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Elementi Di Architettura Tecnica

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Elementi Di Architettura Tecnica

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Page 1: Elementi Di Architettura Tecnica

ELEMENTI DI ARCHITETTURA TECNICA

Enzo Bandelloni

Quarta edizione ampliata e aggiornata a cura di Paolo Andriolo Stagno Giorgio Baroni e Francesca Franchini

C L E U P E D I T O R E - P A D O V A

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Prima edizione: settembre 1970 Seconda edizione: marzo 1975 Terza edizione: maggio 1982 Quarta edizione: aprile 1986 Ristampa corretta: febbraio 1991 Ristampa: febbraio 1995 Ristampa: maggio 1998

Tutti i diritti sono riservati; nulla può essere riprodotto senza il permesso dell'Editore.

Il contenuto dell'informazione pub­blicitaria della Valdadige Spa - Vero­na, che compare alle pagine 284-288, non impegna minimamente né l'autore né l'editore del volume. 11 contributo della Valdadige Spa ha permesso di contenere il prezzo del volume e di favorirne perciò l'utilizzazione didattica universitaria.

CLEUP - Cooperativa Libraria Editrice dell'Università di Padova

© 1986 by "CLEUP EDITORE" PADOVA

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INDICE

Prefazione alla prima edizione del 1970 di Enzo Bandelloni IX Prefazione alla terza edizione del 1982 di Pierluigi Giordani XI

Cap. 1 ESPRESSIVITÀ' DELLE STRUTTURE NELLO STUDIO DEL L'ARCHITETTURA TECNICA 1

Cap. 2 IL PROBLEMA TECNICO STRUTTURALE 13

Cap. 3 IL LEGNO 29 Proprietà e prove relative ai legnami 30 Classificazione dei legnami 32 Principale impiego dei legnami 34 Difetti dei legnami 34 Applicazione dei legnami come elementi costruttivi 35 Lavorazione del legno 35

Cap. 4 I MATERIALI LAPIDEI 39

Cap. 5 CERAMICI - LATERIZI 47

Cap. 6 I LEGANTI - LE MALTE 55 Le malte 58 Malte addittivate 59 Malte pronte 60

Cap. 7 LE MURATURE 61 Definizioni . 61 Materiali impiegati nelle murature 61 Nomenclatura delle murature 62 Murature con funzione strutturale 63 Caratteristiche fisico-tecniche delle murature 66 Caratteristiche estetiche delle murature 66 Nomenclatura delle parti costitutive le murature laterizie . . 67 Prove per la determinazione della resistenza e del carico ammissibile 74 Carichi gravanti sulle murature 76 Cenni sulle murature non laterizie 83 Norme costruttive 84

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VI

Cap. 8 MATERIALI SINTETICI E METALLICI NON FERROSI 85 Le resine sintetiche 85 I bitumi 89 Materiali non ferrosi 89

Cap. 9 ILFERRO 91 I materiali ferrosi 94 Requisiti fondamentali dell'acciaio 95 Caratteristiche dell'acciaio 96 Caratteristiche negative 97 Caratteristiche positive 99 Acciai speciali 99 Formati e denominazioni 100 Esempi profilati a doppio T 1 02 Norme per la progettazione 104 Acciai da costruzione 106 Collegamenti 109 Confronto acciaio calcestruzzo armato 122

Cap. 10 IL CALCESTRUZZO ARMATO 135 Cenni storici 136 II calcestruzzo di cemento 156 Il cemento 156 Gli inerti 163 La ghiaia 164 L'acqua 167 Il calcestruzzo 167 Tensioni ammissibili 181 Controllo di qualità del conglomerato 182 L'armatura metallica 187 Casse forme e sostegni per il getto 198

Cap. 1 1 CALCESTRUZZO ARMATO PRECOMPRESSO 203 Raffronto fra strutture precompresse e strutture in e.a. . .. 204 < I materiali 205 Criteri di calcolo 209 Regolamentazioni legislative 212 Cause e valutazioni delle cadute di tensione 212 Sistemi di precompressione 212 Pregi del conglomerato precompresso 214

Cap. 12 LE FONDAZIONI 217 Classifica e resistenza dei terreni 218 Le fondazioni 228

Fondazioni in superficie 228

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VII

Fondazioni lineari o continue 229 Fondazioni a plinti 230 Fondazioni a trave rovescia 231 Fondazioni a platea 232 Fondazioni in profondità 233 Pali costruiti fuori opera 234 Pali gettati in opera 237 Statica dei pali 247 Formule di stabilità dei pali 249 Stabilità dei pali in gruppo 251 Prove di carico sui pali 253

Le fondazioni speciali 255 Cassoni autoaffondanti 256 Cassoni pneumatici 257 Pali ad elementi 258 Palancole 259 Diaframmi in calcestruzzo 260

Consolidamento del terreno 261

Cap. 13 ISOLAI 265 Solai in legno 265 Solai in calcestruzzo armato 267 Solai in laterizio e e.a 270 Solai in acciaio 280

Cap. 14 LE COPERTURE 289 Coperture a volta 289 Coperture a falda 294 Strutture sottotegola per edifici civili 300 Coperture piane 302 Il manto di copertura 304

Cap. 1 5 LA PROTEZIONE CONTRO L'UMIDITA' 311 Isolamento dall'umidità sotterranea 311 Isolamento dagli agenti atmosferici 314 Barriera al vapore 318

Cap. 16 PROBLEMI ACUSTICI 321 Materiali acustici 325 L'isolamento acustico 326 La correzione acustica 335

Cap. 1 7 PROBLEMI TERMICI 339 Richiami di trasmissione del calore 339

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Vili

Normativa italiana 341 Tecniche di architettura bioclimatica 348

Cap. 18 LE SCALE 357 Tipo di collegamento verticale 358 Tipologia della scala 359 Norme di progettazione 363 Dimensionamento 366 Struttura 367

Cap. 1 9 I SERRAMENTI 377 Tipi di serramento 379 Caratteristiche strutturali del serramento 392 Particolarità dei serramenti metallici 398 Vetri 401

Cap. 20 OPERE DI FINITURA 403 Intonaci 403 Tipi di intonaco distinti per tipo di lavorazione 405 Pavimenti 407 Rivestimenti 418 Tinteggiature e coloriture 422

Cap. 21 CENNI SULL'INDUSTRIALIZZAZIONE DELL'EDILIZIA E LA PREFABBRICAZIONE 427 La progettazione per l'edilizia industrializzata 431

Cap. 22 IL PROGETTO, LA CONDOTTA, LA CONTABILIZZAZIONE DEI LAVORI E I COLLAUDI 435 Introduzione 435 Compilazione del progetto 438 Approvazione del progetto 460 Appalto 463 Gara di appalto 465 Contratto 477 Esecuzione dei lavori e loro condotta 478 Contabilità dei lavori 486 Revisione dei prezzi 493 Riserve 495 Collaudo tecnico-amministrativo 497 Disciplina per le opere in conglomerato cementizio (sem­plice, armato e precompresso) e per le strutture metalliche. 499

FAC-SIMILE DEGLI ATTI RELATIVI ALLA CONTABILIZZAZIONE DEI LAVORI. . . . 5 0 7

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Prefazione alla prima edizione del 1970

Questa raccolta di appunti dalle lezioni di Architettura Tecnica che completa e integra le dispense redatte e pubblicate a cura degli studenti du­rante gli anni scorsi, non deve essere considerata un testo completo della ma­teria ma soltanto un agile ausilio per un primo approccio alla molteplicità di fattori che sono alla base dei problemi tecnico-strutturali inerenti alle co­struzioni.

Per chi volesse approfondire la materia è riportata per ogni sìngolo ca­pitolo una bibliografia essenziale, alla quale si è largamente attinto sia nella stesura del testo che nella scelta delle illustrazioni.

Per ciascun materiale trattato è stato anche succintamente riportato il procedimento per dedurre il costo analitico dello stesso, onde dare un'indi­cazione seppure sommaria del fattore economico che sovente è alla base per la scelta di un materiale, e che qualche volta non è sufficientemente consi­derato dal progettista. E' stato invece amplìamente trattato in un capitolo a parte, l'aspetto economico-amministrativo e burocratico che è conseguen­te ad un progetto, riportando nella bibliografia le principali leggi e norme che possono interessare l'ingegnere civile nell'esercizio della professione.

Hanno collaborato gli assistenti ing. Paolo Andriolo-Stagno, ing. Pino Bottacin, ing. Paolo Schwarcz, arch. Piero Mansutti ai quali va un grato rin­graziamento per la non lieve fatica.

Enzo Bandelloni

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Prefazione alla terza edizione del 1982

Ancora nel 1978 l'indimenticabile amico Prof. Enzo Bandelloni, Ordi­nario di Architettura Tecnica in questo Istituto, aveva deciso di por mano ad una riedizione del suo testo dì Elementi dì Architettura Tecnica, aggior­nandolo secondo le nuove normative ed adattandolo a quanto la sua espe­rienza didattica e scientifica gli era venuta suggerendo, anche per ciò che riguardava una più attuale ripartizione degli argomenti. La tragica sua scom­parsa nel dicembre di quell'anno purtroppo impediva anche il solo avvio concreto dell'operazione, che fino ad allora si era limitata a costruttivi scambi di idee con i collaboratori al suo corso.

Esaurite ora anche le ultime scorte del volume, non è apparsa con­veniente una semplice ristampa dell'opera, che da anni è adottata come te­sto anche da altre Facoltà di Ingegneria.

Il Prof. Giorgio Baroni, l'Ing. Paolo Andriolo Stagno e l'Ing. Francesca Franchini, allo scopo preminente di perpetuare il ricordo del Prof. Bandello­ni tra docenti e discenti, hanno ora provveduto ad un generale aggiorna­mento ed ampliamento del testo, previa una attenta rilettura e mantenendo la validissima struttura di base del volume.

In particolare P. Andriolo Stagno ha curato la revisione dei capitoli dal n. 9 al 13, adeguandoli alle nuove norme sull'accettazione dei materia­li e sulla progettazione ed esecuzione delle strutture in acciaio e in calce­struzzo armato, nonché di quelli relativi alle coperture, alle scale, ai serra­menti, alle opere dì finitura ed alle norme per il progetto e la condotta dei lavori edili; G. Baroni ha rivisto i primi quattro capitoli ed ha integrato ed in parte rielaborato i capitoli n. 5, 6, 15, 16 e 21 sui ceramici e laterizi, sui le­ganti e le malte, sulla protezione contro l'umidità, sui problemi acustici e sull'industrializzazione edilizia; F. Franchini ha infine redatto ex novo i capitoli n. 7 sulle murature, n. 8 sui materiali sintetici e su quelli metallici non ferrosi ed il capitolo n. 17 sui problemi termici, in relazione anche alle recenti norme sul contenimento dei consumi energetici.

Pierluigi Giordani Direttore dell'Istituto di Architettura e Urbanistica

dell'Università di Padova Gennaio 1982

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CAPITOLO PRIMO

ESPRESSIVITÀ DELLE STRUTTURE NELLO STUDIO DELLA ARCHITETTURA TECNICA

Pier Luigi Nervi nel suo volume ''Scienza o arte del costruire" pone la domanda se il costruire sia prevalentemente un'arte, ossia un atto creativo dominato e determinato da elementi umani ed individuali, o non piuttosto un fatto eminentemente scientifico, regolato da formule impersonali col­leganti in modo rigido ed univoco premesse di problemi a precise conseguen­ze di soluzioni.

La risposta a detta dello stesso Nervi non può essere che unica: il co­struire è arte pur nei suoi aspetti più tecnici, cioè quelli che si riferiscono alla stabilità delle strutture.

Infatti anche l'indagine strutturale più esatta condotta sia pure con procedimento matematico complesso, presenta sovente una limitata acu­tezza che può essere integrata e completata solo mediante un lavoro perso­nale di intuizione e comprensione dei fenomeni statici, non certo traduci­bile a mezzo di leggi di carattere assoluto e numerico. In ogni opera di pro­gettazione è necessario quindi impostare i problemi che, considerando il fatto estetico insito nell'opera, possano permettere di fondere in un tutt'uno, organico ed indiscindibile. le esigenze della tecnica con quelle dell'arte, che è in fondo il presupposto primo per chiunque voglia operare con coscienza nel campo delle costruzioni. E' impensabile infatti una qualsiasi struttura, e non solo edilizia, che risponda soltanto a qualcuno dei quesiti posti all'atto della impostazione del problema, ad esempio alla sola funzione estetica, o strutturale, o economica (fattore quest'ultimo di fondamentale importanza e più volte trascurato dai progettisti), ma per risultare "riuscita" dovrà poter fondere nel suo complesso tutto quell'insieme di fattori che sono di estetica, di funzionalità, di staticità e di economia che compongono un'opera e la qualificano soprattutto nel tempo, anche in relazione ai gusti e alle mode che quasi sempre sono passeggeri.

Ogni elemento, ogni organismo, ogni struttura ha una propria funzio­nalità e nel contempo una propria esteticità, cioè sotto certi aspetti costitui­scono deglf strumenti che adempiono a determinate funzioni, e possono per­ciò essere considerati come degli utensili, e sotto altri possono essere invece riguardati come degli oggetti d'arte nelle opere d'arte. Soprattutto interes­serebbe conoscere il motivo per cui il nostro spirito è disposto a riconoscere bella una struttura genuinamente concepita nell'organizzazione unitariamen-

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te totale di fattori razionali e di fattori fantastici. L'architettura, o più genericamente l'arte, è un linguaggio: linguaggio

per chi si esprime e linguaggio per chi legge e cerca di penetrare e di inter­pretare le ragioni che hanno fatto concepire quella determinata forma nel­la mente e poi nell'opera dell'artefice. Come tutti i linguaggi è quindi costi­tuito da delle parole, dei vocaboli, che nel contesto più ampio di uno scrit­to o di una poesia assumono una particolare individualità. I vocaboli sono raccolti nei dizionari, e rappresentano degli strumenti per esprimersi che una volta inseriti nel ritmo compositivo, possono essere trasformati dall'ar­tista ed assumere quindi delle nuove utilizzazioni che possono dare ai sem­plici vocaboli anche delle nuove significazioni.

L'architettura tecnica è appunto una raccolta analitica dei singoli vo­caboli che sono indispensabili al progettista che si esprime nella sua opera a mezzo di un linguaggio tecnico ed estetico; può essere paragonata ad un vasto dizionario che raccoglie catalogando ed analizzando criticamente le singole voci, che insieme composte con l'aiuto della grammatica e della sin­tassi cioè con i modi di comporre e di unire correttamente le singole vo­ci — costituisce il linguaggio architettonico, cioè l'espressione della compo­sizione architettonica, che dovrebbe rappresentare appunto il passo ultimo a partire dal singolo vocabolo, cioè dal dizionario, attraverso le regole gram­maticali e sintattiche per giungere ad accendere la fantasia nella fase della composizione, ove — solo per chi è dotato - si può raggiungere la poesia.

Da ciò si deduce l'importanza dell'approfondimento nello studio del­l'architettura tecnica, cioè della precisione dei vocaboli, come elementi tecni­ci, che possono essere sia elementi strutturali che distributivi, che sempre sono perfezionabili nella loro catalogazione, e quindi inseribili in dizionari — cioè nel bagaglio delle cognizioni tecniche di ciascuno — attraverso una cri­stallizzazione di perfezionamento che è tecnico, applicativo ed anche este­tico.

Nell'architettura si dovranno quindi attentamente esaminare tutti gli elementi, ordinandoli e catalogandoli, in quanto sono proprio questi ele­menti, cioè i materiali, le strutture, le linee, i volumi, i colori, che rappresen­tano i segni del linguaggio architettonico che permettono di leggere nell'o­pera la proiezione di noi stessi, come singoli operatori o come artisti, uni­tamente alla società ed alla civiltà a cui si appartiene. Non è da dimenticare che vi sono infatti degli aspetti di artisticità dovuti ai singoli individui ed altri dovuti al "gruppo". Tale considerazione era soprattutto valida nei se­coli passati ove un qualsiasi cittadino inserito in una tradizione trovava la vera identità grazie alla costrizione che gli imponeva di rispettare quanto di vincolante era stato elaborato, cioè il canone delle autorappresentazioni ammesse dalla collettività.

Nulla era allora ammissibile al di fuori dell'esistenza di gruppo, che vi­sivamente si rappresentava nell'estetica di gruppo, ed esempio di un tale mo­do di intendere la civiltà è attorno a noi, nelle nostre antiche città ove, per

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chi sappia leggerla, ogni opera chiaramente rappresenta oltre all'individuali­tà dell'artista, lo spirito e la società del tempo.

A questo proposito sembra non inutile molto brevemente accennare allo sviluppo successivo delle tecniche costruttive con particolare relazione alle conseguenze e all'impiego dei materiali, in quanto il problema tecnico strutturale dell'architettura è in fondo l'oggetto del corso di Architettura Tecnica, chiamato anche in altre facoltà come corso di Elementi Costrutti­vi. E' però necessario cercare di analizzare in profondità e con impegno cul­turale il problema della struttura, fin dalle sue origini, alle sue significazioni, ragioni e successivi' aggiornamenti per poter affrontare con un sufficiente bagaglio di nozioni, di tecnica, di cultura e di arte, i problemi di oggi che sono di grande importanza e di notevole mutevolezza, dato il continuo ag­giornamento che la nascita e la sperimentazione di nuovi materiali richiede.

La tecnica costruttiva fin dalle sue origini, per secoli, si è basata su tre elementi fondamentali che sono legno, pietra e laterizio; solo da poco con l'applicazione del calcestruzzo armato, del ferro, delle materie plastiche, del vetro ed in genere dei materiali odierni, la tecnica costruttiva si è rapidamen­te evoluta, creando un nuovo linguaggio tecnico ed estetico, che è in conti­nua fase di sperimentazione, di sviluppo e di controllo.

L'elemento costruttivo originario, che più volte ritroveremo nello svi­luppo del corso è il trilite, costruito da due piedritti o pilastri e superior­mente da un architrave, detto anche traverso o orizzontamento, vincolato alle strutture verticali da semplice appoggio, Fig. 1.1. Il materiale impie­gato è generalmente lapideo e la struttura presenta un fondamentale erro­re di impostazione statica cioè quello di caricare la pietra disposta orizzon­talmente su due appoggi, e assoggettarla quindi a sollecitazioni di flessione e taglio, contrarie alle caratteristiche fisiche e tecnologiche proprie del ma­teriale. L'uso della pietra come elemento strutturale orizzontale, date le sue limitazioni più avanti accennate, portò a particolari determinazioni for­mali, che in pratica costituirono l'aspetto estetico delle architetture di quei periodi, e basti pensare ai templi greci, ove la necessità di contenere gli oriz-zontamenti entro luci modeste, condizionò l'interasse tra i pilastri e le co­lonne, investendo tutta la costruzione con una serie di misure reciproche e di rapporti dimensionali tra i singoli elementi e tra le varie partiture, che rappresentarono anche il senso di una particolare sensibilità formale che fu di ricerca di raffinata proporzione e di un gusto che investì e configurò ogni rappresentazione di quella civiltà.

L'architettura romana nacque e si sviluppò sotto il segno della riscoper­ta di due elementi fondamentali, il laterizio, come elemento costitutivo delle fabbriche e l'arco come elemento di stabilità e di struttura delle stesse. I pri­mi laterizi furono infatti adoperati dalle civiltà orientali, a partire dal 2000 a.C, come testimoniano gli scavi eseguiti in India, a Lothal. che portarono alla luce un forno per mattoni e in epoca anche precedente in Mesopotamia e Babilonia, ove con tale materiale vennero eseguite costruzioni maestose di

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cui ancora oggi restano evidenti tracce. Con i romani il laterizio, cioè l'ele­mento parallelipedo di argilla impastata, formato e cotto in fornace, diven­ne il simbolo e la visione di un fatto costruttivo del tutto nuovo. E' però da dire che negli elementi dell'architettura romana il muro o l'arco non era co­

struito interamente in mattoni, ma di solito questi ne costituivano il para­mento esterno, la cassaforma dell'anima della struttura che di solito era il calcestruzzo, opus cementicium, cioè un conglomerato di sostanze solide, o aggregati, e di materie cementizie, quali le calci idrauliche ed il cemento Portland, che era ben conosciuto dai romani, come ci ricorda Vitruvio nel­la descrizione delle specificazioni tecniche (Vitruvio, De Architectura, 1,2 e 11,4). Infatti come fa notare uno studioso inglese (W. Perkins, Roman concrete and Roman palaces, "The Listener" nov. 1956): "Molti visitatori lasciano Roma senza sospettare che il Pantheon e le Terme di Caracalla non sono assolutamente edifici in mattoni. In effetti i mattoni sono soltanto un rivestimento superficiale, il cui scopo principale era quello di rendere piana la superficie e di contenere il nucleo di calcestruzzo quando questo non era ancora ben essiccato. Un altro comune errore è la convinzione che i mattoni spesso incorporino quelli che ovviamente sembrano elementi strutturali, co-

Fig. 1.1 — Porta dei Leoni a Micene.

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me archi di sostegno, sopraporte e finestre. Questa credenza ha portato alcu­ni studiosi a parlare di volte romane in termini di raccolta e trasmissione di spinte, come se un edificio romano in calcestruzzo fosse un organismo dina-

Fjg. 1.2 — Archi romani sulla via Nova, ai piedi del Palatino.

mico nello stesso senso, ad esempio, di una cattedrale gotica. La verità è che una volta asciugato, il calcestruzzo romano era quasi del tutto inerte. Gli ar­chi di sostegno e simili elementi avevano senza dubbio una notevole impor­tanza durante la costruzione; ma l'edificio, una volta terminato, si reggeva grazie alla grande resistenza ed alla monoliticità del calcestruzzo stesso. Muri e volte potrebbero, in teoria, essere costruiti nella forma preferita dall'archi­tetto, purché la struttura progettata fosse abbastanza resistente da sostenere

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il suo stesso peso", Fig. 1.2 e 1.3. La struttura ad arco era già nota agli egiziani verso il 2000 a.C. come te­

stimoniano numerosi reperti, fu poi in pratica negletta dai greci che prefe­rirono la struttura architravata, e ripresa invece dagli etruschi che ne fecero

Fig. 1.3 — Arco romano con struttura in calcestruzzo.

largo uso, come ad esempio nelle mura di Perugia, nell'arco cosiddetto di Augusto per la superficiale aggiunta d'epoca romana. L'arco romano è ge­neralmente semicircolare, privo di stabilità se le sue spalle non sono sostenu­te da solidi muri, atti a sopportare la spinta dell'arco, e se i pilastri di soste­gno non solo altrettanto solidi. Da ciò ne consegue l'aspetto estetico delle strutture romane, ove archi e volte realizzati senza catene erano impostati su grandi e massicci piedritti, la cui dimensione per il principio delle resi­stenze passive, era necessaria per assorbire entro il nocciolo d'inerzia della base la risultante delle forze dovute al peso proprio ed alla spinta dell'arco.

Tali principi costruttivi, dopo un periodo susseguente alla caduta del­l'Impero romano, di notevole regresso e di abbandono delle tecniche dive­nute ormai tradizionali, trovarono applicazione nel Medio Evo, dopo il Mille, e caratterizzarono formalmente con la loro espressività le strutture dell'architettura romanica, nella quale venne approfondito ed affinato il gusto tutto romano per la lavorazione delle murature con elementi di la­terizio, con materiali lapidei. Il principio prima accennato delle resistenze passive, fu quello che informò staticamente le costruzioni di quel periodo, ed in particolare gli edifici religiosi, le cattedrali romaniche le quali, con le due navate affiancate a quella principale, costituivano un efficiente siste­ma per lo scarico sul terreno delle spinte degli archi e delle volte che copri­vano lo spazio.

Nella continuità muraria di queste costruzioni si può individuare uno

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scheletro resistente, formato da pilastri o costoloni necessari a scaricare la spinta degli archi; le altre parti dell'involucro — i muri perimetrali e i cam­pi delle volte tra un costolone e l'altro — sono addossati a questo scheletro più o meno strettamente, ma quasi sempre distinguibili con chiarezza. Tut­ti gli elementi contribuiscono alla stabilità della costruzione. I nodi strutt-rali affiorano all'esterno, sotto forma di costole e contrafforti, ripetendo i ritmi delle campate interne; i piedritti centrali possono snellirsi in colon­ne, essendo le resistenze maggiormente affidate alle murature esterne realiz­zate di notevole spessore per assorbire appunto le spinte degli archi e delle volte. La forma architettonica evidenziata è così essenzialmente in funzio­ne della struttura.

Praticamente nello stesso periodo, ma particolarmente fuori d'Italia, sorsero le architetture gotiche, come le grandi cattedrali di Francia e di In­ghilterra, nelle quali l'applicazione del materiale lapideo perse quella ottu­sità statica e pesantezza visiva che, come si è già visto, aveva caratterizzato le costruzioni romane e posteriori; con i gotici il materiale letteralmente vibrò nello spazio con una leggerezza fino allora sconosciuta, rappresentan­do visivamente con estrema eleganza e raffinatezza la realtà degli sforzi di sostegno e contrasto di quelle arditissime strutture. I caratteri costitutivi dell'architettura gotica sono ben noti; essi sono l'arco acuto, l'arco ram­pante e la volta a nervature. E' da dire però che nessuna di queste strutture è puramente un'invenzione gotica, ed infatti archi acuti e rampanti com­paiono in precedenti chiese romaniche, ma gli architetti di quel periodo combinarono insieme i vari elementi secondo il principio delle resistenze attive, ottenendo l'eccezionale risultato estetico di animare e vibrare le inerti masse murarie accelerandone il movimento spaziale per ridurre l'edificio ad una visibile struttura di linee di forze tra loro intersecantesi. I vantaggi tecnici di tale soluzione sono anche molteplici: innanzi tutto mentre la volta a botte di tipo romano scarica le forze lungo tutta la linea costituita dai due muri perimetrali corrispondenti all'imposta, le volte a crociera permettono lo scarico su soli quattro punti; l'arco acuto permette altresì al costruttore di voltare coperture svincolate dalle piante rigidamente quadrate e di dare a queste con una maggiore verticalità uno slancio visivo più accentuato. Dal punto di vista costruttivo venivano eliminate le costose armature lignee lungo tutta la lunghezza e la larghezza, necessarie per la costruzione delle volte a botte o di quelle a crociera romaniche, perché con la volta a nervature le ar­mature di sostegno erano limitate ai soli archi trasversali ed alle costolature, mentre per gli spicchi di riempimento, tra di loro indipendenti, veniva ap­plicato un sistema leggero di centinatura mobile. La volta infatti era pensa­ta e realizzata come composta da più volte secondarie che ricoprivano gli spazi lasciati libere dalle costolature (elementi di struttura), realizzando co­sì un perfetto sistema spaziale elastico, Fig. 1.4, 1.5 e 1.6).

E' da accennare anche al concetto veramente "moderno" dell'ideazio­ne dell'edificio gotico, nel quale le pareti perdono la loro pesantezza e di-

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mensione e quindi l'essenza di maschi murari; gli elementi di chiusura addi­rittura scompaiono, sostituiti da grandi policromie vetrate tra gli esili elemen­ti strutturali - linee di forza - che contrappuntano con un perfetto linguag-

Fig. 1.4 - Schema strutturale di una volta gotica.

gio tecnico ed estetico tutta la costruzione. Un moderno e famoso scienzia­to, il Danusso (in "Quaderni della Fondazione Pesenti", 1949) nota a pro­posito di queste strutture che alla luce delle conoscenze di oggi sembrano impensabili: "Quando penso alla struttura delle cattedrali gotiche, che incanala lungo una sapiente ramificazione il flusso delle forze per guidarlo nella sua disce­sa sino ai fusti ed alle radici; quando penso al turbamento che devono aver provato e virilmente superato gli ideatori e costruttori di colossi come le Terme di Caracalla, o le cupole del Pantheon, di Santa Maria del Fiore, di San Pietro, vedendole sorgere nella loro imponente realtà, quando penso tutto questo, non posso che riconoscere la precedenza storica dell'intuito sulla scienza, ed inchinarmi sulla sua potenza creatrice".

Dopo notevoli ed interessanti esperienze gotiche, filtrate in Italia però attraverso gli influssi delle tradizioni locali e basti per questo pensare ai mo­numenti dell'Italia centrale ed alle splendide, uniche architetture di Vene­zia, verso il 1500 fiori e proprio dall'Italia, da Firenze e Padova, quella cul­tura rinascimentale che con le sue speculazioni filosofiche, con le sue ec­cezionali personalità artistiche e le sue realizzazioni può essere considerata come punto di partenza della cultura moderna, e non solo nel campo del­l'arte. Fu il periodo dei grandi trattatisti, come Leon Battista Alberti, il Serbo, il Palladio, lo Scamozzi, il Vignola, che con le loro opere tentaro­no di cristallizzare entro normative e schemi i modi e le varie forme di com­porre e costruire gli edifici, rifacendosi ai grandi esempi del passato che fu­rono riscoperti, studiati ed analizzati fin nel profondo. I materiali prevalen­temente lapidei impiegati nelle strutture delle fabbriche vennero trattati e

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plasmati con un sentimento estetico tale da assumere delle valorizzazioni espressive che ne caratterizzarono l'impiego; anche l'intonaco, prima scar­samente impiegato, acquistò la dignità di materiale come elemento tecnico

Fig. 1.5 - 1.6 - Chiesa di S. Anna ad Annaberg (1499). Pianta e particolare della volta.

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e decorativo, mentre apparirono le prime applicazioni del ferro usato come elemento per contrastare le strutture spingenti, cioè come catena per archi e volte.

Il seicento approfondi i grandi concetti già espressi nel secolo prece­dente superandoli nelle innovatorie concezioni politiche, filosofiche ed ar­tistiche; per la prima volta nell'architettura entrò il concetto di spazio, ma non lo spazio rigido, bloccato e severo delle costruzioni greche, romane o medioevali, ma lo spazio che fluisce e si compenetra valorizzato dalla luce e dagli effetti prospettici. Si può dire che in questo periodo passa in secondo piano l'impiego meditato dei materiali, tanto l'arte è informata da una su­periore concezione di spiritualità e di abbandono dei vecchi tradizionali sche­mi, che in alcuni artisti assunse a vette di poesia, mentre per altri non uscì dai limiti del manierismo. Concezioni statiche di grande interesse trovarono applicazione nelle fantasticherie architettoniche e costruttive dei grandi maestri, come nel S. Lorenzo di Torino del Guarini, ove la struttura venne piegata al lirismo poetico e spaziale dell'idea informatrice per dare, per dir­la con le stesse parole del Guarini "lo scopo di erigere edifici molto forti si che sembrassero deboli, e che servissero di miracolo, come stessero in piedi".

Verso la metà del settecento si levò a Venezia una voce isolata, quel­la del frate veneziano Carlo Lodoli che, in nome della ragione predicò la sincerità strutturale, criticando anche gli antichi "perché la pura ragione del­le cose è ancora più antica degli antichi". Il "lodoljsmo", noto attraverso le opere dell'Algarotti e del Memmo derivava dalle concezioni meccaniche di Galileo, ed anche più direttamente da quelle sensistiche di Bacone; "de-vonsi unire fabbrica e ragione e sia funzione la rappresentazione" era tra i suoi motti. Ormai il Barocco, dopo la sua splendida fioritura, si ripiegava sotto il peso degli ornamenti plastici del manierismo e del rococò, ed il neo­classicismo con la pedissequa ripetizione dei canoni e degli ordini dell'an­tichità denunciava la sua fredda illogicità concettuale. In questo panorama il Lodoli predicava che l'architettura non era da considerare scultura, ma aveva il precipuo scopo di "fare una fabbrica molto durevole"; condannò cosi ogni forma di decorazione, in quanto mai si doveva parlare di bellezza di una fabbrica ma di utilità, perché la bellezza poteva consistere solo nel chiaro ordine degli elementi impiegati per raggiungere un chiaro e determi­nato fine. Il materiale, ed ogni materiale doveva avere "la sua ragione", ve­niva così ad assumere un'importanza decisiva in quanto il cosiddetto "sti­le" non era altro che tecnica nel costruire che poteva essere valorizzato solo "dalle espressioni delle precise proporzioni della materia che si mette in uso in una fabbrica".

Quella del Lodoli fu certamente la prima voce, il primo passo verso quella concezione che oggi è intesa come architettura moderna, il cui cammi­no seguente è in pratica storia di oggi e strettamente connesso ai fenomeni politici, sociali e tecnici degli anni che ci hanno preceduto e di quelli nei qua-

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li viviamo, e sul quale si tornerà sia pur brevemente nel corso dei capitoli che seguono.

Bibliografia

G.B. MILANI,L'ossatura murale, 3 voi., Torino, 1920. G.B. MILANI e V. FASOLO, Le forme architettoniche, 2 voi., Milano,1931-1940. P.L. NERVI, Scienza o arte del costruire, Roma, 1945. G. ROISECCO, Vita dei materiali in architettura, Genova, 1958. N. DAVEY, Storia del materiale da costruire, Milano, 1965. A. CAVALLARI MURAT, Intuizione statica ed immaginazione formale nei reticoli delle

volte-gotiche nervate, in "Atti e rassegna tecnica", Torino, luglio 1958. N. PEVSNER, Storia dell'architettura europea, Bari, 1959. A. PETRIGNANI, Tecnologìe dell'architettura, Milano, 1967.

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CAPITOLO SECONDO

IL PROBLEMA TECNICO STRUTTURALE

E' da definire come organismo statico qualsiasi corretta e coerente rea­lizzazione della complessità di elementi portanti e portati che entrano in gioco in una struttura. Naturalmente in ogni organismo di tale tipo non è possibile assolutamente prescindere dalla scelta del materiale da impiegare, in quanto ogni materiale ha precipue e ben determinate proprietà caratte­ristiche che potranno venire esaltate — sia sotto l'aspetto statico-costrutti-vo che estetico — soltanto dal corretto impiego dello stesso.

Si è già visto come nel passato sia stato proprio l'impiego meditato del materiale, a parte le conoscenze tecniche, che ha determinato delle espres­sioni formali e delle forme costruttive ed architettoniche.

Il problema tecnico strutturale è anche e soprattutto in funzione del corretto e sapiente uso del materiale: in particolare ogni struttura avrà un determinato linguaggio e particolare impiego e specificazioni a seconda del materiale impiegato. Chi ad esempio costruirà in legno o in pietra — tecni­che però ormai in disuso — dovrà tener conto e valutare le diverse limita­zioni negative che tali materiali impongono; costruendo invece in calce­struzzo armato o in acciaio si dovranno considerare tutti i fattori sia posi­tivi che negativi che sono tipici di due mezzi anche espressivi cosi diversi, unitamente a quella complessità di fattori legati all'ambiente, alla tradi­zione ed all'economia che non sono mai da dimenticare.

Per affrontare con coerenza e sensibilità il problema della struttura, sembra non inutile riportare integralmente quanto Pier Luigi Nervi, ebbe a scrivere nella prefazione del suo volume Nuove Strutture, ove fa parti­colarmente riferimento alle mentalità tutte diverse nell'affrontare il pro­blema che generalmente caratterizzano il progettista a seconda che sia usci­to da una scuola di Ingegneria o di Architettura:

"Nel nostro paese, e con poche differenze negli altri, i futuri tecnici e progettisti di tutto il vasto campo del costruire, vengono formati di due di­versi ambienti universitari: le scuole di Architettura e quelle di Ingegneria Civile. Da quanto mi risulta per conoscenza diretta, e per considerazioni fatte esaminando, in occasione di concorsi o su riviste specializzate, proget­ti provenienti da diverse Nazioni, si dovrebbe concludere che le scuole di architettura e l'ambiente culturale architettonico sono tuttora dominati da un formalismo simile, nella sua profonda essenza, a quello che cinquanta anni or sono si manifestava, libero da ogni preoccupazione tecnica, in fan-

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tasiose decorazioni superficiali. Le necessità didattiche, che accentuano l'importanza del disegno, l'abi­

tudine di critica architettonica di carattere essenzialmente formale, la scarsa accentuazione da parte di molti docenti nella ineluttabile necessità di un va­lido corpo costruttivo per qualsiasi fatto architettonico, fanno si che quasi inconsapevolmente lo studente della facoltà di Architettura sia portato a vedere nell'opera architettonica un qualche cosa di astratto che si identifi­ca con il graficismo che lo rappresenta.

Posto di fronte ad un problema strutturale nuovo, per prima cosa pensa ad una forma, e la fissa in schizzi prospettici, che via via elabora e sviluppa, senza domandarsi se tutto ciò alla fine sarà traducibile in un organismo sta­bile e ragionevolmente economico. Per contro lo studente di Ingegneria è portato, sia dai programmi, sia dalla abitudine alla ricerca matematica, co­mune a molti docenti, a vedere ogni problema costruttivo sotto l'aspetto astratto del complesso di formule e sviluppi teorici, capaci di inquadrare il relativo problema statico.

Da questo angolo visuale la stabilità di una struttura diventa, prima che una realtà fisica, che le teorie non cercano ma solamente aiutano ad inda­gare, un problema di meccanica dei sistemi elastici, problema che, se mate­maticamente elegante, acquista una preminente importanza e diventa fine a se stesso.

Cosicché si può dire che di fronte ad un nuovo problema strutturale l'abitudine mentale del neo-architetto è quella di pensare ad una forma, a quella del neo-ingegnere di indirizzarsi verso un bel procedimento di cal­colo.

L'uno e l'altro dimenticano che una struttura non è che un sistema di reazioni e sollecitazioni interne, capace di equilibrare un sistema di forze esterne e che, per conseguenza, deve essere concepita come un organismo materiale diretto a quel preciso scopo.

E poiché la capacità resistente di una struttura è data sia dalla sua cor­rispondenza schematica ad un sistema schematicamente valido, sia dalla pos­sibilità che ogni sua sezione resista stabilmente alle sollecitazioni che in essa si producono, è evidente che alla base della progettazione strutturale si deb­ba porre tanto la definizione di un valido schema statico-costruttivo quanto la valutazione numerica delle sollecitazioni interne della sue parti.

L'essenza della corretta progettazione strutturale consiste, a mio modo di vedere, nel lasciarsi prendere per mano dal problema statico e nel prospet­tarsi, senza apriorismi formali, o reminescenze culturali, le soluzioni possi­bili nel singolo caso.

Ogni soluzione schematizzata in disegni di larga massima deve essere sottoposta, prima di ogni ulteriore sviluppo, a calcoli orientativi per verifi­carne la possibilità ed efficienza statica e stabilirne un primo dimensiona­mento.

Assurdo proseguire uno studio strutturale senza una verifica statica, al-

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trettanto assurdo e disturbante iniziare durante queste ricerche esplorative, calcoli complessi richiedenti lunghi sviluppi matematici.

Esaurita questa prima fase di indagine che sarà tanto più feconda quan­to più ampia sarà stata la ricerca e la schematizzazione delle soluzioni pos­sibili, si può passare alla scelta della soluzione migliore e al suo progressivo affinamento formale e costruttivo.

In questa seconda fase agli elementi puramente economici, statici e tec­nici si aggiungono fattori soggettivi di carattere estetico architettonico.

Infatti ognuna delle soluzioni possibili avrà una precisa espressività ar­chitettonica e sue caratteristiche tecniche costruttive ed economiche, in al­tre parole avrà pregi e deficienze, ed è precisamente nella serena valutazio­ne comparativa di tutti questi elementi e nella scelta finale della soluzione che presenta più pregi che si riassume e concentra la difficile "arte del pro­gettare"... Naturalmente qualsiasi suggerimento tecnico o costruttivo non può avere maggior valore di quello di un indirizzo, di una ispirazione, e quindi lascia un notevole margine alla sensibilità personale del progettista, allo stesso modo che gli obbiettivi suggerimenti tecnici che hanno portato alla nascita di tanti elementi formali e strutturali delle architetture del pas­sato, hanno lasciato la più completa libertà nelle relative definizioni for­mali.

Penso che si sarà fatto un grande passo verso una nuova vera architet­tura strutturale il giorno in cui i progettisti si persuaderanno che ogni parte di una struttura ha in sé, in relazione al materiale di cui è costituita, e alle sue precise funzioni statiche, una potenziale, intrinseca ricchezza formale, e che nell'accogliere, interpretare e rendere visibile queste istanze di natu­ra obbiettiva, consiste l'essenza della progettazione strutturale e il più vasto campo per estrinsecare la sensibilità personale...

A mio modo di vedere è quindi necessario che il progettista strutturale si formi una particolare abitudine mentale: da una parte l'assenza di pre­concetti formali nel senso di essere disposto a seguire gli indirizzi e i sugge­rimenti obbiettivi che gli verranno dati dalla statica e dalle esigenze costrut­tive, e definendoli con amore ed instancabile cura dall'altra potrà trovare la più eloquente espressione della propria personalità...Mi permetto infine di raccomandare alla attenzione di quanti architetti, ingegneri, critici e cul­tori si interessano del meraviglioso campo del costruire, una considerazio­ne che rappresenta la sintesi di una obbiettiva realtà troppo spesso trascu­rata o più spesso negata, per una specie di illusoria idealizzazione formale e culturalistica del fatto architettonico:

I materiali, la statica, la tecnologia costruttiva, il buon rendimento e-conomico, le esigenze funzionali, sono i vocaboli del discorso architetto­nico.

Impossibile elevare tale discorso alla poesia (Architettura) e nemmeno alla corretta prosa (Buona edilizia) senza la perfetta conoscenza di tali vo­caboli e delle regole di grammatica e di sintassi (Tecnica) con cui essi deb-

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bono essere composti". Riguardo ancora al problema tecnico strutturale, il Pozzati fa notare

che "la progettazione delle strutture coinvolge problemi non di rado ardui, a causa del calcolo e principalmente delle difficoltà di definire l'effettivo grado di sicurezza di una costruzione, in rapporto alle sue condizioni di vincolo, alle caratteristiche dei materiali impiegati e alle azioni esterne, che possono differire per natura e per tempi e modi di applicazione. L'analisi numerica, pur avendo grande importanza, non è quindi la sola questione che il progettista si trovi a dover esaminare; e in genere non è neppure la prima delle varie fasi del suo lavoro, intervenendo essa, a parte i sempli­ci calcoli preliminari di orientamento, il più delle volte per verificare le dimensioni che si è di solito costretti a definire in precedenza; sussiste in­fatti la circostanza che le strutture sono frequentemente iperstatiche e quin­di hanno lo stato di sollecitazione dipendente in genere dalla rigidezza del­le varie loro parti; inoltre le sollecitazioni risultano influenzate dai pesi pro­pri, quindi dalle stesse dimensioni, e non di rado in sensibile misura. Ma, a parte queste ragioni contingenti, è evidente che il calcolo non può diret­tamente condurre alla scelta della soluzione strutturale, che è il fatto di gran lunga più importante, appena si esca dai casi nei quali ci si debba muovere su schemi prefissati. Si pensi, per citare uno fra gli innumerevoli esempi, alla difficoltà delle scelte nel progetto di un ponte o di un viadotto, che può essere realizzato con strutture ad arco o a travata, isolate o continue, prefabbricate o costruite in opera, metalliche o di calcestruzzo armato, con o senza l'intervento della precompressione. Le decisioni debbono tener con­to della natura del suolo, del problemi esecutivi connessi con l'accessibilità del luogo, col reperimento dei materiali e con l'efficienza delle imprese co­struttrici; ed essere infine sottoposta ai confronti e al giudizio dei risultati funzionali, estetici ed economici, considerando questi ultimi anche in rela­zione alla prevedibile durata dell'opera e al costo della sua manutenzione. L'intreccio delle influenze è tale da rendere, sotto un punto di vista rigoro­so, ogni progetto dell'ingegneria civile pressocché irripetibile: s'intende che ci sono circostanze, quale il ricorso a strutture prefabbricate, che spesso li­mitano fortemente l'area delle scelte, però il problema resta complesso, per­ché decisioni e revisioni critiche non possono far capo alla pura concate­nazione di fatti conosciuti e all'utilizzazione di leggi naturali note, ma ri­chiedono anche immaginazione e intuizione di un processo di coordina­mento e di sintesi. Principalmente dalla concezione della struttura, più che da minuti perfezionamenti del calcolo, dipende il buon esito dell'opera, ed è chiaro che, qualora la scelta della soluzione non sia felice, le elaborazioni analitiche e numeriche non potranno consentir altro che la definizione del­le sezioni necessarie alla resistenza della struttura, le cui caratteristiche re­steranno sostanzialmente immutate.

In definitiva, la più sensibile difficoltà del progettare deriva dal fatto che valutazioni intuitive e analitiche si trovano, almeno nei loro aspetti es-

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senziali, indissolubilmente legate e simultaneamente necessarie, se pure con diverso peso a seconda della natura del progetto, senza che di solito sia pos­sibile affidare a persone diverse la sensibilità alle due differenti esigenze, perché fin nella prima idea creatrice debbono intervenire precise conside­razioni tecniche; le conoscenze specializzate potranno essere utilizzate in un secondo tempo per gli esami approfonditi e per la messa a punto dei particolari costruttivi, anch'essi molto importanti. Occorre che, pur nel rispetto delle diverse propensioni, non venga dalle scuole deformato e gua­stato il naturale "codice genetico" del progettista, portando questi a ragio­nare in termini di sola fantasia o di soli procedimenti di calcolo; e che si contrasti questa tendenza a troncare ogni cosa in due, a creare categorie profondamente differenziate di specializzati che, pur dovendo operare per il medesimo fine, rischiano di non serbare neppure una comune sfera di emozioni.

E tuttavia, nonostante il legame strettissimo fra la concezione e il cal­colo di una struttura, esiste la diffusa opinione che nella stessa persona sensibilità artistica e preparazione tecnica siano due atteggiamenti incom­patibili e tali che l'accrescersi dell'uno deteriori inevitabilmente l'altro: ri­tenendo da un lato che, per verificare l'arte, le conoscenze tecniche deb­bono venir relegate in posizione secondaria; e dall'altro, che tutto possa invece esser tratto da elaborazioni numeriche, essendo perditempi le que­stioni riguardante l'arte. E' ignorando così che tutti gli artisti — pittori, musicisti, poeti e scultori — han dovuto di solito impiegare tecniche com­plesse dominate da regole inflessibili, e che, d'altronde, divengono aride e disumane le attività della tecnica esulanti da quelle dello spirito, esclusiva­mente sospinte da valutazioni economiche, non illuminate dal riferimento essenziale al rapporto dell'uomo con gli altri uomini e con la natura; ogni progetto tecnico comporta, se pur con diversi gradi d'importanza e di evi­denza, problemi di responsabilità morale.

L'idea animatrice di un progetto risente sempre, anche quando sem­bra improvvisa, di un apprendistato graduale, faticoso e lento, nel corso del quale si crea l'abitudine a pensare nei termini concreti di come le cose pos­sano venir compiute. In tale apprendistato il calcolo trascende l'importan­za, pur grande, di strumento di verifica e diviene fondamentale ai fini an­che dell'ideazione, consentendo di escogitare le più opportune forme, ab­bozzare i primi dimensionamenti, creare la sensibilità agli ordini di grandez­za delle sollecitazioni, alle connessioni determinanti, all'attendibilità delle schematizzazioni tecniche; mentre nel necessario processo a ritroso per la verifica delle previsioni, s'afferma con naturalezza la preziosa esigenza, ter­minato il lavoro, di riandare col pensiero alle cose fatte e di esaminare i ri­sultati in controluce, ripensando alle ipotesi, alle semplificazioni e al signi­ficato fisico delle operazioni eseguite. Avviene così, in questo ripetuto e paziente esercizio, che l'esperienza conduce a mano a mano all'essenziale, affina le intuizioni e le sintesi, quindi la capacità di discernere soluzioni fe-

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liei e di trasferire la complessa realtà della struttura in uno schema teorico il più possibile semplice e tuttavia attendibile.

La credibilità delle previsioni teoriche per larga misura risiede nella scelta dello schema strutturale, assunto nei calcoli per interpretare e simu­lare il comportamento della struttura. Anche la definizione di tale schema è importante e può risultare non semplice, dovendo evitare da un lato che eccessive semplificazioni rendano il modello teorico non più significativo, e dall'altro che calcoli estenuanti o troppo estesi facciano perdere di vista i fatti veramente influenzati e la correlazione dei risultati conseguiti con le ipotesi semplificatrici. Ipotesi che sono inevitabili per vari motivi, cui può convenire soffermare brevemente il pensiero: le condizioni di carico deb­bono venire in genere ricondotte a schemi convenzionali che, anche se po­co rispondenti alla realtà, possano tuttavia dar luogo a stati di sollecitazio­ne abbastanza simili a quelli effettivi, e comunque non meno gravosi ai fi­ni della resistenza. Si debbono addottare vincoli ideali, pur sapendo che quelli supposti mobili in realtà s'inceppano, specie col passar del tempo, mentre quelli fissi possono risultare sensibilmente cedevoli; e varie con­nessioni spesso si presentano definibili con grandi incertezze, per cui i loro effetti debbono essere trascurati o saggiati con interpretazioni limiti. Gli spostamenti dei vari punti delle strutture sono in genere considerati pic­colissimi rispetto alle dimensioni; ma pur piccolissimi, il più delle volte essi debbono essere valutati per lo studio dei problemi staticamente indeter­minati, ed allora è necessario introdurre particolari correlazioni fra de­formazioni e tensioni. Gli stati di tensione vengono assai spesso influenza­ti da circostanze estranee ai carichi, quali le variazioni di temperatura, i cedimenti dei vincoli, le operazioni di saldatura per le strutture metalliche e i lunghi processi di solidificazione dei getti contenenti materiali cemen­tanti; e purtroppo tali circostanze sono in genere di difficile valutazione e possono d'altronde aver grande influenza. Inoltre, a causa di uno stato di tensione si manifestano, dopo deformazioni pressocché istantanee, movi­menti lenti, per gran parte irreversibili, che possono per certi materiali (qua­li il calcestruzzo e alcuni tipi di terreni) superare largamente quelli immedia­ti, provocando modificazioni dello stato di tensione a lungo protratte nel tempo, e anche delle stesse caratteristiche di sollecitazione quando la strut­tura sia iperstatica.

La materia, apparentemente inerte, è sede quindi di continue vicende, per azioni che vanno e vengono, per fluttuazioni termiche a lunga e breve ricorrenza, per fenomeni viscosi; e per questo incessante prodursi di varia­zioni di movimento e di tensioni, il materiale modifica le sue caratteristi­che e le strutture subiscono un'inarrestabile trasformazione, presentando a loro modo un volgere di età e di resistenza.

Tutto ciò, se pure ridotto a qualche accenno, sta ad indicare quanto siano complessi i fenomeni naturali riguardanti il comportamento delle strut-

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ture, e come di conseguenza i nostri schemi non possono dare se non un'im­magine approssimativa, e non di rado sfocata e incerta, di quel che accade nella realtà.

Abbiamo già accennato che il progetto di una struttura è da ritenere in genere emanazione tanto dell'arte quanto della scienza del costruire es­sendo determinante l'apporto dell'immaginazione, senza la quale è certo che sarebbe stata ben diversa la storia dell'uomo.

Moderni mezzi come i calcolatori possono venir molto utilmente im­piegati nel calcolo per risparmiare snervanti elaborazioni numeriche e per consentire di saggiare diverse soluzioni. Ma al progettista spetterà sempre il compito di distinguere prima quel che vuole e può ottenere dalla mac­china, poi analizzare e coordinare i risultati e di prendere le decisioni con­clusive; e rimarranno indispensabili, terminati i calcoli, le revisioni delle ipotesi fatte, i riscontri delle previsioni avanzate, mantenendo al di sopra delle elaborazioni numeriche la visione dell'opera nel suo complesso e vi­vido il giudizio critico conclusivo, per poter constatare se i proporziona-menti rispondano a quell'esigenza di equilibrio generale delle masse che, quando sussista, è il primo indice di un favorevole stato di cose.

Occorre che i potenti strumenti di calcolo di cui oggi dispone il pro­gettista siano intesi come mezzi per lasciar più libera la sua attività creati­va, che rischia di restare ottenebrata da calcoli gravosi, e per dar maggior respiro alla messa a punto del progetto e allo studio dei particolari costrut­tivi, non di rado invece trascurati, nonostante la grande importanza che es­si possono avere: le difese dagli eccessi delle temperature e dai rumori nel­le abitazioni, la scelta dei materiali per protezione e ornamento, l'impermea­bilizzazione delle coperture, la corretta specificazione di vincoli, giunti, infis­si, scarichi delle acque e condutture costituiscono aspetti del progetto tut-t1 altro che secondari, ciò che appare chiaramente, se si riflette al danno che un negligente e maldestro studio di essi può provocare a chi dovrà utilizza­re l'opera, o all'influenza che essi possono avere nella preservazione del­l'opera stessa.

A riguardo delle condizioni di carico più frequentemente ricorrenti nella pratica del progettista, è da far rilevare che tutte le costruzioni pos­sono essere sottoposte a forze di varia natura, distribuzione e intensità. Al­cune agiscono senza modificazioni nel tempo, e sono quindi dette perma­nenti; altre, essendo invece variabili, sono dette accidentali, o sovraccarichi, e richiedono quindi la previsione, riferita a indispensabili termini probabi­listici, delle più gravose entità e delle diverse maniere di essere applicate.

Per il calcolo delle costruzioni frequentemente ricorrenti nella prati­ca dei progettisti, il più delle volte si fa riferimento, relativamente ai cari­chi accidentali, a condizioni semplificate e convenzionali, non di rado po­co rispondenti alla realtà,-tuttavia atte a riprodurre stati di' sollecitazione che siano non inferiori a quelli più gravosi conseguenti ai carichi effettivi, o che abbiano la loro legittimità sancita dall'esperienza. Nella maggioranza

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dei casi le forze si considerano applicate staticamente, ossia con lentezza tale da non dar luogo a sensibili effetti dinamici sulle strutture, e conglo­bando tali effetti nei valori normalizzati delle forze stesse.

L'entità dei carichi verticali, comprensivi degli effetti dinamici ordina­ri, possono desumersi dalla seguente tabella, ricavata dal D. Min. L.L.P.P. 12.2.1982 citato in bibliografia:

Tabella 2.1. - Carichi di esercizio.

Un frequente esempio di condizione di carico convenzionale, che si è costretti ad assumere per l'estrema aleatorietà dei valori e delle distribuzio­ni delle effettive forze, è dato dal calcolo dei solai degli edifici; per essi non si può in genere far altro che considerare il carico, con il valore fornito dal­la citata tabella, uniformemente diffuso sull'intera superficie o, qualora que­sta comprenda più parti fra loro continue, distribuito in modo da provocare i valori massimi delle varie azioni interne valutate nelle più significative se­zioni. E quando il complessivo carico accidentale dipenda dall'azione simul­tanea su superfici molto estese o su numerosi altri elementi strutturali può essere alle volte lecita qualche leggera riduzione del suo valore più inten­so: così, ad esempio, il computo dei pesi applicati alle fondazioni di un edi­ficio con più di tre piani può essere eseguito considerando il carico acciden­tale completo per la copertura e per i due piani più caricati, e riducendo del 10, 20, 30, 40, 50% (e non più del 50%) i carichi accidentali dei rimanenti piani, ordinati secondo il valore decrescente del rispettivo sovraccarico; al­trettanto dicasi per il calcolo dei massimi sforzi normali dei pilastri. E' evi­dente, in queste ultime prescrizioni, il riflesso di valutazioni probabilistiche.

Per i solai di costruzioni industriali (magazzini, sili, serbatoi, ecc.). si possono avere pressioni anche di varie tonnellate per metro quadrato o con­dizioni di carico particolari (derivanti per esempio dalla presenza di macchi­ne) che debbono essere oggetto di relative prescrizioni e di adeguato studio, sulla base delle notizie date dal committente.

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Del fatto che le forze possono essere applicate in modo brusco, i dati della Tab. 2.1 tengono larvatamente conto assumendo per le pressioni valo­ri superiori a quelli corrispondenti al massimo affollamento statico. Gli ef­fetti dinamici dipendono però anche dalle caratteristiche della struttura e non di rado può essere non più legittimo prescindere da esse; cosi per i pon­ti, i carichi accidentali vengono amplificati mediante un moltiplicatore, che della "risposta" della struttura tiene conto facendo comparire nelle sue e-spressioni la sola distanza (luce) fra le estremità dell'opera, ossia soltanto uno, se pure fra i più significativi, dei vari parametri che intervengono nel complesso fenomeno quali, ad esempio, il rapporto fra i pesi mobili e fissi, i vincoli della struttura.

Ma in certi casi la natura dinamica delle forze diviene essenziale al pun­to che sarebbe privo di senso un calcolo ancorato a quello statico: è quel che può accadere, ed esempio, quando si debbano valutare gli effetti dipar­ti di macchine in movimento, di azioni sismiche e, alle volte, di azioni del vento, per i quali, oltre ai problemi inerenti alla resistenza, può presentarsi quello di definire il grado di sicurezza nei confronti del grande pericolo di risonanze.

Il vento ha natura molto complessa: mutevole, comporta in genere una azione di fondo abbastanza persistente, che può essere assimilata a un carico statico; e presenta anche fluttuazioni, di più elevata frequenza e di variabile rilevanza rispetto alla parte media, che possono provocare solle­citazioni dinamiche di sensibile portata per le strutture molto deformabili. Ma anche quando il vento spira pressocché regolarmente, si possono mani­festare, per particolari fenomeni aerodinamici, vibrazioni trasversali, ossia in piani normali alle direzioni dello stesso vento, che spesso possono risul­tare superiori, pur con eguali deformabilità correlative della struttura, a quelle massime che si verificano longitudinalmente a causa delle raffiche.

Le azioni esterne che il vento applica a una costruzione sono com­plesse, non di rado imprevedibili e dipendenti da numerose circostanze. La velocità e la direzione del vento, la forma, l'esposizione e l'altezza del­l'edificio, la località (in relazione anche alla vicinanza di altre costruzioni e alla natura del suolo), la forma, la permeabilità e la scabrezza delle super-fici esterne della costruzione sono condizioni che possono avere determi­nante importanza sul valore delle pressioni esercitate dal vento, ma pur­troppo il legame fra il valore della pressione in un punto e una delle varia­bili mette in gioco anche parte delle restanti, e possono essere non lievi gli errori se si considerasse tale legame univoco.

Il vento provoca pressioni e depressioni, e non di rado i più temibili effetti sono dati da queste ultime o dalla simultanea azione di entrambe; le depressioni (che sono considerate negative) si manifestano in genere sulle superfici sotto vento, ma non sono infrequenti anche per quelle sopra ven­to. Si suppone di solito che il vento spiri orizzontalmente con velocità e di­rezione persistenti, assimilando quindi la sua azione fluttuante ad una forza

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applicata staticamente con distribuzione spesso uniforme. Il valore della pressione effettiva è riferito alla pressione, detta cine­

tica, q = v2/2 e poiché la densità dell'aria p = y/g vale all'incirca 0,125 Kg.sec2/m3 , si pone

q (pressione cinetica) Kg/m2 (con v in m/sec).

I massimi valori della velocità del vento, e di conseguenza della pres­sione cinetica, variano a seconda della località fino a valori di (= 250 Km/h; q = 310 Kg/m2; ma nell'entroterra difficilmente si sono riscontrate punte superiori a 50 m/s 180 Km/h;q 160 Kg/m2).

Per il suolo italiano, nelle nostre norme tecniche si trovano previsti quattro diversi gradi di ventosità, e quindi quattro tipi di località o "zone", riferiti all'altezza di 20 m dal suolo e corrispondenti a pressioni cinemati­che variabili da 60 a 120 Kg/m2. Le istruzioni in proposito sono indicate nella Fig. 2.2, ma vengono ammesse variazioni nei casi particolari in cui le condizioni siano giustificatamente differenziate da quelle medie alle quali le norme si riferiscono. I valori delle pressioni cinetiche variano in funzio­ne del grado di ventosità e dell'altezza dell'edificio, così ad esempio a 20 m vengono diminuiti del 25% e mantenuti uniformi per costruzioni alte non più di 10 m; corretti con il coefficiente (H + 20)/40 e adottati costanti sul­l'intera altezza //, quando questa sia fra 10 e 20 m; e se l'edificio è alto più di 20 m, si lasciano invariati i valori forniti sino a tale quota, oltre la quale si considera la pressione cinetica variabile linearmente sino a raggiungere l'estremo valore

q (20 m) + 60 (H- 20) : 100 (in Kg/m2 , con H in m) ;

infine per le parti dell'edificio più alte di 100 m, si può considerare costan­te il valore raggiunto a 100 m (variabile da 108 a 168 Kg/m2 secondo la zo­na), poiché praticamente non si fa più risentire l'azione frenante operata al suolo.

Invece il carico sulla copertura di una costruzione dovuta alla neve è da determinare tenendo conto delle condizioni locali. In ogni caso, il carico relativo alla proiezione orizzontale della copertura dev'essere assunto, per località di altitudine h minore di 300 m, non inferiore a 90 Kg/m2 (Piemon­te, Valle d'Aosta, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia-Giulia, Lombardia, Ve­neto, Emilia, Marche, Umbria, Abruzzi) e a 60 Kg/m2 (per le restanti regio­ni); per più elevate altitudini, la precedente pressione deve essere aumentata di 0,15 (h - 300) (Kg/m2, con h in m).

Oltre i 2000 m sono però difficili le previsioni, e le pressioni possono essere molto maggiori di quelle precedentemente citate.

Le variazioni degli stati di sollecitazione cui si trovano incessantemen­te soggette le costruzioni danno luogo di solito a irrilevanti fenomeno di fa-

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tica; ma questi possono diventare di grande importanza per strutture sotto­poste a forze alternative derivanti, ad esempio, da organi di macchine in mo­vimento.

Le deformazioni della struttura non influenzano in generale i valori delle azioni esterne: ma per l'azione del vento, ad esempio, si possono ma­nifestare vibrazioni autoeccitanti, per le quali i movimenti che subisco­no i punti della struttura acquistano la duplice e simultanea veste di effet­ti e di cause. La possibile ripercussione della deformazione sulle azioni e-sterne non riguarda però soltanto i regimi dinamici dello stato di solleci­tazione: nel calcolo dei manufatti sottoposti alla spinta delle terre, si sup­pone, per poter determinare questa, che la deformazione della struttura sia tale da poter dar luogo a stati estremi di equilibrio per il terreno; e va da sé che in tali casi l'entità della deformazione influenza la spinta, perché essa, essendo in realtà azione fra due corpi deformabili quali il terreno e la strut­tura, non può non dipendere dal loro stato di deformazione.

Stati di sollecitazione, spesso molto importanti, possono sussistere an­che in assenza di forze esterne e vengono detti "di coazione". Pensando la struttura provvisoriamente suddivisa, mediante adeguato numero di tagli, in più elementi liberi di deformarsi, uno stato di coazione deriva dall'esi­stenza, in tale provvisoria situazione, di movimenti relativi incompatibili con le connessioni esterne e interne; quindi le condizioni di continuità, per poter essere ripristinate, richiedono la presenza di tensioni interne. Vi sono casi in cui il meccanismo di generazione di tali stati può essere definibile in maniera abbastanza semplice, come si può avere, ad esempio, per certe schematizzazioni di variazioni termiche e, se pure con maggiori incertezze, dei ritiri presentati dai materiali cementati durante i processi di solidifica­zione. Altre volte gli stati di coazione possono essere creati ad arte, per fron­teggiare gli effetti delle forze esterne.

Gli stati di coazione, essendo dominati dalle condizioni di congruenza, chiamano in causa problemi complessi anche per l'insorgere di deformazio­ni differite nel tempo, dette viscose, implicanti alle volte una sensibile evo­luzione delle stesse caratteristiche del materiale.

Pur dalle pochissime cose accennate è facile rendersi conto che il fon­damentale problema della determinazione delle azioni agenti su una strut­tura, intese nell'accezione più vasta del termine, comporta non di rado per l'ingegnere questioni assai complesse che non possono essere congelate tut­te in regole, tanto più che la definizione di tali azioni non si pone in termi­ni di possibilità o impossibilità, ma piuttosto di grado di probabilità; grado che dipende da un gran numero di parametri, il cui dosaggio deve prevalen­temente scaturire dall'unitaria visione che il progettista deve avere dell'inte­ra struttura.

Le azioni agenti sulle strutture vengono suddivise, dalle istruzioni ita­liane (UNI - CNR 1967), in principali (carichi permanenti e accidentali, ne­ve, spinta delle terre, coazioni impresse) e complementari (vento, variazioni

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termiche, ritiro, fenomeni viscosi, imperfezioni di vincolo, difetti di mon­taggio), con ciò senza adombrare alcun giudizio sull'importanza che an­che le seconde possono avere. Condizioni di carico I e II vengono dette, dalle stesse norme, quelle in cui si accumulano o le sole "azioni principa­li" oppure le "principali" e "complementari" insieme, combinate sempre nella più sfavorevole maniera: alle condizioni I e II vengono attribuiti di so­lito coefficienti di sicurezza diversi".

Un discorso a parte, che non è qui il caso se non di richiamare, va fat­to per le azioni dinamiche conseguenti a sisma: problema che in Italia, co­me anche recenti tragedie hanno dimostrato, è di grandissima importanza. Esso è attualmente regolato da precise Norme di legge e richiede una alta specializzazione strutturistica per le sue concrete soluzioni.

La gamma dei materiali impiegati nelle strutture architettoniche è as­sai estesa: pietra e muratura, legname, acciaio, alluminio, calcestruzzo ar­mato normale e precompresso, materie plastiche. Tutti questi materiali hanno in comune alcune proprietà essenziali che li rendono atti a resistere alle sollecitazioni imposte dai carichi.

Quale che sia la durata dell'azione dei carichi sulla struttura — perma­nente, intermittente o solo momentanea — occorre che la deformazione del­la struttura non aumenti progressivamente e che cessi quando cessa l'azio­ne del carico. Si dice che un materiale ha comportamento elastico quando la sua deformazione cessa rapidamente colla cessazione del carico. Tutti i materiali strutturali sono in maggior o minor misura elastici. Se non lo fos­sero, e quindi se la struttura rimanesse deformata permanentemente dopo la cessazione del carico, l'azione di nuovi carichi aumenterebbe la deforma­zione permanente e la struttura finirebbe con venir messa fuori uso. Per contro, nessun materiale strutturale è perfettamente elastico: a seconda del tipo di struttura e della natura dei carichi, le deformazioni permanenti sono inevitabili ogni qualvolta l'entità delle sollecitazioni supera determinati va­lori. I carichi pertanto debbono essere contenuti entro valori che non provo­chino deformazioni permanenti: i materiali strutturali sono sempre solle­citati entro il loro campo elastico.

Per lo più i materiali strutturali sono non soltanto elastici ma anche, entro certi limiti, linearmente o proporzionalmente elastici, il che vuol dire che la loro deformazione è proporzionale al loro carico. Cosi, se entro i li­miti di proporzionalità, una trave a mensola si inflette di 2,5 mm sotto un ca­rico verticale di 10 t posto all'estremità libera, la sua deformazione sotto un carico di 20 tonn. sarà di 5 mm. I materiali strutturali sono per la mag­gior parte impiegati esclusivamente entro i loro limiti di elasticità lineare.

Si dice che hanno comportamento plastico i materiali che presentano deformazioni permanenti dopo la cessazione del carico. Al di là dei limiti di elasticità, tutti i materiali strutturali hanno comportamento plastico: il carico sotto il quale un materiale comincia a comportarsi in modo net-

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tamente plastico è detto carico o lìmite di snervamento. I materiali che sono linearmente elastici fino alla rottura, quali il ve­

tro e talune materie plastiche (si noti la improprietà del termine), sono as­solutamente inidonei per la realizzazione di strutture: non danno avverti­mento della imminenza della rottura e inoltre hanno spesso comportamento fragile e vanno in frantumi per effetto di urti.

A temperature normali l'acciaio presenta un campo utile di elasticità lineare, seguito da un campo plastico, ma diviene improvvisamente fragile a temperature attorno ai -34°C. Alcune impreviste rotture di ponti in ac­ciaio nel Canada sono attribuibili a questo brusco passaggio dal comporta­mento plastico a quello fragile a basse temperature. A temperature eleva­te anche l'acciaio, che è uno dei materiali strutturali più resistenti, perde la maggior parte della propria resistenza e scorre parallelamente attorno ai 370°C. Per poter essere usato con sicurezza nelle costruzioni, l'acciaio deve venir protetto in modo da diventare resistente alle alte temperature: il calcestruzzo armato resiste a queste temperature purché l'acciaio dell'ar­matura sia protetto da un sufficiente spessore di calcestruzzo.

Alcuni materiali hanno un limite di elasticità relativamente basso, e scorrono plasticamente anche sotto carichi limitati. Alcune materie pla­stiche (ed in questo caso il termine è proprio) scorrono praticamente sot­to qualsiasi carico. Il basso limite di snervamento di alcune materie plasti­che ed il comportamento fragile di altre, ha rese queste materie finora po­co adatte come materiali strutturali. Vi sono però materie plastiche rin­forzate, come il Fiberglass (rinforzato da fibre di vetro), aventi buone ca­ratteristiche strutturali, ed è facile prevedere una maggior diffusione del loro impiego. I moderni materiali strutturali, come l'acciaio, sono general­mente isotropi, e cioè la loro resistenza è indipendente dalla direzione in cui essi vengono sollecitati. Il legno invece ha una resistenza diversa a se­conda che venga sollecitato nella direzione delle fibre oppure ortogonal­mente ad esse. A tale inconveniente si pone rimedio incollando insieme, con adesivi plastici, sottili fogli di legno disposti colle fibre in direzioni diverse. Il prodotto così ottenuto, il cosiddetto compensato, presenta ca­ratteristiche di resistenza più omogenee.

I materiali strutturali possono anche essere classificati a seconda del tipo di sollecitazione semplice a cui sono più atti a resistere: trazione, com­pressione e taglio. La trazione è il tipo di sollecitazione che tende a sepa­rare le particelle componenti il materiale, la compressione invece le spin­ge l'una contro l'altra. Il taglio tende a far scorrere le particelle una rispet­to all'altra, come avviene in un filo metallico tagliato con la pinza a tron­chese.

Tutti i materiali strutturali sono capaci di reagire a sollecitazioni di compressione. Taluni, come l'acciaio, resistono altrettanto bene a com­pressione ed a trazione. Altri, come la pietra ed il calcestruzzo, non sono altrettanto versatili: il loro impiego è limitato necessariamente a quelle for-

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me ed a quei carichi che escludano sollecitazioni a trazione. I materiali con buona resistenza alla trazione hanno di norma anche buona resistenza al taglio: per contro, i materiali resistenti essenzialmente a compressione han­no scarsa resistenza alle sollecitazioni di taglio.

Come si è detto, ai fini strutturali i materiali vengono di norma impie­gati entro i loro limiti di elasticità lineare, e ciò significa che le loro defor­mazioni risultano proporzionali ai carichi. Ma i vari materiali si compor­tano in modo diverso sotto gli stessi carichi. Se un filo di acciaio di 2 mm di diametro lungo 300 cm, posto in verticale, viene caricato, alla sua estre­mità con un peso di 50 Kg, esso si allunga di 2,3 mm; un filo di alluminio delle stesse dimensioni e sottoposto allo stesso carico si allunga di tre volte tanto, e cioè circa 7 mm.

L'acciaio ha cioè una rigidità a trazione superiore a quella dell'allumi­nio. In generale, la misura di tale rigidità è data, per ciascun materiale, da una costante detta modulo di elasticità a trazione. Il modulo di elasticità è mi­surato (in Kg/cm2) dal numero di Kg capaci teoricamente di stirare un filo della sezione di 1 cm2 fino al doppio della sua lunghezza iniziale (abbiamo detto teoricamente, perché in pratica il filo si romperà prima di allungarsi di tanto). Il modulo di elasticità dell'acciaio è uguale mediamente a 2.100.000 Kg/cm2 ; quello dell'alluminio a 700.000 Kg/cm2.

Il modulo a compressione differisce in genere da quello a trazione. Il modulo a compressione del calcestruzzo è in media di 200.000 Kg/cm2 ; il suo modulo a trazione ha poca importanza, poiché la resistenza a trazione del calcestruzzo è trascurabile. Il modulo a compressione del legno è in me­dia di 100.000 Kg/cm2 nella direzione delle fibre e di 50.000 Kg/cm2 orto­gonalmente alle fibre stesse. Sia l'acciaio che l'alluminio hanno invece lo stesso modulo sia a trazione sia a compressione.

Ai fini della sicurezza è di estrema importanza conoscere il valore della sollecitazione alla quale un materiale comincia a cedere sotto carico. Per l'ac­ciaio e l'alluminio il limite medio di snervamento a trazione e a compressio­ne {resistenza a snervamento) corrisponde a circa 3.500 Kg/cm2. Quando un materiale non abbia un limite di snervamento ben definibile o non ne ab­bia affatto, i criteri di sicurezza non possono più essere fissati in relazione a tale limite. Il primo di questi due casi è quello del calcestruzzo, per il qua­le non esiste un passaggio netto dal comportamento elastico a quello pla­stico; il secondo si riferisce ai materiali fragili, che hanno comportamento lineare fino alla rottura. In tali casi, per quello che riguarda il materiale, la sicurezza deve essere determinata per riferimento diretto alla rottura. Così è importante sapere che l'acciaio si rompe per una tensione di trazione com­presa tra 5.000 e 14.000 Kg/cm2 e che il calcestruzzo cede a sollecitazioni di compressione tra 200 e 600 Kg/cm2. Tali sollecitazioni costituiscono il carico di rottura del materiale o meglio la Resistenza a rottura.

Dato che ovviamente non si può consentire né la rottura né lo sner-

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vamento delle strutture sotto carico, il valore delle tensioni ammissibili vie­ne di norma fissato ad una frazione della resistenza a snervamento o a rot­tura; i coefficienti di sicurezza (rapporto tra tensione ammissibile e resi­stenza a rottura o a snervamento) così introdotti dipendono da diverse con­dizioni: l'uniformità del materiale ed il controllo della sua produzione, le sue proprietà di resistenza prima definite, il tipo di sollecitazione, la per­manenza e la certezza dei carichi, l'uso infine a cui la struttura viene adi­bita.

Bibliografia

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teri generali per la verifica di sicurezza delle costruzioni e dei carichi e sovraccari­chi".

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CAPITOLO TERZO

IL LEGNO

Il legno, che ha avuto nel passato larghissima applicazione come ele­mento di struttura e di decorazione, rimane ancora oggi il preferito per de­terminati ma limitati elementi costruttivi, anche perché, almeno nelle no­stre città di pianura, è di difficilissimo reperimento mano d'opera specializ­zata nella sua lavorazione.

Il tessuto che costituisce la massa legnosa del tronco presenta una strut­tura che può essere generalmente schematizzata come è rappresentato in Fig. 3.1.

Fig. 1.3 — Sezione schematica di un tronco.

Esaminando la sezione trasversale di un tronco d'albero, si distingue un'anima centrale di forma cilindrica detta midollo, attorno alla quale si sono venuti formando nel tempo numerosi anelli, l'uno esterno all'altro che comprendono il durame e l'alburno. Il dura­me, costituito dagli anelli interni e composto da cellule morte e lignificate, è di colore più scuro; l'alburno che rappresenta la parte viva, cioè le cellule in via di lignificazione si rico­nosce dalla tinta più chiara, e comprende gli anelli esterni. Esso è costituito dal legno di più recente formazione e attraverso i suoi vasi passa la linfa, cioè il liquido nutritivo della pianta.

L'alburno a sua volta è seguito da un sottilissimo strato di sostanza filamentosa viva chiamata libro, alla quale è sovrapposta la corteccia, cioè l'elemento più esterno.

Le cellule dei legnami possono presen­tare pareti spesse ed aperture molto strette, oppure bordi sottili e vani di notevoli dimensioni. Quando la pianta in pri­mavera comincia a vegetare, l'acqua necessaria sale generalmente attraverso le cellule più recenti e perciò essenzialmente lungo l'ultimo anello di forma­zione. Di conseguenza in primavera si formano cellule aventi pareti sottili e vani notevoli, permettendo all'acqua di giungere rapidamente ai rami.

In estate la richiesta d'acqua è invece minore e le cellule nascono più

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strette e con pareti robuste. Per questa ragione il legname che si forma du­rante l'estate è di colore più scuro, più resistente e compatto.

Nei nostri climi, nei quali si ha una successione regolare di stagioni di vegetazione e di riposo, ogni anno si aggiunge normalmente un anello le­gnoso, detto appunto anello annuale, composto da uno strato di cellule compreso tra il libro e il legno.

Osservando quindi una sezione del legno, dal numero di anelli di ac­crescimento si può calcolare approssimativamente l'età della pianta.

Proprietà e prove relative ai legnami

Una delle proprietà che caratterizza il legname è la massa specìfica, in quanto, la massa per unità di volume di un elemento di legno comprenden­te fibre, pori, e vani, è uno dei fattori che influenza maggiormente la resi­stenza del materiale. Essa è funzione della struttura cellulare del legno, del­la stagionatura, dell'età e del modo di sviluppo della pianta e dell'epoca del taglio.

Con l'aumentare della massa specifica del legno aumenta la sua resi­stenza meccanica, in quanto le cellule con pareti spesse sono formate da fibre più robuste di quelle che costituiscono le cellule a pareti sottili. Un elemento di giudizio della qualità del legname può quindi essere la por­zione del legno estivo, in quanto la massa specifica di questo è circa il doppio di quella del legno cresciuto durante la primavera. Empiricamente si rico­nosce la quantità del legno estivo contenuta negli anelli dalla diversità di colore.

La determinazione della massa specifica apparente è eseguita su dei provini di forma cubica di 5 cm di lato con la bilancia idrostatica. Sono di solito determinati per i principali tipi di legno tre valori della massa specifi­ca a seconda che i provini siano costituiti da legno verde o essiccato all'aria oppure artificialmente in essicatoi. Il primo contiene in media il 45% di umi­dità (massa di acqua contenuta nel materiale espresso in percentuale del le­gno essiccato in forno a 100°C, fino a massa costante), il secondo il 10 15%, mentre nel legno essiccato al forno l'umidità si riduce a meno del 10%. L'e­sperienza ha dimostrato che la resistenza del legno è notevolmente influen­zata dal contenuto di umidità. L'effetto diretto della riduzione di umidità è rappresentato dall'irrobustimento delle fibre legnose.

Infatti i provini cubici prima considerati, se portati ad una bassa per­centuale di umidità possono aumentare la loro resistenza fino al 200%.-

Tuttavia i processi di essicazione, specie quelli artificiali, in forno o autoclave e di breve durata, producono sovente delle fenditure nel legno, il cui effetto di indebolimento compensa l'incremento di resistenza provo­cato dalla stagionatura, e non è pertanto consigliabile fare affidamento sul­l'incremento di resistenza tra legno verde e stagionato.

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La variazione soprattutto se rapida del contenuto di umidità produce nel legno il fenomeno del ritiro e del rigonfiamento. La contrazione nel verso delle fibre è molto piccola, circa dello 0,5%, molto più grande è in­vece nella direzione periferica degli anelli di accrescimento e può raggiun­gere il valore del 10%.

La diminuzione media di volume di un elemento di legno verde, quan­do venga essiccato all'aria con una percentuale di umidità del 12 15% è di circa 5%.

Data la particolare struttura del legno e per la anisotropia che è caratte­ristica del materiale, la resistenza è funzione oltre che dal tipo di sollecita­zione a cui è assoggettato, anche dalla direzione secondo la quale viene eser­citato lo sforzo. La resistenza agli sforzi di comprensione dipende essenzial­mente dall'angolo che la direzione della forza agente forma con quella del­le fibre. Secondo le esperienze eseguite si può affermare che la resistenza a compressione nel senso normale alle fibre è più piccola di tutte; nelle prove che si eseguono sui legnami i campioni, cioè i provini cubici con lato di cm 5, dovrebbero essere prelevati in zone diverse del materiale, in modo che riproducano complessivamente le reali condizioni del legname in analisi.

Nella prova a compressione parallelamente alle fibre il provino cede per scorrimento delle fibre le une sulle altre, secondo piani più o meno paralle­le alla direzione dello sforzo. La macchina di prova indica l'inizio di questo sfibramento con una istantanea diminuzione della resistenza e tale valore viene assunto come carico di rottura del materiale.

Nella prova di resistenza alla compressione nel verso normale alle fi­bre, il provino gradualmente si comprime e si riduce ad uno strato impac­cato e sottile di fibre fortemente compresse senza che si verifichi la rottura.

Per la determinazione della resistenza a rottura sotto sollecitazioni di trazione, di solito misurata solo in senso assiale, si usano invece provini a sezione cilindrica o rettangolare della sezione di 2 cm2, e della lunghezza utile di cm 5, oltre alle due testate opposte che sono necessarie per l'anco­raggio al macchinario di prova.

La prova di resistenza a sollecitazioni di flessione si esegue con parti­colari provini le cui fibre sono disposte normalmente o parallelamente alla direzione dello sforzo, evitando direzioni inclinate. Si impiegano provini di sezione quadrata, con il lato di 3 centimetri e della lunghezza di 22 cm che vengono appoggiati su coltelli a testa arrotondata alla distanza mutua di 18 cm. La resistenza massima è circa uguale alla media fra le resistenze a tra­zione e a compressione.

Per il calcolo della resistenza, come già visto, viene di solito adottata come sollecitazione massima ammissibile una frazione di quella di rottura: generalmente 1/10 di questa. Detto carico può essere però aumentato di circa 1/5 nelle opere provvisorie e ridotto di un terzo nelle opere stabili.

Alla sollecitazione di taglio il comportamento del legno, per le diffi­coltà che si incontrano nelle esperienze, non è determinato con esattezza.

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Il Winkler per questa sollecitazione in direzione parallela alle fibre conside­ra una resistenza pari a 1/9 1/12 di quella a flessione oppure 1/6 1/8 di quella a compressione. Nel verso trasversale alle fibre la resistenza al taglio è certamente maggiore ma è ancora più difficile determinarla sperimental­mente.

In linea generale si può ritenere che essa superi tre volte quella nella direzione delle fibre.

Tabella sollecitazioni a rottura per alcuni tipi di legno da costruzione.

Classificazione dei legnami

I legnami di uso comune possono essere classificati a seconda del tipo di essenza in:

1 ) Legnami duri o dì essenza forte 2) Legnami teneri o di essenza dolce 3) Legnami resinosi 4) Legnami fini. Quelli del primo gruppo sono legni con elevato peso specifico che si

scalfiscono con difficoltà, resistono molto bene all'usura e alle alternanze di secco ed umido, per cui vengono in genere usati per pavimentazioni.

Per un buon rendimento si deve sottoporre però preventivamente il le­gno ad una buona essicazione favorendone la traspirazione; si evita così che dopo un certo tempo della posa in opera, il materiale possa rigonfiarsi.

Per il loro elevato peso specifico sono poco usati nell'industria dei ser­ramenti, anche perché il costo non è indifferente, in relazione soprattutto

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alla difficoltà di lavorazione. A questo gruppo appartengono le querce, di cui le più note in Europa

sono il cerro, il rovere e il leccio. Il rovere {di Sìavonia) è di colorazione giallo bruna con alburno bian­

castro. E' un legno compatto, tenace, pesante, con fibra diretta. Il leccio e il cerro sono legni di colorazione rosso bruna con alburno più chiaro. Sono molto compatti, pesanti, omogenei; tenaci, di lunga durata e quasi inintacca-bili dagli insetti in quanto durissimi.

Altri legni che appartengono a questo gruppo sono: il castagno, legno giallo bruno con venature più scure, discretamente leggero e resistente ma non troppo compatto, esposto alle intemperie si deteriora facilmente, e si scurisce in quanto contiene tannino.

Il faggio, legno di colore bianco rossastro a raggi midollari; è assai ela­stico e flessibile, al vapor d'acqua accentua questo suo carattere per cui è molto usato nell'industria del legno curvato; non resiste però alle alternan­ze di secco e umido. E' anche usato per pavimentazioni, ove sostituisce il rovere, dato il costo meno elevato. Il frassino, legno bianco e chiaro con al­burno bianco rosso, presenta riflesse madreperlacei nelle sezioni radiali; è tenace, compatto, elastico ma facilmente flessibile.

Il noce, di colore bruno e resistente, è stabile se stagionato. L'acero, le­gno bianco gialliccio poco differenziato nell'alburno; è elastico, leggero e piuttosto duro.

Appartengono al secondo gruppo legni molto teneri che si sfibrano fa­cilmente, tra cui il pioppo, legno di colore biancastro, che è leggero ed abba­stanza resistente, ma poiché si sfibra facilmente è poco usato per lavori di una certa consistenza. Il platano, legno con durame rosso bruno; è di poco pregio nelle costruzioni perché è facilmente attaccabile dai parassiti.

Quelli del terzo gruppo sono dei legni di grande resistenza, compatti ed elastici, il cui essicamento non richiede particolari cure; resistono molto be­ne alle intemperie. La principale applicazione dei legnami di essenza resino­sa è appunto nell'industria dei serramenti. In questo gruppo troviamo: il la­rice, legno a durame rosso bruno, molto resinoso e perciò odoroso; com­patto, semiduro, resiste bene e lungamente all'azione dell'acqua, attualmen­te non è però molto usato, soprattutto perché non è facile trovarlo perfet­tamente stagionato.

L'abete douglas del Canada, molto classico e resistente e si avvicina al larice per le sue proprietà, oltre alla caratteristica colorazione giallo rossic­cio presenta una quasi perfetta perpendicolarità delle fibre, con assenza di nodi.

Vabete ed il pino, si presentano in diverse specie che forniscono legna­mi molto usati nelle costruzioni. Il pino giallo o picht-pine: largamente usa­to in Europa proviene in gran parte dall'America centrale e settentrionale in varie qualità; ve ne sono di eccellenti che danno un legno duro, pesante, re­sinoso, durevole, di colore giallo rossastro fino al rosso bruno.

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I legnami del quarto gruppo presentano fibre sottili e sono annoverabi­li tra i legni preziosi particolarmente indicati per lavori di ebanisteria. In mas­sima parte raggiungono dimensioni modeste e sono di solito impiegati in limitata quantità per lavori di intarsio e simili nell'industria del mobile.

Principale impiego dei legnami

Impalcature abete, pino, castagno Serramenti esterni larice, pino, pitch-pine, abete vernicia­

to, douglas Serramenti interni abete, castagno, faggio, noce Pavimentazioni interne rovere, faggio Strutture in tetti di legno abete, castagno, rovere, pino, larice.

Difetti dei legnami

I principali difetti dei legnami sono i seguenti: — Nodi, dovuti ai rami che attraversano il fusto radialmente e sono poi

ricoperti dagli strati annuali di accrescimento. Possono essere vivi, cioè saldati con il circostante tessuto legnoso, o

morti, che cadono facilmente lasciando fori sani od avariati. In ogni modo ostacolano la lavorazione e riducono la resistenza del

legno. — Fusto eccentrico, cioè con spessore degli anelli non uniforme. Si

manifesta in alberi isolati cresciuti su terreni con forte pendenze. In questo caso la resistenza è ridotta e il legname è poco adatto ad essere rifilato o segato.

— Torsione del fusto, dovuto all'azione del vento spirante in direzio­ne costante. Si hanno elementi a resistenza ridotta e variabile da punto a punto.

— Cipollatura o girello, che consiste nel distacco di due anelli di ac­crescimento continui lungo l'intera circonferenza, o in parte. E' dovuta alle diverse deformazioni degli anelli prodotti dall'azione del vento e dall'effet­to del caldo e dei geli eccessivi.

— Falso durame, che è costituito dal legno della parte centrale di cir­colazione più scura e a contorno irregolare; provoca una riduzione della re­sistenza e della durata del materiale.

— Lunatura o doppio alburno, fenomeno dovuto alle gelate tardive in primavera e precoci in autunno che atrofizzano le cellule dell'alburno ar­restando la sua trasformazione in durame. Resta quindi incluso uno strato non lignificato.

— Marciume, che proviene dall'alterazione dei tessuti del legno provo-

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cata da una eccessiva circolazione di linfa e da microorganismi vegetali. Il legno si riduce ad un ammasso pulvirulento o fibroso privo di consistenza.

— Cretti, che sono spaccature dei fusti in senso radiale. Possono es­sere periferici o centrali e sono originati da forti geli seguiti da veloci disge­li, oppure da una troppo rapida evaporazione dell'acqua.

Applicazione dei legnami come elementi costruttivi

Le principali forme e dimensioni, a seconda dell'uso e dell'impiego dei legnami da costruzione sono:

- Travi: di forma parallelepipeda, squadrati a spigolo vivo, di misu­re che vanno dai 25 ai 42 cm e lunghezze fino a 14 m.

— Legname tipo Trieste: sono chiamati così quei legnami semplice­mente sgrossati d'ascia e grossolanamente squadrati, senza spigoli vivi.

— Travetti o morali: sono elementi di dimensioni minori con sezio­ne quadrata, generalmente 6 x 6 , 7 x 7 , 8 x 8 . Si ha mezzo morale quando una delle dimensioni è dimezzata 3 x 6; 3,5 x 7; 4 x 8.

Il loro uso è principalmente nei tetti. - Correntini o listelli: usati specialmente per la piccola orditura dei

tetti, hanno sezione 2 x 4 , 3 x 3 , 3 x 5 . - Tavole: generalmente sono lunghe 4 m e larghe da 20 a 40 cm con

spessori di 2 4 cm. Se sono di spessore superiori ai 4 cm vengono chia­mate palancole.

Lavorazione del legno

Reciso il tronco e pulito dalle ramaglie e talora dalla corteccia, a se­conda dell'impegno cui è destinato, l'elemento può essere trasportato inte­ro o segato in lunghezze commerciali, in genere circa quattro metri.

Nelle costruzioni provvisorie (impalcature, ponti di servizio di cantie­re) il tronco viene impiegato senza essere squadrato. Invece nelle costruzio­ni di maggior durata o di una certa importanza il tronco viene grossolana­mente squadrato o ridotto a spigolo vivo.

La squadratura a spigolo vivo si fa a macchina. Se la trave deve essere sollecitata a compressione o a trazione conviene farla a sezione quadrata, perché in tal caso è massima l'area della sezione ed è massimo il raggio di inerzia.

Se invece la trave è sollecitata a flessione i lati b ed h della sezione ret­tangolare dovranno avere il rapporto che rende massimo il modulo di resi­stenza W = 1/6 bh2. Tale rapporto vale circa 5/7.

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La segagione del materiale è diversa a seconda del tipo e degli elementi che si vogliono ottenere. I principali sistemi sono i seguenti, Fig. 3.2:

— Segagione a maglia, è generalmente la più usata, anche se per gli ele­menti che si ottengono non si evita l'imbarcamento, dato l'andamento degli anelli nella sezione del tronco.

Fig. 3.2 - Segagioni del legname.

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— Segagione in quarto con mezzoni, dopo il taglio dei tavoloni centra­li si procede al taglio degli elementi nei quarti in direzione radiale, oppure secondo direzioni parallele.

— Segagione in quarto, ove gli elementi sono tagliati nei quarti del tronco secondo direzioni alternativamente normali.

— Segagione in quarto a misure obbligate, analoga alla precedente ove gli elementi hanno diverse e prefissate misure.

Il legno compensato, come già accennato, è un prodotto di grandissi­ma diffusione ed è generalmente usato per le opere di finitura interna de­gli edifici particolarmente per la costruzione di porte, pannelli di rivesti­mento, serramenti in genere, e nell'industria del mobile.

Il legno compensato si ottiene incollando sotto pressione sottili fogli di legno dello spessore da 0,8 a 2 mm, disposti gli uni rispetto agli altri con le fibre perpendicolari. Si è visto infatti che la resistenza del legname varia grandemente col variare dell'angolo tra la direzione delle fibre e quelle del­lo sforzo di sollecitazione, pertanto la particolare costruzione di tale ma­teriale evita questo inconveniente. Inoltre le tavole di legname, a causa del ritiro, sono soggette ad un ingobbamento più o meno sensibile a seconda della stagionatura e delle alternanze di secco e di umido. I vantaggi dal punto di vista della resistenza sono quindi evidenti, ed è anche da aggiunge­re la leggerezza ed il costo non elevato.

La fabbricazione del legname compensato ha appunto lo scopo di crea­re un materiale che abbia una buona resistenza in tutte le direzioni e non sia soggetto a notevoli deformazioni; in definitiva quindi le tavole di legno compensato presentano caratteristiche meccaniche notevolmente migliora­te rispetto al legno naturale.

I tronchi destinati alla lavorazione del legno compensato (quercia, piop­po, betulla, faggio) devono prima essere scortecciati, e poi mantenuti per molte ore a contatto col vapore d'acqua che renderà il legname più soffice, e quindi collocati su apposite macchine sfogliatrici che funzionano allo stes­so modo di un tornio.

II tronco viene fatto girare lentamente e mediante un coltello automa­tico pressato contro il legno, si viene a tagliare un sottile foglio continuo.

L'operazione di incollatura dei diversi fogli viene fatta a caldo e sotto pressione, usando colle a base di caseina, che essendo a lenta presa, costrin­gono a mantenere la pressione per 8 10 ore.

Riassumendo quindi, il compensato presenta il vantaggio sul legno co­mune di una maggiore leggerezza, di una minore variazione dimensionale per effetto di umidità, di una maggiore facilità di lavorazione, anche su gran­di dimensioni; permettono inoltre di ottenere superfici in vista con legni pregiati, senza necessità di impiallaciatura e in definitiva con costi notevol­mente bassi.

Un particolare tipo di compensato è il paniforte che è un compensato composto da molteplici sottili fogli di legno incollati e pressati fra loro con

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fibre incrociate fino a formare uno spessore di uno o due centimetri. Sotto lo stesso nome si hanno altri pannelli formati da prismi di legno accostati e incollati così da formare una tavola: sulle due faccie di tale tavola ven­gono incollati due normali compensati.

Altro particolare impiego il legno può trovarlo nei pannelli agglome­rati truciolari (tipo Faesite) che si ottengono con pressatura ad alta tem­peratura; il prodotto finito si presenta come pannello anche di minimo spes­sore, compatto e durissimo, di solito finito e smaltato su di una faccia e lasciato grezzo dall'altra.

Il legno può anche essere usato come materiale isolante sia termico che acustico (come isolamento e come correzione) in appositi pannelli di spes­sore variabile da cm 1 a 7,5 costituiti da fibre di pioppo imbevute in una soluzione concentrata di solfati di magnesio e trattati termicamente in for­ni ad alta temperatura {Eraclit).

Le fibre di legno così trattate subiscono un vero processo di mineraliz­zazione e pertanto risultano inalterabili nel tempo mentre la sua struttura, costituita da un insieme di piccole celle irregolari, conferisce al pannello elevati doti di leggerezza e di isolamento. Tale materiale è largamente im­piegato nelle costruzioni, data la capacità autoportante del pannello, la fa­cilità della posa in opera, la possibilità di intonacatura, ed il costo non ele­vato.

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CAPITOLO QUARTO

I MATERIALI LAPIDEI

Le pietre naturali impiegate nelle costruzioni, provengono da determi­nati tipi di rocce, cioè da miscugli eterogenei di sostanze di natura minera­le, che formano parte integrante della crosta terrestre.

Vengono prelevate dalle cave che possono essere a cielo aperto o sot­terranee. Nel primo caso messo a nudo il giacimento, si procede all'escava-zione con metodo diverso (ad aria compressa, con filo elicoidale, con esplo­sivi) a seconda della giacitura e delle caratteristiche del materiale, nel se­condo invece l'escavazione avviene a mezzo di cunei oppure con l'impiego del filo elicoidale in vere e proprie gallerie che si addentrano all'interno del giacimento (come ad esempio per i materiali tufacei o più generalmente per la cosiddetta pietra tenera del Vicentino).

Il materiale una volta escavato viene trasportato ai piedi della cava e quindi inviato agli stabilimenti di lavorazione. Il blocco così pervenuto, a meno che non venga impiegato in opere particolari, viene di solito segato in lastre di spessore variabile, a partire da un minimo di 7 mm, con apposi­te macchine chiamate telai costituite da un insieme di lame in ferro poste alla distanza voluta per l'ottenimento dello spessore delle lastre. Le lame costituenti il telaio strisciano con movimento pendolare sul blocco e su di esse si fa cadere una miscela abrasiva, che ha appunto la funzione del ta­glio, costituita da acqua e sabbia quarzifera; l'operazione di taglio di un blocco, a seconda del tipo del materiale, può durare ininterrottamente per più giorni.

Dalle lastre così ottenute, a seconda delle particolarità di impiego, si procederà poi alle lavorazioni successive che si distinguono a seconda che il materiale sia impiegato come rivestimento per l'esterno o l'interno, o co­me pavimentazione, o scala, o davanzale, ecc..

Le rocce possono essere classificate in tre categorie: A) Eruttive B) Sedimentarie C) Scisti cristallini.

Le rocce eruttive provengono dalle viscere della terra, da cui sono usci­te allo stato fuso ad alta temperatura, e si sono nel tempo poi solidificate in superficie.

Sono essenzialmente rocce di tipo vulcanico, come graniti, porfidi, ba-

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salti, trachiti. Anche la pomice appartiene a questa categoria, ma è un ma­teriale con caratteristiche particolari, come l'estrema leggerezza, per cui vie­ne di solito polverizzata ed applicata come materiale isolante per l'isola­mento termico ed acustico.

Le rocce appartenenti a questa categoria sono estremamente compatte, hanno elevato peso specifico ed elevata durezza; possono essere impiegate solo per usi particolari (prescindendo dall'effetto estetico: colore, grana e venatura); resistono molto all'usura ma si tagliano e si lavorano con note­vole difficoltà. Hanno quindi generalmente un costo elevato.

Le rocce sedimentarie derivano dalla sedimentazione di sostanze mine­rali oppure da depositi organici; sono derivate dalla erosione determinata dagli agenti fisici o chimici degli elementi naturali. Le masse così accumu­late hanno subito nel tempo notevoli trasformazioni, da cui derivano diver­si tipi di rocce. Altri tipi di rocce sedimentarie si sono originate col discio­gliersi e il depositarsi di materiali in acqua, uniti a residui di organismi ve­getali o animali, oppure da prodotto vulcanici cementati insieme.

Appare dunque evidente che le rocce sedimentarie sono di natura mol­to varia, sia dal punto di vista della composizione che della struttura.

Appartengono a questa categoria i calcari ed i marmi; è infatti non dif­ficile trovare all'interno di essi scheletri di pesci preistorici, conchiglie, lu­mache ed altri fossili.

Le rocce appartenenti a questo gruppo possono essere ulteriormente suddivise in due categorie:

1) Marmi cristallini a struttura saccaroide (Grecia, marmo di Lasa, Vallestrona, Carrara, madreperla di Sicilia).

2) Marmi concrezionati. Al limite estremo di questa categoria trovia­mo i tufi, ed in genere le pietre tenere. E' questo un materiale che si taglia facilmente con la sega appena escavato ed all'aria subisce un processo di indurimento; è però attaccabile dallo smog e dalle atmosfere inquinate del­le nostre città, per cui anche in poco tempo si disgrega e si polverizza. Ap­partengono ancora a questa categoria le brecce e tutti i brecciati, i quali anche visivamente si presentano come formati dall'unione di vari e diversi elementi. Non sono in genere materiali compatti a struttura cristallina ma si sgretolano con notevole facilità.

Scisti cristallini. Sono rocce spesso insieme eruttive e sedimentarie, di­sposte a strati e quindi facilmente divisibili o sfaldabili. Non vengono infat­ti quasi mai estratte in blocco ma per sfaldatura. A questa categoria appar­tengono i Gneis (rocce micacee), le quarziti, i serpentini.

Per il corretto impiego del materiale ha notevole importanza conosce­re le proprietà fisiche delle varie pietre e, in relazione per un impiego all'e­sterno, particolarmente la resistenza agli agenti atmosferici. Ad esempio, in-

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fatti, soltanto il costruttore sprovveduto e di scarsa cultura, non solo tecni­ca, penserà dì applicare a Venezia come rivestimenti esterni pannellature in travertino che, data la struttura non compatta e la porosità che sono tipi­che del materiale, darà dei risultati di durevolezza nel tempo — oltre che di esteticità — quanto mai precari. Il travertino che è un ottimo e bellissi­mo materiale troverà la sua esaltazione a Roma, nell'antica tradizione e nel clima più adatto alla sua corretta applicazione. A Venezia, come l'esperien­za dei secoli insegna, l'unico materiale lapideo correttamente impiegabile per esterni è la pietra d'Istria, che viene intaccata solo superficialmente dal­l'atmosfera e dalla salsedine della laguna patinandosi in colorazioni parti­colari che hanno caratterizzato nei secoli le principali architetture della cit­tà lagunare.

Le altre caratteristiche principali, che sono date dall'insieme dei requi­siti naturali propri del materiale, e che interessano ai fini di un corretto impiego sono le seguenti:

— Peso specifico, che varia da 2.000 a 3.000 kg/m3 (calcestruzzo ar­mato 2.000 2.500 kg/m3) e che è dato dal rapporto tra il peso del mate­riale ridotto in polvere ed il suo volume.

— Durezza. E' la resistenza al logorio dovuto ad azioni esterne (abra­sione). Se ad esempio si dovesse pavimentare un grande magazzino di ven­dita, non si userà mai una breccia, che pure è di notevole effetto estetico da­to il suo colore variegato e la sua grana, in quanto il pavimento costituito da questo materiale si sfalderebbe entro breve tempo. Per un pavimento ri­sulta quindi fondamentale considerare la durezza e la compattezza del mate­riale in relazione al proprio uso. Tornando all'esempio precedente, sarà cor­retto impiegare ad esempio un granito per la sicurezza che nel tempo il ma­teriale si conserverà perfetto; l'unico limite nell'applicazione di un tale tipo di pavimentazione è dato soprattutto dal costo e particolarmente in rela­zione ad altri materiali di normale impiego.

— Tenacità. E' la resistenza agli urti e costituisce un requisito molto importante per una pietra; è il contrario della fragilità.

— Gelività. E' la resistenza della pietra agli agenti atmosferici. La pie­tra se adoperata per esterni deve essere a struttura compatta e non presen­tare fori per non essere intaccata dal gelo; si è già accennato infatti che non sarebbe corretto applicare come rivestimento elementi di materiale gelivo in climi particolarmente umidi e freddi, come a Venezia. Una pietra di que­sto tipo non è consigliabile anche usarla come pavimento; il travertino ad esempio è una pietra porosa, la cui superficie è costituita da una serie di fo­ri che assorbono l'acqua e la polvere. Pietre di questo tipo trovano invece larghissimo e corretto impiego nei climi più caldi dove in pratica questo pe­ricolo non esiste.

— Lavorabilità. E' in diretta relazione con la tenacità e varia con i ma­teriali, e per ciascun materiale a seconda del verso. La lucidabilità è un'atti­tudine caratteristica di lasciarsi ridurre a superficie perfettamente levigata,

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attraverso successive operazioni. Di solito i materiali più Riciclabili sono i cal­cari cristallini, mentre i materiali più duri, come il granito, si lucidano con notevole difficoltà e costo elevato, ma una volta acquistata la lucidità la con­servano a lungo.

Per quanto riguarda le caratteristiche meccaniche è da dire che le pie­tre presentano elevata resistenza a compressione e scarsissima resistenza a flessione. Le pietre dei gruppi A e C presentano un a compressione che varia da 1.500 a 2.000 kg/cm2,per quelle del gruppo B il varia da 500 a 800 kg/cm2.

La resistenza a flessione è trascurabile al punto che viene considerata in pratica nulla. Per i gruppi A e C =100 kg/cm2 ; per il gruppo B = = 50 kg/cm2. Si veda in proposito la tabella allegata.

Tabella comparativa di resistenza alle sollecitazioni per taluni tipi di pietre naturali.

Il coefficiente di sicurezza prima definito varia per i materiali lapidei, e a seconda del materiale, da 10 a 15.

Per l'elevata resistenza a compressione le pietre e i materiali lapidei so­no stati usati fin dall'antichità per murature, pilastri, colonne: cioè in strut­tura sollecitate a sforzi normali o di compressione.

Per quanto si riferisce all'impiego odierno dei materiali lapidei - ab-

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bandonato naturalmente il concetto dell'uso degli stessi come elementi di struttura — le principali applicazioni sono le seguenti:

Rivestimenti esterni. Il materiale lapideo è impiegato in lastre di spes­sore variabile come rivestimento di una sottostante struttura generalmente laterizia — o di tamponamento tra gli elementi di una struttura a gabbia — oppure come elemento di rivestimento in lastre di minimo spessore posto al di sopra di un supporto autoportante per pannellature prefabbricate. Nel primo caso le lastre di marmo o pietra, di tipo e di spessore adeguato (con un minimo di cm 3), saranno fissate alla sottostante muratura a mezzo di apposite zancature, mentre tra la lastra e la muratura sarà interposto un let­to di malta, Fig. 4.1.

Fig. 4.1 - Sistemi di attacco di lastre usate come rivestimenti esterni di facciate.

Le zancature possono essere di diverso tipo, ma sempre di materiale non attaccabile alla corrosione, come ferro zincato, rame od ottone. Nel caso invece dell'impiego del materiale lapideo come elemento di rivesti­mento superficiale esterno dì un pannello prefabbricato, la lastra dovrà es­sere di minimo spessore (7 mm) che aderisce a mezzo di collanti speciali ad un supporto autoportante, che in alcuni casi può essere di fibre di legno legato da cemento magnesiaco (Eraclit), Fig. 4.2.

I vari pannelli dimensionati in funzione della modulazione prescelta, potranno essere tra loro collegati verticalmente a mezzo di profilati metal­lici, generalmente di alluminio.

Rivestimenti intemi. Di solito limitati ad elementi di non grande di­mensione, per cui valgono le prescrizioni di applicazione di cui si è accen­nato al punto precedente. Naturalmente, a seconda delle estensioni del ri­vestimento, le zancature avranno dimensioni più limitate, le lastre potran­no avere spessore minore ed il materiale impiegato avrà caratteristiche fisi-

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Fig. 4.2 — Pannelli prefabbricati di tamponamento con faccia esterna in materiale lapideo di minimo spessore.

che e meccaniche diverse da quello invece utilizzato per i rivestimenti ester­ni soggetti agli agenti atmosferici.

Pavimentazioni. E' certamente il campo di più largo impiego del mate­riale lapideo, la cui scelta è direttamente in funzione dell'ambiente nel quale verrà posto, delle caratteristiche estetiche del materiale, della sua re­sistenza e lucidabilità e del suo costo. E' di solito posto in lastre, su un sot­tostante massetto di sottofondo in calcestruzzo di cemento, posato con il piano lavorato a filo di sega e poi levigato e lucidato in opera con apposite macchine.

Può anche essere utilizzato in frammenti di varie dimensioni, tra loro connessi con un legante e si ottiene così il "pavimento alla palladiana", op­pure sbrecciato in piccole dimensioni ed annegato in un pastone di polve­re di mattone, calce, pozzolana e polvere di marmo e si ottiene il "terrazzo alla veneziana".

Scale, che possono essere del tipo a sbalzo, costruite a massello, cioè con gradini e pianerottoli in struttura massiccia lapidea. Di solito oggi le scale hanno struttura in calcestruzzo armato ed il materiale lapideo è esclu­sivamente usato come rivestimento in lastre di spessore costante (cm 3), op­pure di spessore variabile, da cm 3 per le pedate, i pianerottoli ed i ripia­ni, e da cm 2 per le alzate, e fissate con malta bastarda alla sottostante strut­tura, Fig. 4.3.

Nell'edilizia civile numerosissimi altri utilizzi trova il marmo o la pie­tra che vediamo impiegati nei davanzali, negli stipiti e nei contorni delle porte, nelle mensole e in svariati altri elementi che costituiscono le opere di finitura di un edificio.

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Fig. 4.3 - Gradini.

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Bibliografia

A. CONSIGLIO, Il marmo, Pisa, 1949. M. PIERI, Marmi d'Italia, Milano, 1952. F. RODOLICO, Le pietre delle città d'Italia, Firenze, 1953. M. PIERI,Marmologia, Milano, 1966.

e le riviste specifiche:

- Marmi, Graniti, Pietre - Marmo, Tecnica, Architettura - Pietre.

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CAPITOLO QUINTO

CERAMICI - LATERIZI

Si definiscono come "ceramici" tutti quei prodotti inorganici e non me­tallici che per la loro fabbricazione necessitano di elevate temperature; in questo capitolo si tratteranno i prodotti ceramici più tradizionali, ricavati da materiali argillosi, innanzitutto i laterizi e poi le maioliche, le terraglie, il gres e le porcellane.

I materiali ceramici (da kéramos = argilla in greco) sono tra i prodotti più antichi della civiltà umana: già 6000 anni a.C. si trovano mattoni o pia­strelle cotte ed anche smaltate in Egitto ed in Mesopotamia e India.

Le argille sono rocce molto diffuse nella crosta terrestre: sono il risul­tato di profonde trasformazioni, sviluppatesi attraverso varie ere geologi­che, di rocce primarie come graniti, basalti e miche sotto l'azione dell'acqua, della pressione e della temperatura; pur nella loro varietà sono sempre ri­conducibili a dei silicati di alluminio, ad una associazione di silice ed allu­mina in diverse proporzioni (illiti, caoliniti, montmorilloniti) con presenza di ossidi di ferro e calcari, i quali ultimi peraltro non devono superare il 10% del totale.

I prodotti ceramici vengono classificati come segue:

II processo di formazione dei laterizi avviene in sei successive fasi: 1) estrazione del materiale da cave a cielo aperto, in superficie, previa

asportazione del cappellaccio vegetale, ed è eseguita generalmente in autun­no.

2) ibernazione (spurgo): si lasciano esposte le argille alle intemperie

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in grandi cumuli, all'aperto, ove per opera del gelo e del disgelo, si degrada­no le argille liberando le sostanze estranee. Questa operazione permette che il materiale si riduca in grani di dimensioni molto piccole. Può anche essere eseguita un'operazione meccanica (estivazione), nella quale le argille vengo­no sminuzzate, raffinate, mescolate ed impastate e se necessario con una decantazione che avviene in una serie di vasche con fondo perforato a gri­glia; in tale caso le operazioni 2 e 3 vengono a coincidere in un unico pro­cedimento meccanico.

3) Mescolazione: la pasta viene finemente impastata con particolari macchine ad elica e viene eventualmente corretta la composizione aggiun­gendo quei materiali che mancano o che non sono in esatta percentuale per una perfetta composizione della miscela.

4) Impasto e modellazione: i singoli elementi di argilla vengono mo­dellati a mano, procedimento ormai in disuso, oppure a macchina per pres­satura; gli elementi per solaio vengono trafilati e tagliati con un filo d'ac­ciaio per ottenere elementi di lunghezza desiderata, cosi come gran parte degli altri elementi forati.

5) Essicazione: una volta modellati, i pezzi vengono essiccati e tale operazione può essere naturale, sotto delle tettoie dove vengono asciugati dall'azione dell'aria, oppure artificialmente nella quale i singoli pezzi ven­gono immessi in opportune camere ad aria calda, con eventuale ricupero del calore di cottura.

6) Cottura: avviene normalmente intorno a 950-1000°C con ciclo di alcune ore, che negli impianti più moderni si tendono sempre a ridurre (8-4 ore): un tempo erano generalmente usati i forni a fuoco mobile tipo Hoffmann a camere comunicanti e recupero di calore, oggi è invece più dif­fuso l'uso di forni a tunnel.

A seconda del grado di cottura i mattoni laterizi vengono classificati in: aitasi, poco cotti di colore giallo chiaro, molto porosi e con scarsa re­sistenza; mezzani, a cottura normale; forti, ottenuti a temperature più ele­vate e con caratteristiche fisico-meccaniche migliori dei precedenti; ferrio­li, troppo cotti, in parte vetrificati, di colore più scuro, con scarso appi­glio per le malte.

Oltre alle terrecotte, derivate dalle stesse materie prime dei laterizi, ma per usi non strettamente edilizi (vasi, recipienti, decorazioni), da ma­terie prime più pure e con minore contenuto di ossido di ferro si ottengo­no le faenze, normalmente rivestite con vetrine trasparenti o con ingobbio, che, se rivestite invece con smalti e decori (composti di piombo, boro, zir­conio, titanio, manganese, ferro, cadmio, cromo, ecc.), prendono il nome di maioliche.

Con l'aggiunta di caolini e fondenti (feldspati ed eventualmente talco) si ottengono, con cottura a 1000-1500°C le terraglie tenere, e a 1200-1250°C le terraglie forti: le terraglie vengono ricoperte in seconda cottura

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fino a 1100-1150°C con smalti opachi. Partendo da argille plastiche di tipo caolinitico o illitico con fondenti,

cotte a 1200-1300°C, si ottiene il gres, con struttura molto più compatta e grande resistenza chimica.

La porcellana rappresenta il prodotto più nobile dell'industria cerami­ca: le materie prime sono caolino, quarzo, come smagrante, e feldspato co­me fondente: quanto maggiore è la percentuale di caolino e inferiore quel­la del feldspato, maggiore è la durezza della porcellana e più alta la tempe­ratura di cottura, tra 1400 e 1450°C, con invece maggiore percentuale di fondenti si hanno le porcellane tenere, che cuociono a 1300°C ed hanno caratteristiche meccaniche inferiori.

Nella gamma dei prodotti ceramici sono compresi anche i vari tipi di refrattari, con uso peraltro soprattutto negli impianti e nell'industria.

Nel campo dell'edilizia i principali prodotti sono:

Laterizi: - Mattoni pieni (UNI 5626/65) da cm 5,5x12x25 del peso di 2,8

kg ciascuno; persistono ancora in produzione mattoni con formati tradizio­nali locali, come il veneto 6x 13x26.

- Mattoni semipieni (UNI 5629/65): trasversalmente allo spessore prevedono dei fori di diametro inferiore a 15 mm distanti fra loro almeno 7 mm, peso circa 2,4 kg ciascuno. Vengono anche prodotti in dimensioni di cm 12x12x25 denominati "bimattoni".

— Mattoni forati (UNI 1607) generalmente hanno 2-3 oppure 4-5 fori longitudinali e superficie esterna rigata.

— Blocchi forati (UNI 5630/65) si fabbricano in forme e dimensioni diverse con incastri verticali o orizzontali per facilitare la posa in opera e li­mitare l'impiego di malte.

Secondo le norme UNI 5632/65 questi prodotti devono avere forma regolare, essere esenti da screpolature, fessure e cavità irregolari, presentare a frattura massa omogenea e compatta, dare a un colpo di martello suono chiaro di timbro metallico.

I mattoni da paramento, cioè per murature a vista devono anche dare sufficiente uniformità di colore.

II carico medio unitario di rottura a compressione deve essere superio­re ai valori per ciascun tipo indicati nella tabella 5.1.

Per i laterizi dichiarati non gelivi i mattoni divisi a metà vengono im­mersi in acqua a + 35°C per 1 ora indi posti in frigorifero a — 10°C per 3 ore e il cicli viene ripetuto 20 volte. Alla fine della prova i provini non de­vono presentare screpolature, sfaldature o tracce di lesioni e alla prova di compressione devono dare un risultato non inferiore all'80% di quello ri­cavabile sullo stesso campione prima della prova.

Il saggio di imbibizione consiste nell'essiccare in stufa i campioni sino

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Tabella 5.1

a costanza di peso e successivamente immergerli in acqua per 2 h. Dopo aver asciugato i campioni con carta bibula si ripesano. La quantità d'acqua assor­bita deve essere compresa tra l'8 ed il 28% del peso del campione all'inizio.

— Tavelloni, generalmente impiegati in strutture orizzontali portanti; il loro spessore varia da 6 a 8 cm, e la loro lunghezza da un minimo di 40 ad un massimo di 120 cm. Sono autoportanti e trovano il loro impiego per co­prire luci molto modeste, con sovraccarichi non elevati.

— Tegole curve o coppi, di forma tronco conica usati come manti di copertura. Le dimensioni unificate sono: lunghezza cm 45, larghezza mas­sima e minima cm 18 e cm 14, spessore minimo 12 mm. Il profilo della te­gola è ad arco di parabola. Per ogni metro quadrato ne occorrono 33, il pe­so del manto al metro quadrato è di kg 75 80.

— Tegole romane (embrici canali) di forma trapezia con orli rilevati ad angolo retto lungo i lati non paralleli.

Per ogni m2 occorrono da 9 a 12 coppie (embricate e canale) peso 60 70 kg/m2.

— Tegole piane {marsigliesi). Sono di forma rettangolare e presenta­no nelle due facce opportuni rilievi ed incavi che servono al necessario par­ziale ricoprimento dei pezzi contigui, e ad offrire un agevole scolo alle acque. Le dimensioni unificate sono cm 24x39. Peso di ogni elemento cir­ca 2,5 kg. Un tratto di copertura della lunghezza di 1 m deve comprendere 5 tegole in lunghezza e 3 tegole secondo la inclinazione della falda. Peso al m2 circa 38 kg.

Requisito essenziale per gli elementi usati come manti di copertura è

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l'impermeabilità; la prova si attua sottoponendo un elemento ad un carico di 55 mm di acqua per 24 ore. Una buona tegola, ad imbibizione totale non deve presentare un aumento di peso maggiore del 15%.

Fig. 5.1 - Elementi in laterizio come manti di copertura.

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Piastrelle

Le caratteristiche fisiche e meccaniche, la facilità di pulizia, il basso costo, le infinite possibilità di decorazione, la varietà dei tipi a disposizio­ne giustificano il larghissimo uso nell'architettura delle piastrelle ceramiche, legato anche ai miglioramenti via via apportati al prodotto ed alle tecnolo­gie di produzione.

I principali tipi sono i seguenti: — Piastrelle in maiolica a pasta debolmente colorata e perciò sempre

ricoperte da smalti opachi, sono in genere di dimensioni 15x15 variamente colorate destinate al rivestimento di interni.

— Piastrelle in cottoforte, prodotto tipico italiano fabbricato per lo più in Emilia, sono utilizzate per la pavimentazione di interni, nel formato 20x20 ricoperte con smalti opachi colorati e decorati, hanno buone carat­teristiche meccaniche.

— Piastrelle in cotto non smaltate, di un caldo color rosso servono per pavimentazioni di interni rustici laddove un tempo venivano impiegati i mat­toni.

Formati più frequenti 30x 30, 25 x 25, 20 x 40, 40x 60. — Piastrelle in gres rosso previste anche dalle norme UNI 6506/69,

sono vetrificate, presentano un assorbimento in acqua < 4%. Nel classico formato 7,5x14 vengono utilizzate per pavimentazioni di interni ed ester­ni in abitazioni, industrie, ospedali e in genere zone di intenso passaggio per la loro resistenza chimica e all'abrasione.

— Piastrelle in gres porcellanato, quasi completamente vetrificate con ottime proprietà meccaniche e di resistenza chimica. Nei formati 5x10 e 10x10 servono per pavimentazioni. Possono essere variamente colorate, si producono anche per monocottura e in tal caso risultano smaltate.

— Piastrelle in terraglia dolce. Assieme al successivo è il tipo più dif­fuso nel mondo per rivestimenti di pareti interne. Prodotto a pasta bianca, come fondenti contiene carbonati di calcio e di magnesio. Si può decorare la superficie del biscotto e rivestirla di sola vetrina. Il formato classico è 15x15.

— Piastrelle in terraglia forte. Simili alle precedenti prevedono l'im­piego di feldspati come fondente. Hanno quindi minore porosità e maggio­re resistenza meccanica.

La resistenza meccanica viene di solito interpretata attraverso il cari­co di rottura a flessione di interesse soprattutto per le piastrelle per pavi­mentazione. Esso risulta in genere superiore ai 100 kg/cm2 ma per alcuni tipi di gres può raggiungere i 250-350 kg/cm2.

Laterizi alleggeriti

Allo scopo di migliorare la coibentazione termica e l'isolamento acu-

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stico si ricorre anche a prodotti laterizi nei quali viene esaltata la porosità, anche se a scapito del peso specifico e della resistenza meccanica.

La tecnologia di produzione dei mattoni "leggeri" contempla l'impie­go in miscela (oltre ai prodotti consueti) di prodotti combustibili che libe­rano pertanto gas al momento della cottura e ostacolano il processo di sin­terizzazione. Si ricorre a antracite, segatura di legno, farina di coke e di li­gnite. Si possono usare anche carbonati che liberano anidride carbonica.

Il processo di formatura è del tutto simile a quello già descritto per i mattoni più compatti sol che si ricordi che le deformazioni in cottura di tali prodotti sono molto più sensibili ed è quasi sempre necessaria una ope­razione finale di rifilatura.

Se la formatura avviene per colaggio si possono avere prodotti porosi anche trasformando la sospensione in una schiuma addizionando opportuni agenti emulsionanti e mantenendo l'insieme fortemente agitato per inglo­bare la massima quantità d'aria.

Si fabbricano mattoni isolanti per impianti frigoriferi (fino a -100°C) per temperatura ambiente, per temperature fino a 150°C e oltre. Mattoni refrattari sono considerati quelli che resistono a temperature superiori ai 500-600°C.

La resistenza a compressione di questi ultimi non deve essere inferio­re ai 50 kg/cm2 ma può arrivare fino a 200, la conducibilità termica è me­diamente 0,5-0,7 kcal/m/h/°C.

Nei mattoni porosi la porosità è dell'ordine del 50% e il peso specifico attorno a 1 ma si possono ottenere valori anche molto più bassi come 0,3-0,4g/cm3.

Se la porosità è del tipo aperto occorre impermeabilizzare il manufat­to per impedire la penetrazione di umidità dato che la conducibilità termi­ca dell'acqua è circa 20 volte quella dell'aria. In genere alle alte tempera­ture è preferita la presenza di moltissimi pori piccoli e chiusi non collegati fra loro per diminuire la trasmissione di calore per irraggiamento.

Una interessante e nuova elaborazione del laterizio tradizionale è rap­presentata dal Poroton, owerossia "argilla porizzata", così denominata dall'ing. Sven Fernhof suo ideatore. Questa macroalveolatura, ottenuta in­serendo nell'impasto argilloso — prima della trafilazione — una miriade di sferette del diametro di circa 1,5 mm di una sostanza a bassa temperatura di sublimazione (polistirolo espanso), esalta le doti di benessere abitativo proprie del laterizio tradizionale. Alle caratteristiche di leggerezza (800 kg/m3) questo materiale unisce notevoli capacità isolanti sia dal punto di vista termico che acustico, per cui è possibile ottenere, a parità di isola­mento, murature più leggere e di spessore ridotto rispetto a quelle costrui­te con il laterizio tradizionale.

Allo stesso scopo viene prodotta anche l'argilla espansa, LECA (Light Expanded Clay Aggregate), inerte leggero ottenuto attraverso un procedi­mento di cottura ad alta temperatura (clinkerizzazione) di speciali argille;

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si presenta in forma di granuli rotondeggianti costituiti da una dura scorza esterna e con struttura interna a cellule chiuse e vetrificate: viene usato per la confezione di calcestruzzo leggeri, di blocchi da muro o anche sciolto per strati isolanti e riempimento di intercapedini.

Più attinenti ai ceramici fin qui considerati sono prodotti come la ver-miculite (silico alluminato idrato del tipo della montmorillonite) che per riscaldamento a 800°C aumenta fortemente di volume (fino a 15-20 volte) per la trasformazione in vapore dell'acqua che si trova presente tra i vari pacchetti raggiungendo una densità apparente di 0,1.

Il prodotto usato come materiale di riempimento può essere anche im­pastato e formato col 10% di argilla per ottenere dei blocchi con densità apparente 0,5 e ~ 20 kg/cm2 di resistenza alla compressione.

Simile alla vermiculite è la perlite, roccia vulcanica contenente silice e allumina che rigonfia molto per riscaldamento.

Bibliografia

C. MONDIN,Muri, infìssi, murature, Bologna, 1963. Annuario dell'industria dei laterizi e compendio di tecnica applicativa, Roma, 1965. G. BRIGAUX, Opere in muratura, Bologna, 1966. Rivista mensile "Costruire", dell'A.N.D.I.L.. V. GOTTARDI,I ceramici, Padova, 1977.

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CAPITOLO SESTO

I LEGANTI - LE MALTE

L'impiego dei leganti come materiali cementanti di collegamento di vari elementi delle costruzioni, è di uso antichissimo; le prime tracce di ta­li materiali possono farsi risalire al X secolo a.C, ma il loro uso più vasto e caratteristico si ebbe con gli Etruschi e soprattutto con i Romani che perfe­zionarono il processo di cottura, dello spegnimento delle calci, della me­scolazione degli elementi, e l'impiego delle malte.

Come leganti sono impiegati materiali ottenuti dalla riduzione di cal­cari (carbonato di calcio) che si trovano in natura sotto forma di grossi ciot­toli risultanti dallo sgretolamento in cava a mezzo di esplosivi di grossi bloc­chi di pietra calcarea; il materiale così sminuzzato viene poi passato in ap­positi forni a circa 900° (intermittenti o a fuoco continuo), per la dissocia­zione del carbonato di calcio e l'eliminazione dell'anidride carbonica con­tenuta nel calcare, per ottenere l'ossido di calcio (Ca Co3 CaO + C02 ).

Con il materiale così ottenuto, se mescolato con acqua e sabbia, si co­stituiscono le malte, se mescolato con acqua, sabbia, ghiaia o pietrisco, i calcestruzzi. Le malte ed i calcestruzzi sono miscele plastiche che in un tem­po più o meno breve si solidificano (fenomeno della presa) con il concorso degli agenti atmosferici. Base attiva per questi impasti sono essenzialmente due tipi di elementi: le calci ed i cementi, mentre a fianco di essi, ma con caratteristiche speciali e per usi particolari stanno i gessi.

Pertanto i leganti potranno essere suddivisi in: a) calci aeree b) calci idrauliche e) cementi d) gessi.

a) Calci aeree

Con questo nome vengono indicate quelle calci capaci di dare malte che induriscono soltanto all'aria, mentre in presenza d'acqua non indurisco­no, si spappolano e non fanno presa.

Sono ottenute, come accennato in precedenza, dalla cottura di calcari, dalla quale si produce l'ossido di calcio anidro, calce viva, che ha la caratte­ristica di essere caustico ed avido d'acqua. L'ossido così ottenuto deve esse-

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re idrato per ottenere la calce spenta; tale operazione viene eseguita in va­sche trapezoidali, dette bagnoli, con fondo in mattoni e sponde in legno, e con l'aggiunta di acqua per circa tre volte il peso della calce viva. Dal ba­gnolo, il latte di calce ottenuto con la mescolatura continua per due o tre ore della calce viva con l'acqua, viene scaricato attraverso un'apertura mu­nita di griglia posta sulla base minore della vasca, in fosse dette calcinai, do­ve la pasta si raffredda, dato che nel processo di spegnimento si sviluppa calore, l'acqua evapora e si deposita la vera pasta, o grassello di calce, che si usa per formare le malte.

Nella calcinaia il grassello viene lasciato a lungo in riposo, coprendolo con uno strato di acqua o di sabbia, per impedire che la calce perda le sue proprietà indurendo per assorbimento dell'anidride carbonica dell'aria. In genere si prescrive che per la formazione di murature il grassello debba es­sere stato idratato da non meno di venti giorni, mentre per gli intonaci il periodo richiesto minimo è di due mesi.

La presa della calce spenta, una volta posta in opera, avviene per mez­zo del fenomeno della carbonatazione, ossia la calce assorbendo l'anidride carbonica dell'atmosfera si trasforma indurendo in carbonato di calcio. Per­tanto la calce aerea per la sua proprietà di indurire solo a contatto con l'aria può essere usata soltanto per murature in elevazione.

Questo tipo di calce può essere suddivisa in calce grassa e in calce ma­gra, a seconda della resa in grassello della calce viva (maggiore di 2,5 m3 per tonnellata per le calci grasse), della produzione di calore durante lo spegni­mento e del tempo di presa. Di solito le calci grasse sono preferite per il loro elevato rendimento, anche se non sono esenti da difetti e imperfezioni.

Tra le calci aeree è anche compresa la calce idrata in polvere, cioè calce spenta e macinata e che non richiede idratazione per la formazione del gras­sello. E' polverizzata in fabbrica e posta in commercio in sacchi, pronta per essere usata, presenta una buona adesività ed una resistenza anche superiore alle calci grasse. Deve però essere riparata in locali adatti e ben protetta dal­l'umidità prima dell'impiego.

b) Calci idrauliche

Sono ottenute dalla cottura di calcari contenenti argilla in dosi varia­bili tra il 6% ed il 20% con procedimento analogo a quello per le calci aeree, ma con durata di cottura e con temperature maggiori (fino a 900° 1000°). Hanno caratteristica di fare presa anche se immerse in acqua; le proprietà idrauliche variano in relazione alla diversa composizione chimica dei calca­ri marnosi, alla temperatura ed alla durata della cottura.

La classificazione comune per le calci idrauliche, cioè l'indice di idrau­licità i è dato dal rapporto :

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per cui si potrà distinguere, in relazione a detto rapporto, tra:

calci debolmente idrauliche /=0,10 0,16 calci mediamente idrauliche i = 0,16 0,31 calci idrauliche propriamente dette / = 0,31 0,42 calci eminentemente idrauliche i = 0,42 0,50 [cementi /=0,50 0,58]

Il regolamento distingue le calci idrauliche in: — calce idraulica in zolle, — calce idraulica naturale in polvere, — calce idraulica artificiale, ottenuta con la mescolazione di calcari

e di materie argillose e con la successiva estinzione, stagionatura e macina­zione,

— calce idraulica artificiale pozzolanica, ottenuta per macinazione di pozzolana e calce aerea,

— calce idraulica siderurgica, ottenuta per manicazione di loppe di alto forno granulare e calce aerea.

Per tutte le calci idrauliche la presa deve iniziare dalle due alle sei ore dal principio dell'impasto e deve essere compiuta dalle 8 alle 40 ore dal me­desimo.

c) Cementi

Dei cementi si tratterà diffusamente nei capitoli successivi.

d) Gessi

Si ottengono dalla cottura della pietra da gesso o selenite (solfato di cal­cio biidrato), trasformandosi in gesso cotto anidro che macinato e finemen­te polverizzato dà un prodotto cementante a rapida presa e di tipo aereo. Il gesso non trova in pratica applicazione nelle strutture murarie, particolar­mente esterne, in quanto assorbe moltissimo l'umidità aumentando di con­seguenza il suo volume. Presenta invece buone qualità di resistenza, è legge­ro, non dà ritiro, ed ha buone qualità di isolamento termico ed acustico e si presta facilmente ad essere tinteggiato.

Trova pertanto largo impiego, oltre che come elemento decorativo per la sua facilità di modellazione, per le opere di finitura interna delle costru­zioni civili, particolarmente negli intonaci.

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Le malte

Sono impasti, costituiti da legante, sabbia ed acqua, che hanno la pro­prietà di indurire, solidificandosi, e di aderire ai materiali da costruzione, sia nel caso che siano impiegati per l'unione tra gli elementi costituenti la struttura (muratura di mattoni), sia per ricoprire i muri stessi come super-fici di rivestimento (intonaci), sia come supporto a rivestimenti o pavimen­ti di materiale vario.

Gli elementi costitutivi delle malte, come già visto sono i seguenti: — legante. Il compito del legante è di consolidare gli elementi della

sabbia con i quali deve essere impastato e la sua dosatura deve essere in re­lazione all'impiego ed agli interstizi compresi tra i granelli. Lo stesso di­casi per il tipo di legante impiegato; così se si impiegheranno calci aeree, si otterranno malte aeree, ed analogamente per le malte idrauliche. Pos­sono essere anche usate malte esclusivamente di cemento, oppure le mal­te bastarde, costituite cioè con cemento e calce aerea. Questo tipo di mal­ta, poiché indurisce in poco tempo, aumenta la coesione degli elementi in laterizio ed ha notevoli proprietà idrauliche, è particolarmente impiegata per murature sottili, come ad esempio per le tramezzature divisorie all'in­terno degli edifici civili.

— acqua. Deve essere limpida e pura, ed a temperatura normale perché se troppo fredda ritarda il fenomeno della presa, se troppo calda l'accelera. E' molto importante l'esatto dosaggio della quantità d'acqua; infatti una quantità eccessiva provoca una evaporazione che lascia dei vuo­ti all'interno della pasta, mentre una quantità scarsa provoca una difficol­tosa idratazione e parte del materiale cementante rimane inerte.

— sabbia. E' di solito costituita da detriti originati dalla disgregazio­ne di rocce naturali; deve essere accuratamente lavata e non deve conte­nere alcuna particella terrosa o di materia organica. Per questo sono prefe­ribili le sabbie di fiume. Dal punto di vista della granulometria la sabbia deve essere scelta a seconda dell'uso a cui è destinata la malta; per muri di pietrame dovrà passare attraverso ad un vaglio a maglie circolari del diame­tro di 3 mm; per muri di mattoni attraverso un vaglio da 1 mm; per into­naci attraverso un vaglio da 0,5 mm di maglia.

In relazione al quantitativo di legante impiegato nell'impasto le malte possono essere classificate in:

— malte magre, quando il quantitativo di legante non è sufficiente a riempire i vuoti tra i granuli della sabbia.

— malte grasse, quando il quantitativo di legante è sufficiente a riempire i vuoti di cui sopra.

— malte ricche, quando il quantitativo di legante è superiore a quel­lo sufficiente.

— malte molto ricche, quando il quantitativo di legante è notevol­mente superiore a quello sufficiente.

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Di solito il dosaggio delle malte è il seguente:

A) di calce aerea Si ha un m3 di calce spenta (grassello) con 500-600 kg di calce viva e

m3 1,60 circa d'acqua. Ogni m3 di sabbia occorrono: — per murature: grassello m3 0,33 (1/3 di m3) o kg 125 e. idrata e

cioè un rapporto 1:3 (per volume di grassello ve ne sono 3 di sabbia); — per intonaci: grassello m3 0,50 (1/2 di m3) o kg e. idrata e cioè

un rapporto 1:2 (per volume di grassello ve ne sono 2 di sabbia).

B) di calce idraulica Ogni m3 di sabbia occorrono: — per murature: kg 350-400 di calce idraulica; — per intonaci: da kg 400 (rustici) a kg 500 (civili) di calce idraulica.

C) Bastarde Ogni m3 di sabbia occorrono: — per murature: calce dolce m3 0,10 + calce idraulica kg 250 oppu­

re + cemento kg 175; — per intonaci: calce dolce m3 0,20 + calce idraulica kg 350 oppure

+ cemento kg 300.

D) Pozzolaniche (La pozzolana dà una malta eminentemente idraulica che può essere

formata con un volume di grassello, un volume di pozzolana e un volume di sabbia).

Ogni m3 di pozzolana occorrono: — per murature: grassello m3 0,33 (o kg 100-125 calce idrata); — per intonaci: grassello m3 0,40 (o kg 125-150 calce idrata).

E) di Cemento (Tipo 325) Ogni m3 di sabbia occorrono: — per murature: cemento kg 400 — per intonaci: cemento kg 500.

Additivi per malte e calcestruzzi

Ai componenti classici della malta e dei calcestruzzi, vengono aggiunti in taluni casi dei prodotti di diversa natura allo scopo di conferire agli impa­sti particolari requisiti per impieghi specializzati:

I principali sono: — fluidificanti-plastificanti, che oltre a migliorare plasticità, adesività e

lavorabilità possono anche aumentare le resistenze meccaniche a media o lun­ga stagionatura;

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— impermeabilizzanti, sono sostanze idrofughe che ovviando alla scar­sa compattezza migliorano la loro impermeabilità. Possono però rallentare la presa e l'indurimento;

— antigelo, sono prodotti che accelerano il processo di idratazione del legante e abbassano il punto di congelamento dell'acqua, permettendo getti fino a -15°C ;

— acceleranti e ritardanti dei tempi di presa, si possono ottenere acce­lerazioni modeste o molto rapide nella presa o si possono ottenere ritardi nei tempi di presa del legante; sono in genere uniti ai fluidificanti;

— espandenti, servono a confezionare malte senza ritiro o con ritiro controllato introducendo nella miscela una moderata espansione; servono per ancoraggi;

— alleggerenti, servono a confezionare malte con buon isolamento ter­mico;

— incrementatori di presa, polimeri emulsionanti danno incrementi an­che notevoli della resistenza a compressione (fino a 4 volte), della resistenza a trazione (fino a 3 volte) e della resistenza a taglio;

— disarmanti: da usare per ottenere buoni getti a faccia vista.

Malte pronte o premiscelate

Si trovano in commercio delle malte pronte all'uso in forma di miscela secca, per lo più per esecuzione di intonachi.

I componenti opportunamente miscelati per specifici impieghi sono contenuti solitamente in sacchi di carta impermeabilizzata.

La confezione delle malte può essere ottenuta facilmente seguendo le istruzioni del fornitore. Le malte pronte offrono il vantaggio di una compo­sizione controllata e costante eliminando cosi le incertezze della scelta dei materiali e della loro miscelazione.

Le "Raccomandazioni per la progettazione ed il calcolo delle costruzioni a muratura por­tante in laterizio" prevedono le seguenti classi di malta:

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CAPITOLO SETTIMO

LE MURATURE

Definizioni

Chiamasi "muratura" una struttura in elevazione, non omogenea poi­ché costituita da più elementi artificiali o naturali (laterizi, pietre, ecc.) la­vorati o no, uniti tra loro con legante o altro sistema.

Tale struttura può essere considerata: geometricamente come bidi­mensionale, essendo le dimensioni di larghezza e di altezza notevolmente prevalenti sullo spessore, staticamente come soggetta, per lo più, a carichi verticali e/o spinte laterali derivanti dall'azione di strutture particolari in­terne all'edificio o da azioni esterne quali ad esempio il vento o, per i muri di sostegno, la spinta del terreno.

Materiali impiegati nelle murature

Attualmente si tende a chiamare "muratura" solo quella struttura rea­lizzata, come si è detto, con laterizi o pietre legati con malta. Anticamen­te per strutture analoghe venivano usati anche altri materiali; lo stesso di­casi per alcune particolari costruzioni.

— Strutture in legno: sono ancora realizzate con tronchi lavorati o semilavorati, uniti ad incastro e disposti in modo da costituire sia le pare­ti che le coperture in costruzioni quali baite, fienili, ecc..

Negli Stati Uniti, nel corso del XIX secolo, fu adottato un sistema, chiamato balloon-frame, basato sull'impiego di elementi di legno modula­ri e per così dire "prefabbricati", assemblati con l'ausilio di metalleria e incastri.

Un altro sistema strutturale di tipo misto, è costituito da un telaio ad elementi lignei verticali, orizzontali ed obliqui di controventamento: gli spazi vuoti sono riempiti da materiale incoerente (pietrisco, terra, fram­menti ceramici) ben costipato. Questo tipo strutturale è usuale anche nei "cottages" inglesi e nelle costruzioni eseguite in montagna.

— Strutture in pietra: si possono avere murature realizzate sia con pietra allo stato naturale (per es. ciottoli, pietrame) sia lavorata. La posa

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in opera può avvenire sia a secco, cioè posando gli elementi maggiori ben ravvicinati e riempiendo i vuoti con piccole pietre, sia con l'ausilio di malta.

Una tecnica ora poco usata è quella "a sacco": tra due paramenti ac­curatamente realizzati, viene gettato un riempimento di materiale incoe­rente.

— Strutture miste: per lo più sono realizzate alternando strati in pie­tra, sia concia (ovvero tagliata in forma regolare) sia in ciottoli o pietrame disposto a volte a spina di pesce, e strati in laterizi (Fig. 7.1).

A = Muratura mista listata di mattoni e pietrame

B - Muratura di pietrame con conci d'angoio squadrati

C = Muratura di pietra a conci squa­drati

D = Muratura di pietra a strati alter­nati di conci squadrati

E = Muratura di pietrame irregolare

Fig. 7.1

Nomenclatura delle murature

Le murature si possono suddividere in più classi a seconda che se ne consideri la funzione strutturale, le caratteristiche fisico-tecniche o quelle estetiche.

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Murature con funzione strutturale

— Muratura portante. La muratura portante è l'elemento strutturale, sia interno che esterno di una costruzione, atto ad assorbire i carichi verti­cali provenienti dai solidi murari soprastanti, dagli elementi di solaio o dai carichi accidentali e d'esercizio, assicurando così la stabilità dell'edificio.

Generalmente una muratura portante laterizia è composta di elementi pieni o forati ma con rapporto di foratura non troppo elevato.

Si considerano come pieni gli elementi forati aventi percentuale di fo­ratura inferiore o uguale al 15%; come semipieni se la percentuale dì fora­tura è compresa tra il 15% e il 55%; i laterizi sono chiamati forati leggeri qualora la percentuale di foratura sia superiore al 55%. Nel caso che i mat­toni o i blocchi (semipieni oppure leggeri) siano messi in opera con la fo­ratura in verticale, vengono denominati "mattoni o blocchi perforati"; nel caso che la foratura si presenti in orizzontale vengono chiamati "mattoni o blocchi cavi". Ovviamente nel secondo caso diminuisce la caratteristica meccanica.

Lo spessore del solido murario sarà in relazione con i carichi a cui è assoggettato, essendo esso, in questa tecnica muraria, direttamente propor­zionale alla resistenza a compressione; tale spessore non dovrebbe comun­que mai essere inferiore a 25 centimetri o a due teste.

Nel caso di edifici di notevole altezza, diminuendo il carico con l'au­mentare dell'altezza, i muri portanti possono venire eseguiti "a risega" di­minuendone cioè lo spessore all'aumentare dell'altezza (la diminuzione in genere è di una testa). Di tali variazioni si dovrà ovviamente tener conto nel calcolo statico.

E' bene distinguere, nel progetto, le murature portanti interne, da quel­le esterne perimetrali: quelle interne infatti devono resistere quasi esclusi­vamente alle sollecitazioni di carico, mentre per quelle esterne è necessario tener conto della resistenza alle intemperie (esplicantesi anche in carichi accidentali: pioggia, vento, neve, ecc.) e alla coibenza termica.

Con studi recenti per il problema statico e quello di coibentazione si è cercata una soluzione comune. Per lo più si tratta della adozione di "bloc­chi" a fori orizzontali o verticali formanti camere d'aria, disposte trasver­salmente al flusso termico.

Una seconda soluzione è presentata dalle murature ad intercapedine. Que­ste in genere sono formate da due pareti con funzioni portanti,oda una con fun­zione portante e la seconda di rifodera secondo gli esempi riportati (Fig.7.2,7.3).

E' da ricordare, nel caso di adozione di pareti portanti ad intercapedi­ne, l'importanza del collegamento accennato tra l'elemento portato e quel­lo portante e la centratura del carico.

Una variante tecnica è rappresentata dalle murature armate. Esse, mol­to usate in zone sismiche, migliorano la collaborazione tra strutture verticali e orizzontali (cordoli, travi, ecc.). La loro costruzione è realizzata con bloc-

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Fig. 7.3 — Murature con rifodera.

chi conformati e disposti in modo da permettere il passaggio dell'armatura verticale. Usando mattoni pieni tradizionali è ugualmente possibile realiz­zare una muratura armata, costruendo due pareti parallele in laterizio, col­legate tra loro con zanche o grappe ecc.; l'intercapedine viene occupata dal­l'armatura metallica e dal calcestruzzo.

- Murature non portanti. Le murature non portanti non hanno fun­zione strutturale statica pur dovendo sopportare il carico proprio. A secon­da che si trovino nel perimetro dell'edificio o all'interno di questo prendono il nome di muri di tamponamento o di tramezzatura.

Fig. 7.2 — Muratura ad intercapedine.

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a) Muri di tamponamento: costituiscono i muri d'ambito dell'edificio. Hanno applicazione soprattutto in presenza di struttura portante a telaio (in c.a. o acciaio). Anche se in questo caso alla muratura non è affidata fun­zione strutturale di sostegno, essa deve, oltre ad essere autoportante, pre­sentare requisiti di coibenza sia termica che acustica. Il tamponamento è generalmente realizzato ad intercapedine; lo spessore medio risulta esse­re attorno ai 40 cm (Fig. 7.4).

Fig. 7.4 - Muratura di tamponamento.

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b) Tramezze: suddividono gli spazi interni di un edificio. Data la loro particolare funzione si cerca di realizzare pareti leggere e di spessore conte­nuto (8-14 cm) ma con laterizi aventi alte percentuali di foratura per otte­nere un leggero isolamento acustico tra un ambiente e l'altro. Per le pareti di divisione tra un alloggio ed un altro o delimitanti i servizi (bagni, cu­cine, ecc.) o ambienti per i quali è richiesta un'alta insonorizzazione, si pos­sono adottare pareti di maggiore spessore, ad intercapedine, ecc..

Caratteristiche fisico-tecniche delle murature

Le murature quasi sempre devono anche soddisfare particolari esigen­ze quali quelle di isolamento termico, acustico, e dall'umidità. Possono es­sere realizzate sia con la tecnica ad intercapedine sia usufruendo di parti­colari rivestimenti.

Le prime sono costituite da una parete portante esterna, una non por­tante interna di spessore minore chiamata di "rifodera"; tra le due pareti si lascia un'intercapedine di 4 6 centimetri nella quale eventualmente si può inserire del materiale coibente. Un effetto analogo si ottiene rivesten­do la muratura stessa (senza intercapedine) all'esterno o all'interno con pannelli o intonaci realizzati con particolari materiali aventi proprietà coi­benti, come verrà più ampiamente spiegato in seguito.

Caratteristiche estetiche delle murature

Sia dei muri portanti sia di quelli di tamponamento si vuole eviden­ziare a volte l'aspetto estetico; ciò può essere ottenuto utilizzando spe­ciali composizioni delle malte per intonaco (ad esempio con polvere o gra­niglia di marmi, pietre colorate, quarzi, frammenti di laterizio...) rivesti­menti ceramici o in lastre di pietra o marmi, infine usando particolare at­tenzione nella tessitura della parete esterna. Il paramento, cioè, può essere realizzato a faccia a vista usando cioè speciali laterizi o lasciando in vista la struttura stessa. Il materiale usato a questo scopo deve essere però di ottima produzione; privo di efflorescenza e di inclusioni calcaree (calci­nelli) e non gelivo; particolare cura va data ai giunti in malta, anche colo­rata, che possono essere a raso muro o fugati con appositi ferri.

Si esemplificano alcune tecniche di realizzo (Fig. 7.5):

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Nomenclatura delle parti costitutive le murature laterizie

Attualmente il tipo di muratura più frequentemente usato è realizzato in laterizi. Per gli altri tipi su menzio­nati e le relative tecniche di esecuzio­ne si rimanda a testi specifici.

Si chiamano "corsi o filari" gli strati orizzontali successivi secondo i quali vengono posati i singoli mattoni. Si chiamano "giunti", gli spessori di malta interposti tra i mattoni di ogni singolo filare, come pure lo strato (let­to di posa) steso tra un filare e quello soprastante (Fig. 7.6).

Modalità di costruzione

Una muratura laterizia si ottiene sovrapponendo ed accostando i matto­ni abbondantemente bagnati prima del­la posa in opera, per evitare che assor-bano l'acqua contenuta nell'impasto del legante. I mattoni si pongono in opera in corsi piani perfettamente orizzonta­li, ben adagiati su letto di malta dello spessore di 1 cm. Tra un mattone e l'al­tro si pone ugualmente un giunto di malta non eccedente il centimetro. Par­ticolare cura deve essere rivolta allo sfalsamento dei giunti verticali tra i corsi sovrapposti al fine di realizzare uno stretto collegamento tra i singoli filari.

A seconda della disposizione dei mattoni si ha la seguente classificazione delle murature:

a) murature "in foglio"; i matto­ni vengono disposti "di coltello", cioè sul­la costa del lato di dimensioni maggiori.

Questa tecnica è usata per la costru­zione di muri divisori (tramezze) non por-

COLLEGAMENTO CON LATERIZI DI PUNTA E DI COSTA

Fig. 7.5

COLLEGAMENTO CON LATERIZI - DI PUNTA - DI TESTA O DI CHIAVE

COLLEGAMENTO CON - BLOCCHI -

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Fig. 7.7 - Muratura in foglio.

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tanti. Lo spessore del muro risulta uguale a quello del mattone impiegato

(Fig. 7.7). b) Murature "a una testa", (o "in spessore"): i mattoni vengono po­

sati sul piatto e orientati secondo la lunghezza del muro. Questa tecnica è atta alla costruzione di muri di tamponamento e di muri portanti a inter­capedine in strutture di peso contenuto.

Lo spessore del muro risulta uguale a quello del mattone impiegato (Fig. 7.8).

Fig. 7.8 - Murature a una testa.

c) Murature "a due teste" i mattoni vengono posati sul piatto e orien­tati o secondo la lunghezza del muro o perpendicolarmente ad esso. Si esem­plificano qui di seguito le disposizioni più usuali: (Fig. 7.9, 7.10, 7.11).

Questa tecnica è atta anche alla costruzione dei muri portanti, in edi­fici di dimensioni non eccessive.

Lo spessore del muro risulta uguale alla misura della lunghezza del mattone (a due teste).

d) Murature a "tre o più teste". Tre mattoni vengono posati sul piatto, orientati secondo o perpendicolarmente alla lunghezza del muro. Si esem­plificano qui di seguito le disposizioni più usuali: (Fig. 7.12, 7.13).

Dagli esempi presentati risulta evidente che questa tecnica è atta alla costruzione di muri portanti ai quali, per motivi statici si desidera conferi­re notevoli spessori.

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DISPOSIZIONE IN - CHIAVE DI PUNTA -

DISPOSIZIONE FIAMMINGA

Fig. 7.9 - Muratura a due teste.

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DISPOSIZIONE GOTICA

DISPOSIZIONE FIAMMINGA

Fig. 7.10 - Muratura a due teste.

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DISPOSIZIONE A BLOCCO

DISPOSIZIONE A CROCE

Fig. 7.11 - Muratura a due teste.

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Fig. 7.12 - Muratura a tre teste.

Fig. 7.13 — Muratura a quattro teste.

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Prove per la determinazione della resistenza e del carico ammissibile

Data la natura costruttiva e strutturale delle murature portanti, è ne­cessario determinare esattamente la loro resistenza a compressione.

Per la prova si utilizzano dei provini, aventi le stesse caratteristiche della muratura considerata, formati da almeno tre corsi di laterizi con lar­ghezza, non minore a due lunghezze dell'elemento usato e rapporto tra al­tezza e spessore, (h/t), compreso tra 2,4 e 5. Il provino, posato su un letto di malta, dovrà essere da questa anche ricoperto; oppure può essere posto tra due piastre metalliche. Dopo 28 giorni di stagionatura a 20°C e umidi­tà relativa del 70%, il provino con le superfici accuratamente livellate, vie­ne posto tra i due piatti, di cui uno articolato, della macchina di prova. Il carico di compressione viene centrato ed applicato alla velocità di circa 0,5 MPa (1 megaPascal = 10 kg/cm2 ) ogni 20 secondi.

Particolare attenzione va rivolta ai provini costituiti da muratura in blocchi a fori verticali con rapporto di foratura maggiore del 45%.

La prova si effettua su almeno sei provini. Si ottiene così la resistenza caratteristica a compressione fk = - ks

dove: / = resistenza media

s = stima dello scarto

k = coefficiente dato dalla tabella sotto indicata, a seconda del nume­ro n dei provini.

Tabella 1 - Determinazione del coefficiente k.

La resistenza caratteristica deve inoltre essere verificata per i singoli materiali usati:

- malta: almeno n. 3 provini prismatici da 40x40x160 mm; si sot­topongono prima a flessione fino a rottura, e quindi le metà risultanti a compressione (metodo RILEM);

— laterizi: almeno 10 elementi; si sottopongono a compressione con carico ortogonale al letto di posa, dopo rettifica delle facce. Questa prova può essere evitata per materiali "qualificati", cioè con fabbricazione con­trollata tramite verifiche effettuate in stabilimento.

Il valore della resistenza caratteristica fk per murature di laterizi con percentuale di forature < 45%, si può dedurre dalla resistenza caratteristica

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fbk a compressione del laterizio e della qualità della malta impiegata vedi Tabella 2; per la composizione delle malte unificate vedere la Tabella alla fine del Capitolo 6.

Tabella 2

Per valori intermedi si usa la interpolazione.

Qualora la verifica di stabilità richieda fk 8 MPa (= 80 kg/cm2 ) è obbligatorio eseguire prove di controllo di qualità durante la costruzione; la resistenza caratteristica "convenzionale" fk si determina considerando tre campioni di muro. Le resistenze a compressione dei tre provini

(cioè i rapporti tra il carico di rottura e l'area lorda di sezione) permettono di calcolare fk che è espresso dal minore tra i seguenti due valori

(MPa)

dove: = la media dei 3 valori sperimentali; = il minimo dei 3 valori.

Determinata fk è possibile ottenere così la "tensione base ammissibile" della muratura:

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Qualora i laterizi siano di qualità controllata si ha:

Carichi gravanti sulle murature

Come è stato precedentemente esposto, le categorie dei carichi inte­ressanti le strutture murarie comprendono carichi permanenti e carichi ac­cidentali. Questi si trasmettono alla struttura o in modo concentrato o di­stribuiti e assiali o eccentrici. Si danno alcuni cenni sui casi particolari dei carichi concentrati e dei carichi eccentrici.

Carichi concentrati

Dal momento che in una muratura date le discontinuità rappresenta­te dai fori (porte, finestre), i carichi trasmessi dalle travi vengono necessa­riamente a gravare su porzioni limitate, è necessario curare la distribuzione e i modi di assorbimento dei carichi stessi.

In particolare, per quanto concerne le aperture, si può ritenere che sopra di esse si verifichi "l'effetto volta": il carico soprastante cioè non in­siste totalmente sulla trave ma si scarichi in parte ai lati.

Con sufficiente approssimazione si può considerare gravante sull'archi­trave il peso della porzione di muro compresa in un triangolo equilatero avente come base la luce libera della trave (Fig. 7.14).

Nel caso di schema strutturale con carichi concentrati, come quelli trasmessi da pilastri o da testa di travi, i carichi si suppongono trasmessi al­la muratura sottostante secondo angolazioni di 60° sull'orizzontale, cioè 30° sulla verticale.

Per la verifica locale si può ammettere un incremento del 30% delle tensioni ammissibili (Fig. 7.15).

Carichi eccentrici

Si possono verificare varie condizioni per cui i carichi gravano in mo­do eccentrico sulle strutture portanti. Fra queste ricordiamo la possibilità di appoggio eccentrico di un solaio prefabbricato, un'eccentricità di carico sulle murature perimetrali dovute all'azione del vento, infine un'eccentri­cità accidentale dovuta a disassamenti della muratura in fase di costru­zione, che comunque non dovrebbero superare il valore di 1/300 dell'altez­za totale del muro (Fig. 7.16).

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Fig. 7.14 - Carichi concentrati sulle murature - architravi.

Fig. 7.15 - Carichi concentrati - su travi.

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Fig. 7.16 - Carichi eccentrici.

In questi casi si verifica una riduzione della tensione ammissibile se­condo un coefficiente di riduzione 0, tabulato ed espresso in funzione della snellezza l/t e del coefficiente di eccentricità M = 6 ejt.

Le tabelle seguenti si riferiscono alle ipotesi di continuità e di artico­lazione (Tab. 3 -4).

Nello schema di continuità si ipotizzano, ai nodi, dei vincoli di inca­stro, tra muro e solaio, tra muro e muro; tale ipotesi può essere assunta solo qualora la resistenza a flessione del nodo sia sufficiente.

Nello schema di articolazione si ipotizzano le pareti articolate in cor­rispondenza dei solai; il calcolo del muro si esegue in questo caso tenendo sempre conto di un'eccentricità costante per tutta l'altezza. In questo caso ha estrema importanza la "snellezza" del muro.

Per "snellezza" dei muri s'intende il rapporto

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Tabella 3 — Schema di continuità

Tabella 4 - Schema di articolazione

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Fig. 7.17

nulla, cioè e = 0 e di conseguenza anche il coefficiente di eccentricità m = = 6 e /t=0.

La muratura è costituita da mattoni con resistenza caratteristica a com­pressione degli elementi in laterizio fbk = 200 kg/cm2 = 20 MPa legati con malta tipo M2.

Per calcolare la tensione ammissibile base della muratura, si applica la formula

dove /jt è la resistenza caratteristica della muratura a compressione, che si ricava dalla tabella precedente n. 2, trovando in questo caso il valore di 72 kg/cm2.

Ora si calcola il coefficiente di riduzione della tensione ammissibile

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Fig. 7.19 - Carichi eccentrici - appoggi su murature di solai di copertura.

Cenni sulle murature non laterizie

Viste le crescenti richieste di divisori che soddisfino contemporanea­mente esigenze di isolamento acustico, leggerezza e minimo spessore si vanno adottando anche materiali diversi dai laterizi.

Tra questi ricordiamo i pannelli laterizi, i pannelli prefabbricati, al­cuni dei quali possono essere montati anche a secco, realizzati in cartone gessato, derivati del legno (truciolati, paniforti, ecc.) metallici, ecc.

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Norme costruttive

Si ritiene utile dare qui, schematicamente alcune indicazioni per la buo­na esecuzione di murature laterizie.

1 ) Porre in opera i laterizi bagnati; — i giunti verticali normali alle facce del muro devono risultare sfal­

sati da corso a corso di almeno 0,4 h (altezza dell'elemento) con un minimo di cm 4,5 ;

— spessore dei giunti di malta è di regola 12/13 mm; — ripassare parte esterna dei giunti nei muri a faccia vista per favo­

rire lo scorrimento dell'acqua piovana; — proteggere dal gelo le murature appena eseguite.

2) Particolare attenzione nel caso che nel sistema strutturale murario siano inserite parti strutturali in c.c.a. o in acciaio.

3) Evitare un'eccessiva concentrazione di sforzi sul bordo interno del muro causata dal fatto che la rotazione di estremità del solaio di copertura non è contrastata da una parete sovrastante (ad esempio ponendo una stri­scia di materiale cedevole in corrispondenza del bordo interno).

4) Sono ammesse deviazioni dalla verticale non superiori a 10 mm per 3 m di altezza, con un massimo assoluto di 30 mm su tutta l'altezza dell'edificio.

5) Nelle murature a doppia parete la funzione portante deve, di nor­ma, essere affidata ad una sola di esse, realizzando l'altra in modo da ren­derla stabile per se stessa;

6) Evitare che le pareti divisorie leggere si trovino sottoposte a sforzi di compressione derivanti dall'inflessione delle strutture orizzontali so­vrastanti.

7) Le tracce per gli impianti in murature portanti devono essere pre­viste in progetto e se ne deve tener conto nel dimensionamento statico.

Bibliografia

C. MONDIN,Muri, infissi, murature, Bologna, 1963. G. BR1GAUX, Opere in muratura, Bologna, 1966. N. TUBI, La realizzazione di murature in laterizio, Roma, 1981. A.N.D.I.L., Raccomandazioni per la progettazione ed il calcolo delle costruzioni a mura­

tura portante in laterizio, Roma, 1981. Rivista mensile A.N.D.I.L., "Costruire". Rivista mensile A.N.D.I.L., "Industria italiana dei laterizi".

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CAPITOLO OTTAVO

MATERIALI SINTETICI E METALLICI NON FERROSI

Le resine sintetiche

Si definiscono "materie plastiche" le sostanze organiche (sintetiche o naturali come il legno, la lana, il cotone, il cuoio, la cellulosa, ecc.) con pe­so molecolare elevato, e così pure i materiali che per la loro plasticità (pro­prietà di un corpo di subire una deformazione permanente sotto l'azione di uno sforzo applicato) e in determinate condizioni, possono essere facil­mente modellati e stampati.

Le materie plastiche sintetiche si ottengono con processi di "polimeriz­zazione": cioè unione di macromolecole disposte o in modo disordinato (po­limeri amorfi) o in modo ordinato (polimeri cristallini), o in modo promi­scuo (polimeri semicristallini).

Le proprietà delle materie plastiche dipendono dalla disposizione del­le macromolecole che possono avere sviluppo lineare o ramificato, o esse­re collegate trasversalmente fra loro (reticolazione).

I prodotti sintetici prendono il nome di "resine sintetiche". Le materie plastiche hanno avuto uno sviluppo vertiginoso soprattutto

nella seconda metà di questo secolo, anche se alcune resine sintetiche erano già state realizzate precedentemente.

Cenni storici: nella "storia naturale" di Plinio il Vecchio, è descritta una resina fossile, l'ambra, che ha la proprietà di attrarre, se strofinata, le particelle di polvere.

John Tradescant, studioso inglese, fece conoscere all'Europa la "gut­taperca" che dal 1800 al 1900 costituì il materiale ideale per l'isolamento dei cavi sottomarini.

Dopo la scoperta dell'America, venne utilizzata la gomma naturale, ottenuta con coagulazione del "lattice" di alcune piante.

Nel 1820 Hancock scoprì il processo di masticazione della gomma e nel 1838 Goodyear brevettò il processo di vulcanizzazione.

Nel 1838, Regnault e Simon polimerizzarono il cloruro di vinile e lo stirolo.

Nel 1869 l'americano Hyatt ricavò, per nitrazione della cellulosa, la nitrocellulosa in seguito filata in fibre (la celluloide).

II belga Baekeland, ai primi del 1900, inventò, nel campo delle resine sintetiche, la bachelite, ottenendola per condensazione di fenolo con for-

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maldeide. Sempre ai primi del 1900, si collocano le prime sperimentazioni di fab­

bricazione della gomma sintetica attuate in Russia e in Germania. Tra le due guerre mondiali, furono scoperte importanti famiglie di re­

sine: le poliviniliche, le acriliche, il nylon. I progressi più recenti riguardano la realizzazione di materiali compo­

siti — resine epossidiche e poliestere — e di materie plastiche resistenti alle alte temperature (poliammidi).

Attualmente le materie plastiche vengono usate, nel campo dell'edilizia, per coperture impermeabilizzanti, per isolamenti termici ed acustici, per pa­vimentazioni, per rivestimenti murali, per arredamenti, per giunti elastici e come sigillanti.

Le materie plastiche si possono suddividere in due grandi categorie: — termoplastiche — termoindurenti.

Le resine termoplastiche sono delle sostanze solide a temperatura am­biente, che si trasformano nello stato liquido o pastoso se riscaldate, per tor­nare solide al successivo raffreddamento.

Questa proprietà è utilizzata per la loro lavorazione chiamata "for­matura".

II metodo più usato è lo "stampaggio a iniezione". La resina, in for­ma granulare, viene preriscaldata e iniettata mediante un pistone in uno stampo mantenuto freddo, in modo che l'oggetto ottenuto può essere im­mediatamente estratto dallo stampo.

Un secondo metodo di formatura è "l'estrusione". Questo è adatto per la produzione di manufatti a sezione costante (profilati, tubi, ecc.).

Il polimero fuso viene spinto mediante una vite senza fine e fatto pas­sare attraverso un ugello avente la sezione desiderata.

All'uscita dalla macchina, il materiale viene raffreddato così da con­servare la forma acquisita.

Altri processi impiegati per la formatura sono: "la formatura sotto vuoto" o "termoformatura" e "lo stampaggio per soffiatura".

Il primo processo utilizza il materiale plastico in fogli: questi vengo­no fissati al telaio-forma posto sopra una camera a tenuta e quindi riscal­dati. Ottenuto il vuoto nella camera, la pressione dell'aria esterna fa ade­rire il foglio allo stampo che gli impone così con precisione la forma vo­luta.

Il secondo processo è utilizzato per la fabbricazione dei contenitori. Si pone una grossa goccia di materiale termoplastico in uno stampo, succes­sivamente si insuffla aria in modo tale da espandere la resina così che as­suma la forma voluta.

Un'applicazione importante delle resine termoplastiche è la composi­zione di vernici.

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Queste, sciolte in un opportuno solvente, vengono spruzzate o stese a pennello sulla superficie da trattare e lasciate seccare; il solvente evapora la­sciando una pellicola aderente lucida con funzioni protettive contro la cor­rosione atmosferica.

Dalle resine termoplastiche si possono ancora ottenere: — Resine Viniliche — Polistiroli — Stirene — Resine Acriliche — Resine Cellulosiche — Polietilene — Leacril — Resine Fluorocarboniche

Resine Viniliche: la principale tra esse è il cloruro di polivinile (P.V.C.). Se non plastificato è un prodotto rigido, resistente ai solventi, agli acidi e agli alcali; se plastificato diventa flessibile. La sua maggiore applicazione si ha nelle pavimentazioni e nei tubi rigidi. I pavimenti sono resilienti (resisto­no cioè a fatica), fonoisolanti e coibenti, resistono all'usura e sono incom­bustibili. Sono inoltre molto leggeri (2-5 kg/m2).

Ancora sono utilizzati per la fabbricazione di tubi rigidi ma da usar­si solo per condutture d'acqua fredda, in quanto il P.V.C, non ha resistenza alle temperature elevate.

Il P.V.C, non è corrodibile né soggetto ad incrostazioni. Il Polistirolo è una resina ottenuta per polimerizzazione del vinilben-

zene o stirolo. Si tratta di una resina trasparente con un'elevata resistenza meccanica ed elettrica: è però fragile e solubile in molte sostanze. Per miglio­rare queste caratteristiche si producono i copolimeri (resine A.B.S.) tra acri-lonitrile (per aumentare la resistenza ai solventi), butadiene e stirolo (per migliorare la resilienza).

Il polistirolo, in forma espansa, si usa per isolanti termici e acustici sia lavorato in lastre, sia, in forma di perline, unito all'impasto del calcestruzzo o dell'argilla dei mattoni.

Il coefficiente di conducibilità termica di pareti realizzate con parti in polistirolo può valere circa un terzo di quello di mattoni pieni.

Un'altra caratteristica è la leggerezza, per questo è utilizzato per i cal­cestruzzi leggeri speciali.

Stirene non viene utilizzato nel campo dell'edilizia. Le resine acriliche si ottengono dall'acido acrilico tramite un processo

di polimerizzazione. Al termine di questo processo si ha il "polimetilmeta-crilato" detto, in termini più semplici, plexiglass o perspex.

Ha una buona resistenza meccanica, ottima trasparenza, buona resi­stenza alla luce e agli agenti atmosferici. Si usa per lastre ondulate che pos­sono sostituire nelle coperture il vetro offrendo in più il vantaggio della

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leggerezza e della infrangibilità. Si utilizzano perciò anche per lucernari di grandi dimensioni.

Resine cellulosiche. Non hanno importanza rilevante nella edilizia. // polietilene si ottiene per polimerizzazione dell'etilene secondo due

processi: uno ad alta e uno a bassa pressione. Ha una grande inerzia chimi­ca e si usa per rivestimenti di vasche e per costruire tubi. Ha inoltre il van­taggio di poter essere saldabile. Ha potere isolante, per cui viene usato nei cavi della televisione e del telefono.

Il leacril viene usato soprattutto nell'industria tessile. Le resine fluorocarboniche si ottengono con un processo di polimeriz­

zazione del tetrafluoroetilene. Hanno un'ottima resistenza chimica ed alle alte temperature. Servono per isolare trasformatori, pompe, valvole, ecc.

Le resine termoindurenti si suddividono in: — Melanina — Urea — Amminopiasti — Poliesteri — Resine Fenoliche — Resine Epossidiche — Plastici Rinforzanti — Poliammidi — Siliconi — Poliuretani.

Le resine melaniniche si ottengono per reazione tra formaldeide e me­lanina. Si usano per laminati plastici, rivestimenti, ecc..

Le resine ureiche si ottengono per condensazione della formaldeide con urea. Sono trasparenti e hanno particolare durezza e resistenza meccanica. Si usano per laminati plastici (Formica), per impianti igienici, ecc...Queste due resine rientrano nel gruppo delle resine amminoplastiche.

Le resine poliestere si ottengono per condensazione di un alcool con un acido; se il poliestere risultante è saturo si ottiene il "Terital". Al con­trario, se il poliestere è insaturo, si ottengono resine ad alta stabilità dimen­sionale, resistenti al calore, agli acidi ed ai solventi organici.

Le resine fenoliche si ottengono per condensazione del fenolo con aldeide formica. Si usano generalmente per laminati plastici, adesivi, verni­ci, ma date le loro caratteristiche di alta resilienza, di resistenza al calore e di isolamento elettrico si possono usare per altri scopi.

Le resine epossidiche si ottengono per condensazione del bifenolo con epicloridrina. Al momento dell'impiego danno luogo ad una reticolazione. Sono usate come collanti strutturali (araldite) e sostituiscono, alcune volte, i sistemi di saldatura data la loro aderenza con molti materiali (legno, ce­mento, metalli, ecc.).

/ materiali plastici rinforzati, sono combinazioni di resine alchidiche

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con fibre di vetro. Hanno una notevole resistenza meccanica, bassa conduci­bilità e dilatazione termica e buona stabilità dimensionale.

Questi materiali sono impiegati in strutture esterne (tettoie) sotto for­ma di lastre piane o ondulate, offrendo anche vantaggio di leggerezza e resi­stenza agli agenti atmosferici. Sono utilizzati anche nella costruzione di pannelli di chiusura "courtain-walls" ad esempio per muri perimetrali di co­struzioni prefabbricate in lastre accoppiate con un'intercapedine contenen­te polistirolo o poliuretano espanso per l'isolamento acustico.

I poliammidi si ottengono per condensazione di acido e ammina. 11 pro­dotto più conosciuto è il nylon con notevoli caratteristiche di resilienza uti­le per tubi, profilati, ecc..

Le resine siliconiche sono costituite da silicio e ossigeno alternati. Si usano come materiali idrorepellenti per vetri, pavimenti, pareti.

/ poliuretani si ottengono per condensazione di isocianati polifunzio­nali e alcooli polivalenti. Si usano sotto forma di espansi, rigidi o flessibili. I rigidi servono come isolanti termici per impianti frigoriferi. Si utilizzano inoltre per costruzione di pannelli "sandwichs", prefabbricati, leggeri.

I bitumi

Si chiama "bitume" una miscela formata da più sostanze organiche ad alto peso molecolare. La composizione media è: C 83%. H 10,7%, S 5,5%, 02 0,8%. La formazione avviene per "polimerizzazione" naturale dei residui del petrolio ovvero delle frazioni più pesanti dei prodotti della sua distillazione.

In natura il bitume è contenuto negli asfalti da cui può essere facil­mente estratto.

Può anche essere prodotto industrialmente. II bitume trova largo uso per le impermeabilizzazioni e per le pavi­

mentazioni stradali in genere.

Materiali non ferrosi

Oltre al ferro e alle sue leghe, nella edilizia, si usano altri metalli come il Rame, l'Alluminio, il Piombo e le relative leghe.

// rame è uno dei metalli noti fin dai tempi più antichi. Era usato per tubazioni già al tempo degli Egizi; ora viene impiegato come conduttore elettrico o termico, per decorazioni esterne, per coperture, per opere di lat-toniere, per tubi di riscaldamento.

Nelle coperture di tetti, gli elementi di rame vengono ricoperti con uno strato di solfato basico o di bicarbonato con funzione protettiva.

Forma delle leghe con molti metalli: con lo zinco forma gli ottoni e con

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lo stagno i bronzi. Gli ottoni sono lavorabili a caldo e a freddo, in quest'ultimo caso dan­

no origine a leghe da lavorazione plastica. Se la percentuale di zinco nella lega è del 40%, si hanno gli ottoni da

fonderia. Le caratteristiche meccaniche e di resistenza alla corrosione degli ot­

toni possono essere migliorate con l'aggiunta di altri elementi ottenendo così gli ottoni speciali. Ad esempio, la presenza dell 'I" di piombo facilita la lavorazione agli utensili (ottoni automatici); la presenza di Sn. o di Ni. migliora la resistenza alla corrosione, specie quella causata dall'acqua marina (ottoni navali).

Gli ottoni sono usati per rifiniture (di davanzali, di gradini, ecc.), co­prigiunti di vario tipo, tubi, cerniere, oggetti d'arredo e rubinetteria, so­prattutto cromate.

I bronzi vennero usati fin dall'antichità per oggetti artistici e statue, dato il loro basso punto di fusione, la buona colabilità ed il limitato ritiro.

Ora sono usati nell'industria meccanica, elettronica, per applicazio­ni artistiche o come elementi complementari nell'edilizia (ad esempio grap­pe di fissaggio).

L'alluminio è uno degli elementi più diffusi sulla crosta terrestre. Solo da circa un secolo è ottenuto alluminio allo stato metallico, essendo stato messo a punto solo recentemente il processo di separazione dal suo ossido, l'allumina.

L'alluminio si ossida in presenza di ossigeno formando cosi una pellico­la con caratteristiche protettive ad esempio contro la corrosione atmosfe­rica. Tale processo industrializzato è denominato "ossidazione anodica" da cui il nome di corrente di alluminio anodizzato.

E' un metallo non saldabile, per cui le unioni si effettuano solo per aggraffatura o incastro.

L'alluminio naturale o anodizzato viene impiegato per lamiere di co­pertura, lamiere per rivestimenti delle pareti interne ed esterne (vedi Cour-tain-Walls), profilati per serramenti, impianti elettrici, radiatori.

77 piombo, reperibile in natura allo stato puro, ha un basso punto di fusione (300°), è malleabile e compressibile. Per questo, fin dall'antichità, è usato per giunti di dilatazione, appoggi non rigidi, bloccaggio di grappe e zanche di ferro o bronzo.

Non è saldabile; quindi l'impiego di lastre di piombo per manti di co­pertura implica il loro accurato fissaggio al supporto e il collegamento del­le lastre stesse tra loro.

Bibliografia

G. SCARINCI e D.R. FESTA, Le materie plastiche, Bologna, 1979. V. GOTT.ARDÌ,/metalli, Bologna, 1979.

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CAPITOLO NONO

IL FERRO

Pur conosciuto fin dall'antichità, i suoi usi nell'architettura e nelle co­struzioni furono sempre modesti a causa delle difficoltà di produzione.

Si ebbero principalmente due impieghi; il primo riguardante la statica, come elemento sollecitato a trazione con funzione di tiranti, catene, cra­vatte. Il secondo, in origine difensivo e poi decorativo, culminante nella splendida fioritura di ferri battuti del Medio Evo e del Rinascimento.

Si dovette attendere il 1734, quando in Inghilterra Abramo Darby riu­sci a fondere il minerale di ferro con il carbone, per poter dare inizio a quel­la "età del ferro" che fu la principale spinta alla rivoluzione industriale.

Le prime leghe ferrose adoperate, essenzialmente ghise piuttosto impu­re e fragili data la loro ricchezza di carbonio, vennero usate per elementi compressi, ma, già nel 1773 si iniziava la costruzione del primo ponte in materiale ferroso, di più di 30 metri di luce, costruito da Wilkinson e Darby a Coalbrookdale.

Logicamente i primi usi furono di sostituzione di questo eccezionale materiale, al legno, laddove il progettista non era turbato dall'eccessiva esi­lità, rispetto ai materiali tradizionali.

Così negli Stati Uniti, la necessità dei lunghi ponti per attraversare quei larghi fiumi, portò a sostituire nelle alte travi reticolari gli elementi tesi in legno con il ferro, come possiamo vedere nei tipi Burr (-1804) e Howe (1840), Fig. 9.1 e 9.2.

Fig. 9.1 - Trave in legno con tiranti verticali in ferro (Burr, 1804).

Ma già nel 1783 veniva brevettato il sistema di produzione detto pu-dellaggio e si lanciava l'idea dei laminatoi a rulli per la produzione di pro­filati, e sin dal 1850 la siderurgia poteva offrire una vasta gamma di profili

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e di lamiere in grado di permettere e seguire il grande sviluppo che questo nuovo materiale richiedeva ed imponeva.

Il Paxton nel 1851 in soli sei mesi allestiva a Londra il Palazzo di Cri­stallo, su 98.000 m2 coperti, impiegando 9.642 tonnellate d'acciaio, utiliz­zando ancora la ghisa per gli elementi compressi, ma riservando le parti te­se a tondi in acciaio e pervenendo al risultato più moderno e caratteristico del materiale e cioè la grande leggerezza ed esilità delle strutture accoppia­te alla vastità delle superfici vetrate.

Fig. 9.2 - Trave in legno e ferro (Howe, 1840).

Esperienze veramente rivoluzionarie ed indubbiamente premature per il gusto dell'epoca che, soprattutto nelle costruzioni, non voleva rinunciare all'ornamento e perseverò per anni, con irrazionali appesantimenti, nel trat­tare questo rivoluzionario materiale alla stregua e con le decorazioni di quel­li tradizionali, quando non cercò di farlo sparire sotto pesanti strati di ges­so e stucco.

Ma la costante spinta industriale, che portava le varie nazioni a gareg­giare nelle Esposizioni Universali, riportò in auge il ferro come materiale in se stesso decorativo, con la nuova esigenza dei grandi padiglioni a cupo­la, il cui trionfo si ebbe nel 1889 a Parigi con la costruzione dovuta ad Eiffel del Palazzo delle Arti Liberali e della sua famosa torre.

Ma la rivoluzione industriale indicava e seguiva altre strade per il trion­fo dell'acciaio. La spinta costante della diffusione dei trasporti che porta­rono alla costruzione dei vascelli in acciaio e delle strade ferrate; le esigen­ze per quest'ultimi di ponti e di stazioni; il fiorire delle macchine utensili per la creazione di altre macchine che abbreviassero ed agevolassero il lavo­ro dell'uomo. Tutto ciò impose alla siderurgia balzi da gigante.

Nel 1856 il convertitore Bessemer era in funzione, dal 1864 lavoravano i forni Martin-Siemens. Nel 1878 l'acciaio veniva prodotto con procedi­mento Thomas.

In questa strada di progresso, molto spesso la tecnica costruttiva prece­dette lo studio teorico e lo costrinse a determinate vie. Molti insuccessi, spesso catastrofici, obbligarono ad una ricerca più accurata su di un mate­riale troppo generoso da essere spesso sopravalutato o solo poco conosciuto.

Dalla prima nave marittima in ferro del 1824 si arriva al varo del pri-

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mo transatlantico ad elica con scafo in acciaio dovuto al Brumel nel 1834, ed ai relativi studi sulle strutture autoportanti a guscio.

Stephenson realizza con accoppiamenti di lamiere e profilati il grande ponte Britannia, con travi tubolari autoportanti per la cui realizzazione fu necessario sviscerare i problemi di ingobbamento delle pareti laterali.

Nel 1850 Culman suggerisce di alleggerire le pesanti pareti laterali con griglie reticolari dimensionate ciascuna per il proprio sforzo.

Gerber nel 1878 realizza il suo sistema con una trave continua nei cui flessi sostituisce delle cerniere, e che porta il suo nome.

Una serie di crolli provoca la necessaria emanazione di norme per il cal­colo ed il controllo. Vengono più accuratamente valutate le forze esterne dovute al vento ed alla neve. Si cominciano ad intuire i reali limiti dell'in­stabilità elastica sulle aste compresse, purtroppo a seguito di disastrosi crol­li, e nel 1910 Timoshenko ne inizia uno studio sistematico. E per le co­struzioni, dalle elefantiache esigenze della società americana, nascono i pri­mi grattacieli in acciaio; del 1912 è il Woolworth Building sui 58 piani, fi­no al più alto, inaugurato nel 1931, l'Empire State Building con i suoi 85 piani. Queste eccezionali e complesse realizzazioni sollecitarono gli studio­si alla ricerca di un sistema di soluzione per iterazione, dapprima attuato da Takabeya e definitivamente perfezionato e risolto dal Cross nel 1930.

Infine, quando già sembrava che nessun'altra rivoluzionaria innovazio­ne potesse ancora allargare gli orizzonti d'impiego del nuovo materiale, vennero perfezionati e messi a punto i procedimenti di saldatura autogena all'arco elettrico, che permettevano un alleggerimento delle costruzioni, ri­spetto ai precedenti tipi chiodati, valutabili fino al 15% ed una flessibilità di forme e di costruzione veramente impensabili fino ad allora.

Anche queste innovazioni dovettero conoscere un cammino di espe­rienze talvolta dolorose, basti ricordare il crollo dei ponti sul Canale Alber­to, a travata Vierendel interamente saldati (Fig. 9.3), provocati dalla fragi­lità e dall'invecchiamento delle saldature e dal crearsi di stati di sollecitazioni triplici.

Fig. 9.3 - Il ponte di Hasselt dopo il crollo avvenuto il 14 maizo 1938, a travate scariche.

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Ancor oggi problemi parzialmente insoluti esistono: altri problemi na­scono dallo stesso inarrestabile progresso che sollecita continuamente i co­struttori al superamento di ciò che poco prima costituiva un limite.

Abbiamo già appreso, con una quasi assoluta sincerità, ad usare archi­tettonicamente questo materiale. Più spontanei, forse perché più liberi, nelle opere ingegneristiche che in quelle propriamente architettoniche. Ma indubbiamente il cammino aperto è ancora lontano dal suo termine. Da per­correre con coraggio e con una parte spesso di rischio, purché consapevole per un superamento dei limiti e per un vero sincero impiego, in tutta purez­za, del materiale che ha dato un nome ad un'epoca: quella dell'acciaio.

I materiali ferrosi

1 ) Il ferro

E' il principale componente dei materiali ferrosi da costruzione; le sue caratteristiche principali sono le seguenti:

peso specifico 7876, = kg/m3

durezza 50 70 brinnel limite elastico 10 14kg/mm2

resistenza a trazione 18 25 kg/mm2

coefficiente lineare di dilatazione termica 15 x IO"6

Il minerale ferroso viene fuso in altoforni con carbone. Si ottiene una lega ferro-carbonio che viene chiamata, a seconda se è fucinabile1 o meno, ac­ciaio o ghisa. Detta, lega è il materiale che interessa le costruzioni e le sue caratteristiche sono determinate dalla percentuale di carbonio in essa con­tenuta.

2) L'acciaio

L'acciaio è una lega che oltre all'elemento preponderante, il ferro, con­tiene percentuali maggiori o minori di componenti metallici (manganese, rame, nichel, cromo, tungsteno, ecc.) o non metallici (carbonio, silicio, fo­sforo, zolfo, ecc.), cui alcuni (nichel, cromo, Wolframio, ecc.) deliberata­mente aggiunti ad altri invece (carbonio, manganese, fosforo, zolfo, ar­senico, ecc.) già presenti nelle materie prime impiegate nella fabbricazio­ne.

Infatti il ferro chimicamente puro non ha pratico interesse, mentre so-

Con fucinatura si indicano le operazioni necessarie per la lavorazione a caldo dei metalli.

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no le sue leghe che si prestano alle applicazioni industriali nel campo delle costruzioni. Il punto dì fusione e le caratteristiche meccaniche, elettriche e magnetiche del metallo base, il ferro, variano sensibilmente in funzione degli elementi aggiunti. Il tenore di carbonio influisce così profondamen­te sulla lavorabilità delle leghe siderurgiche da servire come criterio fonda­mentale per la loro classificazione.

Una divisione empirica degli acciai è la seguente:

acciai extradolci tenore di carbonio 0,15% acciai dolci tenore di carbonio da 0,15 a 0,30% acciai semiduri tenore di carbonio da 0,30 a 0.45% acciai duri tenore di carbonio da 0.45 a 0,65% acciai extraduri tenore di carbonio da 0,65 a 1,70% ghise acciaiose tenore di carbonio da 1.70 a 2,50% ghise comuni tenore di carbonio oltre 2,5%

Il materiale più usato per le costruzioni è l'acciaio dolce, con il quale vengono costruiti tutti i profilati, le barre, i tondi e parte delle lamiere. Gli acciai con più alti tenore di carbonio sono duri, ma eccessivamente fragili e non saldabili; vengono normalmente impiegati per utensili od altri usi spe­ciali. Si arriva infine alle ghise, non fucinabili, fragili e cristalline il cui uso oggi, come materiali da costruzione, è decisamente superato.

Requisiti fondamentali dell'acciaio

Un acciaio di qualità per le costruzioni deve possedere i seguenti re­quisiti:

Omogeneità. Ottenuta oggi grazie ai nuovi sistemi di fusione e depurazione delle leghe, per cui la resistenza dei materiali non hanno valori diversi in di­rezioni preferenziali.

Alto limite di snervamento. Nella pratica il limite di snervamento ha ancora più importanza di quello di rottura.

Un provino di acciaio sottoposto a carico ha le seguenti fasi di compor­tamento (Fig. 9.4):

— prima fase (campo elastico) nella quale le deformazioni sono pro­porzionali agli sforzi e sono reversibili e, cioè, il provino, allo scarico, assu­me la configurazione iniziale e non subisce deformazioni permanenti;

— dopo questa fase e continuando ad accrescere gli sforzi, si supera il limite elastico e si entra nella fase elasto-plastica nella quale le deforma­zioni non sono proporzionali agli sforzi impressi e non sono più reversibili (la configurazione del provino denuncia deformazioni permanenti);

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— continuando ad accrescere gli sforzi si entra nel campo dello sner­vamento vero e proprio e, cioè, nel campo nel quale un piccolo incremento di sforzo comporta grandi deformazioni (irreversibili) e la rottura.

Fig. 9.4 - Diagramma carichi-allungamenti.

E' detto limite di snervamento il punto di passaggio tra il campo elasti­co ed il campo elasto-plastico.

Il coefficiente di sicurezza viene riferito al limite di snervamento e non alla rottura, tenendo presente che il coefficiente di sicurezza e, cioè, il rap­porto tra limite di snervamento e il carico di rottura è mediamente pari a 0,6 + 0,5.

Comunque la metallurgia tende ad innalzare il valore di questo rappor­to con l'uso di appropriate tecniche e di particolari additivi.

La saldabilità direttamente legata alla quantità di carbonio giacché al di so­pra dello 0,5% di tenore in carbonio questo procedimento è irrealizzabile. La normativa attuale, prescindendo dagli altri elementi che possono influen­zare le possibilità dell'operazione, ammette per acciai saldabili percentuali di carbonio intorno allo 0,2%, concedendo come massimo, con elettrodi particolari, lo 0,24+ 0,26%.

La resilienza caratteristica della capacità del materiale a resistere ad urti ed al lavoro a fatica.

Caratteristiche dell'acciaio

Le principali caratteristiche dell'acciaio sono le seguenti:

coefficiente lineare di dilatazione termica 0,000012 C° peso specifico (circa) 7850 kg/m3

Come ogni materiale anche l'acciaio ha delle caratteristiche positive e negative.

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Caratteristiche negative

Corrosione

Si tende attualmente a dare una spiegazione di questo fenomeno con azioni elettriche. La costante possibilità dell'acciaio a comporsi chimica­mente sulle sue parti esterne fino a dare ossidi di ferro, porta a notevoli inconvenienti, di cui il più macroscopico è la perdita di spessore che può arrivare, a seconda dei diversi ambienti di esposizione, anche 0,1 0,15 mm di perdita di spessore all'anno in ambienti inquinati da fumi industriali.

Da qui la necessità di protezione delle strutture metalliche con diver­si tipi di trattamento.

Il più comune è la verniciatura. Un ottimo ciclo, di sicura efficacia è il seguente :

a) trattamento delle superfici con sabbiatura fino ad un completo di­stacco delio strato superficiale di calamina (ossido di ferro ricoprente i pro­fili laminati a caldo derivante dallo stesso processo di laminazione);

b) verniciatura con una prima mano di minio di piombo; c) verniciatura con una seconda mano di minio dopo la posa in opera; d) copertura con due mani di vernice a finire. Oppure, più modernamente, si può eseguire l'opera di protezione con

un ciclo comprendente prima una sabbiatura e poi una verniciatura con zin­canti a freddo.

Sabbiatura è un'operazione di pulizia dell'acciaio eseguita mediante getti di sabbia ad alta velocità. Le norme dello Swedish A Corrosion Committee prevedono vari gradi di sabbiatura e li individuano con delle sigle SA 2; SA 2,5; SA 3.

Una sabbiatura SA 2,5 oppure detta a metallo bianco, pulisce perfet­tamente l'acciaio da qualsiasi traccia di ruggine o calamina.

Una sabbiatura SA 2, detta anche commerciale, è meno accurata della precedente; offre tuttavia una buona pulizia. Dopo la sabbiatura si procede alla verniciatura come sopra indicato.

Zincatura a freddo. Si tratta, in sostanza, di applicazione delle vernici ric­che di zinco metallico, immerso in un veicolo organico o inorganico, che una volta a contatto con l'acciaio, reagisce intimamente e realizza una protezione elettrochimica. Ricoprendo poi con una o più mani di verni­ce a finire, si realizza una protezione dell'acciaio paragonabile a quella del­la zincatura a caldo.

Zincatura a caldo, consistente nell'immersione di pezzi finiti e lavorati, do­po ripulitura chimica superficiale (decapaggio), in bagni di zinco fuso, cosic­ché una volta estratto il pezzo, una pellicola continua di zinco viene a rico-

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prire ogni parte metallica. Per pezzi di piccole dimensioni viene usata la zincatura galvanica che

fa depositare elettroliticamente, in un bagno, lo zinco uniformemente sul ma­nufatto d'acciaio.

Attualmente la siderurgia tende alla ricerca d'acciai inossidabili o auto­protettivi di cui si dirà.

Scarsa resistenza al calore

lì comportamento dell'acciaio alle varie temperature, dal punto di vista della sua resistenza a rottura, è raffigurato nel diagramma seguente (Fig. 9.5).

Fig. 9.5 - Variazioni della resistenza degli acciai extra-dolci col variare della temperatura.

Come si può vedere all'innalzarsi della temperatura, dopo un primo au­mento di resistenza si ha che, giunti a 300 gradi, la resistenza cala veloce­mente sino ad essere quasi nulla intorno ai 800°C. Detta caratteristica è particolarmente negativa se si pensa a delle colonne poste ai piani inferio­ri di edifici attaccati dal fuoco o a qualche grande travatura, sottesa da ti­ranti, investita da fiamme sottostanti. Il cedimento può divenire catastrofi­co anche per un incendio di modesta entità.

Di qui la necessità di rivestimenti protettivi che possono essere realiz­zati con calcestruzzo, placcature in gesso ed amianto, impasti di amianto e cemento spruzzati, guaine imbottite di lana minerale, particolari vernici che diventano spugnose (coibenti) all'aumentare della temperatura, ecc.

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Caratteristiche positive

Affidabilità

L'acciaio ha caratteristiche di resistenza più facilmente controllabili e costanti essendo tutta la produzione unificata e rispondente alle tolleranze imposte.

Resistenza e leggerezza

I moderni acciai da costruzione permettono di realizzare strutture di dimensioni, luci e altezze molto superiori a quelle del calcestruzzo arma­to. Tali vantaggi si sono potuti ottenere grazie agli elevati limiti di sner­vamento e soprattutto ai pesi relativamente modesti delle strutture realiz­zate in profilati di acciaio.

Rapidità di costruzione

I tempi di costruzione di una struttura in acciaio sono generalmente più contenuti di quelli di analoghe strutture in calcestruzzo armato: tale riduzione nei tempi di lavoro può portare notevoli vantaggi economici nel caso di complessi di grande dimensione.

Recupero del materiale

L'acciaio permette di realizzare un certo utile all'atto della demolizio­ne o del rifacimento di un'opera. Questa voce diventa importante per quei fabbricati destinati ad avere vita relativamente breve come alcuni tipi di fabbricati industriali.

Acciai speciali

Negli acciai possono esser presenti come impurità o come additivi al­tri componenti (Si, N, Cr, Ni, Mn) che ne migliorano o ne peggiorano al­cune caratteristiche.

Per diminuire le caratteristiche negative dell'acciaio, la siderurgia si è sempre più impegnata a produrre acciai speciali. Tra quelli che più riguar­dano le costruzioni e tralasciando gli acciai speciali per macchine, utensili, strumenti, ecc. si ricordano :

- acciai inossidabili sono principalmente costituiti da leghe al Cromo-Nichel.

II più noto è l'inox 18/8 che contiene il 18% di Cromo ed l'8% di Nichel con varie componenti di carbonio secondo l'uso.

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Gli acciai inossidabili sono proibitivi per le strutture di edifici civili per il loro alto costo, si usano come elementi decorativi o per grondaie e pluviali.

— acciai autoprotettivi sono acciai con additivi (primo fra tutti il ra­me) che tendono a creare una ossidazione superficiale tale da proteggere gli strati interni.

Il più noto acciaio autoprotettivo è il COR-TEN. E' un acciaio con una buona percentuale di rame che presenta notevole resistenza alla corro­sione e può essere usato "nudo" (senza verniciatura o zincatura) e che — col tempo — viene ad assumere una colorazione rossastra o melanzana.

(I guard-rails dell'autostrada del Brennero sono in cor-ten).

Formati e denominazioni

L'acciaio per costruzioni metalliche si reperisce in commercio in ele­menti prodotti dalle ferriere mediante laminatoi a caldo.

Nella pratica corrente si definiscono laminati i piatti e le lamiere, pro­filati le barre di sezione più complesse e travi gli elementi strutturali.

Più precisamente la distinzione fra i vari prodotti è la seguente:

A) Prodotti piatti 1) piastre larghissimi piatti superiori a 40 mm di spess. 2) lamiere grosse larghissimi piatti tra 10 e 40 mm di spess. 3) lamiere medie larghissimi piatti tra 4 e 10 mm di spess. 4) lamiere sottili larghissimi piatti tra 1 e 4 mm di spess. 5) lamierini larghissimi piatti inferiori a 1 mm di spess. 6) larghi piatti fino a 400 mm di larghezza di vari spess. 7) piatti fino a 200 mm di larghezza di vari spess.

La produzione delle piastre e delle lamiere ha dei limiti dimensionali dati dai laminatoi. Formati standard per le piastre sono 1,00x2,00 me­tri; 1,25x2,50 metri e 1,50x3,00 metri, ma i ferri piatti possono esser la­minati anche dai 10 mm ai 2,00 metri di larghezza con lunghezza fino a 8,00 metri, in vari spessori.

Le lamiere sottili e soprattutto i lamierini vengono prodotti in "coils" che sono bobine molto lunghe di nastro di lamiera avvolte circolarmente su se stesse e che possono avere pesi da 6 ^ 10 tonnellate.

B) Profilati 1) tondi 2) quadri 3) esagoni 4) angolari a lati eguali (da 15x15 mm fino a 150x 150 mm con vari

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spessori come da tabella riportata di seguito); 5) elle a lati diseguali (da 20x30 mm fino a 100x 150 mm con vari

spessori, come da tabella riportata di seguito); 6) ferri a T 7) ferri a Z.

I ferri profilati sono unificati e sono prodotti da tutte le ferriere con le stesse caratteristiche geometriche e meccaniche.

Vengono usati nella carpenteria metallica per strutture reticolari o per altri usi del tutto secondari.

C) Travi 1) ad U o a C 2) a doppio T 3) a doppio T ad ali larghe

Anche le travi sono unificate e sono prodotte dalle varie ferriere con caratteristiche geometriche e meccaniche del tutto eguali.

Per le travi a doppio T e a doppio T con ali larghe esisteva - a partire dalla metà dell'ottocento — una unificazione denominata NP (normal profil).

Queste travi NP, per una migliore utilizzazione dell'acciaio e per un mi­glior collegamento corrispondente ad una diminuzione di peso a parità di ca­ratteristiche statiche,sono state sostituite da altre travi unificate che, in se­de europea, soddisfano le norme comunitarie (EURONORM).

Questi vantaggi vengono ottenuti con una diminuzione dello spessore dell'anima centrale e con un aumento di spessore delle ali. Inoltre le ali ven­gono costruite attualmente con i due lati paralleli e non più con la faccia interna rastremata come erano le travi NP.

Queste travi a doppio T si possono suddividere in due principali cate­gorie :

— travi IPE ([profilo europeo) che hanno un'altezza pari a circa due volte la larghezza delle ali e che pertanto hanno una massima resistenza su di un piano e vengono usate soprattutto per strutture che sono sollecitate esclusivamente su un piano (solai e travi);

— travi HE (H europeo) che sono praticamente iscrivibili in un qua­drato ed hanno, quindi, caratteristiche statiche assai simili nei due sensi e, cioè, secondo entrambi gli assi principali di inerzia.

Queste travi trovano la loro migliore applicazione nei pilastri che, fa­talmente, possono esser sollecitati egualmente sui due assi principali d'i­nerzia.

Altro vantaggio delle travi HE è quello di esser prodotte in tre serie: la leggera (HEA), la normale (HEB), la pesante (HEM) aventi le medesi­me dimensioni di ingombro esterno, ma con sensibili variazioni di spessore.

Ciò permette, per esempio, di conservare lo stesso profilo apparente

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di colonna alle varie quote di un fabbricato multipiano pur diminuendo il carico che su di esso grava con l'innalzarsi dei piani.

In Italia le trave HE sono prodotte con sezioni variabili da 100 a 600 mm di altezza, mentre all'estero l'altezza delle sezioni arriva anche a 1.000 mm.

Per sezioni di altezza superiore ai 600 mm. in Italia, si ricorre alle tra­vi composte di lamiera saldata automaticamente e dimensionate in base agli sforzi effettivi risultati dal calcolo.

Esempi profilati a doppio T

Travi

Trave INP 200 (Fig. 9.6), dove la sigla sta a significare: l forma del profilo N normale P profilo 200 altezza del profilo in mm

Trave IPE 200 (Fig. 9.7) I forma del profilo P profilo E europeo

Trave HE B 100 (Fig. 9.8) H forma del profilo E europeo B serie normale (A serie alleggerita) (M serie rinforzata)

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Per i vari tipi di profilati e le loro caratteristiche statiche e geometriche si veda il sagomano allegato in fondo al capitolo.

Scelta del profilo

La scelta del profilo è determinata da considerazioni di natura tecnica ed economica.

A) / profilati angolari

Si impiegano prevalentemente per la realizzazione di strutture reticolari e tralicci. Le loro caratteristiche geometriche infatti, ne facilitano sia l'ac­coppiamento mediante bullonatura o saldatura, sia la lavorazione in offi­cina con macchine automatiche. Le loro caratteristiche statiche si adattano bene alla realizzazione delle aste tese o compresse delle strutture reticolari, mentre non si prestano per gli elementi inflessi.

B) / profilati a doppio T, INP o IPE

Si impiegano prevalentemente come elementi inflessi (travi) in quanto le loro caratteristiche geometriche e statiche sono state studiate per offri­re il massimo momento d'inerzia e il massimo modulo di resistenza secondo uno solo dei due assi principali della sezione.

C) Profilati HE

Si usano raramente ed in casi particolari come travi. Si usano partico­larmente come pilastri o colonne; infatti la loro caratteristica geometrica (alla larga) permette di avere un raggio d'iner­zia relativamente elevato secondo ambedue gli assi principali e quindi una buona resisten­za al carico di punta.

Tutti i profilati si possono accoppiare fra di loro mediante saldatura o bullonatura nella maniera più diversa a seconda delle necessità.

Le sezioni composte che ne derivano avranno le caratteristiche ottimali individuate dal progettista per ogni specifico impiego.

D) Tubi

Di discreta importanza nelle costruzio­ni di carpenteria quando soprattutto si debbo-

Fig. 9.9 — Sezione composta da due profilati IPE per l'impiego come co­lonna.

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no realizzare delle economie in peso. La loro notevole inerzia, a parità di pe­so, rispetto ai profilati, permette risparmi fino al 40% sulle strutture com­presse. Il loro costo assai maggiore fa rientrare il vantaggio economico e, ag­giunto ad una maggior difficoltà di lavorazione, porta il costo della costru­zione tubolare finita ad essere maggiore di quella realizzata con profilati. A seconda dei loro diametri e dei loro spessori possono essere realizzati con o senza saldatura.

E ) Profila ti a freddo

Di notevole interesse e di uso recente, soprattutto per le orditure secon­darie sono i profilati a freddo ricavati da coils di lamiera di piccolo spessore attraverso il passaggio del nastro su serie di rulli che man mano gli danno la forma desiderata. Nati per usi automobilistici essi hanno trovato largo im­piego soprattutto come orditura minuta in profilo di ottima inerzia a basso peso con caratteristiche tali da agevolare la posa in opera di materiali secon­dari come isolamenti, controsoffitti, illuminazione. Tra le forme più usate abbiamo quelle riportate in Fig. 9.10 come l'omega (1), l'omega ad ali rin­forzate (2), il L" (3), il C ad ali rinforzate (4) ecc..

Norme per la progettazione

Fino al 1971 nessuna norma imponeva criteri specifici di progettazione né limitava gli sforzi massimi da indurre nelle strutture in acciaio in relazio­ne alla sua qualità, alla sua forma, ecc..

Nel 1971 per aggiornare le norme di progettazione e di esecuzione del­le opere in calcestruzzo armato furono, per la prima volta, emanate diretti­ve anche per la progettazione e per l'esecuzione di opere in calcestruzzo pre­compresso e matalliche.

Fig. 9.10 - Tipi di profilati a freddo.

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La legge del 5 novembre 1971, n. 1086 prevede principalmente delle modalità di controllo nella esecuzione di strutture siano esse in calcestruz­zo normale, calcestruzzo precompresso o metalliche, e l'art. 21 di questa legge prevede che il Ministero dei LL.PP., sentito il Consiglio superiore dei LL.PP. e il Consiglio nazionale delle ricerche, deve emanare ogni biennio le norme tecniche alle quali deve uniformarsi ogni tipo di struttura sia essa in calcestruzzo o metallica.

Queste norme furono emanate con i seguenti decreti del Ministero dei LL.PP.:

- D.M. 30 maggio 1972 - D.M. 30 maggio 1974 - D.M. 16 maggio 1976 - D.M. 26 marzo 1980 - D.M. 1 aprile 1983 Tutte le norme previste in questi decreti sono obbligatorie per il calco­

lo, l'esecuzione ed il collaudo statico delle strutture in calcestruzzo ed in acciaio.

Parimente obbligatorie sono le norme tecniche concernenti i criteri generali per la verifica della sicurezza nelle costruzioni e dei carichi e so­vraccarichi che devono essere assunti nella progettazione di ogni struttura.

Queste ultime norme derivano da uno studio del Consiglio Nazionale delle Ricerche pubblicato nel Boll. Uff. del C.N.R. del 31/5/1957, n. 3 e prevedono anche i valori minimi per i vari tipi di carico permanente ed ac­cidentale nonché i carichi della neve e la spinta del vento in varie zone e a diverse altitudini.

Sono state rese obbligatorie con il: - D.M. 3 ottobre 1978 — Criteri generali per la verifica della sicurez­

za delle costruzioni e di carichi e sovraccarichi (G.U. 15 novembre 1978, n. 319).

Queste norme sono state chiarite e integrate dalla Circolare del Mini­stero dei LL.PP del 9 novembre 1978 n. 18591 — Istruzioni relative ai ca­richi, sovraccarichi ed ai criteri generali per la verifica di sicurezza nelle co­struzioni.

Pur non essendo obbligatorie per legge è bene attenersi, per l'autorità di chi le ha emanate, alle seguenti direttive per costruzioni in acciaio:

1) Costruzioni in acciaio (B.U. del C.N.R. del 31/2/1973, n. 26) 2) Istruzioni per l'impiego nelle costruzioni di profilati in acciaio for­

mati a freddo (B.U. del C.N.R. del 19/4/1973, n. 33) 3) Ponti stradali in acciaio — Norme di progettazione (del Consiglio

Superiore dei LL.PP del 15/5/1970, n. 16) 4) Travi composte in acciaio e calcestruzzo — Istruzioni per il calcolo

e l'esecuzione (B.U. del C.N.R. del 31/5/1961, n. 3 - UNI 10012). Le strutture devono esser calcolate staticamente con i normali metodi

insegnati dalla Scienza delle costruzioni e seguendo le particolari norme so-

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praricordate che il Ministero dei LL.PP. pubblica ogni biennio. E' bene ricordare che esistono, anche in relazione alla complessità del­

la struttura, tipi di calcolo che prevedono condizioni di carico più o meno complete e cioè:

— condizione di carico 1 che cumula, nel modo più sfavorevole le azio­ni permanenti ed accidentali (compresi eventuali effetti dinamici) ad ecce­zione degli effetti del vento e degli stati coattivi sfavorevoli (temperatura, cedimento di vincoli, ecc.). Si devono includere nelle condizioni di carico 1 gli effetti statici e dinamici del vento, qualora le tensioni da essi provocate siano maggiori di quelle ingenerate dagli altri carichi permanenti e acci­dentali.

— condizione di carico 2 che cumula, nel modo più sfavorevole, tutti i carichi permanenti ed accidentali (vento e dilatazioni termiche inclusi).

Inoltre nelle strutture in acciaio per la grande resistenza del materiale e per la conseguente piccola sezione, in caso si compressione, le aste sono sempre caricate di punta, le pareti sottili sono facilmente soggette a im-bozzamento e le travi inflesse a svergolamento.

Per il carico di punta un'asta compressa non potrà esser calcolata con la semplice formula = PIA, ma si dovrà adottare la seguente formula:

ove u è un coefficiente maggiore di uno che è tabulato in funzione della snellezza dell'asta, intendendo per snellezza X il rapporto tra la lunghezza libera d'inflessione ed il raggio minimo d'inerzia i

Acciai da costruzione

Caratteristiche meccaniche

L'acciaio, come già detto è essenzialmente una lega di ferro e carbonio. Gli acciai da costruzione hanno un tenore di carbonio con percentua­

li variabili dallo 0,15% allo 0,28%. La recente normativa italiana (D.M. del 26 marzo 1980) prevede l'impiego di acciai laminati a caldo, profilati in barre, larghi, piatti, lamiere e profilati cavi (anche tubi saldati ricavati da nastro laminato a caldo) denominati:

Fe 360 (già Fe 37) Fe 430 (già Fe 44) Fe 510 (già Fe 52)

Nel decreto ministeriale 26 marzo 1980 è stato anche adottato il "Si­stema internazionale di unità" indicato con la sigla SI di cui alle direttive

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del Consiglio delle Comunità Europee 76/770/CEE del 27 luglio 1976. Nella relazione fra il sistema SI e quello precedentemente adottato

(M K S A)

1 kg F = 9,81 N (Newton)

I valori di tensione di rottura e di tensione di s n e r v a m e n t o s o ­no riportati nel seguente prospetto 1) per profilati, barre, larghi piatti, la­miere e nel prospetto 2) per i profilati cavi. •

Prospetto 1 - Caratteristiche meccaniche per profilati, barre, larghi piatti, lamiere.

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Prospetto 2 — Caratteristiche meccaniche per profilati cavi.

I valori delle precedenti tabelle si riferiscono a prodotti qualificati e cioè a quei prodotti che sono stati sottoposti favorevolmente alle prove previste dall'allegato 8 del D.M. 26/3/1980.

Costanti elastiche

Per gli acciai considerati si assumono i seguenti valori delle costanti elastiche (punto 3.1.3 del D.M. 26/3/1980).

Modulo di elasticità normale E = 206.000 N/mm2

Modulo di elasticità tangenziale G= 78.400 N/mm2

Resistenza ammissìbile

Nella seguente tabella sono riportati i valori ammissibili a trazione o a compressione (a adm) dei vari tipi di acciaio nell'ipotesi di acciai qualificati e con calcoli eseguiti con le condizioni di calcolo 1.

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Tabella 3 Tensioni ammissibili a trazione o compressione per acciaio laminato.

La tensione tangenziale ammissibile \p adm è pari a 0,576 della tensio­ne normale ammissibile (a adm) (punto 3.1.2 del D.M. 26/3/1980).

Le tensioni ammissibili per le condizioni di carico 2 sono da assumersi pari a 1,125 delle relative tensioni ammissibili per i vari tipi dì acciaio so­praindicate e valevoli per le condizioni di carico 1 (punto 3.0.2.2 del D.M. 26/3/1980).

Collegamenti

Trascurando la chiodatura, tecnica ormai superata nella carpenteria metallica, oggi si effettuano principalmente due tipi di unione dei profili d'acciaio ai fini di arrivare a strutture composte:

a) la bullonatura mediante dadi e bulloni unificati con interposte rondelle, che ha sostituito quasi interamente la più laboriosa e difficoltosa chiodatura.

Detti attacchi sono verificati al taglio nel gambo del bullone o nel nu­cleo a seconda dei casi, ed alla pressione sul contorno del foro, Fig. 9.11.

Molto importante è l'attuale uso di bullonatura ad alta resistenza nei tipi denominati 8G e 10K. In queste unioni i bulloni costituiti con acciai speciali ad alti limiti elastici, bonificati, vengono avvitati con particolari chiavi dinamometriche atte ad applicare una coppia di serraggio assai ele­vata e prefissata, equivalente ad un precarico di trazione sul gambo del bul­lone stesso. Tale serraggio garantisce il funzionamento dell'unione per attri­to tra le superfici a contatto e migliora di molto il rendimento del bullone stesso permettendo così minore numero di fori e bulloni più piccoli, con le logiche e positive diminuzioni d'ingombro.

Il funzionamento di un giunto con bulloni ad alta resistenza è sostan­zialmente diverso da quello con bulloni normali.

Quando in un collegamento del tipo rappresentato in Fig. 9.12 i bullo­ni ad alta resistenza vengono serrati con la chiave dinamometrica, il preca­rico indotto della coppia di serraggio nel gambo dei bulloni, che può essere

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Fig. 9.12 - Collegamento realizzato con piastre e flangia e bulloni ad alta resistenza impegnati ad attri­to ed a trazione.

Fig. 9.11 - Collegamento realizzato con piastre di coprigiunto e bulloni normali impegnati a taglio.

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dell'ordine di parecchie decine di tonnellate, (un bullone da 24 10K forni­sce un precario di 22,3 t) è in grado di sviluppare un momento resistente interno che si oppone al momento delle forze esterne applicate.

In altre parole, il momento esterno, mettendo in trazione l'ala inferio­re della trave tende a distaccare le flangie fra di loro, mentre il precarico dei bulloni tende a tenerle in compressione.

b) La saldatura che viene effettuata mediante arco elettrico, fondendo i due pezzi da unire con l'apporto di materiale di unione derivante dall'elet­trodo che innesca l'arco, normalmente protetto da scorie acide o basiche al fine di impedire l'ossidazione della giunzione, coprendo con detto rivesti­mento fuso in bagno. Esistono particolari coefficienti di riduzione dello sfor­zo ammissibile nelle saldature a seconda delle loro posizioni e delle solle­citazioni alle quali sono sottoposte.

La saldatura è e rimane il collegamento principe fra due elementi me­tallici. Senza dilungarsi sui vari sistemi e tipi di saldature diremo solo che la normativa le divide in due classi.

/ classe: sono giunti che devono soddisfare in qualsiasi punto ad un esa­me radiografico senza presentare difetti di sorta

II classe: sono giunti che non richiedono la perfezione di esecuzione di quelli di prima classe, ma che comunque devono presentare difetti contenu­ti entro un ragionevole limite di accettabilità (punto 2.4.3 del D.M. 26/3/80).

La preparazione dei lembi degli elementi da saldare viene effettuata sia

a) Preparazione a K per permettere una migliore esecu­zione della saldatura sia per permet­tere un risparmio di passate. Nella Fig. 9.13 sono rappresentate una preparazione a K, una V ed una a doppio V.

Confronto fra saldatura e bullona­tura

Anche qui la scelta è influen­zata da considerazioni tecniche, economiche ed estetiche. Ingenerale ci si va orientando verso la saldatura in officina e la bullonatura in can­tiere.

La bullonatura facilita grande­mente i montaggi in opera e, in genere, le operazioni di foratura sono più veloci della saldatura, soprattutto se effettuate con l'impiego di mac-

b) Preparazione a V

e) Preparazione a doppio V

Fig. 9.13 — Preparazione dei collegamenti saldati a V, a doppio V e a K.

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chine automatiche. Le strutture saldate risultano più leggere perché le sezioni dei ferri non

sono ridotte dai fori per i bulloni, ma richiede più tempo di lavorazioni.

I pilastri semplici e composti

Possiamo dividere i pilastri, che devono essere atti precipuamente al­la resistenza a compressione ed a momenti flettenti nei due tipi semplici e composti, Fig. 9.14.

Fig. 9.14 - Tipi di pilastri, semplici e composti dall'unione di più profilati.

I pilastri semplici possono eseguirsi con un tubo di diametro e spesso­re proporzionati ai carichi, con il grande vantaggio di una ottima resisten­za al carico di punta presentando la massima inerzia in funzione della quan­tità di materiale, e pari resistenza ai momenti flettenti in ogni direzione. Si ha grande leggerezza, ma costo elevato e difficoltà nelle giunzioni.

Talvolta possono essere riempiti in calcestruzzo. Oppure, ed è il siste-

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ma oggigiorno più usato, vengono utilizzate travi ad ali larghe del tipo HE per le caratteristiche statiche già accennate, abbastanza simili nelle due direzioni principali.

Fig. 9.15 - a) Pilastro a doppio T semplice; b) Pilastro tralicciato composto.

I pilastri composti si ottengono con l'unione di profilati atti a realizza­re la sezione voluta (Fig. 9.14). Possono essere ancora ad anima piena, o del tipo reticolare, o calastrellato come rappresentato nella Fig. 9.16.

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Fig. 9.16 - Pilastro calastrellato.

Unione di pilastro in acciaio con fondazione

L'unione tra un pilastro in acciaio e il plinto di fondazione in calce­struzzo è molto delicata sia perché si tratta di collegare saldamente fra loro due materiali assolutamente diversi, sia perché il punto di unione può esser sollecitato da sforzi notevoli specialmente in caso di forze orizzontali (Figg. 9.17 e 9.18).

Anzitutto è necessario saldare una grossa lastra di acciaio alla base del pilastro.

Questa lastra sarà necessariamente piuttosto estesa per ripartire sul calcestruzzo di fondazione il peso e gli sforzi trasmessi dal pilastro e dovrà essere opportunamente irrigidita con ferri piatti saldati sia alla piastra sia al pilastro.

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Fig. 9.17 - Collegamento di pilastro in acciaio con fondazione in calcestruzzo.

La piastra sarà opportunamente forata in più punti simmetrici per la­sciar passare i "tirafondi" e cioè quegli elementi di collegamento tra la pia­stra e la fondazione in calcestruzzo.

I tirafondi sono superiormente filettati e inferiormente terminano con un gancio.

Nel plinto di fondazione, durante il suo getto, vengono lasciate le "fos­sette" e cioè profonde scanalature attraversate da un ferro di aggancio.

Si infilano i tirafondi nelle fossette e li si fanno passare attraverso i fori della piastra.

Quando il pilastro è posizionato (allineato, centrato e messo a piombo) si riempiono le fossette con del calcestruzzo espansivo in modo che i tira-fondi siano annegati perfettamente nel calcestruzzo di fondazione senza possibilità di sfilarsi.

Sulla parte superiore filettata dei tirafondi si avvitano fortemente dei dadi realizzando così una completa unione tra pilastro in acciaio e fonda­zione in calcestruzzo.

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Fig. 9.18 — Attacco di pilastro in acciaio con fondazione in calcestruzzo.

Le travi

Anche questi elementi portanti, precipuamente atti a sostenere cari­chi verticali, possono venire realizzati con elementi pieni o con strutture reticolari.

Le travi di tipo più semplice per luci non elevate rimangono quelle piene, che vengono realizzate, a seconda della loro importanza e con doppi T, IPE o HE, o con trave a doppio T saldate ricavate dalla composizione di

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lamiere di vari spessori. Per usi particolari si possono anche avere travi com­poste da diversi tipi di profilati. Un tipo interessante come utilizzo, nei casi in cui si voglia aumentare notevolmente l'inerzia contenendo il peso, è il ti­po di trave alveolare ottenuta dal taglio ossiacetilenico a greca operato sull'a­nima dì un profilo normale ed il successivo ricongiungimento mediante sal­datura dei due tronchi, sfalsati di un campo, in maniera tale da aumentare l'altezza di almeno un terzo (Fig. 9.19).

Queste travi ricavate da profili IPE tagliati ad embrice a risaldati, pos­seggono, rispetto al profilato normale di pari altezza, il vantaggio di poter far ricorso ad un profilato minore a parità di carichi e sollecitazioni a fles­sione. Sono anche possibili altri tipi di taglio.

Fig. 9.19 - Travi con fori esagonali.

Quando si richiede una forte rigidità torsionale le travi vengono rea­lizzate "a cassone" al fine di dotarle di notevole inerzia anche nel senso del­l'asse non principale.

Si possono considerare come travi anche quelle particolari incavalla­ture ad altezza variabile chiamate "'capriate".

Le capriate (in legno, acciaio o calcestruzzo) sono quelle incavallature a forma triangolare composte da reticoli triangolari che costituiscono l'ossa­tura di tetti a due falde senza sostegni intermedi e che non esercitano alcuna spinta laterale sugli appoggi.

I tipi di capriate possono essere innumerevoli ed alcuni sono indicati nella Fig. 9.20.

Le capriate in ferro sono sempre più in disuso perché sostituite van­taggiosamente da travi reticolari ad altezza costante ed ancor più da travi in calcestruzzo precompresso.

Attualmente, specialmente per le grandi luci, le travi in acciaio più ti­piche e più usate sono quelle reticolari ad altezza costante (Fig. 9.21).

Capriate e travi reticolari vengono calcolate con il solito sistema del Cremona (diagramma cremoniano), del Culmann o del Ritter e sfruttano il vantaggio delle strutture reticolari di presentare nelle aste solo sforzi di

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Fig. 9.20 — Vari tipi di incavallature. 1, tipo Polonceau adatto fino a/ < 10 va;2,3, tipi adatti per l < 10;4, Polonceau per I < 20 m;25, id. per/ > 20; 5, 21, tipo inglese con diagonali tese per / < 15-25m;6, 19, corrispondenti alle precedenti con diagonali compresse; 7, 8, tipo belga con diagonali più lunghe tese; II, tipo adatto con grandi luci; 30 a 38 tipi per tetti quasi piani con altezza discreta anche agli appoggi il che diminuisce il carico sui correnti; 45, tipo con lucernario ; 46, tipo a trave semiparabolica per aviorimesse e grandi luci ; 4 7 a 56, tipi con lanternini per l'illuminazione.

trazione o di compressione, sempre che siano caricate esclusivamente sui nodi.

Normalmente sia le capriate che le travi reticolari sono realizzate me­diante la composizione di ferri angolari collegati generalmente con saldatu­ra e talvolta con bullonatura.

Sia le capriate che le travi reticolari sono simmetriche rispetto al piano dei carichi esterni, presentano quasi sempre degli elementi in lamiera, chiama­ti fazzoletti, nei nodi di unione tra le varie aste al fine di poter utilizzare un

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maggior spazio tale da essere sufficiente per eseguire la lunghezza di salda­ture o il numero dei fori necessario dal calcolo alla tenuta della giunzione. Anche in questo caso vi possono essere oltre a quelle a profili affiancati, tra­vi a cassone, di notevole dimensione anche secondo il piano ortogonale ai carichi, per sopportare adeguatamente sollecitazioni agenti anche in questo piano.

Fig. 9.21 - Schemi di travi reticolali semplici.

Le strutture reticolari sono caratterizzate da uno schema di composi­zione di triangoli, in maniera tale da assicurarne l'indeformabilità. Esiste però la possibilità di realizzare travi composte da quadrilateri e di queste la più nota è quella ideata e realizzata da Vierendeel. Questa trave (Fig. 9.22, Fig. 9.23) assai elegante nella forma e di indubbi vantaggi funzionali non è altrettanto conveniente dal punto di vista del rapporto peso-resisten­za ed è notevolmente complessa come calcolo, dato il suo notevole grado di iperstaticità.

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Fig. 9.23 - Schema di trave Vierendeel.

I posti di ristoro e rifornimento che scavalcano l'autostrada Padova-Brescia sono eseguiti con grandi travi Vierendeel in cemento armato a casso­ne anche per avere la possibilità di aprire finestre rettangolari sulle fiancate.

Strutture secondarie

Al di sopra delle capriate, al fine di sostenere le lastre di copertura atte a formare il tetto delle costruzioni, vengono posti, ad interassi assai limitati gli arcarecci o terzere.

Detti arcarecci, costituiti normalmente da travi a doppio T, o a C, o ad omega con profili in lamiera stampata, dovranno possibilmente essere posti sui nodi delle capriate o travi sottostanti al fine di non dare momenti ai cor­renti. Gli arcarecci sono sollecitati a flessione deviata a causa della loro po­sizione che segue la pendenza del tetto; vengono pressocché sempre trattati come travi appoggiate su due o più appoggi per non dare momenti torsio-nali alle strutture sottostanti.

Controventature

Al fine di rendere stabili le strutture in piani ortogonali a quelli dei ca­richi principali verticali, vengono applicate orditure secondarie atte ad assor­bire gli sforzi prodotti principalmente dalle spinte del vento (Fig. 9.24).

Fig. 9.22 - Travata semiparabolica Vierendeel.

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Fig. 9.24 - Schemi di strutture controventate in edifici multipiano.

Anche se in effetti sarebbe possibile vincolare rigidamente i nodi del­le strutture ed assimilarle a dei telai rigidi atti a sopportare sforzi derivanti da spinte di qualsiasi direzione nello spazio, risulta più economico l'introdu­zione di queste aste, disposte preferibilmente con funzione di tiranti e atte a riportare gli sforzi alle fondazioni o di rendere collaboranti le varie parti della struttura.

Si hanno cosi controventature in edifici multipiano che assimilano l'intera struttura ad una lunga mensola reticolare incastrata al terreno.

Oppure, nei capannoni, il collegamento con croci di S. Andrea sulla falda tra la prima e la seconda capriata che le legano insieme creando una grande trave che resiste alle spinte che investono frontalmente le facciate della costruzione.

In Fig. 9.25 è riportato uno schema di controventatura della coper­tura di un edificio di tipo industriale: alle controventature di falda sono affidati i compiti di assorbire le azioni del vento trasmesse dai frontoni, per trasferirle lungo le linee di gronda e trasmetterle agli altri elementi strut­turali, ed anche per collegare i correnti superiori compressi delle capriate.

I controventi verticali sono elementi rigidi che assicurano la stabilità lungo l'asse longitudinale del fabbricato; sono atti ad assorbire le azioni longitudinali e stabilizzare un sistema che altrimenti risulterebbe labile.

La costruzione

Normalmente la tendenza attuale è quella di costruire in officine, me­diante l'unione con saldature, grandi elementi trasportabili (colonne, travi,

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Fig. 9.25 - Esempi di controventatura in copertura di edifici industriali.

capriate, arcarecci) e di montarli unendoli in opera mediante bullonatura, assai più agevole da eseguire all'aperto. Solo in alcuni casi gli edifici multi-piano oggi pressocché interamente realizzati, sia per le colonne che per le travi, con doppi T preferibilmente HE (per i motivi già citati per le colon­ne e per contenere l'altezza dei solai, per le travi) si usano unioni intera­mente saldate in opera che offrono il vantaggio di una maggiore monoliti-cità e la riduzione d'ingombro dei nodi di giunzione.

Confronto acciaio calcestruzzo armato

La scelta dell'uno o dell'altro sistema costruttivo è determinata dal­l'analisi dei molteplici fattori, ognuno dei quali può assumere importanza predominante rispetto agli altri in relazione alle circostanze particolari di impiego.

Sarà compito del progettista valutare tutte le componenti del problema,

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sotto l'aspetto tecnico e sotto quello economico, e quindi procedere alla scelta del materiale più adatto per la struttura in progetto.

In alcuni casi la scelta può essere immediata: ad esempio una coper­tura di 60 m di luce sarà più conveniente realizzarla in acciaio, mentre un fabbricato per abitazione di 6 piani converrà certamente realizzarlo in calcestruzzo armato.

In altri casi la scelta non è così immediata e richiede accurate analisi tecnico economiche.

Esempio tipico è quello del fabbricato multipliano (10 15 piani) nel quale l'acciaio offre una maggiore leggerezza, un ridotto tempo di montag­gio, minori ingombri e quindi maggiori spazi utili. Dall'altro canto risulta più costoso di una struttura tradizionale in calcestruzzo armato; presenta minore resistenza al fuoco ed alla corrosione e quindi richiede adeguate pro­tezioni, che si riflettono poi sui costi.

Certamente, nel caso di produzioni in grandi serie e ripetitive di ele­menti, l'acciaio può risultare più conveniente perché permette una pre­fabbricazione completa in officine altamente automatizzate, con costi di trasformazione ridotti.

Il grattacielo Pirelli a Milano (ora sede degli uffici della Regione) è la massima costruzione in calcestruzzo oggi pensabile: quasi una sfida dei so­stenitori del calcestruzzo ai sostenitori dell'acciaio (Fig. 10.15). Si noti, pe­raltro, come la necessità di grosse strutture alla base ne ha ridotto i vani utili.

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Mises Van der Rohe - Crown Hall dell'I.I.T. - Chicago 1952. Particolare della struttura.

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Eero Saaiinen - Centro Tecnico della General Motors — 1948-1956.

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Eero Saarinen - Sede della Deere & C, realizzata in corten - 1957-1963.

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Bibliografia

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U. ZIGNOLI, Costruzioni metalliche, Torino, 1963. F MASI, La pratica delle costruzioni metalliche, Milano, 1963. C. MASSONET, Ossature piane, Bologna, 1967. ITALSIDER,L'acciaio nelle costruzioni, Roma, 1962.

L'acciaio nell'edilizia moderna, Genova, 1966. Strutture in acciaio, Genova, 1970-75.

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CAPITOLO DECIMO

IL CALCESTRUZZO ARMATO

Il calcestruzzo armato (poco appropriata, anche se più diffusa, è la locu­zione "cemento armato") è un materiale artificiale ed eterogeneo ottenuto u-nendo il conglomerato cementizio ad elementi metallici ("armature") oppor­tunamente disposti e generalmente costituiti da barre di sezione circolare.

Tale unione ha lo scopo precipuo di ripartire tra i due elementi, la resi­stenza della costruzione alle azioni che essa deve sopportare, e ciò in modo da sfruttare nella migliore misura le diverse qualità elastiche di essi: in par­ticolare la resistenza alle sollecitazioni di compressione è affidata al con­glomerato cementizio, quella agli sforzi di trazione alle armature metalli­che.

L'unione dei due materiali è praticamente possibile per le seguenti ragioni:

— il calcestruzzo di cemento ed il ferro hanno coefficienti di dilata­zione termica pressocché uguali, per cui dalla loro unione non nascono, per le variazioni di temperatura, sollecitazioni secondarie pericolose;

— i due materiali hanno reciprocamente un alto potere adesivo, per cui nella loro unione si ha una efficiente e sicura trasmissione di deforma­zioni e di sforzi tra un materiale e l'altro;

— il ferro annegato nel calcestruzzo viene ottimamente preservato dal­la ossidazione, cosicché, anche se impiegato in barre di piccola sezione, dà un affidamento di durata ben maggiore di quello che potrebbe presentare, anche con notevoli spese di protezione e di manutenzione, se fosse esposto da solo agli agenti atmosferici.

Naturalmente, perché sia possibile una giusta ripartizione degli sforzi tra i due elementi costituenti una membratura di cemento armato e perché questa possa ben resistere alle azioni a cui deve essere sottoposta, occorre non solo calcolare le sezioni dei due elementi, calcestruzzo e ferro, ma de­terminare altresì la posizione esatta che, in ogni punto della trave, deve assu­mere l'armatura metallica, onde realizzare nel complesso un elemento uni­co resistente. Ne nasce che per il progetto di una struttura in e.a. è neces­sario conoscere, con la massima esattezza, la distribuzione degli sforzi nel suo interno; a ciò sovraintende la scienza delle costruzioni, consentendo un rigoroso studio della struttura nelle condizioni di vincolo e di carico pre­viste dal progetto. A monte di tale studio, esistono peraltro alcune ipotesi semplificative, e cioè: che il calcestruzzo sia omogeneo, isotropo e che se-

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gua la legge di Hooke (proporzionalità tra sollecitazioni e deformazioni); la conservazione delle sezioni piane; l'assoluta mancanza di resistenza a tra­zione da parte del conglomerato; e un determinato valore del rapporto tra i moduli di elasticità dei due materiali1.

Per una buona riuscita di una costruzione in cemento armato è neces­sario, una volta che essa sia stata ben calcolata, che la esecuzione venga cu­rata con intelligente vigilanza affinché l'armatura abbia esattamente in ogni punto la posizione assegnatale dal calcolo. Fattori di riuscita di un'opera sono quindi il calcolo, l'esecuzione e, non meno importante, la qualità dei materiali componenti. Si comprende quindi facilmente come in siffatte co­struzioni gli "empirismi" non possano in alcun caso essere ammessi.

Cenni storici

L'uso del calcestruzzo non armato, quale conglomerato formato da im­pasto di pozzolana2, acqua, sabbia e ghiaia, si può far risalire fino ai Roma­ni, che l'adoperavano su vasta scala per fondazioni, gettate di muraglie, ed anima delle strutture.

Verso la metà del secolo XIX, in Francia e negli Stati Uniti, comincia­no a venire usati elementi strutturali in conglomerato cementizio, rinfor­zati mediante l'inserimento di barre metalliche, limitatamente alle sole fon­dazioni degli edifici. Nel 1855 il francese J.L. Lambot realizza un canotto costituito da una leggera armatura metallica rivestita in calcestruzzo. Si de­ve arrivare però al 1877 per veder nascere il primo edificio in c.a., la chiesa di St. Jean de Montmartre a Parigi, di A. de Baudot. Tra il 1901 e il 1904, T. Garnier, nella progettazione della Citè Industrielle di Parigi, anticipando di quasi vent'anni un linguaggio architettonico che sarà abituale nel perio­do razionalista, adotta per gli edifici gli schemi basati sul reticolo struttu­rale, rinunciando ad ogni sovrapposizione decorativa.

E' il francese A. Perret però che per primo sfrutta le possibilità delle strutture a scheletro in e.a., nel 1903, per risolvere le difficoltà planime­triche della casa al 25bis di rue Franklin a Parigi, ponendo cosi le premesse della moderna struttura edilizia (Fig. 10:1).

Strutture più complesse vengono affrontate con la costruzione di pon­ti. Lo svizzero R. Maillart nei suoi caratteristici ponti (famoso quello sul Reno a Tavanasa del 1905) evidenzia il comportamento elastico unitario delle strutture fondendo intimamente impalcato, pilastri ed archi (Fig. 10.2). Dal ponte Risorgimento a Roma nel 1911, di 100 m di luce, si arri-

1A norma del punto 3.1.1 del D.M. 26 marzo 1980 il rapporto di elasticità tra calcestruzzo ed acciaio è n = 15. (coefficiente di omogeneizzazione).

2La pozzolana è una varietà di tufo incoerente formata per disaggregazione di scorie laviche. Ridotta in polvere ed unita alla calce aerea rende questa capace di far presa e le conferisce la proprie-' tà di essere un legante idraulico.

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Fig. 10.1 - Auguste Perret - Casa in Rue Franklin, n. 25bis - Parigi 1903.

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Fig. 10.2 - R. Maillart, Klosters, viadotto sulla Landquart, 1930, sezione, pianta.

Fig. 10.3 - R. Morandi — Viadotto sul Polcevera.

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va nel 1930 ai 172 m del viadotto di Plougaste, in Bretagna, del Freyssinet, e nel 1960-1967 ai ponti di Riccardo Morandi, quali il viadotto sul Polcevera a Genova, Fig. 10.3 (m 207), il ponte sul Fiumarella a Catanzaro (il maggio­re d'Italia con il suo arco di 231 m) e il grandioso ponte sulla baia di Mara­caibo in Venezuela (m 235)(Fig. 10.4 e 10.5). Il massimo arco in c.a. è oggi quello del ponte di Gladesville sul Parramatta (Sidney), la cui luce libera è di m 304.

Altra tappa fra le più significative nella storia delle strutture in c.a. è rappresentata dalla nascita e lo sviluppo dei "pilastri a fungo" (pilastri la cui estremità superiore ha la forma di un tronco di cono o di un tronco di piràmide, così da formare un sistema solidale con il solaio sovrastante: la struttura che ne deriva è anche indicata con il nome di "solaio a fungo"). Queste strutture vengono adottate in particolare per sopportare forti cari­chi con pochi pilastri: il ringrossamento terminale ha infatti la funzione di evitare il punzonamelo3 del solaio, che nei casi normali verrebbe prodot­to dall'eccessivo sforzo di taglio presente lungo il perimetro di contatto tra pilastro e solaio.

Tale sistema costruttivo, brevettato nel 1908 dallo svizzero Robert Maillart dopo lunghe prove sperimentali per sviluppare le virtualità tecni­che latenti nel cemento armato, è stato dallo stesso applicato per la prima volta in un magazzino a Zurigo nel 1910, e poi via via da quasi tutti i mag­giori architetti, per le particolari realizzazioni architettoniche a cui si pre­stava. Ricordiamo semplicemente in questa sede, perché veramente degni di menzione, gli Uffici Johnson a Racine di F. LI. Wright, del 1936-39,(fi-gura 10.6) e i famosi pilastri parzialmente in acciaio del Palazzo del Lavoro di Torino, realizzato da P.L. Nervi per l'Esposizione Italia '61,(Figg. 10.7 e 10.8).

Intanto l'uso del cemento armato va generalizzandosi anche nel cam­po dell'edilizia corrente. Nel 1916 Wright realizza l'Albergo Imperiale di Tokyo, che resisterà al disastroso terremoto del 1923, dimostrando l'otti­mo comportamento e l'utile applicazione delle strutture in c.a. nelle cosid­dette "zone sismiche". Quasi contemporaneamente Le Corbusier presen­ta il progetto delle case Dom-Ino, a ossatura modulare cementizia, ponendo le premesse per l'attuazione della pianta libera. E nel 1928-31 realizza (in collaborazione con P. Jeanneret) quello che può definirsi il suo capolavoro, la villa Savoye a Poissy, poggiando su esili pilotis un parallelepipedo i cui spazi interni sono appunto articolati in piena libertà, (Fig. 10.9).

Qualche anno prima, nel 1925-26, il tedesco Walter Gropius adotta la struttura in cemento armato per gli edifici della Bauhaus a Dessay, condi­zionandone l'uso in base agli schemi statici ed alle esigenze funzionali, sen­za dare alcuna particolare caratterizzazione ai singoli elementi costruttivi.

3Per punzonamento si intende il rapporto p = P/l x S (espresso in kg/cm2), in cui P è il carico totale gravante sul pilastro, L il perimetro del pilastro stesso e S lo spessore del solaio sovrastante.

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Fig. 10.5 - Ponte a Maracaibo di R. Morandi — Particolare di un pilone in fase di costruzione.