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1 Elezioni Amministrative 2011 nel Lazio ANALISI DEL VOTO

Elezioni Amministrative 2011 nel Lazio ANALISI DEL VOTO · amministrative manchi il dato fondamentale della città di Roma e, sebbene non vi siano comuni superiori ai 15.000 abitanti

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Elezioni Amministrative

2011 nel Lazio

ANALISI DEL VOTO

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INDICE:

Abbiamo vinto o perso?.....................................................................................................p.3 Una crisi di sistema, ovvero l'esplosione della frammentazione........................................p.5

Le liste civiche fra conflittualità interna ai partiti, antipolitica e civismo............................p.10

I ballottaggi, ovvero come ritrovammo il popolo dell'Ulivo...............................................p.14 Se in Provincia di Roma il centrosinistra conserva amministrazioni ma perde voti.........p.14

Conclusioni: tendenze in atto e indicazioni per i Giovani Democratici e per il PD del Lazio..........................................................................................................................p.16

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Abbiamo vinto o perso?

Il centrosinistra e il PD nel Lazio vengono da tre anni di sconfitte a livello amministrativo.

Questo dato, inequivocabile, non è affatto marginale per il PD di questa Regione, perché

per anni abbiamo governato il Lazio e quasi tutte le sue province. Nella Capitale abbiamo

chiuso solo tre anni fa un ciclo importante di governo che ha cambiato nel profondo Roma,

governavamo la Provincia di Viterbo, di Rieti, di Frosinone e di Roma. Insomma, il

centrosinistra non ha mai svolto un ruolo di secondo piano in questa Regione, e nella fase

più accesa del berlusconismo è stata protagonista indiscussa delle vicende politiche

regionali. Non siamo mai stati marginali, abbiamo un radicamento storico in alcune realtà

strategiche del Lazio, e nei nostri momenti migliori, come a cavallo degli anni 2000, questo

radicamento si è poi tramutato in una capacità egemonica. Forse non siamo riusciti a

risolvere i nodi della questione laziale, però siamo stati in grado di indirizzare alcuni

processi.

Adesso la situazione è chiaramente di empasse e coincide con una fase molto difficile del

governo nazionale. Il centrodestra ha riconquistato Roma e molte province, ma non

sembra nelle condizioni di dare vita ad un lungo ciclo di governo; soffre dell'assenza di un

progetto strategico, di un governo nazionale in cui riemerge costantemente una tensione

fra Nord e Sud del paese, di conflittualità acutissime fra livelli istituzionali diversi e

all'interno delle singole amministrazioni. Esemplare la vicenda dello spostamento dei

ministeri al Nord, o il tormentone del pedaggio sul GRA, ma anche le continue minacce da

parte dei Presidenti di Provincia di Latina e Frosinone di una secessione del sud della

Regione.

Il centrosinistra allo stesso tempo non è in buone condizioni: la nascita del PD ha portato

nel Lazio, più che in altre Regioni, ad un contraccolpo fortissimo, forse perché si era

esaurito un ciclo di governo o forse perché improvvisamente la dirigenza nazionale

coincideva in gran parte con il gruppo dirigente che aveva governato a lungo Roma,

oppure perché quel ciclo non aveva costruito le condizioni per un ricambio della classe

dirigente. Fatto sta che per gli ultimi anni il PD è stato un partito di opposizione debole, in

cui gli amministratori hanno assunto un peso decisionale spropositato, privo della capacità

di elaborare un'analisi sugli anni di governo del centrosinistra e sulle trasformazioni della

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società. Le altre forze del centrosinistra, prive di una rappresentanza parlamentare, si

sono trovate disorientate e alla ricerca di un nuovo spazio politico nell'assenza di quel

vivace movimentismo che le aveva animate nei primi anni 2000 e senza il traino del partito

maggiore della coalizione.

Su questo scenario si innestano le ultime amministrative.

Queste elezioni amministrative rappresentano la tornata elettorale più importante di questi

ultimi anni nel Lazio, con 111 comuni che sono andati al voto su 378, quasi il 30%. Hanno

rinnovato i Consigli Comunali un solo capoluogo di provincia, Latina, e alcuni comuni

importanti come Cassino, Mentana, Pomezia, ecc.

L’analisi del voto che vogliamo condurre in questa sede è limitata ai 12 comuni del Lazio

con popolazione superiore ai 15.000 abitanti che sono andati al voto in questa tornata

elettorale (Alatri, Cassino, Sora, Latina, Terracina, Mentana, Ariccia, Ciampino, Marino,

Genzano, Pomezia, Colleferro). La ragione di ciò risiede, oltre che nell’esigenza di

semplificare il lavoro, nella difficoltà oggettiva, se non nell’impossibilità, di ricavare

deduzioni sufficientemente fondate dai dati del voto dei 99 comuni sotto i 15.000 abitanti.

Di convesso, la presenza delle liste di partito e la maggiore dimensione demografica,

consentono di osservare un voto di natura più politica, meno legato a specifiche situazioni

territoriali: nei piccoli centri un maggiore o un minor numero di preferenze raccolto dai

candidati di un partito non è assimilabile tout court ad un più o meno favorevole voto

politico al partito in quanto tale.

Inoltre, sebbene ai fini di una significatività regionale dei risultati di questo turno di

amministrative manchi il dato fondamentale della città di Roma e, sebbene non vi siano

comuni superiori ai 15.000 abitanti andati al voto per le Province di Rieti e di Viterbo, le

elezioni amministrative in questi 12 comuni hanno chiamato al voto 396.392 persone

(aventi diritto), pari a circa l’8,4% degli aventi diritto nel Lazio intero (4.722.155). Consci

dei limiti di quest’analisi, che andrebbe opportunamente integrata almeno con uno studio

dei piccoli comuni e dei risultati dei candidati under 35 al consiglio comunale, siamo certi

che possa fornire informazioni fondamentali per orientare l’azione del PD e dei GD del

Lazio.

Dei 12 comuni sopra i 15.000 abitanti che andavano al voto, 4 erano quelli amministrati dal

centrosinistra prima di questa tornata elettorale. Oggi sono 7: abbiamo strappato al

centrodestra Mentana, Cassino e Alatri, perdendo però Sora; abbiamo riconfermato

Pomezia con il sindaco uscente, nonché, eleggendo nuovi sindaci, Ciampino, Ariccia e

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Genzano. Il dato sembra positivo.

È l'inizio di una inversione di tendenza? Abbiamo il vento in poppa? Non possiamo dirlo.

Lo scenario è ancora aperto: le criticità sono molto forti per il centrodestra, ma anche noi

soffriamo di gravi incapacità. Se ad esempio si guarda ai risultati delle liste PD, il quadro

che ne esce è sicuramente desolante. Il PD in quasi nessun comune della Provincia di

Roma, eccetto Ciampino, supera il 20%; in Provincia di Latina, né a Terracina, né a Latina,

raggiunge il 20% (anche se Latina è l'unico comune dove il voto alla lista del PD cresce

rispetto alle regionali), in Provincia di Frosinone talvolta raggiunge percentuali

imbarazzanti (il 2,5% a Sora e il 4% a Cassino).

Per questo è necessaria una seria ed approfondita analisi del voto che vada oltre la

domanda “abbiamo vinto o perso?”, così da consegnare ai GD e al PD una solida base

informativa che aiuti a meglio definire il lavoro dei prossimi anni e a superare le criticità

che emergono. Serve al partito, che ne ha bisogno per uscire da una fase molto difficile

che ha portato al suo commissariamento, e che non può permettersi un altro congresso di

conta interna fra aree politiche. Questo congresso ha bisogno di ragionare su un progetto

strategico per il Lazio che si misuri con i suoi problemi e la sua storia.

Una crisi di sistema, ovvero l'esplosione della frammentazione

Nella scorsa tornata elettorale, ed in definitiva in questi ultimi quindici anni, si era

consolidato un bipolarismo di fondo del sistema politico, con alcune eccezioni (Cassino,

Colleferro, Ariccia, Marino, Genzano, Mentana). Le fratture interne agli schieramenti erano

comunque ridotte e spesso si ricomponevano ai ballottaggi con gli apparentamenti.

In questo caso invece abbiamo assistito ad una vera e propria esplosione delle coalizioni

che hanno fatto la storia politica di questo quindicennio del paese. La divisione su

dinamiche territoriali è stata la prassi, la convergenza l'eccezione. Il centrodestra si è

presentato diviso a Cassino, Sora, Alatri, Pomezia, Terracina; il centrosinistra a Cassino,

Sora, Alatri, Terracina, Colleferro, Ciampino, Mentana, Genzano, Marino. Il nostro campo

si é presentato unito solo a Latina e ad Ariccia.

Quindi in particolare il centrosinistra, ovvero l'opposizione a livello nazionale e regionale, si

è presentato diviso, a conferma che dopo l'Unione il campo della sinistra laziale si è

frammentato. Non vi è più una coalizione che possa fare da cabina di regia per le elezioni

amministrative. La fine dell'Unione, che poi era lo schema su cui avevamo governato

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questa Regione negli anni scorsi, si è spesso intersecata con le divisioni interne del Partito

Democratico. Pezzi di PD sono stati l'asse più forte delle coalizioni contrapposte a

conferma che, comunque anche divisi al nostro interno, siamo la forza coalizionale per

eccellenza.

Ci siamo presentati in liste contrapposte a Mentana, Colleferro, Cassino, Sora e Genzano

e in ognuno di questi casi ogni pezzo di PD è stato in grado di costruire intorno a sé una

coalizione che raggruppasse diversi partiti di sinistra. Nel caso di Cassino e Mentana si

riesce a coinvolgere l'UDC in un progetto comune, cedendo loro la possibilità di esprimere

il candidato a sindaco. Quali sono i motivi più evidenti della divisione interna al PD?

Possiamo dire che talvolta il problema è stata più la scelta del candidato sindaco, come a

Genzano, Sora o Colleferro, talvolta più la coalizione, come a Mentana o Cassino.

In verità, le divisioni interne spesso sono incrostate da anni, e si nutrono di dinamiche

prettamente territoriali, ma una certa legittimità è venuta anche dalle aree politiche

regionali che l'hanno nutrita ed alimentata negli anni, in funzione di un consenso in chiave

elettorale o congressuale. È mancata la capacità e la forza dei livelli superiori di intervenire

e trovare, o imporre, una mediazione politica in grado di tenere unito il partito, in parte per

la tardività degli interventi, in parte per le dinamiche interne al partito fatte di veti

contrapposti, nonostante la maggior parte dei Congressi delle Federazioni del Lazio

conclusi nell'autunno scorso abbiano consegnato un rinnovato quadro unitario.

C'è da dire però anche una cosa: nel 2006 in vari comuni (Colleferro, Ariccia, Marino e

Cassino) il centrosinistra si presentava già diviso, con DS e Margherita su fronti

contrapposti, e questo indica che il PD si è innestato in una situazione che non sempre

vedeva i suoi partiti fondatori lavorare di comune accordo nei territori. Certo, questo vuol

dire anche che in questi anni la conflittualità interna al PD non solo non ha permesso di

riassorbire queste divisioni, ma anzi le ha amplificate e spesso esacerbate in un'incertezza

complessiva rispetto alla linea politica regionale, alla coalizione, agli strumenti di selezione

dei candidati a sindaco.

Nel centrodestra la frammentazione assume più l'aspetto della competizione fra liste

civiche alternative promosse da pezzi della PDL (assessori, consiglieri regionali, ecc.), che

non quello della divisione su candidati sindaci diversi: a Latina, Cassino, Colleferro sono

davvero numerose le liste a sostegno dell'unico candidato sindaco di centrodestra, tanto

da risultare numericamente decisive per la sua elezione. Questo aspetto se ha rafforzato il

centrodestra per il numero di candidati al consiglio comunale, in un quadro di oggettiva

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personalizzazione dello scontro elettorale, lo ha anche probabilmente penalizzato laddove

si è andati al ballottaggio.

Il centrodestra al governo viene penalizzato dalla sua stessa immagine di partito di

plastica. L'assenza di un dibattito interno provoca la necessità da parte di ogni singola

componente di quantificare il proprio peso elettorale, in vista di future trattative sulle giunte

comunali o su altre partite. Inoltre è evidente l'insofferenza da parte di alcuni esponenti del

PDL regionale, determinata dalla scelta compiuta al momento della composizione della

giunta in Regione. Il mancato inserimento in giunta di rappresentanti delle Province di

Latina e Frosinone, le quali hanno contribuito in maniera determinante alla vittoria del

centrodestra alle ultime elezioni regionali, ha creato un pesante sbilanciamento in favore

del PDL romano.

Due casi sono particolarmente significativi per quanto riguarda la frammentazione nel

centrodestra, poiché trascendono dalle divisioni strettamente localistiche, diventando spie

di un conflitto interno sul livello regionale e nazionale. Sono i casi della lista civica, di

carattere regionale, “Città nuove con te”, promossa dalla Presidente della Regione Lazio

Polverini, e della lista di carattere nazionale, Forza del Sud, figlia del nuovo autonomismo

forzista di Micciché.

“Città nuove” rappresenta il tentativo parzialmente riuscito della Polverini di smarcarsi dalla

sua stessa coalizione ed acquisire una sua autonomia e un suo personale radicamento

cercando di sfruttare il malcontento verso il centrodestra e il suo ruolo di potere in

Regione. “Città Nuove” si presenta a Terracina (9%), Sora (8%) e Pomezia (2%) con suoi

candidati a sindaco, a Latina (8,9%) all'interno della coalizione di centrodestra; a Sora e

Terracina raggiunge il ballottaggio contro il candidato del PDL senza però riuscire ad

eleggere il sindaco. Forza del Sud ottiene invece ottimi risultati nella coalizione di

centrodestra a Colleferro (12%), e a Cassino (5%) dove si presenta col suo candidato

sindaco, a Sora (5%) dove sostiene il candidato della Polverini.

L’UDC è l’elemento più instabile nel quadro politico: in soli 5 comuni si è presentata con il

centrodestra in versione classica, mentre in 3 comuni è stata parte di una coalizione di

centrosinistra (Cassino, Mentana, Ciampino), e in due comuni (Pomezia e Ariccia) era

schierata in una prospettiva terzista, a Sora sosteneva il candidato della Polverini, e ad

Alatri insieme a Sel ha sostenuto un civico di centrosinistra, anche se in questo comune

entrambi questi partiti hanno riscontrato un consenso molto basso (UDC 3%, Sel 1,5%).

A Cassino l’UDC insieme al PD e a FLI sosteneva un candidato centrista, Iris Volante.

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Quello che si rileva è che l’UDC è la forza trainante di questa coalizione (PD 4%, UDC

10,35%). Tuttavia la candidata non riesce ad essere un valore aggiunto per la lista,

considerando che la differenza tra candidato e le liste che lo sostengono è negativa: -636

voti. Si potrebbe ipotizzare (non vi è nessun mezzo per accertarlo) un voto disgiunto della

maggior parte degli elettori della lista del PD verso Petrarcone, il candidato IDV sostenuto

dalla lista “dissidente” del PD a Cassino. Per valutare se l’alleanza con l’UDC sia stata

decisiva sul piano strettamente numerico per strappare la città al centrodestra dobbiamo

rispondere alla domanda: cosa sarebbe successo se l’UDC si fosse presentata con la

coalizione di centrodestra guidata da Palombo? Considerato che Volante, come già detto,

non ha portato nessun valore aggiunto alla coalizione rispetto alle liste che la

sostenevano, procediamo a sommare i voti dell’UDC (2.536) a quelli presi da Palombo

(9.066). I 11.602 voti così ottenuti, pari al 47,37% dei voti validi, non avrebbero consentito

al centrodestra di vincere al primo turno. Anche aggiungendo, per pura ipotesi, i voti di FLI,

il ballottaggio non si sarebbe evitato. Nella sola ipotesi che almeno il 67% dei voti della

lista civica “progetto comune” di sostegno a Volante si sarebbero spostati su Palombo, in

seguito allo spostamento dell’UDC, il centrodestra si sarebbe confermato al primo turno al

governo della città. Tuttavia, considerato che anche presentandosi compatto pure il

centrosinistra, come il centrodestra, non sarebbe stato sufficiente a vincere al primo turno,

diviene fondamentale rispondere ad una seconda domanda: sono stati, dunque, i voti

dell’UDC fondamentali per la vittoria del centrosinistra al ballottaggio? Dal punto di vista

metodologico, il calcolo numerico appare molto semplice e può portare ad una conferma

rispetto alla domanda.

Vi è però una complessità sulle scelte politiche e strategiche che hanno portato ad un

estrema frammentazione che non si può raccogliere banalmente separando il dato della

coalizione costruita intorno ad Iris Volante e quella di Giuseppe Golini Petrarcone,

raffrontando i dati tra il primo e il secondo turno, rispetto al dato del centrodestra.

Questo perché l’eccessiva esplosione delle liste porta con sé una difficoltà oggettiva

nell’analizzare solo i numeri, a posteriori, sapendo che a seconda di alcune scelte di

alcune forze determinanti le coalizione sarebbero state diverse da quelle che abbiamo

conosciuto.

Certo è che la scelta del Pd di arrestare la possibilità di un grande accordo centrodestra-

Udc ha consentito all’attuale Sindaco di Cassino di arrivare al ballottaggio.

Certo è che preso il dato sul voto al candidato Petrarcone, è evidente che vi è stato un

forte consenso intorno alla sua figura, che ha rappresentato probabilmente, per i cittadini,

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una netta discontinuità con il centrodestra al governo della città; inoltre, è utile ricordare

che Petrarcone rappresenta l’immagine del buon governo del centrosinistra a Cassino ed

una stagione di vittorie del centrosinistra che ha governato la Provincia di Frosinone.

A Ciampino invece un UDC all’8% non sembra strettamente determinante sul piano

numerico per la vittoria al primo turno di Lupi.

Più complesso da valutare è il caso di Mentana, poiché qui il candidato della coalizione

sostenuta dalla lista PD ufficiale, che arriverà al ballottaggio e lo vincerà, Lodi, è espresso

dall’UDC. Il resto del centrosinistra con un pezzo consistente dei democratici decide di

sostenere Rotolo, la candidata alle primarie di coalizione che erano state indette

precedentemente alla decisione del Pd del Lazio di commissariare il Circolo locale e

imporre l’alleanza con i centristi.

La rilevanza dell’UDC in questo caso è certamente politica, appunto in quanto partito che

ha espresso il candidato sindaco che raggiunge il ballottaggio e lo vince, sebbene Lodi

sembra non aver dato nessun significativo apporto aggiuntivo alla coalizione,

considerando che la differenza tra il candidato e le liste che lo sostengono è di soli 54 voti.

Qui l’UDC sembra però fondamentale anche dal punto di vista numerico per portare il

centrosinistra al governo della città se si considera che la somma dei voti ottenuti da

Rotolo (1910), dalla lista del PD (1579) e dell’IDV (176) e dal candidato civico Benedetti

(1003), ascrivibile all’area del centrosinistra (e più in specifico al PD), rappresenta il

41,60% dei voti validi. L’11,09% dei voti validi conseguito dalla lista UDC risulta allora

decisivo. E se si considerano anche i 54 voti al solo Lodi e i 421 della lista civica a suo

sostegno, la decisione del PD di allearsi con l’UDC porta in dote al centrosinistra nel suo

complesso il 15,32% dei voti validi. È molto probabile che al ballottaggio si sia verificata

una convergenza di questo tipo su Lodi, cosa appurabile solo attraverso una stima dei

flussi elettorali tra il primo e il secondo turno.

Al di là del grado di incidenza di un'alleanza del centrosinistra con l’UDC per raggiungere il

governo delle città, che è diversa comune per comune, comunque il dato politico che

emerge è che, nonostante l’UDC governi la Regione Lazio insieme al centrodestra, in

queste amministrative non si è ricostruita la coalizione che aveva permesso alla Polverini

di vincere anche solo l’anno scorso. È un fatto politico rilevante, che in 7 comuni su 12

l’Udc si sia distaccata dal PDL, e questo creerà non pochi problemi al governo regionale

nei prossimi anni. Così come sta accadendo sul livello nazionale, l’UDC si colloca in una

prospettiva autonoma sia rispetto al centrodestra che al centrosinistra, nonostante una

legge elettorale nei comuni di tipo sostanzialmente bipolare.

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Concludiamo questo paragrafo volgendo l’attenzione al neonato soggetto di Fini,

protagonista della spaccatura del PDL al livello nazionale. FLI è presente in otto comuni su

dodici, e solo in uno di essi (Genzano, dove tutto il centrodestra è compatto) in coalizione

con il PDL, altrimenti prevalentemente da solo (in due comuni, Pomezia e Ariccia, in una

prospettiva centrista, con UDC; a Cassino nella coalizione di Volante). Ottiene risultati

compresi in un campo di variazione che va dallo 0,9 per cento di Latina al 3,5 di Mentana,

dove presentava un suo candidato sindaco. Il dato complessivamente è deludente, segno

che anche i gruppi dirigenti territoriali delusi dal PDL e provenienti da quella storia politica

non hanno visto solidità nel progetto di FLI.

Le liste civiche fra conflittualità interna ai partiti, antipolitica e civismo

L’impressionante crescita numerica ed elettorale delle liste civiche è, insieme alla

frammentazione del quadro politico, l’altro dato fondamentale di questa tornata elettorale,

ed in una buona misura ne rappresenta l’altra faccia della medaglia. Sicuramente

possiamo distinguere fra diversi esempi di liste civiche: quelle direttamente legate al

sindaco e che tentano esclusivamente di allargare il consenso intorno al candidato rispetto

a settori della società civile, quelle espressione di pezzi di partito che non trovano spazio

nella lista ufficiale o che puntano a pesarsi in maniera autonoma e strutturata, quelle

realmente frutto di un progetto civico al di fuori dei partiti. Nel 2006 erano

complessivamente 60 liste, oggi sono 111; 32 a sostegno di candidati del PDL, 13 a

sostegno di candidati del PD.

È necessaria una premessa metodologica: nel seguito escluderemo dal computo delle

civiche “Città nuove per te”, le 5 liste civiche dei “dissidenti” del PD e, in provincia di

Latina, Nuova Area, un pezzo di PDL fuoriuscito già in occasione delle provinciali 2009. Il

che porta le liste civiche presentate nei 12 comuni in esame da 111 a 101. Occorre

precisare, inoltre, che non sono considerate civiche il “movimento 5 stelle” di Beppe Grillo

e Forza del Sud di Micciché.

In tal modo il dato delle civiche risulta epurato da un voto sufficientemente caratterizzato

politicamente da poter essere assimilato al voto partitico. A rigore, come abbiamo escluso

dalle civiche le liste presentate da pezzi del PD che non hanno seguito la linea ufficiale del

Partito, così avremmo dovuto escludere quelle liste civiche riconducibili a pezzi di PDL che

avevano esigenza di “contarsi”. Tuttavia, oltre all’impossibilità di chi scrive di essere a

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conoscenza delle dinamiche interne al PDL su ogni singolo comune, l’esperienza insegna

che generalmente il voto al PDL al livello amministrativo è un voto poco politico e molto

personalizzato e legato a particolarismi.

Il dato così ottenuto ci da, dunque, una misura del grado di conflitto interno al

centrodestra.

Se, ad esempio, in un certo comune l’incidenza delle liste civiche sul totale dei voti di lista

è elevata, ed è imputabile per la maggior parte a liste civiche che si muovono nell’area di

centrodestra, lì è più plausibile che il conflitto interno al PDL sia più elevato. In

corrispondenza di questi casi si osserveranno anche valori abbastanza contenuti delle liste

PDL ufficiali.

Oltre l’incremento del numero di liste civiche presentate, ciò che sorprende è la loro

impetuosa crescita in termini elettorali: una quota crescente del voto di lista espresso va a

liste civiche e non ai partiti: si va dalle percentuali anomale registrate in provincia di

Frosinone (ad Alatri rappresentano oltre il 55% del voto complessivo dato alle liste, a

Cassino oltre il 51% e a Sora il 45%) a quelle più contenute, ma comunque alte, delle

altre due province (dato più basso Colleferro 14,5%, dato più alto Ariccia: 41,31%, il resto

dei comuni si aggira tra i 20 e i 30 punti percentuali, tranne Marino 35%).

Per i motivi già precedentemente esposti riguardo alla frammentazione del quadro politico

e alla conflittualità interna ai partiti, nonché per le caratteristiche proprie del voto nelle

competizioni amministrative, sarebbe populistico e fuorviante concludere sic et sempliciter

che i partiti stiano vivendo una crisi di rappresentatività. Tuttavia, anche laddove il dato

delle liste civiche non è prevalentemente “inquinato” da pezzi di partiti, esso rimane alto,

tanto che una riflessione in proposito si impone.

Tra le liste civiche sembra siano quelle riferibili al centrodestra a mostrare un maggior

peso elettorale.

Pur non considerando le liste direttamente collegate al candidato sindaco, a Cassino quasi

il 71%, Sora quasi il 75% e a Colleferro quasi il 70% del voto dato alle civiche è a liste

dichiaratamente di centrodestra, mentre questo dato scende sotto il 50% nel resto dei

comuni (con percentuali comunque elevate ad Ariccia e Marino, dove si tocca il 48%).

Solamente a Genzano la frammentazione del centrosinistra in tre candidati ha moltiplicato

l'effetto lista civica, con il 50% circa dei voti civici su liste di centrosinistra. Nel centrodestra

in alcuni casi la loro affermazione è risultata decisiva per il risultato finale, come a Latina

dove altrimenti saremmo stati di fronte a un probabile ballottaggio dall'esito molto incerto.

Sono i due partiti principali, PD e PDL, ad aver perso molti voti a favore delle civiche.

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Il dato è in parte fisiologico, perché il voto ai partiti maggiori è sempre meno

d'appartenenza rispetto a quello ai partiti minori, ma stavolta la sua consistenza fa

pensare a qualcosa di più.

Forse siamo sul crinale di una frontiera, in cui questi processi sono da una parte simbolo

di antipolitica, cioè di una sfiducia nei partiti e nella politica sempre crescente, e dall'altra di

un rinnovato civismo, per cui pezzi di società civile scendono direttamente in campo per

dare un contributo piuttosto che rifugiarsi nel non voto. C'è da chiedersi se i partiti in questi

anni siano stati in grado di farsi promotori di progettualità sui comuni, e se abbiano saputo

far sistema fra livelli diversi (regione, provincia, comune), oppure se sia prevalso il

campanilismo tipico della peggiore tradizione politica italiana, che piuttosto che affidarsi a

sinergie e visioni più ampie si affida puramente al sindacalismo di territorio se non talvolta

addirittura a specifici interessi locali. Solamente la prima prospettiva è in grado di

assicurare egemonia politica e cicli lunghi di governo, la seconda porta necessariamente

ad uno stallo politico e sommerge in fretta i suoi attori, affogata dalle sue innumerevoli

contraddizioni.

Per quanto riguarda il centrodestra, abbiamo già detto come le cause dell’incremento, in

termini numerici ed elettorali, delle liste civiche siano ascrivibili in buona parte alle lotte

intestine al PDL.

Per ciò che concerne il centrosinistra, il fenomeno è diverso. Questo spostamento di voti a

favore delle liste civiche emerge con eloquenza se si raffronta la somma dei voti conseguiti

dal 2006 da DS e Margherita, con il dato del PD nel 2011, comprensivo delle 5 liste

alternative di democratici.

TAV.

Comuni in voti assoluti In percentuale

DS+DL 2006 PD 2011 2011 - 2006 DS+DL 2006 PD 2011 2011 – 2006

ALATRI 3169 1896 -1273 17,7 10,6 -7,1

CASSINO 3481 2577 -904 14,5 10,8 -3,7

SORA 3781 1542 -2239 21,3 8,8 -12,5

LATINA 11991 14070 2079 16,1 18,7 2,6

TERRACINA 5752 2784 -2968 21,7 10,8 -10,9

ARICCIA 1943 2286 343 17,7 21,5 3,8

CIAMPINO 8744 6163 -2581 39,5 30 -9,5

COLLEFERRO 2940 2690 -250 21,9 20,7 -1,2

GENZANO 7663 4068 -3595 58,3 32,4 -25,9

MARINO 4563 2685 -1878 22,4 12,6 -9,8

MENTANA 2.221 2716 495 21,5 24,97 3,5

POMEZIA 6754 4918 -1836 22,9 16,3 -6,6

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I flussi che seguono il raffronto sono negativi sia in termini assoluti (nonostante che la

platea degli aventi diritto si sia ampliata significativamente) sia in termini percentuali tranne

che nei tre casi di Latina, di Ariccia e di Mentana, dove il PD cresce rispetto ai due partiti

fondatori. La perdita è ovunque consistente, ma in alcuni comuni raggiunge dimensioni

allarmanti: a Genzano perdiamo quasi 4600 voti rispetto al 2006 (circa 26 punti

percentuale in meno), a Sora oltre 2200 (-12,5 punti percentuale), a Terracina, Ciampino e

Marino la perdita si aggira intorno a dieci punti percentuali in meno rispetto al 2006. Il

flusso è negativo anche rispetto alle regionali 2010. L'aspetto interessante, però, è che

non si osserva una significativa crescita parallela in termini assoluti né del centrodestra né

dei partiti minori del centrosinistra (e per questi ultimi neanche in termini relativi). Detto in

altri termini, l'elettorato di DS e Margherita nel 2006, se solo in parte nel 2011 ha votato

PD, per un’altra consistente parte non si è né affidato al PDL, né ha ripiegato su SEL, IDV,

Rifondazione, ma si è riversato su liste civiche comunque ascrivibili all’area del

centrosinistra.

Anche lì dove vi è un altro candidato di centrosinistra in antagonismo con quello sostenuto

dal PD “ufficiale”, e dove questo raggiunge percentuali rilevanti, come a Cassino,

Petrarcone, o, a Colleferro, Gessi, le liste dei partiti minori del centrosinistra che lo

sostengono si attestano su livelli di consenso molto bassi (a Cassino con Petrarcone

vincente, l'IDV è al 3%, SEL al 2,5%, RC all'1%), mentre le liste dei vari fuoriusciti del PD,

non solo le “5 dissidenti”, ottengono buone affermazioni (6% a Cassino, 6% a Sora, 22%

complessivamente a Genzano, 10% a Mentana, 9,5% a Colleferro). Questo dato conferma

ciò che l’esperienza ci mostra: che gli altri partiti del centrosinistra presentano uno scarso

radicamento, ovvero non hanno una classe dirigente diffusa sul territorio riconosciuta dai

cittadini e non sono riusciti a costruirla in questi anni di difficoltà del PD, e che i fuoriusciti

dal PD spesso sono stati riconosciuti dai cittadini come il baricentro delle coalizioni

alternative. Insomma, lo spazio politico potenziale del PD è rimasto inalterato, e questo

significa che ci sono ampi margini di espansione elettorale; così come succede a livello

nazionale, il nostro partito è l'asse portante del centrosinistra e chiunque voglia costruire

un'alternativa in questo paese, che sia a livello comunale, regionale o nazionale, deve

passare per il Partito Democratico.

Tuttavia il PD deve fare un’attenta riflessione del perché una parte consistente di quello

che era il suo bacino elettorale naturale sul livello locale si è rivolte prevalentemente verso

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liste civiche. Si tratta di capire comune per comune le cause e le esigenze che le hanno

fatte nascere, perché spesso il loro successo è figlio di un fallimento del Partito

Democratico (Sora, Cassino, Genzano, Colleferro).

In ogni caso, però, questo dato porta con sé alcuni elementi di possibile risveglio. Le liste

civiche ascrivibili al centrosinistra, che hanno cercato nel civismo quella rappresentanza

che non trovavano nei partiti, possono essere una risorsa, anche perché questo fenomeno

comunque non si è mai tramutato in un trasformismo verso il centrodestra. Anche qui,

comune per comune, bisogna studiare in maniera approfondita modi di coinvolgimento e di

partecipazione per reintegrare queste potenzialità nell’orbita del partito.

I ballottaggi, ovvero come ritrovammo il popolo dell'Ulivo

Su otto ballottaggi, ne abbiamo vinti sei. Quelli che potevamo vincere, visto che Sora e

Terracina erano caratterizzati da uno scontro interno al centrodestra. A Cassino, Alatri,

Mentana, abbiamo ribaltato il risultato del primo turno.

L'euforia della vittoria nazionale alle amministrative avrà avuto le sue ricadute politiche

anche sui ballottaggi laziali, però c'è una costanza che meraviglia. Mentre il centrodestra

al ballottaggio non riesce ad ampliare in maniera consistente i voti presi al primo turno (a

Mentana Lettieri passa da 3827 a 3973 voti, ad Alatri Magliocca da 7242 a 7845, a

Cassino Palombo da 9066 a 8907, a Sora Tersigni da 8155 a 8315, ecc.), il centrosinistra

al secondo turno intorno ai propri candidati sindaco, a prescindere dalla coalizione che li

aveva sostenuti al primo turno, trova una sua unità.

Mentre al primo turno si era disfatta l'Unione, al secondo turno si riscopre il popolo

dell'Ulivo. A Cassino, Petrarcone passa da 5727 voti a 12483; ad Alatri, Morini da 5175 a

8963; a Mentana, Lodi da 3475 a 4957; a Pomezia, De Fusco da 12087 a 14514.

Le forze di centrosinistra riescono a coalizzarsi e a scoprire una tendenza espansiva

anche sfondando in un campo moderato, come è successo a Cassino anche per le

divisioni profonde interne al centrodestra. Dove il centrodestra cresce significativamente ai

ballottaggi, ovvero Ariccia e Pomezia, il risultato non è sufficiente a vincere le elezioni.

Se in Provincia di Roma il centrosinistra conserva amministrazioni ma perde voti

Un raffronto attento con il 2006 sui 7 comuni della Provincia di Roma superiori ai 15000

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abitanti, che sono andati al voto in questa tornata, ci da un indicazione tendenziale

preoccupante. Infatti, esclusa Pomezia, dove anche considerando la presenza di una lista

civica di centrodestra a sostegno del nostro candidato De Fusco il centrosinistra guadagna

voti in termini assoluti e relativi, e ad Ariccia, dove la situazione è inquinata dalla

candidatura di un ex-assessore di centrosinistra a sindaco per il terzo polo, De Felice,

negli altri 5 comuni si nota una perdita netta di voti per il centrosinistra inteso come campo

largo di forze e un avanzamento corrispondente del centrodestra.

Per analizzare correttamente questo fenomeno, corre l’obbligo di ricordare che la

Provincia di Roma è la realtà territoriale dove più è cambiata la composizione elettorale

rispetto al 2006: a Mentana si è passati da 14459 elettori a 15703, a Pomezia da 41569 a

45405, a Marino da 29725 a 31079, e solo a Ciampino e Colleferro l'elettorato rimane più

o meno invariato in termini quantitativi.

A Ciampino il centrosinistra passa da 15412 voti a 13504 escludendo l'UDC dal computo,

mentre il centrodestra avanza da 4646 a 6249, a Colleferro si passa da 6721 a 5897,

mentre il centrodestra avanza da 7301 a 8018, a Mentana, sempre escludendo l'UDC, si

passa da 5398 a 5290, e il centrodestra avanza da 3660 a 4198, a Marino il centrosinistra

passa da 11563 (o 7621 se si vuole considerare il ballottaggio) a 6693, mentre il sindaco

Palozzi si conferma passando da 7909 voti a 13617.

E’ chiaro che possiamo tenere in considerazione nell’analisi alcune casualità: candidati

sindaco al primo mandato (è il caso di Lupi a Ciampino), sindaci confermati con grande

popolarità (è il caso di Palozzi a Marino), però non si può sottovalutare il dato tendenziale.

Bisognerà ragionare ed approfondire questo dato, prima di tutto con una attenta analisi dei

flussi anche nei piccoli comuni sotto i 15000 abitanti, ed è un lavoro che attende in primo

luogo la Federazione della Provincia di Roma.

Una riflessione attenta su questo dato ci aiuterebbe sicuramente anche ad aprire un

grande dibattito politico che, a partire dai dati elettorali, dovrebbe prendere in

considerazione il problema della periferizzazione della Provincia di Roma, quindi di un

mutamento delle necessità e dei bisogni dei cittadini. Bisogni che coincidono con la

richieste delle periferie delle città, dove, guardando i dati delle ultime tornate elettorali, è

evidente che la destra tende ad affermarsi prepotentemente, probabilmente sull’onda del

disagio sociale.

E’ un azzardo pensarlo? Noi crediamo che, comunque, vada costruita presto una

riflessione su come intercettare nuovamente le richieste che arrivano dai cittadini di quel

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territorio.

Conclusioni: tendenze in atto e indicazioni per i Giovani Democratici e per il PD del Lazio

Sebbene questa tornata elettorale sembra essersi risolta, nel complesso, a favore della

nostra parte politica, dai risultati delle elezioni amministrative 2011 nel Lazio non

emergono evidenze tali da consentire di estrapolare per il futuro tendenze univoche in un

senso piuttosto che in un altro.

A differenza di quanto sembra emergere nel resto d’Italia, cioè con riferimento alla

situazione del Lazio e nei limiti dell’analisi fin qui condotta, non ci sentiamo di poter

affermare che “il vento è cambiato”, che si è esaurito il ciclo della destra sotto la spinta

fenomenale di una ritrovata voglia di partecipazione popolare. E non siamo in grado di

affermare ciò non solo in forza degli aspetti contraddittori e deteriori del risultato elettorale,

su cui ci siamo già lungamente diffusi sopra (la perdita netta di voti subita dal PD a favore

delle civiche, le divisioni e le conflittualità del nostro partito, la bassa consistenza elettorale

dei partiti minori del centrosinistra, l’arretramento del centrosinistra in provincia di Roma,

ecc.), ma anche perché siamo persuasi che il mutamento in politica non avvenga da solo,

in forza di qualche misteriosa congiunzione astrale.

Il vento cambia secondo la direzione politica e culturale impressa da una certa forza

politica. Così il PD nel nord ha colto i frutti di una strategia che Bersani ha

quotidianamente e tenacemente perseguito.

La rinnovata partecipazione dei cittadini proviene sicuramente anche dai tanti movimenti

che si sono determinati negli ultimi mesi, e che hanno visto come protagonisti prima le

donne e poi i giovani, ma altrettanto sicuramente questa partecipazione deriva dal lavoro

proposto alla struttura territoriale dalla Segreteria Nazionale, che ha permesso al PD di

riacquisire una certa visibilità rispetto al proprio elettorato.

Al contrario, non ci sembra che nel Lazio si faccia molto per far cambiare il vento, anzi ci

sembra evidente che il PD nel Lazio paga lo scotto di un immobilismo politico perdurante,

dell’assenza di una direzione politica, della mancata costruzione e radicamento di un

partito popolare.

Un empasse che si estende dal livello regionale al livello locale. Abbiamo già detto come

l’incremento numerico delle liste civiche, accompagnato da un aumento della loro

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incidenza sul totale dei voti di lista rispetto al 2006, è stata la spia su un versante della

lotta intestina al centrodestra e sull’altro, al netto delle spaccature del PD, di una perdita di

terreno del principale partito del centrosinistra rispetto ai voti raccolti nel 2006 da DS e

Margherita, che non ha avvantaggiato né i partiti minori del centrosinistra né il

centrodestra. Il potenziale elettorale così liberatosi o ha trovato nel civismo quella

rappresentanza che non ha trovato nei partiti o si è rifugiato nelle istanze localistiche di

movimenti locali.

La spaccatura del Partito Democratico avvenuta in 5 comuni su 12 è l’altro degli elementi

che gettano l’ombra più scura sul risultato complessivo della tornata elettorale ed è,

assieme alla perdita netta di voti rispetto al 2006 a favore delle civiche, l’eloquente spia di

un problema. In questi stessi 5 comuni la spaccatura del PD è stata la causa della

frammentazione del centrosinistra. Abbiamo già detto come in svariati comuni (Colleferro,

Cassino, Ariccia, Marino) già nel 2006 DS e Margherita si presentavano su fronti

contrapposti. Spesso, infatti, il PD al livello locale si è innestato in una situazione che non

sempre vedeva i partiti fondatori lavorare di comune accordo. È mancato un Ulivo dei

territori! In generale, comunque, la nascita del PD, in assenza di un ricambio

generazionale, ha portato alla luce quelle divisioni che prima risultavano contenute dalla

dinamica federale.

La stagione del “partito liquido” che ha caratterizzato il primo anno e mezzo di vita del

nostro partito, ha inoltre reso il PD dal livello regionale in giù, il partito degli eletti: gli

amministratori, sciolti dalla logica complessa dell’organizzazione, hanno assunto una

esagerata capacità di influenza all’interno del partito, fino a diventare le teste di filiere di

consenso interno. Le divisioni intestine, spesso incrostate da anni e nutrite da dinamiche

prettamente territoriali, fino ad assumere in molti casi la natura di contrapposizioni più

personali che politiche, sono state poi alimentate dalle aree politiche regionali in funzione

di un consenso in chiave elettorale o congressuale.

In una situazione di incertezza complessiva rispetto alla linea politica, alla coalizione, agli

strumenti di selezione del candidato sindaco e in occasione delle scelte elettorali la

conflittualità interna al partito è esplosa, spesso a causa di forzatura di una parte del

partito su un'altra (Colleferro, Genzano, Sora, Cassino): questa situazione ha determinato

e consolidato un modus operandi preoccupante, che potrebbe sfuggire al controllo degli

organismi di livello superiore se non viene ripristinata una discussione politica, come unico

strumento che possa permettere di trovare una sintesi tra le parti e costruire accordi che

siano di garanzia per tutti e che portino il PD a vincere.

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Infatti, il principio adottato è stato quello del voto a maggioranza in direttivo, sulla base

però di un tesseramento figlio di un’altra stagione politica e ci permettiamo di dire

chiaramente, estremamente falsato. Così, le scelte rispetto alla linea politica, le alleanze e

le candidature, sono state assunte a maggioranza senza che alcuno si preoccupasse di

costruire una sintesi che garantisse l’unità del partito.

Abbiamo bisogno di ricostruire regole certe e momenti di dibattito che coinvolgano tutti i

livelli del partito pur di dirimere situazioni difficili e provare ad essere perno della

costruzione di una coalizione di centrosinistra, all’interno della quale i partiti siano

riconoscibili.

Abbiamo davanti alcune opportunità, soprattutto in un momento di evidente debolezza del

PDL.

Sebbene (reperita iuvat) nulla ci autorizza a considerarlo un trend irreversibile, il PD e il

centrosinistra devono assolutamente approfittare della crisi che sta vivendo il centrodestra.

Bisogna alzare il livello dello scontro politico su Comune di Roma e Regione:

parallelamente al livello nazionale, abbiamo bisogno di un’opposizione sicuramente

costruttiva, capace in ogni critica di lasciar intravedere l’alternativa, ma anche capace nel

comunicare ai cittadini la profonda crisi e l’immobilismo in cui versa il centrodestra sui vari

livelli di governo, mentre il paese soffre sotto il peso della disoccupazione, della crescita 0,

dei bassi salari e dei tagli ai servizi pubblici e al welfare.

Da quanto fin qui detto risulta evidente che il PD nel Lazio non può permettersi di sedersi

sugli allori di un ciclo elettorale che ha premiato, nel complesso, il centrosinistra, ma deve

lavorare alla costruzione e alla strutturazione di un partito radicato e popolare, così come

emerso dall’orientamento nazionale, che possa incanalare in una logica partecipativa quel

potenziale disseminato nei mille rivoli del civismo, riacquistando quella centralità politica

che gli spetta anche sul piano locale. Riaffermare la centralità del partito è un passaggio

essenziale in questa direzione: solo una situazione in cui è il partito a dare l’indirizzo agli

amministratori e non viceversa, favorisce la partecipazione. L’altro grande impegno è la

costruzione di una vera alternativa politica nel Lazio, in una prospettiva integrata tra i

diversi livelli, dal comunale al nazionale, dove i temi sul tavolo del governo del territorio

non sono altra cosa rispetto ai grandi temi sociali ed economici del nostro tempo: il singolo

comune non può essere concepito come una monade isolata nel vuoto, ma è parte di un

contesto più ampio, territoriale, regionale e nazionale. Il Partito Democratico deve offrire

un’alternativa che va dal livello soprannazionale fino al più piccolo dei comuni italiani. La

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sforzo per un alternativa politica al livello locale deve essere intesa come una frazione

della sforzo collettivo per interpretare il mondo, trasformarlo, metterlo al servizio dell’uomo,

del suo benessere, della sua felicità. Solo questa prospettiva è in grado di assicurare

un’egemonia politica e culturale e cicli lunghi di governo.

Anche perché, mentre il partito sul livello nazionale ha riconquistato punti percentuali e in

alcune zone d’Italia raggiunge il 29%, nel Lazio il dato del PD è molto sottostimato. Questo

causa anche una evidente crisi del centrosinistra tutto. E’ chiaro che laddove manca il più

grande partito del centro sinistra come forza attrattiva e aggregante, anche la scelta delle

alleanze da parte dei partiti minori è subalterna e muta a seconda della propria

convenienza. E’ chiaro che vi è una questione aperta sulle alleanze da costruire anche in

questa regione, ma è evidente che ancor prima vi è un tema di egemonia del PD del

Lazio.

La capacità di fare un'opposizione incisiva, di attrezzare un partito popolare, di definire una

alternativa politica per il Lazio, passa per la capacità che avrà il nostro partito regionale nei

prossimi mesi di attraversare una vera e propria fase costituente.

Dopo la fine del lungo ciclo di governo di Roma e Lazio, la classe dirigente laziale non è

più riuscita a costruire un ragionamento collettivo animato da una visione di lungo periodo.

Le Segreterie Regionali non hanno saputo gestire la complessa situazione e sono

deflagrate; questo ha portato ad un Commissariamento, e nemmeno il congresso

nazionale e la strutturazione in mozioni ha garantito la dovuta stabilità.

È prevalso il gioco tattico fra aree politiche, alla ricerca di schemi e alchimie astratte

puntualmente sconfessate dalla realtà. La consapevolezza nuova di cui c'è bisogno, e la

cui necessità esce fuori evidente dal dato elettorale di queste amministrative, è che per

voltare pagina serve uno schema diverso rispetto a quello degli anni scorsi. Questo

gruppo dirigente regionale deve riconoscere che bisogna cambiare paradigma, cioè che

prima di tutto serve un nuovo progetto per il Lazio su cui sperimentare una classe dirigente

nuova e vecchia del Partito Democratico:

bisogna aprire una fase di grande progettualità politica. C'è la necessità di far

partire una discussione densa e accesa, che veda coinvolto allo stesso modo il

livello nazionale così come le federazioni e i singoli circoli, sui problemi della nostra

Regione. Il punto fermo dev'essere quello di iniziare a pensare al Lazio come ad un

sistema fortemente interconnesso, non solamente rispetto ai problemi che Roma

scarica sulle province e ad una dialettica fra centro e periferia su infrastrutture e

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servizi sociali, ma rispetto a come la capitale insieme ai territori che la circondano

può trovare un sistema integrato di sviluppo, a partire dai rispettivi punti di forza e di

debolezza. Il modello consolidato che vedeva il Lazio in Roma più le sue province,

più o meno bistrattate a seconda dei bacini elettorali e dei feudi politici, inizia a non

funzionare più. La strada è in salita, così come testimonia il localismo prevalente di

queste elezioni, ed è sufficiente vedere il risultato della PDL nella Provincia di

Frosinone; questi dati raccontano di specificità dei territori che costituiscono un

valore aggiunto importante solo se messe a sistema in un quadro più ampio.

Il Lazio ha una pluralità di problemi da osservare, sui quali c’è bisogno di costruire

un progetto credibile: gli indotti industriali sono al collasso, il sistema di welfare

smantellato dal centro destra ha acuito una crisi così ancor più percepibile, i

cittadini sono allo stremo. In questo ragionamento si lega anche il dato non positivo

della Provincia di Roma. E’ chiaro che, nonostante alcuni sforzi, quel territorio è

mutato negli ultimi anni. Non a caso la sua densità demografica è aumentata

vertiginosamente. Oramai, la periferia romana si è estesa fin a raggiungere quei

territori. Allora dal punto di vista dei servizi, delle infrastrutture, dello sviluppo noi

dobbiamo ripensare il Lazio consci che davanti ai nostri occhi vi è una realtà

totalmente nuova. L’approfondimento sul progetto politico non può essere qui

analizzato nel suo complesso e non può essere comunque lasciato

all’improvvisazione, ma deve essere ragionato nei prossimi mesi. Noi abbiamo

intenzione di farlo.

Accanto a questo però vi deve essere uno scambio di idee proficuo anche su come

sanare alcune anomalie che hanno a che vedere con il nostro partito. Ad esempio,

non ci si può arrendere all'idea delle liste civiche come la nuova forma della politica

territoriale, e questo vale per la costruzione dell'alternativa regionale. Dobbiamo

impostare quanto prima questa discussione, mettendo finalmente a sistema gli

amministratori, i tecnici, i giovani, i quadri dirigenti, le mille competenze di cui

questo partito dispone o che può attingere dalla società;

dentro questa discussione dobbiamo sperimentare una nuova classe dirigente,

rispetto alla sua capacità di analisi ed elaborazione, per la legittimità che si è

conquistata con il suo lavoro territoriale nelle Province, per la credibilità e la serietà,

per la capacità di saper fare sintesi sui problemi locali. Da questa esigenza non si

può fuggire, e sbaglia chi pensa che sia indifferente per la possibilità del nostro

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partito di rimettersi in moto, di appianare i conflitti locali, di conquistare sempre più

consenso.

Serve ancora il contributo dell'attuale gruppo dirigente, che non può più pensare

però di essere autosufficiente. L’idea “renziana” della rottamazione non ci

appartiene. Ora più che mai, si sente l’esigenza di dovere aprire, insieme al

Commissario ed insieme all’attuale gruppo dirigente, una fase nuova che veda

valorizzati i diversi quadri territoriali che hanno negli anni contribuito con la loro

partecipazione ai gruppi dirigenti locali, alla formazione del Partito Democratico e

che possono non solo rappresentare quell’elemento di novità ma al tempo stesso

possono garantire competenza e rappresentanza territoriale: quello che spesso è

che mancato al PD del Lazio.

sulla fase che porterà all’elezione di un nuovo Segretario Regionale, noi crediamo

quindi che non si possa costruire un dibattito destabilizzante, chiuso all’interno di

una cabina di regia che si sfida a suon di nomi, ma che a quest’elezione ci si debba

arrivare con una fase di profonda analisi che preferibilmente porti alla scelta

unanime di un Segretario autorevole che si possa dedicare completamente al PD

laziale, non utilizzando quindi questa postazione per costruire una propria visibilità.

Solo un percorso di questo tipo può, a prescindere dallo strumento di selezione

degli organismi dirigenti, su cui pure dovremmo avviare una profonda riflessione

verso la Conferenza nazionale dell'organizzazione, portare all'elezione di un

Segretario e di un gruppo dirigente pienamente legittimato, non ostaggio delle aree

politiche o subalterno alla linea politica degli amministratori.

Solo una piattaforma politica robusta e centrata sui nodi politici della nostra regione,

accompagnata ad una nuova classe dirigente seria e credibile, può portare ad un

congresso utile al PD.

In questo quadro i Giovani Democratici hanno un ruolo non marginale, che devono vivere

nella più completa autonomia dalla discussione delle aree politiche regionali. Abbiamo

anche noi qualcosa da imparare da questo voto, ed è in primo luogo che i problemi del

territorio non si risolvono pensando solamente al proprio orticello.

La forza di una organizzazione giovanile si misura non solo dalla partecipazione di cui vive

un circolo o dalle capacità dei suoi coordinatori di circolo o membri di esecutivo. Si misura

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anche e soprattutto da come sa fare squadra e sviluppare una solidarietà che si nutre non

solamente di comuni valori e di una comune appartenenza, ma anche di problemi comuni

ai territori, come delle diversità qualificanti.

Dobbiamo renderci conto che la situazione che il PD ha vissuto in queste elezioni, ovvero

quella della frammentazione estrema, non può essere per noi un modello di cui fare

tesoro.

Queste elezioni ci dicono anche che una egemonia del centrodestra che davamo quasi

per acquisita in special modo sulle giovani generazioni, come anche l'analisi del voto dello

scorso anno ci aveva indicato, non è più scontata. Il fenomeno dell'estrema destra è

ancora molto presente nei nostri territori e anzi sembra consolidarsi (ne è una prova la

nascita di Casa Pound a Viterbo e a Frosinone), ma un trend di loro forte espansione

sembra essersi arrestato. Dobbiamo uscire dalla sindrome del fortino e riacquisire una

iniziativa a tutto campo a partire dai problemi delle giovani generazioni nel Lazio e dalle

incapacità del centrodestra. Dobbiamo avere noi la capacità di rappresentanza del disagio

sociale, del problema di un'istruzione inadeguata, della disoccupazione giovanile, delle

forti aspettative di cui sono portatori i giovani rispetto al loro futuro. Questioni su cui

concentrarsi nei prossimi mesi sono la mobilità regionale, la vivibilità delle nostre città, il

welfare giovanile e studentesco e l'autonomia dei giovani, il lavoro, l'inclusività sociale

rispetto agli immigrati e al pluralismo culturale, religioso, di genere.

In tutto questo c'è la nostra capacità non di chiedere rinnovamento, ma di essere

rinnovamento. Anche noi abbiamo bisogno di uscire dagli steccati e diventare

organizzazione che sappia intercettare i giovani. E’ un lavoro che stiamo facendo da

tempo ma che ha evidentemente bisogno di una fase di rilancio.

Le battaglie politiche portate avanti su alcuni temi, il lavoro, l’istruzione pubblica, la

formazione, la difesa dei diritti di cittadinanza compromessi dal centro destra, il dibattito

sulla costruzione di modelli che assicurino i diritti civili, la difesa dei Consultori pubblici, la

costruzione di un dibattito sulla crisi regionale che ha portato il Lazio ad avere il primato

sulla disoccupazione giovanile, oggi ci consegnano il risultato di avere costruito nel tempo

un nostro profilo identitario. Questo va però affinato e approfondito nei prossimi mesi,

attraverso una fase di incontro e ascolto dei circoli, all’interno dei quali portare un dibattito

sul nostro ruolo e sulla costruzione di altre battaglie politiche.

I Giovani Democratici non devono farsi risucchiare dai problemi del partito e dalle sue

logiche di parte. I conflitti esplosi in queste elezioni, ma che in generale sono stati la prassi

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in questi primi anni di PD, lasceranno molte macerie. Noi dovremo essere il fiore che

sboccia su queste macerie.