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Facolt` a di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso di laurea in Fisica Equazione di Dirac in uno spazio curvo Tesi di laurea triennale Il Relatore La candidata Prof. Guido Martinelli Martina Pugliese Matricola 1172824 Anno Accademico 2008/2009

Equazione di Dirac in uno spazio curvo - infn.it Tale equazione pero non `e invariante per trasformazione di Lorentz, e quindi, non rispettando il Principio di Relativita` Speciale,

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Facolta di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

Corso di laurea in Fisica

Equazione di Dirac in uno spaziocurvo

Tesi di laurea triennale

Il Relatore La candidataProf. Guido Martinelli Martina Pugliese

Matricola1172824

Anno Accademico 2008/2009

“I think I can safely say that nobody

understands quantum mechanics.”

–R. Feynman

Indice

Capitolo 1. Introduzione 1

Capitolo 2. Il gruppo di Lorentz 3

1. Il gruppo di Lorentz proprio 5

Capitolo 3. L’equazione di Dirac in un LIF 10

1. L’equazione di Klein-Gordon 10

2. Teoria di Weyl e teoria di Majorana 11

3. Teoria di Dirac 13

Capitolo 4. L’equazione di Dirac in campo gravitazionale 17

1. Principi della Relativita Generale 17

2. Le equazioni del moto in Relativita Generale e le connessioni affini 18

3. La generalizzazione dell’equazione di Dirac 20

Capitolo 5. Conclusioni 29

Bibliografia 30

ii

CAPITOLO 1

Introduzione

Nell’ambito della meccanica quantistica non relativistica, l’equazione che regola

l’evoluzione temporale dello stato di un sistema e l’equazione di Schrodinger

i~∂ψ(~r, t)

∂t= H ψ(~r, t) ,

dove H e l’hamiltoniana. Tale equazione pero non e invariante per trasformazione

di Lorentz, e quindi, non rispettando il Principio di Relativita Speciale, non e

adatta ad una teoria relativistica. Cio significa che non puo descrivere particelle

con velocita prossime a quella della luce, bensı e utilizzabile esclusivamente nel

limite

v

c≪ 1 .

L’obiettivo da raggiungere consiste dunque nel trovare un’equazione relativistica

per la funzione d’onda: in particolare si vuole costruire una teoria relativistica per

fermioni di spin ~

2 , e quindi per elettroni, il che comporta l’avere a che fare con gli

spinori.

L’equazione a cui si giungera e la famosa equazione di Dirac che vide luce nel 1928

e prese il nome da Paul Adrien Maurice Dirac, che scrisse appunto la teoria che

enunceremo.

Il secondo capitolo della dissertazione e dedicato ad una trattazione delle trasfor-

mazioni di Lorentz e quindi del gruppo di Lorentz, di cui verra approfondito il sot-

togruppo proprio, al fine di accennare al contesto matematico nel quale scriveremo

l’equazione di Dirac.

Nel terzo capitolo si cerchera quindi un’equazione relativistica di particella libera

in uno spazio-tempo di Minkowski, quindi in Relativita Speciale, con riferimento

al gruppo di Lorentz a cui le trasformazioni coinvolte afferiscono. Il tutto verra

1. INTRODUZIONE 2

effettuato seguendo un approccio di tipo variazionale, partendo dalla definizione di

una lagrangiana.

La teoria di Dirac sara trattata come il culmine degli sforzi effettuati per giungere ad

una teoria relativistica dei fermioni, per cui l’intero discorso partira dall’esposizione,

per sommi capi, delle teorie di Weyl e di Majorana.

In seguito, nel quarto capitolo, generalizzeremo il discorso estendendolo a trasfor-

mazioni di coordinate locali in Relativita Generale: sara inclusa la gravitazione

come elemento che modifica la metrica e pertanto si dovra trovare la maniera di

scrivere l’equazione in forma tensoriale in modo da renderla covariante. Verra, a

tale scopo, introdotta la relativita generale.

CAPITOLO 2

Il gruppo di Lorentz

Dato un quadrivettore ∗ in un riferimento localmente inerziale (brevemente LIF,

Locally Inertial Frame) x = (t, ~x) , e definito il tensore metrico di Minkowski come

ηµν = diag(1,−1,−1,−1) , (2.1)

il gruppo di Lorentz L (per una definizione di gruppo si veda [1]) e costituito dalle

trasformazioni di coordinate che lasciano invariante la grandezza scalare

ds2 = ηµνdxµdxν = dxµηµνdxν = dt2 − d~x2 . (2.2)

detta intervallo spazio-temporale. Gli elementi di tale gruppo dunque permettono

di passare tra due insiemi di coordinate di riferimenti inerziali.

La rappresentazione del gruppo e la mappa f : g ∈ L 7→ Λ ∈ Mat4×4, per cui, a

tali trasformazioni, possono essere associate delle matrici 4 × 4 ad elementi reali,

indicate con Λµν , tali che

x′µ = Λµνx

ν . (2.3)

Le matrici Λµν devono dunque soddisfare alla relazione

ds′2 = ds2 ,

che implica

dx′µηµνdx′ν = Λµρdx

ρηµνΛντdxτ ,

dxρΛµρηµνΛν

τdxτ = dxρηρτdxτ ,

e quindi

ΛµρηµνΛν

τ = ηρτ .

Questa relazione, indicata con Λµρ la trasposta di Λρ

µ, si puo scrivere come

ΛtηΛ = η ⇒ Λ−1 = ηΛtη . (2.4)

∗Nel testo, A e un quadrivettore, mentre ~A e un vettore di norma A; Aµ sono le componentidi A. Si fa uso della notazione di Einstein per le somme su indici ripetuti, nonche delle unita diPlanck c = ~ = 1.

2. IL GRUPPO DI LORENTZ 4

(abbiamo moltiplicato a sinistra per η e a destra per Λ−1 e usato il fatto che η2 = 1).

Le (2.4) forniscono, date le proprieta di simmetria, 10 relazioni tra i 16 elementi

delle Λ, ossia 10 vincoli sulla scelta degli elementi di matrice, dei quali solo 6 sono

quindi indipendenti. In particolare, la prima di queste 10 equazioni e

i=3∑

i=0

(

Λi0

)2=

(

Λ00

)2 −i=3∑

i=1

(

Λi0

)2= 1 . (2.5)

Inoltre, sempre dalla (2.4), si ha che

det(ΛtηΛ) = det(η) ⇔ det(Λ)2 = 1 ⇔ det(Λ) = ±1 . (2.6)

Ora, sulla base di sgn(Λ00) e di det(Λ) si classificano i sottogruppi di L [2], previa

definizione dei quattro settori

• L1: det(Λ) = +1; Λ00 > 0

• L2: det(Λ) = −1; Λ00 > 0

• L3: det(Λ) = −1; Λ00 < 0

• L4: det(Λ) = +1; Λ00 < 0

I sottogruppi di L si ottengono allora aggiungendo agli elementi del primo settore,

quelli degli altri. Cosı essi sono: L stesso, L1 (gruppo di Lorentz proprio), L1 ∪L2,

L1 ∪ L3 ed L1 ∪ L4. Osserviamo pero che, considerate le operazioni

P = diag(1,−1,−1,−1) (parita),

T = diag(−1, 1, 1, 1) (inversione temporale) ,

i settori in cui L si scompone possono essere ottenuti dal primo mediante appli-

cazione di esse, infatti

L2 = PL1; L3 = TL1; L4 = P TL1 .

Questi ultimi da soli non possiedono struttura di gruppo, pero ricoprono intera-

mente L, che si puo scrivere come

L = L1 ∪ PL1 ∪ TL1 ∪ P TL1 .

In generale quindi, una qualunque trasformazione di Lorentz si puo sempre scrivere

come il prodotto di un boost, di una rotazione (queste sono abbinate al gruppo

1. IL GRUPPO DI LORENTZ PROPRIO 5

proprio, come si vedra in seguito) e di una delle trasformazioni appartenenti al

gruppo discreto {1, P , T , P T} [3].

L1 e un gruppo di Lie [3], cioe

∀ δ > 0, g ∈ B(1, δ) ∃ ~c ∈ Rn | g = g(~c) ,

dove B(1, δ) = {a ∈ L | d(a,1) < δ} e la bolla di raggio δ centrata sull’elemento

identita e ~c = (c1, c2, · · · , cn) e un’n-upla di reali (d e la distanza introdotta su

L visto come spazio metrico). Cio implica che, per ogni elemento g del gruppo,

esiste un insieme di parametri ci, continui, che lo caratterizzano. In particolare,

l’elemento identita e parametrizzato dall’n-upla nulla.

L e un inoltre un gruppo lineare, ovvero

Λ(ax + by) = aΛ(x) + bΛ(y) a, b ∈ R, ∀ x,y . (2.7)

Dal momento che la rappresentazione U del gruppo soddisfa ad una struttura di

gruppo, la si puo sviluppare in un intorno dell’identita, e scrivere

U(~c) = 1+ i∑

k

ckGk ; U(~c) = eickGk . (2.8)

I Gk, k = 1, . . . , n sono i generatori del gruppo, e son tali da soddisfare all’algebra

di Lie

[Gi, Gj ] = iǫijkGk . (2.9)

Piu in generale, il gruppo di Lorentz e un sottogruppo del gruppo di Poincare, che

contiene tutte le isometrie dello spazio-tempo di Minkowski, ovvero include anche le

traslazioni del sistema di riferimento; un quadrivettore trasforma allora globalmente

come

x′µ = Λµνx

ν + aµ, aµ ∈ R. (2.10)

1. Il gruppo di Lorentz proprio

Matrici hermitiane 2 × 2 possono essere messe in corrispondenza biunivoca coi

quadrivettori x = (x0, x1, x2, x3) mediante la seguente definizione

x 7→ x = xµσµ =

(

x0 + x3 x1 − ix2

x1 + ix2 x0 − x3

)

, det(x) = s2 , (2.11)

dove σµ sono le quattro matrici di Pauli

σ0 = 1; σ1 =

(

0 11 0

)

; σ2 =

(

0 −ii 0

)

; σ3 =

(

1 00 −1

)

. (2.12)

1. IL GRUPPO DI LORENTZ PROPRIO 6

Esse obbediscono alle regole di commutazione ed anticommutazione

[σi, σj ] = 2iεijkσk, {σi, σj} = 2δij1, i, j = 1, 2, 3 , (2.13)

in cui si e usato il simbolo di Levi-Civita

εijk... =

+1 se (ijk . . .) e una permutazione pari di (1, 2, 3, . . .)

−1 se (ijk . . .) e una permutazione dispari di (1, 2, 3, . . .)

0 se due indici coincidono,

(2.14)

Si verifica che σ2µ = 1, µ = 1, 2, 3.

Nel seguito useremo la notazione σ = (σ0, σ1, σ2, σ3) per indicare sinteticamente

il quadrivettore delle matrici di Pauli e la notazione ~σ = (σ1, σ2, σ3) per il vettore.

Presa V ∈ SU(2,C) (gruppo delle matrici unitarie 2 × 2 ad elementi complessi)

matrice di cambio base, il quadrivettore nella nuova base e

x′ = x′µσµ = V xV † = V xµσµV† = V σν V

†xν . (2.15)

Si faccia ora corrispondere V ad una matrice Λ appartenente al gruppo di Lorentz

proprio (si ricordi la (2.3)); dalla (2.15):

V 7→ Λ(V ) ⇒ Λµνx

νσµ = V σν V†xν (2.16)

⇒ V σν V† = σµΛµ

ν . (2.17)

Siccome tr(xσµ) = 2xµ, cosa che si puo verificare semplicemente, allora la relazione

1

2tr(x′σµ) = x′µ = Λµ

νxν ,

implica

1

2tr(V xV †σµ) =

1

2tr(V xνσν V

†σµ) , (2.18a)

1

2tr(V σν V

†σµ) = Λµν . (2.18b)

Si e cosı determinata la trasformazione che lega V a Λ.

Si consideri ora una trasformazione di Lorentz vicina all’identita: Λ = 1+λ, dove la

matrice λ ha elementi infinitesimi. Dunque, usando la (2.3) risulta x′µ = xµ+λµνxν ,

e i 6 parametri che definiscono la trasformazione possono essere identificati da una

1. IL GRUPPO DI LORENTZ PROPRIO 7

rotazione e da un boost del sistema di riferimento. Dalla (2.4) si deduce

Λ−1 = 1− λ,

= η(1+ λ)tη,

= η(1+ λt)η,

= 1+ ηλtη,

ovvero

−λ = ηλtη , (2.19)

per cui, scrivendo la (2.3) in componenti,

x′0 = x0 − ~β · ~x, ~x′ = ~x− ~ω × ~x− ~βx0 , (2.20)

in cui ~β e la velocita del sistema di riferimento e ~ω il tensore, antisimmetrico, che

definisce la rotazione. Usando la (2.18) e possibile scrivere

V = 1+i

2~ω · ~σ +

1

2~β · ~σ,

= 1+ i(~ω · J + ~β · K), (2.21)

avendo utilizzato le 6 matrici J = ~σ2 e K = −i~σ

2 , rispettivamente generatori delle

rotazioni e dei boost.

Si puo anche far uso della rappresentazione duale

U = −ǫV ∗ǫ , (2.22)

dove ǫ e il tensore completamente antisimmetrico, che permette di scrivere, per le

matrici di Pauli σ∗i = σi

t = ǫσiǫ , e funge da equivalente spinoriale del tensore

metrico [4]. Questo significa che permette di passare da una rappresentazione

covariante (indici bassi) a quella controvariante (indici alti). Nel nostro caso

ǫ =

(

0 1−1 0

)

. (2.23)

Nella rappresentazione duale, i generatori vengono identificati come J = ~σ2 e

K = i~σ2 .

Secondo quanto detto, esistono due diverse rappresentazioni (rappresentazioni spino-

riali [4]) delle trasformazioni di Lorentz infinitesime:{

U = 1+ i2~ω · ~σ − 1

2~β · ~σ

V = 1+ i2~ω · ~σ + 1

2~β · ~σ

(2.24)

1. IL GRUPPO DI LORENTZ PROPRIO 8

I suddetti generatori sono dotati delle regole di commutazione

[Ji, Jj ] = iεijkJk, [Ji, Kj ] = iεijkKk, [Ki, Kj ] = −iεijkJk . (2.25)

I generatori J rispettano, come si vede, l’algebra di Lie (2.9), che e quella del

momento angolare (sono infatti i generatori delle rotazioni).

Uno spinore a due componenti si classifica sulla base della legge di trasformazione

a cui obbedisce: uno spinore controvariante (destrorso) segue la rapprentazione U

ξR = φ = (φ1, φ2) ; φ′µ = Uµνφ

ν ; (2.26)

mentre uno covariante (sinistrorso) segue la rappresentazione V

ξL = η = (η1, η2) ; η′µ = V νµην . (2.27)

Gli indici degli spinori si abbassano o alzano usando ǫ, per cui

φi = ǫijφj ; ηi = ǫijηj . (2.28)

Nel caso di pura rotazione, ovvero β = 0, esiste un solo spinore perche U = V [4].

Per concludere il discorso, facciamo un esempio. All’interno del gruppo proprio

di Lorentz, sia Λ la matrice di trasformazione di Lorentz che permette di passare

dal sistema x′ = (t′, x′) al sistema x = (t, x) (consideriamo per semplicita una

sola coordinata spaziale) e siano β la velocita (in modulo) di x′ rispetto a x e

γ = 1√1−β2

. La matrice di Lorentz e:

Λ =

(

γ −βγ−βγ γ

)

, β, γ > 0, det(Λ) = γ2(1 − β2) = 1 . (2.29)

Dunque la trasformazione e

x′ = Λx ;

{

t′ = (t− βx)γ

x′ = (x− βt)γ(2.30)

Si vuole dare una rappresentazione grafica della trasformazione. L’asse x′ e definito

da t′ = 0, l’asse t′ da x′ = 0. Mediante la (2.30) si trovano per i nuovi assi le

equazioni:

t′ = 0 ⇒ t = βx,

x′ = 0 ⇒ t =1

βx .

1. IL GRUPPO DI LORENTZ PROPRIO 9

Bisogna capire come trasformano le unita degli assi non primati. A tale scopo ci si

ponga nel punto (x = a, t = 0); β e il parametro che definisce l’inclinazione degli

assi primati. Si perviene cosı al sistema di equazioni{

(x− βt)γ = a

(t− βx)γ = 0 .(2.31)

La seconda equazione e un vincolo sulla prima, per cui, svolgendo i conti, si trovano

le equazioni delle cosiddette iperboli misuratrici, rappresentate in figura 1 al variare

di a, e date da

x2 − t2 = ±a2 . (2.32)

t

x

t′

x′

Figura 1. Iperboli misuratrici

CAPITOLO 3

L’equazione di Dirac in un LIF

A scopo puramente introduttivo, ricaviamo l’equazione di Klein-Gordon, che rap-

presento storicamente il primo risultato dei tentativi di scrivere un’equazione rela-

tivistica, e che presenta la difficolta concettuale dell’ammettere soluzioni ad energia

negativa. Siamo in un riferimento localmente inerziale e ci serviamo pertanto di

quanto appreso nel capitolo precedente.

1. L’equazione di Klein-Gordon

Data una funzione d’onda χ, l’equazione di Schrodinger [5] che ne descrive il moto

(H e l’operatore hamiltoniano) e:

iχ = Hχ, (3.1)

con

H =p2

2m+ V = − 1

2m∇2 + V .

In Relativita Speciale la norma quadra del quadrimpulso P = (E, ~p) e uno scalare,

quindi un invariante

PµPµ = E2 − p2 = m2

; E =√

p2 +m2 . (3.2)

per cui la (3.1) si scrive come

iχ =√

p2 +m2χ =√

−∇2 +m2χ . (3.3)

Questa scrittura presenta il problema della definizione della radice di un operatore.

Quadrando pero gli operatori si puo scrivere l’equazione di Klein-Gordon

−χ = (−∇2 +m2)χ ⇔(

∂2

∂t2−∇2

)

χ+m2χ = 0 , (3.4)

che in forma Lorentz-covariante e [2]

(∂µ∂µ +m2)χ = 0 ⇔ (� +m2)χ = 0 . (3.5)

2. TEORIA DI WEYL E TEORIA DI MAJORANA 11

L’equazione di Klein-Gordon e invariante per trasformazione di Lorentz in quanto

lo e il dalambertiano ∂µ∂µ = �. Essa non contiene alcuna parte spinoriale per la

funzione d’onda, pertanto puo descrivere bosoni di spin nullo, ma non fermioni, che

e cio che vorremmo.

Il lavoro di Dirac partı da questa equazione e ne affronto i problemi concettuali

dovuti alla possibilita di soluzioni ad energia negativa. Tali soluzioni riguardano an-

che l’equazione che ci accingiamo a ricavare, valida per fermioni a spin 12 , l’equazione

di Dirac, e Dirac risolse il problema supponendo che esse fossero legate ad antipar-

ticelle: una antiparticella ha stessa massa e spin della particella corrispondente, ma

carica opposta. In tal modo la sua equazione predisse l’esistenza dell’antimateria,

cosa che fu verificata per la prima volta nel 1933 da C. D. Anderson, il quale con

un famoso esperimento in camera a nebbia ottenne la prima evidenza sperimentale

dell’esistenza del positrone, l’antiparticella dell’elettrone.

Esponiamo adesso le teorie di Weyl e Majorana per fermioni a spin 12 come intro-

duzione alla teoria di Dirac. Lo scopo e scrivere un’equazione relativisticamente

invariante, la quale proviene da una lagrangiana pure invariante, quella di Dirac.

2. Teoria di Weyl e teoria di Majorana

La teoria di Weyl descrive fermioni di spin 12 a massa nulla. In assenza di inter-

azioni, sia φ(t, ~x) un campo spinoriale destrorso, di massa m = 0. Vogliamo per

esso ricavare un’equazione Lorentz-covariante. Scriviamo la Lagrangiana di campo

(quadratica al fine di dare equazioni lineari e garantire quindi soluzioni di onda

piana [6])

L(φ, φ†, φ,µ, φ†,µ) = iφ†σµφ,µ

∗, (3.6)

e il relativo funzionale azione come

S =

d4x iφ†σµφ,µ .

∗Nel testo si fa uso della notazione φ,µ = ∂µφ per le derivate ordinarie e della notazione φ;µ

per le derivate covarianti.

2. TEORIA DI WEYL E TEORIA DI MAJORANA 12

In base al principio variazionale di Hamilton bisogna calcolare la variazione del-

l’azione

δS =

d4x i[δφ†σµφ,µ + φ†σµδφ,µ]

=

d4x i[δφ†σµφ,µ + (φ†σµδφ),µ − (φ†σµ),µδφ] .

(3.7)

Per il teorema di Gauss, il termine di flusso∫

dx4 (φ†σµδφ),µ =

dSµ φ†σµδφ

e nullo perche δφ = 0 sulla frontiera del dominio di integrazione, secondo l’ipotesi

del principio variazionale. Per il lemma fondamentale del calcolo delle variazioni,

si ottengono le equazioni del moto [7], imponendo

δS = 0 ,

che sono le equazioni di Weyl :

iσµφ,µ = 0 ; −iφ†,µσµ = 0 . (3.8)

Come sopra specificato, le soluzioni sono di onda piana [4]

φ(t, ~x)+ = N+u ei(~p·~x−Et) ; φ(t, ~x)− = N−v e−i(~p·~x−Et) . (3.9)

dove N± sono le costanti di normalizzazione e u, v sono spinori. Per scrivere

l’equazione per u, a partire dalla (3.8) (si ricordi che ~p = −i∂)

iσ0 ∂

∂tφ+ iσk∂kφ = 0 ,

si deduce

iN+u ei(~p·~x−Et)(−iE) − (~σ · ~p)Nu ei(~p·~x−Et) = 0 ,

e infine

(~σ · ~p)u = Eu . (3.10)

Con conti analoghi si scrive l’equazione per v

(~σ · ~p)v = Ev . (3.11)

Quelle per gli spinori u e v sono equazioni agli autovalori, e, dal momento che ~σ · ~pha autovalori ±p, ne segue che l’energia definita nella (3.2) contiene esclusivamente

la parte di impulso e per questo la teoria di Weyl descrive fermioni a massa nulla.

3. TEORIA DI DIRAC 13

Detto ~s = 12~σ lo spin di una particella, la sua elicita si definisce come

e =~p · ~s

‖~p · ~s‖ ,

ovvero come la proiezione dello spin nella direzione dell’impulso.

Le due soluzioni hanno impulso opposto, e quindi elicita opposta, per cui si dira

che la prima rappresenta una particella (elicita positiva) e la seconda la sua an-

tiparticella (elicita negativa).

Se si prende in considerazione anche un campo spinoriale sinistrorso, si ottiene il

caso esattamente speculare.

Si vuole ora generalizzare il discorso ad una descrizione che interessi particelle a

massa m 6= 0. In tal modo si giungera alla teoria di Majorana.

Utilizzando infatti una Lagrangiana che si compone di un termine aggiuntivo

L = iφ†σµφ,µ +m

2

(

φǫφ − φ†ǫφ†)

, (3.12)

e procedendo analogamente a quanto fatto per arrivare alle (3.8), si scrivono le

equazioni di Majorana:{

iσµφ,µ = mǫφ†

iφ†,µσµ = mφǫ

;

{

iφ = −i~σ · ∇φ+mǫφ†

iφ† = −i~σt · ∇φ† +mǫtφ(3.13)

Tenendo presente le (2.28) e ponendo η(t, ~x) = ǫφ†(t, ~x), le (3.13) divengono{

iφ = −i~σ · ∇φ +mη

iη = i~σ · ∇η +mφ(3.14)

Tali equazioni sono evidentemente accoppiate e per m = 0 si riducono, ovviamente,

alle (3.8), essendo la teoria di Majorana una generalizzazione per massa non nulla

di quella di Weyl.

A questo punto, fatte queste premesse, si puo introdurre la teoria piu generale

oggetto della dissertazione, quella di Dirac.

3. Teoria di Dirac

La teoria di Dirac si fonda sul mettere insieme gli spinori destrorso e sinistrorso

in un unico oggetto, detto quadrispinore (o bispinore) ψ, il quale avra quattro

componenti di cui due controvarianti e due covarianti:

ψ =

(

φ

η

)

. (3.15)

3. TEORIA DI DIRAC 14

L’equazione del moto (equazione di Dirac), con riferimento alla (3.14), si scrive

pertanto come

iψ(t, ~x) = (−i~α · ∇ + βm)ψ(t, ~x) , (3.16)

dove, usando la rappresentazione controvariante (per quella covariante ricordiamo

che si agisce con ǫ), αµ e β sono matrici hermitiane 4 × 4:

αµ =

(

0 σµ

σµ 0

)

, β =

(1 00 −1)

, µ = 1, 2, 3 . (3.17)

Esse obbediscono alle relazioni (che derivano dalle (2.13))

β2 = (αµ)2 = 1, {αµ, αν} = 2δµν1, {αµ, β} = 0, µ, ν = 1, 2, 3 . (3.18)

Si definiscano quindi le matrici gamma di Dirac come

γ0 = β; γi = βαi, i = 1, 2, 3 , (3.19)

che godono delle proprieta

γ0 = (γ0)†; γi = −(γi)† ;

infatti e facile verificare che γ0 e hermitiana, mentre le γi, i = 1, 2, 3 sono antiher-

mitiane:

(γi)† = (βαi)† = αiβ = −βαi = −γi . (3.20)

Inoltre, usando le (3.18)

(γ0)2 = 1; (γi)2 = βαiβαi = −1, i = 1, 2, 3 . (3.21)

Pertanto

γ0γk + γkγ0 = ββαk + βαkβ = 0, k = 1, 2, 3 , (3.22)

e

γkγl + γlγk = βαkβαl + βαlβαk = 0, k, l = 1, 2, 3; k 6= l . (3.23)

La struttura algebrica a cui le matrici γ obbediscono e dunque l’algebra di Clifford :

{γµ, γν} = 2ηµν1 . (3.24)

A questo punto si moltiplichi la (3.16) per β, per ottenere l’equazione di Dirac nella

sua forma consueta

(iγµ∂µ −m)ψ(t, ~x) = 0 ⇒ (i 6∇ −m)ψ = 0 , (3.25)

dove, nella seconda, si e usata la notazione di Feynman per indicare un vettore

contratto con le matrici γµ.

3. TEORIA DI DIRAC 15

Riprendendo la (3.16), e facile notare che l’Hamiltoniana dell’equazione di Dirac

H = −i~α · ∇ + βm = ~α · ~p+ βm

e tale da far in modo che l’operatore momento angolare totale

~J = ~L+1

2~Σ, Σµ =

(

σµ 00 σµ

)

(3.26)

sia una costante del moto. Il solo ~L non commuta con l’Hamiltoniana. Lo spin

e dunque previsto in Meccanica Quantistica Relativistica dall’equazione di Dirac,

allorche esso, in una teoria non relativistica, viene introdotto come postulato.

3.1. Covarianza dell’equazione di Dirac rispetto ad una trasformazione

di Lorentz. Si vuole qui determinare sotto quale condizione l’equazione di Dirac

sia covariante per trasformazioni di Lorentz, che e cio che si vuole come scopo

della teoria. Ricordando la (2.10), si cerca una trasformazione F che operi sul

quadrispinore tale da dare

ψ′(x′) = F (ψ(x)) = F (ψ(Λ−1(x′ − a))) , (3.27)

e che l’equazione di Dirac sia invariante in forma nei due sistemi di riferimento,

ovvero

(iγµ∂′µ −m)ψ′(x′) = 0 . (3.28)

Scrivendo la trasformazione suddetta come

ψ′(x′) = S(Λ)ψ(x) = S(Λ)ψ(Λ−1(x′ − a)), S(Λ) ∈ Mat4×4 , (3.29)

Le matrici γ sono invarianti per trasformazioni di Lorentz, quindi, usando le trasfor-

mazioni inverse dal sistema primato a quello originario:

∂xµ=∂x′ν

∂xµ

∂x′ν= Λν

µ∂′ν ; S−1ψ′(x′) = ψ(x) , (3.30)

si puo scrivere la (3.25) come

(iγµΛνµ∂

′ν −m)S−1(Λ)ψ′(x′) = 0 ,

cioe, moltiplicando entrambi i membri per S,

iS(Λ)Λνµγ

µS−1(Λ)∂′νψ′(x′) −mψ′(x′) = 0 . (3.31)

Dal raffronto con la (3.28), si evince che l’equazione di Dirac e invariante sotto

trasformazioni di Lorentz se S(Λ) soddisfa la condizione

S(Λ)Λνµγ

µS−1(Λ) = γν; S−1(Λ)γµS(Λ) = Λµ

νγν . (3.32)

3. TEORIA DI DIRAC 16

Facendo uso delle rappresentazioni (2.24), dal momento che il quadrispinore si com-

pone di due parti che si comportano differentemente, si deduce che S(Λ) ha una

struttura a blocchi 2 × 2:

S(Λ) =

(

U(Λ) 0

0 V (Λ)

)

. (3.33)

Abbiamo cosı trovato un’equazione di particella libera relativisticamente invariante

in un sistema di riferimento inerziale, e quindi in uno spazio piatto governato dalla

metrica di Minkowski (2.4).

Detto ψ = ψ†β il quadrispinore aggiunto di Dirac, la Lagrangiana invariante di

Dirac e

L = ψ(iγµ∂µ −m)ψ .

Essa, tramite le equazioni di Eulero-Lagrange [7] fornisce esattamente l’equazione

di Dirac:

∂L∂ψ

− ∂µ

∂L∂(∂µψ)

= (iγµ∂µ −m)ψ = 0

∂L∂ψ

− ∂µ

∂L∂(∂µψ)

= −mψ − ∂µψiγµ = 0 .

CAPITOLO 4

L’equazione di Dirac in campo gravitazionale

Vogliamo adesso rendere il discorso portato avanti nel precedente capitolo piu gen-

erale, e cioe spostarci ad un sistema di riferimento generico. Trattiamo quindi

trasformazioni locali all’interno di uno spazio curvo e non piu piatto. Al fine di

compiere tale generalizzazione esaminiamo nelle sue basi concettuali la Relativita

Generale [8].

1. Principi della Relativita Generale

La Relativita Generale si fonda sui seguenti 5 principi:

(1) Principio di Mach La geometria dello spazio-tempo e determinata dalla

distribuzione di massa. Quello che in sostanza significa e che ogni parti-

cella presente nell’intero Universo viene influenzata nel proprio moto da

ogni altra particella.

(2) Principio di equivalenza Dato un arbitrario campo gravitazionale, in ogni

punto e possibile scegliere un riferimento localmente inerziale tale che in

un intorno di questo punto la gravita scompare e le leggi della fisica sono

quelle della Relativita Speciale.

Questo significa che la gravita e un effetto apparente, vale a dire che deriva

dal mancato utilizzo di un sistema di riferimento inerziale. Questo prin-

cipio si basa sull’equivalenza, dimostrata sperimentalmente, tra massa

inerziale e massa gravitazionale.

Einstein giustifico questo principio mediante il suo famoso Gedankenexper-

iment, quello dell’ascensore: un osservatore in un ascensore che non abbia

alcun canale di comunicazione con l’esterno e che sia in caduta libera nel

campo gravitazionale, non risente dell’effetto della gravita, pertanto il suo

sistema di riferimento e inerziale.

2. LE EQUAZIONI DEL MOTO IN RELATIVITA GENERALE E LE CONNESSIONI AFFINI18

(3) Principio di covarianza generale Le leggi della fisica sono le stesse per

ogni osservatore.

Questo principio e un’estensione di quello di Relativita Speciale che as-

serisce che ogni osservatore inerziale e equivalente, e si puo formulare

dicendo che tutte le leggi della fisica devono avere forma tensoriale.

(4) Principio di relativita generale La Relativita Generale e una generaliz-

zazione della Relativita Speciale e della gravitazione di Newton.

Di conseguenza, le leggi della Relativita Generale devono ridursi, in as-

senza di campo gravitazionale, a quelle della Relativita Speciale, e, nel

limite di campo debole e di velocita v ≪ c, a quelle della gravitazione

newtoniana.

Inoltre, per l’accoppiamento minimale, non devono essere inseriti nelle equazioni

termini inutili, che contengano esplicitamente il tensore di curvatura.

2. Le equazioni del moto in Relativita Generale e le connessioni affini

Dette {ξi} le coordinate di un LIF in Relativita Speciale, ivi il moto di una

particella, il cui tempo proprio e indicato con τ , e descritto dalle equazioni

d2ξi

dτ2= 0 . (4.1)

Ora queste saranno estese ad un sistema generale, prendendo la forma di quelle che

si chiamano equazioni delle geodetiche.

Passiamo ad un sistema di riferimento generale, e quindi a nuove coordinate {xα},e definiamo una Lagrangiana

L(

xα,dxα

)

=1

2gµν(xα)

dxµ

dxν

dλ, (4.2)

nello spazio delle curve {xµ(λ), λ ∈ [λ0, λ1]}, dove λ e il parametro di riferimento.

Si possono applicare ad essa le equazioni di Eulero-Lagrange [7]

∂L∂xα

− d

∂L∂(dxα

dλ)

= 0 , (4.3)

e in tal maniera si trova

1

2(gµν,α

dxµ

dxν

dλ− 2

d

dλ(gµα

dxµ

dλ)) = 0,

−gµα

d

dxµ

dλ− dxµ

dxν

1

2(gµα,ν + gνα,µ − gµν,α) = 0.

2. LE EQUAZIONI DEL MOTO IN RELATIVITA GENERALE E LE CONNESSIONI AFFINI19

Contraendo adesso l’espressione con gαβ si ottengono le equazioni del moto di una

particella in Relativita Generale

d2xβ

dλ2+ Γβ

µν

dxµ

dxν

dλ= 0 , (4.4)

dette equazioni delle geodetiche. Tipicamente il parametro di riferimento della

geodetica (λ) e il tempo proprio (per particelle massive).

I termini

Γβµν =

1

2gαβ (gαµ,ν + gαν,µ − gµν,α) (4.5)

si chiamano connessioni affini o simboli di Christoffel e coinvolgono le forze inerziali

che caratterizzano il passaggio da un LIF a un sistema generico. Infatti la parte

Γβµν

dxµ

dxν

dτ,

che non e presente nella (4.1), esprime la forza gravitazionale agente sulla particella.

Questo e conseguenza del principio di equivalenza.

Le connessioni affini hanno anche il compito di rendere la derivata in Relativita

Generale un oggetto che abbia un comportamento tensoriale, e che quindi sia co-

variante sotto una qualunque trasformazione. L’operazione di ordinaria derivazione,

applicata ad un vettore o ad un tensore, si effettua mediante il consueto opera-

tore ∂µ, ma fornisce un qualcosa che non e un tensore, per cui, per ovviare al

problema, va aggiunto un termine che coinvolge appunto i simboli di Christof-

fel. Bisogna dunque modificare la derivata ordinaria perche, per il principio di

covarianza generale, cerchiamo sempre degli oggetti che abbiano natura tensoriale.

Una buona definizione di derivata di un vettore controvariante e

Aa;b = Aa

b + ΓabcA

c .

Questa e la derivata covariante: Aa;b e un tensore.

Per un tensore di ordine qualsiasi, la derivata covariante si calcola in maniera analo-

ga, contraendo ciascun indice con la connessione affine, col segno negativo se l’indice

e covariante, e positivo se e controvariante.

A titolo di esempio, per un tensore T µν , la derivata covariante si scrivera

T µν;β = T µ

ν,β − T µαΓα

βν + TανΓµ

αβ . (4.6)

3. LA GENERALIZZAZIONE DELL’EQUAZIONE DI DIRAC 20

3. La generalizzazione dell’equazione di Dirac

Per ottenere una teoria di campo coerente bisogna fissare prima di tutto una strut-

tura di spazio-tempo, che in Meccanica Quantistica non relativistica e quello eu-

clideo mentre per la generalizzazione relativistica e lo spazio-tempo di Minkowski.

In Relativita Generale e il campo gravitazionale a regolare sia le proprieta geomet-

riche dello spazio-tempo che la propagazione della forza di gravita. Raggiungere un

punto di incontro tra le due piu importanti teorie del ’900, la Meccanica Quantistica

e la Relativita Generale, e difficoltoso a causa dei problemi che nascono dal dover

includere gli effetti gravitazionali sugli spinori. Questi pero, pure se introdotti in

uno spazio-tempo piatto, possono essere generalizzati anche ad uno curvo.

Come primo approccio, nel passaggio da un LIF a un riferimento che includa il cam-

po gravitazionale, per scrivere l’equazione di Dirac si potrebbe pensare di sostituire

il tensore metrico ηab con un generico gµν e le derivate ordinarie con quelle covari-

anti. In realta cio funziona per i bosoni ma crea qualche problema per gli spinori in

quanto non e evidente definire come essi trasformano in Relativita Generale. Come

si vedra, bisogna trovare un nuovo tipo di derivata Dµ che includa un termine di

connessione spinoriale e che consenta cosı all’equazione di Dirac di essere scritta

in forma generalmente covariante, ossia tale che rimanga invariata rispetto ad una

trasformazione in Relativita Generale. E possibile fare cio utilizzando il formalismo

delle tetradi, altresı chiamate vierbein, dal tedesco.

3.1. Il formalismo delle tetradi. Per il principio di equivalenza, in ogni

punto A dello spazio-tempo e possibile trovare un set di coordinate {ξa}A local-

mente minkowskiane, dove la metrica e quella piatta indicata nella (2.1) e dove

quindi non vedo alcuna forza agente sul sistema. Esse naturalmente cambiano pun-

to per punto, ma per semplicita di notazione omettiamo il pedice che identifica il

punto in questione. La scelta di queste coordinate non e chiaramente univoca (basti

pensare all’ascensore di Einstein: se ruoto il sistema di riferimento nulla cambia).

Le informazioni sul campo gravitazionale sono contenute nel cambiamento delle

coordinate inerziali da punto a punto.

3. LA GENERALIZZAZIONE DELL’EQUAZIONE DI DIRAC 21

Nel passare dalle coordinate minkowskiane a nuove e generiche coordinate {xµ}scriveremo

dξa =∂ξa

∂xµdxµ = ea

µdxµ; dxµ =∂xµ

∂ξadξa = ea

µdξa . (4.7)

I termini di matrice eaµ = ea

µ(x) (sono funzione delle xµ) costituiscono le com-

ponenti di un oggetto detto tetrade (sono quattro). La possibilita di scegliere in

maniera non univoca le coordinate minkowskiane porta a definire tetradi equivalen-

ti. Abbiamo quindi espresso le coordinate inerziali in funzione di nuove coordinate

piu generali (e viceversa).

Le eaµ definiscono l’operazione inversa, per cui ea

µebµ = δa

b . Inoltre gli indici

possono essere alzati e abbassati come al solito: eaν = ebνηab.

Se Aµ(x) e un campo vettoriale, e l’elemento di tetrade che consente di scriverlo

nel suo sistema locale, vale a dire di proiettarlo sul sistema inerziale:

eaµA

µ = Aa; eaµAµ = Aa . (4.8)

Rispetto poi ad una trasformazione di Lorentz (piatta, locale), il campo trasforma

come

A′a = ΛabA

b . (4.9)

La stessa cosa succede ovviamente ai tensori a piu indici

eaµe

νbT

µν = T a

b , (4.10)

ed anche alle matrici di DiracLa stessa cosa succede ovviamente ai tensori a piu

indici

eaµe

νbT

µν = T a

b , (4.11)

γa = eaµγ

µ . (4.12)

Gli elementi di tetrade quindi permettono di trasformare i tensori scritti in un sis-

tema di coordinate generale (in Relativita Generale) in tensori scritti in un sistema

locale, inerziale, per i quali si possono usare le trasformazioni di Lorentz. Di fatto

d’ora in poi utilizzeremo sempre indici latini per indicare il sistema inerziale e in-

dici greci per indicare quello piu generale. La tetrade, come si e visto, consente lo

scambio tra le due categorie di indici (ha per questo due indici di tipo differente).

E questa la sua importanza. Tutto quello che facciamo, partendo da un oggetto

3. LA GENERALIZZAZIONE DELL’EQUAZIONE DI DIRAC 22

generale, e proiettarlo mediante la tetrade su assi locali e ivi lavorare come fatto in

precedenza con le trasformazioni di Lorentz.

Se operiamo un ulteriore cambio di coordinate, passando dalle {xµ} a delle nuove

{x′µ}, le derivate cambiano come

∂xµ7→ ∂

∂x′µ=

∂xν

∂x′µ∂

∂xν,

per cui gli elementi della tetrade (che sono costituiti da derivate parziali) trasfor-

mano secondo

eaµ(x) 7→ ea

µ(x′) =∂ξa

∂x′µ=

∂xν

∂x′µea

ν(x) , (4.13)

cioe come un campo vettoriale covariante e non come un tensore.

Considerando una trasformazione di Lorentz nel punto A, siccome le coordinate

{ξa}A possono essere ivi cambiate come nella (2.3), di conseguenza la tetrade

obbedisce alla stessa legge

e′aµ = Λabe

bµ . (4.14)

Useremo quanto finora detto per generalizzare l’equazione di Dirac.

3.2. Equazione di Dirac generalmente covariante. Allo scopo di costru-

ire un’equazione di Dirac che sia covariante per una qualunque trasformazione in

Relativita Generale, usiamo una notazione globale per i generatori del gruppo di

Lorentz presenti nella (2.21) definendo il tensore antisimmetrico σµν :

σµν =

0 K1 K2 K3

−K1 0 −J3 J2

−K2 J3 0 −J1

−K3 −J2 J1 0

, (4.15)

che puo essere scritto come (includiamo il fattore i all’interno dei generatori stessi):

σµν =1

4[γµ, γν ] . (4.16)

Supponiamo di operare un cambio di coordinate infinitesimo sulle {xµ} tale che si

possa scrivere (trasformazione di gauge):

xµ 7→ xµ = x′µ + ǫµ(x′) , (4.17)

e di fare una trasformazione di Lorentz vicina all’identita

Λab = δa

b + λab(x

′) , (4.18)

dove assumiamo che ǫ e λ siano dello stesso ordine.

3. LA GENERALIZZAZIONE DELL’EQUAZIONE DI DIRAC 23

Il quadrispinore trasforma come indicato nella (3.29), in cui scriviamo, seguendo la

notazione tensoriale di cui sopra,

ψ′ = S(Λ)ψ ,

con

S(Λ) = 1+1

2σabλ

ab(x) . (4.19)

Proviamo ad applicare una derivazione ordinaria al quadrispinore per vedere se esso

trasforma in maniera covariante:

∂µψ′ =

(1+1

2σabλ

ab(x)

)

∂µψ +

(

1

2σab∂µλ

ab(x)

)

ψ (4.20)

Siamo in presenza di un problema analogo a quello che trovammo nell’applicare

la derivata ordinaria ad un vettore: dal momento che λab(x) e una funzione del

punto, ammette derivata, e cio porta un termine che e di troppo (∂µψ e un vettore

covariante perche il quadrispinore e scalare per trasformazioni di coordinate). Al

fine di eliminare questo problema, si dovra trovare una nuova espressione per la

derivata del quadrispinore, che chiameremo Dµ, tale che DµAa trasformi come la

tetrade, cosı come la derivata ordinaria di un vettore e stata modificata affinche

fosse tensoriale.

Partiamo dall’esaminare come trasforma la tetrade eaµ per il cambio di coordinate

(4.17). Teniamo solo i termini al primo ordine in ǫ e otteniamo:

eaµ(x) 7→ ∂xν

∂x′µea

ν(x) ≈ (δνµ + ∂µǫ

ν)eaν(x′ + ǫ)

≈ (δνµ + ∂µǫ

ν)(eaν + ǫβ∂

βeaν)

= eaµ + ǫβ∂

βeaµ + ea

ν∂µǫν + O(ǫ2) .

(4.21)

Applichiamo a questi nuovi elementi di tetrade la trasformazione di Lorentz (4.18)

(ci limitiamo anche qui al primo ordine in ǫ):

Λabe

bµ(x′) = ea

µ + λabe

bµ + ǫβ∂

βeaµ + ea

ν∂µǫν + O(ǫ2) . (4.22)

Preso il campo vettoriale Aa(x), esso ha il seguente comportamento sotto la (4.18)

e per il cambiamento di coordinate (4.17):

Aa(x) 7→ Aa(x′ + ǫ) = Aa + ǫβ∂βAa + λa

bAb . (4.23)

3. LA GENERALIZZAZIONE DELL’EQUAZIONE DI DIRAC 24

(abbiamo infatti effettuato uno sviluppo per le coordinate e una rotazione di Lorentz)

Lo deriviamo:

∂µAa 7→ ∂µA

a + ∂µǫβ∂βAa + ǫβ∂µ∂

βAa + λab∂µA

b + (∂µλa

b)Ab , (4.24)

e imponiamo che questo trasformi come la tetrade nella (4.22) sotto operazione di

derivazione, deducendo la legge di trasformazione della derivata che cerchiamo

DµAa 7→ DµA

a + λabDµA

b + ǫβ∂βDµA

a + ∂µǫβDβAa . (4.25)

A questo punto e chiaro che cerchiamo, a completamento dell’ordinaria derivazione,

un oggetto ωabµ tale che trasformi come (comparando (4.24) con (4.25))

ωabµ 7→ ω′ab

µ − ∂µλab . (4.26)

(lo scopo e qui, come quando si generalizza la derivata ordinaria aggiungendole il

termine di connessione affine, raggruppare in un solo operatore i termini presenti

nella (4.20)).

Tale oggetto si chiama connessione spinoriale e grazie ad esso il quadrispinore

trasformera nel modo voluto. Si noti che esso ha tre indici di cui due latini ed uno

greco. La derivata covariante del quadrispinore sara pertanto

Dµψ =(

∂µ +1

2σabω

abµ

)

ψ .

Si vuole ora fornire la definizione della connessione spinoriale e verificare di con-

seguenza la (4.26).

Una trasformazione di coordinate generale x 7→ x′ dara, per il tensore metrico

gµν(x′) =∂xρ

∂x′µ∂xσ

∂x′νgρσ(x) , (4.27)

mentre l’operazione inversa produce

gαβ(x) =∂x′µ

∂xν

∂x′σ

∂xβgµν(x′) . (4.28)

Nel caso della trasformazione (4.18) (si presti attenzione al fatto che qui espandiamo

in x′ = x+ ǫ) sara:∂x′µ

∂xα=∂xµ

∂xα+∂ǫµ

∂xα= δµ

α + ∂αǫµ , (4.29)

gµν(x+ ǫ) = gµν(x) + ǫα∂αgµν(x) . (4.30)

Come al solito, tenendo i termini fino al primo ordine in ǫ, dalla (4.28) otteniamo

la trasformazione infinitesima di un tensore

gαβ(x) = gαβ(x) + ǫδ∂δgαβ + gµβ∂αǫ

µ + gαν∂βǫν . (4.31)

3. LA GENERALIZZAZIONE DELL’EQUAZIONE DI DIRAC 25

Riferendoci adesso alla (4.22), la tetrade trasforma come

eaµ → ea

µ + λabe

bµ + ǫβ∂

βeaµ + ea

ν∂µǫν + O(ǫ2) , (4.32)

e se ne si prende la derivata si ottiene

∂eaµ → ∂αe

aµ + λa

b∂αebµ + ∂αǫγ∂

γeaµ + ∂αe

aν∂µǫ

ν+

+ ebµ∂αλ

ab + ǫγ∂α∂

γeaµ + ea

ν∂α∂µǫν .

(4.33)

Noto dalla (4.32) il modo in cui la tetrade trasforma, siccome vogliamo che anche la

sua derivata si comporti cosı, si vede che nell’espressione di sopra ci sono due termini

di troppo. Proprio per questo si introduce la suddetta connessione spinoriale, che

scriviamo [9] come

ωabµ =

1

2e[aν∂[µe

b]ν] +

1

4e[aρeb]σ∂[σecρ]e

=1

2

(

e[aν∂[µeb]

ν] + eaρebσ∂[σecρ]ecµ

)

,

(4.34)

dove la notazione e compressa e sta a rappresentare termini del tipo

a[µbν] = aµbν − aνbµ .

Se chiamiamo t1(a,µ ) la trasformazione della tetrade nella (4.32) e t2(α,

a ,µ ) la parte

“buona” della (4.33) escludendo i termini di troppo (usiamo una notazione abbre-

viata per le trasformazioni che sono covarianti), potremo di conseguenza scrivere le

trasformazioni dei vari termini indicandole con questa notazione:

eaµ → t1(

a,µ ) ,

∂αea

µ → t2(α,a ,µ ) + eb

µ∂αλa

b + eaν∂α∂µǫ

ν ,

eaν∂µebν → t1(

a,ν )(

t2(µ,b ,ν ) + (∂µλ

bc)e

cν + eb

γ∂µ∂νǫγ)

.

A questo punto quindi, il primo addendo:

e[aν∂[µeb]

ν] → t1([a,ν )t2([µ,

b] ,ν] ) + e[aν(∂[µλb]

c)ecν] + O(ǫ2)

= t1([a,ν )t2([µ,

b] ,ν] ) + ∂µλ[ba] − ∂[aλb]

cecµ + O(ǫ2) ,

e il secondo

eaρebσ∂[σecρ]ecµ → t1(a,ρ )t1(

b,σ )(

t2([σ,c ,ρ] ) + (∂[σλ

cd)e

dρ]

)

t1(c,µ )

= t1(a,ρ )t1(

b,σ )t2(µ,b ,ν )t1(c,µ ) + eaρebσ(∂[σλ

cd)e

dρ]ecµ + O(ǫ2)

= t1(a,ρ )t1(

b,σ )t2(µ,b ,ν )t1(c,µ ) + ∂[bλca]ecµ + O(ǫ2)

= t1(a,ρ )t1(

b,σ )t2(µ,b ,ν )t1(c,µ ) − ∂[bλa]

cecµ + O(ǫ) .

3. LA GENERALIZZAZIONE DELL’EQUAZIONE DI DIRAC 26

Fatto questo, otteniamo la maniera il cui trasforma la connessione spinoriale sopra

definita sommando i termini:

ωabµ → 1

2

(

t1([a,ν )t2([µ,

b] ,ν] ) + ∂µλ[ba] − ∂[aλb]

cecµ

+ t1(a,ρ )t1(

b,σ )t2(µ,b ,ν )t1(c,µ ) − ∂[bλa]

cecµ

)

+ O(ǫ2)

=1

2

(

t1([a,ν )t2([µ,

b] ,ν] ) + t1(a,ρ )t1(

b,σ )t2(µ,b ,ν )t1(c,µ )

)

− 1

2∂µλ

[ab]

+ ecµ

(

−∂[aλb]c − ∂[bλa]

c

)

+ O(ǫ2) .

In definitiva quindi

ωabµ → 1

2

(

t1([a,ν )t2([µ,

b] ,ν] ) + t1(a,ρ )t1(

b,σ )t2(µ,b ,ν )t1(c,µ )

)

− ∂µλab , (4.35)

che concorda perfettamente con quanto affermato nella (4.26).

Si tenga ben presente che gli indici si possono accoppiare solo se appartengono alla

stessa categoria, vale a dire latini con latini e greci con greci, perche sono correlati

a sistemi differenti. Vogliamo pero trarre la regola di trasformazione per un oggetto

che ha un indice latino ed uno greco.

Se abbiamo un campo vettoriale espresso nel suo sistema locale Aa, facendone la

derivata covariante appena definita otterremo un oggetto a due indici di cui uno

greco ed uno latino, per cui dovremo scriverlo in termini della connessione spinoriale

come

DµAa = ∂µAa + ωµabAb . (4.36)

Se il campo e espresso invece nello spazio curvo, sappiamo che dobbiamo usare le

connessioni affini per farne la derivata covariante:

DµAν = ∂µAν − ΓσµνAσ , (4.37)

e siccome la tetrade consente il cambio di indici tra i due sistemi, secondo le (4.8),

allora

DµAν = Dµ(eaνAa) = Dµ(ea

ν)Aa + eaνDµAa . (4.38)

Cio porta a dedurre la derivata della tetrade (si noti che eaνωµab = ωµ

ab):

Dµea

ν = ∂µea

ν − Γσµνe

aσ + ωµ

abeb

ν , (4.39)

da cui per analogia scriveremo la derivata di un oggetto ad indici misti come

DµAa

ν = ∂µAa

ν − ΓσµνA

aσ + ωµ

abA

bν . (4.40)

3. LA GENERALIZZAZIONE DELL’EQUAZIONE DI DIRAC 27

Da tutto questo discorso si evince anche che le connessioni spinoriali sono stretta-

mente legate ai simboli di Christoffel. Il tensore metrico, nel solito passaggio tra

sistema locale e sistema generale si comporta nel modo seguente

gβν =∂ξa

∂xβ

∂ξb

∂xνηab = ea

βebνηab = ea

βeaν

(il tensore metrico e anche responsabile della contrazione degli indici, che puo

effettuarsi quando sono dello stesso tipo). Deriviamo l’espressione di sopra:

∂µgβν = eaν∂µea

β + eaβ∂µeaν , (4.41)

e usiamo la definizione di connessione spinoriale espressa dalla (4.34) per scrivere

eaαebβω

abµ =

1

2ea

αebβ

(

e[aν∂[µeb]

ν] + eaρebσ∂[σecρ]ecµ

)

.

Da quanto calcolato sopra, si ottengono le relazioni

eaαebβe

[aν∂[µeb]

ν] = gαν(ebβ∂µebν − eaν∂µe

aβ) + ea

[α∂β]ea

µ

e

eaαebβe

aρebσ∂[σecρ]ecµ = ∂[βec

α]ecµ .

Le ultime due possono essere usate per avere

ea[α∂β]e

aµ + ∂[βec

α]ecµ = ∂βg

αµ − ∂αgµβ .

In tal modo

eaαebβω

abµ =

1

2

(

gαν(ebβ∂µebν − eaν∂µe

aβ) + ∂βg

αµ − ∂αgµβ

)

(4.42)

=1

2gαν

(

∂βgµν − ∂νgµβ + ebβ∂µebν − eaν∂µe

)

. (4.43)

Dal paragone con la definizione di connessione affine data nella (4.5) e dalla (4.41)

risulta

eaαebβω

abµ = Γα

µβ +1

2gαν

(

ebβ∂µebν − eaν∂µe

aβ − ∂µgβν

)

= Γαµβ +

1

2gαν

(

ebβ∂µebν − eaν∂µe

aβ − eaν∂µe

aβ − ea

β∂µeaν

)

.

Essendo primo ed ultimo termine uguali (basta scambiare il ruolo di a e b), allora

eaαebβω

abµ = Γα

µβ − gανeaν∂µea

β .

Da quest’ultima si deduce la relazione tra le connessioni spinoriali e quelle affini:

Γαµβ = ea

αebβωabµ + ea

α∂µea

β . (4.44)

3. LA GENERALIZZAZIONE DELL’EQUAZIONE DI DIRAC 28

Riprendendo la (4.39), possiamo calcolare la derivata covariante della tetrade

Dµea

β = ∂µea

β − Γαµβe

aα + ωµ

abeb

β (4.45)

= ∂µea

β − eaα(ea

αebβωabµ + ea

α∂µea

β) + ωµa

beb

β (4.46)

= ∂µea

β − ωabµ ebβ − ∂µe

aβ + ωµ

abeb

β (4.47)

= 0 . (4.48)

(infatti eaαea

α = eaαea

α = 1 ed inoltre ωµa

beb

β = ωµa

β= ωµ

abebβ), che risulta

quindi nulla.

E possibile, a questo punto, scrivere l’equazione di Dirac generalmente covariante

utilizzando la derivata appena introdotta:

(iγµDµ −m)ψ = (iγµ(∂µ +1

2σabω

abµ ) −m)ψ = 0. (4.49)

Questa equazione e ora covariante rispetto ad una qualunque trasformazione.

Concludiamo scrivendo la lagrangiana invariante di Dirac nello spazio curvo:

L =√−g ψ(iγµDµ −m)ψ ,

dove g e il determinante del tensore metrico che serve a rendere invariante l’elemento

di volume presente nell’azione, in modo tale che quest’ultima sia pure invariante.

CAPITOLO 5

Conclusioni

In questa dissertazione abbiamo mostrato come costruire, partendo dal gruppo di

Lorentz, un’equazione fermionica che sia covariante per trasformazioni nello spazio

piatto. Abbiamo successivamente esteso la teoria al caso di uno spazio curvo,

ricavando l’equazione valida per trasformazioni locali di coordinate.

Per arrivare alla formulazione desiderata e parso opportuno introdurre un nuovo

formalismo, quello delle tetradi, che, essendo oggetti a due indici di diversa natura,

consentono il delicato passaggio tra un sistema a metrica piatta ed uno generale

(curvo). L’importanza storica dello studio di Dirac sta nel fatto che, come piu

volte evidenziato, predice l’esistenza dell’antimateria in termini di soluzioni alla sua

equazione. Nella sua teoria, lo spin della particella, del quale si avevano evidenze

sperimentali, compare naturalmente come grado di liberta intrinseco.

Ovviamente, il discorso portato avanti non e l’unico possibile, perche il problema

puo essere affrontato in diverse maniere, ma quella scelta sembrava la piu calzante.

Il fatto poi che non si raggiunga mai una comprensione ultima e perfetta dei

fenomeni, per quanto li si studi e un concetto racchiuso in una frase di A. Ein-

stein: ”As far as the laws of mathematics refer to reality, they are not certain, and

as far as they are certain, they do not refer to reality”.

Inoltre il lavoro non pretende certo di essere del tutto esaustivo: per fare un esempio,

l’equazione di Dirac, una volta nota per la particella libera, puo essere studiata in

presenza di sollecitazioni esterne quali per esempio un campo eletromagnetico, ma

la cosa esula dall’obiettivo che questa dissertazione si preponeva.

Bibliografia

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