di liquidità note come QE3. Bernanke li ha recentemente rassicurati che la cosa non è per domani, ma è chiaro che verso la fine dell'anno la FED rallenterà le immissioni di liquidità per poi sospenderle definitivamente nel corso dell'anno prossimo. Il livello di disoccupazione sta scendendo dall'inizio del 2010, ma non è ancora ritornato ai livelli pre-crisi e questo è stato l'argomento utilizzato da Bernanke per affermare che la politica espansiva continuerà; almeno fino a quando la disoccupazione non sarà sotto il sei/sei e mezzo per cento. Negli Stati Uniti i prezzi delle case hanno cominciato a riaumentare. Da oltre tre anni stanno aumentando leggermente e sono oggi ad un livello del trenta per cento circa sotto i livelli massimi registrati nel 2006 (sarebbe un guaio se ritornassero a quei livelli). I risultati trimestrali delle imprese e delle banche mostrano un forte aumento dei profitti. Gli economisti si stanno chiedendo come mai le imprese non investano di più, visti i profitti che stanno facendo. Le spiegazioni vanno da un possibile errore di misura statistica degli investimenti (che sarebbero più alti di quanto misurato dalle statistiche ufficiali) alla possibilità che si stia sul punto di vedere una accelerazione degli investimenti per recuperare il terreno perduto, passando per gli effetti deleteri del sistema di compensazione dei dirigenti (che li porterebbe a privilegiare la riduzione dei costi, che da risultati immediati, agli investimenti che daranno risultati tra qualche anno) e per l'effetto di freno sugli investimenti dell'aumento della regolamentazione in tutti i campi.

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Economia e politica nel mondo Luglio 2013 – luglio 2014

Per strutturare meglio le nostre discussioni ne apro una sulla situazione economica al di fuori del nostro paese. Mentre la discussione "Europa" è sulla situazione politica nell'Unione europea e sulla crisi dell'unione monetaria, in questa discussione scambieremo informazioni e commenti sull'ambiente esterno alla nostra economia: sviluppi economici nei paesi europei, negli Stati Uniti, nei paesi asiatici, ecc.. Visualizzazioni: 10 367

Risposto da Fabio Colasanti su 25 Luglio 2013 a 13:07 Un punto che a volte sembra essere dimenticato: gli Stati Uniti hanno quasi completamente superato la crisi. Il grafico che riporto qui di seguito mostra bene come il livello del PIL degli Stati Uniti (a prezzi costanti, quindi senza il contributo dell'inflazione) abbia oggi superato di gran lunga il livello di prima della crisi. Purtroppo questo non è il caso nostro. Il nostro PIL è più o meno dove era nel 2000. Gli Stati Uniti sono diventati più ricchi di oltre il venticinque per cento dal 2000 ad oggi, mentre noi siamo rimasti al palo. Quasi la metà di questa differenza era già presente nel 2009 e il resto è dovuto alla recente crisi.

La crescita economica negli Stati UNiti non è fortissima, ma è sufficiente a creare posti di lavoro e si sta verificando nonostante una politica fiscale illogica (tagli di bilancio automatici) dovuta allo stallo in parlamento. Chiaramente le forti immissioni di liquidità della Fed e i tassi di interesse molto bassi (ma non più bassi che nel nord Europa) aiutano parecchio. Visto che l'economia sta crescendo, i mercati hanno avuto paura che la FED smettesse le immissioni di liquidità note come QE3. Bernanke li ha recentemente

rassicurati che la cosa non è per domani, ma è chiaro che verso la fine dell'anno la FED rallenterà le immissioni di liquidità per poi sospenderle definitivamente nel corso dell'anno prossimo. Il livello di disoccupazione sta scendendo dall'inizio del 2010, ma non è ancora ritornato ai livelli pre-crisi e questo è stato l'argomento utilizzato da Bernanke per affermare che la politica espansiva continuerà; almeno fino a quando la disoccupazione non sarà sotto il sei/sei e mezzo per cento. Negli Stati Uniti i prezzi delle case hanno cominciato a riaumentare. Da oltre tre anni stanno aumentando

leggermente e sono oggi ad un livello del trenta per cento circa sotto i livelli massimi registrati nel 2006 (sarebbe un guaio se ritornassero a quei livelli). I risultati trimestrali delle imprese e delle banche mostrano un forte aumento dei profitti. Gli economisti si stanno chiedendo come mai le

imprese non investano di più, visti i profitti che stanno facendo. Le spiegazioni vanno da un possibile errore di misura statistica degli investimenti (che sarebbero più alti di quanto misurato dalle statistiche ufficiali) alla possibilità che si stia sul punto di vedere una accelerazione degli investimenti per recuperare il terreno perduto, passando per gli effetti deleteri del sistema di compensazione dei dirigenti (che li porterebbe a privilegiare la riduzione dei costi, che da risultati immediati, agli investimenti che daranno risultati tra qualche anno) e per l'effetto di freno sugli investimenti dell'aumento della regolamentazione in tutti i campi.

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Il deficit commerciale e quello della bilancia dei pagamenti si sono ridotti fortemente dopo la crisi, ma rimangono un punto preoccupante dell'economia americana. Gli Stati Uniti continuano a dipendere dalla volontà di Cina ed altri paesi emergenti di continuare a investire nel paese, soprattutto comprando titoli di stato. Se questi investitori smettessero di portare capitali negli Stati Uniti si assisterebbe ad un forte rialzo dei tassi di interesse e ad un forte deprezzamento del

dollaro.

Risposto da Fabio Colasanti su 26 Luglio 2013 a 19:27 Africa, il continente a più rapida crescita economica atlasweb.it di Redazione. Scritto il 17 luglio 2013 alle 7:00. L’ Africa è oggi il continente a più rapida economica nel mondo: lo sostiene la Banca africana di sviluppo (African Development Bank, AfDB) introducendo il suo Annual Development Effectiveness Review 2013, il rapporto annuale prodotto dall’Istituto di credito continentale nel quale si passano in rassegna i progressi delle economie africane alla luce delle politiche di sostegno e finanziamento adottate dalla AfDB. Secondo la sintesi del documento, la crescita è stata trainata da una migliore governance economica del continente e dalla crescente importanza del settore privato. Nel rapporto si evidenzia come oltre due terzi del continente abbia registrato un miglioramento complessivo nella qualità della governance economica, con una maggiore capacità di fornire opportunità economiche e servizi di base; i costi di avvio di un’impresa, ad esempio, sono diminuiti di oltre due terzi negli ultimi sette anni, mentre i tempi d’attesa per l’avvio di un’impresa sono stati dimezzati. Un’altra conferma alla rivoluzione epocale in corso arriva dal fatto che alla crescita, più delle esportazioni delle materie prime, oggi contribuisce soprattutto la domanda interna. “Questo progresso ha portato a un aumento dei livelli del commercio e degli investimenti, con il tasso annuo di investimenti esteri che, rispetto al 2000, si è quintuplicato. Per il futuro, miglioramenti nell’accesso ai finanziamenti e nella qualità delle infrastrutture dovrebbero contribuire ad aumentare ulteriormente la competitività globale dell’Africa ” si legge ancora nel rapporto. Tra le sfide che l’Africa deve affrontare, per continuare a crescere, vi è poi quella dell’integrazione economica regionale del continente, che, secondo gli esperti, dovrebbe contribuire a migliorare ulteriormente le prospettive di crescita, consentendo ai produttori africani di costruire catene di valore regionale, realizzare economie di scala, aumentare il commercio intra-africano e diventare competitivi a livello internazionale. E se i progressi politici in questa direzione non sono mancati, “l’inadeguatezza delle infrastrutture in Africa rimane uno dei principali ostacoli alla crescita economica del continente e al suo sviluppo”. Nella relazione, infatti, si sollecitano maggiori investimenti in questo settore: “L’Africa attualmente investe solo il quattro per cento del suo PIL generale in infrastrutture, in Cina siamo al 14 per cento”. Tornando ai numeri, il rapporto sostiene che la crescita economica nei paesi a basso reddito del continente ha superato 4,5 per cento nel 2012 e dovrebbe rimanere al di sopra del 5,5 nei prossimi anni; il numero dei paesi a reddito medio del continente è salito a 26, su un totale di 54. “La percentuale della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà è scesa dal 51 per cento al 39 per cento. Circa 350 milioni di africani ora guadagnano tra i 2 e i 20 dollari al giorno, e la classe media sta diventando sempre più un mercato di consumatori attivi ” dice il rapporto, sottolineando, tuttavia, come, nonostante la crescita, esistano ancora notevoli disparità sociali. “La sfida sarà quella di affrontare la disuguaglianza, in modo che tutti gli africani, compresi quelli che vivono in comunità rurali isolate, in quartieri abbandonati o in Stati fragili siano in grado di beneficiare di questa crescita economica “.

Risposto da Fabio Colasanti su 26 Luglio 2013 a 20:06

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Invece è dubbio che la CIna raggiunga il previsto tasso di crescita per quest'anno del 7.5 per cento, mentre l'India dovrebbe crescere solo del 5 per cento e Bradile e Russia del 2.5. L'Economist ha ben riassunto la situazione nella sua copertina.

Risposto da Fabio Colasanti su 27 Luglio 2013 a 10:12 Giappone. La "Abenomics", la politica economica del primo ministro Shintaro Abe, sta dando dei frutti. Il tasso di inflazione è al livello più alto da quasi cinque anni. In giugno il tasso di inflazione rispetto ad un anno prima, giugno 2012, era dello 0.4 per cento ! Ma il risultato più importante è che quest'anno il tasso di crescita dovrebbe essere di poco inferiore al due per cento. Due osservazioni. Le fortissime immissioni di liquidità operate dalla Banca del Giappone erano necessarie per contrastare un fenomeno preoccupante che non si riscontrava in nessun altro paese: la deflazione. Quando i prezzi scendono, questo porta ad una paralisi economica perché ognuno pensa che fare un certo acquisto o investimento domani sia più conveniente che farlo oggi. Al tempo stesso le immissioni di liquidità non raggiungono gli effetti sperati. Quando si è vicini ad un tasso di interesse zero, le immissioni di liquidità non hanno quasi effetti diretti sull'economia del paese. Nel caso del Giappone, tutte le istituzioni finanziarie che si sono ritrovate con una liquidità abbondassima non l'hanno utilizzata in Giappone, ma l'hanno esportata a fini speculativi. Una parte consistente è stata utilizzata anche per acquistare titoli di stato italiani ed ha contribuito a tenere i tassi sui nostri titoli ad un livello più basso di quello che ci sarebbe stato altrimenti. Il fatto però che si siano fatti investimenti speculativi all'estero ha provocato una forte offerta di yen e un forte deprezzamento della moneta sul mercato dei cambi. E' questo deprezzamento che ha spinto all'insù i prezzi e sostenuto la congiuntura. Ma visto che si è trattato di investimenti speculativi, i capitali rientreranno rapidamente in Giappone non appena ci sarà la sensazione che il deprezzamento è finito; tutti vorranno riportare i capitali in Giappone prima di un nuovo apprezzamento dello yen e, così facendo, lo provocheranno effettivamente (e sarà forte).

Risposto da Fabio Colasanti su 31 Luglio 2013 a 0:14 Questo rischia di far male all'orgoglio greco. "(ANSA) - ANKARA, 29 LUG - La compagnia aerea turca Turkish Airways (Thy) sarebbe interessata ad un possibile acquisto della greca Olympic Airways, fondata da Aristotele Onassis, secondo la stampa di Ankara. Secondo il sito

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

d'informazione greco Newsnow, Thy penserebbe a una possibile presa di controllo al 100% di Olympic Airways. La compagnia greca, superata sul mercato interno dalla concorrente nazionale Aegean, e' in difficolta'. Nei giorni scorsi ha annunciato che procedera' a nuovi tagli di rotte dal 13 ottobre." PS Sarò pedante, ma anche l'Ansa è approssimativa. Non esiste una "Turkish Airways", ma esiste la Turkish Airlines (THY, Türk Hava Yollari). Nel 2012, la Turkish Airlines ha vinto il premio della migliore compagnia aerea europea. L'ho presa il mese scorso per andare ad Istanbul da Bruxelles (volo diretto di poco più di tre ore). Il biglietto in economy mi è costato 220 euro e ho avuto un pasto completo con la scelta tra due piatti caldi diversi, carne o pesce! E' una cosa che in economy non si vede molto spesso.

Risposto da Alessandro Bellotti su 31 Luglio 2013 a 9:01 Fabio, quanti anni ci serviranno per riavere il PIL del 2007 ? Altri 10 ? Non è forse questo l'aspetto più preouccupante dell'economica italiana ? Ci siamo davvero persi 2 generazioni, come afferma Squinzi ?

Risposto da Fabio Colasanti su 31 Luglio 2013 a 9:26 Alessandro, forse non avremo perso due generazioni, ma una sicuramente si. Guarda il grafico che ho postato all'inizio di questa discussione. Il PIL italiano è oggi più o meno al livello del 2000, mentre quello americano è del 25 per cento più alto di quello di quell'anno. Di chi è la colpa? Dei governi che nel corso degli ultimi venti/quindici anni, per populismo, per andare dietro alle pulsioni più basse degli elettori non hanno fatto nessuna riforma e hanno messo il paese in questa situazione. Schroeder, pur con tutti i suoi limiti, si è reso conto che la Germania doveva fare qualcosa per scendere al di sotto dei cinque milioni di disoccupati ed re i disavanzi di bilancia dei pagamenti. L'ha fatto, pur sapendo che probabilmente gli sarebbe costato - come è stato effettivamente - la vittoria alle elezioni seguenti. Ma si è dimostrato uno statista è ha messo l'interesse del paese prima del suo futuro politico. Purtroppo nessuno dei nostri politici (ne la Merkel) mostrano questa tempra. Alessandro Bellotti ha detto: Fabio, quanti anni ci serviranno per riavere il PIL del 2007 ? Altri 10 ? Non è forse questo l'aspetto più preouccupante dell'economica italiana ? Ci siamo davvero persi 2 generazioni, come afferma Squinzi ?

Risposto da Antonino Andaloro su 31 Luglio 2013 a 12:58 Infatti - non si deve andare dietro il populismo - ma si devono capire le vere ragioni che OGGI non ci permettono di creare OCCUPAZIONE " a pianta stabile". Che vuol dire a pianta stabile ? Premesso che l'occupazione presso le PP.AA. è uguale a zero, anzi si và incontro ad un ridimensionamento del posti di lavoro,i settori interessati rimangono l'industria, l'artigianato,l'agricoltura, l'edilizia e il terziario. Ma se i nostri governi, pensano che delle aziende operanti come produttività se ne può fare a meno, possiamo mettere l'Italia in vendita.A pianta stabile significa che il prodotto/servizio di una azienda deve essere commercializzato per garantire i pagamenti dei salari e delle spese di gestione, non per essere svenduto sottocosto.Ci sono aziende che chiudono in un settore ed aprono in un'altro dove il numero di dipendenti è minimo e che non gli importa nulla che vanno persi dei posti di lavoro.La cultura di creare occupazione in Italia non c'è, anche per colpa dei teorici dell'economia.

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Risposto da Fabio Colasanti su 1 Agosto 2013 a 11:42 Posto il link per una interessante serie di risultati di inchieste su alcuni atteggiamenti dei cittadini degli Stati Uniti e di quattro paesi europei. Non si tratta di economia, ma è lo stesso molto interessante. Le differenze tra americani ed europei si stanno riducendo, ma su alcuni punti rimangono forti. http://www.pewglobal.org/2011/11/17/the-american-western-european-v...

Risposto da Fabio Colasanti su 4 Agosto 2013 a 19:26 Una notizia interessante, con un aspetto divertente e inquietante. Nel 2012 la HSBC era la più grande banca al mondo se misurata dal volume delle sue "attività" (assetts). La banca inglese dal nome coloniale (HSBC sta per "Hong Kong and Shangai Banking Corporation") l'anno scorso ha pagato più di quattro miliardi di dollari di multe varie di cui una per 1.9 miliardi inflitta dalle autorità americane per non essere stata abbastanza vigilante contro il riciclaggio di capitali. Visto il livello delle multe, la HSBC ha deciso di fare qualcosa e di ridurre la sua esposizione al rischio di riciclaggio o di uso improprio dei suoi conti. Ha quindi chiesto a 40 missioni diplomatiche a Londra di chiudere i loro conti con la HSBC entro 60 giorni. Il Foreign Office è molto imbarazzato e ha promesso alle ambasciate colpite - Papua Nuova Guinea, Benin e simili - il suo aiuto per trovare altre banche disposte ad aprire loro un conto in banca. La parte divertente - e inquietante - della notizia è che tra le quaranta ambasciate con le quali la HSBC non vuole più avere nulla a che fare visto il rischio di riciclaggio c'è la Nunziatura Apostolica, l'ambasciata del Vaticano ! ! !

Risposto da Giorgio Mauri su 5 Agosto 2013 a 12:33 Sembra che l'unica soluzione per l'Italia sia di diventare una "repubblica delle banane" a tutto tondo. Questo stando a Briatore, uno dei tanti fans di Renzi. Ma, dimenticavo, quello che conta non sono i fatti, ma le "dichiarazioni", soprattutto quelle fatte negli opuscoli redazionali che ognuno dei "belli" della politica ama regalare ai propri estimatori. http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08/04/fisco-da-capri-a-portoce... Fisco, maxi blitz da Capri a Porto Cervo. Briatore: “Tanto sono già fuggiti tutti” Un centinaio i controlli in locali, bar e stabilimenti di note località balneari. Ispezioni anche in Puglia, da Bari a Lecce, e in Sicilia: Taormina, Cefalù e Catania. L'imprenditore: "A colpi di imposte sul lusso e controlli di questo tipo i nostri ospiti se ne sono andati" di Redazione Il Fatto Quotidiano | 4 agosto 2013

Risposto da Giorgio Mauri su 5 Agosto 2013 a 12:56 http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08/04/rating-tesoro-pronto-a-r... Rating, Tesoro pronto a rimpiazzare S&P. Consumatori: “Serve un’agenzia europea”

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Il governo studia una proposta da presentare al prossimo G20: sostituire le agenzie private americane con un sistema di valutazioni gestito dall'Ocse o dalla Bri. Ma bisogna fare presto, perché un nuovo declassamento potrebbe tagliare fuori l'Italia dai fondi della Bce di Redazione Il Fatto Quotidiano | 4 agosto 2013 Risposte a questa discussione

Risposto da Fabio Colasanti su 9 Agosto 2013 a 2:55 Le previsioni del Fondo Monetario pubblicate il mese scorso non sono molto diverse dalle precedenti. C'è un piccolo rallentamento per i paesi emergenti, ma non cambia quasi nulla per i paesi avanzati.

Risposto da Fabio Colasanti su 9 Agosto 2013 a 8:39

Eurostat ha pubblicato la settimana scorsa delle cifre sul livello del salario minimo legale nei paesi che hanno una tale misura. La mappa indica il livello nei paesi europei (in grigio i paesi che non hanno un salario minimo legale, tra i quali l'Italia) e l'istogramma da i livelli e include anche gli Stati Uniti.

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 10 Agosto 2013 a 17:10 Ancora sui problemi dell'esportazione di vino in Cina http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2013-08-08/cina-...

Risposto da Fabio Colasanti su 10 Agosto 2013 a 17:48 Giuseppe, nel caso della Cina siamo in una situazione difficile. Tutta l'industria europea, americana e di ogni altro paese ha fatto pressione sui governi perché aprissero le loro economie agli scambi con la Cina, perché accettassero di riconoscerla come una "economia di mercato". Il mercato cinese ha dimensioni tali che ognuno vorrebbe averne una fetta.

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Al tempo stesso sappiamo tutti che la Cina non è un'economia di mercato, che il partito controlla l'economia come vuole, che la magistratura fa quello che vuole il governo e che nei negoziati non ci troviamo di fronte ad un partner normale, ma ad un partner che fa quello che vuole, senza gran rispetto dei principi giuridici del WTO o altri. Chiunque si azzardi a lamentarsi un po' troppo delle angherie o della corruzione cinese si espone a possibili rappresaglie. I nostri diplomatici sono in una situazione molto difficlle. Io stesso mi sono trovato a ricevere rappresentanti di società europee alla veglia di missioni in Cina che mi chiedevano di sollevare questo o quel caso specifico. Quasi sempre sollevavano storie veramente ingiustificabili (controlli assurdi su di ogni prodotto importato, procedure, bizantine, pagamenti che servivano unicamente per tenere in vita parti dell'apparato amministrativo cinese e così via). Ma ogni volta che io chiedevo dati specifici, di fatto, elementi concreti che mi permettessero di sollevare alcuni di questi punti con il vice-ministro che avrei avuto di fronte a me la risposta era sempre la stessa: "Non possiamo, non vogliamo dare dati concreti, non vogliamo che le autorità cinesi pensino che la lamentela viene da noi". Durante gli incontri sollevavo in termini generali i problemi che erano stati menzioanti e avevo sempre la stessa risposta: "Siamo al corrente di queste lamentele, abbiamo verificato, non c'è nulla di vero". E non mi era possibile aggiungere altro. Al massimo riuscivo ad ottenere vaghe promesse di riesamire la cosa nel futuro. Detto questo, la Cina ha aperto enormemente le sue frontiere alle importazioni dai nostri paesi. Le esportazioni verso la CIna sono una cosa importante per tutti i paesi e anche per l'Italia. Le statistiche ci dicono che esportiamo verso la Cina e che esportiamo tanto. Ma l'apertura è stata fatta alla velocità che ha fatto comodo alla CIna e con modalità strane. Oggi sono i produttori di vino che rischiano di soffrire, ma tanti altri settori hanno conosciuto in un momento o in un altro difficoltà come queste. I negoziati con la Cina non hanno nulla a che vedere con i negoziati che si possono fare con gli Stati Uniti, con il Brasile, con la Corea o con qualsiasi altro paese avanzato. Con tutti i paesi si ragiona sulla base di principi di diritto e di regole; il fatto che molti le violino, non significa che non siano riconosciute o che non abbiano una validità. Con la Cina si tratta di un vero negoziato diplomatico: io faccio un favore a te se tu ne fai uno a me; a te che stai simpatico regalo questo; a qull'altro che mi tratta male, chiudo la porta in faccia. Ma il mercato cinese ci fa gola a tutti e dobbiamo sopportare le decisioni arbitrarie. Giuseppe Ardizzone ha detto: Ancora sui problemi dell'esportazione di vino in Cina http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2013-08-08/cina-...

Risposto da mariella alois su 10 Agosto 2013 a 21:45 Concordo pienamente : la mancanza di trasparenza ,di democrazia rendono qualsiasi rapporto commerciale con la Cina piu' complicato e difficile che non con altri Paesi. Piu' difficile di quello sperimentato in passato tra l'Ue e il Giappone, ad esempio. D'altra parte il miglioramento delle condizionî di vita in questo Paese, porterà inevitabilmente a un aumento delle esigenze della popolazione, dalle rivendicazioni salariali finora represse, a un incremento della domanda per prodotti di qualità, soprattutto alimentari. Pare infattî che l'alto grado di inquinamento ambientalein Cina, spinge i consumatori a richiedere prodotti alimentari di provenienza da Paesi terzi. Sopratutto se destinati alĺ'infanzia. Gli ostacoli alĺimportazione di vino, percio' possono sembrare una misura di ritorsione, ma non lo sono. Possiamo attenderci in futuro a un incremento di tali ostacoli, a furia e misura che aumentera la domanda interna e il consumo di altri generi alimentari. Fabio Colasanti ha detto: Giuseppe, nel caso della Cina siamo in una situazione difficile. Tutta l'industria europea, americana e di ogni altro paese ha fatto pressione sui governi perché aprissero le loro economie agli scambi con la Cina, perché accettassero di riconoscerla come una "economia di mercato". Il mercato cinese ha dimensioni tali che ognuno vorrebbe averne una fetta.

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Al tempo stesso sappiamo tutti che la Cina non è un'economia di mercato, che il partito controlla l'economia come vuole, che la magistratura fa quello che vuole il governo e che nei negoziati non ci troviamo di fronte ad un partner normale, ma ad un partner che fa quello che vuole, senza gran rispetto dei principi giuridici del WTO o altri. Chiunque si azzardi a lamentarsi un po' troppo delle angherie o della corruzione cinese si espone a possibili rappresaglie. I nostri diplomatici sono in una situazione molto difficlle. Io stesso mi sono trovato a ricevere rappresentanti di società europee alla veglia di missioni in Cina che mi chiedevano di sollevare questo o quel caso specifico. Quasi sempre sollevavano storie veramente ingiustificabili (controlli assurdi su di ogni prodotto importato, procedure, bizantine, pagamenti che servivano unicamente per tenere in vita parti dell'apparato amministrativo cinese e così via). Ma ogni volta che io chiedevo dati specifici, di fatto, elementi concreti che mi permettessero di sollevare alcuni di questi punti con il vice-ministro che avrei avuto di fronte a me la risposta era sempre la stessa: "Non possiamo, non vogliamo dare dati concreti, non vogliamo che le autorità cinesi pensino che la lamentela viene da noi". Durante gli incontri sollevavo in termini generali i problemi che erano stati menzioanti e avevo sempre la stessa risposta: "Siamo al corrente di queste lamentele, abbiamo verificato, non c'è nulla di vero". E non mi era possibile aggiungere altro. Al massimo riuscivo ad ottenere vaghe promesse di riesamire la cosa nel futuro. Detto questo, la Cina ha aperto enormemente le sue frontiere alle importazioni dai nostri paesi. Le esportazioni verso la CIna sono una cosa importante per tutti i paesi e anche per l'Italia. Le statistiche ci dicono che esportiamo verso la Cina e che esportiamo tanto. Ma l'apertura è stata fatta alla velocità che ha fatto comodo alla CIna e con modalità strane. Oggi sono i produttori di vino che rischiano di soffrire, ma tanti altri settori hanno conosciuto in un momento o in un altro difficoltà come queste. I negoziati con la Cina non hanno nulla a che vedere con i negoziati che si possono fare con gli Stati Uniti, con il Brasile, con la Corea o con qualsiasi altro paese avanzato. Con tutti i paesi si ragiona sulla base di principi di diritto e di regole; il fatto che molti le violino, non significa che non siano riconosciute o che non abbiano una validità. Con la Cina si tratta di un vero negoziato diplomatico: io faccio un favore a te se tu ne fai uno a me; a te che stai simpatico regalo questo; a qull'altro che mi tratta male, chiudo la porta in faccia. Ma il mercato cinese ci fa gola a tutti e dobbiamo sopportare le decisioni arbitrarie. Giuseppe Ardizzone ha detto: Ancora sui problemi dell'esportazione di vino in Cina http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2013-08-08/cina-...

Risposto da Fabio Colasanti su 12 Agosto 2013 a 10:24 Non è mai bello quando filiali sono chiuse e, probabilmente, persone perdono il loro posto di lavoro. Ma in questo caso non possiamo lamentarci. Una riduzione delle dimensioni del mondo bancario è necessaria. Nonostante queste chiusure, il settore bancario dell'eurozona è ancora tre volte e mezza più grande di quello americano (in proporzione alle dimensioni dell'economia). Banking sector cuts 5,500 branches across the EU Published 12 August 2013 EurActiv.eu Banks cut 5,500 branches across the European Union last year, 2.5% of the total, leaving the region with 20,000 fewer outlets than it had when the financial industry was plunged into crisis in 2008. Last year's cuts come after 7,200 branches were axed in 2011, according to data analyzed by Reuters from European Central Bank statistics. Banks across Europe have been closing branches in a bid to trim operating costs and improve their battered earnings. Consumer take-up of online and telephone banking services has accelerated the trend. The data show EU banks cut 8% of branches in aggregate in the four years to the end of 2012, leaving 218,687 branches, or one for every 2,300 people. Last year's sharpest cuts were largely contained to the embattled periphery. Crisis-stricken Greece saw one of the biggest contractions in 2012, shedding 5.7% of its outlets, as mergers of local banks led to 219 branch closures. The trend is expected to continue into 2013 as Piraeus shuts some of the 312 branches it snapped up from stricken Cypriot lenders in March. Spain, where massive loan losses have put banks under fierce pressure to cut costs, lost 4.9%, or

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

1,963, of its branches in 2012. Ireland's branch network contracted by 3.3% and is expected to shrink again in 2013, while Italy's network was 3.1% smaller by the end of the year.

Risposto da Fabio Colasanti su 16 Agosto 2013 a 3:39 Un'altra conferma di una cosa che vado ripetendo da parecchio tempo: la regolamentazione delle banche è oggi più seria e rigida negli Stati Uniti che in Europa (non bisogna dimenticare che le dimensioni del settore bancario dell'eurozona sono tre volte e mezza quelle del settore bancario americano, in proporzione al PIL delle due zone). Uno degli ostacoli alla conclusione dei negoziati commerciali appena aperti tra Stati Uniti e Europa (TTIP) è rappresentato proprio dal settore finanziario. Gli americani vorrebbero escluderlo dall'armonizzazione ricercata per paura di vedere annacquate le norme che hanno recentemente introdotto. There is a long list of potential stumbling blocks that could derail the negotiations, which began in early July in Washington. Financial regulation is a major point of contention. The Obama administration is lobbying to exclude financial services regulation from the trade talks, concerned that harmonizing financial services rules would dilute some of the safeguards outlined in the 2010 Dodd-Frank Act, including stricter capital requirements for banks. Moreover, the Federal Deposit Insurance Corporation and the Federal Reserve have proposed raising the capital requirement for U.S. banks, requiring them to hold regulatory capital equivalent to 5 per cent of their assets under the new rules. That is 2 percentage points higher than the minimum leverage ratio set by the Basel III rules – a level that banks in Europe are already struggling to achieve. (The Financialist - Credit Suisse)

Risposto da Giorgio Mauri su 19 Agosto 2013 a 12:44 I Marchionnini (storie di strozzini del XXI secolo - quelli benedetti da BI) Lo sanno anche i sassi che "il mattone" è alla base di qualsiasi economia, perché è "locale" (prova a delocalizzarlo se ci riesci) e da lavoro a persone non qualificate, quindi genera una domanda sul mercato altrimenti inesistente. http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08/17/mutui-in-italia-piu-cari... Mutui, “in Italia i più cari d’Europa”. Compravendite immobiliari a picco Confartigianato avverte che i tassi d'interesse in Italia sono al 3,53%, contro il 2,77 in Francia e il 2,90 in Spagna. E i prestiti per comprare casa calano dello 0,8% nella Penisola, mentre aumentano dello 0,8% nell'Eurozona e del 2,7% a Parigi di Redazione Il Fatto Quotidiano | 17 agosto 2013

Risposto da Fabio Colasanti su 20 Agosto 2013 a 22:32 Il 24 novembre la Svizzerà voterà in un referendum che potrebbe introdurre un limite alle retribuzioni massime in ogni impresa fissato a dodici volte il salario minimo versato dalla stessa impresa. L'idea è che nessuno possa guadagnare in mese quello che altri guadagnano in un anno. http://www.admin.ch/ch/i//pore/vi/vis375.html La Svizzera ha già adottato - il 3 marzo 2013 - un'altra iniziativa (l'iniziativa Minder) che da agli azionisti il potere di decidere dei salari dei dirigenti delle imprese. L'iniziativa è stata adottata con due terzi dei voti espressi (67.9 per cento. C'è qualcuno che sta cominciando a fare qualcosa contro le diseguaglianze dei redditi. Iniziativa popolare federale '1:12 - Per salari equi' L'iniziativa popolare ha il tenore seguente: ILa Costituzione federale è ta come segue:

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Art. 110a (nuovo) Politica salariale 1Il salario massimo versato da un'impresa non può superare di oltre dodici volte il salario minimo versato dalla stessa

impresa. Per salario si intende la somma delle prestazioni (denaro e valore delle prestazioni in natura o servizi) che sono corrisposte in relazione a un'attività lucrativa. 2La Confederazione emana le prescrizioni necessarie. Disciplina in particolare:

a. le eccezioni, segnatamente per quanto concerne il salario delle persone in formazione, degli stagisti e delle persone con posti di lavoro protetti; b. l'applicazione al lavoro a prestito e al lavoro a tempo parziale. II Le disposizioni transitorie della Costituzione federale sono te come segue: Art. 197 n.8 (nuovo) 8. Disposizione transitoria dell'art. 110a (nuovo) (Politica salariale) Se la pertinente legislazione federale non entra in vigore entro due anni dall'accettazione dell'articolo 110a da parte del Popolo e dei Cantoni, sino all'entrata in vigore della pertinente legislazione federale il Consiglio federale emana le necessarie disposizioni esecutive mediante ordinanza. 1 RS 101

2 L'iniziativa popolare non sostituisce alcuna disposizione transitoria; per tale ragione la numerazione definitiva della

disposizione transitoria relativa al presente articolo sarà stabilita dopo la votazione, secondo l'ordine cronologico delle modifiche accettate in votazione popolare. La Cancelleria federale eseguirà gli adeguamenti necessari prima della pubblicazione nella Raccolta ufficiale del diritto federale (RU).

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 22 Agosto 2013 a 11:24 Da stare molto attenti. Stiamo comunque regalando un cambio troppo debole al dollaro rispetto all’euro. Le misure per l’energia in corso d’esame da parte del Governo devono essere molto incisive e così pure è necessario far partire subito delle politiche che abbassino il nostro CUP. Dobbiamo capire come facilitare gli investimenti del settore privato verso quei settori a più alto valore aggiunto all’interno dell’economia mondiale. Dare informazione, facilitazioni nelle procedure e nell’acceso al credito è senz’altro utile. Dal sito ANSA :it 21/8/2013 “L'industria manifatturiera americana alla riscossa: il settore diventa sempre più competitivo e, entro la fine del decennio, strapperà fra i 70 e i 115 miliardi di dollari in esportazioni agli altri paesi del mondo. Un aumento che fara' sentire i suoi effetti sul mercato del lavoro, con la creazione di 2,5-5 milioni di nuovi posti negli USA entro il 2020. A scattare la fotografia dell'industria manifatturiera americana è Boston Consulting Group, secondo il quale gli Stati Uniti si stanno affermando, fra le economie avanzate, come il paese a più basso costo per l'industria manifatturiera. ''Stimiamo che entro il 2015 i costi medi per l'industria manifatturiera in Germania, Giappone, Francia Italia e Regno Unito saranno fra l'8 e il 18% pi alti rispetto a quelli degli Stati Uniti'' afferma il rapporto, sottolineando che il vantaggio competitivo americano e' legato ai costi del lavoro, al gas naturale e all'elettricità'. Il risultato di questa maggiore competitività dell'industria manifatturiera americana si tradurrà nel fatto che gli Stati Uniti ''cattureranno il 5% delle esportazioni totali'' di Germania, Giappone, Francia, Italia e Regno Unito ''entro la fine del decennio''. ''Le esportazioni manifatturiere si sono affermate come un eroe dell'economia americana. Con tutti gli occhi sul deficit commerciale americano, poca attenzione e' stata data al fatto che le esportazioni del paese sono cresciute sette volte più velocemente del pil dal 2005. Come quota dell'economia americana, infatti, l'export e ai massimi degli ultimi 50 anni''.”

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Risposto da Fabio Colasanti su 22 Agosto 2013 a 15:44 Giuseppe, gli americani hanno deciso di produrre energia in maniera economica. Noi - europei e italiani in particolare - abbiamo deciso di produrre energia in maniera molto cara. Anche se lo stato desse sovvenzioni (proibite) alle imprese che consumano energia, questo non ridurrebbe l'alto costo della produzione di energia in Europa e in Italia. Questo sposterebbe solo il costo dalle tasche delle imprese a quelle dei contribuenti. Il tasso di cambio del dollaro è poco influenzato dal prezzo dell'energia. Al momento vediamo il dollaro, l'euro e lo yen risalire rispetto alle monete di tutti i paesi emergenti. Non si puo' avere la botte piena e la moglie ubriaca. Le immissioni di liquidità della grandi banche centrali sono in gran parte andate fuori deiloro paesi e nei mercati emergenti e hanno provocato l'apprezzamento delle monete di questi ultimi. Il ministro dell'economia brasiliano, Mantega, ha criticato tante volte la politica "irresponsabile" della Fed. Oggi la Fed sta riducendo i suoi interventi e questo provoca un movimento opposto. I capitali speculativi lasciano i mercati emergenti e le loro monete si stanno deprezzando fortemente. L'euro rimane forte non per la politica della BCE, ma per il fatto che Italia, Spagna e tanti altri paesi hanno bisogno di finanziare i loro debiti pubblici, devono attrarre capitali dall'estero e devono quindi offrire rendimenti più alti. Se investitori giapponesi comprano titoli di stato italiani (come stanno facendo), questo fa salire il valore dell'euro rispetto allo yen. Giuseppe Ardizzone ha detto: Da stare molto attenti. Stiamo comunque regalando un cambio troppo debole al dollaro rispetto all’euro. Le misure per l’energia in corso d’esame da parte del Governo devono essere molto incisive e così pure è necessario far partire subito delle politiche che abbassino il nostro CUP. Dobbiamo capire come facilitare gli investimenti del settore privato verso quei settori a più alto valore aggiunto all’interno dell’economia mondiale. Dare informazione, facilitazioni nelle procedure e nell’acceso al credito è senz’altro utile. Dal sito ANSA :it 21/8/2013 “L'industria manifatturiera americana alla riscossa: il settore diventa sempre più competitivo e, entro la fine del decennio, strapperà fra i 70 e i 115 miliardi di dollari in esportazioni agli altri paesi del mondo. Un aumento che fara' sentire i suoi effetti sul mercato del lavoro, con la creazione di 2,5-5 milioni di nuovi posti negli USA entro il 2020. A scattare la fotografia dell'industria manifatturiera americana è Boston Consulting Group, secondo il quale gli Stati Uniti si stanno affermando, fra le economie avanzate, come il paese a più basso costo per l'industria manifatturiera. ''Stimiamo che entro il 2015 i costi medi per l'industria manifatturiera in Germania, Giappone, Francia Italia e Regno Unito saranno fra l'8 e il 18% pi alti rispetto a quelli degli Stati Uniti'' afferma il rapporto, sottolineando che il vantaggio competitivo americano e' legato ai costi del lavoro, al gas naturale e all'elettricità'. Il risultato di questa maggiore competitività dell'industria manifatturiera americana si tradurrà nel fatto che gli Stati Uniti ''cattureranno il 5% delle esportazioni totali'' di Germania, Giappone, Francia, Italia e Regno Unito ''entro la fine del decennio''. ''Le esportazioni manifatturiere si sono affermate come un eroe dell'economia americana. Con tutti gli occhi sul deficit commerciale americano, poca attenzione e' stata data al fatto che le esportazioni del paese sono cresciute sette volte più velocemente del pil dal 2005. Come quota dell'economia americana, infatti, l'export e ai massimi degli ultimi 50 anni''.”

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 22 Agosto 2013 a 18:25 Fabio per quanto riguarda l'aspetto energia non posso che lodare ENI ecc per tutti gli accordi e le opportunità di ottenere energia al minor prezzo possibile in questi anni. Non basta e giustamente vi sono delle questioni irrisolte che tu sottolinei. Quello ch epnso è che tuttavia siamo circondati da paesi produttori di petrolio e gas con cui possiamo

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fare migliori affari per il progresso comune. Loro ahanno bisogno di lavorare a prezzi contenuti noi abbiamo bisogno di energia a bassi prezzi. Senza delocalizzare il cuore delle produzioni a maggiore valore aggiunto ma seguendo l'esempio di altri come Cina ( sta diventando un partner importante per i paesi africani) e Germania ( ha aperto molti stabilimenti di ellettrodomestici in Turchia).Poi c'è l'aspetto del, CUP su cui siamo d'accordo , credo, ma su cui non vedo provvedimenti incisivi. Rimane per ultimo il nostro cambio comunque elevato rispetto al dollaro che contribuisce ad avvantaggiare il prezzo finale dele loro merci sui mercati internazionali. E' vero quello che dici sulle dinamiche che influiscono sui cambi ma forse se si avesse meno paura dell'inflazione a livello di Germania e altri paesi forti ( fra l'altro difficile da realizzarsi a breve) si potrebbe fare di più. Sicuramente in Italia bisognerà capire se la struttura del nostro settore manifatturiero risponda a dei criteri di leadership nel mondo e quindi alla realizzazione di un elevato valore aggiunto. Mi sembra invece che rischiamo di avere come concorrenti di prodotto i cinesi e i più agguerriti paesi emergenti.In qualche modo questo è inevitabile ma dobbiamo comunque puntare verso i settori trainanti . Fabio Colasanti ha detto: Giuseppe, gli americani hanno deciso di produrre energia in maniera economica. Noi - europei e italiani in particolare - abbiamo deciso di produrre energia in maniera molto cara. Anche se lo stato desse sovvenzioni (proibite) alle imprese che consumano energia, questo non ridurrebbe l'alto costo della produzione di energia in Europa e in Italia. Questo sposterebbe solo il costo dalle tasche delle imprese a quelle dei contribuenti. Il tasso di cambio del dollaro è poco influenzato dal prezzo dell'energia. Al momento vediamo il dollaro, l'euro e lo yen risalire rispetto alle monete di tutti i paesi emergenti. Non si puo' avere la botte piena e la moglie ubriaca. Le immissioni di liquidità della grandi banche centrali sono in gran parte andate fuori deiloro paesi e nei mercati emergenti e hanno provocato l'apprezzamento delle monete di questi ultimi. Il ministro dell'economia brasiliano, Mantega, ha criticato tante volte la politica "irresponsabile" della Fed. Oggi la Fed sta riducendo i suoi interventi e questo provoca un movimento opposto. I capitali speculativi lasciano i mercati emergenti e le loro monete si stanno deprezzando fortemente. L'euro rimane forte non per la politica della BCE, ma per il fatto che Italia, Spagna e tanti altri paesi hanno bisogno di finanziare i loro debiti pubblici, devono attrarre capitali dall'estero e devono quindi offrire rendimenti più alti. Se investitori giapponesi comprano titoli di stato italiani (come stanno facendo), questo fa salire il valore dell'euro rispetto allo yen.

Risposto da Fabio Colasanti su 22 Agosto 2013 a 22:02 Giuseppe, il problema è che sui costi della nostra produzione di energia gravano i miliardi e miliardi di sussidi alle energie rinnovabili. Questi saranno sempre un elemento che ci porterà ad avere un costo di produzione dell'energia più alto di quello degli altri paesi europei. Per quanto l'ENI lavori bene non potrà mai comprare gas e petrolio a prezzi sensibilmente più bassi di quelli del mercato. Perché mai qualcuno dovrebbe farle dei grossi regali? Gli Stati Uniti hanno dei costi dell'energia incredibilmente bassi perché hanno deciso di accettare i rischi del fracking e producono gas e petrolio in grandi quantità e a prezzi irrisori (dal nostro punto di vista). Queste differenze rimarranno sempre. Non possiamo cancellarle. Abbiamo fatto una certa scelta, era anche probabilmente giusta; ma adesso dobbiamo accettarne le conseguenze e vivere nella situazione nella quale ci siamo messi. Trovo addirittura illusorio e pericoloso dare l'impressione che ci siano altre strade.

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Per quanto riguarda i tassi di interesse in Europa, il problema non è la paura dell'inflazione. Il problema è l'inflazione che già c'è (anche se è bassa). Il buon Peer Steinbrück (ti rendi conto che ci troviamo a dover sperare che la SPD non vinca le elezioni perché Steinbrück sarebbe sulle questioni economiche europee peggio della Merkel !) ha lanciato come tema per la campagna elttorale l'espropriazione dei risparmi dei cittadini tedeschi da parte della BCE ! La BCE ha oggi un tasso di sconto che è circa un terzo dell'inflazione che c'è in Germania. Questo significa che le banche tedesche offrono sui libretti e depositi al risparmio un tasso di interesse che è già oggi leggermente più basso del tasso di inflazione e questo lo spinge a parlare di "esproprio" dei piccoli risparmiatori che non riescono nemmeno a mantenere il valore reale dei loro risparmi. Il tema è molto importante per milioni di persone anziane. In ogni caso, il tasso di sconto della BCE è oggi allo 0.5 percento. E' probabile che scenda allo 0.25 per cento nelleprossime settimane. Ma che altro puo' fare la BCE? Quello che tiene su l'euro non è lo 0.5 o 0.25 offerto dallla BCE e che si ritrova sul mercato interbancario. Quello che tiene su l'euro è il 4.3 percento che il governo italiano paga sui suoi titoli a dieci anni. Giuseppe Ardizzone ha detto: Fabio per quanto riguarda l'aspetto energia non posso che lodare ENI ecc per tutti gli accordi e le opportunità di ottenere energia al minor prezzo possibile in questi anni. Non basta e giustamente vi sono delle questioni irrisolte che tu sottolinei. Quello ch epnso è che tuttavia siamo circondati da paesi produttori di petrolio e gas con cui possiamo fare migliori affari per il progresso comune. Loro ahanno bisogno di lavorare a prezzi contenuti noi abbiamo bisogno di energia a bassi prezzi. Senza delocalizzare il cuore delle produzioni a maggiore valore aggiunto ma seguendo l'esempio di altri come Cina ( sta diventando un partner importante per i paesi africani) e Germania ( ha aperto molti stabilimenti di ellettrodomestici in Turchia).Poi c'è l'aspetto del, CUP su cui siamo d'accordo , credo, ma su cui non vedo provvedimenti incisivi. Rimane per ultimo il nostro cambio comunque elevato rispetto al dollaro che contribuisce ad avvantaggiare il prezzo finale dele loro merci sui mercati internazionali. E' vero quello che dici sulle dinamiche che influiscono sui cambi ma forse se si avesse meno paura dell'inflazione a livello di Germania e altri paesi forti ( fra l'altro difficile da realizzarsi a breve) si potrebbe fare di più. Sicuramente in Italia bisognerà capire se la struttura del nostro settore manifatturiero risponda a dei criteri di leadership nel mondo e quindi alla realizzazione di un elevato valore aggiunto. Mi sembra invece che rischiamo di avere come concorrenti di prodotto i cinesi e i più agguerriti paesi emergenti.In qualche modo questo è inevitabile ma dobbiamo comunque puntare verso i settori trainanti . Fabio Colasanti ha detto: Giuseppe, gli americani hanno deciso di produrre energia in maniera economica. Noi - europei e italiani in particolare - abbiamo deciso di produrre energia in maniera molto cara. Anche se lo stato desse sovvenzioni (proibite) alle imprese che consumano energia, questo non ridurrebbe l'alto costo della produzione di energia in Europa e in Italia. Questo sposterebbe solo il costo dalle tasche delle imprese a quelle dei contribuenti. Il tasso di cambio del dollaro è poco influenzato dal prezzo dell'energia. Al momento vediamo il dollaro, l'euro e lo yen risalire rispetto alle monete di tutti i paesi emergenti. Non si puo' avere la botte piena e la moglie ubriaca. Le immissioni di liquidità della grandi banche centrali sono in gran parte andate fuori deiloro paesi e nei mercati emergenti e hanno provocato l'apprezzamento delle monete di questi ultimi. Il ministro dell'economia brasiliano, Mantega, ha criticato tante volte la politica "irresponsabile" della Fed. Oggi la Fed sta riducendo i suoi interventi e questo provoca un movimento opposto. I capitali speculativi lasciano i mercati emergenti e le loro monete si stanno deprezzando fortemente. L'euro rimane forte non per la politica della BCE, ma per il fatto che Italia, Spagna e tanti altri paesi hanno bisogno di finanziare i loro debiti pubblici, devono attrarre capitali dall'estero e devono quindi offrire rendimenti più alti. Se investitori giapponesi comprano titoli di stato italiani (come stanno facendo), questo fa salire il valore dell'euro rispetto allo yen.

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Risposto da mariella alois su 23 Agosto 2013 a 8:36 Qualche tempo fa ho sentito un autorevole rappresentante di Confindustria -che interveniva in un dibattito-attribuire l'aumento dei costi dei prodotti energetici in Europa (+4% rispetto agli USA,),alle politiche adottate in materia di riduzione delle emissioni di CO2 e relativo sistema di quote introdotto.Gli USA sono stati appunto premiati per essersi tenuti fuori da questa politica di riduzione emissioni di CO2. Questa frase mi rimugina in testa,ma non riesco a vedere il nesso tra i due problemi (costo energetico/ CO2),né ho elementi per valutarlo.Puo' essere plausibile una tesi del genere?

Risposto da giorgio varaldo su 23 Agosto 2013 a 10:58 mariella per spiegare i dati enunciati dall'esponente di confindustria è sufficiente considerare il costo per l'acquisto di quote verdi . se poi ci aggiungiamo la tendenza a non voler sfruttare le possibili fonti di energia che si trovano nel nostro paese (vedi caso noto ) la situazione non è che per il nostro paese si presenti rosea. a proposito di energia e di problemi collegati mi diceva mio fratello che il giudice guariniello è stato visto dalle parti di vado ligure assieme a personaggi della galassia no centrale a carbone.. chissà quali disastri sta preparando? stai a vedere che tirerà fuori una altra perla tipo "uso eccessivo di sostanze lecite"? visto che le elezioni sono in arrivo non ci sarebbe da stupirsi!!

Risposto da mariella alois su 23 Agosto 2013 a 22:41 Grazie Giorgio e tienici informati sugli spostamenti del giudice guariniello..... giorgio varaldo ha detto: mariella per spiegare i dati enunciati dall'esponente di confindustria è sufficiente considerare il costo per l'acquisto di quote verdi . se poi ci aggiungiamo la tendenza a non voler sfruttare le possibili fonti di energia che si trovano nel nostro paese (vedi caso noto ) la situazione non è che per il nostro paese si presenti rosea. a proposito di energia e di problemi collegati mi diceva mio fratello che il giudice guariniello è stato visto dalle parti di vado ligure assieme a personaggi della galassia no centrale a carbone.. chissà quali disastri sta preparando? stai a vedere che tirerà fuori una altra perla tipo "uso eccessivo di sostanze lecite"? visto che le elezioni sono in arrivo non ci sarebbe da stupirsi!!

Risposto da Fabio Colasanti su 24 Agosto 2013 a 14:17 Dietro gli investimenti americani nel settore energetico non c'è nessuna scelta "strategica" per diventare più competitivi in questa maniera piuttosto che in altre. C'è solo una possibilià tecnica che è apparsa negli ultimi anni e che non esisteva venti anni fa. Gli europei hanno detto "no, grazie", mentre gli americani hanno deciso di approfittarne. Gli europei, forse per buone ragioni, hanno rifiutato la possibilità di diventare più competitivi. Gli americani invece hanno deciso di diventarlo. Ma senza gli sviluppi tecnici, ne gli uni, ne gli altri sarebbero stati confrontati a questa scelta. Non si è trattato quindi di una scelta "strategica", ma semplicemente di una diversa reazione ad una possibilità che è praticamente piovuta dal cielo (più correttamente, è stata offerta dagli sviluppi della scienza e della tecnologia).

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Giorgio Mauri ha detto: L'imponente investimento degli USA, in questi ultimi cinque anni, nel settore energetico, teso ad abbattere i suoi costi, ha lo scopo di rendere più competitivo il paese senza "pretendere" (come i vari Marchionne in giro per il mondo") di ridurre in schiavitù i lavoratori. Perché questa scelta ? Perché se riduci in schiavitù la popolazione a chi vendi i beni che vengono prodotti ? Perché l'europa sta ferma ? Perché ha una classe dirigente disgraziata, rigida, e moltissimi funzionari che non capiscono niente. Era del tutto evidente che occorreva una contromisura alla politica americana, solo dei cialtroni che credono di essere dei padre eterni potevano non accorgersene. E, in questo senso, Berlusconi sarebbe uno di quelli in grado di "capire", peccato abbia mani e piedi legati con la feccia italiana ! D'Alema Violante e Veltroni compresi. Giuseppe Ardizzone ha detto: Da stare molto attenti. Stiamo comunque regalando un cambio troppo debole al dollaro rispetto all’euro. Le misure per l’energia in corso d’esame da parte del Governo devono essere molto incisive e così pure è necessario far partire subito delle politiche che abbassino il nostro CUP. Dobbiamo capire come facilitare gli investimenti del settore privato verso quei settori a più alto valore aggiunto all’interno dell’economia mondiale. Dare informazione, facilitazioni nelle procedure e nell’acceso al credito è senz’altro utile.

Risposto da Fabio Colasanti su 28 Agosto 2013 a 16:10 Giorgio, ti ho già risposto una volta su questo punto. L'Europa non è retta da "insipienti saputelli esperti di finanza" (meno male che al mondo ci sei almeno tu !). L'Europa è retta da persone che, per quanto riguarda la produzione di energia, hanno deciso : a) di ridurre il ricorso al nucleare; b) di investire sulle energie alternative (scaricandone il costo sulle bollette dell'energia); c) di non utilizzare le possibilità offerte dal gas e dal petrolio presente nelle sabbie e nelle rocce, visto che non vogliono utilizzare la tecnica del "fracking"; d) di investire in gasdotti dai paesi limitrofi e di investire nel trasporto di gas liquefatto. L'Europa ha investito per l'energia tanto quanto gli Stati Uniti se non di più. L'Europa ha però ha fatto scelte energetiche a favore dell'ambiente, ma che evidentemente la penalizzano fortemente in termini di competitività. Tu puoi dire che si trattta di scelte da "insipienti saputelli" quanto vuoi, ma dubito che troverai molte persone nel circolo che siano d'accordo con te. Giorgio Mauri ha detto: ( ... ) Tra parentesi riporto una riflessione sulle "regole" che l'europa si è data. Gli USA hanno investito pesantemente, in questi ultimi cinque anni, sull'energia. Il risultato è di poter offrire alle proprie aziende maggiore competitività per la riduzione dei costi di produzione. Finché l'europa sarà retta da insipienti saputelli esperti di finanza (cioè del nulla) non vedo futuro. ( ... )

Risposto da Fabio Colasanti su 28 Agosto 2013 a 17:28 Giorgio, quindi tu avresti fatto anche in Europa una scelta a favore di forme di energia con un costo di produzione più basso e che avrebbero aiutato le imprese ad essere più competitive: nucleare, "fracking" e avresti lasciato lo sviluppo delle energie rinnovabili alle forze di mercato. Mi sembra essere la conclusione logica di quanto scrivi.

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Giorgio Mauri ha detto: Fabio, mi riferisco a creare le condizioni per creare maggiore competitività nelle imprese. Tutto quelli che narri non raggiunge questo scopo, e siccome è "ben fatto", continuo a ritenere chi comanda un saputello, cioè uno che sa come agire nelle sale del comando ma che non capisce niente di economia reale. I conti si fanno in un solo modo (economia reale), e non con "i voti", perché qui non siamo a scuola con le pagelle ! Anche Monti non lo ha capito per niente questo concetto. E sono molti di più quelli che sono d'accordo con me di quelli che sono d'accordo con te :) Fabio Colasanti ha detto: Giorgio, ti ho già risposto una volta su questo punto. L'Europa non è retta da "insipienti saputelli esperti di finanza" (meno male che al mondo ci sei almeno tu !). L'Europa è retta da persone che, per quanto riguarda la produzione di energia, hanno deciso : a) di ridurre il ricorso al nucleare; b) di investire sulle energie alternative (scaricandone il costo sulle bollette dell'energia); c) di non utilizzare le possibilità offerte dal gas e dal petrolio presente nelle sabbie e nelle rocce, visto che non vogliono utilizzare la tecnica del "fracking"; d) di investire in gasdotti dai paesi limitrofi e di investire nel trasporto di gas liquefatto. L'Europa ha investito per l'energia tanto quanto gli Stati Uniti se non di più. L'Europa ha però ha fatto scelte energetiche a favore dell'ambiente, ma che evidentemente la penalizzano fortemente in termini di competitività. Tu puoi dire che si trattta di scelte da "insipienti saputelli" quanto vuoi, ma dubito che troverai molte persone nel circolo che siano d'accordo con te. Giorgio Mauri ha detto: ( ... ) Tra parentesi riporto una riflessione sulle "regole" che l'europa si è data. Gli USA hanno investito pesantemente, in questi ultimi cinque anni, sull'energia. Il risultato è di poter offrire alle proprie aziende maggiore competitività per la riduzione dei costi di produzione. Finché l'europa sarà retta da insipienti saputelli esperti di finanza (cioè del nulla) non vedo futuro. ( ... )

Risposto da Fabio Colasanti su 4 Settembre 2013 a 9:29 OECD forecast underlines weak eurozone recovery Here is the summary of the latest OECD forecast for 2013, showing fairly robust growth for China, a moderate recovery in the US, and a weak recovery in the eurozone, with the UK now growing stronger. Note that France has resumed growth.

OECD 2013 forecast growth in %

China 7.4

US 1.7

Japan 1.6

Germany 0.7

France 0.3

Italy -1.8

UK 1.5

Italy has the worst performance among the large economies by far. Corriere della Sera is quoting OECD chief economist Pier Carlo Paduan as saying that the recovery is happening, but would not be translating into jobs growth without further labour market reforms. The OECD said that the scenario of a gradual recovery was subject to large risks stemming from the debt crisis and other global shocks.

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Risposto da Fabio Colasanti su 7 Settembre 2013 a 19:35 Il governo laburista australiano di Kevin Rudd è stato battuto alle elezioni politiche. C'è stata una forte maggioranza per i conservatori guidati da Tony Abbott. Si prevede che i conservatori abbiano 88 seggi contro i 57 del partito laburista. È un peccato. Il governo laburista aveva lavorato bene. L'Australia è tra i paesi OCSE uno di quelli con i migliori risultati economici; quasi non ha avvertito la crisi. I laburisti pagano però le loro divisioni interne che li hanno portati nel corso dei sei anni che sono stati al potere a cambiare il primo ministro - sempre per decisione interna al partito - per ben due volte. Ci troviamo quindi di fronte ad un esempio di una sinistra che viene battuta alle elezioni essenzialmente perché si presenta con forti divisioni interne. Suona familiare?

Risposto da Fabio Colasanti su 11 Settembre 2013 a 8:51 Ieri, non appena è apparso che forse il bombardamento della Siria forse non ci sarà le borse di tutte il mondo sono salite fortemente. Questo prova che il mondo finanziario/economico non pensa che un bombardamento sia positivo per l'economia mondiale e che non vuole un intervento del genere.

Risposto da Fabio Colasanti su 16 Settembre 2013 a 13:53 Laura, grazie per questo articolo. Si tratta di sviluppi positivi. laura sgaravatto ha detto: Nel giro di pochi giorni si è letteralmente ribaltata la situazione sul fronte ‘successione Fed’. Larry Summers, uno dei candidati più accreditati per la successione a Ben Bernanke quale governatore della Federal Reserve, ha infatti deciso di farsi da parte. Nel fine settimana l’ex segretario al Tesoro americano, che è stato anche consigliere di Obama alla Casa Bianca, ha ritirato la sua candidatura dalla corsa alla presidenza della Fed consapevole del fatto ( ... )

Risposto da Fabio Colasanti su 19 Settembre 2013 a 10:58 La Securities and Exchange Commission americana - l'organo che controlla la borsa - ha deciso che tutte le società quotate in borsa dovranno pubblicare dati sul rapporto tra le remunerazioni dei dirigenti e quelle dei normali impiegati. Non è ancora il dare maggior potere agli azionisti, come deciso in Svizzera con l'iniziativa Minder, ma è un piccolo passo. Da noi non si vede nulla.

Risposto da Fabio Colasanti su 19 Settembre 2013 a 14:36 Gli elementi oggettivi che abbiamo citato mille volte hanno un'influenza su tutti gli stati, anche stati con una lunga tradizione sociale come l'Olanda e governi ai quali partecipano i laburisti. Per quale miracolo noi potremmo essere l'unico paese a poterli ignorare?

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Giuseppe Picciolo ha detto: Il re dell'Olanda dice addio allo stato sociale. http://www.gadlerner.it/2013/09/18/il-re-dolanda-da-laddio-allo-sta...

Risposto da Fabio Colasanti su 20 Settembre 2013 a 12:23 Banda larga: connessioni più veloci aumentano il reddito familiare di 88 euro al mese Il raddoppio della velocità di connessione da 4MBps a 8Mbps porterebbe un incremento del reddito mensile di 120 dollari (88 euro) nei Paesi OCSE. In Italia, la velocità media effettiva delle connessioni a oggi e si attesta intorno ai 5,1 Mbps. Internet - Una connessione a banda larga più veloce non serve solo a scaricare un film più in fretta, ma ha anche un impatto significativo sul reddito domestico. Uno studiocondotto da Ericsson dimostra infatti che il raddoppio della velocità di connessione da 4MBps a 8Mbps porta a un incremento del reddito mensile di 120 dollari (88 euro) nei Paesi OCSE. Nei paesi BIC (Brasile, India e Cina), portare la velocità di connessione da 0.5 Mbps a 4 Mbps porterebbe alle famiglie maggiori introiti per 46 dollari. Ericsson, certo, ha il suo interesse (essendo fornitore di infrastrutture per la banda larga) a sostenere questa tesi, ma è da dire che nel corso degli anni ha condotto diversi studi, sempre in collaborazione con Arthur D. Little e la Chalmers University of Technologydi Gothenburg che mostrano gli effetti positivi di un incremento della capacità delle connessioni internet sulla produttività delle aziende e in comparti come l’istruzione e la sanità e, di conseguenza, i benefici di connessioni a banda larga più veloci sul PIL di un Paese e sull’economia in generale: un rapporto, condotto nel 2012 in 33 paesi OCSE, Italia compresa, quantificava l’impatto isolato della velocità della banda larga, mostrando che raddoppiandola un’economia può ottenere un incremento del prodotto interno lordo dello 0,3%. Percentuale che in soldoni equivale a circa 126 miliardi di dollari o un settimo del tasso di crescita medio annuo OCSE negli ultimi 10 anni. Questo nuovo report – realizzato sempre insieme a Arthur D. Little e alla Chalmers University of Technology di Gothenburg - mostra invece l’impatto di una connessione broadband più veloce per l’economia ‘domestica’. Addirittura, nei Paesi Ocse, le famiglie che passano da zero connessione a una connessione da 4 Mbps, guadagnano circa 322 dollari (238 euro) al mese. Con una buona connessione a banda larga, ad esempio, si può accedere ai servizi di eLerning delle più prestigiose università senza muoversi da casa, si possono fare scelte di acquisto più ponderate informandosi sui prezzi e sulle alternative proposte dal mercato. Per i professionisti, “una buona connessione a internet può invece trasformarsi in una carta vincente per crescere nel lavoro e avere una carriera di maggiore successo”, ha sottolineato Sebastian Tolstoy, vicepresidente di Ericsson. Eppure, sottolinea ancora Martin Glaumann di ADL, “In molti paesi, anche in Europa, gli sviluppi regolamentari impediscono di raggiungere il pieno potenziale di crescita della banda larga. I regolatori dei paesi BIC – ha aggiunto – devono considerare la banda larga come un imperativo nazionale”. Soprattutto in questi paesi, infatti, “La banda larga dà alle famiglie il mezzo per migliorare le competenze e la produttività attraverso i servizi di eLearning, ma anche per avere accesso a nuovi spazi di consumo”, ha concluso Glaumann. Alessandra Talarico 19 Settembre 2013 - Key4biz

Risposto da Fabio Colasanti su 1 Ottobre 2013 a 9:13

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Faccio friggere Giorgio ancora di più. Google ha cominciato a fare anche il fornitore di internet costruendo la propria rete in fibra. Questa è già in funzione a Kansas City e gli utenti possono collegarsi a velocità che si avvicinano al gigabit (1000 megabit) al secondo. Come l'articolo che posto indica, ancora non abbiamo applicazioni di uso corrente che sfruttino queste velocità. Ma dove pensate qualcuno si metterà a cercare, a inventare nuove applicazioni che sfruttino capacità di trasmissione così alte? A Kansas City o nella Carnia? http://www.kansascity.com/2013/09/30/4517931/making-google-fiber-go...

Risposto da giorgio varaldo su 1 Ottobre 2013 a 14:08 grazie della notizia magari prima o poi qualche amministratore italico si prenderà vergogna... sulle potenzialità oggi apparentemente ridondanti ricordo quando nel lontano 1982 il laboratorio di ricerca si dotò di un modernissimo PC dotato di una rivoluzionaria memoria non più su floppy bensì su disco fisso dalla enorme capacità di ben 10 Mb .. Fabio Colasanti ha detto: Faccio friggere Giorgio ancora di più. Google ha cominciato a fare anche il fornitore di internet costruendo la propria rete in fibra. Questa è già in funzione a Kansas City e gli utenti possono collegarsi a velocità che si avvicinano al gigabit (1000 megabit) al secondo. Come l'articolo che posto indica, ancora non abbiamo applicazioni di uso corrente che sfruttino queste velocità. Ma dove pensate qualcuno si metterà a cercare, a inventare nuove applicazioni che sfruttino capacità di trasmissione così alte? A Kansas City o nella Carnia? http://www.kansascity.com/2013/09/30/4517931/making-google-fiber-go...

Risposto da Fabio Colasanti su 2 Ottobre 2013 a 16:48 Laura, la lenta deriva islamica di Erdogan continua.

Risposto da Fabio Colasanti su 6 Ottobre 2013 a 10:11 Qualche giorno fa, rispondendo a Sandra, avevo ricordato come i cinesi siano diventati in qualche anno il gruppo nazionale che più spende in viaggi all'estero. Questa esplosione del turismo cinese sta preoccupando le autorità cinesi che pensano che i cinesi all'estero appaiano come "maleducati". Per questo motivo hanno pubblicato una guida con alcuni consligli di buon comportamento. Un'idea per il nostro governo? Una guida anche per i turisti italiani che vanno all'estero? http://www.corriere.it/esteri/13_ottobre_06/guida-cinesi-maleducati...

Risposto da Fabio Colasanti su 16 Ottobre 2013 a 17:40 Gli americani hanno rinviato di qualche settimana o mese lo psicodramma del finanziamento del governo e del limite legale all'indebitamento. Si tratta di due regole/procedure per noi incomprensibili. Giustamente Barroso ha detto che se l'Unione europea fosse stata bloccata da norme del genere sarebbe stata sommersa da un mare di ridicolo.

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Ma nessun partito, ne i repubblicani, ne i democratici - quando hanno avuto il controllo dei due rami del parlamento USA - hanno mai voluto rle. La grande maggioranza degli elettori, di sinistra o di destra, pensa che queste procedure siano utili per spingere i politici a limitare l'aumento della spesa e delle tasse. Si tratta di un'idea ingenua e sbagliata, ma diffusissima. Ci si trova esattamente nella situazione della Germania. La maggioranza della popolazione tedesca pensa che un governo che faccia debiti faccia una cosa sbagliata e non c'è nessun partito che abbia il coraggio di prendere posizione apertamente contro questa posizione. I socialdemocratici e i verdi hanno spesso accusato la Merkel di aver aumentato troppo il debito pubblico !

Risposto da Giampaolo Carboniero su 17 Ottobre 2013 a 15:03 Una cosa che si sa da anni, ma solo ultimamente riconosciuta, manca però un'informazione adeguata, forse che ci preoccupiamo dei bilanci di ENEL e ENI? http://qualenergia.it/articoli/20131016-la-iea-e%20efficienza-energ...

Risposto da Fabio Colasanti su 17 Ottobre 2013 a 21:55 Giampaolo, l'Agenzia Internazionale per l'Energia ha fatto bene a sottolineare questo punto. I grafici sono impressionanti. Ma non è una novità. Da tantissimi tutti i paesi - perfino il nostro - danno mille incentivi per chi applica misure che conducano ad un risparmio di energia. Credo siano state perfino rafforzate nella recente legge di stabilità. Giampaolo Carboniero ha detto: Una cosa che si sa da anni, ma solo ultimamente riconosciuta, manca però un'informazione adeguata, forse che ci preoccupiamo dei bilanci di ENEL e ENI? http://qualenergia.it/articoli/20131016-la-iea-e%20efficienza-energ...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 18 Ottobre 2013 a 1:14 Parlavo soprattutto di informazione, al limite di politica energetica.

Risposto da giorgio varaldo su 18 Ottobre 2013 a 10:04 se il nostro fosse un paese caratterizzato da un pochino di razionalità si avrebbero ricadute positive in tutti i campi energetico compreso. chiediamoci quale sia l'impatto sulla pubblica opinione italica di notizie come quelle riportate da giampaolo. il primo approccio è del tipo se abbiamo uno spreco dell'80% significa che con il risparmio energetico 4 siti produttori di energia potrebbero esser chiusi . pertanto in una situazione che ci ha portato ad avere un costo dell'energia molto più alto di altri paesi nostri competitori i rischi riguardanti la capacità produttiva energetica del nostro paese sono seri. non si tratta di esser contro o a favore di un tipo di energia si tratta di avere una politica bilanciata ed efficiente. e quale è il che ha recepito l'opinione pubblica? abbiamo le energie rinnovabili pertanto non serve produrre energia con altri mezzi quindi stop al nucleare e stop al carbone.. ma se continua questa disinformazione strisciante quale saranno gli scenari futuri?

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già oggi con le centrali termiche a regime discontinuo abbiamo serie problematiche di costi ma almeno abbiamo energia disponibile anche quando è nuvolo e non tira vento se nell'immaginario collettivo passa il concetto che con il risparmio energetico si può evitare di costruire nuove centrali termiche o addirittura si possono chiudere quelle attualmente in esercizio quale futuro ci aspetta?

Risposto da Giampaolo Carboniero su 18 Ottobre 2013 a 23:21 Utilizzi le stesse argomentazioni di Chicco Testa di Assolelettrica, conosco già questa musica, grazie.

Risposto da giorgio varaldo su 18 Ottobre 2013 a 23:44 mai preteso esser l'unico ad usare un approccio razionale ai problemi energia compresa. Giampaolo Carboniero ha detto: Utilizzi le stesse argomentazioni di Chicco Testa di Assolelettrica, conosco già questa musica, grazie.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 19 Ottobre 2013 a 0:53 Ed allora perchè hai detto che quanto scritto dal giornalista di qualenergia rispondeva ad un suo punto di vista? La relazione originale era allegata,bastava leggerla, non è che il problema dipenda dalla tua idiosincrasia per la testata, visto che è di Legambiente e tu, si sa, quando c'è di mezzo certa gente, vedi rosso? giorgio varaldo ha detto: mai preteso esser l'unico ad usare un approccio razionale ai problemi energia compresa. Giampaolo Carboniero ha detto: Utilizzi le stesse argomentazioni di Chicco Testa di Assolelettrica, conosco già questa musica, grazie.

Risposto da giorgio varaldo su 19 Ottobre 2013 a 1:22 per te merita rispetto solo chi la pensa come te. per me merita rispetto chi ragiona a prescindere se sia o meno in accordo con le mie idee. il giornalista di qualenergia ha interpretato arbitrariamente ed a modo suo la relazione quindi per quanto mi riguarda è un cialtrone esattamente come quella del gasolio. Giampaolo Carboniero ha detto: Ed allora perchè hai detto che quanto scritto dal giornalista di qualenergia rispondeva ad un suo punto di vista? La relazione originale era allegata,bastava leggerla, non è che il problema dipenda dalla tua idiosincrasia per la testata, visto che è di Legambiente e tu, si sa, quando c'è di mezzo certa gente, vedi rosso? giorgio varaldo ha detto: mai preteso esser l'unico ad usare un approccio razionale ai problemi energia compresa. Giampaolo Carboniero ha detto: Utilizzi le stesse argomentazioni di Chicco Testa di Assolelettrica, conosco già questa musica, grazie.

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Risposto da Giampaolo Carboniero su 22 Ottobre 2013 a 18:09 http://www.treehugger.com/energy-policy/giving-renewables-fighting-...

Risposto da giorgio varaldo su 22 Ottobre 2013 a 19:02 giuseppe le leggi della termodinamica non si interpretano o si conoscono o si ignorano non ci sono vie di mezzo. se le conosci capisci che l'interpretazione del giornalista è stata arbitraria. Giuseppe Picciolo ha detto: Il guaio è che a giudicare se uno ragiona o meno vuoi essere sempre tu. Cosa vuol dire "interpretare arbitrariamente"? Chi decide qual è l'arbitrio? Tu ovviamente. giorgio varaldo ha detto: per te merita rispetto solo chi la pensa come te. per me merita rispetto chi ragiona a prescindere se sia o meno in accordo con le mie idee. il giornalista di qualenergia ha interpretato arbitrariamente ed a modo suo la relazione quindi per quanto mi riguarda è un cialtrone esattamente come quella del gasolio. Giampaolo Carboniero ha detto: Ed allora perchè hai detto che quanto scritto dal giornalista di qualenergia rispondeva ad un suo punto di vista? La relazione originale era allegata,bastava leggerla, non è che il problema dipenda dalla tua idiosincrasia per la testata, visto che è di Legambiente e tu, si sa, quando c'è di mezzo certa gente, vedi rosso? giorgio varaldo ha detto: mai preteso esser l'unico ad usare un approccio razionale ai problemi energia compresa. Giampaolo Carboniero ha detto: Utilizzi le stesse argomentazioni di Chicco Testa di Assolelettrica, conosco già questa musica, grazie.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 20 Novembre 2013 a 19:31 Alcune riflessioni sulla politica cinese alla luce del comunicato conclusivo del terzo plenum del Comitato Centrale del partito comunista cinese http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-nuovo-corso-cinese-e-... http://www.romanoprodi.it/strillo/perche-tutto-cambi-nellimmensa-so...

Risposto da Fabio Colasanti su 24 dicembre 2013 a 9:52 Una serie di domande per Giovanni e per tutti gli altri membri del circolo. Che pensare della situazione nell'Africa al sud de Sahara? Sono molto triste perché proprio adesso che le cifre mostravano che anche i paesi africani erano stati toccati dalla globalizzazione e avevano cominciato ad aver forti tassi di crescita, il continente sembra ricadere nei suoi problemi etnici e religiosi.

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Nel Sudan una disputa politica che è stata alimentata da problemi etnici sta conducendo a massacri in un paese che si è formato pochi anni fa (uno dei pochi che non è un'eredità del congresso di Berlino del 1878). Nella Repubblica Centrafricana, nel Mali e nel nord della Nigeria stiamo assistendo a massacri tra mussulmani e cristiani. La Somalia continua ad essere in mano a bande armate e a gruppi terroristici che colpiscono anche in Kenya. L'Eritrea è un'altro paese in dissoluzione dal quale la gente scappa in massa (e cerca di venire in Italia). E problemi, per fortuna meno gravi, continuano ad essere presenti in tanti altri paesi. Che si può fare? La Francia interviene con le sue truppe per cercare di separare i contendenti, ma deve fare i conti con l'incapacità delle truppe locali (ieri mentre i francesi avevano la situazione più o meno sotto controllo una pattuglia dell'esercito del Mali ha aperto il fuoco sulla folla di manifestanti per ragioni incomprensibili). La Francia chiede che l'Unione europea almeno la aiuti finanziariamente. Cosa dovrebbe fare l'Unione europea? Come progressisti che sostengono il PD, che posizione possiamo prendere?

Risposto da giovanni de sio cesari su 26 dicembre 2013 a 9:03 Fabio, Io non sono certo un esperto ma qualche idea me la sono fatta sulla instabilità politica e le guerre endemiche che impediscono una ripresa economica dell’ africa sub sahariana, come invece avviene, per esempio, in Mozambico (che pero pure esso pare in crisi). Schematizzo al massimo: L’islam della regione è tollerante e risente anche di tradizioni di origine locali. Molto presente è anche il sufismo (movimento mistico, famosi i dervisci rotanti ) considerato eretico. Una esperienza personale: parecchi anni mi capitò di fare da interprete (dal francese) con un senegalese in un ospedale e ne divenni amico. Fui colpito dal fatto che per lui la differenza religiosa era solo un dettaglio di poca importanza: egli diceva che mi avrebbe restituito tutto quello che facevo per lui e se mai non avrebbe potuto, lo avrebbe fatto dio (Dieu diceva, mai Allah). Su questo mondo piombano i gruppi di ispirazione wahabita. Piccola digressione storica filosofica : nel 700 in Arabia Ibn Abd al-Wahab fondò un movimento (wahabiti) radicale che affermava che bisogna applicare alla lettera la via (sharia’ah in arabo, analogo a Haalacha ebraica) indicata da dio che la dettò direttamente, esprimendosi in arabo, a Muhammed che semplicemente la “recitò” ( in arabo quran, corano). Si caratterizzava per due elementi: il rifiuto di ogni tradizione: le regole sono date da dio e valgono sempre e dovunque dai campus americani ai deserti africani; e contro ogni nazionalismo : l’unica comunità riconosciuta è la Ummah (comunita dei fedeli) quindi una specie di internazionale che ricorda quella comunista dei primi anni. Il movimento, estremamente violento, dovette essere represso nel sangue da Turchi e da Mehemet ali, kedivé (vicere) d’Egitto. Cento anni dopo, con la I guerra mondiale le tribù arabe (confederazione Anaza) nemiche dei turchi, che ancora seguivano il wahabismo, ottennero il regno con Saud (arabia saudita). Infatti applicano un islam radicale come in nessun altro paese. e soprattutto forniscono di mezzi finanziari tutti i movimenti di ispirazione wahabiti (anche in Libia e Siria) che noi genericamente e impropriamente diciamo di al qaeda; ma questa può essere considerata una scheggia impazzita del wahabismo che attaccò gli americani (11 settembre e non solo). Nell’africa sub sahariana piccoli gruppi di ispirazione wahabita, avendo dai sauditi mezzi finanziari enormi (rispetto alla povertà locale) vengono in contrasto con il tollerante e sincretico islam locale creando instabilità in un mondo gai instabile per i contrasti etnici e l’assenza di coscienze nazionali. Come si è visto (ne abbiamo pure parlato ) nel caso della presa di Timbuctu, appena i francesi cacciarono i wahabiti questi furono abbandonati anche dai berberi in rivolta al nord. Anche in Somalia gli shabah non sono affatto popolari (come lo sono invece in Afganistan). Il Senegal invece fino ad ora è immune da questi contrasti e infatti è stabile e fa anche progressi economici .

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Purtroppo il colpo di stato in Egitto ha distrutto la possibilità che islamici ferventi possano dare un corso democratico, sia pure molto imperfetto seguendo l’esempio della Turchia di Erdogan. Si noti che i Fratelli Mussulmani non sono wahabiti e infatti non furono appoggiati dai sauditi. Si noti però che il dramma del Sudan e del Sud Sudan non deriva da contrasti religiosi, ma etnici. E’ vero che per 20 anni c’è stata una guerra fra mussulmani del nord e cattolici del sud, ma in realtà era un contrasto etnico fra gli arabi (precisamente: nubiani arabizzati) e le tribù nere del sud: nel Darfur il contrasto era fra nomadi e agricoltori tutti di fede mussulmana di carattere sub sahariano. In questi giorni è esplosa la guerra interna al Sud Sudan fra i Dinka che fanno capo a Kiir, e i Nuer che appoggiano Machar , Cosa può fare l’Europa ? A mio modesto parere sarebbe facilissimo re i gruppi wahabiti (come è avvenuto a Timbuctu) : però la nostra filosofia (mentalitè) non ce lo permetterebbe. Immaginate le reazioni della opinioni pubbliche, soprattutto di sinistra. Più difficile fermare i contrasti etnici, ma sarebbe ugualmente possibile. Ma noi abbiamo abbandonato la mentalità colonialista di intervento: quindi non possiamo nulla o quasi a meno che non siamo noi stessi attaccati come è avvenuto il 9/11. Allora in pochi giorni talebani e al qaeda fuggirono in tutte le direzioni: poi ci siamo intestarditi a creare una democrazia in quel paese : una vera follia. A parte tutto e nessun talebano (che poi non esistono) sarebbe venuto in mente di mettere una bomba in occidente. Scusate la lunghezza: volevo dire poche parole ma anche cosi temo di essere stato poco chiaro. Fabio Colasanti ha detto: Una serie di domande per Giovanni e per tutti gli altri membri del circolo. Che pensare della situazione nell'Africa al sud de Sahara? Sono molto triste perché proprio adesso che le cifre mostravano che anche i paesi africani erano stati toccati dalla globalizzazione e avevano cominciato ad aver forti tassi di crescita, il continente sembra ricadere nei suoi problemi etnici e religiosi. Nel Sudan una disputa politica che è stata alimentata da problemi etnici sta conducendo a massacri in un paese che si è formato pochi anni fa (uno dei pochi che non è un'eredità del congresso di Berlino del 1878). Nella Repubblica Centrafricana, nel Mali e nel nord della Nigeria stiamo assistendo a massacri tra mussulmani e cristiani. La Somalia continua ad essere in mano a bande armate e a gruppi terroristici che colpiscono anche in Kenya. L'Eritrea è un'altro paese in dissoluzione dal quale la gente scappa in massa (e cerca di venire in Italia). E problemi, per fortuna meno gravi, continuano ad essere presenti in tanti altri paesi. Che si può fare? La Francia interviene con le sue truppe per cercare di separare i contendenti, ma deve fare i conti con l'incapacità delle truppe locali (ieri mentre i francesi avevano la situazione più o meno sotto controllo una pattuglia dell'esercito del Mali ha aperto il fuoco sulla folla di manifestanti per ragioni incomprensibili). La Francia chiede che l'Unione europea almeno la aiuti finanziariamente. Cosa dovrebbe fare l'Unione europea? Come progressisti che sostengono il PD, che posizione possiamo prendere?

Risposto da Fabio Colasanti su 26 dicembre 2013 a 11:31 Giovanni, mille grazie per questo ottimo commento. Spieghi molto bene i dilemmi nei quali ci troviamo e i margini di azione molto ridotti che abbiamo. La Francia è stata però disposta a mettere truppe sul terreno nel Mali e nella Repubblica Centroafricana. I paesi europei hanno sostenuto politicamente questi interventi (ricordo che Prodi - che si trovava nel Mali nei giorni della crisi per il suo incarico ONU - sostenne esplicitamente l'intervento francese). Credo che l'Unione europea dovrebbe sostenere anche finanziariamente gli interventi francesi. giovanni de sio cesari ha detto: Fabio,

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Io non sono certo un esperto ma qualche idea me la sono fatta sulla instabilità politica e le guerre endemiche che impediscono una ripresa economica dell’ africa sub sahariana, come invece avviene, per esempio, in Mozambico (che pero pure esso pare in crisi). Schematizzo al massimo: L’islam della regione è tollerante e risente anche di tradizioni di origine locali. Molto presente è anche il sufismo (movimento mistico, famosi i dervisci rotanti ) considerato eretico. Una esperienza personale: parecchi anni mi capitò di fare da interprete (dal francese) con un senegalese in un ospedale e ne divenni amico. Fui colpito dal fatto che per lui la differenza religiosa era solo un dettaglio di poca importanza: egli diceva che mi avrebbe restituito tutto quello che facevo per lui e se mai non avrebbe potuto, lo avrebbe fatto dio (Dieu diceva, mai Allah). Su questo mondo piombano i gruppi di ispirazione wahabita. Piccola digressione storica filosofica : nel 700 in Arabia Ibn Abd al-Wahab fondò un movimento (wahabiti) radicale che affermava che bisogna applicare alla lettera la via (sharia’ah in arabo, analogo a Haalacha ebraica) indicata da dio che la dettò direttamente, esprimendosi in arabo, a Muhammed che semplicemente la “recitò” ( in arabo quran, corano). Si caratterizzava per due elementi: il rifiuto di ogni tradizione: le regole sono date da dio e valgono sempre e dovunque dai campus americani ai deserti africani; e contro ogni nazionalismo : l’unica comunità riconosciuta è la Ummah (comunita dei fedeli) quindi una specie di internazionale che ricorda quella comunista dei primi anni. Il movimento, estremamente violento, dovette essere represso nel sangue da Turchi e da Mehemet ali, kedivé (vicere) d’Egitto. Cento anni dopo, con la I guerra mondiale le tribù arabe (confederazione Anaza) nemiche dei turchi, che ancora seguivano il wahabismo, ottennero il regno con Saud (arabia saudita). Infatti applicano un islam radicale come in nessun altro paese. e soprattutto forniscono di mezzi finanziari tutti i movimenti di ispirazione wahabiti (anche in Libia e Siria) che noi genericamente e impropriamente diciamo di al qaeda; ma questa può essere considerata una scheggia impazzita del wahabismo che attaccò gli americani (11 settembre e non solo). Nell’africa sub sahariana piccoli gruppi di ispirazione wahabita, avendo dai sauditi mezzi finanziari enormi (rispetto alla povertà locale) vengono in contrasto con il tollerante e sincretico islam locale creando instabilità in un mondo gai instabile per i contrasti etnici e l’assenza di coscienze nazionali. Come si è visto (ne abbiamo pure parlato ) nel caso della presa di Timbuctu, appena i francesi cacciarono i wahabiti questi furono abbandonati anche dai berberi in rivolta al nord. Anche in Somalia gli shabah non sono affatto popolari (come lo sono invece in Afganistan). Il Senegal invece fino ad ora è immune da questi contrasti e infatti è stabile e fa anche progressi economici . Purtroppo il colpo di stato in Egitto ha distrutto la possibilità che islamici ferventi possano dare un corso democratico, sia pure molto imperfetto seguendo l’esempio della Turchia di Erdogan. Si noti che i Fratelli Mussulmani non sono wahabiti e infatti non furono appoggiati dai sauditi. Si noti però che il dramma del Sudan e del Sud Sudan non deriva da contrasti religiosi, ma etnici. E’ vero che per 20 anni c’è stata una guerra fra mussulmani del nord e cattolici del sud, ma in realtà era un contrasto etnico fra gli arabi (precisamente: nubiani arabizzati) e le tribù nere del sud: nel Darfur il contrasto era fra nomadi e agricoltori tutti di fede mussulmana di carattere sub sahariano. In questi giorni è esplosa la guerra interna al Sud Sudan fra i Dinka che fanno capo a Kiir, e i Nuer che appoggiano Machar , Cosa può fare l’Europa ? A mio modesto parere sarebbe facilissimo re i gruppi wahabiti (come è avvenuto a Timbuctu) : però la nostra filosofia (mentalitè) non ce lo permetterebbe. Immaginate le reazioni della opinioni pubbliche, soprattutto di sinistra. Più difficile fermare i contrasti etnici, ma sarebbe ugualmente possibile. Ma noi abbiamo abbandonato la mentalità colonialista di intervento: quindi non possiamo nulla o quasi a meno che non siamo noi stessi attaccati come è avvenuto il 9/11. Allora in pochi giorni talebani e al qaeda fuggirono in tutte le direzioni: poi ci siamo intestarditi a creare una democrazia in quel paese : una vera follia. A parte tutto e nessun talebano (che poi non esistono) sarebbe venuto in mente di mettere una bomba in occidente. Scusate la lunghezza: volevo dire poche parole ma anche cosi temo di essere stato poco chiaro.

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Risposto da giovanni de sio cesari su 26 dicembre 2013 a 20:38 Fabio, Si è vero. Un governo socialista francese non esitò a mandare truppe che misero facilmente in fuga quelli che minacciavamo di conquistare tutto il Sahel. Però ricorderai che anche nel nostro circolo tanti strillavano, qualcuno voleva che invece aiutassimo i berberi a creare un turismo di massa nel deserto. Ma al di la del ridicolo della proposta particolare, la mentalitè generale (filosofia) dell’Occidente è il non-intervento In questo modo noi condanniamo interi popoli alla guerra, alla fame a disastri immani di cui poi per colmo ci accusiamo perfino di essere la causa. Gli eserciti occidentali sono invincibili non solo per la modernità delle armi, ma per la organizzazione cosi come lo furono nell’Ottocento. Ma la filosofa è piu forte delle armi gli interventi militari non sono piu accettati. A mio modesto parere un modesto corpo di spedizione potrebbe ad esempio liberare la Somalia della guerra endemica che la affligge da 20 anni causando immani sofferenze alla popolazione e pericolosa instabilità alla regione. Dovremmo pure convincerci che la democrazia non è realizzabili in tutti i paesi, che i nostri valori non sono quelli universali unici ed autoevidenti e non possono essere imposti a tutti i popoli. Perché è in questo che i nostri interventi falliscono miseramente. Ma ormai l’Occidente ha rinunciato a intervenire nel mondo: non siamo più responsabili. Sono pareri personali naturalmente Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, mille grazie per questo ottimo commento. Spieghi molto bene i dilemmi nei quali ci troviamo e i margini di azione molto ridotti che abbiamo. La Francia è stata però disposta a mettere truppe sul terreno nel Mali e nella Repubblica Centroafricana. I paesi europei hanno sostenuto politicamente questi interventi (ricordo che Prodi - che si trovava nel Mali nei giorni della crisi per il suo incarico ONU - sostenne esplicitamente l'intervento francese). Credo che l'Unione europea dovrebbe sostenere anche finanziariamente gli interventi francesi.

Risposto da giorgio varaldo su 26 dicembre 2013 a 21:06 Giovanni a szrebrenica una collina con 9000 lapidi e' la testimonianza imperitura della nostra ignavia. queste piu' o meno sono il significato delle parole rivolte da un ragazzo bosniaco - padre e fratelli sepolti sulla collina - ad un (pseudo) pacifista italiano.

Risposto da Fabio Colasanti su 7 Gennaio 2014 a 9:52 Posto un articolo dall'edizione odierna del giornale economico svizzero Le Temps. Mostra come altri paesi - nel caso particolare gli Stati Uniti - lottano contro l'evasione fiscale. L'articolo è a proposito della prima apparizione di fronte ad un tribunale americano del numero tre della più grossa banca svizzera, la UBS, Raoul Weil. Weil è accusato di aver aiutato 17mila americani ad evadere il fisco nascondendo soldi in Svizzera. Gli Stati Uniti hanno emesso un mandato di cattura internazionale. Weil è stato arrestato a Bologna

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

dalla nostra polizia ad ottobre ed è stato già estradato verso gli Stati Uniti. Da noi la giustizia apre fumose inchieste sulle "valanghe nelle montagne" e poi per le cose importanti si perde nei cavilli, nelle rogatorie ed altro. Extradé, l’ex-numéro trois d’UBS ne veut rien négocier avec Washington Pierre-Alexandre Sallier , Le Temps, 7 janvier 2014 Extradé aux Etats-Unis, Raoul Weil comparaît mardi soir devant les tribunaux. Ayant coopéré avec les Etats-Unis, un ex-banquier d’UBS est poursuivi en Suisse pour «espionnage» Le parcours du combattant judiciaire de Raoul Weil – arrêté à Bologne le 19 octobre, puis extradé vers les Etats-Unis le mois suivant – reprend ce mardi. Accusé fin 2008 d’avoir aidé 17 000 Américains fortunés à dissimuler environ 20 milliards de dollars à l’impôt, l’ancien patron de la gestion de fortune internationale de la banque, entre 2002 et 2007, se verra lire les charges retenues à son encontre par le Tribunal fédéral de Fort Lauderdale ce matin à 11 heures (il sera 17 heures en Suisse). «Ce type de comparution est en général relativement simple, cela devrait être vite expédié», commente un avocat suisse installé à New York et habitué de telles procédures mais ne souhaitant pas se prononcer ouvertement sur ce dossier précis. Lors de sa première apparition, d’une heure, devant les tribunaux américains le 16 décembre – quatre jours après son incarcération à la prison du comté de Broward – Raoul Weil n’avait pas plaidé coupable. Son avocat new-yorkais, Aaron Marcu ajoutait alors qu’il ne prévoyait pas davantage de le faire lors de sa comparution du 7 janvier, précisant «ne pas avoir, à l’heure actuelle, engagé de négociations avec le gouvernement américain». Simple roulement d’épaules avant les habituelles tractations judiciaires? Contacté lundi, cet associé du cabinet new-yorkais Freshfields confirmait, tard dans la soirée, que «M. Weil se présentera bien mardi *ndlr: aujourd’hui+ devant le tribunal de Fort Lauderdale où il a l’intention de plaider non coupable». Confiant, le conseil du banquier helvétique ajoute «se préparer à présenter tous ses arguments devant la cour» et «s’attendre M. Weil soit démis de toutes les charges pesant contre lui». Par le passé, les cadres d’UBS – mais aussi de Credit Suisse ou de Wegelin – rattrapés par la justice américaine ont fini, en échange d’un aménagement de peine, par passer aux aveux. En dénonçant leurs anciens chefs et leur banque. Et en fournissant les détails sur les arcanes – et les intermédiaires – des services offerts aux clients américains ne déclarant par leur compte. Chez UBS, ce fut le cas de Bradley Birkenfeld – comme de son chef Martin Liechti – mais également d’un autre ancien gérant, Renzo Gadola. Ce dernier avait collaboré dès son arrestation fin 2010 – également en Floride – et obtenu une peine limitée à cinq ans avec sursis. Ce n’est qu’en novembre dernier – au moment ou Raoul Weil allait être extradé par l’Italie – qu’est apparu dans la Handelszeitung l’annonce des poursuites pénales visant Renzo Gadola en Suisse. Pour espionnage économique, au titre de l’article 273 du Code pénal. Contacté, le parquet fédéral à Berne confirme que «la procédure en question a été ouverte par le Ministère public zurichois en avril 2013, et est depuis traitée par le Ministère public de la Confédération», sans pouvoir «donner davantage d’informations». Cette procédure résonne comme un avertissement, alors que c’est maintenant l’ancien numéro trois d’UBS lui-même qui s’apprête à dire aux juges américains s’il livrera, ou non, des aveux complets. Raoul Weil a pu passer les Fêtes hors de prison. Il a quitté sa cellule le 18 décembre après avoir versé, selon des documents de justice, une caution de 10,5 millions de dollars – dont 4 millions cash signés par sa femme et 1,5 million par «des amis du New Jersey». Il a dû laisser son passeport en Floride, mais a été autorisé à se déplacer – traqué par un système de localisation – dans la région de Miami, à New York et dans le New Jersey. Agé de 54 ans, Raoul Weil avait poursuivi son ascension jusqu’aux plus hauts échelons de la banque en devenant, en 2007, président et directeur général d’UBS Global Wealth Management. Il prenait alors la place de Marcel Rohner, promu à la tête du groupe. L’année suivante, UBS annonçait que Raoul Weil, poursuivi par la justice américaine, renonçait à ses fonctions – «dans l’intérêt de la banque et de ses clients» – afin «d’organiser sa défense». Diplômé de l’Université de Bâle, cet ancien de la SBS avait repris du service au sein de Reuss Private Group. Cette structure de gestion de fortune zurichoise s’est également séparé de lui l’automne dernier.

Risposto da mariella alois su 7 Gennaio 2014 a 12:24 Fabio, Con gli USA non si scherza nella lotta all'evasione fiscale; per ottenere tali risultati ci vuole anche una magistratura competente ed efficiente. Da noi ,in Italia, oltre alle valanghe, stiamo ancora guardando le targhe delle macchine che si recano in Svizzera..... meno male ns polizia ha cooperato)

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Risposto da giorgio varaldo su 7 Gennaio 2014 a 14:29 interessante evoluzione della primavera araba http://www.asianews.it/notizie-it/Il-partito-islamista-Ennahda-rifi... cosa ne pensa giovanni?

Risposto da Fabio Colasanti su 24 Gennaio 2014 a 20:18 Laura, purtroppo era ampiamente previsto. Due anni fa avevo fatto vari commenti sull'Argentina, spesso in risposta a persone che suggerivano di seguire le politiche economiche di quel paese. Avevo ricordato le dimensioni del problema dell'inflazione e dei tentativi goffi fatti dal governo per nasconderne le dimensioni (sono arrivati a sostituire il direttore dell'ufficio statistico e a proibire la pubblicazione di stime indipendenti dell'inflazione). Purtroppo quello che doveva succedere sta succedendo. laura sgaravatto ha detto: L'Argentina torna a far paura, svalutazione shock per il Peso

Risposto da Fabio Colasanti su 25 Gennaio 2014 a 22:47 Laura, ci sono ragioni oggettive e c'è un "contagio psicologico". Chi investe sui mercati lo fa dopo tutto con una razionalità limitata. Ci sono professionisti freddi e calcolatori, ma ci sono milioni di persone che si fanno influnzare dalle ultime notizie, da apprezzamenti superficiali. Nella stessa maniera che quando arrivavano brutte notizie, mettiamo dalla Grecia, la gente smetteva di investire anche su titoli spagnoli e italiani, adesso le cattive notizie da un paese emergente rendono gli investitori nervosi per tutti i paesi emergenti. Nel caso dell'Argentina, si tratta di un problema che doveva scoppiare prima o poi. Nel caso della lira turca ci sono le conseguenze dell'instabilità poltica con l'inchiesta anti-corruzione che ha colpito il governo e le reazioni scomposte di Erdogan. Le monete di Russia e Brazile sono anche sotto pressione, ma non come le altre due. Nel caso di questi ultimi due paesi ci sono da un lato l'andamento fiacco dei prezzi delle materie prime, dall'altro una politica economica che mostra la corda. Il Brasile ha tanti problemi strutturali e la Russia non è mai riuscita a creare un settore manufatturiero competitivo. E' rimasta un paese che esporta energia e materie prime. Una cosa divertente e triste al tempo stesso. Tra le tante misure pazze che il governo argentino ha introdotto c'è anche il divieto di comprare beni o servizi all'estero via internet più di due volte all'anno. Un governo che introduce una misura del genere è alla frutta. laura sgaravatto ha detto: ... :))) e non è solo l'Argentina..rublo real lira turca

Risposto da Salvatore Venuleo su 28 Gennaio 2014 a 15:33 A proposito dei forti rischi di deriva fascista nella protesta in Ucraina. http://www.ateniesi.it/nel-baratro-dellucraina-affonda-limmobilismo...

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Risposto da giorgio varaldo su 28 Gennaio 2014 a 15:49 Quale fondamento ha l'accusa di immobilismo verso la UE? Comodo criticare senza proporre soluzioni.

Risposto da giorgio varaldo su 29 Gennaio 2014 a 17:30 questa notizia in prospettiva si rivela drammatica per il nostro turismo http://ansa.it/web/notizie/specializzati/europa/2014/01/28/Polonia-... attualmente le località sciistiche italiane sono frequentate da sciatori provenienti dall'est europa ed in certi poli invernali è più facile incontrare russi ungheresi e polacchi piuttosto che italiani. questo significa che per poter rimanere competitivi occorre investire massicciamente nel turismo invernale nelle vie di comunicazione e nella promozione . se località come zakopane o dei monti tatry (che conosco abbastanza bene per averli visitati durante i vari soggiorni lavorativi in polonia) si dotano nuove piste, di moderni impianti di risalita e delle infrastrutture relative ai collegamenti ed all'accoglienza suoneranno altre campane a morto per il nostro turismo

Risposto da Fabio Colasanti su 29 Gennaio 2014 a 18:15 Giorgio, questo è un altro esempio del fatto che il mondo si nuove e noi ci illudiamo di poter restare fermi e continuare a fare le cose come le abbiamo sempre fatte.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 29 Gennaio 2014 a 19:49 C'è qualcosa di vero in questa notizia? Conoscete questa fonte? E' attendibile? http://www.informarexresistere.fr/2014/01/24/obama-decreta-la-morte...

Risposto da Fabio Colasanti su 29 Gennaio 2014 a 21:02 Giuseppe, non lo so. So che le armi chimiche saranno resi inerti con un procedimento speciale a bordo di una nave americana. Cose verrà poi fatto di quello che resta non lo so. Non è vero che la armi saranno stoccate in Calabria. A Gioia Tauro i contenitori che le contengono saranno trasbordati da una nave all'altra senza essere stoccati a terra. Letta ha ricevuto i sindaci del luogo dopo le reazioni dei primi giorni. E' saltato fuori che i contenitori in questione sono 60 e sono classificati in una categoria di roba pericolosa detta "categoria 6.1". Ma nel 2013 sarebbero passati attraverso il porto di Gioia Tauro più di 2000 contenitori con questa stessa classe di pericolosità. Giuseppe Ardizzone ha detto:

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C'è qualcosa di vero in questa notizia? Conoscete questa fonte? E' attendibile? http://www.informarexresistere.fr/2014/01/24/obama-decreta-la-morte...

Risposto da giorgio varaldo su 29 Gennaio 2014 a 21:48 le armi chimiche sono composti liquidi o gassosi a base di H C O F e Cl chimicamente simili ai concimi ed agli anticrittogramici. dal punto di vista tecnico è piuttosto semplice crackizzare (rompere le molecole complesse in molecole semplici) in modo da separare le varie sostanze che prese singolarmente non presentano pericolosità alcuna. è molto più pericolosa la disinformazione di un sito spazzatura come materiali resistenti (che presumo giovanni ricorderà) Giuseppe Ardizzone ha detto: C'è qualcosa di vero in questa notizia? Conoscete questa fonte? E' attendibile? http://www.informarexresistere.fr/2014/01/24/obama-decreta-la-morte...

Risposto da Fabio Colasanti su 3 Febbraio 2014 a 11:24 Ho ricordato tante volte come la stampa italiana riporti spesso in maniera sbagliata le affermazioni di Paul Krugman. Ogni sua affermazione a favore di politiche più espansive negli Stati Uniti e in Germania viene presentata come una condanna a tutto campo dell'austerità e una condanna delle misure di riduzione dei disavanzi in Italia, Spagna, Portogallo e Grecia. Ho riportato nel passato estratti del blog di Krugman dove riconosceva che l'Italia non aveva molte alternative (ma queste parti non vengono mai citate). Sabato Krugman ha scritto di nuovo qualcosa che non farà piacere a chi lo cita spesso a sproposito. Parlando della situazione nei paesi emergenti, ha scritto: "C'è qualche altra cosa da dire a proposito dell'Argentina e, sembra, della Turchia. Che stiamo vedendo un revival di quello che Rudi Dornbusch and Sebastian Edwards tanto tempo hanno chiamato "populismo macroeconomico". Questo si riferisce al commettere l'errore simmetrico rispetto a quello che commettono quelli che sostengono che avere disavanzi e stampare moneta ti porta sempre alle condizioni dello Zimbabwe; e consiste nel credere che le regole ortodosse non valgano mai. E' un errore altrettanto grave." "There’s something else to be said about Argentina and, it seems, Turkey — namely, that we’re seeing a mini-revival of what Rudi Dornbusch and Sebastian Edwards long ago called macroeconomic populism. This involves, you might say, making the symmetrical error to that of people who think that running deficits and printing money always turns you into Zimbabwe; it’s the belief that the orthodox rules never apply. And it’s an equally severe mistake. http://krugman.blogs.nytimes.com/

Risposto da Giampaolo Carboniero su 8 Febbraio 2014 a 1:51 Si vede che la filosofia di Maria Antonietta buon'anima sta facendo breccia: l'importante è ora trovare tante brioches. laura sgaravatto ha detto: :))..I leader del sistema economico globale stanno abbandonando la linea “negazionista” in tema di crescita delle diseguaglianze economiche. Per decenni imprenditori, politici, media e accademici hanno sostenuto, contro ogni evidenza, la tesi secondo cui il processo di globalizzazione avrebbe contribuito a ridurre le diseguaglianze, sia fra i vari

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Paesi sia all’interno di ognuno di essi. A sette anni dall’inizio della crisi questa menzogna è divenuta insostenibile anche per i più zelanti lacché del pensiero unico liberal liberista. Così, negli ultimi mesi, iniziano ad apparire imbarazzate ammissioni: sulle pagine dell’Economist, come nei discorsi al recente Forum di Davos, circolano discorsi in cui si riconosce che la distanza fra ricchi e poveri non è mai stata tanto grande, che ai primi segni di ripresa della “crescita” (leggi dei profitti) non fanno riscontro significativi aumenti dell’occupazione e dei salari, che tale tendenza potrebbe durare a lungo, anche in presenza di un rilancio più consistente dell’economia, infine che questa situazione è destinata a generare aspri conflitti sociali. Naturalmente tali ammissioni non implicano ripensamenti sui principi del pensiero economico “mainstream”; né inducono riflessioni sulla necessità di riforme strutturali; nella migliore delle ipotesi, si accenna all’opportunità di ricorrere a palliativi assistenziali, e a strategie comunicative che instillino nelle classi subalterne l’idea della crisi come “catastrofe naturale” da sopportare con la stessa rassegnazione con cui si sopportano terremoti e alluvioni. Un esempio tipico di questo atteggiamento è stato il recente discorso sullo Stato dell’Unione del presidente Obama. Criticando l’insensibilità dei Repubblicani sui guasti provocati dai livelli sempre più elevati di diseguaglianza economica, Obama ha espresso l’intenzione di bypassare l’ostruzionismo parlamentare attraverso una serie di “executive order” (decreti presidenziali che non richiedono ratifica parlamentare) per combattere povertà e disoccupazione. Ma dietro questo “decisionismo” si nasconde un’operazione propagandistica. Anche un giornale amico, come il New York Times, ironizza sui limiti di questa “svolta”: gli executive order non vincolano il successore di Obama, che potrà cancellarli con un tratto di penna, e il più strombazzato di questi provvedimenti – l’aumento del salario minimo a 10 dollari l’ora – riguarda solo i contractor del Governo federale che verranno assunti d’ora in avanti (qualche migliaio di lavoratori a fronte delle decine di milioni che rivendicano questo provvedimento). Insomma: fumo negli occhi per ammansire le classi più esposte ai morsi d’una crisi che per loro non passa (mentre Wall Street ha ripreso a galoppare). Ma su altri media americani si sono letti commenti più salati al topolino partorito dalla montagna presidenziale. Mi limito a citare tre pezzi apparsi sull’Huffington Post. Nel primo si evidenzia come nel suo discorso non siano mai state pronunciate le parole Wall Street, banche, deregulation, frode, inchiesta, troppo grande per fallire, Glass-Steagall (la legge che imponeva la separazione fra banche commerciali e banche di investimento), come a dire: ha deprecato le diseguaglianze ma non ha fatto menzione dei responsabili. Nel secondo si ricorda che, mentre si erge a paladino della lotta alla diseguaglianza, Obama è impegnato a condurre in porto l’accordo TPP (Trans Pacific Partnership) che consentirà alle corporation di aggirare “legalmente” le regole dei Paesi sottoscrittori in materia di salute, sicurezza del lavoro e ambiente (generando ulteriori diseguaglianze). Infine il terzo dopo avere analizzato lo “Stato dell’Unione” di minatori, tassisti, domestici, dipendenti di ristoranti, catene commerciali, Fast Food e altri lavoratori, conclude che le loro condizioni richiedono qualcosa in più dei pannicelli caldi presidenziali. Per ora, la spettro di possibili tensioni sociali induce il potere a effettuare qualche correzione di strategia comunicativa; per ottenere di più serve che le tensioni virtuali divengano reali e generino lotte di massa. Carlo Formenti (2 febbraio 2014)

Risposto da Giampaolo Carboniero su 28 Febbraio 2014 a 1:54 Siamo a questo punto? Se un popolo e il suo governo decidono di difendere il proprio ambiente vengono citati per danni astronomici, solo perchè la ditta in questione era stata autorizzata a fare prospezioni in zone protette e poi il governo ha dovuto fare marcia indietro? A quando di nuovo i marines? http://globalnews.ca/news/883756/calgary-based-mining-company-suing...

Risposto da Fabio Colasanti su 28 Febbraio 2014 a 12:19 Una notizia appena ascoltata alla televisione cinese (in inglese): la Cina ha pubblicato un rapporto sul rispetto dei diritti umani negli Stati Uniti. Certo c'è sicuramente molto da dire su tante cose che succedono in quel paese, ma l'annuncio di per se è divertente. La miglior difesa è l'attacco.

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Risposto da giovanni de sio cesari su 28 Febbraio 2014 a 16:38 Fabio, Si, ne scrive il Remnin Ribao (Quotidiano del popolo ) di oggi questo il klink http://english.people.com.cn/90883/8549927.html Il report pero non è stato pubblicato in lingua occidentale (almeno che io sappia) Fabio Colasanti ha detto: Una notizia appena ascoltata alla televisione cinese (in inglese): la Cina ha pubblicato un rapporto sul rispetto dei diritti umani negli Stati Uniti. Certo c'è sicuramente molto da dire su tante cose che succedono in quel paese, ma l'annuncio di per se è divertente. La miglior difesa è l'attacco.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 3 Marzo 2014 a 16:13 Perchè non sarebbe possibile copiare? Perchè, anzichè andare a costruire centrali nucleari all'estero ( Finlandia, Slovacchia), spendendo ancora non si sa quanti soldi, l'ENEL non copia gli illusi capitalisti americani? http://www.gosolarcalifornia.ca.gov/csi/index.php

Risposto da Fabio Colasanti su 3 Marzo 2014 a 18:56 Giampaolo, Perché qualcuno che vuole le centrali nucleari paga l'Enel per costruirle. Quindi l'Enel non "spende" soldi per costruirle, ma ne guadagna. L'articolo che hai postato è sugli incentivi all'istallazione di pannelli fotovoltaici del tipo di quelli che sono stati istallati da noi. Che c'entra l'Enel? Giampaolo Carboniero ha detto: Perchè non sarebbe possibile copiare? Perchè, anzichè andare a costruire centrali nucleari all'estero ( Finlandia, Slovacchia), spendendo ancora non si sa quanti soldi, l'ENEL non copia gli illusi capitalisti americani? http://www.gosolarcalifornia.ca.gov/csi/index.php

Risposto da Giampaolo Carboniero su 4 Marzo 2014 a 1:17 Perchè quelli sono installati senza incentivi statali attraverso un investimento delle utilities, cosa proibisce a ENEL di guadagnare alla stessa maniera? La politica di ENEL è scelta dai soci di minoranza o di maggioranza? Le sue quotazioni peggiorerebbero quindi se non investisse nel nucleare? Cosa preferisce quel qualcuno che tu dici paga ENEL per costruire centrali nucleari, il guadagno, o altro che non si dice apertamente ( magari anche incentivi statali mascherati)? Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo,

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Perché qualcuno che vuole le centrali nucleari paga l'Enel per costruirle. Quindi l'Enel non "spende" soldi per costruirle, ma ne guadagna. L'articolo che hai postato è sugli incentivi all'istallazione di pannelli fotovoltaici del tipo di quelli che sono stati istallati da noi. Che c'entra l'Enel? Giampaolo Carboniero ha detto: Perchè non sarebbe possibile copiare? Perchè, anzichè andare a costruire centrali nucleari all'estero ( Finlandia, Slovacchia), spendendo ancora non si sa quanti soldi, l'ENEL non copia gli illusi capitalisti americani? http://www.gosolarcalifornia.ca.gov/csi/index.php

Risposto da Giampaolo Carboniero su 4 Marzo 2014 a 1:24 A proposito di sovrapopolazione, non sono il solo convinto che per risolvere questo problema si deve migliorare la vita dei popoli che oggi stanno male ( e per questo fanno tanti figli); oppure la vera questione è mantenere nell'indigenza quei popoli, anche attizzando le guerre, per poterli comodamente depredare delle risorse e materie prime? http://www.treehugger.com/environmental-policy/hans-rosling-debunki... Si giustifica così, per caso anche il land grabbing, di cui allego uno dei tanti esempi? http://firmacontrolafame.actionaid.it/campagna/senegal/?sc=SEN09&am...

Risposto da Fabio Colasanti su 4 Marzo 2014 a 3:10 Giampaolo, Sulla popolazione hai ragione. In questi giorni, vedendo quello che hanno costruito (dovuto costruire?) a Shanghai per alloggiare i venti milioni di abitanti, comincio a capire meglio le preoccupazioni di Salvatore. Ma non possiamo pretendere che chi si avvicina oggi a condizioni di vita migliori non desideri quello che noi abbiamo e che lui sa che noi abbiamo? I miliardi che stanno uscendo dalla povertà vorranno le automobili, una casa moderna, l'abbigliamento e le attrezzature elettroniche che abbiamo noi. Quello che mi preoccupa è che tutto questo necessiterà di quantità enormi di energia che le fonti rinnovabili non saranno certo in grado di produrre. Continueremo a dipendere per decenni dai combustibili fossili – che sono disponibili in grandi quantità e a prezzi bassi – e dal nucleare. I giapponesi si stanno rendendo conto che abbandonarlo non è possibile. Il problema è quindi la crescita della popolazione mondiale. La crescita economicaporterà con se una riduzione del tasso di crescita della popolazione,ma servirà un incoraggiamento esplicito a ridurre i tassi di crescita. Del resto, oggi tassi di crescita alti della popolazione vanno di pari passo con la povertà. Su un punto diverso. Ma come fai a scrivere che qualcuno vorrebbe mantenere in povertà abietta le popolazioni per depredare più facilmente le loro materie prime? E' una favola della più vecchia retorica "anti-imperialistica". Oltre a tutto, per "depredare le materie prime" non serve tenere le popolazioni in povertà abietta, lo si può fare anche in paesi abbastanza sviluppati. Giampaolo Carboniero ha detto: A proposito di sovrapopolazione, non sono il solo convinto che per risolvere questo problema si deve migliorare la vita dei popoli che oggi stanno male ( e per questo fanno tanti figli); oppure la vera questione è mantenere nell'indigenza quei popoli, anche attizzando le guerre, per poterli comodamente depredare delle risorse e materie prime? http://www.treehugger.com/environmental-policy/hans-rosling-debunki... Si giustifica così, per caso anche il land grabbing, di cui allego uno dei tanti esempi? http://firmacontrolafame.actionaid.it/campagna/senegal/?sc=SEN09&am...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 4 Marzo 2014 a 11:23

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Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, Sulla popolazione hai ragione. In questi giorni, vedendo quello che hanno costruito (dovuto costruire?) a Shanghai per alloggiare i venti milioni di abitanti, comincio a capire meglio le preoccupazioni di Salvatore. Ma non possiamo pretendere che chi si avvicina oggi a condizioni di vita migliori non desideri quello che noi abbiamo e che lui sa che noi abbiamo? I miliardi che stanno uscendo dalla povertà vorranno le automobili, una casa moderna, l'abbigliamento e le attrezzature elettroniche che abbiamo noi. Quello che mi preoccupa è che tutto questo necessiterà di quantità enormi di energia che le fonti rinnovabili non saranno certo in grado di produrre. Continueremo a dipendere per decenni dai combustibili fossili – che sono disponibili in grandi quantità e a prezzi bassi – e dal nucleare. I giapponesi si stanno rendendo conto che abbandonarlo non è possibile. Il problema è quindi la crescita della popolazione mondiale. La crescita economicaporterà con se una riduzione del tasso di crescita della popolazione,ma servirà un incoraggiamento esplicito a ridurre i tassi di crescita. Del resto, oggi tassi di crescita alti della popolazione vanno di pari passo con la povertà. Su un punto diverso. Ma come fai a scrivere che qualcuno vorrebbe mantenere in povertà abietta le popolazioni per depredare più facilmente le loro materie prime? E' una favola della più vecchia retorica "anti-imperialistica". Oltre a tutto, per "depredare le materie prime" non serve tenere le popolazioni in povertà abietta, lo si può fare anche in paesi abbastanza sviluppati. Giampaolo Carboniero ha detto: A proposito di sovrapopolazione, non sono il solo convinto che per risolvere questo problema si deve migliorare la vita dei popoli che oggi stanno male ( e per questo fanno tanti figli); oppure la vera questione è mantenere nell'indigenza quei popoli, anche attizzando le guerre, per poterli comodamente depredare delle risorse e materie prime? http://www.treehugger.com/environmental-policy/hans-rosling-debunki... Si giustifica così, per caso anche il land grabbing, di cui allego uno dei tanti esempi? http://firmacontrolafame.actionaid.it/campagna/senegal/?sc=SEN09&am...

Risposto da Fabio Colasanti su 6 Marzo 2014 a 8:58 Una classifica non sulle migliori università al mondo, ma su quelle che sono ritenute le migliori università al mondo. http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-03-05/reputazione-unive...

Risposto da giorgio varaldo su 11 Marzo 2014 a 7:44 per i sostenitori di HAMAS a gaza http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/mondo/2014/03/10/Israele-na...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 11 Marzo 2014 a 16:40 Lo fanno da noi, vuoi non lo facciano in Africa o altrove, dove un dittatorello si trova a 5 euro al Kg.? http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/03/11/occhio-non-vede/909510/

Risposto da Fabio Colasanti su 14 Marzo 2014 a 12:35

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

La storia si ripete. I problemi del mondo sono risolti dagli adulti con i ragazzini indisciplinati dell'Ue lasciati fuori dalla porta. A cose fatte, l'Ue pagherà poi per la ricostruzione (come ha sempre fatto). "A high-ranking European Union diplomat regretted that no EU officials were invited to a London meeting today (14 March) between US State Secretary John Kerry and Russian Foreign Minister Sergey Lavrov, described as a last-chance opportunity before Russia annexes the Ukrainian peninsula of Crimea."

Risposto da Giampaolo Carboniero su 14 Marzo 2014 a 17:33 Per non dimenticare mai, e non è finita. Impossibile che accada da noi? Il solo fatto di poterlo pensare lo rende possibile: http://www.qualenergia.it/articoli/20140311-tre-anni-da-fukushima-u...

Risposto da giorgio varaldo su 14 Marzo 2014 a 19:20 più che curare i ragazzi è necessario curare i genitori. laura sgaravatto ha detto: ...che si fa con i ragazzini indisciplinati ? non li votiamo più...togliamo loro i soldini così non pagheranno più niente...aspettiamo che "crescano" .. ?? vorranno farlo ? e come...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 15 Marzo 2014 a 0:21 Un altro che crede alla leggenda metropolitana del neo-liberismo, tutto falso, coincidenze? http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/03/14/goldman-sachs-la-macchin...

Risposto da Fabio Colasanti su 15 Marzo 2014 a 2:13 Giampaolo, non vedo cosa c'entri quest'articolo con la discussione che abbiamo avuto con Sandra dove l'invitavo a indicarmi un solo paese avanzato al mondo che non accettasse l'intervento dello stato. Affermavo e affermo che non esistono paesi dove lo stato non intervenga per fissare dei limiti all'azione degli individui e delle imprese e per correggere i risultati della loro azione. Le differenze tra i paesi sono di grado e modalità dell'intervento, ma tutti accetttano che l'intervento dello stato sia necessario. Non esiste nessun paese "neo-liberista" che rifiuti l'intervento dello stato. L'articolo che citi critica - in parte a ragione - una banca. Ma questo non c'entra nulla con quello di cui abbiamo discusso. Giampaolo Carboniero ha detto: Un altro che crede alla leggenda metropolitana del neo-liberismo, tutto falso, coincidenze? http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/03/14/goldman-sachs-la-macchin...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 17 Marzo 2014 a 0:32

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Certo Fabio, tutti gli stati fanno delle regole, si tratta di vedere quanto più o meno stringenti, quanto più o meno fatte rispettare, quanto più o meno funzionali ad un sistema democratico, in cui tutti, almeno all'inizio, dovrebbero avere le stesse possibilità, ma, soprattutto quanti e quali favori vengono fatti a categorie, classi sociali, attività economiche, perchè lì si misurano le vere intenzioni dei governi.

Risposto da Cristina Favati su 18 Marzo 2014 a 12:38 Vorrei chiedere agli esperti un'opinione sull'annessione della Crimea da parte della Russia. Leggo le cose più disparate, però penso che se tutto un popolo chiede di tornare con la Russia, gli altri Stati, USA e UE, non dovrebbero intromettersi. E' chiaro che tutto parte dagli interessi economici, ma direi che oggi il mondo gira intorno a quelli anche in occidente. Non esiste il principio di autodeterminazione dei popoli? Perché il referendum non dovrebbe essere legittimo? Grazie a chi mi vorrà dare una spiegazione.

Risposto da Fabio Colasanti su 18 Marzo 2014 a 13:20 Cristina, per una volta, la cosa non parte dagli interessi economici; sono ben lungi da essere uno degli aspetti principali. La Crimea ha un'importanza strategica, ma non economica. Il suo trasferimento alla Russia costerà a quel paese parecchi soldi. Finanziariamente la Russia non fa un buon affare. La preoccupazione maggiore di tutti i paesi dell'Europa occidentale e degli Stati Uniti è quella di mantenere il principio che le frontiere uscite dalla seconda guerra mondiale non si toccano. Si ha paura che se si comincia a permettere un nuovo disegno delle frontiere attraverso l'indipendenza di alcune regioni e il trasferimento di territori da un paese all'altro si apre un vaso di Pandora con conseguenze terribili. Guarda già i casi di Catalonia e Scozia e pensa alle minoranze ungheresi in Romania, Slovacchia e Serbia, alle minoranze di lingua tedesca da noi, alla secessione del Veneto e ai tanti altri casi simili che si possono immaginare. La Società delle Nazioni era nata per difendere le minoranze etniche. Non ci è riuscita. Le minoranze etniche sono state una scintilla, forse una scusa, per lo scoppio della seconda guerra mondiale. L'autodeterminazione dei popoli ha dei limiti. Puoi immaginare che il quartiere dei Parioli - considerato il più ricco di Roma - possa chiedere l'indipendenza per smettere di contribuire al benessere del resto dell'Italia? La grossa falla nella posizione di tutti i paesi dell'Europa occidentale è che hanno voluto la secessione del Kossovo. Come si fa a mantenere il principio dell'inviolabilità delle frontiere dopo un precedente del genere? Oltre all'aspetto della delle frontiere c'è poi il fatto che l'occidente ha sempre cercato di estendere i confini della Nato per sentirsi più sicuro e questo ha fatto sentire meno sicura la Russia. Infine c'è il fatto che è difficile tollerare che un paese intervenga così sfacciatamente in un altro. I cosiddetti "volontari locali" (tutti con delle bellissime uniformi e bene armati) vengono dalla Cecenia e da tante altre parti della Russia e la BBC dice di aver perfino identificato gruppi di "cetniki" serbi: neofascisti che intervengono in nome della fratellanza tra ortodossi. Cristina Semino ha detto: Vorrei chiedere agli esperti un'opinione sull'annessione della Crimea da parte della Russia. Leggo le cose più disparate, però penso che se tutto un popolo chiede di tornare con la Russia, gli altri Stati, USA e UE, non dovrebbero intromettersi. E' chiaro che tutto parte dagli interessi economici, ma direi che oggi il mondo gira intorno a quelli anche in occidente.

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Non esiste il principio di autodeterminazione dei popoli? Perché il referendum non dovrebbe essere legittimo? Grazie a chi mi vorrà dare una spiegazione.

Risposto da Cristina Favati su 18 Marzo 2014 a 13:27 Grazie Fabio. Fabio Colasanti ha detto: Cristina, per una volta, la cosa non parte dagli interessi economici; sono ben lungi da essere uno degli aspetti principali. La Crimea ha un'importanza strategica, ma non economica. Il suo trasferimento alla Russia costerà a quel paese parecchi soldi. Finanziariamente la Russia non fa un buon affare. La preoccupazione maggiore di tutti i paesi dell'Europa occidentale e degli Stati Uniti è quella di mantenere il principio che le frontiere uscite dalla seconda guerra mondiale non si toccano. Si ha paura che se si comincia a permettere un nuovo disegno delle frontiere attraverso l'indipendenza di alcune regioni e il trasferimento di territori da un paese all'altro si apre un vaso di Pandora con conseguenze terribili. Guarda già i casi di Catalonia e Scozia e pensa alle minoranze ungheresi in Romania, Slovacchia e Serbia, alle minoranze di lingua tedesca da noi, alla secessione del Veneto e ai tanti altri casi simili che si possono immaginare. La Società delle Nazioni era nata per difendere le minoranze etniche. Non ci è riuscita. Le minoranze etniche sono state una scintilla, forse una scusa, per lo scoppio della seconda guerra mondiale. L'autodeterminazione dei popoli ha dei limiti. Puoi immaginare che il quartiere dei Parioli - considerato il più ricco di Roma - possa chiedere l'indipendenza per smettere di contribuire al benessere del resto dell'Italia? La grossa falla nella posizione di tutti i paesi dell'Europa occidentale è che hanno voluto la secessione del Kossovo. Come si fa a mantenere il principio dell'inviolabilità delle frontiere dopo un precedente del genere? Oltre all'aspetto della delle frontiere c'è poi il fatto che l'occidente ha sempre cercato di estendere i confini della Nato per sentirsi più sicuro e questo ha fatto sentire meno sicura la Russia. Infine c'è il fatto che è difficile tollerare che un paese intervenga così sfacciatamente in un altro. I cosiddetti "volontari locali" (tutti con delle bellissime uniformi e bene armati) vengono dalla Cecenia e da tante altre parti della Russia e la BBC dice di aver perfino identificato gruppi di "cetniki" serbi: neofascisti che intervengono in nome della fratellanza tra ortodossi. Cristina Semino ha detto: Vorrei chiedere agli esperti un'opinione sull'annessione della Crimea da parte della Russia. Leggo le cose più disparate, però penso che se tutto un popolo chiede di tornare con la Russia, gli altri Stati, USA e UE, non dovrebbero intromettersi. E' chiaro che tutto parte dagli interessi economici, ma direi che oggi il mondo gira intorno a quelli anche in occidente. Non esiste il principio di autodeterminazione dei popoli? Perché il referendum non dovrebbe essere legittimo? Grazie a chi mi vorrà dare una spiegazione.

Risposto da giorgio varaldo su 18 Marzo 2014 a 13:42 infatti la secessione del kossovo - subita dalla serbia - rende non credibile la posizione USA ed UE per quanto riguarda i confini NATO portati al fiume don presenta similitudini con la crisi dei missili russi a cuba quindi comprensibili le proteste russe.

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Fabio Colasanti ha detto: La grossa falla nella posizione di tutti i paesi dell'Europa occidentale è che hanno voluto la secessione del Kossovo. Come si fa a mantenere il principio dell'inviolabilità delle frontiere dopo un precedente del genere? Oltre all'aspetto della delle frontiere c'è poi il fatto che l'occidente ha sempre cercato di estendere i confini della Nato per sentirsi più sicuro e questo ha fatto sentire meno sicura la Russia.

Risposto da adriano succi su 19 Marzo 2014 a 0:13 Sono rassegnato ad accettare la Realpolitik, e non do torto a chi dice che le politiche degli Stati dovrebbero evolversi verso le politiche delle Nazionalità. Dopo di che, Popoli maturi vanno aiutati a collaborare tra loro, ma sentendosi e accettando reciprocamente di essere diversi. Serbi, Croati , Sloveni, eccetera, erano tenuti assieme forzatamente da un Dittatore. Quando è morto Tito, hanno cominciato a scannarsi. Adesso perlomeno (a parte Serbia, Kossovo e Bosnia) sono "quasi" buoni vicini. Magari tra qualche anno diventeranno pure amici. Italiani e Francesi o Spagnoli vanno d'accordissimo pur non immaginandosi mai di fondersi in un unico Stato. Riguardo alla Crimea, secondo me, Obama che si è finora dimostrato ottimo Presidente riguardo ciò che riguarda l' interno degli Stati Uniti, si sta dimostrando, ancora una volta, incompetente in politica estera. La Crimea è un pezzo di Russia, graziosamente regalato da Krushev alla Repubblica di Ucraina, una cinquantina di anni fa. Che prima o poi dovesse scoppiare la grana, mi pare inevitabile. Penso che Obama, e con lui l' Europa (che peraltro, come sempre si muove in ordine sparso) avrebbe fatto MOLTO meglio a gestire la transizione in modo diverso, ovvero indurre il nuovo Governo di Kiev a contrattare la separazione della Crimea. E' un territorio non suo, che, prima o poi, avrebbe dovuto restituire. Tutto quello che adesso Obama e i suoi alleati possono fare, è alzare un pò la voce, ben sapendo di non potere fare altro. Probabilmente, all' opinione pubblica degli Stati Uniti , della Crimea non gliene frega niente, ma credo che la perdita di prestigio in campo internazionale sia enorme.

Risposto da giorgio varaldo su 19 Marzo 2014 a 8:06 concordo con adriano (bentornato) sul giudizio critico riguardo alla politica estera di obama e della cronica assenza dell'europa. dopo il disastro libico dopo la figuraccia siriana arriva l'ucraina. chi ha un minimo di conoscenza di quel paese sa - come ci ricordava giovanni- che sono entita' geografiche piu' o meno artificiose. ma anche dal punto di vista economico un avvicinamento ucraino alla UE sarebbe fonte di gravi problemi per le strutture produttive ucraine basate nella zona est ancora con il sistema sovietico dei grandi kombinat che inseriti nel contesto.UE collasserebbero con disastrose conseguenze occupazionali. ed in questo contesto l'assenza di europa in politica estera non aiuta ad essere ottimisti

Risposto da Fabio Colasanti su 19 Marzo 2014 a 10:31 Adesso si muove la Transnistria .... http://www.euractiv.com/europes-east/romanian-president-fears-moldo...

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Risposto da Fabio Colasanti su 21 Marzo 2014 a 9:03 Qualche piccolo passo avanti verso l'zione dei paradisi fiscali si sta facendo. http://www.repubblica.it/economia/2014/03/19/news/lotta_all_evasion...

Risposto da Fabio Colasanti su 21 Marzo 2014 a 17:56 Un pezzo de La Voce per i tanti pessimisti. Ne riporto la prima frase: "Tra le venti economie in più rapida crescita nel 2014-2018, secondo le previsioni dell’Fmi, una su due si troverà a sud del Sahara". http://www.lavoce.info/i-bric-perdono-smalto-guardiamo-ai-mercati-a...

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 21 Marzo 2014 a 18:34 Che ne pensate? http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-03-18/shale-gas-atomica... adriano succi ha detto: Sono rassegnato ad accettare la Realpolitik, e non do torto a chi dice che le politiche degli Stati dovrebbero evolversi verso le politiche delle Nazionalità. Dopo di che, Popoli maturi vanno aiutati a collaborare tra loro, ma sentendosi e accettando reciprocamente di essere diversi. Serbi, Croati , Sloveni, eccetera, erano tenuti assieme forzatamente da un Dittatore. Quando è morto Tito, hanno cominciato a scannarsi. Adesso perlomeno (a parte Serbia, Kossovo e Bosnia) sono "quasi" buoni vicini. Magari tra qualche anno diventeranno pure amici. Italiani e Francesi o Spagnoli vanno d'accordissimo pur non immaginandosi mai di fondersi in un unico Stato. Riguardo alla Crimea, secondo me, Obama che si è finora dimostrato ottimo Presidente riguardo ciò che riguarda l' interno degli Stati Uniti, si sta dimostrando, ancora una volta, incompetente in politica estera. La Crimea è un pezzo di Russia, graziosamente regalato da Krushev alla Repubblica di Ucraina, una cinquantina di anni fa. Che prima o poi dovesse scoppiare la grana, mi pare inevitabile. Penso che Obama, e con lui l' Europa (che peraltro, come sempre si muove in ordine sparso) avrebbe fatto MOLTO meglio a gestire la transizione in modo diverso, ovvero indurre il nuovo Governo di Kiev a contrattare la separazione della Crimea. E' un territorio non suo, che, prima o poi, avrebbe dovuto restituire. Tutto quello che adesso Obama e i suoi alleati possono fare, è alzare un pò la voce, ben sapendo di non potere fare altro. Probabilmente, all' opinione pubblica degli Stati Uniti , della Crimea non gliene frega niente, ma credo che la perdita di prestigio in campo internazionale sia enorme.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 21 Marzo 2014 a 19:16 Penso che non è una soluzione realistica; invece di dipendere dalla Russia, dipenderemmo dagli USA e dalla loro tecnologia; secondo me l'Europa deve avviare una mobilitazione e una massa di investimenti e innovazioni tali da renderla autosufficiente, ne ha le capacità e le risorse; non quelle del petrolio evidentemente; biogas ( da rifiuti, reflui animali ), biomassa forestale, geotermia, idroelettrico, eolico, solare, maree, con l'innovazione che può innestare

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l'Europa sono fonti alternative e sostenibili, benefiche per l'ambiente e l'economia diffusa, compresi posti di lavoro; lo shale gas, negli USA, è già contestato da coloro che abitano in prossimità dei pozzi di perforazione, con ricadute negative sulle falde freatiche, è comunque una fonte ad alta concentrazione di capitali finanziari e comunque centralizzata, di conseguenza strategicamente sensibile, oltre a comportare un consumo enorme di acqua ( risorsa che sarà sempre più a rischio); oltretutto, in Europa, una tecnologia quasi impraticabile, data la densità della popolazione. Giuseppe Ardizzone ha detto: Che ne pensate? http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-03-18/shale-gas-atomica... adriano succi ha detto: Sono rassegnato ad accettare la Realpolitik, e non do torto a chi dice che le politiche degli Stati dovrebbero evolversi verso le politiche delle Nazionalità. Dopo di che, Popoli maturi vanno aiutati a collaborare tra loro, ma sentendosi e accettando reciprocamente di essere diversi. Serbi, Croati , Sloveni, eccetera, erano tenuti assieme forzatamente da un Dittatore. Quando è morto Tito, hanno cominciato a scannarsi. Adesso perlomeno (a parte Serbia, Kossovo e Bosnia) sono "quasi" buoni vicini. Magari tra qualche anno diventeranno pure amici. Italiani e Francesi o Spagnoli vanno d'accordissimo pur non immaginandosi mai di fondersi in un unico Stato. Riguardo alla Crimea, secondo me, Obama che si è finora dimostrato ottimo Presidente riguardo ciò che riguarda l' interno degli Stati Uniti, si sta dimostrando, ancora una volta, incompetente in politica estera. La Crimea è un pezzo di Russia, graziosamente regalato da Krushev alla Repubblica di Ucraina, una cinquantina di anni fa. Che prima o poi dovesse scoppiare la grana, mi pare inevitabile. Penso che Obama, e con lui l' Europa (che peraltro, come sempre si muove in ordine sparso) avrebbe fatto MOLTO meglio a gestire la transizione in modo diverso, ovvero indurre il nuovo Governo di Kiev a contrattare la separazione della Crimea. E' un territorio non suo, che, prima o poi, avrebbe dovuto restituire. Tutto quello che adesso Obama e i suoi alleati possono fare, è alzare un pò la voce, ben sapendo di non potere fare altro. Probabilmente, all' opinione pubblica degli Stati Uniti , della Crimea non gliene frega niente, ma credo che la perdita di prestigio in campo internazionale sia enorme.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 7 Aprile 2014 a 17:29 Chi o cosa guida il Corsera in questa battaglia di retroguardia? http://www.qualenergia.it/articoli/20140401-clima-il-corriere-nega-... In sintesi il report IPCC http://www.kyotoclub.org/documentazione/video/2014-apr-1/tutto_quel...

Risposto da Alberto Rotondi su 7 Aprile 2014 a 17:46 Abbiamo 124 km quadrati di fotovoltaico, che ci sono costati 6 miliardi di incentivi all'anno per i prossi 20 anni. Per avere tutto fotovoltaico, dovremmo avere 2400 km quadrati più gli impianti di accumulo, preferenzialmente idroelettrici. Questo ci dice quanto è lenta la strada delle rinnovabili. I piani europei, che sono all'avanguardia mondiale per le rinnovabili, prevedono il 40% di rinnovabili nei prossimi 20 anni e l'80% di rinnovabili entro i prossimi 40. Nei prossimi 20 anni il 60% sarà gas, tra 40 anni il gas sarà ancora il 20%. Avremo bisogno di gas e dobbiamo pianificarne l'approvvigionamento e l'uso. Non pensarci sarebbe da irresponsabili. Giampaolo Carboniero ha detto:

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Penso che non è una soluzione realistica; invece di dipendere dalla Russia, dipenderemmo dagli USA e dalla loro tecnologia; secondo me l'Europa deve avviare una mobilitazione e una massa di investimenti e innovazioni tali da renderla autosufficiente, ne ha le capacità e le risorse; non quelle del petrolio evidentemente; biogas ( da rifiuti, reflui animali ), biomassa forestale, geotermia, idroelettrico, eolico, solare, maree, con l'innovazione che può innestare l'Europa sono fonti alternative e sostenibili, benefiche per l'ambiente e l'economia diffusa, compresi posti di lavoro; lo shale gas, negli USA, è già contestato da coloro che abitano in prossimità dei pozzi di perforazione, con ricadute negative sulle falde freatiche, è comunque una fonte ad alta concentrazione di capitali finanziari e comunque centralizzata, di conseguenza strategicamente sensibile, oltre a comportare un consumo enorme di acqua ( risorsa che sarà sempre più a rischio); oltretutto, in Europa, una tecnologia quasi impraticabile, data la densità della popolazione.

Risposto da Fabio Colasanti su 7 Aprile 2014 a 18:04 C'è un grosso dibattito in corso in Germania sull'abbandono del nucleare. Il governo ha riconosciuto che le sovvenzioni al fotovoltaico, all'energia eolica e alle altre energie rinnovabili aggiungono 220 euro all'anno al costo dell'elettricità della famiglia media tedesca.

Risposto da Alberto Rotondi su 7 Aprile 2014 a 18:29 Il ciclo naturale della CO2 consiste di circa 800 Gton emessi e 800 assorbiti. L'uomo ne producesolo 30 Gton all'anno. Il problema è l'accumulo di 10 Gton/anno di CO2. Quindi, indipendentemente dalle cause, l'uomo potrebbe ridurre le emissioni di circa 1/3, cioè 10 Gton anno per mandare in pari il bilancio di CO2 e stabilizzare in modo ragionevole il clima. I 20 Gton prodotti dall'uomo e riassorbiti dal sistema Terra servirebbero, tra l'altro, ad evitare il ritorno delle glaciazioni, che spazzerebbero via gran parte degli insediamenti umani. Queste sono le conclusioni del rapporto IPCC sulle emissioni contenute nel paragrafo del rapporto numerato come RPM2.6, ovvero arrivare a 450 ppm di CO2 e poi fermarsi. Aumentrare un po' la CO2 fa bene all'uomo, aumentarla troppo ci espone a dei rischi. Quello che bisogna abbandonare, da parte degli ecologisti, è la errata convinzione che la Terra sia un sistema da non perturbare per il benessere dell'uomo. Deve essere chiaro che aumentare la CO2 a 700 ppm nel 2100 (limite previsto se non si fa niente) non fa male al pianeta, ma alla civiltà umana, visto che il livello dei mari salirebbe di 20-40 metri. D'altra parte aumentare la CO2 di un pochino, arrivando a 450 ppm, non fa male al pianeta e fa bene all'uomo, perchè non mette in pericolo più di tanto gli insediamenti umani. Però, d'altra parte, quello che i negazionisti devono abbandonare è l'assunto che la Terra va dove vuole ed è inutile intervenire. L'uomo può e deve intervenire, per re l'ambiente e condizionare la Terra ai suoi insediamenti. Non dimentichiamoci che la civiltà umana si è sviluppata negli ultimi 5000 anni, in un perido caldo interglaciale e l'uomo si è comportato come se il pianeta fosse stabile e programmato per il suo benessere, il che è totalmente antiscientifico, smentito dai dati che abbiamo e quindi sbagliato. Ora la civiltà umana è troppo complessa e precaria per permettersi di lasciare andare la Terra dove vuole. Bisogna intervenire sul clima, ma in modo programmato. Le indicazioni dell'IPCC in questo senso sono molto utili. Esse ci dicono che bisogna ridurre di 1/3 le emissioi dei gas serra nei prossimi 20 anni, per non correre rischi. E' la prima volta che l'uomo fa un tentativo per stabilizzare il pianeta. Dovrà diventare molto bravo in questo, se vuole sopravvivere. Gli addetti ai lavori, dopo il Pliocene, Pleistocene e l'Holocene, cominciano a parlare del prossimo periodo come di Antrocene, cioè ambiente determinato dagli insediamenti umani, Giampaolo Carboniero ha detto: Chi o cosa guida il Corsera in questa battaglia di retroguardia? http://www.qualenergia.it/articoli/20140401-clima-il-corriere-nega-... In sintesi il report IPCC http://www.kyotoclub.org/documentazione/video/2014-apr-1/tutto_quel...

Risposto da Salvatore Venuleo su 7 Aprile 2014 a 18:38

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Grazie ad Alberto per l'informazione e per l'equilibrio.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 8 Aprile 2014 a 1:29 Io intendevo parlare di prospettiva; attualmente lo sforzo del "reparto fossile"è di sopravvivere tale e quale, con tutti i mezzi, anche truffaldini, sfruttando l'enorme potenziale finanziario in loro possesso; per me l'energia da fonti rinnovabili resta la più efficiente e sostenibile, globalmente parlando, includendo cioè nei calcoli della convenienza anche tutte le spese della filiera energetica, dalla fonte in poi; un tipo di energia disponibile in tutto il mondo e quindi la più democratica, che non necessita della disponibilità immediata di grandi concentrazioni di capitali, necessari per tutti gli altri tipi di energia; es.: costa più un gasdotto lungo migliaia di Km., con necessità continue di sorveglianza, manutenzione, dipendenza economica-politica, spese militari per difendere l'approvvigionamento, ecct. o l'equivalente, come investimento, in fonti che, una volta impiantate, costano enormemente meno come manutenzione ( comunque possibile in piccola scala e manodopera locale), senza problemi di sicurezza, incidenti, ecct.? Costano meno 3000 MW di nucleare, con necessità, come sopra, di sicurezza, spese militari necessarie alla sorveglianza e alla reperibilità della materia prima, possibili incidenti di cui paghiamo ancora lo scotto, con la gestione delle scorie ancora da risolvere, lo smantellamento e custodia successive degli edifici delle centrali, o l'equivalente investimento, per noi, nel mediterraneo, in un ventaglio di fonti, centrali solari termodinamiche, generatori eolici, biomasse, biogas, PV, geotermico, da localizzare nei luoghi più opportuni e vocati, collegate da una smart grid? Costano di più le soluzioni ad alta concentrazione di capitali, con annessi e connessi, o una politica di efficienza energetica applicata alle industrie, alle costruzioni, alla mobilità ( che potrebbe ridurre il nostro fabbisogno fino al 40-50%)? Se poi nel calcolo ci mettiamo la salvaguardia della salute, la vivibilità ambientale, anche umana, il mancato consumo di risorse non rinnovabili, il ritorno ad una emissione sostenibile di CO2, la possibile, nel tempo, indipendenza da fonti energetiche extra-europee, secondo me il risultato è incomparabile.

Risposto da giorgio varaldo su 8 Aprile 2014 a 8:03 giampaolo la situazione energetica deve tener conto della realta'. inutile parlare di energie rinnovabili quando il sentire comune le riduce al fotovoltaico ed osteggia sia l'eolico che gli impianti di accumulazione. In questo scenario come puoi aver disponibilita' energetica nelle ore notturne senza energia elettrica prodotta dal termico? qui nelle valli del natisone e sul carso con borino e bora dovrebbe esser pieno di pale eoliche.. e come mai non ne vedi neanche una? non.di sicuro a causa di presunti complotti delle spectre energetiche!

Risposto da Giampaolo Carboniero su 15 Aprile 2014 a 22:03 Quando qualcuno non vuole qualcosa ogni scusa è buona; se non si comincia oggi, non si arriverà mai a qualche traguardo, sapendo che tali risultati sono raggiungibili solo a medio-lungo termine e investendo anche in ricerca. giorgio varaldo ha detto: giampaolo la situazione energetica deve tener conto della realta'. inutile parlare di energie rinnovabili quando il sentire comune le riduce al fotovoltaico ed osteggia sia l'eolico che gli impianti di accumulazione. In questo scenario come puoi aver disponibilita' energetica nelle ore notturne senza energia elettrica prodotta dal termico? qui nelle valli del natisone e sul carso con borino e bora dovrebbe esser pieno di pale eoliche.. e come mai non ne vedi neanche una? non.di sicuro a causa di presunti complotti delle spectre energetiche!

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Risposto da giorgio varaldo su 15 Aprile 2014 a 22:15 giampaolo se dimostri (con numeri per favore) come si possa accumulare l'energia prodotta con fotovoltaico e distribuirla di notte o quando e' nuvolo mi iscrivo immediatamente ad una associazione ambientalistica di tua scelta

Risposto da Giampaolo Carboniero su 15 Aprile 2014 a 22:46 Non solo con fotovoltaico, c'è, p.e., la tecnologia dei sali per le centrali termosolari( scoperta italiana), la possibilità di ricaricare i bacini montani (dove possibile), la migliore soluzione sarebbe uno spettro di sorgenti integrate in uma smart grid; http://www.treehugger.com/search/?cx=017401606067716418337%3Abtpggk...

Risposto da giorgio varaldo su 15 Aprile 2014 a 23:10 sull'utilizzo dei bacini idroelettrici come accumulatori di energia sarei d'accordo peccato che i movimenti ecologisti (vedi centrale di somplago) la pensino diversamente ed abbiano bloccato la ricostruzione della centrale Riguardo alle altre tecnologie la tecnica dei sali e' ancora in fase sperimentale e quella delle batterie ancora troppo costosa (ho appena acquistato una batteria al LiFePO4 per moto) pertanto almeno per i prossimi 10 anni senza energia termica fermeremmo il paese.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 17 Aprile 2014 a 17:03 Perchè l'hai acquistata se è ancora troppo costosa? giorgio varaldo ha detto: sull'utilizzo dei bacini idroelettrici come accumulatori di energia sarei d'accordo peccato che i movimenti ecologisti (vedi centrale di somplago) la pensino diversamente ed abbiano bloccato la ricostruzione della centrale Riguardo alle altre tecnologie la tecnica dei sali e' ancora in fase sperimentale e quella delle batterie ancora troppo costosa (ho appena acquistato una batteria al LiFePO4 per moto) pertanto almeno per i prossimi 10 anni senza energia termica fermeremmo il paese.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 18 Aprile 2014 a 22:40 No comment: http://www.qualenergia.it/printpdf/articoli/20140417-rapporto-ipcc-...

Risposto da Alessandro Bellotti su 23 Aprile 2014 a 17:08

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Si parla di energia e di fotovoltaico. Magari anche di idroelettrico o di nucleare. E si dimentica che queste fonti di energia servono solo per produrre energia elettrica che rappresenta meno di un terzo dell'energia che la specie umana usa per vivere. Ogni anno si attaccano alla rete mondiale non meno di 200 Gw di nuova potenza elettrica. Escludendo il nucleare, le uniche alternative sono le rinnovabili (come ci dice da anni il direttore esecutivo IEA) oppure le fonti fossili. Il nucleare non si può prendere in considerazione in quanto la fame di nuova potenza elettrica è tale che si dovrebbero costruire e allacciare ogni anno alla rete non meno di 100 reattori. Visti i numeri del wordnuclear, l'unica deduzione possibile è che l'industria nucleare ha fallito nell'impresa. Fra 10/15 anni il nucleare peserà meno del 2%. Un contributo inutile, recuperabile con un pò di risparmio energetico. IEA ha le idee chiare. Rinnovabili, rinnovabili e ancora rinnovabili. Magari con grande tecnologia nella distribuzione. La grandi multinazionali come la Siemens (400.000 dipendenti !!!!) sono uscite da tempo dal nucleare concentrandosi sulla tecnologia e sull'intelligenza della distribuzione. La strada è ormai tracciata. SI faranno grandi investimenti nelle rinnovabili e nel risparmio energetico sia a livello di energia primaria che elettrica. La Germania (come al solito...) ha già tracciato la via. Fuori dal nucleare e furiosi investimenti in rinnovabili e risparmio energetico. Rimangono i paesi emergenti. Che continueranno a produrre energia elettrica con il carbone. Solo la Cina allaccia, ogni 10 giorni, 500 Mw di nuova potenza (carbone...).

Risposto da Giampaolo Carboniero su 25 Aprile 2014 a 2:21 Inizia una nuova era in edilizia? http://www.parchiperkyoto.it/ue-divisa-su-target-clima-ed-energia/

Risposto da Antonino Andaloro su 27 Aprile 2014 a 14:54 Mi posso permettere di esprimere un " MI PIACE " su ciò che dice Alessandro? Ma se la strada è tracciata, sarebbe il caso che tutti i paesi europei lavorassero tutti assieme per un'unico obiettivo?Perchè non scelgono tutti un tipo di politica energetica ? Alessandro Bellotti ha detto: Si parla di energia e di fotovoltaico. Magari anche di idroelettrico o di nucleare. E si dimentica che queste fonti di energia servono solo per produrre energia elettrica che rappresenta meno di un terzo dell'energia che la specie umana usa per vivere. Ogni anno si attaccano alla rete mondiale non meno di 200 Gw di nuova potenza elettrica. Escludendo il nucleare, le uniche alternative sono le rinnovabili (come ci dice da anni il direttore esecutivo IEA) oppure le fonti fossili. Il nucleare non si può prendere in considerazione in quanto la fame di nuova potenza elettrica è tale che si dovrebbero costruire e allacciare ogni anno alla rete non meno di 100 reattori. Visti i numeri del wordnuclear, l'unica deduzione possibile è che l'industria nucleare ha fallito nell'impresa. Fra 10/15 anni il nucleare peserà meno del 2%. Un contributo inutile, recuperabile con un pò di risparmio energetico. IEA ha le idee chiare. Rinnovabili, rinnovabili e ancora rinnovabili. Magari con grande tecnologia nella distribuzione. La grandi multinazionali come la Siemens (400.000 dipendenti !!!!) sono uscite da tempo dal nucleare concentrandosi sulla tecnologia e sull'intelligenza della distribuzione. La strada è ormai tracciata. SI faranno grandi investimenti nelle rinnovabili e nel risparmio energetico sia a livello di energia primaria che elettrica. La Germania (come al solito...) ha già tracciato la via. Fuori dal nucleare e furiosi investimenti in rinnovabili e risparmio energetico. Rimangono i paesi emergenti. Che continueranno a produrre energia elettrica con il carbone. Solo la Cina allaccia, ogni 10 giorni, 500 Mw di nuova potenza (carbone...).

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Risposto da Fabio Colasanti su 27 Aprile 2014 a 17:28 Antonino, perché hanno interessi oggettivamente diversi. Le decisioni sono difficili da prendere perché gli interessi sono diversi e le percezioni dell'opinione pubblica sono anche diverse. Per cominciare, la popolazione di alcuni paesi europei non hanno la paura del nucleare che hanno altre. Quindi i cittadini di questi paesi accettano tranquillamente che si continui a produrre energia elettrica con le centrali nucleari. In ogni caso, i paesi che hanno abbandonato il nucleare faranno ricorso per i loro picchi di consumo all'energia elettrica prodotta da chi continua ad utilizzare il nucleare. E' il caso dell'Italia che compra energia elettrica in Francia, è il caso della Germania che la compra da vari paesi limitrofi con centrali nucleari. Vengo poi agli obiettivi per il taglio deglle emissioni di CO2. Il loro volume è correlato abbastanza on il livello dell'attività economica. L'Italia, purtroppo, è cresciuta pochissimo rispetto al 1990. Quindi per l'Italia impegnarsi su di una riduzione del, mettiamo, trenta per cento del volume di emissioni rispetto a livello del 1990 significa impegnarsi ad una riduzione di circa il 35 per cento. In ogni caso, non ci aspettiamo una crescita forte della nostra economia anche negli anni a venire e quindi un obiettivo del genere sembra fattibile. I paesi dell'est Europa - dei quali si è parlato in un post precedente - hanno oggi un livello di attività economica superiore di un buon 30 per cento a quello del 1990. Per loro lo stesso obiettivo dell'esempio precedente per l'Italia - meno trenta per cento - significa tagliare le emissioni di ben oltre il cinquanta per cento; si tratta di uno sforzo molto superiore. Inoltre questi paesi sperano di avere tassi di crescita forte anche negli anni a venire e non vogliono comprometterlo. Aggiungo un'ultima osservazione cattiva, ma vera. I paesi dell'est Europa forse esitano ad impegnarsi perché pensano che gli impegni assunti in sede europea siano impegni seri. Purtroppo il nostro paese è conosciuto - in campo ambientale - per aver accettato tutte le proposte comunitarie, anche le più ambiziose, e per non averle poi rispettate. Siamo il paese con ilpiù alto numero di infrazioni alla legislazione comunitaria ed il grosso sono proprio nel campo della protezione dell'ambiente. E poi c'è il fatto che i paesi hanno dotazioni diverse di risorse utilizzabili. Chi ha molto carbone vorrà utilizzzarlo, anche se emette CO2. Non c'è dubbio che si debba fare uno sforzo per ridurre le emissioni di CO2, ma non è facile e non è per cattiveria che i paesi non si mettono d'accordo. .

Risposto da Giampaolo Carboniero su 28 Aprile 2014 a 0:19 Forse quei popoli non vengono bene informati sui rischi relativi, p.e., all'energia nucleare; ho letto di recente che stiamo predisponendo la costruzione di un deposito per le scorie, attuali e quelle che rientreranno fra qualche anno da coloro che le hanno processate, prodotte dagli ospedali, dalle dismissione delle centrali, ecct.; questo deposito dovrebbe accogliere le scorie a bassa e media intensità radiottiva, con una durata di decadimento sui 300 anni; restano le altre, quelle ad alta intensità, per le quali si parla di decadimento dell'ordine di migliaia di anni; dove le metteremo? Sotto le case di chi vuole l'energia nucleare? No, disgraziatamente ho il sospetto che finiranno in qualche paese del terzo mondo, o peggio, in fondo all'oceano. Sarebbe questo il sistema di pensare al futuro delle prossime generazioni? Perchè non diffondere le previsioni dell'IPCC, spiegandole alle persone, studiandole nelle scuole, ecct.? Si preferisce pensare ai popoli moderni come a masse analfabete da pilotare illudendole di fare tutto nel loro interesse, infarcendo i discorsi di buoni proponimenti e scopi nobili, immediatamente sconfessati dai comportamenti dei governi e dei potenti, che fanno esattamente l'opposto, anestetizzando la pubblica opinione attraverso la stampa e i media; bisognerebbe, si dovrebbe fare, sarebbe giusto, si potrebbe, ecct. mai sentito queste premesse? Però poi: si deve tenere conto della realtà, non tutti la pensano alla stessa maniera, prima si deve pensare alla pancia, prima c'è ben altro, le cose prioritarie, ecct.. Una contraddizione continua, perchè se altri sono ladri, questo non può giustificare le mie ruberie, se altri trovano più economico sfruttare i bisogni e la disperazione di qualcuno che sta morendo di fame,

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

questo non deve giustificare il mio disinteresse, se altri producono ricchezze spropositate saccheggiando il mondo, che non appartiene solo a loro, o a noi, non posso accettare qualunque tipo di giustificazione, anche cosiddetta ragionevole, che possa rendere accettabili le conseguenze dei loro atti, se non altro per un sano senso di egoismo verso i miei discendenti.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 28 Aprile 2014 a 0:43 Ho trovato l'articolo cui ho fatto riferimento precedentemente http://espresso.repubblica.it/inchieste/2014/04/17/news/scorie-radi...

Risposto da giorgio varaldo su 28 Aprile 2014 a 1:13 ok giampaolo dove costruiamo l'impianto per immagazzinare le scorie radioattive non provenienti dalla dismissione delle centrali nucleari?

Risposto da Giampaolo Carboniero su 28 Aprile 2014 a 1:41 Quelle sono le meno problematiche, perchè hanno una decadenza di pochi decenni. Guarda che, fosse per me, chiuderei immediatamente tutte le centrali e le farei dismettere a chi le ha costruite e ci ha guadagnato sopra ( lo so già, sono un irresponsabile sognatore); non eri tu e qualcun altro a loro favore ? Tu, e gli altri, vi sarete sicuramente posto il problema di come gestire tutta la filiera, no? Pensando, magari, anche all'eredità che lasceremo. Sorgono problemi di approvvigionamento? Si cercano alternative; costano di più, danneggiano l'economia? Ci costerà e farà sempre meno danni che avvelenare il mondo, manco fossimo fossimo le ultime generazione dell'umanità, che arraffano tutto prima di scomparire.

Risposto da Alessandro Bellotti su 30 Aprile 2014 a 16:32 Onde fugare ogni dubbio, non sono contrario al nucleare. Sono contrario al nucleare in Italia, con tecnologia EPR francese. Sono anche convinto che chi ha il nucleare funzionante faccia bene a conservare questa forma di energia fino alla fine della vita delle centrali. Ritengo anche sicuro il nucleare di terza. E' solo profondamente antieconomico. I buontemponi alla Chicco Testa che ci parlano ancora oggi di nucleare (!!!!) non hanno evidentemente fatto un pò di conti. Ovviamente, i buontemponi di cui sopra, nei loro discorsi pro-nucleo, portano sempre e solo cifre vecchie, magari di 20 o 30 anni. Occorre infatti sempre ricordare che è dal 1995 che in Europa non viene allacciato un nuovo reattore. Ci stanno provando in Finlandia e in Francia con i risultati (si fa per ire..) che tutti conosciamo. La specie umana non potrà contare sul nucleare per abbattere il riscaldamento del pianeta. Riscaldamento che si fa sentire anche a Modena. Oggi (tanto per non farci mancare nulla...) trompa d'aria molto forte in città e a nord, con capannoni scoperchiati, tetti che volano etc... Lombroso ha affermato mezz'ora fa che nella sua vita non avrebbe mai immaginato di assistere a fenomeni tropicali a Modena. Il nucleare non potrà contribuire a smorzare l'innalzamento di temperatura del globo in quanto le industrie coinvolte (che sono sempre meno...) non possono rendere disponibili 1000 reattori (1000 Gw) in pochi anni. Quindi l'unica risposta al riscaldamento del pianeta (lo dice anche il direttore esecutivo IEA) sono le rinnovabili.

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Come ho già postato, fra 10 anni, il nucleare darà un contributo non misurabile ai consumi di energia della specie umana. Quindi porsi i problemi delle scorie, del mantenimento e della gestione del nucleare non ha nemmeno significato. Basta farsi un giro sul sito del wordnuclear per capire che i nuovi reattori che verranno allacciati entro il 2030 copriranno a livello energetico quelli che nel frattempo verranno spenti (obsolescenza, rinuncia al nucleare etc...). E il wordnuclear, si sa, è un pò di parte... Nel frattempo (prossimi 15 anni) l'umanità avrà grande fame di energia. Non solo elettrica che, ricordo, è solo il 30% dell'energia 'consumata' dall'uomo. Il nucleare, ovviamente, fa solo energia elettrica.... Ci sono e ci saranno miliardi di persone affamate di energia. Che il nucleare, come lo pensiamo oggi o fra 15/20 anni non potrà fornire. Poi ci sono anche le lobbies da soddisfare... Fabio Colasanti ha detto: Antonino, perché hanno interessi oggettivamente diversi. Le decisioni sono difficili da prendere perché gli interessi sono diversi e le percezioni dell'opinione pubblica sono anche diverse. Per cominciare, la popolazione di alcuni paesi europei non hanno la paura del nucleare che hanno altre. Quindi i cittadini di questi paesi accettano tranquillamente che si continui a produrre energia elettrica con le centrali nucleari. In ogni caso, i paesi che hanno abbandonato il nucleare faranno ricorso per i loro picchi di consumo all'energia elettrica prodotta da chi continua ad utilizzare il nucleare. E' il caso dell'Italia che compra energia elettrica in Francia, è il caso della Germania che la compra da vari paesi limitrofi con centrali nucleari. Vengo poi agli obiettivi per il taglio deglle emissioni di CO2. Il loro volume è correlato abbastanza on il livello dell'attività economica. L'Italia, purtroppo, è cresciuta pochissimo rispetto al 1990. Quindi per l'Italia impegnarsi su di una riduzione del, mettiamo, trenta per cento del volume di emissioni rispetto a livello del 1990 significa impegnarsi ad una riduzione di circa il 35 per cento. In ogni caso, non ci aspettiamo una crescita forte della nostra economia anche negli anni a venire e quindi un obiettivo del genere sembra fattibile. I paesi dell'est Europa - dei quali si è parlato in un post precedente - hanno oggi un livello di attività economica superiore di un buon 30 per cento a quello del 1990. Per loro lo stesso obiettivo dell'esempio precedente per l'Italia - meno trenta per cento - significa tagliare le emissioni di ben oltre il cinquanta per cento; si tratta di uno sforzo molto superiore. Inoltre questi paesi sperano di avere tassi di crescita forte anche negli anni a venire e non vogliono comprometterlo. Aggiungo un'ultima osservazione cattiva, ma vera. I paesi dell'est Europa forse esitano ad impegnarsi perché pensano che gli impegni assunti in sede europea siano impegni seri. Purtroppo il nostro paese è conosciuto - in campo ambientale - per aver accettato tutte le proposte comunitarie, anche le più ambiziose, e per non averle poi rispettate. Siamo il paese con ilpiù alto numero di infrazioni alla legislazione comunitaria ed il grosso sono proprio nel campo della protezione dell'ambiente. E poi c'è il fatto che i paesi hanno dotazioni diverse di risorse utilizzabili. Chi ha molto carbone vorrà utilizzzarlo, anche se emette CO2. Non c'è dubbio che si debba fare uno sforzo per ridurre le emissioni di CO2, ma non è facile e non è per cattiveria che i paesi non si mettono d'accordo. .

Risposto da Alessandro Toccafondi su 1 Maggio 2014 a 15:02 Vorrei postare un sito che parla di economia (traduzioni di pensieri e/o posizioni di economisti stranieri) che credo, serva a comprendere meglio varie posizioni dei paesi dell'Eurozona e non solo. www.lafataturchinaeconomics.it E' illuminante e crea tante domande.Buona lettura. Alessandro

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Risposto da Cristina Favati su 1 Maggio 2014 a 15:03 Non riesco ad aprire il link. Dice che la pagina web non è più disponibile. Succede solo a me? Alessandro Toccafondi ha detto: Vorrei postare un sito che parla di economia (traduzioni di pensieri e/o posizioni di economisti stranieri) che credo, serva a comprendere meglio varie posizioni dei paesi dell'Eurozona e non solo. www.lafataturchinaeconomics.it E' illuminante e crea tante domande.Buona lettura. Alessandro

Risposto da Salvatore Venuleo su 1 Maggio 2014 a 15:15 Non riesco neanch'io ad aprirlo. Cristina Semino ha detto: Non riesco ad aprire il link. Dice che la pagina web non è più disponibile. Succede solo a me? Alessandro Toccafondi ha detto: Vorrei postare un sito che parla di economia (traduzioni di pensieri e/o posizioni di economisti stranieri) che credo, serva a comprendere meglio varie posizioni dei paesi dell'Eurozona e non solo. www.lafataturchinaeconomics.it E' illuminante e crea tante domande.Buona lettura. Alessandro

Risposto da Alessandro Toccafondi su 1 Maggio 2014 a 15:40 www.lafataturchinaeconomics.com Chiedo scusa ho sbagliato nel trascriverlo.

Risposto da Fabio Colasanti su 1 Maggio 2014 a 19:18 Alessandro, ho cercato con Google e ho trovato lo stesso link. Possibile che la differenza sia solo nello "stroke" finale ? http://www.fataturchinaeconomics.com/ Il sito è interessante perché presenta le traduzioni in italiano di articoli di vari economisti progressisti e seri (non degli stregoni della Modern Monetary Theory o dei guru alla Paolo Bernard).

Risposto da Cristina Favati su 1 Maggio 2014 a 19:32 Ho aggiunto il link del sito La Fata Turchina in "Siti consigliati" per una più facile consultazione. Fabio Colasanti ha detto: Alessandro, ho cercato con Google e ho trovato lo stesso link. Possibile che la differenza sia solo nello "stroke" finale ? http://www.fataturchinaeconomics.com/

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Il sito è interessante perché presenta le traduzioni in italiano di articoli di vari economisti progressisti e seri (non degli stregoni della Modern Monetary Theory o dei guru alla Paolo Bernard).

Risposto da Giampaolo Carboniero su 14 Maggio 2014 a 2:37 Naturalmente questo riguarderà i figli dei figli dei nostri figli, perciò..... chi se ne frega! http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/05/13/polo-sud-e-il-collasso-d...

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 14 Maggio 2014 a 19:51 A proposito del dibattito sulle tesi dell'ultimo libro dell'economista Piketty http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2014-05-14/piketty-e-spirit... http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-05-10/il-mondo-sta-megl...

Risposto da Fabio Colasanti su 15 Maggio 2014 a 15:53 Laura, non penso che la vittoria di Nanendra Modi sia una buona notizia. I nazionalisti sono sempre molto pericolosi. Il nazionalismo enfatizza le differenze tra "noi", la nazione eletta, e gli altri.

Risposto da giovanni de sio cesari su 16 Maggio 2014 a 11:16 Si, non mi pare una buona notizia anche perchè era prevista largamente una affermazione di Modi ma non nella misura in cui si profila stamattina: pare il suo partito (Bharatiya Janata Party ) avrebbe la maggioranza assoluta e quindi non sarebbe frenato dagli alleati. Mentre sappiamo tutto sull’integralismo islamico quasi nulla trapela su quello indù che pure esiste. Per esempio qualche anno fa in Orissa vi furono violenze contro i cristiani che provocarono decine di morti e decine di migliaia di profughi fra i cristiani. Di essi pero non si seppe praticamente nulla in Occidente mentre avrebbero sollevato il mondo se fossero avvenuto nell’ambito islamico L’india infatti da una parte ci appare la più grande democrazia del mondo e dell’altra la terra della non-violenza e della tolleranza, del Mahatma Gandhi, il padre della patria. In realtà esistono però molte Indie: la parte sviluppata economicamente che parla inglese è certamente democratica, laica e tollerante, lontanissima dalle faide religiose, ma esiste anche un’India profonda, agricola e poverissima in cui le antiche superstizioni sono intatte cosi come lo sono gli assetti sociali fondati sulle caste, sulla esclusione dei paria, gli intoccabili, attualmente definiti con il termine DALIT (oppressi). In questa India nemmeno Gandhi è stato mai veramente ascoltato: egli chiamò i paria “Harijans” (figli di Dio) e predicò sempre la più ampia e radicale tolleranza religiosa: non a caso il suo assassino proveniva da questo mondo ancestrale non certo dai “nemici” islamici. Tuttavia, a quanto ho capito, le motivazioni del successo non sono culturali religiose, ma economiche. Lo sviluppo dell’India segna il passo (come quello cinese, d’altronde). Ora Modi ha avuto grande successo di sviluppo nel suo stato del Gujarat adottando una politica più liberista mentre il Partito del congresso rimane pur sempre un partito dagli ideali solidaristici (socialismo indiano) Non per niente le borse indiane festeggiano. Fabio Colasanti ha detto:

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Laura, non penso che la vittoria di Nanendra Modi sia una buona notizia. I nazionalisti sono sempre molto pericolosi. Il nazionalismo enfatizza le differenze tra "noi", la nazione eletta, e gli altri.

Risposto da giorgio varaldo su 22 Maggio 2014 a 1:09 in caso di scontro fra le milizie islamiche e le forze ribelli di haftar l'esito è scontato. haftar gode dell'appoggio egiziano ed ha dalla sua parte l'aviazione inoltre sarà piuttosto difficile che USA francia ed inghilterra possano imporre la "no fly zone" senza la quale oggi gheddafi sarebbe ancor vivo e vegeto. l'indisponibilità delle milizie islamiche qaediste attualmente impegnate in siria hanno già permesso ai generali egiziani prendere il controllo sull'egitto e non potranno intervenire in libia contro haftar che potrà usufruire dell'aiuto logistico egiziano mentre le possibilità di sostegno ai "lealisti" sono praticamente nulle pertanto anche la capacità bellica delle milizie islamiche a sostegno del governo libico decaderebbe rapidamente. laura sgaravatto ha detto: La Libia sprofonda verso la guerra civile, scontri a Tripoli Fratelli musulmani, Haftar vuole scenario Egitto ma qui tutti armati 21 maggio, 20:10 Il comandante delle Libyan Army Special Forces (destra) mentre annuncia a Bengasi il suo sostegno al gen. Haftar (archvio) (di Claudio Accogli) (ANSAmed) - ROMA - L'incubo della guerra civile torna a pesare sulla Libia, teatro negli ultimi giorni di un 'golpe de facto' guidato dall'ex generale Khalifa Haftar, che ha promesso di ripulire il Paese dai Fratelli musulmani - definiti un "morbo maligno" - e dove gli scontri armati proseguono. La Confraternita non è rimasta con la penna in mano: Haftar "vuole creare un nuovo scenario egiziano", dove i militari hanno deposto i Fratelli Musulmani al potere, ha detto il leader Bashir Al-Kabti. "Ma in Libia non succederà: tutti sono armati. Ogni casa ha almeno un'arma, una mitragliatrice, un Rpg, ogni tipo di arma si può trovare nelle strade", tuona minaccioso Kabti. Una delle tante sigle della galassia di ex ribelli anti-Gheddafi, la Libyan Revolutionaries' Operations Room, definisce Haftar "un perdente" e invita i "veri ribelli (rivoluzionari anti-rais, ndr) alla diserzione". Le ultime ore sono state segnate da nuovi conflitti a fuoco e attentati, con almeno tre morti: alle prime ore dell'alba, un commando armato ha bersagliato a colpi di razzi la sede dell'Aviazione a Tripoli, dopo che il suo comandante, il capo di Stato Maggiore Jumaa Al Abani, aveva annunciato il sostegno a Haftar. Due le vittime, secondo i testimoni. Scontri anche alla periferia orientale di Tripoli, a Tajura, crocevia di antiche rivalità tra gheddafiani e ribelli. Un ingegnere cinese è stato invece ucciso a Bengasi da sconosciuti, mentre il comandante della Marina è rimasto illeso dopo un agguato al suo convoglio, sempre a Tripoli. Il militare è stato "ferito leggermente alla testa", come sue due guardie del corpo. In questo quadro, domani a Lisbona il ministro Federica Mogherini incontrerà l'omologo Mohamed Abdelaziz: Mogherini ribadirà al collega la preoccupazione per gli sviluppi degli ultimi giorni, dopo lo scambio di fioretto di ieri tra il premier Matteo Renzi, che invita l'Ue a fare di più, e la secca risposta di Bruxelles, "il nostro ruolo è già molto attivo". La situazione in Libia, ammonisce la Rivista italiana di Difesa (Rid), è di estrema volatilità. Se Haftar può contare sul sostegno di comandanti e unità di elite sparse nel Paese, scrive Rid, dovrà prima o poi fare i conti con il Libya Shield (lo scudo della Libia), che "oggi è probabilmente la milizia più forte", perché "raccoglie numerose milizie, legate anche all'universo islamista e salafita".

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Il gruppo, avvertono gli esperti italiani, "è ad oggi il vero Esercito libico". Ed è considerato assai vicino ai Fratelli Musulmani che Haftar vuole "sradicare". E in Libia, proseguono gli esperti italiani, ci sono almeno tre gruppi jihadisti filo-al Qaida. L'Aqmi, il ramo nordafricano del network del terrore; El-Muwaqiin Bi Dam (Coloro che Firmano con il Sangue), guidato Mokhtar Belmokhtar, la mente dell'attacco all'impianto di In Amenas in Algeria finito in strage; e Ansar Al Sharia, particolarmente attiva a Bengasi e nell'est del Paese. Al vertice di Ansar al Sharia, accusata dell'attacco a Bengasi del 2012 in cui rimase ucciso l'ambasciatore Usa Chris Stevens, c'è Sufyan ben Qumu, ex di Guantanamo, poi incarcerato in Libia e uscito di prigione nel 2010, nell'ambito del programma di de-radicalizzazione portato avanti da Saif al Islam Gheddafi. Oggi è il figlio dell'ex rais a stare dietro le sbarre, in un carcere di Zintan. La Corte penale internazionale ha rigettato la richiesta di Tripoli di poterlo processare in Libia, le prime udienze si sono già tenute. Un'altre tegola sulla nuova Libia che stenta a nascere.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 25 Maggio 2014 a 2:53 Spero che, dette da Krugman, certe asserzioni siano più credibili di quando le esprimo io.

Risposto da Fabio Colasanti su 25 Maggio 2014 a 4:19 Giampaolo, l'articolo di Krugman è molto interessante. Se è vero che il costo del fotovoltaico si è ridotto del 75 percento dal 2008 questo signifca che possiamo ridurre fortemente o addirittura re i sussidi. Non possiamo continuare a spendere quasi dieci miliardi di euro all'anno e Krugman dice implicitamente che non è più necessario. Le riduzioni che il governo sta preparando sono quindi assolutamente giustificate. Giampaolo Carboniero ha detto: Spero che, dette da Krugman, certe asserzioni siano più credibili di quando le esprimo io.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 25 Maggio 2014 a 16:45 D'accordissimo, purchè vengano aboliti anche per il settore fossile-nucleare, sia quelli diretti che quelli indiretti; per quanto riguarda la politica del governo, un conto è annullare i sussidi, come già detto ciò dovrebbe essere fatto per tutte le fonti energetiche, altro agire sulla base di una strategia, un piano energetico, compresa la ricerca, che guardi al medio-lungo termine, e, mi spiace (per modo di dire), sul medio lungo termine i combustibili fossili e nucleari sono destinati all'esaurimento. Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, l'articolo di Krugman è molto interessante. Se è vero che il costo del fotovoltaico si è ridotto del 75 percento dal 2008 questo signifca che possiamo ridurre fortemente o addirittura re i sussidi. Non possiamo continuare a spendere quasi dieci miliardi di euro all'anno e Krugman dice implicitamente che non è più necessario. Le riduzioni che il governo sta preparando sono quindi assolutamente giustificate. Giampaolo Carboniero ha detto: Spero che, dette da Krugman, certe asserzioni siano più credibili di quando le esprimo io.

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Risposto da Giampaolo Carboniero su 26 Maggio 2014 a 12:51 Su cosa deve discutere la politica mondiale, specialmente quella europea e italiana: http://www.theguardian.com/environment/interactive/2013/nov/20/whic...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 27 Maggio 2014 a 2:13 Altri punti di vista sul mondo, quello cosiddetto "civile" e sviluppato http://www.genitronsviluppo.com/2014/05/16/bioeconomia-e-guerra/

Risposto da Fabio Colasanti su 29 Maggio 2014 a 4:30 Questo discorso è abbastanza importante: gli Stati Uniti ricorreranno sempre meno agli interventi militari. http://www.europaquotidiano.it/2014/05/28/obama-un-fondo-anti-terro...

Risposto da Antonino Andaloro su 29 Maggio 2014 a 13:26 Continuo a non accettare l'idea di legare esclusivamente la crescita economica (o aumento di PIL) alle coperture finanziarie dello stato, il che vuol dire INCREMENTARE il debito, e per quale motivo ? IL PIL PROCAPITE non può crescere o mantenersi anche grazie alla auto produzione di beni locali? Se una comunità X riesce a produrre beni che coprono 80 % dei fabbisogni non siamo a posto ? Secondo me và riscoperto e valorizzato tutto ciò che ruota attorno al fabbisogno, visto che ormai il nostro è un popolo che non riesce più ad autogestirsi e che importa dall'estero quantità enormi di merce, anche alimentare. Puntare sulla ricerca e sulla produttività locale italiana, è senz'altro una scelta strategica che non lascia padri di famiglia senza lavoro.Secondo voi è meglio avere 1000 padri di famiglia disoccupati e sostenuti dagli ammortizzatori sociali, piuttosto che mille padri di famiglia che si auto producono un reddito di 1000 euro cadauno al mese ?

Risposto da Giampaolo Carboniero su 29 Maggio 2014 a 15:50 Le grandezze da prendere in considerazione sull'argomento energia, da noi, in Europa, nel mondo. http://www.treehugger.com/renewable-energy/solar-graph-so-wicked-it...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 30 Maggio 2014 a 1:34 http://www.resilientdesign.org/creating-a-more-resilient-power-grid/

Risposto da Fabio Colasanti su 4 Giugno 2014 a 22:05

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Giampaolo, che pensi delle limitazioni alle emissioni di CO2 annunciate due giorni fa da Barak Obama?

Risposto da Giampaolo Carboniero su 4 Giugno 2014 a 23:39 Aspetto sulla riva del fiume; è difficile ormai credere alle parole, di chiunque.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 4 Giugno 2014 a 23:49 Fabio, ti riferivi a queste misure? http://www.treehugger.com/economics/us-imposes-tariffs-35-certain-s...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 5 Giugno 2014 a 0:09 Sarebbe questo l'ambizioso piano di Obama? http://www.treehugger.com/environmental-policy/obama-and-epa-unveil...

Risposto da Fabio Colasanti su 5 Giugno 2014 a 0:35 Giampaolo, si, si tratta proprio di questo. L'opposizione repubblicana è furibonda. Ma perfino il giornale on line che citi, treehugger, ne da un giudizio piuttosto positivo. Casomai non li avessi notati riporto i due ultimi paragrafi dell'articolo che tu stesso hai postato. More ambitious targets are probably required to truly stabilize the climate, but this is a good step. Once the US starts doing something rather than be frozen into inaction, it'll be much easier to get more ambitious goals in action. So not a victory (and the plan hasn't yet been legally challenged, which is sure to happen), but a step in the right direction. One important possible effect of this plan is that it could encourage other countries to step up their efforts. Some were waiting for the US - still the most influential country in the world - to do something. We'll have to wait and see if this gets things going or not... Giampaolo Carboniero ha detto: Sarebbe questo l'ambizioso piano di Obama? http://www.treehugger.com/environmental-policy/obama-and-epa-unveil...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 6 Giugno 2014 a 1:31 Fabio, torno a ripetere: sto sulla riva e attendo i fatti; comunque la situazione degli USA, ricchi di petrolio e gas, è ben diversa, sia come risorse che come quantità e distribuzione demografica, dalla UE; per questo la UE, povera di risorse, salvo quelle inquinanti del carbone, ha adottato, e sta adottando, misure molto più ambiziose ( ha prodotto finora fatti, spero continui senza ascoltare le sirene di chi vorrebbe applicare le stesse soluzioni in tutto il mondo, indipendentemente dalle caratteristiche particolari dei vari territori)

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Risposto da giorgio varaldo su 6 Giugno 2014 a 8:37 europa povera di risorse? se mai una europa che non vuole sfruttare le sue risorse. dalle torri eoliche del mar del nord non collegate alla rete distributiva agli impianti di rigassificazione che nessuno vuole sino alle risorse di idrocarburi in sicilia o in adriatico volutamente non sfruttate (per non parlare del rifiuto per la tecnologia shale) gli esempi di autocastrazione europea si sprecano. non sarà il caso di dare più spazio ai "ragionieri"?

Risposto da Giampaolo Carboniero su 6 Giugno 2014 a 21:00 Parlavo di risorse fossili; quelle dell'Adriatico sarebbero risorse bastanti si e no per un anno; in quanto ai rigassificatori, non sarebbe più logico sfruttare prima il biogas dal trattamento di RSU e dalla zootecnia? Quello che serve soprattutto all'Europa è una rete smart grid che possa smistare l'energia a seconda dell'occorrenza, e una politica di efficienza energetica allargata a tutti i settori, pubblici e privati. ( Per inciso le incentivazioni fiscali sulla riqualificazione energetica, introdotte inizialmente da Prodi, sono le uniche azioni che stanno creando sviluppo e posti di lavoro-ne contengono almeno le perdite) giorgio varaldo ha detto: europa povera di risorse? se mai una europa che non vuole sfruttare le sue risorse. dalle torri eoliche del mar del nord non collegate alla rete distributiva agli impianti di rigassificazione che nessuno vuole sino alle risorse di idrocarburi in sicilia o in adriatico volutamente non sfruttate (per non parlare del rifiuto per la tecnologia shale) gli esempi di autocastrazione europea si sprecano. non sarà il caso di dare più spazio ai "ragionieri"?

Risposto da giorgio varaldo su 6 Giugno 2014 a 21:22 giampaolo scusa la franchezza ma non capisco il tuo modo di ragionare. sei favorevole agli impianti a biomasse come lo sono anche io purtroppo ho la vaga impressione che a volerli siamo solo noi due in quanto tanto per far un esempio il PD provinciale di udine si è schierato contro l'impianto di biomasse di sedegliano http://www.pd.udine.it/index.php?option=com_content&task=view&a... posso capire critiche costruttive ma una critica è costruttiva quando suggerisce modifiche non quando blocca gli impianti ed in particolare li blocca non per ragioni tecniche bensì per demagogia allo stato puro a questo punto a meno che lasciamo questo PD e ci trasferiamo in NCD o in FI ho proprio l'impressione che a sinistra come capita al PD di udine si parli tanto di energie rinnovabili ma se ne parli solo .. e nel frattempo qui in provincia di udine si importa energia elettrica prodotta con nucleare nell'impianto di krsko Giampaolo Carboniero ha detto: Parlavo di risorse fossili; quelle dell'Adriatico sarebbero risorse bastanti si e no per un anno; in quanto ai rigassificatori, non sarebbe più logico sfruttare prima il biogas dal trattamento di RSU e dalla zootecnia? Quello che serve soprattutto all'Europa è una rete smart grid che possa smistare l'energia a seconda dell'occorrenza, e una politica di efficienza energetica allargata a tutti i settori, pubblici e privati. ( Per inciso le incentivazioni fiscali sulla riqualificazione energetica, introdotte inizialmente da Prodi, sono le uniche azioni che stanno creando sviluppo e posti di lavoro-ne contengono almeno le perdite)

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Risposto da Fabio Colasanti su 6 Giugno 2014 a 23:20 Ricevo da Robero Vacca e posto. INEGUAGLIANZA ECCESSIVA –“Il Capitale nel XXI Secolo” di T.Piketty - di Roberto Vacca, 6/6/2014 Abraham Lincoln contro le mire territoriali verso il Messico del Presidente Polk (1846) citò un mitico farmer: “Non sono avido di terra, voglio solo quella che confina con la mia!” Era un ovvio progetto di arricchimento senza limiti. C’è oggi il rischio che gli arricchimenti eccessivi producano ineguaglianze tali da produrre instabilità politica e reazioni turbolente? Lo sostiene il Prof Thomas Piketty nel suo libro “Il capitale nel XXI Secolo” in cui analizza grandi moli di dati raccolte in un decennio. In USA fino al 1940 il 10% della popolazione riceveva il 45% dei redditi totali; poi per 40 anni sceso al 33%. mentre dal 1980 è risalito al 48%. In Europa e in USA fino al 1930 il 10% della popolazione deteneva oltre l’80% della ricchezza. Poi a causa di tasse, inflazione, fallimenti, avvento del welfare state, la percentuale scese al 60%. Negli ultimi 40 anni sta risalendo. Dò qui una rapida idea del contenuto di “Capital”. Sarà inadeguata: le 700 pagine del libro vanno meditate. Riferirò anche sulle accese polemiche che ha scatenato. Oltre che culturale, l’interesse è politico. Sappiamo bene che i redditi da lavoro, come la ricchezza, sono distribuiti in modo da seguire la legge di Pareto, dunque, con differenziali marcati ai livelli più alti. Questi, però, da anni crescono oltre ogni limite per i grandi capi azienda che fissano i propri livelli di retribuzione e i paracadute d’oro previsti per il trattamento di fine rapporto. Piketty nota che anche la ricerca e lo sviluppo implicano la formazione e l’addestramento di esperti abili nell’uso di sofisticati strumenti di alta tecnologia. Queste alte prestazioni sono retribuite a livelli più alti il che contribuisce alla ineguaglianza. Qui bisogna aggiungere, però, che i Paesi e le industrie che investono di più in ricerca scientifica, sviluppo tecnologico e istruzione avanzata, generano più brevetti e prodotti ad alto valore aggiunto. In conseguenza contribuiscono a far crescere il prodotto interno lordo e a limitare l’ineguaglianza. Appare ovvio alla luce del senso comune (Piketty lo documenta in base a dati storici abbondanti) che un tasso di rendita del capitale molto più alto di quello della crescita economica causa ineguaglianza crescente. Questa si manifesta con la concentrazione fra pochi cittadini della ricchezza e dei redditi da capitale. Il processo è tanto più veloce quanto più il tasso di rendita supera quello della crescita del reddito. Il fenomeno potrebbe essere frenato da una forte crescita demografica ed economica – oggi improbabile. L’alternativa proposta da Piketty è la adozione di consistenti tasse patrimoniali globali. Sono processi economici complicati. Le statistiche sono spesso incomplete e contraddittorie specie sui redditi più alti. Tutti i commentatori riconoscono che Piketty ha fatto un lavoro enorme per migliorarle. Si usano, però, strumenti e procedure di analisi di tipi diversi. Quindi è normale che su “Capital” ci sia molto da discutere. La citata conclusione dell’autore che sia opportuno intervenire con imposte ai più ricchi e ai lavoratori con retribuzioni più alte non è gradita ai plutocrati, ai conservatori, né agli economisti di destra. Chris Giles (sul Financial Times del 23/5/14) ha negato che dopo il 1980 l’ineguaglianza economica sia cresciuta e che negli USA sia più marcata che in Europa. In particolare ha sostenuto che nel Regno Unito nel 2010 il 10% dei cittadini deteneva il 44% della ricchezza totale e non il 70% come scritto da Piketty. Paul Krugman (Nobel per l’Economia) documenta da decenni che i ricchi USA diventano più ricchi anche per i tagli alle loro tasse nell’era Reagan. Osserva ora che il 44% citato da Giles è desunto da sondaggi e non da dati pubblicati dal fisco britannico. Io ho trovato lo studio “UK Personal Wealth Statistics” pubblicato il 28/9/2012 da HM Revenue & Customs, che indica in 60% del totale la ricchezza del 10% degli inglesi top (1). Il valore vero appare dunque incerto, ma la stima di Piketty è più vicina a quella ufficiale. Concludo: Capitale e reddito si concentrano da decenni nelle mani di pochi L’ineguaglianza cresce: lo provano i prezzi di case e oggetti di lusso L’economista francese best seller non è un pericoloso comunista. “Il capitale nel XXI secolo” è libro che va studiato attentamente. ________________________________________________. (1) 20% a 7°+ 8° decile; 12% a 5°+ 6°; 7% a 3°+ 4°; 1% dei più poveri.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 7 Giugno 2014 a 2:37 Nel PD esistono tante opinioni e sensibilità, più o meno responsabili e sensibili a populismi e parole d'ordine del momento; io non mi stanco a sostenere e far circolare quanto considero giusto, scientificamente provato e

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realizzabile, visto che funziona nel resto del mondo; forse anche in questo incide il provincialismo della nostra classe dirigente, che non guarda al di là dei suoi angusti confini locali per interessi clientelari e elettorali. http://www.fiper.it/ giorgio varaldo ha detto: giampaolo scusa la franchezza ma non capisco il tuo modo di ragionare. sei favorevole agli impianti a biomasse come lo sono anche io purtroppo ho la vaga impressione che a volerli siamo solo noi due in quanto tanto per far un esempio il PD provinciale di udine si è schierato contro l'impianto di biomasse di sedegliano http://www.pd.udine.it/index.php?option=com_content&task=view&a... posso capire critiche costruttive ma una critica è costruttiva quando suggerisce modifiche non quando blocca gli impianti ed in particolare li blocca non per ragioni tecniche bensì per demagogia allo stato puro a questo punto a meno che lasciamo questo PD e ci trasferiamo in NCD o in FI ho proprio l'impressione che a sinistra come capita al PD di udine si parli tanto di energie rinnovabili ma se ne parli solo .. e nel frattempo qui in provincia di udine si importa energia elettrica prodotta con nucleare nell'impianto di krsko Giampaolo Carboniero ha detto: Parlavo di risorse fossili; quelle dell'Adriatico sarebbero risorse bastanti si e no per un anno; in quanto ai rigassificatori, non sarebbe più logico sfruttare prima il biogas dal trattamento di RSU e dalla zootecnia? Quello che serve soprattutto all'Europa è una rete smart grid che possa smistare l'energia a seconda dell'occorrenza, e una politica di efficienza energetica allargata a tutti i settori, pubblici e privati. ( Per inciso le incentivazioni fiscali sulla riqualificazione energetica, introdotte inizialmente da Prodi, sono le uniche azioni che stanno creando sviluppo e posti di lavoro-ne contengono almeno le perdite)

Risposto da giovanni de sio cesari su 7 Giugno 2014 a 18:46 Va bene possiamo discutere dell’entità del fenomeno non della sua esistenza e del pericolo che esso comporta. Mi pare pero che ogni rimedio dipenda dalle motivazioni che non vedo prospettate: Il fatto che la complessità delle tecniche rende piu retribuite certe professionalità spiega solo una piccola parte del fenomeno, mi pare:. Io continuo a chiedere: perche ? Fabio Colasanti ha detto: Ricevo da Robero Vacca e posto. INEGUAGLIANZA ECCESSIVA –“Il Capitale nel XXI Secolo” di T.Piketty - di Roberto Vacca, 6/6/2014

Risposto da Fabio Colasanti su 9 Giugno 2014 a 0:52 Giovanni, ti devo da parecchio tempo una risposta sulle cause del nuovo aumento delle diseguaglianze dei redditi. Il libro di Piketty, dall'alto delle sue 700 pagine, troneggia sulla pila dei libri che devo ancora leggere. Riunisco qui alcuni elementi che ho scoperto da altre fonti nel corso degli anni. Mi sembra che esistano almeno tre categorie di fattori che spiegano l'aumento della diseguaglianza dei redditi in quasi tutti i paesi da trenta anni a questa parte: a) fattori legati allo sviluppo delle tecnologie e alle trasformazioni dell'economia; b) un fattore di carattere sociologico e comportamentale (legato alla "sovrastruttura"); c) la riduzione dell'intensità delle politiche redistributive. Nel primo gruppo troviamo molti fattori. Prima di tutto c'è il fattore ricordato da Roberto Vacca: lo sviluppo di tecnologie complesse che richiedono una formazione particolare per il loro uso e che porta a retribuzioni più alte. Ma non si tratta solo di un problema di nuove tecnologie. In molti campi le conoscenze sono diventate più specialistiche e raffinate, chi le possiede è in grado di ottenere remunerazioni molto alte e in crescita continua. Gli avvocati, medici,

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architetti, ingegneri esperti in settori di punta o molto specializzati hanno tutti retribuzioni molto più alte che nel passato. Storicamente una delle principali fonti di arricchimento è sempre stata il commercio e lo scambio. Di solito gli intermediari prelevano una commissione sulle scambio di merci; più alto è il valore delle merci scambiate più alto è il guadagno che si può ottenere anche se le percentuali prelevate sono basse. Oggi abbiamo una forte crescita degli scambi di ogni tipo. Oltre agli scambi di merci tradizionali abbiamo l'emissione di azioni e obbligazioni, l'acquisto di pacchetti azionari e l'acquisto di aziende e molte altre attività simili. Gli intermediari, le banche e gli avvocati che operano in questi campi guadagnano delle fortune. L'AT&T ha appena deciso di spendere 48 miliardi di dollari per comprare una società di televisione via satellite, la Direct TV. Puoi facilmente immaginare che avrà chiesto a stuoli di tecnici, di avvocati e di esperti finanziari di controllare la contabilità della società acquisita, la validità degli impianti, di verificare i contratti e di gestire le operazioni finanziarie. Per l'AT&T spendere per questo aiuto tecnico anche solo un mezzo punto percentuale della cifra totale pagata è assolutamente giustificato. Lo spenderemmo anche noi se facessimo un acquisto importante, per esempio quello di una casa. Ma un mezzo punto percentuale significa pur sempre 240 milioni da spendere quasi unicamente in parcelle professionali, in reddito di persone fisiche. Anche se il numero di tecnici coinvolti fosse molto alto, mettiamo anche mille persone, questo significa comunque una retribuzione media di 240mila dollari per tre o quattro mesi di lavoro. L'allargamento del mercato per i prodotti e per tanti servizi a tutto il mondo ha permesso di aumentare i guadagni di chi ha successo e rinforzato l'effetto chiamato del vincitore che piglia tutto ("the winner takes all", l'effetto che fa si che alla fine quasi tutti vadano sul prodotto di successo, per esempio i programmi Windows di Microsoft). Anche se in piccoli mercati chi ha successo può già avere guadagni alti. L'autore che scrive un best seller, il cantante di successo, l'organizzazione che sviluppa un programma informatico che tutti usano ha sempre potuto guadagnare molto, ma in un mercato mondiale guadagnano cose folli. J. K. Rowlings, una signora che riceveva il sussidio di disoccupazione, ha avuto un'idea brillante e si è messa a scrivere i romanzi di Harry Potter. Oggi è più ricca della regina Elisabetta II. Microsoft ha inventato il programma MS-DOS, Windows e il programma che sto utilizzndo al momento. Bill Gates, il suo fondatore, è uno degli uomini più ricchi al mondo. Le dimensioni mondiali hanno anche aumentato enormemente il valore dei diritti televisivi. Questo a sua volta giustifica che le squadre di calcio, gli organizzatori di tornei di tennis, di tornei di golf e altre manifestazioni simili siano disposti a pagare cifre incredibili per avere i giocatori e i performers migliori. Lo sviluppo di una classe di ricchi comporta anche lo sviluppo di consumi di lusso che permettono ad altre persone di guadagnare molto. Gli architetti, disegnatori, arredatori, gioiellieri e altri che aiutano i super ricchi a spendere le loro fortune guadagnano anche loro molto bene. Chi si trova dall'oggi al domani con milioni o miliardi in tasca tende pagare bene. Questa non è, ne può essere, una giustificazione di questi alti guadagni o una giustificazione del cosiddetto "trickle down" (la teoria secondo la quale il fatto che alcuni diventino super ricchi sia positivo per la società), ma è un fatto statistico che non può essere negato. Una prova delle dimensioni raggiunti dalla classe dei super ricchi si trova per esempio nel forte sviluppo di servizi di super lusso, di servizi di noleggio di aerei privati, della costruzione di case di sogno, di yacht e altre cose del genere. Il Financial Times ha un supplemento settimanale su carta patinata dal titolo "How to spend it". Consiste quasi unicamente in pubblicità per gioielli, orologi di lusso, yacht, abbigliamento di marca e cose simili. Se tante imprese spendono soldi per inserzioni che devono essere molto care significa che esiste un mercato per i loro prodotti. Al tempo stesso, gli sviluppi tecnologici ed economici deprimono le retribuzioni più basse. Le mansioni semplici, ripetitive e faticose tendono ad essere meccanizzate rendendo più difficile l'occupazione di persone poco qualificate. Lo sviluppo dell'occupazione nei servizi e la riduzione di peso dell'occupazione nell'agricoltura e nell'industria accentuano questo effetto. Inoltre la concorrenza commerciale dei paesi emergenti pesa molto più sulle retribuzioni dei lavoratori industriali e poco qualificati e non ha nessuna influenza su quelle degli specialisti che, al contrario vedono aumentare la domanda per le loro prestazioni professionali. L'insieme di questi fattori non solo contribuisce all'aumento della diseguaglianza dei redditi, ma rende più difficile la mobilità sociale. Negli anni cinquanta un bracciante del sud (o un negro disoccupato nell'Alabama) poteva andare a Milano o a Torino (o a Detroit) e trovare lavoro alla catena di montaggio per un lavoro penoso, tedioso, ma non difficile tecnicamente. Questi lavori pagavano bene e gli permettevano di vivere decentemente, di comprare casa e di mandare i figli all'università. Oggi il bracciante del nostro sud o il negro dell'Alabama incontra difficoltà enormi ad essere assunto in una agenzia di viaggi, negli uffici di una compagnia di assicurazione o anche come semplice

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segretario di un medico o di un dentista. La mobilità sociale negli Stati Uniti si è fortemente ridotta ed è oggi pari a quella europea, ma il mito del "sogno americano" perdura (certo le elezioni di Bill Clinton e Barack Obama hanno contribuito fortemente a mantenerlo in vita). Vengo ora al fattore del secondo gruppo. Qui troviamo l'aumento delle retribuzioni dei manager in tutte le imprese e soprattutto in quelle finanziarie. Un analista inglese, Anthony Hilton, ha scritto in maniera provocatoria che "la City di Londra è oggi l'ultimo bastione del comunismo. In quale altro settore i dipendenti distribuiscono tra loro tutti i profitti senza lasciare quasi nulla ai proprietari (gli azionisti)?". Negli Stati Uniti negli anni ottanta la retribuzione dei dirigenti delle imprese era pari a circa 40/50 volte la retribuzione del lavoratore meno pagato; oggi siamo a circa 500 volte. Questo sviluppo anormale è dovuto ad un comportamento poù aggressivo della classe dei manager, permesso da un diritto delle società inadeguato e rafforzato da elementi culturali. Chiaramente i manager hanno sempre voluto avere le retribuzioni più alte possibili, ma fino agli anni ottanta non hanno avuto spazio per soddisfare le loro ambizioni. A partire da quegli anni i media e l'opinione pubblica hanno cominciato a sviluppare il mito dell'uomo al comando che risolve tutto (anche la critica di Gad Lerner sulla nomina di Gnudi all'Ilva è un espressione di questa cultura; si pensa che la scelta del numero uno di un'impresa sia di un'importanza superiore a quella vera). I capi impresa sono stati visti sempre di più come gli allenatori di calcio e sono stati trattati - sotto tutti gli aspetti - nella stessa maniera. Se l'impresa va bene o male si tende a pensare che sia solo merito/colpa del capo impresa. Se va male, questo viene cacciato (ma nel suo contratto ci sono una serie di garanzie finanziarie esattamente come per gli allenatori). In media, i capi impresa durano due o tre anni. Quando si caccia il capo impresa, il consiglio di amministrazione nomina al suo interno un gruppo che deve cercare - anche con l'aiuto di cacciatori di teste esterni - il successore che risolverà i problemi dell'impresa. Nel gergo si dice che si forma un "search party" (questo succede in tutte le organizzazioni, anche quelle senza scopo di lucro, recentemente ho fatto parte del "search party" di un think tank). È umano che questo gruppo di persone faccia il suo lavoro bene e che presenti poi agli azionisti la "perla" che risolverà tutti i problemi dell'impresa (o dell'organizzazione senza scopo di lucro). Ma la "perla" che è stata trovata è un individuo al di sopra di tutti gli altri candidati e dovrà logicamente avere una retribuzione più alta di quelle offerte dai concorrenti. Quindi ad ogni cambio di dirigente c'è un salto verso l'alto del livello delle retribuzioni. Apro una parentesi per parlare di una mia esperienza recente che è utile per rendersi conto delle dimensioni del fenomeno del quale stiamo parlando. Faccio parte del consiglio di amministrazione di un think tank senza scopo di lucro. All'inizio del 2013 dovevamo sostituire il direttore, visto che quello che avevamo fino a quel momento aveva fatto un lavoro eccellente, ma aveva raggiunto i limiti di età e voleva andare in pensione. Abbiamo creato il "search party" con l'idea di trovare un successore di 45/50 anni che potesse guidare il think tank per i prossimi dieci anni. Il consiglio di amministrazione aveva deciso di offrire una remunerazione pari a quella del direttore uscente, lasciandoci la possibilità di aumentarla leggermente nel tempo a seconda dei risultati ottenuti; concretamente si era fissato un obiettivo di un costo per il think tank di circa 150mila euro all'anno (il netto per la persona scelta sarebbe stato circa il cinquanta per cento di questa cifra). Abbiamo pubblicato un annuncio sull'Economist, abbiamo ricevuto circa un centinaio di domande e abbiamo invitato per delle interviste i nove candidati che ci sono sembrati più interessanti e alla fine ne abbiamo presentati quattro al consiglio di amministrazione per la scelta finale; alcuni erano residenti in altri paesi. Alla fine abbiamo offerto il posto al vice attuale - ottima persona - perché un altro candidato aveva trovato nel frattempo un altro posto più interessante (a Washington) e gli altri due hanno detto "no, grazie" quando hanno scoperto quello che potevamo offrire come retribuzione ! Il livello di retribuzione che offrivamo era stato sufficiente dieci anni fa (parlo di cifre corrette per l'inflazione) per convincere una persona di valore ad venire a lavorare per il think tank, oggi è ben al di sotto di quanto viene offerto sul mercato da altre organizzazioni senza scopo di lucro. Il sistema di gestione delle imprese non permette agli azionisti di limitare la lievitazione delle retribuzioni dei manager. Un sistema di "controllo" che è stato creato fa sorridere: ogni impresa crea un "Pay review board" formato da manager esterni, come forma di "trasparenza". Ricordo che la Fiat aveva nel 2000 come capo del "Pay review board" Jack Welch, CEO della General Electric, che dall'alto delle varie decine di milioni all'anno che riceveva doveva considerare che la retribuzione dei dirigenti Fiat era da pezzenti. Un altro elemento importante è che gli azionisti sono rappresentati nei consigli di amministrazione da altre imprese, da banche e da fondi pensione. Tutte le persone che rappresentano queste organizzazioni hanno un interesse personale a che le retribuzioni medie dei manager aumentino perché questo giustifica poi retribuzioni più alte anche per loro. Le alte retribuzione nel settore privato giustificano poi indirettamente le alte retribuzioni delle posizioni apicali del settore pubblico nei paesi dove i presidi etici sono bassi. Mi sono trovato varie volte ad un tavolo con dirigenti che

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sicuramente guadagnavano tra dieci e trenta volte quello che guadagnavo io. Ricordo anche di aver avuto la visita di un giovane dirigente che era anche proprietario di una parte della sua impresa. Ricordo ancora di aver pensato tra me durante la conversazione che fosse una persona abbastanza in gamba e che, se fosse venuto a cercare un posto, avrebbe avuto le competenze per giustificarne l'assunzione come capo unità. Ma non lo vedevo abbastanza maturo ed esperto per avere un posto da direttore. Poco meno di un anno dopo il tizio mise in vendita l'impresa e incassò mezzo miliardo di euro ! Bisogna, dove possibile, agire sulle alte retribuzioni del settore privato, non aumentare quelle del settore pubblico che in Italia, anche dopo i tagli salutari fatti da Renzi, sono ancora più alte di quelle degli altri grandi paesi europei. Quantitativamente, le alte retribuzioni dei manager sono il fattore forse più importante nell'aumento della diseguaglianza dei redditi. Ci sono tanti cantanti, attori, scrittori giocatori di successo, ma statisticamente non pesano molto. I dirigenti industriali e finanziari che guadagnano cifre altissime sono invece milioni e milioni. Il terzo gruppo di fattori riguarda invece la riduzione dell'efficacia delle politiche redistributive. Negli anni cinquanta e sessanta si sono introdotte forti politiche distributive. Nei paesi avanzati si è creato lo stato del benessere, il "welfare state", finanziato da aliquote marginali sui redditi molto alte. Dagli anni ottanta in poi si è fatto marcia indietro sotto la spinta di fattori oggettivi, di una riduzione del grado di coscienza del problema e di una riduzione della solidarità sociale. Ricordo solo alcuni fattori. Da un lato, il livello della tassazione aveva raggiunto veramente troppo alti. In Svezia fu provato che Astrid Lindgren, l'autrice di Pippa Calzelunghe, in un certo periodo ebbe un aumento di reddito che fu completamente espropriato dal sistema fiscale. Si era arrivati, grazie al gioco di detrazioni fisse ed altri elementi, ad aliquote marginali effettive del 100 per cento. In altri paesi le aliquote massime erano del 60/70 per cento. Penso che le aliquote più alte debbano essere aumentate di nuovo, anche se non penso si possa arrivare ai livelli del passato. Un problema aggiuntivo è che gran parte dei guadagni passa attraverso i dividendi e i "guadagni in conto capitale" che in quasi tutti i paesi sono tassati poco o nulla. Infine, le politiche distributive sono state disegnate quando la popolazione che avrebbe dovuto beneficiarne era molto piccola in termini percentuali. I sistemi di sostegno alla disoccupazione scandinavi sono stati creati qualndo la disoccupazione in quei paesi era inferiore al due per cento. Con i livelli di bisogno attuale, le politiche di aiuto sono ancora più necessarie, ma hanno un costo enormemente superiore a quello iniziale. Ma forse la difficoltà più forte è che le nostre società sono diventate molto più multietniche e multiculturali e che questo riduce il grado di solidarietà. È triste, ma è un fatto oggettivo che la popolazione è più disposta ad aiutare chi sembra appartenere alla "famiglia" nazionale in senso lato, che non a persone che sente come "diverse". Questo fattore ha contribuito e contribuisce a limitare le politiche sociali negli Stati Uniti la grande maggioranza della popolazione è bianca ed ha l'impressione che le poliche sociali servano per aiutare i neri che vedono attraverso mille pregiudizi.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 9 Giugno 2014 a 1:16 Ergo? Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, ti devo da parecchio tempo una risposta sulle cause del nuovo aumento delle diseguaglianze dei redditi. Il libro di Piketty, dall'alto delle sue 700 pagine, troneggia sulla pila dei libri che devo ancora leggere. Riunisco qui alcuni elementi che ho scoperto da altre fonti nel corso degli anni. Mi sembra che esistano almeno tre categorie di fattori che spiegano l'aumento della diseguaglianza dei redditi in quasi tutti i paesi da trenta anni a questa parte: a) fattori legati allo sviluppo delle tecnologie e alle trasformazioni dell'economia; b) un fattore di carattere sociologico e comportamentale (legato alla "sovrastruttura"); c) la riduzione dell'intensità delle politiche redistributive.

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Risposto da Fabio Colasanti su 9 Giugno 2014 a 9:35 Giampaolo, sugli elementi del primo gruppo non possiamo far nulla. Su quello del secondo possiamo invece far qualcosa e la Svizzera ha recentemente deciso di dare maggior patere agli azionisti nella fissazione degli stipendi dei manager. Andrebbe fatto anche da noi e lo stato dovrebbe utilizzare le partecipazioni azionarie in questo senso. Che senso ha avere delle partecipazioni azionarie se ci si comporta in maniera identica alle imprese private. Se non si fa qualcosa di diverso, tanto vale venderle. E bisogna aumentare l'intensità delle politiche redistributive, aumentando le aliquote IRPEF più alte. Giampaolo Carboniero ha detto: Ergo? Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, ti devo da parecchio tempo una risposta sulle cause del nuovo aumento delle diseguaglianze dei redditi. Il libro di Piketty, dall'alto delle sue 700 pagine, troneggia sulla pila dei libri che devo ancora leggere. Riunisco qui alcuni elementi che ho scoperto da altre fonti nel corso degli anni. Mi sembra che esistano almeno tre categorie di fattori che spiegano l'aumento della diseguaglianza dei redditi in quasi tutti i paesi da trenta anni a questa parte: a) fattori legati allo sviluppo delle tecnologie e alle trasformazioni dell'economia; b) un fattore di carattere sociologico e comportamentale (legato alla "sovrastruttura"); c) la riduzione dell'intensità delle politiche redistributive. ( ... )

Risposto da Giampaolo Carboniero su 9 Giugno 2014 a 19:25 Invece è proprio su parte del primo gruppo che è urgente intervenire: agire, non tollerare automatismi vari, sulle trasformazioni dell'economia, facendoci aiutare proprio dallo sviluppo tecnologico e dall'incremento delle conoscenze. Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, sugli elementi del primo gruppo non possiamo far nulla. Su quello del secondo possiamo invece far qualcosa e la Svizzera ha recentemente deciso di dare maggior patere agli azionisti nella fissazione degli stipendi dei manager. Andrebbe fatto anche da noi e lo stato dovrebbe utilizzare le partecipazioni azionarie in questo senso. Che senso ha avere delle partecipazioni azionarie se ci si comporta in maniera identica alle imprese private. Se non si fa qualcosa di diverso, tanto vale venderle. E bisogna aumentare l'intensità delle politiche redistributive, aumentando le aliquote IRPEF più alte. Giampaolo Carboniero ha detto: Ergo? Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, ti devo da parecchio tempo una risposta sulle cause del nuovo aumento delle diseguaglianze dei redditi. Il libro di Piketty, dall'alto delle sue 700 pagine, troneggia sulla pila dei libri che devo ancora leggere. Riunisco qui alcuni elementi che ho scoperto da altre fonti nel corso degli anni.

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Mi sembra che esistano almeno tre categorie di fattori che spiegano l'aumento della diseguaglianza dei redditi in quasi tutti i paesi da trenta anni a questa parte: a) fattori legati allo sviluppo delle tecnologie e alle trasformazioni dell'economia; b) un fattore di carattere sociologico e comportamentale (legato alla "sovrastruttura"); c) la riduzione dell'intensità delle politiche redistributive.

Risposto da giovanni de sio cesari su 9 Giugno 2014 a 19:46 Fabio grazie. Di grandissimo interesse le tue considerazioni: ci rifletterù con calma. Solo penso: ma si tratta di cause diverse e casuali oppure si possono ricondurre a un processo unitario ? Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, ti devo da parecchio tempo una risposta sulle cause del nuovo aumento delle diseguaglianze dei redditi. Il libro di Piketty, dall'alto delle sue 700 pagine, troneggia sulla pila dei libri che devo ancora leggere. Riunisco qui alcuni elementi che ho scoperto da altre fonti nel corso degli anni. Mi sembra che esistano almeno tre categorie di fattori che spiegano l'aumento della diseguaglianza dei redditi in quasi tutti i paesi da trenta anni a questa parte: a) fattori legati allo sviluppo delle tecnologie e alle trasformazioni dell'economia; b) un fattore di carattere sociologico e comportamentale (legato alla "sovrastruttura"); c) la riduzione dell'intensità delle politiche redistributive. ( ... )

Risposto da giovanni de sio cesari su 9 Giugno 2014 a 19:50 Laura Quests statistiche pendono forma secondo i dati che si considerano: Io penso pero che non è importante che pochissimi guadagnino moltissim ma sono preoccupato che i moltissimi guadagnino sempre di meno. Che Marchionne guadagni 10 volte dei suoi predecessori non mi preoccuppa poi molto: ma mi preoccupa che gli operai della Fiat ( e non Fiat( si trovano in condizioni socio economiche peggiori d quelli della generazione precedente: laura sgaravatto ha detto: U.S.A. increasing inequality 2002-2012 5giu by Piketty and Saenz

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“One reason U.S. corporate profit margins are at records is the share of revenue going to wages is so low. Another is companies are paying a smaller share of profits on taxes. An economy where income and wealth disparities are smaller might be healthier. It would also leave less money flowing to the bottom line”.

Risposto da Fabio Colasanti su 9 Giugno 2014 a 20:17 Giampaolo, benissimo. Spiegaci concretamente, e non con affermazioni generiche ("facendoci aiutare dallo sviluppo tecnologico e dall'aumento delle conoscenze"), come fai ad agire sui fattori del primo gruppo. Giampaolo Carboniero ha detto: Invece è proprio su parte del primo gruppo che è urgente intervenire: agire, non tollerare automatismi vari, sulle trasformazioni dell'economia, facendoci aiutare proprio dallo sviluppo tecnologico e dall'incremento delle conoscenze. Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, sugli elementi del primo gruppo non possiamo far nulla. Su quello del secondo possiamo invece far qualcosa e la Svizzera ha recentemente deciso di dare maggior patere agli azionisti nella fissazione degli stipendi dei manager. Andrebbe fatto anche da noi e lo stato dovrebbe utilizzare le partecipazioni azionarie in questo senso. Che senso ha avere delle partecipazioni azionarie se ci si comporta in maniera identica alle imprese private. Se non si fa qualcosa di diverso, tanto vale venderle. E bisogna aumentare l'intensità delle politiche redistributive, aumentando le aliquote IRPEF più alte.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 9 Giugno 2014 a 22:43 Giovanni, sono proprio i processi e i sistemi che portano Marchionne, e altri come e più di lui, a guadagnare spropositatamente a impoverire gli altri. giovanni de sio cesari ha detto: Laura Quests statistiche pendono forma secondo i dati che si considerano: Io penso pero che non è importante che pochissimi guadagnino moltissim ma sono preoccupato che i moltissimi guadagnino sempre di meno. Che Marchionne guadagni 10 volte dei suoi predecessori non mi preoccuppa poi molto: ma mi preoccupa che gli operai della Fiat ( e non Fiat( si trovano in condizioni socio economiche peggiori d quelli della generazione precedente:

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laura sgaravatto ha detto: U.S.A. increasing inequality 2002-2012 5giu by Piketty and Saenz

Risposto da Giampaolo Carboniero su 9 Giugno 2014 a 23:16 Le trasformazioni dell'economia non avvengono naturalmente, sono progettate, pensate ed eseguite dagli uomini e dagli stati che seguono, o servono, determinati interessi, a volte anche poco leciti o nascosti; tu sei sicuro che il sistema attuale non sia bile e il migliore possibile, io penso invece che è necessario rlo, non ho le tue certezze e cultura economica, per cui non ho una ricetta universale, quale sembra tu sottenda, coltivo il dubbio e vorrei sperimentare; dovremmo giudicare la bontà di qualunque processo in base ai suoi risultati, e i risultati che vedo, aumento esponenziale delle sperequazioni e peggioramento della società, distruzione dell'ambiente in nome di uno sviluppo ambiguo ( del sistema attuale? Fino a dove?A costo dell'esaurimento di ogni risorsa?), perdita progressiva di responsabilità sociale, aumento delle spese militari, scelte enrgetiche aberranti e autodistruttive, ecct., questi risultati dicevo, non mi sembrano i più desiderabili, almeno per il 99% del mondo. Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, benissimo. Spiegaci concretamente, e non con affermazioni generiche ("facendoci aiutare dallo sviluppo tecnologico e dall'aumento delle conoscenze"), come fai ad agire sui fattori del primo gruppo. Giampaolo Carboniero ha detto: Invece è proprio su parte del primo gruppo che è urgente intervenire: agire, non tollerare automatismi vari, sulle trasformazioni dell'economia, facendoci aiutare proprio dallo sviluppo tecnologico e dall'incremento delle conoscenze.

Risposto da Fabio Colasanti su 9 Giugno 2014 a 23:46 Giovanni, sono andato alla ricerca di studi sulla situazione italiana e ne ho trovato uno abbastanza recente di Prometeia, centro serio, che copre il periodo 1989-2010. I dati globali non sono catastrofici come quelli indicati da Piketty e Saenz per gli Stati Uniti per il periodo 2002-2012, ma anche i dati per l'Italia mostrano che l'andamento del reddito è stato migliore per i "ricchi". Riporto qui il testo e le tre figure dello studio di Elena Giarda e Sarah Grace See, tratto dal Rapporto di Previsione dell’Associazione Prometeia dell'aprile 2012. Il reddito disponibile totale delle famiglie nel 2010 era, in termini reali (ossia depurato dall'inflazione come per i dati di Piketty e Saenz) più o meno al livello del 1989. Ma il reddito pro-capite era più basso (la popolazione è aumentata mentre il reddito è ritornato al livello del 1989). Il periodo 2008-2010 ha completamente to i guadagni realizzati nel periodo 1989-2007. La figura 2 mostra invece i dati che vengono da un'altra fonte (un'indagine per campione condotta dalla Banca d'Italia). Qui i risultati sono diversi. Il livello del 2010 è più o meno equivalente a aquello del 1989, ma il percorso per arrivare a questo risultato sarebbe stato diverso. Non c'è una caduta nel periodo 2008-2010. Queste differenze mostrano perché ci sono tante controversie su queste cifre. Ci sono delle statistiche sempici e poco controverse (quelle di "contabilità nazionale"), ma quando si vuole andare più in la e si utilizzano inchieste i dati diventano molto più "ballerini" e meno affidabili. Nel caso della disputa tra Piketty ed il Financial Times, il primo usa per il Regno Unito i risultati di un'inchiesta, mentre il Financial Times usa i dati pubblicati dall'Ufficio statistico inglese (personalmente penso che i dati di Piketty siano più vicini alla realtà, ma non è facile dire che i dati pubblicati dall'Istat britannico sono sballati). La figura 3 conferma quello che tutti sanno: nel corso degli ultimi anni l'andamento dei redditi è stato particolarmente negativo per i "poveri", ossia per il primo "quintile" ossia per il 20 per cento più povero della società. Anche quelli del secondo quintile (il secondo gruppo del 20 per cento della popolazione in termini di reddito) le cose non sono andate bene. L'andamento nel tempo mostra che il primo e secondo quintile sono quelli più colpiti dalla disoccupazione che

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è la causa principale della povertà. L'andamen,te del reddito di tutti i gruppi mostra una correlazione forte con il tasso di crescita. Quando l'economia non andava troppo male, anche i più poveri miglioravano la loro posizione. Ecco il testo e le figure di Prometeia Come noto, la crisi degli anni recenti si è manifestata in Italia con una forte caduta, in termini reali, del Pil e del reddito disponibile delle famiglie. Tra il 2007 e il 2010 il reddito disponibile si è ridotto del 4.6 per cento (-1.1, -3.1 e -0.5 rispettivamente nel 2008, 2009 e 2010) e si prevede una sua ulteriore riduzione del -0.6 per cento nel 2011 e del -3.5 nel 2012 (Fig. 1). Nel 2013 la crescita sarà ancora negativa (-1.0 per cento) e solo a partire dal 2014 si ritornerà su tassi di crescita positivi[3]. Il reddito pro-capite di contabilità nazionale è in netto calo dal 2007 e nel 2010 era, in termini reali, inferiore al livello del 1989.

Il reddito disponibile familiare dell’Indagine dei Bilanci delle Famiglie italiane di Banca d’Italia (Ibf) in media è calato del 5.3 per cento in termini reali tra il 2006 e il 2010, ma non ha mostrato una flessione significativa tra il 2008 e il 2010, sebbene il livello dell’ultimo anno disponibile sia pari al livello del 1989 (Fig. 2)*4+. Al contrario, in termini equivalenti (tenendo cioè conto della composizione familiare), il reddito medio è calato del 4.4 per cento tra il 2006 e il 2010 (-0.7 nel 2006-2008 e -3.8 nel 2008-2010), mantenendosi però a livelli superiori rispetto a quelli del 1989 di circa il 10 per cento. Se si depura il reddito equivalente dalla componente dei fitti imputati, si osserva una caduta più marcata del reddito (-7.1 per cento nel 2006-2010) che fa scendere il valore medio del 2010 al di sotto di quello del 1989 (Fig. 2)[5].

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La suddivisione per quintili illustra i contributi delle diverse parti della distribuzione all’evoluzione nel tempo del reddito medio (Fig. 3). Nel periodo sino al 1995 il tasso di crescita negativo del reddito equivalente delle famiglie è imputabile principalmente alla caduta del reddito dei due quintili più bassi; i tassi di crescita positivi del periodo 1995-2006 sono invece sostenuti dalla crescita di tutti i quintili; infine, in media, la caduta tra il 2006 e il 2010 è comune all’intera distribuzione, anche se tra il 2008 e il 2010 il calo è rilevante solo per il primo quintile.

Risposto da Fabio Colasanti su 10 Giugno 2014 a 0:07 Giampaolo, considero questa maniera di vedere l'economia assolutamente sbagliata. Magari pensi che ci sia anche un "grande vecchio" che tira le file del tutto. Quello che succede nell'economia mondiale dipende dall'agire - in maniera non coordinata - di miliardi di persone che cercano, ovviamente, di fare i loro interessi. Il tutto viene modulato, nei limiti del possibile, dall'azione dei governi. Ma questi possono agire in alcuni campi e non in altri Oggi le nostre economie dipendono molto più dai servizi e molto meno dall'industria manufatturiera. Pensi che qualcuno l'abbia voluto? Certamente si, se questo qualcuno sono le milioni di manager e tecnici di tutte le imprese al mondo che cercano continuamente di produrre meglio e costi più bassi e ci hanno dato gli aumenti di produttività che spiegano i nostri livelli di reddito attuali. Per quanto riguarda lo sviluppo dei servizi questo dipende dall'arricchimento della popolazione. Se si misura il nostro reddito in termini di qualità e disponibilità delle abitazioni, qualità delle automobili, qualità delle cure mediche, possibilità di accesso all'informazione, possibilità di comunicare, possibilità di viaggiare, e così via stiamo praticamente tutti enormemente meglio di quanto stavamo trenta o quaranta anni fa. Abbiamo tutti più soldi e quindi andiamo più spesso al ristorante, andiamo più spesso al cinema, ci compriamo i giochi per le playstations, andiamo a giocare a tennis, ci facciamo dare lezioni di lingue, viaggiamo di più e domandiamo tanti altri "servizi" che prima erano disponibili solo per i superricchi. Come agisci su queste tendenze? Proibisci il progresso tecnico? Proibisci i viaggi, l'andare al ristorante o l'andare al cinema? Oggi tanti cantanti, autori, giocatori di calcio, giocatori di tennis e altre figure simili guadagnano cifre da capogiro perché le loro performances sono comprate e viste in tutto il mondo. Che fai, stabilisci che il torneo di Roland Garros possa essere visto alla televisione solo in Francia e i campionati del Mondo solo in Brasile? Gli avvocati, esperti fiscali, ingegneri, architetti che intervengono in grandi progetti e in grande transazioni hanno delle conoscenze che pochi hanno e guadagnano molto bene. Che fai proibisci le loro attività o stabilisci che non possano incassare parcelle superiori ad un certo tetto? E anche ci fosse un paese che introducesse una norma del genere, che effetto avrebbe, a parte quello di mandare all'estero tutte queste persone ? Giampaolo Carboniero ha detto: Le trasformazioni dell'economia non avvengono naturalmente, sono progettate, pensate ed eseguite dagli uomini e dagli stati che seguono, o servono, determinati interessi, a volte anche poco leciti o nascosti; tu sei sicuro che il sistema

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attuale non sia bile e il migliore possibile, io penso invece che è necessario rlo, non ho le tue certezze e cultura economica, per cui non ho una ricetta universale, quale sembra tu sottenda, coltivo il dubbio e vorrei sperimentare; dovremmo giudicare la bontà di qualunque processo in base ai suoi risultati, e i risultati che vedo, aumento esponenziale delle sperequazioni e peggioramento della società, distruzione dell'ambiente in nome di uno sviluppo ambiguo ( del sistema attuale? Fino a dove?A costo dell'esaurimento di ogni risorsa?), perdita progressiva di responsabilità sociale, aumento delle spese militari, scelte enrgetiche aberranti e autodistruttive, ecct., questi risultati dicevo, non mi sembrano i più desiderabili, almeno per il 99% del mondo. Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, benissimo. Spiegaci concretamente, e non con affermazioni generiche ("facendoci aiutare dallo sviluppo tecnologico e dall'aumento delle conoscenze"), come fai ad agire sui fattori del primo gruppo. Giampaolo Carboniero ha detto: Invece è proprio su parte del primo gruppo che è urgente intervenire: agire, non tollerare automatismi vari, sulle trasformazioni dell'economia, facendoci aiutare proprio dallo sviluppo tecnologico e dall'incremento delle conoscenze.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 10 Giugno 2014 a 1:10 *- Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, considero questa maniera di vedere l'economia assolutamente sbagliata. Magari pensi che ci sia anche un "grande vecchio" che tira le file del tutto. * - Spero che quella del Grande Vecchio tu la veda come una leggenda urbana, io non ci credo; ci sono tanti "vecchi" con enormi risorse e ricchezze che, come tutti i miliardi di altre persone da te citate, seguono i loro interessi, ma, proprio per le loro enormi ricchezze, gli interessi, che magari involontariamente convergono, di quei pochi diventano più importanti e influenti di quelli degli altri miliardi che, quelli sì, non sono coordinati ( ma guidati, o consigliati, o obbligati, vedi tu come vuoi considerare il tipo e qualità di informazioni che ricevono) Quello che succede nell'economia mondiale dipende dall'agire - in maniera non coordinata - di miliardi di persone che cercano, ovviamente, di fare i loro interessi. Il tutto viene modulato, nei limiti del possibile, dall'azione dei governi. Ma questi possono agire in alcuni campi e non in altri Oggi le nostre economie dipendono molto più dai servizi e molto meno dall'industria manufatturiera. Pensi che qualcuno l'abbia voluto? Certamente si, se questo qualcuno sono le milioni di manager e tecnici di tutte le imprese al mondo che cercano continuamente di produrre meglio e costi più bassi e ci hanno dato gli aumenti di produttività che spiegano i nostri livelli di reddito attuali. * - Non si tratta solo di produrre a prezzi più bassi, bisogna innanzitutto vedere a che prezzo e eventualmente a scapito o a favore di chi, poi con quale progetto e finalità si produce e, infine, i prezzi dovrebbero essere comprensivi anche delle spese delle esternalità ( proporzionali alle quantità di risorse disponibili, LCA dell'intero processo, inquinamento ed effetti sul clima, sulla CO2, sulla salute, ecct.) che attualmente gravano prevalentemente sulla fiscalità generale e quindi anche su chi quei prodotti o servizi non usa; solo dopo,allora, sarebbe utile l'intervento della legge di mercato, altrimenti è un mercato artefatto e solo formale. Per quanto riguarda lo sviluppo dei servizi questo dipende dall'arricchimento della popolazione. Se si misura il nostro reddito in termini di qualità e disponibilità delle abitazioni, qualità delle automobili, qualità delle cure mediche, possibilità di accesso all'informazione, possibilità di comunicare, possibilità di viaggiare, e così via stiamo praticamente tutti enormemente meglio di quanto stavamo trenta o quaranta anni fa. Abbiamo tutti più soldi e quindi andiamo più spesso al ristorante, andiamo più spesso al cinema, ci compriamo i giochi per le playstations, andiamo a giocare a tennis, ci facciamo dare lezioni di lingue, viaggiamo di più e domandiamo tanti altri "servizi" che prima erano disponibili solo per i superricchi. * Anche qui, quando parli di arricchimento della popolazione,immagino tu ti riferisca alla media statistica ( che pareggia chi mangia dieci polli con i nove che non ne mangiano alcuno), mentre sarebbe più razionale tu ti rifacessi

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alla sociologia, che oltre alle quantità, spiega anche la qualità della ricchezza e della sua distribuzione e, soprattutto, le conseguenze di queste grandezze sulla società. Come agisci su queste tendenze? Proibisci il progresso tecnico? Proibisci i viaggi, l'andare al ristorante o l'andare al cinema? * - Non si tratta di proibire niente, io sono un liberale, si tratta di agire, con una adeguata legislazione, per favorire o meno quanto più utile alla società nel complesso; mi sembra tu parta dalle necessità dell'economia per regolare la società, mentre io parto dalle necessità della società per regolare l'economia. Oggi tanti cantanti, autori, giocatori di calcio, giocatori di tennis e altre figure simili guadagnano cifre da capogiro perché le loro performances sono comprate e viste in tutto il mondo. Che fai, stabilisci che il torneo di Roland Garros possa essere visto alla televisione solo in Francia e i campionati del Mondo solo in Brasile? * - Questo lo dici tu, io non l'ho mai nemmeno pensato, basta che paghino coloro cui interessa ( anche per l'ordine pubblico). Gli avvocati, esperti fiscali, ingegneri, architetti che intervengono in grandi progetti e in grande transazioni hanno delle conoscenze che pochi hanno e guadagnano molto bene. Che fai proibisci le loro attività o stabilisci che non possano incassare parcelle superiori ad un certo tetto? E anche ci fosse un paese che introducesse una norma del genere, che effetto avrebbe, a parte quello di mandare all'estero tutte queste persone ? * - Mi sembra tu generalizzi troppo; Renzo Piano si è sempre lamentato che l'edilizia in Italia è fatta dai geometri, nè dagli architetti, nè dagli ingegneri ( altrimenti le case e le scuole non crollerebbero); per quanto riguarda avvocati e fiscalisti, il loro numero mi sembra sia determinato più dall'astrusa congeria delle leggi che non da vere necessità ( infatti ne abbiamo decine di volte più degli altri paesi europei); se fossimo persone serie, metteremmo il numero chiuso per gli avvocati e i commercialisti, non per i medici o gli architetti e gli ingegneri ( altra cosa è poi se costoro pretendono, tutti, di guadagnare a qualsiasi costo centinaia di migliaia di euro, per questo servirebbero le liberalizzazioni e l'abrogazione degli ordini); il fatto che un bravo artigiano, anche lui studia una vita per apprendere e migliorare la sua arte, o un bravo contadino, non quello che lo fa per necessità o in mancanza d'altro, si accontentino di compensi molto minori di un notaio, ti sembra logico? O meno di un avvocato, o un fiscalista? ( Per me queste ultime professioni sono lievitate abnormemente proprio per la, voluta?, inefficienza dello Stato e sponsorizzate dalle rispettive corporazioni)

Risposto da giovanni de sio cesari su 10 Giugno 2014 a 9:36 Giampaolo, Io non credo che il fatto che alcuni accumulino grandi patrimoni implica, di per se, che altri si impoveriscano. Infatti nell’80 % dell’umanità ( Cina in testa) si formano immensi patrimoni e insieme la gente comune migliora vistosamente. Lo stesso fenomeno è avvenuto nel passato anche in Occidente (per esempio negli anni del miracolo economico in Italia) Nelle società pre industriali , quando le risorse erano limitate, allora se alcuni ne consumavano molte altri ne erano privati. se i nobili mangiavano tanta carne da prendere la gotta, ne restavo poco o niente per gli altri. Ma la nostra società produce troppo di tutto, le crisi sono di sovrapproduzione ( Marx aveva ragione in questo) Il problema non è l’accumulo della ricchezza ma l’espandersi della povertà che porta al calo della domanda e quindi mette in crisi tutto il processo di sviluppo. Giampaolo Carboniero ha detto: Giovanni, sono proprio i processi e i sistemi che portano Marchionne, e altri come e più di lui, a guadagnare spropositatamente a impoverire gli altri.

Risposto da giovanni de sio cesari su 10 Giugno 2014 a 9:40 Fabio, Sempre molto interessante. c’è da meravigliarsi che di queste cose si parli cosi poco. Se ho capito bene, abbiamo in sostanza un calo dl redditi dei meno abbienti intorno al 5 o 7%. Ma si tiene conto dell’aumento delle tariffe dei trasporti, tiket sanitari, dei tagli paurosi all’assistenza e anche all’assitenzialismo? Si tiene conto della precarietà? Si tiene conto del nero?

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Ma soprattutto siamo ancora al 2010, i tempi felici di Berlusconi : la crisi è esplosa dal 2011 in poi Siamo ben lontani comunque dal quadro che i poveri hanno progredito meno dei ricchi: i poveri sono diventati piu poveri e molti che non erano poveri lo sono diventati. Il processo colpisce il “sud” del mondo progredito: il negro dell’Alabama e il manovale ( ma anche il laureato) del meridione: ma il processo si potrà estendere al “nord” piu prospero? Forse in realta si è gia esteso solo che non si vede perche comunque alti livelli di prosperità possono essere compressi anche senza creare disagi L’operaio tedesco o baltico ha mantenuto i livelli di vita di 10 anni fa? E per livello di vita non intendo semplicemente la retribuzione ma tutto il quadro economico assistenza , pensione, condizioni di lavoro. Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, sono andato alla ricerca di studi sulla situazione italiana e ne ho trovato uno abbastanza recente di Prometeia, centro serio, che copre il periodo 1989-2010. I dati globali non sono catastrofici come quelli indicati da Piketty e Saenz per gli Stati Uniti per il periodo 2002-2012, ma anche i dati per l'Italia mostrano che l'andamento del reddito è stato migliore per i "ricchi". Riporto qui il testo e le tre figure dello studio di Elena Giarda e Sarah Grace See, tratto dal Rapporto di Previsione dell’Associazione Prometeia dell'aprile 2012. Il reddito disponibile totale delle famiglie nel 2010 era, in termini reali (ossia depurato dall'inflazione come per i dati di Piketty e Saenz) più o meno al livello del 1989. Ma il reddito pro-capite era più basso (la popolazione è aumentata mentre il reddito è ritornato al livello del 1989). Il periodo 2008-2010 ha completamente to i guadagni realizzati nel periodo 1989-2007. ( ... )

Risposto da Giampaolo Carboniero su 10 Giugno 2014 a 16:58 Giovanni, io parlo del sistema che, per garantire quei livellidi reddito e ricchezza a pochi, drena ricchezza e risorse dall'economia reale, trasferendole alla finanza e alla rendita e da queste, proporzionalmente al censo, alla parte più abbiente del mondo; anche se la società moderna produce in abbondanza, il meccanismo che la distribuisce si è inceppato e sta lavorando in maniera iniqua, ricreando quelle fratture sociali e di censo che nel '900 avevano suscitato la nascita dei movimenti socialisti e libertari; il sistema, così com'è, potrà funzionare solo arrivando ad esaurire le risorse che gli sono indispensabili, anche se questo porterà alla sua autodistruzione; abbiamo l'intelligenza sufficiente ed adeguata a re questo processo prima di arrivare al punto di non ritorno? giovanni de sio cesari ha detto: Giampaolo Io non credo che il fatto che alcuni accumulino grandi patrimoni implica, di per se, che altri si impoveriscano. Infatti nell’80 % dell’umanità ( Cina in testa) si formano immensi patrimoni e insieme la gente comune migliora vistosamente. Lo stesso fenomeno è avvenuto nel passato anche in Occidente (per esempio negli anni del miracolo economico in Italia) Nelle società pre industriali , quando le risorse erano limitate, allora se alcuni ne consumavano molte altri ne erano privati. se i nobili mangiavano tanta carne da prendere la gotta, ne restavo poco o niente per gli altri. Ma la nostra società produce troppo di tutto, le crisi sono di sovrapproduzione ( Marx aveva ragione in questo) Il problema non è l’accumulo della ricchezza ma l’espandersi della povertà che porta al calo della domanda e quindi mette in crisi tutto il processo di sviluppo Giampaolo Carboniero ha detto: Giovanni, sono proprio i processi e i sistemi che portano Marchionne, e altri come e più di lui, a guadagnare spropositatamente a impoverire gli altri.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 10 Giugno 2014 a 18:04 a proposito di disuguaglianza http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2014-06-06/la-stroncatura-f...

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Risposto da Fabio Colasanti su 10 Giugno 2014 a 19:02 Giovanni, le cifre mostrano che quando c'è una crisi - vedi il 1992/1993 o nel periodo attuale - i poveri perdono più dei ricchi. Ma quando l'economia cresce, anche i più poveri aumentano il loro reddito reale. Si vede bene dalla figura 3 che da l'andamento per i cinque quintili. Per questo il ritorno alla crescita deve essere una priorità. La più grossa causa di povertà è la disoccupazione; soprattutto in un paese come il nostro che non ha ammortizzatori sociali degni di questo nome (hai visto il post che ho inserito nel Diario Giugno sul livello del sussidio di disoccupazione qui a Bruxelles ?). giovanni de sio cesari ha detto: Fabio, Sempre molto interessante. c’è da meravigliarsi che di queste cose si parli cosi poco. Se ho capito bene, abbiamo in sostanza un calo dl redditi dei meno abbienti intorno al 5 o 7%. Ma si tiene conto dell’aumento delle tariffe dei trasporti, tiket sanitari, dei tagli paurosi all’assistenza e anche all’assitenzialismo? Si tiene conto della precarietà? Si tiene conto del nero? Ma soprattutto siamo ancora al 2010, i tempi felici di Berlusconi : la crisi è esplosa dal 2011 in poi Siamo ben lontani comunque dal quadro che i poveri hanno progredito meno dei ricchi: i poveri sono diventati piu poveri e molti che non erano poveri lo sono diventati. Il processo colpisce il “sud” del mondo progredito: il negro dell’Alabama e il manovale ( ma anche il laureato) del meridione: ma il processo si potrà estendere al “nord” piu prospero? Forse in realta si è gia esteso solo che non si vede perche comunque alti livelli di prosperità possono essere compressi anche senza creare disagi L’operaio tedesco o baltico ha mantenuto i livelli di vita di 10 anni fa? E per livello di vita non intendo semplicemente la retribuzione ma tutto il quadro economico assistenza , pensione, condizioni di lavoro.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 11 Giugno 2014 a 0:46 Che fiducia dovremmo poi accordare alle politiche ambientali proposte dai repubblicani? http://www.newyorker.com/online/blogs/comment/2014/06/republicans-u...

Risposto da Fabio Colasanti su 11 Giugno 2014 a 7:51 Nessuna. Giampaolo Carboniero ha detto: Che fiducia dovremmo poi accordare alle politiche ambientali proposte dai repubblicani? http://www.newyorker.com/online/blogs/comment/2014/06/republicans-u...

Risposto da Fabio Colasanti su 12 Giugno 2014 a 7:26 Bel guaio in Irak. Dopo la partenza degli americani il paese è precipitato ancora più giù. Adesso gli islamisti controllano una parte del paese con addirittura le città di Mosul e Tikrit.

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Una delle ragioni principali per l'intervento in Afganistan era stata l'evitare che i terroristi avessero una base dove vivere tranquilli e dove preparare i loro attacchi. Adesso dispongono del territorio tra la Siria orientale e la parte sotto il loro controllo dell'Irak che potrà diventare proprio una base del genere. La guerra in Siria sta diventando un grattacapo per l'Europa anche per le centinaia di giovani europei mussulmani che sono andati a combattere in quel paese, si sono radicalizzati e sono ritornati in Europa dove rischiano di commettere violenze di ogni tipo (caso del probabile sospetto per l'attacco al museo ebraico di Bruxelles). Che fare? Barack Obama ha appena ricordato che gli Stati Uniti non vogliono più intervenire militarmente. Se non intervengono gli americani chi può intervenire ? Saddam Hussein sarebbe stato il male minore. Quello che sta succedendo è un'altra conferma di quanto sia stata sbagliata la guerra in Irak; di quanto sia ingenuo pensare di poter portare la democrazia in certi paesi.

Risposto da giovanni de sio cesari su 12 Giugno 2014 a 7:36 Fabio, S,i sono consapevole che le crisi colpiscono i piu poveri mentre i ricchi possono a volte arricchirsi. Pero è proprio questo il problema che ponevo: mi ( vi) chiedevo se l’impoverimento delle maggioranze sia un fatto congiunturale ( come si diceva una volta) che colpisce qui e la per qualche tempo oppure un fatto che colpisce tutto il mondo occidentale da 30 anni. Nel primo caso abbiamo una delle tante crisi tipiche del capitalismo, nel secondo caso invece siamo di fronte al declino dell’Occidente, all’inizio di una serie di crisi irreversibile se non riusciamo a trovare un rimedio che non puo di essere qualcosa di ordinaria amministrazione. Notavo pure il fatto allarmante che in USA il miglioramento della situazione economica è stata per il 93% a SOLO vantaggio dei più abbienti Nessun dubbio, proprio nessuno che la priorità sia la disoccupazione, la grande tragedia dei nostri giovani . Tuttavia se per combatterla si diminuisce i livello di retribuzione ( sia direttamente, sia con la precarizzazione , sia con la diminuzione dei servizi e assistenza e cosi via) non mettiamo la premessa per la prossima crisi provocando una diminuzione della domanda? Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, le cifre mostrano che quando c'è una crisi - vedi il 1992/1993 o nel periodo attuale - i poveri perdono più dei ricchi. Ma quando l'economia cresce, anche i più poveri aumentano il loro reddito reale. Si vede bene dalla figura 3 che da l'andamento per i cinque quintili. Per questo il ritorno alla crescita deve essere una priorità. La più grossa causa di povertà è la disoccupazione; soprattutto in un paese come il nostro che non ha ammortizzatori sociali degni di questo nome (hai visto il post che ho inserito nel Diario Giugno sul livello del sussidio di disoccupazione qui a Bruxelles ?).

Risposto da Fabio Colasanti su 12 Giugno 2014 a 8:19 Giovanni, la risposta è semplice. L'impoverimento della maggioranza è una cosa di cui si parla perché non l'abbiamo mai conosciuto nel passato. E' un fenomeno che si vede durante le recessioni e la crisi attuale è stat - per noi - non per il resto del mondo la più grave dal 1929. Non è un fenomeno generalizzato. Non c'è stato nessun impoverimento della maggioranza della popolazione negli ultimi 30 anni nel mondo industrializzato (e i paesi emergenti non hanno mai avuto un perido più favorevole). C'è una differenza tra aumento delle diseguaglianze - fatto evidente da trenta anni a questa parte - e impoverimento assoluto della maggioranza dei cittadini. Sono cose ben diverse. I dati di Prometeia che ho portato per l'Italia mostrano che l'impoverimenti di una parte degli italiani - non della maggioranza - è un fenomeno che è apparso durante le recessioni del 1992/1993 e quella attuale. Al di fuori di questi periodi anche i più poveri hanno avuto un aumento del loro reddito reale. Negli Stati Uniti invece c'è un problema più grosso come i dati di Piketty per il periodo 2002-2012 mostrano.

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L'aumento della ricchezza andato per il 93 per cento ai ricchi - fatto vero e citato spesso da Stiglitz - è relativo ad un solo anno. Con l'economia mondiale che cresce da tre decenni a tassi molto forti, non c'è un rischio di insufficienza della domanda. La Banca d'Italia - avevo postato un estratto dei loro studi qualche settimana fa - mostra che i nostri mercati di esportazione sono cresciuti più delle nostre esportazioni. La domanda interna nei nostri trenta partner commerciali è cresciuta fortemente, ma le nostre esportazioni non sono riuscite a tenere il passo. Abbiamo perso consistenti quote di mercato. L'Europa ritornerà al livello di reddito pro capite reale che aveva nel 2007 solo nel 2015/2016. Gli Stati Uniti ci sono ritornati da un pezzo. giovanni de sio cesari ha detto: Fabio, S,i sono consapevole che le crisi colpiscono i piu poveri mentre i ricchi possono a volte arricchirsi. Pero è proprio questo il problema che ponevo: mi ( vi) chiedevo se l’impoverimento delle maggioranze sia un fatto congiunturale ( come si diceva una volta) che colpisce qui e la per qualche tempo oppure un fatto che colpisce tutto il mondo occidentale da 30 anni. Nel primo caso abbiamo una delle tante crisi tipiche del capitalismo, nel secondo caso invece siamo di fronte al declino dell’Occidente, all’inizio di una serie di crisi irreversibile se non riusciamo a trovare un rimedio che non puo di essere qualcosa di ordinaria amministrazione. Notavo pure il fatto allarmante che in USA il miglioramento della situazione economica è stata per il 93% a SOLO vantaggio dei più abbienti Nessun dubbio, proprio nessuno che la priorità sia la disoccupazione, la grande tragedia dei nostri giovani . Tuttavia se per combatterla si diminuisce i livello di retribuzione ( sia direttamente, sia con la precarizzazione , sia con la diminuzione dei servizi e assistenza e cosi via) non mettiamo la premessa per la prossima crisi provocando una diminuzione della domanda?

Risposto da giorgio varaldo su 12 Giugno 2014 a 8:45 purtroppo i risultati dei disastri della politica estera USA li vediamo solo dopo anni. il sostegno di reagan alla rivolta islamica in funzione antisovietica in afghanistan, g.w.bush con la seconda guerra del golfo ed obama con la caduta di gheddafi sono la chiara dimostrazione di una politica estera schizofrenica. meno male che la russia di putin ha impedito un ulteriore disastro in siria senza saddam oggi l'ISI controllerebbe totalmente quel paese con effetti destabilizzanti per i delicati equilibri non solo del medio oriente e con il controllo dei campi petroliferi della parte nord iraqena anche il petrolio. non dobbiamo dimenticare che in siria oltre agli errori USA siamo in presenza di un sostegno saudita e di parte degli emirati agli insorgenti e lo stesso sostegno - vedi gli aritcoli di al jazeera - è stato dato ai fratelli musulmani in egitto ed agli insorti in libia. in questa situazione una possibile via di uscita potrebbe essere l'intervento turco in territorio iraqeno ed il blocco degli aiuti sauditi agli insorgenti. ma la domanda alla quale nessuno può dare una risposta è drammaticamente : europa dove sei?

Risposto da Fabio Colasanti su 12 Giugno 2014 a 8:58 Sergio Romano sull'Irak. http://www.corriere.it/editoriali/14_giugno_12/rinascita-califfato-...

Risposto da giorgio varaldo su 12 Giugno 2014 a 9:22 sergio romano conferma la mancanza di pragmaticità di obama riguardo al contrasto al regime siriano. al quadro prospettato da romano mancano due pedine fondamentali: israele e putin

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Fabio Colasanti ha detto: Sergio Romano sull'Irak. http://www.corriere.it/editoriali/14_giugno_12/rinascita-califfato-...

Risposto da giovanni de sio cesari su 12 Giugno 2014 a 10:06 Fabio, È vero :pare che il sogno di bin Laden si stia realizzando con la formazione del califfato islamico a cavallo di due nazioni create comunque dagli accordi fra europei . Tuttavia farei qualche riflessione Quello che distinse bin Laden dagli infiniti altri integralismi islamici fu l’idea di portare la guerra in occidente nella convinzione che gli avversari dell’integralismo fossero solo dei loro servitori: gli integralisti hanno abbandonato questa tattica che piu che impraticabile si è rilevata suicida. Il mondo islamico è diviso in mille rivalità inconciliabili : l’integralismo di al qaeda proponeva l’unica unita possibile, quella della Umma ( comunità dei fedeli) che si raccoglierebbe in una grande guerra contro i crociati: al Qaeda era formata da popoli diversissimi , si dice , una specie di internazionale comunista di altri tempi Ma l’integralismo va disperdendosi secondo linee etniche e tribali In Iraq e Siria i veri contendenti sono gli sciiti e i sunniti: gli integralisti sunniti (assimilati ad al qaeda) prendono spazio perche piu organizzati e fanatizzati, si mostrano i più efficienti Le zone di cui hanno preso il controllo in Iraq sono proprio quelle di Saddam grande nemico dell’integralismo. I sunniti sostenitori di un stato teocratico si trovano a lottare contro gli sciiti sostenuti dall’Iran, l’unico stato al mondo nel quale la teocrazia si è effettivamente realizzata. A mio parere personale il vero problema non è stato tanto il fallimento americano in Iraq quanto il fallimento della democrazia in Egitto . Nel momento in cui i generali egiziani si sono ripresi il potere hanno dimostrato la impraticabilità della democrazia in un paese islamico: l’unica alternativa alla situazione rimane il califfato. Fabio Colasanti ha detto: Bel guaio in Irak. Dopo la partenza degli americani il paese è precipitato ancora più giù. Adesso gli islamisti controllano una parte del paese con addirittura le città di Mosul e Tikrit. Una delle ragioni principali per l'intervento in Afganistan era stata l'evitare che i terroristi avessero una base dove vivere tranquilli e dove preparare i loro attacchi. Adesso dispongono del territorio tra la Siria orientale e la parte sotto il loro controllo dell'Irak che potrà diventare proprio una base del genere. La guerra in Siria sta diventando un grattacapo per l'Europa anche per le centinaia di giovani europei mussulmani che sono andati a combattere in quel paese, si sono radicalizzati e sono ritornati in Europa dove rischiano di commettere violenze di ogni tipo (caso del probabile sospetto per l'attacco al museo ebraico di Bruxelles). Che fare? Barack Obama ha appena ricordato che gli Stati Uniti non vogliono più intervenire militarmente. Se non intervengono gli americani chi può intervenire ? Saddam Hussein sarebbe stato il male minore. Quello che sta succedendo è un'altra conferma di quanto sia stata sbagliata la guerra in Irak; di quanto sia ingenuo pensare di poter portare la democrazia in certi paesi.

Risposto da Fabio Colasanti su 12 Giugno 2014 a 10:57 Giovanni, è molto giusto quello che dici sul fallimento della democrazia in Egitto. Prima di concludere che la democrazia sia impossibile in un paese mussulmano, cosa forse molto probabile, aspettiamo di vedere dove andrà la Turchia. Certo che gli ultimi sviluppi non sono positivi.

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Sulle divisioni tra gli islamisti, fatto incontrovertibile, si dimentica spesso il fatto che le vittime del terrorismo islamico sono nella loro stragrande maggioranza altri mussulmani.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 12 Giugno 2014 a 19:40 L'unica soluzione, definitiva, del problema, è l'autosufficienza dalle fonti fossili, agli emiri mancherebbero i fondi per fomentare il radicalismo islamico. giorgio varaldo ha detto: purtroppo i risultati dei disastri della politica estera USA li vediamo solo dopo anni. il sostegno di reagan alla rivolta islamica in funzione antisovietica in afghanistan, g.w.bush con la seconda guerra del golfo ed obama con la caduta di gheddafi sono la chiara dimostrazione di una politica estera schizofrenica. meno male che la russia di putin ha impedito un ulteriore disastro in siria senza saddam oggi l'ISI controllerebbe totalmente quel paese con effetti destabilizzanti per i delicati equilibri non solo del medio oriente e con il controllo dei campi petroliferi della parte nord iraqena anche il petrolio. non dobbiamo dimenticare che in siria oltre agli errori USA siamo in presenza di un sostegno saudita e di parte degli emirati agli insorgenti e lo stesso sostegno - vedi gli aritcoli di al jazeera - è stato dato ai fratelli musulmani in egitto ed agli insorti in libia. in questa situazione una possibile via di uscita potrebbe essere l'intervento turco in territorio iraqeno ed il blocco degli aiuti sauditi agli insorgenti. ma la domanda alla quale nessuno può dare una risposta è drammaticamente : europa dove sei?

Risposto da giovanni de sio cesari su 13 Giugno 2014 a 18:02 Fabio, Ma io non penso che la democrazia sia incompatibile con l’Islam. Oltre alla Turchia anche Indonesia Malaysia, Bangladesh Pakistan sono delle democrazie, certo da terzo mondo, molto molto imperfette. Il problema è che bisogna accettare che partiti di conclamata ispirazione islamica possano vincere le lezioni e governare: Sono queste le vere alternative all’emirato, al fanatismo Wahabita: Non a caso :i Wahabiti dell’Arabia saudita appoggiano i generali egiziani che con un colpo di stato hanno soffocato la nascente democrazia egiziana: ci vorrà almeno una generazione perche essa possa riaffacciarsi nel ME D’altra parte è quello che è avvenuto anche in Occidente : solo quando partiti di ispirazione cattolica cominciarono a partecipare alle elezioni si affermò veramente la democrazia Per quanto riguarda gli estremisti (integralisti, al qaeda) e moderati (laici) : noi dopo il 9/11 siamo diventati molto sensibili a questa contrasto che c’è davvero.: tuttavia la situazione è molto piu complessa perche, come avveniva nell’Europa medioevale, ogni sorta di contrasto finisce con l’assumere una coloritura religiosa. In Iraq l’ ISIL (Islamic State of Iraq and the Levant) marcia verso Bagdad perche la componente sunnita dell’esercito iracheno non intende combattere i fratelli sunniti seguendo gli ordini di al Maliki, uno sciita che ha escluso i sunniti dal governo ( una vera follia), le milizie curde dei Peshmerga (= quelli che vanno a morire) hanno riconquistato Irkuk, il grande ayatollah al Sistani chiama alla guerra santa gli sciiti di Iraq, gli iraniani sono pronti a intervenire cosi come forse i Turchi dell’islamico e sunnita Erdogan mentre i soliti sauditi, alleati degli USA riforniscono di soldi l’ISIL A me pare che lo scontro in Iraq (come in Siria) non sia fra integralisti e moderati ma fondamentalmente fra sciiti e sunnit Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, è molto giusto quello che dici sul fallimento della democrazia in Egitto. Prima di concludere che la democrazia sia impossibile in un paese mussulmano, cosa forse molto probabile, aspettiamo di vedere dove andrà la Turchia. Certo che gli ultimi sviluppi non sono positivi. Sulle divisioni tra gli islamisti, fatto incontrovertibile, si dimentica spesso il fatto che le vittime del terrorismo islamico sono nella loro stragrande maggioranza altri mussulmani.

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Risposto da Giampaolo Carboniero su 13 Giugno 2014 a 23:48 La differenza, Giovanni, è che in medioriente ci sono gli interessi dei petrolieri e quindi, finora, una risorsa vitale per l'Occidente; poi, per quanto riguarda la democrazia, non sono d'accordo che essa sia nata con i partiti cattolici, c'era già prima, con i protestanti e i liberali, la sua infanzia risale addirittura alla "Magna Carta"; in Italia, i cattolici hanno sempre rappresentato, in politica, la Conservazione. giovanni de sio cesari ha detto: fabio Ma .io non penso che la democrazia sia incompatibile con l’Islam. Oltre alla Turchia anche Indonesia Malaysia, Bangladesh Pakistan sono delle democrazie, certo da terzo mondo, molto molto imperfette. Il problema è che bisogna accettare che partiti di conclamata ispirazione islamica possano vincere le lezioni e governare: Sono queste le vere alternative all’emirato, al fanatismo Wahabita: Non a caso :i Wahabiti dell’Arabia saudita appoggiano i generali egiziani che con un colpo di stato hanno soffocato la nascente democrazia egiziana: ci vorrà almeno una generazione perche essa possa riaffacciarsi nel ME D’altra parte è quello che è avvenuto anche in Occidente : solo quando partiti di ispirazione cattolica cominciarono a partecipare alle elezioni si affermò veramente la democrazia Per quanto riguarda gli estremisti ( integralisti, al qaeda) e moderati ( laici) : noi dopo il 9/11 siamo diventati molto sensibili a questa contrasto che c’ è davvero.: tuttavia la situazione è molto piu complessa perche, come avveniva nell’Europa medioevale, ogni sorta di contrasto finisce con l’assumere una coloritura religiosa. In Iraq l’ ISIL (Islamic State of Iraq and the Levant) marcia verso Bagdad perche la componente sunnita dell’esercito iracheno non intende combattere i fratelli sunniti seguendo gli ordini di al Maliki, uno sciita che ha escluso i sunniti dal governo ( una vera follia), le milizie curde dei Peshmerga (= quelli che vanno a morire) hanno riconquistato Irkuk, il grande ayatollah al Sistani chiama alla guerra santa gli sciiti di Iraq, gli iraniani sono pronti a intervenire cosi come forse i Turchi dell’islamico e sunnita Erdogan mentre i soliti sauditi, alleati degli USA riforniscono di soldi l’ISIL A me pare che lo scontro in Iraq (come in Siria) non sia fra integralisti e moderati ma fondamentalmente fra sciiti e sunniti

Risposto da giovanni de sio cesari su 14 Giugno 2014 a 12:46 Giampaolo Certo ci sono interessi petroliferi ma non capisco perches sarebbero la differenza: la democrazia manca nel MO ( a differenza di altri paesi mussulmani) perche l’occidente lo impedisce? mi sembrerebbe una tesi veramente singolare. O forse vuoi dire che tutti i conflitti nascono per complotti occidentali: ma guarda che sciiti e sunniti sono in conflitto dai tempi della successione di Maometto, i crociati conquistarono Gerusalemme perche gli islamici erano in conflitto perpetuo fra di loro, i Wahabiti risalgono al 700 e l’elenco sarebbe infinito Per quanto riguarda la democrazia io mi riferivo all’Italia. La nostra democrazia nasce nel 700 in America: i precedenti storici sono altra cosa IN America non ci fu opposizione religiosa e infatti tuttora sul dollaro scrivono che confidano in Dio Poi si è affermata in inghilterra pure senza opposizione religiosa . Sul continete invece ci fu una fortissima opposizione della chiesa cattolica: ancora nel 1870 il sillabo condannava i tutti i principi della democrazia. Nello stato unitario italiano le masse erano quindi contrarie e la democrazia si reggeva solo perchè pochi (ricchi) potevano votare. Solo quando i cattolici entrarono in politica la democrazia potè dirsi compiuta. A mio parere nel mondo islamico succede qualcosa di simile (anche se in condizioni molto diverse). Le masse sono ancora legate fortemente all’ islam e quindi un partito veramente popolare non puo che essere di ispirazione islamica. I coisi detti laici (che sono anche essi dei credenti) sono presenti solo nelle fasce piu colte occidentalizzate e ricche. Possono quindi solo esprimere dei governi illiberali autoritari, di classe, diremmo. Che poi i cattolici in politica rappresentino solo la conservazione è una idea abbandonata gia ai tempi di Berlinguer o anche prima da Togliatti. Giampaolo Carboniero ha detto: La differenza, Giovanni, è che in medioriente ci sono gli interessi dei petrolieri e quindi, finora, una risorsa vitale per l'Occidente; poi, per quanto riguarda la democrazia, non sono d'accordo che essa sia nata con i partiti cattolici, c'era

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già prima, con i protestanti e i liberali, la sua infanzia risale addirittura alla "Magna Carta"; in Italia, i cattolici hanno sempre rappresentato, in politica, la Conservazione.

Risposto da giorgio varaldo su 18 Giugno 2014 a 12:41 articolo interessante http://www.repubblica.it/economia/2014/06/17/news/pensioni_lavoro_c... che mette in discussione sia le pensioni che il mancato sostegno alla famiglia e soprattutto il mancato controllo dell'immigrazione orientandola verso figure qualificate. la germania sta attirando i nostri giovani più preparati quindi per il nostro paese ulteriore aggravamento della situazione.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 19 Giugno 2014 a 0:40 La differenza è anche questa politica: http://www.treehugger.com/solar-technology/germany-solar-power-reco...

Risposto da Fabio Colasanti su 20 Giugno 2014 a 23:02 Gli sconvolgimenti che stiamo vedendo nel mondo, con molte frontiere rimesse in discussione, possono avere anche delle conseguenze positive inattese per qualcuno. Dal casino mostruoso che vediamo nel Medio Oriente nascerà forse un Kurdistan indipendente. Finora questo era stato impedito da Iraq, Siria, Turchia e Iran. Ma l'Iraq è in via di dissoluzione e la Siria ha altri problemi. Che faranno adesso Iran e Turchia ?

Risposto da giorgio varaldo su 25 Giugno 2014 a 12:37 quando si parla di politica estera USA non è che si possa definirla molto clever. dopo i disastri dell'afghanistan da parte di reagan, dell'iraq da parte di g.w.bush e libici da parte della coppia obama-sarkò meno male che il veto di russia e cina hanno bloccato l'istituzione della no fly zone in siria. ed ora in iraq si legge che i super tank abrahams (vabbè che erano condotti da irakeni) ed elicotteri mi-24 sono stati distrutti da missili anticarro kornet e missili antiaerei SA18 forniti ai ribelli siriani dagli stati arabi che li appoggiano. http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-06-25/i-jihadisti-iraq-... e questi stati arabi - emirati ed arabia saudita - hanno fornito queste armi ai ribelli in accordo con gli USA . già l'intervento in afghanistan era chiaro che senza una forte presa di posizione presso l'arabia saudita affinchè tagliasse gli aiuti economici ai ribelli sarebbe stato inutile ma nel caso attuale fornire armi ad una parte e mandare consiglieri militari dall'altra è come minimo segno di schizofrenia politica. purtroppo grande assente l'europa ma d'altronde se non si vuole spendere per le armi inutile poi meravigliarsi di come si comportino gli USA

Risposto da Giampaolo Carboniero su 25 Giugno 2014 a 17:20

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Un po' di coerenza anche da istituzioni religiose: http://www.treehugger.com/corporate-responsibility/union-theologica...

Risposto da Fabio Colasanti su 9 Luglio 2014 a 0:52 In Israele, la spirale di attacchi, rappresaglie e controrappresaglie ha ripreso e sta conducendo a nuove perdite di vite umane che aizzeranno ancora di più gli spiriti da entrambe le parti. Non vedo una soluzione. Penso che la situazione sia oramai irrecuperabile. Do un po' più di responsabilità a Israele perché lo considero un paese sviluppato che dovrebbe avere gli strumenti culturali per controllare le pulsioni animalesche. Dai palestinesi non mi aspetto nulla.

Risposto da Fabio Colasanti su 9 Luglio 2014 a 18:47 Mentre alcuni parlano di artigianato, agricoltura e difesa del territorio, il mondo va avanti per la sua strada. Questa è una classifica basata sugli spostamenti professionali delle persone iscritte a LinkedIn (un social network professionale vastissimo; io ho una pagina su LinkedIn, ma non uso Facebook) con competenze nelle nuove tecnologie. L'infografia mostra le dieci città dove la percentuale delle persone con competenze tecniche tra i nuovi immigrati è più alta. Da un'idea - approssimativa - dell'attrazione che alcune città esercitano sulle persone con competentze professionali tecniche; delle città che più si sviluppano e creano occupazione e ricchezza. Tra le prime dieci, non c'è nessuna città europea.

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Risposto da Giampaolo Carboniero su 11 Luglio 2014 a 16:26 Vorrei proprio vedere la reazione dei tuoi compatrioti belgi se qualcuno decidesse di espropriarli di parte del territorio per impiantarvi la Grande Israele; anche dai partigiani italiani non ci si doveva aspettare niente? Dovresti sentire anche qualche altra campana, magari qualcuno delle ONG impegnate in loco: muri che dividono famiglie, che rapinano territori che, secondo le decisioni dell'ONU, dovrebbero essere parte dello stato di Palestina, ma vengono occupati dai nuovi insediamenti israeliani e richiusi entro quel muro vergognoso ( peggiore di quello di Berlino) che i nostri media si peritano bene dal far vedere, e che sta riducendo l'ipotetico stato palestinese a un arcipelago di territori isolati tra loro. Perchè meravigliarsi se un popolo, diventato pedina del domino mondiale, si rifiuta di recitare la parte che i potenti gli hanno assegnato? E fra i potenti ricomprendo i fanatici d'Israele che perseguono la costruzione della Grande Israele, per il popolo eletto di biblica memoria. P.S. A scanso di equivoci, parlo volutamente, distinguendo, fra Israele (Stato) ed ebrei ( religione). Fabio Colasanti ha detto: In Israele, la spirale di attacchi, rappresaglie e controrappresaglie ha ripreso e sta conducendo a nuove perdite di vite umane che aizzeranno ancora di più gli spiriti da entrambe le parti. Non vedo una soluzione. Penso che la situazione sia oramai irrecuperabile. Do un po' più di responsabilità a Israele perché lo considero un paese sviluppato che dovrebbe avere gli strumenti culturali per controllare le pulsioni animalesche. Dai palestinesi non mi aspetto nulla.

Risposto da giorgio varaldo su 11 Luglio 2014 a 16:50 giampaolo potresti aver un barlume di ragione se i missili partissero dal west bank dove governa OLP. ma dato che partono da gaza (dove sempre per aggiornarti non governa OLP bensì HAMAS ) e dato che israele ha abbandonato ogni insediamento da oltre 10 anni non ti pare che la tua ipotesi non sia di molto azzeccata? anzi secondo la tua teoria israele per la sicurezza dei propri cittadini avrebbe fatto male ad abbandonare i propri insediamenti a gaza.. Giampaolo Carboniero ha detto: Vorrei proprio vedere la reazione dei tuoi compatrioti belgi se qualcuno decidesse di espropriarli di parte del territorio per impiantarvi la Grande Israele; anche dai partigiani italiani non ci si doveva aspettare niente? Dovresti sentire anche qualche altra campana, magari qualcuno delle ONG impegnate in loco: muri che dividono famiglie, che rapinano territori che, secondo le decisioni dell'ONU, dovrebbero essere parte dello stato di Palestina, ma vengono occupati dai nuovi insediamenti israeliani e richiusi entro quel muro vergognoso ( peggiore di quello di Berlino) che i nostri media si peritano bene dal far vedere, e che sta riducendo l'ipotetico stato palestinese a un arcipelago di territori isolati tra loro. Perchè meravigliarsi se un popolo, diventato pedina del domino mondiale, si rifiuta di recitare la parte che i potenti gli hanno assegnato? E fra i potenti ricomprendo i fanatici d'Israele che perseguono la costruzione della Grande Israele, per il popolo eletto di biblica memoria. P.S. A scanso di equivoci, parlo volutamente, distinguendo, fra Israele (Stato) ed ebrei ( religione). Fabio Colasanti ha detto: In Israele, la spirale di attacchi, rappresaglie e controrappresaglie ha ripreso e sta conducendo a nuove perdite di vite umane che aizzeranno ancora di più gli spiriti da entrambe le parti. Non vedo una soluzione. Penso che la situazione sia oramai irrecuperabile. Do un po' più di responsabilità a Israele perché lo considero un paese sviluppato che dovrebbe avere gli strumenti culturali per controllare le pulsioni animalesche. Dai palestinesi non mi aspetto nulla.

Risposto da Fabio Colasanti su 11 Luglio 2014 a 18:15 Giampaolo, evidentemente devi aver perso di vista il fatto che l'esistenza dello stato di Israele è accettata da tutti, comprese tutte le forze di sinistra di questo mondo e Al Fatah. Se hai dubbi sull'esistenza dello stato di Israele ti ritrovi nella poco

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invidiabile compagnia di Hamas e dell'Iran. Non credo che sarebbe utile riaprire una discussione su questo punto; non avrebbe alcun senso. Se vai a rileggere quello che ho scritto, vedrai che per il deterioramento della situazione dopo la creazione dello stato di Israele considero il governo di questo paese più responsabile dei palestinesi. Ti spiego perché non mi aspetto nulla dai palestinesi. Non saranno mai capaci di esprimere una posizione negoziale comune. I due lati, palestinesi e israeliani, hanno delle richieste fortemente diverse. Ogni accordo possibile implicherà sempre che entrambe le parti rinuncino a una buona parte delle posizioni retoriche attuali. Non vedo come i palestinesi possano mai avere un leader con un'autorità tale da permettergli di dare il suo accordo a una qualsiasi proposta di pace. Ogni proposta sarà sempre denunciata dagli estremisti di entrambi i lati come un tradimento. Perfino Arafat, che pure aveva un'autorità abbastanza forte, non ha avuto il coraggio di afferrare l'occasione di una pace vera quando questa si è presentata. Al Fatah, minata dalla corruzione dei suoi dirigenti, non avrà mai nessuna autorità e di Hamas non credo valga nemmeno la pena di parlare. PS: non sono belga. Giampaolo Carboniero ha detto: Vorrei proprio vedere la reazione dei tuoi compatrioti belgi se qualcuno decidesse di espropriarli di parte del territorio per impiantarvi la Grande Israele; anche dai partigiani italiani non ci si doveva aspettare niente? Dovresti sentire anche qualche altra campana, magari qualcuno delle ONG impegnate in loco: muri che dividono famiglie, che rapinano territori che, secondo le decisioni dell'ONU, dovrebbero essere parte dello stato di Palestina, ma vengono occupati dai nuovi insediamenti israeliani e richiusi entro quel muro vergognoso ( peggiore di quello di Berlino) che i nostri media si peritano bene dal far vedere, e che sta riducendo l'ipotetico stato palestinese a un arcipelago di territori isolati tra loro. Perchè meravigliarsi se un popolo, diventato pedina del domino mondiale, si rifiuta di recitare la parte che i potenti gli hanno assegnato? E fra i potenti ricomprendo i fanatici d'Israele che perseguono la costruzione della Grande Israele, per il popolo eletto di biblica memoria. P.S. A scanso di equivoci, parlo volutamente, distinguendo, fra Israele (Stato) ed ebrei ( religione). Fabio Colasanti ha detto: In Israele, la spirale di attacchi, rappresaglie e controrappresaglie ha ripreso e sta conducendo a nuove perdite di vite umane che aizzeranno ancora di più gli spiriti da entrambe le parti. Non vedo una soluzione. Penso che la situazione sia oramai irrecuperabile. Do un po' più di responsabilità a Israele perché lo considero un paese sviluppato che dovrebbe avere gli strumenti culturali per controllare le pulsioni animalesche. Dai palestinesi non mi aspetto nulla.

Risposto da Carlo De Luca su 11 Luglio 2014 a 20:35 Giampaolo, il muro è una semplice misura difensiva cui Israele è stato costretto dall'offensiva dei kamikaze palestinesi. Non fa parte del piano di occupazione della Palestina, anzi è per Israele un intralcio fastidioso; fa immaginare dei confini che non sono quelli desiderati. Sul resto concordo al 100%, senza giustificare quella che è a tutti gli effetti una guerra contro la popolazione civile nemica. Giampaolo Carboniero ha detto: Vorrei proprio vedere la reazione dei tuoi compatrioti belgi se qualcuno decidesse di espropriarli di parte del territorio per impiantarvi la Grande Israele; anche dai partigiani italiani non ci si doveva aspettare niente? Dovresti sentire anche qualche altra campana, magari qualcuno delle ONG impegnate in loco: muri che dividono famiglie, che rapinano territori che, secondo le decisioni dell'ONU, dovrebbero essere parte dello stato di Palestina, ma vengono occupati dai nuovi insediamenti israeliani e richiusi entro quel muro vergognoso ( peggiore di quello di Berlino) che i nostri media si peritano bene dal far vedere, e che sta riducendo l'ipotetico stato palestinese a un arcipelago di territori isolati tra loro. Perchè meravigliarsi se un popolo, diventato pedina del domino mondiale, si rifiuta di recitare la parte che i potenti gli hanno assegnato? E fra i potenti ricomprendo i fanatici d'Israele che perseguono la costruzione della Grande Israele, per il popolo eletto di biblica memoria. P.S. A scanso di equivoci, parlo volutamente, distinguendo, fra Israele (Stato) ed ebrei ( religione). Fabio Colasanti ha detto: In Israele, la spirale di attacchi, rappresaglie e controrappresaglie ha ripreso e sta conducendo a nuove perdite di vite umane che aizzeranno ancora di più gli spiriti da entrambe le parti. Non vedo una soluzione. Penso che la situazione sia oramai irrecuperabile. Do un po' più di responsabilità a Israele perché lo considero un paese sviluppato che dovrebbe avere gli strumenti culturali per controllare le pulsioni animalesche. Dai palestinesi non mi aspetto nulla.

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Risposto da Carlo De Luca su 11 Luglio 2014 a 21:00 Giorgio, non è che i palestinesi siano formiche che reagiscono tramite istinti - tu metti muro io sparo missili. La qualità di vita a Gaza rende Roma, al confronto, Beverly Hills. Hamas si nutre dell'odio e della disperazione di buona parte degli abitanti di Gaza City, che vivono praticamente in un recinto di cui Israele continua a tenere le chiavi. Il fatto che sia uscito dal recinto non rende Gaza meno invivibile. Nè potrei dire che Israele sbaglia; perché è da vent'anni abbondanti che persegue questa politica, per cui pragmaticamente tendo a pensare che gli vada benissimo così. Il problema ce l'hanno i palestinesi, ed Israele deve unicamente impedire che essi diano troppo fastidio, oltre a dover mascherare in qualche modo i suoi obiettivi fondamentali agli occhi di alleati ed osservatori terzi. Anch'io non vedo sbocchi; almeno sbocchi praticabili. giorgio varaldo ha detto: giampaolo potresti aver un barlume di ragione se i missili partissero dal west bank dove governa OLP. ma dato che partono da gaza (dove sempre per aggiornarti non governa OLP bensì HAMAS ) e dato che israele ha abbandonato ogni insediamento da oltre 10 anni non ti pare che la tua ipotesi non sia di molto azzeccata? anzi secondo la tua teoria israele per la sicurezza dei propri cittadini avrebbe fatto male ad abbandonare i propri insediamenti a gaza.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 13 Luglio 2014 a 19:17 Non sono l'unico a criticare la politica del governo israeliano http://www.gadlerner.it/2014/07/11/marek-halter-israele-e-hamas-nel... Politicanti di mezza tacca che vedono solo il loro interesse ed obiettivi immediati, senza alcun riguardo o interesse per i possibili effetti collaterali futuri; sto leggendo saggi e libri sulla prima grande guerra, giusto 100 anni fa, e vedo angoscianti analogie nella assenza di visione del futuro.

Risposto da mariella alois su 13 Luglio 2014 a 20:01 Marek Halter, nel suo articolo su Repubblica del 11/7 pag1-17,dal titolo "Sulla palestina l'ombra del califfo nero", parla in effetti del ruolo jihadista nel nuovo conflitto,"é apparso un nuovo attore,una figura inaspettata,che non rispetta le regole e che nessuno sa come contenere,aggredire o neutralizzare.Al Baghdadi ha una strategia ben precisa.Scatenare l'inferno a Gaza é il diversivo che gli consentirà di penetrare in Giordania." Vale la pena di leggere in estenso questo articolo.Critica in effetti la politica di Netanyahu,che taccia di opportunismo politico, ma mi pare aver capito, da varie fonti di stampa, che da parte israeliana il rischio in gioco sia ben chiaro,non si sa bene come affrontarlo. Insomma non mi sentirei di condannare l'uno o l'altro , poiché la situazione sembra piu' complessa e pericolosa di quanto sia mai stata. C'é stata una riunione oggi a Vienna , tra i capi della diplomazia USA,GB,D e F. Il pensiero va alle popolazioni coinvolte; Giampaolo Carboniero ha detto: Non sono l'unico a criticare la politica del governo israeliano http://www.gadlerner.it/2014/07/11/marek-halter-israele-e-hamas-nel... Politicanti di mezza tacca che vedono solo il loro interesse ed obiettivi immediati, senza alcun riguardo o interesse per i possibili effetti collaterali futuri; sto leggendo saggi e libri sulla prima grande guerra, giusto 100 anni fa, e vedo angoscianti analogie nella assenza di visione del futuro.

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Risposto da giorgio varaldo su 13 Luglio 2014 a 20:44 gad lerner non è di sicuro esempio di serietà ed obiettività di giudizio riguardo all'economia figuriamoci su israele Giampaolo Carboniero ha detto: Non sono l'unico a criticare la politica del governo israeliano http://www.gadlerner.it/2014/07/11/marek-halter-israele-e-hamas-nel... Politicanti di mezza tacca che vedono solo il loro interesse ed obiettivi immediati, senza alcun riguardo o interesse per i possibili effetti collaterali futuri; sto leggendo saggi e libri sulla prima grande guerra, giusto 100 anni fa, e vedo angoscianti analogie nella assenza di visione del futuro.

Risposto da giorgio varaldo su 13 Luglio 2014 a 20:57 concordo sulle cause sull'aumento di tensione a gaza legata a cosa succede in iraq. dissento dalla regia . HAMAS è legata all'iran sciita che è il fornitore di armi mentre il califfato delI'iraq del levante (ISIS ) è sunnita e sta progressivamente conquistando l'iraq di nur al maliki (sciita). è quindi più probabile che l'aumento di tensione a gaza sia in funzione di distogliere l'interesse mondiale su un possibile intervento più o meno diretto dell'iran a sostegno del governo di bagdad. mariella alois ha detto: Marek Halter, nel suo articolo su Repubblica del 11/7 pag1-17,dal titolo "Sulla palestina l'ombra del califfo nero", parla in effetti del ruolo jihadista nel nuovo conflitto,"é apparso un nuovo attore,una figura inaspettata,che non rispetta le regole e che nessuno sa come contenere,aggredire o neutralizzare.Al Baghdadi ha una strategia ben precisa.Scatenare l'inferno a Gaza é il diversivo che gli consentirà di penetrare in Giordania." Vale la pena di leggere in estenso questo articolo.Critica in effetti la politica di Netanyahu,che taccia di opportunismo politico, ma mi pare aver capito, da varie fonti di stampa, che da parte israeliana il rischio in gioco sia ben chiaro,non si sa bene come affrontarlo. Insomma non mi sentirei di condannare l'uno o l'altro , poiché la situazione sembra piu' complessa e pericolosa di quanto sia mai stata. C'é stata una riunione oggi a Vienna , tra i capi della diplomazia USA,GB,D e F. Il pensiero va alle popolazioni coinvolte; Giampaolo Carboniero ha detto: Non sono l'unico a criticare la politica del governo israeliano http://www.gadlerner.it/2014/07/11/marek-halter-israele-e-hamas-nel... Politicanti di mezza tacca che vedono solo il loro interesse ed obiettivi immediati, senza alcun riguardo o interesse per i possibili effetti collaterali futuri; sto leggendo saggi e libri sulla prima grande guerra, giusto 100 anni fa, e vedo angoscianti analogie nella assenza di visione del futuro.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 14 Luglio 2014 a 0:40 Come ebreo, Gad Lerner forse comprende meglio i suoi. giorgio varaldo ha detto: gad lerner non è di sicuro esempio di serietà ed obiettività di giudizio riguardo all'economia figuriamoci su israele Giampaolo Carboniero ha detto:

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Non sono l'unico a criticare la politica del governo israeliano http://www.gadlerner.it/2014/07/11/marek-halter-israele-e-hamas-nel... Politicanti di mezza tacca che vedono solo il loro interesse ed obiettivi immediati, senza alcun riguardo o interesse per i possibili effetti collaterali futuri; sto leggendo saggi e libri sulla prima grande guerra, giusto 100 anni fa, e vedo angoscianti analogie nella assenza di visione del futuro.

Risposto da giorgio varaldo su 14 Luglio 2014 a 0:45 si esattamente come marco ferrando o roberto fiore comprendono gli italiani Giampaolo Carboniero ha detto: Come ebreo, Gad Lerner forse comprende meglio i suoi. giorgio varaldo ha detto: gad lerner non è di sicuro esempio di serietà ed obiettività di giudizio riguardo all'economia figuriamoci su israele Giampaolo Carboniero ha detto: Non sono l'unico a criticare la politica del governo israeliano http://www.gadlerner.it/2014/07/11/marek-halter-israele-e-hamas-nel... Politicanti di mezza tacca che vedono solo il loro interesse ed obiettivi immediati, senza alcun riguardo o interesse per i possibili effetti collaterali futuri; sto leggendo saggi e libri sulla prima grande guerra, giusto 100 anni fa, e vedo angoscianti analogie nella assenza di visione del futuro.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 14 Luglio 2014 a 0:50 Da quando sei un tuttologo? giorgio varaldo ha detto: si esattamente come marco ferrando o roberto fiore comprendono gli italiani Giampaolo Carboniero ha detto: Come ebreo, Gad Lerner forse comprende meglio i suoi. giorgio varaldo ha detto: gad lerner non è di sicuro esempio di serietà ed obiettività di giudizio riguardo all'economia figuriamoci su israele Giampaolo Carboniero ha detto: Non sono l'unico a criticare la politica del governo israeliano http://www.gadlerner.it/2014/07/11/marek-halter-israele-e-hamas-nel... Politicanti di mezza tacca che vedono solo il loro interesse ed obiettivi immediati, senza alcun riguardo o interesse per i possibili effetti collaterali futuri; sto leggendo saggi e libri sulla prima grande guerra, giusto 100 anni fa, e vedo angoscianti analogie nella assenza di visione del futuro.

Risposto da giorgio varaldo su 14 Luglio 2014 a 1:08 tuttologo chi sa chi sono ferrando e fiore? Giampaolo Carboniero ha detto: Da quando sei un tuttologo?

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Risposto da Giampaolo Carboniero su 14 Luglio 2014 a 12:55 Un altro (inattendibile?) che contesta l'obiettività della "realtà" che fa comodo a tanti, troppi, che vedono solo quello che conferma la loro ferma opinione: http://www.gadlerner.it/2014/07/13/una-amara-riflessione-di-gideon-...

Risposto da giorgio varaldo su 14 Luglio 2014 a 13:06 forse l'ineffabile gad lerner non è a conoscenza che fra paesi arabi come egitto e giordania ed israele la pace è possibile. chi continua a mettere in evidenza tutte le notizie riguardanti i contrasti ignorando sistematicamente quelle di pace è arduo definirlo creatore di pace. Giampaolo Carboniero ha detto: Un altro (inattendibile?) che contesta l'obiettività della "realtà" che fa comodo a tanti, troppi, che vedono solo quello che conferma la loro ferma opinione: http://www.gadlerner.it/2014/07/13/una-amara-riflessione-di-gideon-...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 14 Luglio 2014 a 13:07 Forse, invece di dire ormai è fatta, si dovrebbe imparare dagli errori passati, partendo, intanto, dal considerarli errori e proponendosi di non ripeterli in futuro; quando si lancia un sasso in aria e ricade sulla propria testa, non si può pretendere di mettere elmetti in testa a tutti, basta non lanciare più sassi in aria ( ma naturalmente chi ama la pace non capisce niente, è un utopista, ecct., salvo che poi a pagare sono i soliti): http://www.gadlerner.it/2014/07/13/il-medio-oriente-capovolto-paga-...

Risposto da Fabio Colasanti su 14 Luglio 2014 a 13:09 Giampaolo, non credo che nel nostro circolo ci sia una sola persona che difenda l'intervento armato nell'Iraq del 2003. Giampaolo Carboniero ha detto: Forse, invece di dire ormai è fatta, si dovrebbe imparare dagli errori passati, partendo, intanto, dal considerarli errori e proponendosi di non ripeterli in futuro; quando si lancia un sasso in aria e ricade sulla propria testa, non si può pretendere di mettere elmetti in testa a tutti, basta non lanciare più sassi in aria ( ma naturalmente chi ama la pace non capisce niente, è un utopista, ecct., salvo che poi a pagare sono i soliti): http://www.gadlerner.it/2014/07/13/il-medio-oriente-capovolto-paga-...

Risposto da giorgio varaldo su 14 Luglio 2014 a 13:59 carlo pur condividendo in linea di massima le tue parole debbo rilevare che le chiavi di gaza le tengono sia israele che l'egitto ed il blocco verso la frontiera egiziana non è che sia ufficialmente meno penetrabile di quello verso israele.

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vero è che questo blocco è in realtà penetrato dai contrabbandieri purtroppo di armi ma per chi ha un minimo di conoscenza dei paesi arabi ci sarebbe da stupirsi del contrario. non credo che la politica israeliana verso gaza ed il west bank sia la migliore finalizzata ad un futuro di pace. ma trattandosi di israele non ci dimentichiamo che in una democrazia - ed israele è l'unica democrazia del medio oriente - la linea politica è decisa dalle elezioni quindi dalla maggioranza degli israeliani. forse alla giornata di preghiera a roma papa francesco avrebbe dovuto invitare anche ismail haniyeh... Carlo De Luca ha detto: Giorgio, non è che i palestinesi siano formiche che reagiscono tramite istinti - tu metti muro io sparo missili. La qualità di vita a Gaza rende Roma, al confronto, Beverly Hills. Hamas si nutre dell'odio e della disperazione di buona parte degli abitanti di Gaza City, che vivono praticamente in un recinto di cui Israele continua a tenere le chiavi. Il fatto che sia uscito dal recinto non rende Gaza meno invivibile. Nè potrei dire che Israele sbaglia; perché è da vent'anni abbondanti che persegue questa politica, per cui pragmaticamente tendo a pensare che gli vada benissimo così. Il problema ce l'hanno i palestinesi, ed Israele deve unicamente impedire che essi diano troppo fastidio, oltre a dover mascherare in qualche modo i suoi obiettivi fondamentali agli occhi di alleati ed osservatori terzi. Anch'io non vedo sbocchi; almeno sbocchi praticabili.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 14 Luglio 2014 a 16:34 Mi pare che la guerra dell'Iraq fosse utilizzata come esempio di mancanza di visione, e non l'unico. Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, non credo che nel nostro circolo ci sia una sola persona che difenda l'intervento armato nell'Iraq del 2003. Giampaolo Carboniero ha detto: Forse, invece di dire ormai è fatta, si dovrebbe imparare dagli errori passati, partendo, intanto, dal considerarli errori e proponendosi di non ripeterli in futuro; quando si lancia un sasso in aria e ricade sulla propria testa, non si può pretendere di mettere elmetti in testa a tutti, basta non lanciare più sassi in aria ( ma naturalmente chi ama la pace non capisce niente, è un utopista, ecct., salvo che poi a pagare sono i soliti): http://www.gadlerner.it/2014/07/13/il-medio-oriente-capovolto-paga-...

Risposto da Carlo De Luca su 14 Luglio 2014 a 20:04 giorgio varaldo ha detto: carlo pur condividendo in linea di massima le tue parole debbo rilevare che le chiavi di gaza le tengono sia israele che l'egitto ed il blocco verso la frontiera egiziana non è che sia ufficialmente meno penetrabile di quello verso israele. Questa è un'altra prova del fatto che i palestinesi hanno smesso da anni (decenni) di avere un'utilità per i governi dei paesi arabi confinanti, trasformandosi piuttosto in fattore di instabilità e di imbarazzo politico. L'Egitto ha mantenuto fede al trattato di pace in modo encomiabile ed ha in effetti tutto da perdere dal fondamentalismo islamico. Anche nella breve stagione dei Fratelli Musulmani ha mantenuto chiuse le frontiere ed onorato il trattato di pace. Io li trovo elementi molto positivi, sui quali Israele avrebbe potuto costruire un diverso futuro per se stesso e per i palestinesi anziché limitarsi a portare a casa il risultato. Ma il problema è sempre quello, è inutile girarci attorno: Israele può accettare una pace con l'Egitto e con la Giordania perché non ha con essi contenziosi territoriali; a determinate condizioni potrebbe anche accettare una pace con la Siria. Ma ai territori occupati, quelli che i partiti religiosi al governo chiamano Giudea e Samaria, non rinuncerà. Israele vuole quelle terre anche se non può nè annettersele nè espellerne la popolazione.

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vero è che questo blocco è in realtà penetrato dai contrabbandieri purtroppo di armi ma per chi ha un minimo di conoscenza dei paesi arabi ci sarebbe da stupirsi del contrario. Beh! Anche Israele agli esordi si è ampiamente equipaggiato grazie al contrabbando d'armi. Non si contano i veicoli militari, fucili e mitragliatori transitati nei nostri porti sotto la dizione di "trattori" o "equipaggiamenti agricoli". Mi pare anche di aver letto che nel periodo più ricco delle esportazioni si consigliò ai nostri finanzieri di chiudere un occhio, perchè qualsiasi cargo diretto in Palestina avessero ispezionato ci avrebbero trovato armi. Personalmente trovo abbastanza normale che Hamas cerchi di procurarsi armi; mi stupirei se non lo facesse. Non è che se una cosa la fanno gli ebrei sono pieni di risorse e se invece la fanno gli arabi, sono infidi e levantini. non credo che la politica israeliana verso gaza ed il west bank sia la migliore finalizzata ad un futuro di pace. E', molto semplicemente, una politica finalizzata al mantenimento e alla lenta ma costante estensione dell'occupazione. Tutto il resto è cosmesi. Israele vuole la pace, certamente. Ma è una pace che non prevede da parte sua l'abbandono dei territori. Se fossimo nel secolo precedente avrebbe forse potuto procedere alla pulizia etnica dei territori (dopo averla fatta nei propri confini) e risolvere così alla radice il problema palestinese. Se invece non ci fosse stata di mezzo la questione dell'identità ebraica di Israele, avrebbe potuto forse assimilare la popolazione palestinese e creare uno stato federale. Ed invece si trova a metà strada. Vuole le terre ma non gli abitanti, e sebbene gli possa rendere la vita difficile non ha la facoltà di sbarazzarsi di loro. Se solo non fossero così testardi! ma trattandosi di israele non ci dimentichiamo che in una democrazia - ed israele è l'unica democrazia del medio oriente - la linea politica è decisa dalle elezioni quindi dalla maggioranza degli israeliani. non lo dimentico, ma lo vedo semmai come un aggravio di responsabilità: i cittadini israeliani sono i principali responsabili della situazione in cui vivono. Aggiungo che proprio perché considero Israele una democrazia, uno stato di diritto, un paese moralmente oltre che militarmente forte, non posso accettare da parte sua comportamenti tanto predatori. La colonizzazione dei territori occupati mi disgusta profondamente; mi disgusterebbe anche se fossi cittadino israeliano. Israele ha il diritto / dovere di difendere la propria popolazione ma in questa guerra, devo constatare, è l'aggressore e l'occupante. E' un dato di fatto che nei territori occupati sta conducendo da decenni opera di colonizzazione riducendo vieppiù gli spazi di manovra della popolazione residente, alla quale viene data in pratica la scelta tra la vita come esuli a casa propria o la vita come esuli in qualche paese arabo. E ci sdegnamo se si ribellano? O se l'unica leadership palestinese con qualche seguito è quella radicale? Ma quale credito può avere una linea politica che punta come massimo risultato ad una moratoria temporanea degli insediamenti?

Risposto da Fabio Colasanti su 14 Luglio 2014 a 21:57 Carlo, La pulizia etnica è stata la maniera come tutte le diplomazie hanno cercato di risolvere il problema delle minoranze in un certo momento della nostra storia. La pulizia etnica è stata accettata anche a livello delle Nazioni Unite. Negli anni venti si è esitato tra le due strade : pulizia etnica e difesa delle minoranze. Nel 1922/1923 si organizzò un grossissimo scambio di popolazioni (un milione e mezzo di ortodossi e mezzo milione di mussulmani furono cacciati e obbligati a stabilirsi in un altro paese, di cui spesso non parlavano nemmeno la lingua) tra Grecia e Turchia, sotto il controllo internazionale (soprattutto norvegese). Ma poi, con la creazione della Società delle Nazioni, si tornò di nuovo a difendere le minoranze (le tante create dai trattati di Versailles). Dopo la seconda guerra mondiale ci si arrese. Il periodo tra le due guerre aveva dimostrato l’impossibilità di difendere le minoranze e aveva mostrato come queste fossere delle scintille per conflitti più gravi. Immediatamente dopo la seconda guerra mondiale ci furono spostamenti massicci di popolazioni, ben oltre quindici milioni di persone: 12 milioni di tedeschi espulsi dagli ex territori tedeschi; i 350mila italiani espulsi dalla Dalmazia e Istria, i milioni e milioni di polacchi espulsi dal buon terzo della Polonia che passò alla Russia e che furono trasferiti nelle zone trasferite dalla Germania alla Polonia e da dove i tedeschi erano stati a loro volta espulsi. A questi grossi movimenti ne vanno poi aggiunti tanti nei paesi baltici e nei Balcani. Il movimento sionista ha radici che risalgono all’inizio del ventesimo secolo. Ma dopo la seconda guerrà mondiale beneficiò della convinzione che si era creata in tutte le diplomazie che il problema delle minoranze – in questo caso degli ebrei – non fosse risolvibile. Quindi la creazione dello stato di Israele – con l’espulsione di oltre un milione di

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arabi – fu vista come un’altra mossa necessaria per garantire la pace futura. L’espulsione di un milione di arabi avrebbe fatto posto a quattro milioni di ebrei risolvendo il problema europeo (a quei tempi non si pensava agli ebrei dell’Unione Sovietica che non potevano lasciare il paese). Questo spiega il voto alle Nazioni Unite per la spartizione della Palestina. Oggi è difficile capirlo, ma a quei tempi la decisione ebbe un sostegno amplissimo. Chi votò per la spartizione della Palestina pensava di aver garantito la pace. La grossa differenza fu che mentre in Europa più di quindici milioni di persone furono integrate e assorbite, in Palestina i paesi arabi fecero di tutto per mantenere i profughi ammassati ai confini di Israele per ricordare il “vulnus”. La parte che andò ad oriente e al nord si stabilì in Giordania e Libano (creando il “settembre nero” e subendo i massacri di Sabra e Chatila) e oggi è più o meno assorbita (anche se alimenta Hitzbollah e altre milizie). La parte che fu espulsa verso sud fu invece bloccata dall’Egitto e ha creato quel bubbone inumano che è oggi Gaza. Le decine di migliaia di abitanti, forse un centinaio di migliaia sono oggi diventati un milione e mezzo di abitanti su di un territori che non avrebbe mai dovuto accogliere nemmeno centomila persone. La decisione di creare lo stato di Israele è stata presa da tutta la comunità internazionale che ne deve assumere le conseguenze. L’orrore di Gaza è al 98 per cento una responsbilità egiziana (dovuta anche alle pressioni di altri paesi arabi, compresa l’Arabia Saudita).

Risposto da Giampaolo Carboniero su 14 Luglio 2014 a 23:28 E quindi? Israele è giustificata nella appropriazione dei Territori, che oltretutto l'ONU aveva decretato dovessero essere parte dello stato della Palestina? Colpa degli arabi confinanti? Forse anche Hitler aveva ragionato come sopra e voleva così risolvere definitivamente il problema delle minoranze. Fabio Colasanti ha detto: Carlo, La pulizia etnica è stata la maniera come tutte le diplomazie hanno cercato di risolvere il problema delle minoranze in un certo momento della nostra storia. La pulizia etnica è stata accettata anche a livello delle Nazioni Unite. Negli anni venti si è esitato tra le due strade : pulizia etnica e difesa delle minoranze. Nel 1922/1923 si organizzò un grossissimo scambio di popolazioni (un milione e mezzo di ortodossi e mezzo milione di mussulmani furono cacciati e obbligati a stabilirsi in un altro paese, di cui spesso non parlavano nemmeno la lingua) tra Grecia e Turchia, sotto il controllo internazionale (soprattutto norvegese). Ma poi, con la creazione della Società delle Nazioni, si tornò di nuovo a difendere le minoranze (le tante create dai trattati di Versailles). Dopo la seconda guerra mondiale ci si arrese. Il periodo tra le due guerre aveva dimostrato l’impossibilità di difendere le minoranze e aveva mostrato come queste fossere delle scintille per conflitti più gravi. Immediatamente dopo la seconda guerra mondiale ci furono spostamenti massicci di popolazioni, ben oltre quindici milioni di persone: 12 milioni di tedeschi espulsi dagli ex territori tedeschi; i 350mila italiani espulsi dalla Dalmazia e Istria, i milioni e milioni di polacchi espulsi dal buon terzo della Polonia che passò alla Russia e che furono trasferiti nelle zone trasferite dalla Germania alla Polonia e da dove i tedeschi erano stati a loro volta espulsi. A questi grossi movimenti ne vanno poi aggiunti tanti nei paesi baltici e nei Balcani. Il movimento sionista ha radici che risalgono all’inizio del ventesimo secolo. Ma dopo la seconda guerrà mondiale beneficiò della convinzione che si era creata in tutte le diplomazie che il problema delle minoranze – in questo caso degli ebrei – non fosse risolvibile. Quindi la creazione dello stato di Israele – con l’espulsione di oltre un milione di arabi – fu vista come un’altra mossa necessaria per garantire la pace futura. L’espulsione di un milione di arabi avrebbe fatto posto a quattro milioni di ebrei risolvendo il problema europeo (a quei tempi non si pensava agli ebrei dell’Unione Sovietica che non potevano lasciare il paese). Questo spiega il voto alle Nazioni Unite per la spartizione della Palestina. Oggi è difficile capirlo, ma a quei tempi la decisione ebbe un sostegno amplissimo. Chi votò per la spartizione della Palestina pensava di aver garantito la pace. La grossa differenza fu che mentre in Europa più di quindici milioni di persone furono integrate e assorbite, in Palestina i paesi arabi fecero di tutto per mantenere i profughi ammassati ai confini di Israele per ricordare il “vulnus”. La parte che andò ad oriente e al nord si stabilì in Giordania e Libano (creando il “settembre nero” e subendo i massacri di Sabra

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e Chatila) e oggi è più o meno assorbita (anche se alimenta Hitzbollah e altre milizie). La parte che fu espulsa verso sud fu invece bloccata dall’Egitto e ha creato quel bubbone inumano che è oggi Gaza. Le decine di migliaia di abitanti, forse un centinaio di migliaia sono oggi diventati un milione e mezzo di abitanti su di un territori che non avrebbe mai dovuto accogliere nemmeno centomila persone. La decisione di creare lo stato di Israele è stata presa da tutta la comunità internazionale che ne deve assumere le conseguenze. L’orrore di Gaza è al 98 per cento una responsbilità egiziana (dovuta anche alle pressioni di altri paesi arabi, compresa l’Arabia Saudita).

Risposto da Carlo De Luca su 14 Luglio 2014 a 23:34 Fabio Colasanti ha detto: Carlo, La pulizia etnica è stata la maniera come tutte le diplomazie hanno cercato di risolvere il problema delle minoranze in un certo momento della nostra storia. La pulizia etnica è stata accettata anche a livello delle Nazioni Unite. [...] l'ONU considera da oltre vent'anni la pulizia etnica crimine contro l'umanità. Politici e militari serbi e serbobosniaci sono stati processati dal tribunale penale internazionale con quest'accusa. La pulizia etnica ha una lunga ed onorata carriera nella storia delle relazioni internazionali, ma voglio sperare che nel ventunesimo secolo la pratica sia ornai appannaggio di dittature o di paesi con minori obblighi morali di una democrazia ed uno stato di diritto. E' però importante notare che la nascita di Israele si accompagnò ad una pulizia etnica condotta consapevolmente dalle sue forze armate e dai suoi vertici politici contro - in massima parte - la popolazione civile palestinese. Il movimento sionista ha radici che risalgono all’inizio del ventesimo secolo. Ma dopo la seconda guerrà mondiale beneficiò della convinzione che si era creata in tutte le diplomazie che il problema delle minoranze – in questo caso degli ebrei – non fosse risolvibile. Quindi la creazione dello stato di Israele – con l’espulsione di oltre un milione di arabi – fu vista come un’altra mossa necessaria per garantire la pace futura. L’espulsione di un milione di arabi avrebbe fatto posto a quattro milioni di ebrei risolvendo il problema europeo (a quei tempi non si pensava agli ebrei dell’Unione Sovietica che non potevano lasciare il paese). Questo spiega il voto alle Nazioni Unite per la spartizione della Palestina. Oggi è difficile capirlo, ma a quei tempi la decisione ebbe un sostegno amplissimo. Chi votò per la spartizione della Palestina pensava di aver garantito la pace. Aspetta, Fabio. Il piano delle Nazioni Unite prevedeva la divisione della Palestina in duearee: una, quella del futuro Stato di Israele, in cui gli ebrei erano in lieve maggioranza. Ed un’altra, il cui futuro politico era “da decidersi”, nel quale i palestinesi erano praticamente i soli abitanti. Già nei mesi immediatamente prima del voto ONU le forze di autodifesa ebraiche cominciarono operazioni preparatorie alla guerra scacciando da decine di villaggi la popolazione araba. Durante la guerra questa pulizia etnica si intensificò, colpendo molte aree e città fuori dai confini stabiliti nel piano ONU. Quel piano non prevedeva l’espulsione degli arabi, così come non prevedeva la pulizia etnica e non prevedeva l’invasione da parte dei paesi arabi. La grossa differenza fu che mentre in Europa più di quindici milioni di persone furono integrate e assorbite, in Palestina i paesi arabi fecero di tutto per mantenere i profughi ammassati ai confini di Israele per ricordare il “vulnus”. La parte che andò ad oriente e al nord si stabilì in Giordania e Libano (creando il “settembre nero” e subendo i massacri di Sabra e Chatila) e oggi è più o meno assorbita (anche se alimenta Hitzbollah e altre milizie). La parte che fu espulsa verso sud fu invece bloccata dall’Egitto e ha creato quel bubbone inumano che è oggi Gaza. Le decine di migliaia di abitanti, forse un centinaio di migliaia sono oggi diventati un milione e mezzo di abitanti su di un territori che non avrebbe mai dovuto accogliere nemmeno centomila persone. I paesi arabi hanno sfruttato i palestinesi per decenni, mostrando al mondo le loro sofferenze per attaccare Israele ed utilizzandoli come carne da cannone per le proprie disastrose guerre. Ma la cosa, semmai, accentua la disperazione dei palestinesi ed il loro carattere di vittime in questo conflitto. La decisione di creare lo stato di Israele è stata presa da tutta la comunità internazionale che ne deve assumere le conseguenze. L’orrore di Gaza è al 98 per cento una responsbilità egiziana (dovuta anche alle pressioni di altri paesi arabi, compresa l’Arabia Saudita).

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Sono perfettamente consapevole delle responsabilità dei paesi arabi. Ma gli abitanti di Gaza sono i figli e nipoti delle persone che furono costrette nel 1948 a scappare dalle loro case lasciando ogni avere agli israeliani per salvarsi la pelle. Questo lo ricordo io, ma soprattutto lo ricordano loro. E comunque Fabio, penso anch’io che il passato è passato. Quel torto è impossibile da cancellare senza commetterne un altro altrettanto grande; però mentre noi europei dall’alto della nostra superiorità morale (?) chiediamo alla Turchia di riconoscere il genocidio armeno, apparentemente siamo incapaci di chiedere ad Israele altrettanto. Vero è che verso la Turchia non abbiamo nessun obbligo morale, mentre verso Israele ne abbiamo uno grande come una casa e sensi di colpa in abbondanza (giustificatissimi, va detto). Ma come si può pensare di analizzare la questione palestinese se neppure consideriamo come è sorta e come la vive il popolo palestinese? E’ come se cercassi di riparare un motore a scoppio senza sapere come funziona. Ti faccio però notare che io non ho criticato la nascita di Israele e neppure mi sento di condannare più di tanto le modalità con cui nacque. Io sto parlando dell’oggi, dei Territori Occupati, delle centinaia di migliaia di coloni israeliani (il 10% della popolazione, in crescita costante) che vengono a risiedervi anche grazie a sgravi fiscali e mutui agevolati, serviti da una rete stradale a loro uso esclusivo e con accesso prioritario alle risorse idriche. Se posso accettare un atto di crudeltà al momento di far nascere uno Stato, non posso però accettare che nel 2014 qualche milione di palestinesi si trovi ad essere circondato ed isolato da seicentomila coloni israeliani che stanno là e gli tolgono la terra e l’acqua senza avere nessun diritto. Se non si tiene in considerazione questo dato di fatto, non si può proprio capire la radice della disperazione palestinese e la profonda asimmetria del conflitto. Pur sentendomi culturalmente più vicino ad un israeliano che a un palestinese, sul piano umano capisco molto di più la rabbia del secondo che il freddo e deliberato calcolo del primo.

Risposto da giorgio varaldo su 14 Luglio 2014 a 23:45 non è che gli arabi non abbiano provato a riprendersi questi territori è che ogni volta che lo hanno fatto si sono presi sonore legnate. e se ci fossero riusciti avrebbero messo loro in pratica le soluzioni applicate da hitler Giampaolo Carboniero ha detto: E quindi? Israele è giustificata nella appropriazione dei Territori, che oltretutto l'ONU aveva decretato dovessero essere parte dello stato della Palestina? Colpa degli arabi confinanti? Forse anche Hitler aveva ragionato come sopra e voleva così risolvere definitivamente il problema delle minoranze.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 14 Luglio 2014 a 23:58 OK, gli arabi sono i cattivi e gli israeliani i buoni, ho capito; buona notte!

Risposto da giorgio varaldo su 15 Luglio 2014 a 0:15 nelle varie guerre che hanno interessato il medio oriente gli arabi hanno sempre perso e gli israeliani vinto buona notte Giampaolo Carboniero ha detto: OK, gli arabi sono i cattivi e gli israeliani i buoni, ho capito; buona notte!

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Risposto da Fabio Colasanti su 15 Luglio 2014 a 2:00 Carlo, un paio di precisazioni sulla storia, una conclusione sulla nascita di Israele e alcune considerazioni sulla situazione attuale. Non c’è dubbio che oggi consideriamo la “pulizia etnica” in maniera molto diversa da come è stata giudicata subito dopo la guerra. Del resto anche la terminologia è cambiata. Una volta si parlava di scambi di popolazioni; il termine “pulizia etnica” è fortemente negativo e riflette il giudizio che diamo oggi di queste operazioni. C’è però un bel libro di Mark Mazower, “Dark Continent, Europe’s Twentieth Century”, dove si ricordano gli studi fatti nel 1947 su quanti arabi avrebbero dovuto essere spostati per far posto a quattro milioni di ebrei. Quando la divisione fu votata, si sapeva bene che ci sarebbero stati grossi “scambi di popolazione”. C’è poi il fatto che se forse alcuni israeliani estremisti avrebbero voluto prendere le armi per procedere allo “scambio”, la cosa fu facilitata loro dai paesi arabi che nel 1948 presero, senza alcun dubbio storico, l’iniziativa di aprire le ostilità. Comunque il punto importante è che Israele esiste; l’abbiamo creata noi europei con gli americani e l’esistenza di Israele fa parte della storia. Nessuno vuole o può rimettere in discussione questo punto. È chiaro che la storia della sua nascita sarà sempre presente nei ricordi arabi così come un discendente di una famiglia di Breslau ricorderà sempre che la Slesia è stata abitata da tedeschi per secoli e secoli. Ma la storia è storia e nessuno rimette in discussione il fatto che oggi la Slesia fa parte della Polonia. Nella stessa maniera, ci sarà sempre chi ricorderà che Pirano è stata legata a Venezia e che è sempre stata una città italiana. Ma anche questo è storia. Pirano è oggi una città slovena. Nella stessa maniera in ogni discussione politica e diplomatica non possiamo e non dobbiamo andare a riaprire il discorso sulla creazione dello stato di Israele. Nelle nostre discussioni non possiamo risollevare l’argomento del vulnus rappresentato dalle decisioni delle Nazioni Unite di allora. Non ne possiamo parlare più. Il problema è l’oggi. Il problema è che con la situazione di fatto che si è creata con le guerre del 1967 e del 1973, con il cambiamento della popolazione israeliana e con l’arrivo di masse di ebrei conservatori che sono venuti dalla Russia, Israele oggi segue delle politiche che non possiamo accettare. Non solo in termini di brutalità, o fermezza che dir si voglia, delle azioni di polizia o di repressione, ma soprattutto perché, come te, sono anch’io convinto che Israele stia creando una situazione di fatto che porti all’annessione di molte parti della Cisgiordania (Giudea e Samaria). Gli insediamenti non sono accettabili, sono condannati dalla comunità internazionale, eppure continuano ad aumentare. Israele non è credibile quando parla di “territori in cambio di pace”; Israele non è credibile quando parla di pace "tout court". Al tempo stesso, anche i palestinesi non sono credibili quando parlano di pace. Non ci sarà mai un leader palestinese che possa fare accettare al suo popolo un qualsiasi accordo oggi possibile. Sappiamo cosa chiedono gli uni e cosa chiedono gli altri. Conosciamo la situazione di fatto. Ognuno, con un minimo di conoscenza di quello che si vede nelle relazioni internazionali, può cercare di immaginare i termini di un accordo possibile, di un qualche accordo che dia ad una parte e all’altra un 40/60 per cento di quello che chiedono. Non appena si cerca di precisare quale potrebbe essere un accordo possibile, ci si rende conto immediatamente che la maggioranza degli uni e degli altri lo considerebbero un tradimento rispetto agli obiettivi retorici che gli uni e gli altri ripetono in continuazione. Ma anche immaginando una pace molto poco probabile, quale dovrebbe essere il futuro di Gaza? Il futuro di questo posto sciagurato dovrebbe essere un esodo massiccio della popolazione in maniera da ridurla alle centomila persone o giù di li che al massimo potrebbero vivere in un pezzo di deserto arido quale è la striscia di Gaza. Non è un caso che Israele si sia ritirata dalla striscia; nessuno la vuole.

Risposto da giorgio varaldo su 15 Luglio 2014 a 8:16 negli scenari descritti da fabio e carlo occorre inserire la variabile spaccatura dei palestinesi e la funzione di gaza nel complicato contesto mediorientale.

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due notizie importanti di stamane : lancio di razzi dal sinai formalmente sotto controllo egiziano ma praticamente in mano alle milizie islamiche legate ai fratelli musulmani e la bocciatura da parte di HAMAS della proposta di cessazione delle ostilità avanzata dall'egitto. purtroppo quando si parla di medio oriente generalmente si fa una semplificazione arbitraria in israeliani più o meno cattivi e palestinesi anche loro considerati più o meno cattivi. il quadro è più complesso di questa schematizzazione.dal mondo palestinese diviso in due entità ostili fra di loro (a gaza sono stati uccisi più palestinesi legati all'OLP da HAMAS di quanti periti a causa delle reazioni israeliane). gaza finanziata dall'arabia saudita e dagli emirati in funzione antimorsi controlla una parte dei sinai egiziano e la guerriglia antiegiziana ha provocato nell'ultimo anno almeno 500 morti fra le forze di polizia e militari egiziani con il controllo egiziano del sinai limitato alle fasce costiere (bloccate da tempo le escursioni al monastero di santa anna e sulla vetta del monte omonimo) . e per HAMAS il rifiuto di accettare la cessazione del fuoco è in pratica il riconoscimento della leadership sulla intera palestina west bank compreso ed il prezzo in termini di vite umane che dovrà pagare è ben poca cosa rispetto ai risultati politici raggiunti. inoltre complessità di quanto sta accadendo in medio oriente (mariella ha postato un interessante riferimento all'ISIL) con la dissoluzione dell'iraq sciita sotto gli attacchi dell'ISIL sunnita ed la contemporanea presa di controllo della parte nord orientale dell'iraq pozzi di petrolio compresi da parte delle forze curde costituisce ulteriore complicazione in quanto difficilmente turchia ed iran ben difficilmente accetteranno il consolidamento di quella che sembra essere la prima realtà curda indipendente. e la situazione si complica ulteriormente se consideriamo quanto succede in siria. in tale contesto fanno semplicemente ridere le esemplificazioni (vedi le accese discussioni sul gruppo di facebook) in israeliani cattivi ed arabi buoni . In ogni situazione senza tener conto di tutti i fattori in gioco ben difficilmente si potranno trovare soluzioni soddisfacenti e lo stesso principio vale anche per gaza e che qualsiasi decisione non viene presa sul campo bensì dalla politica internazionale. ed è la ridondanza delle politiche internazionali (europa USA russia iran saudi arabia ed emirati seguono politiche diverse) a rendere critici riguardo al raggiungimento di soluzioni nel futuro prossimo e purtroppo anche in quello venturo.

Risposto da mariella alois su 15 Luglio 2014 a 12:09 Ieri sera al TG3 ,Simon Peres si è' detto a favore di un immediato cessate il fuoco.Riporto alcune frasi: "Unica strada e' la pace ".....Israele si è' ritirata unilateralmente da Gaza.Gaza era libera....perché' hanno iniziato a sparare? perché ? se si permette il terrorismo si diventa vittime del terrore....." La guerra non porterà' a niente ,l'unica soluzione e' la pace ,sono per il cessate il fuoco immediato,ma non è chiaro come ottenerlo..." Peres ha ragione il conflitto porterà' solo morte e distruzione.Cosa spera di ottenere Hamas ,o chi per lui ,e veramente difficile da capire.

Risposto da Cristina Favati su 15 Luglio 2014 a 12:18 Hamas si regge sulla violenza. Purtroppo è stato eletto da quel popolo in modo democratico. Ora sia quel popolo a cacciare chi procura morte e ad eleggere un partito di persone responsabili che trattino con Israele. Israele per Hamas non ha il diritto di esistere. Non giustifico in alcun modo le azioni armate che coinvolgono civili, donne e bambini, ma penso che Israele non esisterebbe più da tempo se non si fosse difesa con le unghie e con i denti. mariella alois ha detto: Ieri sera al TG3 ,Simon Peres si è' detto a favore di un immediato cessate il fuoco.Riporto alcune frasi: "Unica strada e' la pace ".....Israele si è' ritirata unilateralmente da Gaza.Gaza era libera....perché' hanno iniziato a sparare? perché ? se si permette il terrorismo si diventa vittime del terrore....." La guerra non porterà' a niente ,l'unica soluzione e' la pace ,sono per il cessate il fuoco immediato,ma non è chiaro come ottenerlo..."

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Peres ha ragione il conflitto porterà' solo morte e distruzione.Cosa spera di ottenere Hamas ,o chi per lui ,e veramente difficile da capire.

Risposto da Carlo De Luca su 15 Luglio 2014 a 20:36 Fabio, lascio in piedi le cose su cui ho riserve. Su tutto ciò cui non rispondo, sono d'accordo con te. :) Fabio Colasanti ha detto: Non c’è dubbio che oggi consideriamo la “pulizia etnica” in maniera molto diversa da come è stata giudicata subito dopo la guerra. Del resto anche la terminologia è cambiata. Una volta si parlava di scambi di popolazioni; il termine “pulizia etnica” è fortemente negativo e riflette il giudizio che diamo oggi di queste operazioni. Il termine pulizia etnica implica sia la volontà politica di liberarsi di una quota di popolazione identificabile su base etnica, sia le modalità con cui ci si sbarazza di essa. E' di conseguenza altra cosa rispetto ad uno scambio di popolazioni (che in Palestina fu a senso unico visto che nella porzione lasciata agli arabi non viveva praticamente nessun ebreo; lo scambio di popolazioni avvenne sì ma involontariamente ed a causa della guerra, quando da tutto il medio oriente comunità ebraiche plurisecolari dovettero scappare in tutta fretta per salvarsi dalla furia dei vicini arabi) o ad un'espulsione forzata ma comunque stabilita per legge o autorità superiore. Non vi fu nessuna legge, nessun decreto, nessuna decisione formale o sancita dall'ONU di espellere gli abitanti arabi dalle zone assegnate ad Israele, men che meno da quelle che si prese nel corso della guerra. A volte arrivava l'Haganah dichiarando che la popolazione doveva evacuare immediatamente; a volte si sparavano colpi di artiglieria; altre volte ancora erano le voci di massacri condotti in villaggi vicini dalle unità paramilitari ebraiche. I massacri in effetti ci furono, anche se pochi, ma vennero debitamente amplificati. L'uso del massacro comestrumento educativo per incentivare la fuga dei civili ricorre costantemente nelle pulizie etniche. C'era una regia in tutto questo; sicuramente c'era una volontà precisa che non era quella dell'ONU. Da tutti questi punti di vista quanto accadde in Palestina nel 1948 è molto più assimilabile a quanto accadde in Yugoslavia nei primi anni '90 che a quanto accadde in Europa dopo la sconfitta tedesca o allo scambio di popolazioni tra India e Pakistan. A me questo sembra abbastanza pacifico, e non lo dico per tornare indietro. Lo dico perché senza capire questo, non si capiscono proprio le basi della questione palestinese. C’è però un bel libro di Mark Mazower, “Dark Continent, Europe’s Twentieth Century”, dove si ricordano gli studi fatti nel 1947 su quanti arabi avrebbero dovuto essere spostati per far posto a quattro milioni di ebrei. Quando la divisione fu votata, si sapeva bene che ci sarebbero stati grossi “scambi di popolazione”. C’è poi il fatto che se forse alcuni israeliani estremisti avrebbero voluto prendere le armi per procedere allo “scambio”, la cosa fu facilitata loro dai paesi arabi che nel 1948 presero, senza alcun dubbio storico, l’iniziativa di aprire le ostilità. Questo è sicuramente vero ma non considera il fatto che già prima del voto ONU ed in previsione del risultato l'Haganah e il Palmach avevano cominciato le operazioni di pulizia. Da decine di villaggi ritenuti strategici la popolazione araba era stata costretta a scappare ben prima della dichiarazione d'indipendenza israeliana. Contesto inoltre il fatto che furono estremisti isolati a procedere alla pulizia etnica. Ad essa partecipò anche (è storicamente provato) l'Haganah. Il governo israeliano di Ben Gurion era pienamente consapevole di quanto accadeva e ci vuole poco a capire che autorizzò il tutto. Comunque il punto importante è che Israele esiste; l’abbiamo creata noi europei con gli americani e l’esistenza di Israele fa parte della storia. Nessuno vuole o può rimettere in discussione questo punto. È chiaro che la storia della sua nascita sarà sempre presente nei ricordi arabi così come un discendente di una famiglia di Breslau ricorderà sempre che la Slesia è stata abitata da tedeschi per secoli e secoli. Ma la storia è storia e nessuno rimette in discussione il fatto che oggi la Slesia fa parte della Polonia. Nella stessa maniera, ci sarà sempre chi ricorderà che Pirano è stata legata a Venezia e che è sempre stata una città italiana. Ma anche questo è storia. Pirano è oggi una città slovena. Nella stessa maniera in ogni discussione politica e diplomatica non possiamo e non dobbiamo andare a riaprire il discorso sulla creazione dello stato di Israele. Nelle nostre discussioni non possiamo risollevare l’argomento del vulnus rappresentato dalle decisioni delle Nazioni Unite di allora. Non ne possiamo parlare più.

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Non ne possiamo parlare più, ma almeno una volta ne dobbiamo parlare. Che Israele abbia proceduto ad una pulizia etnica e che i palestinesi odierni siano in buona parte i discendenti di persone costrette a scappare per salvarsi la pelle non è purtroppo cosa nota a molti, nè è argomento che possa finire ad un tavolo negoziale. Anche tu, che pure sei consapevole di questa realtà storica, accenni in più punti ad una simmetria tra due parti che non esiste; dacché gli uni sono i conquistatori e gli altri i conquistati. Il danno non può essere cancellabile ma andrebbe perlomeno riconosciuto e soprattutto non è tollerabile che esso si perpetui ogni giorno. E' questa la cosa che riesce inaccettabile. Tutti i casi storici cui tu facevi riferimento sono terminati nel riconoscimento delle sofferenze subite e/o nell'accoglimento dei profughi all'interno delle rispettive comunità nazionale. Ma qual'è la comunità nazionale palestinese? Fin quando non esisterà una nazione palestinese, fin quando i profughi vivranno nei campi profughi senz'altra via di fuga che quella individuale, la ferita resterà aperta. Tu ed io possiamo dire che il passato è passato. Lo può dire anche un esule istriano o tedesco. Ma un palestinese che vive in un campo profughi, senza cittadinanza e senza futuro per se o i suoi figli, non può dire che il passato è passato. Lui vive ancora nelle conseguenze del 1948. Il problema è l’oggi. Il problema è che con la situazione di fatto che si è creata con le guerre del 1967 e del 1973, con il cambiamento della popolazione israeliana e con l’arrivo di masse di ebrei conservatori che sono venuti dalla Russia, Israele oggi segue delle politiche che non possiamo accettare. Non solo in termini di brutalità, o fermezza che dir si voglia, delle azioni di polizia o di repressione, ma soprattutto perché, come te, sono anch’io convinto che Israele stia creando una situazione di fatto che porti all’annessione di molte parti della Cisgiordania (Giudea e Samaria). Gli insediamenti non sono accettabili, sono condannati dalla comunità internazionale, eppure continuano ad aumentare. Israele non è credibile quando parla di “territori in cambio di pace”; Israele non è credibile quando parla di pace "tout court". Condivido al 100% Al tempo stesso, anche i palestinesi non sono credibili quando parlano di pace. Non ci sarà mai un leader palestinese che possa fare accettare al suo popolo un qualsiasi accordo oggi possibile. L'unico accordo oggi possibile è uno che riconosca i diritti dei coloni nei Territori Occupati e l'accaparramento di terre e acqua avvenuto nell'ultimo ventennio. Un accordo di questo tipo è inaccettabile alla stragrande maggioranza dei palestinesi; sarebbe inaccettabile per chiunque di noi. Se un palestinese parla di pace, di Stato palestinese, di confini del '67 e di risoluzioni ONU non è che non sia credibile perché mente. Non è credibile perché nei fatti l'interlocutore - su questi argomenti - fa orecchie da mercante. Al contrario se un leader palestinese dimostrasse di poter ottenere da Israele il ritiro oltre i confini del 1967, la creazione di uno Stato sovrano palestinese, l'abbandono totale degli insediamenti, una qualche sorta di status speciale per Gerusalemme est ed infine il riconoscimento almeno morale del torto iniziale la sua credibilità ed autorevolezza presso i palestinesi sarebbero altissime. Penso pure che ci sarebbe chi lo vuole morto, ma lo stesso identico rischio lo correrebbe un'ipotetica controparte israeliana. Purtroppo anche qua c'è un'asimmetria; perché mentre da parte palestinese queste proposte sono state avanzate più volte, la linea politica israeliana è molto più vicina nei fatti a quella delle sue componenti più estreme. Una porzione non piccola (e politicamente determinante) della knesset sarebbe pronta sia a morire che a uccidere pur di non abbandonare la Giudea e la Samaria. Un altra asimmetria è proprio questa: che mentre gli estremisti palestinesi non sono assolutamente nella condizione di fare ciò che dicono di voler fare, gli estremisti israeliani sono già oggi nelle condizioni di fare ciò che vogliono. Ed in effetti la politica israeliana nei confronti dei territori occupati e di quella parodia che prende il nome di processo di pace è in massima parte la loro politica. L'ultima (ma non meno importante) asimmetria è che in nessuno scenario, anche il più fantastico che si possa partorire, gli estremisti arabi potrebbero vincere - e lo sanno benissimo. Nella fantascientifica ipotesi che lo Tsa'hal venisse sconfitto e che le città israeliane finissero invase da un esercito arabo tutto il medio oriente, compresa la Mecca, Medina ed il buco in cui si nasconde il tredicesimo Imam finirebbero nuclearizzate. Questo è uno dei tanti dati di fatto che costellano la questione palestinese ma che non emergono nel dibattito pubblico. Sappiamo cosa chiedono gli uni e cosa chiedono gli altri. Conosciamo la situazione di fatto. Ognuno, con un minimo di conoscenza di quello che si vede nelle relazioni internazionali, può cercare di immaginare i termini di un accordo possibile, di un qualche accordo che dia ad una parte e all’altra un 40/60 per cento di quello che chiedono. Non appena si cerca di precisare quale potrebbe essere un accordo possibile, ci si rende conto immediatamente che la maggioranza degli uni e degli altri lo considerebbero un tradimento rispetto agli obiettivi retorici che gli uni e gli altri ripetono in continuazione.

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Qua torna l'idea di una simmetria che non esiste sul campo. Israele già oggi ha tutto: il controllo delle terre, la pace con i paesi confinanti (al netto della Siria), la sicurezza militare. I palestinesi invece non hanno nulla. Qualsiasi accordo che noi si possa concepire richiederebbe più concessioni da parte israeliana che palestinese. E' Israele il grosso ostacolo; è lui che ha in mano le chiavi della soluzione. E' lui che si nasconde dietro i razzi di Hamas, dopo essersi nascosto dietro i kamikaze e prima ancora dietro l'OLP. Se domani Hamas riconoscesse Israele e sse il suo statuto, Israele correrebbe a nascondersi dietro i salafiti. La pace che Israele vuole è quella che ha già oggi, con i palestinesi messi nelle condizioni di non nuocere e la Giudea e Samaria in suo possesso. Faccio pure notare che a parole, ma solo a parole, Israele ha riconosciuto il principio della separazione territoriale ed il diritto palestinese a formare uno stato nazionale. Senonché ha circondato l'unica soluzione equa di tante e tali condizioni da renderla praticamente una presa in giro. Quest'atteggiamento ha l'effetto secondario di screditare totalmente qualsiasi iniziativa moderata da parte palestinese. Che autorevolezza può avere chi si ostina a cercare un accordo con chi lo prende platealmente in giro? Ma anche immaginando una pace molto poco probabile, quale dovrebbe essere il futuro di Gaza? Il futuro di questo posto sciagurato dovrebbe essere un esodo massiccio della popolazione in maniera da ridurla alle centomila persone o giù di li che al massimo potrebbero vivere in un pezzo di deserto arido quale è la striscia di Gaza. Non è un caso che Israele si sia ritirata dalla striscia; nessuno la vuole. Sì, nell'ipotesi di un accordo di pace Gaza tornerebbe ad essere una riviera mediterranea circondata dal deserto ed i suoi abitanti - cittadini di uno stato sovrano - sarebbero liberi di risiedere dove vogliono.

Risposto da Carlo De Luca su 15 Luglio 2014 a 20:38 @Giorgio rifiuto anch'io le semplificazioni; oltre a rivelare ignoranza nascondono a volte, almeno in Europa, antisemitismo ed antiamericanismo. Osservo però un'ammirevole costanza nella politica israeliana verso i territori occupati. Osservo cioè che a dispetto di tutto quello che accade nel Medio Oriente e a dispetto di tutto ciò che i palestinesi fanno o dicono, la politica di colonizzazione mantiene ritmi e caratteristiche inalterati. Faccio di conseguenza 2+2 e ne deduco che la colonizzazione della Giudea e della Samaria - in pratica l'incorporazione informale di queste due regioni in Eretz Israel - è indipendente da tutto ciò che accade in Medio Oriente e da qualsiasi influenza esterna i palestinesi possano ottenere o subire. Non necessariamente è vero il contrario; io anzi sostengo che molte delle azioni palestinesi nascono proprio dalla crescente consapevolezza che Israele non ha alcuna intenzione di cedere i territori, arrestare o ridurre la sua presenza in essi, e/o accettare la nascita di uno Stato palestinese. Dirò di più: che se noi cancellassimo dall'analisi della questione palestinese le influenze esterne che ci sono state, ci sono e ci saranno in futuro, problemi e soluzioni emergerebbero con grande chiarezza. Il tentativo di agganciare la questione palestinese ad altri problemi e questioni risponde a due scopi distinti ed opposti: attori esterni come l'Iran, la Siria, un tempo l'Egitto o l'Iraq approfittano dei palestinesi per farsene campioni ed acquisire consensi interni, mettere in imbarazzo / difficoltà Israele, aumentare la propria influenza nella regione. Israele non ha alcun interesse a comportarsi diversamente da come si comporta. Ha però interesse a motivare o nascondere le proprie azioni trovando giustificazioni che risultino accettabili all'opinione pubblica europea, statunitense e non ultimo alla propria. Ecco quindi i riflettori sui palestinesi alleati di Saddam, Hamas pedina dell'Iran, i palestinesi fondamentalisti islamici, etc. etc. Intendiamoci, son tutte cose vere o potenzialmente vere, ma che non hanno nessun impatto o influenza sulla politica che Israele persegue nei Territori Occupati da decenni. Due piccole riserve sul tuo ultimo post. Da quanto so, i ribelli che hanno preso il Sinai sono in massima parte salafiti e non simpatizzanti dei Fratelli Musulmani. Il colpo di Stato ha purtroppo reso chiaro a tutta l'area islamica moderata (quella che si riconosceva appunto nei Fratelli Musulmani) che la strada democratica al potere è sbarrata e ciò ha sicuramente rafforzato i salafiti, che quella strada non l'avevano mai accettata. Quanto ad Hamas, io trovo la sua spietatezza una semplice conseguenza delle condizioni di vita a Gaza (rispetto a quelle meno inumane della West Bank) e della conseguente radicalizzazione e disperazione della popolazione là residente. Nel momento in cui Hamas si mostrasse meno intransigente* verrebbe rapidamente soppiantata dai salafiti. Ma del resto a che scopo mostrarsi pronta al compromesso? Forse che la continua disponibilità al compromesso da parte dell'ANP in West Bank ha portato non dico a una riduzione ma anche solo ad un congelamento degli insediamenti? Vedi, sempre là si torna.

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Finché Israele continuerà a prendersi gioco dei moderati, gli estremisti avranno la possibilità di dire che loro sono l'unica soluzione possibile. Non è vero, anzi essi costituiscono l'altro ramo della propaganda israeliana (vedete? I palestinesi sono fanatici e violenti). Ma almeno hanno la speranza ed a volte pure le prove che Israele è costretto a prenderli sul serio. * ho avuto modo di leggere interviste in cui esponenti ufficiali di Hamas, tra le righe e senza esporsi troppo, suggerivano azioni e comportamenti ben diversi da quelli dichiarati nello Statuto. giorgio varaldo ha detto: negli scenari descritti da fabio e carlo occorre inserire la variabile spaccatura dei palestinesi e la funzione di gaza nel complicato contesto mediorientale. due notizie importanti di stamane : lancio di razzi dal sinai formalmente sotto controllo egiziano ma praticamente in mano alle milizie islamiche legate ai fratelli musulmani e la bocciatura da parte di HAMAS della proposta di cessazione delle ostilità avanzata dall'egitto. purtroppo quando si parla di medio oriente generalmente si fa una semplificazione arbitraria in israeliani più o meno cattivi e palestinesi anche loro considerati più o meno cattivi. il quadro è più complesso di questa schematizzazione.dal mondo palestinese diviso in due entità ostili fra di loro (a gaza sono stati uccisi più palestinesi legati all'OLP da HAMAS di quanti periti a causa delle reazioni israeliane). gaza finanziata dall'arabia saudita e dagli emirati in funzione antimorsi controlla una parte dei sinai egiziano e la guerriglia antiegiziana ha provocato nell'ultimo anno almeno 500 morti fra le forze di polizia e militari egiziani con il controllo egiziano del sinai limitato alle fasce costiere (bloccate da tempo le escursioni al monastero di santa anna e sulla vetta del monte omonimo) . e per HAMAS il rifiuto di accettare la cessazione del fuoco è in pratica il riconoscimento della leadership sulla intera palestina west bank compreso ed il prezzo in termini di vite umane che dovrà pagare è ben poca cosa rispetto ai risultati politici raggiunti. inoltre complessità di quanto sta accadendo in medio oriente (mariella ha postato un interessante riferimento all'ISIL) con la dissoluzione dell'iraq sciita sotto gli attacchi dell'ISIL sunnita ed la contemporanea presa di controllo della parte nord orientale dell'iraq pozzi di petrolio compresi da parte delle forze curde costituisce ulteriore complicazione in quanto difficilmente turchia ed iran ben difficilmente accetteranno il consolidamento di quella che sembra essere la prima realtà curda indipendente. e la situazione si complica ulteriormente se consideriamo quanto succede in siria. in tale contesto fanno semplicemente ridere le esemplificazioni (vedi le accese discussioni sul gruppo di facebook) in israeliani cattivi ed arabi buoni . In ogni situazione senza tener conto di tutti i fattori in gioco ben difficilmente si potranno trovare soluzioni soddisfacenti e lo stesso principio vale anche per gaza e che qualsiasi decisione non viene presa sul campo bensì dalla politica internazionale. ed è la ridondanza delle politiche internazionali (europa USA russia iran saudi arabia ed emirati seguono politiche diverse) a rendere critici riguardo al raggiungimento di soluzioni nel futuro prossimo e purtroppo anche in quello venturo.

Risposto da Fabio Colasanti su 15 Luglio 2014 a 21:00 Carlo, gli "scambi di popolazione" che ho ricordato (i più di quindici milioni di persone di cui ho fatto la lista nel mio intervento) sono state delle vere e proprie "pulizie etniche" fatte senza che gli alleati abbiano mai sollevato una qualsiasi obiezione. Ricordi il fim "Il terzo uomo"? Ricordi il personaggio interpretato da Alida Valli? Era una profuga dalla Romania o un'altro paese dell'Est e gli inglesi volevano rimandarla nel paese da dove veniva. Ricordo che a suo tempo non capivo la cosa. Come mai volevano rimandarla nelle mani dei Russi che al tempo del film erano sicuramente visti come i "cattivi"? Perché tutti gli alleati pensavano che era inutile creare minoranze in altri paesi e che era meglio avere paesi etnicamente omogenei. Per l'espulsione degli abitanti della Slesia, dell'Istria, della Polonia, dei paesi baltici non ci sono state decisioni delle Nazioni Unite, ma un accordo tacito o una tolleranza degli alleati. Tutte queste persone sono scappate per salvarsi la

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pelle, esattamente come gli arabi dopo la guerra del 1948. Il fatto che i palestinesi siano stati costretti ad accumularsi gli uni sugli altri a Gaza (mentre i quindici milioni sono stati assorbiti) è una responsabilità dei soli paesi arabi. I palestinesi che vivono a Gaza dovrebbero prendersela con questi. Ma vogliamo forse riaprire il discorso della collocazione della Slesia? Dei confini tra Italia e Slovenia? Vogliamo ridiscutere il fatto che la Polonia è stata quasi rovesciata su se stessa e traportata ad ovest di centinaia di chilometri? Certamente no. E' in questi termini che il discorso della creazione dello stato di Israele (una cosa che oggi non sarebbe mai decisa) è chiuso e non può essere riaperto. La discussione deve essere solo su quello che è successo dopo. Carlo De Luca ha detto: ( ... ) Comunque il punto importante è che Israele esiste; l’abbiamo creata noi europei con gli americani e l’esistenza di Israele fa parte della storia. Nessuno vuole o può rimettere in discussione questo punto. È chiaro che la storia della sua nascita sarà sempre presente nei ricordi arabi così come un discendente di una famiglia di Breslau ricorderà sempre che la Slesia è stata abitata da tedeschi per secoli e secoli. Ma la storia è storia e nessuno rimette in discussione il fatto che oggi la Slesia fa parte della Polonia. Nella stessa maniera, ci sarà sempre chi ricorderà che Pirano è stata legata a Venezia e che è sempre stata una città italiana. Ma anche questo è storia. Pirano è oggi una città slovena. Nella stessa maniera in ogni discussione politica e diplomatica non possiamo e non dobbiamo andare a riaprire il discorso sulla creazione dello stato di Israele. Nelle nostre discussioni non possiamo risollevare l’argomento del vulnus rappresentato dalle decisioni delle Nazioni Unite di allora. Non ne possiamo parlare più. Non ne possiamo parlare più, ma almeno una volta ne dobbiamo parlare. Che Israele abbia proceduto ad una pulizia etnica e che i palestinesi odierni siano in buona parte i discendenti di persone costrette a scappare per salvarsi la pelle non è purtroppo cosa nota a molti, nè è argomento che possa finire ad un tavolo negoziale. Anche tu, che pure sei consapevole di questa realtà storica, accenni in più punti ad una simmetria tra due parti che non esiste; dacché gli uni sono i conquistatori e gli altri i conquistati. Il danno non può essere cancellabile ma andrebbe perlomeno riconosciuto e soprattutto non è tollerabile che esso si perpetui ogni giorno. E' questa la cosa che riesce inaccettabile. Tutti i casi storici cui tu facevi riferimento sono terminati nel riconoscimento delle sofferenze subite e/o nell'accoglimento dei profughi all'interno delle rispettive comunità nazionale. Ma qual'è la comunità nazionale palestinese? Fin quando non esisterà una nazione palestinese, fin quando i profughi vivranno nei campi profughi senz'altra via di fuga che quella individuale, la ferita resterà aperta. Tu ed io possiamo dire che il passato è passato. Lo può dire anche un esule istriano o tedesco. Ma un palestinese che vive in un campo profughi, senza cittadinanza e senza futuro per se o i suoi figli, non può dire che il passato è passato. Lui vive ancora nelle conseguenze del 1948. ( ... )

Risposto da Carlo De Luca su 15 Luglio 2014 a 22:23 Fabio, in nessun post ho detto che il discorso sulla nascita dello stato di Israele può essere riaperto. Non lo dico nè lo penso. Ho detto invece che a differenza di tutti gli altri casi da te citati, i palestinesi a distanza di 60 anni da quegli eventi sono ancora privi di una comunità nazionale nella quale andare e questo produce conseguenze che devono essere considerate altrimenti non si capisce proprio di che parliamo. I tedeschi della Prussia orientale o dei sudeti sono andati in Germania dove ora i loro figli e nipoti vivono come cittadini tedeschi. I figli e nipoti dei profughi del '48 invece vivono negli stessi campi dei loro genitori e nonni, privi di cittadinanza come sessant'anni fa. Penso che ti renda conto delle differenze pratiche, proprio sul piano quotidiano, tra le due situazioni. Fabio Colasanti ha detto: Carlo, gli "scambi di popolazione" che ho ricordato (i più di quindici milioni di persone di cui ho fatto la lista nel mio intervento) sono state delle vere e proprie "pulizie etniche" fatte senza che gli alleati abbiano mai sollevato una qualsiasi obiezione. Ricordi il fim "Il terzo uomo"? Ricordi il personaggio interpretato da Alida Valli? Era una profuga dalla Romania o un'altro paese dell'Est e gli inglesi volevano rimandarla nel paese da dove veniva. Ricordo che a suo tempo non capivo la cosa. Come mai volevano rimandarla nelle mani dei Russi che al tempo del film erano sicuramente visti come i

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"cattivi"? Perché tutti gli alleati pensavano che era inutile creare minoranze in altri paesi e che era meglio avere paesi etnicamente omogenei. Per l'espulsione degli abitanti della Slesia, dell'Istria, della Polonia, dei paesi baltici non ci sono state decisioni delle Nazioni Unite, ma un accordo tacito o una tolleranza degli alleati. Tutte queste persone sono scappate per salvarsi la pelle, esattamente come gli arabi dopo la guerra del 1948. Il fatto che i palestinesi siano stati costretti ad accumularsi gli uni sugli altri a Gaza (mentre i quindici milioni sono stati assorbiti) è una responsabilità dei soli paesi arabi. I palestinesi che vivono a Gaza dovrebbero prendersela con questi. Dovrebbero prendersela con Faruk, con Nasser, con Abdullah di Giordania? Magari i letterati lo fanno pure! :D I paesi arabi hanno sfruttato i palestinesi finché gli è convenuto, poi hanno lasciato la patata bollente ad Israele il quale - del resto - non si può negare si sia impossessato delle terre e case di chi vive oggi a Gaza, Nablus, Gerico. E l'indubbia responsabilità dei paesi arabi non può cancellare questo dato di fatto. Potrebbero cancellarlo invece altre cose: dignità, rispetto, sovranità. Tutte cose che Israele sta ben attento a non concedere, valutando di più il possesso della Giudea e della Samaria rispetto all'odio feroce e giustificabilissimo di milioni di palestinesi e al disprezzo di tutto il mondo arabo. Alla fine, sono scelte. Israele fa delle scelte e si assume - la sua popolazione si assume - la responsabilità e le conseguenze di quelle scelte. Ma vogliamo forse riaprire il discorso della collocazione della Slesia? Dei confini tra Italia e Slovenia? Vogliamo ridiscutere il fatto che la Polonia è stata quasi rovesciata su se stessa e traportata ad ovest di centinaia di chilometri? (...) Per poter paragonare le due situazioni sarebbe necessaria la firma di un trattato di pace tra Israele e Palestina che fissi dei confini riconosciuti dalle due parti. Allora si, potresti dire che non ha senso discutere di confini dacché le due parti in causa hanno raggiunto un accordo. Al momento manca l'accordo, manca il trattato, manca lo Stato. Le situazioni non sono purtroppo paragonabili. Carlo De Luca ha detto: ( ... ) Comunque il punto importante è che Israele esiste; l’abbiamo creata noi europei con gli americani e l’esistenza di Israele fa parte della storia. Nessuno vuole o può rimettere in discussione questo punto. È chiaro che la storia della sua nascita sarà sempre presente nei ricordi arabi così come un discendente di una famiglia di Breslau ricorderà sempre che la Slesia è stata abitata da tedeschi per secoli e secoli. Ma la storia è storia e nessuno rimette in discussione il fatto che oggi la Slesia fa parte della Polonia. Nella stessa maniera, ci sarà sempre chi ricorderà che Pirano è stata legata a Venezia e che è sempre stata una città italiana. Ma anche questo è storia. Pirano è oggi una città slovena. Nella stessa maniera in ogni discussione politica e diplomatica non possiamo e non dobbiamo andare a riaprire il discorso sulla creazione dello stato di Israele. Nelle nostre discussioni non possiamo risollevare l’argomento del vulnus rappresentato dalle decisioni delle Nazioni Unite di allora. Non ne possiamo parlare più. Non ne possiamo parlare più, ma almeno una volta ne dobbiamo parlare. Che Israele abbia proceduto ad una pulizia etnica e che i palestinesi odierni siano in buona parte i discendenti di persone costrette a scappare per salvarsi la pelle non è purtroppo cosa nota a molti, nè è argomento che possa finire ad un tavolo negoziale. Anche tu, che pure sei consapevole di questa realtà storica, accenni in più punti ad una simmetria tra due parti che non esiste; dacché gli uni sono i conquistatori e gli altri i conquistati. Il danno non può essere cancellabile ma andrebbe perlomeno riconosciuto e soprattutto non è tollerabile che esso si perpetui ogni giorno. E' questa la cosa che riesce inaccettabile. Tutti i casi storici cui tu facevi riferimento sono terminati nel riconoscimento delle sofferenze subite e/o nell'accoglimento dei profughi all'interno delle rispettive comunità nazionale. Ma qual'è la comunità nazionale palestinese? Fin quando non esisterà una nazione palestinese, fin quando i profughi vivranno nei campi profughi senz'altra via di fuga che quella individuale, la ferita resterà aperta. Tu ed io possiamo dire che il passato è passato. Lo può dire anche un esule istriano o tedesco. Ma un palestinese che vive in un campo profughi, senza cittadinanza e senza futuro per se o i suoi figli, non può dire che il passato è passato. Lui vive ancora nelle conseguenze del 1948. ( ... )

Risposto da Fabio Colasanti su 15 Luglio 2014 a 22:32 Carlo, la non assimilazione/integrazione dei rifugiati è la vera differenza. Ma è dovuta ad una scelta politica esplicita dei paesi arabi.

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Non c'era nessun motivo per accumulare le persone nella striscia di Gaza nella maniera in cui questo è stato fatto. Non dimentichiamo che, anche se un milione di persone è sempre tanto, i numeri del 1948 erano una piccola frazione dei numeri di oggi. Il numero di profughi che hanno lasciato la Siria e l'Iraq negli ultimi tre o quattro anni è dello stesso ordine di grandezza dei profughi palestinesi del 1948. Non solo i palestinesi potevano essere assorbiti nei vari paesi arabi confinanti (le differenze tra i paesi sono artificiali e risultano dai confini tracciati da francesi e inglesi dopo la caduta dell'impero ottomano; la lingua è la stessa e la cultura pure), ma esisteva sempre la Cisgiordania. Lo sconcio della striscia di Gaza è il risultato della scelta dei paesi arabi di mantenere i profughi in uno stato di sofferenza per usarli come mezzo di pressione internazionale. Carlo De Luca ha detto: Fabio, in nessun post ho detto che il discorso sulla nascita dello stato di Israele può essere riaperto. Non lo dico nè lo penso. Ho detto invece che a differenza di tutti gli altri casi da te citati, i palestinesi a distanza di 60 anni da quegli eventi sono ancora privi di una comunità nazionale nella quale andare e questo produce conseguenze che devono essere considerate altrimenti non si capisce proprio di che parliamo. I tedeschi della Prussia orientale o dei sudeti sono andati in Germania dove ora i loro figli e nipoti vivono come cittadini tedeschi. I figli e nipoti dei profughi del '48 invece vivono negli stessi campi dei loro genitori e nonni, privi di cittadinanza come sessant'anni fa. Penso che ti renda conto delle differenze pratiche, proprio sul piano quotidiano, tra le due situazioni.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 16 Luglio 2014 a 1:05 E più la politica europea, e le banche, e gli istituti finanziari, e i governanti, dormiranno e si guarderanno l'ombelico, più spazio lasceranno a Putin e non solo, per tessere la loro tela; al solito, la UE correrà ai ripari in ritardo e con affanno. laura sgaravatto ha detto: La strategia finanziaria del Cremlino per influenzare l'Unione Europea Read more: http://it.ibtimes.com/articles/68502/20140715/russia-sberbank-creml...

Risposto da giorgio varaldo su 16 Luglio 2014 a 10:56 In tutti i paesi arabi la presenza di palestinesi ormai della terza o quarta generazione nei posti chiave del management e dei quadri direttivi e' una costante e vi sono seri dubbi che un eventuale ritorno nei territori acquisiti da israele possa aver un seguito. Riguardo poi ai confini ricordiamoci che quelli attuali sono stati tracciati dalle potenze occidentali dopo la fine della I GM senza tener conto delle realta' locali caratterizzate da differenze religiose/tribali e non da appartenenza a presunte entita' politiche. Ad esempio l'abbandono del west bank da parte della giordania e' potuto avvenire anche grazie alla disomogeneita' delle etnie li presenti che poco o nulla hanno da spartire con le tribu' hashemite costituenti il nocciolo di quel paese. Quindi e' possibile che un domani quando e se vi sara' pace territori come quelli di gaza.non piu' sostenuti economicamente da aiuti esterni si spopolino e ritornino a dimensioni vivibili

Risposto da Carlo De Luca su 16 Luglio 2014 a 21:05 Ciao Fabio, non mi metto a difendere i paesi arabi perché sono in effetti indifendibili. All'epoca utilizzarono i palestinesi come pedine nella loro lotta contro Israele, seguendo politiche che in questo forum verrebbero considerate pragmatiche:

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andava bene a loro come andava bene ai palestinesi stessi, i quali del resto - non avendo uno Stato, non avendo un territorio in cui vivere, e non potendo di conseguenza firmare nessun trattato di pace con Israele - vivevano in una situazione che per tutti era temporanea. Penso fosse comprensibile l'idea di poter riconquistare le terre perse, anche se oggi col senno di poi capiamo quanto fosse illusoria. Gli israeliani però comprendevano bene le radici dell'odio palestinese e sapevano di essere impegnati, contro di essi, in una lotta per la sopravvivenza: What can we say against their terrible hatred of us? For eight years now, they have sat in the refugee camps of Gaza, and have watched how, before their very eyes we have turned their land and villages, where they and their forefathers previously dwelled, into our home. It is not among the Arabs of Gaza, but in our own midst that we must seek Roy’s blood. How did we shut our eyes and refuse to look squarely at our fate and see, in all its brutality, the fate of our generation? Can we forget that this group of youngsters sitting in Nahal-Oz, carries the heavy gates of Gaza on their shoulders? Beyond the furrow of the border surges a sea of hatred and revenge; revenge that looks towards the day when the calm will blunt our alertness, the day when we shall listen to the ambassadors of malign hypocrisy who call upon us to lay down our arms. To us and us alone cries out Roy’s blood, from his mangled body. Because we swore a thousand times that our blood will not be spilled lightly – and yet again yesterday we were tempted, we listened, and we believed. Let us take stock today with ourselves. We are a generation of settlement and without the steel helmet and the gun’s muzzle we will not be able to plant a tree and build a house. Let us not fear to look squarely at the hatred that consumes and fills the lives of hundreds of Arabs who live around us. Let us not drop our gaze, lest our arms be weaken. That is the fate of our generation. This is our choice – to be ready and armed, tough and hard – or else the sword shall fall from our hands and our lives will be cut short.[...] Moshe Dayan, discorso funebre per Roy Rotenberg, 1956. I governi arabi avrebbero potuto naturalizzare i profughi palestinesi e trasformarli in cittadini siriani, giordani, egiziani? Io non credo esistessero all'epoca le condizioni psicologiche, culturali, politiche e forse anche materiali per accoglierli. In Giordania i palestinesi sono diventati uno stato nello stato al punto da doverli espellere con la forza. In Libano sono stati una della cause della guerra civile. Forse solo l'Egitto avrebbe avuto il potenziale per integrarli senza esserne destabilizzato. Poi perdona; mi rendo conto che le condizioni sono enormemente diverse. Ma tu parli con una certa facilità di concedere la cittadinanza ad uno-due milioni di persone mentre noi oggi, su questo forum che pure si riterrebbe progressista, appariamo irriducibilmente ostili ad accogliere sul nostro territorio qualche decina di migliaia di immigrati. Non è che sia facile anche volendo farlo; ed anche ammettendo che i palestinesi avessero accettato, prendere centinaia di migliaia di persone e trasformarle in cittadini del proprio paese espone a grossi rischi. Quando la Giordania si prese la Cisgiordania e trasformò gli abitanti (palestinesi) in propri cittadini si attirò prima continue e devastanti incursioni israeliane, e poi quasi precipitò nella guerra civile. L'avere la cittadinanza giordana non rese i palestinesi meno palestinesi. E comunque avendo la Giordania abbandonato ogni pretesa territoriale sulla West Bank il problema è ora risolto alla radice. La patata bollente è nelle mani di chi desidera le terre dei palestinesi ma rifiutando la creazione di uno stato palestinese impedisce ai palestinesi di uscire dal limbo in cui vivono. Non so abbastanza del Medio Oriente per poter dire che non esistono differenze culturali / nazionali tra un egiziano ed un siriano. Ad occhio direi che le differenze ci sono e pure consistenti, anche se meno appariscenti ai nostri occhi europei abituati a confini netti e secolari. Sono artificiali i confini; sono artificiali alcune entità (mi viene in mente il Libano); ma che l'Egitto fosse un'entità culturalmente distinta dalla Siria mi pare evidente. I palestinesi sicuramente si considerano palestinesi e non, come affermava un tempo la propaganda israeliana, "arabi che vivevano in Palestina". Se pure non esisteva un'identità nazionale prima del 1948 sono state le comuni sofferenze a forgiarne una molto robusta. Insomma, comunque la si metta il problema è attuale e l'asimmetria è macroscopica. Chi ha perso tutto nel 1948 continua a vivere come allora, mentre chi ha vinto allora sta lemme lemme prendendosi sempre di più. L'estremismo degli uni non ha alcuna possibilità di successo mentre quello degli altri trova libera espressione nelle politiche israeliane. I paesi arabi dopo aver non poco contribuito alla tragedia si sono opportunamente defilati (privilegi degli sponsor esterni). Ed i palestinesi restano là, vittime come sessant'anni fa, stretti tra un collaborazionismo senza speranze ed un radicalismo sanguinario e nichilista.

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I palestinesi non meritavano questo ma anche gli ebrei, credo avrebbero meritato di più. Che tristezza. Fabio Colasanti ha detto: Carlo, la non assimilazione/integrazione dei rifugiati è la vera differenza. Ma è dovuta ad una scelta politica esplicita dei paesi arabi. Non c'era nessun motivo per accumulare le persone nella striscia di Gaza nella maniera in cui questo è stato fatto. Non dimentichiamo che, anche se un milione di persone è sempre tanto, i numeri del 1948 erano una piccola frazione dei numeri di oggi. Il numero di profughi che hanno lasciato la Siria e l'Iraq negli ultimi tre o quattro anni è dello stesso ordine di grandezza dei profughi palestinesi del 1948. Non solo i palestinesi potevano essere assorbiti nei vari paesi arabi confinanti (le differenze tra i paesi sono artificiali e risultano dai confini tracciati da francesi e inglesi dopo la caduta dell'impero ottomano; la lingua è la stessa e la cultura pure), ma esisteva sempre la Cisgiordania. Lo sconcio della striscia di Gaza è il risultato della scelta dei paesi arabi di mantenere i profughi in uno stato di sofferenza per usarli come mezzo di pressione internazionale.

Risposto da Fabio Colasanti su 16 Luglio 2014 a 22:14 La decisione dei BRICS di creare un FMI/Banca Mondiale per loro è importante e mostra il loro aumentato peso economico e l'insofferenza per il funzionamento attuale delle istituzioni di Bretton Woods. Dove l'articolo secondo me sbaglia è sulle cause e sui risultati attesi. La creazione di questa nuova banca non avrà nessuna influenza sui movimenti di capitale incoraggiati dal "tapering" della FED (la riduzione progressiva delle immissioni di liquidità) così come non avrebbe potuto averne sui movimenti di capitale innescati dall'inizio di queste operazioni. Del resto, il FMI e la Banca Mondiale non hanno nessuna influenza sulle decisioni della Fed. L'unico legame tra le decisioni della Fed e la decisione presa a Fortaleza è che i BRICS hanno ripetutamente chiesto che la Fed non facesse le immissioni di liquidità che ha fatto perché questo provocava dei movimenti di capitale che facevano aumentare i tassi di cambio dei BRICS, ma la Fed ha dato la priorità ai bisogni dell'economia americana. La decisione sul "tapering" ha oggi l'effetto opposto e i BRICS sono seccati per il fatto che la Fed si preoccupa solo delle conseguenze domestiche delle sue decisioni. Quindi le decisioni della Fed hanno incrinato le relazioni diplomatiche. Ma la creazione di una banca dei BRICS non avrà nessun influenza su questo problema. Nuovi cambi di politica della Fed avranno ripercussioni per i BRICS che la nuova banca esista o no. La creazione di un'istituzione dei BRICS risponde invece a due esigenze diverse. Da un lato avere una banca che finanzi grossi progetti di infrastrutture senza chiedere in contropartita miglioramenti dei diritti umani, protezione dei lavoratori, protezione dell'ambiente e modifiche dell'organizzazione economica del paese come fa oggi la Banca Mondiale. Noi consideriamo queste richieste della Banca Mondiale come più che giustificate e ci chiediamo perché non avesse cominciato a farle decenni fa. Ma per i BRICS sono una seccatura e un'ingerenza nella loro politica interna. L'altra fonte di irritazione è che il FMI è considerato dai BRICS come uno strumento utilizzato a favore dei paesi ricchi. La goccia che ha fatto trabordare il vaso è stato l'aiuto del FMI alla Grecia (circa 65 miliardi di dollari). Il Fondo monetario non aveva mai fatto prestiti di tali dimensioni a paesi ben più grandi della Grecia come Argentina, Brasile, Russia, Indonesia, Corea e altri. A suo tempo i BRICS - e soprattutto il Brasilee - hanno protestato energicamente, ma sono stati messi in minoranza nel Board del FMI. Si è a lungo discusso di una delle quote (e dei diritti di voto) nel FMI, ma le modifiche fatte sono state insufficienti a soddisfare i BRICS.

Risposto da Fabio Colasanti su 16 Luglio 2014 a 22:23 Carlo, ma in Europa abbiamo integrato 15 milioni di persone, non le abbiamo ammassate in campi profughi e non abbiamo mai sperato di poter re i confini che sono usciti dalla guerra. L'Italia, non ha creato campi profughi per gli istriani attorno a Trieste, non li ha tenuti li per decenni in condizioni di fame e povertà. L'Italia ha accettato i nuovi confini e non pensa più di ridiscutere le frontiere attuali. Eppure gli istriani sono stati cacciati in maniera brutale tanto quanto, se non di più, i palestinesi da Israele.

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

In Europa abbiamo lingue diverse, nel medio oriente si parlano dialetti arabi diversi, la lingua scritta è praticamente la stessa. Se si fosse voluto integrare i profughi si sarebbe potuto fare. Del resto vediamo anche oggi delle forme - molto limitate - di integrazione di profughi siriani e iracheni. Probailmente questi non potranno più tornare nelle regioni di provenienza e ci saranno nuovi profughi tra sciiti e sunniti. Ma alla fine qualche forma di integrazione ci sarà. I palestinesi sono nella situazione nella quale sono perché i paesi arabi li hanno utilizzati come carne da cannone a fini politici.

Risposto da Carlo De Luca su 17 Luglio 2014 a 20:07 Fabio Colasanti ha detto: Carlo, ma in Europa abbiamo integrato 15 milioni di persone, non le abbiamo ammassate in campi profughi e non abbiamo mai sperato di poter re i confini che sono usciti dalla guerra. L'Italia, non ha creato campi profughi per gli istriani attorno a Trieste, non li ha tenuti li per decenni in condizioni di fame e povertà. L'Italia ha accettato i nuovi confini e non pensa più di ridiscutere le frontiere attuali. Eppure gli istriani sono stati cacciati in maniera brutale tanto quanto, se non di più, i palestinesi da Israele. Gli istriani erano cittadini italiani e non vi era titolo legale nè motivo per tenerli ammassati nei campi profughi. Nota che oggi i profughi siriani finiscono nei campi sia da noi che in Turchia. Tu scrivi, sotto, "se si fosse voluto integrare". Ma in Europa non fu questione di volontà. Tutti i paesi che accolsero i profughi se li trovarono in casa senza nessuna possibilità nè di rifiutarli nè di protestare nè di rivendicare i territori di origine. Hai presente la situazione della Germania ma anche della Polonia o dell'Italia nel 1945: eravamo tutti sotto occupazione militare, in Germania non c'era neppure un governo. Da un lato non era possibile scegliere, e dall'altro lato si trattava di accogliere propri cittadini e distribuirli sul territorio nazionale. In Medio Oriente al contrario nessuno poteva costringere i paesi arabi a fare qualcosa che non sarebbe stato nel loro interesse (a loro conveniva usare i palestinesi) e che avrebbe richiesto doti di idealismo visibilmente assenti sia là che qua, 60 anni dopo. Avevo scritto - nel post precedente - che la Giordania procedette all'annessione della Cisgiordania rendendone gli abitanti propri cittadini. Non cambiò nulla, in quanto sia i governi arabi sia i palestinesi vedevano la situazione creatasi in seguito alla guerra del '48 temporanea e suscettibile di miglioramenti a loro favorevoli. Non era prevedibile, all'epoca, l'illusorietà di quelle prospettive. Per poter paragonare le due situazioni sarebbe stato necessario che al termine della guerra Israele si fosse trovato ad occupare militarmente tutti i paesi arabi circostanti dopo averne distrutto totalmente eserciti e capacità di resistenza. Allora, in quel caso, avrebbe potuto certamente obbligare i paesi sconfitti a firmare trattati di pace che sancissero i nuovi confini e a naturalizzare i profughi. Ecco, questa sarebbe stata una situazione paragonabile a quella europea. Quel che successe invece è che i paesi arabi firmarono degli armistizi e che uno di essi (la Giordania) ebbe pure l'impressione di aver vinto la guerra - in effetti si era impadronito della Cisgiordania quasi senza sparare e dove aveva combattuto, a Gerusalemme, aveva arrestato le forze israeliane e conquistato alcuni quartieri ebraici dopo un lungo assedio. La partita appariva ancora aperta, apertissima, e la vittoria israeliana era stata ben lontana dall'assumere la forma che aveva avuto in Europa la vittoria degli Alleati. I paesi arabi si comportarono molto pragmaticamente: sfruttarono i palestinesi, misero sotto pressione Israele, cercarono di intavolare trattative e contemporaneamente si prepararono al prossimo conflitto. La tua idea che essi avrebbero potuto già nel 1948 firmare trattati di pace ed integrare i palestinesi nei propri territori è totalmente fuori dalla realtà storica. E' molto nobile, ma avrebbe richiesto un idealismo ed una preveggenza politica veramente rari nella storia. In merito alla pulizia etnica mi preme dire un'altra cosa. Io la condanno sul piano morale e cerco di mettermi nei panni delle vittime ma mi rendo conto che Ben Gurion ed i suoi pur di creare uno Stato avrebbero fatto letteralmente qualsiasi cosa. Cacciare i palestinesi dalle loro case sembrava la cosa giusta e molto probabilmente era necessaria per poter creare uno stato ebraico. Sul piano politico e storico pertanto la capisco. Ma chi vive a Gaza o negli altri campi profughi palestinesi se ne frega altamente del piano politico e storico; nella sua mente i responsabili sono esclusivamente gli ebrei anche perché - parliamoci chiaro - non è che si stiano comportando in modo molto diverso rispetto a 65 anni fa. Se agli albori Israele poteva almeno dire di essere impegnato in una lotta per la sopravvivenza, è da quarant'anni che la giustificazione non vale più. Al torto di ieri si somma il torto di oggi, la colonizzazione dei Territori occupati; talché non credo di sbagliare nel prevedere in futuro una sempre maggiore radicalizzazione da parte palestinese. Chi avrà la possibilità (le elites)

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scapperà all'estero per rifarsi una vita e nel paese resteranno solo masse di disperati sempre più emarginate e capaci di tutto. Questa situazione non era e non è inevitabile; è la diretta conseguenza di politiche che lo Stato d'Israele porta avanti sistematicamente da almeno due decenni. In Europa abbiamo lingue diverse, nel medio oriente si parlano dialetti arabi diversi, la lingua scritta è praticamente la stessa. Se si fosse voluto integrare i profughi si sarebbe potuto fare. Del resto vediamo anche oggi delle forme - molto limitate - di integrazione di profughi siriani e iracheni. Probailmente questi non potranno più tornare nelle regioni di provenienza e ci saranno nuovi profughi tra sciiti e sunniti. Ma alla fine qualche forma di integrazione ci sarà. I palestinesi sono nella situazione nella quale sono perché i paesi arabi li hanno utilizzati come carne da cannone a fini politici.

Risposto da Fabio Colasanti su 17 Luglio 2014 a 20:45 Carlo, le differenze che sottolinei non mi sembrano convincenti I paesi arabi limitrofi si sono ritrovati i profughi in casa esattamente come i paesi europei. La nazionalità non ha avuto nessun ruolo. In Palestina non esisteva un’amministrazione degna di questo nome, non esisteva un catasto e molti abitanti non avevano documenti. Ricordo di nuovo che le differenze linguistiche e culturali erano minime. Molto più importanti erano le differenze tra i clan e le tribu. Il riferimento al regime militare che esisteva in Europa, potrebbe voler dire che gli europei sono stati obbligati dai regimi militari a comportarsi in maniera civile. Nei paesi arabi invece non ci sarebbe stato nessuno a obbligare i governi ad un comportamento decente? Anche il riferimento alla situazione di sconfitta è dubbio. Gli europei sconfitti in maniera chiara si sarebbero comportati bene e i paesi arabi invece avrebbero rifiutato di integrare i profughi perché non erano stati sconfitti. Che conclusioni dovremmo trarre da questi due elementi? Comunque la rigiri, rimane il fatto che le sofferenze dei profughi di Gaza oggi sono in massima parte dovute ai paesi arabi. E’ come se noi avessimo concentrato tutti i profughi istriani in baracche attorno a Trieste senza la possibilità di lasciare la regione. Per noi una cosa del genere era inconcepibile (anche se il trattamento dei rifugiati nelle stazioni italiane per ordine della CGIL e del Pci è andato in questo senso), ma a Gaza è stata fatta.

Risposto da giorgio varaldo su 17 Luglio 2014 a 21:10 un contributo alla interessante discussione in corso: gran parte del management e dei quadri direttivi (industria, servizi, ospitalità) dei paesi arabi è costituito da palestinesi perfettamente integrati. in pratica la parte più evoluta e preparata dei palestinesi è emigrata mentre chi era rimasto nei campi di gaza o del west bank preferiva campare dei generosi aiuti elargiti da arabia saudita ed emirati piuttosto che lavorare. Questo discorso me lo fece negli anni 80 un palestinese che copriva la funzione di quadro direttivo in una azienda giordana: gli operai addirittura venivano dall'egitto ed i quadri intermedi dal pakistan (giordani i proprietari)

Risposto da Fabio Colasanti su 18 Luglio 2014 a 16:53 La via della trasparenza è lunga: http://www.euractiv.it/it/news/sociale/9577-aiuti-umanitari-registr...

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Risposto da Carlo De Luca su 18 Luglio 2014 a 20:09 Giorgio, io ho una grande ammirazione per chi è riuscito a scappare dai campi profughi e a rifarsi una vita all'estero. Ma quel giudizio è molto ingeneroso. Non so perché ma a volte chi riesce a sollevarsi da una condizione "bassa" ha poi disprezzo per quelli che ci sono rimasti. Lasciamo stare Gaza perché l'economia della Striscia anche nelle migliori condizioni immaginabili non sarebbe capace di dare da mangiare a quasi due milioni di persone. A Gaza si vive ormai di aiuti umanitari perché con il blocco dell'import e dell'export l'economia è collassata. L'unico settore che tira è il contrabbando (controllato da Hamas); come nei ghetti polacchi durante la guerra. Per il resto e da quanto ne so (letture sparse) i palestinesi non sono un popolo indolente. Il livello di alfabetizzazione sfiora il 100%, il settore agricolo è di buon livello ed occupa una buona porzione della forza lavoro, senza la manodopera palestinese l'edilizia israeliana si arresterebbe; c'è pure un'industria leggera. Suppongo però ci siano grosse differenze in termini di motivazione ed atteggiamento tra gli abitanti originari della West Bank ed i discendenti dei profughi del 1948. Nell'annuario pubblicato dalla CIA si può leggere che Despite the Palestinian Authority's (PA) successful implementation of economic and security reforms and the easing of some movement and access restrictions by the Israeli Government, Israeli closure policies continue to disrupt labor and trade flows, industrial capacity, and basic commerce, eroding the productive capacity of the West Bank economy. The biggest impediments to economic improvements in the West Bank remain Palestinians' inability to access land and resources in Israeli-controlled areas, import and export restrictions, and a high-cost capital structure. The PA for the foreseeable future will continue to rely heavily on donor aid for its budgetary needs, and West Bank economic activity will depend largely on the PA's ability to attract such aid. Magari come fonte non è molto oggettiva ma sicuramente non pende dalla parte dei palestinesi. :) La Cia dice anche che il 18% della popolazione è sotto la soglia di povertà e il 22% della forza lavoro (il 38% a Gaza) è disoccupata. In questa situazione gli aiuti umanitari più che benvenuti sono indispensabili. Insomma, credo che sia veramente molto difficile valutare le prestazioni economiche di un popolo soggetto ad occupazione militare da oltre 40 anni. Ad occhio direi che i palestinesi stiano mostrando capacità di coesione, pazienza e resistenza quasi eroiche. giorgio varaldo ha detto: un contributo alla interessante discussione in corso: gran parte del management e dei quadri direttivi (industria, servizi, ospitalità) dei paesi arabi è costituito da palestinesi perfettamente integrati. in pratica la parte più evoluta e preparata dei palestinesi è emigrata mentre chi era rimasto nei campi di gaza o del west bank preferiva campare dei generosi aiuti elargiti da arabia saudita ed emirati piuttosto che lavorare. Questo discorso me lo fece negli anni 80 un palestinese che copriva la funzione di quadro direttivo in una azienda giordana: gli operai addirittura venivano dall'egitto ed i quadri intermedi dal pakistan (giordani i proprietari)

Risposto da Carlo De Luca su 18 Luglio 2014 a 20:23 Fabio Colasanti ha detto: Carlo, le differenze che sottolinei non mi sembrano convincenti I paesi arabi limitrofi si sono ritrovati i profughi in casa esattamente come i paesi europei. La nazionalità non ha avuto nessun ruolo. In Palestina non esisteva un’amministrazione degna di questo nome, non esisteva un catasto e molti abitanti non avevano documenti. Ricordo di nuovo che le differenze linguistiche e culturali erano minime. Molto più importanti erano le differenze tra i clan e le tribu. Differenze sufficienti a causare una guerra civile in Giordania (l'unico paese che integrò i palestinesi) e a favorirne un'altra in Libano. Sono significativi case studies di cosa ha comportato integrare gente "che parla la stessa lingua".

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Ma il punto fondamentale non è questo. Perché il popolo palestinese potesse scomparire finendo assorbito nelle altre popolazioni arabe sarebbero state necessarie altre condizioni che non erano presenti. In loro assenza qualsiasi integrazione avrebbe avuto effetti destabilizzanti, come in effetti fu. Il riferimento al regime militare che esisteva in Europa, potrebbe voler dire che gli europei sono stati obbligati dai regimi militari a comportarsi in maniera civile. Nei paesi arabi invece non ci sarebbe stato nessuno a obbligare i governi ad un comportamento decente? Anche il riferimento alla situazione di sconfitta è dubbio. Gli europei sconfitti in maniera chiara si sarebbero comportati bene e i paesi arabi invece avrebbero rifiutato di integrare i profughi perché non erano stati sconfitti. Che conclusioni dovremmo trarre da questi due elementi? Una prima conclusione, abbastanza evidente, è che non si possono paragonare situazioni macroscopicamente differenti (pace / armistizio; occupazione militare / riarmo; pace / tregua armata). Poiché i contesti non erano paragonabili non ci si può stupire del fatto che i paesi arabi non reagirono come l'Italia o la Polonia. Ci saremmo dovuti piuttosto stupire se in circostanze del tutto differenti i governi arabi avessero fatto la stessa cosa.. Una seconda conclusione, più articolata, è che i governi di solito non sono "buoni" (non per principio quanto meno), ma cercano di agire in base ai propri interessi ed alle prospettive percepite. Spero concorderai (ti chiedo eventualmente conferma) del fatto che il governo italiano non avesse titolo legale a rifiutare l'accoglienza ai propri cittadini. Ti chiedo altresì se concordi sul fatto che il governo italiano percepisse di non poter avanzare pretese territoriali o nutrire ipotesi di rivalsa sulle regioni perdute. Vorrei farti infine notare l'abissale differenza di comportamento della Germania dopo rispettivamente la prima guerra mondiale e la seconda; pensi che il "più decente" comportamento tenuto dopo il 1945 fosse dovuto ad una improvvisa maggior bontà dei tedeschi o ad altro? I governi arabi post 1948 avevano ancora più libertà di manovra dei governi tedeschi post Versailles, dato che non avevano firmato nessuna pace e non erano stati costretti a disarmare. Ai loro occhi e agli occhi di tutti (compreso Israele) la guerra continuava. E poiché la guerra continuava (è un dato di fatto che la guerra continuava, come è un dato di fatto che in Europa era invece finita) e che quindi la Paestina non era definitivamente persa, allora i palestinesi erano utili; così come per i palestinesi era molto utile avere l'appoggio dei paesi arabi. Questi sono tutti elementi storicamente provati. L'idea che essi già nel 1948 avrebbero potuto / dovuto capire che Israele sarebbe diventato invincibile e che quindi era meglio assorbire i palestinesi nei propri stati e firmare trattati di pace con il nuovo arrivato è dunque fuori dalla realtà storica. Poi si possono anche ignorare i vincoli materiali, il contesto, le percezioni, la situazione sul campo... praticamente tutto e procedere ad esercizi del tipo "cosa sarebbe successo se..."; è lecito. Per esempio se i palestinesi nel 1947 avessero conquistato quella coscienza nazionale che invece, faticosamente, formarono nei campi profughi e in buona parte grazie alle sofferenze patite avrebbero senz'altro potuto - già nel 1948 - fondare uno Stato nazionale sul territorio ad essi assegnato dall'ONU. In Cisgiordania si sarebbe quindi costituito uno Stato nazionale palestinese ed a questo punto i governi arabi - privati dell'occasione di intervenire - non sarebbero neppure entrati in guerra se non eventualmente per aiutare il neonato stato palestinese a resistere ad un'invasione ebraica. Appare di conseguenza evidente, da quest'analisi farlocca, che le responsabilità dell'attuale situazione politica e di tutto il conflitto arabo-israeliano ricadono esclusivamente sui palestinesi che non riuscirono, nel 1947, a fare quello che gli venne desiderio di fare dopo. Il riferimento al regime militare che esisteva in Europa, potrebbe voler dire che gli europei sono stati obbligati dai regimi militari a comportarsi in maniera civile. Nei paesi arabi invece non ci sarebbe stato nessuno a obbligare i governi ad un comportamento decente? Anche il riferimento alla situazione di sconfitta è dubbio. Gli europei sconfitti in maniera chiara si sarebbero comportati bene e i paesi arabi invece avrebbero rifiutato di integrare i profughi perché non erano stati sconfitti. Che conclusioni dovremmo trarre da questi due elementi? Comunque la rigiri, rimane il fatto che le sofferenze dei profughi di Gaza oggi sono in massima parte dovute ai paesi arabi. E’ come se noi avessimo concentrato tutti i profughi istriani in baracche attorno a Trieste senza la possibilità di lasciare la regione. Per noi una cosa del genere era inconcepibile (anche se il trattamento dei rifugiati nelle stazioni italiane per ordine della CGIL e del Pci è andato in questo senso), ma a Gaza è stata fatta.

Risposto da Fabio Colasanti su 18 Luglio 2014 a 21:19 Carlo,

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ritorniamo sempre ad elementi che ci portano alla conclusione che una pace non è possibile. Come sottolinei, la differenza principale tra l'assorbimento dei 15 milioni di europei e il rifiuto dell'assorbimento di un milione di arabi è nel fatto che mentre gli europei hanno accettato - e non potevano fare diversamente - che la nuova situazione era definitiva, gli arabi non hanno accettato la creazione di israele e hanno deliberatamente creato una situazione critica alle sue frontiere che doveva portare al rovesciamento della decisione del 1948. Ma la comunità internazionale - al di fuori dei paesi arabi - ha considerato e considera tuttora definitiva la creazione di Israele. L'impossibilità di trovare una soluzione è in gran parte in questa diversità: gli arabi vogliono di fatto che Israele scompaia, mentre gli altri paesi industrializzati vorrebbero che Israele si comportasse in maniera decente, ma non che scompaia. Nel frattempo Israele si è costruita una capacità militare considerevole. Pensiamo tutti che abbiano anche bombe nucleari. Al Fatah e molti paesi arabi hanno nel frattempo accettato l'esistenza di Israele, ma continuano ad insistere sul diritto al ritorno dei profughi (che nel frattempo sono passati da un milione di persone a vari milioni). Non vedo come nessun paese occidentale - non parlo nemmeno di Israele - potrebbe mai accettare il diritto al ritorno di nemmeno una piccola parte di una massa di persone di queste dimensioni, tenendo anche conto del fatto che la popolazione attuale di Israele - dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica - è cresciuta esponenzialmente ed è oggi ben otto milioni di abitanti. E tenendo anche conto del fatto che accettare il ritorno di discendenti di profughi significherebbe esporsi al rischio di attentati. Purtroppo oggi non abbiamo più potenze esterne che abbiano una grande influenza sui due contendenti. Spero che prima possibile si arrivi ad un armistizio, ma tra due anni rivedremo un nuovo conflitto come quello attuale. C'è da aver paura che tra due anni Hamas abbia missili più pericolosi e che Israele risponda in maniera ancora più brutale.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 18 Luglio 2014 a 21:33 Sto leggendo con interesse i vostri interventi ma mi viene da pensare: se uno di noi fosse costretto a vivere a Gaza che potrebbe fare? Al di là delle condizioni storiche che hanno determinato questa situazione , l'unico modo per vincere questa disperazione e togliere ai terroristi la base per il proprio reclutamento è dare ai palestinesi ( tutti) la possibilità di una vita decente ... anzi di più. Questo toglierebbe la " base umana" dello scontro . La maggior parte delle persone vuole vivere tranquilla e prosperare e di certo non desidera stare in una guerra perenne se non vi è costretta. Bisogna farsi carico di un miglioramento sostanziale delle condizioni di vita dei p'alestinesi. Parole talmente banali quelle che sto dicendo che quasi mi vergogno a scriverle: tuttavia le scrivo per dire che non serve capire chi ha ragione in questo conflitto. Bisogna che la comunità internazionale e le persone ragionevoli fra i palestinesi e gli israeliani si adoperino per raggiungere questo obiettivo: il benessere economico e sociale dei palestinesi e dei confini certi dove prosperare con l'aiuto di tutti. Chi si oppone a tutto questo e perchè? Ognuno avrà i suoi buoni motivi ma sono veramente validi?

Risposto da Fabio Colasanti su 18 Luglio 2014 a 21:39 Giuseppe, oggi nella striscia di Gaza ci sono tra un milione e mezzo e due milioni di persone che vivono di aiuti umanitari e in condizioni penose. Per farli vivere in condizioni decenti devi portarli altrove. La striscia di Gaza non può sostenere in condizioni accettabili più di cento o duecentomila abitanti. Cosa produce la striscia di Gaza? Pochissimi prodotti alimentari e praticamente niente altro. Ma sistemarli altrove significherebbe dare l'impressione di aver accettato i confini attuali. Hamas e alcuni stati arabi impediscono agli abitanti di Gaza di andare a vivere altrove perché hanno bisogno che restino dove sono per mostrare al mondo l'orrore delle loro condizioni di vita. Ci sarà pure una ragione se tra i disperati che rischiano la vita traversando il canale di Sicilia ci siano eritrei, somali, etiopi, siriani, pakistani, iracheni ed altri, ma pochissimi palestinesi di Gaza? Giuseppe Ardizzone ha detto:

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Sto leggendo con interesse i vostri interventi ma mi viene da pensare: se uno di noi fosse costretto a vivere a Gaza che potrebbe fare? Al di là delle condizioni storiche che hanno determinato questa situazione , l'unico modo per vincere questa disperazione e togliere ai terroristi la base per il proprio reclutamento è dare ai palestinesi ( tutti) la possibilità di una vita decente ... anzi di più. Questo toglierebbe la " base umana" dello scontro . La maggior parte delle persone vuole vivere tranquilla e prosperare e di certo non desidera stare in una guerra perenne se non vi è costretta. Bisogna farsi carico di un miglioramento sostanziale delle condizioni di vita dei p'alestinesi. Parole talmente banali quelle che sto dicendo che quasi mi vergogno a scriverle: tuttavia le scrivo per dire che non serve capire chi ha ragione in questo conflitto. Bisogna che la comunità internazionale e le persone ragionevoli fra i palestinesi e gli israeliani si adoperino per raggiungere questo obiettivo: il benessere economico e sociale dei palestinesi e dei confini certi dove prosperare con l'aiuto di tutti. Chi si oppone a tutto questo e perchè? Ognuno avrà i suoi buoni motivi ma sono veramente validi?

Risposto da Carlo De Luca su 19 Luglio 2014 a 17:16 Giuseppe, se anche il 100% dei palestinesi diventasse ragionevole e moderato le motivazioni fondamentali della politica israeliana - la colonizzazione della Giudea e della Samaria - non cambierebbero di uno iota. La chiave della questione palestinese ce l'ha il governo israeliano. La storia degli ultimi vent'anni ha dimostrato che qualsiasi politica venga tentata dalla leadership o dalle leadership palestinesi, la colonizzazione dei territori prosegue senza sosta. In Israele esiste una componente moderata che vorrebbe restituire i Territori e vivere in pace accanto ad uno stato palestinese. Ma questa componente è sempre stata minoritaria e non è mai riuscita ad andare al governo, a differenza invece dei partiti religiosi o nazionalisti (con programmi francamente razzisti) i quali ne hanno sempre fatto parte. Israele purtroppo sta cambiando, in peggio. Io non credo che le sue componenti moderate riusciranno mai ad imporsi. Servirebbero azioni di altra natura da parte dell'Unione Europea o degli Stati Uniti ma mi pare che manchi sia l'interesse che la volontà. Giuseppe Ardizzone ha detto: Sto leggendo con interesse i vostri interventi ma mi viene da pensare: se uno di noi fosse costretto a vivere a Gaza che potrebbe fare? Al di là delle condizioni storiche che hanno determinato questa situazione , l'unico modo per vincere questa disperazione e togliere ai terroristi la base per il proprio reclutamento è dare ai palestinesi ( tutti) la possibilità di una vita decente ... anzi di più. Questo toglierebbe la " base umana" dello scontro . La maggior parte delle persone vuole vivere tranquilla e prosperare e di certo non desidera stare in una guerra perenne se non vi è costretta. Bisogna farsi carico di un miglioramento sostanziale delle condizioni di vita dei p'alestinesi. Parole talmente banali quelle che sto dicendo che quasi mi vergogno a scriverle: tuttavia le scrivo per dire che non serve capire chi ha ragione in questo conflitto. Bisogna che la comunità internazionale e le persone ragionevoli fra i palestinesi e gli israeliani si adoperino per raggiungere questo obiettivo: il benessere economico e sociale dei palestinesi e dei confini certi dove prosperare con l'aiuto di tutti. Chi si oppone a tutto questo e perchè? Ognuno avrà i suoi buoni motivi ma sono veramente validi?

Risposto da Giampaolo Carboniero su 19 Luglio 2014 a 19:06 Questi signori, prima ci riempiono il mondo di glifosate, di nicotinoidi, e altri veleni vari, e poi ci vendono i semi resistenti a malattie e parassiti, o erbacce, delle cui caratteristiche sono, in parte, responsabili: http://www.treehugger.com/corporate-responsibility/monsantos-roundu...

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Risposto da Giuseppe Ardizzone su 20 Luglio 2014 a 15:13 Se i palestinesi potessero avere una speranza e dioventassero moderati isolando Hamas, anche i moderati ebrei avrebbero più carte da giocare all'interno d'Israele appoggiati a questo punto con forza da tutte le organizzazioni e potenze internazionali che non avrebbero alternativa alla necessità di frenare gli oltranzisti ed i nazionalisti estremi .- Carlo De Luca ha detto: Giuseppe, se anche il 100% dei palestinesi diventasse ragionevole e moderato le motivazioni fondamentali della politica israeliana - la colonizzazione della Giudea e della Samaria - non cambierebbero di uno iota. La chiave della questione palestinese ce l'ha il governo israeliano. La storia degli ultimi vent'anni ha dimostrato che qualsiasi politica venga tentata dalla leadership o dalle leadership palestinesi, la colonizzazione dei territori prosegue senza sosta. In Israele esiste una componente moderata che vorrebbe restituire i Territori e vivere in pace accanto ad uno stato palestinese. Ma questa componente è sempre stata minoritaria e non è mai riuscita ad andare al governo, a differenza invece dei partiti religiosi o nazionalisti (con programmi francamente razzisti) i quali ne hanno sempre fatto parte. Israele purtroppo sta cambiando, in peggio. Io non credo che le sue componenti moderate riusciranno mai ad imporsi. Servirebbero azioni di altra natura da parte dell'Unione Europea o degli Stati Uniti ma mi pare che manchi sia l'interesse che la volontà. Giuseppe Ardizzone ha detto: Sto leggendo con interesse i vostri interventi ma mi viene da pensare: se uno di noi fosse costretto a vivere a Gaza che potrebbe fare? Al di là delle condizioni storiche che hanno determinato questa situazione , l'unico modo per vincere questa disperazione e togliere ai terroristi la base per il proprio reclutamento è dare ai palestinesi ( tutti) la possibilità di una vita decente ... anzi di più. Questo toglierebbe la " base umana" dello scontro . La maggior parte delle persone vuole vivere tranquilla e prosperare e di certo non desidera stare in una guerra perenne se non vi è costretta. Bisogna farsi carico di un miglioramento sostanziale delle condizioni di vita dei p'alestinesi. Parole talmente banali quelle che sto dicendo che quasi mi vergogno a scriverle: tuttavia le scrivo per dire che non serve capire chi ha ragione in questo conflitto. Bisogna che la comunità internazionale e le persone ragionevoli fra i palestinesi e gli israeliani si adoperino per raggiungere questo obiettivo: il benessere economico e sociale dei palestinesi e dei confini certi dove prosperare con l'aiuto di tutti. Chi si oppone a tutto questo e perchè? Ognuno avrà i suoi buoni motivi ma sono veramente validi?

Risposto da Antonino Andaloro su 20 Luglio 2014 a 15:45 In tutta questa storia, non capisco la logica di Hammas,il quale ha inviato per giorni, missili sul territorio di Israele, senza avere la certezza di colpire degli obiettivi strategici. Se la reazione di Israele sarà quella di occupare la Palestina, il mondo occidentale potrà mai obiettare qualcosa ? Potremmo mai puntare il dito contro netanyahu, per definirlo un colonizzatore ?

Risposto da Carlo De Luca su 20 Luglio 2014 a 17:27 Per Hamas la popolazione civile è il bersaglio; non è in grado di colpirne altri ed anche se fosse in grado, l'effetto non sarebbe lo stesso. Israele occupa la Palestina da oltre 40 anni e vi costruisce insediamenti per la propria popolazione da oltre vent'anni; da ben prima che Hamas nascesse o diventasse l'organizzazione odierna. Non c'è alcun nesso di causalità tra le azioni

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

di Hamas e la colonizzazione dei territori occupati, che anzi è decollata proprio nel periodo immediatamente successivo agli accordi di Oslo, quando i palestinesi collaborarono entusiasticamente con gli israeliani. Non è Nethanyahu solo ad essere colonizzatore; è tutto lo stato d'Israele. Antonino Andaloro ha detto: In tutta questa storia, non capisco la logica di Hammas,il quale ha inviato per giorni, missili sul territorio di Israele, senza avere la certezza di colpire degli obiettivi strategici. Se la reazione di Israele sarà quella di occupare la Palestina, il mondo occidentale potrà mai obiettare qualcosa ? Potremmo mai puntare il dito contro netanyahu, per definirlo un colonizzatore ?

Risposto da Carlo De Luca su 20 Luglio 2014 a 17:48 La situazione che tu descrivi si è verificata per qualche anno dopo gli accordi di Oslo. L'Autorità Palestinese aveva riconosciuto formalmente lo Stato d'Israele e collaborava entusiasticamente con le amministrazioni civili e militari israeliane su numerose questioni - comprese quelle riguardanti la sicurezza. Sembrava che si potesse realizzare una sorta di convivenza pacifica tra due popoli. In quegli anni la popolazione israeliana nei Territori Occupati passò da 100.000 a 200.000 e da allora non ha cessato di salire; è ora ad oltre 500.000 (cresce ad un tasso che è oltre il doppio del tasso di crescita della popolazione israeliana, comprese le immigrazioni). Qua c'è un ottimo rapporto di B'Tselem (un'organizzazione israeliana) sugli insediamenti. Darei quindi per provata l'assenza di causalità tra le azioni palestinesi e la colonizzazione dei Territori. La mia idea ormai è che per la maggioranza silenziosa israeliana il palestinese buono è il palestinese moderato che rifiuta la violenza ed accetta di vivere sotto sovranità israeliana; in quest'ottica, sì, la maggioranza israeliana desidera la pace ed intende sinceramente negoziare con i palestinesi una qualche sorta di accordo. La minoranza moderata non riesce a sfondare, mentre il governo israeliano vede da anni la presenza di partiti religiosi ultraortodossi che mai e poi mai rinuncerebbero alla Giudea e Samaria, oltre a partiti nazionalisti - come aveva fatto notare Fabio, formati e votati in massa dagli immigrati provenienti dalla Russia - con programmi apertamente razzisti. I più moderati nel governo israeliano sono quelli del Likud, ed è tutto dire. Consiglio pure questa breve lettura sulle ultime tendenze della politica israeliana. Giuseppe Ardizzone ha detto: Se i palestinesi potessero avere una speranza e dioventassero moderati isolando Hamas, anche i moderati ebrei avrebbero più carte da giocare all'interno d'Israele appoggiati a questo punto con forza da tutte le organizzazioni e potenze internazionali che non avrebbero alternativa alla necessità di frenare gli oltranzisti ed i nazionalisti estremi .

Risposto da Giampaolo Carboniero su 20 Luglio 2014 a 18:53 Direi che solo chi è in malafede può dissentire. Carlo De Luca ha detto: La situazione che tu descrivi si è verificata per qualche anno dopo gli accordi di Oslo. L'Autorità Palestinese aveva riconosciuto formalmente lo Stato d'Israele e collaborava entusiasticamente con le amministrazioni civili e militari israeliane su numerose questioni - comprese quelle riguardanti la sicurezza. Sembrava che si potesse realizzare una sorta di convivenza pacifica tra due popoli. In quegli anni la popolazione israeliana nei Territori Occupati passò da 100.000 a 200.000 e da allora non ha cessato di salire; è ora ad oltre 500.000 (cresce ad un tasso che è oltre il doppio del tasso di crescita della popolazione israeliana, comprese le immigrazioni). Qua c'è un ottimo rapporto di B'Tselem (un'organizzazione israeliana) sugli insediamenti. Darei quindi per provata l'assenza di causalità tra le azioni palestinesi e la colonizzazione dei Territori. La mia idea ormai è che per la maggioranza silenziosa israeliana il palestinese buono è il palestinese moderato che rifiuta la violenza ed accetta di vivere sotto sovranità israeliana; in quest'ottica, sì, la maggioranza israeliana desidera la pace ed intende sinceramente negoziare con i palestinesi una qualche sorta di accordo.

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La minoranza moderata non riesce a sfondare, mentre il governo israeliano vede da anni la presenza di partiti religiosi ultraortodossi che mai e poi mai rinuncerebbero alla Giudea e Samaria, oltre a partiti nazionalisti - come aveva fatto notare Fabio, formati e votati in massa dagli immigrati provenienti dalla Russia - con programmi apertamente razzisti. I più moderati nel governo israeliano sono quelli del Likud, ed è tutto dire. Consiglio pure questa breve lettura sulle ultime tendenze della politica israeliana. Giuseppe Ardizzone ha detto: Se i palestinesi potessero avere una speranza e dioventassero moderati isolando Hamas, anche i moderati ebrei avrebbero più carte da giocare all'interno d'Israele appoggiati a questo punto con forza da tutte le organizzazioni e potenze internazionali che non avrebbero alternativa alla necessità di frenare gli oltranzisti ed i nazionalisti estremi .- Carlo De Luca ha detto: Giuseppe, se anche il 100% dei palestinesi diventasse ragionevole e moderato le motivazioni fondamentali della politica israeliana - la colonizzazione della Giudea e della Samaria - non cambierebbero di uno iota. La chiave della questione palestinese ce l'ha il governo israeliano. La storia degli ultimi vent'anni ha dimostrato che qualsiasi politica venga tentata dalla leadership o dalle leadership palestinesi, la colonizzazione dei territori prosegue senza sosta. In Israele esiste una componente moderata che vorrebbe restituire i Territori e vivere in pace accanto ad uno stato palestinese. Ma questa componente è sempre stata minoritaria e non è mai riuscita ad andare al governo, a differenza invece dei partiti religiosi o nazionalisti (con programmi francamente razzisti) i quali ne hanno sempre fatto parte. Israele purtroppo sta cambiando, in peggio. Io non credo che le sue componenti moderate riusciranno mai ad imporsi. Servirebbero azioni di altra natura da parte dell'Unione Europea o degli Stati Uniti ma mi pare che manchi sia l'interesse che la volontà.

Risposto da giorgio varaldo su 20 Luglio 2014 a 19:24 carlo in uno scenario tradizionale composto da due parti in causa è difficile capire quali sono le cause e quali sono gli effetti figuriamoci in un contesto come quello israelo-palestinese nel quale le due parti in causa sono tutt'altro che monolitiche con obiettivi diversi. nella sequenza temporale da te presentata direi che il processo di pace iniziato nel 1993 con gli accordi di oslo è definitivamente tramontato dopo il fallimento dei colloqui di camp david del 2000 e con lo scoppio della seconda intifada. nel corso di quegli anni di cose che hanno portato a questo fallimento ve ne sono state non poche ad iniziare dall'uccisione di itzsaak rabin proseguendo con i continui attacchi contro israele provenienti dal libano da parte di hezbollah sino alla sconfitta elettorale del 1996 subita da shimon peres e la vittoria della destra israeliana guidata da netanyau con l'immediata ripresa della costruzione di nuovi insediamenti israeliani nel west bank e rimasti sostanzialmente fermi sino ad allora. quindi un quadro ben diverso da quello da te sostenuto di palestinesi entusiasti per le trattative in base ai fatti hezbollah era di tuttaltro parere. in questo quadro una parte fondamentale è stata l'incapacità di yasser arafat a controllare tutte le frazioni palestinesi e la sua politica indecisa ma d'altronde arafat oltre a non avere la capacità di un saddat aveva più a cuore gli interessi personali a quelli del suo popolo. oggi è difficile trovar una soluzione e l'elevato numero di morti da parte delle'esercito israeliano credo porterà a breve ad una maggior libertà di azione sul campo quindi c'è da attendersi un vertiginoso aumento delle vittime palestinesi e l'innesco di una spirale di violenza da parte di un israele che si sentirà sempre più assediato che fermerà i soldati solo quando avrà annullata la capacità operativa di HAMAS

Risposto da Fabio Colasanti su 20 Luglio 2014 a 19:51 Carlo,

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sono d'accordo con la tua analisi. La maggioranza della popolazione israeliana persegue obiettivi che non sono accettabili per la comunità internazionale (ancora di meno per la stragrande maggioranza dei palestinesi). C'è però da aggiungere un altro elemento. La realtà da entrambi i lati è quella che è. Nessuno sarà mai in grado di firmare un accordo e di garantire che questo sia accettato e rispettato da "tutti" quelli della sua parte. Quindi il problema della sicurezza rimarrà anche nel caso - molto improbabile - di un accordo di pace reso possibile dal prevalere di persone intelligenti da entrambi i lati. Questo è un fatto oggettivo, ma al tempo stesso alcuni elementi di un accordo che non potranno essere "tecnicamente" raggiunti e complica il raggiungimento stesso di un accordo globale. Per esempio, credo che sia molto improbabile che anche la parte più progressista della società israeliana accetti mai di restituire la parte orientale di Gerusalemme. Ma anche si potesse convincerli, questo significherebbe prendere misure di sicurezza eccezionali che equivarrebbero quasi a dividere la città con un nuovo muro. Ancora peggio è per il problema del ritorno dei discendenti dei palestinesi. Non è immaginabile che Israele possa mai accettarlo per quello che significherebbe a livello locale e per i problemi di sicurezza che porrebbe. Ma senza la prospettiva di un ritorno in Israele, che senso ha l'esistenza stessa di Gaza ? Carlo De Luca ha detto: La situazione che tu descrivi si è verificata per qualche anno dopo gli accordi di Oslo. L'Autorità Palestinese aveva riconosciuto formalmente lo Stato d'Israele e collaborava entusiasticamente con le amministrazioni civili e militari israeliane su numerose questioni - comprese quelle riguardanti la sicurezza. Sembrava che si potesse realizzare una sorta di convivenza pacifica tra due popoli. In quegli anni la popolazione israeliana nei Territori Occupati passò da 100.000 a 200.000 e da allora non ha cessato di salire; è ora ad oltre 500.000 (cresce ad un tasso che è oltre il doppio del tasso di crescita della popolazione israeliana, comprese le immigrazioni). Qua c'è un ottimo rapporto di B'Tselem (un'organizzazione israeliana) sugli insediamenti. Darei quindi per provata l'assenza di causalità tra le azioni palestinesi e la colonizzazione dei Territori. La mia idea ormai è che per la maggioranza silenziosa israeliana il palestinese buono è il palestinese moderato che rifiuta la violenza ed accetta di vivere sotto sovranità israeliana; in quest'ottica, sì, la maggioranza israeliana desidera la pace ed intende sinceramente negoziare con i palestinesi una qualche sorta di accordo. La minoranza moderata non riesce a sfondare, mentre il governo israeliano vede da anni la presenza di partiti religiosi ultraortodossi che mai e poi mai rinuncerebbero alla Giudea e Samaria, oltre a partiti nazionalisti - come aveva fatto notare Fabio, formati e votati in massa dagli immigrati provenienti dalla Russia - con programmi apertamente razzisti. I più moderati nel governo israeliano sono quelli del Likud, ed è tutto dire. Consiglio pure questa breve lettura sulle ultime tendenze della politica israeliana.

Risposto da Carlo De Luca su 20 Luglio 2014 a 20:30 giorgio varaldo ha detto: carlo in uno scenario tradizionale composto da due parti in causa è difficile capire quali sono le cause e quali sono gli effetti Giorgio, Israele occupa militarmente la Palestina dal 1967. E' una potenza occupante. I palestinesi sono gli abitanti occupati; sono soggetti ad occupazione militare da 45 anni. Questi sono dati di fatto. Si può pensare che un popolo debba in realtà essere lieto di trovarsi sotto occupazione militare e di dipendere da un altro paese per qualsiasi cosa - dall'andare all'estero al frequentare l'università; oppure si può pensare che tale occupazione sia alla fin fine qualcosa di lieve o irrilevante; una bazzecola. Certo se si pensa così i palestinesi diventano un popolo stranissimo, che si comporta irrazionalmente e fa delle cose inspiegabili. Me ne rendo conto. figuriamoci in un contesto come quello israelo-palestinese nel quale le due parti in causa sono tutt'altro che monolitiche con obiettivi diversi. nella sequenza temporale da te presentata direi che il processo di pace iniziato nel 1993 con gli accordi di oslo è definitivamente tramontato dopo il fallimento dei colloqui di camp david del 2000 e con lo scoppio della seconda intifada.

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In quei sette anni anni il responsabile israeliano degli accordi di Oslo è stato ammazzato e la presenza civile israeliana nei territori occupati è raddoppiata. Anche qua, se si pensa che tutto ciò non abbia avuto alcuna rilevanza per i palestinesi il loro comportamento appare effettivamente inspiegabile. nel corso di quegli anni di cose che hanno portato a questo fallimento ve ne sono state non poche ad iniziare dall'uccisione di itzsaak rabin proseguendo con i continui attacchi contro israele provenienti dal libano da parte di hezbollah sino alla sconfitta elettorale del 1996 subita da shimon peres e la vittoria della destra israeliana guidata da netanyau con l'immediata ripresa della costruzione di nuovi insediamenti israeliani nel west bank e rimasti sostanzialmente fermi sino ad allora. quindi un quadro ben diverso da quello da te sostenuto di palestinesi entusiasti per le trattative in base ai fatti hezbollah era di tuttaltro parere. Gli hezbollah non sono palestinesi ma sciiti libanesi. Sono uno dei numerosi soggetti esterni alla questione palestinese che hanno cincischiato nella zona per motivi loro. Se gli hezbollah non esistessero, Israele colonizzerebbe lo stesso. Se per ipotesi di fantasia Israele acconsentisse alla nascita di uno stato palestinese, gli hezbollah resterebbero in guerra con Israele. in questo quadro una parte fondamentale è stata l'incapacità di yasser arafat a controllare tutte le frazioni palestinesi e la sua politica indecisa ma d'altronde arafat oltre a non avere la capacità di un saddat aveva più a cuore gli interessi personali a quelli del suo popolo. Concordo in buona parte; la corruzione della sua leadership è stata un notevole handicap per i palestinesi. Nota però che Arafat ha cominciato a perdere credito quando si è cominciato a capire che gli accordi di Oslo costituivano per Israele il punto di arrivo della negoziazione con i palestinesi anziché il punto di partenza per la creazione di uno Stato palestinese. Quando Arafat cominciò veramente a perdere il controllo della resistenza cercò di cavalcare, goffamente ma sanguinosamente, la tigre della protesta. Cercò in pratica di nascondere la corruzione interna e l'impotenza esterna con l'uso della violenza, anche per non essere scavalcato da Hamas. Ma non è questo il punto; il problema grosso ed irrisolvibile secondo me è che nè la seconda intifada nè qualsiasi cosa che è successa in questi anni ha avuto il benché minimo impatto sulla colonizzazione dei territori occupati. I coloni erano 100.000 nel 1993; sono oggi oltre 500.000. Se nel 1991 i coloni costituivano enclaves nei territori occupati, oggi in molte zone sono i villaggi palestinesi a costituire delle enclave circondate da barriere e insediamenti israeliani. Riflettendo su questa semplice considerazione si vedrà che la seconda intifada non è stata la causa di nulla se non di un indurimento della politica israeliana verso i palestinesi; se l'occupato è così stupido da non capire i vantaggi della subordinazione, l'occupante sarà costretto ad essere verso di lui più duro di quanto non avrebbe voluto. oggi è difficile trovar una soluzione e l'elevato numero di morti da parte delle'esercito israeliano credo porterà a breve ad una maggior libertà di azione sul campo quindi c'è da attendersi un vertiginoso aumento delle vittime palestinesi e l'innesco di una spirale di violenza da parte di un israele che si sentirà sempre più assediato che fermerà i soldati solo quando avrà annullata la capacità operativa di HAMAS Auguriamoci di no perché dietro di Hamas e pronti a sostituirla ci sono i salafiti (che controllano già buona parte del Sinai). Le dinamiche sociali e demografiche di Gaza - centinaia di migliaia di giovani maschi disoccupati - garantiscono riserve di militanti in quantità a prescindere dalle capacità militari di Israele. Lo Shin Bet è molto in gamba nell'individuare e colpire chirurgicamente i vertici nemici ma nel medio lungo periodo l'unica cosa che otterrà è una radicalizzazione della popolazione di Gaza.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 20 Luglio 2014 a 20:43 Crederei alla buona fede di Israele solo se accettasse una forza di interdizione dell'ONU che assicurasse la costituzione dello stato della Palestina e la sicurezza dei confini; ma sicuramente gli ultra ortodossi, nelle cui mani è ormai il governo, non accetteranno mai di liberare i territori già occupati, ...anzi.

Risposto da giorgio varaldo su 20 Luglio 2014 a 21:25 Carlo De Luca ha detto: In quei sette anni anni il responsabile israeliano degli accordi di Oslo è stato ammazzato e la presenza civile israeliana nei territori occupati è raddoppiata. Anche qua, se si pensa che tutto ciò non abbia avuto alcuna rilevanza per i palestinesi il loro comportamento appare effettivamente inspiegabile.

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dal 1990 al 1996 almeno sino a che ha governato shimon peres a parte gerusalemme non c'è stato un aumento significativo degli insediamenti che sono ripresi con il governo netanyau. Cosa sarebbe successo se in quel periodo arafat avesse dato la disponibilità a firmare l'a pace come previsto dagli accordi di oslo nessuno lo puà sapere. Il dato di fatto è che non solo non ha firmato nulla ma in spregio agli accordi si è sempre rifiutato di riconoscere ad israele il diritto di esistenza Auguriamoci di no perché dietro di Hamas e pronti a sostituirla ci sono i salafiti (che controllano già buona parte del Sinai). Le dinamiche sociali e demografiche di Gaza - centinaia di migliaia di giovani maschi disoccupati - garantiscono riserve di militanti in quantità a prescindere dalle capacità militari di Israele. Lo Shin Bet è molto in gamba nell'individuare e colpire chirurgicamente i vertici nemici ma nel medio lungo periodo l'unica cosa che otterrà è una radicalizzazione della popolazione di Gaza. basterebbe che arabia saudita, iran ed emirati arabi cessino di aiutare finanziariamente HAMAS che la pace sarebbe a portata di mano, Riguardo al futuro dei giovani palestinesi ho più volte ricordato che l'inserimento palestinese nelle strutture economiche arabe è in corso da decenni quindi in tal senso i problemi non sono insormontabili. Gli hezbollah non sono palestinesi ma sciiti libanesi. Sono uno dei numerosi soggetti esterni alla questione palestinese che hanno cincischiato nella zona per motivi loro. Se gli hezbollah non esistessero, Israele colonizzerebbe lo stesso. Se per ipotesi di fantasia Israele acconsentisse alla nascita di uno stato palestinese, gli hezbollah resterebbero in guerra con Israele. che non siano palestinesi lo si sa bene come non sono palestinesi gli iraniani i sauditi e gli emirati che continuano a finanziarli e concordo con te che anche in presenza di pace continuerebbero a far guerra ad israele. Con egitto e con giordania israele ha fatto la pace e fra questi paesi c'è fiducia (pagata anche con la vita di anwar el saddat). Ma chi israeliano si fiderebbe di un trattato di pace firmato da un leader palestinese che non accetta il diritto di esistenza del proprio paese?

Risposto da Carlo De Luca su 20 Luglio 2014 a 21:47 Fabio Colasanti ha detto: Carlo, sono d'accordo con la tua analisi. La maggioranza della popolazione israeliana persegue obiettivi che non sono accettabili per la comunità internazionale (ancora di meno per la stragrande maggioranza dei palestinesi). C'è però da aggiungere un altro elemento. La realtà da entrambi i lati è quella che è. Nessono sarà mai in grado di firmare un accordo e di garantire che questo sia accettato e rispettato da "tutti" quelli della sua parte. Quindi il problema della sicurezza rimarrà anche nel caso - molto improbabile - di un accordo di pace reso possibile dal prevalere di persone intelligenti da entrambi i lati. Questo è un fatto oggettivo, ma al tempo stesso alcuni elementi di un accordo che non potranno essere "tecnicamente" raggiunti e complica il raggiungimento stesso di un accordo. Vero, ma non è un problema insormontabile se ci fosse l'effettiva volontà di arrivare ad un accordo. Israele è una democrazia pertanto se la maggioranza della Knesset votasse a favore la minoranza dovrebbe accettarlo o agire illegalmente. Anche gli accordi di pace con l'Egitto furono osteggiati da una forte componente del Likud e Begin dovette usare tutta la sua influenza per ottenere una risicata maggioranza. I fatti successivi gli diedero ampiamente ragione (perché pace e sicurezza non sono alternative, anzi!). Con i palestinesi è peggio perché fin quando non avranno uno stato il loro processo decisionale sarà inevitabilmente più debole e frazionato. Ma credo di poter dire che se Hamas e l'ANP fossero d'accordo su un'ipotesi di massima (riconoscimento d'Israele e democrazia parlamentare) sarebbero ampiamente in grado di imporre le loro decisioni agli altri soggetti politici (essenzialmente i salafiti). Per esempio, credo che sia molto improbabile che anche la parte più progressista della società israeliana accetti mai di restituire la parte orientale di Gerusalemme. Ma anche si potesse convincerli, questo significherebbe prendere misure di sicurezza eccezionali che equivarrebbero quasi a dividere la città con un nuovo muro. D'accordo anche qua. Ma sarebbe perfettamente pensabile - sempre nell'ipotesi che si voglia raggiungere un accordo - realizzare in quell'area uno status speciale che fatta salva la sovranità formale di Israele riconosca diritti speciali a musulmani e palestinesi. Ancora peggio è per il problema del ritorno dei discendenti dei palestinesi. Non è immagginabile che Israele possa mai accettarlo per quello che significherebbe a livello locale e per i problemi di sicurezza che porrebbe. Ma senza la prospettiva di un ritorno in Israele, che senso ha l'esistenza stessa di Gaza ?

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Il diritto al ritorno non può essere concesso; ne sono consapevole. Ma Israele potrebbe - e anche qui perdona se metto la chiosa, sempre che si voglia raggiungere un accordo - compensare i discendenti dei profughi in altro modo. Per esempio Israele potrebbe mettere a disposizione dei palestinesi tutte le abitazioni che ha realizzato in questi decenni per i coloni; parliamo di 500.000 persone abbondanti. Nell'ipotesi che si formi uno stato nazionale gli abitanti di Gaza potrebbero finalmente spostarsi in libertà nella Cisgiordania, non più soggetti a restrizioni come ora. Questi discorsi appaiono purtroppo fantapolitici perché manca totalmente la volontà. Se oggi Nethanyahu impazzisse e decidesse di accordarsi con l'ANP per un accordo di pace che preveda unicamente la restituzione dei Territori Occupati (mantenendo Gerusalemme est, non concedendo il diritto al ritorno, etc. etc.), il suo governo non durerebbe un giorno. Il doppio influsso sulla politica israeliana degli immigrati russi e degli ultraortodossi è stato devastante; questa è una differenza di grado rispetto al passato pre-Oslo (e pre-crollo dell'URSS) che in Occidente siamo stati lenti a valutare ma ha portato Israele su linee ipernazionaliste. Possiamo stare a parlare per anni delle condizioni per un accordo di pace equo. Ma finché chi ha il potere di restituire i Territori non accetterà di farlo, ogni negoziato sarà morto in partenza. Penso sia pacifico che uno Stato ha bisogno di un territorio su cui esercitare la propria sovranità; beh, l'ininterrotta colonizzazione dei Territori prova più di mille discorsi le intenzioni israeliane riguardo al cosidetto Stato palestinese.

Risposto da Fabio Colasanti su 20 Luglio 2014 a 22:34 Carlo, all'inizio sembri non essere d'accordo, ma alla fine confermi quello che anche io sostengo. Non vedo alcuna possibilità di avere una maggioranza nel parlamento israeliano (e nel paese) a favore di un accordo. Credo che la maggioranza degli israeliani si sia convinta da vari anni che un accordo di pace con Hamas o con qualunque altro rappresentante palestinese non sarà mai possibile e che tanto vale andare per il massimo: Giudea e Samaria, almeno tutti gli insediamenti attuali o qualcosa di simile. E il problema con Hamas sarà gestito in maniera militare. L'unica speranza è che le immagini che vengono in questi giorni da Gaza possano provocare uno shock che faccia cambiare direzione. Ma ci credo poco. Le perdite militari israeliane potrebbero anche aiutare (mi scuso per il pensiero orribile che perdite di vite umane possano servire a qualcosa). Finora i 750mila Haredim, la frangia più estremista, sono esentati dal servizio militare. Voglio vedere quanto può durare la cosa e se non ci sarà una salutare reazione della maggioranza contro gli estremisti religiosi ed il peso che rappresentano per la maggioranza della popolazione. La speranza è l'unica cosa che ci resta. Carlo De Luca ha detto: Fabio Colasanti ha detto: Carlo, sono d'accordo con la tua analisi. La maggioranza della popolazione israeliana persegue obiettivi che non sono accettabili per la comunità internazionale (ancora di meno per la stragrande maggioranza dei palestinesi). C'è però da aggiungere un altro elemento. La realtà da entrambi i lati è quella che è. Nessono sarà mai in grado di firmare un accordo e di garantire che questo sia accettato e rispettato da "tutti" quelli della sua parte. Quindi il problema della sicurezza rimarrà anche nel caso - molto improbabile - di un accordo di pace reso possibile dal prevalere di persone intelligenti da entrambi i lati. Questo è un fatto oggettivo, ma al tempo stesso alcuni elementi di un accordo che non potranno essere "tecnicamente" raggiunti e complica il raggiungimento stesso di un accordo. Vero, ma non è un problema insormontabile se ci fosse l'effettiva volontà di arrivare ad un accordo. Israele è una democrazia pertanto se la maggioranza della Knesset votasse a favore la minoranza dovrebbe accettarlo o agire illegalmente. Anche gli accordi di pace con l'Egitto furono osteggiati da una forte componente del Likud e Begin dovette usare tutta la sua influenza per ottenere una risicata maggioranza. I fatti successivi gli diedero ampiamente ragione (perché pace e sicurezza non sono alternative, anzi!). Con i palestinesi è peggio perché fin quando non avranno uno stato il loro processo decisionale sarà inevitabilmente più debole e frazionato. Ma credo di poter dire che se Hamas e l'ANP fossero d'accordo su un'ipotesi di massima (riconoscimento d'Israele e democrazia parlamentare) sarebbero ampiamente in grado di imporre le loro decisioni agli altri soggetti politici (essenzialmente i salafiti).

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Per esempio, credo che sia molto improbabile che anche la parte più progressista della società israeliana accetti mai di restituire la parte orientale di Gerusalemme. Ma anche si potesse convincerli, questo significherebbe prendere misure di sicurezza eccezionali che equivarrebbero quasi a dividere la città con un nuovo muro. D'accordo anche qua. Ma sarebbe perfettamente pensabile - sempre nell'ipotesi che si voglia raggiungere un accordo - realizzare in quell'area uno status speciale che fatta salva la sovranità formale di Israele riconosca diritti speciali a musulmani e palestinesi. Ancora peggio è per il problema del ritorno dei discendenti dei palestinesi. Non è immagginabile che Israele possa mai accettarlo per quello che significherebbe a livello locale e per i problemi di sicurezza che porrebbe. Ma senza la prospettiva di un ritorno in Israele, che senso ha l'esistenza stessa di Gaza ? Il diritto al ritorno non può essere concesso; ne sono consapevole. Ma Israele potrebbe - e anche qui perdona se metto la chiosa, sempre che si voglia raggiungere un accordo - compensare i discendenti dei profughi in altro modo. Per esempio Israele potrebbe mettere a disposizione dei palestinesi tutte le abitazioni che ha realizzato in questi decenni per i coloni; parliamo di 500.000 persone abbondanti. Nell'ipotesi che si formi uno stato nazionale gli abitanti di Gaza potrebbero finalmente spostarsi in libertà nella Cisgiordania, non più soggetti a restrizioni come ora. Questi discorsi appaiono purtroppo fantapolitici perché manca totalmente la volontà. Se oggi Nethanyahu impazzisse e decidesse di accordarsi con l'ANP per un accordo di pace che preveda unicamente la restituzione dei Territori Occupati (mantenendo Gerusalemme est, non concedendo il diritto al ritorno, etc. etc.), il suo governo non durerebbe un giorno. Il doppio influsso sulla politica israeliana degli immigrati russi e degli ultraortodossi è stato devastante; questa è una differenza di grado rispetto al passato pre-Oslo (e pre-crollo dell'URSS) che in Occidente siamo stati lenti a valutare ma ha portato Israele su linee ipernazionaliste. Possiamo stare a parlare per anni delle condizioni per un accordo di pace equo. Ma finché chi ha il potere di restituire i Territori non accetterà di farlo, ogni negoziato sarà morto in partenza. Penso sia pacifico che uno Stato ha bisogno di un territorio su cui esercitare la propria sovranità; beh, l'ininterrotta colonizzazione dei Territori prova più di mille discorsi le intenzioni israeliane riguardo al cosidetto Stato palestinese.

Risposto da Carlo De Luca su 20 Luglio 2014 a 22:50 giorgio varaldo ha detto: dal 1990 al 1996 almeno sino a che ha governato shimon peres a parte gerusalemme non c'è stato un aumento significativo degli insediamenti che sono ripresi con il governo netanyau.

Mi pare un'espansione abbastanza formidabile. Ricordiamo che avviene in territori occupati militarmente (ove cioè sarebbe illegale ai termini del diritto internazionale) e che è proseguita senza posa anche dopo la firma di un accordo in cui si riconosceva il diritto all'esistenza di uno stato palestinese proprio su quelle terre. Cosa sarebbe successo se in quel periodo arafat avesse dato la disponibilità a firmare l'a pace come previsto dagli accordi di oslo nessuno lo puà sapere. Il dato di fatto è che non solo non ha firmato nulla ma in spregio agli accordi si è sempre rifiutato di riconoscere ad israele il diritto di esistenza giorgio, a me risulta che l'OLP / ANP abbia ampiamente riconosciuto il diritto di Israele all'esistenza. Gli accordi di Oslo, che cominciano proprio con questo riconoscimento formale ("The Government of the State of Israel and the PLO team [...], representing the Palestinian people [...] recognise their mutual legitimate and political rights", non sarebbero stati altrimenti possibili. basterebbe che arabia saudita, iran ed emirati arabi cessino di aiutare finanziariamente HAMAS che la pace sarebbe a portata di mano, Ma io sono d'accordo che la pace è senz'altro a portata di

mano, è sufficiente che i palestinesi smettano di dar fastidio e nessuno li bombarderebbe. Abbiamo fatto lo stesso

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discorso qualche giorno fa ed io ti dissi che anche nel Protettorato di Boemia e Moravia tra 1939 e 1945 ci fu la pace. chi attentò ad Heidrych era un terrorista? Più in generale quando una potenza occupa un territorio ed il popolo che lo abita, cos'è e dov'è la pace? Riguardo al futuro dei giovani palestinesi ho più volte ricordato che l'inserimento palestinese nelle strutture economiche arabe è in corso da decenni quindi in tal senso i problemi non sono insormontabili. Secondo me tu mescoli un'ipotesi individuale sempre possibile con una collettiva inapplicabile. Chi ha la possibilità e la volontà di rifarsi una vita altrove, lo ha fatto o lo farà. Resta chi non ha la possibilità o la volontà. Scappano invece le elites, come scapparono nel 1948 lasciando i contadini nei villaggi ad aspettare l'Haganah. che poi, voglio dire, andarsene all'estero equivale a rinunciare alla speranza di poter avere una patria. Ma io non giudico chi lo fa; ognuno è padrone ed arbitro delle sue scelte. Allo stesso modo però non mi sento di giudicare negativamente chi resta, specialmente se non conosco le sue condizioni ed effettive possibilità di fuga. che non siano palestinesi lo si sa bene come non sono palestinesi gli iraniani i sauditi e gli emirati che continuano a finanziarli e concordo con te che anche in presenza di pace continuerebbero a far guerra ad israele. Con egitto e con giordania israele ha fatto la pace e fra questi paesi c'è fiducia (pagata anche con la vita di anwar el saddat). Ma chi israeliano si fiderebbe di un trattato di pace firmato da un leader palestinese che non accetta il diritto di esistenza del proprio paese? Un trattato di pace per sua natura obbliga a riconoscere il diritto di esistenza dell'ex nemico. Quindi ci sarebbe semmai da auspicare un tale trattato. :) Giorgio, faccio notare che le preoccupazioni che esprimi erano le stesse identiche espresse dai falchi del Likud a fine anni '70 quando Begin avviò le trattative con Sadat. L'abbandono del Sinai veniva visto come un suicidio, degli arabi non ci si poteva fidare, volevano tutti la distruzione d'Israele, etc. etc. Tu mi dirai che Sadat era una figura particolare; ma a parte che questo lo si è visto dopo, anche Hussein di Giordania era una figura particolare; lo è anche suo figlio; lo era Hafez Assad. Il mondo arabo ha espresso una grande quantità di figure capaci negli anni ed i loro popoli non mi sono sembrati infidi o levantini. Per i palestinesi è immensamente più difficile esprimere una leadesrhip di livello analogo. Prima di tutto perché non sono uno Stato e sono - anche sul piano materiale - isolati e frammentati. Poi perché Israele non ha alcun interesse a creare una classe politica autorevole, al contrario gli conviene che la leadership palestinese sia il più possibile frammentata e ci mette del suo per rendere la speranza realtà*. Nè aiuta quella che tu vedi come una soluzione, la fuga. Perché se l'elite intellettuale e manageriale del paese scappa via, giocoforza a cercare di formare uno Stato restano gli altri. Mi sembrano tutte considerazioni abbastanza evidenti, non credo di dire cose eccezionali. Ma sono - penso sai anche te - scuse. I partiti nazionalisti e gli ultraortodossi vogliono la Giudea e la Samaria a prescindere da qualsiasi figura appaia nella scena politica palestinese. Pure questa a me pare un'ovvietà. A studiarla un pochino, la questione palestinese rivela un'impressionante serie di ovvietà del genere. * nota la contraddizione tra chi si lamenta di non poter fare la pace con una controparte frammentata e poi lavora come può per frammentare la controparte.

Risposto da giorgio varaldo su 20 Luglio 2014 a 23:24 carlo ammettiamo che tu abbia ragione su tutti i punti : cambia qualcosa? e la risposta la conosciamo benissimo ; sino a che israele ha l'appoggio USA l'unica opzione realistica è no HAMAS punta allo sdegno dell'opinione pubblica mondiale ed ad aumentare le perdite israeliane. sappiamo benissimo che per azzerare queste perdite basterebbe re le regole di ingaggio delle FFAA israeliane diminuendo le precauzioni di causar vittime civili fra i palestinesi oppure per distruggere i tunnel usare bombe ad alta penetrazione tipo DURANDAL accettando aumenti di perdite fra i civili. mi pare che si sia tutti concordi riguardo alla mancanza di soluzioni ne immediate ne ragionevolmente realizzabili nel prossimo futuro e sulla impotenza delle organizzazioni internazionali. forse la soluzione è economica , un west bank pacificato con la tecnologia israeliana e la manodopera palestinese potrebbe divenire una interessante realtà economica con enormi possibilità di impiego. ma rimane sempre la domanda; a quanti paesi arabi conviene la continuazione dell'attuale situazione?

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Risposto da giorgio varaldo su 21 Luglio 2014 a 8:27 ascoltare su rai 3 corradino mineo accusare israele di strangolare gaza con il blocco dei confini ed ignorando il contemporaneo blocco egiziano la dice lunga sulla competenza e/o sulla parzialità di questo illustre figuro. ora sino a che ciancia di gaza non è che di danni ne possa far molti peggio è quando parla - con la stessa competenza? - di riforme...e peggio ancora è che trovi chi lo sostiene.

Risposto da Carlo De Luca su 21 Luglio 2014 a 20:28 giorgio varaldo ha detto: carlo ammettiamo che tu abbia ragione su tutti i punti : cambia qualcosa? Beh non è che si vinca o perda qualcosa. Io mi limito ad analizzare la situazione, cercando di farlo nel modo più oggettivo possibile; non ho il potere di cambiare nulla. I soggetti cheforse hanno - dall'esterno - il potere di fare qualcosa non hanno il minimo interesse o volontà ad operare in tal senso. Anche di questo posso solo prendere atto. HAMAS punta allo sdegno dell'opinione pubblica mondiale ed ad aumentare le perdite israeliane. sappiamo benissimo che per azzerare queste perdite basterebbe re le regole di ingaggio delle FFAA israeliane diminuendo le precauzioni di causar vittime civili fra i palestinesi oppure per distruggere i tunnel usare bombe ad alta penetrazione tipo DURANDAL accettando aumenti di perdite fra i civili. Hamas ha due obiettivi: mantenere il suo standing tra i palestinesi (essenzialmente di Gaza, ma non solo) e infastidire il più possibile Israele. I razzi sono un misero sostituto ai kamikaze, ma si fa quel che si può. E tu sai come so io che qualsiasi escalation israeliana per quanto possa essere efficace nel neutralizzare militarmente Hamas aumenterebbe le perdite tra i civili e quindi la rafforzerebbe sul piano politico (interno ed internazionale). E' una guerra asimmetrica in cui i civili, da entrambi i lati anche se in modo diverso, costituiscono pezzi del gioco. forse la soluzione è economica , un west bank pacificato con la tecnologia israeliana e la manodopera palestinese potrebbe divenire una interessante realtà economica con enormi possibilità di impiego. Per far questo sarebbe necessario o che i palestinesi accettino di trasformarsi in manodopera priva di cittadinanza e diritto di voto... in pratica emigrati a casa propria; o che Israele accetti di ritirarsi dai territori e conceda finalmente la sovranità ai palestinesi. Ambedue le ipotesi mi appaiono inverosimili. ma rimane sempre la domanda; a quanti paesi arabi conviene la continuazione dell'attuale situazione? I paesi arabi sono uno dei numerosi attori esterni al conflitto; soggetti che cercano di fare i propri interessi. In tutta l'area la reale influenza degli sponsor - nel momento in cui gli interessi degli sponsorizzati andavano in altro senso - è sempre stata molto bassa. Quando l'Egitto decise che era il caso di fare la pace i russi (ai quali non conveniva affatto) dovettero fare fagotto in tutta fretta. Così accadrebbe per l'Arabia Saudita - faccio un esempio - nella fantascientifica ipotesi che Hamas ed Israele si accordassero.

Risposto da Carlo De Luca su 21 Luglio 2014 a 20:30 Fabio Colasanti ha detto: Carlo, all'inizio sembri non essere d'accordo, ma alla fine confermi quello che anche io sostengo. [...] Sostanzialmente siamo d'accordo. Sicuramente condividiamo l'idea che non ci siano le basi per un accordo. Mi pare anche che siamo ugualmente critici sull'atteggiamento israeliano e che l'unica differenza rilevante tra le nostre opinioni riguardi (forse) le responsabilità palestinesi, per me irrisorie rispetto a quelle israeliane.

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Risposto da Giampaolo Carboniero su 21 Luglio 2014 a 21:55 Mi scrive una mia amica che lavora per una ONG in Palestina:

Camilla Corradin

10:52 (11 ore fa)

a fabiano, zita, Virgilio, sylva, me, Domenico, Davide

Pensando agli amici, ai colleghi, e un po' a tutte le persone intrappolate a Gaza, traumatizzate da quello che sta succedendo, e a cui non resta che resistere, restare svegli, tremare ad ogni esplosione, sperare che la prossima casa colpita non sia la loro. A cui non resta che andarsene correndo dalle loro case per cercare rifugio, come 100,000 persone hanno già fatto. Ma scappare dove, nella gabbia che é Gaza, dove niente é ormai sicuro, dove non ci sono vie di uscita? A cui non resta che dire al fratellino di 9 anni, come la mia amica e collega Ayah, che quello sulla foto é il sangue di una capra sgozzata, e invece é quello dei corpi martoriati di bambini che si accumulano negli ospitali di Gaza. Letteralmente: 83 bambini uccisi dall'inizio dell'attacco israeliano su Gaza. Buona lettura. Una email da un eroe norvegese, Mads Gilbert, un dottore che continua il suo lavoro a Gaza. Traduzione a cura di ISM-Italia Carissimi amici, La scorsa notte è stata terribile. La "grande invasione" di Gaza ha avuto il risultato di veicoli carichi di mutilati, di persone fatte a pezzi, sanguinanti, morenti – di palestinesi feriti, di tutte le età, tutti civili, tutti innocenti. Gli eroi nelle ambulanze di tutti gli ospedali di Gaza lavorano a turni di 12-24 ore, grigi dalla fatica e dai carichi di lavoro disumani (tutti senza salario all'ospedale Shifa negli ultimi 4 mesi), si prendono cura delle priorità, tentano di capire il caos incomprensibile dei corpi, degli arti, delle persone umane che camminano o che non camminano, che respirano o che non respirano, che sanguinano che non sanguinano. UMANI! Ora, ancora una volta, trattati come animali "dall'esercito più morale del mondo" (sic!). Il mio rispetto per i feriti è illimitato, per la loro determinazione contenuta in mezzo al dolore, all'agonia e allo shock; la mia ammirazione per lo staff e per i volontari è illimitata, la mia vicinanza al "sumud" palestinese mi da forza, anche se ogni tanto desidero solo urlare, tenere qualcuno stretto, piangere, sentire l'odore della pelle e dei capelli del bambino caldo, coperto di sangue, proteggere noi stessi in un abbraccio senza fine – ma noi non possiamo permettercelo, né lo possono loro. Facce grige e cineree - Oh NO! Non un altro carico di decine di mutilati e di persone sanguinanti, noi abbiamo ancora laghi di sangue sul pavimento nel reparto di emergenzaq (ER), pile di bende gocciolanti, che grondano sangue da pulire - oh – gli addetti alle pulizie, ovunque, allontanano velocemente il sangue e i tessuti scartati, capellli, vestiti, cannule – i resti della morte – tutto portato via... per essere preparato di nuovo, per essere tutto ripetuto di nuovo. Più di 100 casi sono arrivati a Shifa nelle ultime 24 ore. Troppi per un grande ospedale ben attrezzato con ogni cosa, ma qui – quasi nulla: elettricità, acqua, dispositivi, medicine, OR-tables, strumenti, monitors – tutti arruginiti come se fossero stati presi da un museo degli ospedali del passato. Ma questi eroi non si lamentano. Tirano avanti in questa situazione, come guerrieri, testa in su, enormemente risoluti. E mentre vi scrivo queste parole, da solo, in un letto, sono pieno di lacrime, le lacrime calde ma inutili di dolore e di angoscia, di collera e di paura. Questo non deve accadere!

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E poi, proprio ora, l'orchestra della macchina da guerra israeliana inizia di nuovo la sua orrenda sinfonia, proprio ora: salve di artiglieria dalle navi contro le spiagge, i ruggenti F16, i droni ripugnanti (in arabo 'Zennanis', quelli che ronzano), e gli Apaches. Tutto fatto e pagato dagli USA. Signor Obama – ha un cuore? La invito – passi una sola notte – solo una notte – con noi a Shifa. Travestito come un addetto alle pulizie. Sono convinto, al 100%, che la storia cambierebbe. Nessuno con un cuore E con il potere potrebbe mai andare via, passata una notte a Shifa, senza essere deciso a porre fine alla carneficina del popolo palestinese. I fiumi di sangue continueranno a scorrere la notte prossima. Ho sentito che hanno accordato i loro strumenti di morte. Per favore. Fate quello che potete. Questo, QUESTO non può continuare. Mads Gaza, Occupied Palestine Mads Gilbert MD PhD Professor and Clinical Head Clinic of Emergency Medicine University Hospital of North Norway N-9038 Tromsø, Norway Mobile: +4790878740

Risposto da Salvatore Venuleo su 21 Luglio 2014 a 23:26 Siamo tutti al sicuro nel calduccio delle nostre convinzioni. Qualcuno (non molti) antisemita. Molti sottilmente o platealmente razzisti. I palestinesi appaiono rozzi col pianto disperato delle madri (come nel nostro barbaro Sud) opposti al dolore composto degli israeliani (come nelle nostre famiglie più evolute). I palestinesi sono troppo abbronzati. I palestinesi sono troppo sconfitti. E' più facile amare i vincitori. Che difficilmente cavano gli occhi o amputano un cadavere. Sparano missili e bombe, ma non fissano crudelmente il viso di chi sta per morire. E poi la colpa è di Hamas che si serve di scudi umani. Anch'io mi sono quasi convinto. Se i partigiani (mutatis mutandis) non avessero operato l'attentato di via Rasella o se si fossero dopo consegnati non ci sarebbero state le fosse Ardeatine. Se il delinquente non si facesse scudo del corpo di mia figlia, io non sarei costretto a uccidere lei per uccidere lui. Ma che dico? I bambini scudi umani (veri o presunti) non sono figli dei piloti degli aerei che sganciano missili.

Risposto da Fabio Colasanti su 22 Luglio 2014 a 9:35 Sandra, si può benissimo criticare le politiche dello stato di Israele senza per questo essere accusati di antisemitismo. Non credo il rischio esista per ogni persona con un minimo di raziocinio. Molti intellettuali israeliani criticano apertamente le politiche del governo Netanyahu. Gad Lerner lo fa in continuazione. Purtroppo vediamo molta gente - per esempio negli ultimi giorni in Francia dove sono stati saccheggiati negozi di proprietà di ebrei - che mostra di essere semplicemente razzista. Uno dei negozi saccheggiati nei giorni scorsi era stato già saccheggiato qualche anno fa ai tempi delle campagne contro le vignette su Maometto. Sandra Del Fabro ha detto: Insopportabile questa shoah senza fine...Come se la storia continuasse a avvitarsi su se stessa. Come se tolleranza, convivenza tra popoli, parole conquistate col sangue nell'ultima guerra mondiale lo fossetro a vuoto.. Non giustifico certo chi ha introiettato un odio distruttivo verso lo Stato d'Israele ma sono abituata alla logica delle cause storiche, alle analisi non superficiali dalle quali è facile capire l'enorme pugno di ferro di uno Stato confessionale sulla gabbia di Gaza. Come dice giustamente Salvatore, la popolazionenon è l'organizzazione di Hamas ne è la vittima.

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Bisogna saper prendere le distanze dagli atti del governo israeliano superando una volta per tutte la paura di essere considerati antisemiti. Israele è una grande potenza, i popoli arabi della regione sono lasciati alla mercè della povertà , usati come scudi umani, votati alla morte dai loro capi e dai potentati e califfati arabi vari. Sappiamo che è così. Dobbiamo dire le cose come stanno Bisogna che la politica si ispiri a verità, giustizia e coraggio

Risposto da Fabio Colasanti su 22 Luglio 2014 a 9:44 Una considerazione triste. Oggi l'attualità è dominata da Gaza e dalla situazione in Ucraina. Ma la guerra civile in Siria continua e si è estesa all'Iraq. Due giorni fa, la televisione belga ha trasmesso una parte - per il resto si sono rifiutati - delle immagini diffuse dall'ISIS nelle quali mostravano la fucilazione a sangue freddo di 270 persone dopo la conquista di un'altra località. Il numero dei morti in Siria ha raggiunto le centinaia di migliaia. Non pensiamo più alla guerra in Siria perché non sappiamo che pesci pigliare. Hassad è un tiranno sanguinario, ma i ribelli islamici sono molto peggiori di lui. Con Hassad le minoranze religiose potevano sopravvivere a condizione di non minacciare direttamente il suo controllo sul paese. Con gli islamisti sunniti questo non è più possibile. Siamo ridotti a sperare che Hassad riconquisti una buona parte del paese, ma la cosa sembra difficile.

Risposto da giorgio varaldo su 22 Luglio 2014 a 12:04 Non riesco a capire per quale motivo si accusi solo israele di esercitare il blocco a gaza e si continui ad ignorare il blocco effettuato dall'egitto. Questo atteggiamento di imparzialita' come puo' esser definito? Ignoranza o antisemitismo?

Risposto da Roberto Zanre' su 22 Luglio 2014 a 12:17 Tristissimo... e preoccupante... (quali ne saranno le cause?) Fabio Colasanti ha detto: Una considerazione triste. Oggi l'attualità è dominata da Gaza e dalla situazione in Ucraina. Ma la guerra civile in Siria continua e si è estesa all'Iraq. Due giorni fa, la televisione belga ha trasmesso una parte - per il resto si sono rifiutati - delle immagini diffuse dall'ISIS nelle quali mostravano la fucilazione a sangue freddo di 270 persone dopo la conquista di un'altra località. Il numero dei morti in Siria ha raggiunto le centinaia di migliaia. Non pensiamo più alla guerra in Siria perché non sappiamo che pesci pigliare. Hassad è un tiranno sanguinario, ma i ribelli islamici sono molto peggiori di lui. Con Hassad le minoranze religiose potevano sopravvivere a condizione di non minacciare direttamente il suo controllo sul paese. Con gli islamisti sunniti questo non è più possibile. Siamo ridotti a sperare che Hassad riconquisti una buona parte del paese, ma la cosa sembra difficile.

Risposto da Roberto Zanre' su 22 Luglio 2014 a 12:26 Sono d'accordo... ... comunque sembra che il mondo attuale ci restituisca l'atrofizzazione della comprensione delle ragioni altrui. Davanti a questo esercizio della forza, impressionante per la disparità tra chi attacca e chi non può difendersi, qualunque persona che si dichiari occidentale, democratica, per i diritti delle persone, non può che dissociarsi e condannare. L'alternativa è un prezzo molto alto: la perdita di qualsiasi credibilità.

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Sandra Del Fabro ha detto: Insopportabile questa shoah senza fine...Come se la storia continuasse a avvitarsi su se stessa. Come se tolleranza, convivenza tra popoli, parole conquistate col sangue nell'ultima guerra mondiale lo fossetro a vuoto.. Non giustifico certo chi ha introiettato un odio distruttivo verso lo Stato d'Israele ma sono abituata alla logica delle cause storiche, alle analisi non superficiali dalle quali è facile capire l'enorme pugno di ferro di uno Stato confessionale sulla gabbia di Gaza. Come dice giustamente Salvatore, la popolazionenon è l'organizzazione di Hamas ne è la vittima. Bisogna saper prendere le distanze dagli atti del governo israeliano superando una volta per tutte la paura di essere considerati antisemiti. Israele è una grande potenza, i popoli arabi della regione sono lasciati alla mercè della povertà , usati come scudi umani, votati alla morte dai loro capi e dai potentati e califfati arabi vari. Sappiamo che è così. Dobbiamo dire le cose come stanno Bisogna che la politica si ispiri a verità, giustizia e coraggio

Risposto da Roberto Zanre' su 22 Luglio 2014 a 12:30 Non so bene a cosa ti stia riferendo Giorgio. Se ho capito, direi che ogni blocco debba essere condannato. Direi però anche che chi attacca debba essere senz'altro condannato. Probabilmente i conflitti non potremo mai rli... ma almeno dobbiamo avere il coraggio di immaginare che in un conflitto ci debbano essere due eserciti in campo... Non è possibile accettare questo esercizio unilaterale della violenza. giorgio varaldo ha detto: Non riesco a capire per quale motivo si accusi solo israele di esercitare il blocco a gaza e si continui ad ignorare il blocco effettuato dall'egitto. Questo atteggiamento di imparzialita' come puo' esser definito? Ignoranza o antisemitismo?

Risposto da Fabio Colasanti su 22 Luglio 2014 a 12:43 Roberto, immagino dove tu voglia andare a parare. Rifiuto completamente ogni giustificazione dell'estremismo islamico come reazione ad errori di politica estera dell'occidente. Questi errori ci sono stati e in molti casi sono stati enormi. Qualcosa si deve e si può fare per correggerne le conseguenze. Questo va fatto perché questi errori a volte violano alcuni principi che consideriamo fondamentali. Ma questo non avrà nessun effetto sullo sviluppo dell'estremismo islamico. Questo oggi lotta contro l'esistenza stessa della società occidentale e contro i principi sui quali essa si fonda. Non sono disposto a cedere su alcun principio di democrazia (come la vedo io), su nessun diritto umano (sempre secondo la mia concezione), su nessun diritto delle donne, su nessuna riduzione dell'indipendenza della scienza per compiacere gli estremisti religiosi di qualsiasi provenienza. L'estremismo islamico sarà una costante della nostra realtà dei prossimi secoli e dovremo vivere con tutte le misure di sicurezza e altre cose spiacevoli che saranno necessarie. Roberto Zanre' ha detto: Tristissimo... e preoccupante... (quali ne saranno le cause?) Fabio Colasanti ha detto: Una considerazione triste. Oggi l'attualità è dominata da Gaza e dalla situazione in Ucraina. Ma la guerra civile in Siria continua e si è estesa all'Iraq. Due giorni fa, la televisione belga ha trasmesso una parte - per il resto si sono rifiutati - delle immagini diffuse dall'ISIS nelle quali mostravano la fucilazione a sangue freddo di 270 persone dopo la conquista di un'altra località. Il numero dei morti in Siria ha raggiunto le centinaia di migliaia.

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Non pensiamo più alla guerra in Siria perché non sappiamo che pesci pigliare. Hassad è un tiranno sanguinario, ma i ribelli islamici sono molto peggiori di lui. Con Hassad le minoranze religiose potevano sopravvivere a condizione di non minacciare direttamente il suo controllo sul paese. Con gli islamisti sunniti questo non è più possibile. Siamo ridotti a sperare che Hassad riconquisti una buona parte del paese, ma la cosa sembra difficile.

Risposto da giorgio varaldo su 22 Luglio 2014 a 13:20 Roberto constato quanto segue: israele ed egitto esercitano un controllo di tutto cosa entra in gaza. Questo controllo e' relativo ad ogni merce che possa esser trasformata in armi quindi tubi in lega di elevato diametro o concimi chimici trasformabili in esplosivo inclusi La disinformazione della sinistra filo palestinese lo considera inumano ma solo quello praticato da israele ignorando quello praticato dall' egitto. Questi sono i fatti poi ognuno li interpreti come gli garba

Risposto da Roberto Zanre' su 22 Luglio 2014 a 15:08 Fabio, non era lì che volevo andare a parare. Constato quanto l'incomprensione tra mondi e culture diverse sia profondo. Questa logica, "illogica" e "irrazionale", ci ha condannato e ci condannerà a un mondo sempre più insicuro. Se leggi tutti i miei interventi, non entrano mai in una diatriba "giusto-non giusto", "condanno-non condanno". Non discuto nemmeno un secondo sull'estremismo islamico e nemmeno sull'antisemitismo. Il mondo occidentale vuole basare le sue argomentazioni utilizzando questi due elementi in modo improprio e strumentale. Non è questo che sta accadendo in MO. Il mondo non verrà reso più sicuro da chi esercita gratuitamente e illimitatamente la violenza, perseguendo comunque interessi specifici. La violenza potrebbe essere giustificata se si rivolgesse ai soggetti "colpevoli" di crimini. Le colpe dei padri non siano dei figli, e viceversa. Le colpe del mio paese, non siano le mie, e viceversa. Le colpe della mia famiglia non siano le mie, e viceversa. Le colpe degli amici non siano le mie, e viceversa. Inoltre: ad ogni colpa, sia commisurata una punizione (o pena) proporzionale. Al di fuori di questi principi, siamo nel far west. Siamo all'estremismo. Non è un fattore trascurabile cercare di capire "come gli altri percepiscano le nostre azioni". Pensare sempre e solo che la ragione stia dalla "nostra" parte non ci aiuterà a vivere meglio. Non è difficile intuire che la "nostra" è la "ragione dei più forti", di quelli che possono mettere sul piatto una violenza inaudita, senza subirne le conseguenze. Poiché non è difficile intuire che è possibile che arrivi un giorno in cui le forze in campo verranno "equilibrate", allora cominceremo ad avere "perdite" anche noi. Forse allora capiremo che anche noi possiamo avere "torto". Fabio Colasanti ha detto: Roberto, immagino dove tu voglia andare a parare. Rifiuto completamente ogni giustificazione dell'estremismo islamico come reazione ad errori di politica estera dell'occidente. Questi errori ci sono stati e in molti casi sono stati enormi. Qualcosa si deve e si può fare per correggerne le conseguenze. Questo va fatto perché questi errori a volte violano alcuni principi che consideriamo fondamentali. Ma questo non avrà nessun effetto sullo sviluppo dell'estremismo islamico. Questo oggi lotta contro l'esistenza stessa della società occidentale e contro i principi sui quali essa si fonda. Non sono disposto a cedere su alcun principio di democrazia (come la vedo io), su nessun diritto umano (sempre secondo la mia concezione), su nessun diritto delle donne, su nessuna riduzione dell'indipendenza della scienza per compiacere gli estremisti religiosi di qualsiasi provenienza. L'estremismo islamico sarà una costante della nostra realtà dei prossimi secoli e dovremo vivere con tutte le misure di sicurezza e altre cose spiacevoli che saranno necessarie.

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Risposto da Salvatore Venuleo su 22 Luglio 2014 a 21:20 Sandra è in forma. Finite le vacanze?

Risposto da Fabio Colasanti su 22 Luglio 2014 a 22:39 Sandra, non c'è dubbio che la creazione di Israele abbia creato una ferita non rimarginabile nel mondo arabo. Ma quello che muove oggi gli estremisti islamici è qualcosa di diverso: è l'esistenza stessa delle civiltà occidentali e i loro valori. Non si può quindi agire più sulle cause che generano l'estremismo islamico. Pensi che chi ha creato il "califfato" lottando contro Assad, che non è certo un amico dell'occidente, cambierebbe linea se il governo Netanyahu diventasse di colpo un governo decente? Un conto è il problema dei palestinesi, ben altro è il problema dell'estremismo islamico: al Qaeda, il "califfato" dell'Isis, i talibani e tanti altri estremisti non hanno nulla a che vedere con la situazione in Palestina. I palestinesi in genere sono più "laici" di molti altri mussulmani. Non possiamo "operare nel concreto sulle cause che generano l'estremismo" perché non possiamo e non dobbiamo cedere nulla sui diritti umani, sui diritti delle donne, sulla libertà di espressione e sulla democrazia per compiacere un qualsiasi estremismo religioso. Sandra Del Fabro ha detto: Giustificare no, Fabio, ma nel concreto operare sulle cause che generano l'estremismo sì!! Fabio Colasanti ha detto: Roberto, immagino dove tu voglia andare a parare. Rifiuto completamente ogni giustificazione dell'estremismo islamico come reazione ad errori di politica estera dell'occidente. Questi errori ci sono stati e in molti casi sono stati enormi. Qualcosa si deve e si può fare per correggerne le conseguenze. Questo va fatto perché questi errori a volte violano alcuni principi che consideriamo fondamentali. Ma questo non avrà nessun effetto sullo sviluppo dell'estremismo islamico. Questo oggi lotta contro l'esistenza stessa della società occidentale e contro i principi sui quali essa si fonda. Non sono disposto a cedere su alcun principio di democrazia (come la vedo io), su nessun diritto umano (sempre secondo la mia concezione), su nessun diritto delle donne, su nessuna riduzione dell'indipendenza della scienza per compiacere gli estremisti religiosi di qualsiasi provenienza. L'estremismo islamico sarà una costante della nostra realtà dei prossimi secoli e dovremo vivere con tutte le misure di sicurezza e altre cose spiacevoli che saranno necessarie.

Risposto da Fabio Colasanti su 22 Luglio 2014 a 22:47 Sandra, Bashar al-Assad è certo il porco che descrivi tu. Chi gli fa la guerra fucila la gente in massa, crucifigge gli apostati, lapida le donne adultere e sgozza i nemici. Scegli tu tra i due campi. Sandra Del Fabro ha detto: Giustificare no, Fabio, ma nel concreto operare sulle cause che generano l'estremismo sì!! Non sono d'accordo sulla tua valutazione di Hassad: non si può paragonare la sua nefandezza in quanto Capo di Stato che dovrebbe tutelare il suo popolo e invece lo sottopone a bombardamenti e fa uso di armi chimiche con i gruppi ribelli. Questo proprio no!!!

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Risposto da giorgio varaldo su 22 Luglio 2014 a 22:55 per chi continua a pontificare su gaza intesa come problema israeliano-palestinese o come causa dell'estremismo arabo ecco l'ennesima conferma che la situazione è ben più complessa di quanto si voglia schematizzare http://www.rightsreporter.org/guerra-gaza-il-mistero-del-bombardame... da notare che per colpire la fabbrica iraniana di missili in sudan gli aerei israeliani hanno avuto il permesso di sorvolare i cieli egiziani

Risposto da Fabio Colasanti su 22 Luglio 2014 a 23:13 Sandra, Perché la gente non parta in massa dai paesi africani bisogna che la situazione a casa loro migliori. Questo è ovvio e lo sappiamo tutti. Purtroppo abbiamo ben poche possibilità di intervenire nella situazione interna dei paesi. Molto spesso quello che spinge la gente ad andare via è la mancanza di sicurezza (guerre civili, lotte tra tribu, abusi delle autorità, criminalità e altre cose del genere) più che la povertà. Dovremmo spendere di più per l’aiuto allo sviluppo. Molti paesi, e in particolare il nostro, sono ben al di sotto dal vecchio obiettivo delle Nazioni Unite di dare in aiuto allo sviluppo vero lo 0.7 del PIL di ogni paese industrializzato. Ma sappiamo tutti, che anche se da domani facessimo il massimo possibile – e non lo stiamo facendo – servirebbero molti anni per migliorare la situazione. Per ridurre il numero di persone che muore per strada o nell’ultimo tratto del loro viaggio attraversando il canale di Sicilia, dovremmo poterli andare a prendere nei paesi dai quali fuggono o alle frontiere di questi paesi. Dovremmo anche stabilire delle quote di rifugiati da accogliere in Europa. Il principale problema è che il divario tra il numero delle persone che vogliono scappare – milioni e milioni di persone – e quelli che potremmo accogliere in Europa è enorme. Non si può rifiutare di riconoscere questa realtà. Tra i 1800 arrivati durante l’ultimo week end c’era qualche centinaio di siriani. Ma nei campi in Giordania e in Turchia c’è quasi un milione di profughi siriani ! Che facciamo? Apriamo un campo in Etiopia per i profughi eritrei dei quali potremmo accoglierne al massimo il 5 per cento? Che facciamo degli altri? Visto che queste considerazioni sono ovvie, l’Etiopia non ci farebbe nemmeno mai aprire un campo sapendo che diventerebbe un campo permamente poiché non potremmo mai vuotarlo più rapidamente di quanto si riempia. Più realisticamente potremmo pensare di aprire un campo per eritrei in Libia contando sul fatto che molti saranno morti per strada e che la paura di morire riduca il numero di quelli che lasciano il paese. Ma è già un bel compromesso morale. Mare Nostrum – che sicuramente deve continuare e deve essere sostenuta da tutta l’Unione europea – ha sicuramente aumentato il numero delle persone che arrivano in Europa. Non appena si è sparsa la voce che le navi italiane andavano a cercare i profughi, il loro numero è aumentato e la rischiosità dei mezzi di trasporto è aumentata anch’essa. Tutti si sono detti che non serviva più un’imbarcazione per arrivare fino in Italia, ma ne bastava una che potesse uscire dalle acque territoriali libiche. Le cifre degli ultimi mesi (e i posti dove stiamo raccogliendo barconi) rispetto a quelle dello stesso periodo dello stesso anno provano ad abbondanza quello che sto scrivendo. Il dramma fondamentale dei profughi è lo squilibrio enorme tra il numero di quelli che vogliono andar via e il numero di quelli che possiamo accettare. Secondo l’UNHCR, l’agenzia delle Nazioni Unite, alla fine del 2012 c’erano nel mondo 15.4 milioni di rifugiati identificati ! Rifiutare di vedere questa realtà – che è sotto gli occhi di tutti - potrebbe costare caro alla sinistra. Non c’è una soluzione soddisfacente. Non vedo che piccoli miglioramenti possibili in una situazione che è e rimarrà disumana. Chi afferma che esistano soluzioni semplici si sbaglia grossolanamente.

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Aggiungo ancora un elemento. Laura Boldrini ha ricordato qualche giorno fa che i “corridoi umanitari” esistono già. L’UNHCR raccoglie già le offerte di accoglienza di profughi da parte dei vari paesi. Sulla base di queste offerte, i profughi vengono scelti nei campi dove sono attualmente e possono poi raggiungere i paesi di accoglienza su aerei di linea. Ma la Boldrini ha ricordato che l’anno scorso da Stati Uniti, Canada e Australia è arrivata la disponibilità ad accogliere 60mila persone; dall’Europa 4000 e dall’Italia 4 ! Sandra Del Fabro ha detto: Fabio, riprendo una discussione con te...Consideri inevitabile l'emigrazione dai Paesi africani e consideri inevitabile che avvenga nelle modalità attuali? Cosa proporresti per evirare le stragi in mare di migranti e richiedenti asilo ?

Risposto da Fabio Colasanti su 23 Luglio 2014 a 0:48 Per Roberto e Alessandro, Trovo che i vostri ultimi interventi sulle “ingiustizie nel mondo” e le colpe degli Stati Uniti siano un poco ingenui e manchino di misura. Dopo la prima guerra mondiale abbiamo cercato di introdurre un po’ di razionalità nelle relazioni tra i paesi con la Società delle Nazioni e dopo la seconda guerra mondiale con le Nazioni Unite. Dei passi avanti sono stati fatti, ma immagino siate i primi a non essere soddisfatti di quello che è stato raggiunto. Prima di questi due tentativi, il paese o i paesi che hanno dominato la loro parte del mondo hanno sempre fatto i loro comodi. Non abbiamo certo fatto passi indietro da questo punto di vista; non è che oggi la situazione sia peggiore di quella che esisteva nel 19esimo secolo o all'inizio del XXesimo. Dopo la seconda guerra mondiale gli Stati Uniti sono emersi come il paese dominante e abbiamo avuto la storia che abbiamo avuto. Riflettete un attimo alla storia che avremmo potuto avere se l’URSS fosse emersa dalla seconda guerra mondiale in una posizione come quella degli Stati Uniti. Saremmo stati meglio? E’ possibile che tra venti o trenta anni, la Cina sia il nuovo gigante economico e militare del mondo. Pensate staremo meglio? Non siamo sicuramente d’accordo con tante decisioni politiche prese dagli Stati Uniti (faccio parte della generazione delle dimostrazioni contro la guerra nel Vietnam e ricordo ancora la strizza di qualche ora passata con il servizio d’ordine del PCI con i gruppettari di fronte a noi e i celerini che difendevano l’ambasciata americana alle nostre spalle; formavamo un cordone tra i due possibili contendenti). Nel corso degli anni abbiamo litigato tante volte con gli Stati Uniti (dalla posizione di debolezza in cui siamo per non aver mai voluto pagare la nostra parte delle spese militari ed esserci sempre riparati sotto l’ombrello americano). Pensate che si sarebbe potuto discutere nella stessa maniera con l’URSS? O che si potrà criticare e discutere con la Cina tra qualche anno? Pensate alla dichiarazione di Enrico Berlinguer del 1976: «Mi sento più sicuro stando di qua, sotto l’ombrello della NATO, ma vedo che anche di qua ci sono seri tentativi di limitare la nostra autonomia».

Risposto da Antonino Andaloro su 23 Luglio 2014 a 7:03 C'è un particolare. Non tutti i paesi africani sono coinvolti nella emigrazione, alcuni la favoriscono. Se i punti d'imbarco sarebbero controllati ne potremmo sapere di più,ad esempio l'ONU potrebbe chiedere alle nazioni che si affacciano sul mediterraneo, di rendersi partecipi e responsabili di questi imbarchi clandestini. Solitamente, quando vengono catturati gli scafisti si scopre che sono di nazionalità, tunisina, marocchina, egiziana etc. Teniamo conto che questo tipo di attività fà guadagnare cifre importanti, per chi le organizza.

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Risposto da giorgio varaldo su 23 Luglio 2014 a 8:25 in tutti questi discorsi sull'immigrazione clandestina ci stiamo crogiolando con le parole di qualche carneade europeo. la realtà è ben diversa : i paesi confinanti respingono i clandestini http://www.ilprimatonazionale.it/2014/07/14/gli-austriaci-ci-rimand... basta farsi un giro a tarvisio al passo di monte croce carnico ed al pramollo per vedere che quella che era una frontiera senza più controlli e barriere è tornata ad esser presidiata .

Risposto da giorgio varaldo su 23 Luglio 2014 a 9:21 come pensi si possa controllare un paese in preda al caos come la libia? purtroppo una sconsiderata politica estera USA (e dato che ai tempi del vietnam io ero fra quelli che facevano a mazzate per veder quella schifezza di berretti verdi non è che possa esser tacciato di antiamericanismo) ha portato alla caduta di quel gheddafi che bene o male portava avanti il controllo delle partenze concordato con il governo prodi . l'europa dei bottegai come avvoltoi si è gettata su quello che avrebbe potuto essere una nuova apertura per le loro industrie col risultato che a francia ed UK è andato il petrolio prima italiano ed all'italia i clandestini. grazie USA e grazie europa e grazie a berlusconi. non è che sia tenero con craxi ... ma confesso che mi sarebbe piaciuto aver un presidente del consiglio come lui pronto a ripetere con la chiusura degli spazi aerei e con il divieto di uso delle basi nazionali cosa successe a sigonella. Antonino Andaloro ha detto: C'è un particolare. Non tutti i paesi africani sono coinvolti nella emigrazione, alcuni la favoriscono. Se i punti d'imbarco sarebbero controllati ne potremmo sapere di più,ad esempio l'ONU potrebbe chiedere alle nazioni che si affacciano sul mediterraneo, di rendersi partecipi e responsabili di questi imbarchi clandestini. Solitamente, quando vengono catturati gli scafisti si scopre che sono di nazionalità, tunisina, marocchina, egiziana etc. Teniamo conto che questo tipo di attività fà guadagnare cifre importanti, per chi le organizza.

Risposto da Roberto Zanre' su 23 Luglio 2014 a 11:34 Dunque la politica estera USA (ed europea) può essere sbagliata... ... come sosteniamo anche noi, Alessandro e Roberto :-) Ciao... giorgio varaldo ha detto: come pensi si possa controllare un paese in preda al caos come la libia? purtroppo una sconsiderata politica estera USA (e dato che ai tempi del vietnam io ero fra quelli che facevano a mazzate per veder quella schifezza di berretti verdi non è che possa esser tacciato di antiamericanismo) ha portato alla caduta di quel gheddafi che bene o male portava avanti il controllo delle partenze concordato con il governo prodi . l'europa dei bottegai come avvoltoi si è gettata su quello che avrebbe potuto essere una nuova apertura per le loro industrie col risultato che a francia ed UK è andato il petrolio prima italiano ed all'italia i clandestini. grazie USA e grazie europa e grazie a berlusconi. non è che sia tenero con craxi ... ma confesso che mi sarebbe piaciuto aver un presidente del consiglio come lui pronto a ripetere con la chiusura degli spazi aerei e con il divieto di uso delle basi nazionali cosa successe a sigonella. Antonino Andaloro ha detto: C'è un particolare. Non tutti i paesi africani sono coinvolti nella emigrazione, alcuni la favoriscono.

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Se i punti d'imbarco sarebbero controllati ne potremmo sapere di più,ad esempio l'ONU potrebbe chiedere alle nazioni che si affacciano sul mediterraneo, di rendersi partecipi e responsabili di questi imbarchi clandestini. Solitamente, quando vengono catturati gli scafisti si scopre che sono di nazionalità, tunisina, marocchina, egiziana etc. Teniamo conto che questo tipo di attività fà guadagnare cifre importanti, per chi le organizza.

Risposto da Roberto Zanre' su 23 Luglio 2014 a 12:30 Fammi capire meglio Fabio... :-) ... perché mai tu puoi sostenere che molte volte gli USA avrebbero sbagliato (e sbagliano?) in politica estera mentre io è Alessandro non potremmo? Stiamo dicendo le stesse cose Fabio :-) Comunque, entrando in qualche dettaglio a caso: Ci sarebbe qualcosina da dire sul definire (semplicemente) "errori" i nostri (di noi occidentali), mentre le azioni degli altri sono sempre "gravi attentati al diritto, alla giustizia, alle libertà, eccetera". Mi pare una visione perlomeno "forzata" (anche i coloni del west americano, e prima ancora con l'occupazione di tutto il continente americano, credevano di avere diritti sulle terre che occupavano e hanno espresso, narrativamente e militarmente, la loro visione). Spesso le nostre argomentazioni, inserendo degli arbitrari pesi e significati agli eventi, dicono molto di più di quello che vorremmo. L'implicito dice di più dell'esplicito. Le mie argomentazioni, come già ripetutamente sottolineato, non si discostano significativamente dalle tue. Semplicemente l'accento cade sull'invocare il "senso critico" che, come uomini di cultura e liberi, dovremmo sempre mettere nelle nostre riflessioni. Noi non siamo militari e non siamo dello staff strategico dei vari organismi che studiano gli interessi geopolitici dell'America. A studiare questi interessi geopolitici, sia nel senso storico sia in quello della recente attualità, c'è da rabbrividire. Altro che Cina, Russia, eccetera... Dico solo questo, per brevità e senza articolare: ad oggi, chi ha disseminato il pianeta di basi militari e di zone territoriali americane? Qual è il grado di libertà (vera) che abbiamo? Anche in termini di diritti civili si potrebbe argomentare in modo più articolato. Non vorrei che i diritti civili cui ti stai riferendo fossero solo quelli della parte ricca del mondo. E un giorno faremo anche l'elenco di questi diritti civili. Caro Fabio, non ho ricevuto risposte alle mie puntuali e curiose domande (è la terza volta che le formulo negli ultimi mesi). Parli di "misura"... e di ingenuità. Addirittura. Si potrebbe ribaltare esattamente di 180 gradi il discorso. Però, concorderai con me che si possa tranquillamente chiudere il discorso dicendo che è "esagerato" definire persino la linea della misura. Mi hai chiesto più volte di "dire che cosa voglio intendere", persino se "sto con la Russia", eccetera. Ti ho risposto, mi sembra. Tutte le volte. Ripeto ancora: da pensatore libero, non voglio accodarmi al pensiero pericoloso secondo il quale la ragione ce l'abbiamo sempre noi occidentali. Osservo invece che esercitiamo la ragione del più forte. L'asimmetria delle forze in campo è talmente grande che - mi pongo la domanda - potrebbe essere che la nostra percezione degli eventi venga un po' falsata? Non è che stiamo pensando di poter agire per colpi di mano, tanto i rischi per noi sono "sotto controllo"? Formulo delle domande, così spero di ammorbidire il mio pensiero. Inoltre, noi occidentali, non solo abbiamo sbagliato ripetutamente, ma abbiamo ampiamente dimostrato di essere portatori di specifici interessi di parte, non sempre equilibrati e nel solco del diritto internazionale e dei diritti degli altri popoli. Va bene così? P.S. per quanto riguarda ONU e situazione rispetto a prima della Seconda Guerra Mondiale... direi che, sia io che Alessandro, riconoscendo i progressi fatti, vorremmo veder migliorare le cose. P.S.2: leggendo alcune cose nell'ultimo periodo, vedo sempre più spesso riferimenti al periodo della Guerra Fredda. Addirittura le forze armate russe sono state definite "esercito rosso"... ma forse è stato un errore di battitura :-) Fabio Colasanti ha detto: Per Roberto e Alessandro, Trovo che i vostri ultimi interventi sulle “ingiustizie nel mondo” e le colpe degli Stati Uniti siano un poco ingenui e manchino di misura.

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Dopo la prima guerra mondiale abbiamo cercato di introdurre un po’ di razionalità nelle relazioni tra i paesi con la Società delle Nazioni e dopo la seconda guerra mondiale con le Nazioni Unite. Dei passi avanti sono stati fatti, ma immagino siate i primi a non essere soddisfatti di quello che è stato raggiunto. Prima di questi due tentativi, il paese o i paesi che hanno dominato la loro parte del mondo hanno sempre fatto i loro comodi. Non abbiamo certo fatto passi indietro da questo punto di vista; non è che oggi la situazione sia peggiore di quella che esisteva nel 19esimo secolo o all'inizio del XXesimo. Dopo la seconda guerra mondiale gli Stati Uniti sono emersi come il paese dominante e abbiamo avuto la storia che abbiamo avuto. Riflettete un attimo alla storia che avremmo potuto avere se l’URSS fosse emersa dalla seconda guerra mondiale in una posizione come quella degli Stati Uniti. Saremmo stati meglio? E’ possibile che tra venti o trenta anni, la Cina sia il nuovo gigante economico e militare del mondo. Pensate staremo meglio? Non siamo sicuramente d’accordo con tante decisioni politiche prese dagli Stati Uniti (faccio parte della generazione delle dimostrazioni contro la guerra nel Vietnam e ricordo ancora la strizza di qualche ora passata con il servizio d’ordine del PCI con i gruppettari di fronte a noi e i celerini che difendevano l’ambasciata americana alle nostre spalle; formavamo un cordone tra i due possibili contendenti). Nel corso degli anni abbiamo litigato tante volte con gli Stati Uniti (dalla posizione di debolezza in cui siamo per non aver mai voluto pagare la nostra parte delle spese militari ed esserci sempre riparati sotto l’ombrello americano). Pensate che si sarebbe potuto discutere nella stessa maniera con l’URSS? O che si potrà criticare e discutere con la Cina tra qualche anno? Pensate alla dichiarazione di Enrico Berlinguer del 1976: «Mi sento più sicuro stando di qua, sotto l’ombrello della NATO, ma vedo che anche di qua ci sono seri tentativi di limitare la nostra autonomia».

Risposto da Antonino Andaloro su 23 Luglio 2014 a 12:34 guarda caso, come siamo in gamba quando si tratta di putin e della russia attuale a saper fare la miglior politica estera, la quale si è sempre fatta in funzione degli affari, (dei grossi). giorgio varaldo ha detto: come pensi si possa controllare un paese in preda al caos come la libia? purtroppo una sconsiderata politica estera USA (e dato che ai tempi del vietnam io ero fra quelli che facevano a mazzate per veder quella schifezza di berretti verdi non è che possa esser tacciato di antiamericanismo) ha portato alla caduta di quel gheddafi che bene o male portava avanti il controllo delle partenze concordato con il governo prodi . l'europa dei bottegai come avvoltoi si è gettata su quello che avrebbe potuto essere una nuova apertura per le loro industrie col risultato che a francia ed UK è andato il petrolio prima italiano ed all'italia i clandestini. grazie USA e grazie europa e grazie a berlusconi. non è che sia tenero con craxi ... ma confesso che mi sarebbe piaciuto aver un presidente del consiglio come lui pronto a ripetere con la chiusura degli spazi aerei e con il divieto di uso delle basi nazionali cosa successe a sigonella.

Risposto da Salvatore Venuleo su 23 Luglio 2014 a 12:41 Condivido molto il ribadito punto di vista di Roberto, espresso con dialettica esemplare.

Risposto da Roberto Zanre' su 23 Luglio 2014 a 12:43 Grazie... ... Immaginavo condividessi... :-) Salvatore Venuleo ha detto:

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Condivido molto il ribadito punto di vista di Roberto, espresso con dialettica esemplare.

Risposto da Fabio Colasanti su 23 Luglio 2014 a 12:49 Roberto, Trovo sterili e ingiustificate le critiche a tutto campo contro gli Stati Uniti come se avessero creato una cosa inaudita nella storia del mondo: un paese che a volte cerca di fare il poliziotto del mondo, ma che poi fa anche i suoi interessi. Questo è quello che abbiamo sempre conosciuto. In tanti, a cominciare dagli americani stessi, criticano mille decisioni di politica estera dei successivi governi americani. È giusto e positivo che sia così. Perché tutte le decisioni possono essere criticate ed io sono il primo a criticare molte decisioni di politica estera statunitensi. Ma non si può dimenticare che gli Stati Uniti sono un paese che in gran parte – ci sono certo altre differenze che ho spiegato a lungo in altre occasioni – ha la nostra cultura e la nostra idea dei diritti umani e della democrazia. Se la potenza dominante fosse stata l’URSS o fosse un giorno la Cina o, come tu hai ricordato (o quasi auspicato), se un giorno le forze islamistiche avessero il potere di imporre perdite saremmo (stati) in una situazione mille volte peggiore. Queste sono cose che non possono essere dimenticate. E, del resto, perfino Berlinguer l’ha riconosciuto ufficialmente in piena guerra fredda. Quindi, si a tutte le critiche delle politiche americane, inglesi, francesi e così via. Ma mantenendo i punti di riferimento giusti.

Risposto da Roberto Zanre' su 23 Luglio 2014 a 13:06 Sono d'accordo... purché dunque si possa effettivamente farle queste critiche :-) ... Come possono farle gli americani... Esempio il regista Moore... (Senza che vengano definite "sterili, ingiustificate, a tutto campo") (Sorvolo sul fatto che io "avrei auspicato" che le forze islamiste un giorno... Lettura distorta) (Le risposte?) Fabio Colasanti ha detto: Roberto, Trovo sterili e ingiustificate le critiche a tutto campo contro gli Stati Uniti come se avessero creato una cosa inaudita nella storia del mondo: un paese che a volte cerca di fare il poliziotto del mondo, ma che poi fa anche i suoi interessi. Questo è quello che abbiamo sempre conosciuto. In tanti, a cominciare dagli americani stessi, criticano mille decisioni di politica estera dei successivi governi americani. È giusto e positivo che sia così. Perché tutte le decisioni possono essere criticate ed io sono il primo a criticare molte decisioni di politica estera statunitensi. Ma non si può dimenticare che gli Stati Uniti sono un paese che in gran parte – ci sono certo altre differenze che ho spiegato a lungo in altre occasioni – ha la nostra cultura e la nostra idea dei diritti umani e della democrazia. Se la potenza dominante fosse stata l’URSS o fosse un giorno la Cina o, come tu hai ricordato (o quasi auspicato), se un giorno le forze islamistiche avessero il potere di imporre perdite saremmo (stati) in una situazione mille volte peggiore. Queste sono cose che non possono essere dimenticate. E, del resto, perfino Berlinguer l’ha riconosciuto ufficialmente in piena guerra fredda.

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Quindi, si a tutte le critiche delle politiche americane, inglesi, francesi e così via. Ma mantenendo i punti di riferimento giusti.

Risposto da giorgio varaldo su 23 Luglio 2014 a 13:12 Ok antonino cosa proponi di fare con una libia in preda al caos? Gradite proposte .

Risposto da Fabio Colasanti su 23 Luglio 2014 a 13:23 Roberto, Un esempio tra tanti delle contraddizioni che rilevo. Da un lato tu ed altri criticate la riforma del Senato e della legge elettorale perché provocherebbero una riduzione del grado di democrazia della nostra società. Quindi difendete, secondo me in maniera esagerata, i diritti formali della democrazia, la libera espressione e i diritti civili in genere. Dall’altro nel tuo post sembri riprendere l’argomento cinese che l’occidente difenderebbe una versione parziale dei diritti civili, mentre per i paesi emergenti l’avere di che mangiare sarebbe molto più importante dei diritti civili “occidentali”. Io non riesco a vedere questa dicotomia. Non riesco a credere che i diritti civili, che la democrazia siano delle idee di parte, delle idee “occidentali” che non avrebbero valore nel resto del mondo (questo non significa non riconoscere che in certi paesi – come l’Iraq – è illusorio pensare di creare una democrazia come la conosciamo noi in presenza di lotte tribali e religiose e visti gli odii secolari tra sunniti e sciiti).

Risposto da giorgio varaldo su 23 Luglio 2014 a 13:26 Quando parlo di critiche alla politica estera USA mi baso sui risultati e non su roboanti ma vuoti principi. Pessima idea addestrare i mujaiddin in afgjanistan in chiave antisovietica. Ottima idea intervenire in afghanistan per abbattere il regime talebano ma pessima conduzione ignorando waziristan e non interrompendo il flusso di danaro da saudi arabia ed emirati a milizie islamiche. E sr dopo oltre 10 anni e' ancora necessario mantenere forze militari in quel paese forse qualche errore c'e' stato.

Risposto da Roberto Zanre' su 23 Luglio 2014 a 14:35 Concordo con te al 100%. Personalmente ho impostato certe argomentazioni solo in termini di efficacia nel medio e lungo termine... giorgio varaldo ha detto: Quando parlo di critiche alla politica estera USA mi baso sui risultati e non su roboanti ma vuoti principi. Pessima idea addestrare i mujaiddin in afgjanistan in chiave antisovietica. Ottima idea intervenire in afghanistan per abbattere il regime talebano ma pessima conduzione ignorando waziristan e non interrompendo il flusso di danaro da saudi arabia ed emirati a milizie islamiche. E sr dopo oltre 10 anni e' ancora necessario mantenere forze militari in quel paese forse qualche errore c'e' stato.

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Risposto da Cristina Favati su 23 Luglio 2014 a 14:43 Che bel dialogo. Grazie a Roberto e agli altri. Io leggo....

Risposto da Roberto Zanre' su 23 Luglio 2014 a 15:56 Fabio, confesso che ora ti seguo molto poco. Critico (ma se fossi un parlamentare PD voterei seguendo la linea) la riforma del Senato così com'è impostata oggi, non tanto per i motivi che mi attribuisci (quando hai letto mie argomentazioni in questo senso?) bensì perché quello che è venuto fuori (dovendo tener conto di posizioni contraddittorie e dovendo mettere dentro sciocchezze che accontentassero molte istanze) e' una specie di obbrobrio. D'altra parte, tenendo fermi i paletti sulla non elettività del Senato (concordo), davvero pensi che quella che vediamo sia l'unica formula possibile per il nuovo Senato? Infine, ben due volte ho messo in relazione la riforma del Senato con la legge elettorale e per due volte ho scritto che trovo pericolosa, soprattutto se associata a questo tipo di nuovo Senato, la legge elettorale proposta (almeno senza le preferenze). Dunque, seguo (mal volentieri) la linea di partito sul Senato. Avrei più difficoltà a seguirla sulla legge elettorale (leggi preferenze). Personalmente non credo si tratti di una posizione sui "diritti formali" della democrazia (ai quali potrei rinunciare felicemente), piuttosto vedo la necessità di difendere la sostanza stessa della democrazia e, a questo punto, la VITA stessa delle persone (sarebbe lungo da spiegare). L'ultimo decennio ci restituisce la lezione che ci sia bisogno di "rafforzare" i processi democratici, renderli sostanziali anziché puri strumenti dell'esercizio arbitrario del potere. C'è bisogno di trasparenza anziché di strumentalizzazioni mediatiche. Questo oggi vuole un cittadino moderno. Detto questo, torniamo alle argomentazioni di "macro politica internazionale" :-) Quello che tu rilevi essere una contraddizione io la vedo essere una linea coerente. Ci provo di seguito. Anch'io non vedo la dicotomia. Semplifichiamo come segue? Libertà, democrazia, diritti, pagnotta? Per qualcuno solo, o per tutti? Se in Occidente siamo realmente (e non strumentalmente) portatori di tutte queste istanze, segue che: - dove viene millantata la libertà senza la pagnotta, di che libertà stiamo parlando? - dove c'è la pagnotta ma non la libertà, i diritti civili, la democrazia... di cosa stiamo parlando? - dove viene difesa la libertà, la democrazia, i diritti, la pagnotta (e la VITA) solo di una PICCOLA PARTE della popolazione (o solo in UNA PARTE del mondo)... di cosa stiamo parlando? (Preciso con un esempio sbagliato: quanti sono gli americani che vivono in pessime condizioni?) Proprio perché credo nei valori occidentali, e li vorrei esportare (non con la forza, ma col tempo necessario, dimostrando - se lo sono davvero - che i miei valori hanno senso), argomento - con tutta questa difficoltà - in questo spazio. Pensa a come posso percepire io chi giustifica le operazioni militari come quelle di Gaza. Non ho mai visto nessuno commettere azioni ingiuste e riuscire a convincere gli altri della giustezza delle proprie azioni. A maggior ragione quando di mezzo c'è la vita. Poiché non sono un ingenuo e so per certo che gli strateghi politici e militari arrivano ben oltre il mio sciocco pensiero, proprio per questo mi pare evidente che la scelta dell'esercizio di questa violenza inaudita venga effettuata sulla base di visioni e di interessi di parte; scelte esercitate nel più totale disinteresse delle istanze altrui ed esercitate solo in virtù dell'enorme asimmetria della forza in campo. Vorrei vedere chi può argomentare al "soccombente" di comprendere le ragioni del carnefice (chiunque ne rivesta le parti). P.S. Immaginiamo una donna che esca in minigonna e assuma i cosiddetti (dai benpensanti ipocriti) atteggiamenti "provocanti". Oppure, immaginiamo una moglie "rompiscatole" che critica spesso e sopra le righe il marito. Oppure una moglie che si innamora di un altro uomo. So per certo che nessuno sano di mente giustificherebbe lo stupro della prima donna e l'uccisione della seconda. Mi perdonino le donne per questo doloroso esempio.

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P.S. E forse noi, nei nostri ordinamenti civili, non pensiamo che la pena debba essere proporzionale alla gravità del reato? E, soprattutto, non pensiamo che la pena debba essere applicata al colpevole... e non a suo fratello, a sua madre, al suo amico? Inoltre: forse non pensiamo che sia meglio non applicare la "pena di morte"? E non pensiamo che la pena debba essere inflitta dopo un processo, dove una terza parte giudica? Quello che vedo io è, a livello internazionale, la logica del Far West... il più forte, il più veloce a estrarre la Colt... spara... Fabio Colasanti ha detto: Roberto, Un esempio tra tanti delle contraddizioni che rilevo. Da un lato tu ed altri criticate la riforma del Senato e della legge elettorale perché provocherebbero una riduzione del grado di democrazia della nostra società. Quindi difendete, secondo me in maniera esagerata, i diritti formali della democrazia, la libera espressione e i diritti civili in genere. Dall’altro nel tuo post sembri riprendere l’argomento cinese che l’occidente difenderebbe una versione parziale dei diritti civili, mentre per i paesi emergenti l’avere di che mangiare sarebbe molto più importante dei diritti civili “occidentali”. Io non riesco a vedere questa dicotomia. Non riesco a credere che i diritti civili, che la democrazia siano delle idee di parte, delle idee “occidentali” che non avrebbero valore nel resto del mondo (questo non significa non riconoscere che in certi paesi – come l’Iraq – è illusorio pensare di creare una democrazia come la conosciamo noi in presenza di lotte tribali e religiose e visti gli odii secolari tra sunniti e sciiti).

Risposto da Salvatore Venuleo su 23 Luglio 2014 a 16:21 Apprezzo molto anch'io. Utilissimo il contraddittorio di Fabio, ma, poiché non sono chiamato ad essere neutrale (tranne, per il ruolo, nelle questioni "procedurali"), ribadisco la mia adesione agli argomenti e alla visione di Roberto. Per la verità sul tema "riforme" sono anche più critico di lui. Cristina Favati ha detto: Che bel dialogo. Grazie a Roberto e agli altri. Io leggo....

Risposto da Alessandro Bellotti su 23 Luglio 2014 a 17:42 Giannuli scrive alla Boschi tramite il blog di Grillo sulla riforma Senato. Vi invito a leggere il post che giudico allarmante. Non tanto per una Italia governata da Renzi, ma per un'Italia governata da un partito/padrone con un capo alla Berlusconi.... ecco il link http://www.beppegrillo.it/2014/07/lettera_aperta_7.html Occorre davvero discutere qualche giorno in più tale riforma. A meno ovviamente di accordi Renzi/Berlusconi su una gestione un tantino 'padronale' del paese...

Risposto da Cristina Favati su 23 Luglio 2014 a 17:47 E che ne dici della scelta dei 5S di votare con scrutinio segreto? A me il voto segreto sembra un'assurdità. Il voto deve essere sempre palese. Cominciamo a vederla così la democrazia. Alessandro Bellotti ha detto:

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Giannuli scrive alla Boschi tramite il blog di Grillo sulla riforma Senato. Vi invito a leggere il post che giudico allarmante. Non tanto per una Italia governata da Renzi, ma per un'Italia governata da un partito/padrone con un capo alla Berlusconi.... ecco il link http://www.beppegrillo.it/2014/07/lettera_aperta_7.html Occorre davvero discutere qualche giorno in più tale riforma. A meno ovviamente di accordi Renzi/Berlusconi su una gestione un tantino 'padronale' del paese...

Risposto da Alessandro Bellotti su 23 Luglio 2014 a 17:57 Non mi interessa moltissimo la disputa voto segreto o voto palese. Mi interessano i contenuti delle riforme e le considerazioni di Giannuli contenute nella lettera aperta alla Boschi dovrebbero farci riflettere. E' il futuro dominato da un partito/padrone con 'contrappesi' praticamente inesistenti che dovrebbe essere materia di discussione. Un Senato nominato da nominati. Con immunità parlamentare... Qui non si tratta di essere o non essere o di appartenere a quel movimento o a quel partito. Si tratta di dotarsi di riforme che consentano una piena democrazia. Vi invito nuovamente a leggere Giannuli al link http://www.beppegrillo.it/2014/07/lettera_aperta_7.html Di fronte alle considerazioni di Giannuli, meglio lo scrutinio segreto dove un pò viene meno l'appartenenza e dove la coscienza e il ragionamento spesso hanno la meglio... Sappiamo tutti che il M5S ha presentato 200 emendamenti e quindi gli altri (quasi 8.000) provengono anche e soprattutto dal fuoco amico....

Risposto da Salvatore Venuleo su 23 Luglio 2014 a 18:04 Giannulli ha l'unico torto (non da poco) di scrivere sul blog di Grillo. Glielo perdono, in nome della mia modesta capacità di infischiarmene di etichette e appartenenze. Per il resto non saprei cosa obiettare. Peraltro la sua analisi coincide con quella di molti costituzionalisti e di molti entro il PD. Non so se chiamare "divertente" il tono garbato fino all'eccesso con cui si rivolge alla ministra Boschi. O se è l'ennesimo pessimo segnale che oggi occorre chiedere scusa se si dissente. Alessandro Bellotti ha detto: Giannuli scrive alla Boschi tramite il blog di Grillo sulla riforma Senato. Vi invito a leggere il post che giudico allarmante. Non tanto per una Italia governata da Renzi, ma per un'Italia governata da un partito/padrone con un capo alla Berlusconi.... ecco il link http://www.beppegrillo.it/2014/07/lettera_aperta_7.html Occorre davvero discutere qualche giorno in più tale riforma. A meno ovviamente di accordi Renzi/Berlusconi su una gestione un tantino 'padronale' del paese...

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 23 Luglio 2014 a 18:05 Il contributo di Giannuli appare pertinente ed allarmante. Rimango dell'idea che l'zione dl bicameralismo perfetto sia necessaria per un accettabile iter legislativo;ma , la confusione nasce forse dalla necessità di legare la formazione di un potere esecutivo stabile ad un sistema di elezioni politiche privo di preferenze e con un premio di maggioranza forte. La soluzione migliore era quella dell'elezione diretta del capo dell'esecutivo / presidente della repubblica da parte del popolo in tempi diversi e sfasati rispetto a quelli dell'elezione della camera dei deputati . probabilmente a quel punto un proporzionale , con preferenze,limitato dalla soglia del 4% sarebbe stato più che sufficiente per garantire da un lato la piena rappresentatività e dall'altro per evitare l'eccessivo frazionamento. Purtoppo in Italia la paura del Duce di turno ci rende " refrattari" ad ogni ipotesi di elezione diretta del capo del governo /stato .

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Questo contraddittorio e pericoloso iter di riforma istituzionale ne è la riprova. So di essere in profonda minoranza su queste posizioni ma mi sembrava opportuno esprimerle.

Risposto da giovanni de sio cesari su 23 Luglio 2014 a 18:19 A tutti un saluto: anche se non partecipo piu attivamente, seguo come posso Ho letto con interesse nella discussioone su Gaza cercare di stabilire quali errori abbiano commesso gli attori, quali le ragioni e quali i torti Tuttavia per dare giudizi di valore ( torti e ragioni) utilizziamo una certa scala di valori che, quasi inevitabilmente, è quella nostra, europei dell’inizio del III millennio Però, a mio sommesso parere, ricordo, come al solito, che bisogna tener presente come pensano gli attori del dramma. Tendiamo ad assimilare i Tedeschi della Slesia e di Koenisberg agli arabi di Palestina: ma gli uni e gli altri giudicano e si regolano coerentemente alla propria mentalità ( filosofia) che sono molto, molto diverse. Se a Gaza ci fossero Tedeschi di Slesia organizzerebbero un efficiente piano di rifugi. Invece HAMAS invita a non seguire gli inviti ad andare via degli israeliani ma anzi a salire sui tetti, portando possibilmente anche altri parenti e amici : Sono pazzi, delinquenti, cinici? No, sono credenti in Dio onnipotenente ( Allah akbar) Salire sui tetti per mostrare ai malvagi, ai reprobi, ai senza dio, agli assassini di bimbi che non hanno paura, perche Dio è onnipotente ( Alla akbar), che essi sono Muslin (si abbandonano) alla sua onnipotenza che decide della vita e della morte, come di ogni cosa, (inchall Allah) . E se moriranno per mano dei malvagi Dio Onnipotente (Allah akbar) li ricevera nel suo paradiso perche hanno manifestata la loro fede (shaid) e goderanno per sempre di infinite delizie. Di una cosa possono essere certi. I perfidi ebrei saranno annientati, perche Dio onnipotente non permettera mai che essi vincano; certi che un giorno, quando che sia, libereranno la (citta ) santa ( al Qood, come chiamano Gerusalemme ) dalla cui roccia Dio Onnipotente fece ascendere el rasul ( il profeta) fino al paradiso, certi che la “parte migliore” è sempre quella mussulmana e che quindi alla fine essa vincerà e conquisteranno Roma, e New York e Londra saranno mussulmane La palestina è Waqf (sacro deposito), una terra consacrata a Dio onniponte di cui essi stessi non sono i padroni e quindi non possono cedere nemmeno un metro senza diventare degli emp:. è harem (proibito) Non importa quanti missili o aerei hanno i malvagi: è Dio onnipotente che decide della vittoria e della vittoria si deve essere degni manifestando la propria fede Tutti quelli che si dicono mussulmnai e fanno accordi ( non strumentali) con gli ebrei e i cristiani sono degli munafiq (ipocriti), dei murtadd (apostati) Proviamo mentalmente a riproporre i nostri discorsi sue due stati,sulla pace, sullo scambio di popolazioni a persone che pensano cosi Cosi pensa la maggiornza di Gaza: altri arabi e altri israeliti pensano cosa diverse , molto diverse. Se non teniamo conto di queste differenze e pensiamo che ragionino come noi non riusciamo a comprendiamo cio che accade

Risposto da Carlo De Luca su 23 Luglio 2014 a 20:13 http://www.theatlantic.com/infocus/2014/07/bloody-weekend-in-gaza/1...

Risposto da Roberto Zanre' su 23 Luglio 2014 a 21:38 Nei nostri tranquilli salotti discutiamo spaccando il capello, per farci vedere più dotti degli altri. Onore a questi scienziati, che hanno il coraggio di esporsi: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/23/gaza-su-the-lancet-la-le... La lettera: http://download.thelancet.com/pdfs/journals/lancet/PIIS014067361461...

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Risposto da Roberto Zanre' su 23 Luglio 2014 a 21:40 Non è questione di formalità. Il voto su questi temi deve sempre essere palese. Altrimenti siamo sempre alle furbate italiche. Cristina Favati ha detto: E che ne dici della scelta dei 5S di votare con scrutinio segreto? A me il voto segreto sembra un'assurdità. Il voto deve essere sempre palese. Cominciamo a vederla così la democrazia. Alessandro Bellotti ha detto: Giannuli scrive alla Boschi tramite il blog di Grillo sulla riforma Senato. Vi invito a leggere il post che giudico allarmante. Non tanto per una Italia governata da Renzi, ma per un'Italia governata da un partito/padrone con un capo alla Berlusconi.... ecco il link http://www.beppegrillo.it/2014/07/lettera_aperta_7.html Occorre davvero discutere qualche giorno in più tale riforma. A meno ovviamente di accordi Renzi/Berlusconi su una gestione un tantino 'padronale' del paese...

Risposto da Roberto Zanre' su 23 Luglio 2014 a 21:42 Mi associo... sostanzialmente... Giuseppe Ardizzone ha detto: Il contributo di Giannuli appare pertinente ed allarmante. Rimango dell'idea che l'zione dl bicameralismo perfetto sia necessaria per un accettabile iter legislativo;ma , la confusione nasce forse dalla necessità di legare la formazione di un potere esecutivo stabile ad un sistema di elezioni politiche privo di preferenze e con un premio di maggioranza forte. La soluzione migliore era quella dell'elezione diretta del capo dell'esecutivo / presidente della repubblica da parte del popolo in tempi diversi e sfasati rispetto a quelli dell'elezione della camera dei deputati . probabilmente a quel punto un proporzionale , con preferenze,limitato dalla soglia del 4% sarebbe stato più che sufficiente per garantire da un lato la piena rappresentatività e dall'altro per evitare l'eccessivo frazionamento. Purtoppo in Italia la paura del Duce di turno ci rende " refrattari" ad ogni ipotesi di elezione diretta del capo del governo /stato . Questo contraddittorio e pericoloso iter di riforma istituzionale ne è la riprova. So di essere in profonda minoranza su queste posizioni ma mi sembrava opportuno esprimerle.

Risposto da Cristina Favati su 23 Luglio 2014 a 21:48 Condivido anch'io Roberto Zanre' ha detto: Mi associo... sostanzialmente... Giuseppe Ardizzone ha detto: Il contributo di Giannuli appare pertinente ed allarmante. Rimango dell'idea che l'zione dl bicameralismo perfetto sia necessaria per un accettabile iter legislativo;ma , la confusione nasce forse dalla necessità di legare la formazione di un potere esecutivo stabile ad un sistema di elezioni politiche privo di preferenze e con un premio di maggioranza forte. La soluzione migliore era quella dell'elezione diretta del capo dell'esecutivo / presidente della repubblica da parte del popolo in tempi diversi e sfasati rispetto a quelli dell'elezione della camera dei deputati . probabilmente a quel punto

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

un proporzionale , con preferenze,limitato dalla soglia del 4% sarebbe stato più che sufficiente per garantire da un lato la piena rappresentatività e dall'altro per evitare l'eccessivo frazionamento. Purtoppo in Italia la paura del Duce di turno ci rende " refrattari" ad ogni ipotesi di elezione diretta del capo del governo /stato . Questo contraddittorio e pericoloso iter di riforma istituzionale ne è la riprova. So di essere in profonda minoranza su queste posizioni ma mi sembrava opportuno esprimerle.

Risposto da Salvatore Venuleo su 23 Luglio 2014 a 21:53 Condivido. Farei a meno anche della soglia del 4%, ma condivido. Ho anche richiamato l'intervento di Giuseppe su fb. Cristina Favati ha detto: Condivido anch'io Roberto Zanre' ha detto: Mi associo... sostanzialmente... Giuseppe Ardizzone ha detto: Il contributo di Giannuli appare pertinente ed allarmante. Rimango dell'idea che l'zione dl bicameralismo perfetto sia necessaria per un accettabile iter legislativo;ma , la confusione nasce forse dalla necessità di legare la formazione di un potere esecutivo stabile ad un sistema di elezioni politiche privo di preferenze e con un premio di maggioranza forte. La soluzione migliore era quella dell'elezione diretta del capo dell'esecutivo / presidente della repubblica da parte del popolo in tempi diversi e sfasati rispetto a quelli dell'elezione della camera dei deputati . probabilmente a quel punto un proporzionale , con preferenze,limitato dalla soglia del 4% sarebbe stato più che sufficiente per garantire da un lato la piena rappresentatività e dall'altro per evitare l'eccessivo frazionamento. Purtoppo in Italia la paura del Duce di turno ci rende " refrattari" ad ogni ipotesi di elezione diretta del capo del governo /stato . Questo contraddittorio e pericoloso iter di riforma istituzionale ne è la riprova. So di essere in profonda minoranza su queste posizioni ma mi sembrava opportuno esprimerle.

Risposto da giorgio varaldo su 23 Luglio 2014 a 22:13 A volte mi sento un alieno. Non scandalizzarsi per i 6000 emendamenti mentre la TKN dimezza la capacita' produttiva di terni saro' alieno.ma lo considero un comportamento irresponsabile

Risposto da Fabio Colasanti su 23 Luglio 2014 a 22:14 Giovanni, grazie di questo contributo. Aiuta a far capire la posizione di molti mussulmani ortodossi. Ma al tempo stesso questo contributo mostra come tra noi e loro manchino categorie di valore, di ragionamento e di accordo condivise. Che accordi possiamo fare con chi pensa nella maniera che hai descritto? giovanni de sio cesari ha detto: A tutti un saluto: anche se non partecipo piu attivamente, seguo come posso

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Ho letto con interesse nella discussioone su Gaza cercare di stabilire quali errori abbiano commesso gli attori, quali le ragioni e quali i torti Tuttavia per dare giudizi di valore ( torti e ragioni) utilizziamo una certa scala di valori che, quasi inevitabilmente, è quella nostra, europei dell’inizio del III millennio Però, a mio sommesso parere, ricordo, come al solito, che bisogna tener presente come pensano gli attori del dramma. Tendiamo ad assimilare i Tedeschi della Slesia e di Koenisberg agli arabi di Palestina: ma gli uni e gli altri giudicano e si regolano coerentemente alla propria mentalità ( filosofia) che sono molto, molto diverse. Se a Gaza ci fossero Tedeschi di Slesia organizzerebbero un efficiente piano di rifugi. Invece HAMAS invita a non seguire gli inviti ad andare via degli israeliani ma anzi a salire sui tetti, portando possibilmente anche altri parenti e amici : Sono pazzi, delinquenti, cinici? No, sono credenti in Dio onnipotenente ( Allah akbar) Salire sui tetti per mostrare ai malvagi, ai reprobi, ai senza dio, agli assassini di bimbi che non hanno paura, perche Dio è onnipotente ( Alla akbar), che essi sono Muslin (si abbandonano) alla sua onnipotenza che decide della vita e della morte, come di ogni cosa, (inchall Allah) . E se moriranno per mano dei malvagi Dio Onnipotente (Allah akbar) li ricevera nel suo paradiso perche hanno manifestata la loro fede (shaid) e goderanno per sempre di infinite delizie. Di una cosa possono essere certi. I perfidi ebrei saranno annientati, perche Dio onnipotente non permettera mai che essi vincano; certi che un giorno, quando che sia, libereranno la (citta ) santa ( al Qood, come chiamano Gerusalemme ) dalla cui roccia Dio Onnipotente fece ascendere el rasul ( il profeta) fino al paradiso, certi che la “parte migliore” è sempre quella mussulmana e che quindi alla fine essa vincerà e conquisteranno Roma, e New York e Londra saranno mussulmane La palestina è Waqf (sacro deposito), una terra consacrata a Dio onniponte di cui essi stessi non sono i padroni e quindi non possono cedere nemmeno un metro senza diventare degli emp:. è harem (proibito) Non importa quanti missili o aerei hanno i malvagi: è Dio onnipotente che decide della vittoria e della vittoria si deve essere degni manifestando la propria fede Tutti quelli che si dicono mussulmnai e fanno accordi ( non strumentali) con gli ebrei e i cristiani sono degli munafiq (ipocriti), dei murtadd (apostati) Proviamo mentalmente a riproporre i nostri discorsi sue due stati,sulla pace, sullo scambio di popolazioni a persone che pensano cosi Cosi pensa la maggiornza di Gaza: altri arabi e altri israeliti pensano cosa diverse , molto diverse. Se non teniamo conto di queste differenze e pensiamo che ragionino come noi non riusciamo a comprendiamo cio che accade

Risposto da giorgio varaldo su 23 Luglio 2014 a 22:26 Inconcepibile - almeno per chi come il sottoscritto ha vissuto al sud - reintrodurre le preferenze . Inconcepibile - almeno per chi si considera appartenente al partito che ha introdotto le primarie nel nostro paese - ritenerle come baluardo insostituibile dells democrazia. Eppure quanti di voi si stanno convincendo della indispensabilita' delle preferenze?

Risposto da Salvatore Venuleo su 23 Luglio 2014 a 22:29 Io no. Uninominale a doppio turno. Le preferenze sono il peggio, ma sono il meno peggio se introdotte nell'Italicum. giorgio varaldo ha detto: Inconcepibile - almeno per chi come il sottoscritto ha vissuto al sud - reintrodurre le preferenze . Inconcepibile - almeno per chi si considera appartenente al partito che ha introdotto le primarie nel nostro paese - ritenerle come baluardo insostituibile dells democrazia. Eppure quanti di voi si stanno convincendo della indispensabilita' delle preferenze?

Risposto da giorgio varaldo su 23 Luglio 2014 a 22:41

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Salvatore mi auguro tu non ti renda conto che con tre preferenze per elettore hai il 99% di probabilita' di controllare il voto di ogni elettore. Ed il controllo del voto serve alle mafie. Ancora favorevole alle preferenze?

Risposto da Roberto Zanre' su 23 Luglio 2014 a 22:44 Sì, in quel senso... dato l'Italicum... ci sentiamo costretti alle preferenze. D'altra parte, non tutti i partiti hanno le primarie. In un partito come quello gestito dal Caimano... la "mafia" ha controllato allo stesso modo... In ogni caso, siamo in questo guaio proprio perché siamo stati costretti a fare accordi con lui... Se M5S si fosse svegliato prima... Salvatore Venuleo ha detto: Io no. Uninominale a doppio turno. Le preferenze sono il peggio, ma sono il meno peggio se introdotte nell'Italicum. giorgio varaldo ha detto: Inconcepibile - almeno per chi come il sottoscritto ha vissuto al sud - reintrodurre le preferenze . Inconcepibile - almeno per chi si considera appartenente al partito che ha introdotto le primarie nel nostro paese - ritenerle come baluardo insostituibile dells democrazia. Eppure quanti di voi si stanno convincendo della indispensabilita' delle preferenze?

Risposto da Roberto Zanre' su 23 Luglio 2014 a 22:47 Giorgio, non siamo favorevoli alle preferenze o contrari a chissà cosa. Siamo "contrari" a questo pasticcio che stiamo combinando... Dopo di che, ho già detto, se fossi parlamentare PD mi sentirei di votare come deciso... Ma forse ci aspettano le elezioni col proporzionale... giorgio varaldo ha detto: Salvatore mi auguro tu non ti renda conto che con tre preferenze per elettore hai il 99% di probabilita' di controllare il voto di ogni elettore. Ed il controllo del voto serve alle mafie. Ancira favorevole alle preferenze?

Risposto da Roberto Zanre' su 23 Luglio 2014 a 22:49 Scusate se ri-posto... non vorrei che sfuggisse. Onore a questi scienziati, che hanno il coraggio di esporsi: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/23/gaza-su-the-lancet-la-le... La lettera: http://download.thelancet.com/pdfs/journals/lancet/PIIS014067361461...

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Risposto da giorgio varaldo su 23 Luglio 2014 a 22:57 Roberto tu sei contrario a quel che chiami pasticcio. Io parto dal punto di vista che qualsiasi forma sia preferibile alla situazione attuale. Se poi le discussioni servono solo a far perdere tempo.dubito che chi ha dato il 40% di consensi al PD ne capisca l'utilita'. Ed io sono uno di queli.

Risposto da Roberto Zanre' su 23 Luglio 2014 a 23:15 Ho anche detto che, da parlamentare PD, voterei allineandomi... Certamente sì, chiedo questo ai parlamentari che ho votato. ... Però, vedremo se davvero "qualsiasi riforma è meglio della situazione attuale". A me pare che negli ultimi 20 anni abbiamo sempre fatto "riforme" sull'onda della necessità di migliorare la situazione precedente... eppure abbiamo sempre peggiorato le cose... giorgio varaldo ha detto: Roberto tu sei contrario a quel che chiami pasticcio. Io parto dal punto di vista che qualsiasi forma sia preferibile alla situazione attuale. Se poi le discussioni servono solo a far perdere tempo.dubito che chi ha dato il 40% di consensi al PD ne capisca l'utilita'. Ed io sono uno di queli.

Risposto da giorgio varaldo su 23 Luglio 2014 a 23:47 Negli ultimi venti anni a parte la riforma giugni abbiamo fatto solo pateracchi seguendo il proverbio veneto "peggio il tapon del buso" . Da venti anni.il paese non cresce e ci preoccupiamo se un senato privo di poteri - come ci ricorda fabio.- debba esser elettivo. Abbiamo una sicilia che - come.ci ricorda amtonino.- taglia gli aiuti agli invalidi per poter retribuire la propria strapagata nomenklatura ed invece di proseguire sulle riforme stiamo continuamente discutendo se uno.sbarramento al 4 sia democratico o meno. Abbiamo una giustizia che processa l'inventore della cura staminali e la stessa giustizia che obbliga gli ospedali a curar con le staminali e ci perdiamo nel discutere se i senatori debbano esser eletti fra gli assessori regionali o fra i sindaci o perche' non fra gli spazzini. La gente comune non capisce questi arzigogoli e noi che si fa si agisce per sprecare il consenso preso alle europee?

Risposto da Roberto Zanre' su 24 Luglio 2014 a 1:46 Direi che dai circoli dovrebbe giungere ai nostri senatori la voce che non possono fare ostruzionismo... :-) giorgio varaldo ha detto:

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Negli ultimi venti anni a parte la rigorma giugni abbiamo fatto solo pateracchi seguendo il proverbio veneto "peggio il tapon del buso" . Da venti anni.il paese non cresce e ci preoccupiamo se un senato privo di poteri - come ci ricorda fabio.- debba esser elettivo. Abbiamo una sicilia che - come.ci ricorda amtonino.- taglia gli aiuti agli invalidi per poter retribuire la propria strapagata nomenklatura ed invece di proseguire sulle riforme stiamo continuamente discutendo se uno.sbarramento al 4 sia democratico o meno. Abbiamo una giustizia che processa l'inventore della cura staminali e la stessa giustizia che obbliga gli ospedali a curar con le staminali e ci perdiamo nel discutere se i senatori debbano esser eletti fra gli assessori regionali o fra i sindaci o perche' non fra gli spazzini. La gente comune non capisce questi arzigogoli e noi che si fa si agisce per sprecare il consenso preso alle europee?

Risposto da Roberto Zanre' su 24 Luglio 2014 a 8:35 In mezzo a tante parole di ipocrisia, parole seminatrici di odio e di divisioni, meglio leggere anche questo: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/23/gaza-i-refusnik-israelia...

Risposto da Roberto Zanre' su 24 Luglio 2014 a 8:41 Anche questo: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/23/medio-oriente-flyforpeac...

Risposto da Salvatore Venuleo su 24 Luglio 2014 a 12:34 Sì, continuo a condividere. Penso, come molti, che moltissime cose andrebbero cambiate. Molte di più, talvolta diverse e più radicali di quelle che Renzi dice di voler cambiare. Ma l'esigenza non è di cambiare per cambiare. Ovviamente c'è il rischio di cambiare in peggio. E' davvero strano che non si riesca a comunicare questo semplice pensiero. Roberto Zanre' ha detto: Ho anche detto che, da parlamentare PD, voterei allineandomi... Certamente sì, chiedo questo ai parlamentari che ho votato. ... Però, vedremo se davvero "qualsiasi riforma è meglio della situazione attuale". A me pare che negli ultimi 20 anni abbiamo sempre fatto "riforme" sull'onda della necessità di migliorare la situazione precedente... eppure abbiamo sempre peggiorato le cose... giorgio varaldo ha detto: Roberto tu sei contrario a quel che chiami pasticcio. Io parto dal punto di vista che qualsiasi forma sia preferibile alla situazione attuale. Se poi le discussioni servono solo a far perdere tempo.dubito che chi ha dato il 40% di consensi al PD ne capisca l'utilita'. Ed io sono uno di queli.

Risposto da giorgio varaldo su 24 Luglio 2014 a 13:34

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Cambiare in peggio la situazione attuale? dopo le legnate prese dalla sinistra ex bersaniana venfoliana ecc ecc e' difficile ipotizzare chi possa farlo. Risposte a questa discussione

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 24 Luglio 2014 a 14:28 Chiedo a Giorgio e gli altri un giudizio su questa frase tratta dall'intervento di Giannuli: " Con la riduzione del Senato a 95 membri, il Parlamento in seduta comune passa da 1008 membri (più gli ex Presidenti) a 725, per cui la maggioranza assoluta dei votanti scende da 505 a 363 voti. Considerando che l’Italicum prevede un premio elettorale di 354 seggi per il vincitore, si ricava che bastino solo 9 senatori per assicurare al partito di governo il potere di eleggere da solo tanto il Presidente della Repubblica quanto i giudici costituzionali. Il Capo dello Stato, a sua volta, ha il potere di nominare altri 5 giudici che garantirebbero una maggioranza precostituita nella Corte di giudici di ispirazione governativa Con la stessa maggioranza potrebbe essere messo in stato d’accusa il Presidente che, quindi, dal momento dell’elezione al suo possibile deferimento all’Alta Corte, si troverebbe a dipendere totalmente dalla volontà del partito di maggioranza e, dunque, perdere gran parte della sua terzietà. La stessa nomina dei senatori non più a vita, ma per sette anni (esattamente la durata del mandato presidenziale) li configurerebbe come una sorta di “gruppo parlamentare del Presidente” da affiancare alla maggioranza di governo." A me sembra che si stia facendo un pasticcio. Eppure sono favorevole all'zione /riduzione del Senato e credo nella necessità della stabilità del governo . Ho l'impressione che non è in questo modo che risolveremo il problema e che presto o tardi bisognerà rivedere la questione . Io Ho fatto una proposta che putroppo forse verrà portata avanti da Forza Italia ( elezione diretta del capo del governo /presidente repubblica?) ma è l'unica che, alla fine di questa riforma del Senato e della legge elettorale, dal punto di vista istituzionale permetterà una vera separazione dei poteri fra esecutivo e legislativo.A che servirà a quel punto un premio di maggioranza di questa importanza? Giuseppe Ardizzone ha detto: Il contributo di Giannuli appare pertinente ed allarmante. Rimango dell'idea che l'zione dl bicameralismo perfetto sia necessaria per un accettabile iter legislativo;ma , la confusione nasce forse dalla necessità di legare la formazione di un potere esecutivo stabile ad un sistema di elezioni politiche privo di preferenze e con un premio di maggioranza forte. La soluzione migliore era quella dell'elezione diretta del capo dell'esecutivo / presidente della repubblica da parte del popolo in tempi diversi e sfasati rispetto a quelli dell'elezione della camera dei deputati . probabilmente a quel punto un proporzionale , con preferenze,limitato dalla soglia del 4% sarebbe stato più che sufficiente per garantire da un lato la piena rappresentatività e dall'altro per evitare l'eccessivo frazionamento. Purtoppo in Italia la paura del Duce di turno ci rende " refrattari" ad ogni ipotesi di elezione diretta del capo del governo /stato . Questo contraddittorio e pericoloso iter di riforma istituzionale ne è la riprova. So di essere in profonda minoranza su queste posizioni ma mi sembrava opportuno esprimerle.

Risposto da Fabio Colasanti su 24 Luglio 2014 a 15:51 Giuseppe, basta votare l'emendamento, al quale mi sembra il governo sia favorevole, che aggiunge i parlamentari europei alla lista dei grandi elettori. Giuseppe Ardizzone ha detto: Chiedo a Giorgio e gli altri un giudizio su questa frase tratta dall'intervento di Giannuli: " Con la riduzione del Senato a 95 membri, il Parlamento in seduta comune passa da 1008 membri (più gli ex Presidenti) a 725, per cui la maggioranza assoluta dei votanti scende da 505 a 363 voti. Considerando che l’Italicum prevede un

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premio elettorale di 354 seggi per il vincitore, si ricava che bastino solo 9 senatori per assicurare al partito di governo il potere di eleggere da solo tanto il Presidente della Repubblica quanto i giudici costituzionali. Il Capo dello Stato, a sua volta, ha il potere di nominare altri 5 giudici che garantirebbero una maggioranza precostituita nella Corte di giudici di ispirazione governativa Con la stessa maggioranza potrebbe essere messo in stato d’accusa il Presidente che, quindi, dal momento dell’elezione al suo possibile deferimento all’Alta Corte, si troverebbe a dipendere totalmente dalla volontà del partito di maggioranza e, dunque, perdere gran parte della sua terzietà. La stessa nomina dei senatori non più a vita, ma per sette anni (esattamente la durata del mandato presidenziale) li configurerebbe come una sorta di “gruppo parlamentare del Presidente” da affiancare alla maggioranza di governo." A me sembra che si stia facendo un pasticcio. Eppure sono favorevole all'zione /riduzione del Senato e credo nella necessità della stabilità del governo . Ho l'impressione che non è in questo modo che risolveremo il problema e che presto o tardi bisognerà rivedere la questione . Io Ho fatto una proposta che putroppo forse verrà portata avanti da Forza Italia ( elezione diretta del capo del governo /presidente repubblica?) ma è l'unica che, alla fine di questa riforma del Senato e della legge elettorale, dal punto di vista istituzionale permetterà una vera separazione dei poteri fra esecutivo e legislativo.A che servirà a quel punto un premio di maggioranza di questa importanza?

Risposto da Roberto Zanre' su 24 Luglio 2014 a 15:59 Sono le riflessioni che guidano le nostre preoccupazioni. D'altra parte, davvero pensiamo che dove ci mette lo zampino Calderoli possa venir fuori qualcosa di buono? Lo so che questa è una battutaccia, ma penso che questi uomini, Calderoli, Bossi, Berlusconi, eccetera, abbiano già fatto troppi danni... che adesso glieli facciamo fare col nostro consenso forse dovrebbe suscitare qualche serio interrogativo e qualche dubbio. Piuttosto sarebbe stato meglio, a questo punto, andare avanti con le nostre proposte (anche se, a dire il vero, le nostre proposte sono troppo divergenti e schizofreniche). Ma, a mio giudizio, tutta la strada scelta è stata velleitaria. Giuseppe Ardizzone ha detto: Chiedo a Giorgio e gli altri un giudizio su questa frase tratta dall'intervento di Giannuli: " Con la riduzione del Senato a 95 membri, il Parlamento in seduta comune passa da 1008 membri (più gli ex Presidenti) a 725, per cui la maggioranza assoluta dei votanti scende da 505 a 363 voti. Considerando che l’Italicum prevede un premio elettorale di 354 seggi per il vincitore, si ricava che bastino solo 9 senatori per assicurare al partito di governo il potere di eleggere da solo tanto il Presidente della Repubblica quanto i giudici costituzionali. Il Capo dello Stato, a sua volta, ha il potere di nominare altri 5 giudici che garantirebbero una maggioranza precostituita nella Corte di giudici di ispirazione governativa Con la stessa maggioranza potrebbe essere messo in stato d’accusa il Presidente che, quindi, dal momento dell’elezione al suo possibile deferimento all’Alta Corte, si troverebbe a dipendere totalmente dalla volontà del partito di maggioranza e, dunque, perdere gran parte della sua terzietà. La stessa nomina dei senatori non più a vita, ma per sette anni (esattamente la durata del mandato presidenziale) li configurerebbe come una sorta di “gruppo parlamentare del Presidente” da affiancare alla maggioranza di governo." A me sembra che si stia facendo un pasticcio. Eppure sono favorevole all'zione /riduzione del Senato e credo nella necessità della stabilità del governo . Ho l'impressione che non è in questo modo che risolveremo il problema e che presto o tardi bisognerà rivedere la questione . Io Ho fatto una proposta che putroppo forse verrà portata avanti da Forza Italia ( elezione diretta del capo del governo /presidente repubblica?) ma è l'unica che, alla fine di questa riforma del Senato e della legge elettorale, dal punto di vista istituzionale permetterà una vera separazione dei poteri fra esecutivo e legislativo.A che servirà a quel punto un premio di maggioranza di questa importanza? Giuseppe Ardizzone ha detto: Il contributo di Giannuli appare pertinente ed allarmante. Rimango dell'idea che l'zione dl bicameralismo perfetto sia necessaria per un accettabile iter legislativo;ma , la confusione nasce forse dalla necessità di legare la formazione di un potere esecutivo stabile ad un sistema di elezioni politiche privo di preferenze e con un premio di maggioranza forte. La soluzione migliore era quella dell'elezione diretta del capo dell'esecutivo / presidente della repubblica da parte del popolo in tempi diversi e sfasati rispetto a quelli dell'elezione della camera dei deputati . probabilmente a quel punto

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un proporzionale , con preferenze,limitato dalla soglia del 4% sarebbe stato più che sufficiente per garantire da un lato la piena rappresentatività e dall'altro per evitare l'eccessivo frazionamento. Purtoppo in Italia la paura del Duce di turno ci rende " refrattari" ad ogni ipotesi di elezione diretta del capo del governo /stato . Questo contraddittorio e pericoloso iter di riforma istituzionale ne è la riprova. So di essere in profonda minoranza su queste posizioni ma mi sembrava opportuno esprimerle.

Risposto da giovanni de sio cesari su 24 Luglio 2014 a 19:56 Fabio Certo la domanda è questa cosa fare? Ovviamente non ho le risposte pero mi sono fatta una mia modesta idea che cerco di sintetizzare 1) il modo di ragionare a cui ho accennato puo essere contestato nell’ambito stesso islamico e di fatto lo è ed appartiene sono a una minoranza. In fondo è un processo che abbiamo visto anche nel Cristianesimo. Ma non bisogna credere che HAMAS accetta principi e decisioni ONU che ritiene ( e realmente sono) istituzioni create dagli occidentali con principi occidentali ( li richiamano solo strumentalmente) : i ragionamento che facciamo noi comunemente, non hanno senso per loro 2) quelli che seguono i principi del “deus vult” possono cambiare idea se i fatti dimostrano che “deus NON vult”, cioè con sconfitte definitive (i dervisci a Kartum nel 1899, i Wahabiti dispesi da Mehet Ali e Turchi) : ma questo non è pensabili per motivi filosofici nostri e (della maggioranza) israeliani : non sono pensabili bombardamenti indiscriminati a Gaza come quelli di Dresda o di Tokio, come la repressione dei Curdi o degli sciiti in Iraq, come episodi come Sabra e Chatila in libano) 3) Israele risponde al terrorismo ( attacchi) in modo violento e deciso per dimostrare che comunque il terrorismo non paga, che non può ottenere la vittoria e che la conseguenza dei loro atti è soprattutto quella di infliggere maggiori sofferenze proprio a quei Palestinesi che esso proclama di voler difendere Si vuole che i Palestinesi si convincano della dannosità del terrorismo, che abbandonino la guerra contro Israele e ne accettino la esistenza. Ma questa politica non raggiunge affatto gli scopi prefissi. La popolazione, la gente comune non è in grado, anche se lo volesse, di impedire atti di terrorismo. Viene quindi ritenuta responsabile per qualcosa che non è in grado di impedire. L’effetto sperato dagli Israeliani è che alla fine essi si rendano conto che l’unico modo per uscire da questa angosciosa situazione è quella di combattere essi stessi il terrorismo e i terroristi. Ma in realtà questa reazione psicologica non avviene affatto. Infatti il palestinese oppresso, in miseria, che vede morire i suoi figli non addossa affatto la colpa ai “terroristi” ma agli Israeliani: non considera affatto l’azione israeliana come effetto di quella dei “terroristi” ma anzi fa il collegamento inverso: l’azione terroristica è vista come vendetta di quanto ha subito. Non è l’attentato suicida o il lancio di Kassam che ha causato l’attacco di Israele ma, al contrario, essi sono la reazione all’attacco israeliano. La politica israeliana finisce con il raggiungere il risultato opposto a quello sperato. 4) Un effetto insolito di questa situazione è l’inversione del fenomeno della conta delle vittime: nelle guerre, in generale, si gonfiano le cifre dei caduti del nemico e si minimizzano le proprie : i Palestinesi invece, al contrario, enfatizzano le proprie perdite: ogni caduto palestinese sembra essere una vittoria perche esalta sempre più il furore e l’odio dei Palestinesi e la commozione presso l’opinione pubblica internazionale. Tutta la guerra è però inutile: si possono vincere le battaglie ma nessuno puo vincere la guerra: la soluzione è unica e obbligata come tutti sanno: due stati Ma perchè non viene attuata? Gli israeliani dicono: gli arabi vogliono distruggere Israele, prenderebbero la costituzione dello stato palestinese come primo passo e continuerebbero. Cosi hanno fatto a Gaza che non è occupata da Israele ma da cui partono Kassam e terroristi. In buona parte è vero: Tuttavia uno stato palestinese vero e proprio con sufficiente autorità sarebbe responsabile degli attacchi che partono dal proprio territorio come lo sono gli altri stati confinanti da cui infatti non partono attacchi a Israele : quindi vi sarebbe alla fine solo un vantaggio per Israele. Poi gli arabi come tutti i popoli guardano ai risultati : se ci fossero buoni risultati cambierebbero rapidamente opinione Il punto essenziale pero mi pare un altro: gli insediamenti ebraici sulla West bank dovrebbero almeno in parte essere smantellati e che vengono invece sempre piu ampliati. In effetti non c'è nessuna motivazione alla loro esistenza se

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non il fondamentalismo ebraico che è speculare e piu esasperato di quello islamico: Dio ha dato agli ebrei quella terra 3.000 e rotti anni fa, quindi appartiene ai figli di Israele. I fondamentalisti in Israele sono una minoranza (come fra gli islamici), ma molto compatti aggressivi, organizzati con grande influenza. E la gente che tiene due frigoriferi nel terrore che latte e carne si possano mescolare, che di sabato non accende la luce (hanno uno starter a tempo). Io credo che la chiave della situazione la abbiano gli americani: essi solo possono costringere effettivamente Israele a seguire l’unica politica ragionevole e mettere a tacere i propri fondamentalisti. Lo faranno mai ? Non so : ma spero che prima o dopo lo facciano. Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, grazie di questo contributo. Aiuta a far capire la posizione di molti mussulmani ortodossi. Ma al tempo stesso questo contributo mostra come tra noi e loro manchino categorie di valore, di ragionamento e di accordo condivise. Che accordi possiamo fare con chi pensa nella maniera che hai descritto?

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 24 Luglio 2014 a 20:06 Giovanni sono totalmente d'accordo . Hai anche il merito di esser chiaro e mi piacerebbe che ne facessi un articolo per la rivista . Ci provi? giovanni de sio cesari ha detto: Fabio Certo la domanda è questa cosa fare? Ovviamente non ho le risposte pero mi sono fatta una mia modesta idea che cerco di sintetizzare 1) il modo di ragionare a cui ho accennato puo essere contestato nell’ambito stesso islamico e di fatto lo è ed appartiene sono a una minoranza. In fondo è un processo che abbiamo visto anche nel Cristianesimo. Ma non bisogna credere che HAMAS accetta principi e decisioni ONU che ritiene ( e realmente sono) istituzioni create dagli occidentali con principi occidentali ( li richiamano solo strumentalmente) : i ragionamento che facciamo noi comunemente, non hanno senso per loro 2) quelli che seguono i principi del “deus vult” possono cambiare idea se i fatti dimostrano che “deus NON vult”, cioè con sconfitte definitive (i dervisci a Kartum nel 1899, i Wahabiti dispesi da Mehet Ali e Turchi) : ma questo non è pensabili per motivi filosofici nostri e (della maggioranza) israeliani : non sono pensabili bombardamenti indiscriminati a Gaza come quelli di Dresda o di Tokio, come la repressione dei Curdi o degli sciiti in Iraq, come episodi come Sabra e Chatila in libano) 3) Israele risponde al terrorismo ( attacchi) in modo violento e deciso per dimostrare che comunque il terrorismo non paga, che non può ottenere la vittoria e che la conseguenza dei loro atti è soprattutto quella di infliggere maggiori sofferenze proprio a quei Palestinesi che esso proclama di voler difendere Si vuole che i Palestinesi si convincano della dannosità del terrorismo, che abbandonino la guerra contro Israele e ne accettino la esistenza. Ma questa politica non raggiunge affatto gli scopi prefissi. La popolazione, la gente comune non è in grado, anche se lo volesse, di impedire atti di terrorismo. Viene quindi ritenuta responsabile per qualcosa che non è in grado di impedire. L’effetto sperato dagli Israeliani è che alla fine essi si rendano conto che l’unico modo per uscire da questa angosciosa situazione è quella di combattere essi stessi il terrorismo e i terroristi. Ma in realtà questa reazione psicologica non avviene affatto. Infatti il palestinese oppresso, in miseria, che vede morire i suoi figli non addossa affatto la colpa ai “terroristi” ma agli Israeliani: non considera affatto l’azione israeliana come effetto di quella dei “terroristi” ma anzi fa il collegamento inverso: l’azione terroristica è vista come vendetta di quanto ha subito. Non è l’attentato suicida o il lancio di Kassam che ha causato l’attacco di Israele ma, al contrario, essi sono la reazione all’attacco israeliano. La politica israeliana finisce con il raggiungere il risultato opposto a quello sperato. . 4) Un effetto insolito di questa situazione è l’inversione del fenomeno della conta delle vittime: nelle guerre, in generale, si gonfiano le cifre dei caduti del nemico e si minimizzano le proprie : i Palestinesi invece, al contrario, enfatizzano le proprie perdite: ogni caduto palestinese sembra essere una vittoria perche esalta sempre più il furore e l’odio dei Palestinesi e la commozione presso l’opinione pubblica internazionale.

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Tutta la guerra è pero inutile: si possono vincere le battaglie ma nessuno puo vincere la guerra: la soluzione è unica e obbligata come tutti sanno: due stati Ma perchè non viene attuata? Gli israeliani dicono: gli arabi vogliono distruggere Israele, prenderebbero la costituzione dello stato palestinese come primo passo e continuerebbero: Cosi hanno fatto a Gaza che non è occupata da Israele ma da cui partono Kassam e terroristi IN buona parte è vero: Tuttavia uno stato palestinese vero e proprio con sufficiente autorità sarebbe responsabile degli attacchi che partono dal proprio territorio come lo sono gli altri stati confinanti da cui infatti non partono attacchi a Israele : quindi vi sarebbe alla fine solo un vantaggio per Israele. Poi gli arabi cometutti i popoli guardano ai risultati : se ci fossero buoni risultati cambierebbero rapidamente opinione Il punto essenziale pero mi pare un altro: gli insediamenti ebraici sulla West bank dovrebbero almeno in parte essere smantellati e che vengono invece sempre piu ampliati. In effetti non c è nessuna motivazione alla loro esistenza se non il fondamentalismo ebraico che è speculare e piu esasperato di quello islamico: Dio ha dato agli ebrei quella terra 3.000 e rotti anni fa , quindi appartiene ai figli di Israele. I fondamentalisti in Israele sono una minoranza ( come fra gli islamici) ma molti compatti aggressivi, organizzati con grande influenza E la gente che tiene due frigoriferi nel terrore che latte e carne si possano mescolare , che di sabato non accende la luce ( hanno uno starter a tempo ). Io credo che la chiave della situazione la abbiano gli americani: essi solo possono costringere effettivamente Israele a seguire l’unica politica ragionevole e mettere a tacere i propri fondamentalisti. Lo faranno mai ? Non so : ma spero che prima o dopo lo facciano.

Risposto da Fabio Colasanti su 24 Luglio 2014 a 21:46 Adesso morti e e feriti in una scuola delle Nazioni unite. In uno dei posti che dovevano essere sicuri. Come farà Netanyahu a difendere anche questo? Purtroppo lo farà e le cose conctinueranno come adesso.

Risposto da Fabio Colasanti su 24 Luglio 2014 a 23:52 Sandra, ti consiglio di leggere anche gli altri contributi. Ne vale la pena. Sandra Del Fabro ha detto: una risposta purtroppo veloce per il tempo limitato che ho. Non sono d'accordo con la tua visione perchè cambiare politica nel senso di sostenere concretamente i diritti umani in quelle regioni e avere una politica diversa rispetto al governo israeliano cambierebbe le cose. Difendere e arrioccare l'Occidente come tu dici porta solo alla guerra Fabio Colasanti ha detto: Sandra, non c'è dubbio che la creazione di Israele abbia creato una ferita non rimarginabile nel mondo arabo. Ma quello che muove oggi gli estremisti islamici è qualcosa di diverso: è l'esistenza stessa delle civiltà occidentali e i loro valori. Non si può quindi agire più sulle cause che generano l'estremismo islamico. Pensi che chi ha creato il "califfato" lottando contro Assad, che non è certo un amico dell'occidente, cambierebbe linea se il governo Netanyahu diventasse di colpo un governo decente? Un conto è il problema dei palestinesi, ben altro è il problema dell'estremismo islamico: al Qaeda, il "califfato" dell'Isis, i talibani e tanti altri estremisti non hanno nulla a che vedere con la situazione in Palestina. I palestinesi in genere sono più "laici" di molti altri mussulmani. Non possiamo "operare nel concreto sulle cause che generano l'estremismo" perché non possiamo e non dobbiamo cedere nulla sui diritti umani, sui diritti delle donne, sulla libertà di espressione e sulla democrazia per compiacere un qualsiasi estremismo religioso.

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Risposto da Roberto Zanre' su 25 Luglio 2014 a 10:57 Avrete già visto. http://www.repubblica.it/esteri/2014/07/24/foto/in_ginocchio_senza_... Non voglio commentare. Ma, provate a immaginare se queste cose le facessero altri, tipo i russi, o gli iraniani... qualcuno che non sia "nostro amico", che non consideriamo "civile", eccetera...

Risposto da Roberto Zanre' su 25 Luglio 2014 a 11:20 Gaza. La scuola ONU colpita da una bomba. Molti morti. Un errore... Perché, invece, le altre scuole e gli ospedali colpiti fino adesso potevano essere colpiti? Altri "errori"... C'è differenza? Perché implicitamente (dentro di noi) facciamo differenza? Inoltre. Perché in questi casi, implicitamente ed emotivamente, ammettiamo che si tratti di errori e dunque di errori "giustificabili"? Eppure, qui c'è perlomeno la "volontà di colpire" in una zona dove è pressoché inevitabile "commettere errori". E allora, perché invece l'errore (vero) sull'aereo nei cieli dell'Ucraina desta (giustamente) tanta esplicita indignazione e accuse e volontà punitiva, eccetera eccetera? E perché mi sono appena accorto di dover scrivere tra parentesi (giustamente), altrimenti rischierei di non essere capito? Sarà perché sono stati i "nostri nemici" (i "russi", europei così diversi da noi, così lontani, così strani, così sconosciuti, così poco affidabili, ...) a commettere l'errore? Perché invece perdoniamo "errori simili" agli "amici"? Davvero l'Occidente immagina di avere una credibilità in questo modo?

Risposto da giorgio varaldo su 25 Luglio 2014 a 12:41 Roberto negli anni 70 pol pot ed i kmer rossi massacrarono un quarto della popolazione cambogiana nel silenzio e nell'indifferenza assoluta. Nell'ISIS oltre ad esser stata introdotta per legge l'infibulazione e' pratica comune la crocifissione dei nemici spwcialmente se cristiani. Capisco lo sdegno per i prigionieri palestinesi in slip ma non dando risalto a notizie come inflibulazione e crocifissioni vi sia uno sdegno di serie A riservato ad israele ed uno ben piu' blando per gli altri?

Risposto da Roberto Zanre' su 25 Luglio 2014 a 13:42 Caro Giorgio... ... proprio non ti capisco... :-) Quello che dici non fa che avvalorare il mio discorso... Se riteniamo di essere (più) civili degli altri... non possiamo agire come stiamo facendo... Sembra che l'importante sia opporre ad un'azione A, una reazione anti-A... ... :-) (Se è per questo, lasciando stare il nazismo, le cui immagini in bianco e nero sono abbastanza richiamate...

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... gli inglesi hanno fatto massacri durante il loro periodo coloniale, gli italiani pure... Gengis Khan ha commesso genocidi, eccetera... e tutta la storia umana è piena zeppa di atrocità di tutti i tipi... gli esempi sarebbero sempre troppo parziali...) giorgio varaldo ha detto: Roberto negli anni 70 pol pot ed i kmer rossi massacrarono un quarto della popolazione cambogiana nel silenzio e nell'indifferenza assoluta. Nell'ISIS oltre ad esser stata introdotta per legge l'infibulazione e' pratica comune la crocifissione dei nemici spwcialmente se cristiani. Capisco lo sdegno per i prigionieri palestinesi in slip ma non dando risalto a notizie come inflibulazione e crocifissioni vi sia uno sdegno di serie A riservato ad israele ed uno ben piu' blando per gli altri?

Risposto da giorgio varaldo su 25 Luglio 2014 a 19:32 gengis khan ed il nazismo appartengono alla storia ISIS appartiene a presente. e visto che dovremmo essere più civili degli altri mi spieghi come si possono custodirecivilmente prigionieri di guerra appena catturati? magari seduti ad un bel tavolino sotto un ombrellone ed una granita fresca di limone? riguardo all'indignazione vedo tanti commenti contro le barbarie di israele ma pochi o nessuno riguardo a quelle che non hanno il torto di essere commesse da israele, addirittura un sito come snoq.3 non riporta la notizia dell'infiubulazione come legge dell'ISIS... Roberto Zanre' ha detto: Caro Giorgio... ... proprio non ti capisco... :-) Quello che dici non fa che avvalorare il mio discorso... Se riteniamo di essere (più) civili degli altri... non possiamo agire come stiamo facendo... Sembra che l'importante sia opporre ad un'azione A, una reazione anti-A... ... :-) (Se è per questo, lasciando stare il nazismo, le cui immagini in bianco e nero sono abbastanza richiamate... ... gli inglesi hanno fatto massacri durante il loro periodo coloniale, gli italiani pure... Gengis Khan ha commesso genocidi, eccetera... e tutta la storia umana è piena zeppa di atrocità di tutti i tipi... gli esempi sarebbero sempre troppo parziali...) giorgio varaldo ha detto: Roberto negli anni 70 pol pot ed i kmer rossi massacrarono un quarto della popolazione cambogiana nel silenzio e nell'indifferenza assoluta. Nell'ISIS oltre ad esser stata introdotta per legge l'infibulazione e' pratica comune la crocifissione dei nemici spwcialmente se cristiani. Capisco lo sdegno per i prigionieri palestinesi in slip ma non dando risalto a notizie come inflibulazione e crocifissioni vi sia uno sdegno di serie A riservato ad israele ed uno ben piu' blando per gli altri? Risposte a questa discussione

Risposto da giovanni de sio cesari su 25 Luglio 2014 a 21:52 Giuseppe certamente: te lo inviero al piu presto Giuseppe Ardizzone ha detto: Giovanni sono totalmente d'accordo . Hai anche il merito di esser chiaro e mi piacerebbe che ne facessi un articolo per la rivista . Ci provi?

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giovanni de sio cesari ha detto: Fabio Certo la domanda è questa cosa fare? Ovviamente non ho le risposte pero mi sono fatta una mia modesta idea che cerco di sintetizzare 1) il modo di ragionare a cui ho accennato puo essere contestato nell’ambito stesso islamico e di fatto lo è ed appartiene sono a una minoranza. In fondo è un processo che abbiamo visto anche nel Cristianesimo. Ma non bisogna credere che HAMAS accetta principi e decisioni ONU che ritiene ( e realmente sono) istituzioni create dagli occidentali con principi occidentali ( li richiamano solo strumentalmente) : i ragionamento che facciamo noi comunemente, non hanno senso per loro 2) quelli che seguono i principi del “deus vult” possono cambiare idea se i fatti dimostrano che “deus NON vult”, cioè con sconfitte definitive (i dervisci a Kartum nel 1899, i Wahabiti dispesi da Mehet Ali e Turchi) : ma questo non è pensabili per motivi filosofici nostri e (della maggioranza) israeliani : non sono pensabili bombardamenti indiscriminati a Gaza come quelli di Dresda o di Tokio, come la repressione dei Curdi o degli sciiti in Iraq, come episodi come Sabra e Chatila in libano) 3) Israele risponde al terrorismo ( attacchi) in modo violento e deciso per dimostrare che comunque il terrorismo non paga, che non può ottenere la vittoria e che la conseguenza dei loro atti è soprattutto quella di infliggere maggiori sofferenze proprio a quei Palestinesi che esso proclama di voler difendere Si vuole che i Palestinesi si convincano della dannosità del terrorismo, che abbandonino la guerra contro Israele e ne accettino la esistenza. Ma questa politica non raggiunge affatto gli scopi prefissi. La popolazione, la gente comune non è in grado, anche se lo volesse, di impedire atti di terrorismo. Viene quindi ritenuta responsabile per qualcosa che non è in grado di impedire. L’effetto sperato dagli Israeliani è che alla fine essi si rendano conto che l’unico modo per uscire da questa angosciosa situazione è quella di combattere essi stessi il terrorismo e i terroristi. Ma in realtà questa reazione psicologica non avviene affatto. Infatti il palestinese oppresso, in miseria, che vede morire i suoi figli non addossa affatto la colpa ai “terroristi” ma agli Israeliani: non considera affatto l’azione israeliana come effetto di quella dei “terroristi” ma anzi fa il collegamento inverso: l’azione terroristica è vista come vendetta di quanto ha subito. Non è l’attentato suicida o il lancio di Kassam che ha causato l’attacco di Israele ma, al contrario, essi sono la reazione all’attacco israeliano. La politica israeliana finisce con il raggiungere il risultato opposto a quello sperato. . 4) Un effetto insolito di questa situazione è l’inversione del fenomeno della conta delle vittime: nelle guerre, in generale, si gonfiano le cifre dei caduti del nemico e si minimizzano le proprie : i Palestinesi invece, al contrario, enfatizzano le proprie perdite: ogni caduto palestinese sembra essere una vittoria perche esalta sempre più il furore e l’odio dei Palestinesi e la commozione presso l’opinione pubblica internazionale. Tutta la guerra è pero inutile: si possono vincere le battaglie ma nessuno puo vincere la guerra: la soluzione è unica e obbligata come tutti sanno: due stati Ma perchè non viene attuata? Gli israeliani dicono: gli arabi vogliono distruggere Israele, prenderebbero la costituzione dello stato palestinese come primo passo e continuerebbero: Cosi hanno fatto a Gaza che non è occupata da Israele ma da cui partono Kassam e terroristi IN buona parte è vero: Tuttavia uno stato palestinese vero e proprio con sufficiente autorità sarebbe responsabile degli attacchi che partono dal proprio territorio come lo sono gli altri stati confinanti da cui infatti non partono attacchi a Israele : quindi vi sarebbe alla fine solo un vantaggio per Israele. Poi gli arabi cometutti i popoli guardano ai risultati : se ci fossero buoni risultati cambierebbero rapidamente opinione Il punto essenziale pero mi pare un altro: gli insediamenti ebraici sulla West bank dovrebbero almeno in parte essere smantellati e che vengono invece sempre piu ampliati. In effetti non c è nessuna motivazione alla loro esistenza se non il fondamentalismo ebraico che è speculare e piu esasperato di quello islamico: Dio ha dato agli ebrei quella terra 3.000 e rotti anni fa , quindi appartiene ai figli di Israele. I fondamentalisti in Israele sono una minoranza ( come fra gli islamici) ma molti compatti aggressivi, organizzati con grande influenza E la gente che tiene due frigoriferi nel terrore che latte e carne si possano mescolare , che di sabato non accende la luce ( hanno uno starter a tempo ). Io credo che la chiave della situazione la abbiano gli americani: essi solo possono costringere effettivamente Israele a seguire l’unica politica ragionevole e mettere a tacere i propri fondamentalisti. Lo faranno mai ? Non so : ma spero che prima o dopo lo facciano.

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Risposto da giovanni de sio cesari su 25 Luglio 2014 a 22:02 giorgio varaldo ha detto: addirittura un sito come snoq.3 non riporta la notizia dell'infiubulazione come legge dell'ISIS... en passant ritengo poco attendibile la notizia che la Isil avrebbe prescritto la infibulazione: si tratta di fanatici furiosi ma pur sempre mussulmani: perchè dovrebbero imporre una pratica che non è prevista dal corano ma che è una tradizione africana praticata anche da cristiani ( copti) e animisti.

Risposto da giorgio varaldo su 25 Luglio 2014 a 22:08 effettivamente la notizia è stata smentita giovanni de sio cesari ha detto: giorgio varaldo ha detto: addirittura un sito come snoq.3 non riporta la notizia dell'infiubulazione come legge dell'ISIS... en passant ritengo poco attendibile la notizia che la Isil avrebbe prescritto la infibulazione: si tratta di fanatici furiosi ma pur sempre mussulmani: perchè dovrebbero imporre una pratica che non è prevista dal corano ma che è una tradizione africana praticata anche da cristiani ( copti) e animisti.

Risposto da giovanni de sio cesari su 25 Luglio 2014 a 22:13 Mi pareva strano! giorgio varaldo ha detto: effettivamente la notizia è stata smentita giovanni de sio cesari ha detto: giorgio varaldo ha detto: addirittura un sito come snoq.3 non riporta la notizia dell'infiubulazione come legge dell'ISIS... en passant ritengo poco attendibile la notizia che la Isil avrebbe prescritto la infibulazione: si tratta di fanatici furiosi ma pur sempre mussulmani: perchè dovrebbero imporre una pratica che non è prevista dal corano ma che è una tradizione africana praticata anche da cristiani ( copti) e animisti.

Risposto da Cristina Favati su 25 Luglio 2014 a 22:20 Vieni sul nostro sito Giorgio? Che bello, mi fa piacere se ci segui. Ora siamo tutte in "vacanza", ma a settembre si riparte veloci. http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RSt201407/140725baduel.pdf giorgio varaldo ha detto: effettivamente la notizia è stata smentita

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giovanni de sio cesari ha detto: giorgio varaldo ha detto: addirittura un sito come snoq.3 non riporta la notizia dell'infiubulazione come legge dell'ISIS... en passant ritengo poco attendibile la notizia che la Isil avrebbe prescritto la infibulazione: si tratta di fanatici furiosi ma pur sempre mussulmani: perchè dovrebbero imporre una pratica che non è prevista dal corano ma che è una tradizione africana praticata anche da cristiani ( copti) e animisti.

Risposto da Roberto Zanre' su 26 Luglio 2014 a 5:52 Caro Giorgio, mentre ti vedo propagatore strumentalizzato (dico scherzosamente) di notizie (vere? O strumentali?) riguardo a questa storia dell'infibulazione (un'orrore) e un insistente sottolineatore della questione prigionieri... ... sembri ignorare completamente le seguenti mie domande... Già post-ate... e per me più importanti. Ti copio/incollo di seguito: Roberto Zanre' ha detto: Gaza. La scuola ONU colpita da una bomba. Molti morti. Un errore... Perché, invece, le altre scuole e gli ospedali colpiti fino adesso potevano essere colpiti? Altri "errori"... C'è differenza? Perché implicitamente (dentro di noi) facciamo differenza? Inoltre. Perché in questi casi, implicitamente ed emotivamente, ammettiamo che si tratti di errori e dunque di errori "giustificabili"? Eppure, qui c'è perlomeno la "volontà di colpire" in una zona dove è pressoché inevitabile "commettere errori". E allora, perché invece l'errore (vero) sull'aereo nei cieli dell'Ucraina desta (giustamente) tanta esplicita indignazione e accuse e volontà punitiva, eccetera eccetera? E perché mi sono appena accorto di dover scrivere tra parentesi (giustamente), altrimenti rischierei di non essere capito? Sarà perché sono stati i "nostri nemici" (i "russi", europei così diversi da noi, così lontani, così strani, così sconosciuti, così poco affidabili, ...) a commettere l'errore? Perché invece perdoniamo "errori simili" agli "amici"? Davvero l'Occidente immagina di avere una credibilità in questo modo? giorgio varaldo ha detto: gengis khan ed il nazismo appartengono alla storia ISIS appartiene a presente. e visto che dovremmo essere più civili degli altri mi spieghi come si possono custodirecivilmente prigionieri di guerra appena catturati? magari seduti ad un bel tavolino sotto un ombrellone ed una granita fresca di limone? riguardo all'indignazione vedo tanti commenti contro le barbarie di israele ma pochi o nessuno riguardo a quelle che non hanno il torto di essere commesse da israele, addirittura un sito come snoq.3 non riporta la notizia dell'infiubulazione come legge dell'ISIS... Roberto Zanre' ha detto: Caro Giorgio... ... proprio non ti capisco... :-) Quello che dici non fa che avvalorare il mio discorso... Se riteniamo di essere (più) civili degli altri... non possiamo agire come stiamo facendo... Sembra che l'importante sia opporre ad un'azione A, una reazione anti-A... ... :-) (Se è per questo, lasciando stare il nazismo, le cui immagini in bianco e nero sono abbastanza richiamate... ... gli inglesi hanno fatto massacri durante il loro periodo coloniale, gli italiani pure... Gengis Khan ha commesso genocidi, eccetera... e tutta la storia umana è piena zeppa di atrocità di tutti i tipi... gli esempi sarebbero sempre troppo parziali...)

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giorgio varaldo ha detto: Roberto negli anni 70 pol pot ed i kmer rossi massacrarono un quarto della popolazione cambogiana nel silenzio e nell'indifferenza assoluta. Nell'ISIS oltre ad esser stata introdotta per legge l'infibulazione e' pratica comune la crocifissione dei nemici spwcialmente se cristiani. Capisco lo sdegno per i prigionieri palestinesi in slip ma non dando risalto a notizie come inflibulazione e crocifissioni vi sia uno sdegno di serie A riservato ad israele ed uno ben piu' blando per gli altri?

Risposto da Carlo De Luca su 26 Luglio 2014 a 8:18 Dovremmo riservargli lo stesso trattamento? Ad uno stato democratico e ad organizzazioni terroristiche? Gli attribuiamo gli stessi standard morali? Probabilmente dovremmo. giorgio varaldo ha detto: Capisco lo sdegno per i prigionieri palestinesi in slip ma non dando risalto a notizie come inflibulazione e crocifissioni vi sia uno sdegno di serie A riservato ad israele ed uno ben piu' blando per gli altri?

Risposto da Carlo De Luca su 26 Luglio 2014 a 8:23 Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, grazie di questo contributo. Aiuta a far capire la posizione di molti mussulmani ortodossi. Ma al tempo stesso questo contributo mostra come tra noi e loro manchino categorie di valore, di ragionamento e di accordo condivise. Che accordi possiamo fare con chi pensa nella maniera che hai descritto? Non si può Fabio, ovviamente non si può. Bisogna ammazzarli tutti o nell'impossibilità tenerli a bada e negargli il diritto ad uno Stato. Ovviamente lo stesso identico ragionamento devono fare i palestinesi, moderati e non, nei confronti di uno stato israeliano che vede al governo partiti ultraortodossi la cui visione del mondo è in nulla indistinguibile da quella così ben descritta da Giovanni. Bisogna ammazzare gli ebrei ed annientare lo Stato d'Israele perché "con quella gente che accordi possiamo fare"? Troppa gente ragiona come voi da quelle parti.

Risposto da giorgio varaldo su 26 Luglio 2014 a 9:21 roberto la notizia - poi rivelatasi bufala - sull'infibulazione la ho citata per dimostrare quale scarso valore attribuisco allo sdegno ed alla protesta dell'opinione pubblica occidentale. cosa provoca lo sdegno? essenzialmente le notizie fornite dai media ed interpretate in chiave politica e come risultato abbiamo uno sdegno squilibrato a favore di una parte e contro l'altra o spesso - in mancanza di campagne di informazione mediatiche - di assenza di sdegno per casi molto gravi (kmer rossi in cambogia passati sotto silenzio). riguardo al caso dell'ospedale non ho risposto in quanto lo ritengo una conseguenza - tragica ma conseguenza- della situazione proprio a causa dello svolgimento dei fatti . cerco di spiegarmi meglio (mi pare di ricordare tu abbia svolto il servizio militare come ufficiale quindi la materia per te non dovrebbe esser ostica) : da chi parte l'ordine di colpire un determinato obiettivo? evidentemente parte dall'ufficiale al comando di quel settore che agisce in base alle regole di ingaggio.

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e le regole di ingaggio hanno previsto varie forme di avvisi alla popolazione di sgomberare l'obiettivo quindi di ridurre al minimo le perdite e poi l'azione militare decisa dall'ufficiale comandante del settore e non dal governo poi - come è successo per il caso dei bimbi uccisi sulla spiaggia partirà una inchiesta per valutare se le regole di ingaggio sono state seguite o meno ma se come comandante di quel settore vedi che da un determinato obiettivo partono colpi contro i tuoi soldati sono sicuro la tua prima preoccupazione sarà quella di neutralizzare l'obiettivo. ritornando al parallelismo con l'ucraina non mi pare di aver mai scritto una sola parola contro o a favore di una delle due parti -se mai ho giustificato le paure russe di aver le proprie basi militari in territorio ucraino potenzialmente NATO - ne tanto meno aver manifestato sdegno riguardo all'abbattimento dell'aereo . e per concludere sullo sdegno e sulle proteste popolari ricordo che quando partivo per la polonia nelle città italiane c'erano proteste contro i missili cruise NATO , arrivavo a varsavia e c'erano proteste contro i missili...gli SS20 russi? no contro i cruise!! Roberto Zanre' ha detto: Caro Giorgio, mentre ti vedo propagatore strumentalizzato (dico scherzosamente) di notizie (vere? O strumentali?) riguardo a questa storia dell'infibulazione (un'orrore) e un insistente sottolineatore della questione prigionieri... ... sembri ignorare completamente le seguenti mie domande... Già post-ate... e per me più importanti. Ti copio/incollo di seguito: Roberto Zanre' ha detto: Gaza. La scuola ONU colpita da una bomba. Molti morti. Un errore... Perché, invece, le altre scuole e gli ospedali colpiti fino adesso potevano essere colpiti? Altri "errori"... C'è differenza? Perché implicitamente (dentro di noi) facciamo differenza? Inoltre. Perché in questi casi, implicitamente ed emotivamente, ammettiamo che si tratti di errori e dunque di errori "giustificabili"? Eppure, qui c'è perlomeno la "volontà di colpire" in una zona dove è pressoché inevitabile "commettere errori". E allora, perché invece l'errore (vero) sull'aereo nei cieli dell'Ucraina desta (giustamente) tanta esplicita indignazione e accuse e volontà punitiva, eccetera eccetera? E perché mi sono appena accorto di dover scrivere tra parentesi (giustamente), altrimenti rischierei di non essere capito? Sarà perché sono stati i "nostri nemici" (i "russi", europei così diversi da noi, così lontani, così strani, così sconosciuti, così poco affidabili, ...) a commettere l'errore? Perché invece perdoniamo "errori simili" agli "amici"? Davvero l'Occidente immagina di avere una credibilità in questo modo?

Risposto da Maria Teresa Calà su 26 Luglio 2014 a 11:32 Guardando questo filmato la mia impressione o almeno quello che mi porta a far pensare che gli attacchi di Israele siano mirati al metro, come può essere che si sia sbagliata nei confronti della scuola ONU?? http://www.youtube.com/watch?v=E3_yyRqGimc&feature=youtu.be

Risposto da Fabio Colasanti su 26 Luglio 2014 a 11:35 Carlo, Non è il caso di trasformare le posizioni in caricature. Ma il problema davanti al quale siamo in questo caso è quello creato da tutte le religioni e che obbliga a cercare soluzioni basate su di una coesistenza, sperabilmente la più pacifica possibile, e, in mancanza di questa, su di un contenimento, ma senza poter arrivare a soluzioni durature per mancanza di valori condivisi.

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Tutte le religioni tendono a dividere le persone perché introducono nelle discussioni degli elementi non razionali e non dimostrabili sui quali un accordo è impossibile. In tutte le parti del mondo gli uomini di fronte ai tanti misteri del nostro mondo – grandi ancora per noi, enormi per le conoscenze di venti o trenta secoli fa – hanno inventato delle risposte diverse, più o meno poetiche, ma tutte basate su fondamenti non dimostrabili. Oggi per molti popoli la religione è un aspetto privato della vita umana con un'influenza limitata sulla vita pubblica (da noi questo risultato è stato ottenuto grazie all'Illuminismo), ma per altri la religione continua ad essere un aspetto dominante della loro vita, a volte uno che non è separabile dalla vita collettiva. Quando la religione è un aspetto importante, gli accordi sono possibili solo se ci si mette d'accordo nel lasciare da parte gli aspetti religiosi. Questo diventa però molto difficile quando perfino l'assegnazione di alcuni territori sarebbe stata decisa dal dio degli uni o degli altri. Quello che Giovanni ha descritto non si applica solo ai palestinesi, ma si applica a tutti i mussulmani ortodossi (abbiamo appena avuto notizia di altre distruzioni operate dal califfato a Mosul; per le stesse ragioni che hanno portato i Talebani a distruggere i budda di Bamiyam). Gli elementi di divisione che le religioni introducono diventano particolarmente gravi in presenza di due elementi (che purtroppo si ritrovano nell'Islam): a) la convinzione che alcuni testi abbiano un carattere sacro e b) l'assenza di una gerarchia ecclesiatica che possa interpretare le credenze religiose in funzione dell'evoluzione dei tempi. Purtroppo il Corano ha trasformato in parola di dio gli usi e costumi dei pastori arabi del sesto secolo. So bene che molte cose che ci sembrano assurde del comportamento di molti estremisti islamici non si ritrovano nel Corano, ma rimane il fatto che questo testo è considerato da molto mussulmani non interpretabile. Nella Bibbia ci sono tantissime cose astruse – spesso semplicemente il risultato di vistosi errori di traduzione – ma per fortuna sono pochi i cristiani che la interpretano in senso letterale. I cristiani hanno delle gerarchie religiose che regolarmente hanno cercato di adattare le credenze ai cambiamenti della società e all'evoluzione delle conoscenze scientifiche. Abbiamo avuto la condanna di Galileo – una vergogna – ma oggi le chiese cristiane non affermano più che la Terra sia il centro dell'universo (anche se molte rifiutano ogni forma di sviluppo evolutivo e affermano che il mondo sarebbe stato creato nella sua forma attuale in sei giorni). Nella stessa maniera vediamo l'ordinazione di sacerdoti e vescovi donne in molti gruppi cristiani. Alcuni gruppi sono stati molto più efficaci. Quando alla fine del diciannovesimo secolo il problema della poligamia costituiva l'ostacolo principale all'ammissione del territorio dello Utah negli Stati Uniti come stato, Cristo apparve provvidenzialmente e convinse il presidente della chiesa mormone di quel momento; Wilford Woodruff, che la pratica della poligamia "non era più necessaria" e gli permise di proclamare il "Manifesto" del 1890 che mise fine alla pratica (ma ancora oggi ci sono piccole comunità che non riconoscono questa decisione). Purtroppo l'Islam non ha autorità religiose che possano adattare le credenze ai tempi. Chissà forse il califfato potrebbe avere un giorno una certa influenza – giro la domanda a Giovanni – ma oggi non va certo nella direzione giusta. Quindi nel discutere o negoziare con popoli per i quali la religione è un elemento importante dobbiamo accettare che non potremo mai avere accordi del tipo di quelli che si possono raggiungere con persone con le quali condividiamo i principi fondamentali del vivere assieme. Questo non significa certo volerli sterminare. Ma significa accettare che non è pensabile che in questi paesi si possano sviluppare prima di molti decenni forme di governo democratico nel senso che intendiamo noi (non possiamo andare in giro a portare la democrazia come credono ingenuamente molti americani) e che le relazioni saranno sempre caratterizzate da un certo livello di disaccordo e tensione. Noi non possiamo accettare che le donne siano represse come nell'Arabia Saudita e loro non possono accettare che le nostre donne si comportino in maniera che loro considerano indecente. Noi non possiamo accettare che le donne siano obbligate a sposarsi a 12/13 anni come nello Yemen e in altre parti del mondo mussulmano e loro non possono capire come le nostre donne possano decidere da sole chi sposare. E la lista degli esempi di questo tipo potrebbe essere molto lunga. Ritorno su di un punto che Sandra non sembra afferrare. Per molti mussulmani è incomprensibile che l'occidente – peccaminoso e corrotto – abbia lo sviluppo economico che ha mentre il mondo mussulmano (specialmente quello arabo) vive in una situazione da terzo mondo (salvo chi ha il petrolio). La cosa è per loro tanto più incomprensibile quando pensano alla storia della presenza araba nel nord Africa e in Spagna e ai successi dell'impero ottomano. Questo deve essere dovuto al fatto che il mondo occidentale ha truccato le carte, ha oppresso militarmente il mondo

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arabo e chissà cosa altro ha fatto. Obiettivo di ogni credente mussulmano è rovesciare questa situazione (poi si va in Arabia Saudita e si incontrano anche molti esponenti locali che accettano che il grosso problema è l'istruzione coranica che impedisce lo sviluppo di conoscenze tecniche e scientifiche adeguate; per fortuna molti arabi vanno a studiare nelle università occidentali e sono questi che poi amministrano i paesi con i migliori risultati economici). Per molti estremisti islamici l'esistenza stessa della società occidentale è "il problema". L'invidia per i successi economici, politici e militari del mondo occidentale che si ritrova nel mondo arabo ricorda quella che si riscontra nel mondo cinese, altro impero di "mezzo" (mezzo tra il paradiso ed il resto del mondo) che è stato deprivato del suo legittimo posto dai diavoli occidentali. Ma anche su queste ultime riflessioni penso che Giovanni potrà darci commenti aggiuntivi

Risposto da giorgio varaldo su 26 Luglio 2014 a 12:33 sembra che dall'area della scuola HAMAS lanciasse razzi e dall'articolo risulta che tsahal avesse comunicato all'ONU la richiesta di sgombrare la scuola in quanto possibile obiettivo. http://www.ilpost.it/2014/07/25/scuola-onu-gaza/ Maria Teresa Calà ha detto: Guardando questo filmato la mia impressione o almeno quello che mi porta a far pensare che gli attacchi di Israele siano mirati al metro, come può essere che si sia sbagliata nei confronti della scuola ONU?? http://www.youtube.com/watch?v=E3_yyRqGimc&feature=youtu.be Risposte a questa discussione

Risposto da Maria Teresa Calà su 26 Luglio 2014 a 13:22 @Fabio il Cristianesimo non è cambiato sono semmai gli uomini che hanno cercato di adattarlo ERRONEAMENTE ai tempi e questo sin dai secoli successivi alla morte e alla resurrezione di Cristo. La Chiesa primitiva era quella che professava il vero Cristianesimo. Ma da quando l'uomo si è arrogato di fare il Dio in terra le cose sono cambiate: i dogmi imposti sono tanti e nn si segue più il vero cammino cristiano. Galileo cadde nella condanna di eresia per questo motivo perché ciò che gli uomini (intendo la piramide clericale) avevano costruito interpretando le Scritture in modo sbagliato e a proprio comodo, per mezzo delle quali riusciva ad esercitare il suo potere temporale sulla società quindi sugli uomini. Le cose in maniera diversa non sono cambiate nemmeno oggi anche sotto una parvenza più evangelica, sotto sotto i dogmi creati non permettono più un ritorno al vero cristianesimo. Essere cristiani è la riappropriazione personale di quello che ha significato la venuta di Cristo: la Sua morte e la Sua resurrezione, l'avvento dell'era della Grazia. Dico questo per dire che nessuna "Religione" è in grado di salvare tutte le denominazioni cristiane nascono da pensieri umani. Quindi andare ad esaminare i vari eventi storici e trovarne il filo è molto ma molto arduo. l'Islam è un credo, fatto anche da uomini: che vuol dire adattare la credenza ai tempi???? Se il Cristianesimo esprime una Verità, come la puoi adattare ai tempi?? Se è adattabile ai tempi nn è più Verità! Questo vale anche per Islam, all'interno del quale si sono sviluppate diverse credenze, fra loro in contrasto con fini diversi. Le ragioni delle guerre hanno sempre carattere materiale magari palesato dal credo religioso, difficile in questo caso poter capire o dare ragione all'uno o all'altra parte perché può essere una volta dell'una una volta dell'altro. Quindi nel discutere o negoziare con popoli per i quali la religione è un elemento importante dobbiamo accettare che non potremo mai avere accordi del tipo di quelli che si possono raggiungere con persone con le quali condividiamo i principi fondamentali del vivere assieme. Però dobbiamo cercare affinché i principi fondamentali di pacifica convivenza vengano a realizzarsi senza due pesi e due misure, come certe volte accade! Fabio Colasanti ha detto: ......... I cristiani hanno delle gerarchie religiose che regolarmente hanno cercato di adattare le credenze ai cambiamenti della società e all'evoluzione delle conoscenze scientifiche. Abbiamo avuto la condanna di Galileo – una vergogna – ma oggi le chiese cristiane non affermano più che la Terra sia il centro dell'universo (anche se molte rifiutano ogni forma di sviluppo evolutivo e affermano che il mondo sarebbe stato creato nella sua forma attuale in sei giorni). Nella stessa

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

maniera vediamo l'ordinazione di sacerdoti e vescovi donne in molti gruppi cristiani. Alcuni gruppi sono stati molto più efficaci. Quando alla fine del diciannovesimo secolo il problema della poligamia costituiva l'ostacolo principale all'ammissione del territorio dello Utah negli Stati Uniti come stato, Cristo apparve provvidenzialmente e convinse il presidente della chiesa mormone di quel momento; Wilford Woodruff, che la pratica della poligamia "non era più necessaria" e gli permise di proclamare il "Manifesto" del 1890 che mise fine alla pratica (ma ancora oggi ci sono piccole comunità che non riconoscono questa decisione). Purtroppo l'Islam non ha autorità religiose che possano adattare le credenze ai tempi. Chissà forse il califfato potrebbe avere un giorno una certa influenza – giro la domanda a Giovanni – ma oggi non va certo nella direzione giusta. Quindi nel discutere o negoziare con popoli per i quali la religione è un elemento importante dobbiamo accettare che non potremo mai avere accordi del tipo di quelli che si possono raggiungere con persone con le quali condividiamo i principi fondamentali del vivere assieme. Questo non significa certo volerli sterminare. Ma significa accettare che non è pensabile che in questi paesi si possano sviluppare prima di molti decenni forme di governo democratico nel senso che intendiamo noi (non possiamo andare in giro a portare la democrazia come credono ingenuamente molti americani) e che le relazioni saranno sempre caratterizzate da un certo livello di disaccordo e tensione. Noi non possiamo accettare che le donne siano represse come nell'Arabia Saudita e loro non possono accettare che le nostre donne si comportino in maniera che loro considerano indecente. Noi non possiamo accettare che le donne siano obbligate a sposarsi a 12/13 anni come nello Yemen e in altre parti del mondo mussulmano e loro non possono capire come le nostre donne possano decidere da sole chi sposare. E la lista degli esempi di questo tipo potrebbe essere molto lunga. Ritorno su di un punto che Sandra non sembra afferrare. Per molti mussulmani è incomprensibile che l'occidente – peccaminoso e corrotto – abbia lo sviluppo economico che ha mentre il mondo mussulmano (specialmente quello arabo) vive in una situazione da terzo mondo (salvo chi ha il petrolio). La cosa è per loro tanto più incomprensibile quando pensano alla storia della presenza araba nel nord Africa e in Spagna e ai successi dell'impero ottomano. Questo deve essere dovuto al fatto che il mondo occidentale ha truccato le carte, ha oppresso militarmente il mondo arabo e chissà cosa altro ha fatto. Obiettivo di ogni credente mussulmano è rovesciare questa situazione (poi si va in Arabia Saudita e si incontrano anche molti esponenti locali che accettano che il grosso problema è l'istruzione coranica che impedisce lo sviluppo di conoscenze tecniche e scientifiche adeguate; per fortuna molti arabi vanno a studiare nelle università occidentali e sono questi che poi amministrano i paesi con i migliori risultati economici). Per molti estremisti islamici l'esistenza stessa della società occidentale è "il problema". L'invidia per i successi economici, politici e militari del mondo occidentale che si ritrova nel mondo arabo ricorda quella che si riscontra nel mondo cinese, altro impero di "mezzo" (mezzo tra il paradiso ed il resto del mondo) che è stato deprivato del suo legittimo posto dai diavoli occidentali. Ma anche su queste ultime riflessioni penso che Giovanni potrà darci commenti aggiuntivi

Risposto da Fabio Colasanti su 26 Luglio 2014 a 13:39 Maria Teresa, so bene che il parlare di religioni ci porta su di un terreno molto pericoloso, ma una volta iniziata la discussione è difficile bloccarla. Per me tutte le religioni sono creazioni umane e non possono essere altro. Non credo nell'esistenza di un essere superiore che si sarebbe manifestato in un certo momento della storia e avrebbe espresso i suoi desideri. Che le religioni, come ogni altra regola sociale, si adattino all'andamento delle conoscenze e delle sensibilità umane mi sembra una cosa molto positiva. Una volta la morte dei gladiatori nel circo era uno spettacolo molto apprezzato; successivamente le esecuzioni capitali, comprese quelle per motivi religiosi, si facevano in piazza e richiamavano folle enormi. Per fortuna (valutazione soggettiva mia) oggi abbiamo un atteggiamento diverso nei confronti della sofferenza umana e la maggioranza della popolazione mondiale è contro la pena di morte e non vuole vedere soffrire la gente.

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Quello che io rimpiango è il fatto che l'adattamento per alcune religioni è reso difficile dal fatto di considerare di origine divina dei testi di molti secoli addietro che riflettono inevitabilmente le sensibilità e le conoscenze delle persone che li hanno scritti.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 26 Luglio 2014 a 13:59 Ripropongo l'intervento di Giovanni , che condivido , perchè mi sembra che, se letto con maggiore attenzione ,possa fornir un contributo maggiore al dibattito .. In particolare è inutile spiegarci ancora una volta le cause della guerra , la natura delle incomprensioni , la difficoltò o adirittura l'impossibilità del dialogo . La vera questione è perseguire e fare pressione perchè si sviluppino azioni diplomatiche che portino ad un ragionevole, parziale "compromesso" Nessuno deve pertanto comprendere o re il proprio atteggiamento . No!. bisogna arrivare ad un "compromesso per sopravvivere" e consentire alla massa media delle persone, che sono concrete e poco sensibili alle questioni di principio, di sperare in un miglioramento della propria vita. Giovanni ce lo spiega con chiarezza. Tutto questo passa probabilmente attraverso una parziale restituzione delle terre occupate dai coloni ebrei. ,dalla costituzione di uno stato palestinese accanto ad Israele ed il riconoscimento reciproco ( se possibile, altrimenti è importante comunque la sua costituzione)) e un piano mondiale di sostegno finanziario allo sviluppo specifico di questo nuovo stato ( soldi a palate per ottenere rapidamente un miglioramento netto delle condizioni di vita di questa gente. Con la pancia piena , si ragiona meglio) giovanni de sio cesari ha detto: Fabio Certo la domanda è questa cosa fare? Ovviamente non ho le risposte pero mi sono fatta una mia modesta idea che cerco di sintetizzare 1) il modo di ragionare a cui ho accennato puo essere contestato nell’ambito stesso islamico e di fatto lo è ed appartiene sono a una minoranza. In fondo è un processo che abbiamo visto anche nel Cristianesimo. Ma non bisogna credere che HAMAS accetta principi e decisioni ONU che ritiene ( e realmente sono) istituzioni create dagli occidentali con principi occidentali ( li richiamano solo strumentalmente) : i ragionamento che facciamo noi comunemente, non hanno senso per loro 2) quelli che seguono i principi del “deus vult” possono cambiare idea se i fatti dimostrano che “deus NON vult”, cioè con sconfitte definitive (i dervisci a Kartum nel 1899, i Wahabiti dispesi da Mehet Ali e Turchi) : ma questo non è pensabili per motivi filosofici nostri e (della maggioranza) israeliani : non sono pensabili bombardamenti indiscriminati a Gaza come quelli di Dresda o di Tokio, come la repressione dei Curdi o degli sciiti in Iraq, come episodi come Sabra e Chatila in libano) 3) Israele risponde al terrorismo ( attacchi) in modo violento e deciso per dimostrare che comunque il terrorismo non paga, che non può ottenere la vittoria e che la conseguenza dei loro atti è soprattutto quella di infliggere maggiori sofferenze proprio a quei Palestinesi che esso proclama di voler difendere Si vuole che i Palestinesi si convincano della dannosità del terrorismo, che abbandonino la guerra contro Israele e ne accettino la esistenza. Ma questa politica non raggiunge affatto gli scopi prefissi. La popolazione, la gente comune non è in grado, anche se lo volesse, di impedire atti di terrorismo. Viene quindi ritenuta responsabile per qualcosa che non è in grado di impedire. L’effetto sperato dagli Israeliani è che alla fine essi si rendano conto che l’unico modo per uscire da questa angosciosa situazione è quella di combattere essi stessi il terrorismo e i terroristi. Ma in realtà questa reazione psicologica non avviene affatto. Infatti il palestinese oppresso, in miseria, che vede morire i suoi figli non addossa affatto la colpa ai “terroristi” ma agli Israeliani: non considera affatto l’azione israeliana come effetto di quella dei “terroristi” ma anzi fa il collegamento inverso: l’azione terroristica è vista come vendetta di quanto ha subito. Non è l’attentato suicida o il lancio di Kassam che ha causato l’attacco di Israele ma, al contrario, essi sono la reazione all’attacco israeliano. La politica israeliana finisce con il raggiungere il risultato opposto a quello sperato. 4) Un effetto insolito di questa situazione è l’inversione del fenomeno della conta delle vittime: nelle guerre, in generale, si gonfiano le cifre dei caduti del nemico e si minimizzano le proprie : i Palestinesi invece, al contrario, enfatizzano le proprie perdite: ogni caduto palestinese sembra essere una vittoria perche esalta sempre più il furore e l’odio dei Palestinesi e la commozione presso l’opinione pubblica internazionale. Tutta la guerra è però inutile: si possono vincere le battaglie ma nessuno puo vincere la guerra: la soluzione è unica e obbligata come tutti sanno: due stati Ma perchè non viene attuata?

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Gli israeliani dicono: gli arabi vogliono distruggere Israele, prenderebbero la costituzione dello stato palestinese come primo passo e continuerebbero. Cosi hanno fatto a Gaza che non è occupata da Israele ma da cui partono Kassam e terroristi. In buona parte è vero: Tuttavia uno stato palestinese vero e proprio con sufficiente autorità sarebbe responsabile degli attacchi che partono dal proprio territorio come lo sono gli altri stati confinanti da cui infatti non partono attacchi a Israele : quindi vi sarebbe alla fine solo un vantaggio per Israele. Poi gli arabi come tutti i popoli guardano ai risultati : se ci fossero buoni risultati cambierebbero rapidamente opinione Il punto essenziale pero mi pare un altro: gli insediamenti ebraici sulla West bank dovrebbero almeno in parte essere smantellati e che vengono invece sempre piu ampliati. In effetti non c'è nessuna motivazione alla loro esistenza se non il fondamentalismo ebraico che è speculare e piu esasperato di quello islamico: Dio ha dato agli ebrei quella terra 3.000 e rotti anni fa, quindi appartiene ai figli di Israele. I fondamentalisti in Israele sono una minoranza (come fra gli islamici), ma molto compatti aggressivi, organizzati con grande influenza. E la gente che tiene due frigoriferi nel terrore che latte e carne si possano mescolare, che di sabato non accende la luce (hanno uno starter a tempo). Io credo che la chiave della situazione la abbiano gli americani: essi solo possono costringere effettivamente Israele a seguire l’unica politica ragionevole e mettere a tacere i propri fondamentalisti. Lo faranno mai ? Non so : ma spero che prima o dopo lo facciano. Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, grazie di questo contributo. Aiuta a far capire la posizione di molti mussulmani ortodossi. Ma al tempo stesso questo contributo mostra come tra noi e loro manchino categorie di valore, di ragionamento e di accordo condivise. Che accordi possiamo fare con chi pensa nella maniera che hai descritto?

Risposto da Fabio Colasanti su 26 Luglio 2014 a 14:47 Giuseppe, sono almeno trenta anni che la comunità internazionale fa qualcosa per risolvere il problema esattamente nella direzione che tu suggerisci. Ai tempi degli accordi Oslo ci si era arrivati abbastanza vicini. Purtroppo però non si è riusciti – o non si è voluto - fare l'ultimo passo e spingere (obbligare) le due parti ad accettare l'accordo che era sul tavolo. Yitzhak Rabin è stato poi assassinato due anni dopo l'accordo. Nonostante questo, i negoziati sono andati avanti e a Taba i palestinesi hanno avuto sul tavolo probabilmente l'accordo migliore possibile e immaginabile, ma Yasser Arafat non se l'è sentita di firmare. Subito dopo questo incontro, Netanyahu è andato al potere e la porta si è richiusa definitivamente. Poco prima di vincere le elezioni, Netanyahu era stato registrato da un microfono aperto e aveva detto che "Certamente avrebbe dichiarato di essere a favore degli accordi di Oslo. Ma che li avrebbe interpretati in una maniera che avrebbe messo fine a questi insensato ritorno ai confini del 1967." Non avrebbe mai accettato che l'esercito israeliano si dovesse ritirare da alcuni posti strategici della vallata del Giordano. Da allora la politica degli insediamenti è continuata ed ha raggiunto le dimensioni che conosciamo. Quale sarà mai il governo americano in grado di fare le necessarie pressioni su Israele perché ritorni ai confini del 1967 (anche senza Gerusalemme est)? Pensa al dramma che è stato l'abbandono dei pochi insediamenti che c'erano nella striscia di Gaza. Pensa che il ritiro da Gaza è stato possibile grazie all'autorità di un primo ministro "falco" come Ariel Sharon. Chi imporrà mai questo "compromesso" agli israeliani? Chi sarà poi mai in grado di esercitare le necessarie pressioni sul lato palestinese perché accettino un "compromesso" che non includa la restituzione di Gerusalemme est e che non preveda il ritorno dei discendenti dei palestinesi espulsi nel 1984? Possiamo esprimere tutti i buoni propositi che vogliamo, ma se riflettiamo un attimo alla realtà di quello che è necessario come compromesso da una parte e dall'altra non vedo soluzioni possibili. Esprimere la speranza che

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succeda qualcosa ci mette nella situazione del predicatore domenicale che esorta a "volersi bene", ma non ci fa capire la natura dei problemi. Non vedo i paesi europei e gli Stati Uniti tagliare i vieveri a Israele in maniera brutale per imporre il ritorno a confini abbastanza vicini a quelli del 1967. Anche perché non vedo nessuno che abbia la possibilità di fare pressioni analoghe sul lato palestinese. Il dramma della situazione attuale è che non abbiamo "mediatori" e che il Medio Oriente, da quando gli Stati Uniti sono diventati praticamente autosufficienti in materia energetica, ha perso la sua importanza strategica. Gli Stati Uniti non hanno più bisogno del petrolio del Medio Oriente. Noi, gli europei, si. Ma militarmente siamo dei pigmei e in politica estera non contiamo molto.

Risposto da Roberto Zanre' su 26 Luglio 2014 a 14:54 Caro Giorgio, scherzando ti dico che "mi arrendo" :-) Tutti i miei interventi volevano sottolineare proprio lo stato dell'informazione e la strumentalizzazione delle opinioni pubbliche (e non solo quella occidentale). Le strumentalizzazioni dettano le agende politiche e le scelte di politica internazionale (lasciamo perdere cosa accade dentro i confini più ristretti... altrimenti non finiamo più). Non c'è nulla di più pericoloso, in termini di pace, ovvero di sicurezza reciproca. Volevo, riassumendo ancora, sottolineare che non è alimentando i luoghi comuni o alimentando le "paure del diverso da noi" che si potrà vivere in un mondo migliore (pragmaticamente migliore, cioè un mondo ragionevolmente più sicuro e più equilibrato). Inoltre, le opzioni militari nascono da valutazioni sbagliate: l'idea di fondo è che si possa esercitare una violenza generale e asimmetrica e che questo possa portare a un successivo periodo di tranquillità (almeno temporaneamente). Nulla di più sbagliato. E i fatti lo dimostrano. Sono decenni che Israele, per esempio, sceglie questa opzione (e non sempre per motivi nobili). Ma il mio discorso non si limita al MO. Tornando a noi, sono contento che ora sia tu a spiegarmi questa cosa. Come dico da tempo, stiamo dicendo le stesse cose... enfatizzando sfumature diverse. Ciao... (Le mie domande probabilmente sono criptiche... perché non riguardavano la scuola ONU). giorgio varaldo ha detto: roberto la notizia - poi rivelatasi bufala - sull'infibulazione la ho citata per dimostrare quale scarso valore attribuisco allo sdegno ed alla protesta dell'opinione pubblica occidentale. cosa provoca lo sdegno? essenzialmente le notizie fornite dai media ed interpretate in chiave politica e come risultato abbiamo uno sdegno squilibrato a favore di una parte e contro l'altra o spesso - in mancanza di campagne di informazione mediatiche - di assenza di sdegno per casi molto gravi (kmer rossi in cambogia passati sotto silenzio). riguardo al caso dell'ospedale non ho risposto in quanto lo ritengo una conseguenza - tragica ma conseguenza- della situazione proprio a causa dello svolgimento dei fatti . cerco di spiegarmi meglio (mi pare di ricordare tu abbia svolto il servizio militare come ufficiale quindi la materia per te non dovrebbe esser ostica) : da chi parte l'ordine di colpire un determinato obiettivo? evidentemente parte dall'ufficiale al comando di quel settore che agisce in base alle regole di ingaggio. e le regole di ingaggio hanno previsto varie forme di avvisi alla popolazione di sgomberare l'obiettivo quindi di ridurre al minimo le perdite e poi l'azione militare decisa dall'ufficiale comandante del settore e non dal governo poi - come è successo per il caso dei bimbi uccisi sulla spiaggia partirà una inchiesta per valutare se le regole di ingaggio sono state seguite o meno ma se come comandante di quel settore vedi che da un determinato obiettivo partono colpi contro i tuoi soldati sono sicuro la tua prima preoccupazione sarà quella di neutralizzare l'obiettivo. ritornando al parallelismo con l'ucraina non mi pare di aver mai scritto una sola parola contro o a favore di una delle due parti -se mai ho giustificato le paure russe di aver le proprie basi militari in territorio ucraino potenzialmente NATO - ne tanto meno aver manifestato sdegno riguardo all'abbattimento dell'aereo . e per concludere sullo sdegno e sulle proteste popolari ricordo che quando partivo per la polonia nelle città italiane c'erano proteste contro i missili cruise NATO , arrivavo a varsavia e c'erano proteste contro i missili...gli SS20 russi? no contro i cruise!!

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Risposto da Roberto Zanre' su 26 Luglio 2014 a 15:05 Esattamente. Compromesso. Non è una parola nuova, ma sicuramente sembra che altre opzioni siano più frequentate. Le idee che fanno percepire "il compromesso" come non praticabile si basano tutte su assunti sbagliati (i fatti lo dimostrano): l'idea di essere autosufficienti, di potercela fare lo stesso, di poter reprimere in modo efficace, il percepire "l'altro" come portatore di tutti i torti, il percepire come significativi i propri principi, l'idea che l'asimmetria nella capacità di esercitare la violenza possa "pagare", eccetera eccetera... Giuseppe Ardizzone ha detto: Ripropongo l'intervento di Giovanni , che condivido , perchè mi sembra che, se letto con maggiore attenzione ,possa fornir un contributo maggiore al dibattito .. In particolare è inutile spiegarci ancora una volta le cause della guerra , la natura delle incomprensioni , la difficoltò o adirittura l'impossibilità del dialogo . La vera questione è perseguire e fare pressione perchè si sviluppino azioni diplomatiche che portino ad un ragionevole, parziale "compromesso" Nessuno deve pertanto comprendere o re il proprio atteggiamento . No!. bisogna arrivare ad un "compromesso per sopravvivere" e consentire alla massa media delle persone, che sono concrete e poco sensibili alle questioni di principio, di sperare in un miglioramento della propria vita. Giovanni ce lo spiega con chiarezza. Tutto questo passa probabilmente attraverso una parziale restituzione delle terre occupate dai coloni ebrei. ,dalla costituzione di uno stato palestinese accanto ad Israele ed il riconoscimento reciproco ( se possibile, altrimenti è importante comunque la sua costituzione)) e un piano mondiale di sostegno finanziario allo sviluppo specifico di questo nuovo stato ( soldi a palate per ottenere rapidamente un miglioramento netto delle condizioni di vita di questa gente. Con la pancia piena , si ragiona meglio) giovanni de sio cesari ha detto: Fabio Certo la domanda è questa cosa fare? Ovviamente non ho le risposte pero mi sono fatta una mia modesta idea che cerco di sintetizzare 1) il modo di ragionare a cui ho accennato puo essere contestato nell’ambito stesso islamico e di fatto lo è ed appartiene sono a una minoranza. In fondo è un processo che abbiamo visto anche nel Cristianesimo. Ma non bisogna credere che HAMAS accetta principi e decisioni ONU che ritiene ( e realmente sono) istituzioni create dagli occidentali con principi occidentali ( li richiamano solo strumentalmente) : i ragionamento che facciamo noi comunemente, non hanno senso per loro 2) quelli che seguono i principi del “deus vult” possono cambiare idea se i fatti dimostrano che “deus NON vult”, cioè con sconfitte definitive (i dervisci a Kartum nel 1899, i Wahabiti dispesi da Mehet Ali e Turchi) : ma questo non è pensabili per motivi filosofici nostri e (della maggioranza) israeliani : non sono pensabili bombardamenti indiscriminati a Gaza come quelli di Dresda o di Tokio, come la repressione dei Curdi o degli sciiti in Iraq, come episodi come Sabra e Chatila in libano) 3) Israele risponde al terrorismo ( attacchi) in modo violento e deciso per dimostrare che comunque il terrorismo non paga, che non può ottenere la vittoria e che la conseguenza dei loro atti è soprattutto quella di infliggere maggiori sofferenze proprio a quei Palestinesi che esso proclama di voler difendere Si vuole che i Palestinesi si convincano della dannosità del terrorismo, che abbandonino la guerra contro Israele e ne accettino la esistenza. Ma questa politica non raggiunge affatto gli scopi prefissi. La popolazione, la gente comune non è in grado, anche se lo volesse, di impedire atti di terrorismo. Viene quindi ritenuta responsabile per qualcosa che non è in grado di impedire. L’effetto sperato dagli Israeliani è che alla fine essi si rendano conto che l’unico modo per uscire da questa angosciosa situazione è quella di combattere essi stessi il terrorismo e i terroristi. Ma in realtà questa reazione psicologica non avviene affatto. Infatti il palestinese oppresso, in miseria, che vede morire i suoi figli non addossa affatto la colpa ai “terroristi” ma agli Israeliani: non considera affatto l’azione israeliana come effetto di quella dei “terroristi” ma anzi fa il collegamento inverso: l’azione terroristica è vista come vendetta di quanto ha subito. Non è l’attentato suicida o il lancio di Kassam che ha causato l’attacco di Israele ma, al contrario, essi sono la reazione all’attacco israeliano. La politica israeliana finisce con il raggiungere il risultato opposto a quello sperato.

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4) Un effetto insolito di questa situazione è l’inversione del fenomeno della conta delle vittime: nelle guerre, in generale, si gonfiano le cifre dei caduti del nemico e si minimizzano le proprie : i Palestinesi invece, al contrario, enfatizzano le proprie perdite: ogni caduto palestinese sembra essere una vittoria perche esalta sempre più il furore e l’odio dei Palestinesi e la commozione presso l’opinione pubblica internazionale. Tutta la guerra è però inutile: si possono vincere le battaglie ma nessuno puo vincere la guerra: la soluzione è unica e obbligata come tutti sanno: due stati Ma perchè non viene attuata? Gli israeliani dicono: gli arabi vogliono distruggere Israele, prenderebbero la costituzione dello stato palestinese come primo passo e continuerebbero. Cosi hanno fatto a Gaza che non è occupata da Israele ma da cui partono Kassam e terroristi. In buona parte è vero: Tuttavia uno stato palestinese vero e proprio con sufficiente autorità sarebbe responsabile degli attacchi che partono dal proprio territorio come lo sono gli altri stati confinanti da cui infatti non partono attacchi a Israele : quindi vi sarebbe alla fine solo un vantaggio per Israele. Poi gli arabi come tutti i popoli guardano ai risultati : se ci fossero buoni risultati cambierebbero rapidamente opinione Il punto essenziale pero mi pare un altro: gli insediamenti ebraici sulla West bank dovrebbero almeno in parte essere smantellati e che vengono invece sempre piu ampliati. In effetti non c'è nessuna motivazione alla loro esistenza se non il fondamentalismo ebraico che è speculare e piu esasperato di quello islamico: Dio ha dato agli ebrei quella terra 3.000 e rotti anni fa, quindi appartiene ai figli di Israele. I fondamentalisti in Israele sono una minoranza (come fra gli islamici), ma molto compatti aggressivi, organizzati con grande influenza. E la gente che tiene due frigoriferi nel terrore che latte e carne si possano mescolare, che di sabato non accende la luce (hanno uno starter a tempo). Io credo che la chiave della situazione la abbiano gli americani: essi solo possono costringere effettivamente Israele a seguire l’unica politica ragionevole e mettere a tacere i propri fondamentalisti. Lo faranno mai ? Non so : ma spero che prima o dopo lo facciano. Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, grazie di questo contributo. Aiuta a far capire la posizione di molti mussulmani ortodossi. Ma al tempo stesso questo contributo mostra come tra noi e loro manchino categorie di valore, di ragionamento e di accordo condivise. Che accordi possiamo fare con chi pensa nella maniera che hai descritto?

Risposto da Roberto Zanre' su 26 Luglio 2014 a 15:19 Concordo con quasi tutto quello che scrivi Fabio... ... anche perché è proprio quello che è accaduto e che sta accadendo. Gli errori nel passato ci sono stati, e molto gravi, da entrambe le parti. Oggettivamente non appare più possibile il ritorno ai confini del 1967. Ma allora bisogna essere onesti. Il vero ostacolo OGGI sono gli israeliani e il fatto che tutto il mondo occidentale non ha nessuna voglia (capacità politica, militare, eccetera) di obbligare Israele a intraprendere una strada del genere. Non sarebbe così se dovessimo obbligare qualcun altro. In quel caso riusciremmo a fare pressioni, coinvolgeremmo l'ONU, formeremmo l'opinione pubblica, creeremmo i casus belli necessari, eccetera eccetera. Già questo dimostra che possa essere giustificato il modo in cui la restante parte del mondo ci osserva e ci giudica. Certamente non si può avere fiducia in questo modo. Noi occidentali, poliziotti del mondo, esercitiamo troppo spesso una politica dei due pesi e delle due misure (che è quello che cerco di dire da molto tempo). Fabio Colasanti ha detto: Giuseppe, sono almeno trenta anni che la comunità internazionale fa qualcosa per risolvere il problema esattamente nella direzione che tu suggerisci. Ai tempi degli accordi Oslo ci si era arrivati abbastanza vicini. Purtroppo però non si è riusciti – o non si è voluto - fare l'ultimo passo e spingere (obbligare) le due parti ad accettare l'accordo che era sul tavolo. Yitzhak Rabin è stato poi assassinato due anni dopo l'accordo. Nonostante questo, i negoziati sono andati avanti e a Taba i palestinesi hanno avuto sul tavolo probabilmente l'accordo migliore possibile e immaginabile, ma

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Yasser Arafat non se l'è sentita di firmare. Subito dopo questo incontro, Netanyahu è andato al potere e la porta si è richiusa definitivamente. Poco prima di vincere le elezioni, Netanyahu era stato registrato da un microfono aperto e avevo detto che "Certamente avrebbe dichiarato di essere a favore degli accordi di Oslo. Ma che li avrebbe interpretati in una maniera che avrebbe messo fine a questi insensato ritorno ai confini del 1967." Non avrebbe mai accettato che l'esercito israeliano si dovesse ritirare da alcuni posti strategici della vallata del Giordano. Da allora la politica degli insediamenti è continuata ed ha raggiunto le dimensioni che conosciamo. Quale sarà mai il governo americano in grado di fare le necessarie pressioni su Israele perché ritorni ai confini del 1967 (anche senza Gerusalemme est)? Pensa al dramma che è stato l'abbandono dei pochi insediamenti che c'erano nella striscia di Gaza. Pensa che il ritiro da Gaza è stato possibile grazie all'autorità di un primo ministro "falco" come Ariel Sharon. Chi imporrà mai questo "compromesso" agli israeliani? Chi sarà poi mai in grado di esercitare le necessarie pressioni sul lato palestinese perché accettino un "compromesso" che non includa la restituzione di Gerusalemme est e che non preveda il ritorno dei discendenti dei palestinesi espulsi nel 1984? Possiamo esprimere tutti i buoni propositi che vogliamo, ma se riflettiamo un attimo alla realtà di quello che è necessario come compromesso da una parte e dall'altra non vedo soluzioni possibili. Esprimere la speranza che succeda qualcosa ci mette nella situazione del predicatore domenicale che esorta a "volersi bene", ma non ci fa capire la natura dei problemi. Non vedo i paesi europei e gli Stati Uniti tagliare i vieveri a Israele in maniera brutale per imporre il ritorno a confini abbastanza vicini a quelli del 1967. Anche perché non vedo nessuno che abbia la possibilità di fare pressioni analoghe sul lato palestinese. Il dramma della situazione attuale è che non abbiamo "mediatori" e che il Medio Oriente, da quando gli Stati Uniti sono diventati praticamente autosufficienti in materia energetica, ha perso la sua importanza strategica. Gli Stati Uniti non hanno più bisogno del petrolio del Medio Oriente. Noi, gli europei, si. Ma militarmente siamo dei pigmei e in politica estera non contiamo molto.

Risposto da Fabio Colasanti su 26 Luglio 2014 a 15:37 Roberto, ma per quanto riguarda la "strumentalizzazione" dell'informazione non mi sembra che oggi si sia sprofondati in un abisso rispetto ad una presunta "età dell'oro" del passato nel corso della quale le cose fossero andate bene. Senza rimontare alla notte dei tempi pensa alle esagerazioni della propaganda ai tempi della prima guerra mondiale. I soldati di alcuni paesi erano perfino accusati di mangiare i bambini! Nazismo, fascismo e comunismo russo non hanno poi certo migliorato le cose. La seconda guerra mondiale e la guerra fredda hanno visto uno sviluppo enorme di una propaganda subdola e disonesta che ha influenzato tutti noi. Negli ultimi venti anni, grazie soprattutto all'internet, sono aumentate le possibilità di verificare le informazioni che riceviamo. Purtroppo molte persone non hanno voglia di fare queste verifiche o non ne hanno la capacità. Ma nell'insieme anche in questo campo stiamo molto meglio che nel passato.

Risposto da Fabio Colasanti su 26 Luglio 2014 a 15:43 Una proposta del PD: http://www.partitodemocratico.it/doc/270442/mo-pd-il-governo-propon...

Risposto da Carlo De Luca su 26 Luglio 2014 a 16:00

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Maria Teresa Calà ha detto: Guardando questo filmato la mia impressione o almeno quello che mi porta a far pensare che gli attacchi di Israele siano mirati al metro, come può essere che si sia sbagliata nei confronti della scuola ONU?? http://www.youtube.com/watch?v=E3_yyRqGimc&feature=youtu.be Maria Teresa, stanno usando anche l'artiglieria pesante: Tratto da qui: http://www.theatlantic.com/infocus/2014/07/bloody-weekend-in-gaza/1... (ci sono anche numerose immagini di quello che accade quando si usa l'artiglieria su una città)

Risposto da giorgio varaldo su 26 Luglio 2014 a 16:00 riguardo al MO più che il compromesso conta la praticabilità di altre strade. l'egitto di saddat senza lo sviluppo economico sarebbe divenuto una polveriera in quanto senza pace nessun capitale (arabi compresi) sarebbe giunto sulle sponde del nilo e così è stato e l'egitto dei contadini degli anni 70 è diventato l'egitto delle multinazionali che in quella terra hanno investito capitali enormi. riguardo al west bank le potenzialità rimangono inespresse in quanto la situazione è troppo rischiosa per quanto riguarda gaza di investimenti non se ne parla proprio. il compromesso potrebbe riguardare solo israele ed anche gli insediamenti in presenza di accordi precisi e rispettati non è escluso che uno sharon abbia la forza di ottenerne l'abbandono. rimane una considerazione di fondo: se fossi israeliano per assicurare un futuro alla discendenza mi fiderei sicuramente dei miei vicini ma conserverei e manterrei l'attuale capacità bellica nucleare compreso. speak softly but carry a big stick è la versione moderna del si vis pacem para bellum.. ha funzionato per migliaia di anni e non si intravedono motivi perché non funzioni anche nel futuro. valore dell'opinione pubblica? senza il big stick ben poco...anzi niente Roberto Zanre' ha detto: Caro Giorgio, scherzando ti dico che "mi arrendo" :-) Tutti i miei interventi volevano sottolineare proprio lo stato dell'informazione e la strumentalizzazione delle opinioni pubbliche (e non solo quella occidentale). Le strumentalizzazioni dettano le agende politiche e le scelte di politica internazionale (lasciamo perdere cosa accade dentro i confini più ristretti... altrimenti non finiamo più). Non c'è nulla di più pericoloso, in termini di pace, ovvero di sicurezza reciproca. Volevo, riassumendo ancora, sottolineare che non è alimentando i luoghi comuni o alimentando le "paure del diverso da noi" che si potrà vivere in un mondo migliore (pragmaticamente migliore, cioè un mondo ragionevolmente più sicuro e più equilibrato). Inoltre, le opzioni militari nascono da valutazioni sbagliate: l'idea di fondo è che si possa esercitare una violenza generale e asimmetrica e che questo possa portare a un successivo periodo di tranquillità (almeno temporaneamente). Nulla di più sbagliato. E i fatti lo dimostrano. Sono decenni che Israele, per esempio, sceglie questa opzione (e non sempre per motivi nobili). Ma il mio discorso non si limita al MO. Tornando a noi, sono contento che ora sia tu a spiegarmi questa cosa. Come dico da tempo, stiamo dicendo le stesse cose... enfatizzando sfumature diverse. Ciao... (Le mie domande probabilmente sono criptiche... perché non riguardavano la scuola ONU).

Risposto da giorgio varaldo su 26 Luglio 2014 a 16:15

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

una proposta del genere sulla falsariga di quanto fatto per il libano richiede un accordo preventivo fra le parti e soprattutto chiarire - cosa non fatta per il libano - a chi spetti il compito di far rispettare gli accordi. ed in una situazione come quella di gaza- caratterizzata dalla frammentazione delle sigle palestinesi - chi può e chi deve impedire il lancio di razzi contro israele e le azioni di rappresaglia israeliane? unica nota positiva è che la partecipazione italiana ed eupoea sia subordinata alla soluzione positiva del problema dei nostri due marò. Fabio Colasanti ha detto: Una proposta del PD: http://www.partitodemocratico.it/doc/270442/mo-pd-il-governo-propon... Risposte a questa discussione

Risposto da Fabio Colasanti su 26 Luglio 2014 a 17:35 Roberto, stiamo forse dicendo le stesse cose in maniera diversa. Ho scritto e ripeto che secondo me la maggiore responsabilità è degli israeliani, soprattutto da quando Netanyahu è andato al potere. Dal lato palestinese, per i mille motivi che ho elencato, non mi aspetto molto. Questa è una situazione simile a quella che abbiamo discusso a proposito della polizia e dei criminali all'interno del nostro paese. In questo caso trovo giusto avere due pesi e due misure. Dalla polizia mi aspetto e richiedo un comportamente molto più corretto di quello che posso aspettarmi da parte dei criminali. Nella stessa maniera da un paese industriale avanzato come Israele ho il diritto di aspettarmi comportamenti più seri e responsabili di quelli che mi posso aspettare dai profughi palestinesi con l'organizzazione approssimativa e il livello di sviluppo economico che hanno. Roberto Zanre' ha detto: Concordo con quasi tutto quello che scrivi Fabio... ... anche perché è proprio quello che è accaduto e che sta accadendo. Gli errori nel passato ci sono stati, e molto gravi, da entrambe le parti. Oggettivamente non appare più possibile il ritorno ai confini del 1967. Ma allora bisogna essere onesti. Il vero ostacolo OGGI sono gli israeliani e il fatto che tutto il mondo occidentale non ha nessuna voglia (capacità politica, militare, eccetera) di obbligare Israele a intraprendere una strada del genere. Non sarebbe così se dovessimo obbligare qualcun altro. In quel caso riusciremmo a fare pressioni, coinvolgeremmo l'ONU, formeremmo l'opinione pubblica, creeremmo i casus belli necessari, eccetera eccetera. Già questo dimostra che possa essere giustificato il modo in cui la restante parte del mondo ci osserva e ci giudica. Certamente non si può avere fiducia in questo modo. Noi occidentali, poliziotti del mondo, esercitiamo troppo spesso una politica dei due pesi e delle due misure (che è quello che cerco di dire da molto tempo).

Risposto da Fabio Colasanti su 26 Luglio 2014 a 18:04 Laura, hai ragione. Avrei dovuto scrivere "la maggioranza dei paesi" sono contro la pena di morte. E' vero che Cina, India, Iran, paesi arabi e due terzi degli Stati Uniti fa parecchia popolazione, anche se si tratta di pochi paesi. laura sgaravatto ha detto: la maggioranza della popolazione mondiale è contro la pena di morte e non vuole vedere soffrire la gente.... FABIO ??!! proviamo a contare....America India Cina Paesi Arabi......boh....??? quanti sono ??? io dopo un po' non riesco più a contare ...sob !!

Risposto da Roberto Zanre' su 26 Luglio 2014 a 19:06

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Stiamo molto meglio rispetto al passato (mai teorizzato il contrario), ma è comunque molto molto evidente come la strumentalizzazione (con uno spettro di modalità più sofisticato) delle "opinioni pubbliche" sia uno dei metodi più diffusi di "prendere decisioni"... Fabio Colasanti ha detto: Roberto, ma per quanto riguarda la "strumentalizzazione" dell'informazione non mi sembra che oggi si sia sprofondati in un abisso rispetto ad una presunta "età dell'oro" del passato nel corso della quale le cose fossero andate bene. Senza rimontare alla notte dei tempi pensa alle esagerazioni della propaganda ai tempi della prima guerra mondiale. I soldati di alcuni paesi erano perfino accusati di mangiare i bambini! Nazismo, fascismo e comunismo russo non hanno poi certo migliorato le cose. La seconda guerra mondiale e la guerra fredda hanno visto uno sviluppo enorme di una propaganda subdola e disonesta che ha influenzato tutti noi. Negli ultimi venti anni, grazie soprattutto all'internet, sono aumentate le possibilità di verificare le informazioni che riceviamo. Purtroppo molte persone non hanno voglia di fare queste verifiche o non ne hanno la capacità. Ma nell'insieme anche in questo campo stiamo molto meglio che nel passato.

Risposto da Roberto Zanre' su 26 Luglio 2014 a 19:11 Perfetto... è la mia tesi originale... che reitero da qualche settimana :-) (Ma non è quello che si sta facendo concretamente... anzi, succede il contrario). Fabio Colasanti ha detto: Roberto, stiamo forse dicendo le stesse cose in maniera diversa. Ho scritto e ripeto che secondo me la maggiore responsabilità è degli israeliani, soprattutto da quando Netanyahu è andato al potere. Dal lato palestinese, per i mille motivi che ho elencato, non mi aspetto molto. Questa è una situazione simile a quella che abbiamo discusso a proposito della polizia e dei criminali all'interno del nostro paese. In questo caso trovo giusto avere due pesi e due misure. Dalla polizia mi aspetto e richiedo un comportamente molto più corretto di quello che posso aspettarmi da parte dei criminali. Nella stessa maniera da un paese industriale avanzato come Israele ho il diritto di aspettarmi comportamenti più seri e responsabili di quelli che mi posso aspettare dai profughi palestinesi con l'organizzazione approssimativa e il livello di sviluppo economico che hanno. Roberto Zanre' ha detto: Concordo con quasi tutto quello che scrivi Fabio... ... anche perché è proprio quello che è accaduto e che sta accadendo. Gli errori nel passato ci sono stati, e molto gravi, da entrambe le parti. Oggettivamente non appare più possibile il ritorno ai confini del 1967. Ma allora bisogna essere onesti. Il vero ostacolo OGGI sono gli israeliani e il fatto che tutto il mondo occidentale non ha nessuna voglia (capacità politica, militare, eccetera) di obbligare Israele a intraprendere una strada del genere. Non sarebbe così se dovessimo obbligare qualcun altro. In quel caso riusciremmo a fare pressioni, coinvolgeremmo l'ONU, formeremmo l'opinione pubblica, creeremmo i casus belli necessari, eccetera eccetera. Già questo dimostra che possa essere giustificato il modo in cui la restante parte del mondo ci osserva e ci giudica. Certamente non si può avere fiducia in questo modo. Noi occidentali, poliziotti del mondo, esercitiamo troppo spesso una politica dei due pesi e delle due misure (che è quello che cerco di dire da molto tempo).

Risposto da giovanni de sio cesari su 26 Luglio 2014 a 22:37 Fabio Colasanti ha detto:

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Purtroppo l'Islam non ha autorità religiose che possano adattare le credenze ai tempi. Chissà forse il califfato potrebbe avere un giorno una certa influenza – giro la domanda a Giovanni – ma oggi non va certo nella direzione giusta. Riposta non facile; cerco di sintetizzare. Nel mondo islamico non esiste il clero ( come per i protestanti) : la guida dei fedeli e affidata al potere politico :Il califfato (successore) era l ‘autorità suprema anche se non regnava direttamente (come un nostro imperatore medioevale) : fino al 1919 il califfato era esercitato dal sultano turco ma fu abolito da Mustafa Kemal Ataturk. Il principe islamico si giova poi degli esperti (mullah ulema, ayatollah) del fiq (diritto islamico) che emettono le fatwe (sentenze) nelle quali si sentenzia che un certo comportamento sia o meno conforme alla sharia (via indicata da dio). Non esiste quindi, come nel mondo cristiano la contesa del primato fra chiesa e stato che secondo alcuni è stato la base della liberta . In Iran pero Khomeini si è inventato il RAHBAR (guida suprema) che sentenzia se un atto del governo sia o meno islamico: ma la cosa non trova riscontro altrove. Ora il califfato proclamato dall ESil è solo un piccolo staterello che dovrebbe raggiungere un potere esteso a tutto il mondo mussulmano: cosa del tutto fuori della realtà. Insomma come se nel medioevo il signore di Rimini si proclamasse imperatore La fonte del diritto islamico sono il corano (recitazione) dettato direttamente da Dio in arabo (quindi non va tradotto ma semplicemente ripetuto ) e gli Haidith (i racconti) che hanno varia attendibilità e valore : si tratta di una mole immensa di scritti per apprendere i quali occorre una vita intera di studio: Per secoli gli studiosi li hanno commentati, armonizzati, interpretati (la Sunna , da cui sunniti). Nel 1300 si è avuto il taqlid (imitazione) cioe si è detto che ormai tutto era stato chiarito e non si ammettono altre interpretazioni. Si afferma allora la ” al-`aqida al-Tahawiyy ( professione di fede di Tahawayy) : bisogna accettare senza più discutere (alcuni dicono che da allora è cominciata la decadenza islamica). Tuttavia in tempi recenti le interpretazioni moderniste si sono diffuse ampiamente cambiando sostanzialmente quelle tradizionali. Ne faccio un esempio nel prossimo post Mi pare un errore considerare ortodossi (ferventi mussulmani ) solo i fondamentalisti come i Wahabiti (bin Laden e compagni). Si tratta di due correnti religiose in cui i sinceri credenti si trovano in ambedue gli schieramenti). Insomma è come se noi volessimo considerare Manzoni un non credente e un vero credente solo Chateaubriand. Nemmeno bisogna confondere un fanatico con un fervente credente. Papa Francesco mi pare un fervente credente ma non un fanatico, ad esempio

Risposto da giovanni de sio cesari su 26 Luglio 2014 a 22:39 Tariq Ramadan, docente di Islamistica all'università di Friburgo e sincero credente scrive nella sua opera intesa alla diffusione dell’islam “ Peut-on vivre avec l’ Islam ? Per quanto riguarda la lapidazione dell’adultera:

Certo, queste pene sono menzionate nei testi di riferimento, ma sono accompagnate da clausole di condizionalità che determinano la loro applicazione in modo molto preciso e rigoroso.... quattro testimoni devono aver visto le persone durante l'atto sessuale, in flagrante delitto, e testimoniare quindi quello che hanno visto. L'applicazione di queste pene è quasi impossibile tenuto conto delle condizioni che si devono riunire per farle rispettare. Tuttavia, ciò che sottolineano come insegnamento, è che la fornicazione e l'adulterio sono cose gravissime davanti a Dio, allo stesso modo che sul piano sociale.

Se viene previsto il taglio della mano del ladro tuttavia viene anche ricordato un Haidith :

....la minaccia che Omar aveva fatto ad un ricco che era venuto da lui per lamentarsi del suo impiegato che lo aveva derubato. Omar interrogò l'impiegato il quale affermò che il suo padrone non gli dava abbastanza per vivere e che egli si trovava dunque obbligato a rubare. Omar si voltò verso il datore di lavoro e lo minacciò di prendersela con lui anzichè col povero e di tagliargli entrambe le mani se non dava il necessario per vivere al suo impiegato.

Insomma come avviene nei nostri tribunali si puo sostenere tutto e il contrario di tutto

Risposto da giovanni de sio cesari su 26 Luglio 2014 a 23:04

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Roberto Tutto assolutamente giusto che io sottoscriverei: ma sono considerazioni in base a una scala di valori (mentalita) occidentale del terzo millennio, ma quello è Medio Oriente, un altro mondo, come ricordano sempre gli Israeliani. Le guerre non bisogna farle ma quando si fanno non si scelgono i mezzi ma si usano quelli necessari per vincere. HAMAS non ha aerei e missili e lancia quindi razzi (e se puo attentati) indiscriminati sui civili israeliani: non è per malvagità, ma perche che altro potrebbe fare ? certo la pace ma ... Gli israeliani hanno aerei carri e missili, ma i nemici si nascondono fra la folla e allora sparano sulla folla: non per malvagità, ma che altro potrebbero fare? certo la pace ma ... . Immaginate di essere combattenti israeliani o di HAMAS: cosa fareste voi? Una guerra fra eserciti schierati che risparmi donne e bambini è fuori dalla realtà come fuori della realtà sono le condanne per violazioni dei diritti umani. Gli israeliani pensano che se saranno sconfitti saranno sterminati o pressappoco: I bambini di Gaza imparano nelle scuole a sognare non a diventare calciatori o cantanti come nel resto nel mondo, ma a sognare che un giorno potranno morire da shaid (martiri) uccidendo degli ebrei e cosa ancora piu orribile, le bambine a sognare di essere madri di martiri. Fra essere sterminati tutti e o sterminare tutti chiunque sceglierà la seconda possibilita, gli israeliani, come gli italiani, i malesi, quelli del III millenni e quelli di tre millenni fa: non ci sono diritti umani, o convenzioni di guerre che tengano o abbiano senso. Bisogna tener presente queste cose Io non dico che gli israeliani debbano consentire uno stato palestinese perché cosi sarebbe giusto (ma in base a che?), ma perche alla fine questo sarebbe la loro migliore difesa. Se non lo fanno è per la pressione dei fondamentalisti (fanatici) ebrei. Ma perché mai gli occidentali dovrebbero schierarsi con i fanatici di una delle parti? Non è nella nostra mentalità. Roberto Zanre' ha detto: Gaza. La scuola ONU colpita da una bomba. Molti morti. Un errore... Perché, invece, le altre scuole e gli ospedali colpiti fino adesso potevano essere colpiti? Altri "errori"... C'è differenza? Perché implicitamente (dentro di noi) facciamo differenza? Inoltre. Perché in questi casi, implicitamente ed emotivamente, ammettiamo che si tratti di errori e dunque di errori "giustificabili"? Eppure, qui c'è perlomeno la "volontà di colpire" in una zona dove è pressoché inevitabile "commettere errori". E allora, perché invece l'errore (vero) sull'aereo nei cieli dell'Ucraina desta (giustamente) tanta esplicita indignazione e accuse e volontà punitiva, eccetera eccetera? E perché mi sono appena accorto di dover scrivere tra parentesi (giustamente), altrimenti rischierei di non essere capito? Sarà perché sono stati i "nostri nemici" (i "russi", europei così diversi da noi, così lontani, così strani, così sconosciuti, così poco affidabili, ...) a commettere l'errore? Perché invece perdoniamo "errori simili" agli "amici"? Davvero l'Occidente immagina di avere una credibilità in questo modo?

Risposto da Giampaolo Carboniero su 27 Luglio 2014 a 1:52 Ci mancavano gli avvoltoi legalizzati che, naturalmente, lavoreranno "ispirandosi ai valori della solidarietà, dei diritti umani, dello sviluppo sostenibile" e, soprattutto, del guadagno; da ridere, se non si dovesse piangere per questa "solidarietà pelosa" i cui scandali scopriremo dopo la fuga dei buoi. Questo fa parte del "cambiare verso"? Io preferirei dare i soldi delle mie tasse a ONG di mia scelta, non agli amici di qualche politico. laura sgaravatto ha detto:

Cooperazione internazionale, più spazio agli enti profit 21/7/2014

La Camera dei deputati ha approvato (con il voto contrario di due deputati di Fratelli d’Italia e l’astensione del M5S) la nuova legge sulla cooperazione internazionale giovedì 17 luglio. Ora il testo tornerà al Senato per un

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

terzo passaggio che però non si prevede apporterà cambiamenti. Entro l’estate quindi il mondo della cooperazione potrebbe avere un nuovo testo più adatto alle nuove esigenze del settore con nuovi strumenti operativi e più spazio anche per le organizzazioni profit. Popoli ne ha parlato con Lia Quartapelle, deputato Pd, relatrice della legge sulla Cooperazione alla Camera. Quali erano le carenze della vecchia legge? Il vecchio testo non era cattivo, era solo datato. La legge era stata approvata nel 1987 e allora l’assetto globale della cooperazione internazionale era diverso da quello odierno. Negli anni Ottanta era l’idea stessa della cooperazione ad essere diversa perché era considerata subordinata alla politica estera nazionale. Dire che era «asservita» alla politica estera non è un’esagerazione. Inoltre l’Italia aveva a disposizione molte più risorse. Quale idea di cooperazione ispira la nuova legge? Oggi la cooperazione dev’essere considerata come parte integrante della politica estera. Il metodo della cooperazione deve cioè ispirare tutta l’azione diplomatica dell’Italia e diventare un elemento qualificante che espande le capacità di fare politica estera ispirandosi ai valori della solidarietà, dei diritti umani, dello sviluppo sostenibile, ecc. Fondamentalmente questa legge dice che l’Italia può far politica estera solo in questo modo perché, cedendo una parte della sovranità alle organizzazioni multilaterali, a partire dall’Unione europea, il canale bilaterale delle relazioni internazionali passa necessariamente attraverso la cooperazione. È ovvio che la cooperazione deve diventare qualcosa di più e di diverso rispetto a quello che è adesso. Quali sono gli elementi che caratterizzano la nuova legge? Il nuovo testo mette a disposizione della cooperazione nuovi strumenti operativi. Innanzi tutto verrà affidata una delega alla cooperazione a un viceministro degli Esteri che si occuperà in esclusiva della materia. In questo compito sarà affiancato da un’agenzia che sarà il braccio operativo del viceministro e sarà composta da professionisti. Infine viene creata un’istituzione finanziaria per lo sviluppo che ha la possibilità di appoggiarsi alla Cassa depositi e prestiti per finanziare iniziative di cooperazione allo sviluppo. A quali soggetti si rivolge la nuova legge? Il testo si rivolge sia ai soggetti no profit sia a quelli profit. Potranno quindi lavorare con il ministero degli Esteri le ong, le onlus, le cooperative, le associazioni, le associazioni di promozione sociale, le associazioni dei migranti, ecc. A fianco di questi attori, faranno la loro comparsa anche le organizzazioni profit alle quali viene riconosciuto un ruolo importante. Va detto che le imprese potranno operare solo ad alcune condizioni e rispettando alcuni standard. A partire dalla legge n.185 sul commercio delle armi. Sono previsti stanziamenti? Questa è una legge ordinaria e non prevede stanziamenti. Però all’art. 12 è previsto che i finanziamenti siano decisi su base triennale, in base alle intese internazionali siglate dall’esecutivo. Nelle disposizioni transitorie è previsto che venga stilato un piano per riallineare l’Italia agli impegni internazionali. Quindi, per esempio, un impegno più intenso sui Millenium goals. Nel corso dell’iter legisltivo vi siete confrontati con il Terzo settore? Esiste un intergruppo parlamentare per la cooperazione nel quale si discutono tutte le questioni relative a questo tema. A questo gruppo partecipano anche le Ong. In questa sede c’è stato quindi un intenso scambio di idee. Poi c’è stato un lavoro di mesi sulla proposta di legge, un testo che è stato elaborato da Alfredo Mantica e Giorgio Tonini. Resta un fronte di Ong molto di sinistra che sostiene che, con questa legge, la cooperazione è stata troppo privatizzata. Ma si tratta di un piccolo gruppo, la maggioranza delle organizzazioni è soddisfatta di questo testo. Enrico Casale

Risposto da giorgio varaldo su 27 Luglio 2014 a 8:16 interessante esaminare la rete di tunnel costruita da HAMAS http://www.ansa.it/sito/photogallery/primopiano/2014/07/25/viaggio-...

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

dal punto di vista economico l'impegno finanziario si può stimare in almeno 20 milioni di euro e l'uso di materiali come cemento acciaio e conduttori elettrici ossia materiali normalmente impiegati per uso civile (esattamente come i concimi/fertilizzanti facilmente trasformabili in esplosivi e propellenti per razzi).

Risposto da Cristina Favati su 27 Luglio 2014 a 11:52 Articolo postato sul nostro gruppo FB. Da leggere. http://www.rightsreporter.org/noi-abitanti-di-gaza-ostaggi-di-hamas...

Risposto da Fabio Colasanti su 28 Luglio 2014 a 17:46 Laura, purtroppo il sito non sta funzionando bene e non possiamo ne "rispondere", ne "re" i commenti. Ho già scritto alla Ning (speriamo bene). Non posso quindi "rispondere" al tuo post. Ma ti ringrazio per questo pezzo di Paul Krugman. E' veramente preoccupante vedere l'odio per Barack Obama che traspira dalle posizioni dei repubblicani. Il fatto di avere un presidente nero evidentemente è, per alcuni, inaccettabile. Detto questo, Barack Obama - non completamente per colpa sua - passerà alla storia come un presidente che ha ottenuto poco. La riforma del sistema di assicurazione sanitaria sarà il suo successo principale. Fino ad ora, però, le cose andavano talmente male che nemmeno i democratici se la sentivano di presentarlo come un "successo". Meno male che qualcosa sta cambiando.

Risposto da Roberto Zanre' su 28 Luglio 2014 a 18:58 Davvero bellissimo l'articolo di Krugman... ... stile schietto e americano. Grazie... Risposte a questa discussione

Risposto da Carlo De Luca su 28 Luglio 2014 a 20:05 Fabio, io traggo le conseguenze di quello che scrivete. Se il problema riguarda "tutti i fanatismi" si applica allo stesso identico modo agli ebrei ortodossi. Essi sono rappresentati inogni governo israeliano, si infiltrano nell'esercito (non tutti gli ortodossi rifiutano il servizio militare), influenzano le politiche israeliane su Gerusalemme Giudea e Samaria, l'atteggiamento ufficiale verso i palestinesi e non ultimo i privilegi per se stessi nella società israeliana. vedi anche http://www.haaretz.com/print-edition/opinion/a-rabbinate-gone-wild-1.268957 http://www.haaretz.com/print-edition/news/idf-rabbinate-publication... http://www.foreignaffairs.com/articles/141633/barak-mendelsohn/the-... Se con Hamas è impensabile ipotizzare un accordo (malgrado essi non si dicano in principio contrari ed abbiano più volte concordato tregue e scambi di ostaggi / prigionieri) in virtù della sua religione - come avete suggerito - allora lo è anche con gli ortodossi. E se è impossibile un accordo, vien da se' che la strada militare è l'unica percorribile, per gli unie per gli altri. Al di là del comune auspicio per una coesistenza pacifica, che concorderai lascia il tempo che trova, la vostra visione conduce naturalmente ed obbligatoriamente ad una politica di contenimento per Israele e ad una politica di resa, emigrazione individuale o di violenza senza limiti per i palestinesi.

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Il fatto che Israele sia la potenza occupante e che i palestinesi indipendentemente dalle convinzioni religiose o politiche siano un popolo soggetto ad occupazione militare e colonizzazione (nel ventunesimo secolo!) manca del tutto in questa visione. Manca pure la consapevolezza, che pure tu hai, di come la radicalizzazione religiosa dei palestinesi sia un fenomerno recente e neanche omogeneo, trovando la massima espressione proprio dove le loro condizioni di vita risultano peggiori. E' così difficile capire che la radicalizzazione religiosa è più la conseguenza di una situazione inaccettabile che non il contrario? Manca infine in questa visione la percezione delle notevoli differenze tra le varie correnti del fondamentalismo islamico. A Gaza Hamas ammazza e incarcera i salafiti; in passato nella città ci sono state, tra Hamas e salafiti, battaglie con decine di morti. Per i salafiti Hamas tradisce l'Islam su punti fondamentali della religione: la disponibilità ad accordarsi con Israele, l'ideale nazionale di uno stato palestinese, l'accettazione della democrazia parlamentare e l'atteggiamento verso organizzazioni europee ed internazionali sono tutte cose per i salafiti contrarie ai precetti islamici ed inaccettabili. http://www.equilibri.net/nuovo/es/node/1716 http://www.nytimes.com/2009/10/28/world/middleeast/28iht-letter.htm... http://english.al-akhbar.com/node/17771 E comunque a prescindere da queste lacune la pace non si fa con persone amabili, ragionevoli e pronte al compromesso. La pace si fa con gente che ci vuole ammazzare e che noi, se potessmo, ammazzeremmo. Voler fare la pace solo con l'interlocutore "giusto" equivale a non voler la pace. E questo senza considerare che Israele un accordo diverso dall'attuale situazione di colonizzazione de facto non lo vuole fare neppure con i palestinesi laici e moderati.

Risposto da giorgio varaldo su 29 Luglio 2014 a 8:04 Carlo come si fa a convincere la destra israeliana a re il proprio approccio alla questione palestina? Sino a che partira' un solo tricchetracche arabo non cessera' l'appoggio USA quindi l'unica soluzione percorribile e' l'opzione egiziana di disarmo da parte di HAMAS ma non pare che turchia iran e saudi arabia siano favorevoli. Quindi quale soluzione - praticabile - proporresti?

Risposto da Carlo De Luca su 29 Luglio 2014 a 8:27 L'appoggio USA ad Israele è indipendente dal lancio di razzi esplosione di kamikaze guerra non guerra o qualsiasi altra cosa succeda in Medio Oriente. E' una costante della politica estera americana da più di 40 anni. Io ho delle idee, che sarebbero anche molto concrete. Ma non ci sono le condizioni politiche per attuarle, oggi. Forse tra una generazione. In serata espando.

Risposto da Fabio Colasanti su 29 Luglio 2014 a 10:03 Carlo, in tutti i miei post ho utilizzato l'espressione "tutti i fanatismi religiosi", di ogni tipo, compresi quelli di tante sette cristiane. In altri post ho criticato esplicitamente le conseguenzee perniciose sulla società israeliana degli Haredim, una setta estremista molto numerosa (750mila persone). In questi giorni vediamo chiaramente come nemmeno Hamas riesca a controllare il mondo vario dell'estremismo islamico. Ho scritto varie volte che la radicalizzazione degli islamisti è un fenomeno più recente della creazione di Israele, ma che è un fenomeno che dipende solo in piccola parte dalla situazione in Palestina.

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

La pace si fa certo con gente che si vorrebbe ammazzare, ma si fa con le persone con le quali questo è possibile. E' difficile farla con persone che pensano che in ogni caso prima o poi ti ammazzeranno, qualunque cosa si scriva negli accordi di pace. Carlo De Luca ha detto: Fabio, io traggo le conseguenze di quello che scrivete. Se il problema riguarda "tutti i fanatismi" si applica allo stesso identico modo agli ebrei ortodossi. Essi sono rappresentati in ogni governo israeliano, si infiltrano nell'esercito (non tutti gli ortodossi rifiutano il servizio militare), influenzano le politiche israeliane su Gerusalemme Giudea e Samaria, l'atteggiamento ufficiale verso i palestinesi e non ultimo i privilegi per se stessi nella società israeliana. vedi anche http://www.haaretz.com/print-edition/opinion/a-rabbinate-gone-wild-1.268957 http://www.haaretz.com/print-edition/news/idf-rabbinate-publication... http://www.foreignaffairs.com/articles/141633/barak-mendelsohn/the-... Se con Hamas è impensabile ipotizzare un accordo (malgrado essi non si dicano in principio contrari ed abbiano più volte concordato tregue e scambi di ostaggi / prigionieri) in virtù della sua religione - come avete suggerito - allora lo è anche con gli ortodossi. E se è impossibile un accordo, vien da se' che la strada militare è l'unica percorribile, per gli uni e per gli altri. Al di là del comune auspicio per una coesistenza pacifica, che concorderai lascia il tempo che trova, la vostra visione conduce naturalmente ed obbligatoriamente ad una politica di contenimento per Israele e ad una politica di resa, emigrazione individuale o di violenza senza limiti per i palestinesi. Il fatto che Israele sia la potenza occupante e che i palestinesi indipendentemente dalle convinzioni religiose o politiche siano un popolo soggetto ad occupazione militare e colonizzazione (nel ventunesimo secolo!) manca del tutto in questa visione. Manca pure la consapevolezza, che pure tu hai, di come la radicalizzazione religiosa dei palestinesi sia un fenomerno recente e neanche omogeneo, trovando la massima espressione proprio dove le loro condizioni di vita risultano peggiori. E' così difficile capire che la radicalizzazione religiosa è più la conseguenza di una situazione inaccettabile che non il contrario? Manca infine in questa visione la percezione delle notevoli differenze tra le varie correnti del fondamentalismo islamico. A Gaza Hamas ammazza e incarcera i salafiti; in passato nella città ci sono state, tra Hamas e salafiti, battaglie con decine di morti. Per i salafiti Hamas tradisce l'Islam su punti fondamentali della religione: la disponibilità ad accordarsi con Israele, l'ideale nazionale di uno stato palestinese, l'accettazione della democrazia parlamentare e l'atteggiamento verso organizzazioni europee ed internazionali sono tutte cose per i salafiti contrarie ai precetti islamici ed inaccettabili. http://www.equilibri.net/nuovo/es/node/1716 http://www.nytimes.com/2009/10/28/world/middleeast/28iht-letter.htm... http://english.al-akhbar.com/node/17771 E comunque a prescindere da queste lacune la pace non si fa con persone amabili, ragionevoli e pronte al compromesso. La pace si fa con gente che ci vuole ammazzare e che noi, se potessmo, ammazzeremmo. Voler fare la pace solo con l'interlocutore "giusto" equivale a non voler la pace. E questo senza considerare che Israele un accordo diverso dall'attuale situazione di colonizzazione de facto non lo vuole fare neppure con i palestinesi laici e moderati.

Risposto da Salvatore Venuleo su 29 Luglio 2014 a 10:10 "Tantum potuit religio suadere malorum" (Lucrezio, De rerum natura). Sempre attualissimo. ,

Risposto da giovanni de sio cesari su 29 Luglio 2014 a 12:55 Carlo Sostanzialmente sono d’accordo con le tue osservazioni , almeno nella direzione Se a qualcuno interessa vorrei approfondire un po ( solo un pochino) il rapporto fra HAMAS e salafiti che tu molto opportunamente sottolinei e che in genere viene ignorato da noi che tendiamo a fare di tutta l’erba un fascio.

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

La rivalità a Gaza fra HAMAS e Salafiti spiega, ad esempio, l’assassinio di Arrigoni e fino ad poco fa pare che HAMAS riusciva a emarginare i salafiti a colpi di Kalascinov ( come è di uso da quelle parti) ma adesso pare che i salafiti si siano impiantati a Gaza e forse sono propri essi alla base della attuale tragedia ( ma non si riesce mai a capire quello che succede veramente ) I salafiti vogliono tornare alle origini della predicazione coranica: distinguono allora ogni cosa fra salaf ( delle origini) da accettare e bida (innovazione) da respingere. Non possono essere considerati tradizionalisti (come spesso si dice), ma al contrario sono contro ogni tradizione che avrebbe corrotto l’islam (bida) : le sue regole devono valere allo stesso identico modo dappertutto dai campus americani ai deserti arabi. Attraggono quindi genti di ogni nazionalità anche europei di origine cristiana convertiti. Sono nemici accaniti degli sciiti (in Iraq) degli alawiti (in Siria) dei sufi (mistici come i dervisci) tanto da devastare i monumenti di Timbuctu (ne parlammo) vorrebbero i cristiani nella condizione di dimmy (protetti) che pagano una tassa (gihaz) per essere sopportati (fuga dei cristiani da Mossul) , in Nigeria fanno massacri indiscirmnatui di cristiani. Non riconoscono etnie e stati e vorrebbero un unico stato per la Umma (comunità dei fedeli) retta da un califfo (successore di maometto). Benche siano molto pericolosi io non credo che poi possano realmente reggere uno stato con queste follie : presumo che un califfato della genere crollerebbe da solo. Si affermano dove c’è disordine, l’Afganistan del anni 90, la Somalia, ora Libia e Siria,e Iraq nei paesi del sahel Hamas invece è una costola dei Fratelli Mussulmani che è una organizzazione nata nel 1925 al contatto con gli occidentali per un rinnovamento dell’Egitto basato sul rinnovamento dell’Islam. Come le organizzazioni cattoliche ha caratteri culturali-religiosi e soprattutto solidaristici donde la grande popolarità presso i più poveri. Negli ultimi 20 anni ha perso poi molto connotati integralisti: niente a che vedere con il fanatismo salafita. Alle elezioni egiziane ha presentato un personaggio di terzo piano, come Morsi, per mantenere il suo carattere non direttamente politico (ricorda molto il collateralismo cattolico della DC). HAMAS riceve aiuti dagli sciiti iraniani, è stretta alleata degli sciiti libanesi, ottimi rapporti coni cristiani di Gaza (sono pochissimi) cerca appoggio presso l’opinione pubblica occidentale, relativamente aperta alla modernità; niente a che fare con bin Laden. I cosi detti talebani pure sono altra cosa dai salafiti : mantengono ancestrali tradizioni anche pre islamiche, in zone remote ( Afganistan e in parti del Pakistan) presso etnie arretrate (i famosi pashtun) guidati da un prete di campagna come è stato definito il misterioso mullah Omar. In al qaeda vi era gente di tutte le nazionalità anche americani (ex cristiani), ma non c’erano afgani : e non era un caso. Nota nel testo indicato da Carlo si fa confusione richiamando el Wahab e Tahawayy come riferimenti dei salafiti: ambedue considerati del XIII secolo: El Wahab invece è del 700 e io preferisco sempre il termine wahabita a quello di salafita perché è questo movimento che ha portato a quella cieca violenza e crudeltà che distingue il movimento attualmente (i salaf veri erano molto moderati e questo fu anche il segreto del loro incredibile successo). Tahawayy Invece era un autore contemporaneo di Dante: che enunciò la professione di fede di cui ho parlato. Si può considerare un mu’taziliti, una corrente del tempo che si affidava alla fede e non alla ragione (come facevano Averroe Avicenna ecc). Lo stesso contrasto era nella scolastica del tempo nella disputa fra razionalisti (Abelardo ) e mistici ( san Bernardo di Chiaravalle). Non c’entra quindi molto con il salafismo moderno Carlo De Luca ha detto: Fabio, io traggo le conseguenze di quello che scrivete. Se il problema riguarda "tutti i fanatismi" si applica allo stesso identico modo agli ebrei ortodossi. Essi sono rappresentati in ogni governo israeliano, si infiltrano nell'esercito (non tutti gli ortodossi rifiutano il servizio militare), influenzano le politiche israeliane su Gerusalemme Giudea e Samaria, l'atteggiamento ufficiale verso i palestinesi e non ultimo i privilegi per se stessi nella società israeliana. vedi anche http://www.haaretz.com/print-edition/opinion/a-rabbinate-gone-wild-1.268957 http://www.haaretz.com/print-edition/news/idf-rabbinate-publication... http://www.foreignaffairs.com/articles/141633/barak-mendelsohn/the-... Se con Hamas è impensabile ipotizzare un accordo (malgrado essi non si dicano in principio contrari ed abbiano più volte concordato tregue e scambi di ostaggi / prigionieri) in virtù della sua religione - come avete suggerito - allora lo è anche con gli ortodossi. E se è impossibile un accordo, vien da se' che la strada militare è l'unica percorribile, per gli uni e per gli altri. Al di là del comune auspicio per una coesistenza pacifica, che concorderai lascia il tempo che trova, la vostra visione conduce naturalmente ed obbligatoriamente ad una politica di contenimento per Israele e ad una politica di resa, emigrazione individuale o di violenza senza limiti per i palestinesi. Il fatto che Israele sia la potenza occupante e che i palestinesi indipendentemente dalle convinzioni religiose o politiche siano un popolo soggetto ad occupazione militare e colonizzazione (nel ventunesimo secolo!) manca del tutto in questa visione.

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Manca pure la consapevolezza, che pure tu hai, di come la radicalizzazione religiosa dei palestinesi sia un fenomerno recente e neanche omogeneo, trovando la massima espressione proprio dove le loro condizioni di vita risultano peggiori. E' così difficile capire che la radicalizzazione religiosa è più la conseguenza di una situazione inaccettabile che non il contrario? Manca infine in questa visione la percezione delle notevoli differenze tra le varie correnti del fondamentalismo islamico. A Gaza Hamas ammazza e incarcera i salafiti; in passato nella città ci sono state, tra Hamas e salafiti, battaglie con decine di morti. Per i salafiti Hamas tradisce l'Islam su punti fondamentali della religione: la disponibilità ad accordarsi con Israele, l'ideale nazionale di uno stato palestinese, l'accettazione della democrazia parlamentare e l'atteggiamento verso organizzazioni europee ed internazionali sono tutte cose per i salafiti contrarie ai precetti islamici ed inaccettabili. http://www.equilibri.net/nuovo/es/node/1716 http://www.nytimes.com/2009/10/28/world/middleeast/28iht-letter.htm... http://english.al-akhbar.com/node/17771 E comunque a prescindere da queste lacune la pace non si fa con persone amabili, ragionevoli e pronte al compromesso. La pace si fa con gente che ci vuole ammazzare e che noi, se potessmo, ammazzeremmo. Voler fare la pace solo con l'interlocutore "giusto" equivale a non voler la pace. E questo senza considerare che Israele un accordo diverso dall'attuale situazione di colonizzazione de facto non lo vuole fare neppure con i palestinesi laici e moderati.

Risposto da giovanni de sio cesari su 29 Luglio 2014 a 12:57 Giorgio Ci saranno sempre delle persone che lanceranno tric trac e altre cose del genere questa permessa è la più sicura via per escludere ogni pace: Si potrebbe anche rovesciare la premessa e dire che i palestinesi faranno pace dopo che gli insediamenti saranno sgombrati ma cosi non si arriva a niente. Lo sgombero e la pace possono essere i risultati dei negoziati non la premessa giorgio varaldo ha detto: Carlo come si fa a convincere la destra israeliana a re il proprio approccio alla questione palestina? Sino a che partira' un solo tricchetracche arabo non cessera' l'appoggio USA quindi l'unica soluzione percorribile e' l'opzione egiziana di disarmo da parte di HAMAS ma non pare che turchia iran e saudi arabia siano favorevoli. Quindi quale soluzione - praticabile - proporresti?

Risposto da adriano succi su 29 Luglio 2014 a 13:29 Proverei a ragionare tenendo conto dei dati di fatto, non di quello che ci piacerebbe che fosse. Ci sono due entità incompatibili: Israele e Hamas. Hamas ha la sua ragione d' essere nel perseguimento della distruzione di Israele. Israele, piaccia o non piaccia, non ha nessuna voglia di farsi distruggere. Temo che la soluzione non possa essere che la completa e definitiva sconfitta militare e politica di una delle due parti. Si può discutere finchè si vuole delle differenze in seno ad Israele tra trattativisti ed Ortodossi e dal' altra parte, tra Hamas ed i Salafiti, ma la sostanza non cambia. Il conflitto terminerà SOLTANTO con l' annichilamento di una delle due parti. Detto ciò, capisco benissimo che il ruolo del' ONU, del Papa e di tutti gli Uomini di (più o meno) buona volontà, sia si invocare la pace, ma la realtà è quella che è. Fin che un solo tric&trac sarà spedito da Gaza, Israele sarà legittimato a reagire. Temo che la guerra sarà lunga e "cattiva", fino alla sconfitta definitiva di Hamas, dopo di che Gaza potrebbe essere assegnata in amministrazione all' ONU o alla Lega Araba, per preparare la normalizzazione e la riunificazione di West Bank con Gaza. Allora Israele sarà obbligato a cedere una striscia di territorio di collegamento tra le due Palestine, non avendo più alibi per non farlo, ma fino ad allora penso che abbia tutte le ragioni per difendersi.

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Risposto da Carlo De Luca su 29 Luglio 2014 a 21:39 Giorgio, poni una domanda impossibile. Sotto spiego perché. Per me l'unica soluzione politica sostenibile è la creazione di uno Stato palestinese sovrano nei territori occupati da Israele nel corso della guerra del 1967. Qualsiasi altra soluzione in un senso o nell'altro sarebbe profondamente iniqua e nella misura in cui non venisse accettata dal perdente garantirebbe la prosecuzione del conflitto. Non la considero quindi una "soluzione". Israele non può accettare due condizioni palestinesi: * il diritto al ritorno * la restituzione di Gerusalemme est. Se i palestinesi si impuntassero su queste condizioni, nessun accordo sarebbe mai possibile. Io suggerisco di offrire al posto del diritto al ritorno il riconoscimento morale del torto inflitto, un compenso monetario e un'abitazione - costruita a spese d'Israele, dell'Unione europea o degli Stati Uniti - nel nuovo stato palestinese. E suggerisco di creare per Gerusalemme est e le zone sacre uno statuto speciale (smilitarizzazione, diritto di accesso per i cittadini palestinesi, polizia binazionale, etc.) che salvaguardi la sovranità israeliana ma dia diritti particolari ai cittadini palestinesi. I palestinesi accetterebbero queste condizioni se Israele le offrisse? Poiché esse non sono mai state portate sul tavolo dei negoziati, non posso rispondere alla domanda. Se queste condizioni fossero offerte ed i palestinesi le rifiutassero, attribuirei a loro la responsabilità del fallimento. Per il resto una soluzione equa richiederebbe il totale ritiro israeliano dalla Cisgiordania, l'abbandono degli insediamenti coloniali e la loro cessione alla popolazione palestinese (vi potrebbe andare a vivere buona parte degli abitanti di Gaza). Il nuovo stato palestinese ed il suo comportamento sarebbero garantiti da una serie di attori: Unione Europea, Russia, Stati Uniti soprattutto. Sarebbe smilitarizzato e con clausole che consentono ad osservatori internazionali ed Israele il diritto di accesso. Sarebbe una democrazia parlamentare e alle elezioni non potrebbero partecipare partiti che non riconoscano i confini, l'accordo stesso, o l'esistenza d'Israele. I nuovi confini e tutte le clausole descritte sarebbero esplicitamente riconosciuti e garantiti nello stesso accordo internazionale che sancirebbe la nascita del neonato Stato di Palestina. L'accordo potrebbe prevedere un protocollo per l'integrazione economica (l'idea tua di qualche post fa) e doganale che sarebbe reciprocamente vantaggioso per Israele ed il nuovo Stato: manodopera palestinese + investimenti israeliani all'interno di zone economiche speciali. Questa è l'idea che ho di una soluzione equa per entrambi. Ci sono le condizioni?Assolutamente no. Israele non pensa minimamente ad abbandonare le zone della Cisgiordania occupate, figuriamoci a consentire una piena sovranità palestinese ed un parziale ritiro da Gerusalemme est. Non è interessato quindi ad offrire condizioni che i palestinesi potrebbero magari accettare. Non è interessato oggi e le dinamiche demografiche interne (leggi: il maggior tasso di natalità degli ortodossi e della recente immigrazione russa rispetto alle "vecchie" generazioni) garantiscono che sarà ancor meno interessato in futuro. Ergo l'unico modo per fargli cambiare idea è dall'esterno. Lo strumento più semplice sarebbe l'imposizione di un embargo economico come quello che colpì il Sudafrica. Un embargo del genere - che sarebbe lecito in virtù del perdurare dell'occupazione e delle numerose violazioni israeliane nei confronti di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ONU - è però impossibile a causa dell'atteggiamento filoisraeliano degli USA e sostanzialmente neutrale dell'Europa. L'Europa a dire il vero è più vicina ai palestinesi rispetto agli USA ma il suo supporto si ferma molto prima dell'adozione di misure attive contro Israele. E' possibile che l'emigrazione palestinese negli USA consentirà - tra una / due generazioni - la creazione di una lobby filopalestinese in America capace di neutralizzare l'attuale e potentissima lobby filoisraeliana. Ma siamo nel campo delle congetture. Alternativamente i palestinesi potrebbero scatenare una resistenza passiva ad oltranza, rifiutandosi di lavorare per Israele (ci sono numerosi settori economici - primo tra tutti l'edilizia - che utilizzano massicciamente manodopera palestinese). Sarebbe una lotta più civile e meno rischiosa rispetto a quella armata ma per avere qualche possibilità di riuscita dovrebbe riunire buona parte della popolazione palestinese e disporre di aiuti dall'estero a tempo indefinito. Anche qua, siamo nel campo delle ipotesi. Tu mi domandi una soluzione praticabile. Io non credo che esistano soluzioni equepraticabili. Esistono soluzioni non eque ma praticabili e soluzioni eque ma non praticabili. Per Israele l'attuale situazione è stabile, sostenibile nel tempo ed estremamente vantaggiosa. Se fossi israeliano la riterrei probabilmente una soluzione decente. Per i palestinesi invece è tutto il contrario. L'attuale situazione è sempre più insostenibile ed iniqua. L'attuale "soluzione" quindi garantisce il perdurare del conflitto e la lenta ma costante radicalizzazione della popolazione

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palestinese. Se con l'OLP era possibile raggiungere un accordo con Hamas è più difficile e con i salafiti sarà impossibile. Ma il salafismo militante è lo sbocco naturale di chi si convince che uno stato palestinese non potrà mai nascere ed un accordo con Israele sarà sempre impossibile. giorgio varaldo ha detto: Carlo come si fa a convincere la destra israeliana a re il proprio approccio alla questione palestina? Sino a che partira' un solo tricchetracche arabo non cessera' l'appoggio USA quindi l'unica soluzione percorribile e' l'opzione egiziana di disarmo da parte di HAMAS ma non pare che turchia iran e saudi arabia siano favorevoli. Quindi quale soluzione - praticabile - proporresti?

Risposto da Carlo De Luca su 29 Luglio 2014 a 21:42 Fabio, ho presente la tua posizione sugli ortodossi e la condivido in pieno. Mi sono limitato a farti notare che la frase "con questa gente che accordi possiamo fare?" la può benissimo dire un palestinese. A ragionar così la violenza diventa l'unica strada percorribile. La pace si fa certo con gente che si vorrebbe ammazzare, ma si fa con le persone con le quali questo è possibile. E' difficile farla con persone che pensano che in ogni caso prima o poi ti ammazzeranno, qualunque cosa si scriva negli accordi di pace. con i salafiti il problema della pace non si pone proprio, perché essi non la offrono e non la cercano. Quanto ha scritto Giovanni si applica molto bene a loro. Ma Hamas non è i salafiti. Distinguere tra fondamentalisti è possibile ed anche necessario. A rifiutarsi di parlare con quelli di Hamas perchè sono fanatici li si tratta come salafiti ed in effetti se ne favorisce la radicalizzazione. Se invece si trattassero i palestinesi come un popolo che ha diritto ad uno Stato - aspirazione che gli israeliani per primi dovrebbero comprendere - allora sarebbe affare dei palestinesi stessi combattere i salafiti (come stanno già facendo tanto l'ANP quanto Hamas) ed impedire che diventino dominanti. Ma sarebbe molto più facile rispetto ad ora, aggiungo. Fabio Colasanti ha detto: Carlo, in tutti i miei post ho utilizzato l'espressione "tutti i fanatismi religiosi", di ogni tipo, compresi quelli di tante sette cristiane. In altri post ho criticato esplicitamente le conseguenzee perniciose sulla società israeliana degli Haredim, una setta estremista molto numerosa (750mila persone). In questi giorni vediamo chiaramente come nemmeno Hamas riesca a controllare il mondo vario dell'estremismo islamico. Ho scritto varie volte che la radicalizzazione degli islamisti è un fenomeno più recente della creazione di Israele, ma che è un fenomeno che dipende solo in piccola parte dalla situazione in Palestina. La pace si fa certo con gente che si vorrebbe ammazzare, ma si fa con le persone con le quali questo è possibile. E' difficile farla con persone che pensano che in ogni caso prima o poi ti ammazzeranno, qualunque cosa si scriva negli accordi di pace.

Risposto da Carlo De Luca su 29 Luglio 2014 a 21:42 Mi fa piacere dire che sono d'accordo (una volta tanto :) ) giovanni de sio cesari ha detto: Giorgio

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Ci saranno sempre delle persone che lanceranno tric trac e altre cose del genere questa permessa è la più sicura via per escludere ogni pace: Si potrebbe anche rovesciare la premessa e dire che i palestinesi faranno pace dopo che gli insediamenti saranno sgombrati ma cosi non si arriva a niente. Lo sgombero e la pace possono essere i risultati dei negoziati non la premessa giorgio varaldo ha detto: Carlo come si fa a convincere la destra israeliana a re il proprio approccio alla questione palestina? Sino a che partira' un solo tricchetracche arabo non cessera' l'appoggio USA quindi l'unica soluzione percorribile e' l'opzione egiziana di disarmo da parte di HAMAS ma non pare che turchia iran e saudi arabia siano favorevoli. Quindi quale soluzione - praticabile - proporresti?

Risposto da Carlo De Luca su 29 Luglio 2014 a 21:44 Adriano perdona, prima dici di voler ragionare tenendo conto dei dati di fatto e poi dici che è inutile ragionare sulle differenze all'interno dei due campi. Per tenere conto dei "dati di fatto" bisogna almeno sforzarsi di conoscerli. Non commento ulteriormente. adriano succi ha detto: Proverei a ragionare tenendo conto dei dati di fatto, non di quello che ci piacerebbe che fosse. Ci sono due entità incompatibili: Israele e Hamas. Hamas ha la sua ragione d' essere nel perseguimento della distruzione di Israele. Israele, piaccia o non piaccia, non ha nessuna voglia di farsi distruggere. Temo che la soluzione non possa essere che la completa e definitiva sconfitta militare e politica di una delle due parti. Si può discutere finchè si vuole delle differenze in seno ad Israele tra trattativisti ed Ortodossi e dal' altra parte, tra Hamas ed i Salafiti, ma la sostanza non cambia. Il conflitto terminerà SOLTANTO con l' annichilamento di una delle due parti. Detto ciò, capisco benissimo che il ruolo del' ONU, del Papa e di tutti gli Uomini di (più o meno) buona volontà, sia si invocare la pace, ma la realtà è quella che è. Fin che un solo tric&trac sarà spedito da Gaza, Israele sarà legittimato a reagire. Temo che la guerra sarà lunga e "cattiva", fino alla sconfitta definitiva di Hamas, dopo di che Gaza potrebbe essere assegnata in amministrazione all' ONU o alla Lega Araba, per preparare la normalizzazione e la riunificazione di West Bank con Gaza. Allora Israele sarà obbligato a cedere una striscia di territorio di collegamento tra le due Palestine, non avendo più alibi per non farlo, ma fino ad allora penso che abbia tutte le ragioni per difendersi. Risposte a questa discussione

Risposto da adriano succi su 29 Luglio 2014 a 22:26 Ciao Carlo, so che hai una importante conoscenza della questione Israele/Palestinesi/Hamas. Però succede a volte che proprio la conoscenza e l' insistenza sul' analisi dei dettagli, faccia perdere di vista il tuttoinsieme, tipo la situazione Politica Italiana, dove la ricerca e l' insistenza sul particolare e del particolarismo, sta di fatto bloccando tutto. A me pare che il dato di fatto sia: Israele e Hamas sono inconciliabili. O vince completamente e definitivamente l' uno oppure l' altro. Le differenze all' interno dei due campi, cosa spostano di questa ineludibile realtà? Hamas ha nel suo Statuto la distruzione di Israele. Le percentuali Politiche all' interno di Israele tra Ortodossi e Moderati, cosa cambiano rispetto a questo imperativo? Qualcuno di questi è contento di continuare a ricevere razzi in testa? Hamas ha fatto pulizia etnica a Gaza. Chi avrebbe accettato il dialogo da anni è nella West Bank. Pure immaginando che ci sia ancora qualche cittadino di Gaza disposto alla trattativa con Israele, che potere ha, cosa cambia?

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Finchè a Gaza avranno un razzo o un fucile, lo scaricheranno su Israele. Tutte le ipotesi buoniste che possiamo pensare noi, comodamente seduti in poltrona, non hanno nessun peso rispetto alla determinazione di distruzione e autodistruzione. Se guardi la mappa di Gaza, vedi che è piccola e molto popolata, però ci sono ancora vaste aree disabitate. Se installano le postazioni dei razzi nei cortili dei caseggiati, è perché vogliono usare i PROPRI civili come scudi umani, per poi mostrare al mondo quanto è cattivo Israele che uccide i civili. A me pare che i "dati di fatto" siano questi qui, minimamente intaccati dai pareri di qualche intellettuale di buona volontà di questa o di quel' altra parte. E, per favore, non tiriamo in ballo Trattati di Oslo, insediamenti nei Territori e cose che potrebbero interessare la trattativa con Abu Mazen. Ste cose col conflitto con Hamas, non centrano proprio niente. Carlo De Luca ha detto: Adriano perdona, prima dici di voler ragionare tenendo conto dei dati di fatto e poi dici che è inutile ragionare sulle differenze all'interno dei due campi. Per tenere conto dei "dati di fatto" bisogna almeno sforzarsi di conoscerli. Non commento ulteriormente.

Risposto da giovanni de sio cesari su 29 Luglio 2014 a 23:25 Fabio Tutti fatti veri e tutte osservazioni realistiche pero ci sarebbero altre osservazioni realistiche almeno in prospettive che si potrebbero fare. Per Israele Da 50 anni gli israeliani hanno una assoluta superiorità militare: ma la avranno fra ancora fra 50 anni? Si tratta di un piccolo staterello di fronte a un mare sterminato di arabi e islamici. Dopo il ritiro dell ’Egitto degli anni 70, nessuno esercito si oppone loro ma solo gruppetti velleitari .Ma chi sa de se domani l’Egitto o la Turchia o l’Iran magari li affronteranno con forze schiaccianti. Soprattutto l’islam non riesce a trovare la via dello sviluppo come la Cina o India: ma sarà per sempre ? Prima o dopo potranno diventare potenze industriale ( gia alcuni paesi lo stanno diventando) Quegli israeliani che NON pensano che il dio sabaoth confonderà i loro nemici, dovrebbero pensarci e fare una paceora molto vantaggiosa: Se dio non ha dato la Palestina agli ebrei quegli insediamenti non hanno ragione e senso: perche non lasciarli Per gli americani L’America non è piu quella della guerra fredda globale al comunismo e neppure quella unica grande potenza dei tempi dei due Bush, ha problemi economici , la riforma sanitaria, l’american dream pare svanire: perche dovrebbe buttare in un pozzo senza fondo somme colossali per far si che certi ebrei fanatici possano tenersi tutta la terra dove scorre “latte e miele” promessa da Dio Prima o dopo smetteranno anche considerando che poi il MO non è piu importante per le fonti di energia e non sono piu minacciati da fanatismi arabi del tipo al qaeda. Per i Palestinesi : mai smetteranno di credere che Israele ha commesso una ingiustizia storica. Dire ad essi che invece bisogna fare la pace con Israele significa in sostanza dire che tre generazioni si sono sacrificate inutilmente, che tutto è stato vano perchè in effetti debbono accontentarsi di quello che hanno sempre rifiutato, anzi di molto di meno. Tuttavia sarebbe ben difficile per loro rifiutare la pace , la indipendenza, la liberta dalle imposizioni Israeliane per proteggere i famosi coloni La situazione è davvero insopportabile nel west bank. a Gaza poi una tragedia senza fine: potrebbero mai rifiutare pace e indipendenza se veramente venisse offerta? Fabio Colasanti ha detto: Giuseppe, sono almeno trenta anni che la comunità internazionale fa qualcosa per risolvere il problema esattamente nella direzione che tu suggerisci. Ai tempi degli accordi Oslo ci si era arrivati abbastanza vicini. Purtroppo però non si è riusciti – o non si è voluto - fare l'ultimo passo e spingere (obbligare) le due parti ad accettare l'accordo che era sul tavolo. Yitzhak Rabin è stato poi assassinato due anni dopo l'accordo. Nonostante questo, i negoziati sono andati

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avanti e a Taba i palestinesi hanno avuto sul tavolo probabilmente l'accordo migliore possibile e immaginabile, ma Yasser Arafat non se l'è sentita di firmare. Subito dopo questo incontro, Netanyahu è andato al potere e la porta si è richiusa definitivamente. Poco prima di vincere le elezioni, Netanyahu era stato registrato da un microfono aperto e aveva detto che "Certamente avrebbe dichiarato di essere a favore degli accordi di Oslo. Ma che li avrebbe interpretati in una maniera che avrebbe messo fine a questi insensato ritorno ai confini del 1967." Non avrebbe mai accettato che l'esercito israeliano si dovesse ritirare da alcuni posti strategici della vallata del Giordano. Da allora la politica degli insediamenti è continuata ed ha raggiunto le dimensioni che conosciamo. Quale sarà mai il governo americano in grado di fare le necessarie pressioni su Israele perché ritorni ai confini del 1967 (anche senza Gerusalemme est)? Pensa al dramma che è stato l'abbandono dei pochi insediamenti che c'erano nella striscia di Gaza. Pensa che il ritiro da Gaza è stato possibile grazie all'autorità di un primo ministro "falco" come Ariel Sharon. Chi imporrà mai questo "compromesso" agli israeliani? Chi sarà poi mai in grado di esercitare le necessarie pressioni sul lato palestinese perché accettino un "compromesso" che non includa la restituzione di Gerusalemme est e che non preveda il ritorno dei discendenti dei palestinesi espulsi nel 1984? Possiamo esprimere tutti i buoni propositi che vogliamo, ma se riflettiamo un attimo alla realtà di quello che è necessario come compromesso da una parte e dall'altra non vedo soluzioni possibili. Esprimere la speranza che succeda qualcosa ci mette nella situazione del predicatore domenicale che esorta a "volersi bene", ma non ci fa capire la natura dei problemi. Non vedo i paesi europei e gli Stati Uniti tagliare i vieveri a Israele in maniera brutale per imporre il ritorno a confini abbastanza vicini a quelli del 1967. Anche perché non vedo nessuno che abbia la possibilità di fare pressioni analoghe sul lato palestinese. Il dramma della situazione attuale è che non abbiamo "mediatori" e che il Medio Oriente, da quando gli Stati Uniti sono diventati praticamente autosufficienti in materia energetica, ha perso la sua importanza strategica. Gli Stati Uniti non hanno più bisogno del petrolio del Medio Oriente. Noi, gli europei, si. Ma militarmente siamo dei pigmei e in politica estera non contiamo molto.

Risposto da Roberto Zanre' su 30 Luglio 2014 a 0:06 Giovanni, mi piace molto il tuo realismo, scevro da ideologie e prese di posizione. Condivido tutto quello che scrivi. In particolare vorrei enfatizzare che Israele andrebbe aiutata oggi ad assumere un atteggiamento meno aggressivo e ideologico. Anziché tentennare e avere timore di usare le armi delle sanzioni che da altre parti vengono applicate immediatamente. Oggi ha la superiorità militare schiacciante che gli permette di fare e disfare come gli pare. Ma a meno di stermini capillari e impossibili da fare, non potrà mai "re definitivamente il nemico, cancellarlo totalmente dall'esistenza". Anzi, per 1000 "terroristi" morti, quanti giovani si arruoleranno? Forse che ci sono problemi di finanziamento e di fornitura delle armi? Non mi risulta. Per quanto tempo le mille fazioni islamiche si combatteranno anziché unirsi? Mi pare che i fanatici che influenzano le scelte governative in Israele non si rendano conto davvero di quello che stanno seminando da troppi anni. Mi pare che il tempo abbia dimostrato che alla potenza militare israeliana gli altri rispondano con un affinamento sempre maggiore della guerriglia. E' in realtà solo questione di tempo, poco o tanto che sia. Forse Israele butterà a mare tutti gli abitanti di Gaza? Concordo anche sull'idea che non è detto che molti paesi arabi non diventino, presto o tardi, delle potenze industriali... (temo però che allora vedremo una guerra molto importante... Usa e noi non staremo a guardare) Però mi sfugge un commento: che vera follia... giovanni de sio cesari ha detto: Fabio Tutti fatti veri e tutte osservazioni realistiche pero ci sarebbero altre osservazioni realistiche almeno in prospettive che si potrebbero fare.

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Per Israele Da 50 anni gli israeliani hanno una assoluta superiorità militare: ma la avranno fra ancora fra 50 anni? Si tratta di un piccolo staterello di fronte a un mare sterminato di arabi e islamici. Dopo il ritiro dell ’Egitto degli anni 70, nessuno esercito si oppone loro ma solo gruppetti velleitari .Ma chi sa de se domani l’Egitto o la Turchia o l’Iran magari li affronteranno con forze schiaccianti. Soprattutto l’islam non riesce a trovare la via dello sviluppo come la Cina o India: ma sarà per sempre ? Prima o dopo potranno diventare potenze industriale ( gia alcuni paesi lo stanno diventando) Quegli israeliani che NON pensano che il dio sabaoth confonderà i loro nemici, dovrebbero pensarci e fare una pace ora molto vantaggiosa: Se dio non ha dato la Palestina agli ebrei quegli insediamenti non hanno ragione e senso: perche non lasciarli Per gli americani L’America non è piu quella della guerra fredda globale al comunismo e neppure quella unica grande potenza dei tempi dei due Bush, ha problemi economici , la riforma sanitaria, l’american dream pare svanire: perche dovrebbe buttare in un pozzo senza fondo somme colossali per far si che certi ebrei fanatici possano tenersi tutta la terra dove scorre “latte e miele” promessa da Dio Prima o dopo smetteranno anche considerando che poi il MO non è piu importante per le fonti di energia e non sono piu minacciati da fanatismi arabi del tipo al qaeda. Per i Palestinesi : mai smetteranno di credere che Israele ha commesso una ingiustizia storica. Dire ad essi che invece bisogna fare la pace con Israele significa in sostanza dire che tre generazioni si sono sacrificate inutilmente, che tutto è stato vano perchè in effetti debbono accontentarsi di quello che hanno sempre rifiutato, anzi di molto di meno. Tuttavia sarebbe ben difficile per loro rifiutare la pace , la indipendenza, la liberta dalle imposizioni Israeliane per proteggere i famosi coloni La situazione è davvero insopportabile nel west bank. a Gaza poi una tragedia senza fine: potrebbero mai rifiutare pace e indipendenza se veramente venisse offerta? Fabio Colasanti ha detto: Giuseppe, sono almeno trenta anni che la comunità internazionale fa qualcosa per risolvere il problema esattamente nella direzione che tu suggerisci. Ai tempi degli accordi Oslo ci si era arrivati abbastanza vicini. Purtroppo però non si è riusciti – o non si è voluto - fare l'ultimo passo e spingere (obbligare) le due parti ad accettare l'accordo che era sul tavolo. Yitzhak Rabin è stato poi assassinato due anni dopo l'accordo. Nonostante questo, i negoziati sono andati avanti e a Taba i palestinesi hanno avuto sul tavolo probabilmente l'accordo migliore possibile e immaginabile, ma Yasser Arafat non se l'è sentita di firmare. Subito dopo questo incontro, Netanyahu è andato al potere e la porta si è richiusa definitivamente. Poco prima di vincere le elezioni, Netanyahu era stato registrato da un microfono aperto e aveva detto che "Certamente avrebbe dichiarato di essere a favore degli accordi di Oslo. Ma che li avrebbe interpretati in una maniera che avrebbe messo fine a questi insensato ritorno ai confini del 1967." Non avrebbe mai accettato che l'esercito israeliano si dovesse ritirare da alcuni posti strategici della vallata del Giordano. Da allora la politica degli insediamenti è continuata ed ha raggiunto le dimensioni che conosciamo. Quale sarà mai il governo americano in grado di fare le necessarie pressioni su Israele perché ritorni ai confini del 1967 (anche senza Gerusalemme est)? Pensa al dramma che è stato l'abbandono dei pochi insediamenti che c'erano nella striscia di Gaza. Pensa che il ritiro da Gaza è stato possibile grazie all'autorità di un primo ministro "falco" come Ariel Sharon. Chi imporrà mai questo "compromesso" agli israeliani? Chi sarà poi mai in grado di esercitare le necessarie pressioni sul lato palestinese perché accettino un "compromesso" che non includa la restituzione di Gerusalemme est e che non preveda il ritorno dei discendenti dei palestinesi espulsi nel 1984? Possiamo esprimere tutti i buoni propositi che vogliamo, ma se riflettiamo un attimo alla realtà di quello che è necessario come compromesso da una parte e dall'altra non vedo soluzioni possibili. Esprimere la speranza che succeda qualcosa ci mette nella situazione del predicatore domenicale che esorta a "volersi bene", ma non ci fa capire la natura dei problemi. Non vedo i paesi europei e gli Stati Uniti tagliare i vieveri a Israele in maniera brutale per imporre il ritorno a confini abbastanza vicini a quelli del 1967. Anche perché non vedo nessuno che abbia la possibilità di fare pressioni analoghe sul lato palestinese. Il dramma della situazione attuale è che non abbiamo "mediatori" e che il Medio Oriente, da quando gli Stati Uniti sono diventati praticamente autosufficienti in materia energetica, ha perso la sua importanza

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strategica. Gli Stati Uniti non hanno più bisogno del petrolio del Medio Oriente. Noi, gli europei, si. Ma militarmente siamo dei pigmei e in politica estera non contiamo molto.

Risposto da adriano succi su 30 Luglio 2014 a 0:25 OK, tutto bello, però dimenticate sempre un piccolo particolare della questione: Hamas che persegue la distruzione di Israele e coerentemente continua a lanciare razzi, giusto perché non ha armi più potenti. L' ha fatto, lo sta facendo e continuerà a farlo finchè ne avrà o finchè non sarà annientato. Nel frattempo, Israele cosa dovrebbe fare, in alternativa all' atteggiamento tanto aggressivo e ideologico che sta tenendo, ovvero cercare di distruggere le batterie di lancio ed i tunnel? Chiedo, concretamente, domani, la settimana prossima, cosa dovrebbe fare oltre a tenere la contabilità dei razzi ricevuti in grazioso omaggio? Leggendo tanti commenti, non si capisce perchè mai Israele continui ad ammazzare tanta povera gente. Perchè gli Israeliani sono cattivi? Magari un pò di attenzione anche a questa questioncina non guasterebbe.

Risposto da Roberto Zanre' su 30 Luglio 2014 a 2:25 Francamente Adriano, potremmo ribaltare di 180 gradi le tue frasi. E' stato detto di tutto e di più, da anni e anni. Leggiamo e ascoltiamo sempre sempre sempre le stesse cose (invece raramente, o quasi mai, si ascolta riflettere da posizioni di conoscenza più approfondita e ragionata, come fa Giovanni). Non vedo nulla di nuovo nelle nostre posizioni, che rispecchiano le due/tre grandi posizioni sull'argomento e che ritroviamo in tutto il mondo. Del tipo, è nato prima l'uovo o prima la gallina? Oppure: I "cattivi" sono tutti da una parte o ce n'è un po' di qua e un po' di là? Noi siamo nati con il dono di avere sempre ragione? L'asimmetria delle forza bruta in campo è casuale o strumentale? L'esercizio della violenza è "buono" se è occidentale e "cattivo" se è da parte degli altri? Caino e gli straccioni hanno qualche diritto? Se vivo in Italia, paese notoriamente "mafioso", significa che sono mafioso anch'io? Se mio fratello è un omicida, la pena di morte vale anche per me? Su questo argomento, come su molti altri, ci sono posizioni solo ideologiche... anche da parte dei cosiddetti pragmatici. Il pragmatismo si nutre di ideologia? Oppure il pragmatismo "nasconde" e "mimetizza" l'ideologia? Da una parte ci si dice che ci vuole una visione realistica (e sono perfettamente d'accordo), dall'altra si danno giudizi di valore secondo cui, più o meno implicitamente, noi saremmo i più civili per cui avremmo diritto di usare armi pesanti a tappeto. Per noi non valgono mai le sanzioni? La violenza che vedo in questi giorni CANCELLA qualunque tipo di argomentazione e di lamentela. Ci vuole una faccia incredibile per lamentarsi se durante un'operazione militare di questo tipo gli altri "non stanno a guardare". Un mese fa quanti razzi venivano lanciati su Israele? Ricordiamo tutti il cosiddetto nuovo casus belli? Ma guardiamo i giovani israeliani morti in questa operazione militare. I politici fanatici della destra israeliana stanno mandando a morire i loro figli, per una guerra che è sbagliata. Qualcuno un giorno dovrà anche spiegarglielo a quelle madri. Diciamo la verità che alberga nelle nostre menti, senza tanti fronzoli: noi abbiamo ragione perché siamo i più forti. P.S. tra l'altro, ricordo che anche durante la grande operazione militare in Afghanistan - Enduring Freedom - nel territorio degli Stati Uniti d'America vennero recapitate buste contenenti spore di Antrace (5 morti, 17 avvelenati)... Mai trovati i responsabili... però tutti gli americani poterono sentirsi direttamente coinvolti nella guerra per la libertà. adriano succi ha detto: OK, tutto bello, però dimenticate sempre un piccolo particolare della questione: Hamas che persegue la distruzione di Israele e coerentemente continua a lanciare razzi, giusto perché non ha armi più potenti. L' ha fatto, lo sta facendo e continuerà a farlo finchè ne avrà o finchè non sarà annientato.

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Nel frattempo, Israele cosa dovrebbe fare, in alternativa all' atteggiamento tanto aggressivo e ideologico che sta tenendo, ovvero cercare di distruggere le batterie di lancio ed i tunnel? Chiedo, concretamente, domani, la settimana prossima, cosa dovrebbe fare oltre a tenere la contabilità dei razzi ricevuti in grazioso omaggio? Leggendo tanti commenti, non si capisce perchè mai Israele continui ad ammazzare tanta povera gente. Perchè gli Israeliani sono cattivi? Magari un pò di attenzione anche a questa questioncina non guasterebbe.

Risposto da Roberto Zanre' su 30 Luglio 2014 a 7:51 Da leggere: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/28/udi-19-anni-soldato-isra... (Per fortuna che esistono giornali come il FQ. Con tutti i difetti, almeno non abbiamo solo il pensiero unico). Perché si può e si deve ragionare in modo diverso. E' la storia che insegna che i politici e gli strateghi del mondo non ne hanno mai azzeccata una. Hanno reso solo il mondo più insicuro e più pericoloso; cioè esattamente il contrario di come dichiaravano di volerlo rendere con le loro folli scelte. Non è la corrente di pensiero dominante che ci fa stare meglio anzi, spesso è la causa o la concausa del peggioramento delle nostre condizioni di vita.

Risposto da Roberto Zanre' su 30 Luglio 2014 a 8:07 Queste sono le regole folli che gestiscono il Mondo: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-07-29/argentina-un-defa...

Risposto da giorgio varaldo su 30 Luglio 2014 a 8:11 rispetto alle passate crisi c'è da rilevare la presenza dell'iron dome come scudo molto efficiente (una percentuale di intercettazioni elevatissima) che rende minimi i danni inflitti alla popolazione civile israeliana. israele soffre ancora di un elevato numero di perdite da parte dei militari ma anche su questo aspetto vi sono variazioni rispetto alle crisi precedenti , diminuite le perdite di mezzi corazzati (anche se l'ambiente urbano è altamente rischioso) e con il numero più elevato di perdite verificatosi durante i combattimenti nei tunnel e per le trappole esplosive lasciate dai combattenti islamici nelle strutture abbandonate ma anche queste perdite possono essere ridotte al minimo rendendo più elastiche le regole di ingaggio come pare sia avvenuto dopo il disastro dei primi giorni subito dai militari della brigata golan (19 morti in un unico combattimento). dal punto di vista palestinese con iron dome ridimensionata l'arma dei razzi, con la scoperta e distruzione dei tunnel bloccato ogni possibile cattura di civili israeliani e con la presenza del muro bloccata ogni possibile infiltrazione dal west bank quindi la situazione è di impotenza e l'abbandono delle abitazioni da parte dei palestinesi - nonostante i divieti - indica che HAMAS sta perdendo il controllo della popolazione. e per HAMAS si sta profilando uno degli scenari potenzialmente più letali simile a quanto giovanni ci ha ricordato con il mahdi e con la situazione attuale è facile fare un paragone con la battaglia di agordat (prima sconfitta dei mahdisti contro le truppe coloniali italiane) mentre se continua le ostilità con la progressiva distruzione di strutture rischia di subire una sconfitta come quella di omdurman e subire le conseguenze di una resa dei conti con le altre fazioni islamiche . e visto che le rese dei conti da quelle parti come ci ricorda giovanni si fanno a colpi di kalashnikov è facile ipotizzarne le conseguenze. e per quanto riguarda il futuro ci si dimentica spesso che dal punto di vista militare israele non potrà mai essere sconfitto ed il motivo è semplice: possiede armi atomiche ed i mezzi per lanciarle.

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per quanto riguarda il futuro prossimo ritengo che si debba dar spazio all'egitto (contrariamente alle posizioni USA a favore di turchia ed oman) non tanto per quanto riguarda la sitrazione di gaza bensì per i riflessi sulla ben più preoccupante situazione libica. in questo quadro nonostante la vicinanza geografica non c'è presenza di europa...

Risposto da giorgio varaldo su 30 Luglio 2014 a 8:52 libia nel caos, gas russo soggetto alle beghe russo-ucraine. speriamo in un inverno mite.

Risposto da Fabio Colasanti su 30 Luglio 2014 a 10:38 Giovanni, quello che scrivi rafforza i miei dubbi sulla possibilità di raggiungere un accordo. Per i motivi che tu elenchi, raggiungere un accordo sarebbe assolutamente razionale per le due parti. Ma il raggiungimento di un accordo presuppone l'esistenza da entrambi i lati di leader con un'autorità riconosciuta e forte che possa permettere loro di sottoscrivere un accordo e di essere seguiti dalla maggioranza della popolazione. La natura stessa di qualsiasi negoziato – e ancora di più di uno come quello sulla Palestina – presuppone che per tutta la durata del negoziato ognuna delle due parti richieda "100 o la morte" (con evidentemente con i due 100 totalmente incompatibili tra di loro). Ad un certo punto è necessario che i leader delle due parti possano rivolgersi al loro campo e dire "Abbiamo ottenuto 60 (in realtà avranno ottenuto 50, ma cercheranno di abbellire il risultato), dobbiamo accettarlo, non è possibile ottenere di più". I leader si troveranno nella situazione tipica dei dirigenti sindacali al momento della firma di un accordo salariale: saranno accusati di aver svenduto la categoria. Ma gli accordi si fanno perché la gente è suffcientemente matura per non aver mai creduto al "100 o morte" e perché i leader sindacali hanno una certa autorità. Nel tuo post tu spieghi benissimo perché entrambi i lati rischiano di vedere qualsiasi accordo come una "svendita", come un "tradimento". In queste situazioni è più facile fare accettare un accordo se il leader è un "falco" ("Se perfino lui dice che dobbiamo accettare quello che è sul tavolo, sarà vero"). Il dramma della situazione attuale è che non vedo chi possa mai fare accettare un accordo alla sua parte. Non ci sono riusciti Rabin e Yasser Arafat. Quello che era sul tavolo a Oslo/Taba era probabilmente parecchio di più di quello che i palestinesi possono ragionevolmente sperare di ottenere oggi (opinione anche di Guido Viola del Corriere della Sera, espressa già anni fa). Eppure Yasser Arafat, che pure godeva di una grossa autorità e di un forte prestigio personale, non se l'è sentita di firmare. Oggi il campo palestinese è ancora più diviso e non vedo proprio chi possa prendere una decisione. Dal lato israeliano, Ariel Sharon era un falco con tanto sangue sulle mani, ma aveva un po' di visione e ha imposto il ritiro da Gaza (operazione di una logica stringente, ma che pure ha incontrato molta resistenza in Israele). Netanyahu è anche un falco, ma non mi sembra proprio voglia raggiungere un qualsiasi accordo. Quindi siamo nella situazione dove un accordo sarebbe sicuramente la soluzione più ragionevole, ma nessuno avrà il coraggio di accettarlo per paura di essere ucciso, non solo "politicamente", ma anche letteralmente. giovanni de sio cesari ha detto: Fabio Tutti fatti veri e tutte osservazioni realistiche pero ci sarebbero altre osservazioni realistiche almeno in prospettive che si potrebbero fare. Per Israele

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Da 50 anni gli israeliani hanno una assoluta superiorità militare: ma la avranno fra ancora fra 50 anni? Si tratta di un piccolo staterello di fronte a un mare sterminato di arabi e islamici. Dopo il ritiro dell ’Egitto degli anni 70, nessuno esercito si oppone loro ma solo gruppetti velleitari .Ma chi sa de se domani l’Egitto o la Turchia o l’Iran magari li affronteranno con forze schiaccianti. Soprattutto l’islam non riesce a trovare la via dello sviluppo come la Cina o India: ma sarà per sempre ? Prima o dopo potranno diventare potenze industriale ( gia alcuni paesi lo stanno diventando) Quegli israeliani che NON pensano che il dio sabaoth confonderà i loro nemici, dovrebbero pensarci e fare una pace ora molto vantaggiosa: Se dio non ha dato la Palestina agli ebrei quegli insediamenti non hanno ragione e senso: perche non lasciarli Per gli americani L’America non è piu quella della guerra fredda globale al comunismo e neppure quella unica grande potenza dei tempi dei due Bush, ha problemi economici , la riforma sanitaria, l’american dream pare svanire: perche dovrebbe buttare in un pozzo senza fondo somme colossali per far si che certi ebrei fanatici possano tenersi tutta la terra dove scorre “latte e miele” promessa da Dio Prima o dopo smetteranno anche considerando che poi il MO non è piu importante per le fonti di energia e non sono piu minacciati da fanatismi arabi del tipo al qaeda. Per i Palestinesi : mai smetteranno di credere che Israele ha commesso una ingiustizia storica. Dire ad essi che invece bisogna fare la pace con Israele significa in sostanza dire che tre generazioni si sono sacrificate inutilmente, che tutto è stato vano perchè in effetti debbono accontentarsi di quello che hanno sempre rifiutato, anzi di molto di meno. Tuttavia sarebbe ben difficile per loro rifiutare la pace , la indipendenza, la liberta dalle imposizioni Israeliane per proteggere i famosi coloni La situazione è davvero insopportabile nel west bank. a Gaza poi una tragedia senza fine: potrebbero mai rifiutare pace e indipendenza se veramente venisse offerta?

Risposto da giovanni de sio cesari su 30 Luglio 2014 a 10:46 Salvatore Venuleo ha detto: "Tantum potuit religio suadere malorum" (Lucrezio, De rerum natura). Sempre attualissimo. , Consideriamo che tutti noi conosciamo l’inglese ( sarà vero?) ma per le altre lingue io direi di aggiungere anche la traduzione Non tutti in particolare hanno studiato il latino , molti lo hanno dimenticato; pochi ormai lo conoscono La traduzione è: a così grandi mali poté indurre la superstizione. (superstizione, NON religione che in latino si rende con pietas) e si riferisce al fatto che Agamennone sacrifica la propria figlia Ifigenia agli dei per avere i venti favorevoli per salpare per Troia Magari noi attualizzeremmo religio con fanatismo: e lo potremmo applicare al M.O. Tuttavia io osserverei che nel secolo scorso abbiamo visto fanatismi orrendi da parte di chi faceva professione di ateismo assoluto: i lager nazisti, la shoa, le purghe staliniane i gulag, i laogai i campi della morte della Cambogia e cosi via. Direi quindi che i fanatismi sono nell’uomo e pertanto anche nelle sue manifestazioni, religione compresa. Io penso anche che in campo religioso il fanatismo consiste nel confondere la propria volontà con quella di Dio, di porsi cioe al posto di Dio : il che come è noto è il maggior peccato che un credente possa fare e cade poi in contraddizione Infatti se il dio sabaoth ( della guerra) ha dato la Palestina ai figli di Israele ( Giacobbe) perche mai ha permesso ai Romani di cacciarli e che essi restassero per duemila anni lontano E se Allah l’onnipotente e misericordioso ha accettato la Palestina come Waqf (sacro deposito cioe terra consacrata) perche ha permesso agli ebrei di conquistarla Il credente segue la volontà di Dio ( comandamenti, sharia o halacha che sia) ma non pretende di comprendere i suoi impescrutabili disegni , non si sostituisce ad essi Nota: il termine Waqf lo ho trovato nello statuto di HAMAS ma piu comunemente è noto perche designa le banche islamiche ( i cui depositi sono sacri) : ma veramente queste banche sono diverse dalle altre ? Qualcuno ne sa qualcosa ?

Risposto da adriano succi su 30 Luglio 2014 a 11:23

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Roberto, comunque la si voglia girare e rigirare, il dato di fatto è l' incompatibilità tra Israele e Hamas, dopo di che ognuno può dare la sua personale classificazione su buoni e cattivi. Io ammiro le intelligenti considerazioni e le sapienti analisi di tutti voi, ma, alla fin fine, nessuno risponde alla più semplice delle domande: Cosa dovrebbe fare Israele oggi, domani, fra tre giorni, tra un mese, fintanto che continuerà a ricevere razzi da Hamas??? Roberto Zanre' ha detto: Francamente Adriano, potremmo ribaltare di 180 gradi le tue frasi. E' stato detto di tutto e di più, da anni e anni. Leggiamo e ascoltiamo sempre sempre sempre le stesse cose (invece raramente, o quasi mai, si ascolta riflettere da posizioni di conoscenza più approfondita e ragionata, come fa Giovanni). Non vedo nulla di nuovo nelle nostre posizioni, che rispecchiano le due/tre grandi posizioni sull'argomento e che ritroviamo in tutto il mondo. Del tipo, è nato prima l'uovo o prima la gallina? Oppure: I "cattivi" sono tutti da una parte o ce n'è un po' di qua e un po' di là? Noi siamo nati con il dono di avere sempre ragione? L'asimmetria delle forza bruta in campo è casuale o strumentale? L'esercizio della violenza è "buono" se è occidentale e "cattivo" se è da parte degli altri? Caino e gli straccioni hanno qualche diritto? Se vivo in Italia, paese notoriamente "mafioso", significa che sono mafioso anch'io? Se mio fratello è un omicida, la pena di morte vale anche per me? Su questo argomento, come su molti altri, ci sono posizioni solo ideologiche... anche da parte dei cosiddetti pragmatici. Il pragmatismo si nutre di ideologia? Oppure il pragmatismo "nasconde" e "mimetizza" l'ideologia? Da una parte ci si dice che ci vuole una visione realistica (e sono perfettamente d'accordo), dall'altra si danno giudizi di valore secondo cui, più o meno implicitamente, noi saremmo i più civili per cui avremmo diritto di usare armi pesanti a tappeto. Per noi non valgono mai le sanzioni? La violenza che vedo in questi giorni CANCELLA qualunque tipo di argomentazione e di lamentela. Ci vuole una faccia incredibile per lamentarsi se durante un'operazione militare di questo tipo gli altri "non stanno a guardare". Un mese fa quanti razzi venivano lanciati su Israele? Ricordiamo tutti il cosiddetto nuovo casus belli? Ma guardiamo i giovani israeliani morti in questa operazione militare. I politici fanatici della destra israeliana stanno mandando a morire i loro figli, per una guerra che è sbagliata. Qualcuno un giorno dovrà anche spiegarglielo a quelle madri. Diciamo la verità che alberga nelle nostre menti, senza tanti fronzoli: noi abbiamo ragione perché siamo i più forti. P.S. tra l'altro, ricordo che anche durante la grande operazione militare in Afghanistan - Enduring Freedom - nel territorio degli Stati Uniti d'America vennero recapitate buste contenenti spore di Antrace (5 morti, 17 avvelenati)... Mai trovati i responsabili... però tutti gli americani poterono sentirsi direttamente coinvolti nella guerra per la libertà. Risposte a questa discussione

Risposto da Fabio Colasanti su 30 Luglio 2014 a 11:32 Roberto, queste non sono le "regole folli che gestiscono il mondo". Queste sono le regole folli che gli incompetenti dirigenti argentini hanno scelto a suo tempo. Altri paesi hanno fatto scelte diverse e seguono regole differenti. 70 miliardi di euro di titoli greci (più di tutto il default argentino) sono stati cancellati nel 2011/2012 senza i problemi che stanno incontrando oggi gli argentini. Ma gli argentini, per aumentare la fiducia nei loro titoli di stato, hanno deciso a fine degli anni novanta di emetterli secondo la legge americana e oggi si trovano alla mercé di questa scelta. Altri paesi hanno emesso i loro titoli secondo la legge nazionale o secondo quella di altri paesi più tolleranti. I paesi europei hanno deciso di emettere i loro titoli con clause "di azione comune" che permettono di gestire una ristrutturazione. Quando poi nel 2005 gli argentini hanno negoziato (anche con le centinaia di migliaia di italiani che avevano "tango bonds") hanno inserito - sempre per aumentare la fiducia nei loro nuovi titoli - la clausola detta "RUFO" che stabilisce che se qualcuno fosse per caso pagato meglio dei sottoscrittori del concambio di titoli, ogni miglioramente concesso a terzi sarebbe automaticamente applicato a tutti quelli che hanno partecipato all'operazione di ristrutturazione. I guai attuali dipendono in gran parte da questa clausola (che non esiste nell'operazione fatta per la Grecia). Il caso argentino è un caso scuola di irresponsabilità politica, di governi che hanno proposto o accettato condizioni capestro sapendo bene che quando queste avessero dovuto "mordere" al governo ci sarebbe stato qualcun altro.

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Hanno proposto condizioni capestro per pagare meno interessi a breve termine (la cosa ricorda l'irresponsabilità di tanti comuni italiani che hanno accettato operazioni con prodotti "derivati" per aver un po' di soldi subito e senza preoccuparsi di quello che avrebbe potuto succedere dopo qualche anno). Del resto, questo è una versione estrema dell'irresponsabilità di chiunque si indebita pensando che il rimborso sarà il problema di qualcun altro. Contro questo tipo di incompetenza e irresponsabilità non c'è difesa. Roberto Zanre' ha detto: Queste sono le regole folli che gestiscono il Mondo: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-07-29/argentina-un-defa...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 30 Luglio 2014 a 12:28 Mi ha colpito l'intervista ad uno dei discendenti di casa Asburgo il quale asseriva che la II Guerra Mondiale era un'effetto diretto dei trattati che avevano concluso la prima; obbligare i paesi perdenti ad un risarcimento eccessivo, insostenibile dalla loro economia, ha avviato quei moti sociali e politici che, in Germania e Austria, hanno portato al nazionalsocialismo e al conflitto successivo; mi pare poter asserire che veramente la storia non insegna niente; finchè ci affideremo a governanti che si preoccupano più dei sondaggi che del futuro, che sono più figure mondane che filosofi e saggi, il mondo andrà sempre peggio; e l'informazione, gli intellettuali, la maggior parte dei cosiddetti pensatori sono una delle concause principali all'affermazione del pensiero"unico", muscolare, che rifiuta nei fatti quanto, demagocicamente, declama a parole. Ne è un esempio l'Argentina, in campo economico ( in cui il 6% dei creditori riesce a far saltare un faticoso equilibrio raggiunto con il restante 94%-alla faccia del principio democratico), ne è un esempio l'attuale crisi di Gaza, in cui non compaiono mai le ragioni dei deboli ( nascoste dall'esaltazione dei criminali di ambo le parti), ne è un esempio il funzionamento dell'economia globale ( con la mercificazione degli elementi naturali), ne è un esempio la scelta energetica ( con la persistente scelta di combustibili fossili, nonostante il loro sicuro futuro esaurimento e gli effetti sul clima e l'ambiente, compresa la nostra salute); ne è anche un ulteriore esempio l'approccio alla salute umana ( dove prevale e prevalica l'aspetto della cura su quello della prevenzione), come d'altronde succede anche per i disastri naturali, che ci riempiono quotidianamente di lacrime di coccodrillo ( e, anche qui, le risorse per la prevenzione sono dirottate sulle Grandi Opere, miticamente foriere di benessere e lavoro). Se non fosse che sono un inguaribile ottimista sulla resilienza dell'umanità, direi che dovremmo spararci, risparmieremmo tanta sofferenza.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 30 Luglio 2014 a 12:41 Ma tu pensi proprio che a pagare saranno "gli incompetenti dirigenti argentini"? Forse che quegli incompetenti, come li chiami, hanno indetto dei referendum prima di compiere certe scelte, hanno informato il popolo sulle alternative e possibili effetti futuri? Hanno semplicemente seguito i sondaggi; ergo, chi li ha scelti deve pagarne il fio, alla faccia di ogni altra considerazione; come è sempre stato giusto, no? La Germania ha perso la I Guerra per cui il popolo, non i nobili, gli industriali, i dirigenti, che l'hanno perseguita, deve pagare, Hitler è stato scelto dal popolo, per cui il popolo deve pagare, i tedeschi hanno creduto a Hitler e Mussolini sulla questione ebraica, quindi gli ebrei devono pagare, gli arabi hanno perso la guerra con Israele, quindi gli arabi devono pagare, poi Israele ha perseguitato gli arabi, quindi gli ebrei dovranno tornare a pagare ( o useranno l'atomica citata da Giorgio, per fa pagare a tutti noi?) dove si andrà a finire se non si salta su un altro binario? Fabio Colasanti ha detto: Roberto, queste non sono le "regole folli che gestiscono il mondo". Queste sono le regole folli che gli incompetenti dirigenti argentini hanno scelto a suo tempo. Altri paesi hanno fatto scelte diverse e seguono regole differenti. 70 miliardi di euro di titoli greci (più di tutto il default argentino) sono stati cancellati nel 2011/2012 senza i problemi che stanno incontrando oggi gli argentini. Ma gli argentini, per aumentare la fiducia nei loro titoli di stato, hanno deciso a fine degli anni novanta di emetterli secondo la legge americana e oggi si trovano alla mercé di questa scelta. Altri paesi hanno emesso i loro titoli secondo la legge nazionale o secondo quella di altri paesi più tolleranti. I paesi europei hanno deciso di emettere i loro titoli con clause "di azione comune" che permettono di gestire una ristrutturazione.

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Quando poi nel 2005 gli argentini hanno negoziato (anche con le centinaia di migliaia di italiani che avevano "tango bonds") hanno inserito - sempre per aumentare la fiducia nei loro nuovi titoli - la clausola detta "RUFO" che stabilisce che se qualcuno fosse per caso pagato meglio dei sottoscrittori del concambio di titoli, ogni miglioramente concesso a terzi sarebbe automaticamente applicato a tutti quelli che hanno partecipato all'operazione di ristrutturazione. I guai attuali dipendono in gran parte da questa clausola (che non esiste nell'operazione fatta per la Grecia). Il caso argentino è un caso scuola di irresponsabilità politica, di governi che hanno proposto o accettato condizioni capestro sapendo bene che quando queste avessero dovuto "mordere" al governo ci sarebbe stato qualcun altro. Hanno proposto condizioni capestro per pagare meno interessi a breve termine (la cosa ricorda l'irresponsabilità di tanti comuni italiani che hanno accettato operazioni con prodotti "derivati" per aver un po' di soldi subito e senza preoccuparsi di quello che avrebbe potuto succedere dopo qualche anno). Del resto, questo è una versione estrema dell'irresponsabilità di chiunque si indebita pensando che il rimborso sarà il problema di qualcun altro. Contro questo tipo di incompetenza e irresponsabilità non c'è difesa. Roberto Zanre' ha detto: Queste sono le regole folli che gestiscono il Mondo: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-07-29/argentina-un-defa...

Risposto da giovanni de sio cesari su 30 Luglio 2014 a 13:08 Adriano Rispondo io senza esitazioni Di fonte al lancio di razzi gli israeliani non possono che lanciare bombe che ammazzano soprattutto civili, creare un clima insopportabile di insicurezza e terrore ecc ecc esattamente come stanno facendo Io infatti dicevo: HAMAS non ha aerei e missili e lancia quindi razzi (e se puo attentati ) indiscriminati sui civili israeliani: non è per malvagità ma perche che altro potrebbe fare ? certo la pace ma.. Gli israeliani hanno aerei carri e missili ma i nemici si nascondono fra la folla e allora sparano sulla folla: non per malvagita ma che altro potrebbero fare? certo la pace ma... . Immaginate di essere combattenti israeliani o di HAMAS : cosa fareste voi? Pero se si vuole che questi orrori non continuino a durare oltre le tre generazioni e piombino sulla quarta bisogna pensare a qualcosa altro perche in queste conflitto si possono vincere le battaglie ma non la guerra: questo e il punto adriano succi ha detto: Roberto, comunque la si voglia girare e rigirare, il dato di fatto è l' incompatibilità tra Israele e Hamas, dopo di che ognuno può dare la sua personale classificazione su buoni e cattivi. Io ammiro le intelligenti considerazioni e le sapienti analisi di tutti voi, ma, alla fin fine, nessuno risponde alla più semplice delle domande: Cosa dovrebbe fare Israele oggi, domani, fra tre giorni, tra un mese, fintanto che continuerà a ricevere razzi da Hamas???

Risposto da Roberto Zanre' su 30 Luglio 2014 a 13:43 Ti ringrazio per le precisazioni... ... sapevo della clausola RUFO, ma avevo capito che gli argentini fossero stati obbligati in questo senso... Certo che i vari giornalisti la raccontano sempre come vogliono... Fabio Colasanti ha detto: Roberto, queste non sono le "regole folli che gestiscono il mondo". Queste sono le regole folli che gli incompetenti dirigenti argentini hanno scelto a suo tempo. Altri paesi hanno fatto scelte diverse e seguono regole differenti. 70 miliardi di

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euro di titoli greci (più di tutto il default argentino) sono stati cancellati nel 2011/2012 senza i problemi che stanno incontrando oggi gli argentini. Ma gli argentini, per aumentare la fiducia nei loro titoli di stato, hanno deciso a fine degli anni novanta di emetterli secondo la legge americana e oggi si trovano alla mercé di questa scelta. Altri paesi hanno emesso i loro titoli secondo la legge nazionale o secondo quella di altri paesi più tolleranti. I paesi europei hanno deciso di emettere i loro titoli con clause "di azione comune" che permettono di gestire una ristrutturazione. Quando poi nel 2005 gli argentini hanno negoziato (anche con le centinaia di migliaia di italiani che avevano "tango bonds") hanno inserito - sempre per aumentare la fiducia nei loro nuovi titoli - la clausola detta "RUFO" che stabilisce che se qualcuno fosse per caso pagato meglio dei sottoscrittori del concambio di titoli, ogni miglioramente concesso a terzi sarebbe automaticamente applicato a tutti quelli che hanno partecipato all'operazione di ristrutturazione. I guai attuali dipendono in gran parte da questa clausola (che non esiste nell'operazione fatta per la Grecia). Il caso argentino è un caso scuola di irresponsabilità politica, di governi che hanno proposto o accettato condizioni capestro sapendo bene che quando queste avessero dovuto "mordere" al governo ci sarebbe stato qualcun altro. Hanno proposto condizioni capestro per pagare meno interessi a breve termine (la cosa ricorda l'irresponsabilità di tanti comuni italiani che hanno accettato operazioni con prodotti "derivati" per aver un po' di soldi subito e senza preoccuparsi di quello che avrebbe potuto succedere dopo qualche anno). Del resto, questo è una versione estrema dell'irresponsabilità di chiunque si indebita pensando che il rimborso sarà il problema di qualcun altro. Contro questo tipo di incompetenza e irresponsabilità non c'è difesa. Roberto Zanre' ha detto: Queste sono le regole folli che gestiscono il Mondo: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-07-29/argentina-un-defa...

Risposto da Fabio Colasanti su 30 Luglio 2014 a 14:39 Giampaolo, nella cancellazione dei 70 miliardi di debito greco c'è anche stata una piccolissima parte di creditori che non ha accettato le condizioni offerte. Ma questo non ha fatto saltare l'operazione. Semplicemente perché l'operazione greca è stata fatta sotto la supervisione di gente esperta (FMI e Unione europea). Dopo il default, l'Argentina non ha più voluto parlare con il FMI e ha fatto da sola. Questo ha dato la possibilità ai suoi dirigenti di scegliere la soluzione più conveniente a brevissimo termine (e peggiore a medio/lungo termine). Giampaolo Carboniero ha detto: Mi ha colpito l'intervista ad uno dei discendenti di casa Asburgo il quale asseriva che la II Guerra Mondiale era un'effetto diretto dei trattati che avevano concluso la prima; obbligare i paesi perdenti ad un risarcimento eccessivo, insostenibile dalla loro economia, ha avviato quei moti sociali e politici che, in Germania e Austria, hanno portato al nazionalsocialismo e al conflitto successivo; mi pare poter asserire che veramente la storia non insegna niente; finchè ci affideremo a governanti che si preoccupano più dei sondaggi che del futuro, che sono più figure mondane che filosofi e saggi, il mondo andrà sempre peggio; e l'informazione, gli intellettuali, la maggior parte dei cosiddetti pensatori sono una delle concause principali all'affermazione del pensiero"unico", muscolare, che rifiuta nei fatti quanto, demagocicamente, declama a parole. Ne è un esempio l'Argentina, in campo economico ( in cui il 6% dei creditori riesce a far saltare un faticoso equilibrio raggiunto con il restante 94%-alla faccia del principio democratico), ne è un esempio l'attuale crisi di Gaza, in cui non compaiono mai le ragioni dei deboli ( nascoste dall'esaltazione dei criminali di ambo le parti), ne è un esempio il funzionamento dell'economia globale ( con la mercificazione degli elementi naturali), ne è un esempio la scelta energetica ( con la persistente scelta di combustibili fossili, nonostante il loro sicuro futuro esaurimento e gli effetti sul clima e l'ambiente, compresa la nostra salute); ne è anche un ulteriore esempio l'approccio alla salute umana ( dove prevale e prevalica l'aspetto della cura su quello della prevenzione), come d'altronde succede anche per i disastri naturali, che ci riempiono quotidianamente di lacrime di coccodrillo ( e, anche qui, le risorse per la prevenzione sono dirottate sulle Grandi Opere, miticamente foriere di benessere e lavoro). Se non fosse che sono un inguaribile ottimista sulla resilienza dell'umanità, direi che dovremmo spararci, risparmieremmo tanta sofferenza.

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Risposto da Giuseppe Ardizzone su 30 Luglio 2014 a 15:04 Sono profondamente deluso rispetto a quanto sento sui vari social network ed anche fra di noi rispetto alle possiblità di una svolta che ponga fine alle atrocità a cui stiamo assitendo all'interno del conflitto fra ebrei e palestinesi; ma, meglio ancora fra mondo arabo e Israele . Può darsi che le due parti siano irriducibili; ma, a questo punto, è la comunità internazionale che deve agire, non prendendo le parti di nessuno dei due contendenti ;.anzi ,semmai, assicurando un futuro a quello che oggi appare il problema più delicato: la sopravvivenza e le condizioni di vita dei palestinesi . Così come a suo tempo fu deciso unilateralmente, da parte della comunità internazionale, di dare vita allo stato d'Israele; oggi, è necessario che, con la stessa determinazione, si stabiliscano i confini , le condizioni ed i tempi per la costituzione e realizzazione di uno stato palestinese. La comunità internazionale deve assumersi la responsabilità di . 1) bonificare militarmente l'area e presidiarla con forze ONU ,almeno di tutti i paesi del Consiglio di sicurezza.. Stabilire un territorio e i confini del nuovo stato palestinese , definirlo protettorato ONU ed affidarlo ad una gestione di commissari ONU per un periodo da definire non inferiore a dieci anni. 2) decidere che qualunque atto compiuto in contrasto a queste decisioni sia considerato un atto contro la comunità internazionale. 3) Definire un piano straordinario di sviluppo economico del nuovo protettorato gestito dai commissari ONU . Non penso minimamente che questa possa essere l'unica soluzione possibile; ma, certo, è una possibilità che contrasta con la mentalità dell'inevitabilità sia del conflitto che dei rapporti della comunità internazionale con l'area considerata. Non dimentichiamo che un qualsiasi focolaio nel mondo globalizzato non è un problema solo di quell'area. Ricordiamoci inoltre i pericoli che l'armamento nucleare rappresenta per tutta l'umanità : Queste considerazioni, a suo tempo, misero in campo, contro l'intervento americano nel Vietnam, intere generazioni . Tutto sembra dimenticato!. Le ragioni della real politik non vengono più contestate, spiegandone la loro pericolosità complessiva e la loro inadeguatezza strategica. . Il potere e la forza ,come risoluzione dei problemi, sono antiche come il mondo; ma, alla fine, sono scorciatoie che non risolvono mai, da sole, i problemi che pensano di affrontare.Deve esserci, comunque, un progetto capace di dare dignità e speranza alle persone ed è quello che risulterà sempre vincente . Adriano Rispondo io senza esitazioni Di fonte al lancio di razzi gli israeliani non possono che lanciare bombe che ammazzano soprattutto civili, creare un clima insopportabile di insicurezza e terrore ecc ecc esattamente come stanno facendo Io infatti dicevo: HAMAS non ha aerei e missili e lancia quindi razzi (e se puo attentati ) indiscriminati sui civili israeliani: non è per malvagità ma perche che altro potrebbe fare ? certo la pace ma.. Gli israeliani hanno aerei carri e missili ma i nemici si nascondono fra la folla e allora sparano sulla folla: non per malvagita ma che altro potrebbero fare? certo la pace ma... . Immaginate di essere combattenti israeliani o di HAMAS : cosa fareste voi? Pero se si vuole che questi orrori non continuino a durare oltre le tre generazioni e piombino sulla quarta bisogna pensare a qualcosa altro perche in queste conflitto si possono vincere le battaglie ma non la guerra: questo e il punto

Risposto da Fabio Colasanti su 30 Luglio 2014 a 15:06 Roberto, sono sicuro che i ministri argentini dell'epoca diranno tutti che si sono sentiti "obbligati" a scegliere la soluzione più conveniente in quel momento (in un'ottica di brevissimo termine). Se tu fai della grandi promesse ai creditori "questi titoli sono emessi sulla base della legge americana che protegge i creditori e quindi noi governo argentino non potremo mai rinnegare i nostri impegni" è chiaro che questi

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sottoscriveranno a tassi di interesse più bassi. Ma poi a decidere sulle operazioni di ristrutturazione saranno i tribunali americani, sulla base delle leggi americane. Nella stessa maniera se dici ai creditori che non puoi ripagare - "nessuno sarà mai trattato meglio di voi" - è chiaro che questi saranno indotti ad accettare la ristrutturazione del debito a tassi di interesse più bassi. Ma la promessa, se fatta per iscritto, ha poi un valore legale e può essere invocata. Erano i dirigenti argentini veramente "obbligati" a proporre soluzioni che abbassavano il costo immediato delle operazioni, ma che creavano il rischio di costi aggiuntivi molto forti più tardi? L'argomentazione è simile a quella del tizio che dice di essere stato "obbligato" dalla sua situazione economica a non sottoscrivere un'assicurazione contro l'incendio e che poi, quando questo si verifica, si ritrova senza nulla. Non è del tutto priva di contenuto, ma non credo possa essere accettata. Un'osservazione sui limiti dei nostri dirigenti (in tutti i paesi). Il caso argentino è stato importante e ha spinto molti a chiedersi se non si potevano gestire queste operazioni in maniera più razionale. Il Fondo Monetario Internazionale ha cominciato nel 2001/2002 dei lavori sulla maniera di gestire il "default" di un paese e sulla possibilità di introdurre alcune regole, ispirate da quello che si fa per i fallimenti commerciali in molti paesi. Prima che i risultati di questi lavori fossero pubblicati, gli stati membri del FMI hanno imposto all'organizzazione di bloccare tutto e di non pubblicare nulla. La possibilità che un paese fosse obbligato a non onorare i suoi debiti non doveva nemmeno essere discussa. Si aveva paura che il solo discutere della possibilità teorica di un default potesse mettere in guardia i mercati finanziari e fare aumentare marginalmente i tassi di interesse richiesti per finanziare i disavanzi pubblici. Nella stessa maniera, tutti gli stati industrializzati, nel quadro delle regole dette di "Basilea" hanno deciso che le banche non devono mettere da parte nemmeno un euro o un dollaro di capitale proprio quando comprano titoli emessi dal paese dove sono residenti. Quindi, di fatto, si considerano i titoli di stato del paese di residenza di una banca come assolutamente sicuri, a "rischio zero". Come gli sviluppi recenti hanno dimostrato, questa è un'ipotesi irrealistica. Tutti gli stati la hanno difesa (e la difendono) perché conduce a tassi di interesse più bassi sui loro debiti pubblici. Ma questa regola ha portato alla situazione attuale dove le banche di un paese (per esempio, il nostro) sono deboli non perché abbiano condotto politiche dissennate, ma solo perché razionalmente hanno in pancia moltissimi titoli del paese dove sono stabilite. Se la credibilità dei titoli del paese nazzica, anche le banche diventano inaffidabili creando il circolo vizioso che ha affondato tanti paesi dell'eurozona. Non vedo nessuna voglia di correggere queste due decisioni deleterie. Roberto Zanre' ha detto: Ti ringrazio per le precisazioni... ... sapevo della clausola RUFO, ma avevo capito che gli argentini fossero stati obbligati in questo senso... Certo che i vari giornalisti la raccontano sempre come vogliono... Fabio Colasanti ha detto: Roberto, queste non sono le "regole folli che gestiscono il mondo". Queste sono le regole folli che gli incompetenti dirigenti argentini hanno scelto a suo tempo. Altri paesi hanno fatto scelte diverse e seguono regole differenti. 70 miliardi di euro di titoli greci (più di tutto il default argentino) sono stati cancellati nel 2011/2012 senza i problemi che stanno incontrando oggi gli argentini. Ma gli argentini, per aumentare la fiducia nei loro titoli di stato, hanno deciso a fine degli anni novanta di emetterli secondo la legge americana e oggi si trovano alla mercé di questa scelta. Altri paesi hanno emesso i loro titoli secondo la legge nazionale o secondo quella di altri paesi più tolleranti. I paesi europei hanno deciso di emettere i loro titoli con clause "di azione comune" che permettono di gestire una ristrutturazione. Quando poi nel 2005 gli argentini hanno negoziato (anche con le centinaia di migliaia di italiani che avevano "tango bonds") hanno inserito - sempre per aumentare la fiducia nei loro nuovi titoli - la clausola detta "RUFO" che stabilisce che se qualcuno fosse per caso pagato meglio dei sottoscrittori del concambio di titoli, ogni miglioramente concesso a terzi sarebbe automaticamente applicato a tutti quelli che hanno partecipato all'operazione di ristrutturazione. I guai attuali dipendono in gran parte da questa clausola (che non esiste nell'operazione fatta per la Grecia). Il caso argentino è un caso scuola di irresponsabilità politica, di governi che hanno proposto o accettato condizioni capestro sapendo bene che quando queste avessero dovuto "mordere" al governo ci sarebbe stato qualcun altro. Hanno proposto condizioni capestro per pagare meno interessi a breve termine (la cosa ricorda l'irresponsabilità di tanti comuni italiani che hanno accettato operazioni con prodotti "derivati" per aver un po' di soldi subito e senza preoccuparsi di quello che avrebbe potuto succedere dopo qualche anno). Del resto, questo è una versione estrema dell'irresponsabilità di chiunque si indebita pensando che il rimborso sarà il problema di qualcun altro. Contro questo tipo di incompetenza e irresponsabilità non c'è difesa.

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Risposto da Roberto Zanre' su 30 Luglio 2014 a 15:26 Benissimo Giuseppe... questa strada mi convince. Non solo la comunità internazionale e' assente, ma di fatto parteggia per una delle due parti. Lo si può fare perché qualcuno nel mondo (USA, Europa, eccetera) percepisce che l'asimmetria della forze in campo (militare, strategica, economica, informativa) è molto grande. Naturale pensare alla soluzione più facile. La chiamo ipocrisia o doppio pesismo, ma in realtà nasconde una lucida scelta politica: l'opzione militare a necessità. Si tratta di una scelta molto pericolosa. Il passato ci insegna che poi queste cose diventano incontrollabili, prima o poi (soprattutto perché stiamo creandoci troppi nemici). Anch'io sono deluso quando sento parlare di queste cose come se fosse tutto scontato. Giuseppe Ardizzone ha detto: Sono profondamente deluso rispetto a quanto sento sui vari social network ed anche fra di noi rispetto alle possiblità di una svolta che ponga fine alle atrocità a cui stiamo assitendo all'interno del conflitto fra ebrei e palestinesi; ma, meglio ancora fra mondo arabo e Israele . Può darsi che le due parti siano irriducibili; ma, a questo punto, è la comunità internazionale che deve agire, non prendendo le parti di nessuno dei due contendenti ;.anzi ,semmai, assicurando un futuro a quello che oggi appare il problema più delicato: la sopravvivenza e le condizioni di vita dei palestinesi . Così come a suo tempo fu deciso unilateralmente, da parte della comunità internazionale, di dare vita allo stato d'Israele; oggi, è necessario che, con la stessa determinazione, si stabiliscano i confini , le condizioni ed i tempi per la costituzione e realizzazione di uno stato palestinese. La comunità internazionale deve assumersi la responsabilità di . 1) bonificare militarmente l'area e presidiarla con forze ONU ,almeno di tutti i paesi del Consiglio di sicurezza.. Stabilire un territorio e i confini del nuovo stato palestinese , definirlo protettorato ONU ed affidarlo ad una gestione di commissari ONU per un periodo da definire non inferiore a dieci anni. 2) decidere che qualunque atto compiuto in contrasto a queste decisioni sia considerato un atto contro la comunità internazionale. 3) Definire un piano straordinario di sviluppo economico del nuovo protettorato gestito dai commissari ONU . Non penso minimamente che questa possa essere l'unica soluzione possibile; ma, certo, è una possibilità che contrasta con la mentalità dell'inevitabilità sia del conflitto che dei rapporti della comunità internazionale con l'area considerata. Non dimentichiamo che un qualsiasi focolaio nel mondo globalizzato non è un problema solo di quell'area. Ricordiamoci inoltre i pericoli che l'armamento nucleare rappresenta per tutta l'umanità : Queste considerazioni, a suo tempo, misero in campo, contro l'intervento americano nel Vietnam, intere generazioni . Tutto sembra dimenticato!. Le ragioni della real politik non vengono più contestate, spiegandone la loro pericolosità complessiva e la loro inadeguatezza strategica. . Il potere e la forza ,come risoluzione dei problemi, sono antiche come il mondo; ma, alla fine, sono scorciatoie che non risolvono mai, da sole, i problemi che pensano di affrontare.Deve esserci, comunque, un progetto capace di dare dignità e speranza alle persone ed è quello che risulterà sempre vincente .

Risposto da Roberto Zanre' su 30 Luglio 2014 a 15:37 Interessante. Allora una domanda, che credo difficile perché presume delle previsioni senza elementi. Per esempio, la questione titoli di stato acquistati dalle banche del paese emettitore. Se si cambiasse questo impianto, come cambierebbero i tassi di interesse? Oppure, più in generale, cosa cambierebbe per i debiti sovrani? Sarebbe così problematico (visto che non viene fatto)? Se fai delle previsioni, con qualche piccolo calcolo, forse sarebbe interessante. E per l'altro discorso (FMI), del tutto accantonata l'idea? O se ne discute ancora, almeno a livello di studi? Grazie, in ogni caso, per le tue eventuali risposte. Quando ho tempo, dovrei farti un'altra domanda... Fabio Colasanti ha detto:

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Roberto, sono sicuro che i ministri argentini dell'epoca diranno tutti che si sono sentiti "obbligati" a scegliere la soluzione più conveniente in quel momento (in un'ottica di brevissimo termine). Se tu fai della grandi promesse ai creditori "questi titoli sono emessi sulla base della legge americana che protegge i creditori e quindi noi governo argentino non potremo mai rinnegare i nostri impegni" è chiaro che questi sottoscriveranno a tassi di interesse più bassi. Ma poi a decidere sulle operazioni di ristrutturazione saranno i tribunali americani, sulla base delle leggi americane. Nella stessa maniera se dici ai creditori che non puoi ripagare - "nessuno sarà mai trattato meglio di voi" - è chiaro che questi saranno indotti ad accettare la ristrutturazione del debito a tassi di interesse più bassi. Ma la promessa, se fatta per iscritto, ha poi un valore legale e può essere invocata. Erano i dirigenti argentini veramente "obbligati" a proporre soluzioni che abbassavano il costo immediato delle operazioni, ma che creavano il rischio di costi aggiuntivi molto forti più tardi? L'argomentazione è simile a quella del tizio che dice di essere stato "obbligato" dalla sua situazione economica a non sottoscrivere un'assicurazione contro l'incendio e che poi, quando questo si verifica, si ritrova senza nulla. Non è del tutto priva di contenuto, ma non credo possa essere accettata. Un'osservazione sui limiti dei nostri dirigenti (in tutti i paesi). Il caso argentino è stato importante e ha spinto molti a chiedersi se non si potevano gestire queste operazioni in maniera più razionale. Il Fondo Monetario Internazionale ha cominciato nel 2001/2002 dei lavori sulla maniera di gestire il "default" di un paese e sulla possibilità di introdurre alcune regole, ispirate da quello che si fa per i fallimenti commerciali in molti paesi. Prima che i risultati di questi lavori fossero pubblicati, gli stati membri del FMI hanno imposto all'organizzazione di bloccare tutto e di non pubblicare nulla. La possibilità che un paese fosse obbligato a non onorare i suoi debiti non doveva nemmeno essere discussa. Si aveva paura che il solo discutere della possibilità teorica di un default potesse mettere in guardia i mercati finanziari e fare aumentare marginalmente i tassi di interesse richiesti per finanziare i disavanzi pubblici. Nella stessa maniera, tutti gli stati industrializzati, nel quadro delle regole dette di "Basilea" hanno deciso che le banche non devono mettere da parte nemmeno un euro o un dollaro di capitale proprio quando comprano titoli emessi dal paese dove sono residenti. Quindi, di fatto, si considerano i titoli di stato del paese di residenza di una banca come assolutamente sicuri, a "rischio zero". Come gli sviluppi recenti hanno dimostrato, questa è un'ipotesi irrealistica. Tutti gli stati la hanno difesa (e la difendono) perché conduce a tassi di interesse più bassi sui loro debiti pubblici. Ma questa regola ha portato alla situazione attuale dove le banche di un paese (per esempio, il nostro) sono deboli non perché abbiano condotto politiche dissennate, ma solo perché razionalmente hanno in pancia moltissimi titoli del paese dove sono stabilite. Se la credibilità dei titoli del paese nazzica, anche le banche diventano inaffidabili creando il circolo vizioso che ha affondato tanti paesi dell'eurozona. Non vedo nessuna voglia di correggere queste due decisioni deleterie.

Risposto da giorgio varaldo su 30 Luglio 2014 a 16:47 Giuseppe, condizione necessaria per il dispiegamento di una forza ONU in qualsiasi territorio e' la smilitarizzazione del territorio stesso come e' stato fatto in kossovo. Sarebbe quindi necessario il disarmo di HAMAS quindi la accettazione della proposta egiziana respinta dagli altri paesi arabi e dagli USA. Accetteranno mai le varie frazioni islamiche presenti a gaza e nel west bank di deporre e consegnare le armi?

Risposto da adriano succi su 30 Luglio 2014 a 17:00 E' quello che volevo sentire dire. C' è un oggi, un "tra una settimana" e c' è un … tra un anno … Troppo spesso, nelle dotte discussioni, si parla del … tra un anno, ed allora si immaginano incontri di Pace auspicabili quanto oggi improbabili. La questione che io pongo è: cosa fare adesso? Israele e Hamas sono incompatibili, nel breve termine uno dei due deve vincere e l' altro soccombere. *

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Tra un anno, meglio se prima. Nessuno lancia più razzi su Israele, Hamas non esiste più, ne militarmente ne politicamente. A questo punto Israele non ha più alibi e DEVE fare ampie concessioni. Innanzitutto una striscia di terra che permetta di collegare i due territori Palestinesi, la fine di ogni tipo di embargo. L'ONU controllerà che non ricomincino ad importare armi. Tutto il mondo Occidentale, Israele compresa, metterà in pista un grandioso piano di ricostruzione del neo Stato Palestina. Se Israele non accetterà, l' embargo toccherà a lei. * Però adesso siamo ancora nella fase uno. PS L' ONU ha ammesso oggi, che nei sotterranei delle sue scuole distrutte da Israele, c' erano gli arsenali di Hamas. giovanni de sio cesari ha detto: Adriano Rispondo io senza esitazioni Di fonte al lancio di razzi gli israeliani non possono che lanciare bombe che ammazzano soprattutto civili, creare un clima insopportabile di insicurezza e terrore ecc ecc esattamente come stanno facendo Io infatti dicevo: HAMAS non ha aerei e missili e lancia quindi razzi (e se puo attentati ) indiscriminati sui civili israeliani: non è per malvagità ma perche che altro potrebbe fare ? certo la pace ma.. Gli israeliani hanno aerei carri e missili ma i nemici si nascondono fra la folla e allora sparano sulla folla: non per malvagita ma che altro potrebbero fare? certo la pace ma... . Immaginate di essere combattenti israeliani o di HAMAS : cosa fareste voi? Pero se si vuole che questi orrori non continuino a durare oltre le tre generazioni e piombino sulla quarta bisogna pensare a qualcosa altro perche in queste conflitto si possono vincere le battaglie ma non la guerra: questo e il punto Risposte a questa discussione

Risposto da adriano succi su 30 Luglio 2014 a 17:15 Giuseppe, invece che parlare di conflitto tra Ebrei e Palestinesi o tra mondo Arabo e Israele, prova a considerare che la guerra è tra Hamas e Israele e magari le cose cambiano aspetto. Quella che chiami "la comunità Internazionale" è stata troppo scottata dalle innumerevoli guerre all' interno del vivace mondo Arabo/Mussulmano, e non ha nessuna voglia di impegolarsi un' altra volta. Dici: "bonificare militarmente l' area". E chi dovrebbe farlo? Ci mandiamo 1000 soldati Italiani, 1000 Francesi, 1000 Tedeschi, eccetera ? Le tue considerazioni finali sono belle e nobili e molto in linea con il pensiero progressista degli ultimi decenni. Belle e nobili, ma che non hanno (quasi) mai portato a niente. Giuseppe Ardizzone ha detto: Sono profondamente deluso rispetto a quanto sento sui vari social network ed anche fra di noi rispetto alle possiblità di una svolta che ponga fine alle atrocità a cui stiamo assitendo all'interno del conflitto fra ebrei e palestinesi; ma, meglio ancora fra mondo arabo e Israele . Può darsi che le due parti siano irriducibili; ma, a questo punto, è la comunità internazionale che deve agire, non prendendo le parti di nessuno dei due contendenti ;.anzi ,semmai, assicurando un futuro a quello che oggi appare il problema più delicato: la sopravvivenza e le condizioni di vita dei palestinesi . Così come a suo tempo fu deciso unilateralmente, da parte della comunità internazionale, di dare vita allo stato d'Israele; oggi, è necessario che, con la stessa determinazione, si stabiliscano i confini , le condizioni ed i tempi per la costituzione e realizzazione di uno stato palestinese. La comunità internazionale deve assumersi la responsabilità di . 1) bonificare militarmente l'area e presidiarla con forze ONU ,almeno di tutti i paesi del Consiglio di sicurezza.. Stabilire un territorio e i confini del nuovo stato palestinese , definirlo protettorato ONU ed affidarlo ad una gestione di commissari ONU per un periodo da definire non inferiore a dieci anni. 2) decidere che qualunque atto compiuto in contrasto a queste decisioni sia considerato un atto contro la comunità internazionale. 3) Definire un piano straordinario di sviluppo economico del nuovo protettorato gestito dai commissari ONU .

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Non penso minimamente che questa possa essere l'unica soluzione possibile; ma, certo, è una possibilità che contrasta con la mentalità dell'inevitabilità sia del conflitto che dei rapporti della comunità internazionale con l'area considerata. Non dimentichiamo che un qualsiasi focolaio nel mondo globalizzato non è un problema solo di quell'area. Ricordiamoci inoltre i pericoli che l'armamento nucleare rappresenta per tutta l'umanità : Queste considerazioni, a suo tempo, misero in campo, contro l'intervento americano nel Vietnam, intere generazioni . Tutto sembra dimenticato!. Le ragioni della real politik non vengono più contestate, spiegandone la loro pericolosità complessiva e la loro inadeguatezza strategica. . Il potere e la forza ,come risoluzione dei problemi, sono antiche come il mondo; ma, alla fine, sono scorciatoie che non risolvono mai, da sole, i problemi che pensano di affrontare.Deve esserci, comunque, un progetto capace di dare dignità e speranza alle persone ed è quello che risulterà sempre vincente .

Risposto da giorgio varaldo su 30 Luglio 2014 a 17:51 Adriano dopo quanto successo in somalia con l'operazione restore hope nessun paese occidentale ha voglia di far da forza di pacificazione anche perche' la cosiddetta pacifucazione in casi simili la si puo' fare solo con le armi. Ho ricordato il kossovo del quale ben poche notizie sono comparse sulla stampa. E pochi sanno che nei campi dove erano stanziate le truppe NATO era in funzione 24 ore al giorno il radar di tracking che determinando i punti di partenza dei colpi lanciati contro i campi facevano partire automaticamente il fuoco di controbatteria sia con i mortai da 120 che con i cannoni da 155 esattamente come fa israele a gaza. Ed il tutto in uno scenario formalmente demilitarizzato . Figuriamoci cosa succederebbe a gaza con i lanci di HAMAS in partenza dal cortile di un ospedale solo che in tal caso il fuoco di controbatteria sarebbe condotto dalle forze ONU e magari proprio da soldati italiani!

Risposto da adriano succi su 30 Luglio 2014 a 18:00 Prima dicevo che le iniziative della "comunità internazionale" non hanno (quasi) mai portato a niente. Il (quasi) è riferito al Libano dove, effettivamente, i contingenti ONU, tra cui i Carabinieri Italiani, sono serviti a qualcosa. Ma temo che nessuno abbia più voglia di ripetere l' esperienza. A meno che Giuseppe abbia informazioni che noi non abbiamo. giorgio varaldo ha detto: Adriano dopo quanto successo in somalia con l'operazione restore hope nessun paese occidentale ha voglia di far da forza di pacificazione anche perche' la cisiddetta pacifucazione in casi simili la si puo' fare solo con le armi. Ho ricordato il kossovo del quale ben poche notizie sono comparse sulla stampa. E pochi sanno che nei campi dove erano stanziate le truppe NATO era in funzione 24 ore al giorno il radar di tracking che determinando i punti di partenza dei colpi lanciati contro i campi facevano partire automaticamente il fuoco di controbatteria sia con i mortai da 120 che con i cannoni da 155 esattamente come fa israele a gaza. Ed il tutto in uno scenario formalmente demilitarizzato . Figuriamoci cosa succederebbe a gaza con i lanci di HAMAS in partenza dal cortile di un ospedale solo che in tal caso il fuoco di controbatteria sarebbe condotto dalle forze ONU e magari proprio da soldati italiani!

Risposto da Fabio Colasanti su 30 Luglio 2014 a 18:03 Roberto, non incoraggiare le banche a comprare titoli di stato del paese di residenza (nella zona euro di tutti i paesi membri, perché nella zona euro abbiamo stabilito che tutti i titoli di stato in euro sono di fatto a "rischio zero" !) spingerebbe

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

leggermente verso l'alto il tasso di interesse richiesto sui titoli di stato e aumenterebbe un pochino il costo della gestione di tutti i debiti pubblici (le banche sarebbero obbligate ad accantonare capitale anche in caso di acquisto di titoli pubblici e questo avrebbe un costo). Se poi si discutesse apertamente di come gestire il "fallimento" di uno stato sovrano, questo ricorderebbe a tutte le persone che operano sui mercati che i titoli pubblici non sono poi così sicuri come si pensa e anche questo spingerebbe un pochino verso l'alto il costo del debito pubblico di ogni paese. Ma l'incoraggiamento alla banche a comprare titoli di stato del paese di residenza crea dei rischi sistemici grossi e non avere regole per gestire l'eventuale fallimento di un paese conduce ad improvvisare (come si è fatto durante la crisi nella zona euro) e ad applicare soluzioni non ottimali, tardi e porta forse anche a costi sociali ed economici più alti. Quindi non c'è dubbio che si dovrebbe fare qualcosa nelle due direzioni. Non sono in grado di azzardare una stima dell'ordine di grandezza delle conseguenze di queste due necessarie correzioni. Ne ho visto stime fatte da altri. Soprattutto per il secondo elemento, che è essenzialmente psicologico, penso che le stime sia molto difficili. Perché non si fa nulla? La risposta è nella famosa frase attribuita a sant'Agostino: "Signore, rendimi casto ma non subito". Se si ponesse la domanda a Pier Carlo Padoan, posso immaginarmi la sua risposta. "È giustissimo, si deve poter agire nelle due direzioni. Non ci sono dubbi. Ma, per favore, non nel 2014 e nel 2015. Per la fine di quest'anno ho il problema della crescita più fiacca del previsto e politicamente vogliamo evitare una manovra correttiva. Abbiamo bisogno di ogni margine di manovra per contenere le spese. Anche nel 2015 la situazione sarà molto complicata. Potremmo cominciare a parlarne dal 2016 in poi". Sono sicuro che quasi ogni ministro delle finanze risponderebbe più o meno in questi termini. Eppure i tassi di interesse non sono mai stati così bassi come oggi. Non è immaginabile un momento migliore per fare queste due operazioni. Ma come convincere politici che hanno orizzonti temporali di settimane o di mesi (non per ottusità, ma per come funzionano le nostre democrazie)? Roberto Zanre' ha detto: Interessante. Allora una domanda, che credo difficile perché presume delle previsioni senza elementi. Per esempio, la questione titoli di stato acquistati dalle banche del paese emettitore. Se si cambiasse questo impianto, come cambierebbero i tassi di interesse? Oppure, più in generale, cosa cambierebbe per i debiti sovrani? Sarebbe così problematico (visto che non viene fatto)? Se fai delle previsioni, con qualche piccolo calcolo, forse sarebbe interessante. E per l'altro discorso (FMI), del tutto accantonata l'idea? O se ne discute ancora, almeno a livello di studi? Grazie, in ogni caso, per le tue eventuali risposte. Quando ho tempo, dovrei farti un'altra domanda...

Risposto da giorgio varaldo su 30 Luglio 2014 a 19:09 Adriano che in libano sia andata (quasi) tutto bene mi auguro sia un eufemismo. I marines USA ebbero oltre 200 morti nell'attacco suicida alla loro base e per noi come ricorda il genetsle angioni c'erano i cannoni delle nostre navi in rada pronti a rispondere a qualsiasi atto ostile Senza il disarmo di tutte le fazioni presenti sul campo un intervento ONU sarebbe come quello israeliano e non.pare proprio che HAMAS ci tenga molto a disarmarsi (anche petche' come ci ricorda giovanni da quelle parti le discussioni politiche avvengono a raffiche di kalashnikov)

Risposto da adriano succi su 30 Luglio 2014 a 19:27

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Economia e politica nel mondo I – 2013-2014

Dato che a questo Mondo tutto è relativo, per il contingente Italiano l' impegno Libano ha comportato oneri ma anche onori e rispetto. Per il resto, sto sostenendo la mia quasi personale battaglia (dato che difendere e giustificare Israele non è mai stato considerato molto progressista), dicendo che Hamas o lo disarma Israele oppure la storia diventa ancora più infinita. giorgio varaldo ha detto: Adriano che in libano sia andata (quasi) tutto bene mi auguro sia un eufemismo. I marines USA ebbero oltre 200 morti nell'attacco suicida alla loro base e per noi come ricorda il genetsle angioni c'erano i cannoni delle nostre navi in rada pronti a rispondere a qualsiasi atto ostile Senza il disarmo di tutte le fazioni presenti sul campo un intervento ONU sarebbe come quello israeliano e non.pare proprio che HAMAS ci tenga molto a disarmarsi (anche petche' come ci ricorda giovanni da quelle parti le discussioni politiche avvengono a raffiche di kalashnikov)

Risposto da Roberto Zanre' su 30 Luglio 2014 a 20:18 Chiarissimo... Fabio Colasanti ha detto: Roberto, non incoraggiare le banche a comprare titoli di stato del paese di residenza (nella zona euro di tutti i paesi membri, perché nella zona euro abbiamo stabilito che tutti i titoli di stato in euro sono di fatto a "rischio zero" !) spingerebbe leggermente verso l'alto il tasso di interesse richiesto sui titoli di stato e aumenterebbe un pochino il costo della gestione di tutti i debiti pubblici (le banche sarebbero obbligate ad accantonare capitale anche in caso di acquisto di titoli pubblici e questo avrebbe un costo). Se poi si discutesse apertamente di come gestire il "fallimento" di uno stato sovrano, questo ricorderebbe a tutte le persone che operano sui mercati che i titoli pubblici non sono poi così sicuri come si pensa e anche questo spingerebbe un pochino verso l'alto il costo del debito pubblico di ogni paese. Ma l'incoraggiamento alla banche a comprare titoli di stato del paese di residenza crea dei rischi sistemici grossi e non avere regole per gestire l'eventuale fallimento di un paese conduce ad improvvisare (come si è fatto durante la crisi nella zona euro) e ad applicare soluzioni non ottimali, tardi e porta forse anche a costi sociali ed economici più alti. Quindi non c'è dubbio che si dovrebbe fare qualcosa nelle due direzioni. Non sono in grado di azzardare una stima dell'ordine di grandezza delle conseguenze di queste due necessarie correzioni. Ne ho visto stime fatte da altri. Soprattutto per il secondo elemento, che è essenzialmente psicologico, penso che le stime sia molto difficili. Perché non si fa nulla? La risposta è nella famosa frase attribuita a sant'Agostino: "Signore, rendimi casto ma non subito". Se si ponesse la domanda a Pier Carlo Padoan, posso immaginarmi la sua risposta. "È giustissimo, si deve poter agire nelle due direzioni. Non ci sono dubbi. Ma, per favore, non nel 2014 e nel 2015. Per la fine di quest'anno ho il problema della crescita più fiacca del previsto e politicamente vogliamo evitare una manovra correttiva. Abbiamo bisogno di ogni margine di manovra per contenere le spese. Anche nel 2015 la situazione sarà molto complicata. Potremmo cominciare a parlarne dal 2016 in poi". Sono sicuro che quasi ogni ministro delle finanze risponderebbe più o meno in questi termini. Eppure i tassi di interesse non sono mai stati così bassi come oggi. Non è immaginabile un momento migliore per fare queste due operazioni. Ma come convincere politici che hanno orizzonti temporali di settimane o di mesi (non per ottusità, ma per come funzionano le nostre democrazie)?

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